Saggi
ISSN 1722-8360
di particolare interesse in questo fascicolo Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
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Diritto della banca e del mercato finanziario
• Crisi dei grandi gruppi bancari • Il crowdfunding • Riforma delle banche popolari e Costituzione • La ricapitalizzazione precauzionale
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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2016, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Elisabetta Bani, Concetta Brescia Morra, Vincenzo Vito Chionna, Gian Domenico Comporti, Vincenzo De Stasio, Gianluca Guerrieri, Antonia Irace, Raffaele Lenzi, Stefano Pagliantini, Alessandro Palmieri, Andrea Perrone, Antonio Piras, Andrea Pisaneschi, Gaetano Presti, Vincent Ribas, Antonella Sciarrone Alibrandi, Pietro Sirena, Onofrio Troiano, Francesco Vella.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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SOMMARIO 2/2017
PARTE PRIMA Saggi I nuovi “standard” per fronteggiare la crisi dei colossi finanziari di un mercato globale, di Antonella Brozzetti pag. 203 Le altre facce del crowdfunding, di Aldo Laudonio » 261 Project Finance. A comparative Analysis with Common » 333 Law Regulation, di Brunella Russo
Commenti Riforma delle banche popolari e problemi di costituzionalità – Cons. St., sez. VI, 15 dicembre 2016, n. 5277. Incostituzionalità della riforma delle banche popolari per decreto legge e con l’attribuzione a Banca d’Italia di poteri regolamentari e derogatori “in bianco”, di Sandro Amorosino
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PARTE SECONDA Legislazione Crisi delle banche e interventi “precauzionali” – D.l. 23 dicembre 2016, n. 237 (convertito con modificazioni nella l. 17 febbraio 2017, n. 15): Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio
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Liquidità bancaria e ricapitalizzazioni: gli interventi “precauzionali”, di Mavie Cardi
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Norme
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redazionali
PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
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I nuovi “standard” per fronteggiare la crisi dei colossi finanziari di un mercato globale* «il mercato è la legge, che lo governa e costituisce; e prende forma dalla decisione politica e dalle scelte normative» (Natalino Irti)
Sommario: 1. Una regolamentazione proiettata sull’“ending of too big to fail”: introduzione e piano del lavoro. – 2. Una ricognizione del pacchetto regolamentare sulle “SIFIs” messo in atto dagli “standard-setters” internazionali. – 2.1. Presa d’atto e (nuovo) avvio del processo di riforma centrato sui colossi finanziari a rischio sistemico (anni 2008-2009). – 2.1.1. G20 di Washington e di Londra. – 2.1.2. Rapporto de Larosière. – 2.1.3. G20 di Pittsburg. – 2.2. I primi risultati del 2010 con le raccomandazioni del Fsb ed i lavori del Joint Forum. – 2.3. La svolta del 2011: dalle “G-SIFIs” alle “D-SIBs”, transitando per le “G-SIBs”. – 2.3.1. Segue: si gettano le fondamenta per una regolamentazione maggiormente condivisa per il sistema finanziario globale (G20 di Cannes).– 2.4. Un sintetico richiamo dei profili regolamentari applicabili alle istituzioni di rilevanza sistemica. – 2.4.1. Criteri identificativi delle SIFI e requisiti di adeguatezza patrimoniale (prove tecniche con le G-SIB). Decisiva rilevanza degli accordi di Basilea sul capitale. – 2.4.2. Modalità e strumenti di supervisione via via più stringenti. – 2.4.3. Il nodo dei regimi di risoluzione delle crisi bancarie (adeguatezza patrimoniale e successione del bail-in al bail-out): i c.d. “KAs” del Fsb del 2011 ed avvio della strategia della risoluzione. – 2.5. Il 2013: anno di riflessione a livello internazionale e abbrivio verso una regolamentazione, diretta ad eliminare il “tbtf”, sempre più monumentale (G20 di San Pietroburgo, di Washington e di Brisbane). –2.5.1. L’agenda di riforma allarga il perimetro alle istituzioni non bancarie, rafforzando al contempo i presidi sulle G-SIB, anche in un’ottica di gruppo (vertici di Antalya e Hangzhou); un cenno al profilo delle riforme strutturali e alcune prime osservazioni d’assieme. –3. Qualche riflessione scaturita da uno sguardo sul fatto regolato. – 3.1. Segue: confronto tra le SIFI via via individuate dal Fsb ed i “colossi finanziari” oggetto di attenzione da altre angolazioni regolamentari (particolare rilievo in Europa del fenomeno del gigantismo). – 3.2. Segue: l’impatto di strumenti di controllo e supervisione “rafforzati” sulle scelte strategiche degli intermediari. – 3.3. Segue: l’affanno della regolamentazione rispetto agli intermediari finanziari di rilevanza sistemica e all’effetto “fuga”. – 4. Un level
* Il presente lavoro riprende, con talune modifiche, il contributo elaborato nell’ambito del progetto PRIN 2010/2011 su “La governance dei mercati dell’Unione europea”, diretto dal prof. V. Santoro.
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playing field sempre più vasto: ulteriori considerazioni e rinvio ad un nuovo progetto di studio.
1. Una regolamentazione proiettata sull’“ending of too big to fail”: introduzione e piano del lavoro. Secondo la presidente del Fondo monetario internazionale la crisi del 2008 «made it clear to us that the world is interconnected like never before, in multiple and complex ways»1. Il fatto che il detonatore della stessa sia stato il fallimento di Lehman Brothers, una delle principali banche di investimento americane con diramazioni internazionali, ha posto da subito l’attenzione, da parte dei forum globali della regolamentazione, sulle “sistemically important financial institutions-SIFIs”, ossia istituzioni finanziarie di importanza sistemica costituite da imprese o gruppi il cui dissesto può minare la stabilità del settore finanziario, inteso in un’accezione sia regionale (nel senso di determinate aree geografiche) sia internazionale. Il ruolo svolto da istituti finanziari di grande dimensione, complessità, interconnessione e operanti su scala globale è stato quindi indagato su diversi fronti con interesse crescente e con particolare attenzione verso le diverse modalità seguite per la soluzione delle crisi emerse in istituzioni ritenute o meno “immortali”. Si pensi, a titolo di esempio, al caso di AIG-American International Group, prima impresa di assicurazione che ha avuto accesso al credito di ultima istanza della Federal Reserve, nonché ai salvataggi, da parte dei governi coinvolti, dei conglomerati finanziari Fortis e Dexia, quest’ultimo solido “sulla carta” – poiché pienamente in linea con i requisiti fissati da Basilea 2 – ma con composizione dell’attivo che lo esponeva ad un eccessivo rischio di liquidità. Politiche di governo dei rischi blande, prodotti finanziari sempre più complessi ed opachi, uso smisurato della leva finanziaria hanno accentuato la vulnerabilità del sistema finanziario e reso necessario, per un verso, un rafforzamento della supervisione nonché, per altro verso, la riforma del quadro regolamentare; sotto accusa è finita in particolare
1 Così di recente Lagarde, Managing Spillovers. Striking the Right Balance of Domestic Objectives and External Stability, intervento al Norges Bank 200th Anniversary Symposium on The Interaction Between Monetary Policy and Financial Stability. Going Forward, Oslo, 16 June 2016, in http://www.imf.org/external/np/speeches/2016/061616.htm, p. 1.
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la disciplina di mercato, pilastro fondamentale di tale quadro, rivelatasi però del tutto inefficace di fronte all’azzardo morale sviluppato da una istituzione di importanza sistemica il cui rischio di credito è risultato sottostimato da parte sia dei creditori sia delle agenzie di rating Il tema delle SIFI si è pertanto incuneato nel dibattito sulla necessaria riforma dell’ordinamento finanziario previgente alla crisi, coinvolgendo il piano del coordinamento e dell’assetto della supervisione al livello mondiale: tant’è che si è parlato subito di “global-sistemically important financial institutions-G-SIFIs”. Il tema è infatti emerso nell’agenda della riforma della regolamentazione del sistema finanziario avallata dal Gruppo dei Venti (G20) e predisposta con i lavori, articolati in varie tappe ed ancora in corso, soprattutto del Consiglio per la stabilità finanziaria – meglio noto sotto il nome di Financial stability board (Fsb) – e del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (Basel committee on banking supervision; d’ora in poi Bcbs), talvolta in collaborazione con il Fondo monetario internazionale (Fmi) e gli altri consessi internazionali via via coinvolti in ragione degli aspetti trattati. Riscontreremo che, nella sostanza, al G20 può ascriversi un ruolo di motorino di avviamento di un ampio programma di riforma delle regole della finanza, per aver scandito nei periodici “summit” e “meeting” le linee di azione degli organismi internazionali. Uno degli obiettivi che, ai diversi livelli, i riformatori si sono posti è stato quello di precostituire gli strumenti per fronteggiare l’impatto sistemico della crisi di un colosso finanziario internazionale2. La scelta di campo di questo contributo allo studio delle istituzioni di rilevanza sistemica è quella ricostruttiva, pertanto: – si concentra sulla indicazione delle tappe seguite dal processo di riforma da parte degli “standard-setting bodies” in sede internazionale, guidato dall’obiettivo di porre fine al problema del “too big to fail” (c.d. tbtf)3, dedicando particolare attenzione alle banche, la cui rilevanza si-
2 Il programma si è infatti sviluppato su diversi fronti, così riassunti, in una delle fasi intermedie, nello Statement of Mark Carney Chairman of the Financial Stability Board to the International Monetary and Financial Committee (Washington, DC, 21 April 2012, in http://www.imf.org/external/spring/2012/imfc/statement/eng/fsb.pdf): «(i) building resilient financial institutions; (ii) ending ‘too big to fail’; (iii) strengthening the oversight and regulation of shadow banking activities; (iv) completing OTC derivatives and other reforms to create continuous core markets; and (v) implementing agreed G20 reforms in a timely and consistent manner», cit. p. 1. 3 “Ending of too big to fail” in collegamento con il fenomeno delle SIFI è parte del titolo (lo vedremo nel § 2.5) di un rapporto del 2013 del Financial stability board,
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stemica è insita nella loro natura per il ruolo rivestito nella creazione di moneta e nel sostegno allo sviluppo economico (§ 2); – osserva il fenomeno regolato (§ 3); – individua i (prospettando alcuni profili di approfondimento dei) possibili limiti di tale processo (§ 2, 3 e 4).
2. Una ricognizione del pacchetto regolamentare sulle “SIFIs” messo in atto dagli “standard-setters” internazionali. 2.1. Presa d’atto e (nuovo) avvio del processo di riforma centrato sui colossi finanziari a rischio sistemico (anni 2008-2009). 2.1.1. G20 di Washington e di Londra. Il punto di partenza del processo di riforma si rinviene nel vertice del G20 di Washington del 15 novembre 2008. Nel comunicato ufficiale v’è la presa d’atto del ruolo fondamentale nel sostegno dell’economia globale da parte delle «IFIs-international financial institutions»4 nonché dell’esigenza di circoscrivere le «systemically important institutions» e di predisporne un’appropriata regolamentazione o sorveglianza. Sempre in quella sede si dà il via ad una significativa riforma degli organismi di riferimento del sistema finanziario internazionale volta a rafforzare le funzioni del Financial stability forum, nato sotto l’egida del G7 dopo la crisi asiatica di fine anni Novanta del secolo scorso. L’azione di «Strengthening financial supervisione and regulation» al centro del G20 di Londra del 2 aprile 2009 porterà così al cambiamento del nome di tale organismo in Financial stability board (d’ora in poi Fsb) e all’allargamento della partecipazione a tutti i paesi del G20, alla Spagna e alla Commis-
riproposto poi come paragrafo di alcuni documenti degli anni successivi. Si segnala che in questo contributo sono presenti solo alcuni cenni telegrafici al contesto europeo funzionali allo svolgimento di alcune delle considerazioni svolte. 4 Group of Twenty, Declaration Summit on Financial Markets and the World Economy, 15 November 2008, in http://www.un.org/ga/president/63/commission/declarationG20. pdf, cfr. il punto 5, ove si sottolinea la necessità di assicurare che «international financial institutions (IFIs) can provide critical support for the global economy», al punto 10 si legge altresì: «Reviewing the mandates, governance, and resource requirements of the IFIs; and Defining the scope of systemically important institutions and determining their appropriate regulation or oversight».
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sione Europea, aspetto questo di particolare rilievo per la formazione di scelte regolamentari maggiormente condivise5. Fsb e Fmi iniziano anche a collaborare nella conduzione di esercizi di “early warning”, tesi ad evidenziare le implicazioni sistemiche delle politiche macroeconomiche e finanziarie, sollecitando le necessarie misure correttive6. 2.1.2. Rapporto de Larosière. In parallelo anche a livello europeo cominciavano, a metà novembre del 2008, i lavori del gruppo guidato da Jacques de Larosière sfociati in un Report presentato nel febbraio 20097, ove è contenuta un’analisi molto dettagliata e a largo raggio delle cause della crisi, la quale ha fatto da base di lancio per incisive modifiche del diritto comunitario. Il Rapporto
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Il G20 riunisce i 19 paesi più industrializzati del mondo (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa e Turchia) e l’Unione Europea; possono parteciparvi anche le c.d. istituzioni di Bretton Woods: Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, nonché le principali organizzazioni internazionali (Nazioni unite, Organizzazione internazionale del lavoro-Oil, Organizzazione per la cooperazione e sviluppo economico-Ocse). Nato nel 1999, su iniziativa dei paesi del G7, ha organizzato “meeting” dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali allo scopo di discutere sulla stabilità economica e sulla crescita sostenibile, con lo scoppio della crisi del 2008 prenderanno avvio anche i “summit” dei leader mondiali (per approfondimenti si può vedere il sito della Farnesina http://www.esteri.it/ mae/it/politica_estera/g20, da cui sono tratte le notizie qui riportate) e si assisterà ad un notevole sviluppo del ruolo assunto da tale gruppo internazionale di natura “informale”, e quindi ad un arricchimento di protagonisti del sistema delle fonti, rendendolo viepiù complicato. Sui problemi di un assetto dei controlli “multilivello” si rinvia in particolare a Amorosino, La regolazione pubblica delle banche, Milano, 2016, in part. p. 91 ss. 6 Si veda G20, The Global Plan for Recovery and Reform, London 2 April 2009, in http://www.g20ys.org/upload/files/London_1.pdf. I colossi finanziari sono ovviamente il portato del fenomeno del grande mercato creato con la globalizzazione (sul tema si rinvia a Capriglione, La finanza come fenomeno di dimensione internazionale, in Id., a cura di, L’ordinamento finanziario italiano, Padova, 2010, I, p. 122 ss., in part. p. 138 ss.), con le SIFI la supervisione viene maggiormente proiettata sugli aspetti macroprudenziali: cfr. Siclari, Gli intermediari bancari e finanziari tra regole di mercato e interesse pubblico, Napoli, 2011, p. 48 ss. 7 Cfr. The High-Level Group on Financial Supervision in the Eu, Chaired by Jacques de Larosière, Report, Bussels, 25 febbraio 2009, versione italiana al link: https://www.esrb. europa.eu/shared/pdf/de_larosiere_report_it.pdf?182a9ca1d0951a1b3b180942a733676 6. Per un primo esame si veda Sabatelli, La supervisione sulle banche. Profili evolutivi, Padova, 2009, p. 221 ss.; rispetto ai profili che qui più interessano si rinvia in particolare ad Onado, La supervisione finanziaria europea dopo il Rapporto de Larosière: siamo sulla strada giusta?, in Banc., 2010, 3, p. 16 ss., in part. p. 17 ss.
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dedica ampio spazio al tema delle grandi istituzioni finanziarie: si fa riferimento alle «banche sofisticate» (punto 57) ed ai «giganti della finanza» così «vasti e complessi che risulta estremamente difficile valutare adeguatamente i rischi ai quali sono esposti o i rischi che essi possono rappresentare per l’economia nel suo complesso». Si coglie l’aspetto cruciale del problema: per dimensione e funzione strutturale all’interno del mercato finanziario possono essere considerati «troppo grandi da gestire», «troppo grandi per fallire» e «troppo grandi da salvare» (punto 234: si noti il corsivo del testo). Il tema della vigilanza sui «grandi gruppi transfrontalieri a struttura complessa» è messo in relazione con il rafforzamento della collaborazione internazionale (la proposta è quella dei “collegi”). Questi «conglomerati finanziari di dimensioni notevoli e attivi in molti settori di attività diversi (compresa la negoziazione per proprio conto) in tutto il mondo» costituiscono una sfida per la regolamentazione su tanti fronti: si affaccia più volte il profilo della gestione e risoluzione delle crisi. Merita altresì di essere evidenziato il richiamo alla possibilità di agire sulla separazione fra l’attività di mera banca commerciale (e alcune attività di investimento svolte per la clientela) e le banche operanti come fondi di investimento (punto 233). Tale Rapporto attira l’attenzione poiché prospetta linee di intervento regolamentare anche a livello internazionale, lasciando così trasparire sia un possibile ruolo attivo dell’Europa stessa sia possibili sinergie/attriti tra i due piani di riforma8. 2.1.3. G20 di Pittsburg. Nel vertice del G20 di Pittsburg del settembre 2009 i leader mondiali associano il too big to fail insito nelle SIFI, ma comunque risalente nel tempo9, ai profili del completamento della regolamentazione in materia di capitale (c.d. Basilea III) nonché del miglioramento della gestione delle crisi dei gruppi cross-border10.
8 Sulle traiettorie possibili si veda Di Gaspare, Teoria e critica della globalizzazione finanziaria. Dinamiche del potere finanziario e crisi sistemiche, Padova, 2011, passim. 9 Cfr. Federal Deposit Insurance Corporation, History of the Eighties. Lessons for the Future, vol. I, An Examination of the Banking Crises of the 1980s and Early 1990s, December 1997, in http://www.fdic.gov/bank/historical/history/vol1.html, il cui cap. 7 è intitolato Continental Illinois and “Too Big to Fail”, ed è dedicato alla crisi del maggio 1984 della CINB (Continental Illinois National Bank and Trust Company), allora definita come «the largest bank resolution in U.S. History». 10 Sul tema, fra i molti, si veda Banca d’Italia, Insolvency and Cross-border Groups. UNCITRAL Recommendations for a European Perspective?, in Quaderni di Ricerca
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Il mese successivo Fmi e Fsb pubblicano un rapporto congiunto per il G20 ed i Governatori delle banche centrali e, nell’ottica di presidiare i rischi sistemici, avviano una fase, a carattere possiamo dire ricognitivo, volta a raccogliere informazioni e dati, da parte delle autorità di supervisione, sulle «systemically important global financial institutions» e sui collegamenti intersettoriali all’interno del mercato finanziario11. Il tema delle SIFI in qualche modo si restringe in quanto l’attenzione viene puntata sulle “global systemically important banks-G-SIBs” e su altre “large banks”. Scelta che può giustificarsi per l’alto grado di fattibilità dell’indagine informativa, ma anche per la forte incidenza dell’attività delle banche all’interno del genus SIFI. Uno dei punti focali, che scandirà le tappe del processo di riforma a seconda degli obiettivi via via posti, ricade quindi sull’acquisizione dei dati, la quale: a) rappresenta il necessario stadio preliminare per inquadrare il fenomeno; b) innesca un flusso informativo verso gli organismi internazionali; c) si pone alla base dei primi provvedimenti concreti costituiti dalla identificazione da parte del Fsb – solo nel novembre 2011 – di una lista di intermediari etichettati come SIFI (ma in realtà centrati sulle banche), presupposto indispensabile per programmare (come vedremo meglio nel § 2.4) l’applicazione di strumenti di controllo e prudenziali rafforzati. 2.2. I primi risultati del 2010 con le raccomandazioni del Fsb ed i lavori del Joint Forum. Sul fronte dei giganti finanziari intersettoriali agisce anche il Joint Forum, che nel gennaio 2010 pubblica il DNSR Report: Review of the Differentiated Nature and Scope of Financial Regulation12, ove si prende atto della lezione impartita dalla crisi e si sollecita una riduzione delle differenze negli standard regolamentari tra settore bancario, delle imprese di investimento e assicurativo, nonché una revisione della normativa sui
Giuridica della Consulenza Legale, n. 69, febbraio 2011, in http://www.bancaditalia.it/ pubblicazioni/quarigi/qrg_69/qrg_69/quaderno_69_en.pdf. 11 Si veda IMF-FSB, Report to the G-20 Finance Ministers and Central Bank Governors, 29 October 2009, in http://www.imf.org/external/np/g20/pdf/102909.pdf. 12 Il documento è reperibile al link https://www.bis.org/publ/joint24.pdf; si ricorda che il Joint Forum è formato oltre che dal Bcbs, dall’International organization of securities commissions e dalla International association of insurance supervisors.
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conglomerati finanziari elaborata dallo stesso Joint Forum nel 1999 (alla base della direttiva 2002/87/CE)13. Si gettano così le basi per un processo regolamentare a vasto raggio sulle “Global-SIFIs” con attrazione nel dibattito degli altri fori della vigilanza internazionale (infra, § 2.5.1). Del resto non potrebbe essere diversamente dato che il tema dell’interconnessione caratterizzante – come vedremo – le G-SIFI è decisamente correlato con quello dei colossi finanziari intersettoriali e transnazionali da tempo al centro dei lavori del Joint Forum, i limiti dei quali vengono subito messi in evidenza dalla crisi. Si pensi in particolare alla strada della collaborazione e del coordinamento tra autorità nazionali (punto qualificante sia del processo di armonizzazione delle legislazioni dei paesi comunitari sia delle linee guida sui conglomerati finanziari elaborate in sede internazionale), rivelatasi del tutto inadeguata a salvaguardare la stabilità in presenza di banche di ampie dimensioni e con operatività cross-border. Tanto che (come vedremo) al centro del processo di rinnovamento normativo finisce anche il tema della ridefinizione della vigilanza supplementare, che in Europa si interseca con la revisione del diritto bancario/finanziario e di quello assicurativo (investito dalle direttive c.d. Solvency). Nell’autunno del 2010 cominciano a prendere forma le linee di intervento sulle SIFI nei termini indicati dal G20 di Pittsburg, condivise peraltro anche da altri paesi14. Il Fsb presenta un pacchetto di proposte operative da cui emerge il bisogno di limitare le esternalità negative (vale a dire gli effetti collaterali avversi) associabili alla percezione che le SIFI non possano essere lasciate fallire a causa delle loro dimensioni, del livello di interconnessione, della complessità e insostituibilità della loro attività su scala globale15. Il documento è importante in quanto il Fsb elenca, nella sostanza, le caratteristiche delle SIFI poi poste alla base della metodologia elaborata dal Comitato di Basilea (investito del relati-
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Qualche approfondimento infra, § 3.2. In particolare, nello stesso periodo, anche la Svizzera propone i primi interventi sul tema delle banche di importanza sistemica: si vedano Final report of the Commission of Experts for limiting the economic risks posed by large companies, 30 september 2010; Press release, Commission of Experts submits package of measures to limit “too big to fail” risks, 4 october 2010, documenti reperibili al link http://www.sif.admin.ch/ dokumentation/00514/00519/00592/index.html?lang=en. 15 FSB, Reducing the moral hazard posed by systemically important financial institutions, FSB Recommendations and Time Lines, 20 October 2010, in www. financialstabilityboard.org/publications/ r_101111a.pdf. 14
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vo compito dal Fsb medesimo) volta a stimare nel concreto la rilevanza sistemica delle G-SIFI. Sul presupposto che la supervisione delle autorità nazionali di vigilanza (si pensa quindi anche all’home country control) debba essere rapportata al rischio che un’istituzione comporta per il sistema finanziario sia domestico sia internazionale, nel novembre 2010 il Fsb predispone, in collaborazione con il Fmi, le ulteriori raccomandazioni Intensity and Effectiveness of SIFI Supervision. Recommendations for enhanced supervision, tese a rafforzare la supervisione delle SIFI e a limitare sia la probabilità sia l’impatto del loro “fallimento”16. Il tema della gestione della crisi di gruppi complessi finalizzata al contenimento degli effetti sull’offerta dei servizi finanziari essenziali diventa uno dei punti di maggiore discussione e (come vedremo meglio nel prossimo paragrafo) verrà ulteriormente sviluppato in alcuni documenti dell’autunno 2011. A questo stadio del processo di riforma gli obiettivi del Fsb si concentrano su quattro aree di intervento: 1) innalzamento della portata della supervisione delle autorità nazionali; il quadro di riferimento sono i “core principles” fissati dal Comitato di Basilea17, con occhio attento ad accrescere la capacità di assorbimento delle perdite delle “Global-SIFIs”. Il tutto è ben sintetizzato da Mario Draghi, allora al vertice del Fsb: «SIFIs and initially in particular G-SIFIs should have higher loss absorbency capacity to reflect the greater risks that these firms pose to the global financial system. Depending on national circumstances, this greater capacity could be drawn from a menu of viable alternatives and could be achieved by a combination of a
16 Le raccomandazioni sono del 2 novembre 2010 e sono reperibili al link http://www.financialstabilityboard.org/publications/r_101101.pdf. Si segnala che il documento Intensity and Effectiveness of SIFI Supervision. Recommendations for enhanced supervision è di grande interesse in quanto delinea la tabella di marcia dei successivi lavori del Consiglio; a tal proposito si vedano in particolare: Intensity and Effectiveness of SIFI Supervision.Progress report on implementing the recommendations on enhanced supervision, 27 October 2011, in http://www.financialstabilityboard. org/publications/r_111104ee.pdf; Increasing the Intensity and Effectiveness of SIFI Supervision. Progress Report to the G20 Ministers and Governors, 1 November 2012, in http://www.financialstabilityboard.org/publications/r_121031ab.pdf. 17 Il riferimento va alla revisione del 2006, ma nel Report to the G20 on response to the financial crisis, October 2010, il BCBS preannuncia un’ulteriore revisione che si avrà nel settembre 2012; i nuovi Core Principles for Effective Banking Supervision sono reperibili al link http://www.bis.org/publ/bcbs230.pdf.
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capital surcharge, a quantitative requirement for contingent capital instruments and a share of debt instruments or other liabilities represented by ‘bail-inable’ claims»18; 2) miglioramento dei metodi e degli strumenti di supervisione; 3) rafforzamento dei collegi dei supervisori; 4) perfezionamento dei mezzi di raccolta delle informazioni. In buona sostanza, l’ambito di intervento prioritario segue il solco tradizionale dei modi e delle forme dei controlli propri di un’architettura di vigilanza con più solide basi. Il pacchetto regolamentare sulle G-SIFI che si va prefigurando deve far affidamento sulla coerenza rispetto agli standard predisposti e sull’efficacia delle misure recepite (con riguardo al piano applicativo) da singoli paesi o aree geografiche coinvolti. Fsb e Fmi si riservano così la possibilità di attuare “peer-review” per verificare il grado di attuazione delle raccomandazioni elaborate19. Ciò che ad avviso di scrive merita attenzione è il tratto di fondo del disegno regolamentare che si vuole realizzare, costituito dal rapporto rischi/capitalizzazione (si incide sull’azzardo morale con richieste aggiuntive di capitale) e dal confezionamento di strumenti c.d. bail-inable (il costo delle eventuali crisi deve colpire anzitutto azionisti e creditori), presupposto questo ritenuto indispensabile per la costruzione dell’asserita possibilità di uscita dal mercato di una G-SIFI. 2.3. La svolta del 2011: dalle “G-SIFIs” alle “D-SIBs”, transitando per le “G-SIBs”. Nell’estate del 2011 si registra un deciso cambio di passo. Gli organismi internazionali individuano un sottogruppo delle G-SIFI rappresentato dalle G-SIB, con le relative linee di supervisione e di sviluppo, ed illustrano i primi risultati raggiunti.
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Cfr. Statement of Mario Draghi, Chairman of the Financial Stability Board, to the International Monetary and Financial Committee, Washington, DC, 16 April 2011, in http://www.imf.org/external/spring/2011/imfc/statement/eng/fsb.pdf, cit. p. 2. 19 Dal 2010 il Fsb ha cominciato a pubblicare aggiornamenti annuali relativi all’applicazione degli standard normativi e di vigilanza in materia di cooperazione internazionale e allo scambio di informazioni; se ne segnala l’importanza in quanto incentrati su banche, imprese d’investimento e assicurative appartenenti a 60 giurisdizioni; i periodici “peer review reports” sono disponibili al link: http://www.fsb.org/publications/ peer-review-reports/.
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Il GHOS (Group of governors and head of supervision) – costituito all’interno del Comitato di Basilea – circoscrive sul piano soggettivo le SIFI, attraverso una metodologia che ne dovrebbe stimare la rilevanza sistemica, e individua alcune misure sul piano regolamentare riferite ai presidi di patrimonializzazione aggiuntivi richiesti per ridurne la probabilità di fallimento20. Dal canto suo, il Fsb si occupa invece del miglioramento delle modalità di gestione delle crisi degli intermediari attivi a livello internazionale e suggerisce (tramite una consultazione pubblica) uno schema di liquidazione per tutte le banche di importanza sistemica globale, volto a ridurne l’impatto, con i relativi tempi di attuazione21. Il tema SIFI resta al centro del processo regolamentare, ma si canalizza sulle G-SIB, intrecciandosi con queste. Un importante momento di ricomposizione si ha infatti nell’autunno allorquando il Fsb predispone le Policy Measures to Address Systemically Important Financial Institutions22, le quali sintetizzano il pacchetto regolamentare applicabile alle medesime, basato in sintesi: 1) sulla definizione di regole internazionali per i regimi nazionali di risoluzione delle crisi bancarie, i quali rafforzano i poteri delle autorità, prefigurando un’uscita “ordinata” dal mercato senza gravare sui contribuenti (soggetti messi quindi al centro della tutela);
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Cfr. BCBS, Global systemically important banks: Assessment methodology and the additional loss absorbency requirement, Consultative Document, July 2011, in http://www. bis.org/publ/bcbs201.pdf). Nel novembre 2011 il documento finale è stato pubblicato anche nella versione italiana, cfr. Comitato Di Basilea, Banche di rilevanza sistemica globale: metodologia di valutazione e requisito addizionale di assorbimento delle perdite. Testo delle disposizioni, in http://www.bis.org/publ/bcbs207_it.pdf. Già nel gennaio 2011 il GHOS si era soffermato sui profili di patrimonializzazione (cfr. press release, Basel Committee issues final elements of the reforms to raise the quality of regulatory capital, 13 January 2011, in http://www.bis.org/press/p110113.htm); le proposte maturate all’interno del Comitato di Basilea verranno poi sottoposte alla valutazione del Financial stability board e successivamente inserite nell’anzidetto documento di consultazione pubblicato dal Comitato stesso. Si segnala che nel 2013 il Comitato ha revisionato la metodologia ed ha pubblicato un nuovo documento a sostituzione del precedente cfr. BCBS, Global systemically important banks: updated assessment methodology and the higher loss absorbency requirement, July 2013, in http://www.bis.org/publ/bcbs255.pdf. 21 Si veda: FSB, Effective Resolution of Systemically Important Financial Institutions. Recommendations and Timelines. Consultative Document, 19 July 2011, in http://www. financialstabilityboard.org/publications/r_110719.pdf. 22 Il documento è del 4 novembre 2011 (reperibile al link http://www.fsb.org/ wp-content/uploads/Policy-Measures-to-Address-Systemically-Important-FinancialInstitutions.pdf) e risponde alle richieste rivolte al Comitato nei vertici del G20.
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2) su criteri valutativi per la redazione di piani di risoluzione e di risanamento, anche per istituzioni finanziarie transnazionali; 3) su requisiti aggiuntivi di capitale rispetto a quelli fissati da Basilea III per l’assorbimento delle perdite da parte di banche di rilevanza sistemica; 4) sul rafforzamento dei presidi di vigilanza e dei poteri delle autorità di controllo. Il documento si completa con tre allegati di dettaglio, resi noti nell’ottobre del 2011: – due predisposti dal Fsb (i) Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions; (ii) Intensity and Effectiveness of SIFI Supervision23; – uno dal BCBS, Global Systemically Important Banks: Assessment Methodology and the Additional Loss Absorbency24. 2.3.1. Segue: si gettano le fondamenta per una regolamentazione maggiormente condivisa per il sistema finanziario globale (G20 di Cannes). Il vertice del G20 di Cannes del novembre 2011 avallerà le misure proposte dagli organismi internazionali, assoggettati ad una consultazione pubblica, ed inviterà sia il Comitato di Basilea sia il Fsb a lavorare sull’estensione in tempi brevi dello schema studiato per le G-SIB anche alle D-SIB, vale a dire alle banche di rilevanza sistemica nazionale25. I richiamati lavori del Fsb dell’autunno 2011 sono così testati sulla banche e (lo vedremo) diverranno modelli paradigmatici applicabili ad altri comparti del mercato finanziario. Nell’ottobre 2012 il Comitato di Basilea produrrà un nuovo documento centrato questa volta sulle «Domestic Sistemically Important Banks-D-
23 Si vedano FSB, Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions, October 2011, in http://www.fsb.org/2011/11/r_111104cc/; Id, Intensity and Effectiveness of SIFI Supervision. Progress report on implementing the recommendations on enhanced supervision, 27 October 2011, in http://www.fsb.org/2011/11/r_111104ee/. 24 Più precisamente: BCBS, Global systemically important banks: assessment methodology and the additional loss absorbency requirement. Rules text, November 2011, in http://www.bis.org/publ/bcbs207.pdf, già richiamato nella versione italiana a nt. 20; Id., Global systemically important banks: assessment methodology and the additional loss absorbency requirement. Cover note, November 2011, in http://www.bis.org/publ/ bcbs207cn.pdf. 25 Cfr. Déclaration finale du Sommet de Cannes. Pour bâtir notre avenir commun, renforçons notre action collective au service de tous, Cannes, 4 November 2011, in http:// www.g20.utoronto.ca/2011/2011-cannes-declaration-111104-fr.htm.l.
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SIBs»26 ed i confini del tema delle SIFI subirà così un’ulteriore sotto-perimetrazione, ancorata sempre alle banche. L’idea di fondo è che anche banche non rilevanti su scala globale possano sviluppare esternalità negative sul sistema finanziario e l’economia di un paese, con possibili ricadute a livello transfrontaliero. Per le D-SIB si determina così una rimodulazione delle linee di supervisione dettate dal Comitato, approccio che, anche in forza del concerto tra G20 e gli organismi internazionali coinvolti, può poggiare su una più solida e sperimentata condivisione a livello nazionale. La prospettiva regolamentare riguardante le D-SIB si presenta come complementare rispetto a quella delle G-SIB poiché allarga la portata dello schema elaborato per presidiare l’impatto delle difficoltà o della crisi di una banca di rilevanza sistemica, prescindendo dalla sua vocazione globale o domestica, per focalizzarsi sul sistema finanziario ed economico di un determinato paese, alle autorità del qualche si riconosce la facoltà di calibrare sulle specificità del proprio settore bancario gli standard minimi elaborati e centrati in particolare sull’adeguatezza patrimoniale. Nell’Unione europea, ad esempio, la necessità di contenere le esternalità negative delle istituzioni finanziarie domestiche e globali troverà subito una sponda nell’art. 131 della direttiva 2013/36/ UE, che introduce le due categorie degli enti a rilevanza sistemica a livello globale, i G-SII (acronimo di global systemically important institutions, il quale si rivelerà infelice per la confusione con quello identico adottato dai consessi internazionali per le imprese di assicurazione di rilevanza sistemica), nonché degli “altri enti” a rilevanza sistemica, gli OSII - other systemically important institutions, tipologia molto ampia al cui interno rientreranno le stesse D-SIB. Va infatti evidenziato che l’art. 131 della Crd4 affida all’Autorità bancaria europea il compito di pubblicare orientamenti, previa consultazione del Comitato europeo per il rischio sistemico, sui criteri identificativi e valutativi degli O-SII, tenendo «conto delle discipline internazionali per gli enti a rilevanza sistemica a livello nazionale e delle specificità dell’Unione e nazionali». Rispetto alle banche ritenute rilevanti a livello di singolo stato o di Unione Europea (l’approccio seguito è quello di catturare automaticamente, partendo dal contesto domestico, le istituzioni sistemiche a livello comunitario), la Crd4 rafforzerà la dotazione patrimoniale con una riserva aggiuntiva del
26 Per il testo in italiano cfr. Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria, Schema per il trattamento delle banche di rilevanza sistemica nazionale, Ottobre 2012, in http://www. bis.org/publ/bcbs233_it.pdf.
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2%, rispetto al capitale primario di classe 1 (in caso di sovrapposizione tra categorie di enti sistemici – ad esempio D-SIB/G-SIB alias O-IIS/GSII – si applicherà il requisito più elevato)27. In definitiva, possiamo notare come i lavori dei consessi internazionali sulle SIFI siano andati avanti per cerchi concentrici, scegliendo di mettere a fuoco la regolamentazione per quell’insieme di imprese – le banche – che presentavano il maggior grado di attuabilità in tempi brevi dell’intervento di riforma nonché di sensibilità verso il rischio sistemico. Nei paragrafi che seguono accenniamo a taluni tratti di fondo di tale regolamentazione, tenendo anche presente che i documenti sin qui richiamati dei “global standard-setters”28 faranno da base, oltre che ad applicazioni mirate a determinate categorie di intermediari, a successive integrazioni del disposto regolamentare. 2.4. Un sintetico richiamo dei profili regolamentari applicabili alle istituzioni di rilevanza sistemica. 2.4.1. Criteri identificativi delle SIFI e requisiti di adeguatezza patrimoniale (prove tecniche con le G-SIB). Decisiva rilevanza degli accordi di Basilea sul capitale. La regolamentazione adottata nel 2011 dal Comitato di Basilea poggia sulla rilevanza di 5 parametri identificativi delle SIFI (ricalcanti sostanzialmente – lo si è accennato – quelli rinvenibili nei documenti del Fsb), a carattere sia quantitativo sia qualitativo, poiché considerano: 1) la dimensione dell’intermediario (si toccano quindi i punti chiave del
27 Per approfondimenti si veda Eba, Guidelines On the criteria to determine the conditions of application of Article 131(3) of Directive 2013/36/EU (CRD) in relation to the assessment of other systemically important institutions (O-SIIs), EBA/GL/2014/10, 16 December 2014, nonché Id., EBA discloses first list of O-SIIs in the EU, 25 April 2016, in http://www.eba.europa.eu/-/eba-discloses-first-list-of-o-siis-in-the—1, ivi anche il link al file 2015 O-SIIs notified to the EBA, contenente la lista dei 173 O-SII censiti. Tra la documentazione in italiano si rinvia ad Abe, Orientamenti definitivi. Di orientamenti riveduti in materia di ulteriore precisazione degli indicatori a rilevanza sistemica a livello globale e relativa informativa, ABE/GL/2016/01, 29/02/2016 (sono abrogati i precedenti Orientamenti sull’informativa relativa agli indicatori a rilevanza sistemica a livello globale, ABE/GL/2014/02, del 5 giugno 2014). Qualche cenno anche infra, § 2.4.1. e 3.2. 28 Una visione d’assieme sugli “Standard-Setting Bodies” è presente sul sito del Fsb al link http://www.financialstabilityboard.org/cos/wssb.htm. Per un richiamo delle linee di riforma che hanno coinvolto l’architrave regolativa internazionale di recente si veda Ammannati, Restructuring global governance of the financial system: a framework for preventing systemic risk, in Riv. trim. dir. econ., 2015, n. 4, I, p. 283 ss.
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moral hazard e delle esternalità negative connaturati ad imprese percepite come immortali dal mercato); 2) il grado di interconnessione con altre imprese finanziarie (ossia il fulcro del fenomeno conglomerale); 3) la sostituibilità dell’intermediario come operatore di mercato e fornitore di servizi (elemento strategico per la risoluzione di un’eventuale crisi e per garantire la continuità dei servizi finanziari essenziali); 4) l’estensione dell’attività a livello internazionale (alla base delle esigenze di coordinamento e di collaborazione tra autorità competenti nazionali); 5) il livello di complessità strutturale, operativa e di business (fattori sintomatici del grado di opacità e di conflittualità tra i diversi interessi connotanti un colosso finanziario). Trattasi di parametri (minimi, direi: infra § 3.2) per certi versi scontati dopo la lezione sulla crisi di fiducia e sulle ripercussioni a livello sistemico scaturite dal fallimento di Lehamn Brothers. La conseguente riconduzione di un intermediario all’interno della categoria delle SIFI comporta l’assoggettamento a determinati vincoli. La prima misura di intervento prevede una capitalizzazione addizionale costituita da mezzi patrimoniali della qualità più elevata: “common equity”, con facoltà per le autorità di poter prevedere anche requisiti aggiuntivi rappresentati da strumenti di “contingent capital” (ad esempio obbligazioni convertibili in azioni allorquando la banca versi ancora in condizioni di normalità). Nel corso del 2011 si delineano le prime prove tecniche. A novembre la suddetta metodologia identificativa viene applicata ad un gruppo di 73 banche al cui interno si individua poi un sottoinsieme di 29 G-SIB29, cui richiedere requisiti addizionali integranti quelli già previsti con l’accordo di Basilea 3 che – e questo è un punto importante per capire il grado d’impatto della riforma – risulta comunque essere il portato di scelte regolamentari risalenti nel tempo. Infatti, Basilea 3 – ovvero, nella versione italiana, lo Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei
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Si veda FSB announces policy measures to address systemically important financial institutions (SIFIs) and names initial group of global SIFIs, 4 November 2011, in http://www.financialstabilityboard.org/press/pr_111104cc.pdf, anticipiamo che la lista delle G-SIFIs è reperibile al link http://www.financialstabilityboard.org/publications/ r_111104bb.pdf; sul fenomeno regolato torneremo nel § 3.
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sistemi bancari pubblicato nel dicembre 2010 (con attuazione a partire dal 1° gennaio 2013 e sulla base di una tabella di marcia graduale con scadenza al 1° gennaio 2019) – migliora gli schemi regolamentari stabiliti con gli accordi di: 1) Basilea 2 (pubblicato nel 2004 con applicazione dalla fine del 2006), che rivedeva la misurazione del rischio di credito ed introduceva disposizioni sul rischio operativo; 2) Basilea 2,5 (definito nel luglio 2009, subito dopo la l’esplosione della crisi, con attuazione fissata per la fine del 2011), che interveniva sui rischi riguardanti le operazioni di cartolarizzazione e le esposizioni collegate al portafoglio di negoziazione. L’accordo del 2010 resta articolato su tre pilastri dedicati: I) ai requisiti patrimoniali minimi riguardanti (i) il rischio di credito, il rischio di credito riferito alle operazioni di cartolarizzazione nonché a quello di controparte, (ii) il rischio di mercato (i metodi con cui può essere misurato sono quello standardizzato, dei modelli interni oppure avanzato), ed i cuscinetti (“buffers”) patrimoniali di conservazione e anticiclici; II) al processo di controllo prudenziale, con indicazione degli assetti giuridici e regolamentari che le autorità di vigilanza debbono seguire per l’assunzione dei relativi provvedimenti (supervisory review and evaluation process-srep); III) al processo della disciplina di mercato, fondato su requisiti di trasparenza informativa. Con Basilea 3 si agisce in particolare: a) sui requisiti di liquidità, introducendo un indicatore di breve termine (il liquidity coverage ratio-lcr), determinante la quantità di attività liquide di alta qualità da detenere al fine di fronteggiare improvvise tensioni di liquidità dentro un orizzonte temporale di un mese, ed uno strutturale (il net stable funding ratio-nsfr) volto a presidiare, nell’arco di un anno, l’equilibrio tra attività e passività sul piano delle scadenze; b) sui coefficienti patrimoniali ancorati al rischio mediante l’introduzione dell’indice di leva finanziaria (il leverage ratio), segnale della qualità delle fonti di finanziamento, il quale prescinde dalla rischiosità dell’attivo e mette in rapporto questo con il capitale; nello specifico viene stabilita una soglia minima del 3% data dal rapporto tra “misura del patrimonio” e “misura dell’esposizione”. Il termine Basilea 3 ricomprende quindi un complesso di provvedimenti – arricchito anche dalle successive revisioni ed integrazioni – messo in campo dal Comitato per rafforzare la vigilanza nella regolamentazione
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e nella gestione dei rischi propri del settore bancario30. Un punto importante da tener presente è che tale regolamentazione è in grado di fornire indicazioni anche sull’integrità patrimoniale dell’impresa bancaria articolata in gruppo, posto che l’accordo prevede l’applicazione dei requisiti su base consolidata. In buona sostanza la riforma di Basilea 3 procede di pari passo con la regolazione del fenomeno delle “large institutions”31 e condiziona anche il rinnovamento normativo subito dal diritto dell’Ue. Per i profili che qui interessano va sottolineato che con la “disciplina” delle G-SIB si agisce sul secondo pilastro, integrandolo con i requisiti addizionali di assorbimento delle perdite. Le G-SIB vengono suddivise in quattro classi di importanza sistemica crescente (lo vedremo meglio nel § 3.1), caratterizzate da requisiti aggiuntivi di capitale (common equity tier 1-CET 1, ovvero del capitale primario di classe 1 ritenuto più idoneo ad assorbire le perdite) compresi tra l’1% (prima classe) e 2,5% (quarta classe) delle attività ponderate per il rischio. Viene prevista anche una quinta classe (vuota, poiché nel concreto non vi rientrava nessuno degli intermediari censiti) con un capitale addizionale (“capital surchage”) del 3,5%, una sorta di segnale/monito per limitare/scoraggiare l’accrescimento della rilevanza sistemica. L’inserimento di una banca in una determinata classe (“bucket”) non è automatico, poiché è previsto anche il giudizio della competente autorità di controllo, il quale solo in casi eccezionali potrà prevalere sul risultato della classificazione dato dall’applicazione dei cinque indicatori richiamati all’inizio di questo paragrafo. Il processo è graduale in quanto l’implementazione viene articolata su un periodo transitorio di tre anni: i requisiti aggiuntivi si applicheranno dapprima alle D-SIB individuate nel novembre 2014 e soltanto a partire dal 2016 (retro, § 2.3.1) richiamati all’inizio di questo paragrafo. Al solito tempi e fasi preparatorie appaiono lunghi perché le riserve di capitale aggiuntive da utilizzare per l’assorbimento delle perdite saranno a pieno regime solo dal 2019. Il tutto scorre infatti in parallelo
30 Per una sintesi dei documenti che ormai formano il “global regulatory framework for capital and liquidity” si rinvia al link http://www.bis.org/bcbs/basel3/compilation.htm. 31 Si veda Bank for International Settlements, Assessment of the macroeconomic impact of higher loss absorbency for global systemically important banks, October 2011, reperibile al link http://www.bis.org/publ/bcbs202.pdf, ove si studiano costi e benefici nonché l’impatto a lungo temine (c.d. LEI- Long-term Economic Impact) delle proposte volte ad aumentare la capacità di assorbire perdite da parte delle G-SIBs (cfr. in part. p. 15 ss.).
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con le scadenze di Basilea III riguardanti i già accennati cuscinetti patrimoniali, di conservazione e anticiclici. L’aspetto della raccolta dati, e quindi della vigilanza informativa, appare nevralgico e nel tempo costringerà i regolatori internazionali a prevedere variazioni ed assestamenti32. Proprio su tale piano, ma nell’ottica dell’accrescimento della dotazione patrimoniale delle banche, va segnalata un’ulteriore iniziativa del Comitato di Basilea finalizzata a rivedere in parte l’impianto regolamentare definito con gli accordi sul capitale. Con alcuni documenti di consultazione lanciati nel 2012 e 2013, noti come Basilea 433, i regolatori bancari: a) si sono posti l’obiettivo di ridurre ulteriormente i rischi d’insolvenza con i relativi impatti sistemici; b) hanno avviato lo studio di una nuova regolamentazione sul governo dei rischi, concentrata su quelli di mercato e tesa ad eliminare il ricorso ai modelli di valutazione interni ora in uso (da parte soprattutto degli istituti finanziari di grande dimensione e con considerevole attività di trading), dotati di flessibilità e settati sulle caratteristiche dei singoli mercati. Viene prospettata la sostituzione dei medesimi con un modello di rischio standardizzato per la valutazione del grado di affidabilità dei richiedenti credito o della sicurezza di uno strumento finanziario (in gioco ci sarebbero anche i titoli del debito pubblico largamente presenti nei bilanci bancari). I regolatori intervengono anche sul confine tra il “trading” ed il “banking book”, sulle misure di rischio da utilizzare, sui profili di “sensitività” al rischio e sulla rilevanza degli orizzonti di liquidità. Il progetto, ritenuto fortemente penalizzante da parte dell’industria bancaria (che sottolinea le pesanti ripercussioni sulla dotazione patrimoniale – anche in conseguenza dei costi di compliance – nonché sull’erogazione dei prestiti), ha però messo in moto
32 Si veda BCBS, Instructions for the end-2015 G-SIB assessment exercise, 5 February 2015, in http://www.bis.org/bcbs/gsib/instr_end15_gsib.pdf (per eventuali approfondimenti una visione d’assieme degli aspetti tecnici si ha in BCBS, Global systemically important banks: Assessment methodology and the additional loss absorbency requirement, Updated 8 April 2016, in http://www.bis.org/bcbs/gsib/). Il punto verrà ripreso anche nel prossimo paragrafo. 33 Per i due documenti di consultazione si vedano BCBS, Fundamental review of the trading book, May 2012 (www.bis.org/publ/bcbs219.pdf), e ID., Fundamental review of the trading book: A revised market risk framework October 2013 (http://www.bis.org/ publ/bcbs265.pdf). Si segnala altresì che il Comitato ha pubblicato nel 2015 una relazione sulla coerenza normativa delle RWA per il rischio di credito e di controparte focalizzata sul metodo dei modelli interni e sull’advanced CVA (credit valuation adjustments) risk capital charge per derivati over the counter, cfr. BCBS, Regulatory Consistency Assessment Programme (RCAP) – Report on risk- weighted assets for counterparty credit risk (CCR), October 2015, al link http://www.bis.org/bcbs/publ/d337.htm.
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le lobby settoriali e scatenato una rivolta su ampia scala34 i cui esiti restano incerti. 2.4.2. Modalità e strumenti di supervisione via via più stringenti (prime indicazioni). La dotazione patrimoniale delle istituzioni di rilevanza sistemica assumerà grande rilievo soprattutto nell’ambito della normativa sulla gestione delle crisi bancarie. Oltre al profilo della patrimonializzazione (“higher loss absorbency requirements”-hla) le raccomandazioni del Fsb delineano però linee di intervento toccanti la portata dei poteri delle autorità di supervisione. Nel documento del 2010, Intensity and Effectiveness of SIFI Supervision. Recommendations for enhanced supervision, il Fsb suggerisce che la vigilanza sulle SIFI debba spettare ad autorità indipendenti, con mandati specifici nonché risorse e poteri adeguati. Appare scontato il richiamo al fenomeno della “cattura dei regolatori” e al problema dell’inadeguatezza stessa dei controlli emersi con la crisi finanziaria. In particolare, dette autorità debbono essere in grado di riscontrare una elevata capacità di gestione dei rischi da parte delle SIFI nonché la presenza di un efficace sistema di controlli interni e (come accennato nel precedente paragrafo) di un efficiente sistema informativo per l’elaborazione e l’aggregazione dei dati. Nella sostanza, adeguata vigilanza informativa che faccia da pendant a quella regolamentare35. Il Fsb raccomanda altresì che le autorità di vigilanza dispongano di poteri di intervento preven-
34 La stampa specializzata dà notizia di una lettera inviata ad agosto 2016 al Comitato sulla supervisione bancaria di Basilea da parte dell’Associazione bancaria europea, dell’Associazione bancaria del Giappone e di quella del Canada, con la richiesta di fermare il nuovo piano di riforme e in particolare di non riscrivere le regole sulla valutazione del rischio di controparte nella concessione del credito alle imprese: cfr. Plateroti, Banche contro “Basilea 4”: stop o taglio ai prestiti, in Il Sole-24 ore, del 2 settembre 2016. Mette invece in evidenza i vantaggi del nuovo accordo HACHE, So-called “Basel IV” would help restore trust in the health of the European banking sector, 29 June 2016, al link http://www.finance-watch.org/hot-topics/blog/1267-baseliv-blog-june2016; il peso delle lobby è sottolineato da Lindo, The Banks, the Public and the Secluded World of the Basel Committee: Who has Access?, 26 September 2016, al link http://www.finance-watch.org/hot-topics/blog/1288-secluded-bcbs-publicrepresentation. 35 Del resto la vigilanza informativa si pone agli albori della legislazione bancaria: cfr. ampiamente Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2010), tomo I del Corso di legislazione bancaria, Pisa, 2010, in part. p. 160 ss..
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tivo, quali la possibilità di imporre requisiti aggiuntivi di capitale o di liquidità, nonché di vietare la distribuzione dei dividendi36. La solidità del sistema finanziario viene poi perseguita attraverso interventi volti a realizzare miglioramenti nel governo societario. Il Comitato di Basilea, sempre nel 2010, emana un set di principi guida per le banche e le autorità di vigilanza tesi a garantire gestione del rischio e processi decisionali effettivi e trasparenti37. Più tardiva invece (il punto va sottolineato) l’attenzione ad andare oltre i predominanti aspetti matematico quantitavi da parte del Fsb, mettendo il governo dei rischi in più incisiva relazione con quello della corporate governance. Di quest’ultimo tema si hanno infatti ampi riferimenti nel rapporto del 2012 Increasing the Intensity and Effectiveness of SIFI Supervision38, ma solo l’anno successivo arriverà il richiamo ad un rafforzamento della capacità valutativa circa l’efficacia del governo societario da parte delle autorità di vigilanza nonché allo sviluppo di una cultura del rischio capace di presidiare i cambiamenti ambientali. Nel 2013 il Fsb prenderà atto dei limiti dei progressi realizzati ed inizia a suggerire miglioramenti rispetto al piano qualitativo39. Lo stesso Comitato di Basilea sarà così portato a rivedere le proprie linee guida e in un documento del 2015 darà l’indispensabile enfasi anche a tale aspetto40. Seguiranno nel settembre del 2015 i principi di governo societario emanati dal G20 e dall’Ocse (toccanti i profili organizzativi, di trasparenza e di responsabilità degli organi societari)41 sui quali, nell’agosto 2016, il Fsb lancerà una peer review per valutarne lo stato dell’applicazione dei medesimi negli stati aderenti nonché le criticità da correggere42.
36 Cfr. FSB, Intensity and Effectiveness of SIFI Supervision. Recommendations for enhanced supervision, cit., par. II. 37 Si veda ampiamente BCBS, Principles for enhancing corporate governance, October 2010, in http://www.bis.org/publ/bcbs176.pdf. 38 Si tratta del già richiamato Progress Report to the G20 Ministers and Governors del novembre 2012: cfr. il punto 2, p. 9 ss. 39 Si rinvia a FSB, Thematic review on risk governance, February 2013; Id., Principles for an effective risk appetite framework, November 2013; Id., Guidance on supervisory interaction with financial institutions on risk culture, April 2014, riferimenti ed ulteriori approfondimenti al link http://www.fsb.org/2014/04/pr_140407/. 40 Si veda BCBS, Guidelines. Corporate governance principles for banks, July 2015, in https://www.bis.org/bcbs/publ/d328.pdf. 41 G20/OECD Principles of Corporate Governance. OECD Report to G20 Finance Ministers and Central Bank Governors,September 2015, in https://www.oecd.org/daf/ca/ Corporate-Governance-Principles-ENG.pdf 42 Si veda FSB launches peer review of the G20/OECD Principles of Corporate Governance and invites feedback from stakeholders, press release, 8 August 2016, in http://
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La richiesta di comportamenti deontologicamente corretti e responsabili da parte degli esponenti aziendali e l’apprestamento di correlati strumenti di supervisione e di intervento da parte delle autorità di controllo, avrebbe dovuto essere (ad avviso di chi scrive) uno dei focus primari della riforma in risposta alla crisi. Ciò sul presupposto che senza indubbie doti professionali (ma anche morali) dei vertici, effettiva vigilanza sul rispetto delle stesse ed adeguati impianti sanzionatori, il presidio dei rischi insiti nello svolgimento dell’attività finanziaria rimane solo tra le righe dei documenti e dei discorsi ufficiali. 2.4.3. Il nodo dei regimi di risoluzione delle crisi bancarie (adeguatezza patrimoniale e successione del bail-in al bail-out): i c.d. “KAs” del Fsb del 2011 ed avvio della strategia della risoluzione. Per i consessi internazionali uno dei punti cruciali del processo di riforma teso ad arginare il problema del too big to fail è quello della gestione del dissesto di una istituzione ritenuta tale. Il Fsb definisce obiettivi e mezzi, prevedendo che la supervisione sia completata con la dotazione delle autorità nazionali di strumenti e poteri ad ampio spettro per la gestione della crisi di una SIFI43. Il documento di riferimento è costituito dai richiamati Key attributes of effective resolution regimes for financial institutions, c.d. KAs-key attributes (d’ora in poi Ka), emanati nell’ottobre 2011. Già per la fine del 2012 il Fsb richiede l’elaborazione di piani dettagliati (“recovery and resolution plan”), per un fallimento “ordinato” di ogni singola G-SIFI, fatta sulla base delle indicazioni fornite44. I Ka si prestano a diventare una pietra miliare da cui prendere le misure per regolamentazioni destinate ad altre istituzioni appartenenti al mercato finanziario45. I Ka, con le loro 12 caratteristiche essenziali dei
www.fsb.org/wp-content/uploads/Corporate-governance-peer-review-press-release.pdf. 43 Cfr. FSB, Reducing the moral hazard, ecc., cit., sez. III. 44 Sui possibili sviluppi si rinvia, fra l’altro, a FSB, Recovery and Resolution Planning: Making the Key Attributes Requirements Operational. Consultative Document, November 2012, in https://www.financialstabilityboard.org/publications/r_121102. pdf; FSB, Resolution of Systemically Important Financial Institutions. Progress Report, November 2012, in http://www.financialstabilityboard.org/publications/r_121031aa. pdf; FSB consults on guidance for recovery and resolution planning, 2 November 2012, in http://www.financialstabilityboard.org/press/pr_121102.pdf, nonché a FSB Thematic Review on Resolution Regimes. Peer Review Report, 11 April 2013, in http://www. financialstabilityboard.org/publications/r_130411a.pdf; altri riferimenti più avanti. 45 Si veda infra, § 2.5.1.
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regimi efficaci di risoluzione delle crisi per gli enti finanziari46, faranno
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Posto il rilievo assunto dai Key Attributes del FSB per comodità del Lettore se ne riporta la sintesi contenuta nel Preambolo, alle pp. 3-4: «The objective of an effective resolution regime is to make feasible the resolution of financial institutions without severe systemic disruption and without exposing taxpayers to loss, while protecting vital economic functions through mechanisms which make it possible for shareholders and unsecured and uninsured creditors to absorb losses in a manner that respects the hierarchy of claims in liquidation. An effective resolution regime (interacting with applicable schemes and arrangements for the protection of depositors, insurance policy holders and retail investors) should: (i) ensure continuity of systemically important financial services, and payment, clearing and settlement functions; (ii)protect, where applicable and in coordination with the relevant insurance schemes and arrangements such depositors, insurance policy holders and investors as are covered by such schemes and arrangements, and ensure the rapid return of segregated client assets; (iii) allocate losses to firm owners (shareholders) and unsecured and uninsured creditors in a manner that respects the hierarchy of claims; (iv) not rely on public solvency support and not create an expectation that such support will be available; (v) avoid unnecessary destruction of value, and therefore seek to minimise the overall costs of resolution in home and host jurisdictions and, where consistent with the other objectives, losses for creditors; (vi) provide for speed and transparency and as much predictability as possible through legal and procedural clarity and advanced planning for orderly resolution; (vii) provide a mandate in law for cooperation, information exchange and coordination domestically and with relevant foreign resolution authorities before and during a resolution; (viii) ensure that non-viable firms can exit the market in an orderly way; and (ix) be credible, and thereby enhance market discipline and provide incentives for market-based solutions. Jurisdictions should have in place a resolution regime that provides the resolution authority with a broad range of powers and options to resolve a firm that is no longer viable and has no reasonable prospect of becoming so. The resolution regime should include: (i) stabilisation options that achieve continuity of systemically important functions by way of a sale or transfer of the shares in the firm or of all or parts of the firm’s business to a third party, either directly or through a bridge institution, and/or an officially mandated creditor-financed recapitalisation of the entity that continues providing the critical functions; and (ii) liquidation options that provide for the orderly closure and wind-down of all or parts of the firm’s business in a manner that protects insured depositors, insurance policy holders and other retail customers. In order to facilitate the coordinated resolution of firms active in multiple countries, jurisdictions should seek convergence of their resolution regimes through the legislative changes needed to incorporate the tools and powers set out in these Key Attributes into
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anche da intelaiatura per il legislatore europeo nella redazione della nuova disciplina delle crisi delle banche e delle imprese di investimento “significative”. Va sottolineto che le stesse entrano nel merito dei poteri di cui devono essere dotate le autorità, tra questi si nota la possibilità di: 1) nominare amministratori con competenze idonee a garantire la continuità aziendale; 2) trasferire le attività e le passività della banca a veicoli temporanei (“bridge banks”), appositamente costituiti, in vista di una cessione ad acquirenti di mercato; 3) costituire una “bad bank” cui conferire le attività deteriorate o difficilmente valutabili; 4) imporre perdite per alcune categorie di creditori in misura tale da ripristinare le condizioni di solvibilità (bail-in); per le SIFI si prospetta quindi un più ampio ricorso a strumenti finanziari obbligazionari convertibili automaticamente in capitale in caso di difficoltà: c.d. “contingent capital”, andando così nella direzione contraria alle misure di bail-out, provenienti dai pubblici poteri con le quali è stata fronteggiata la crisi esplosa nel 2008. Il punto di rilievo sul piano concreto è l’onere per ogni G-SIFI di predisporre un piano di risanamento (“recovery plan”) contenente le misure necessarie per il ripristino della propria solidità finanziaria a fronte di diversi scenari di stress. Dal canto loro, le autorità di vigilanza sono tenute a preparare dei piani di risoluzione (“resolution plans”) per ogni SIFI, con la pianificazione preventiva delle strategie e degli interventi necessari per una gestione “ordinata della crisi”. Le autorità devono altresì valutare il grado di reversibilità (“resolvability”) della crisi, vale a dire l’effettiva possibilità di soluzione senza che vi siano ripercussioni sui mercati o costi per i contribuenti, messi ora in pole position sul piano della tutela. L’impianto del regime di soluzione della crisi di una G-SIFI poggia altresì sulla creazione dei gruppi di gestione delle crisi c.d. “CMGs-crisis management groups” (d’ora in poi cmg), composti dalle autorità dei paesi di origine ed ospitanti più rilevanti, coinvolte nella supervisione di una SIFI (autorità di vigilanza, banche centrali e ministeri delle finanze). Il compito del cmg è di coordinare e scambiare informazioni per ciascuna G-SIFI, sulla base di specifici
their national regimes». Qualche cenno anche nel prossimo paragrafo.
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accordi. Al tempo la Banca d’Italia dette notizia della costituzione del cmg per il gruppo Unicredit, un organismo collegiale di coordinamento e di scambio di informazioni che andava ad affiancarsi agli strumenti di cooperazione bilaterale e multilaterale costituiti dai collegi dei supervisori. Nel corso del 2012 il Fsb affronta il tema della “recovery and resolution planning” che, sotto la guida dei cmg coinvolgenti autorità di paesi home e host di importanti giurisdizioni, viene elaborata per la maggior parte delle G-SIFI, rectius G-SIB allora già individuate47. In buona sostanza, l’effetto immediato della proposta del Fsb, rispetto all’operatività a livello globale delle SIFI, è quello tradizionale dell’affinamento e miglioramento delle modalità di collaborazione tra autorità del paese di origine e quelle degli altri mercati transnazionali in cui le stesse sono presenti. Se si considera che paesi come l’Inghilterra introducono una regolamentazione speciale per le crisi bancarie soltanto nel 2009, le autorità di quegli stati (quali il nostro) forti di un solido regime di risoluzione delle crisi bancarie nonché di una vasta esperienza applicativa48, sono state poste nella condizione di poter utilizzare le anzidette forme di coordinamento per valorizzare le esperienze nazionali. L’impatto delle linee guida maturate a livello internazionale appare notevole: oltre al riposizionamento della collocazione del risparmiatore/depositante nella scala della tutela poggiante ora su un sistema di ripartizione dei costi ricadente sui privati anziché sulle finanze pubbliche, la “normativa” si presenta innovativa sul piano sia degli strumenti
47 Al momento dell’individuazione nel 2013 delle G-SIFI il Fsb comincia a scadenzare le richieste di applicazione delle misure riguardanti la predisposizione dei piani di risoluzione da parte delle autorità di vigilanza, così articolate: a) costituzione del cmg; b) sviluppo dei piani di risanamento nonché di una strategia per la risoluzione con il coinvolgimento del cmg; c) istituzione di accordi di cooperazione transfrontaliera; d) sviluppo dei piani di risoluzione; e) verifica e valutazione dei processi di “risolvibilità” predisposti: cfr. FSB, 2013 update of group of global systemically important banks (G-SIBs), 11 novembre 2013, allegato 2. 48 La lettura dei Ka orienta subito la mente verso la filosofia insita nel sistema di gestione delle crisi bancarie con cui il nostro ordinamento chiude l’assetto dei controlli fin dagli anni Trenta del Novecento, riservando alle banche una disciplina speciale rispetto a tutte le altre imprese. Può semmai notarsi l’assenza di attenzione da parte del Fsb verso la vigilanza ispettiva (parte integrante del modello di supervisione del nostro paese), resa probabilmente più marginale dal paradigma vincente di vigilanza prudenziale ancorato al rispetto di prefissati requisiti quali-quantitativi ed all’affidamento alla disciplina di mercato.
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apprestati sia dei poteri attribuiti alle autorità di risoluzione, dedica poi molta attenzione alla fase di prevenzione di situazioni patologiche. In questa prima tappa il Fsb si preoccupa di assistere soprattutto le autorità nazionali nell’implementazione dei requisiti per la pianificazione del risanamento ancorata ai Ka elaborati, avvia altresì le basi per estendere la loro applicazione a settori più ampi del mercato finanziario. 2.5. Il 2013: anno di riflessione a livello internazionale e abbrivio verso una regolamentazione, diretta ad eliminare il “tbtf”, sempre più monumentale (G20 di San Pietroburgo, di Washington e di Brisbane). Il contesto in cui si inserisce il pacchetto regolamentare sulle SIFI si presenta sin dalle origini molto ambizioso ed articolato nella scelta sia delle linee di intervento sia delle modalità da seguire. A) Il fenomeno SIFI è affrontato nei lavori di riforma della regolamentazione su scala internazionale, portata avanti dal settembre 2008 soprattutto dal Fsb e dal Bcbs, con l’avallo e/o lo stimolo del G20 nonché del Fmi. Dalle SIFI si alza però il tiro verso le global SIFI, ma i lavori si concentrano subito sulle global SIB per poi restringersi, nell’aprile 2012, sulle domestic SIB. Aspetto questo che pone in primo l’attività del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, il quale con i suoi lavori (si è anche accennato a Basilea 4) fa da supporto al processo di rinnovamento del quadro regolamentare a livello globale. Merita sottolineare come già in un documento del 2010 il Fsb preannunciava l’estensione dell’indagine ad un gruppo molto più ampio di SIFI, ricomprendendovi le infrastrutture dei mercati finanziari, le compagnie di assicurazione e tutte quelle istituzioni finanziarie non bancarie fuori da una struttura di gruppo creditizio; va notato (per inciso) che, al pari di quanto accaduto in Italia con la disciplina sul gruppo bancario, anche a livello internazionale questa viene ritenuta idonea ad attirare nel raggio di azione delle autorità di vigilanza l’intermediazione finanziaria non bancaria49. Dall’autunno del 2011 il Fsb comincia così ad attrarre nelle proposte di studio altri profili problematici sul piano regolamentare, ribadendo la
49 Cfr. FSB, Reducing, cit., p. 1. Per la “forza attrattiva” della regolamentazione bancaria sia consentito il rinvio a Brozzetti, Concentrazione bancaria: da mito a incubo? Il ruolo della regolamentazione rispetto alla forma del gruppo, Pisa, 2011 (e-book gratuito al link http://www.pacinieditore.it/?p=9486), passim.
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necessità di procedere con la raccolta dati sul sistema bancario ombra, definito come l’insieme di entità o attività che generano rischi sistemici, anche attraverso forme di arbitraggio regolamentare, grazie al fatto di agire al di fuori dei controlli. Si prefigura così una riflessione sulla interrelazione tra banche ed enti presenti nello shadow banking, ma anche con i fondi operanti nel mercato monetario, le cartolarizzazioni e le operazioni di pronti contro termini (i c.d. repo-repurchase agreement)50. Il Gruppo dei Venti nel vertice di Cannes del novembre 2011 pone il problema delle istituzioni di rilevanza sistemica in diretta correlazione con tutti quegli aspetti regolamentari tesi a contenere gli effetti dei rischi di contagio e in aggiunta al rafforzamento delle infrastrutture dei mercati, indica la riforma del comparto dei derivati over the counter-otc, la riduzione del ruolo delle agenzie di rating, l’allineamento dei sistemi contabili. Tutti temi che – è bene rammentarlo – avevano trovato specifica attenzione anche in Europa nel lavoro del gruppo guidato da Jacques de Larosière. Con il 2012 la portata delle proposte regolamentari sulle SIFI, sfrutta l’esperienza acquisita in campo bancario (che – la storia lo insegna – ha solitamente fatto da battistrada alle successive scelte normative coinvolgenti gli altri segmenti del mercato finanziario) e comincia a ramificare anzitutto nel comparto assicurativo51, settore – va ricordato – coprotagonista insieme a banche ed imprese d’investimento della normativa sui conglomerati finanziari, dalla quale scaturì la già ricordata direttiva 2002/87/CE. B) In definitiva, nei primi anni seguenti alla grande crisi del nuovo millennio si compiono importanti passi in avanti nel processo di riforma dalla stessa indotto. Tuttavia, nell’aprile del 2013 il Fmi richiama l’atten-
50
Cfr. Financial Stability Board reports to G20 Leaders on progress in implementing financial regulatory reforms, 4 November 2011, in http://www.financialstabilityboard.org/ press/pr_111104ff.pdf. L’attenzione del Fsb verso lo “shadow banking” risponde ad un’esplicita richiesta dei leader del G20 nel vertice di Seoul del 2010. Altri riferimenti nel § 2.5.1. 51 Cfr. FSB, Overview of Progress in the Implementation of the G20 Recommendations for Strengthening Financial Stability. Report of the Financial Stability Board to G20 Leaders, 19 June 2012, in http://www.financialstabilityboard.org/press/pr_111104cc.pdf, ivi i link ai relativi documenti richiamati nel testo. «The policy measures that will apply to G-SIIs are consistent with the policy framework published by the FSB in November 2011» [il riferimento va alle già citate Policy Measures] si legge nel documento del luglio 2013 del FSB, Global systemically important insurers (G-SIIs) and the policy measures that will apply to them, in http://www.financialstabilityboard.org/publications/r_130718.pdf, cit. p. 1.
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zione sul fatto che lo stesso stazioni oramai ad “un crocevia”52. A tale rilievo fa subito eco il Fsb con un rapporto predisposto per il vertice del G20 di San Pietroburgo del 5-6 settembre, contenente Progress and Next Steps Towards Ending “Too-Big-To-Fail” (TBTF)53, con cui si sottopongono al G20 sei aree tematiche da coprire insieme alle relative proposte di lavoro. Trattasi, in sintesi: – dell’ampliamento del raggio di azione dei Ka ad altre istituzioni a rischio sistemico; – della rimozione degli ostacoli per la risoluzione cross-border; – del miglioramento delle stesse strategie di risoluzione; – della considerazione della complementarietà del SIFI framework con le misure strutturali domestiche (introdotte in alcuni ordinamenti giuridici)54; – della implementazione dei presidi regolamentari riferiti alle D-SIB; – della rimozione degli ostacoli per un’efficace supervisione. In un successivo rapporto del Fsb per il G20 di Washington programmato per l’aprile 2014, il Fsb ritorna ancora sul tema, focalizzandosi sulla presenza di tre campi che permangono critici, per la difficoltà di trovare un accordo tra Ministri e Governatori, rappresentati (i) dal sistema bancario ombra, (ii) dal mercato dei derivati e – punto che qui più interessa – (iii) dai modi di porre fine al “too-big-to-fail”55. A quest’ultimo proposito si suggeriscono nuove linee di azione sempre concentrate sulle banche e volte sia al miglioramento della capacità di assorbimento delle
52
«Regulation is at a crossroads, the reform agenda needs to be completed and consistently implemented»: questo si legge in IMF, Global Financial Stability Report. Old Risks, New Challenges, April 2013, in http://www.imf.org/External/Pubs/FT/GFSR/2013/01/ pdf/text.pdf, p. 43. 53 Il rapporto è del 2 settembre 2013 e si legge al link http://www.fsb. org/2013/09/r_130902/; per una ricognizione di quanto sin lì fatto si veda altresì FSB, Overview of Progress in the Implementation of the G20 Recommendations for Strengthening Financial Stability. Report of the Financial Stability Board to G20 Leaders, 5 September 2013, in http://www.fsb.org/publications/r_130905c.pdf. 54 Qualche cenno nel prossimo paragrafo. 55 Cfr. FSB, Financial Reforms-Update on Progress, The Chairman To G20 Finance Ministers and Central Bank Governors. 4 April 2014, a p. 1 si legge: «difficult decisions remain to be taken in three particular areas where the support of Ministers and Governors is essential: Ending too-big-to-fail; Transforming shadow banking to transparent and resilient market-based financing; and Making derivatives markets safer». Si veda anche FSB, Progress and Next Steps Towards Ending “Too-Big-To-Fail (TBTF). Report of the Financial Stability Board to the G-20, 2 September 2013, in http:// www.financialstabilityboard.org/publications/r_130902.pdf.
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perdite da parte delle medesime e dei gruppi bancari (c.d. glac-“goneconcern loss-absorbing capacity”), sia alla predisposizione di forme di supporto, con preferenza di un approccio contrattualistico piuttosto che statutario, per la risoluzione di enti creditizi transnazionali. A queste misure se ne vorrebbero poi affiancare altre, che determinano un ampliamento della portata della riforma, incidenti sull’intensità ed efficacia della supervisione nonché sull’introduzione di requisiti di capitalizzazione più elevati per le imprese di assicurazione di rilevanza globale56. Il processo regolamentare prospetta altri 5 piani d’azione: 1) rafforzamento del sistema di raccolta dei dati e della condivisione degli stessi, funzionale a garantire un procedimento di risoluzione efficace e rapido (il punto coinvolge i gruppi di gestione delle crisi, le autorità di quei paesi interessati ma non rappresentati nei cmg, nonché la vigilanza informativa su cui poggiano la loro attività gli organismi di vigilanza); 2) esistenza di mezzi adeguati a sostenere le perdite nella risoluzione; 3) introduzione di requisiti di capitalizzazione anche per le imprese di assicurazione sistemiche; 4) revisione, su base contrattuale o legale, del contenuto dei contratti al fine di favorire il processo di risoluzione; 5) monitoraggio delle possibili fuoriuscite di attività dal perimetro sottoposto a più incisiva regolamentazione57. «The policy initiative to end TBTF is ambitious, but necessary», afferma nelle conclusioni il Fsb, le cui linee di intervento risultano ulteriormen-
56
FSB, Financial Reforms-Update on Progress, cit., cfr. p. 2 s. Si veda FSB, Progress, cit., p. 5 s. Il fenomeno dello «switch of business from the regulated to the non-regulated sector» viene considerato il primo «boundary problem» da Goodhart, Lastra, Border Problems, in Journal of International Economic Law, Vol. 13, N. 3, Special Issue on the Quest for International Law in Financial Regulation and Monetary Affairs, September 2010, p. 705 ss., disponibile anche al link https://qmro.qmul. ac.uk/xmlui/bitstream/handle/123456789/2005/LASTRABorderProblems2010POSTP. pdf?sequence=107, cit. p. 3 del file scaricato da internet. L’effetto fuga/sottrazione degli intermediari da regolamentazioni più severe era stato già riscontrato e segnalato da chi scrive rispetto al fenomeno conglomerale ed a quello in esame, e posto come limite delle riforme sul piano prudenziale elaborate dagli “standard setter”, nel saggio Le istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica (c.d. SIFIs): qualche primo appunto sul framework regolamentare, pubblicato negli Scritti per Franco Belli, tomo I. Atti del convegno di Siena del 9-10 maggio 2013, a cura di Brozzetti, Corvese, Maccarone, Nigro e Santoro, Pisa, 2014, pp. 155-185, p. 173 (tale parte viene qui ripresa e aggiornata: si veda infra, § 3). 57
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te affinate nel rapporto predisposto per il vertice del G20 di Brisbane del 15-16 novembre 201458, allorquando sono lanciate alcune importanti consultazioni sui temi più caldi, quali la capacità di assorbimento delle perdite per le G-SIB in risoluzione (c.d. tlac-“total loss absorbing capacity”)59 e la risoluzione per le istituzioni cross-border60; viene anche pubblicato un rapporto sull’estensione dei Ka alla risoluzione delle altre istituzioni finanziarie61. In buona sostanza, ad otto anni dall’esplosione della crisi spicca il fatto che gli standard-setter internazionali non riescano a chiudere completamente il cerchio intorno alle banche sistemiche per le interconnessioni dalle stesse presentate con larga parte del sistema finanziario, che pertanto torna di necessità ad essere oggetto di maggiore attenzione e di più incisive misure (con le G-SIFI da esso si è del resto partiti). 2.5.1. L’agenda di riforma allarga il perimetro alle istituzioni non bancarie, rafforzando al contempo i presidi sulle G-SIB, anche in un’ottica di gruppo (vertici di Antalya e Hangzhou); un cenno al profilo delle riforme strutturali e alcune prime osservazioni d’assieme. A) L’accennato interesse del Fsb verso le imprese di assicurazione, strumentale al raggiungimento dell’obiettivo di porre fine al tbtf, attrae nei lavori di riforma l’International association of insurance supervisorsIais. Tale coinvolgimento segue la proposta del Fsb e del Comitato di Basilea di estensione del SIFI framework alle D-SIB, presentata al vertice del G20 di Washington nell’aprile 2012. In parallelo con quanto già fatto
58 Si veda FSB, Overview of Progress in the Implementation of the G20 Recommendations for Strengthening Financial Stability, 14 November 2014, al link http://www.fsb.org/wp-content/uploads/Overview-of-Progress-in-the-Implementation-ofthe-G20-Recommendations-for-Strengthening-Financial-Stability.pdf, in part. p. 7 ss. 59 FSB, Adequacy of loss-absorbing capacity of global systemically important banks in resolution. Consultative Document, 10 November 2014, in http://www.fsb.org/wpcontent/uploads/TLAC-Condoc-6-Nov-2014-FINAL.pdf. 60 FSB, Cross-border Recognition of Resolution Action, 29 September 2014 (al link http://www.fsb.org/wp-content/uploads/c_140929.pdf; approfondimenti sulle risposte fornite al link http://www.fsb.org/2014/12/public-responses-to-the-september-2014consultative-document-cross-border-recognition-of-resolution-actions/). 61 Cfr. FSB, Towards full implementation of the FSB Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions. Report to the G20 on progress in reform of resolution regimes and resolution planning for global systemically important financial institutions (G-SIFIs), 12 November 2014, in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/ Resolution-Progress-Report-to-G20.pdf.
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con le banche il Fsb chiede alla Iais di elaborare una metodologia per identificare le “global systemically important insurers-G-SIIs” e di lavorare ad una riforma della loro supervisione. Nello stesso periodo il raggio di azione della riforma subisce un ulteriore ampliamento in forza dell’invito, che gli stessi leader del G-20 avevano rivolto al Fsb, ad affrontare il tema delle “global systemically important non-bank financial entities” (“non-bank G-SIFIs”) in collaborazione con la Iosco (International organization of securities commissions). Il profilo coinvolge anche (finalmente, vien da dire) in modo più diretto il sistema bancario ombra su cui il Fsb era già intervenuto nel novembre del 2012 con alcune proposte per assoggettarlo a supervisione62. Anche su questi piani prende avvio l’indagine volta ad allargare l’impianto regolamentare sin lì pensato per le G-SIB. L’agenda regolamentare messa in campo riceve l’avallo nel 2013 del citato G20 di San Pietroburgo, e prende così nuova foggia la portata complessiva della riforma voluta dai consessi internazionali, con riespansione del confine sin lì tracciato: – i criteri per identificare le G-SII e le relative proposte regolamentari verranno pubblicati dalla Iais nel luglio del 201363; – i lavori sulle “non-bank non-insurance global systemically important financial institutions”, le c.d. “NBNI G-SIFIs”, vedono invece i primi risultati all’inizio del 2014, con l’avvio della fase tesa a permetterne la concreta individuazione64. Di interesse anche i progressi sul piano regolamentare, poiché nell’ot-
62 Per approfondimenti si rinvia a FSB Recommendations to Strengthen Oversight and Regulation of Shadow Banking, 27 October 2011 (in http://www.fsb.org/2011/10/ r_111027a/) nonché a FSB, Consultative Document. Strengthening Oversight and Regulation of Shadow Banking. A Policy Framework for Addressing Shadow Banking Risks in Securities Lending and Repos, 18 November 2012 (in http://www.fsb.org/wpcontent/uploads/r_121118b.pdf?page_moved=1). Il tema del sistema bancario ombra merita particolare attenzione anche per il collegamento che si instaura con il dibattito sulle riforme strutturali (qualche cenno più avanti). 63 Cfr. International Association of Insurance Supervisors, Global Systemically Important Insurers: Initial Assessment Methodology, 18 July 2013, in http://www.iaisweb.org/view/ element_href.cfm?src=1/15384.pdf.; FSB identifies global systemically important insurers (G-SIIs) and the policy measures that will apply to them, 18 July 2013, in http://www. financialstabilityboard.org/publications/r_130718.htm. 64 Si veda FSB-IOSCO, Consultative Document Assessment Methodologies for Identifying Non-Bank Non-Insurer Global Systemically Important Financial Institutions Proposed High-Level Framework and Specific Methodologies, 8 January 2014, in http:// www.financialstabilityboard.org/publications/r_140108.pdf.
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tobre del 2014 il Fsb integra i propri Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions con una serie di elementi, a carattere anche esplicativo, riferiti alle imprese di assicurazione, alle infrastrutture di mercato e alla protezione dei diritti dei terzi65. La strategia della pianificazione della risoluzione colpisce così in modo trasversale e si presta a diventare uno degli elementi chiave dell’agenda regolamentare per tutte le istituzioni finanziarie ritenute di rilevanza sistemica. Nel contempo il Fsb prende anche in considerazione, in risposta all’invito ad esso rivolto dal G20 (il punto va evidenziato), il tema delle riforme strutturali e presenta un rapporto al summit del novembre 2014. Trattasi di un primo approccio al problema in forma ricognitiva, portato avanti in collaborazione con il Fmi e l’Ocse, e volto a rilevare i primi impatti sui singoli ordinamenti ove le stesse sono state introdotte66. In effetti va ricordato che la separazione (il c.d. ring-fencing) coinvolge nei primi anni successivi all’esplosione della grande crisi sia gli Usa sia l’Europa e in particolare, all’interno di questa, gli ordinamenti giuridici di Francia, Belgio e Germania67. Si ricordano in particolare la c.d. Volcker Rule tesa a limitare negli USA l’operatività delle banche raccoglitrici di depositi in talune attività di negoziazione sui mercati finanziari68,
65 L’Appendice prevede due categorie di allegati, la prima consiste in una guida generale che implementa i KA; si tratta di 5 documenti in tema di: “Information sharing for Resolution Purposes (KAs 7 and 12); Institution-specific Cross-border Cooperation Agreements (KA 9); Resolvability Assessments (KA 10); Recovery and Resolution Plans (KA 11); Temporary Stays on Early Termination Rights (KA 4)”; mentre la seconda si articola in tre documenti riferiti a settori specifici (“Resolution of FMIs and FMI Participants; Resolution of Insurers; Protection of Client Assets in Resolution”). Approfondimenti in FSB, Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions, 15 October 2014, in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/r_141015.pdf, p. 21 ss. 66 Si veda FSB, Structural Banking Reforms. Cross-border consistencies and global financial stability implications. Report to G20 Leaders for the November 2014 Summit, 27 October 2014 (http://www.fsb.org/wp-content/uploads/r_141027.pdf). Per i rilievi negativi riguardo alla separazione delle attività di commercial banking rispetto a quelle di investment banking si veda in particolare Dombret, Cutting the Gordian Knot or splitting hairs - the debate about breaking up the banks, Frankfurt am Main, 21 January 2014, in http://www.bis.org/review/r140121a.pdf. 67 Il tema meriterebbe un approfondimento che in questa sede non è possibile; per un quadro d’assieme sulle riforme strutturali avviate subito dopo la crisi si rinvia ampiamente a Bani, Regolazione strutturale contro regolazione prudenziale: gli insegnamenti delle crisi, Torino, 2012, in part. p. 133 ss., cui adde i riferimenti delle note che seguono. 68 Si veda la “section 619” del Dodd-Frank-Act, nonché Financial Stability Oversight Council, Study & Recommendations on Prohibitions on Proprietary Trading & Certain
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i lavori dell’inglese Vickers Commission (avviati nell’estate del 2010 e finalizzati alla predisposizione di una serie di raccomandazioni mirate a ridurre il rischio sistemico ed a rafforzare il settore bancario) e al c.d. Liikanen Report dell’ottobre 201269. Il punto che merita attenzione è che tali proposte si sono sin da subito mosse sul rafforzamento dell’impianto prudenziale della supervisione coniugandolo con una riflessione sui confini dell’attività delle banche canalizzata su riforme strutturali centrate sulla perimetrazione delle attività retail da quelle di investment. Con riferimento ai lavori del gruppo di studio inglese ed europeo si ricorda che il primo ha suggerito di isolare (“ring-fence”) all’interno delle “large banks” le attività al dettaglio in entità legali separate con una regolamentazione prudenziale loro propria; diciamo che si è trattato di una sorta di dietro front della banca universale a vantaggio del modello di gruppo. Invece, il Rapporto Liikanen, ultimo in ordine di tempo tra le proposte avanzate, ha seguito una via mediana suggerendo per la banca una separazione legale (in due soggetti giuridici) per le attività di trading per proprio conto, comprese quelle di market making, nonché per quelle
Relationships with Hedge Funds and Private Equity Funds, January 2011, disponibile al link:http://www.treasury.gov/initiatives/Documents/Volcker%20sec%20%20619%20 study%20final%201%2018%2011%20rg.pdf, nonché United States Department Of The Treasury, Prohibitions on Proprietary Trading and Certain Investments in, and Relationships With, Hedge Funds and Private Equity Funds, Office of the Comptroller of the Currency, 12 CFR Part 44, October 11, 2011, in http://www.occ.gov/news-issuances/ news-releases/2011/nr-occ-2011-126a.pdf. Un potenziamento della“Volcker Rule” è avvenuto con la c.d. Final Rule, del 13 dicembre 2013, adottata da cinque regolatori americani (SEC, CFTC e le c.d. Agencies) su Prohibitions and Restrictions on Proprietary Trading and Certain Interests In, and Relationships With, Hedge Funds and Private Equity Funds (in http://www.sec.gov/rules/final/2013/bhca-1.pdf), la quale ha avuto un impatto sulla cartolarizzazione, sul “repackagings”, sui “covered bonds” e su altri prodotti strutturati. Sul sistema americano si veda in particolare Tarullo, Volcker Rule, Testimony before the Committee on Financial Services, U.S. House of Representatives, Washington DC, 5 February 2014, in http://www.federalreserve.gov/newsevents/testimony/ tarullo20140205a.htm. 69 Si vedano rispettivamente ICB (Independent Commission on Banking), chaired by Sir John Vickers, Interim Report. Consultation on Reform Options, London, April 2011; Id., Final Report. Recommendations, September 2011, disponibili, rispettivamente, ai link: http://webarchive.nationalarchives.gov.uk/20121204124254/http://www.hm- treasury. gov.uk/d/icb_interim_report_full_document.pdf, e http://www.ecgi.org/documents/icb_ final_report_12sep2011.pdf; European Commission, High Level Expert Group on reforming the structure of the EU banking sector. Chaired by Erkki Liikanen. Final Report, Brussels, 2 October 2012, in http://ec.europa.eu/internal_market/bank/docs/high-level_expert_ group/report_en.pdf.
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verso hedge fund, società veicolo e private equity, ma soltanto al superamento di determinate soglie. Tale Rapporto è interessante in quanto mette in relazione il ring-fencing sia con le misure volte a prevenire la crisi di una banca, allora in fase di studio nel diritto comunitario (da cui scaturirà la direttiva 2014/59/UE sul risanamento e la risoluzione, c.d. Brrd), sia con il contagio connesso all’interconnessione tra banche sistemiche e gli altri operatori dei mercati, in forza dei legami spesso opachi insiti nelle operazioni di finanziamento tramite titoli (prerogativa dello shadow banking). Si ricorda che dal Rapporto Liikanen scaturirà ad inizio 2014 una proposta di regolamento contenente misure strutturali tese ad incrementare la “resilienza” delle banche europee70, rimasta però ferma a tale stadio. Sul tema si registra quindi una fase di stallo che può prefigurare o meno sviluppi futuri. Risulta significativo il fatto che la possibilità di mettere in campo riorganizzazioni strutturali venga annidata tra gli strumenti tesi a presidiare l’insorgere di possibili dissesti di banche sistemiche.
70 Si veda la Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle misure strutturali volte ad accrescere la resilienza degli enti creditizi dell’UE, Bruxelles, 29 gennaio 2014, ed il commento di Liikanen, The proposed regulation on structural measures for banks, intervento del 29 gennaio 2014, reperibile al link http://www.bis. org/review/r140131e.htm, cui adde Nigro, Dalla banca alla banca, in questa Rivista, 2015, I, p. 11 ss., ove un commento alla proposta di regolamento UE del gennaio 2014 ed un richiamo dei punti qualificanti le diverse riforme strutturali dei paesi coinvolti. I lavori in sede europea si sono poi arenati alla posizione comune del Consiglio dell’UE, Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sulle misure strutturali volte ad accrescere la resilienza degli enti creditizi dell’UE - Orientamento generale, Bruxelles, 19 giugno 2015, in http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ ST-10150-2015-INIT/it/pdf. Sul tema si segnala l’interessante convegno organizzato a Napoli il 4 marzo 2016 su “Il tramonto della banca universale”, e il reperimento sul sito http://www.regolazionedeimercati.it/pubblicazioni dei contributi di Agresti, A reformed financial sector for Europe: some considerations for universal banking; Lasserre Capdeville, Le declin de la banque universelle: illustration en droit français, M. Cossa, La proposta di Regolamento COM/2014/043. Allocazione dei poteri ed interazione con il quadro bancario europeo; D’Ambrosio, Le misure strutturali nella bozza di regolamento dell’Unione. Alcuni spunti critici; Giornetti, La proposta di Regolamento COM/2014/043; Liddell, The United Kingdom’s Ring-fencing Regime e Mazzucchelli, A Lustrum of Reforms: from the Liikanen Report to Banking Union; a tali contributi si aggiungano quelli di Mattassoglio, Quale modello di banca per il futuro mercato finanziario europeo? Alcune riflessioni sulle riforme strutturali in atto, in Riv. trim. dir. econ., 2015, suppl.n. 3, p. 192 ss., ivi e di Vella, Banche che guardano lontano: regole per la stabilità e regole per la crescita, in Banca, impr. soc., 2016, p. 371 ss., in pact. p. 393 ss., ulteriori riferimenti cui si rinvia.
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Altro è, tuttavia, il discorso sulla loro fattibilità concreta: «The challenge in resolving complex intermediaries is that they cannot easily be broken up into a ‘good bank’ and a ‘bad bank’ over a weekend…»; a ciò si aggiunga che «One of the greatest paradoxes of crisis management is that the political will is only there when it is absolutely necessary, but by which time it is not enough»71. B) I lavori svolti dai consessi internazionali registrano un’altra tappa significativa negli ultimi anni attraverso la predisposizione di una serie di studi che investono ulteriori piani di indagine. In vista del vertice turco del G20 tenutosi ad Antalya il 15-16 novembre 2015, il Fsb rende note le New measures to promote resolvability, including effective cross-border resolution, tema di grande impatto per i profili che qui interessano in quanto si punta lo sguardo sull’articolazione in gruppo dell’istituzione a rilevanza sistemica fornendo dettagli ai Ka riportati ai nn. 7-9 e dedicati alla cooperazione transfrontaliera, ai gruppi di gestione delle crisi e agli accordi di cooperazione mirati su specifici intermediari. Il Fsb muove dalla constatazione del mancato allineamento ai Ka da parte dei paesi rientranti nel proprio raggio di azione, aspetto di fondamentale importanza per l’efficacia dell’azione svolta72. Ed in effetti: a) su 24 giurisdizioni solo 6 (tutte europee: Francia, Germania, Italia, Olanda, Spagna e Regno Unito) sono in linea con i Ka; b) il potere di imporre il bail-in si ritrova invece soltanto in 8 (a quelle richiamate si aggiungono gli USA – però indietro, si badi bene, per un profilo determinante quale il meccanismo di risoluzione transnazionale – e la Svizzera); c) in India il tema non è stato proprio considerato;
71 Così il capo del Systemic Risk Council Paul Tucker, The reform programme as a precondition for competition and innovation, Brussels, 1 June 2016, in http://www. finance-watch.org/ifile/Events/160601_FW_conf/Sir-Paul-Tucker-speech_FW-conferenceJune-2016.pdf, cit. rispettivamente pp. 7 e 6. Si parla anche della presenza di un nuovo trilemma finanziario riguardo al perseguimento della stabilità fianziaria: «Banks can never be simultaneously: 1. perfectly safe, 2. perfectly efficient and 3. always free of moral hazard»: così Hampl, The trilemma of the banking sector, Speech by Vice Governor of the Czech National Bank, at the Czech National Bank and OMFIF Central Bank Meeting Central banking in Central and Eastern Europe: Policy making, investment and low yields, Prague, 7 June 2016, in https://www.bis.org/review/r160615b.pdf, cit. p. 1. 72 «[...] only a handful of jurisdictions have and expedited processes to give effect to foreign resolution actions as required by the Key Attributes (KA 7.5)»: così in FSB, Removing Remaining, cit., p. 11.
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d) fortemente indietro nell’implementazione (in ordine decrescente), Russia, Sud Africa, Arabia Saudita, Honk Gong, Argentina, Indonesia, Brasile, Turchia, Cina, Australia, Corea, Canada, Messico, Singapore, Giappone. A tal proposito, anticipando quanto vedremo più avanti con riferimento al fenomeno regolato, sottolineiamo che molte di queste ultime giurisdizioni sono fuori dal fenomeno delle G-SIB così come definito dal pacchetto regolamentare, mentre in altre (rilevano in particolare i paesi asiatici) risultano identificate alcune G-SIB, il che appare quindi decisamente preoccupante73. Il Fsb presenta pertanto due Guide, che raccolgono gli esiti delle consultazione pubbliche svolte, contenenti: 1) i principi per un’efficace azione di risoluzione per le istituzioni crossborder riguardanti i meccanismi giuridici da recepire negli ordinamenti dalle singole giurisdizioni al fine di consentire procedimenti di risoluzione in linea con i Ka; 2) raccomandazioni sulla cooperazione e condivisione di informazioni con autorità ospitanti G-SIFI non rappresentate nel relativo gruppo di gestione delle crisi. Nello stesso periodo vengono altresì lanciate diverse consultazioni pubbliche su temi cruciali per la risoluzione riguardanti sia le banche sia le imprese di assicurazione: l’organizzazione di un finanziamento temporaneo finalizzato a sostenere una risoluzione ordinata di una G-SIB in crisi di liquidità, la continuità operativa nonché le strategie necessarie per le G-SII74. Il Fsb riprende ancora il tema del sistema finanziario ombra (ben nota maglia fragile della riforma per gli opachi legami con il settore banca-
73 Cfr. l’allegato riportato alle pp. 27-28, Status of Implementation of Specific Aspects of Bank Resolution Regimes by FSB Jurisdictions, del documento Removing Remaining ecc. 74 Si vedano rispettivamente i documenti del 3 novembre 2015 del FSB: 1) Principles for Cross-border Effectiveness of Resolution Actions; 2) Guidance on Cooperation and Information Sharing with Host Authorities of Jurisdictions where a Global Systemically Important Financial Institution (G-SIFI) has a Systemic Presence that are Not Represented on its Crisis Management Group (CMG); reperibili insieme ai documenti di consultazione pubblica dell’ottobre 2014 [Consultative document on the Temporary Funding Needed to Support the Orderly Resolution of a Global Systemically Important Bank (G-SIB); Consultative document on Arrangements to Support Operational Continuity in Resolution; Consultative document on developing Effective Resolution Strategies and Plans for Systemically Important Insurers] nonché agli esiti della stessa, al link http:// www.fsb.org/wp-content/uploads/Resolution-consultation-press-release.pdf.
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rio), programmando gli ulteriori passaggi per monitorarlo e regolarlo75. Nel 2015 il Fsb pubblica altresì un documento ritenuto di grande rilievo per arginare l’azzardo morale insito nelle G-SIFI, settato però al momento sulle G-SIB, e costituito dal già prefigurato nuovo standard (elaborato insieme al Comitato di Basilea) del “Total Loss-absorbing Capacity (TLAC) requirement”, calcolato sulle attività ponderate per il rischio in un’ottica anche di gruppo (in tal caso il requisito viene calibrato sulla base del bilancio consolidato di ogni “gruppo di risoluzione”) e volto a precostituire una sufficiente capacità di assorbire perdite e di ricapitalizzazione, la quale possa consentire alle autorità di risoluzione (a partire dal gennaio 2019) di assoggettare a bail-in passività già precostituite a tal fine ed individuate sulla base dei principi guida forniti dal Fsb medesimo76.
75 Si veda FSB, Transforming Shadow Banking into Resilient Market-based Finance: An Overview of Progress, 12 November 2015 (in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/ shadow_banking_overview_of_progress_2015.pdf). E già prima si possono poi vedere i documenti del 25 maggio 2015 (tutti reperibili al link http://www.fsb.org/content_type/ publications/): Thematic Review on the Implementation of the FSB Policy Framework for Shadow Banking Entities, teso a rafforzare sorveglianza e regolamentazione, nonché Thematic Review on the Implementation of the FSB Policy Framework for Shadow Banking Entities – Jurisdiction summaries. Come già visto poc’anzi in nota lo studio del sistema bancario ombra appare nei lavori del Fsb subito dopo il vertice di Cannes del 2011 e produce i primi risultati nel 2012 (si vedano le nt. 50 e 62), a questi hanno poi fatto seguito i documenti del 29 agosto 2013 (tutti reperibile al link http://www.fsb.org/2013/08/ r_130829a/), FSB Strengthening Oversight and Regulation of Shadow Banking An Overview of Policy Recommendations, Id., An Overview of Policy Recommendations for Shadow Banking; Id., Policy Framework for Addressing Shadow Banking Risks in Securities Lending and Repos; Id., Policy Framework for Strengthening Oversight and Regulation of Shadow Banking Entities. Il tema è ripreso nel 2014: cfr. FSB, Progress Report on Transforming Shadow Banking into Resilient Market-Based Financing, del 14 novembre 2014, in http:// www.fsb.org/wp-content/uploads/shadow_banking_overview_of_progress_2015.pdf. 76 Va notato che gli strumenti di capitale – CET1 – destinati alla tlac non possono essere utilizzati per soddisfare le riserve di capitale ordinarie, si incide quindi sull’adeguatezza patrimoniale delle G-SIB, rafforzandola (viene da chiedersi se sarà eccessivo questo ottimismo sulle regole elaborate dal Comitato di Basilea, ma la domanda è retorica). Il documento del 9 novembre 2015 del FSB, Principles on Lossabsorbing and Recapitalisation Capacity of G-SIBs in Resolution. Total Loss-absorbing Capacity (TLAC). Term Sheet, è disponibile al link http://www.fsb.org/wp-content/uploads/ TLAC-Principles-and-Term-Sheet-for-publication-final.pdf; si vedano altresì FSB, BCBS, BIS, Summary of Findings from the TLAC Impact Assessment Studies Overview Report, 9 November 2015, in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/TLAC-Summary-of-Findingsfrom-the-Impact-Assessment-Studies-for-publication-final.pdf); FSB, Overview of the postconsultation revisions to the TLAC Principles and Term Sheet, 9 November 2015, in http://
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Rispetto alla strategia della risoluzione deve essere ben evidenziato che il rapporto del Fsb al G20 del novembre 2015 si sofferma sugli aspetti ancora problematici inerenti alla gestione della crisi di una G-SIB alla luce della reale applicazione delle misure via via approntate. Premesso che nell’agenda politica permangono elementi determinanti per la fine del too-big-to-fail, e si pensi ad esempio al nuovo standard della tlac ed alla sua applicazione in un’ottica di istituzioni transnazionali operanti in un contesto di applicazione in itinere degli stessi Ka (il cui compito – va ricordato – è proprio quello di assistere le autorità competenti ad attuare i relativi processi), il Fsb ricomprende tra gli impedimenti che potrebbero bloccare la “risolvibilità” (e che possono aggiungersi al reperimento dei fondi e della liquidità necessarie alla risoluzione, alla difficoltà ad assicurare la continuità operativa e all’accesso al sistema di pagamenti e di compensazione, all’impossibilità di appoggiarsi ad un efficiente sistema informativo)77 la stessa attuazione del bail-in. Si afferma inoltre che: «authorities may not be able to execute bail-in in a timely manner consistent with the resolution strategy»78. Ed in effetti, a parte le molteplici critiche cui tale scelta si presta, le difficoltà di dare attuazione alla normativa sono ben rappresentate dall’esperienza italiana, divenuta sempre più un leading-case79.
www.fsb.org/wp-content/uploads/TLAC-public-report-on-post-consultation-changesfor-publication-final1.pdf; FSB, Historical Losses and Recapitalisation Needs Findings Report, 9 November 2015 in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/Historical-Lossesand-Recapitalisation-Needs-findings-report.pdf; BCBS, TLAC Quantitative Impact Study Report, November 2015, in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/TLAC-BCBS-QISReport-for-publication-final.pdf; BIS, Assessing the economic costs and benefits of TLAC implementation Report submitted to the Financial Stability Board by an Experts Group chaired by Kostas Tsatsaronis (Bank for International Settlements), November 2015, in http://www.bis.org/publ/othp24.pdf. 77 Approfondimenti in FSB, Guiding principles on the temporary funding needed to support the orderly resolution of a global systemically important bank (“G-SIB”) Consultative Document, 3 November 2015 (in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/ Funding-in-Resolution-Guiding-Principles-Consultative-Document.pdf); FSB, Guidance on Arrangements to Support Operational Continuity in Resolution Consultative Document, 3 November 2015 (in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/Guidance-onArrangements-to-Support-Operational-Continuity-in-Resolution.pdf). 78 Si veda FSB, Removing Remaining, cit., in part. p. 8 ss., cit. p. 18. La scelta del bail-in si presta a molte considerazioni critiche, si segnala che in sede internazionale il francese Michel Barnier e l’inglese Sharon Bowles hanno rivestito un forte peso nell’aver posto tale strumento al centro della risoluzione per intermediari complessi: lo riferisce Tucker, The reform, cit., cfr. p. 5 s. 79 Di recente si vedano le relazioni/slide (tutte disponibili al link http://www. disag.unisi.it/it/ricerca/seminari-e-convegni/convegni/2016/meccanismo-unico-di-
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L’attenzione del Fsb abbraccia anche il mercato finanziario concentrandosi in particolare su quello dei derivati con il documento OTC Derivatives Market Reforms: Tenth Progress Report on Implementation (del 4 novembre) che segue quello di luglio, Ninth Progress Report on Implementation of OTC Derivatives Market Reforms, nonché quello di settembre sulle controparti centrali, Progress Report on the CCP Workplan80, le quali assumono un ruolo fondamentale nel clearing dei derivati otc ponendo però problemi per una possibile loro crisi81. C) Nel 2016 il Fsb, in vista del vertice cinese ad Hangzhou del 4-5 settembre82, rende noti i risultati ottenuti, i progressi del lavoro svolto (dichiarandosi comunque pronto ad intervenire per affrontare eventuali effetti indesiderati) e nuovi obiettivi per il futuro. Prende consistenza una maggiore focalizzazione sulle vulnerabilità dei mercati. Si tratta, fra l’altro, dell’irrobustimento delle infrastrutture di mercato, con particolare attenzione alla resilienza, al risanamento e alla risolvibilità delle CCP, da portare avanti insieme al Committee on payments and market infrastructures e alla Iosco, nonché di un approfondimento sui rischi associati all’attività d’investimento: v’è il richiamo alla finanza marked based e all’attività di asset management. Le trasfigurazioni del contesto di rife-
risoluzione-sfide-e-opportunita-il) presentate al convegno su Meccanismo Unico di Risoluzione: sfide e opportunità per il sistema bancario italiano, svoltosi a Siena il 13 maggio 2016, di G. Gabbi, Bail-in e rischio sistemico: i costi della stabilità; Lener, Assetto della nuova disciplina e tutela dell’investitore/risparmiatore tra TUF e TUB: limiti e prospettive; Maccarone, I sistemi di garanzia dei depositi nel contesto regolamentare europeo; Montanaro, Tonveronachi, Il vincolo degli aiuti di stato nell’ambito del meccanismo unico di risoluzione. Il caso di quattro piccole banche italiane; Santoni, La nuova disciplina della gestione delle crisi bancarie: da strumento di contrasto a generatore di sfiducia sistemica?, cui adde Santoro, Prevenzione e “risoluzione” della crisi delle banche, Napoli, 25 settembre 2015, in http://www.regolazionedeimercati.it/ sites/default/files/Santoro%20SRM.pdf. 80 I report sono reperibili al link http://www.fsb.org/2015/page/2/?content_ type=progress-reports. 81 Il problema della risoluzione per le infrastrutture di mercato (c.d. FMIs-“financial market infrastructures”)) emerge già nei Ka del FSB, cfr. Appendix II, Annex 1, p. 57 ss., per ulteriori dettagli si rinvia altresì a FSB, BIS-BCBS, BIS-CPMI, OICV-IOSCO, Progress Report on the CCP Workplan, 22 September 2015, in http://www.fsb.org/wp-content/ uploads/Progress-report-on-the-CCP-work-plan.pdf. 82 Si veda FSB, To G20 Finance Ministers and Central Bank Governors, 22 February 2016, in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/FSB-Chair-letter-to-G20-Ministers-andGovernors-February-2016.pdf, cfr. p. 1.
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rimento portano il Fsb a sottoporre al G20 l’emersione dei nuovi rischi connessi ad un mercato finanziario che da un modello “bank based” va spostandosi verso un modello “market based”; la linea guida è quella di costruire un sistema finanziario globale aperto e resiliente a sostegno degli investimenti transnazionali, non manca però il riferimento allo stato d’implementazione delle riforme finanziarie messe in cantiere e la richiesta ai leader del G20 di un più solido supporto nell’attuazione del quadro regolamentare volto a por fine al fenomeno del tbtf83. Su tale piano, va considerato che le tappe individuate nel 2013 di implementazione delle “policies to end too-big-to-fail” sembrano arrivare al capolinea con l’emanazione di specifiche linee guida sulla definizione di strategie e piani efficienti di risoluzione anche per le G-SIIs (c.d. Guidance)84. Alle imprese di assicurazione di rilevanza sistemica si richiede un’analisi strategica riguardante i modelli di business, la criticità delle funzioni operative e altresì i presidi tesi a salvaguardare i soggetti assicurati; risultano altresì evidenziati i profili idonei a rendere credibile ed efficace la strategia di risoluzione. L’obiettivo è quello di supportare le autorità nazionali nel recepire i requisiti contenuti nei Ka del Fsb e di pianificare una risoluzione ottimale alla luce dei modelli dell’impresa assicurativa e della protezione dei detentori delle polizze. Anche alle GSII verranno applicati requisiti di capitale aggiuntivi: la “hla” scatterà dal gennaio 2019 per le imprese di assicurazione di rilevanza sistemica identificate nel 2017; sono altresì rafforzati i presidi di vigilanza di gruppo85. Insomma, la strada sin qui tracciata per le G-SIB si appresta a diventare una superstrada con la nuova corsia destinata alla G-SII.
83 Cfr. FSB, To G20 Leaders. Building a resilient and open global financial system to support sustainable cross.border investment, 30 August 2016, in http://www.fsb.org/ wp-content/uploads/FSB-Chair%E2%80%99s-letter-to-G20-Leaders-in-advance-of-theirmeeting-in-Hangzhou-on-4-5-September.pdf. 84 Si rinvia a FSB, Developing Effective Resolution Strategies and Plans for Systemically Important Insurers, 6 June 2016, in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/DevelopingEffective-Resolution-Strategies-and-Plans-for-Systemically-Important-Insurers.pdf.; i commenti ricevuti alla consultazione lanciata il 3 novembre 2015 sono reperibili al link http://www.fsb.org/2016/01/public-responses-to-the-november-2015-consultative-documentdeveloping-effective-resolution-strategies-and-plans-for-systemically-important-insurers/. 85 Cfr. FSB, 2015 update of list of global systemically important insurers (G-SIIs), 3 November 2015, in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/fsb-communication-GSIIs-Final-version.pdf, p. 2. Il documento tiene conto dei commenti ricevuti da una consultazione pubblica svolta nel novembre del 2015.
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D) Molti altri sono stati i piani di indagine inclusi nell’agenda regolamentare dopo il vertice del G20 del 2013. L’obiettivo dei sintetici e parziali richiami sin qui fatti è stato quello di far emergere per un verso la progressiva presa d’atto della necessità di fornire a livello globale risposte più adeguate sul piano della gestione delle crisi (allargata ad altre istituzioni finanziarie), al fenomeno dell’interconnessione tra intermediari (con un’attenzione particolare verso il sistema bancario ombra) e all’operatività transnazionale (punto debole per l’efficacia della supervisione), nonché, per altro verso, la necessità di una regolamentazione trasversale per gli intermediari finanziari (presupposto per evitare gli arbitraggi regolamentari) e più efficace per il mercato dove questi operano. In realtà, ciò che appare (diciamo) “sorprendente” è la recente presa d’atto da parte dei consessi internazionali di un sistema finanziario “catturato” dalla finanza marked-based, per il collegamento che si può instaurare sia con il modus operandi della “banca d’investimento” sia con il modello d’intermediazione vincente già prima della crisi dell’originate to distribute (artefice in larga parte dello sviluppo del sistema bancario ombra) soppiantatosi in molti paesi all’originate to hold. Aspetti su cui (il punto merita attenzione) il processo di riforma procede in modo altalenante senza però incidere in forma ad avviso di chi scrive adeguata su temi ben presenti già all’indomani dello scoppio della grande crisi86.
86 Si veda l’interessante ricerca di Unger, Traditional banks, shadow banks and the Us Credit Boom: Credit Origination Versus Financing, in Bundesbank Discussion Paper, No. 11/2016 al link http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2797081, ove viene evidenziato il ruolo dominante delle banche nello shadow banking system. In effetti la securitisation è stata il meccanismo principe su cui ha fatto perno l’espansione della nuova finanza (swap, future, option finalizzati alla gestione dei rischi grazie ai modelli elaborati da Fischer Black e Myron Scholes sono stati affiancati da derivati e altri strumenti finanziari sempre più complessi e con connotati speculativi, sviluppatisi completamente al di fuori delle regole), la quale ha trovato terreno fertile nell’egemonico modello americano fondato sul binomio dell’efficienza dei mercati azionari e di un sistema giuridico poggiante sulla garanzia degli interessi degli investitori. Il sistema bancario ombra attraverso le società veicolo ha fatto da serbatoio per la liquidità di quello “ufficiale”, trasformando crediti (rischiosi) a scadenza protratta in titoli a breve termine. Grazie a tale meccanismo è esplosa l’espansione del debito e si è formata la bolla immobiliare epicentro della grande crisi di questo nuovo millennio; per qualche approfondimento ed ulteriori riferimenti sul tema della cartolarizzazione sia consentito il rinvio a Brozzetti, Legislazione d’emergenza e possibili «cortocircuiti». Qualche riflessione intorno all’art. 8 della legge n. 214 del 2011, in Mercati e banche nella crisi: regole di concorrenza e aiuti di stato, a cura di Colombini e Passalacqua, Napoli, 2012,p. 283 ss. in part. p. 288 ss. Sottolinea i rischi di “implosione” del sistema
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Vero è che il sistema bancario è stato nel tempo attratto da un rilevante processo di disintermediazione e che l’ampliamento dei confini dell’opera di regolamentazione dei “global standard-setters” ad altri intermediari ed ai mercati potrebbe diventare anche funzionale ad un ulteriore ridimensionamento del ruolo egemonico storicamente assunto dalle banche in certi contesti economici, sul presupposto che da ciò possano scaturire benefici sul piano della crescita (per l’ampliamento dei canali di finanziamento delle imprese) e della stabilità (se ad esso corrisponde anche una più ampia modulazione del rischio sistemico). Ciò che preoccupa è tuttavia il grado di interconnessione assunto dalle stesse G-SIB con il sistema finanziario globale87, le cui dimensioni hanno raggiunto livelli siderali, grado che impedisce ai regolatori il raggiungimento dell’obiettivo prefissato con gli strumenti predisposti. Si consideri altresì che nel 2014 il Fsb ha stimato che con riferimento a 26 giurisdizioni (compresa anche l’eurozona nel suo complesso) rappresentanti l’80% del PIL mondiale e il 90% delle attività del sistema finanziario globale, lo “shadow banking” ha raggiunto i 75 miliardi di dollari nel 2014; in termini assoluti il totale degli attivi ad esso riferibili rappresentano in media il 25% del totale delle attività finanziarie (raggiungendo la metà di quelle riferite al sistema bancario regolamentato) e il 120% del PIL88. Come sottolinea lo stesso Fsb il traguardo di trasformare lo “shadow banking” in una finanza sana
Merusi, Sul libro di Colombini e Calabrò sulle crisi finanziarie, in Riv. trim.dir. econ., 2012, n. 1, I, p. 44 e ss. (una visione d’assieme in Id., Il sogno di Diocleziano. Il diritto nelle crisi economiche, Torino, 2013, in part. pp. 15 ss. e 53 ss.) Autore che insieme ad Nigro (si veda Crisi finanziaria, banche, derivati, in questa Rivista, 2009, n. 1, p. 13 ss.) si segnala per la posizione (condivisibile) netta nel porre divieti ferrei alla “securitisation”. 87 Il tema fa un po’ da leitmotif a questo lavoro e poggia sulla realtà del fenomeno (lo vediamo subito), quanto affermato deriva da una semplice osservazione dello stesso ben rappresentato da Admati, Why Banks Still “Own the Place”, Stanford University Stigler Center, Chicago Booth, 2 December 2015, al link https://research.chicagobooth. edu/~/media/D49E954C4B374AE8B350C8D64685ED62.pdf, cfr. in particolare le slide nn.3-7. 88 Si veda FSB, Global Shadow Banking Monitoring Report 2014, 30 October 2014, in http://www.fsb.org/wp-content/uploads/r_141030.pdf, p. 2 s. Altri riferimenti anche in Barbagallo, Lo shadow banking e la regolamentazione italiana, Milano, 5 Marzo 2015, in https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2015/ Barbagallo-050315.pdf.
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ancorata al mercato appare ancora lontano da raggiungere89; stessa prospettiva per la costruzione di un sicuro mercato dei derivati. In definitiva, dai richiami sin qui fatti al processo regolamentare possiamo riscontrare come gli strumenti nel concreto messi in campo o ripropongono in larga parte sentieri già esplorati (lo vedremo meglio anche nel prossimo paragrafo) ovvero ne introducono nuovi (mi riferisco alla gestione delle crisi) di attuazione non semplice. Verrebbe da dire (ricordando il Prof. Minervini) che in buona parte si sia messo “vino vecchio in otri nuovi”.
3. Qualche riflessione scaturita da uno sguardo sul fatto regolato. Nella profonda convinzione che per capire meglio il diritto si possa avere un valido ausilio nel fatto regolato aggiungiamo al sintetico richiamo degli aspetti di regolamentazione riferiti alle SIFI uno sguardo sulla realtà delle stesse, ampliandolo al fenomeno dei “colossi finanziari” trattati in altri profili disciplinari90. 3.1. Segue: confronto tra le SIFI via via individuate dal Fsb ed i “colossi finanziari” oggetto di attenzione da altre angolazioni regolamentari (particolare rilievo in Europa del fenomeno del gigantismo). La fase identificativa e la successiva pubblicazione delle liste delle SIFI diventa importante per l’applicazione del pacchetto regolamentare per le stesse predisposto e scaglionato (come si è visto) in diverse fasi. Nella prima lista di SIFI pubblicata nel novembre 2011 dal Fsb, le stesse erano in realtà circoscritte a 28 G-SIB, che subiranno alcune variazioni negli anni successivi, segnalate di seguito unitamente ai profili regolamentari via via applicati.
89 Nel secondo rapporto annuale del FSB, Implementation and Effects of the G20 Financial Regulatory Reforms, 31 August 2016, rispetto al punto: «Transforming shadow banking into resilient market-based finance» nel sommario a p. 1 si legge: «Implementation of the agreed reforms (e.g. on the oversight and regulation of shadow banking entities, money market funds, risk alignment of securitisation) remains at a relatively early stage. More work is needed by the FSB and jurisdictions to assess and respond to potential financial stability risks in this area». 90 Questo paragrafo riprende, aggiornandolo, il §2.3.3. del lavoro già citato Le istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica (c.d. SIFIs): qualche primo appunto sul framework regolamentare, cfr. p. 168 ss.
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a) Diventano 29 nel 2012 (si aggiungono due banche e ne esce una); da questo anno le G-SIB sono anche inserite nelle classi di capitale aggiuntivo riferite alla loro rilevanza sistemica. Si tratta dell’“higher loss absorbency requirement” (la già richiamata “hla”), all’epoca in fase di studio da parte del Comitato di Basilea, che emanerà le relative istruzioni nel luglio 201391; la hla si aggiunge ai livelli standard di capitalizzazione e verrà infatti applicata alle G-SIB rientranti nella lista resa nota nel novembre 2014 e a partire dal 1° gennaio 2016, con successiva implementazione dal gennaio 2019. b) Le G-SIB arrivano a 30 nel 2013, se ne aggiunge una alla precedente lista. Con il 2013 si definisce una nuova periodizzazione per l’applicazione dei requisiti di capitalizzazione, per la messa in opera dei meccanismi di prevenzione e di gestione delle crisi nonché per rafforzare il governo dei rischi, i controlli interni, e la raccolta dati. Si segnala che dal 2013 il lavoro identificativo coinvolge anche le imprese di assicurazione92. c) Restano invariate nel 2014 poiché entra una banca ed un’altra esce. d) Stesso numero si registra nel novembre 2015, anche in questo caso una banca è stata aggiunta ed una rimossa. Alle G-SIB presenti nella lista del 2015 sarà applicato, dal gennaio 2019 il nuovo standard sulla tlac (total loss absorbing capacity) sulla base del piano di azione stabilito con il framework di Basilea 3 e delle linee guida fissate nel novembre 2015 dal Fsb. Nel dettaglio le 30 banche attualmente presenti nella lista sono costituite da: – 8 banche americane, fra cui tutte le grandi di Wall Street, come JP Morgan Chase, Goldman Sachs e Bank of America, appaiono però anche Bank of New York Mellon, Citigroup, Morgan Stanley, State Street, Wells Fargo; – 7 banche asiatiche, di cui 3 giapponesi (Mitsubishi UFJ FG, Mizuho FG, Sumitomo Mitsui FG) e 4 cinesi (Agricultural Bank of China – entrata nella lista nel 2014 –, Bank of China, China Construction Bank,
91 Si veda il già richiamato Global systemically important banks: updated assessment methodology and the higher loss absorbency requirement. 92 Questi sono i 9 gruppi identificati nel 2013: 1) Allianz SE; 2) American International Group, Inc.; 3) Assicurazioni Generali S.p.A.; 4) Aviva plc; 5) Axa S.A.; 6) MetLife, Inc.; 7) Ping An Insurance (Group) Company of China, Ltd.; 8) Prudential Financial, Inc.; 9) Prudential plc. Il numero è rimasto invariato nella lista pubblicata nel 2015, si segnala però l’uscita dell’italiana G-SII Assicurazioni generali e l’entrata di Aegon N.V.
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iscritta nella lista nel 2015, e Industrial and Commercial Bank of China Limited, quest’ultima entrata nel 2013) – 15 banche europee, e fra queste: * 8 (quasi un quarto del totale, e il punto è significativo anche nell’ottica della ricerca delle spinte verso la costruzione dell’Unione Bancaria) appartengono all’area dell’euro, e sono - 4 francesi: BNP Paribas, Groupe BPCE, Group Crédit Agricole, Société Générale; va notato che nella lista del 2011 era presente anche il gruppo Dexia riconducibile a Francia-Belgio-Lussemburgo, uscito a seguito del processo di ristrutturazione indotta dalla crisi che lo ha coinvolto; il Groupe BCPE risultava invece inserito con il nome Banque Populaire CdE); - 1 spagnola: Santander (nel 2012 era entrata anche BBVA, uscita poi nel 2015); - 1 tedesca: Deutsche Bank (nella lista del 2011 compariva anche Commerzbank); - 1 olandese: ING bank; - 1 italiana: Unicredit Group; * 5 appartengono a paesi Ue non legati all’euro, e si tratta di: - 4 gruppi bancari inglesi (Barclays, HSBC, Royal Bank of Scotland, e Standard Chartered che nel 2012 ha preso il posto del Lloyds Banking Group presente nella lista del 2011); - 1 gruppo bancario svedese (Nordea); * 2 appartengono a paesi fuori dall’Ue, trattasi delle 2 banche svizzere Crédit Suisse e UBS. In questi pochi anni di rilevazione del fenomeno G-SIB possiamo quindi notare, di primo acchito, oltre alla variabilità dello stesso: a) l’ascesa del fenomeno in Cina (da 1 siamo arrivati a 4), aspetto di rilievo sul piano delle interconnessioni e del rigore del quadro regolamentare (trattasi infatti, lo si è visto nel precedente paragrafo, di uno dei paesi in cui lo stato d’implementazione non è completo); b) la massiccia presenza di colossi bancari in Francia e in Gran Bretagna; c) la diminuzione del numero di G-SIB nell’eurozona per le fuoriuscite verificatesi in Germania, Spagna e Francia-Belgio-Lussemburgo. Sin dal novembre 2012 le G-SIB (allora, come detto, in numero di 28) sono state inserite nelle rispettive classi di appartenenza, ma – al pari di quanto visto circa la loro presenza nelle liste – negli anni successivi si registrano alcuni spostamenti tra classi di patrimonializzazione aggiuntiva. Nel 2015 troviamo infatti:
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a) nella quarta classe del 2,5%, 1 gruppo americano, JP Morgan Chase, ed 1 europeo, HSBC (erano 4 gruppi nel 2012); b) nella terza classe del 2%, 3 gruppi europei e 1 americano; trattasi di Barclays, BNP Paribas, Deutsche Bank e Citigroup, questi ultimi due scesi nel 2013 dalla quarta classe; c) nella seconda classe dell’1,5%, 5 gruppi costituiti dai tre americani Bank of America, Goldman Sachs, Morgan Stanley, dal giapponese Mitsubishi UFJ FG, e dallo svizzero Credit Suisse; d) nella prima classe dell’1% tutte le altre 19 G-SIB: Agricultural Bank of China (new entry del 2014) Bank of China, Bank of New York Mellon (sceso nel 2013 dalla precedente classe), China Construction Bank (new entry del 2015), Groupe BPCE, Group Crédit Agricole (salito nella seconda classe nel 2013 e tornato nella prima l’anno successivo), ING Bank, Industrial and Commercial Bank of China Limited (new entry del 2013), Mizuho FG, Nordea, Royal Bank of Scotland (stazionata per tre anni nella seconda classe e scesa alla prima nel 2015), Santander, Société Générale, Standard Chartered, State Street, Sumitomo Mitsui FG, UBS (sceso nel 2014 dalla seconda classe), Unicredit Group e Wells Fargo. Va ricordato che la spagnola BBVA, presente nella lista fino al 2014 (all’interno della prima classe), ne è però uscita nel 2015. Dalle variazioni di classe riscontrate per alcune G-SIB, possiamo rilevare come, a parte l’eccezione del Crédit Agricole, l’andamento sia per tutte le altre discendente. 3.2. Segue: l’impatto di strumenti di controllo e supervisione “rafforzati” sulle scelte strategiche degli intermediari. In definitiva, per le G-SIB l’intervento regolamentare ha inteso stimare il contributo al rischio sistemico e arginarlo mediante l’applicazione di requisiti prudenziali aggiuntivi sul fronte patrimoniale (rispetto a quanto previsto da Basilea 3), ritenuti idonei a garantire una maggiore capacità di assorbimento delle perdite93. L’adeguatezza patrimoniale fa poi da base all’applicazione dell’impianto sulla gestione delle crisi costruito dal Fsb con i Ka del 2011 e successivamente arricchito con le indicazioni
93 Si ricorda che le indicazioni sono state fornite dal BCBS nel luglio 2013 con il documento, Global systemically important banks: updated assessment methodology and the higher loss absorbency requirement.
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riguardanti in particolare i gruppi cross-border. L’obiettivo dichiarato è di internalizzare le esternalità che le G-SIFI riversano sul sistema, poiché l’impatto della loro crisi graverebbe in primis sugli azionisti e sui creditori non garantiti. La ratio regolamentare di scoraggiare tali banche ad aumentare il loro grado di “importanza” sembra aver colpito il segno, dato che la 5a classe di capitale aggiuntivo sinora è rimasta sempre vuota. Gli scopi perseguibili appaiono indubbiamente condivisibili, ma i mezzi scelti sollevano qualche perplessità. In realtà, la correlazione tra rischio dimensionale e responsabilità patrimoniale estesa ad alcune categorie di creditori, presenta caratteri insidiosi quando traslata in un settore che per la merce trattata (denaro) assume ormai ben note peculiarità. Prescindendo al momento dal grado di fattibilità della stessa in un sistema in cui è vitale la salvaguardia del bene fiducia, va tenuto presente che la storia delle crisi bancarie insegna come molti dei processi di concentrazione bancaria scaturiscano proprio dalla necessità di dare soluzione a casi di crisi reversibili o meno94, che nel caso in cui esista/permanga la convinzione del “too big to fail” vanno incontro alle stesse ragioni del mercato95. D’altro canto, però, si potrebbe anche avanzare l’ipotesi che la già riscontrata variabilità annuale nel fenomeno delle “Global-SIFIs” (che peraltro ha coinvolto anche il settore assicurativo)96 così come delimitato sul piano concreto dal Fsb e dal Comitato di Basilea, potrebbe giustificarsi con il prevedibile impatto degli assetti regolamentari sui colossi finanziari sia prefigurati sia in atto. La regolamentazione prudenziale può quindi fungere da deterrente del gigantismo dei gruppi? Qualche altro indizio in tal senso lo si può in effetti intravedere. Ad avviso di chi scrive una possibile centratura dell’obiettivo di incidere sulla rilevanza sistemica di una istituzione finanziaria lo si coglie anche dall’esperienza dei conglomerati finanziari, un campo interessante per lo studio dei gruppi intersettoriali e transnazionali in quanto già
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Sul punto si vedano i risultati di una ricerca condotta da Armento, Belli, Bertelli e Brozzetti, Un ventennio di crisi bancarie in Italia (1963-1985), in Banche in crisi. 19601985, a cura di Belli, Minervini, Patroni Griffi e Porzio, Bari, p. 59 ss. 95 Mercato che, in forza di tale principio, si sente garantito dalla presenza di giganti nel comparto del credito: tra i molti esempi si può ricordare che la notizia (ripresa da Presseurop del 30 agosto 2011) del possibile “matrimonio” tra Alpha e Eurobank, rispettivamente seconda e terza banca della Grecia, dal quale sarebbe scaturita la più grande banca ellenica e dei Balcani, fece guadagnare il 14% alla borsa di Atene. 96 Si veda retro nt. 88.
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assoggettati a particolari strumenti di vigilanza prudenziale di natura supplementare, al centro dell’attenzione (come accennato nel § 2.2) dei consessi globali già dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso. L’ottica del rafforzamento dei presidi di vigilanza sul fenomeno dei gruppi finanziari cross-border determina in sede europea la revisione della direttiva 2002/87/CE (c.d. Ficod-Financial conglomerates diretcive), contenente appunto la regolamentazione sulla vigilanza supplementare applicata ai conglomerati finanziari, e porta all’emanazione della direttiva n. 2011/89/UE c.d. Ficod 1. La revisione consente di meglio presidiare una struttura di gruppo ed i rischi derivanti dall’intersettorialità, prevedendo sia la possibilità di un’applicazione simultanea della vigilanza consolidata e di quella supplementare, sia un allargamento dei confini di quest’ultima forma di supervisione (viene ampliato il campo di applicazione oggettivo, vi rientrano infatti anche le società di gestione del risparmio, e soggettivo poiché vengono attratti anche gruppi minori), sia il potenziamento del ruolo dell’autorità responsabile della vigilanza su base consolidata, abilitata ad istituire i collegi dei supervisori97. Il primo dato che colpisce da un confronto con le G-SIB del Fsb è quello della diffusa presenza in Europa sia di queste istituzioni sia dei giganti intersettoriali “cross border”: nell’ultima lista pubblicata dal Joint Committee of the European Authorithies nel 2015, quindi già nel vigore dei meccanismi unici di vigilanza e di risoluzione nonché delle nuove regole disposte con la direttiva 2011/89/UE, notiamo che sono presenti 78 conglomerati finanziari europei, 1 svizzero, 2 americani ed 1 australiano (evidente l’impatto estensivo della Ficod 1: nella lista del 2010 i conglomerati europei erano 57).
97 Si segnala che gli sviluppi in fase di studio in campo bancario e assicurativo (con Basilea 3 e Solvency 2) anche rispetto al tema del sistema bancario ombra, innescano un’ulteriore riflessione sulla Ficod i cui esiti non sono ancora chiusi. La necessità di una pausa di riflessione emerge nel documento EC, Synthesis of the comments from the call For evidence of the internal market and services. Directorate-general on the fundamental review of the financial conglomerates directive, June 2012, in http://ec.europa.eu/internal_ market/financial-conglomerates/docs/call-for-evidence/synthesis_of_the_comments_ en.pdf. Di recente si veda EC, Consultation document directive 2002/87/EC on the supplementary supervision of credit institutions, insurance undertakings and investment firms in a financial conglomerate, in http://ec.europa.eu/finance/consultations/2016/ financial-conglomerates-directive/docs/consultation-document_en.pdf, consultazione scaduta a settembre 2016. Rispetto alla regolamentazione in campo assicurativo si veda da ultimo E. Piras, La strategia regolatoria per il mercato assicurativo: Solvency II, in Riv. trim. dir. econ., 2015, suppl. al n. 3, p. 219 ss.
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Ai nostri fini può anche essere interessante il Rapporto sulla riforma della struttura del sistema bancario europeo predisposto nell’ottobre del 2012 dal gruppo di lavoro presieduto dal governatore della banca centrale finlandese, Erkki Liikanen98, che ha avuto il pregio di puntare lo sguardo sul tema che qui interessa: il gigantismo delle istituzioni finanziarie. Nel documento è infatti presente un’indagine sul fenomeno delle istituzioni di rilevanza sistemica svolta peraltro in concomitanza con i lavori dei consessi internazionali. Ebbene, nella lista pubblicata nel 2012 i gruppi conglomerali con capogruppo stabilite nell’Ue oppure nell’Area economica europea risultavano 57. Si segnala che nel Rapporto Liikanen vengono descritte le caratteristiche delle “Large and Systemically Important EU Banks”, per le quali si adotta la sigla “SIBs”, dal punto di vista sia qualitativo sia quantitativo con l’obiettivo di identificare i presidi prudenziali volti a ridurre la probabilità di un loro fallimento. Il Rapporto individua un insieme di 30 “Large EU Banks” (compresa la HSBC- Hongkong and Shanghai Banking Corporation, il conglomerato inglese con il cuore radicato però in Cina) peraltro individuate sulla base della metodologia del Comitato di Basilea e del Financial Stability Board, altro segnale importante della cooperazione e condivisione delle scelte regolamentari tra livello europeo ed internazionale. Anche nel Rapporto Liikanen l’attenzione si concentra su banche le cui difficoltà finanziarie o il cui fallimento potrebbero provocare significative interruzioni del sistema finanziario e delle attività economiche, in ragione della loro dimensione, complessità, interconnessione con altri enti finanziari, nonché dell’assenza di valide istituzioni in grado di accollarsi le loro attività99. La differenza di fondo tra banca “large” e “small” si rinviene nell’impatto piuttosto che sulla probabilità di fallimento, riconoscendo come difficoltà contemporanee di particolari categorie di banche potrebbero ugualmente avere ripercussione sistemiche (la mente allora andata alle cajas spagnole cui oggi potremmo aggiungere la crisi delle 4 piccole banche italiane del 2015). Rispetto però ai parametri dell’Fsb si nota un maggior grado di dettaglio, essi poggiano infatti su: 1) dimensione; 2) clientela, struttura dell’attivo e redditività (entra così in gioco il modello di banca, in Europa di tipo prevalentemente “universale”); 3) fonti di capitali e di raccolta; 4) assetto proprietario e corporate governance; 5) struttura
98 Si veda European Commission, High Level Expert Group on reforming the structure of the EU banking sector. Chaired by Erkki Liikanen. Final Report, cit. 99 Si veda p. 3.
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societaria e giuridica (si punta quindi l’attenzione anche sul gruppo di appartenenza); 6) ambito geografico e struttura organizzativa dell’attività bancaria cross-border (l’interesse va quindi sul grado di internazionalizzazione del business operativo). La maggiore specificazione dei dettagli giustifica le differenze riscontrabili sul piano concreto. Riguardo ad esempio alla realtà italiana, dal confronto tra le G-SIB individuate dal Fsb e le “large banks” presenti nel Rapporto Liikanen, emerge un ampliamento del raggio di azione europeo che ad Unicredit (unica banca italiana presente nella lista del Fsb) aggiunge i gruppi Intesa e MPS. Tutto ciò per evidenziare un limite del criterio dimensionale e come sia determinante trovare metodologie dotate di ampio grado di condivisione e di efficace forza attrattiva. Strada su cui in effetti si è poi mossa la regolamentazione internazionale che nel tempo ha fornito dettagli alle, e ampliato i confini delle, linee di intervento. Se, restando nello stesso arco temporale, guardiamo il fenomeno da altra angolazione e sovrapponiamo la lista delle G-SIB presenti nell’elenco del Fsb del 2013 con quella dei conglomerati finanziari individuati dal Joint Committee europeo nel 2012, riscontriamo una coincidenza solo per 6 istituzioni: Banque Populare CdE (società del gruppo BPCE), BNP Paribas, Group Crédit Agricole, Société Générale, Deutsche Bank, ING Bank (del gruppo ING); nel 2012 vi sarebbe stato anche Lloyds Banking Group. Se la stessa sovrapposizione la facciamo invece con la lista dei conglomerati finanziari pubblicata nel 2005 possiamo notare come il numero di questi ultimi sia diminuito nel corso del tempo: allora c’erano anche, oltre al Lloyds TSB, Banco Santander, HSBC, Nordea, Barclays; Royal Bank of Scotland e l’italiano Unicredit Group, oggi però attratti (e il punto va evidenziato) nel novero delle G-SIB. Rispetto all’Italia il confronto tra lista dei conglomerati del 2005 e quella del 2012 mostra anche l’uscita del Monte dei Paschi Siena e la permanenza tra i gruppi a prevalenza bancaria di Intesa San Paolo (nel 2005 presente nelle forme distinte di Gruppo Banca Intesa e San Paolo-IMI). Va evidenziato che dal 2016 i gruppi MPS ed Intesa risultano inseriti nella lista degli O-SII che costituiscono l’interfaccia europea delle D-SIB, rientrate (come visto nel § 2.3.1) nell’area di attenzione dei consessi internazionali. 3.3. Segue: l’affanno della regolamentazione rispetto agli intermediari finanziari di rilevanza sistemica e all’effetto “fuga”. Pur con la consapevolezza dei limiti di un’indagine giocata sul confronto tra “fotografie” scattate in tempi diversi e peraltro condizionati
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dagli effetti della grande e lunga crisi del nuovo millennio, proviamo a trarre qualche ulteriore considerazione dai dati sin qui esposti. La prima. Posto che i conglomerati finanziari sono gruppi caratterizzati da una significativa interconnessione tra comparto bancario e/o dei servizi di investimento con quello assicurativo, e che il sistema della vigilanza supplementare prevede strumenti aggiuntivi di controllo (rispetto a quelli applicati su base consolidata al gruppo c.d. “omogeneo”) tesi a presidiare i rischi connessi alla intersettorialità100, il progressivo ridimensionamento del numero dei conglomerati finanziari nel periodo considerato, e quindi del grado di commistione tra i diversi segmenti del mercato, evidenzia anzitutto un riposizionamento delle scelte strategiche degli intermediari giustificabile con la perdita di appeal di settori possibili oggetto di arbitraggi regolamentari, arginati con forme rafforzate di supervisione (in tal caso si è inciso soprattutto sul fenomeno della interconnessione tra settore bancario/mobiliare e assicurativo). Posto che anche per le G-SIFI, al cui interno hanno fatto il loro ingresso dal 2013 pure le imprese di assicurazione, a regime saranno applicabili sia requisiti aggiuntivi a livello patrimoniale sia più incisivi strumenti di vigilanza non si può escludere che un trend analogo di esclusione dall’elenco ovvero di passaggio ad una classe con minore assorbimento di capitale potrebbe coinvolgere anche tali imprese. I possibili riflessi della regolamentazione sul piano dimensionale darebbero così seguito ad uno degli auspici degli organismi internazionali (retro, § 2.4.1). Il grado di incertezza sui modi e sui tempi fanno però capire come rispetto all’obiettivo i mezzi possano essere poco incisivi. La seconda. Il confronto da cui siamo partiti evidenzia in effetti anche un (primo) limite della strada regolamentare a carattere prudenziale sin qui seguita per affrontare il fenomeno delle istituzioni di rilevanza sistemica: l’effetto “fuga” dei colossi finanziari intersettoriali dalle regole introdotte per i conglomerati finanziari unito alla loro successiva attrazione in quelle nuove previste per le SIFI dà prova della necessità per i “world standard-setters” di alzare continuamente il tiro per fronteggiare
100 Per approfondimenti si veda ampiamente Troiano, I conglomerati finanziari. Le forme di vigilanza, Padova, 2009; sia permesso il rinvio anche a Brozzetti, Un nuovo livello di vigilanza prudenziale sugli intermediari articolati in gruppo: prime riflessioni sul d.lgs. n. 142 del 2005, attuativo della direttiva 2002/87/CE sui conglomerati finanziari (parte I), e Id. Il sistema di vigilanza supplementare sui conglomerati finanziari nel d.lgs. n. 142 del 2005 (parte II), in questa Rivista 2007, I, rispettivamente pp. 81 ss., e 393 ss..
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i problemi connessi al gigantismo di istituzioni e gruppi finanziari ad operatività internazionale. Il processo regolamentare (lo si è accennato) coinvolge in effetti anche il rafforzamento delle disposizioni da applicare ai conglomerati finanziari: i lavori del Joint Forum troveranno una sintesi nel documento del settembre 2012 contenente i nuovi Principles for the supervision of financial conglomerates101. Se non si prevedono altri correttivi, è però evidente il rischio di restare invischiati in un circolo vizioso. Il “mito” della concentrazione bancaria al cui interno si sono mosse le istituzioni finanziarie a livello globale si è trasformato in un “incubo”102 anche perché è emerso che il “too big” può incidere non solo sulla possibilità di fallire ma anche su quelle di gestire in modo efficace ed efficiente una istituzione di rilevanza sistemica nonché di attuare sulla stessa adeguate modalità di supervisione e di risolvere in via preventiva eventuali stati di crisi ad essa inerenti. Abbiamo visto che le linee guida a livello regolamentare hanno posto molte delle basi per costruire i pilastri di una “buona” regolamentazione bancaria il cui impatto dipende però da come e quando saranno costruite tutte le mura necessarie a darle definitivo assetto. Qualche altro pilastro potrebbe comunque essere aggiunto. Si ricorda ad esempio l’idea/sfida lanciata in America da parte della Federal Reserve, con la proposta di integrazione della section 622 del Dodd-Frank Act con un coefficiente di concentrazione, volto a proibire progetti di fusione da cui possano scaturire istituzioni finanziarie le cui passività eccedano il 10% di quelle aggregate appartenenti a tutte le istituzioni finanziarie103. Un’altra possibile strada (aggiuntiva rispetto
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Il documento è disponibile al link http://www.bis.org/pbl/joint29.pdf. Come accennato poc’anzi in nota, nello stesso periodo anche in Europa si mette in moto una nuova revisione della direttiva 2002/87/CE, dopo quella avvenuta nel 2011. 102 Continuo a pormi questa domanda e resto convinta della risposta: rispetto all’ordinamento italiano la trasformazione da mito a incubo non c’è stata in forza della sua dotazione di un rigoroso sistema di regolamentazione/supervisione: Brozzetti, Concentrazione bancaria, ecc. cit., passim; altro ovviamente il discorso sulle regole in sé, portato di linee guida a carattere sempre più sovranazionale. Rispetto alle connessioni di una regolamentazione stratificata su più livelli si vedano i rilievi di S. Amorosino, I quattro gradi della supervisione bancaria: globale, europea, nazionale ed interna alle banche. Connessioni verticali e trasversali, in Brozzetti (a cura di), Riflessioni su banche e attività bancaria, immaginando il “futuribile”, Milano, 2016, p. 199 ss. 103 Si veda Federal Reserve System, Concentration Limits on Large Financial Companies, 12 CFR Part 225 - Regulation XX; Docket No. R-1489, RIN 7100-AE 18, May 2014, reperibile sul sito http://www.federalreserve.gov/. Alla base si pone il documento Study
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al coefficiente di leverage messo già in atto)104 probabilmente però non sufficiente per la costruzione di un sistema finanziario realmente resiliente. In un mercato globalizzato con sempre più correlate dinamiche istituzionali105 ed economiche (l’attenzione negli ultimi tempi è centrata, fra l’altro, sulle “guerre delle valute” alle prese con svalutazioni competitive, sulla crisi petrolifera che coinvolge anche l’operato dei fondi sovrani, protagonisti importanti del mercato finanziario; sui riflessi dei flussi migratori aggravati dai conflitti bellici nel processo di aggregazione europea, alla inimmaginabile Brexit), la tutela della stabilità non può prescindere: 1) dal peso smisurato del sistema finanziario nell’economia globale, dalla complessità del medesimo (contraddistinto da complicate ed opache interdipendenze) la quale ne aumenta le vulnerabilità, rende difficile la supervisione dei soggetti che vi operano minando la fiducia che deve necessariamente esserne alla base106, ed altresì
& Recommendations Regarding Concentration Limits on Large Financial Companies, Financial Stability Oversight Council Completed pursuant to section 622 of the DoddFrank Wall Street Reform and Consumer Protection Act, January 2011, in https://www. treasury.gov/initiatives/Documents/Study%20on%20Concentration%20Limits%20 on%20Large%20Firms%2001-17-11.pdf); per gli sviluppi si veda Concentration Limits on Large Financial Companies, Federal Reserve System, Final rule, 12 CFR Part 251, Regulation XX; Docket No. R-1489, RIN 7100-AE 18, in https://www.gpo.gov/fdsys/pkg/FR2014-05-15/pdf/2014-10956.pdf; qualche altra notizia al link http://financeandriskblog. accenture.com/regulatory-insights/regulatory-alert/concentration-limits-on-largefinancial-companies/. 104 Sull’importanza di regolare la leva nella “Torre di Basilea” si veda in particolare Haldane, The Dog and the Frisbee,” August, 2012, http://www.bankofengland.co.uk/ publications/Documents/speeches/2012/speech596.pdf, in part. p. 18. 105 Sugli aspetti giuridici delle “dinamiche globalizzanti” si veda in particolare Di Gaspare, Diritto dell’economia e dinamiche istituzionali2, Padova, 2015, in part. p. 259 ss.; ID., Teoria e critica della globalizzazione finanziaria, ecc., cit., in part. p. 95 ss. 106 Su questi temi è efficacemente intervenuto il direttore esecutivo del Fmi Carlo Cottarelli, La sostenibilità della crescita mondiale, nella lectio magistralis tenuta in occasione del Primo graduation day dell’Università di Siena svoltosi il 25 giugno 2016 (reperibile al link http://www.unisi.it/unisilife/notizie/graduation-day-online-la-lectiomagistralis-di-carlo-cottarelli), cfr. p. 1 s. Cottarelli ha posto l’indice sull’eccessiva dimensione del sistema finanziario, segnalando che negli USA, dal 1950 agli anni antecedenti la crisi, la quota del sistema finanziario in rapporto al PIL è quadruplicata senza che ciò si sia tradotto in un incremento della produttività dell’economia, l’effetto è stato anzi quello dell’aumento di bolle speculative (cfr. p. 1). Da segnalare il monito verso la salvaguardia della «fiducia» su cui «un sistema finanziario è necessariamente basato», cit. p. 2.
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2) da una maggiore attenzione verso la compresenza di più modelli di intermediazione, richiedenti risposte adeguate a far sì che il sistema finanziario sorregga l’economia reale, funzione da difendere, cui naturaliter sarebbe destinato107. Dal richiamo al fenomeno regolato possiamo trarre un ultimo dato, ad avviso di chi scrive, particolarmente importante: i paesi che hanno adottato riforme strutturali se messi a confronto con quelli sedi di GSIB risultano in larga parte sovrapponibili, il che spinge a chiedersi se la portata del processo di riforma dei consessi internazionali (ma, da quanto visto, anche europei) non avrebbe dovuto essere maggiormente incisivaanche su tale profilo.
4. Un level playing field sempre più vasto: ulteriori considerazioni e rinvio ad un nuovo progetto di studio. Con questo contributo si è cercato di individuare i percorsi seguiti dai consessi internazionali per la realizzazione di un level playing field sempre più ampio nell’intento di porre fine al “too big to fail”. Questo studio può costituire la base per sviluppare un confronto, ad esempio, con il parallelo processo di riforma europeo, al fine di rinvenire consonanze/sinergie oppure differenze tra i diversi livelli di riforma. È infatti ben noto che mediante l’Unione bancaria l’Europa ha inteso creare un contesto di riferimento unitario per tutte le banche dell’eurozona. In particolare, il Meccanismo di vigilanza unico (Mvu) condivide l’obiettivo degli “standard-setters” internazionali di eliminare l’azzardo morale che si annida nelle istituzioni che il mercato percepisce come parti integranti del medesimo. Si è costruita una effettiva vigilanza su base consolidata (attenzione sul fenomeno della concentrazione d’imprese) e si sono costituiti, rispetto ai gruppi transnazionali, meccanismi per una gestione più efficace del capitale, della liquidità e dell’operatività (con la grande crisi finanziaria sono emersi atteggiamenti di “ring fencing” da parte dei singoli stati, volti a non tener conto delle possibili ricadute delle proprie condotte nel mercato comune). Alla Bce è stata assegnata la vigilanza prudenziale su tutte le banche dell’eurozona (ap-
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Per alcune riflessioni d’assieme su tale profilo sia permesso il rinvio a Brozzetti, Considerazioni (sparse) su banche e attività bancaria, in questa Rivista, 2016, I, p. 261 ss.
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proccio unico c.d. one tier system), la quale diviene diretta sulle banche significative e su quelle cross-border; la stessa dispone inoltre del potere di dettare le linee di condotta per l’implementazione delle pratiche di vigilanza agli organismi di controllo nazionale. La progressiva definizione del single rulebook108, ove l’Autorità bancaria europea (Abe) ricomprende oltre al disposto normativo in materia bancaria (direttiva 2013/36/UE c.d. Crd 4 e Regolamento UE 575/2013, c.d.Crr, direttiva n. 2014/59/UE, c.d. Brrd, direttiva n. 2014/49/UE c.d. Dgsd) anche tutti gli atti legislativi che in applicazione dello stesso contribuiscono a prevenire le crisi, ha dato qualche maggiore certezza, uniformando la regolamentazione e la vigilanza109. Il single rulebook predisposto dall’Abe (coordinato anche con le altre regolamentazioni che affiancano o fanno da base d’appoggio all’Unione bancaria in quanto riferite al mercato finanziario ed ai soggetti che in esso operano) è in grado di racchiudere nel proprio ambito imprese finanziarie intese in un’accezione ampia nonché imprese madri e holding, permettendo così di sorvegliare il fenomeno dei gruppi omogenei/intersettoriali anche transnazionali. Lo scopo di abbracciare in modo più incisivo l’intero sistema finanziario in sede europea è stato raggiunto con i progressi realizzati, soprattutto tramite il Mvu e il Meccanismo di risoluzione unico (Mru), nella vigilanza su base consolidata, nonché, anche grazie alle autorità del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (Sevif) responsabili del quadro regolamentare sulle imprese di assicurazione e dei mercati
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Il richiamo alla paternità di Paoda-Schioppa del concetto di un single rulebook, basato sul principio dell’armonizzazione massima e di un più ampio ricorso allo strumento del regolamento, è fatto dall’allora vice presidente della Bce Constâncio, Towards a European Banking Union, nella Lecture held at the start of the academic year of the Duisenberg School of Finance, Amsterdam, 7 September 2012, cfr. p. 1. Sul sistema di vigilanza finanziario europeo si veda da ultimo Troiano, L’architettura di vertice dell’ordinamento finanziario europeo, in Pellegrini, a cura di, Corso di diritto pubblico dell’economia, Padova, 2016, p. 505 ss.. 109 Per una visione di assieme sulla vigilanza prudenziale dopo la riforma delle regole europee si vedano di recente Brescia Morra, Il diritto delle banche2, Bologna, 2016, p. 210 ss. e Lamandni e Muños, Eu Financial Law. An Introduction, Wolters Kluwer, 2016, in part. p. 183 ss. Sull’Unione bancaria si vedano invece da ultimo i saggi contenuti in Chiti e Santoro, a cura di, L’Unione bancaria europea, Pisa, 2016; D’Ambrosio, a cura di, Scritti sull’Unione Bancaria, n. 81 dei Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, 14 settembre 2016; cui adde per una visione d’assieme, Capriglione, Unione monetaria e ruolo della Bce. Unione bancaria europea, SSM, SRM, in Pellegrini, a cura di, Corso di diritto pubblico dell’economia, cit., p. 534 ss.; tra la letteratura straniera si rinvia, fra gli altri, a Busch e Ferrarini, edited by, European Banking Union, Oxford, 2015.
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finanziari, in quella supplementare propria del fenomeno conglomerale (tutt’ora in fase di revisione). È altrettanto noto che l’Unione bancaria trova un punto di contatto nel Rapporto Liikanen, sia perché si rivolge alle “significant institutions”, sia perché gli stessi strumenti della risoluzione, creanti in sede europea sinergie tra Crd 4-Crr/Mvu e Brrd/Mru, possono rappresentare un mezzo per affrontare un tema centrale quale quello delle misure a natura strutturali. Nel complesso la riforma in sede europea ha inteso assicurare una supervisione efficace, un rafforzamento degli strumenti di vigilanza ed una gestione (presunta efficiente) di un dissesto bancario, con la minimizzazione dei costi per i contribuenti110. L’osservazione dei tempi e dei temi qui oggetto di studio riferiti al piano internazionale e a quello europeo (particolarmente esposto al rischio connesso alla presenza di istituzioni di rilevanza sistemica), fornirebbe la misura della indispensabile convergenza tra i diversi livelli di regolazione con riguardo ad un tema ad impatto globale quale quello delle SIFI111. In effetti, il Mru ha potuto trovare il suo presupposto e il necessario complemento nell’armonizzazione (seppure impostata su livelli minimi ritenuti sufficienti) dei regimi nazionali di gestione delle crisi bancarie prevista dalla Brrd che fa perno su misure sia preventive, evitanti l’aggravamento di uno stato di malessere, sia di gestione di una crisi ormai conclamata, mediante ad esempio vendite di attività, creazione di una bridge institution e meccanismi di bail-in incidenti sui diritti dei creditori fino ad obbligarli a convertire i crediti in azioni. Anche l’Europa si è mossa sull’obiettivo di aumentare la capacità di sostenere le perdite in presenza di una crisi bancaria attraverso un’iniezione di liquidità garantita da ulteriori canali rispetto a quelli tradizionali (requisito mrel/
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Efficaci considerazioni critiche in merito al complessivo processo di riforma in sede europea in Capriglione, Regolazione europea post-crisi e prospettive di ricerca del “diritto dell’economia”: il difficile equilibrio tra politica e finanza, in Riv. trim. dir. econ., 2016, n. 1, p. 1 ss., passim. 111 Si legge ad esempio, «The BRRD is fully in line with the Financial Stability Board (FSB) recommendations», in European Commission, EU Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD): Frequently Asked Questions – MEMO, Brussels, 15 April 2014, in http:// europa.eu/rapid/press-release_MEMO-14-297_en.htm (al punto II sono invece segnalate le differenze con la normativa americana).
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tlac)112 nell’intento di ridurre la probabilità di crisi per l’intensificarsi del controllo sull’azzardo morale che spinge gli intermediari bancari verso attività sempre più rischiose. Un punto che nel complessivo processo di riforma merita ad avviso di chi scrive molta attenzione, è quello della permanenza di una totale fiducia nel mercato113 cui si affida sia il framework regolamentare europeo sia quello internazionale. Al mercato, quindi, va assegnato il compito di determinare il successo o meno delle soluzioni proposte114, che presuppongono lo sviluppo di investitori con la propensione al rischio richiesta. Il perdurare della crisi e l’assenza di un nuovo equilibrio macroeconomico al momento ha fatto tuttavia emergere soprattutto incertezze. Per concludere sul problema della soluzione delle crisi dei colossi finanziari a rilevanza sistemica, non può che segnalarsi come, in un contesto finanziario ed economico ormai globalizzato, guidato da mercati viepiù automatizzati, lo stesso si rapporti, oltre che ovviamente con gli strumenti apprestati, con il raggiungimento della massima aderenza agli standard elaborati da parte delle singole giurisdizioni. I risultati (come si è cercato di evidenziare) non sono stati sin qui soddisfacenti e pertanto difficilmente l’obiettivo della fine del “tbtf”, perseguito dai consessi internazionali con il pacchetto regolamentare che in questo lavoro si è cercato di ricostruire, può, ammesso che lo sia, ritenersi raggiunto. Del resto
112 Sottolineano l’importanza della presenza di più canali di liquidità Carlson, DuyganBump e Nelson, Why do we need both liquidity regulations and a lender of last resort? A perspective from Federal Reserve lending during the 2007–09 US financial crisis, in BIS Working Papers, No 493, February 2015, in http://www.bis.org/publ/work493.pdf, cfr. p. 23 ss. 113 Ma cos’è il mercato se non «la legge, che lo governa e costituisce; e prende forma dalla decisione politica e dalle scelte normative», direbbe Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, p. 12. Di recente vedasi, fra gli altri, Alpa, Il mercato come forma giuridica, in Riv. trim. dir. econ., 2015, n. 3, I, p. 211 ss. Della fiducia verso il mercato, del resto, è intrisa la stessa legislazione bancaria italiana. Ricorda il direttore dell’ABI che il t.u.b. del 1993 è nato, oltre che con una forte impronta europeista, «con il chiaro obiettivo di proiettare il sistema bancario italiano verso il mercato», segnando il passaggio «dai principi del mercato regolato al modello della banca-impresa società per azioni e alla vigilanza prudenziale», cosi Sabatini, Il cammino del settore bancario verso l’Europa: sviluppi e criticità, in Riflessioni su banche a cura di Brozzetti, cit., p. 73 ss. 114 Il Comitato di Basilea ha di recente lanciato una consultazione riguardo l’integrazione del terzo pilastro dell’accordo di Basilea con il requisito della “total lossabsorbing capacity”, cfr. BCBS, Consultative Document. Pillar 3 disclosure requirements – consolidated and enhanced framework, March 2016, in http://www.bis.org/bcbs/publ/ d356.pdf.
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se ne ha riprova nel Second Thematic Review on Resolution Regimes fatto nel 2016 dal Fsb, ove relativamente allo stato dei regimi di risoluzione delle istituzioni finanziarie recepiti nelle singole giurisdizioni si rileva che l’implementazione tempestiva ed efficace delle linee guida presenti nei “Key Attributes” risulta discrepante riguardo soprattutto all’assenza dei poteri relativi alla continuità delle funzioni essenziali dell’istituzione finanziaria, al bail-in e alla sospensione temporanea dei diritti di recesso anticipato115. In buona sostanza, l’arma più efficace per colpire l’obiettivo rischia di essere scarica al momento del bisogno. In un contesto di sostanziale stallo (si è in effetti riscontrato come i lavori dei consessi internazionali utilizzino spesso la tecnica del rinvio), appare anche necessario porsi alcune domande: a) la presunzione di presidiare l’impatto sistemico di una crisi può essere assoluta (come sembrano far credere gli standard-setter con il framework sulla fine del too big to fail)? b) i criteri scelti in ordine all’individuazione degli intermediari a rilevanza sistemica, i presidi di patrimonializzazione richiesti possono essere ritenuti efficaci? c) rispetto alla portata della riforma, esistono ulteriori anelli deboli oltre a quelli già intravisti della gestione delle crisi e della limitata attenzione al sistema d’intermediazione? d) dalla storia possiamo trarre qualche lezione utile? Teniamo aperte queste domande per una futura riflessione. Antonella Brozzetti
115 Il documento è del 18 marzo 2016 ed è disponibile al link http://www.fsb. org/2016/03/second-thematic-review-on-resolution-regimes/, cfr. l’introduzione. Il report è parte di una serie di “peer reviews” tesa a supportare l’implementazione dei Ka.
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Le altre facce del crowdfunding* Sommario: 1. Il crowdfunding: un’etichetta per molti volti. – 2. Una breve ricostruzione dell’evoluzione del crowdfunding. – 3. Il ruolo del “progetto”. – 4. I vari tipi di crowdfunding: il donation-based crowdfunding. – 4.1. Ambiti di applicazione degli oneri formali. – 4.2. Dinamiche e strumenti della formazione del consenso. – 4.3. Progetto e modo. – 4.4. Donazioni remuneratorie? – 4.5 Donation-based crowdfunding e procedure concorsuali. – 5. Il reward-based crowdfunding. – 5.1. Tra gratuità, liberalità e onerosità. – 5.2. Reward-based crowdfunding e vendita. – 5.3. Reward-based crowdfunding e associazione in partecipazione: cenni. – 6. Il lending-based crowdfunding: cenni comparatistici. – 6.1. Ricognizione della realtà italiana. – 7. Conclusioni.
1. Il crowdfunding: un’etichetta per molti volti. Nel confrontarsi con una fattispecie nuova per il nostro ordinamento giuridico, quale è il crowdfunding, è anzitutto opportuno fornirne una prima definizione1, non solo per consentire un indispensabile e
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Rielaborazione della relazione presentata al convegno La folla e l’impresa: un dialogo tra giuristi e aziendalisti sulle nuove dinamiche di co-creazione di valore e di finanziamento dell’impresa, svoltosi presso l’Università “Magna Graecia” di Catanzaro il 15 marzo 2015. Un’altra versione del testo è pubblicata nella raccolta degli atti intitolata La folla e l’impresa. Un dialogo sulle dinamiche di co-creazione di valore e strumenti di finanziamento dell’impresa, edita per i tipi della Cacucci di Bari, 2016. 1 Definizione che peraltro difetta nel nostro ordinamento positivo, a differenza di quanto avviene altrove in Europa. In Francia, il crowdfunding ha preso il nome di financement participatif e la relativa disciplina (ord., 30 maggio 2014, n. 2014-559 e dec. 16 settembre 2014, n. 2014-1053) copre in massima parte i modelli emersi nella pratica. Altrettanto esteso – e forse anche più dettagliato – si rivela il testo normativo portoghese (lei 24 agosto 2015, n. 102, attuata mediante il reg. 1/2016 dell’autorità di vigilanza e regolamentazione del mercato nazionale: Comissão do Mercado de Valores Mobiliários - CMVM), che designa il crowdfunding come financiamento colaborativo. L’adattamento spagnolo, invece, ricalca il lessico francese, optando per la denominazione financiación participativa (ley 27 aprile
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preliminare chiarimento sull’oggetto dell’indagine, ma anche per delimitarlo. Pur con inevitabile approssimazione, si può per ora dire che il crowdfunding, come emerge dalla prassi e dagli interventi normativi che sempre più riempiono i vuoti di un’ideale mappamondo giuridico, rappresenta quella particolare modalità di reperimento di contributi in denaro presso una moltitudine di potenziali sostenitori2 attraverso una piattaforma informatica in vista della realizzazione di un certo progetto. Tuttavia e forse anche in misura maggiore rispetto ad altri fenomeni economici che si sono prepotentemente imposti all’attenzione dei giuristi, il crowdfunding3 presenta una notevole serie di difficol-
2015, n. 5), ma il perimetro applicativo risulta più ristretto a confronto con gli altri due stati (nel preambolo alla legge si dichiara infatti: «El “crowdfunding” es un fenómeno con diversas manifestaciones, si bien sólo se pretende regular aquí las figuras en las que prime el componente financiero de la actividad o, dicho de otro modo, en las que el inversor espera recibir una remuneración dineraria por su participación, dejando por tanto fuera del ámbito de esta norma al “crowdfunding” instrumentado mediante compraventas o donaciones» e, si aggiunge, anche i «préstamos sin intereses» - art. 46, par. 2, lett. c). È degno di nota che nel Regno Unito il Crowdfunding and the promotion of non-readily realisable securities instrument 2014, pur ricomprendendo le due varianti “finanziarie” del crowdfunding, non ne fornisca mai una definizione (che tuttavia appare in un documento non avente valore legale della Financial Conduct Authority, in cui essa ha inoltre dichiarato che non rientrava nelle sue competenze regolare le altre tipologie di crowdfunding: FCA, A review of the regulatory regime for crowdfunding and the promotion of non-readily realisable securities by other media, 2015, p. 1, reperibile sul sito http://fca.org.uk). Analoga situazione si registra in Germania, ove il Kleinanlegerschutzgesetz, pur menzionando lo Schwarmfinanzierung come oggetto di affrancamento da una serie di previsioni del Vermögensanlagengesetz (tra cui specialmente l’obbligo di prospetto), non lo definisce mai. Una definizione “informale” a livello europeo si può leggere nella comunicazione della Commissione UE, COM(2014) 172, secondo la quale «per crowdfunding (finanziamento collettivo) si intende generalmente un invito pubblico a raccogliere fondi per un progetto specifico» (p. 1); la genericità di questa formulazione, però, la priva di una seria funzione conoscitiva e di capacità identificatrice rispetto ad altri fenomeni che potrebbero esservi fatti rientrare. Maggiori dettagli e precisazioni saranno forniti nel prosieguo in relazione alle specifiche tematiche trattate. 2 Qui e nel prosieguo si ricorrerà senza alcun intento qualificatorio ad una varietà di termini per identificare i soggetti che alimentano le iniziative promosse attraverso le piattaforme di crowdfunding, come anche le attribuzioni che essi effettuano. Ciò anche in considerazione del fatto che non sembra si stia affermando alcuna tendenza uniformante, né nella prassi, né a livello normativo. 3 Le origini di questo strumento di rastrellamento di capitali nella sua configurazione attuale sono recentissime e non si rinvengono piattaforme anteriori al 2003 (v. Schwienbacher e Larralde, Crowdfunding of small entreprenurial venues, in The Oxford handbook of entrepreneurial finance, New York, 2012, p. 371). Sebbene la parola stessa tradisca le radici anglosassoni – ed in specie statunitensi – del fenomeno, si può affermare che in Italia esistevano (ed esistono ancora) alcune piattaforme coeve alle
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tà di comprensione e di sistemazione dell’eterogeneo panorama che è sintetizzato in esso, una natura talmente composita che in ambito giuridico sconsiglierebbe anche solo l’accostamento sul piano della trattazione. Ciascuna delle varianti che convenzionalmente si distingue in seno a questo fenomeno, invero, trae la propria linfa da un’evoluzione socioeconomica diversa e chi prende parte ad un certo tipo di campagna di raccolta è mosso da finalità non solo distinte, ma spesso anche opposte a quelle che animano i sostenitori di un’altra specie di crowdfunding. Non solo, i ruoli svolti da ciascuno degli attori in queste dissimili manifestazioni e gli strumenti giuridici adoperati in esse variano notevolmente ed è quindi opportuno procedere per gradi, ricostruendo in primo luogo sinteticamente alcuni degli antecedenti che hanno portato all’insorgenza ed alla diffusione del crowdfunding, gettando così anche luce sulla peculiare dimensione teleologica delle sottospecie non regolamentate di crowdfunding. In secondo luogo, rimarcando i vari aspetti problematici derivanti dall’innesto di queste nuove modalità informatiche di raccolta di risorse finanziarie nel nostro contesto normativo in cui simili canali non erano neppure lontanamente immaginati, si descriveranno i tratti salienti delle forme di crowdfunding non regolamentate4 e si articoleranno delle
prime esperienze nordamericane, se non anche più risalenti (è il caso, ad esempio, di “Produzioni dal basso” – http://www.produzionidalbasso.com –, operante specialmente nel settore discografico e cinematografico sin dal 2005). Apparentemente, la prima piattaforma che abbia realizzato una raccolta secondo le modalità oggi riconducibili al crowdfunding è stata la statunitense “Artistshare” (http://www.artistshare.com) nel 2003: si è trattato in particolare della realizzazione di un album di musica jazz i cui contributori potevano accedere ad un sistema di ricompense (rewards) commisurate al crescente importo dei loro versamenti (ulteriori dettagli in So. Rossi, Crowdfunding en Europe: étude des modèles français et italien, in Nuovo dir. soc., 2015, 15, p. 67 ss.). 4 All’analisi dell’unica forma positivamente disciplinata di crowdfunding nel nostro paese sono dedicati gli studi di Bollettinari, Il crowdfunding: la raccolta del capitale tramite piattaforme on-line nella prassi e nella recente legislazione, in Nuovo dir. soc., 2013, 2, p. 9 ss.; Id., Disciplina della start-up innovativa, in Codice della società a responsabilità limitata, a cura di Cagnasso e Mambriani, Roma, 2015, p. 954 ss.; Manzi, Il fenomeno del crowdfunding e del social lending: caratteristiche operative e profili contrattuali, in I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione, Milano, 2013, p. 389 ss.; M. Pinto, L’equity based crowdfunding in Italia al di fuori delle fattispecie regolate dal “Decreto Crescita”, in Le società, 2013, p. 818 ss., spec. 822 ss.; Ferrarini, I costi dell’informazione societaria per le PMI: mercati alternativi, «crowdfunding» e mercati privati, in AGE, 2013, n. 1, p. 217 s.; Capelli, L’equity based crowdfunding e i diritti del socio, in Riv. ODC, 2014,
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riflessioni specificamente rivolte a cogliere i profili critici che esse pongono rispetto alla cornice giuridica preesistente. Per poter procedere in questo senso, si terranno in considerazione le condizioni contrattuali
1, p. 1 ss., disponibile sul sito http://www.rivistaodc.eu; Fregonara, Il crowdfunding: un nuovo strumento di finanziamento per le start up innovative, ivi, p. 1 ss. (nonché in Ead., La start up innovativa. Uno sguardo all’evoluzione del sistema societario e delle forme di finanziamento, Milano, 2013, p. 92 ss.); Ead., Il restyling del regolamento CONSOB in tema di equity crowdfunding, in Nuovo dir. soc., 2016, n. 6, p. 33 ss.; Ead., “Orientarsi” nella disciplina work in progress della start up innovativa s.r.l., ivi, n. 8, p. 26 s.; R. Caratozzolo, La disciplina italiana dell’equity crowdfunding: tra incentivazione degli emittenti e tutela degli investitori, in Riv. trim. dir. econ., 2013, I, p. 256 ss.; Assonime, L’impresa start up innovativa, circ. 11/2013, in Riv. soc., 2013, p. 795 ss.; Ottolia, L’equity crowdfunding tra incentivi al reperimento di capitale di rischio per start up innovative e responsabilità, in Dir. banc., 2014, p. 43 ss.; Troisi, Crowdfunding e mercato creditizio: profili regolamentari, in Contr. e impr., 2014, p. 528 ss.; Girino, Le regole del crowdfunding, in Amm. e fin., 2014, p. 75 ss.; Vitali, Equity crowdfunding. La nuova frontiera della raccolta del capitale di rischio, in Riv. soc., 2014, p. 371 ss.; Mosco, La nuova regolamentazione dell’equity crowdfunding, in Crowd Future. Aspetti giuridici del crowdfunding, 2014, p. 6 ss., disponibile sul sito http://www.crowdfundingitalia.com; Mangione, Equity crowdfunding e diritto dell’intermediazione finanziaria, ivi, p. 18 ss.; C.A. Nigro, Equity crowdfunding e diritto societario, ivi, p. 28 ss.; Enriques, La disciplina italiana uccide il crowdfunding nella culla, ivi, p. 72 ss.; Santoro, Tonelli, Equity crowdfunding ed imprenditorialità innovativa, in Riv. dir. banc., 2014, p. 8 ss.; Benazzo, La s.r.l. start-up innovativa, in Nuove leggi civ. comm., 2014, p. 101 ss.; Guaccero, La start-up innovativa in forma di società a responsabilità limitata: raccolta del capitale di rischio ed equity crowdfunding, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, I, p. 703 ss.; Amato, Due nuovi modelli contrattuali: il cloud computing e l’equity based crowdfunding, in L’attuazione delle obbligazioni in internet, a cura di V. Donato e Ger. Romano, Napoli, 2014, p. 474 ss.; Hanks, Gio. Romano, Tonelli, Madness of the crowds or regulatory preconception?: the weak foundation of financial crowdfunding regulation in the US and Italy, in European company law, 2014, Vol. 11, No. 5, p. 237 ss., spec. 241 ss.; Brodi, Motterlini, Choice architecture matters: the case of investor protection within the italian crowdfunding market, ivi, p. 265 ss.; Lamberti, The financing to new companies: peculiarities of innovative start-up companies and the equitybased crowdfunding in Italy, in Nuovo dir. soc., 2015, 2, p. 34 ss.; So. Rossi, Crowdfunding en Europe, cit., p. 69 ss.; R. De Luca, Il crowdfunding: quadro normativo, aspetti operativi e opportunità, documento della Fondazione Nazionale dei Commercialisti, 2015, p. 8 ss., reperibile sul sito http://www.fondazionenazionalecommercialisti.it; Annunziata, PMI, quotazione, crowdfunding, relazione per il XXIX Convegno di studio “Adolfo Beria di Argentine” - I modelli di impresa societaria fra tradizione e innovazione nel contesto europeo, svoltosi a Courmayeur il 18 e 19 settembre 2015, p. 8 ss., consultabile sul sito http://www.cnpds.it; Passador, Crowdfunding: tra profili di adeguatezza ed appropriatezza e profili di applicabilità all’aumento di capitale, in Banca, impresa, soc., 2015, p. 287 ss., spec. 310 ss.; d’Ippolito, Musitelli, Sciarrone Alibrandi, Protecting crowdfunders: is a MiFID-mimicking approach appropriate?, in corso di pubblicazione su European company law, 2015, p. 11 ss., consultato grazie alla cortese disponibilità degli autori; Guizzardi,
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proposte da alcune piattaforme italiane e le esperienze maturate in altri ordinamenti giuridici. Da ultimo, una puntualizzazione relativa al titolo del presente scritto ed ai limiti dell’analisi condotta: poiché si è già in altra sede5 affrontato lo studio della disciplina italiana della raccolta di capitali di rischio per le start-up innovative6 (ed oggi anche per le PMI7) mediante portali online e
L’impresa start up innovativa costituita in forma di s.r.l., in Giur. comm., 2016, I, p. 564 ss., 570 ss.; Mosca, Collocamento e offerta al pubblico. Riflessioni su una relazione non strettamente necessaria, in Riv. soc., 2016, p. 679 ss. Alcune considerazioni sulla disciplina italiana sono rinvenibili anche in Macchiavello, Peer to peer lending ed informazione: la tutela dell’utente online tra innovazione finanziaria, disintermediazione e limiti cognitivi, in Dir. banc., 2015, p. 257 ss., che è per il resto dedicato al crowdfunding “creditizio”. Nel volume La folla e l’impresa. Un dialogo sulle dinamiche di co-creazione di valore e strumenti di finanziamento dell’impresa, a cura di Colurcio e Laudonio, Bari, 2016, si segnalano inoltre sull’argomento i contributi di Mosco e Salvatore sul versante giuridico, e, sul versante aziendalistico, quello di Trotta e Carè. Sia consentito, infine, di rinviare a Laudonio, La folla e l’impresa: prime riflessioni, in Riv. ODC, 2014, 1, p. 1 ss., consultabile sul sito http://www. rivistaodc.eu, nonché in una versione aggiornata ed ampliata in Dir. banc., 2014, p. 357 ss. 5 Per i riferimenti si veda la nota precedente, in fine. 6 Sul più recente assetto della disciplina di start-up e PMI innovative, oltre ai contributi di Marasà, Mosco e Salvatore nel volume La folla e l’impresa. Un dialogo, cit., si vedano in particolare le riflessioni di Cossu, Nuovi modelli di s.r.l. nella legislazione italiana recente, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, I, p. 470 ss. (e con specifico riguardo all’equity crowdfunding: p. 473 ss., 478 ss.); M. Cian, op. ult. cit., p. 969 ss. 7 Le PMI innovative sono state introdotte nel nostro ordinamento dall’art. 4 d.l. 3/2015. Nella prospettiva della realizzazione di operazioni di equity-based crowdfunding non sono state apportate nella normativa primaria significative novità rispetto alla preesistente disciplina delle start-up innovative, se non per quanto riguarda una serie di deroghe di carattere transitorio concernenti la sottoscrizione e la successiva circolazione di quote di s.r.l. che assumano la veste di start-up o di PMI innovative (art. 4, co. 10, lett. c-ter, d.l. 3/2015, modificativo dell’art. 100-ter t.u.f.). Lo scopo è quello di porre rimedio ad un problema posto in evidenza da molti operatori ed autori in dottrina, ossia la difficoltà di dar vita ad un mercato secondario liquido di quote di s.r.l., stanti le formalità che riguardano il loro trasferimento. La soluzione offerta, però, lascia a desiderare perché: a) le eccezioni aperte alla disciplina ordinaria sono a termine (il regime circolatorio agevolato, infatti, cessa di trovare applicazione decorsi due anni dalla perdita della qualità di startup e ciò, pare doveroso concludere, vale anche per le PMI innovative benché l’art. 100ter, co. 2-quinquies, t.u.f. non le menzioni: cfr. M. Cian, Società start-up innovative e PMI innovative, in Giur. comm., 2015, I, p. 979, nt. 17 e 980 s.) e quindi, se non si realizza una trasformazione in s.p.a. e la sua “apertura” al mercato dei capitali di rischio (art. 2325-bis c.c.), gli investitori minoritari corrono il rischio di rimanere vincolati alla s.r.l.; b) questo micro-sistema di regole speciali, pur ispirandosi a quello della dematerializzazione delle azioni (artt. 83-bis ss. t.u.f.; l’accostamento è presente anche in M. Cian, op. ult. cit., p. 973, 982; N. De Luca, Crowdfunding e quote “dematerializzate”di s.r.l.? Prime considerazioni, in Nuove leggi civ. comm., 2016, p. 1 ss.; Guizzardi, L’impresa start up, cit., p. 579 ss.), da
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gli altri lavori noti si sono per lo più concentrati su tale normativa, questo contributo è dedicato all’approfondimento degli aspetti del crowdfunding che la legge italiana non contempla, al fine di comprenderne i margini di utilizzabilità e sviluppo e, al tempo stesso, i punti problematici e forse meritevoli di attenzione da parte del legislatore.
2. Una breve ricostruzione dell’evoluzione del crowdfunding. L’evoluzione informatica e la crisi finanziaria iniziata nel 2007 sono generalmente indicate quali le due principali concause che hanno por-
un lato, non si sgancia completamente dal rilievo del registro delle imprese (nel quale gli intermediari risulteranno intestatari delle quote per conto dei loro clienti), mentre, dall’altro, manca di un pezzo essenziale di quell’architettura, ossia una società di gestione accentrata, il cui ruolo garantisce la coerenza dei conti e minimizza il rischio di sovraemissione o sovracircolazione; c) sempre diversamente dal regime di dematerializzazione, l’adozione di questo sistema di circolazione non dipende dalla società emittente, bensì dall’investitore (sia in “entrata”: art. 100-ter, co. 2-bis, lett. b, t.u.f., sia in “uscita”: art. 100-ter, co. 2-bis, lett. b, n. 4, t.u.f.) e può quindi non interessare la totalità delle quote emesse, introducendo un’improvvida diversificazione di discipline circolatorie contemporaneamente applicabili e frustrando l’originario scopo agevolativo; d) sorprendentemente tutti i contratti tra investitori ed intermediari abilitati relativi a sottoscrizioni, acquisti e alienazioni di quote rappresentative del capitale di start-up o di PMI innovative (nonché di strumenti finanziari emessi da esse, benché sia testualmente disposto che le regole dell’art. 100-ter, co. 2-bis, t.u.f. trovino applicazione solo con riguardo alle quote di partecipazione al capitale) sono esenti dalla forma scritta di cui all’art. 23, co. 1, t.u.f., con conseguente estrema difficoltà di confutare sul piano probatorio trasferimenti illegittimi e di accertare l’identità degli effettivi soci; non vi è inoltre alcun raccordo con le previsioni del codice del consumo (d.lgs. 206/2005), le quali, sia pure con ambito soggettivo e fini diversi, continuano ad essere applicabili (si pensa specialmente alla comunicazione delle condizioni contrattuali - art. 67-undecies - ed all’onere del fornitore di servizi finanziari a distanza di provare che il consumatore ha prestato il proprio consenso alla conclusione del contratto - art. 67-viciessemel); e) la natura privata degli intermediari, unita a potenziali conflitti di interesse e combinata alla prevedibile disomogeneità dei registri da essi tenuti potrebbe da ultimo alimentare una costante incertezza sulla composizione della compagine sociale ed acuire una serie di conflitti legati alla circolazione delle quote, altrimenti inconfigurabili nell’ordinaria disciplina delle s.r.l. (si veda anche N. De Luca, op. loc. ult. cit.). Saluta invece con favore la novità normativa R. De Luca, Il crowdfunding, cit., p. 14 s. Con l’occasione, per completezza, si avverte il lettore che la legge di stabilità (l. 232/2016) ha improvvidamente modificato il t.u.f. consentendo a tutte le «PMI come definite dalla disciplina dell’Unione Europea» (art. 1, co. 70, lett. a, b, c) di realizzare operazioni di equity crowdfunding, con evidente disallineamento rispetto alla nozione di PMI innovativa ed imprevedibili ripercussioni sistematiche e nella pratica degli affari.
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tato all’affermazione del crowdfunding8. Se è pur vero che si possono riscontrare nella realtà economica anteriore all’inizio del XXI secolo fenomeni di raccolta di fondi o di investimenti presso il pubblico realizzati attraverso mezzi di comunicazione a distanza (telefono, cellulare, la stessa internet…), bisogna distinguere, da un lato, tra meri antecedenti, che possono sì presentare qualche profilo di contatto con il fenomeno studiato, ma complessivamente si rivelano diversi ed irriducibili sia intrinsecamente, sia per il contesto in cui si sono realizzati, e, dall’altro, effettivi precursori del crowdfunding9. Vi è tuttavia una certa continuità tra i settori di prima insorgenza del crowdfunding ed ambiti in cui già in precedenza era conosciuto ed affermato l’appello alla pubblica contribuzione: ci si riferisce in questo senso alla filantropia ed al mecenatismo10. In effetti, nel primo di questi ambiti l’avvento di internet non ha fatto altro che segnare un amplia-
8
Una documentata ricostruzione a livello istituzionale si può leggere in Kirby, Worner, Crowd-funding: an infant industry growing fast, IOSCO staff working paper n. SWP3/2014, 2014, p. 12 ss., reperibile sul sito http://www.iosco.org. Sulla fascia di fabbisogno economico lasciata scoperta dalle fonti di finanziamento “informale” (ci si riferisce alla famiglia ed agli amici dell’imprenditore) e da quelle ordinarie (banche, società finanziarie - specie quelle attive nel c.d. venture capital – , business angels…) che il crowdfunding sta occupando, cfr. tra tanti Bruton ed altri, New financial alternatives in seeding entrepreneurship, in Entrepreneurship Theory and Practice, Vol. 39, No. 1, 2015, p. 14; Gabison, Understanding crowdfunding and its regulations, Report EUR 26992, 2015, p. 7, 26 ss., consultabile sul sito http://ec.europa. eu; Alvarez Royo-Villanova, El «equity crowdfunding» o financiación en masa de inversión: importancia, problemas y opciones en su regulación, in Cuad. der. com., 2014, n. 61, p. 21 ss.; World Bank, Crowdfunding’s potential for the developing world, 2013, p. 16, leggibile sul sito http://www.infodev.org; Collins e Pierrakis, The venture crowd: crowdfunding equity investment into business, London, 2012, p. 17 s., leggibile sul sito http://www.nesta.org.uk; Hornuf e Klöhn, Crowdinvesting in Deutschland, in ZBB, 2012, p. 238; Schwienbacher e Larralde, Crowdfunding, cit., p. 375 ss. 9 Per efficaci considerazioni sulla differenza tra origini e precedenti degli istituti giuridici, si veda Santarelli, Mercanti e società tra mercanti3, Torino, 1998, p. 174 s., ripreso anche da Teti, Il rapporto partecipativo tra passato e presente: riflessioni a margine di un libro recente, in Riv. dir. comm., 2008, I, p. 1126 s., testo e nt. 6. 10 Nella dottrina aziendalistica G. Giudici ed altri, Crowdfunding in Italy: state of the art and future prospects, in Econ. pol. ind., 2013, p. 182 s., ricorrono a questa terminologia per qualificare le due macro-aree del crowdfunding in cui i sostenitori effettuano le loro attribuzioni senza attendere un corrispettivo finanziario ed evidenziano che a metà 2013 a tali aree si poteva ascrivere l’87,6% dei progetti pubblicati su piattaforme italiane. Ribadiscono il ruolo pionieristico nel crowdfunding dei settori artistico e creativo Agrawal ed altri, Some simple economics of crowdfunding, 2013, NBER working paper, p. 3, reperibile sul sito http://www.nber.org.
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mento degli strumenti accessibili agli enti benefici per rendere conoscibili i loro progetti ed attività e procedere ad effettuare la raccolta delle offerte necessarie, con un’importante ricaduta accessoria: un sensibile abbassamento – o anche un azzeramento – dei costi di intermediazione. I vantaggi dell’accesso diretto ad un ampio ventaglio di erogazioni solidaristiche, comunque, non sono rimasti esclusivo appannaggio degli enti collettivi a vocazione benefica, in quanto si sono prontamente affacciate agli orizzonti del crowdfunding piattaforme più o meno specializzate che consentono anche a singoli individui o a collettività bisognose di pubblicizzare la loro domanda di mezzi economici e quindi intercettare il flusso di risorse potenzialmente destinate a fini altruistici. Nel settore artistico e culturale, invece, il cambiamento non si è registrato solo sul versante strumentale. Al di là della mera (chance di) visibilità offerta agli autori dall’enorme strumentario internautico, il crowdfunding si è rivelato suscettibile di alterare il ruolo dei potenziali destinatari da meri fruitori a partecipanti in vario modo coinvolti nell’iniziativa creativa: da una funzione basilare di ausilio alla selezione ed emersione di un’offerta che sarà poi destinata alla generale platea di consumatori11 si può arrivare a livelli di coinvolgimento sempre più sofisticati che possono portare gli estimatori più dotati (non solo fi-
11
La notazione è presente in Ordanini ed altri, Crowdfunding: transforming customers into investors through innovative service platforms, in J. Serv. Man., 2011, Vol. 22, No. 4, p. 443 ss. (consultato nella versione disponibile sul sito http://didattica.unibocconi.it: p. 8). Oltre agli autori già citati supra, sub nt. 3, altre informazioni sui profili motivazionali che possono spingere a partecipare alle diverse campagne di crowdfunding possono rinvenirsi in Agrawal ed altri, Crowdfunding: geography, social networks, and the timing of investment decisions, in J. Econ. Man. Strat., 2015, Vol. 24, No. 2, p. 258, 272; Id., Some simple economics, cit., p. 14 s.; Hornuf e Schwienbacher, Funding dynamics in crowdinvesting, 2015, p. 9 ss., disponibile sul sito http://www.ssrn.com; Allison ed altri, Crowdfunding in a prosocial microlending environment: examining the role of intrinsic versus extrinsic cues, in Entrepreneurship Theory and Practice, 2015, Vol. 39, No. 1, p. 56 ss.; Cholakova e Clarysse, Does the possibility to make equity investments in crowdfunding projects crowd out reward-based investments?, ivi, p. 145 ss., spec. 149 ss.; Danmayr, Archetypes of crowdfunding, Wiesbaden, 2014, p. 35 ss.; Bretschneider ed altri, Motivations for crowdfunding: what drive the crowd to invest in start-ups, 2014, p. 2 ss., leggibile sul sito http://aisel.aisnet.org; Galak ed altri, Microfinance decision making: a field study of prosocial lending, in J. Man. Res., 2011, Vol. 48, No. Spec., p. 130 ss.; Herzenstein ed altri, Tell me a good story and I may lend you my money: the role of narratives in peer-to-peer lending decisions, ivi, p. 138 ss.; Harms, What drives motivation to participate financially in a crowdfunding community?, 2007, p. 18 ss., tesi di master disponibile sul sito http://www.ssrn.com.
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nanziariamente) all’integrazione nel concepimento e nella realizzazione dell’opera artistica stessa (così sconfinando nel c.d. crowdsourcing12). Le raccolte destinate a questo tipo di iniziative hanno inoltre provocato, come si accennava, mutamenti più o meno sensibili in taluni settori industriali (editoriale, discografico, cinematografico…), che non detengono più una posizione monopolistica di filtro tra gli autori ed il mercato, dal momento che i primi possono accedere a forme di sondaggio diretto del gradimento della propria opera ed a strumenti di creazione e distribuzione di gran lunga superiori all’autoproduzione. Questi rilievi preliminari concernenti le più risalenti manifestazioni del crowdfunding (in generale ascrivibili al donation-based crowdfunding) evidenziano univocamente un dato comune che sarà ulteriormente confermato anche nel seguito di quest’analisi e che verte sulla centralità del mezzo informatico nelle operazioni di raccolta. Proprio la rilevanza dell’ambiente in cui si manifestano e vengono concluse tali operazioni, però, introduce alla prima criticità cui si è fatto un cenno in esordio: il confronto con un quadro ordinamentale nel quale il solenne formalismo della donazione domina il più ampio panorama dei contratti gratuiti liberali (art. 809 c.c.), anche in ragione dell’impianto paternalistico del codice civile, che intende sollecitare la ponderazione delle parti – e specialmente del donante – sugli effetti negoziali ed agevolare al tempo stesso una valutazione estrinseca sulla libera determinazione alla manifestazione di volontà e sulla sussistenza dell’elemento causale. Tornando per il momento alla ricostruzione delle vicende che hanno portato all’emersione del crowdfunding, si deve sottolineare il pressoché contestuale avvio dello sviluppo di un diverso modello al suo interno, alle volte combinato alle prime campagne di raccolta sin qui descritte: vi è stato, in particolare, uno spontaneo passaggio dall’offerta di premi e ricompense (c.d. reward-based crowdfunding) alla partecipazione ai profitti di coloro che avevano avviato la raccolta13.
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Ossia nel processo mediante il quale un soggetto (generalmente un imprenditore, ma non solo: si può trattare anche di governi nazionali, singoli individui, organizzazioni non lucrative…) richiede collaborazione nella risoluzione di un problema o apre il proprio processo decisionale/produttivo a contributi volontari esterni, generalmente raccolti presso una collettività di soggetti operanti su internet. Per ulteriori approfondimenti ed opportuni riferimenti bibliografici su questo fenomeno, la cui portata, lo si anticipa, non è limitata al campo delle arti o ad altre attività intellettuali e creative, si veda il contributo di Colurcio nel volume La folla e l’impresa. Un dialogo, cit. 13 Il rilievo è leggibile anche in Bruton ed altri, New financial, cit., p. 12.
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Come giustamente rilevato dagli studiosi di discipline economiche, da qui alla realizzazione di autentiche operazioni di finanziamento (lending-based crowdfunding) o di investimento14 (in partecipazioni sociali: equity-based crowdfunding) il passaggio è stato relativamente breve e condizionato oltretutto dall’eccessivo costo dell’accesso alla quotazione su mercati regolamentati e dalla contrazione nell’erogazione del credito da parte degli attori istituzionali nelle economie avanzate legata alla già ricordata crisi del 200715. D’altro canto, se prima della diffusione e dell’affinamento di internet era tecnicamente problematico replicare l’operatività delle imprese bancarie senza ingenti investimenti, il venir meno di questa barriera non ha rappresentato il superamento di tutte le difficoltà, poiché per effetto di una lunga e complessa vicenda storicogiuridica su cui non ci si può soffermare in questa sede, l’attività bancaria è oggi un’attività riservata in gran parte del mondo (come anche in Italia: art. 10, co. 2, t.u.b.), e ciò allo scopo di consentire una vigilanza sui singoli operatori e sul mercato del credito nel suo complesso funzionalizzata alla tutela di interessi generali. Analoga considerazione può ripetersi riguardo al mercato finanziario, nel quale l’introduzione di una specifica autorità di vigilanza e la crescente portata applicativa e complessità della normativa di settore hanno provocato, anche in reazione alla crisi del 2007, un irrigidimento nell’accesso alle relative attività (pure queste in larga misura riservate), sebbene in un’ottica parzialmente divergente da quella adottata in ambito bancario, in quanto si registra una particolare focalizzazione sulla fiducia nel sistema finanziario e sulla riduzione delle asimmetrie informative.
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Per ulteriori riflessioni in merito a queste categorie sul piano giuridico, v. G. Ferri jr., Investimento e conferimento, Milano, 2001, p. 25 ss., 45 ss., 465 ss. 15 Sull’innovazione nell’ambito dei mezzi di finanziamento alternativi come derivazione dai contesti istituzionali di riferimento ed al tempo stesso come reazione all’assottigliamento degli ordinari canali di accesso ai capitali di rischio e di credito, si veda Bruton ed altri, New financial, cit., p. 10 ss., i quali prendono parallelamente a riferimento il microcredito, il crowdfunding, ed il peer-to-peer lending; Agrawal ed altri, Are syndicates the killer app of equity crowdfunding?, MIT Sloan School working paper n. 5126-15, 2015, p. 6 ss., consultabile sul sito http://www.ssrn.com, evidenziano la capacità delle prime piattaforme di equity-based crowdfunding di consentire agli emittenti una diffusione standardizzata degli elementi fondamentali del proprio business plan a livello globale (come già evidenziato in ID., Crowdfunding: geography, cit., e in ID., Some simple economics, cit.), superando le limitazioni geografiche istituzionalmente associate al c.d. angel investing (fatti ovviamente salvi i condizionamenti derivanti dalla regolazione del mercato finanziario).
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Non solo entrambi questi settori, quindi, sono oggetto di un’ampia regolamentazione a livello nazionale e sovranazionale, ma questa, secondo un’osservazione presente in tutta la letteratura giuridica ed economica sul tema, sovente si traduce nel principale ostacolo all’affermazione di modalità alternative di reperimento di capitali, che stentano nel loro avvio proprio a causa di un contesto giuridico avverso16. Quest’ultimo rilievo si dimostra particolarmente vero per quella variante di crowdfunding attraverso cui le società richiedenti sollecitano indifferenziatamente il pubblico all’investimento nel proprio capitale attraverso le apposite piattaforme internautiche: in Europa quest’attività è difatti strutturalmente indistinguibile dall’offerta al pubblico di prodotti finanziari, o, se riguardata nell’ottica delle piattaforme, dalla prestazione di servizi di investimento (specialmente sul versante della ricezione e
16
Osserva peraltro Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 225, che «una tendenza attuale delle riforme post-crisi a livello internazionale consiste proprio nel sottoporre a regolazione soggetti prima esclusi e svolgenti attività vicina a quella bancario-finanziaria». Le difficoltà derivanti dal confronto con il contesto regolatorio, poi, sono esacerbate dalla dimensione transfrontaliera che le campagne di crowdfunding facilmente possono raggiungere, nella misura in cui le differenze intrinseche ed interpretative di ogni ordinamento giuridico potrebbero scoraggiare, se non precludere completamente la possibilità di attingere fondi da soggetti residenti in stati diversi da quelli in cui si trova il richiedente o dove ha sede la piattaforma online. Al riguardo, è invero frequente che svariati gestori di piattaforme, pur di non dover affrontare il “rischio legale” derivante dall’individuazione del diritto applicabile e dai connessi conflitti tra norme imperative negli ordinamenti coinvolti, vietino espressamente la partecipazione alle campagne da parte di soggetti residenti all’estero (come collettori o anche come erogatori). Ulteriori considerazioni al riguardo sono svolte in Kirby e Worner, Crowd-funding, cit., p. 20, in cui si sottolinea che «the majority of business models for both peer-to-peer lending and equity crowd-funding choose to market themselves in only one locality» ed a p. 42 si indica che la ragione di ciò risiede principalmente nell’incertezza sul diritto applicabile. Nonostante si possano senz’altro evocare anche altri fattori, in Europa vi è evidenza statistica che il “rischio legale” incide sulla dimensione transfrontaliera del fenomeno, rappresentata da una percentuale degli apporti raccolti assai bassa rispetto al totale (8,5% nel 2013 e 7.3% nel 2014, secondo quanto riportato nello studio della Commissione UE, Crowdfunding: mapping EU markets and events study, 2015, p. 29 ss., disponibile sul sito http://ec.europa.eu; sempre la Commissione UE, Libro verde. Costruire un’Unione dei mercati dei capitali, COM(2015) 63 final, p. 17 s., ha evidenziato i legami tra scarsa diffusione transfrontaliera del crowdfunding ed incompatibilità tra legislazioni nazionali). Un altro studio concernente l’anno 2014, sebbene basato su un diverso sistema di misurazione, conferma il ridotto peso di raccolte ed erogazioni internazionali in Europa: Wardrop ed altri, Moving mainstream. The european alternative finance benchmarking report, Cambridge, 2015, p. 23, disponibile sul sito http://ec.europa.eu.
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trasmissione di ordini17: considerando n. 20 ed artt. 3, secondo trattino, e 19, par. 6, dir. 2004/39/CE – MiFID; considerando n. 44 e 80 ed artt. 3, par. 1, lett. b, e 25, par. 4, dir. 2014/65/UE – MiFID 2), e così è suscettibile di attrarre l’applicazione di tutta la disciplina che le riguarda18 e, conseguentemente, anche di quegli ingenti costi cui ci si voleva sottrarre19. Il risultato è che quest’ultima specie di crowdfunding, già peculiare per le elevate dimensioni medie delle campagne e delle offerte raccolte rispetto alle altre operazioni che condividono questo nome, sembra essere destinata alla realizzazione di un tipo di iniziative da parte di una platea di investitori completamente diversi20. Non è in particolare un caso che proprio in quest’ambito, geneticamente caratterizzato per un’elevata somiglianza con i moduli operativi ti-
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Si veda anche l’opinione di Mosco nel volume La folla e l’impresa. Un dialogo, cit. Per un’efficace sintesi del complesso di norme dell’Unione Europea che potenzialmente intercettano l’attività svolta da una piattaforma di crowdfunding, v. EBA, Opinion of the European Banking Authority on lending-based crowdfunding, EBA/Op/2015/03, 2015, p. 24 ss.; ESMA, Investment-based crowdfunding. Opinion, ESMA/2014/1378, p. 13 ss.; Commissione UE, COM(2014) 172, p. 6 ss. Sostiene invece Vitali, Equity crowdfunding, cit., p. 377 che «in via generale, può rilevarsi che il fenomeno non risulta ricadere nell’ambito delle discipline ‘armonizzate’ e, in particolare, sotto il profilo della sollecitazione all’investimento, alla Direttiva Prospetto, alle regole MiFID e alla direttiva Transparency». 19 Per riflessioni su questo aspetto, v. Ferrarini, I costi dell’informazione societaria, cit., p. 213. Cui adde con riguardo al mercato statunitense le informazioni riportate da Heminway e Hoffman, Proceed at your peril: crowdfunding and the Securities Act of 1933, in Tenn. L. Rev., 2011, Vol. 78, No. 4, p. 908 ss., testo e note 144-148 per ulteriori riferimenti; Schwarz, Crowdfunding securities, in Notre Dame L. Rev., 2012, Vol. 88, No. 3, p. 1468 ss. Nemmeno il regime di disclosure che accompagna la recente disciplina statunitense sull’equity-based crowdfunding si sottrae alle contestazioni di onerosità da parte della dottrina: Hanks, Gio. Romano, Tonelli, Madness of the crowds or regulatory preconception?, cit., p. 241, 245; Heminway, How Congress killed investment crowdfunding: a tale of political pressure, hasty decisions, and inexpert judgments that begs for a happy ending, in Ky. L. J., 2014, Vol. 102, No. 4, p. 880 ss., cui si rinvia per più ampia bibliografia. 20 Questa affermazione in ambito europeo trova conforto nel dato (sempre desunto dal rapporto Commissione UE, Crowdfunding, cit., p. 33, 40) secondo cui nel 2014 la dimensione media delle operazioni del crowdfunding in questione ammontava a € 260.000, mentre il genere di crowdfunding più prossimo (quello creditizio) arrivava nello stesso anno a solo a € 10.600. Anche in un’analisi limitata al solo mercato britannico nello stesso periodo le evidenze numeriche non differiscono significativamente: Wardrop ed altri, Moving mainstream, cit., p. 10 s., in cui l’ammontare medio di una raccolta mediante equity-based crowdfunding è di £ 199.095, mentre il peer-to-peer consumer lending (in tale ricerca è infatti distinto da quello destinato alle imprese) arriva a £ 5.471, venendo così superato dal donation crowdfunding, la cui media si colloca a £ 6.102. 18
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pici dei mercati finanziari, si ripresentino alla ribalta in vari ruoli proprio quei soggetti (angel investors, venture capitalists…ma anche banche ed altri intermediari finanziari “tradizionali”) il cui passato disinteresse aveva portato allo sviluppo del crowdfunding. Anzi, si ha la netta sensazione che precisamente questa forma di crowdfunding rappresenti il tentativo di questi soggetti di riproporre le proprie logiche operative attraverso un meccanismo di parcellizzazione dei finanziamenti e di frazionamento del rischio (con contestuale incremento dei propri guadagni)21.
21 Conferma quanto esposto la ricerca AA.VV., Breaking new ground: the Americas alternative finance benchmarking report, Cambridge, 2016, p. 20, 47 ss., consultabile sul sito http://www.jbs.cam.ac.uk, secondo cui nel mercato statunitense si riscontra un’“entrenched institutionalization”: il rilievo è suffragato dalle elevate percentuali di penetrazione degli investitori istituzionali in alcune partizioni interne al crowdfunding creditizio. Nello stesso senso il dato osservato da Agrawal ed altri, Are syndicates, cit., p. 6 ss., i quali notano lo sviluppo di piattaforme che consentono la realizzazione di raccolte “associate” o di concerto (syndicated). In questi casi, un investitore - di solito qualificato dalla reputazione maturata nel finanziamento ad imprese in fase di avvio e crescita - assume il ruolo di “guida” verso gli altri, che si impegnano a seguire le sue scelte di investimento ed a riconoscergli una percentuale dei propri profitti, rimettendogli il compito di esaminare il merito dell’emissione. Le somiglianze e le differenze rispetto all’investimento in un fondo che si occupa di venture capital sono poi così evidenziate: «backing a syndicate is similar to investing in a VC fund but with at least four important differences: 1) backers may choose which portfolio companies to invest in, 2) backers can stop backing at any time, 3) VC funds usually require significantly higher minimum investment amounts, and 4) leads typically invest more than general partners per deal on a percentage basis (general partners of VC funds invest only 1% on average)». Non solo, questi autori espressamente puntualizzano che «long before the rise of equity crowdfunding, syndicates had been used to reduce information asymmetry issues in venture capital investments. Venture capital syndicates enable information flows and investments across wider networks» (p. 8). Notizie circa la partecipazione di investitori professionali alle raccolte online sono riportate pure da Alvarez Royo-Villanova, El «equity crowdfunding», cit., p. 24 s., 31, il quale considera altresì i maggiori vantaggi che il crowdfunding può presentare per costoro rispetto agli investitori al dettaglio; Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 239 s. Tracce di questa “reistituzionalizzazione” sono rinvenibili anche nella regolamentazione italiana, laddove per effetto dell’art. 4 d.l. 3/2015 il t.u.f. è stato modificato in più punti allargando l’operatività dei portali per la raccolta di capitali per le start-up e le PMI innovative anche a «organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società che investono prevalentemente in start-up innovative o in PMI innovative» (art. 1, co. 5-novies, t.u.f.). Tale innovazione è stata integrata anche nel reg. 18592/2013 della CONSOB, attuativo delle misure recate dall’art. 30 d.l. 179/2012 sull’accesso all’equity-based crowdfunding, all’esito della consultazione avviata dall’autorità il 3 dicembre 2015 e terminata l’11 gennaio 2016. Più esplicito è il legislatore spagnolo, che nel preambolo alla ley 5/2015 dichiara: «Si bien podría pensarse que son pequeños inversores los que financian por acumulación
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Tra quanto appena detto si rinvengono ulteriori ragioni a sostegno di uno scrutinio più attento di quei modelli di crowdfunding per lo più negletti dai legislatori: solo attraverso una particolare attenzione alle differenze strutturali interne al crowdfunding (già tratteggiate nella ricostruzione della sua storia) si può procedere ad apprezzare i moventi che hanno portato all’affermazione delle varie modalità di raccolta, spesso anche in un moto di insofferenza per il “peso” della sovrastruttura giuridica. Si vaglieranno quindi i punti di contatto del crowdfunding non regolamentato con un quadro normativo spesso rispondente a logiche antitetiche a questo moderno strumento informale di rastrellamento di capitali, considerando con prudenza l’opportunità di un intervento legislativo e la sua portata22.
proyectos en estas plataformas, las experiencias internacionales apuntan a que los inversores profesionales, aquí denominados inversores acreditados, apuestan también por los proyectos de financiación participativa, prestando las plataformas que los publican un útil servicio de filtrado de proyectos potencialmente viables». 22 Cosa che, in effetti, non sembra essere stata compiutamente realizzata nella disciplina italiana sull’equity-based crowdfunding, come già altrove si è avuto modo di spiegare (v. supra, sub nt. 4) e come rilevato nel volume La folla e l’impresa. Un dialogo, cit., anche da Mosco, Trotta e Carè. Si veda pure Hanks, Gio. Romano, Tonelli, Madness of the crowds, cit., p. 247 ss. D’altronde, non sembra che neppure le istituzioni europee abbiano delle idee sufficientemente chiare sugli obiettivi da perseguire per riformare l’assetto del mercato dei capitali ed al riguardo ci si limita a giustapporre alcuni passaggi di una recente risoluzione adottata dal Parlamento europeo (2015/2634(RSP)), lasciando ogni valutazione al lettore. In esordio si osserva che «l’economia reale continua a dipendere pesantemente dalle banche, il che rende l’economia vulnerabile a una contrazione dei prestiti bancari» (punto 1), poi si prosegue rilevando che «i canali di finanziamento tradizionali basati sulle banche spesso non sostengono le imprese innovative e le PMI» e che «la mancanza di accesso ai finanziamenti per le PMI costituisce uno dei maggiori ostacoli alla crescita nell’UE», concludendo che «se le PMI continuano ad avere difficoltà nell’ottenere crediti bancari, sono necessarie alternative ai finanziamenti delle banche, in particolare mediante il miglioramento del contesto economico per il capitale di rischio, i prestiti tra privati (peer-to-peer) […]» (punto 21). Poco oltre, però, si legge quanto segue: «[Il Parlamento, n.d.a.] sottolinea che il finanziamento bancario e il ruolo di intermediazione delle banche nei mercati di capitali sono pilastri importanti nel finanziamento delle imprese; sottolinea che l’Unione dei mercati dei capitali dovrebbe basarsi sul completamento del ruolo fondamentale delle banche e non sulla loro sostituzione, poiché è necessario che il finanziamento bancario continui a svolgere un ruolo chiave nel finanziamento dell’economia europea; sottolinea l’importante ruolo svolto dall’attività bancaria basata sul rapporto con il cliente nel finanziare le microimprese e le piccole e medie imprese, che può essere anche utilizzato per fornire metodi alternativi di finanziamento; ricorda la dimensione strategica di disporre di
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3. Il ruolo del “progetto”. Sin qui si è iniziato a mettere in luce una parte degli elementi della definizione informale di crowdfunding articolata in esordio (molteplicità dei contributori ed impiego di una piattaforma su internet) attraverso dei cenni storici, ma ora è necessario occuparsi di un altro elemento che evidenzia una presenza trasversale nelle varie manifestazioni di questo fenomeno ed in virtù di ciò anche una rilevante capacità di influenzare il suo inquadramento giuridico. Ci si riferisce al “progetto”23 di iniziativa diffuso su internet ed accompagnato dalla richiesta di finanziamento. Spogliando, in realtà, il crowdfunding dalle mutevoli cadenze operative legate alle finalità perseguite dalle parti dell’operazione, si può invero riscontrare che è il progetto, il quale funge da fattore selettivo e condizionante, che raccoglie l’attenzione dei contribuenti. Costoro nella grande maggioranza dei casi non sono interessati a realizzare un investimento o a partecipare attivamente all’organizzazione di una società24. Per lo più, infatti, essi intendono inserirsi strumentalmente nella concretizzazione del progetto presentato perché credono nella causa che lo anima o per ragioni di solidarietà, o perché vogliono contribuire alla realizzazione di prodotti o servizi che siano sempre più rispondenti ai loro gusti ed ai loro bisogni (pur precisando che chi contribuisce potrebbe anche non rendersi mai un cliente dell’impresa). Tutto quanto ciò sembra indice di una significativa variazione, da un lato, delle dinamiche comportamentali di coloro che normalmente sarebbero meri consumatori o sostenitori di iniziative benefiche, e, dall’altro, dei soggetti che variamente cercano di attingere alle risorse di terzi per concretizzare le attività più disparate.
un settore bancario europeo forte e diversificato; invita la Commissione a esaminare l’accesso ai prestiti bancari per le PMI all’interno dell’Unione, e ad affrontare gli ostacoli impropri» (punto 42 – sottolineature aggiunte). 23 Differentemente da quanto riscontrabile in ordinamenti stranieri (v. infra, sub nt. 26), le scelte normative italiane non hanno comportato l’esigenza di introdurre una nozione di “progetto”, in quanto nel nostro ordinamento le raccolte disciplinate non si legano ad un’operazione specifica, bensì ad una certa qualifica societaria (start-up e PMI innovative): l’impianto sistematico risulta pertanto focalizzato in chiave soggettiva e non oggettiva. 24 Almeno allo stato dei fatti ed ammesso che il maggiore fattore di handicap per l’equity-based crowdfunding sia rappresentato dai vincoli di natura giuridica, tutte le statistiche disponibili sembrano evidenziarne la dimensione decisamente più ridotta rispetto agli altri generi di finanziamento collettivo di cui si parlerà tra breve.
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Il fulcro di quest’evoluzione risiede, quindi, nella convergenza attorno alla realizzazione di un progetto25: esso rappresenta un’illustrazione programmatica più o meno articolata del risultato che si intende raggiungere mediante i fondi richiesti, delle modalità con cui questi saranno impiegati nell’operazione prevista e della durata della campagna di raccolta26.
25
Si ritiene da escludere qualsiasi assimilazione del progetto ad un prospetto d’offerta (art. 94, co. 2, t.u.f. ed art. 5 reg. emittenti), col quale potrà tutt’al più condividere la finalità informativa, ma se ne distinguerà per l’elevato formalismo ed il limitato oggetto del secondo, che non potrebbe attagliarsi a nessuna variante di crowdfunding diversa da quella equity-based. 26 In ambito europeo vari ordinamenti forniscono una definizione del progetto e ne fanno il nucleo dei relativi complessi di regole sul crowdfunding: 1) in Francia, ad esempio, esso non solo si trova incluso nell’unitaria definizione di financement participatif valida per tutte le sottospecie di tale attività («L’intermédiation en financement participatif consiste à mettre en relation, au moyen d’un site internet, les porteurs d’un projet déterminé et les personnes finançant ce projet» – art. L. 548-1, al. 1, Code monétaire et financier, aggiunto dall’art. 17 dell’ordonnance n. 2014-559), ma è destinatario di una propria definizione, secondo cui «Un projet consiste en un achat ou un ensemble d’achats de biens ou de prestations de service concourant à la réalisation d’une opération prédéfinie en termes d’objet, de montant et de calendrier» (art. L. 548-1, al. 2, Code monétaire et financier); 2) nel diritto portoghese le espressioni projeto e atividade, quali fulcro dell’attività di raccolta («O financiamento colaborativo é o tipo de financiamento de entidades, ou das suas atividades e projetos, através do seu registo em plataformas eletrónicas acessíveis através da Internet, a partir das quais procedem à angariação de parcelas de investimento provenientes de um ou vários investidores individuais»: art. 2 lei 102/2015), risultano essere fungibili e possono dar luogo ad obblighi informativi differenziati a seconda delle varie specie di financiamento colaborativo in cui si inseriscono (artt. 6; 14, n. 1, al. a; 17, n. 1, al. b e n. 2; 19, n. 1, al. a, lei 102/2015); 3) anche nell’ordinamento spagnolo il proyecto acquisisce rilievo in seno alla definizione dell’attività delle plataformas de financiación partecipativa, che sono «las empresas autorizadas cuya actividad consiste en poner en contacto, de manera profesional y a través de páginas web u otros medios electrónicos, a una pluralidad de personas físicas o jurídicas que ofrecen financiación a cambio de un rendimiento dinerario, denominados inversores, con personas físicas o jurídicas que solicitan financiación en nombre propio para destinarlo a un proyecto de financiación participativa, denominados promotores» (art. 46, par. 1, ley 5/2015). Va aggiunto che il successivo art. 49, benché rubricato «proyectos de financiación participativa», di essi fornisce solo una caratterizzazione in negativo – oltre che sintatticamente discutibile, nella misura in cui si rende i proyectos soggetti degli enunciati normativi – in quanto attraverso essi si dovrà «destinar la financiación que se pretende captar exclusivamente a un proyecto concreto del promotor, que solo podrá ser de tipo empresarial, formativo o de consumo sin que en ningún caso pueda consistir en: 1.º La financiación profesional de terceros y en particular la concesión de créditos o préstamos. 2.º La suscripción o adquisición de acciones, obligaciones y otros instrumentos financieros admitidos a
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Il progetto, quindi, raccoglie ed ordina teleologicamente la mole dei contributi, facendo passare in secondo piano per i contribuenti la natura e gli scopi soggettivi del richiedente. Nell’ottica dei sostenitori, in breve, l’affermazione del crowdfunding pare legata ad una diffusa domanda di maggiore prossimità (si potrebbe dire in maniera del tutto atecnica e descrittiva “partecipazione”) ad un affare puntualmente identificato e non al soggetto che lo realizza27, secondo una traiettoria, se si vuole, per certi aspetti, inversa a quella seguita, in epoca medievale, dall’evoluzione che portò dalla commenda alla società in accomandita28. Il particolare legame finalistico che si instaura così tra gli erogatori e l’attività programmata merita pertanto un’attenta considerazione, specialmente nella misura in cui evidenzia margini di superamento di paradigmi tanto sedimentati da essere ormai tralatizi nel dialogo sull’impresa, quali quello sulla estraneità della gratuità al metodo ed alla logica imprenditoriale o sull’imprescindibile necessità di intermediari professionali per consentire l’incontro tra la domanda e l’offerta di credito o di investimento29.
negociación en un mercado regulado, en un sistema multilateral de negociación o en mercados equivalentes de un tercer país. 3.º La suscripción o adquisición de acciones y participaciones de instituciones de inversión colectiva o de sus sociedades gestoras, de las entidades de capital riesgo, otras entidades de inversión colectiva de tipo cerrado y las sociedades gestoras de entidades de inversión colectiva de tipo cerrado» (art. 49, par. 1, lett. c – sottolineature aggiunte). 27 La “partecipazione” - stavolta intesa in senso tecnico - al soggetto (generalmente societario) è pur sempre un complesso di situazioni giuridiche strumentali e non finali rispetto alla produzione dell’attività e perciò, anziché approssimare il crowdfunder ad essa, lo “allontana”. 28 Fermo restando che il cenno nel testo non si riferisce in alcun modo ai diversi ordini di ragioni che hanno influenzato tale vicenda, sulla quale, per ampi ragguagli, si veda Santarelli, [specificare quale testo], cit., p. 143 ss., 151 ss.; Teti, Il rapporto partecipativo tra passato e presente, cit., p. 1138, che in relazione alla società in accomandita semplice efficacemente scrive: «Questa nuova forma di finanziamento partecipativo […] presentava una serie di indiscutibili vantaggi rispetto alla più ‘primitiva’ commenda, in quanto l’accomandante investiva nell’attività e non più soltanto nel singolo affare». Il diverso orientamento dei contribuenti nelle varie campagne di crowdfunding è oggetto di considerazione anche da parte di Hornuf e Schwienbacher, Funding dynamics, cit., p. 3, i quali scrivono: «In reward-based crowdfunding […], the crowd receives perks or the final product, which resembles a consumption-based decision. Thus, backers care more about the product itself. In crowdinvesting investors are concerned with the future financial returns of a startup». 29 Sembra pertanto condizionata da questi preconcetti l’opinione di chi tende a sminuire la portata del crowdfunding di carattere donativo, come prima tratteggiato.
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Come la genesi del crowdfunding è stata caratterizzata da una spinta alla “disintermediazione” industriale e finanziaria, così il senso di coinvolgimento diretto in un’operazione trasmesso dal progetto potrebbe rivestire una funzione di grande importanza nel futuro. Si è dell’idea che ad oggi la maggior parte dei partecipanti a queste raccolte lo faccia proprio in virtù della fuoriuscita dall’anonimato del mercato dei capitali di rischio o di credito e della focalizzazione verso un obiettivo specifico, racchiuso nelle coordinate del progetto. Nelle varie specie di crowdfunding riconoscibili sul mercato è quindi necessario, da un lato, verificare come il ruolo del progetto possa orientare il diritto applicabile e, dall’altro, in quale misura esso possa rappresentare un elemento qualificante della fattispecie. Tanto ci si propone di fare di seguito, nell’ambito della più dettagliata analisi di quelle varietà di “finanziamento della folla” qui oggetto di studio.
4. I vari tipi di crowdfunding: il donation-based crowdfunding. Già in precedenza si è incidentalmente riportato alcune delle designazioni adoperate nella prassi e nella letteratura giuridica ed economica per distinguere i vari generi di crowdfunding che da internet si sono affacciati alla realtà degli scambi. Affermare che si sia sedimentata una certa preferenza per questa o quella nomenclatura o che almeno per effetto dell’influenza uniformatrice delle istituzioni sovranazionali si sia
Cfr. Ferrarini, I costi dell’informazione societária, cit., p. 215, a parere del quale i fondi raccolti tra il pubblico degli internauti sarebbero destinati alle «attività più disparate […] fino al finanziamento di progetti imprenditoriali con intenti di liberalità o più realisticamente di investimento del risparmio» (sottolineatura aggiunta). Più radicale è la tesi di Roussia, Le financement participatif ou Crowdfunding, quel régime juridique pour cette opportunité économique? Etude des modèles français et allemands, in Rev. gen. dr., 2015, 10, p. 9, leggibile sul sito http://www.revuegeneraledudroit.eu, secondo cui «ce système est à resituer à sa juste place, c’est-à-dire une position marginale dans les systèmes de financement, puisque les investisseurs classiques, eux, ne recherchent pas simplement la présence d’un retour gracieux sur leur mise, mais plutôt un retour financier. Dès lors, la place réservée aux dons dans l’évolution future du crowdfunding est à relativiser, il ne semble que peu probable que ce soit cette partie particulière du financement participatif qui voie sa dimension augmenter» (sottolineatura aggiunta). Per converso, si può affermare almeno che vi sono alcune aree di attività che non sarebbero state altrimenti finanziate senza la presenza di certi tipi di crowdfunding (Commissione UE, Crowdfunding, cit., p. 74).
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imposto il ricorso ad una certa classificazione è allo stato impossibile. Da un lato, ogni studioso, ogni autorità, ogni legislatore30 sembra essersi sbizzarrito nell’elaborare nuove etichette, mentre, dall’altro, l’attività delle piattaforme supera costantemente i tentativi di “imbrigliamento” proponendo sempre nuove modalità di raccolta. Con quest’avvertenza e specificando che la selezione comporta l’esercizio di un’insopprimibile componente di arbitrio, si può intraprendere quest’esercizio tassonomico, il quale si avvarrà stipulativamente del lessico anglosassone che permea l’argomento per non anticipare elementi di analisi che saranno successivamente oggetto di analisi. In breve, è piuttosto frequente imbattersi nella distinzione tra quattro principali varianti di crowdfunding: il donation-based crowdfunding, il rewardbased crowdfunding, lending-based crowdfunding, e, infine, l’equitybased crowdfunding (senza contare la presenza di varie ibridazioni). Ribadendo che l’equity-based crowdfunding non rientra nell’oggetto delle presenti riflessioni, si precisa che per comodità espositiva si affronterà l’analisi di queste modalità nelle loro forme “pure”, anche se bisogna avvertire che in concreto le contaminazioni sono frequenti (specie tra donation-based e reward-based crowdfunding) e si cercherà di articolare qualche riflessione anche su di queste ove possibile. Nel donation-based crowdfunding a fronte delle somme versate non è prevista alcuna forma di remunerazione economica, cosicché all’incremento patrimoniale del destinatario corrisponde un impoverimento del patrocinatore. Sebbene tale schema, come visto, sia sorto e continui ad essere precipuamente impiegato per fini caritatevoli e filantropici, non si può omettere di riferire che esso ha altresì avuto un’ingente applicazione anche ad attività imprenditoriali31.
30 Per limitare l’osservazione alla sola Unione Europea, si può riscontrare che le definizioni che popolano una serie di atti o documenti ufficiali riconducibili ad essa o ad autorità di matrice eurounitaria divergono radicalmente: Commissione UE, Crowdfunding, cit., p. 9, ove sono elencati 13 diversi tipi di crowdfunding, meglio definiti in un apposito allegato; Id., COM(2014) 172, p. 3 s.; Id., Crowdfunding in the EU Capital Markets Union, SWD(2016) 154 final, p. 8 s.; EBA, Opinion, cit., p. 8 s. 31 Dalle rilevazioni operate nei rapporti Massolution, 2013 CF – The crowdfunding industry report, 2013, (acquistabile sul sito http://www.crowdsourcing.org), e Id., 2015 CF – The crowdfunding industry report, 2015, si può desumere che le somme destinate ad iniziative imprenditoriali attraverso il donation-based crowdfunding rappresentano percentuali superiori al 10% delle raccolte catalogate sotto l’etichetta «business and entrepreneurship», addirittura sopravanzando nel 2012 gli importi derivanti dall’equitybased crowdfunding. Occorre comunque avvertire che l’affidabilità di questi dati e la loro
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In termini generali, la riconduzione alla donazione delle singole erogazioni che sono alla base del donation-based crowdfunding in questa configurazione essenziale non è difficoltosa: in questo genere di raccolta l’evidenza della realizzazione di un’attribuzione patrimoniale gratuita spontanea a favore del donatario è indiscutibile32.
rilevanza in ambito giuridico devono essere considerate con grande cautela, se solo ci si sofferma a riflettere che, per un verso, alla classificazione «business and entrepreneurship» utilizzata nei rapporti non corrisponde necessariamente il nostro concetto di impresa e, per l’altro, che tra le iniziative finanziate se ne rinvengono alcune che potrebbero qualificarsi come imprenditoriali (produzioni videoludiche, discografiche, energia e ambiente, editoria…), ma che sono considerate a parte nei rapporti citati. Non solo, come si vedrà poco oltre nel testo, il donation-based crowdfunding non è da solo suscettibile di includere esaustivamente tutte le campagne volte a sollecitare erogazioni gratuite o liberali da parte del pubblico: v. infra, sub par. 5. 32 La conclusione esposta nel testo è confortata dal dato comparatistico, ove il riferimento al contratto di donazione negli ordinamenti che contemplano anche questa forma di crowdfunding è esplicito: 1) in Francia la seconda sezione dell’ord. 559/2014 è dedicata al «financement participatif sous forme de prêts ou de dons» e nell’art. L. 548-1 del Code monétaire et financier tutte le categorie di soggetti ammessi quali beneficiari alle varie forme di crowdfunding possono essere destinatari di doni; 2) in Portogallo si incontra una disciplina sufficientemente dettagliata del fenomeno, in quanto, oltre alla sua definizione (art. 3, al. a, lei 102/2015: «O financiamento colaborativo através de donativo, pelo qual a entidade financiada recebe um donativo, com ou sem a entrega de uma contrapartida não pecuniária»), si sancisce l’applicabilità delle norme sulla donazione (art. 10, n. 1, lei 102/2015). Ora, poiché non ci si può limitare a constatare che le norme sulla donazione, se del caso, avrebbero trovato applicazione anche in assenza di un simile rinvio, è forse esegeticamente preferibile intendere tale previsione nel senso che essa stabilisca un’applicazione residuale della disciplina codicistica della donazione (artt. 940 ss. c.c. portoghese) subordinata alle specifiche previsioni contenute nella legge sul financiamento colaborativo (per un caso, v. infra, sub nt. 48). Ulteriore conferma empirica alla tesi esposta si può trarre da un’analisi delle condizioni generali di contratto predisposte da alcune piattaforme italiane attive nel settore del donation-based crowdfunding, con l’avvertenza che sono state prese in considerazione solo quelle “vetrine” internautiche che pubblicassero progetti di qualsiasi natura e non solo quelle specializzate in certi settori d’attività (quali la musica, i videogiochi, la scuola…). Ebbene, tutte le condizioni esaminate, seppure con qualche occasionale ed ininfluente oscillazione terminologica (offerta, atto di liberalità, contributo economico spontaneo…) e qualche svarione (talora il termine “finanziamento” fa la sua comparsa in maniera del tutto atecnica in contesti ove si parla di donazioni), fanno riferimento alla donazione: artt. 1.2, 3 condizioni Com-unity; preambolo e art. 13 condizioni DeRev e art. 4 condizioni Proponente/Donatore DeRev; art. 9 condizioni Eppela; art. 6 condizioni Fidalo; art. 6.4 condizioni Finanziami il tuo futuro; artt. 8 e 9 condizioni Funditaly; artt. 2 e 10 condizioni Limoney; artt. 6-9 e 11 condizioni Produzioni dal basso; artt. 1.3, 1.4, 4.2, 4.3 condizioni Rete del dono; sez. C regolamento Terzo valore.
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4.1. Ambiti di applicazione degli oneri formali. Dal punto di vista della formale solennità della donazione si potrebbe essere tentati di sostenere che non vi siano particolari antinomie provocate dalle dinamiche funzionali del crowdfunding, poiché secondo l’id quod plerumque accidit l’ammontare medio dei contributi erogati in questo genere di raccolta è piuttosto basso e, per altro verso, molte piattaforme italiane o hanno introdotto una limitazione quantitativa delle donazioni realizzabili, o hanno anche espressamente inserito nelle loro condizioni generali di contratto un riferimento alle donazioni di modico valore (art. 783 c.c.)33. Purtuttavia, non si può escludere – e concretamente si è più volte verificato in ambito internazionale – che vi possano essere donazioni di importo considerevole o, comunque, sproporzionate rispetto alle condizioni economiche del donante. Ciò, a parere di chi scrive, riporta nell’alveo della formalità codicistica le donazioni effettuate in seno a campagne di crowdfunding. Cosicché, anche in presenza di elargizioni di ammontare in termini assoluti non elevati ed eventualmente contenuti entro le soglie contrattualmente fissate dalle piattaforme, la mancanza dell’atto pubblico accompagnato dalla presenza di due testimoni potrebbe frequentemente provocarne la nullità per difetto di forma. Quest’ultima considerazione è legata al dato statisticamente accertato della giovane età media (inferiore a 35 anni34) di una consistente percentuale dei partecipanti a questo genere di campagne, le cui sostanze potrebbero
Menzione a parte va fatta per i “principi” di Smartika, piattaforma ad operatività mista (si occupa di donation-based e lending-based crowdfunding: v. infra, sub note 96 e 97), nelle cui definizioni si registra un evidente slittamento semantico e giuridico rispetto all’art. 769 c.c., laddove si identifica la Donazione con «il progetto meritevole di sostegno che Smartika promuove sulla propria Piattaforma nella forma del c.d. Donation Crowdfunding, fornendo cioè al Beneficiario del progetto il servizio di raccolta e trasferimento dei fondi devoluti senza scopo di lucro dagli Utenti della Piattaforma» (art. 18). 33 In particolare, Funditaly ha optato per la sola fissazione di soglie quantitative (€ 500). Fa invece esclusivo riferimento alla figura della donazione di modico valore la piattaforma DeRev (che gestisce anche la piattaforma di crowdfunding facente capo alla compagnia di telefonia mobile Wind). Ricorrono infine sia alle soglie quantitative, che al rinvio alla regolamentazione codicistica delle donazioni di modico valore le piattaforme Com-unity e Limoney. 34 Cfr. Wardrop ed altri, Moving mainstream, cit., p. 16. Dato confermato limitatamente a due piattaforme tedesche da Klöhn e Hornuf, Crowdinvesting in Deutschland, cit., p. 244.
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con maggiore probabilità essere significativamente incise dall’effettuazione di contribuzioni35 (ovviamente assumendosi che il loro patrimonio sia inferiore a quello di chi si trova in età più avanzata). Ciò indubbiamente introduce un primo fattore di incertezza sulla validità stessa delle attribuzioni percepite dal beneficiario, al quale se ne aggiunge un secondo: in effetti, se le donazioni di modico valore possono dirsi perfezionate con l’accreditamento delle somme di denaro ricevute dal beneficiario36 sul suo conto corrente bancario o di pagamento (o con la loro ricezione da parte dell’intermediario del beneficiario)37, in quanto
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Per la determinazione dei criteri di accertamento della modicità del valore del bene donato, v. Cass., 12 giugno 2001, n. 7913, in Giust. civ. mass., 2001, p. 1178; Cass., 30 dicembre 1994, n. 11304, in Giust. civ. mass., 1994, p. 1719; Trib. Roma, 27 giugno 2003, in Giur. romana, 2003, p. 309 ss., nella cui massima redazionale si legge: «Per stabilire se una donazione abbia o meno modico valore, ai fini della forma da adottare, occorre avere riguardo non già all’entità del donatum in sé, ma al rapporto tra il donatum ed il patrimonio del donante (nella specie, il tribunale ha ritenuto di modico valore la donazione di 50 milioni di lire, sul presupposto che il patrimonio del donante ammontasse ad oltre un miliardo di lire)». 36 Cfr. Ambanelli, Commento all’art. 783 c.c., in Delle donazioni, a cura di Bonilini, nel Comm. cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Torino, 2014, p. 252 s., la quale equipara l’accreditamento in conto alla consegna dei pezzi monetari ai fini del perfezionamento della donazione reale. Nelle condizioni contrattuali note che si occupano di questo aspetto, in almeno un caso è comunque sancita l’equipollenza tra accettazione da parte del beneficiario ed accreditamento delle somme sul suo conto: art. C.1.2 regolamento Terzo valore. Più articolato e discutibile è il meccanismo introdotto dall’art. 9-bis, co. 6, contratto quadro donatori/prestatori Smartika, che prevede il perfezionamento della donazione al momento dell’accredito della somma sul conto intestato a Smartika stessa e dedicato alla donazione. Non sfugge in proposito che Smartika non è la beneficiaria della donazione ed una simile modalità di conclusione del contratto contrasta con le regole codicistiche, a meno di supporre che Smartika sia una mandataria del beneficiario della donazione, ma ciò non risulta in alcun momento ed una partecipazione negoziale della società al rapporto tra i propri clienti è esclusa dallo stesso contratto quadro (art. 8, co. 1, contratto quadro richiedenti). Implicitamente - anche se meno puntualmente - in questo senso sono strutturati gli artt. 1 e 2 condizioni Proponente/Donatore DeRev, i quali rispettivamente recitano per quanto qui rileva: «Il contratto viene stipulato all’atto dell’erogazione del sostegno finanziario mediante l’adesione al Progetto» (sottolineatura aggiunta) e «Il contratto tra il Donatore e il Proponente si completa con il versamento di un contributo in favore del Progetto». 37 Il riferimento al conto di pagamento deriva dalla considerazione delle attuali modalità di realizzazione dei trasferimenti di somme di denaro nell’ambito della maggior parte delle campagne di crowdfunding (anche non donativo): a meno che la piattaforma stessa non sia abilitata all’erogazione di servizi di pagamento, per poter consentire il passaggio dei fondi ci si avvale per lo più dell’ausilio di istituti di pagamento (e ciò curiosamente avviene anche quando lo stesso gestore della piattaforma potrebbe già prestare servizi di
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evento funzionalmente equivalente alla consegna richiesta dall’art. 783, co. 1, c.c., quelle che non rientrano nella sfera della modicità necessitano dell’accettazione espressa da parte del beneficiario, che, pur potendo essere posteriore all’atto di donazione, dovrà anch’essa rivestire la forma dell’atto pubblico (art. 782, co. 2, c.c.). Se anche, infatti, si ritenesse che la pubblicazione del progetto sulla piattaforma comporti implicitamente
pagamento, come nel caso di Banca Interprovinciale s.p.a. in relazione alla piattaforma Com-unity e di Banca Prossima s.p.a. in relazione alla piattaforma Terzo valore). Non potendo in questa sede dedicare adeguato spazio alle riflessioni sugli effettivi margini di equivalenza funzionale tra traditio del denaro e accreditamento in conto corrente/ di pagamento, si rinvia per gli essenziali riferimenti sulla più recente evoluzione del pensiero giuridico in relazione all’adempimento dell’obbligazione pecuniaria mediante modalità diverse dalla consegna della moneta a: Sciarrone Alibrandi, L’interposizione della banca nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria, Milano, 1997, p. 189 ss., 209 ss.; Ead., L’adempimento dell’obbligazione pecuniaria tra diritto vivente e portata regolatoria indiretta della Payment services directive 2007/64/CE, in Il nuovo quadro normativo comunitario dei servizi di pagamento. Prime riflessioni, a cura di Mancini e Perassi, nei Quad. ric. giur. Banca d’Italia, 2008, n. 63, p. 69 ss., la quale si esprime nel senso dell’anticipazione del momento solutorio alla ricezione dei fondi da parte del prestatore dei servizi di pagamento del beneficiario; Farenga, La moneta bancaria, Torino, 1997, p. 41 ss., 71 ss.; Martuccelli, Obbligazioni pecuniarie e pagamento virtuale, Milano, 1998, p. 55 ss., 196 ss.; Santoro, L’euro quale moneta scritturale, in Banca, borsa, tit. cred., 2001, I, p. 452 ss.; Id., L’efficacia solutoria dei pagamenti tramite intermediari, in Il diritto del sistema dei pagamenti, a cura di Carriero e Santoro, Milano, 2005, p. 65 ss., spec. 92 ss., sulla stessa linea di pensiero della Sciarrone Alibrandi; Lemme, Moneta scritturale e moneta elettronica, Torino, 2003, p. 21 ss., 86 ss., 112 ss. (di cui si veda anche Id., La rivoluzione copernicana della Cassazione: la moneta legale, dunque, non coincide con la moneta fisica, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, p. 562 ss.); Semeraro, Pagamento e forme di circolazione della moneta, Napoli, 2008, p. 147 ss., 186 ss.; Bello, Commento all’art. 23 d.lgs. 11/2010, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, a cura di Mancini, Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi e O. Troiano, Torino, 2011, p. 232 s.; Inzitari, Delle obbligazioni pecuniarie, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca e poi di Galgano, Roma-Bologna, 2011, p. 108 ss. (ma v. già Id., L’adempimento dell’obbligazione pecuniaria nell’età contemporanea: tramonto della carta moneta e attribuzione pecuniaria per trasferimento della moneta scritturale, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 138 ss., 147 ss.; Id., La moneta, in Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, VI, Padova, 1983, p. 24 ss., 49 ss.); P. Ferro-Luzzi, Lezioni di diritto bancario. I Parte generale3, Torino, 2012, p. 252 ss., 265 ss.; De Stasio, Operazione di pagamento non autorizzata e restituzioni, Milano (EduCatt), 2013, p. 50 ss., 76 ss.; Onza, Introduzione: i mezzi di pagamento e la liberazione del debitore, in Comm. breve dir. camb., ass., strum. cred. e mezzi pag.5, a cura di Salamone e Spada, Padova, 2014, p. 877 ss. In giurisprudenza, per il superamento delle anteriori concezioni formalistiche secondo cui il pagamento non poteva che avvenire in contante, v. Cass., SS. UU., 10 dicembre 2007, n. 26617, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, p. 553 ss., con nota di Lemme.
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l’accettazione delle future donazioni da parte del beneficiario38, essa non potrebbe giovare a supplire la (mancata) manifestazione formale della volontà di costui. Constatata la disciplina codicistica sulla stipulabilità della donazione inter absentes (art. 782, commi 2 e 3, c.c.), si precisa, infine, che l’atto pubblico (rectius, le rispettive proposta ed accettazione) potrebbe essere formato anche in modalità informatica seguendo le prescrizioni degli artt. 52-bis l. 89/1913 e 25 d.lgs. 82/2005, seppure in concreto ciò non realizzi alcuna significativa semplificazione rispetto alle modalità ordinarie. 4.2. Dinamiche e strumenti della formazione del consenso. Ulteriori problemi di compatibilità con la disciplina della donazione potrebbero derivare anche dalle modalità di formazione della volontà negoziale, che, se non sembra porre grandi difficoltà in relazione alle donazioni di modico valore per quanto appena visto, nelle attribuzioni di rilevante entità invece evidenzia significativi contrasti tra la pratica del crowdfunding e le matrici normative di riferimento e di ciò ci si occuperà di seguito. In effetti, a causa delle ormai affermate modalità di funzionamento del crowdfunding, nel caso di donazioni di valore non modico la formalizzazione del relativo contratto potrebbe avvenire solo al termine della campagna di raccolta. Invero, l’avvio della raccolta è sempre preceduto dalla pubblicazione del progetto, cui si accompagna anche la fissazione del termine di durata della stessa e dell’indicazione circa la sua scindibilità (c.d. modello keep it all) o inscindibilità (c.d. modello all or nothing). Oltre a ciò, con l’eccezione dell’equity-based crowdfunding39, le altre varianti di crowdfunding possono consentire il superamento dell’importo fissato come obiettivo ed in relazione a tale evento è normalmente
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Con riguardo all’annuncio di un comitato volto alla raccolta di oblazioni da parte del pubblico, v. D’Angelo, Le promesse unilaterali, in Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, 1996, p. 222 ss., il quale scrive che «l’annuncio costituisce pur sempre un inequivoco comportamento di consenso a qualsivoglia oblazione, talché non vi è ragione di alcuna di salvaguardia del principio di sovranità formale del comitato mediante la libertà di rifiuto» (p. 224). 39 Al di là dei concreti pericoli di diluizione delle maggioranze interne, tale modalità di raccolta si scontra con i vincoli del diritto societario per quanto riguarda la realizzazione di aumenti di capitale per importi superiori a quelli inizialmente definiti: ciò richiederebbe la previsione uno actu di ulteriori aumenti collegati al primo e sospensivamente condizionati alla sua integrale liberazione (arg. ex art. 2438 c.c.).
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previsto che il beneficiario trattenga gli importi eccedenti (c.d. modello all and more). Come anticipato, la presenza della condizione sospensiva intrinseca nei modelli all or nothing ed all and more comporta che coloro che intendano effettuare donazioni che non risultino di modico valore dovranno formalizzare solennemente la loro volontà negoziale all’esito della campagna, mentre nel modello keep it all sarà necessario provvedere alla stipulazione in forma solenne mano a mano che sarà manifestata l’intenzione di effettuare delle donazioni non rientranti nell’ambito di operatività dell’art. 783 c.c. A questo punto risulta evidente che la semplicità d’uso del crowdfunding corre seri rischi di venir meno proprio quando sarebbe più vantaggiosa e ciò per effetto della più volte segnalata rigidità della regolamentazione della donazione. Eppure, sostenere che nelle campagne all or nothing e all and more l’attività negoziale ha luogo solo al loro termine non corrisponde in alcun modo alla realtà economica presa in considerazione e non persuade neppure sul piano giuridico. Per altro verso, concepire le manifestazioni di volontà da parte dei beneficianti durante la campagna come delle promesse di donazione40 le esporrebbe all’avverso orientamento prevalente in dottrina ed in giurisprudenza che nega l’ammissibilità di negozi preliminari o preparatori della donazione, in quanto ciò priverebbe il contratto definitivo del carattere della spontaneità41. Quand’anche si
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Più neutralmente, ma senza comunque sottrarsi ai rischi esposti nel testo, le piattaforme Limoney (art. 10.4) e WithYouWeDo (art. 8.2) qualificano le manifestazioni di volontà espresse da parte dei “sostenitori” dei progetti durante le campagne all or nothing quali “promesse di pagamento”, concentrando così l’attenzione sull’adempimento dell’obbligazione e non sul suo titolo, che resta comunque quello donativo. 41 Bisogna comunque avvertire che se le future erogazioni fossero destinate alla realizzazione di scopi solidaristici o di pubblica utilità, eventualmente attraverso l’opera di enti caratterizzati da scopi altruistici, fuoriuscirebbero dall’ambito della liberalità donativa per confluire in quello della gratuità. In tal senso, si riscontrerebbe un appiglio normativo utile a consentire la configurabilità della relativa promessa informale nell’art. 41, co. 1, secondo periodo, c.c. (che sancisce l’obbligo per i sottoscrittori di effettuare le oblazioni promesse a favore di comitati). Tuttavia, ciò non esonererebbe comunque dal rispetto degli oneri formali sanciti nell’art. 782 c.c. in caso di donazione di non modico valore ed in ogni caso il ragionamento non potrebbe estendersi alle raccolte effettuate per finalità egoistiche o comunque non solidaristiche. Cfr. per tutti Sbisà, La promessa al pubblico, Milano, 1974, p. 56 ss., 64 ss.; Id., Promessa al pubblico, in Dig. disc. priv., sez. civ., XV, Torino, 1997, p. 365; D’Angelo, Le promesse unilaterali, cit., p. 323 ss., 695 ss.; Tamburrino, Persone giuridiche, associazioni non riconosciute, comitati2, in Giur. sist. dir. civ. comm.,
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fosse persuasi del contrario, le manifestazioni di volontà “prodromica” dei beneficianti non sarebbero comunque rispettose degli oneri che per simmetria si ritiene investano anche promesse e preliminari di contratti formali e risulterebbero quindi nulle o comunque inefficaci. Analoga conclusione può raggiungersi anche per il caso in cui si volesse tentare di inquadrare le volontà dei “sostenitori” e le loro erogazioni in un mandato a donare affidato al gestore della piattaforma: pure qui il difetto di forma inficerebbe il contratto con cui si affida il potere rappresentativo42.
fondata da Bigiavi, Torino, 1997, p. 560 s.; Morozzo della Rocca, Gratuità, liberalità e solidarietà. Contributo allo studio della prestazione non onerosa, Milano, 1998, p. 161 ss., che peraltro vede nell’oblazione un genus a sé stante rispetto alla donazione e individua «nella presenza di un determinato scopo, al soddisfacimento del quale la promessa gratuita è giuridicamente ordinata, la causa stessa di tale promessa, idonea a liberarla dalla forma solenne che le sarebbe richiesta se essa dovesse considerarsi come una donazione», tranne che per i casi di contribuzioni non proporzionali al patrimonio del promittente: p. 192 ss.; Id., Autonomia privata e prestazioni senza corrispettivo, Torino, 2004, p. 30 ss., 63 ss.; Basile, Gli enti di “fatto”2, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, II, Torino, 1999, p. 555; Gianola, Atto gratuito, atto liberale. Ai limiti della donazione, Milano, 2002, p. 206 ss.; Gatt, La liberalità, I, Torino, 2002, p. 377 s., nt. 140, 381 s., nt. 145, 386 s., nt. 153, e 387 ss., testo e note, sebbene sulla scorta di un inquadramento in termini di adempimento di un’obbligazione naturale; Gallesio-Piuma, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori. II - Parte speciale, in Comm. Scialoja-Branca. Legge fall., a cura di Galgano, Roma-Bologna, 2003, p. 27 ss., spec. 33 ss., con elaborazione prossima all’opinione di Morozzo della Rocca e riportando anche il pensiero di Galasso (espresso in Il principio di gratuità, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 210 ss., spec. 222). Non ci si spinge oltre la qualifica suggerita nel testo sino a prendere in considerazione le proposte dirette a concludere contratti con obbligazioni per il solo proponente (art. 1333 c.c., su cui v. ex multis Palazzo, Le donazioni2, in Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, Milano, 2000, p. 52 ss., 208 ss.), in quanto, come si vedrà tra poco, il beneficiario delle elargizioni sarà gravato dell’onere di realizzare l’attività descritta nel progetto e quindi nell’ambito del crowdfunding in nessun caso si potrebbe mai verificare la necessaria unilateralità (né nella formazione, né nell’esecuzione) del rapporto obbligatorio. 42 Il mandato (irrevocabile) a donare, ad ogni modo, è evocato testualmente all’art. 6 delle condizioni della piattaforma Fidalo: «Il Sostenitore dà mandato irrevocabile a Fidalo a donare la somma di denaro da lui indicata al Progettista prescelto, a condizione che la raccolta fondi abbia esito positivo». Di mandato a donare parlano anche i “principi” di Smartika: con una dizione che presenta margini di distacco dalla definizione codicistica della donazione ed introduce un profilo di realità nel perfezionamento del mandato, l’art. 18 prevede che il donatore «tramite bonifico bancario o tramite il proprio Conto di Pagamento, conferisce a Smartika il mandato di trasferire senza scopo di lucro una determinata somma di denaro ad un determinato Beneficiario» (sottolineature aggiunte). Uguale previsione è ripetuta anche nell’art. 9-bis, co. 4 del contratto quadro prestatori/donatori Smartika.
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4.3. Progetto e modo. Per quanto riguarda, invece, l’influenza del progetto alla cui realizzazione sono destinate le somme ottenute dal beneficiario, sembra arduo escludere che esso imprima alle varie donazioni un vincolo teleologico traducibile nel nostro ordinamento attraverso la qualificazione di tali donazioni come modali (art. 793 c.c.)43. Naturalmente, una simile configurazione potrebbe rivelarsi ridondante laddove il progetto per cui sono raccolte le somme si identifichi nella finalità statutariamente suggellata dell’ente destinatario, specie se si tratti di fini solidaristici/altruistici (o di pubblica utilità, se si preferisce). In simili ipotesi, la disponibilità del denaro per i gestori dell’ente beneficiario è già condizionata per effetto delle previsioni legali e statutarie, le quali inoltre elevano il vincolo di destinazione dalla mera obbligatorietà della clausola modale ad una più intensa ed ampia realità44.
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In questo senso, sempre sul piano comparatistico, il Portogallo offre il quadro più dettagliato rispetto agli altri stati europei che hanno disciplinato le raccolte a mezzo donazioni, in quanto le piattaforme devono fornire «a descrição da atividade ou produto a financiar, e os fins do financiamento a angariar» (art. 14, n. 1, al. a, lei 102/2015) e tale informazione rientra tra quelle costituenti «elementos essenciais da oferta», il cui inadempimento può dar luogo a risoluzione del contratto (art. 6, n. 2, lei 102/2015). Nella contrattualistica nazionale, invece, sono le piattaforme dedicate alle campagne avviate da enti non lucrativi a riservare maggiore attenzione al vincolo modale alla realizzazione del progetto. Quest’onere è ben esplicitato e presidiato nelle condizioni generali di Rete del dono, nelle quali si legge che «le Organizzazioni si impegnano ad utilizzare i Contributi unicamente per il Progetto approvato» (art. 6.2: sottolineatura aggiunta). Inoltre, grazie ad un articolato obbligo informativo successivo da parte del beneficiario nei confronti della piattaforma, quest’ultima «avrà la facoltà di verificare che i fondi erogati, vengano effettivamente destinati alla realizzazione dei Progetto» (art. 6.3). Anche nel regolamento di Com-unity si legge che la «donazione, quale atto di liberalità, è da intendersi vincolata al Progetto» (sottolineatura aggiunta) ed ancora più specificamente che «una volta che il Proponente riceva la Somma Effettiva, avrà obbligo di fare tutto quanto in suo potere per realizzare il Progetto: il Proponente riconosce, infatti, che le donazioni di modico valore effettuate dagli Utenti Registrati sono atti di liberalità vincolati al Progetto medesimo» (sottolineatura aggiunta). Infine, sempre in questo regolamento sono dettagliatamente disciplinati tempi e modalità con cui il beneficiario dovrà informare i suoi donanti della realizzazione del progetto. Tra le piattaforme non specializzate, soltanto nelle condizioni Proponente/Donatore DeRev si stabilisce che il beneficiario «si obbliga a destinare tutti i fondi ricevuti dai Donatori, al netto delle commissioni pagate, esclusivamente per la realizzazione del Progetto e ad operare in buona fede per la miglior esecuzione di quanto programmato». 44 Lo spunto è tratto da Morozzo della Rocca, Gratuità, cit., p. 164 ss. Dello stesso autore merita anche riprodurre estesamente alcuni passaggi di un altro studio utili
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Ciò non toglie che un modo possa comunque essere riscontrato ogni qual volta il progetto da realizzare sia solo una tra le tante attività perseguite dall’ente beneficiario e si sia inteso circoscrivere più puntualmente il vincolo di destinazione45. Si presenta, quindi, all’attenzione un secondo problema di non poco momento in relazione all’eventuale inadempimento del modo, specie alla luce della natura collettiva del crowdfunding. Da un lato, infatti, l’art. 793, co. 3, c.c. estende la legittimazione attiva a richiedere l’adempimento dell’onere a qualsiasi interessato, mentre, dall’altro, il suo quarto comma non solo asimmetricamente restringe il novero dei legittimati alla risoluzione per inadempimento al donante ed ai suoi eredi46, ma
anche ad illustrare meglio quanto si esporrà nel testo: «Occorrerà, innanzitutto, prestare attenzione alle modalità con le quali l’ente ha propagandato lo scopo e verificare altresì l’univoca volontà del conferente di destinare proprio a quello scopo i fondi devoluti. Se infatti la raccolta di fondi viene semplicemente pubblicizzata mettendo in evidenza una tra le attività svolte dall’ente, che non risulti poi interessata, in concreto, dal flusso di entrate percepite, ciò non potrà avere alcuna rilevanza nel rapporto giuridico instauratosi tra l’ente ed i suoi benefattori. […] In effetti, a differenza di quanto avviene per le iniziative promosse dai comitati di cui agli art. 39-42 c.c., la vita dell’ente non è qui indissolubilmente legata al singolo obiettivo, ma ad una finalità statutaria entro la quale il singolo scopo è compreso come semplice tassello di una più ampia costruzione. L’interprete non potrà, tuttavia, negare rilevanza alla dichiarazione del sottoscrittore che indichi una specifica causale dell’attribuzione, tanto più se tale causale sia stata espressamente accettata; essa, allora, dovrà essere rispettata. […] Ma quando una raccolta di fondi od altri conferimenti avvenga per uno degli scopi normalmente perseguiti dall’ente è più ragionevole pensare che tale scopo costituisca solo un motivo, non la causa, dell’attribuzione, identificabile quest’ultima nella gestione fiduciaria di un più ampio scopo benefico. L’ente, di conseguenza, non è libero di destinare a proprio piacimento i fondi raccolti ad una qualsiasi delle proprie finalità istituzionali, ma il vincolo di destinazione che accompagna tali attribuzioni, normalmente, troverà tutela nei termini e con i limiti che caratterizzano ogni obbligazione modale» (sottolineature aggiunte; il virgolettato è tratto da Il contratto gratuito a scopo di beneficenza, in Gius. civ., 2000, II, p. 196 s.). 45 Si consideri, ad esempio, l’alternativa per un ente dedito alla cura dei bambini che vivono in condizioni disagiate tra il costruire una scuola in un paese africano o garantire la realizzazione di un ospedale pediatrico da campo in una regione colpita da un terremoto. 46 Le ragioni della scelta operata dal legislatore del ’42, che si possono sintetizzare nell’intenzione di superare la concezione sinallagmatica della donazione modale, sono note, ma ciò non impedisce di avvertire la grave inadeguatezza delle ricadute di questa opzione dogmatica (oltretutto pensata con riguardo a vicende coinvolgenti due parti) rispetto all’esigenza di tutela dei vincoli che legano a finalità solidaristiche le risorse raccolte presso il pubblico in questa particolare applicazione del crowdfunding.
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richiede inoltre che tale facoltà sia prevista nell’atto di donazione, con norma che ha sollevato perplessità tra i primi autori che si sono occupati dell’assunto47. Posto, infatti, che una clausola legittimante alla richiesta della risoluzione per inadempimento del modo è assente in tutta la contrattualistica italiana nota48, residua unicamente l’azione volta ad ottenere coattivamente l’adempimento, la quale, come visto, può essere esperita da una sfera di soggetti che può superare l’insieme dei sostenitori del progetto per estendersi a tutti i potenziali interessati ai risultati dell’attività descritta in esso.
47 Cfr., anche per opportuni riferimenti bibliografici, Carnevali, La donazione modale, Milano, 1969, p. 266 ss., il quale, con riguardo alla scelta operata nel progetto definitivo e poi confluita nell’attuale codice civile, parla di «limitazione della quale non è dato rendersi conto» e ne sottolinea l’incongruità rispetto alla disciplina del modo testamentario (art. 648, co. 2, c.c.); Gardani Contursi-Lisi, Delle donazioni, in Comm. cod. civ., diretto da Scialoja e Branca, Roma-Bologna, 1976, p. 375 ss., scrive che «il disposto resta certo tra le norme inquietanti; e, insieme, tra le più influenti sulla ricerca, proprio per le perplessità che solleva», argomentando tuttavia in favore della fondatezza della diversità di disciplina rispetto al modo nel testamento. 48 Né può essere preso in considerazione sul punto il penultimo comma dell’art. 6 delle condizioni Fidalo, in cui si legge: «Il Sostenitore può revocare il mandato a donare o, se la somma è stata già prelevata dal suo conto, risolvere la donazione effettuata entro il termine di 13 mesi dalla data di fine raccolta fondi del progetto sostenuto». La “risoluzione” di cui parla il testo contrattuale, però, non fa alcun riferimento all’inadempimento dell’onere da parte del beneficiario, traducendosi piuttosto nell’attribuzione di uno jus poenitendi al donante operante attraverso una condizione risolutiva meramente potestativa (sulla cui apponibilità ad una donazione si confrontano: Torrente, La donazione2, agg. da Carnevali e Mora, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, XXII, Milano, 2006, p. 390 ss., 564 ss., in senso favorevole, e contra, Biondi, Le donazioni, in Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, XII, t. 4, Torino, 1961, p. 499, 518 s., 858 s.; in giurisprudenza l’unico precedente noto è a favore della compatibilità di tali condizioni risolutive con la donazione: Cass., 10 ottobre 1970, n. 1933, in Riv. not., 1971, II, p. 268 ss.). Lo stesso può dirsi in relazione alla revoca di cui tratta l’art. 1, lett. b del contratto quadro prestatori/donatori Smartika, che parla di revoca «prima dell’accredito sul conto di Smartika dedicato alla Donazione». Da una ricognizione comparatistica, il problema, comunque, non risulta essere stato del tutto negletto: in Portogallo, come già visto (supra, sub nt. 43), l’esperibilità dell’azione di risoluzione da ogni parte del contratto è espressamente contemplata dall’art. 6, n. 2, lei 102/2015 in relazione all’inadempimento dell’obbligazione di rispettare e realizzare il progetto. Questa regola si pone in evidente rapporto di specialità rispetto alla norma di carattere generale dell’art. 966 c.c. portoghese, il quale, in termini perfettamente sovrapponibili al nostro art. 793, co. 4, c.c., sancisce: «O doador, ou os seus herdeiros, também podem pedir a resolução da doação, fundada no não cumprimento de encargos, quando esse direito lhes seja conferido pelo contrato».
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La risarcibilità del danno provocato dall’inosservanza del modo è rimedio astrattamente praticabile, ma in concreto il problema della sua quantificabilità – almeno nell’ottica di chi ha sostenuto finanziariamente un progetto – resta pressoché insormontabile. Per altro verso, l’ingiustificato arricchimento (art. 2041 c.c.) potrebbe forse presentare una qualche incidenza contro i fenomeni di completa inerzia dell’onerato, ma è di scarsissima utilità contro una semplice variazione dei fini per cui è impiegata una certa somma di denaro, specie se questo mutamento si registra all’interno di un complesso di attività analoghe49; da ultimo, realisticamente sarebbe un rimedio impraticabile da parte di chi abbia effettuato attribuzioni di modico valore. Non è tutto: i potenziali destinatari dei risultati del progetto sono senz’altro legittimati a richiedere un risarcimento dei danni se sono stati preventivamente individuati in modo specifico, o, almeno, sono individuabili in quanto rientrano in un insieme sufficientemente determinato (ad esempio, tutti gli abitanti di un centro urbano che sarà interessato dalla realizzazione di un nuovo sistema di trasmissione dati Wi-Fi): in tal caso, sono titolari di un diritto soggettivo perfetto. Anche così, comunque, la quantificazione del pregiudizio subito, fondandosi su valutazioni eminentemente congetturali, risulta molto problematica. Ancora più difficoltoso sarà il caso in cui il novero dei potenziali destinatari dei risultati dell’attività non sia predefinito (ad esempio, laddove si tratti dell’invenzione di un nuovo tipo di batteria che consenta di incrementare significativamente il periodo di accensione dei cellulari). Costoro potranno tutt’al più essere considerati portatori di un interesse legittimo ed il risarcimento della lesione inferta ad una simile situazione giuridica strumentale è condizionato da un ulteriore grado di ipoteticità. A parte dev’essere considerato il caso menzionato poco sopra in cui il destinatario dei contributi da parte del pubblico sia un ente a finalità altruistiche, il quale abbia avviato una raccolta per la realizzazione dei propri scopi. In questa fattispecie non è possibile sostenere che la dazione sia assistita da una clausola modale, con l’eccezione di quanto
49 Si potrebbe pensare ad una campagna finalizzata a promuovere la somministrazione di un nuovo farmaco antivirale alle vittime di un’epidemia in uno stato sudamericano, che viene invece realizzata in uno stato confinante, più facilmente raggiungibile. Ancora, è ipotizzabile una raccolta di fondi volta alla costruzione di un centro per l’assistenza socio-sanitaria dei profughi che vengono poi impiegati per realizzare dei rifugi destinati ad ospitare le famiglie che viaggiano con bambini al seguito.
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osservato prima sulla configurabilità di un vero e proprio onere se il progetto delimita l’attività da realizzare rispetto all’oggetto statutario o al programma dell’ente. Le conseguenze sul piano della tutela di coloro che volessero imporre all’ente il perseguimento dell’attività per cui hanno versato il proprio contributo monetario senza precisarne alcun vincolo d’impiego sono dibattute in dottrina e giurisprudenza: da un lato, si tende ad escludere una diretta interferenza ab externo sul funzionamento dell’ente, dall’altro, variamente si configurano più o meno intensi strumenti di reazione che possono passare attraverso l’intervento dell’autorità giurisdizionale o amministrativa50. Senza poter in alcun modo ripercorrere i vari itinerari argomentativi svolti dagli studiosi, ci si limita a manifestare una preferenza per quelle soluzioni che consentono all’oblatore di azionare il vincolo di destinazione risultante dalle disposizioni statutarie e legali (e non certo da una clausola modale) in vista della sua preservazione e realizzazione. Questo approdo si lascia prediligere per le medesime ragioni che persuadono della necessità salvaguardare la vincolatività delle promesse unilaterali gratuite per fini solidaristici o di pubblica utilità: sostenere il contrario non solo darebbe adito ad una sperequazione ingiustificata (l’ente beneficiato potrebbe sempre pretendere l’attuazione coattiva della promessa ineseguita, mentre il beneficiante non potrebbe esigere dall’ente nemmeno il rispetto di quegli scopi che avevano motivato il suo contributo), ma minerebbe anche la credibilità del settore nonprofit. Piuttosto, il problema centrale è la mancanza di un’organica disciplina che fughi i dubbi e consenta di affermare con certezza quale sia il rimedio adoperabile per assicurare l’effettiva utilizzazione delle erogazioni percepite per la realizzazione delle finalità per cui sono state richieste51 ed an-
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Per un quadro delle varie opinioni ed ulteriori riferimenti: Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, p. 197 ss., spec. 202 ss.; Gianola, Atto gratuito, cit., p. 222 ss.; Basile, Le persone giuridiche2, Milano, 2014, p. 446 ss.; Id., Gli enti di “fatto”2, cit., p. 558 ss., spec. 562 ss. 51 Di ciò non si parla neppure nella l. 106/2016, la quale prevede tra i criteri della delega al governo per la riforma del “terzo settore” una serie di obblighi informativi e pubblicitari (artt. 4, co. 1, lett. f, i, m, e 9, co. 1, lett. d), ma nessun genere di rimedio o sanzione per le condotte discusse nel testo. La legge citata si segnala comunque per la prima fugace e non circonstanziata menzione del crowdfunding (si suppone donativo) in un contesto filantropico, legando la realizzazione di operazioni di raccolta all’alimentazione del fabbisogno finanziario di una istituenda fondazione (“Italia sociale”) a sostegno degli enti del “terzo settore” (art. 10, co. 3, lett. a).
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che a quale autorità rivolgersi52, ma su questo punto si tornerà al termine di queste riflessioni. 4.4. Donazioni remuneratorie? Passando ad un ultimo aspetto critico, le modalità operative e la contrattualistica italiana del donation-based crowdfunding spingono ad escludere una generale qualificabilità delle erogazioni effettuate come donazioni remuneratorie (art. 770 c.c.). Le ragioni di questa conclusione sono almeno due: 1) se non sarà reso alcun servizio a favore del donante, allora non si può configurare riconoscenza, bensì una manifestazione di mero apprezzamento per il progetto, come tale non integrante la fattispecie in questione; 2) quando il progetto sarà incentrato sull’attuazione di un’iniziativa benefica o di pubblica utilità, allora si è dell’opinione che l’intento solidaristico prevalga sulla considerazione per i meriti del donatario. Certamente, i rilievi mossi non sono idonei a coprire l’intero ventaglio motivazionale in relazione a tutte le ulteriori situazioni astrattamente prospettabili53, ma quand’anche si ritenesse la sussistenza di una donazione remuneratoria, ai fini che qui interessano non vi sarebbero significative ripercussioni sul piano disciplinare54.
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Ed invero, se frequente è in dottrina l’evocazione dell’autorità amministrativa quale destinatario elettivo delle istanze di tutela rispetto alle situazioni di inattività o di sottrazione di risorse rispetto ai fini statutari, manca poi qualsiasi approfondimento al riguardo. Rispetto alle persone giuridiche nonprofit il pensiero va facilmente alle prefetture ed alle regioni, mentre altri enti che siano anche beneficiari di agevolazioni o contributi pubblici sono sottoposti al controllo di una miriade di autorità diverse individuate volta per volta dalla legge istitutiva del regime privilegiato. Al di fuori di questi ambiti, però, non si può riconoscere una competenza residuale e generalizzata in capo a nessuna ramificazione della P.A. 53 Ad esempio, la dottrina maggioritaria ammette che la donazione per riconoscenza possa aversi anche nel caso in cui il servizio da ricompensare avrà luogo in futuro e ciò potrebbe essere compatibile con le dinamiche del donation-based crowdfunding. Così, ex multis: Oppo, Adempimento e liberalità, Milano, 1947, p. 135 ss.; Torrente, La donazione, cit., p. 317 ss.; Carnevali, Le donazioni, in Tratt. dir. priv., dir. da P. Rescigno, VI, Torino, 1997, p. 565. Contra, Biondi, Le donazioni, cit., p. 713. In giurisprudenza, tuttavia, si registra solo l’opposta ottica della necessaria anteriorità del comportamento o del servizio da ricompensare: Cass., 17 novembre 1999, n. 12769, in Contr., 2000, p. 456 ss., con nota di Valenza; Cass., 24 ottobre 2002, n. 14981, in Riv. not., 2003, II, p. 964 ss., con nota di Gisolfi. 54 In effetti, è difficile immaginare che ruolo potrebbero in concreto svolgere l’esonero del donatario dall’obbligo degli alimenti (art. 437 c.c.) o quello, limitato, dalla garanzia
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4.5. Donation-based crowdfunding e procedure concorsuali. Residuano due riflessioni conclusive su alcuni rapporti tra donationbased crowdfunding e disciplina concorsuale, nonché la segnalazione di una novità di natura tributaria di potenziale rilievo. Viene in primo luogo in considerazione l’inefficacia ex art. 64 l. fall. degli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento. Stanti i benefici d’immagine e tributari e l’insorgenza di una rete di elargizioni reciproche (cui si potrebbe in effetti riconoscere natura remuneratoria) sulle piattaforme di crowdfunding donativo, è sempre più frequente la partecipazione alle campagne di imprenditori in veste di sostenitori. Nel caso in cui uno di essi fallisca successivamente all’erogazione di un contributo, un rilievo centrale è assunto dalla proporzionalità delle elargizioni rispetto al suo patrimonio55: in tal senso, benché si possa convenire sulla non piena sovrapponibilità tra i concetti di modicità (art. 783 c.c.) e proporzionalità56, pare che il canone valutativo aggiuntivo enunciato dall’art. 783, co. 2, c.c. collimi funzionalmente con il genere di apprezzamento richiesto dall’art. 64 l. fall.. Cosicché, l’elargizione proporzionata al patrimonio del fallito e destinata ad uno “scopo di pubblica utilità” (o remuneratoria) sarà inattaccabile nella procedura concorsuale, anche se non si può nascondere che l’individuazione di soglie oggettive (come è stato fatto nella modifica dell’art. 67, co. 1, n. 1, l. fall.) potrebbe prevenire oscillazioni giurisprudenziali. Il secondo aspetto cui si vuole dedicare attenzione prima di passare alla successiva specie di crowdfunding è quello dell’insolvenza del gestore della piattaforma. Qualora si riscontri la sussistenza del presupposto soggettivo di applicazione delle procedure concorsuali57 (art. 1 l.
per l’evizione (art. 797, n. 3, c.c.), oppure l’irrevocabilità per ingratitudine o per la sopravvenienza di figli (art. 805 c.c.). Si vedano comunque i cenni infra nel testo del par. 4.5. 55 Si vedano le considerazioni di M. Sandulli, Gratuità dell’attribuzione e revocatoria fallimentare, Napoli, 1976, p. 231 ss., 245 ss.; Id., Commento all’art. 64 l. fall., in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e Santoro, II, Torino, 2010, p. 894; cui adde, in altra chiave, Morozzo della Rocca, Gratuità, cit., p. 184 ss.; Id., Autonomia, cit., p. 64 ss.; Gatt, La liberalità, cit., p. 387 ss., testo e note. 56 Cfr. nuovamente Morozzo della Rocca, Gratuità, cit., p. 198 ss.; Gatt, La liberalità, cit., p. 389, nt. 157, 391 s., testo e note. 57 Per vero, alcune piattaforme straniere operano senza richiedere alcun compenso alle parti, ma quelle italiane di cui sono state consultate le condizioni di contratto prevedono tutte l’applicazione di commissioni in misura percentuale sugli importi raccolti, salvo
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fall.), sorge una grave incertezza in relazione al completamento delle campagne il cui termine non sia ancora scaduto. In tal caso, ove sia disposto contestualmente al fallimento o successivamente l’esercizio provvisorio dell’impresa in base all’art. 104 l. fall., il curatore subentra nel ruolo intermediario del gestore della piattaforma. I contributi continueranno ad essere raccolti sul conto (corrente bancario o di pagamento) apposito58 e poi il curatore li rimetterà ai beneficiari,
il caso di campagna all or nothing non andata a buon fine. In ogni caso, quand’anche la piattaforma non percepisse compensi dai sostenitori o dai beneficiari, potrebbe ugualmente essere qualificata come un imprenditore, se, ad esempio, effettuasse attività pubblicitaria attraverso il sito internet. 58 Ciò in quanto con l’esercizio provvisorio non si produce l’automatico scioglimento del rapporto di conto corrente bancario all’esito del fallimento (art. 78 l. fall.). Quest’ultima regola, tuttavia, rende più difficoltoso l’impiego dello strumento dell’affitto d’azienda (art. 104-bis l. fall.), normalmente di gran lunga preferito ove la prosecuzione dell’attività imprenditoriale si riveli utile ad una successiva proficua cessione dell’intero complesso aziendale. Difatti, stante lo scioglimento del conto corrente bancario, si suppone che le somme relative alle campagne in corso, prima acquisite dal curatore sul conto della procedura (art. 34 l. fall.), dovranno poi essere trasferite sul conto dell’affittuario dell’azienda, così da consentirgli la continuazione dell’attività, posto sempre, ovviamente, che i tempi della procedura risultino compatibili con quelli delle raccolte. Diversa conclusione sembra invece di dover raggiungere qualora le somme destinate al crowdfunding siano raccolte su un conto di pagamento (che non sia un conto corrente bancario o postale). Se si condivide che il presupposto dello scioglimento automatico del conto corrente bancario stabilito dall’art. 78 l. fall. sia legato all’impossibilità della prosecuzione del rapporto in capo al fallito, in quanto privato della disponibilità dei propri beni, ci si avvede che esso non trova riscontro per i conti di pagamento su cui è confluito il denaro dei sostenitori per l’evidente ragione che queste somme non appartengono al (gestore della piattaforma) fallito. In secondo luogo, considerate le differenze che autorevole dottrina ha sottolineato tra conto corrente bancario e conto di pagamento (Santoro, I conti di pagamento degli Istituti di pagamento, in Giur. comm., 2008, I, p. 864 s.; Id., Gli istituti di pagamento, in Armonizzazione europea dei servizi di pagamento e attuazione della direttiva 2007/64/CE, a cura di Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi, O. Troiano, Milano, 2009, p. 71, 75; Id., Commento all’art. 114-duodecies, in Testo unico bancario. Commentario, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, Milano, 2010, p. 931; Id., Commento all’art. 114-duodecies, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 470; Id., I servizi di pagamento, in Ianus, 2012, n. 6, p. 18 ss., disponibile sul sito http://www3.unisi.it/ianus; Id., Istituti di pagamento, in Ann. Enc. dir., V, Milano, 2013, p. 355 ss.; Marullo Reedtz, Commento all’art. 1, co. 1, lett. b), l) e n), d.lgs. 11/2010, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 9, nt. 4, in cui l’autore traccia un rapporto da genere a specie, evidente laddove si legge che «il conto corrente bancario è quindi anche conto di pagamento quando a valere su di esso vengono eseguite operazioni di pagamento» – sottolineatura aggiunta; Sciarrone Alibrandi, Commento all’art. 126-bis, in Testo unico bancario. Commentario, cit., p. 1084 s.), sembra plausibile ritenere che la
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trattenendo il compenso dovuto. I crediti sorti medio tempore devono essere ascritti alla categoria dei crediti prededucibili e conseguentemente soddisfatti (artt. 104, co. 8, e 111, co. 1, n. 1, l. fall.). Al di là dell’astratta possibilità di continuazione così delineata, deve comunque essere tenuta in conto la centrale importanza rivestita dall’elemento fiduciario nella realizzazione di una campagna donation-based crowdfunding: il tracollo della piattaforma provocherà con ogni probabilità la fuga dei sostenitori, pur in presenza di ogni garanzia riguardo alla corretta raccolta e destinazione dei fondi da parte del curatore subentrato, facendo così venir meno ogni prospettiva di continuazione dell’attività. Infine, in caso di mancata prosecuzione dell’attività della piattaforma fallita, si ritiene che il curatore non possa acquisire all’attivo fallimentare le somme raccolte per le campagne pendenti (in quanto non appartenenti al fallito). I donanti potranno proporre domanda di restituzione delle somme già raccolte ai sensi dell’art. 103 l. fall., sempre che sia stato rispettato dalla piattaforma (nonché dall’intermediario di cui si è avvalsa) il principio di separatezza tra le risorse proprie e quelle dei clienti. La novità di diritto tributario di cui si è parlato nell’esordio di questo paragrafo è celata nel d.l. 18/2016, noto ai più per la discutibile riforma dell’assetto regolamentare e della gestione delle banche di credito cooperativo da esso operata: l’art. 14 d.l. cit., infatti, sancisce l’esclusione dal perimetro delle sopravvenienze attive rilevanti ai fini dell’art. 88 TUIR dei contributi percepiti a titolo di liberalità dai soggetti sottoposti ad una serie di procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza…). Non rientrando nelle competenze di chi scrive una più dettagliata analisi di questa norma (che peraltro esclude dal suo ambito una serie di contributi infragruppo: art. 14, co. 1,
norma dell’art. 78 l. fall. non possa estendersi sino a comportare l’automatico scioglimento di quest’ultimo. Difatti, le somme registrate su un conto di pagamento non potranno essere utilizzate che per la prestazione dei servizi di pagamento contemplati nel relativo contratto e secondo le relative istruzioni (art. 114-duodecies, co. 1, t.u.b., attuativo della dir. 2007/64/ CE - PSD - e confermato nell’art. 18, par. 2, dir. (UE) 2015/2366 - PSD 2), ferma restando la loro indisponibilità per il fallito e per soggetti terzi eventualmente autorizzati ad effettuare operazioni in addebito. In ogni caso, anche così c’è il rischio che la preservazione ed il completamento delle campagne in essere siano pregiudicati dalla configurazione del rapporto tra sostenitori e gestore della piattaforma in termini di mandato a donare (v. supra, sub nt. 42), perché in tal caso l’art. 78, co. 2, l. fall. provocherà l’automatico scioglimento del rapporto, salvo l’avvio dell’esercizio provvisorio.
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d.l. cit.), la si segnala comunque all’attenzione perché potrebbe prestarsi ad agevolare le campagne donation-based crowdfunding volte alla realizzazione di progetti di risanamento di complessi produttivi, anche attraverso più articolate operazioni di passaggio di controllo in capo ai lavoratori (c.d. workers buy-out). Si potrebbe così contribuire inoltre a svincolare il crowdfunding dal preconcetto che lo vuole associato allo sviluppo di iniziative innovative, allargandone i potenziali impieghi.
5. Il reward-based crowdfunding. Passando ora all’analisi del reward-based crowdfunding, in una prospettiva al momento esclusivamente descrittiva, si può parlare di questa variante in relazione a quelle campagne nelle quali chi fa appello alle contribuzioni altrui promette l’attribuzione di una qualche forma di ricompensa o premio, spesso graduata in relazione all’ammontare dell’offerta59. La ricompensa, in realtà, può alle volte essere anche di valore puramente simbolico e consistere solo in un messaggio di ringraziamento, una menzione pubblica o un incontro con i promotori dell’iniziativa: in tal caso non residua alcun margine per estrapolare le attribuzioni dei sostenitori dall’ambito della donazione ed in relazione ad esse valgono le considerazioni già svolte nei paragrafi precedenti. La valutazione non è destinata a cambiare laddove il premio abbia un valore esiguo o comunque ampiamente inferiore rispetto all’entità dell’erogazione effettuata, potendosi tutt’al più concedere che il contenuto del modo gravante su queste erogazioni si presenta più composito rispetto a quelli tracciati nel crowdfunding donativo. Nel caso che ora ci occupa, infatti, al rispetto dei vincoli di impiego derivanti dall’esecuzione del progetto, si somma l’obbligo di svolgere una prestazione di dare o di fare in favore del sostenitore60, rispetto alla quale, ancora una volta,
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Si ribadisce che la prima campagna di crowdfunding nota (v. supra, sub nt. 3) si è svolta secondo questa configurazione. 60 Probabilmente solo a causa di un fraintendimento Girino, Le regole del crowdfunding, cit., p. 75, testo e nt. 2, parla degli omaggi dovuti dal beneficiato ai sostenitori come di “donazioni remuneratorie”. In realtà, una simile conclusione non può essere condivisa perché, secondo l’interpretazione corrente, una donazione remuneratoria si ha solo quando il donante non è vincolato né legalmente, né moralmente ad effettuare quell’attribuzione, mentre nel caso di specie l’assegnazione degli omaggi o anche la realizzazione delle prestazioni previste sono oggetto di uno specifico obbligo per colui che ha concluso
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può ripetersi quanto già detto per i vincoli presenti nel donation-based crowdfunding. 5.1. Tra gratuità, liberalità e onerosità. Se, però, il valore del contributo e quello della ricompensa si approssimano, diventa problematico sceverare «la matrice di corrispettivo dell’acquisto di beni o della fruizione di servizi – laddove è evidente la sinallagmaticità – da quella di elargizione soltanto occasionata dal conseguimento di alcunché di valore irrisorio o addirittura esclusivamente affettivo – ove è palese l’intento liberale»61. Alcune piattaforme, proprio per evitare l’insorgere di interferenze con discipline estranee a quelle che governano liberalità ed atti gratuiti, stabiliscono che la ricompensa dev’essere di valore irrisorio62 (il che non toglie che se il contributo è altrettanto irrisorio non vi possa essere corrispettività) e comunque non costituita da denaro o utili d’impresa63.
una campagna di reward-based crowdfunding. Può inoltre generalmente escludersi la qualificabilità di questi omaggi come donazioni alla stregua della considerazione della loro natura interessata ed al riguardo si vedano: Morozzo della Rocca, Gratuità, cit., p. 76, 80 s.; Id., Autonomia, cit., p. 61 ss.; Gatt, La liberalità, cit., p. 358 ss.; Gianola, Atto gratuito, cit., p. 153 ss. Il punto è colto con riguardo al reward-based crowdfunding, anche se in forma interrogativa, da Amato, Due nuovi modelli contrattuali, cit., p. 478 s., nt. 54. Nella contrattualistica italiana, ad ogni modo, emerge che l’aspetto discusso nel testo è trattato con una certa superficialità, in quanto la donazione è qualificata modale solo quando il ricevente si sia impegnato pubblicando il progetto ad offrire delle ricompense: art. 18 condizioni DeRev; art. 11 Produzioni dal basso. Si segnala infine che, a differenza di altri ordinamenti continentali in cui le soluzioni collimano con quella italiana, in Germania la presenza di riconoscimenti di natura anche meramente simbolica impedisce la qualificazione di tali contratti come donazioni: N’Diaye, Le financement par la foule, point de vue du droit allemand, in Rev. gen. dr., 2015, 6, p. 5 s., consultabile su http://www.revuegeneraledudroit.eu; Bareiß, Filmfinanzierung 2.0, Funktionsweise und Rechtsfragen des Crowdfunding, in Zeitschrift für Urheber- und Medienrecht – ZUM, 2012, p. 460. 61 Nonostante sia stata scritta riguardo ad altra materia, anche nell’argomento di cui ci si occupa è parsa particolarmente calzante la frase di Fusaro, Trasformazioni eterogenee, fusioni eterogenee ed altre interferenze della riforma del diritto societario sul «terzo settore», in Contr. e impr., 2004, p. 298. 62 In questi termini: art. 9 condizioni Eppela; art. 8 condizioni Funditaly. 63 Questo riferimento è ripreso testualmente dall’art. 9 condizioni Funditaly. Analogamente anche dall’art. 10.2 condizioni Limoney («La ricompensa è costituita da un bene di natura non monetaria di modico valore»); art. 17 condizioni DeRev («Tali ricompense possono consistere in ricompense simboliche o emotive oppure in oggetti o servizi di valore comunque inferiore al contributo ricevuto. In nessun caso le ricompense possono consistere in denaro o
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Una linea discretiva è stata tracciata da quella dottrina secondo la quale bisognerebbe escludere la ricorrenza di una donazione modale «qualora, fin dal momento della conclusione del contratto, sussista equivalenza di valore tra la prestazione del “donante” e quella del “donatario-onerato” e il donante ovvero entrambi i contraenti ne siano consapevoli» (sottolineature aggiunte)64. Nel condividere la soluzione fornita, nella misura in cui è temperata dall’osservazione per cui «i contratti onerosi non realizzano quasi mai uno scambio perfettamente equilibrato dal punto di vista economico»65, si deve comunque sottolineare il potenziale insorgere di difficoltà nell’accertamento della consapevolezza delle parti rispetto all’onerosità del rapporto contrattuale66, che per lo più si potrà desumere solo presuntivamente. Non si può omettere, inoltre, di rilevare che quest’ultima valutazione potrebbe reintrodurre un elemento di soggettivismo nell’ambito di un inquadramento che è spiccatamente oggettivo e forse al riguardo potrebbe rivelarsi preferibile optare per una diversa impostazione incentrata sulla ignoranza incolpevole delle parti circa l’equivalenza di valore tra dato e ricevuto. Nel caso del crowdfunding si ritiene che si dovrà concentrare l’attenzione su chi ha pubblicato il progetto, poiché normalmente avrà commisurato con attenzione i costi da affrontare per offrire i “premi” alle varie classi di offerte sollecitate67.
in beni o servizi […]»); art. 11 condizioni Produzioni dal basso. 64 Così, Gatt, La liberalità, cit., p. 269, ma si veda da p. 267 in poi, anche in nota per ampie riflessioni e riferimenti, nonché a p. 187 s., nt. 69. V. già M. Sandulli, Gratuità, cit., p. 127 ss., spec. 129 ss., ove tuttavia il riferimento proposto è al “prezzo” e non all’equivalenza di valore, ammettendosi poi la configurabilità di un’onerosità o gratuità anche solo parziali. Più recentemente, Morozzo della Rocca, Gratuità, cit., p. 25 ss., spec. p. 28 s., testo e nt. 65. 65 Il virgolettato è ancora di Gatt, La liberalità, cit., p. 195, nt. 86. La necessità del temperamento rispetto all’adozione di un rigido criterio di equivalenza s’impone, risultando altrimenti pressoché impossibile determinare in concreto i limiti, pur mobili, che distinguono l’area della onerosità da quella della gratuità e della liberalità. 66 Ed al riguardo si dimostrano utili le considerazioni di Morozzo della Rocca, Gratuità, cit., p. 30, a parere del quale «quanto maggiore sia l’oggettiva sproporzione tra l’attribuzione del donante e l’entità economica dell’onere imposto al donatario tanto più nitida risulterà la causa donandi. Se, invece, all’attribuzione formalmente oggetto di donazione corrisponde l’obbligo di dare o fare qualcosa di normalmente comparabile con il donatum, ancorché non esattamente equivalente, bene fa quel giudice che, sospettoso, si soffermi ad indagare se non vi sia, piuttosto, un dissimulato negozio oneroso». 67 Pare opportuno segnalare che al mero aumento del livello di contribuzione non si accompagna necessariamente uno spostamento dalla liberalità/gratuità all’onerosità,
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Si crede ad ogni modo che queste siano solo le prime avvisaglie di future e più serie difficoltà nel “regolamento dei confini” tra gratuito ed oneroso. Ma non è tutto: la definizione reward-based crowdfunding, nella sua tensione verso gli effetti di una raccolta, più che alla ragione per cui essa avviene68, cela una natura spiccatamente eclettica, in seno alla quale non si affrontano soltanto queste due categorie privatistiche. Per meglio dire, l’onerosità non è esclusivamente legata a campagne realizzate vendendi causa. L’etichetta in questione, infatti, è stata usata anche in relazione a raccolte di fondi in cui si instaurava un investimento finanziario (non riconducibili all’equity-based crowdfunding inteso in senso stretto come raccolta di capitale di rischio69). Se pure quest’ultima fattispecie non sembra aver attecchito in Italia, non si può affermare che essa non sia ipoteticamente realizzabile nel nostro ordinamento70, come d’altra par-
poiché bisogna sempre commisurare il dato al ricevuto, come puntualizzato nel testo. Così, è di tutta evidenza che resterà una donazione il contributo di 10.000 € alla realizzazione di un certo film che consentirà al sostenitore di trascorrere una giornata con il regista. 68 Si consideri, ad esempio, il passaggio di Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 222, nel quale l’autrice spiega che il crowdfunding può realizzarsi «sia nella forma di investimenti azionari (equity) che di credito o donazioni e reward (ad esempio, un’anteprima dell’album o film finanziati)», in effetti concentrandosi nell’ultimo caso sul risultato della campagna per i sostenitori, ma senza chiarire quale sia il titolo per l’erogazione dei contributi. 69 In questi casi si è talvolta fatto ricorso ad una denominazione a parte, quale profitsharing crowdfunding o royalty crowdfunding: Belleflamme, Lambert e Schwienbacher, Crowdfunding: tapping the right crowd, in J. Bus. Venturing, 2014, Vol. 29, No. 5, p. 586, i quali adoperano in questo scritto la prima espressione e vi fanno rientrare anche casi di equity-based crowdfunding. La seconda sembra peraltro prevalere sia nella prassi, che nella letteratura: Belleflamme, Omrani e Peitz, The economics of crowdfunding platforms, in Information Econ. Pol., 2015, Vol. 33, p. 11 ss.; Massolution, 2015 CF, cit.; Id., 2013 CF, cit.; World Bank, Crowdfunding’s potential, cit., p. 20. 70 Alle start-up innovative ed alle PMI innovative non azionarie è consentito emettere degli strumenti finanziari partecipativi (art. 26, co. 7, d.l. 179/2012, richiamato nell’art. 3, co. 9, d.l. 3/2015), così come alle s.p.a. ed alle cooperative (artt. 2346, co. 6, e 2526 c.c.). Tuttavia, non è possibile realizzare una raccolta secondo le regole introdotte per startup e PMI innovative mediante l’emissione di tali strumenti poiché le norme correlate nel t.u.f. si riferiscono al solo capitale di rischio di queste società ed a strumenti finanziari che lo rappresentano (artt. 1, co. 5-novies, e 50-quinquies, co. 2, t.u.f.). È comunque possibile effettuare campagne di raccolta al di fuori della disciplina del d.l. 179/2012 “titolando” un’associazione in partecipazione di massa tra la società imprenditrice ed il pubblico, cui resterebbe ad ogni modo applicabile l’intricato complesso di norme sulle offerte al pubblico, ove non ricorressero ipotesi di esenzione.
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te è avvenuto altrove71. Ciononostante, anche a dispetto dell’enorme apertura verso fenomeni di tipizzazione di operazioni cartolari atipiche registrata con l’introduzione della categoria degli strumenti finanziari partecipativi nel diritto azionario nel 2003, quest’opzione potrebbe rivelarsi costosa, incerta e difficilmente gestibile. L’incontro di questi tre influssi in un’ipotetica campagna rewardbased potrebbe dar luogo ad un’unica complessa operazione in cui si combinano, a seconda delle diverse soglie di attribuzioni, erogazioni
Ciò che piuttosto suggerisce la difficoltà pratica di una simile iniziativa è l’esperienza già maturata nel mercato finanziario italiano tra fine anni ’70 e primi anni ’80 ed il pressoché nullo impiego degli strumenti finanziari partecipativi. 71 Il riferimento è in particolare alla Germania, dove vi è stato un ampio ricorso alla figura della stille Gesellschaft (l’equivalente della nostra associazione in partecipazione) per operazioni il cui valore si collocava al di sotto delle soglie che all’epoca imponevano la pubblicazione di un prospetto (100.000 € all’anno: § 2, Nr. 3, lit. b, Vermögenanlagensgesetz, testo anteriore alle modifiche apportate con il Kleinanlegerschutzgesetz). A partire dalla fine del 2012, secondo quanto riferito dalla dottrina, si è affermato il ricorso al partiarisches Nachrangdarlehen (mutuo parziario subordinato), che, non essendo considerato un Vermögenanlage ai fini del Vermögenanlagensgesetz, né un Finanzinstrument ai sensi del Kreditwesengesetz e del Wertpapierhandelsgesetz, non era sottoposto alle limitazioni quantitative della stille Gesellschaft, fermo restando che la distinzione tra le due figure era oggetto di discussione. Attualmente, nonostante alcune vicende particolarmente negative per gli investitori (tra cui si segnala in particolare il caso Prokon), con il Kleinanlegerschutzgesetz si è provveduto ad affrancare dall’obbligo di prospetto (§ 2a Vermögenanlagensgesetz vigente) le offerte pubbliche di una serie di titoli che noi diremmo “ibridi” partecipativi o di debito (§ 1, Abs. 2, Vermögenanlagensgesetz vigente), se di valore complessivamente inferiore a 2.500.000 €, assoggettando al contempo gli emittenti all’obbligo di pubblicare un foglio informativo (Vermögenanlagen-Informationsblatt: § 13), che può essere accostato al documento informativo di cui all’art. 15 reg. CONSOB 18592/2013 ed al relativo all. 3, anche per le velleitarie pretese di sintesi e semplificazione. Per maggiori informazioni e critiche sull’assetto presente e su quello passato, nonché sulla possibile influenza delle modifiche sulle modalità di raccolta dei capitali online in Germania: Klöhn e Hornuf, Crowdinvesting in Deutschland, cit., p. 241, 243 ss., 247 s., 259 s., 265; Id., Schilling, The regulation of crowdfunding in the German small investor protection act. Content, consequences, critique, suggestions, 2015, p. 5 ss., 11 ss., disponibile sul sito http://www.ssrn.com (in corso di pubblicazione in Dir. banc., 2015); Hornuf e Schwienbacher, Should securities regulation promote crowdinvesting?, Munich Discussion Paper No. 2014-27 - Volkswirtschaftliche Fakultät Ludwig-MaximiliansUniversität München, p. 16, leggibile sul sito http://epub.ub.uni-muenchen.de; N’Diaye, Le financement par la foule, cit., p. 7 ss., la quale afferma: «L’engouement allemand pour ce type de financement s’explique par le fait que ces prêts participatifs de dernier rang ne tombent pas actuellement sous l’obligation de prospectus de vente prévue par le § 6 de la loi sur les produits financiers, Vermögensanlagegesetz (VermAnlG), ni sous celle d’autorisation pour la plateforme par l’autorité fédérale de surveillance des services financiers, BaFin»; Bareiß, Filmfinanzierung, cit., p. 461.
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gratuite/liberali, altre inserite in un sinallagma caratterizzato dalla causa di vendita ed altre ancora costituenti un vero e proprio investimento. Naturalmente, ciascuna delle cause negoziali evocate richiama l’applicazione di insiemi di regole profondamente diversi e diventa imprescindibile che le condizioni generali di contratto, usualmente predisposte dai gestori delle piattaforme, presentino il massimo grado di chiarezza circa i diversi tipi di contratto perfezionabili in relazione all’importo che si intende versare a chi ha pubblicato il progetto72.
72 Ad esempio, in relazione alla realizzazione di un nuovo modello di robot da cucina a basso consumo energetico, per tutti coloro che volessero contribuire con somme inferiori a 50 €, si avrebbe una donazione di modico valore; da 51 € a 250 €, chi contribuisce resta un donatore, ma ha diritto ad una serie di omaggi via via più sostanziosi (libri di ricette, accessori per preparazioni particolari…); da 251 € fino a 2.500 €, invece, si realizzerebbe una vendita del bene futuro, acquistabile in più esemplari da parte dei compratori in ragione di quanto versato; da 2.500 € fino a 10.000 €, infine, chi fosse interessato potrebbe entrare in un rapporto di associazione in partecipazione con il produttore, condividendo percentuali crescenti dei profitti di quest’ultimo. L’esigenza di chiarezza sembra però trascurata dalle condizioni generali della piattaforma DeRev, laddove si mescolano senza soluzioni di continuità previsioni sulla donazione e previsioni attinenti la vendita, come quando - a tacere della nullità della donazione di beni futuri (art. 771, co. 1, c.c.) e della riferibilità dell’art. 1472 c.c. alla vendita - si stabilisce che «in deroga a quanto previsto dall’art. 1472 cod. civ., la proprietà sul bene proposto non si trasferisce al sottoscrittore nel momento in cui esso venga ad esistenza, ma nel momento in cui viene consegnato al Donatore nel domicilio indicato. Conseguentemente, fino alla consegna ogni rischio sul bene grava su Proponente e non sul Donatore» (art. 13, co. 9). Non solo, pur ribadendosi che il contratto tra proponente e donatore non potrà che essere una donazione (art. 4), nell’ambito delle condizioni Proponente/Donatore DeRev, si stabilisce all’art. 3 che «nei soli casi di ordine di un bene o di un servizio offerto in cambio del finanziamento» al “donatore” debbano essere fornite le seguenti informazioni: «il […] prezzo comprese tutte le tasse e le imposte e le eventuali spese di consegna del bene o del servizio offerto in cambio del finanziamento; modalità del pagamento, della consegna del bene o della prestazione del servizio e di ogni altra forma di esecuzione del contratto; eventuale esistenza del diritto di recesso o di esclusione dello stesso, ai sensi dell’articolo 55, comma 2, del Codice del Consumo, nonché le relative modalità e i tempi di restituzione o di ritiro del bene; durata minima del contratto in caso di contratti per la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ad esecuzione continuata o periodica» (sottolineature aggiunte). Si giunge infine a predicare che il Donatore potrà recedere dal contratto nei casi previsti dall’art. 55 cod. cons. (art. 8 condizioni Proponente/Donatore DeRev). Anche se in certa misura ridondante, si rivela molto più chiaro al riguardo l’art. 13 condizioni generali Produzioni dal basso, nel cui esordio si legge: «In alternativa ai Reward, il Progettista può offrire tramite il Sito l’acquisto di un bene futuro, non ancora venuto ad esistenza, la cui messa in produzione dipenda dalla raccolta di un certo numero di ordini, specificamente indicato da Progettista» (sottolineature aggiunte).
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5.2. Reward-based crowdfunding e vendita. Se delle raccolte a carattere donativo si è già detto, per quanto riguarda quelle che avvengono vendendi causa, in generale, si può parlare di una forma di prevendita, accompagnata o meno dalla formula pay as you wish e, se del caso, agganciata a diverse e crescenti fasce di erogazioni prestabilite dal soggetto richiedente in relazione a vari benefici accessori (versioni personalizzate del prodotto, incontri con gli ideatori…). Il conseguimento dei benefici in questione non potrà essere oggetto di clausole modali, incompatibili con un rapporto oneroso, come quello instaurato con una vendita, ma è comunque collegato in maniera piuttosto intensa allo scambio (a volte vincolandosi l’autore del progetto al rispetto di tutti gli impegni assunti73 nelle promesse concernenti i reward e quindi riconoscendo loro un rilievo essenziale nell’esecuzione del contratto). Giuridicamente non sembra di poter rinvenire alcun aspetto sensibilmente innovativo in tale strumento, classificabile senza grandi difficoltà ed in massima parte tra le vendite aventi ad oggetto beni futuri. Con riguardo ad uno dei principali complessi normativi settoriali potenzialmente rilevanti, ossia quello consumeristico, si deve osservare che se il reward consiste in un bene (/prodotto), ciò può provocare l’applicazione di porzioni più o meno ampie della disciplina consumeristica, a seconda del fatto che esso sia fornito o reso disponibile a titolo oneroso o gratuito. Più precisamente, a causa della limitata portata delle definizioni iniziali incluse nell’art. 374, pare che, oltre alla normativa sulla sicurezza dei prodotti, i vari segmenti di disciplina rilevanti sicuramente applicabili in ragione della loro indifferenza alla causa dei rapporti instaurati tra professionista e consumatore siano: a) le regole sulle pratiche commerciali, pubblicità ed altre comunicazioni commerciali (artt. 18
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In tal senso, ad esempio, si esprime l’art. 13 condizioni generali DeRev. Ciò in quanto nelle varie articolazioni interne della disorganica struttura del codice del consumo è dato rinvenire delle sub-definizioni di carattere derogatorio rispetto a quelle generali recate dall’art. 3 cod. cons., oppure alle volte manca del tutto un riferimento testuale alle locuzioni identificate in quell’articolo. Con relativa certezza pare di poter dire che la definizione di “prodotto” dell’art. 3, co. 1, lett. e, cod. cons. («[…] qualsiasi prodotto destinato al consumatore, anche nel quadro di una prestazione di servizi, o suscettibile, in condizioni ragionevolmente prevedibili, di essere utilizzato dal consumatore, anche se non a lui destinato, fornito o reso disponibile a titolo oneroso o gratuito nell’ambito di un’attività commerciale […]») richiami unicamente la disciplina pubblicistica sulla sicurezza dei prodotti (artt. 102 - 113 cod. cons.), anche a causa della sua matrice di diritto europeo, rinvenibile nell’art. 2, lett. a, dir. 2001/95/CE, in materia di sicurezza generale dei prodotti. 74
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ss. cod. cons.); b) il complesso generale di norme protettive sulle clausole vessatorie (artt. 33-37-bis cod. cons.); c) i precetti sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi (artt. 114-127 cod. cons.). In tutte le occasioni, poi, in cui si riscontri che tra i contribuenti ed il proponente si è concluso un contratto di vendita (o un altro tra quelli ad esso equiparati, anche se a diversi fini, dagli artt. 45, co. 1, lett. e, e 128, co. 1, cod. cons.), troveranno inoltre applicazione: a) la disciplina sui diritti dei consumatori nei contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali (artt. 49-6775: in tal caso sarà necessario che il corrispettivo netto individuale sia superiore a cinquanta euro per superare la soglia d’esclusione – c.d. negative scope – sancita dall’art. 47, co. 2, cod. cons.); b) le disposizioni relative alle garanzie sui beni di consumo (artt. 128-135 cod. cons.). Riguardo al primo dei due ambiti disciplinari sembra opportuno svolgere qualche riflessione concernente l’esercizio del diritto di recesso sui generis disciplinato negli artt. 52-59 cod. cons.. In particolare, si presenta un primo interrogativo sull’individuazione del momento da cui computare il decorso dei 14 giorni entro i quali il consumatore può liberarsi dal vincolo contrattuale senza dover motivare la sua scelta, né sopportare spese (ad eccezione di quelle indicate nell’art. 56, co. 2, cod. cons.). A prescindere dalle modalità della raccolta (all or nothing o keep it all) concretamente adoperate, il codice del consumo risolve il problema in senso spiccatamente protettivo per il consumatore, ricollegando nei contratti di vendita il decorso del termine alla consegna dei beni (più precisamente, al conseguimento del “possesso fisico dei beni”: art. 52, co. 2, lett. b, cod. cons.), con una serie di precisazioni in relazione a consegne ripartite o periodiche. Altro aspetto che potrebbe portare ad una flessione dell’elevato grado di tutela garantito dal diritto di recesso è dato dalla natura dei beni oggetto di vendita: infatti, se essi rientrano nell’elenco contenuto nell’art. 59 cod. cons., allora tale facoltà è esclusa. La preoccupazione non riposa esclusivamente sul piano teorico ed al riguardo basti pensare alla possibilità che i
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Alcune delle condizioni generali delle piattaforme riconducibili in seno al reward-based crowdfunding a volte richiamano espressamente alcune disposizioni del codice del consumo ed altre ne ricalcano in alcune clausole terminologia e contenuti, specie per quanto riguarda l’informazione da fornire ai “sostenitori”, il momento di trasferimento della proprietà (generalmente associato alla consegna del bene promesso al destinatario) e le condizioni di esercizio del diritto di recesso ex art. 52 cod. cons. È necessario precisare, ad ogni modo, che nessun obbligo informativo diretto nei confronti dei contribuenti grava sui gestori delle piattaforme, i quali ultimi, anzi, provvedono ad imputarli a coloro che hanno predisposto i progetti.
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beni futuri oggetto di vendita siano fatti su misura o personalizzati (art. 59, co. 1, lett. c, cod. cons.), o che, una volta aperti, non possano essere restituiti per ragioni igienico-sanitarie (art. 59, co. 1, lett. f, cod. cons.), o, ancora, che si tratti di registrazioni audio o video o di software in confezioni sigillate ed aperte all’atto della consegna (art. 59, co. 1, lett. i, cod. cons.). Il diritto di recesso, peraltro, è suscettibile di rappresentare un momento di interesse per i gestori dei portali, nella misura in cui essi potrebbero offrire un servizio accessorio di intermediazione tra i presentatori dei progetti ed i loro sostenitori, così da convogliare le dichiarazioni di recesso di questi ultimi e facilitarne la gestione da parte dei presentatori grazie alla loro standardizzazione (opportunamente adattando una facoltà contemplata dall’art. 54, co. 3, cod. cons.). Infine, è imprescindibile tenere in conto l’ambiente informatico in cui si realizzano tutte le operazioni di crowdfunding sin qui viste, poiché esso attrae l’applicazione delle regole sul commercio elettronico contenute nel d.lgs. 70/2003, che si saldano, sebbene con qualche attrito, a quelle del cod. cons.. In particolare, sul versante della responsabilità, pare doveroso avvertire che le articolate clausole esonerative e di manleva pure presenti non varranno a mettere al riparo dalle pretese risarcitorie dei soggetti danneggiati quei gestori che si siano altrimenti obbligati ad effettuare – o di fatto svolgano – dei controlli preventivi alla pubblicazione dei progetti (sotto questo profilo riconducibili nell’ampia famiglia dei “contenuti generati dagli utenti”: user generated content). Naturalmente, sarà l’effettiva estensione di tali controlli a determinare caso per caso quando si potrà configurare un’ipotesi di responsabilità – e a che titolo – per omessa informazione (o anche per omesso controllo) al pubblico, similmente a quanto la giurisprudenza sta maturando in relazione agli hosting provider (artt. 16 e 17 d.lgs. 70/2003), qualora essi intervengano in maniera attiva e piuttosto penetrante sul caricamento e sulla permanenza dei contenuti sui propri siti internet e quindi abbandonino il ruolo neutrale altrimenti loro attribuito avvicinandosi alla diversa figura del content provider76. Ove poi si ritenesse configurabile tale ultimo ruolo,
76 Interessanti considerazioni su questo aspetto sono svolte da Ottolia, L’equity crowdfunding, cit., p. 62 ss., il quale opportunamente rileva che «lo spazio di manovra del gestore, nella organizzazione della architettura del portale, dovrà necessariamente tenere conto dell’esigenza di favorire, da un lato, investimenti di successo predisponendo maggiori strumenti di informazione e selezione e di preservare, dall’altro, la neutralità necessaria a evitare un regime di responsabilità più oneroso». Più in generale, sebbene il panorama si presenti estremamente vario, anche in
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implicante un’autonoma attività di organizzazione ed elaborazione delle informazioni ricevute, la responsabilità del gestore della piattaforma diverrebbe ancor più stringente, poiché non potrebbe sottrarsi ad un’imprescindibile verifica sulla titolarità e liceità dei progetti cui dà risalto adattandoli al proprio formato. 5.3. Reward-based crowdfunding e associazione in partecipazione: cenni. Per concludere la ricognizione critica del reward-based crowdfunding ci si consente una breve digressione dal carattere allo stato esclu-
relazione alle circostanze concrete, alle materie del contendere (segni distintivi, diritto d’autore, dati sensibili, tutela di diritti della personalità in campo civile e penale…) ed ai bilanciamenti tra le diverse situazioni giuridiche rilevanti, tra le pronunce più recenti, si segnalano in particolare a livello internazionale: Corte EDU, 2 febbraio 2016, caso n. 22947/13, reperibile sul sito http://hudoc.echr.coe.int, che fa applicazione del test elaborato nel leading case Corte EDU (GC), 16 giugno 2015, caso n. 64569/09, ivi, in cui si individuano dei criteri per la valutazione dell’insorgenza della responsabilità (tra cui si evidenziano quello attinente la gestione professionale di un sito internet a fini di lucro ed il tipo di misure adottate per evitare danni a terzi - la materia è quella della pubblicazione di commenti offensivi su siti d’informazione); Corte EDU, 13 ottobre 2013, caso n. 64569/09, costituente la decisione in prima istanza sul caso appena ricordato, in Dir. inform., 2014, p. 29 ss., e 242 ss., rispettivamente con note di F. Vecchio e di Alma. Per delle recenti panoramiche in dottrina ed ulteriori riferimenti giurisprudenziali, v. R. Bocchini, La responsabilità extracontrattuale del provider, in Manuale di diritto dell’informatica3, a cura di Valentino, Napoli, 2016, p. 556 ss., 560 ss.; Mantelero, Responsabilità aquiliana per uso della Rete e responsabilità del provider, in Diritto dell’informatica, a cura di Finocchiaro e Delfini, Torino, 2014, p. 785 ss., spec. 795 ss. e 813 ss.; G. Napoli, Responsabilità dell’Internet service provider nella giurisprudenza civile, in Diritto dell’Internet, a cura di Cassano, Scorza, Vaciago, Padova, 2013, p. 467 ss., 480 ss.; Franzoni, L’illecito2, I, Milano, 2010, p. 336 ss., spec. 341 ss.; De Cata, La responsabilità civile dell’internet service provider, Milano, 2010, p. 174 ss., 190 ss.; Gambini, Le responsabilità civili dell’Internet service provider, Napoli, 2006, p. 287 ss., 333 ss. Peraltro, se, analogamente a quanto avviene in Spagna (art. 61, par. 1, let. a, ley 5/2015), nel nostro ordinamento si imponesse l’esplicitazione delle modalità di ricezione, selezione, verifica ed elaborazione dei progetti in vista della loro pubblicazione sulla piattaforma, si potrebbe stabilire più agevolmente qual è il ruolo svolto dal gestore in un’ottica di valutazione delle relative responsabilità. La legge spagnola definisce altresì puntuali obblighi di controllo del gestore della plataforma de financiación participativa (art. 71 ley 5/2015), che nondimeno si pongono in frizione con la previsione in virtù della quale «los promotores serán responsables frente a los inversores de la información que proporcionen a la plataforma de financiación participativa para su publicación» (art. 73 ley 5/2015), la quale in un’ottica sistematica non sembra comunque introdurre un esonero per le plataformas rispetto ai loro obblighi.
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sivamente teorico (almeno in Italia) e relativa al ricorso alla disciplina dell’associazione in partecipazione. Ci si riferisce in particolare a quel genere di campagna nella quale chi effettua un versamento matura successivamente ed in vari modi il diritto a partecipare agli utili derivanti dall’attività che ha patrocinato77. In effetti, non si può omettere di segnalare che il reward-based crowdfunding richiami su di sé l’applicazione di un corpus disciplinare, quello relativo alla prestazione di servizi di investimento, di gran lunga più complesso ed articolato rispetto a quelli sinora trattati. Se a fenomeni strutturalmente diversi corrispondono regole diverse, allora sarà anche necessario che l’eventuale nomen iuris che si volesse attribuire a questa fattispecie la distingua in seno al reward-based crowdfunding, contribuendo fin dalla sua individuazione a presentare questa operazione agli investitori come diversa e distinta da quelle che convenzionalmente sono state sin qui ricomprese sotto la medesima etichetta. Non potendo dettagliatamente riproporre i vari profili applicativi del diritto dei mercati finanziari78 in relazione ad uno schema operativo del quale si è peraltro sottolineata al momento l’assenza nel mercato italiano, è ad ogni modo opportuno evidenziarne l’adattabilità, sul versante rimediale, rispetto al rilievo teleologico del progetto, cui più volte ci si è riferiti. Più precisamente, qualora vi fossero gli estremi per poter qualificare un’operazione di reward-based crowdfunding in termini di associazione in partecipazione, la normativa codicistica appronterebbe già in favore degli investitori un insieme di strumenti di tutela di efficacia certo non
77 Nella maggior parte delle piattaforme straniere consultate che seguono questo modello operativo non è previsto un obbligo di restituzione della somma originariamente versata, il che impedisce che si possa assimilare il contratto tra sostenitore e beneficiario ad un mutuo parziario (eventualmente di scopo). Per ulteriori considerazioni e riferimenti sulla differenza tra associazione in partecipazione e mutuo parziario, v. Mignone, L’associazione in partecipazione, cit., p. 78 ss. Appaiono superate le considerazioni di Ghidini, L’associazione in partecipazione, Milano, 1959, p. 6 ss., il quale assimilava il mutuo parziario ad un’associazione in partecipazione con esonero dell’associato dalle perdite. Non condivisibile sembra, invece, l’orientamento di De Acutis, L’associazione in partecipazione, Padova, 1999, p. 68 ss., 85 ss., 127 ss., 134 ss., il quale, ritenendo la partecipazione alle perdite un elemento soltanto naturale dell’associazione in partecipazione fa di questo contratto l’archetipo dei negozi parziari, creando però così serie difficoltà di ordine sistematico. 78 Per una serie di interessanti riflessioni ricostruttive del complesso rapporto tra questo ambito disciplinare e quello bancario in ottica consumeristica, nonché dei difficoltosi raccordi con l’ambiente telematico, v. Blandini, Servizi finanziari per via telematica e le prospettive del diritto societario online, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, I, p. 46 ss.
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trascurabile rispetto alle istanze di protezione più agevolmente prevedibili. Invero, se si ritenesse di prestare adesione a quell’orientamento interpretativo che nell’associazione in partecipazione ad un singolo affare riconosce un limite implicito alla libertà dell’associante79, o un obbligo per costui di non alterare l’obiettivo perseguito dalle parti80, o comunque un vincolo di destinazione gravante sulle risorse apportate81, si potrebbero ricavare molteplici elementi utili a ricostruire un efficace quadro di tutele basato sulla risoluzione per inadempimento e sul risarcimento del danno. Non solamente, si potrebbe inoltre configurare uno specifico obbligo di informazione gravante sul soggetto finanziato verso i suoi sostenitori ogni qual volta si realizzi una circostanza a lui non imputabile che imponga una modifica dell’originario progetto. Prescindendo da quei rimedi che possono essere adoperati per imporre il rispetto dei vincoli derivanti dal progetto (in quanto abbia una sufficiente precisione e capacità identificativa dell’affare da intraprendere), si può dedicare una riflessione conclusiva al c.d. diritto di recesso previsto dall’art. 67-duodecies cod. cons. ed in special modo alle differenze che sussistono in proposito tra reward-based crowdfunding finanziario e reward-based crowdfunding a causa di vendita, di cui si è appena illustrato alcuni aspetti. Proprio le particolarità dei servizi finanziari influenzano vari aspetti significativi del recesso (da ripensamento) e così, diversamente dai contratti vendendi causa, il dies a quo per il computo dei 14 giorni utili per l’esercizio di tale diritto non si individua più con riferimento alla consegna del bene (che, per quanto interessa, neppure sarebbe concepibile in questo contesto), bensì avuto riguardo alla data della conclusione del contratto (art. 67-duodecies, co. 3, lett. a, cod. cons.) o a quella, se successiva, della ricezione delle condizioni contrattuali e delle informazioni di cui all’art. 67-undecies cod. cons. (art. 67-duodecies, co. 3, lett. b, cod. cons.).
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Cfr. De Acutis, L’associazione, cit., p. 193. In questo senso, Mignone, L’associazione, cit., p. 398 s., 401 s.; con maggiore incertezza, De Ferra, Della associazione in partecipazione, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1973, p. 68, nt. 8; contra, Rubino De Ritis, Commento all’art. 2549 c.c., in Delle società - Dell’azienda - Della concorrenza, a cura di Santosuosso, nel Comm. cod. civ., diretto da Gabrielli, Torino, 2014, p. 692 ss. 81 Così, infine, Maugeri, Partecipazione sociale e attività di impresa, Milano, 2010, p. 127 ss., testo e note; Corapi, Sulla partecipazione dell’associato alle perdite nella associazione in partecipazione, in Riv. dir. comm., 1965, II, p. 278. 80
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Non solo, in questo lasso di tempo l’efficacia del contratto è sospesa a norma dell’art. 67-duodecies, co. 4, cod. cons., cosicché, come condivisibilmente rilevato, sembra configurarsi «una ipotesi di condizione sospensiva meramente potestativa resa legittima dal legislatore»82, il che non si verifica nel caso del reward-based crowdfunding attraverso cui si realizzano delle vendite. Non ci si può comunque nascondere che un inopinato e massiccio esercizio del diritto di recesso consumeristico potrebbe mettere a rischio il successo di operazioni già formalmente chiuse ed in ogni caso contrasta con la logica delle raccolte all or nothing, in seno alle quali il raggiungimento dell’importo prefissato è imprescindibile per il perfezionamento dell’operazione. Ci si chiede in particolare cosa succeda in presenza di un numero di dichiarazioni di recesso ai sensi dell’art. 67-duodecies cod. cons., tale da rendere inattuabile il progetto originariamente pubblicato. In tal caso, sembrano profilarsi i presupposti della risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex artt. 1463 e ss. c.c., cosicché chi ha pubblicato il progetto non solo dovrà restituire quanto ottenuto a coloro che si siano “pentiti”, ma anche a tutti gli altri sostenitori. È facile, però, prevedere che ciò, anche se corretto sul piano dei singoli rapporti che si combinano nel crowdfunding, possa essere gravido di conseguenze negative in un’ottica collettiva: basti pensare alla lesione della reputazione e credibilità di chi ha ideato il progetto (magari del tutto incolpevole rispetto all’impulso che ha provocato i recessi), alla frustrazione di chi ha effettuato un contributo e vorrebbe che il progetto fosse comunque realizzato, alla posizione dei terzi con cui il “progettista” avesse avviato delle trattative o concluso contratti funzionali alla realizzazione dell’attività programmata. Una simile incidenza sulla fattibilità del progetto potrebbe non registrarsi laddove il crowdfunding sia a causa di vendita, dal momento che il dies a quo decorre soltanto dalla consegna del bene realizzato, e quindi i fondi raccolti potrebbero essere comunque impiegati fino alla ricezione delle dichiarazioni di recesso. In questo caso, i problemi s’innescherebbero solo a posteriori, senza però estendersi agli altri sostenitori della campagna di raccolta che avessero già ottenuto quanto promesso. Una possibile soluzione, in questo tipo di crowdfunding ed anche negli altri di tipo finanziario, potrebbe essere quella di ricorrere al più
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Il virgolettato appartiene a Blandini, Servizi finanziari, cit., p. 57.
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flessibile meccanismo di raccolta all and more unendolo ad una condizione risolutiva: l’effetto sarebbe quello di combinare potenziali sforamenti del tetto di raccolta con la fissazione di una soglia minima, il cui superamento per effetto dei recessi comporterebbe lo scioglimento complessivo di tutti i rapporti. Tutti i sostenitori/investitori saprebbero che anche il raggiungimento dell’obiettivo della raccolta non è garanzia di suo perfezionamento fintantoché non sia trascorso il termine per il recesso e che comunque le somme raccolte fino alla soglia “di tolleranza” sono sufficienti al compimento del progetto; per altro verso, il denaro conseguito resterebbe cristallizzato fino ad allora, così contenendo i più dirompenti effetti di un’imprevista risoluzione per impossibilità sopravvenuta.
6. Il lending-based crowdfunding: cenni comparatistici. L’ultima specie di crowdfunding che s’intende analizzare in questo studio è quella di natura creditizia, o lending-based crowdfunding. Congiuntamente all’equity-based crowdfunding essa rappresenta sul piano giuridico la forma che raggiunge il più elevato livello di complessità, in quanto si pone volutamente ai margini dell’attività bancaria, pur replicandone più o meno estesamente vari segmenti dell’operatività tipica. Nonostante la grande diversità di soluzioni adottate nei vari stati oggetto di raffronto, vi sono comunque alcuni spunti di riflessione che si possono ritrarre proprio dai momenti di attrito che il crowdfunding creditizio ha incontrato nel suo inserimento nei vari contesti nazionali e su cui ci si soffermerà all’esito della rassegna per poi avviare l’analisi della realtà giuridica ed economica italiana. Ad esempio, nell’ordinamento francese83 il ricorso al financement participatif sous forme de prêts è ristretto in un duplice senso: da un lato, infatti, per le persone fisiche che non agiscono per fini professionali/commerciali l’erogazione dei prêts è vincolata al finanziamento di una formation initiale ou continue (artt. l. 511-6, al. 7 e L. 548-1, al. 1, n. 2 e al. 2, Code monétaire et financier). Dall’altro lato, vi è tutta una serie ulteriori costrizioni di difficile giustificabilità: a) questa categoria di persone fisiche può erogare un solo mutuo per projet e tali mutui
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Per ulteriori notizie sulla normativa d’oltralpe, v. Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 246 ss.
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devono essere a tasso fisso (non usurario, anche se quest’ultima precisazione operata mediante un rinvio all’art. l. 313-3 Code de la consommation appare decisamente superflua: art. l. 511-6, al. 7, ult. periodo, Code monétaire et financier); b) alla medesima categoria non è consentito, tuttavia, di ottenere mutui onerosi, se non per il caso della formazione, prima ricordato; c) infine, le personnes morales e le persone fisiche che operano a fini professionali/commerciali non possono erogare prêts onerosi, anche se possono rendersene percettori (artt. l. 511-6, al. 7 e l. 548-1, al. 1, n. 1, Code monétaire et financier). Per altro verso, sebbene l’ordonnance che ha introdotto il financement participatif non sia esplicita al riguardo, si desume che i gestori che intendano rendersi intermediari nella circolazione del denaro tra mutuanti e mutuatari debbano ottenere una autorizzazione quali istituti di pagamento “limitati” (art. L. 522-11-1 Code monétaire et financier)84: questi soggetti dovranno quindi ottenere un’autorizzazione dall’autorità di vigilanza (Autorité de contrôle prudentiel et de résolution) analoga a quella degli istituti di pagamento veri e propri, con l’esonero dall’applicazione di qualche elemento di disciplina di questi ultimi, l’introduzione di specifici obblighi e la contestuale fissazione di tetti alla raccolta85 (art. L. 522-11-1 Code monétaire et financier, come attuato dal décret 16 settembre 2014, n. 1053). Nel diritto spagnolo, nel quale la disciplina della financiación participativa unifica – ed a tratti confonde86 – le operazioni realizzate per
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A conferma di questa conclusione si può richiamare la relazione sull’ordonnance al presidente della repubblica francese in merito, nel passaggio in cui si legge: «Les intermédiaires en financement participatif peuvent procéder à des transferts de fonds, s’ils sont agréés par ailleurs comme prestataires de services de paiement». Sul punto, cfr. Lasserre Capdeville, La réforme du crowdfunding en droit français: les aspects du droit bancaire, in Rev. gen. droit, 2015, 4, p. 8; Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 247 s. 85 Tale importo massimo è di tre milioni di euro (art. D. 522-1-1 Code monétaire et financier). 86 Contesta la scelta di assimilare le operazioni di investimento e di finanziamento sotto un’etichetta unitaria anche Alvarez Royo-Villanova, El «equity crowdfunding», cit., p. 30 s., in relazione al testo dell’anteproyecto della ley 5/2015, sul punto comunque coincidente con quello definitivo. Analogamente si esprime anche Carrasco Perera, La financiación participativa a través de plataformas de “crowdfunding”, in Rev. CESCO der. consumo, 2014, 12, p. 10, 14, leggibile sul sito http://revista.uclm.es/index.php/ cesco, prendendo a paragone la disciplina differenziata introdotta nel Regno Unito e paventando i diversi rischi derivanti dall’investimento in titoli illiquidi e ad alto rischio. Contra, Zunzunegui, Régimen jurídico de las plataformas de financiación participativa (crowdfunding), in Rev. der. merc. fin., 2015, working paper n. 5, p. 9, consultabile sul
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tramite di inversiónes e quelle basate su préstamos, è irrilevante che i mutuanti agiscano professionalmente o meno (art. 49, par. 1, let. a, ley 5/2015), ma per i mutuatari non professionisti il finanziamento non può essere erogato che a fini di formazione o di consumo (art. 49, par. 1, let. c, ley 5/2015). Per le iniziative imprenditoriali, invece, non si riscontrano limitazioni soggettive o in relazione alla configurazione del progetto ed al tipo di raccolta realizzabile. I mutui gratuiti, invece, come già visto87, non sono coperti dalla disciplina legale e si può presumere che la loro erogazione e percezione siano liberi. Nell’ottica delle imprese operanti nel settore, poi, si proibisce che esse possano ricevere fondi per conto degli investitori o dei promotori delle raccolte, tranne che per finalità di pagamento ed a condizione che le plataformas de financiación participativa dispongano della «preceptiva autorización de entidad de pago híbrida»88 (art. 52, par. 1, let. b, ley 5/2015). In Portogallo sembra riscontrabile una limitazione piuttosto significativa al financiamento colaborativo por empréstimo, nella misura in cui si prescrive che debba essere realizzato esclusivamente mediante l’emissione di strumenti finanziari (art. 10, al. 2, lei 102/2015). Tale vincolo, però, vale solo per gli intermediari finanziari ed in ogni caso nei limiti previsti dalla normativa sul mercato finanziario. Ad ogni modo, la realizzazione di ogni operazione di financiamento colaborativo – e quindi non solo quelle a causa di credito – dovrà essere sempre intermediata da un’entidade autorizada à prestação de serviços de pagamento (art. 20 regulamento CMVM n. 1/2016)89; tale previsione, che per vero non appare del tutto giustificata
sito http://www.rdmf.es. 87 Si veda supra, sub nt. 1. 88 Questa figura di intermediario, peraltro, è stata introdotta nella medesima legge citata nel testo e può svolgere una insieme di attività di natura finanziaria (art. 6, par. 1, ley 5/2015) congiuntamente all’erogazione di servizi di pagamento (art. 6, par. 2, ley 5/2015). Inoltre, l’entidad de pago híbrida conosce l’applicazione cumulativa delle discipline che regolano l’attività finanziaria svolta (partecipazioni significative, idoneità ed incompatibilità con incarichi apicali, corporate governance e requisiti di solvibilità, trasparenza contrattuale, insolvenza, antiriciclaggio…) e di quella degli istituti di pagamento; è poi assoggettata ad un’autorizzazione preventiva unica da parte del ministero dell’economia spagnolo ed opera sotto la denominazione di «establecimiento financiero de crédito-entidad de pago», abbreviato in «EFC-EP» (artt. 7 - 11 ley 5/2015). 89 Ancor più restrittiva risulta la disciplina spagnola, poiché da una lettura congiunta di una serie di disposizioni (ed in special modo degli artt. 48 e 52, par. 1, let. b, ley 5/2015) si desume che la possibilità di esercitare l’attività di intermediazione nell’ambito del crowdfunding creditizio è aperta unicamente alle plataformas de financiación participativa (con l’ulteriore precisazione che se ricevono fondi con finalità di pagamento
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nella sua restrizione soggettiva ai soli istituti di pagamento, discende dalla regola di portata generale introdotta dal testo di legge secondo la quale le plataformas de financiamento colaborativo non possono detenere fondi o strumenti finanziari dei clienti (art. 21, al. 3, lei 102/2015)90. Da quest’osservazione delle scelte normative compiute in una serie di stati europei, come si anticipava, risaltano una serie di problemi che derivano dal difficile rapporto con le discipline sull’erogazione di servizi di pagamento, sulla protezione dei consumatori/risparmiatori e, dove rilevante, anche con il monopolio dell’attività bancaria. Quasi ovunque si può registrare a livello legale l’introduzione di nuove figure di operatori, con specifiche caratteristiche che li distinguono dagli intermediari finanziari o creditizi preesistenti (come accade in quasi tutti i paesi presi in considerazione), sebbene rispetto ad essi l’ampiezza delle deroghe sia piuttosto variabile, passando da situazioni di elevata prossimità (è il caso degli istituti di pagamento “limitati” francesi o degli operatori britannici di piattaforme per il peer-to-peer lending) ad altre di maggior differenziazione (è quanto accade in Spagna con le entidades de pago híbridas che gestiscono plataformas de financiación participativa operanti nel settore qui considerato). Molto più eterogeneo è il quadro che si presenta, invece, con riguardo ai collegamenti con la disciplina consumeristica, che ha generato vincoli più o meno intensi all’accesso al lending-based crowdfun-
devono altresì essere establecimientos financeros de crédito-entidades de pago: art. 52, par. 3, ley 5/2015). Ciò, con una certa dose di paradossalità, comporta che soggetti muniti di capacità operativa indubbiamente più ampia e che sul piano normativo offrono maggiori garanzie per i prestatori, quali ad esempio le banche (entidades de crédito), non possano direttamente entrare nel mercato del lending-based crowdfunding, a differenza di quanto accade in Francia o nel nostro paese, con riguardo agli operatori riconosciuti nelle rispettive legislazioni (il punto è colto da Zunzunegui, Régimen jurídico, cit., p. 12 s.). 90 Nel Regno Unito, invece, si consente l’interposizione nei pagamenti da parte del gestore della piattaforma di peer-to-peer lending a condizione che non riceva o comunque accetti «the transfer of full ownership of money relating to P2P agreements» (sec. 4.1.8E Senior Management Arrangements, Systems and Controls source book – SYSC, contenuto nel FCA Handbook), il che, come si vedrà, tecnicamente obbliga il gestore a disporre dell’autorizzazione per l’erogazione di servizi di pagamento o a rivolgersi ad un ente terzo autorizzato. È inoltre appositamente introdotto un nuovo chapter 12 nell’Interim Prudential sourcebook for Investment Businesses, all’interno FCA Handbook che fissa minuziosamente i parametri di composizione ed equilibrio del patrimonio degli operators of an electronic system in relation to lending. Altre informazioni in Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 254 ss.
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ding e talvolta delle restrizioni soggettive o anche oggettive di difficile intelligibilità (si pensa in particolare alla Francia ed alla Spagna, ma anche il Regno Unito non è da meno, specie laddove si prevedono dei limiti quantitativi ai mutui erogabili e si impone che i mutuatari possono essere soltanto persone fisiche che non agiscono in veste professionale91). Alla luce dell’evidenziazione dei principali elementi di frizione tra il lending-based crowdfunding ed i vari settori di regolamentazione che intercetta, pare quindi il caso di tentare una ricostruzione del fenomeno in Italia verificando prima il versante degli operatori del settore e poi quello degli schemi contrattuali, pur intimamente legati, come si vedrà.
91 Il limite cui si accenna nel testo è pari a £ 25.000 e, come anche il vincolo di natura soggettiva, si desume dalla definizione di P2P agreement oggi inserita nel Glossary of definitions del FCA Handbook. Anche in Francia si contiene l’importo massimo che può essere mutuato, però ricorrendo ad una pluralità di importi massimi differenziati per mutuante, mutuatario e tipo di operazione da effettuare (art. D. 548-1 Code monétaire et financier) e lo stesso accade in Portogallo, ove si demanda alla CMVM di determinare il limite di raccolta (art. 18 lei 102/2015, come attuato dagli artt. 12 e 19 regulamento CMVM n. 1/2016). Articolato si presenta anche il regime spagnolo, in cui è stabilito un tetto massimo per ciascuna operazione di raccolta, differenziandolo in ragione della natura degli investitori/prestatori (acreditados o meno: art. 68 ley 5/2015), ed anche delle soglie individuali, sempre distinte in base al medesimo criterio (art. 82 ley 5/2015). Con riguardo alla fissazione di limiti quantitativi alla raccolta mediante lending-based crowdfunding in Italia, in una consultazione aperta il 19 dicembre 2015 dalla Banca d’Italia circa alcune modifiche da apportare al capitolo 2 del titolo IX della circolare 21 aprile 1999, n. 229, si riscontra una prospettiva di regolamentazione piuttosto singolare, poiché si rimette all’esercizio dell’autonomia privata di ogni gestore di piattaforme «la definizione di un limite massimo, di contenuto importo, all’acquisizione di fondi tramite portale on line di social lending da parte dei prenditori». Al di là dell’opinabile impiego della definizione “social lending” (non attestata nella prassi anglofona - fuorché per iniziative filantropiche - ed anche nei documenti ufficiali UE, ove si ricorre piuttosto alle locuzioni lending o loan-based crowdfunding, peer-to-peer lending, crowdlending, marketplace lending…) che rischia di rendere poco intellegibile all’estero l’ambito applicativo delle modifiche proposte, il fatto stesso di astenersi dal definire la fissazione di un tetto alle raccolte di indole creditizia, ma di raccomandarne ai gestori l’individuazione denuncia in primo luogo la mancanza di un appiglio nella normativa primaria in tal senso. In secondo luogo, lasciare il campo agli operatori può generare una serie di ripercussioni imprevedibili ed indesiderate, sicché per il momento pare il caso di rilevare che o la Banca d’Italia ha una precisa legittimazione ad intervenire, oppure sarebbe preferibile che soprassedesse, correndo altrimenti il rischio di precorrere il legislatore e di ingessare prematuramente uno sviluppo tuttora in divenire.
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6.1. Ricognizione della realtà italiana. In tal senso, è necessario sondare proprio la difficoltà cruciale che sul piano normativo solleva l’ordinamento giuridico italiano rispetto allo svolgimento dell’attività esercitata dal gestore di piattaforme di lendingbased crowdfunding, ossia il modo (ed il momento) di “transito” del denaro dai finanziatori ai finanziati. Si premette che le svariate espressioni dinamiche del lending-based crowdfunding possono essere raccolte intorno a due poli d’attrazione: nel primo, che al momento sembra essere assente in Italia, il gestore della piattaforma crea e gestisce un punto d’incontro virtuale, svolgendo una mera attività di mediazione92 tra le richieste di finanziamento e la platea dei potenziali mutuanti, con la conseguenza che, una volta terminata con successo la fase di raccolta delle promesse di mutuo, i promittenti mutuanti sono messi in contatto con l’aspirante mutuatario e versano direttamente a costui le somme che hanno scelto di concedere, eventualmente avvalendosi della contrattualistica predisposta dal gestore93. Il secondo, invece, raccoglie un grande numero di varianti, accomunate però dal fatto che si registra in tutte un intenso grado di intermediazione dei rapporti tra la platea dei finanziatori e quella dei finanziati: raramente viene consentito di selezionare il mutuatario, di cui in genere al mutuante non è neppure nota l’identità; domanda e offerta di credito sono abbinate automaticamente ad opera di programmi informatici che elaborano preferenze ed informazioni fornite dai partecipanti alla piatta-
92 Tale attività non è inquadrabile in quella descritta nell’art. 128-sexies, co. 1, t.u.b. (diversamente, tuttavia, si pronuncia Manzi, Il fenomeno, cit., p. 404, nt. 26): benché, in effetti, il gestore della piattaforma metta in contatto due o più parti in vista della stipulazione di un finanziamento, la figura del mediatore creditizio disegnata dalla disciplina bancaria è stata introdotta per istituzionalizzare uno dei canali distributivi delle banche e degli altri intermediari, che sono parti necessarie dell’instaurando rapporto contrattuale (cfr. Criscuolo, Commento all’art. 128-sexies, in Commentario t.u.b.3, diretto da Capriglione, III, Padova, 2012, p. 2093 s.; Belli e Corvese, Commento agli articoli 128-quater - 128-quaterdecies, in Testo unico bancario. Commentario. Addenda di aggiornamento ai d.lgs. 141/2010 e 218/2010, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina e Santoro, Milano, 2011, p. 132 s.). Nonostante ciò, qualora la piattaforma operi nell’ambito del credito al consumo, sarà forse riconducibile alla figura dell’“intermediario del credito” definito all’art. 121, co. 1, lett. h, t.u.b. 93 Per un esauriente quadro di sintesi, v. Kirby e Worner, Crowd-funding, cit., p. 17 ss., cui adde, in lingua italiana, Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 228 ss. Entrambi gli studi, ad ogni modo, propongono una tassonomia più articolata.
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forma e, di solito, operano una suddivisione in quote dei finanziamenti per ridurre i rischi derivanti dalla loro concentrazione; i pagamenti sono canalizzati dal gestore della piattaforma, in possesso di debita autorizzazione, oppure da una terza parte, che alle volte svolge il ruolo di effettivo prestatore. In quest’ultima direzione risulta attualmente orientata l’esperienza italiana, con gli operatori presenti che, quando non sono essi stessi delle banche, tendono a ricalcare assai da vicino le movenze delle imprese bancarie, sfruttando gli interstizi non presidiati dalla complessa e onerosa regolamentazione di settore al limite del divieto di raccolta del risparmio tra il pubblico con obbligo di rimborso (art. 11, co. 2, t.u.b. e artt. 1 e 2 del CICR 1058/2005), lambito per via della loro interposizione nella movimentazione dei flussi di denaro tra mutuanti e mutuatari. In particolare, colpisce come il meccanismo che ha affrancato i banchieri medievali da malintesi divieti di matrice religiosa94 e su cui si basa l’odierno sistema di raccolta bancaria, ossia il deposito irregolare (art. 1782 c.c., rispecchiato – anche se l’opinione non è pacifica95 – nell’art. 1834 c.c.), oggi rappresenti l’impedimento innanzi al quale vari gestori di piattaforme di crowdfunding credendi causa hanno reagito servendosi degli istituti di pagamento, nati per altri fini, proprio per scongiurare l’insorgere di quel particolare genere di relazione dominicale col denaro che li avrebbe altrimenti esposti all’inevitabile assimilazione con le banche. Così oggi, dopo un passo falso che ha provocato conseguenze severe per l’operatività di un gestore in Italia96, la disciplina che mostra di esse-
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Per ogni riferimento e l’accurata ricostruzione dell’evoluzione storica si rinvia a Santarelli, La categoria dei contratti irregolari. Lezioni di storia del diritto, Torino, 1990, p. 67 ss., 155 ss.; Id., Mercanti, cit., p. 167, 177 ss., 191; Id., Landi, La categoria dell’irregolarità contrattuale nel codice civile italiano del 1942, in I cinquant’anni del codice civile: atti del Convegno di Milano, 4-6 giugno 1992, Milano, 1993, p. 712 ss., 725, 728 ss. 95 Per un’agile ed aggiornata rassegna, v. Minneci, I depositi bancari di denaro, in Tratt. contr., diretto da Roppo, V, Milano, 2014, p. 758 ss. 96 Ci si riferisce alla vicenda che ha interessato Zopa Italia s.p.a. (predecessore dell’attuale Smartika s.p.a.), cancellata dall’elenco degli intermediari ex art. 106 t.u.b., con conseguente interruzione dell’attività. Alla base del provvedimento di cancellazione disposto dal ministero dell’economia e delle finanze (n. 258/385-C del 26 giugno 2009, poi confermato dal TAR Lazio, 12 dicembre 2009, n. 12848, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, II, p. 422 ss., con nota di Prestipino) sta precisamente il ricorso a modalità operative difformi rispetto a quelle fissate dall’autorità di vigilanza all’atto dell’iscrizione nel menzionato elenco generale. Più in particolare, la Banca d’Italia aveva richiesto
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re maggiormente impiegata nel settore è appunto quella degli istituti di pagamento97 precisamente in ragione del fatto che i vincoli posti al loro modus operandi impediscono che essi acquistino in qualsiasi momento la titolarità dei fondi versati sui conti di pagamento, come ribadisce l’eccezione ricavata nell’art. 11 t.u.b. secondo la quale “non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione di servizi di pagamento” (art. 11, co. 2-ter, t.u.b.). In breve, se dalla penna delle istituzioni europee nel 2007 era scaturita una figura intesa a stabilire un level playing field nell’ampio e frammentariamente regolato settore dei vari soggetti operanti nell’erogazione dei servizi di pagamento (considerando nn. 4, 10, 14 e 16 PSD), finaliz-
che Zopa Italia non acquisisse in nessun momento la proprietà dei fondi trasferiti dai mutuanti ai mutuatari, né assumesse alcun obbligo di rimborso nei confronti dei propri utenti, ma è stato accertato che la società: a) faceva transitare gli incassi ed i pagamenti su due conti correnti infruttiferi intestati a sé presso la banca Intesa-San Paolo e denominati “Omnibus prestatori” e “Omnibus richiedenti”; b) poteva autonomamente disporre di questi conti senza che alcun limite in relazione alla particolare natura degli stessi potesse esserle opposto dalla banca. Inoltre, i prestatori potevano tenere le somme versate presso il conto “Omnibus prestatori” a tempo indeterminato, reinvestirvi le quote di finanziamento rimborsate, nonché chiedere la restituzione in ogni tempo, sia prima che dopo la concessione del finanziamento, delle somme depositate. Da tutto ciò si poteva desumere che Zopa Italia aveva acquisito la proprietà dei fondi, né lo si poteva escludere solo per via del fatto che i contratti stipulati con i singoli prestatori non riconoscevano in capo alla stessa la facoltà di servirsene. Correttamente il giudice amministrativo ha poi statuito che una clausola comportante un divieto di utilizzazione del denaro avrebbe impedito l’acquisto dello stesso in capo al depositario solamente in caso di anteriore individuazione e specificazione dei beni depositati: riprendendo l’insegnamento della S.C. (è espressamente citata Cass. 20 aprile 2001, n. 5843, in Il fallimento, 2001, p. 1027 ss.; ma nello stesso senso v. tra le altre Cass., 6 marzo 2015, n. 4627, in CED Cassazione; Cass., 23 agosto 2011, n. 17512, in CED Cassazione; Cass., 12 febbraio 2008, n. 3380, in CED Cassazione), il TAR Lazio ha infatti concluso che quando delle cose fungibili non siano state individuate al momento della consegna, entrano nella disponibilità di chi le riceve, il quale acquista il diritto di servirsene e ne diventa proprietario, pur essendo tenuto a restituirne altrettante della stessa specie e quantità (sul caso Zopa Italia, v. anche Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 242 ss.; G.B. Donato, Regolamentazione del peer-to-peer lending in Italia, in Riv. dir. banc., 2015, p. 2). 97 Risultano rientrare in tale categoria i gestori delle piattaforme Smartika (Smartika s.p.a.) e Borsa del credito (Mo.Net s.p.a.). La piattaforma Prestiamoci è invece gestita da un intermediario finanziario iscritto nell’elenco ex art. 106 t.u.b. (Agata s.p.a.), mentre la piattaforma Terzo valore fa capo ad una controllata da Intesa Sanpaolo s.p.a., Banca Prossima s.p.a., che è altresì attiva sul versante del donation-based crowdfunding, come si è avuto modo di constatare anche con riguardo a Smartika (v. supra, sub nt. 33).
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zata al contempo anche a distinguere e limitare la loro attività rispetto a quella delle imprese bancarie (considerando nn. 10 e 11 e artt. 9, par. 1 e 3, 10 e 16 PSD)98, oggi proprio quest’ultima distinzione risulta congeniale all’impiego degli istituti di pagamento nell’ambito del lending-based crowdfunding. Solo attraverso la doppia separazione patrimoniale (tra i fondi propri e di terzi e tra quelli spettanti a ciascuno di costoro) e la funzionalizzazione dell’impiego delle somme nei conti di pagamento che caratterizzano la struttura ed il paradigma operativo degli istituti di pagamento (sia di quelli “puri”, o ad oggetto esclusivo – art. 114-duodecies t.u.b. -, sia, seppur anche per altri fini e secondo diverse modalità, di quelli che svolgono ulteriori attività commerciali, o “ibridi” – art. 114-terdecies t.u.b.)99 si può evitare la realizzazione dell’effetto traslativo che altrimen-
98 In merito agli antecedenti ed alla genesi della PSD, senza pretese di completezza, v. Baessato, Introduzione, in Comm. breve dir. camb., cit., p. 791 s.; Salamone, Lo statuto concorrenziale delle imprese di intermediazione nei sistemi di pagamento, ivi, p. 816; Lemme, Dalla moneta scritturale alla moneta elettronica, in Diritto ed economia del mercato, a cura di Lemme, Padova, 2014, p. 456 ss., 464 ss.; Id., Moneta scritturale, cit., p. 155 ss.; Santoro, Istituti di pagamento, cit., p. 354, testo e note 8 e 9; Id., I servizi, cit., p. 22; Libertini, Brevi note su concorrenza e servizi di pagamento, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, I, p. 181 ss.; Gimigliano, Commento agli articoli 114-sexies - 114-undecies, in Testo unico bancario. Commentario, cit., p. 916 s.; Ead., La trasparenza dei servizi di pagamento: profili ricostruttivi della disciplina comunitaria, in Il nuovo quadro normativo, cit., p. 79 ss., ove, partendo dall’angolo visuale della trasparenza delle condizioni contrattuali (e sviluppando riflessioni già anticipate in Ead., Il diritto europeo della concorrenza: analisi degli orientamenti comunitari e prospettive di ricerca, in Il diritto del sistema dei pagamenti, cit., p. 557 ss.), si traccia un’interessante e persuasiva ricostruzione in chiave pro-concorrenziale della PSD, logica, quest’ultima, che è stata ulteriormente esplicitata ed arricchita nella PSD 2: considerando nn. 6, 21, 33, 39, 51; O. Troiano, La nuova disciplina privatistica comunitaria dei servizi di pagamento: realizzazioni e problemi della Single Euro Payments Area (SEPA), ivi, p. 41 ss.; Granieri, Le liberalizzazioni nel sistema dei servizi di pagamento e l’impatto della direttiva comunitaria sull’industria delle carte di credito. Alcune riflessioni preliminari, ivi, p. 97 ss., 101 ss.; Perassi, Il diritto comunitario dei pagamenti, in Il diritto del sistema dei pagamenti, cit., p. 147 ss., 173 ss. 99 Su cui, oltre ai requisiti previsti nel provvedimento di Banca d’Italia del 20 giugno 2012, recante “Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica” (ed in particolare Cap. IV, sez. 2, paragrafi 2 e 3), si vedano Santoro, I conti di pagamento, cit., p. 863 ss.; Id., Gli istituti di pagamento, cit., p. 49 ss.; Id., Commento all’art. 114-duodecies, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 469 ss.; Id., Commento agli articoli 114-duodecies e 114-terdecies, in Testo unico bancario. Commentario, cit., p. 932 s., 937 s.; Id., I servizi di pagamento, cit., p. 23 ss.; Id., Istituti di pagamento, cit., p. 355 ss.; Baessato, L’impresa intermediaria: condizioni
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ti condurrebbe verso l’assimilazione dei versamenti sui conti di pagamento alla raccolta del credito e, nel caso dei gestori di piattaforme di crowdfunding, ad una possibile configurazione del servizio complessivamente reso come un’abusiva emulazione dell’attività bancaria nella misura in cui la raccolta del risparmio si accompagna nella variante di crowdfunding in esame all’erogazione di credito a favore di chi pubblica progetti100. Quest’ultimo è un rischio decisamente accentuato, anche in ragione dell’impostazione antiformalistica e funzionale dell’art. 11, co. 1, t.u.b. e dell’interpretazione che correntemente ne ricavano dottrina e giurisprudenza: solo il combinarsi dell’evoluzione tecnologica in ambito informatico con l’affermazione di una specifica e settoriale professionalità capace di gestire la crescente complessità delle operazioni di pagamento101 ha potuto generare l’eccezione alla base della disciplina degli istituti di pagamento. Purtuttavia, pare che l’abito dell’istituto di pagamento calzi piuttosto stretto al gestore di piattaforme di lending-based crowdfunding: questa cornice di norme, invero, intercetta in maniera atomistica e, per così dire, astratta solo un aspetto – quello esecutivo – della più complessa attività di interposizione tra la folla dei finanziatori e dei finanziati, ossia gli spostamenti di moneta non fisica, lasciando in un cono d’ombra i rapporti sottostanti che si instaurano tra le parti dei contratti di finanziamento stipulati, nonché quelli intercorrenti tra di loro ed il gestore. Per rendere l’idea, si può pensare alla conduzione di un ristorante attraverso un “ente per la consegna di pietanze pronte al tavolo”. Osservato da una prospettiva speculare, il funzionamento degli istituti di pagamento/gestori di piattaforme risulta essere significativamente più vario ed ampio rispetto a quello degli altri istituti “ordinari”: il ventaglio di attività di cui i primi si riservano contrattualmente l’esercizio
per la prestazione del servizio, in Comm. breve dir. camb., cit., p. 805 ss.; Mecatti, Commento all’art. 114-sexies t.u.b., in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 414 s.; Papa, Commento all’art. 114-terdecies t.u.b., ivi, p. 479 ss.; G. Napoletano, Commento all’art. 35, co. 4, d.lgs. 11/2010, ivi, p. 588 ss., con particolare attenzione ai punti di contatto tra attività degli istituti di pagamento ed attività bancaria (v. anche p. 595 ss.); V. Troiano, Commento all’art. 11, in Commentario T.u.b.3, cit., I, p. 157 s.; Alfano, Commento all’art. 114-terdecies, ivi, III, p. 1634 ss. 100 Invero, a conferma della sostanziale sovrapponibilità del crowdfunding credendi causa con l’attività bancaria, si può considerare che uno degli operatori attivi nel nostro paese è, appunto, una banca (Banca Prossima s.p.a.). 101 Si riprende in tal senso lo spunto di Malvagna, I servizi di pagamento, in Tratt. contr., cit., p. 870 s.
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(valutazione del merito di credito, abbinamento automatico di proposte contrattuali, cessione e recupero dei crediti, informativa sui debitori e monitoraggio…102) non lascia adito a particolari dubbi. Allo stesso tempo, però, gli istituti/piattaforme sono più “limitati” a confronto dei loro omologhi ed in ciò si rivela un ulteriore tratto essenziale della loro diversa natura, che pure nelle condizioni contrattuali si cerca di far scivolare sullo sfondo rispetto alla prestazione dei servizi di pagamento: in ragione della loro specializzazione, gli istituti/piattaforme possono prestare i propri servizi di pagamento soltanto in relazione all’effettuazione di campagne di crowdfunding. Emerge, quindi, prepotentemente la loro vocazione di intermediari (para)bancari. Andando al nucleo del congegno operativo di questi gestori, bisogna rilevare, poi, che il penetrante intervento di frazionamento ed abbinamento automatico delle simmetriche proposte contrattuali dei clienti da parte del gestore della piattaforma non è scevro di conseguenze rispetto alle dinamiche di formazione della volontà ed alle vicende future dei rapporti di debito-credito103. Non è tutto: questo procedimento provoca
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Tutte le attività ricordate sono oggetto di una folta schiera di previsioni inserite nei testi predisposti da Smartika e da Borsa del credito; in caso di attività riservate (come quella di recupero del credito: art. 128-quaterdecies t.u.b.), queste società si avvalgono di soggetti terzi per il loro svolgimento. Un quadro sintetico dei servizi accessori più frequentemente presenti nella prassi europea è offerto da Commissione UE, Crowdfunding in the EU Capital Markets Union, SWD(2016) 154 final, p. 25. Segnala acutamente la “forzatura” teleologica della qualifica di istituti di pagamento anche Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 266 s., la quale scrive: «Le piattaforme offrono anche un servizio di pagamento se non si appoggiano ad un altro operatore per i trasferimenti di denaro, ma questo passa in secondo piano rispetto ai servizi di selezione dei progetti e recupero crediti». 103 Contrariamente a quanto risulta dalla sconcertante formulazione delle condizioni generali di Smartika (art. 8, commi 1 e 2, contratto quadro richiedenti, sostanzialmente conforme all’art. 8, commi 1 e 2, contratto quadro prestatori/donatori: «Il Cliente prende atto che in nessun modo e a nessun titolo Smartika può essere ritenuta, neanche parzialmente, parte dei Prestiti tra Prestatori e Richiedenti, che sono conclusi del tutto discrezionalmente dai soggetti registrati sulla Piattaforma le cui rispettive esigenze si incontrano. Il Cliente accetta sin d’ora che, all’interno della categoria o dell’operazione prescelta, la selezione dei Prestatori dello stesso sia effettuata automaticamente dalla Piattaforma senza alcuna interferenza di Smartika […]» – sottolineature aggiunte) e di Borsa del credito (art. 5, commi 1 e 3, contratto quadro prestatori, riflesso con minime variazioni nell’art. 5, commi 1 e 2, contratto quadro richiedenti. In entrambi i casi si avverte uno stridente contrasto tra la dizione che vuole i contratti conclusi discrezionalmente ed in autonomia tra i clienti e quella secondo cui la selezione
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inoltre il reciproco anonimato tra i clienti della piattaforma, e, attraverso l’impiego delle condizioni generali già predisposte, si standardizzano i finanziamenti risultanti, che risulteranno quindi completamente spersonalizzati104. Sul punto il dato comparatistico prima riportato105 sembra muoversi in maniera univoca e contraria alla prassi italiana escludendo che sulle piattaforme di lending-based crowdfunding si possa fare ricorso a dei sistemi che automatizzino la scelta di concedere o di ricevere credito106.
dei contraenti avviene automaticamente ad opera della piattaforma (rectius, del software elaborato per l’abbinamento delle proposte), contrasto che non riesce ad essere risolto dalla comune previsione in base alla quale i mutui si perfezionano (consensualmente e pertanto in deroga all’art. 1814 c.c.) a seguito di una procedura di accettazione informatica a latere debitoris (art. 10, co. 2, contratto quadro richiedenti Smartika; art. 7, commi 12 e 13, condizioni generali Borsa del credito ed art. 10, commi 3 e 4, contratto quadro richiedenti Borsa del credito). Cosicché non resta che la mera scelta tra prendere o lasciare, senza neppure sapere di chi si diventerà debitori: un ben misero simulacro di autonomia e discrezionalità. Colorata da una certa controfattualità è infine l’identica affermazione per cui la selezione delle parti contrattuali avviene «senza interferenza» da parte del gestore (appena migliorata nel caso di Borsa del credito dall’aggiunta dell’aggettivo «successiva»): senza l’interferenza del gestore, che ha predisposto sito internet e programma di abbinamento, non vi sarebbe alcuna possibile selezione. Pare pertanto difficile escludere un profilo di responsabilità della piattaforma se il programma realizza abbinamenti difformi rispetto ai parametri selezionati dei clienti e da ciò scaturiscono rapporti di credito problematici. 104 Non c’è quindi nulla di cui stupirsi se nel modello di lending-based crowdfunding all’italiana l’aspettativa della remunerazione del finanziamento fa svanire completamente il momento progettuale visto nelle altre varianti di crowdfunding rispetto alla valutazione del merito creditizio del richiedente (peraltro usualmente condotta dai gestori delle piattaforme). È coerente con quest’osservazione il rilievo comune agli autori citati supra, sub nt. 15 (cui adde Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 234 s.) che si occupano di questo genere di operazione, i quali osservano la netta prevalenza delle aspettative economiche come elemento motivazionale per la partecipazione ad una campagna di lending-based crowdfunding. 105 V. supra, sub par. 6.1. 106 La Spagna è il paese che più nitidamente ha compiuto questa scelta con l’art. 52, par. 2, let. e, ley 5/2015, in cui si proibisce al gestore di «proporcionar mecanismos de inversión automáticos que permitan a los inversores no acreditados automatizar su decisión de inversión, estén o no basados en criterios prefijados por el inversor. No tendrán la consideración de mecanismos de inversión automáticos las utilidades que permitan al inversor preseleccionar de entre los proyectos publicados todos aquellos en los que invertir para, posteriormente, acordar y formalizar su participación en los mismos mediante una única actuación». Sembrerebbe, quindi, possibile dedurre che il gestore della piattaforma può fornire al mutuante dei filtri che gli consentano di restringere la platea dei potenziali mutuatari secondo le sue preferenze, ma sarà poi lui
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Più in generale, in tutti gli ordinamenti in cui si ricollega l’accesso al crowdfunding alla presentazione di un progetto (come accade in Francia, Spagna e Portogallo, per quanto qui interessa), esso gioca, tra l’altro107, un insopprimibile ruolo identificativo nell’individuazione del contraente da finanziare; alla piattaforma, per parte sua, compete di rendere pubblico questo progetto, ponendosi come luogo virtuale d’incontro e di scambio di informazioni, ciò che evidenzia sul piano giuridico la primaria funzione mediatrice tra le parti del futuro contratto108 (art. 1754 c.c.) e risulta coerente con il fatto che ai gestori sia interdetto di ingerirsi nei flussi monetari tra di esse109, salve le eccezioni già viste. Non si intende con ciò sovrimporre alla fluida realtà del lendingbased crowdfunding una visione riduttiva, dogmatica ed astratta del fenomeno, che potrebbe suonare come l’espressione di una conservatrice guerra di retroguardia a strenua difesa della riserva di attività bancaria, bensì tentare di ricondurlo nel suo alveo “naturale” evitando pericolose tracimazioni in altri ambiti d’attività, con rischi tutti a carico della platea dei potenziali utenti. In effetti, una delle constatazioni più frequenti che si leggono sia in dottrina, sia nei comunicati delle associazioni di operatori del settore è che l’imposizione di eccessivi oneri regolamentari
a dover selezionare i progetti da finanziare, anche uno actu. In argomento, v. Zunzunegui, Régimen jurídico, cit., p. 11. 107 Si rinvia alla trattazione svolta supra, sub par. 3. 108 Sempre sul piano comparatistico vale la pena rilevare che in diversi ordinamenti lo sforzo definitorio è stato centrato proprio su questo profilo e vale la pena riportare alcuni brani di disposizioni a riprova di questa tendenza: a) per la Francia, l’art. L. 547-1 Code monétaire et financier: «L’intermédiation en financement participatif consiste à mettre en relation, au moyen d’un site internet, les porteurs d’un projet déterminé et les personnes finançant ce projet […]»; b) per la Spagna, l’art. 46, par. 1, ley 5/2015: «Son plataformas de financiación participativa las empresas autorizadas cuya actividad consiste en poner en contacto, de manera profesional y a través de páginas web u otros medios electrónicos, a una pluralidad de personas físicas o jurídicas que ofrecen financiación a cambio de un rendimiento dinerario, denominados inversores, con personas físicas o jurídicas que solicitan financiación en nombre propio para destinarlo a un proyecto de financiación participativa, denominados promotores»; c) per il Regno Unito, la sec. 36H(1) del Financial Services and Markets Act 2000 (Regulated Activities) Order 2001, che, riferendosi al gestore di un «electronic system in relation to lending» stabilisce che il suo compito è quello di «facilitate persons […] becoming the lender and borrower under an article 36H agreement […]». 109 Una considerazione analoga si legge in Zunzunegui, Régimen jurídico, cit., p. 14, che a p. 27 aggiunge condivisibilmente: «La plataforma debe ser una vitrina de proyectos para facilitar que los inversores los conozcan y decidan invertir en los mismos».
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potrebbe condurre all’erosione dei margini di profitto ed alla scomparsa di gestori, a vantaggio degli intermediari istituzionali (banche, società finanziarie…) e lo stesso vale per l’introduzione di vincoli operativi più o meno ampi. Nel caso di specie, ci si limita piuttosto a constatare che il lendingbased crowdfunding ha avuto il suo terreno di elezione nella mediazione telematica di mutui tra consumatori o tra consumatori e imprese non finanziarie, proprio per via della mancanza di regolazione del settore. Molte delle attività ulteriori che sono di seguito cresciute su questo tronco, però, si approssimano a quelle svolte da intermediari bancari e finanziari e talora sono difficilmente distinguibili da esse: a questo riguardo si condivide l’approccio adottato dal Parlamento europeo nel momento in cui esorta la Commissione «a potenziare la capacità di monitoraggio dei tipi, volumi e tendenze delle attività di intermediazione analoga a quella bancaria effettuate al di fuori del settore bancario regolamentato e a porre in essere misure adeguate per garantire che siano soggette al principio “stessi rischi, stesse norme”» (sottolineature aggiunte)110. Lo stesso vale anche in relazione ai “mercati secondari” che questi istituti/gestori111 hanno creato per risolvere il problema della illiquidità
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Risoluzione del Parlamento europeo del 9 luglio 2015 («Costruire un’Unione dei mercati dei capitali» – 2015/2634(RSP)), punto 59. Bisogna al contempo segnalare che l’EBA ritiene che «the business model of crowdfunding platforms does not appear to fall inside the perimeter of credit institutions and their typical business model as defined in the EU legislation» (Opinion, cit., p. 25). 111 Cfr. art. 8 “principi” Smartika e art. 9 condizioni generali Borsa del credito. Ci si consente un rilievo sull’accessorio regime convenzionale di incedibilità “esterna” che restringe la circolazione dei crediti solo all’interno delle piattaforme e dei loro aderenti (art. 7 contratto quadro prestatori/donatori Smartika; art. 7 contratto quadro prestatori Borsa del credito): pur essendo compatibile con il dettato dell’art. 1260, co. 2, c.c., è altresì vero che il suo effetto sarà limitato alle parti del contratto, poiché il divieto di cessione sarà opponibile al cessionario solo se si prova che ne fosse a conoscenza al tempo della cessione, o che comunque - secondo l’interpretazione prevalente di dottrina e giurisprudenza - rientrasse nella sua sfera di conoscibilità (per un’attenta ricostruzione del dibattito dottrinario e l’individuazione di soluzioni qui condivise, si rinvia ex multis a Bosetti, La cessione dei crediti, in Le modificazioni soggettive del rapporto obbligatorio, a cura di Bosetti, nella Nuova giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Torino, 2010, p. 144 ss.). Nel medesimo articolo di entrambi i contratti è poi inserita una clausola di impignorabilità ed un divieto di costituzione di qualsivoglia altro vincolo sui crediti in questione, ma una simile clausola è senz’altro nulla poiché interferisce con le norme imperative sulla responsabilità patrimoniale nei confronti dei terzi.
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delle posizioni contrattuali: senza approfondire il punto, si può comunque dire che praticamente solo la qualificabilità delle frazioni standardizzate di mutui come “prodotti finanziari” (data dalla loro normale non negoziabilità), anziché come “strumenti finanziari” separa queste strutture convenzionali dall’applicazione della disciplina dei sistemi multilaterali di negoziazione (art. 4, par. 1, n. 15, dir. 2004/39/CE – MiFID; art. 4, par. 1, n. 22, dir. 2014/65/UE – MiFID 2; art. 77-bis t.u.f. e art. 19, co. 1, lett. b, reg. mercati)112. Tutto ciò considerato, se comunque non ci si può spingere sino alla completa assimilazione a imprese bancarie o finanziarie omologhe, si ha per lo meno la sensazione che la varietà di attività svolte da questi gestori esorbiti almeno in parte da quella per cui hanno ottenuto l’autorizzazione dalla Banca d’Italia. Questi non sono peraltro gli unici aspetti problematici, dal momento che il legislatore europeo, pur essendone ben avvertito113, non ha tenuto
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Nonché, a seconda delle modalità operative, degli internalizzatori sistematici di ordini (art. 4, par. 1, n. 7, dir. MiFID; art. 4, par. 1, n. 20, dir. MiFID 2; art. 21 reg. (CE) N. 1287/2006; artt. 1, co. 5-ter, e 78 t.u.f.; art. 22 reg. mercati): Zunzunegui, Régimen jurídico, cit., p. 15. Si rinvia per più diffuse osservazioni a Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 269 s., rispetto alla quale comunque si ritiene di dissentire laddove ritiene che la piattaforma (rectius, il suo gestore) potrebbe essere considerata l’offerente della raccolta di lending-based crowdfunding in ragione dell’attività «di selezione, di finanziamento, di promozione, di allocazione del denaro tra i progetti e di aggiornamento/relazione periodica». Al riguardo si crede che per quanto possa essere penetrante l’attività di interposizione della piattaforma nella conduzione delle campagne di raccolta, ad essa non si possa riconoscere il ruolo di offerente, che spetta solo agli aspiranti mutuatari. Così inquadrata la problematica, non sembra si pongano seri rischi di superamento delle soglie che fanno scattare l’obbligo di pubblicazione di un prospetto, poiché se anche il numero degli iscritti alla piattaforma può essere facilmente superiore a 150 (art. 34-ter, co. 1, lett. a, reg. emittenti), gli importi delle singole offerte sono volutamente contenuti, di modo che non si oltrepassi la soglia di 100.000 € per investitore e per ogni offerta separata (art. 34-ter, co. 1, lett. d, reg. emittenti), né quella dei 5.000.000 €, anche in relazione a più offerte aventi ad oggetto il medesimo prodotto effettuate dal medesimo offerente nell’arco di dodici mesi (art. 34-ter, co. 1, lett. c, reg. emittenti). Va comunque sottolineata nel nostro ambito un’ulteriore esenzione dalle disposizioni sulle offerte al pubblico che può risultare di particolare utilità per le raccolte da realizzare a favore degli enti non lucrativi: l’art. 34-ter, co. 1, lett. h, reg. emittenti menziona infatti anche i «prodotti finanziari emessi, al fine di procurarsi i mezzi necessari al raggiungimento dei propri scopi non lucrativi, da associazioni aventi personalità giuridica o da enti non aventi scopo di lucro, riconosciuti da uno Stato membro». 113 Tant’è che nel 2014 era stato istituito un apposito organo consultivo, l’European Crowdfunding Stakeholders Forum (su cui si veda il sito http://ec.europa.eu/internal_ market/finances/crowdfunding/index_en.htm#ecsf). Peraltro, la stessa Commissione UE
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in minimo conto questa “mutazione genetica” degli istituti di pagamento nell’elaborazione della PSD 2. Così, nella nuova direttiva, che pure estende significativamente i confini dei soggetti e delle attività cui si applica la propria disciplina, non si rinviene traccia dei gestori di piattaforme, né delle operazioni di crowdfunding. In tal senso, la normativa europea ed italiana nel campo della trasparenza nel settore dei servizi di pagamento si rivelano inadeguate a cogliere tutte le sfaccettature del fenomeno lending-based crowdfunding, come intermediato e gestito dagli istituti di pagamento e, in ultima istanza, inidonee a fornire effettiva protezione ai loro clienti finanziati e finanziatori114. Le considerazioni svolte sino a questo momento possono essere poi ripetute con taluni adattamenti anche per un’altra piattaforma operativa nel nostro paese ed è gestita da una società finanziaria115. Sebbene rispetto agli istituti di pagamento essa sia predisposta per la concessione di finanziamenti116, dovendo però fare ricorso ad un ente terzo (nella fattispecie,
aveva pubblicato delle comunicazioni in cui si manifestava l’intenzione di promuovere l’impiego del crowdfunding (Commissione UE, COM(2014) 172, p. 4 ss., spec. 7 ss.) ed in precedenza se ne era occupata già nel suo Libro Verde Il finanziamento a lungo termine dell’economia europea, COM(2013) 150, par. 3.4, p. 19 s. (della versione italiana), ed aveva altresì realizzato un’indagine conoscitiva pubblicando il 3 ottobre 2013 una consultazione in proposito (http://ec.europa.eu/finance/consultations/2013/ crowdfunding/index_en.htm). Sempre anteriormente all’emanazione della PSD 2, si segnalano a livello di autorità europee i pareri dell’EBA (Opinion, cit.) e dell’ESMA (Position paper on crowdfunding, cit., e Investment-based crowdfunding, cit.), nonché il documentato studio di Gabison, Understanding, cit., p. 6 ss. 114 Ciò è legato all’ovvia considerazione che la disciplina in questione ruota appunto intorno alla prestazione di servizi di pagamento e non alla gestione di una piattaforma di lending-based crowdfunding: conseguentemente, salve le informazioni supplementari che ciascun gestore sceglie di fornire, ad esempio, in merito alle proprie modalità operative o ai rischi legati ai contratti che si stipuleranno con altri aderenti alla piattaforma, nessun obbligo normativo si estende al di là di quelli che concernono la figura dell’istituto ed il servizio di pagamento (così anche Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 267). Peraltro, dall’esame della contrattualistica adottata dai due istituti/ gestori (Smartika e Borsa del credito) si evince che le peculiarità operative del settore in cui sono attive si riflettono in un significativo ampliamento delle voci di costo per gli utenti rispetto agli istituti “tradizionali” - talora con esiti di dubbia compatibilità con i principi di settore - accompagnato da una situazione di opacità e difficile conoscibilità delle stesse, stante la loro dispersione in vari documenti negoziali collegati tra di loro. 115 Ci si riferisce ad Agata s.p.a., società che gestisce la piattaforma Prestiamoci. 116 Secondo l’art. 16, co. 3, PSD, recepito in Italia a mezzo dell’art. 114-octies, co. 1, lett. a, t.u.b., a sua volta attuato dal provv. Banca d’Italia del 20 giugno 2012, cit., Cap. IV, sez. 1, par. 3, gli istituti di pagamento, infatti, possono svolgere tale attività solo in maniera accessoria ed in relazione all’esecuzione di un’operazione di pagamento,
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una banca) per ogni esigenza correlata alla raccolta ed alla movimentazione del denaro dei clienti (il che complica non poco l’insieme delle relazioni negoziali da instaurare), anche questo gestore in certa misura si discosta dal genere di attività che la legge gli riserva, dal momento che il proprio baricentro operativo consiste sempre nella messa in contatto di soggetti interessati ad erogare o a ricevere dei finanziamenti. Oltre a ciò, si possono registrare più accentuati profili critici, dal momento che, salvo diversa opzione, l’abbinamento delle proposte di mutuo (anche qui frazionate in più quote ed allocate tra i vari richiedenti117) è interamente automatico e prescinde dalla volontà dei finanziatori: rispetto ad essi il gestore ricopre peraltro il ruolo di mandatario con procura alla conclusione dei contratti con i mutuatari con poteri rappresentativi che si estendono a numerosi altri atti ed attività (recupero crediti, cessione degli stessi, stipulazione di rinunce e transazioni, rappresentanza in giudizio…118), il che potrebbe contribuire ad accrescere rischi di conflitti di interesse. È inoltre contrattualmente sancita l’incedibilità e l’impignorabilità dei crediti nascenti dai contratti stipulati da parte dei mutuanti, che dovranno inoltre astenersi dal compimento di qualsivoglia attività giurisdizionale in merito agli stessi119. La già ricordata facoltà di selezionare i soggetti a cui concedere credito, esercitabile in deroga al regime ordinario di distribuzione ed accoppiamento automatici delle proposte, potrebbe poi essere di per sé valutata favorevolmente rispetto all’unilateralità gestoria osservata in
subendo una serie di ulteriori restrizioni. Per ulteriori approfondimenti, v. Santoro, Istituti di pagamento, cit., p. 355 ss., 364, nt. 69, 366; Capone, Commento all’art. 114-octies t.u.b., in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 429 ss.; Giambelluca, Commento all’art. 114-octies, in Commentario T.u.b.3, cit., III, p. 1576 s.; Gimigliano, Commento agli articoli 114-sexies - 114-undecies, cit., p. 919 s. 117 Con l’unica differenza rispetto agli istituti/gestori consistente nel fatto che la società che gestisce Prestiamoci «parteciperà alla Copertura di ogni Richiesta di Prestito al fine di permettere la Copertura del maggior numero possibile di Richieste di Prestito e resterà libera di determinare detta propria partecipazione, che comunque non sarà inferiore all’1% della somma complessiva da erogare per ogni Richiesta di Prestito» (art. 2, co. 6, condizioni generali prestatori Prestiamoci). 118 Per un elenco completo, si veda l’appena citato all. A condizioni generali prestatori Prestiamoci. 119 Entrambe le previsioni sono contenute nell’art. 3, co. 4, ult. periodo, condizioni generali prestatori Prestiamoci. In merito alla prima, si rinvia ai rilievi già svolti supra, sub nt. 111. Solleva, invece, seri dubbi circa la sua validità la preventiva rinuncia alla (autonoma) tutela giurisdizionale, perché in contrasto coi diritti sanciti dagli artt. 24 e 113 Cost., ma l’argomento di questo studio non consente di andare oltre questa segnalazione.
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precedenza, se non fosse che essa è fortemente vincolata e risulta quindi un’alternativa sostanzialmente marginale120. Con il che, nella sostanza, risulta di nuovo e forse anche più incisivamente realizzata una forma di completa spersonalizzazione delle trattative: nel caso di specie, quindi, a separare l’intermediario dalla realizzazione di una forma di raccolta abusiva del risparmio tra il pubblico sta solo la circostanza che si avvalga per la sua attività dei servizi di una banca (e si consideri al riguardo l’art. 2, co. 2, del. CICR 1058/2005). Comune a tutti i soggetti sin qui oggetto di rassegna è infine il fatto che la legge non imponga loro l’adesione al fondo interbancario di tutela dei depositi, sicché i mutuanti non godono in nessun caso della copertura che esso offre. Tuttavia, la circostanza che per differenti ragioni e secondo diverse modalità il denaro dei clienti sia (sub)depositato presso delle banche fa sì che indirettamente la garanzia in questione si riestenda121. In chiusura si dedica un cenno all’ultimo operatore esaminato in questa rassegna: Banca Prossima s.p.a., gestore della piattaforma “Terzo valore”. Già la natura bancaria dell’ente di per sé fuga ogni perplessità in precedenza espressa sulla funzionale coesistenza di attività di raccolta del risparmio associate all’erogazione del credito. Sul piano operativo, poi, la piattaforma segue gli schemi congeniali al lendingbased crowdfunding nel suo configurarsi quale vetrina per domande di finanziamento teleologicamente orientate (elemento in questo caso
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Per una migliore comprensione si riporta il testo dell’art. 4, secondo periodo, “regolamento marketplace” di Prestiamoci: «[…] in modalità Presta Manuale, il Prestatore potrà scegliere autonomamente le Richieste di Prestito a cui allocare la Provvista e decidere il numero di Quote da coprire, nei limiti e in ottemperanza alla disciplina previsti dal presente Regolamento». Il significato di quest’ultimo inciso si comprende tornando all’art. 2, lett. d del medesimo regolamento: «Ogni Prestito viene suddiviso in quote pari a 50 € ciascuna (ciascuna, una Quota). Il Prestatore partecipa ad ogni Prestito con una o più Quote. Per far sì che ogni Prestatore non sia esposto in maniera eccessiva al possibile mancato pagamento da parte di uno o più Richiedenti, Prestiamoci permette al Prestatore di prestare più di una Quota in relazione a uno stesso Prestito solo al verificarsi di una diversificazione implicita pari ad almeno 30 Prestiti e qualora la Provvista del Prestatore sia uguale o superiore a 1.500 €. Qualora la sua Provvista sia inferiore a 1.500 €, il Prestatore potrà prestare solo una Quota per ciascun Prestito. In ogni caso, ciascun singolo Prestito non potrà essere finanziato utilizzando Quote di un singolo Prestatore che, nel complesso, rappresentino un importo maggiore del 40% del Prestito stesso» (sottolineature aggiunte). 121 Sul punto, per tutti, v. Santoro, Commento all’art. 114-duodecies t.u.b., in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 470 ss.
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particolarmente forte, stante la specializzazione a favore di iniziative benefiche e di utilità sociale, generalmente progettate e gestite da enti non lucrativi) e liaison tra contribuenti o anche finanziatori e le organizzazioni destinatarie122. Elemento differenziale rispetto al paradigma della mediazione “pura” che si è posto alla radice del crowdfunding creditizio è l’intervento diretto del gestore nell’erogazione dei finanziamenti: Banca Prossima, infatti, concede una percentuale minima del 33% del totale richiesto a favore di tutti quegli enti i cui progetti seleziona e pubblica123. Non ci si può nascondere che tale dinamica possa fomentare conflitti d’interesse124, ma anche così si lascia preferire rispetto alle precedenti. In questo specifico caso il rilievo finalistico impresso alle attribuzioni credendi causa comporta che in esse il profilo motivazionale delle parti del contratto si innesti su quello causale condizionandolo e dando vita ad un vero e proprio mutuo di scopo125: ciò offre ai mutuanti le premesse per l’accesso a strumenti di tutela del corretto e puntuale impiego delle somme ricevute da parte del mutuatario, su cui pure il gestore della piattaforma vigila. Degna di nota al riguardo è altresì la presenza dell’espresso riconoscimento del diritto di chiunque abbia sostenuto economicamente un progetto (sia con donazioni, sia con mutui) di «ricevere
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Come si può riscontrare da quanto esposto in precedenza, la piattaforma Terzo valore svolge una raccolta di tipo ibrido donativo/creditizia (v. supra, sub 99). 123 Ciò è quanto si ricava dall’art. B.1 regolamento Terzo valore. 124 Tra le varie adottate all’estero, risultano di particolare interesse le misure preventive che il legislatore spagnolo ha introdotto per minimizzare proprio il rischio descritto nel testo: «Las plataformas de financiación participativa sólo podrán participar en proyectos publicados en su página web de acuerdo con los siguientes requisitos: a) Su participación no podrá superar el 10 por ciento del objetivo de financiación de cada proyecto ni permitir controlar la empresa, en los términos previstos en el artículo 42 del Código de Comercio. b) Las plataformas de financiación participativa informarán a los inversores de forma clara y accesible del importe de su participación, o de la de las personas relacionadas en el apartado 3, en cada proyecto. Asimismo, publicarán en la web los criterios de su política interna para decidir su participación en los proyectos» (art. 63, par. 1, let. a e b, ley 5/2015). 125 Nelle parole di Fragali, Del mutuo2, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Roma-Bologna, 1966, p. 72 s.: «È necessario che l’astratta funzione economico-sociale cui il negozio è adibito resti specificata mediante una delimitazione che la fletta al servizio di un interesse particolare delle parti meritevole di tutela giuridica, in modo che perda la sua genericità e la sua uniformità e si diversifichi nella fattispecie concreta, colorando particolarmente la causa tipica. […] L’attuazione dello scopo deve essere pertanto atto di adempimento di un’obbligazione aggiunta a quella di restituzione e all’altra di interessi e quindi di una obbligazione inerente al mutuo» (sottolineature aggiunte). V. altresì p. 78 ss.
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comunicazione sul Sito, con riguardo a ciascuno dei Progetti e fino alla completa ultimazione degli stessi, di ogni circostanza, notizia o dato inerente – direttamente o indirettamente – il Progetto o l’ONP» (art. 18 Diritti dei sostenitori Terzo valore)126. Solo con obblighi informativi successivi, peraltro enormemente facilitati dalle nuove tecnologie, si può consentire il monitoraggio sulla fase esecutiva dei progetti finanziati e ciò non solo risponde alle migliori pratiche del settore, ma anima anche diversi interventi legislativi più recenti, uniformemente orientati nel garantire maggiore trasparenza e tutela per i crowdfunders127.
7. Conclusioni. Quest’ultimo aspetto fornisce anche un primo spunto per tracciare alcune conclusioni: la fiducia è un elemento essenziale di questo nuovo modello di raccolta di capitali e si dovrebbe favorire ogni misura atta ad alimentarla. In tal senso, in tutte quelle specie di crowdfunding in cui il progetto acquisisce rilievo nella considerazione del pubblico, stabilire dei canali informativi sullo sviluppo dell’attività non può essere avverti-
126 Il gestore stesso ha predisposto delle linee-guida per la rendicontazione dei progetti liberamente accessibili dal sito internet della piattaforma. 127 In questo senso, occorre ricordare che la Francia rimette agli intermédiaires en financement participatif il compito di «définir et organiser les modalités de suivi des opérations de financement et la gestion des opérations jusqu’à leur terme, y compris dans le cas où l’intermédiaire en financement participatif cesse son activité» (art. L. 548-6 Code monétaire et financier). In Portogallo «os beneficiários do financiamento colaborativo de capital ou por empréstimo devem ainda remeter anualmente à CMVM e às plataformas com as quais mantêm uma relação no quadro da presente lei, de forma a estarem disponíveis para consulta junto dos investidores, os respetivos relatórios de atividade» (art. 17, n. 2, lei 102/2015); nel regulamento CMVM n. 1/2016 si aggiunge inoltre che relativamente ad ogni financiamento colaborativo ancora non interamente restituito, i gestori delle plataformas devono rendere disponibili informazioni anche sullo stato di sviluppo dell’attività o del prodotto finanziato e sullo stato d’esecuzione del piano (art. 13, n. 2, let. b e c), oltre che su ogni possibile evento che possa produrre ripercussioni sulle somme investite (art. 13, n. 2, let. d). Anche la Spagna si muove in questa direzione, inserendo però quest’obbligo informativo tra i servizi di carattere accessorio delle plataformas de financiación participativa: se opteranno di fornirlo, dovranno provvedere alla «transmisión a los inversores de la información que sea facilitada por el promotor sobre la evolución del proyecto, así como sobre los acontecimientos societarios más relevantes» (art. 51, par. 2, let. e, ley 5/2015).
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to come un freno all’evoluzione ed alla crescita dell’attività di raccolta, bensì come un’occasione per migliorarla ed accrescerla. Simili ragionamenti, d’altro canto, non sono neppure inediti e basti pensare sul punto all’importanza del capitale reputazionale per gli enti non lucrativi ed a come parallele logiche di responsabilità sociale si stiano estendendo anche agli attori economici votati al profitto. Per altro verso, l’impiego del crowdfunding stesso come canale di finanziamento e l’esposizione alla pressione collettiva dei sostenitori può indurre a cambiamenti nelle strategie di approvvigionamento: solo attraverso la responsabilizzazione della gestione degli enti beneficiari ed una loro maggior trasparenza sarà possibile attingere ripetutamente alla “folla”. Ciò che continua, invece, a mancare e non può essere sopperito dall’iniziativa dei privati è lo sviluppo di forme di tutela collettiva adeguate ad captare e soddisfare la nuova imponente dimensione del crowdfunding e del ventaglio di problematiche che porta con sé: fermando lo sguardo sul nostro ambito nazionale, il già poco efficiente e limitato rimedio risarcitorio previsto dall’art. 140-bis cod. cons. non è in grado di offrire alcuna protezione a tutti quei soggetti che non possano essere qualificati come “consumatori” o “utenti” o che non siano stati danneggiati da un’“impresa”128. Certo non si può risolvere in poche righe un problema che attanaglia molteplici ambiti del nostro ordinamento giuridico e stenta a trovare soluzione, tuttavia una restrizione all’accesso a certi tipi di crowdfunding (e specialmente alla variante lending-based) può agevolare il controllo e la prevenzione di fenomeni patologici macroscopici129. Si reputa in particolare necessario un ripensamento delle modalità gestionali delle
128 Per qualche ulteriore riflessione, ci si permette di rinviare a Laudonio, La folla e l’impresa, cit., p. 421 ss. 129 Fermo restando il caveat enunciato supra, sub nt. 32, secondo il rapporto Massolution, 2015 CF, cit., nell’anno 2014 proprio il lending-based crowdfunding è continuato a risultare predominante in termini di raccolta complessiva con 11,08 miliardi di dollari (registrando una crescita del 223% rispetto al 2013), mentre il donation-based ed il reward-based crowdfunding si sono collocati a distanza rispettivamente con 1,9 e 1,3 miliardi di dollari (per ciascuno gli aumenti sono stati del 47% e dell’84% a paragone con l’anno precedente). In coda, anche se in crescita, continua a collocarsi l’equity-based crowdfunding con 1,1 miliardi di dollari ed un incremento del 182%. Si segnala comunque che i dati potrebbero non essere del tutto paragonabili con quelli del rapporto risalente al 2013, poiché sono state introdotte nuove categorie (hybrid-based e royalty-based crowdfunding) i cui risultati potrebbero aver eroso quelli delle specie prese in considerazione nella passata edizione.
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piattaforme in cui la scelta del contraente è impedita o minimizzata, in quanto paiono presentare una parentela più stretta con il settore bancario (e con alcuni dei relativi rischi) che con il crowdfunding: come già anticipato, non si tratta di soffocare nella culla una nuova categoria di operatori emergenti, bensì di riportarla in seno all’ambiente normativo più adatto evitando al contempo forme di concorrenza al ribasso suscettibili di riverberarsi a danno degli utenti incolpevoli. A questi gestori, naturalmente, dovrebbe essere lasciata la scelta di potersi convertire da intermediari a mediatori. La tendenza registrata, in special modo, è quella dell’introduzione di nuove figure di gestori130 che solitamente si innestano sul troncone disciplinare degli istituti di pagamento, integrandolo con una congerie di ulteriori prescrizioni rese necessarie dalla cospicua diversità dell’attività complessivamente svolta (informazioni ex ante sui profili di rischio del crowdfunding e sul soggetto che ha pubblicato il progetto, informazioni ex post sull’andamento del progetto, informazioni sul gestore della piattaforma e sulle sue procedure di selezione dei progetti, misure preventive di conflitti di interesse, obbligo di pubblicazione di un progetto esclusivamente su una singola piattaforma, adattamenti della disciplina consumeristica131 – specie in relazione al recesso da ripensamento -,
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In questo senso si riprende uno spunto presente in Macchiavello, Peer to peer lending, cit., p. 276, 288 ss., discostandosi, però, dal pensiero dell’autrice nella misura in cui si mostra favorevole alla conservazione di quelle piattaforme di lending-based crowdfunding ad alto tenore di intermediazione del gestore. 131 Nell’economia del presente lavoro si è volutamente omessa la trattazione del complesso raccordo tra lending-based crowdfunding e normativa di protezione degli utenti/consumatori, che avrebbe significativamente sbilanciato la trattazione anche solo nel tentativo di dipanare l’intreccio di corpora regolamentari tra cod. cons., t.u.b. e d.lgs. 11/2010. Non ci si può tuttavia esimere dal segnalare uno snodo problematico nella prassi contrattuale, nella quale, da un punto di vista consumeristico, si assiste ad uno schiacciamento prospettico dei rapporti, che da trilaterali (finanziatore - piattaforma - finanziato) si riversano inavvertitamente in una surrettizia bilateralità (finanziatore/ piattaforma - finanziato). Ciò può essere anche un precipitato delle modalità di gestione intermediata delle raccolte, che spostano in secondo piano il legame finanziatorefinanziato (generalmente “C2C”) rispetto al ruolo professionale del gestore (“B2C”). L’effetto è quello dell’applicazione ai rapporti tra consumatori di oneri, tutele e rimedi che non sono loro propri e che, da un lato, risultano sovradimensionati o comunque inadeguati rispetto alle loro effettive esigenze di tutela, mentre, dall’altro, non garantiscono sufficiente protezione nella relazione con i gestori. In simili difficoltà è incorso anche il legislatore spagnolo, attirandosi le critiche della dottrina: Carrasco Perera, La financiación participativa, cit., p. 5 ss.
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obbligo di protezione dai pericoli dell’ambiente informatico, necessità di adozione di misure volte a garantire la continuazione dell’attività in caso di fallimento…). Un intervento legislativo relativamente agile e strutturato per principi dovrebbe essere quindi più che sufficiente a risolvere i problemi delle piattaforme “vetrine” o mediatrici introducendo un’apposita figura deputata alla loro gestione132, mentre in coerenza con il ricordato metodo «stessi rischi, stesse norme» la regolamentazione degli “intermediari telematici di credito diffuso” potrebbe trovarsi di fronte all’alternativa tra la loro riconduzione nel genus banca e la difficile elaborazione di un “abito” normativo ad hoc, la cui ampia sovrapponibilità con quello bancario potrebbe creare significative frizioni sistematiche ed applicative. Sullo sfondo della discussione continuerebbe a stagliarsi la disattesa esigenza delle piccole e medie imprese di una semplificazione del loro accesso a mercati di finanziamento alternativi. Se, però, la pervicace infatuazione del legislatore italiano nei confronti dell’equity-based crowdfunding degli ultimi anni non si allenterà, è facile intuire che la richiesta di diversificazione sul piano giuridico si scontrerà con una risposta alla Henry Ford: “Potete avere tutte le forme di crowdfunding che desiderate, purché siano equity-based”.
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132 Si sottoscrive in tal senso il pensiero di Zunzunegui, Régimen jurídico, cit., p. 28, a parere del quale: «Una nueva figura del mercado financiero debe contar con un marco legal flexible, basado en principios, dejando al reglamento y a los criterios del supervisor la concreción de la norma. Sin embargo, en España se regulan más las plataformas que las bolsas. La LMV dedica un capítulo con 11 artículos a las bolsas y la Ley de fomento de la financiación empresarial dedica un título con seis capítulos y 47 artículos a las plataformas de financiación participativa» (sottolineatura aggiunta).
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Project Finance. A Comparative Analysis with Common Law Regulation Summary: 1. Introduction. – 2. Project finance in italian legislation. – 2.1. Transposition of Directive 2014/24/EU and reorganization of the Procurement Code. – 3. State of Partnership in Italy. – 4. Analysis and Development of PPP and PFI in the UK. – 4.1. UK legal regulation. – 5. Structure and mechanism of project finance in the UK. – 6. Conclusions.
1. Introduction. The continuing difficulty of finding the necessary resources for the construction of works intended to satisfy the needs of the community has resulted, in the last twenty years, in a strengthening of the project finance instrument (“PF”)1, which, however, does not appear to have followed the same trend in Italy as has occurred in the UK. Wanting to photograph the state of the PF Italian market, we could briefly say that it is characterized by the coexistence of a large number of small sized interventions and of a more reduced number of interventions for very high amounts.
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Project finance is a special method of raising funds for projects, primarily in the energy, mining and infrastructure sectors. In recent years, it has also been used in connection with public-private partnerships to fund projects where the private sector works with a governmental entity to provide public funds traditionally financed by governments. On this idea, Floris Linee storiche ed evolutive del project financing, available online on www.diritto.it. For more details, Cecconi, Il project financing nelle opere pubbliche, Guida tecnico-operativa, and web address www.altalex.com/documents/ news/2009/03/02/la-finanza-di-progetto-dopo-il-terzo-decreto-correttivo-del-codicedegli-appalti; Ferrante e Marasco, Project Finance/Elementi introduttivi, 2010 in collaboration with UTFP and Dipartimento per la Programmazione e coordinamento della Politica Economica, p. 1 ss..
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In Italy, in fact, project finance, besides flawed legislation which is continuously altered by the legislature, is hindered in its practical use, in that it does not take into account the real possibilities of the work to be realized, to generate a return at least equal to the expenditure for its realization. This fact already explains how such an instrument is missing a fundamental comparison, – unlike in Great Britain – between the traditional form of financing public investment, namely corporate finance, and PF in order to assess which of the two alternatives is better in terms of “Value for Money”, which is understood as the margin of convenience of a PF operation compared to a traditional contract2. The almost total absence, also, of institutions intent on the diffusion of this instrument, such as the so-called English “Task force” 3 – with the aim to operate and interact with the public administration for the development of new infrastructure – is a further weak point in the Italian legal system compared to cross-Channel. To these objective data must be added the fact that the infrastructure gap4 in Italy compared to other EU states has been determined to a greater extent by the lack of availability of public funds or, even worse, by resources which have “settled” between the folds of the public budget, a situation which has not only not permitted the creation of large public
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Project finance is a method of raising medium-to long term debt (a loan) based on cash flow generated by the project, while venture finance uses the balance sheet of the company and/or its sponsors. A key difference between the two approaches lies in how debt (borrowing money, via one or more loans) is structured. Both project and venture capital often include a debt component (to leverage or preserve owner equity, among other reasons) alongside the equity owned by the principals, sponsors, and other shareholders. For further details, see, Nevitt, Una tecnica, una cultura, una politica, Milano, 1995; Draetta e Vaccà, Il project financing. Caratteristiche e modelli contrattuali, Milano, 1997; De Sury e Miscali, Il Project Financing, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, in Tratt. dir. civ., diretto da Galgano, I, Torino, 1995, p. 729 and following. See fundamental work by Sambri, Project financing. La finanza di progetto per la realizzazione delle opere pubbliche, Padova, 2013. 3 In 1999, the Unità Tecnica per la Finanza di Progetto (Utfp) was set up, an Italian Task force, which, however, is devoid of responsibility and regulatory authorization. Article 1, co. 589, Law No. 208/2015 (Law of Stability 2016) abolished this body by transferring competency to DIPE. 4 Recently, the report Global Project Finance review – YTD 2015 by Thomson Reuters, indicates how PF has grown by 7.1% worldwide in the first nine months, but was down by 0.7 % in Western Europe and a slump of as much as 46% was seen in Italy. Visit http://dmi.thomsonreuters.com.
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works, but rather, in some cases, means that these resources or funds have only been seen at the beginning of a project, and, once the initial financial resources have died out, has left the work unfinished. Nevertheless, recent developments in the European market for infrastructure financing have attracted more and more private capital giving a significant boost to the instrument in Italy, above all in order to realize investment projects that are of actual social utility and sufficiently profitable5. One of the key points of such a form of financing lies in the fact that the risk, generally rather high for these types of works, is “minimized” through an allocation of same between all actors involved in the operation (P.A., sponsor, SPV, lending banks, builder, manager, supplier and end users). From a technical perspective, in fact, a legal entity was instituted, defined as a “special purpose vehicle” (SPV), whose purpose is to separate the future of the project from that of the lenders, but which, currently, at least in Italian law, does not appear to be adequately equipped to carry out a role of coordination and of proper assessment of the economic aspects resulting from the management of the service. With regard to guarantees covering funding, these consist exclusively in separate contractual agreements, albeit functionally linked, and in the value of the funded activities. All the risks of the initiative are allocated among the participants through a dense network of contractual and insurance relationships; however, the financial transaction is not free from a number of disadvantages, primarily related to the presence of many actors: the realization of the different contractual relationships between the figures, operating in a highly asymmetric information context, not only lengthens the time of the initiative, but involves high transaction costs and further structuring of the work costs. Therefore, the heterogeneity of the parties to the transaction – considered stakeholders6 – is one of the most problematic factors, although
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In Italy, new funds have been created in recent years dedicated to infrastructure, such as the Italian Strategic Fund Spa (FSI), a holding company created by Ministerial decree, 3rd May 2011 (the majority shareholder is the CDP, while the minority is the Bank of Italy). FSI capital is open to other institutional investors, both Italian or foreign. Another organism is the F2i SGR (Italian funds for infrastructure) that, in 2012, formalized an agreement with the FSI for the development of a network of new generation optical fiber in major Italian cities. 6 It is important to point out that the term ‘stakeholder’ (a person with an interest
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the shared goal of full implementation of the business project is clearly an element of aggregation and diversification of overall risk between multiple participants in the initiative. Essentially, PF is characterized in Italy by the multiplicity of contracts that constitute it and, in particular, by the functional and logical connection that unites various contracts, so much so as to consider it not so much attributable to a single institution or typical contractual category, but rather as consisting of a series of contractual figures, which are all used to achieve the business objective in an optimum way. The complexity of the entire process must then also be evaluated from a legal and financial point since credit in Italy is given on the basis of an only potential expected profitability; in other words, a business project is funded and not the enterprise. This explains the high degree of risk, mainly because the expectations of recovery of the loan conceded refers to the project’s cash flows, rather than to the debtor’s credit worthiness.
2. Project finance in Italian legislation. Despite the prolonged economic-financial crisis of the last decade, PF has registered an undeniably rapid evolution in Europe, dictated by the need to respond to certain principles of the Stability Pact7 and, above
in something) is used to identify a subject (or a group of subjects), who impacts an enterprise and may be either a company or a project. Clients, suppliers, as well as financial backers (banks and shareholders) may be part of it, but also external groups of interest, such as residents in neighbouring areas, or local groups of interest. On this matter, see, Fight, Introduction to Project Finance: Essential capital markets, 2006. 7 The Stability and Growth Pact (SGP) is an agreement, among the 28 Member states of the EU, to facilitate and maintain the stability of the Economic and Monetary Union (EMU). Based primarily on Articles 121 and 126 of the Treaty on the Functioning of the European Union, it consists of fiscal monitoring of members by the European Commission and the Council of Ministers, and the issuing of a yearly recommendation for policy actions to ensure full compliance with the SGP, also in the medium-term. In March 2011, following the 2010 European sovereign debt crisis, the EU member states adopted a new reform under the Open Method of Coordination, aiming at straightening the rules e.g. by adopting an automatic procedure for imposing of penalties in case of breaches of either the deficit or the debt rules. The new “Euro Plus Pact” is designed as a more stringent successor to the Stability and Growth Pact, which has not been implemented consistently. The measure is controversial not only
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all, to seek new forms and financial resources in the development, construction, management and maintenance of projects and infrastructure of collective interest. The continuous growth of this tool is mainly due to the action of the Community legislator, who, paying particular attention, has tried to make legislation increasingly clear – whether it be primary or secondary – also through the adoption and diffusion of best practices8, especially with regard to the inclusion of appropriate clauses in the negotiating plan, facilitating, and thus attracting, the attention of individual investors. In the course of 2012, some international banks held a series of meetings with institutional investors (insurance companies and pension funds) to explore their interest in the field of infrastructure which, despite the general uncertainty caused by the aforementioned crisis, was quite positive. It emerged that the experience of English investors9 is the most developed in the market of long-term debt in the infrastructure sector, for both volume and variety of operations compared to the rest of Europe. During these last few years, Italy has worked very hard on the legislative framework of this tool, with a number of particularly strong measures in the field of PF.
because of the closed way in which it was developed but also for the goals that it postulates. 8 “Best practice” is a method or technique that has consistently shown results superior to those achieved with other means, and that is used as a benchmark. In addition, a “best” practice can evolve to become better as improvements are discovered. Best practice is considered by some as a business buzzword, used to describe the process of developing and following a standard way of doing things that multiple organizations can use. Best practices are used to maintain quality as an alternative to mandatory legislated standards and can be based on self-assessment or benchmarking. Bogan e English, Bench marking for Best Practices: Winning Through Innovative Adaptation, New York, 1994. Best practice is a feature of accredited management standards such as ISO 9000 and ISO 14001. See, Nash e Ehrenfeld, Codes of environmental management practice: assessing their potential as a tool for change, in Annual Review of Energy and the Environment, 1997, 22, pp. 487-535. 9 The debt demand linked to infrastructure is dominated by five large British insurance companies: Aviva, Legal & General, Prudential M & G, Scottish Widows and Standard Life.
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Although regulation was initiated at the hands of certain regional10 laws and early provisions date back to 1992 – Law No. 498/9211 and subsequently, Law No. 109/94 and No. 216/9512 – it must be said that only with ordinance n. 415/1998, called the Merloni-ter Law 13, was the tool in question regulated methodically, for the first time in the Italian legal system. This law has had the merit of defining new profiles and the limits of the tool, after years of want, by placing it in a specific context, i.e. public works. Therefore, Italian legislature has imposed certain provisions, within the framework of legislation on public procurement, on “Public works concessions” that were particularly favourable for the implementation of project financing operations so as to allow authorities to entrust executive design and implementation of public works more easily to non-governmental entities, as well as functional and economic management. There are two substantially relevant aspects of Italian legislation on the matter: the possibility given to financial backers to designate a new subject to entrust the contract to in the place of a defaulting concessionary (step-in right) and the asseveration of an economic-financial plan. The long and tormented process that led to the definition of the socalled Merloni-ter had not yet found its final form since, in 2002, the legislator felt the need to enact some new regulations which amended, albeit in a non substantial way, the then framework.
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See Article 21 (Promozione privata di concessione di opere pubbliche) of the Sicilian Regional Law No. 4/1996 and Article 37 (Realizzazione di lavori pubblici con capitale di rischio privato) of the Aosta Valley Regional Law No. 12/1996. The signs of interest by the legislature for the development of PF can also be seen in Company Law reform, including the provision (Article 2447-bis and 2447-decies) of funding for a particular transaction and, in a broader perspective, enrichment of possible securities issuable by companies. See, AA.VV., Il project finance nei servizi pubblici locali: poca finanza e poco progetto?, in Questioni di Economia e Finanza, Occasional papers a cura della Banca d’Italia, 2008, 28, p. 9. 11 See, Law No. 498/1992 containing «Interventi urgenti in materia di Finanza Pubblica». 12 Respectively Merloni Law and Merloni-bis Law. 13 See, Law No. 415/1998 containing «Modifiche alla legge 11 febbraio 1994, n.109 e ulteriori disposizioni in materia di lavori pubblici» (subsequently repealed by Article 256 of the Legislative Decree No.163/2006), published in Official Gazette No. 284/1998. Legal regulation contained in the provision followed the one concerning the institution of a public works concession in the classical sense. In fact, Article 1, co.1, amends previous Law No. 109/1994 foreseeing and considering the creation of “public works” referring to all activities related to construction, demolition, restoration, renovation, restoration etc., when strictly entrusted to subjects referred to in co.2 of that Article.
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The term Merloni-quater was used to define the set of rules which were created as a result of the legislative changes introduced by Law No. 166, 1st August 2002. The general principles on which the tool is founded are indicated immediately in Article 1, strictly related to the constitutional context, ex Article 97 Const., on the theme of good progress and impartiality of the PA. Compared to the previous law, the Merloni-quater aimed to guarantee the quality of the work, based on efficiency and effectiveness criteria, in accordance with procedures marked by timeliness, transparency and fairness, in accordance with Community law and free competition among operators. The list of potential operators who qualify for asseveration was also extended, and these operators are exhaustively listed in Article 2, not without arousing some criticisms14. This also introduced important changes to the framework Law, especially with Article 7 regarding «Misure per l’adeguamento della funzionalità della pubblica amministrazione» redesigning, in part, the system of PF as outlined by the previous legislation, through the identification of particularly significant points on discipline15. Among the further innovations reported by the above-mentioned law the case of integrated contracts is also listed, on the one hand, – which extends the previously applicable system – and changes concerning anomalous bidding16, on the other hand, keeping however the peculiarity of the adversarial anticipated principle which is typical of Italian law. With the next Community Law 2004, amending the framework Law on public works17, a process of harmonization of national legislation
14 For more details, see Articles 113, 113-bis, 115 and 116 of the “Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, Legislative Decree No. 267/2000. Thereby, De Vincenti, Finanziamento delle local utilities e investimento di lungo termine, in Fondazione ASTRID, Roma, 2012, p. 375 ss. 15 In the cited article, it is expected that «il programma triennale deve prevedere un ordine di priorità. Nell’ambito di tale ordine sono da ritenere comunque prioritari i lavori di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento dei lavori già iniziati, i progetti esecutivi approvati, nonché gli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario». 16 With regard to critical remarks on Anomalous Bidding see an important sentence passed by EU Court of Justice of 27/11/2001 (285/99 and 286/99). 17 Law No. 62/2005 on «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee».
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with the EU started, both through the elimination of a series of previous benefits in the event of contract-competition, and by introducing quality certification. In this case, those in charge of proceedings may go ahead with the nomination provided that respect of the principles of non-discrimination, equality of treatment, proportionality and transparency have all been ensured. The priority of entrustment of direction of the work to the designer was also repealed, with the exception that in the case of amounts above the threshold, direct custody of the works to the designer is permitted only if expressly provided for in the contract notice18. The legislation cited herein was then incorporated by Legislative Decree No. 163/2006, the so-called Public Procurement Code, which brought together the provisions on public contracts19 into a single text with the aim to rewrite the national framework of PF. The discipline foresees that for public works or works of public utility, contracting administrations may entrust the granting of the work to private individuals or companies, through the publication of a contract notice aimed at presentation and evaluation of offers20. The focal point is the feasibility study21 the basis of each tender, which must be made by the contracting administration; in the absence
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Article 17, co. 14, Community Law 2004. The Procurement Code (or “Code of public contracts”) incorporates all the provisions of the new unified declaration of public works contracts, supplies, services and projects. 20 The notice published by the contracting administrations may foresee, at the discretion of the latter, that the nominated investor must accept eventual modifications both after the preliminary project and those proposed during the approval phase of the project, and, should the investor refuse the modifications, the Administration may progressively require subsequent competitors in the competition ranking to accept such changes to be made to the preliminary project. 21 “Feasibility study” is an assessment of the practicality of a proposed project. It aims to objectively and rationally uncover the strengths and weaknesses of an existing business or proposed venture, opportunities and threats present in the environment, the resources required to carry it through, and ultimately the prospects for success. In particular, see Justis e Kreigsmann, The feasibility study as a tool for venture analysis, in Business Journal of Small Business Management, 1979, 17 (1) pp. 3542; Georgakellos e Marcis, Application of the semantic learning approach in the feasibility studies preparation training process, in Information Systems Management, 2009, 26 (3), pp. 231-240; Young, Feasibility studies, in Appraisal Journal, 1970, 38 (3), pp. 376-383. 19
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of the necessary requirements to carry out the study, it may be delegated to external parties22. Before tackling the discipline in question more analytically, it is worth remembering that the Italian legal system still requires a series of improvements in the planning and programming phase of the public works plan. Standardization of the process, starting from a feasibility study of the work, as happens abroad, would be the minimum, where the public administration would be able to assess financial sustainability, thus promoting only truly eligible projects 23. From a comparative analysis it emerges that in the United Kingdom there is a well-established practice regarding feasibility studies that allows deeper analysis of all the main aspects of a new project, identifying the true priorities and those most suitable for realization. There is the example of cost/benefit analysis, which is carried out on the basis of the benefit for every pound spent by the British Government without taking into account potential private investment; or benchmarking analysis, on the basis of the costs and profitability of investment (Public Sector Comparator) in order to evaluate if it is more convenient to realize the project with public resources or with the involvement of private capital (PPP). An ex-post evaluation is also provided (the so-called “Post Opening Project Evaluation”, POPE) that is carried out every year and published with an ad hoc report. One extremely interesting aspect that characterizes the English system in subiecta materia is that the public administration, before proceeding
In its simplest terms, the two criteria to judge feasibility are costs required and value to be attained. A feasibility study evaluates the project’s potential for success; therefore, perceived objectivity is an important factor in the credibility of the study for potential investors and lending institutions: it must therefore be conducted with an objective, unbiased approach to provide information upon which decisions can be based. 22 Thereby, Legislative Decree No. 163/2006, Article 153, co. 2-bis «è redatto dal personale delle amministrazioni aggiudicatrici in possesso dei requisiti soggettivi necessari per la sua predisposizione in funzione delle diverse professionalità coinvolte nell’approccio multidisciplinare proprio dello studio di fattibilità. In caso di carenza in organico di personale idoneamente qualificato, le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare la redazione dello studio di fattibilità a soggetti esterni, individuati con le procedure previste dal presente codice. Gli oneri connessi all’affidamento di attività a soggetti esterni possono essere ricompresi nel quadro economico del progetto». 23 Also the decision regarding which tool/procedure (a contract or a concession) to use for the realization of a new work is the subject of prior feasibility analysis, as happens in other countries and as suggested by ANAC.
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with the assessments and defining the priorities of the works, publishes the on-going analysis, allowing individuals to provide comments and/ or suggestions. Returning to the intervention of the Italian legislature on the subject, there has been a turning point in the strengthening of the project finance instrument with the realization of the first, national task force, better known as UTFP (Project Finance Technical Unit)24. This is to facilitate the adaptation of public and private electronic communication networks in the process of technological evolution, and the provision of advanced information and communication services of the Country25 in addition to the exploitation of public data in digital format26. The stratification of legislation on PF marked a further step with the amendments contained in the so-called “Manovra Salva Italia”, with Decree Law No. 201/201127 which introduced the possibility, for new concessions, to extend concessionaire management also to unfinished works, provided that they are directly related to the subject of the concession or included in the same. It is worth noting, in this regard, how this form of ‘recovery’ of unfinished works assumes an important role within the national law, given the perniciousness of the problem that has lasted for years. Through this de-
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Unità Tecnica Finanza di Progetto (UTFP) was set up in the CIPE by Article 7, Law No. 144/1999, with the task to promote the use of financing techniques with use of private capital in infrastructure, within the government sector providing also information, advice and assistance. To fully review this matter, see, Bo e Paradisi, Unità Tecnica Finanza di Progetto – U.T.F.P., in Ondaverde del 16 giugno. 25 In particular, Law No. 69/2009, Article 1, co. 2, states that «la progettazione e la realizzazione delle infrastrutture di cui al comma 1 nelle aree sottoutilizzate possono avvenire mediante modalità di finanza di progetto ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Nell’ambito dei criteri di valutazione delle proposte o delle offerte deve essere indicata come prioritaria la condizione che i progetti, nelle soluzioni tecniche e di assetto imprenditoriale, contribuiscano allo sviluppo di un sistema di reti aperto alla concorrenza, nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie». 26 Similarly, Law No. 69/2009, Article 33, co. 1, lett. i) indicates «… modalità di predisposizione di progetti di investimento in materia di innovazione tecnologica e di imputazione della spesa dei medesimi che consentano la complessiva ed organica valutazione dei costi e delle economie che ne derivano». 27 See, Decree Law No. 201/2011 on «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici». The settlement consists of 50 articles, published in Official Gazette No. 300/2011.
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cree, in fact, the possibility to settle such works is created, bringing them to completion and, at the same time, making sure that the private investor obtains a return on the unfinished work28 in terms of cash flow before completing the project for which the concessionaire has been designated. But the “Salva Italia” decree is also characterized by a plan aimed at identifying the list of infrastructure which can be considered a priority, in order to facilitate the containment of times required for finding financial resources, as well as for the realization of the works. For each infrastructure worth realizing, a feasibility study is provided, drawn up by the contracting parties, who deliver it to the Ministry that is responsible – also making use of the support of UTFP and within a period of 60 days from the communication – for checking the adequacy of same29. Following this, Decree Law “Cresci Italia” No. 1/201230 was a further attempt by the government to harmonize PF 31. Article 41, in particular, foresees the possibility for the project company to issue registered bonds, which will be guaranteed until the start of the operational phase of the work. The possibility of issuing bonds is also aimed at refinancing the debt which was previously contracted; for this, however a mortgage must be presented, obligatorily signed by qualified investors 32. In doing so, the law has expanded the number of parties involved in PF, thus allowing an opening to obtain new funding channels. Recent surveys suggest that infrastructure is beginning to be viewed as an asset class of its own and allocation to this investment class is ex-
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According to Article 44-bis, co. 1, of this Decree, an infrastructure project is considered incomplete «… a) per mancanza di fondi; b) per cause tecniche; c) per sopravvenute nuove norme tecniche o disposizioni di legge; d) per il fallimento dell’impresa appaltatrice; e) per il mancato interesse al completamento da parte del gestore». 29 The choice of infrastructure projects which are deemed worthy is made on the basis of three specific criteria: integration with European and regional networks; stage of the procedure; possibility of financing with predominantly private capital. 30 See, Decree Law No. 1/2012 containing «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività». 31 Again with Law Decree “Cresci Italia”, also known as the “Decreto sulle Liberalizzazioni” the entry of private investors has been foreseen for the realization and operation of prison facilities. The management of the infrastructure and associated services, with the exception of custodial services, foresees that the concessionaire pays a fee, determined at the time of the concession. This fee must be paid by the concessionaire at the time when the infrastructure built begins business operations. 32 A qualified investor is «chi possiede l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per assumere consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e valutarne correttamente i rischi».
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pected to increase significantly. However, the global financial crisis has resulted in stricter regulations on banks and their lending requirements which mean that infrastructure projects can no longer be funded by traditional debt alone and other, more innovative ways of funding need to be considered and implemented. From this point of view, project bonds33 open up an alternative debt funding avenue to source financing for infrastructure related projects. Traditionally, deals have been financed through banks, however the implementation of Basel III regulations requires stricter monitoring and disclosures, ultimately leading to higher costs and higher capital requirements. In Italy, recourse to project bonds34 – present in the legal system since 1998 but which have never taken off – was reintroduced by the Monti Government as an alternative market of financing. Starting from the credit crisis, there has been an increasing tendency to convert loans to infrastructures into bonds accompanied by significant tax benefits, so much so that the rate is fixed to an extent equal to 12.5%, in a similar manner to public debt securities, establishing, moreover, full deductibility of interest expense. Many infrastructures (including energy) were realized taking advantage of this new tax break and were constructed using PF, as they are included in public programs35; it was an expedient that seemed a viable alternative also for the British banking system in order to revive investment and growth through the EU project bond issue to invest on a large scale36.
33 The use of project bonds as a funding mechanism may be unattractive to investors with a lower appetite for risk which is inherently higher in the construction industry. Before the financial crisis, capital markets were seen to be less stable than debt markets, which have now changed given the reduction in global liquidity. Local institutional bond investors, while happy to take on performance risk, are generally not prepared to take on any form of construction risk. Not all debt portions of these deals will be able to take advantage of this source of funding, but this mechanism will certainly provide benefits to project developers in the form of potentially enhanced returns due to the lower cost of capital. 34 Project bonds are those bonds issued by companies which realize an infrastructure project or a public utility service, to finance the construction. 35 The Procurement Code expressly extends the discipline of project bonds to companies which hold authorisations for the construction of energy infrastructure. Moreover, it should be remembered that there is the possibility to back project bonds introduced by national legislation, with the so-called EU project bond, which foresees the involvement of the EIB, with the role of raising the creditworthiness of issuers. 36 The pilot phase of the EU-EIB Project Bond Initiative was established by Regulation
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In fact, the purpose of the tool is to be used primarily to refinance the debt incurred by the project company – see art. 156 of the Public Contracts Code – with the aim of creating infrastructure whose capacity to generate cash flow has been sufficiently tested37. Recently, also the Renzi Government has considered it worth concentrating efforts on project bonds – “truly” European he says – i.e. on the possibility of financing investments in infrastructure, research and development, the energy and telecommunications sectors. To kick-start the bond market in Italy, apart from the bias of national financial institutions and international banks operating in the UK market and Europe, a strong development policy on the part of the Government is needed, so that – in the case of partial bond placement with institutional investors by the arranger banks – the Government can also consider acquiring those tranches of bonds underwritten but not placed to the minimum of 10-15% through the banking companies (CDP/SACE)38. The contribution to the spread of this instrument is already apparent in the commitment of some large banking institutions such as UniCredit, which confirms strong commitment in support of the Italian infrastructure plan, proposing different medium and long-term forms of financing (loan, project bonds) to support infrastructure projects (“brownfield” and “greenfield”) of a certain size. For this purpose a highly qualified team has been created within the banking structure, whose job is to define “tailor made” structures for in-
No. 670/2012. It started operations in 2012 and is being implemented by the European Investment Bank (EIB). The objectives of the pilot phase are: to stimulate investment in key strategic EU infrastructure in transport, energy and broadband and to establish debt capital markets as an additional source of financing for infrastructure projects. The aim is to attract institutional investors to the capital market financing of projects with stable and predictable cash flow generation potential by enhancing the credit quality of project bonds issued by a special purpose vehicle (“Project Bond SPV”). The intention is to support capital market financing of projects as a form of finance to complement loans. A project which is currently supported is the institutional investor support for Greater Gabbard offshore transmission link encouraged by a first use of the Credit Enhancement Project Bond scheme in the UK. 37 The time limit will also affect the use of bond projects in years to come, set at three years from the “Development Decree”, after which tax benefits will then cease. 38 Moreover, the Government might reach an agreement with insurance companies on the structuring of insurance products suitable to insure against unplaced bonds (e.g., UK market practice).
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dividual projects, and evaluate the possibility of combining its traditional loan market structures (such as project bonds) to attract a broader class of investors. Obviously, it must be said that accessibility to the capital market in the legal form of project bonds, through complementary instruments to bank financing, should also be promoted through greater involvement of public institutions such as EIB, CDP and SACE, institutions which could make first loss guarantee instruments available to widen the portfolio of bankable projects. Only in passing do we mention the innovative capacity of the “Decreto Semplificazioni”39 enacted through the national plan for school construction, approved by the CIPE. The importance of the provisions contained therein, in particular, concern interventions for the recovery of existing assets – including the safety of buildings – as well as the construction of new schools, with a view to rationalization of current operating expenses also using savings from improved energy efficiency of new buildings. The aim is to ensure the modernization and rationalization of scholastic property throughout the national territory. Also the “Decreto del Fare”, 201340, provides some important changes to the rules governing public works concessions to improve the project finance tool so as to encourage the involvement of private funds in the realization of public works. In the first instance, the law foresees that the concessionaire – who has obtained ownership or concession enjoyment of PA properties – must demonstrate to have possession of all deeds41. This is to ensure that the property granted is provided with all the administrative documents necessary to realize its enhancement interventions. It must be said, however, that this measure also involves terms of agreement between the parties; in this regard, Article 8-bis states that a plan must be drafted stating the economic and financial conditions, and any eventual changes, should they lead to revision of same, in order to
39 Published in Official Gazette No. 5/2012 containing «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo ed entrata in vigore con il Decreto Semplificazioni». 40 Decree Law No. 69/2013 ratified by Law No. 98/2013. 41 In particular, Article 19, co. 5, states that «all’atto della consegna dei lavori il soggetto concedente dichiara di disporre di tutte le autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, permessi o altri atti di consenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente e che detti atti sono legittimi, efficaci e validi».
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avoid problems between the parties, relating to incorrect or conflicting assessments, which might lead to litigation. The “Decreto del Fare” again offers the chance to revise the financialeconomic plan specified in the call for bids, and, in particular, prior consultation with the parties involved in order to highlight any potential project issues in terms of financial viability: an objective and understandable concern, as it refers to the need to avoid any problems related to obtaining funding. With the conversion into law42 of Decree Law “Irpef-Spending Review” No. 66/2014 on «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale» a reorganization process of the discipline was initiated which culminated in the implementation of the “Procurement Directive” by the Italian government. Among the major innovations, particular emphasis is placed on reducing the number of awarding authorities, defined as aggregators. They will be reduced to 35 units throughout the country instead of the approximately 32,000 existing before, the list of which will be set up as part of the single Registry of Awarding Authorities. Included in the aggregators there is Consip (central purchasing office of the Italian Public Administration) and a central purchasing body for every Region. The final piece in the reorganization of the law of Public Procurement is contained in the “Stability Pact 2016”, where a series of measures aimed at obtaining savings in public spending are provided by strengthening the centralized procurement of goods and services by Public Administrations (around 160 million). 2.1. Transposition of Directive 2014/24/EU and reorganization of the Procurement Code. After a rather complex process, reform was passed with the approval of the new Code of public procurement and concession contracts, 3 March 2016, thereby implementing the principles contained in Directives 2014/23/EU, 2014/24/EU and 2014/25/EU of the European Parliament and of the Council of 26 February 2014. As required by the Enabling Act No. 11/2016, the Italian government implements the public procurement directives and concessions in a sin-
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See, Law No. 89/2014.
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gle decree and reorders the current law on public contracts for works, supplies and services and concession contracts. The ratio for this reorganization is to replace the previous Code from 2006, which, together with the Implementation Regulations, consists of about 600 articles, with a Consolidation Act of about 200 articles, aimed at strengthening the functions of organization, management and control of the awarding authorities, also regarding the contract execution phase with effective and not merely documentary verifications, while also providing an adequate system of sanctions in cases of omitted or incomplete controls. Being a self-applicative discipline, no implementing regulation and enforcement is foreseen, but rather the emanation of lines of general guidance, to be approved by the Minister of Infrastructure and Transport on the National Anti-Corruption Authority’s proposal (ANAC) and after consulting the relevant parliamentary Commission43. The power to adopt acts of soft law governing the implementation and operational aspects of the Code, instead of the current Regulation, has therefore been devolved to the Anticorruption Authority (ANAC). ANAC therefore plays a leading role, and from simple supervisor becomes a true regulatory authority, since it will have the double task of adopting, on the one hand, flexible rules, as if they were the guidelines, and on the other – of guiding the P.A., businesses and all professionals involved in the industry through acts which are finally binding, as well as with the power to sanction. A distinctive novelty of the new reorganization is in the obligation to use Building Information Modeling (BIM)44 in Member States’ procurement procedures. In particular, Article 22, para. 4, of the new directive states «For public works contracts and design contests, Member States may require the use of specific electronic tools, such as of building in-
43 See for more details www.laleggepertutti.it/113843_codice-appalti-pubblici-2016tutte-le-novita#sthash.HJu5B4RI.dpuf. 44 This matter has been dealt with in an analysis by Di Giacomo, BIM, trends from all around the world, the first European BIM Summit, Barcelona, 2015; Poon, Worldwide BIM policies and strategies, in Reducing construction Waste Management, 2007, 27, p. 1715 ss; Bolpagni, The implementation of BIM within the public procurement: A modelbased approach for the construction industry, in VTT tecnology 130, Finland, 2013. Again, Seminar Project Financing Commission, Rome 28/10/2015 entitled “Il modello IFC (Industry Foundation Classes) in attuazione delle teorie del Building Information Modeling (BIM): vantaggi e possibili applicazioni nel Project Financing”.
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formation electronic modelling tools or similar» and permits a 30 month period to adapt to these methodologies. It is clear, therefore, that the reference to BIM – however, little known in Italy – involves the use of tools, techniques and methodologies that link all parts of the process and project, forcing, indeed, collaboration and consequential coordination of stakeholders (clients, designers and companies). Doubts remain regarding the concept of “electronic simulation instruments” referred to in the above mentioned paragraph, which appears to be less structured and quite vague. If we look at foreign experience it emerges how the institutional approach to the method takes place through a preliminary university-type study, a subsequent pilot project (British school construction), an implementation plan which is followed by the introduction of guidelines, best practices and national standards45. Incidentally, the United Kingdom is one of six countries where BIM was made compulsory by a national mandate (and thus has its own legislation) even if such use is not extended to all public procurement by placing a series of restrictions regarding the modalities and the amount of works. Article 52 of the same directive stresses the importance of both introducing mandatory transmission of calls and alerts electronically and the obligation of making tendering documents electronically available, as well as – after a transitional period of thirty months – the obligation to use fully electronic communication, or communication by electronic tools, at all stages of the procedure. To ensure compliance with the principles of transparency, the preference of the award procedure for the best value for money is indicated46, which previously represented only one of the alternatives available to the contracting authorities. Therefore, the major novelty is undoubtedly the necessity of considering the costs of construction in relation to the advantages that investments will lead to throughout the life of the building, whether they
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The tools most widely used abroad to introduce BIM can be summarized as: Creation of a digital platform (Germany); Creation of task group on the British BIM task group model; Study of Foreign examples (Spain and Ireland); Adoption by the pilot project (France); Establishment of best practices, guidelines and national standards, with particular emphasis on the legal framework (most Northern European countries). 46 Best quality/price ratio is given among the award criteria as required by Article 90. -
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be energy saving, management, maintenance, safety and so on. Similarly, it should be specified that the evaluation of the most economically advantageous tender may also be carried out just on the basis of price or a cost/efficiency approach 47. With regard to the latter, the Directive indicates the preferential use of performance criteria for a comparative evaluation of the tenders. Therefore, there is now more legality as a valuable antidote to the logic of corruption which is widespread in Italy, especially in the area of public procurement. This is clear both in the new form of feasibility study, which strengthens the technical and economic quality of projects, and in the system of payments, closely linked to the execution phase of the procurements. In the reorganization, planning must ensure the fulfilment of the needs of the community, architectural and technical-functional quality of the work, limited land consumption, compliance with seismic and forestry hydro-geological restrictions and energy efficiency. Moreover, in addition to confirming the use of dedicated bank accounts, there is the obligation, for contracting authorities, to publish the financial report on its website after the execution of the contract, in order to verify the cash flows of the PA and in this way to also incentivize timely payments. One of the long-standing issues present in the old regulation on public contracts related to modifications during construction which now, thanks to the intervention of legislature will be drastically reduced, introducing measures to keep them within very low ceilings. It is worth emphasizing, in this regard, how, in spite of the communication system for project modifications having been completed, systematic issues have emerged highlighting the frequent lack of consistency in the reasons behind the approval of modifications. Therefore, the need to achieve effective control over modifications comes down to the fact that these can thwart the tender process which was legitimately carried out as, often, these modifications are decided unilaterally by the public authority, or following an adversarial procedure with the private investor, without respecting specific notification or transparency obligations. What appears to emerge from the reform decree is undoubtedly new attention to proper implementation of the contract that does not look
47 Again, Article 90 states that «le amministrazioni aggiudicatrici sono libere di fissare norme di qualità adeguate utilizzando le specifiche tecniche o le condizioni di esecuzione di un appalto».
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only at, as often happens, the notification phase of the choice of the successful tenderer but also, and above all, at the contract management, once this has been concluded. The amended Code also hopes that, under the direction of ANAC, an administrative system of penalties and incentives will be implemented for mandatory reporting of extortion and corruption by companies which have been awarded public tenders and by subcontractors, also providing a specific system of penalties in the case of failure to report, or late complaints48. Among other indications of the delegated law, the importance of rationalizing methods of resolving disputes which are alternative to judicial remedy is reaffirmed, also with regard to execution of the contract, especially regulating the use of arbitration in accordance with the principles of transparency, rapidity, economy and impartiality. Finally, a brief reflection should also be made with regard to the involvement of micro – SMEs in the public procurement market. The Code, in this regard, focuses not only on the division of contracts into lots and the advantageous aspects of performance territoriality, but also on the impact on employment levels that the participation of these business structures would provide. In addition, the possibility of introducing measures to reward contractors who involve these companies in the execution of the contract and measures in support of micro and SME subcontractors has become a top priority. With regard to subcontracting, Italian legislature shares the fear with the Community that if a contractor does not fulfil its obligations towards a sub-contractor, then any financial liquidity crisis on the part of the contractor may seriously impact the latter – especially if it is a micro or SME 49 . Therefore, the contracting authority should transfer payments due to the contractor directly to the subcontractor in the event of a default
48 In particular the norms of the new code whose violation would lead to the imposition of administrative sanctions on the part of the authorities are identified. 49 In the framework of the Statute of companies, already in Law n. 180/2011 it is stipulated that, in order to facilitate SMEs access to a direct relationship with the PA, the possibility of making direct payments for subcontracting should be highlighted in the call for tender. This was an exception to the Code of public contracts which, instead, leaves the decision to the discretion of the contracting authority to make provision in the contract notice for direct payment of subcontractors as it is an autonomous contract, unlike the public contract.
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of the main enterprise or even at the request of the subcontractor, but, above all, the circumstances in which the PA should proceed with direct payments, if the subcontractor in this circumstance is a micro or SME, need to be explicitly identified. Finally, it is planned that types of contract be identified, so that in the bids each competitor must indicate a set of possible subcontractor names for each of the sub-contractable jobs, in addition to the works that they intend to subcontract.
3. State of Partnerships in Italy. Another important innovation introduced by the amended public procurement code concerns the evaluation of the “Public-Private Partnership” tool as a general independent field in its own right, where the PPP is a form of synergy between public and private powers for the financing, building or management of construction of infrastructure or public utilities, until the PA has more resources and can find innovative solutions50. The use of public-private partnerships (PPPs) as a way to realise public infrastructure works has, in recent years, become increasingly widespread in the major European countries, following on from the early experience of PPPs in the United Kingdom, from 199251. PPPs should lead to savings of public resources and faster realisation of works, resulting
50 Public-private partnerships (PPPs) are complex, long-term contracts between two units, one of which is normally a corporation (or a group of corporations, private or public) called the operator or partner, and the other normally a government unit called the grantor. PPPs involve significant capital expenditure to create or renovate fixed assets by the corporation, which then operates and manages the assets to produce and deliver services either to the government unit or to the general public on behalf of the public unit. For an overview of PPPs in Italy, Fidone e Raganelli, Il partenariato pubblico privato per la realizzazione delle opere pubbliche tra incentivi e tutela della concorrenza, SIDE - ISLE, 2006; Fidone e Raganelli, Public Private Partnerships and Public Work: Reducing Moral Hazard in a Competitive Market, in Atti del convegno «Searching for new models in the economic analysis of law», University of Messina, 2007, 15 ss. 51 According to some, PPP can be defined as «arrangements whereby private parties participate in, or provide support for, the provision of infrastructure, and a PPP project results in a contract for a private entity to deliver public infrastructure-based services». See, Grimsey e Mervyn, Public Private Partnerships, London, 2004; Dewatripont e Legros, Public-Private Partnerships: Contract Design and Risk Transfer, in EIB papers, 2005, vol.10, n.1, pp. 121-145.
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from the involvement of the private sector. However, they also present a risk – as we shall soon see – since any reclassification of a PPP contract in State accounts entails an increase in spending, with a consequent negative impact on public finances. The market for PPPs in Italy52 began to develop in the early 2000s, continuing up until 2006 when the value of tenders reached 28% of the value of public works53, but, only in 2008 was it regulated by the Public Procurement Code (article 3, co.15-ter) following the development of the partnership market, even if the frequent changes in legislation – as well as legislative bills issued but still not enforced – could have been avoided. This is the case of Legislative decree No 228/2011 on evaluation of investments related to public infrastructures, aimed at optimising the decision-making process applicable to public works through ex-ante selection and ex-post evaluation of works, arrangements and resources. The regulatory framework should be improved by simplifying PPP approval procedures. At present, it takes too long to award contracts, due, in many cases, to the complexity of procedures and the very long periods between the appointment of the concessionaire (winner of the public tender) and completion of the final and executive plan (two to six years). Furthermore, from an economic point of view, the economic recession has not helped the development of PPPs; however, since 2010, the value of the PPP market has grown in relation to the value of the public works market, partly as a result of government measures to incentivise the use of partnerships for the realisation of public works54, while in the following two years 2012-2013, a significant decrease in the amount of public works concessions played a crucial role in the fall in value of the PPP market.
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There are essentially two forms of partnership in Italy. The first is “contractual “, in which the administration and private individuals regulate their commitments only on a contractual basis; the second is the “institutionalized partnership”, in which cooperation takes place through a separate legal entity (usually a limited company in semi-public, public and private subjects). 53 In 2011, the PPP market peaked at 43% of the public works market, with an average of 33.5% over the period 2010-2013 – well above the average for the preceding four year period (21.5%). 54 Yet, although the ratio of PPPs to the overall public works market increased from 5% in 2000 to around 25% in 2013, the Italian PPP market has not reached the size of the two major European countries in the field (France and Great Britain).
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Although Italy does not have a long tradition of PPP arrangements, the country has been conducting a major overhaul of public policy in this field; nevertheless, there is still plenty of scope for improvement. We must say that, to date, the application of PPP has many pitfalls, some accounting, others more substantive. With regard to the former, in a country like Italy characterized by a fairly high public debt, PPP may in fact be an opportunity but also a risk. Investments formally funded by the “private” sector may fall substantially within the category of public intervention and in any case, entail costs to be accounted in the future, partly because the Eurostat decision of 2004 allows the classification of PPP contracts as “off-balance”55 where there is no a substantial transfer of risk from the private to the public sector. Also on the substantive plane, there are many pitfalls, as taught by the case of the United Kingdom, leader of PF in Europe, having launched this instrument in 1992 with the so-called “Project Finance Initiative”. Here, after an initial phase of benefits for the public sector, the public coffers found they had to support high and partly unexpected costs56 with a “Value for Money” index which was considered quite inconvenient for the public sector. What followed was a heated debate on the convenience and opportunity of the use of project financing, fuelled, amongst others, by the controversy that followed the failure of the South London Healthcare NHS Trust57, which ran three hospitals in London, and which was not able to meet payments provided for in their contract. There is no need to even mention the case of the Mid Staffordshire NHS Foundation Trust58. Comparing the Italian healthcare situation, but not only, also here we can highlight some critical issues in the use of PPP. The experience of recent years has shown indeed, how complex operations that are based on calls for tenders and budgets deficient, incomplete contracts, hasty feasibility studies, lack of an adequate risk culture, slow, cumbersome
55 Or rather “non accounted” for purposes of compliance with the “Stability and Growth Pact”. 56 Ten billion euro per year planned for 2015-2025. See, www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/fil... 57 www.theguardian.com/news/datablog/interactive/2012/jun/26/health 58 Please refer to the well-known article of Kelman Friedman, available online on http:// jpart.oxfordjournals.org/content/19/4/917.abstract%20%28 GATED%29.
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decision-making often imbued with connotations which are more political than technical, have generated scepticism59 because of “information asymmetry” that ends up favouring opportunistic behaviour, almost always to the detriment of the “public”. As for the private sector, for its part, it has not always proved able to adequately coordinate the various holders of contractor services in order to optimize the work. Among other things, the absence of contractual provisions on how the private operator should choose their partners and/or subcontractors has posed serious problems of control. However, despite these critical elements, we must not forget the results achieved thanks to PPP, especially in some Italian regions, where it was possible to renew the hospital network in just a few years, leading also to completion of some long blocked projects. Much more, however, could be done, introducing innovative systems that will improve the efficiency and effectiveness of the system, also taking advantage of the skills and experiences of market participants. And it is in this direction that the already mentioned Stability Pact 2016 is heading and even before that, Determinazione n.10, 23 September 2015, published by ANAC containing the «Linee guida per l’affidamento delle concessioni di lavori pubblici e di servizi ai sensi dell’articolo 153 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163»60. Leaving out the criteria used to record PPPs in national accounts and to evaluate whether a transaction is “off “ or “on” the balance sheet, it is worth dwelling specifically on the distribution of risks allocation61 and government guarantees. One crucial aspect is optimal allocation of different risks among the various entities involved in the project. Optimal allocation requires each of the operators involved to assume the risks they are best equipped to
59 See on this aspect, for all, Schein, Process Consultation Revisited: Building the Helping Relationship (Prentice Hall Organizational Development Series), Prentice Hall Organizational Development Series Paperback, 1 jan 1999. 60 This Determinazione updates and consolidates, in a single document, the determinations of ANAC No.1 of 2009 and No.2 of 2010, pointing out that these guidelines have been designed mostly for high amounts of credit lines, but applicable – with suitable measures – also to reduced amounts. 61 In particular see, Cartei, Interesse pubblico e rischio: il principio di equilibrio economico-finanziario nella finanza di progetto, in Finanza di Progetto – Temi e prospettive a cura di Cartei e Ricchi, Napoli, 2010.
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manage, as they have the technical and managerial skills to minimise the economic impact of adverse events62. Based on past experience and data from institutions, it can be seen that the monitoring of the PPP sector in Italy consists in analysing three main types of risk, one of which is represented by “Construction risk” associated with the realisation of a project; it relates to events connected to the design, construction and completion of assets under a PPP, such as delivery delays, failure to meet construction specifications, significant additional costs, technical problems and negative externalities (including environmental risk) that result in the payment of compensation to third parties. In general, the transfer of “Construction risk” to the concessionaire is very rare: almost always the agreement allows for modifications during construction in the cases provided by law, resulting in a readjustment of the business plan; alternatively, in the case of modifications worth more than 20% of the original value of the works, a separate contract is signed giving the concessionaire the additional right to not comply with the demands of the grantor or to not carry them out. Even cases of force majeure are not always contractually limited: general reference is made to “events”, whose occurrence gives the concessionaire the right to change the schedule by an amount of time corresponding to the duration of the force majeure event; if the effect of the delay means that the business plan needs to be altered then the concessionaire is entitled to revise it63. Risks associated with the economic management of the project, socalled “post- completion risks”, are typically identified with “Availability risks”, which are related to the concessionairÈs ability to guarantee the
62 In fact, effective allocation of risks between private partners and Public Authorities is also important for the purposes of calculating deficit and public debt, so it is essential in preventing the risk of PPP contracts being used to circumvent the limits set by European regulations. 63 For example, if delays and obligations related to archaeological findings carry an increase in costs and an extension in expected timeframes that have an effect on the economic indicators underpinning the business plan, then in some cases these are valid grounds for the automatic adjustment of the business plan. This right to offset the archaeological “variable” is also unlimited: both in the post-award planning phase and during the actual performance of the contract. In such cases, construction costs are always borne solely by the grantor. The agreement almost always allows modifications during construction in the cases provided by law, with the corresponding adjustments to the business plan.
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availability of the infrastructure and provision of the services according to the agreed contractual conditions, both in terms of volumes and quality standards (lack of performance). These occur when unsatisfactory levels of performance result in the partial or total unavailability of certain services, or services that do not meet the quantitative and qualitative criteria specified in the concession agreement and related management specifications64. Also in this case, analysis of transactions has revealed a partial transfer of “Availability risks” to the concessionaire. For projects where the private party builds and manages the infrastructure in return for payments made by the public partner, the penalties are sometimes not automatic or effective, and sometimes no clauses for the termination (automatic or otherwise) of the concession are included or introduced, even in the event of the poor quality of the service provided65. The “Demand risk” originates from the variability of demand (above or below the level expected at the moment when the PPP contract was signed), regardless of the quality of services provided by the concessionaire, and dependant on other factors such as the existence of more convenient alternatives for users, new market trends, the economic cycle or technological obsolescence66. In the Italian case, “Demand risk” is transferred entirely to the concessionaire. Agreements do not provide for any guaranteed payment for minimum traffic levels, but always provide for the sharing of any extra profits from traffic volumes exceeding the expectations set out in the business plan, as well as any residual operating profits. Therefore, in order to reduce the risk of reclassification from off-balance sheet to on-balance sheet, while also improving control of public accounts, it would be advantageous if the PA could use partnerships only after having performed, ex ante, a thorough cost-benefit analysis
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The specifications that have been found in PPP contracts in Italy are: a) performance specifications set out minimum quality standards below which significant penalties are charged to the concessionaire; b) performance specifications do not foresee penalties charged to the concessionaire for non-performance or partial performance of the provision of services; c) performance specifications do not foresee minimum operational activities. 65 For projects executed under the concession model, however, effective algorithms were found that connect payment fees to the availability and quality of service. 66 For example, the grantor supplements any revenue shortfalls if effective demand is lower than expected.
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(compared to other procedures) with an effective allocation of risks between the parties. Finally, it should be noted that since these are highly complex transactions, they are often the preserve of a small number of experts working in the field. This creates much mistrust towards these types of transactions on the part of awarding authorities, causing serious problems in awarding the associated contracts and low bidder participation. The crucial factor for the classification of PPP transactions in the institutional sectors of the national accounts is in identifying how risks are allocated between the private and the public operator. If the risks are allocated to the private operator, this leads to investment and bank financing costs required to be assigned to the institutional sector. In order to overcome the difficulties uncovered, the OECD recommendation points out the advisability of establishing a unique PPP Unit within the Central Budget Authority with ultimate responsibility for PPP contracts and operations over the whole of a project’s life67. If this is not possible, it is necessary to achieve a close relationship among all institutions involved in PPP evaluation and monitoring. Greater coordination among such institutions could also help overcome a number of shortcomings with regard to the public governance of PPPs. Another key condition to enhance PPP projects regards its specific legal and regulatory framework. Simple, clear and sound rules should be set up to remove obstacles, particularly with regard to the greater involvement of private capital in funding PPP projects. Furthermore, this would also bring benefits in terms of lower transaction costs, ensure appropriate regulatory controls, and provide legal and economic mechanisms to prevent contract disputes. Furthermore, frequent litigation creates a number of impediments to the efficient functioning of the PPP tool68. This increases the cost of works and results in the business plan being amended at the expense of the public partner.
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In line with the government’s fiscal policy, the Central Budget Authority should ensure that the project is affordable and the overall investment envelope is sustainable. Thereby, OECD Recommendation, page 16. 68 For instance, because of frequent litigation over the appointment of the contractor, it takes too long to award project finance contracts (between one and seven years) compared to public contracts and to complete so-called “double tenders”. In other cases, there is a very high percentage of projects that, once awarded, fail to reach closure within the required time.
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In recent years, for the purposes of proper recording of PPPs in the national accounts, there has been increased scrutiny into the presence or absence of financial guarantees granted, explicitly or implicitly69, by the public partner to private partners70. If the partnership contract foresees a financial guarantee from the grantor (PA), it must be considered whether the guarantee assigns the public partner a high degree of responsibility/ risk compared to the private operator (concessionaire): this could result in a transaction being reclassified as an investment borne entirely by the public operator. It is also important to carefully evaluate the existence of any “guarantees” with lenders, even when these are not explicit, since also in this case altering the distribution of risk in a PPP project would result in a statistical reclassification, with the asset which the PPP contract refers to being allocated to the PA’s balance sheet. The main state guarantees take the form of “Loan Guarantees” and “Refinancing Guarantees”. Through the former, the PA offers lenders – in the case that the private partner is unable to repay – a coverage of debt service in the form of “acceleratable guarantees” or of an “instalment type”. With “acceleratable guarantees”, lenders have the right to require the PA providing the guarantee to immediately pay the entire outstanding debt resulting from the payment default of the private partner. With “guarantees payable in instalments”, the PA will only pay the instalments of the outstanding debt as and when required by the original terms of the loan (“partial” or “full”)71.
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For example, the concept of “assignment of receivables...(...)” could be seen to carry a form of implicit guarantee. For further details, see paragraph VI.4.3.66. 70 State guarantees often take the form of commitments in the PPP contract between the Government and the private partner. Government guarantees are those guarantees offered directly to the financers of a PPP project. The main state guarantees are: - Revenue or usage guarantees; - Guaranteed minimum service charges (French assignment model/German model); - Change of law/regulation undertakings; - Termination payments; - Debt assumption undertakings; - Residual value payments. 71 With partial guarantees, the PA may only guarantee some of the lenders or a fraction of the debt of the private partner. With full guarantees, the coverage would
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Refinancing Guarantees are used in cases where lenders are not in a position to provide finance at a reasonable cost and for a period compatible with the cash flow profile of the PPP project and the duration of the contract. These public guarantees help address the concern that the financial crisis and the new banking regulatory requirements will make long-term commercial funding more expensive and scarce. With these instruments, the Government undertakes to repay the lenders if the PPP company cannot refinance its debt when it comes close to maturity. Equally, if the PPP company manages to refinance its debt, but on more onerous terms, the Government is committed to pay the difference72.
4. Analysis and Development of PPP and PFI in the UK. As mentioned before, the United Kingdom has prevailed in Europe with its efforts in the design and construction of public infrastructure and services through close partnership with the private sector. The origins of this phenomenon are undoubtedly first, the nationalization and then, privatization processes – from 1970-1990 – which involved all national governments, albeit with different trends, but all united by the need to raise liquidity against the increase in the deficit and public debt73.
encompass all the lenders and/or all of the debt incurred by the private partner. 72 As with loan guarantees, the issues of fullness and ranking of the Government’s obligations are important design features. Refinancing guarantees have become important as a result of the emergence of the so-called “mini-perm” financing during the financial crisis. Mini-perm financing is short-term financing typically used to pay off income-producing construction or commercial or multi-family properties, usually payable in three to five years. In this case, “perm” is short for “permanent”, alluding to permanent financing. Mini-perm loans, therefore, are used to pay off construction loans and bridge the gap until the property can qualify for permanent financing. During the last year, it seemed as though mini-perm financing – which has tended to be more prevalent in the United States – might become a more standard way to finance PPP projects in Europe. This is not because of any perception of increased risk in PPP projects, but rather as a result of funders’ issues with long-term debt. 73 Since the beginning of the twentieth century until the seventies, all major Western Countries were subject to the phenomenon of “nationalization”, which foresaw an increasing presence of the State in the economy, with the aim to reconstruct and modernize production and infrastructure. With the economic crisis of the seventies and eighties (but mainly because of the oil crisis) national Governments created significant “privatization” processes.
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In particular, during the Thatcher government74, the intention was to pursue overall greater business efficiency, by liberalizing sectors, broadening the shareholder base and then developing financial markets – in addition to the program of “denationalization” of the companies that helped consolidate public coffers. The purpose was to benefit also consumers with the broadening of choice and quality offered. Implemented in principle as a short term measure to relieve the public finances from temporary liquidity needs, these policies were successful in the UK thanks to the privatization of companies such as British Telecom and British Gas with a radical approach aimed at a complete exit of the State from the economy (so-called “full privatization”)75. In this way, the great “public companies”76 started, mostly realized through stock exchange quotations or by over the counter (OTC) trading, or through market makers who did not use listing services of commercial exchanges77. With a law of the British Parliament in 1980, the “Local Government, Planning and Land Act” program was adopted 78, which led to the procedure of “contracting out”, an operation mode which favoured outsourcing through the institution of concessions, programming, design and management services related to road construction, sewers and maintenance of public buildings. Following this, in 1987, the foundations were laid for the construction of the Channel Tunnel and since then, the privatization program has consolidated so much so that to this day every UK public enterprise is a potential candidate for private transfer79.
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Prime Minister of the United Kingdom from May 1979 to November 1990. For further details on the privatization process, see Fazioli, Economia delle public utilities. L’evoluzione dell’intervento pubblico di regolazione, liberalizzazione e privatizzazione, Padova, 2013, p. 190. 76 Despite the adjective “public”, a public company is a private company and of private ownership which foresees the sale of their securities (equities, bonds, etc.) to the public. 77 For example, the OTCBB and Pink Sheet. 78 www.legislation.gov.uk/ 79 The Government develops Public Private Partnerships with 3 broad objectives in mind: 1) to deliver significantly improved public services, by contributing to increases in the quality and quantity of investment; 2) to release the full potential of public sector assets, including state-owned businesses, and hence provide value for the taxpayer and wider benefits for the economy; 75
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The UK legal system, in fact, facilitated by specific features of the common law system, based on the central role of contract and contractual autonomy, soon gave rise to and the spread of the logic of the so-called “Collaborative procurement”, as will be seen, in contrast with the domain of administrative measures which are typical of civil law systems. Furthermore, in UK practice, a series of unnamed mixed contracts is included for the regulation of relationships between parties which is completely unknown in the Italian legal system, constituting a further dividing line between the two models considered. It should be said that, initially, the majority of Public Private Partnerships80 were individually negotiated, such as one-time offers, up to the early 90s when the British Conservative government introduced the Private Finance Initiative (PFI)81, an innovative systematic program to
3) to allow stakeholders to receive a fair share of the benefits of the PPP. This includes customers and users of the service being provided, the taxpayer and employees at every level of the organisation. 80 As defined in Regulation (EU) No 549/2013 of the European Parliament and of the Council of 21 May 2013 on the European system of national and regional accounts in the European Union (“SEC2010”) “PPP” «Public-private partnerships (PPPs) are complex, long-term contracts between two units, one of which is normally a corporation (or a group of corporations, private or public) called the operator or partner, and the other normally a government unit called the grantor. PPPs involve a significant capital expenditure to create or renovate fixed assets by the corporation, which then operates and manages the assets to produce and deliver services either to the government unit or to the general public on behalf of the public unit». Following the significant role played by PPP, the Expertise Centre (EPEC) was born with the aim of supporting public sector capacity to implement PPP and share timely solutions to common problems across Europe. Public-private partnerships (PPP) offer great potential benefits but also present a unique set of challenges. The European PPP Expertise Centre (EPEC) allows its public sector members to: share experience and expertise, share analysis to discuss best practice to help maximise returns. Limiting EPEC’s membership to the public sector helps ensure a free and open exchange of information. However, EPEC regularly speaks with the private sector, at least at the twice-yearly Private Sector Forum. The EIB also provides input as a leading funder of PPPs. 81 The private finance initiative (PFI) is a way of creating “public–private partnerships“ (PPPs) by funding public infrastructure projects with private capital. However, its use in England has been somewhat controversial. Both Conservative and Labour governments have subsequently justified the use of PFI on the assumption that the private sector is able to provide better service than the public sector. This position also supported by the United Kingdom National Audit Office with regard to certain projects. In a 2011 report on PFI funding, it was found that «PFI should be brought on-
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encourage public-private partnerships in the United Kingdom82. Very briefly, the PFI is a strategic economic policy introduced in 1992 to reduce the Public Sector Borrowing Requirement83 and to shift the public administration from being the owner of assets and infrastructure to becoming a purchaser of services from private parties. Every year a special department of the Treasury Ministry establishes general plans for ventures involving private capital, subdivided into three categories: completely self-financed works (not requiring any public sector capital); joint ventures (works for which the public sector provides grants while operations remain in the hands of private parties); contracted sale of services to the public sector (where private parties bear the cost of the necessary structures to provide the services purchased). The PFI is not therefore a contract or a procurement procedure, but a mode of implementation of public works, indeed by far the most widely used, and is the essential reference point for the analysis of procurement procedures for complex contracts in the United Kingdom84. During 1997, the new Labour Government committed to providing improvements in public infrastructure, reiterating the importance of PPP and PFI in the modernization program so as to allow the public sector
balance sheet. The Treasury should remove any perverse incentives unrelated to value for money by ensuring that PFI is not used to circumvent departmental budget limits. It should also ask the OBR to include PFI liabilities in future assessments of the fiscal rules». The Committee published a report on Private Finance Initiative funding www. parliament.uk. Retrieved 2011-09-02. 82 For some thoughts on the subject, see Cassella, Il project financing nel Regno Unito, in Riv. dir. pubbl. com., 2005, 4, p. 1801. 83 Public sector borrowing requirement (PSBR) is the old name for the budget deficit in the United Kingdom. The budget deficit has been renamed as the public sector net cash requirement (PSNCR) to avoid confusion with net borrowing. PSBR occurs when expenditure for government activities in the public sector of the economy exceeds income. The resulting deficit is then financed by borrowing funds from the public. 84 In October 2007, the total capital value of PFI contracts signed in the UK was £68 billion. Despite the global financial crisis, the PFI has remained the preferred method of the British government for public sector contracts. Among all sectors, healthcare has definitely obtained the most benefits in terms of PFI: there are many operations and projects in terms of infrastructure created through the private finance initiative, despite many criticisms of the system. In January 2009, the Labour Secretary of State for Health, Alan Johnson, reaffirmed this commitment with regard to the health sector, stating that «PFIs have always been the NHS’s ‘plan A’ for building new hospitals … There was never a ‘plan B’».
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to benefit from commercial dynamism, innovation and efficiency. Thus, two important PFI reforms were to follow to overcome some problems in the previous wording regarding operations, i.e. the Bates Review and the Second Bates Review. In the first Bates Review, dated 1997, a Task force was created at the Ministry of the Treasury, which conducted a thorough review through the formulation of clear recommendations for removing barriers impeding the PFI process, including measures for the need to simplify and clarify the public sector structures and responsibilities, as well as the importance of keeping costs low for submission of bids for PFI contracts85. The Treasury Task Force is the central point of PFI activities, and defines the rules for Public Private Partnership and to assist the departments of State in the choice of projects to be implemented. The main theme of the Second Bates’ Review86 was the need to consolidate and strengthen central co-ordination in PFI procurement, identifying the need for greater standardisation of contractual terms and improvements to the skills base within government. In order to achieve these aims, Bates recommended transfer of the work carried out by the Treasury Task Force projects team, such as advice and assistance to help develop PFI projects, to a new body in the private sector with a significant stake on the part of the public sector – Partnerships UK (PUK)87. In essence, with the Second Bates Review, the Treasury Task Force was transformed into Partnership UK, namely a company managed on a commercial basis but with a public-interest mission. It promotes PPP activity and expertise in the implementation and management of works, but also in the funding of those projects that have difficulty finding the necessary financial backing. To encourage the use of PFI and spread a culture of collaboration between public and private parties, the British Government has preferred to focus on non-binding legal measures (so- called “best practices”)
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See, The First Bates Review of the PFI. www.hm-treasury.gov.uk/pub/html/finance/1997/batesrv.html 86 The Second Bates Review of the PFI and the Gershon Review of Government Civil Procurement. www.treasury-projects-taskforce.gov.uk/releases/rel26.html. 87 PUK was launched in June 2000 with a significant public and private sector capital base which enables it to provide more than just advice to, for instance, innovative or small projects.
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such as guides, practice notes, and recommendations, leaving the choice to the administrations to comply, or not, with them88. Among the most important guidelines concerning PFI there are those developed by the Treasury (HM Treasury), concerning, among other things, the standardization of PFI contracts and the identification and evaluation of the various options available to the administration for the realization of the work (for example, there is a single project pattern for the construction of highways). Following the aforementioned major reforms of PFI – the Bates Review and the Second Bates Review – the British government created a new Office of Government Commerce (OGC), which came into operation in April 2000, with the aim of maximizing Government purchase power in civil contracts and combining professional skills in a more coordinated way to assist major capital projects. In the same way, in order to enable local authorities to make maximum use of the opportunities offered by partnerships with the private sector, a succession of measures has been introduced including a framework to allow the development of Private Finance Initiative projects for virtually the full range of local services. A variety of partnership approaches are therefore available to local Authorities. To overcome uncertainties over powers of local authorities to enter into PFI-style contracts, the capital investment in a project should not impact on an authority’s capital spending limits, given that a sufficient transfer of risk to the private sector will take place. Moreover, projects may also be eligible for additional revenue support from the central government89.
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It is worth pointing out, in passing, how similar activities of “soft codification” of best practices in Italy – now non existent – could help reduce litigation or in any case, legal risk pertaining to the PA, where the value of presumption of legitimacy of the clause/appropriateness of motivation. recognizes compliance of agreement to predefined templates. 89 In order to receive revenue support for a PFI project, local authorities must satisfy broad general criteria, as well as specific criteria relating to generic types of projects, when considering submitting a proposal to a sponsoring government department. These criteria were set out in the Local government and the Private Finance Initiative. Visit: www.local-regions.detr.gov.uk/pfi/index.htm The latest projects that the UK Government has endorsed include social services, schools, waste management schemes, and the remaining housing pathfinder projects. Those projects whose assets are fully operational and bringing benefits to local communities include housing renewal projects, 3 schools and several residential homes that have also been built as a Public Private Partnership scheme.
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Although local governments generally participate only indirectly in projects through PFI, their role is often more influential90. They make decisions regarding the approval of the project, the control of the company that sponsors the project, responsibility for business and environmental licenses, tax exemptions, provision of guarantees and industry regulations by providing operational concessions. A project of great importance, built and financed in 2003 by the PPP was the London Underground91. Other examples include the PPP contract signed for restructuring of the MOD Main Building in London and the Fazakerley prison, carried out through a PFI contract92; and also, the renovation of the London Continental Railway Group (“LCR”), which allowed removal of the government guarantee on the debt and the privatization of the high-speed line High Speed 1 (“HS1”)93. Evaluation of interventions in the United Kingdom, therefore, explains why PF94, the latter form of PFIs, is one of the most used privatization methods with regard to the granting of public services management to private parties, or the participation of private capital in the construction of large public infrastructure. It has also been encouraged by the “internationalization” of investments in large projects (for example, the construction of the Trans-Alaska pipeline and exploration and exploitation of North Sea oil fields) due to the experience that project developers now have of PF, so much so as to export the best of what is made in onÈs own country even to foreign countries. The Government, therefore, has encouraged those initiatives planned and managed by the private sector directed to the creation also of road systems, which, through the payment of a toll, would gua-
Further Information about Local Government PFI, visit www.4Ps.co.uk. 90 Local Government and the Private Finance Initiative are also available at www.4Ps. co.uk. 91 The two private companies created as a result of the PPP, with the aim of building and operating the London Underground, were the Metronet and Tube Lines, who remained in possession of the entire subway line until 2007, or rather until, as a result of financial problems, they were forced in July 2007 to give the public sector two thirds of the subway line. 92 From which there was an earnings of 81% for the private operator. 93 In 2012, HS1 structured a bond to finance a transport infrastructure. 94 PF is defined as «A way to finance an activity using debt where the debt is repaid from the funds generated by the activity. For example, project financing may involve issuing a bond to pay for the construction of a museum and repaying it from ticket sales for that museum».
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rantee greater viability with alternative routes to existing ones. In this way it has been possible to identify those other works for which the construction, financing and management can be borne by private parties, who have thus not only the convenience to invest but also the ability to recover capital through a operating management of the work carried out. The contractual form through which it is possible to realize such projects is to be found in a number of schemes, including Build, operate and transfer (BOT)95; Build own operate (BOO)96; Build own operate transfer (BOOT)97, and finally Build transfer operate (BTO), a simple transposition of the Build, operate and transfer 98. An example for all is the Second Severn Bridge, the second bridge over the Severn River linking England to Scotland. In this case, the legal framework adopted was the BOT permit in which the general contractor appointed was the consortium created by the English contractor John Lain and the French company GTM Entrepose99. The global financial crisis has raised potential concerns about the financing of Public Private Partnerships (PPPs) and Private Finance Initiative (PFI) projects in the pipeline in the UK100. In fact, some of the biggest PFI projects in the pipeline for 2008-2009 (for example, the M25 widening in London and the Greater Manchester
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In this type of project, the project company never owns the assets used to provide the project services. However, the project company constructs the project and has the right to earn revenues from its operation of the project. See, Yescombe, Principles of Project Finance, Oxford, 2002, p. 10. 96 These are projects whose ownership remains with the project company throughout its life. The project company therefore gets the benefit of any residual value in the project (project agreements with the private sector also normally fall into this category). Thereby, Yescombe, Principles, cit., p. 11. 97 The project company constructs the project and owns and operates it for a set period of time, earning the revenues from the project in this period, at the end of which ownership in transferred back to the public sector. 98 These are similar to BOT projects, except that the public sector does not take over the ownership of the project until construction is completed. 99 For more details, see “Esperienze di project financing all’estero”, available online on www.julienews.it/notizia/economia-e-finanza/esperienze-di-project-financingallestero/176042_ economia-e-finanza_5. 100 Traupel, PPP in the Current Financial Situation: Challenges and Chances, in EPPPL 2/2009, pp. 71–76; PFI projects seek partners, in Financial Times, 23 February 2009; £10bn of PFI schemes put on ice amid funding freeze, in Building, 20 February 2009 and Waste private finance ‘very tricky’, in Construction News, 16 April 2009.
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waste project) took longer than originally planned to attract sufficient funding101. Responses given by the British Government to the financing challenges raised by the credit crisis mainly because of its impact on the financing of PFIs, consist in greater intervention by the European Investment Bank (EIB)102 and the creation of “The Infrastructure Finance Unit” (TIFU)103 under the auspices of HM Treasury to enable projects to secure Government lending where sufficient debt finance on acceptable terms is not available. In practice, the role of TIFU is to consider applications for Treasury loans to PFI projects, negotiate the terms of any such loans and monitor and manage loans once made. TIFU operates at arm’s length from procuring authorities and is staffed by appropriate project finance professionals employed by the Treasury104. It is establishing credit approval and loan monitoring processes comparable to those operated by commercial banks105. One issue that has affected the action of the British Government in support of PFI funding was the risk of raising potential State aid issues.
101 A number of hospital projects were also cancelled or switched to alternative contractual structures, and the South East Coast Strategic Health Authority warned against “a capital desert in 2010/2011”. See, Hospital projects at risk in PFI credit crisis, warns leaked memo, in The Guardian, 26 January 2009; The price of debt, in Infrastructure Journal, 12 June 2009. 102 The EIB’s mission is «to further the objectives of the European Union by making long-term finance available for sound investment». Speech by Mckechnie, Head of PPP Policy, HM Treasury, 3 March 2009. 103 In addition to the increased support from the EIB, on 3 March 2009 HM Treasury announced the creation of TIFU to safeguard £13 billion of public investment currently in procurement. The Treasury has described TIFU as an “extraordinary measure for extraordinary times”. The Treasury’s announcement was recently supplemented by further guidance on the implementation of the fund and confirmation of the Treasury’s intention «to supplement bank/capital market funding, where it is available on acceptable terms, not to replace it as well as more wide-ranging guidance on financing PPP projects in current market conditions, including the use of authority capital contributions». See, HM Treasury letter dated 5 May 2009 providing guidance on the Infrastructure Finance Unit, and Application Note – PPP projects in current market conditions. 104 To date, the Manchester waste project is in fact the only PFI to have benefited from TIFU fund- ing.25 The Treasury provided a £120 million loan facility alongside commercial banks and the EIB. 105 The Government reiterated its support for PFI projects in April 2009.
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It is worth mentioning that as the TIFU is part of HM Treasury – and its funding for loans to PFI projects emanate from central Government budgets – any loan by TIFU would be a measure granted by the State or through State resources. As discussed above, the key question is whether such a loan would favour an undertaking or confer an economic advantage which would not be available to the undertaking under normal market conditions. The fact that the terms under which TIFU would agree to lend to PFIs would be comparable to the terms of commercial lenders (including the EIB), especially with regard to repayment, interest rates and other rights, including voting rights, seems to alleviate potential State aid concerns on the basis that it satisfies the Market Operator Test. Moreover, in additional guidance on its lending to PFI projects the Treasury specified that the funding gap of a project «will generally only become apparent where a post-preferred bidder funding competition (or equivalent process) has been held»106 It will only intervene after the preferred bidder stage. This would seem to limit the risk of the Treasury granting funding before private investors and is in line with the State aid guidance of the Department for Business, Initiative and Skills, according to which «In order to remain free from State aid, the public funds should not be made available to the Joint Venture before the private funds»107. Hence, provided TIFU’s lending takes place on commercial terms that are comparable to other lenders to the project, it should not constitute State aid; as a result, it is not necessary to consider the possible impact on competition and trade between Member States. That does not mean that the risk of TIFU funding being State aid can be completely ignored. If State funding is being given to a project, it needs to be carefully assessed on a case-by-case basis to ensure it is actually being provided
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See, The Law of State Aid in the European Union, Oxford University Press, 2004. The Treasury has not issued any specific guidance on the application of the State aid rules to TIFU’s loans and no notification for clearance under State aid rules has been made to the European Commission. However, shortly after the announcement of the establishment of TIFU, HM Treasury responded to a parliamentary question as to whether TIFU operations would require State aid clearance at EU level by stating that «article 87(1) of the EC Treaty sets out criteria for a State aid to be present. The Government will lend to private finance initiative (PFI) projects on commercial terms, alongside other commercial lenders and/or the European Investment Bank». 107
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on commercial terms. The Commission uses a method for calculating reference and discount rates applicable to commercial loans108. 4.1. UK legal regulation. In the context of an analysis of comparative PF in their respective jurisdictions, a first distinction can be immediately identified in the low presence of codes, regulatory actions or laws that characterize the legal system of common law; validity for PF is instead widely found in judicial literature. Wanting to give common law a definition, we might consider it a non-codified legal system of law that is based on a “ predecessor jurisprudence” model, through which judgments are made on the basis of other previous judgments of cases very similar to each other and consolidated in time109. Concerning partnership, the logic of so-called “collaborative procurement”110 originated in the United Kingdom legal system and spread throughout Europe; in collaborative procurement private parties are seen as “collaborating members”, rather than as antagonists. The emergence of this approach was facilitated by the characteristics of the common law systems where negotiating autonomy is brought to the fore in contrast to what happens in Italy, where the system foresees particular influence on the part of local administrations. A further contribution to the discipline of partnership in the UK is given by Community law, whereby any contract entered into by the public sector, with a private party, must be examined in light of the rules and principles of the EC Treaty relating to transparency, equal treatment, proportionality and mutual recognition. In this regard, some years ago, the European Community enacted two important directives on procurement, specifically, the public sector Directive (2004/18/EC), which prescribes procedures for awarding public
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This approach conforms to market principles as it takes account of the specific situation of the company or project. It is based on IBOR (the InterBank Offered Rate) with weightings based on the creditworthiness of the specific undertaking. 109 In this regard, Torre, United Kingdom, Bologna, 2013. The author provides an exhaustive account of how the United Kingdom ‘s constitutional system has developed through historical periods, first in the English prototype, to the more recent evolutionary events and issues. 110 For further information, see the official UK Government site: hwww.gov.uk.
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works contracts, public supply contracts and services, and the services Directive (2004/17/EC), which provides procurement procedures for entities operating in the water, energy, transport and postal services. The transposition of the first directive took place in the United Kingdom, through the Public Contracts Regulation 2006111, which accepts or “awards” an offer, when it is made in relation to a proposed contract112. The contracting authority has created a web-page for this purpose containing one or more of the following: prior information notices, information on ongoing invitations to tender, prospective and concluded contracts, cancelled procedures and useful general information, such as a contact point, a telephone number, a facsimile number, a postal address or an e-mail address 113. Through the so-called “Procedure of competitive dialogue” any economic operator may make an application for participation and, thereafter, a contracting authority conducts a dialogue with traders admitted to that procedure in order to develop one or more alternative solutions under which the operators selected by the contracting authority are invited to tender. Following the “contract documents”, a tender for contract negotiation takes place; this document describes and shows the contract terms, description of goods, services, work requested by the client and materials or goods that are to be used for such work, as well as all other complementary documents. The bid is submitted using the dynamic purchasing system114, a fully electronic limited duration system that is established by the contracting authority to purchase commonly used goods, works or services. It is de-
111 This is the secondary legislation act or delegated legislation, elaborated by the Secretary of the Treasury according to the European Communities Act 1972, allowing the government to adapt the system of Community law by delegated legislation, namely, the so-called Regulations. This Regulation may be cited as the Public Contracts Regulation 2006 and came into force on 31st January 2006. These Regulations do not extend to Scotland. 112 Literally, “to award” means to accept an offer made in relation to a proposed contract. 113 Visit: www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/ file/486845/20150409-FOI2015_03688_MOD_tender_evalution_documents_ DSPCR2011.pdf. 114 114 See again www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_ data/file/486845/20150409-FOI 2015_03688_MOD_tender_evalution_documents_ DSPCR2011.pdf.
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signed to meet the set selection criteria and to present an offer, directly, to a contracting authority. The latter sends a notice in the form of pre-information, as required by EC Regulations, containing the information relating to public contracts, supplies, services or framework agreements for the purchase or hire of goods or the provision of services that the contracting authority expects to award or conclude during the period of 12 months from the date of the notice115. Publication of the notice takes place in the “official journal” containing a set of information necessary for submission; with regard to the closing date for receipt of tenders, this must be specified in the publication of the notice and, usually, the minimum time limit varies according to the type of notice drawn up. In addition, the contract notice specifies the internet address at which the pre-information can be accessed. Finally, to reduce costs of preparation of tenders, a rigid standardization of design patterns and contracts has been initiated. In this respect, the activities carried out by the Task Force constituted by the Ministry of the British Treasury should be noted, for the realization of standardized models of PF contracts, created and developed on the basis of the updates of “best practices” that reduce transaction costs in the preparation of complex contracts. Returning to the example given earlier regarding the British healthcare sector compared to the Italian system, it is worth remembering how this market segment is supported by two different models of PF, PFI and LIFT116. In the Private Finance Initiative, the public sector continues to be responsible for providing high quality medical services; the private sector is, however, responsible for the design of the service, service building, financing and management. The private party that takes on all the risks obtains a concession which can last from 25 to 30 years, and, during this period, receives an annual fee determined by the use and level of performance offered, which is used to remunerate the investment made; at the end of the concession, the infrastructure becomes the property of the public authority. LIFT 117, on the other hand, is
115 The obligation to publish a pre-information notice is only applicable to public procurement. In addition, in order to assign a work concerning a public procurement project, the contracting authority may use the open procedure, the restricted procedure, the negotiated procedure, the competitive dialogue procedure. 116 See, Falini, Il project financing. Vincoli e opportunità del settore sanitario, Roma, 2008. 117 The LIFT Council is the representative body for groups within the Local
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based on the constitution of a mixed joint venture118. In this mixed company, private parties own the majority of share capital, about 60% or even more, while the remainder of the share capital comes from local authorities and from a specially created company, Partnership for Health61. With this model, projects are undertaken in order not only to involve local authorities and local private partners, but also to carry out the construction work. It is an entirely different matter with regard to Italian regulation, where unfinished healthcare infrastructure works remain at around 25%. There are two factors behind this partial failure. The first is due, in general, to a lack of liquidity on the part of private parties compared to the United Kingdom, and to a consequent low aptitude on the part of the Italian system to invest in this form of financing. Another negative element is to be found in the low profitability obtained in the healthcare sector, where works are considered “cold”; this means that the modest profits obtained do not allow management activity which can stimulate investment, and which is, in any case, tied to small-medium works without significant performance margins.
5. Structure and mechanism of project finance in the UK. Particular attention is paid to the initial steps in the private contractor selection procedure119, regarding technical agreements outlined in the
Improvement Financial Trust (LIFT). In particular, LIFT is a community that invests in health and social care facilities across England. The UK government involved the private sector in financing improvements in primary care, social care and community infrastructure by improving facilities, e.g., GP surgeries (offices in American medical English) and health centres.Webarchive.nationalarchives. gov.uk/+/www.dh.gov.uk/en/Managingyour or ganisation/NHSpr ocurement/ Publicprivatepartnership/NHSLIFT/DH_4076707. 118 Public and private sector units can enter into a joint venture whereby an institutional unit is established. That unit may enter into contracts in its own name and raise finance for its own purposes. The unit is allocated to the public or private sectors depending on which party controls it. In practice, in most joint ventures there is joint control. If the unit is classified as nonmarket it is by convention classified to general government since its behaviour is that of a government unit. If the unit is classified as a market producer and control is evenly divided, then the unit is partitioned into halves, one half allocated to the public sector and the other allocated to the private sector. 119 The “contractor” is responsible for the construction of the project and also owns stakes in projects.
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contract with the project company. The contracting authority using private consultants and, above all, the assistance of public entities such as the Treasury Task Force identifies the objectives associated with the realization of the work and carries out a thorough technical and economic analysis of the costs therein associated. The commitment on the part of the British Government in supporting these forms of investment through private capital is evidenced by the presence of three Task Forces120, in particular, one of them is entirely dedicated to the healthcare sector, showing how the UK Ministry of Health can count on a particularly important aid. In confirmation of this, we can consider the whole series of guidelines which were issued over the years, such as the “public comparator”, the construction contract and management standards for the use of PF in healthcare. It should be noted in passing that in Italy – by following the British experience with the Task Force – there have been attempts to remedy this regulatory gap for some time, encouraging full cooperation between the public and private sectors, through a process of legal transplant121. With regard to the selection procedure of the contractor, the most common in British practice is divided into stages (“competitive negotiated”), characterized by a progressive reduction in the number of competitors. Before publication of the notice, consultation on the project takes place and only then is there the true formalization of the offer, in order to proceed to the progressive reduction of competitors admitted to the final phase (usually two or three, at most five). It can be well understood how this procedure allows the government to not set very detailed spe-
Additional considerations can be found in the article by Bodnar, Project Finance Teaching Notes, in FNCE 208/731, Fall. 1996. 120 One of these is the PPP policy team, a government Task Force inside the Treasury; a second is in the form of public-private partnership and is the Partnership UK, and a third dedicated to the healthcare sector, the Community Health Partnership. The specific objective of the British Task Force is to promote the use of financing techniques of infrastructure within the government sector, foreseeing recourse to private capital, providing support to central and local governments by providing and identifying fundable works through private capital, assisting, if and when requested, in the evaluation of projects. See, Fight, Introduction, cit., 1 ss. 121 It can be defined as a system that foresees the possibility of transplanting certain rules and laws of a country to another. For a detailed analysis please refer to the article “Legal transplant law and legal definition”, available online at http://definitions.uslegal. com/l/legal-transplant/.
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cial requirements ex ante for complex projects, thus taking advantage of the contribution of private parties. Likewise, thanks to the reduced number of competitors in the final stages, not only is there a greater likelihood of success for each of them, it also encourages the use of resources in the development of a good offer. However, one of the aspects that has surely put British Government use of PF into disrepute is the fact that the SPV – specifically established for project construction – does not affect the financial statements of companies, thus resulting in numerous problems in terms of warranty. Generally, when a company asks for a bank loan the financial statement is used as collateral, which does not happen for the SPV, which, being a new entity built ad hoc, is detached from the financial statements of companies. In the case of failure of the SPV, the bank has no right to request money from the companies who participated in it, but obtains the project that had been launched and built as collateral. In this regard, some important work was carried out by the English administration through the PSC122, a managerial tool used as a measurement process of “Value for Money” (VfM). The use of the PSC method has been mandatory for years for British administrations123, especially when the attention of the project was focused on particularly cold works. The calculation of PSC was performed with the help of experts outside the administration, and thus, through an
122 In Public Administration, the Public Sector Comparator (PSC) is a tool used by governments in determining the proper service provider for a public sector project. It consists of an estimate of the cost that the government would pay were it to deliver a service by itself. The World Bank has its own definition, wherein a PSC «is used by a government to make decisions by testing whether a private investment proposal offers value for money in comparison with the most efficient form of public procurement». Generally, the PSC allows governments to figure out if a public–private partnership or other arrangement would be more cost effective. The PSC is most commonly used in UK. 123 Initially, analysis of “Value for Money” through the public sector comparator (PSC) allowed a comparison between the cost of realization directly by the public authority, and the realization of the same work through private procedure in PF or with other forms of PPP. For a complete analysis of the public sector comparator tool, see Analisi delle tecniche di valutazione per la scelta del modello di realizzazione dell’intervento: il metodo del Public Sector Comparator e l’analisi del valore, available online on www.avcp.it/ portal/ public/ classic/ Comunicazione / Pubblicazioni/StudiRicerche/_PSC/.
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evaluation of all risks related to the work, a measurement of the “Value for Money” could be obtained. Later, from 2002, this method attracted much criticism regarding its use, believing that it would serve to influence the choice of projects to be implemented in a discretionary manner, rather than to assess the real capacity of the project to generate income. For this reason, the British government has changed its approach to the quantification of “Value for Money” providing, as early as 2007, new guidelines called “Value for Money assessment guidance”124. This new procedure provides an excel sheet – prepared by Partnerships UK – where a number of variables are inserted in order to proceed in a semi automated way to a comparison between a traditional procedure (Conventional Procurement – CP) and realization of a work in PF. From the comparison between the current net realizable value (in the case of the traditional procedure) and PF the convenience of using one tool over the other emerges. Regarding the factors that determine “Value for Money”, this varies from project to project and between different sectors. In a recent survey, carried out by the Treasury Task Force on British PPP, a number of key principles to achieve “Value for Money” have been identified, including risk transfer, output specification, long term nature of contract, performance measurement and incentives, competition, private sector management skills. In particular, regarding “transfer risk”, the transfer of certain risks (for example risk of construction or design) to those who have skills to handle them more efficiently is foreseen; of course, the transfer of risk has the aim of offering a “Value for Money” that tends to rise whenever the risk is transferred to the private sector. Similar consideration should be made about “output specification”; in this case, the public sector does not define the project management regimes, something that does not happen in the traditional financing methods, where the public sector is concerned with both the objectives that need to be reached and the way in which they are to be achieved during the process of service delivery. The “long-term nature of contract” indicates an intrinsic characteristic of PF, namely the long duration of the process; thus, it becomes necessary to consider the ability to access ample liquidity to cover the full cost,
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The old guidelines from 1999 “How to construct a PSC” have been replaced by new guidelines “Value for Money assessment guidance”.
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during the entire life of the project, and, during construction, to make changes in the event that the project, with the passing of years, no longer fulfils the requirements for which it had been initiated. Through “performance measurement and incentives” monitoring and evaluation of project performance is carried out to test whether it really meets the standards set at the beginning of the contract; if the performance is shown to be below the required standard, the contractors may incur varying levels of penalties. Glossing over “competition” since it is clear that in a highly competitive market there are higher “Value for Money “targets, we finally look at “private sector management skills”, namely at the management skills of the private sector. It must be remembered that there are certain markets where there is a high imbalance of capacity among the private and public sectors, (e.g. high-tech market), and so it becomes necessary for the public sector to rely on the capacity of the private sector, fully relying upon them, and on their skills in the sector, not only in operational terms but also in terms of design, openness and transparency, risk assessment and risk management and achieving objectives. Wanting to briefly summarize the advantages that the British system has reached endowing itself with “Value for Money” operational tools, it can be stated that, also in the Italian system suitable instruments should be adopted so as to obtain an exhaustive a picture as possible on the benefits arising from infrastructure operations realized through PF or, in general, PPP, and then make the most convenient choice compared to traditional funding. It is obvious that the advantage of covering debt using cash flow generated by the project – certainly more than the debt itself, since financial leverage and risk diversification is used – is offset by the disadvantages associated with this procedure, such as longer times to meet the debts and high transaction costs for the realization of the SPV and stipulation of contracts. One last consideration should be made on the phase of creation and development of PF in the United Kingdom. The so-called “Pre-bid stage” phase is closely related to the pre-offer in Italy: in this phase, the project that has been proposed is subjected to control and checking to see if it has the right requirements, i.e., if it can be considered worthy, and then subjected to consultation with various private parties through an exchange of information. Then follows the “Contract negotiation stage” that is similar to the Italian stage of offer creation, assignment and execution of the project. Finally, there is the “Money-raising stage” – that is, the phase of the wor-
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ks management, which, in addition to aim at providing a service that has public utility, aims to create value and the possibility of being able to repay loans granted previously for its development – where there also appears to be significant points in common with Italian regulations125. Particular attention is paid to the contractual phase, where the concession act is signed between the project company and a public sector entity126, in the sense that it will be the Government, a Region or a Municipality itself which, in order to guarantee the concession, will sign the contract, giving it the right to collect tolls and/or tariffs (e.g. concession contract of a toll road or tunnel). In drawing up the contract, also “negotiation clauses” are included that provide for appropriate mechanisms to incentivise the realization of the work and service delivery on time, also allowing the realization of any modifications. The principle of “no service no fees” is also noted, under which private parties receive payment only after completing the service; the adoption of “refinancing” clauses, which allow periodic reformulation of financial conditions and reward clauses for companies that, with the same quality, manage to achieve savings during execution or management127. Another aspect to consider is the inclusion of a particular English system of so-called payment of “virtual tolls”, in which remuneration paid by the grantor to the operator is calculated with a variable rate depending on the volume of traffic (hence, the demand), management performance and availability of services. The “Shareholders Agreement”128 made with shareholders deserves special mention. The project investors form a Special Purpose Vehicle aimed at the development of the project, which takes into account the amount of capital to invest in the project, voting requirements, dividend policy and the right of first refusal on future revenues of the project. It is always the task of the investor to realize a financial model, so as to be able to analyze – based on loans obtained – what the poten-
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See again, Fight, Introduction, cit., 13 ss. The concession contract provides for the use of a public good (such as a piece of land) by the project company for a specific period. This type of act is fairly common in most projects involving the Government, as in infrastructure projects. 127 See, AA.VV., Infrastrutture e project financing in Italia: il ruolo (possibile) della regolamentazione, in Questioni di Economia e Finanza, Occasional papers a cura di Banca d’Italia, n. 56, 2009, p. 13 e ss. 128 Once again Fight, Introduction, cit., 13 ss. 126
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tial profit ability and future profitability that the project will be able to generate are and, therefore, the future ability of the project to repay previously contracted debts. In order to avoid disappointment, the UK system foresees the possibility to realize agreements also with future customers, who will benefit from the service once the project has been brought to a conclusion; this form of agreement, called “off-take agreement” 129, specifically foresees that once the service is available it is sold at a price fixed ex ante between the parties, and not at the market price, so as to provide the company with stable sales, which is announced even before the project is brought to fruition. Thus, there is the advantage of knowing well in advance if future revenue will be able to cover the debt contracted for its development thereby avoiding disappointment later. In order to take advantage of more liquidity that is useful for the realization of the project, agreements between the project company and the lenders can be made, the so-called “loan agreement”130. In the agreement, not only is the amount of the debt incurred and the conditions under which the loan will be repaid highlighted, but also any precedent conditions, availability period beyond which the debtor is required to pay a tax, accruing interest, repayment clause, dividend restrictions, representations and warranties, as well as any unlawful clauses. All parties involved in the financing and the project company participating in the project are part of a further agreement, called “common terms agreement”131, in which the terms that are common to all the investors and the relationship between them are established. An importance feature of this agreement is the guarantee that all the subjects are made aware of the importance of the project and the critical events that may result from it.
6. Conclusions. The analysis conducted so far leads us to draw some final conclusions. Following the order of the topics dealt with, one of these concern the relationships – albeit theoretically well clear – between PF and PPP.
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Ibid. Ibid. 131 Ibid. 130
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While undoubtedly the former relates to the financing of a work or a project and the latter to the form of cooperation between public and private parties, since Article 153 of the Public Procurement Code (Legislative Decree No.163/2006, as amended in 2011) regulates the PF as a form of custody of an alternative concession to that (so-called “to public initiative”) in Article 143132, it is quite clear that in the Italian system the two tools often overlap, threatening to also create confusion among economic operators. This explains why the transposition of Directive 2014/23/EU133, by April 18 2016, provides an opportunity to establish the relationship between PPP, concessions and project more clearly, made even more effective by provision sub Article 1, para.1, letter l) of the enabling act for the transposition of European directives, which identifies the one to proceed with in the rationalization of forms of public private partnership in the guiding criteria. Another question to be resolved is the opinion expressed by many in politics to eliminate tenders as a requirement for PF, whereby investments that are supposed to be private, are paid ten times their value by the state; so much so that, according to some estimates, the hidden financial debt of Italian projects amounts to 200 billion Euros. The new procurement code 2016, with the inconsistency of a cumbersome legislation wiped out, was to be a tangible sign that the climate had changed, giving more validity to notification, transparency of public tenders, as well as greater powers to the Anti-corruption Authority. In part, it must be said, the law respects the premises, but it creates a strange parallel track where transparency is needed a little less: the obligation to award employment contracts, services and supplies “through a public procedure” is not, in fact, applicable for concessions “awarded with the project finance formula”. Then there remains the problem of business risk, or, rather, the norisk of private parties. While it is true that when the State decides that it needs some public works, a private investor can build it in exchange for the grant of use (or a rent) for a sufficient number of years to repay the expenses and earn a fair profit, conversely, on balance, it should be
132 Attemptable where the use of the resource totally or partially defrayable of the «proponents subject» is contemplated. 133 See, Directive 2014/23/EU of the European Parliament and of the Council, 26 February 2014, on the awarding of concession contracts.
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remembered that often the money which private individuals make on the investment are guaranteed by the public134, with a remuneration of fairly high initial costs. The problem in Italy, wanting to summarize, is all in the issue related to the transfer of risk, since private parties are not incentivised to do things well, being entirely without any liability. Moreover, amongst others, under Italian law, as mentioned initially, PF is not only used by the State for large public works, but it is the means by which Regions, Municipalities and local healthcare authorities in these years have circumvented budgetary constraints (completely derisory) that prevent them from making investments. For a local authority or healthcare authority it is now almost impossible to build a school or a hospital asking for a bank loan because doing so would exceed parameters in both deficits and debts. Making use of project finance, private investors ask for a mortgage and build the work; the Municipal administration, on its part, signs a twenty-year lease, including any maintenance costs. It is easy to see that everything happens without a regular tender in the Italian system, due to which the so-called “hidden cost” is offloaded into current expenditure of the following years with bizarre results in terms of cost/benefit ratio135. Unlike in Italy, in the UK – as in other European countries – also so-called “cold works” can be carried out using PF. Indeed, a large number of UK public schools have been built in this way, and, a series of complementary services (such as, canteen service or baby sitting for mothers) have been associated to school projects. In Italian law, a number of factors act as a deterrent to the development of PF. The first is a public administration that does not have the necessary skills to use these tools properly. In general, there is a lack of preparation and training in public-private partnership experiences. Then, there is a cumbersome, bureaucratic legislation, with the burden
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Think of the well-known episode of the A35 motorway construction (known by the initials BreBeMi), built by private investors with CDP and EIB funds. 135 Some examples, out of many, help us understand. The hospital of Nuoro, initial cost of €45 million, will produce 800 million euro from rent and contracts for various non-health services for private investors at the end of the 28 year period foreseen. According to the latest annual report available at Palazzo Chigi, in 2013, public-private partnership agreements have been closed in Italy for a value of €19.5 billion; while in the rest of Europe, including the UK, we are talking about €16.2 billion.
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– due to the excess of regulation – of a strong interference also on the part of the Judiciary. The adoption of PF as a financing pattern for the construction of healthcare facilities, we have seen, can be – in Italy as in the UK – an alternative to the traditional public management model, and through the realization of efficient mechanisms, contribute to improving the expenditure borne by the State. Already in other European legal systems, with the British to the forefront, hospitals are designed as an ‘accommodation facility’ with distinctly entrepreneurial traits, in which the role of guidance and healthcare management remains the healthcare company’s competence as a reference structure of the national system, but in which private parties can act effectively in the construction and modernization of real estate facilities and the provision of hospital services and those of a commercial nature. Thinking of a hospital as a structure that can generate revenue flows over time can certainly stimulate the application of PF in a strong social sector even in Italian law: the adoption of this method of financing for the construction of healthcare centres and hospitals, in some cases, could be a viable alternative to the traditional public management model and – through the realization of efficient mechanisms – contribute to the lowering of expenditure borne by the State. It must be emphasized how a lack of experience in the entrepreneurial class, unaccustomed to the idea of competing, not to mention a banking system reluctant towards certain forms of non-traditional investment, have fuelled excessive suspicion towards operations that undoubtedly would give impetus to the Italian economy as a whole. Thus, the Cassa Depositi e Prestiti very often compensates for this shortcoming – pouring huge sums into the construction of public works or public utility – despite Article 153 of the Procurement Code foreseeing the involvement of the banking system in project finance transactions, ensuring adequate levels of bankability. What is missing in Italian law, unlike in the United Kingdom, is a clear policy in favour of PPP and, therefore, a pipeline of viable and bankable projects according to partnership models. This would allow the use of a tool to allocate risks in a balanced manner, stimulating market innovation and skimming processes in favour of the most competitive enterprises. Finally, the imbalance of skills and mutual lack of understanding between public and private operators – accompanied by a lack of transparency on PPPs – hinder the attraction of foreign operators and capital.
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The points on which the action of the Italian Government should focus are, first of all, the lack of regulations regarding certification of individual skills often does not allow the selection of professionals at the expense of the actual performance of the projects and the introduction of greater equity stakes in financial structures of the projects related to problematic access to capital; these, together with the innovations introduced by the aforementioned Law of Stability 2016, certainly represent the answers capable of overcoming the difficulties of structuring operations according to the logic of PF in Italy. It is worth mentioning, incidentally, how the British Government, as part of the new policy on PPP-PF2, has recently instituted an Equity Unit within HM Treasury which manages its investments in equity to support both the development of PPP operations (and the attraction of private equity) and the bankability of projects. Therefore, the establishment of a mixed public/private equity fund could represent an interesting answer to further increase the use of PF in Italy through PPPs, taking advantage of the intervention of financial investors, as has happened in the UK.
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COMMENTI
Riforma delle banche popolari e problemi di costituzionalità Consiglio di Stato, sezione VI, ordinanza 15 dicembre 2016, n. 5277; Pres. De Francisco, Rel. Giovagnoli; Vitale ed altri (avv. Capelli, Marini) e Corea (avv. Corea, Marini, Capelli) c. Banca d’Italia (avv. La Licata, Perassi, D’Ambrosio); Adusbef ed altri (avv. Tedeschini, Golino) c. Banca d’Italia (avv. La Licata, Perassi, D’Ambrosio), Ministero dell’economia, Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avv. Stato); Lonardi ed altri (Avv. Zanchetti, Pontani, Restuccia, Di Nola, Comandé) c. Banca d’Italia (avv. La Licata, Perassi, D’Ambrosio)* Credito e risparmio – Banche popolari – Riforma – Art. 1 d. l. 24 gennaio 2015, n. 3 – Questione di costituzionalità per contrasto con l’art. 77 Cost. – Non manifesta infondatezza (Cost. art. 77; d. l. 24 gennaio 2015, n. 3, conv. dalla l. 24 marzo 2015, n. 33, misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, art. 1) Credito e risparmio – Banche popolari – Riforma – Art. 1 d. l. 24 gennaio 2015, n. 3 – Questione di costituzionalità per contrasto con gli art. 41, 42 e 117, co. 1 (in relazione al Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione EDU) Cost. – Non manifesta infondatezza (Cost., art. 41, 42, 117; Protocollo addizionale n. 1 Convenzione EDU, art. 1; d. l. 24 gennaio 2015, n. 3, conv. dalla l. 24 marzo 2015, n. 33, art. 1) Credito e risparmio – Banche popolari – Riforma – Art. 1 d. l. 24 gennaio 2015, n. 3 – Questione di costituzionalità per contrasto con gli art. 1, 3, 95, 97, 23 e 42 Cost. – Non manifesta infondatezza (Cost., art. 1, 3, 95, 97, 23 e 42; d. l. 24 gennaio 2015, n. 3, conv. dalla l. 24 marzo 2015, n. 33, art. 1)
Pubblichiamo la seconda di due ordinanze rese nello stesso giudizio, a distanza di pochi giorni, dal Consiglio di Stato. Con la prima ordinanza – del 2 dicembre 2016, n. 5383 – il Consiglio aveva accolto la domanda cautelare proposta dai ricorrenti in appello in ragione anche dei profili di illegittimità costituzionale poi sviluppati nella seconda ordinanza. *
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Non è manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 d. l. n. 3/2015 in riferimento all’art. 77 Cost. (1) Non è manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 d. l. n. 3/2015, nella parte in cui prevede che, deliberata la trasformazione della banca popolare in società per azioni, il diritto del socio recedente al rimborso delle azioni possa essere limitato, fino al punto di escluderlo, e non invece soltanto differito entro limiti temporali predeterminati e con previsione di un interesse corrispettivo, in riferimento agli art. 41, 42 e 117 (in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione EDU) Cost. (2) Non è manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 d. l. n. 3/2015, nella parte in cui attribuisce alla Banca d’Italia il potere di disciplinare le modalità della limitazione del diritto del socio recedente al rimborso delle azioni «anche in deroga a norme di legge», in riferimento agli art. 1, 3, 95, 97, 23 e 42 Cost. (3)
(Omissis) 1. Con tre distinti ricorsi proposti innanzi al T.a.r. Lazio, Adusbef (Associazione difesa utenti servizi bancari finanziari postali assicurativi), Federconsumatori (Associazione nazionale consumatori e utenti), nonché i soci di alcune banche popolari (UBI Banca, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio, Veneto Banca, Banco Popolare) hanno impugnato, chiedendone l’annullamento, gli atti emessi dalla Banca d’Italia a seguito delle modificazioni apportate all’art. 29 del Testo Unico Bancario (TUB, d.lgs. n. 385 del 1993) dall’art. 1 del decreto legge n. 3 del 2015, convertito con modificazioni nella legge n. 33 del 2015. Si tratta, in particolare: del 9° aggiornamento del 9 giugno 2015 apportato alla circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 (“Disposizioni di vigilanza per le banche”); - delle “Disposizioni di vigilanza – Banche popolari” del 9 aprile 2015,
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che disciplinano: a) le modalità di calcolo della soglia “sensibile” pari a 8 miliardi di euro di capitale sociale, da computare secondo le segnalazioni di vigilanza individuali o consolidate; b) il rimborso degli strumenti di capitale al socio che ha esercitato il recesso dalla società dopo la trasformazione della Popolare in s.p.a., che può essere limitato “anche in deroga a disposizioni di legge”, affermando che detta facoltà deve essere contemplata nello statuto della banca ed è attribuita all’organo di gestione, fermi i poteri autorizzativi dell’autorità di vigilanza rispetto al rimborso di fondi propri ai sensi dell’art. 77 CRR (ossia del Regolamento UE/575/2013 del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il Regolamento UE/648/2012); - del resoconto della consulta-
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zione, pubblicato in data 11 giugno 2015; - del documento “Analisi impatto della regolamentazione” dell’11 giugno 2015. 2. Gli atti impugnati sono stati adottati sulla base del decreto legge 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti), convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2015, n. 33, con cui il legislatore ha introdotto la riforma della banche popolari. 3. I ricorrenti, nei giudizi di primo grado, hanno dedotto, fra gli altri motivi, che i provvedimenti impugnati sarebbero affetti da illegittimità derivata a causa dell’illegittimità costituzionale della disciplina legislativa sulla cui base essi sono stati adottati. 3. Sono stati fatti poi valere anche vizi autonomi: in particolare, nel ricorso iscritto in primo grado al n. 10463/2015 del R.G. e in appello al n. 6605/2016, i ricorrenti hanno censurato, ritenendola affetta principalmente da vizi autonomi, la disciplina introdotta con l’aggiornamento della circolare n. 285/2013 della Banca d’Italia, che a pag. II.9 afferma che “non saranno ritenute in linea con la riforma operazioni in cui risulti la detenzione, da parte della società holding riveniente dalla ex popolare, di una maggiorazione totalitaria o maggioritaria nella s.p.a. bancaria, o, comunque, tale da rendere possibile il controllo nella forma dell’influenza dominante”. Secondo i ricorrenti, con l’impugnato aggiornamento dell’atto di natura regolamentare, l’Autorità di regolazione avrebbe introdotto un divieto privo di base legislativa: il divieto di controllo dell’istituto bancario trasfor-
mato in società per azioni ordinaria da parte di un soggetto terzo, a sua volta controllato dai soci di una ex banca popolare nella sua versione “ante riforma”. Nondimeno, è di palmare evidenza come la deduzione di vizi propri dell’impugnato atto di normazione secondaria rilevi esclusivamente nell’ambito del relativo scrutinio di legittimità devoluto a questo Consiglio, non avendo invece alcun ruolo rispetto alle questioni di legittimità costituzionale che il Collegio solleva con la presente ordinanza (le sole che qui interessano, le quali perciò esauriscono l’oggetto della fase incidentale che si svolgerà davanti alla Corte costituzionale). 4. Con le sentenze di estremi indicati in epigrafe, il T.a.r. Lazio ha: - escluso la legittimazione al ricorso di Adusbef e di Federconsumatori; - escluso la legittimazione all’intervento in giudizio del Codacons; - respinto nel merito (dopo averne affermato la legittimazione) i ricorsi proposti uti singuli dai soci delle banche popolari. Al rigetto dei ricorsi nel merito il T.a.r. è giunto ritenendo manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai ricorrenti. 5. Per ottenere la riforma di dette pronunce hanno proposto appello gli originari ricorrenti soccombenti in primo grado, formulando anche istanza cautelare per la sospensione degli effetti delle sentenze e, con esse, dei provvedimenti impugnati in primo grado. 6. Si è costituita per resistere all’appello la Banca d’Italia, la quale
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Commenti
ha anche riproposto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse degli originari ricorrenti (riproposizione avvenuta nel giudizio R.G. n. 6605/2016 attraverso la proposizione di appello incidentale condizionato; negli altri due giudizi con semplice memoria, alla luce del fatto che in questi due casi in primo grado il T.a.r. ha dichiarato di non esaminare l’eccezione di rito, stante l’infondatezza nel merito del ricorso). 7. Nei giudizi R.G. n. 6303/2016 e n.6424/2016 si è costituita in giudizio per resistere agli appelli, anche la Presidenza del Consiglio di Ministri. 8. Il Codacons ha proposto intervento in appello ad adiuvandum, concludendo per l’accoglimento dei ricorsi. 9. All’esito della camera di consiglio del 1° dicembre 2016, fissata per la decisione sull’istanza incidentale di sospensione delle sentenze appellate, questo Consiglio, all’esito e nei limiti di quella summaria cognitio che è tipicamente propria della fase cautelare, con separata ordinanza cautelare 2 dicembre 2016, n. 5383 – alla quale, per quanto occorra, si fa rinvio recettizio e che va perciò intesa come qui integralmente ripetuta e trascritta ha: - disposto la riunione degli appelli, stante l’evidente connessione oggettiva e, parzialmente, soggettiva; - ritenuto sussistente la legittimazione e l’interesse al ricorso rispetto ai soci (rispettivamente del Banco Popolare, della Banca Popolare di Sondrio, della Banca Popolare di Milano e dell’UBI – Unione Banche Italiane), in quanto i provvedimenti impugnati (e la disciplina legislativa sulla cui
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base sono stati adottati) incidono direttamente su prerogative relative allo status di socio della banca popolare, così presentando profili di immediata lesività; - ritenuto che, con riferimento al ricorso R.G. n. 6424/2016, non appare supportata da adeguati profili di fumus boni iuris e di periculum in mora la confutazione dell’affermazione resa dal primo giudice in punto di insussistenza della legittimazione dell’Associazione Difesa Utenti Servizi Bancari Finanziari Postali Assicurativi (Adusbef) e della Federazione Nazionale di Consumatori ed Utenti (Federconsumatori), anche in considerazione del fatto che allo stato non emergono, e comunque non sono specificatamente dedotti, effetti concretamente pregiudizievoli per l’interesse collettivo dei consumatori; - ritenuto che l’intervento in appello del Codacons può – in esito alla sommaria delibazione tipica della fase cautelare – ritenersi verosimilmente precluso dal giudicato parziale formatosi sulle sentenze appellate, che hanno già dichiarato inammissibile l’intervento spiegato in primo grado e che, in tale parte, non risultano essere state appellate; - segnalato che, con (l’odierna) separata ordinanza, deliberata all’esito della stessa camera di consiglio, il Collegio solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti), convertito con modificazioni in legge 24 marzo 2015, n. 33, per i seguenti profili: a) nella parte in cui prevede che, disposta dall’assemblea della banca popolare la trasformazione in socie-
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tà per azioni secondo quanto previsto dal nuovo testo dell’art. 29, comma 2-ter, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, il diritto al rimborso delle azioni al socio che a fronte di tale trasformazione eserciti il recesso possa essere limitato (anche con la possibilità, quindi, di escluderlo tout court), e non, invece, soltanto differito entro limiti temporali predeterminati e con previsione di un interesse corrispettivo; b) nella parte in cui, comunque, attribuisce alla Banca d’Italia il potere di disciplinare le modalità di tale esclusione, nella misura in cui detto potere viene attribuito “anche in deroga a norme di legge”, con conseguente attribuzione all’Istituto di vigilanza di un potere di delegificazione in bianco, senza la previa e puntuale indicazione, da parte del legislatore, delle norme legislative che possano essere derogate e, altresì, in ambiti verosimilmente coperti da riserva di legge; - ritenuto che, in relazione ai sopra richiamati profili di non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, la circolare della Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 – 9° aggiornamento del 9 giugno 2015, appare affetta da vizi derivati nella parte in cui disciplina l’esclusione del diritto al rimborso, facultizzando modifiche statutarie dirette a introdurre nello statuto “la clausola che attribuisce all’organo con funzione di supervisione strategica, su proposta dell’organo con funzione di gestione, sentito l’organo con funzione di controllo, la facoltà di limitare o rinviare, in tutto o in parte, e senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni del socio uscente e degli altri strumenti di capitale computabili nel CET1, anche
in deroga a disposizioni del codice civile e ad altre norme di legge”; - ritenuto, inoltre, che la circolare della Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 – 9° aggiornamento del 9 giugno 2015, appare affetta – almeno a livello di fumus boni iuris – anche da ulteriori vizi propri – che peraltro, come si è già anticipato, non rilevano rispetto all’odierna apertura di una questione incidentale di legittimità costituzionale – laddove: a) attribuisce agli organi della stessa società interessata dal recesso (e quindi, in sostanza, allo stesso soggetto debitore del rimborso spettante al socio che recede) il potere di decidere l’esclusione del rimborso medesimo, finendo in tal modo per creare una irragionevole situazione di conflitto di interesse, nella quale il debitore è paradossalmente fatto arbitro delle sorti del diritto al rimborso della quota vantato dal socio creditore, il quale intenda recedere per effetto e in diretta dipendenza della delibera di trasformazione societaria; b) attribuisce (esercitando una sorta di sub-delega del potere di delegificazione) all’autonomia statutaria della società il potere di introdurre “deroghe a disposizioni del codice civile e ad altre norme di legge”, dando così vita a un’inedita forma di delegificazione di fonte negoziale; c) dispone che “non saranno ritenute in linea con la riforma operazioni da cui risulti la detenzione, da parte della società holding riveniente dalla ex “popolare”, di una partecipazione totalitaria o maggioritaria nella s.p.a. bancaria o, comunque, tale da rendere possibile l’esercizio del controllo nella forma dell’influenza dominante”, atteso che la predetta limitazione ri-
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sulta priva di base legislativa e appare, oltre che non necessaria per realizzare le finalità della riforma, foriera di un’irragionevole disparità di trattamento tra i soci delle ex popolari (privati della possibilità di esercitare il controllo) e ogni altro soggetto che partecipi al capitale azionario (cui, invece, tale possibilità resta riconosciuta); 10. Sulla base di tale motivazione, quindi, il Collegio ha in parte accolto interinalmente – ossia nelle more della decisione sulla questione di legittimità costituzionalità che si solleva con la presente ordinanza – l’istanza cautelare e, per l’effetto, ha sospeso parzialmente, con le sentenze appellate, l’efficacia dell’impugnata circolare della Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 – (Fascicolo “Disposizioni di Vigilanza per le banche”), 9° aggiornamento del giugno 2015, relativamente alle seguenti parti: 1) il paragrafo 2 (Regime di prima applicazione), limitatamente agli ultimi due capoversi (da “Operazioni nella specie” fino a “nella forma dell’influenza dominante”); 2) il paragrafo 3 (Modifiche statutarie delle banche popolari), quinto capoverso, prima alinea, limitatamente alle parole: “limitare o”; “e senza limiti di tempo”; “anche in deroga a disposizioni del codice civile e ad altre norme di legge e”; “e sulla misura della limitazione”; 3) la Parte III, Capitolo 4, Sezione III (Rimborso degli strumenti di capitale), “1. Limiti al rimborso di strumenti di capitale”, integralmente per tutto il relativo testo, ma nei limiti in cui tale Sezione III sia da applicarsi alle vicende conseguenti alle trasformazioni delle banche popolari in società per azioni in conseguenza delle
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suindicate norme del d.l. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito in legge 24 marzo 2015, n. 33. 11. L’ordinanza cautelare resa interinalmente ha rinviato per l’ulteriore trattazione della fase cautelare incidentale – ossia per la definizione di detta fase – ad una camera di consiglio da fissarsi all’esito della pronuncia della Corte costituzionale sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate con la presente ordinanza. 12. Al fine di conciliare il carattere accentrato del sindacato di costituzionalità con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.; art. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), questo Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 5383/2016, ha, pertanto, concesso una misura cautelare “interinale”, fino alla camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale. 13. Come già anticipato nell’ordinanza cautelare n. 5383/2016, il Collegio ritiene che la questione di costituzionalità dell’art. 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti), convertito con modificazioni in legge 24 marzo 2015, n. 33 sia, almeno sotto i profili che di seguito si specificheranno e svilupperanno, rilevante e non manifestamente infondata. 14. Con riferimento al requisito della rilevanza si osserva che la disposizione citata è certamente applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio. 15. I provvedimenti impugnati – in particolare il 9° aggiornamento del 9 giugno 2015 apportato alla circolare
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n. 285 del 17 dicembre 2013 (“Disposizioni di vigilanza per le banche”) – derivano dall’esercizio del potere attuativo attribuito alla Banca d’Italia dal comma 2-quater del nuovo art. 29 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (T.U.B.) (quale introdotto dall’articolo 1 del citato d.l. n. 3 del 2015). I ricorrenti, inoltre, deducono l’illegittimità derivata dei provvedimenti impugnati lamentando, sotto diversi profili, l’illegittimità costituzionale della normativa primaria sulla cui base essi sono stati adottati. La questione di costituzionalità dell’art. 1 d.l. n. 3 del 2015 (sotto i profili che si andranno ad evidenziare) è, dunque, pregiudiziale rispetto alla decisione definitiva sulle istanze cautelari, risultando l’esito di queste ultime strettamente dipendenti dall’esito del giudizio di costituzionalità. 16. Né la rilevanza della questione può essere esclusa dalla natura cautelare del giudizio nell’ambito del quale la questione di costituzionalità viene sollevata. Il problema dei rapporti tra incidente di legittimità costituzionale e giudizio cautelare è oggetto di una significativa elaborazione giurisprudenziale e dottrinale. Sul punto, la Corte costituzionale è costante nel ritenere inammissibile la questione di legittimità costituzionale, per difetto di rilevanza, qualora essa venga sollevata dopo l’adozione del definitivo provvedimento cautelare. Si afferma che, in tal caso, la rimessione alla Corte è tardiva in relazione al giudizio cautelare, ormai concluso, e prematura in relazione al giudizio di merito, in ordine al quale, il Collegio, in mancanza della fissazione della re-
lativa udienza di discussione, è privo di potere decisorio. Per evitare, tuttavia, che la legge sospettata di incostituzionalità possa precludere definitivamente la tutela cautelare mortificando le esigenze di tutela immediata (e temporalmente continua) ad essa sottese – il che si tradurrebbe in una palese violazione di fondamentali principi costituzionali (artt. 24 e 113 Cost.), o sovranazionali (art. 6 e 13 CEDU) – la giurisprudenza, nel tentativo di conciliare il carattere accentrato del controllo di costituzionalità delle leggi con i principi di effettività e di continuità della tutela giurisdizionale, anche cautelare, ha sperimentato due soluzioni. La prima è consistita nel concedere la sospensiva, disapplicando dunque provvisoriamente la legge sospettata di incostituzionalità, ma rinviando al giudizio di merito la rimessione della questione di legittimità costituzionale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., ordinanza 20 dicembre 1999, n. 2; Cons. Giust. Amm., ordinanza 20 giugno 2001, n. 458). La seconda consiste, invece, nella scomposizione del giudizio cautelare in due fasi: nella prima fase si accoglie la domanda cautelare “a termine”, ossia soltanto fino alla decisione della questione di costituzionalità contestualmente sollevata; nella seconda fase, da differirsi all’esito del giudizio di costituzionalità, si decide “definitivamente” sulla domanda cautelare, tenendo conto, per valutare la sussistenza del fumus boni iuris, della decisione della Corte costituzionale. Tra le due soluzioni possibili, il Collegio – con la giurisprudenza ormai del tutto prevalente – ritiene preferibile la seconda, perché è quella
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che meno si allontana dai principi su cui si fonda il nostro sistema di giustizia costituzionale: essa evita, infatti, che il giudice a quo possa disapplicare “definitivamente” la legge, sottraendosi contestualmente anche all’obbligo, di cui all’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, di sollevare la questione di costituzionalità. Tale opzione ha trovato l’avallo della Corte costituzionale, la quale, con riferimento a questioni di legittimità sollevate in sede cautelare, ha costantemente osservato che la potestas iudicandi non può ritenersi esaurita quando la concessione della misura cautelare, come nella specie, è fondata, quanto al fumus boni iuris, sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, dovendosi, in tal caso, la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato ritenersi di carattere provvisorio e temporaneo fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l’incidente di legittimità costituzionale (ex plurimis: le sentenze n. 444 del 1990; n. 367 del 1991; n. 30 e n. 359 del 1995; n. 183 del 1997; n. 4 del 2000; le ordinanze n. 24 del 1995; n. 194 del 2006; n. 83 del 2013; n. 200 del 2014; nonché, da ultimo, la sentenza n. 133 del 2016 e, ivi, in particolare il § n. 3.3. della relativa motivazione). 17. Sempre in ordine alla rilevanza della questione, si osserva che nel caso di specie (come già evidenziato nell’ordinanza cautelare 2 dicembre 2016, n. 5383), il requisito del periculum in mora ha meritato positivo apprezzamento. È evidente, infatti, che il tempo necessario per la decisione del ricorso nel merito (vieppiù ove si tenga nel debito conto quello occorrente per il giudizio incidentale di costituziona-
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lità) potrebbe arrecare ai ricorrenti (i soci delle banche popolari interessati dalla riforma) un pregiudizio grave e irreparabile, sotto diversi profili. 17.1 In primo luogo, il periculum in mora sussiste per i ricorrenti soci di banche popolari (come la Banca popolare di Sondrio) che, alla data di pubblicazione della presente ordinanza, non hanno ancora adottato le decisioni imposte dalla legge in conseguenza del superamento della soglia degli otto miliardi di attivo (patrimoniale) e che, quindi, non hanno ancora effettuato la scelta tra le tre opzioni previste dal legislatore: trasformazione, liquidazione oppure riduzione dell’attivo. Per tale gruppo di ricorrenti, in procinto di votare in seno all’assemblea l’eventuale trasformazione in s.p.a. della banca popolare, la disciplina in esame incide immediatamente sulla libertà negoziale, che si esercita anche attraverso l’espressione del voto in assemblea (nella necessaria consapevolezza delle sue conseguenze sul patrimonio giuridico del socio). Risulta, infatti, del tutto evidente il pregiudizio, attuale e concreto, che deriva, già ai fini della formazione della propria volontà negoziale in sede di espressione del suddetto voto, dall’eventualità di vedersi escluso il diritto al rimborso in caso di recesso conseguente alla trasformazione. Tale pericolo si coglie anche sotto un diverso profilo, che evidenzia ulteriormente la posizione di immediato pregiudizio in cui vengono a trovarsi i soci delle banche popolari. La disciplina censurata, infatti, crea in seno all’assemblea un immediato ed evidente conflitto di interessi tra i soci che scelgono di continuare
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l’impresa bancaria nella nuova forma societaria imposta dal legislatore e coloro che, invece, preferiscono la liquidazione della propria quota. La posizione di questi ultimi risulta immediatamente pregiudicata dalla possibilità che la disciplina censurata offre ora all’assemblea (e, dunque, alla maggioranza dei soci) non solo di decidere la trasformazione (e, quindi, la continuazione dell’impresa bancaria nella nuova forma della società per azioni), ma di adottare tale decisione potendo fare affidamento anche su quella parte di capitale rappresentato dalle quote dei soci recedenti escluse dal rimborso. In termini tanto semplici, quanto chiari, la legge vigente sembra consentire ai soci che optino per la trasformazione di finanziare quest’ultima (cioè la prosecuzione della propria attività imprenditoriale) anche con le risorse economiche di quelli che vorrebbero recedere: ossia, in ultima analisi, con poste patrimoniali (denaro) degli altri soci. Neppure si può escludere che tale possibilità dispieghi un’incidenza, evidentemente distorsiva, sulla stessa valutazione assembleare di convenienza a compiere l’una piuttosto che l’altra delle scelte consentite dalla legge; giacché quella per la trasformazione potrebbe consentire di convogliare nel patrimonio sociale di chi l’abbia votata tutte o parte delle risorse che spetterebbero ai soci che avrebbero voluto recedere. 17.2 Anche per i soci delle banche popolari che al momento della presente ordinanza hanno già adottato la delibera di trasformazione, sussistono profili di periculum in mora, che rendono la questione di legittimità costituzionale rilevante già ai fini del-
la decisione dell’istanza cautelare (di sospensione dell’efficacia esecutiva delle sentenze appellate e, con essa, degli atti impugnati in primo grado). La deliberata trasformazione, invero, non fa venire meno la possibilità di esercitare il diritto recesso (concretizzandone, anzi, il presupposto): rispetto alla scelta di recedere in conseguenza della trasformazione, tuttavia, la previsione normativa oggetto di censura causa un pregiudizio immediato, perché la prevista possibilità che il rimborso sia escluso (o differito senza limiti di tempo, il che da un punto di vista sostanziale è la stessa cosa) incide immediatamente sulla libertà di autodeterminazione negoziale del socio, rendendola non più libera, ma condizionata dal concreto pericolo di non avere il rimborso della quota. 17.3 Sempre in punto di rilevanza risulta, in ogni caso, di per sé dirimente la considerazione che la presente questione di costituzionalità viene sollevata nell’ambito di un istanza cautelare incidentale ad un appello avverso sentenza. Ciò implica che, ai sensi degli articoli 60 e 98, comma 2, c.p.a., il Collegio, in sede di decisione definitiva sulla domanda cautelare – ossia alla prossima udienza camerale che, come stabilito nella cit. ord. n. 5383/2016, sarà fissata in esito alla definizione della presente questione di legittimità costituzionale – possa definire, in camera di consiglio, il giudizio nel merito con sentenza in forma semplificata. A ben vedere, infatti, il potere di definire il merito della causa con sentenza in forma semplificata già in sede cautelare rende, per ciò solo, rilevante, anche a prescindere dalle considerazioni svolte in ordine al
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periculum in mora, la questione di costituzionalità che in questa sede si solleva. La possibilità di definire il merito (che la legge attribuisce al Collegio, il quale si riserva di svolgere tale valutazione all’esito della pronuncia della Corte costituzionale che qui si richiede) sarebbe, invero, radicalmente preclusa se non venissero sin d’ora esaminati i dubbi di legittimità costituzionale relativi alla disciplina legislativa sulla cui base sono stati adottati i provvedimenti impugnati. 18. La questione di costituzionalità, oltre che rilevante, risulta anche non manifestamente infondata. 19. I passi salienti della riforma delle Banche popolari introdotta dall’art. 1 del decreto legge n. 3 del 2015, per quanto qui interessa, sono costituiti dalle disposizioni di seguito riportate: “1. Al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 28, dopo il comma 2-bis, è aggiunto il seguente: «2-ter. Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione o di esclusione del socio, è limitato secondo quanto previsto dalla Banca d›Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò è necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d›Italia può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi.»; b) all’articolo 29: 1) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti:
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«2-bis. L›attivo della banca popolare non può superare 8 miliardi di euro. Se la banca è capogruppo di un gruppo bancario, il limite è determinato a livello consolidato. 2-ter. In caso di superamento del limite di cui al comma 2-bis, l’organo di amministrazione convoca l’assemblea per le determinazioni del caso. Se entro un anno dal superamento del limite l’attivo non è stato ridotto al di sotto della soglia né è stata deliberata la trasformazione in società per azioni ai sensi dell’articolo 31 o la liquidazione, la Banca d’Italia, tenuto conto delle circostanze e dell’entità del superamento, può adottare il divieto di intraprendere nuove operazioni ai sensi dell’articolo 78, o i provvedimenti previsti nel titolo IV, capo I, sezione I, o proporre alla Banca centrale europea la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e al Ministro dell’economia e delle finanze la liquidazione coatta amministrativa. Restano fermi i poteri di intervento e sanzionatori attribuiti alla Banca d’Italia dal presente decreto legislativo. 2-quater. La Banca d’Italia detta disposizioni di attuazione del presente articolo» (Omissis). 2. In sede di prima applicazione del presente decreto, le banche popolari autorizzate al momento della relativa entrata in vigore si adeguano a quanto stabilito ai sensi dell’articolo 29, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, introdotti dal presente articolo, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca d’Italia ai sensi del medesimo articolo 29. (Omissis). 20. Gli atti impugnati derivano dall’esercizio del potere attuativo at-
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tribuito alla Banca d’Italia dal comma 2-quater del nuovo art. 29 del T.U.B. 21. I ricorrenti assumono che gli atti impugnati sarebbero affetti da illegittimità derivata a causa dell’illegittimità costituzionale della normativa primaria su richiamata, ed a questo fine li impugnano declinando i vizi di costituzionalità in cui a loro giudizio, incorrerebbe, sotto più profili, l’art. 1 del decreto legge n. 3 del 2015. 22. I ricorrenti deducono l’incostituzionalità dell’art. 1 del decreto legge n. 3 del 2015 sotto diversi profili che possono essere così sintetizzati: I. Violazione dell’art. 77 Cost. per carenza dei presupposti di necessità ed urgenza del decreto legge, che sarebbe palesata dalla natura di riforma ordinamentale e di sistema della nuova normativa, nonché dal fatto che, contrariamente a quanto prescritto dall’art. 15 comma III L. n. 400 del 1988, la norma non conterrebbe disposizioni di immediata applicazione, prevedendo, invece, che la disciplina di dettaglio sia fissata da provvedimenti della Banca d’Italia. Inoltre, le disposizioni in parola si inscrivono in un decreto legge che regola materie eterogenee tra di loro, non riconducibili, in tesi, a matrice razionalmente unitaria. II. Violazione degli articoli 70, 76 e 77 primo comma Cost. per violazione del principio di gerarchia delle fonti, con specifico riferimento all’art. 1 comma I lettera a) del decreto legge, che ha introdotto nell’art. 28 TUB il nuovo comma 2-ter, in forza del quale la Banca d’Italia assumerebbe un “potere in bianco” di adottare norme regolamentari derogative della legge senza che sia stato predeterminato il novero delle disposizioni legislative suscettibili di deroga, specie in rela-
zione al potere di rimborso limitato al socio recedente. Il vizio sussisterebbe anche ove si considerasse attuata una delegificazione, non essendo individuate le norme primarie abrogande. III. Violazione degli articoli 3, 41, 42 e 45 e 117 Cost. in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale CEDU sulla protezione della proprietà ed agli articoli 16 e 17 della Carta fondamentale della UE con riguardo alla tutela della proprietà ed alla libertà di iniziativa economica e del legittimo affidamento, sotto i profili che possono essere riassunti come segue: a) apposizione di un limite dimensionale (capitale sociale inferiore a 8 miliardi di euro) per l’esercizio dell’attività bancaria in forma cooperativa di “banca popolare” e limiti al rimborso della quota a seguito di recesso in caso di trasformazione in s.p.a., che costituirebbero una forma di espropriazione dei beni dei soci recedenti (nella nozione intesa dalla Corte EDU, che comprende anche i crediti); b) violazione del principio di legalità, inteso, come fa la CEDU, nel senso dell’esistenza di una norma di legge sufficientemente accessibile, precisa e prevedibile alla base dell’intervento, che avrebbe natura sostanzialmente espropriativa; c) insussistenza di una causa di pubblica utilità dell’intervento espropriativo, prevista dall’art. 1 del I Protocollo addizionale CEDU, anche perché sarebbe infondato, e comunque contestato in dottrina, il noto assunto – da cui muove la riforma – secondo cui oggi le banche popolari non avrebbero più sostanza di cooperative, conservandone solo la forma societaria, e che le banche a voto capitario si produrrebbero in performances
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peggiori di quelle organizzate secondo lo schema ordinario di società per azioni; d) violazione del principio di proporzionalità e di quello di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 Cost., con il connesso diritto di auto-organizzazione dei singoli, anche in forma cooperativa (art. 45 Cost.); e) indeterminatezza della delega conferita alla Banca d’Italia e della limitazione del diritto al rimborso per i recedenti, con conseguente sproporzione e mancanza di equilibrio tra pubblico interesse ed esigenze del singolo; f) incompatibilità con gli articoli 16 e 17 della Carta dei Diritti fondamentali della UE (Carta di Nizza), ancora con riferimento alla limitazione sine die (o addirittura all’esclusione) del rimborso delle quote in caso di recesso, senza che ve ne sia ragione di pubblico interesse; g) lesione dell’art. 41 Cost. e della libertà di iniziativa economica, sempre in relazione alla indeterminatezza dei poteri regolamentari della Banca d’Italia in materia; h) ancora violazione della libertà imprenditoriale, ma per effetto della modifica dell’art. 31 del TUB, che, adesso, invece di demandare agli statuti il quorum deliberativo per le trasformazioni da banca in forma cooperativa a società per azioni o per le relative fusioni, detta, esso stesso, le maggioranze necessarie, molto ridotte rispetto a quanto l’art. 2545-decies c.c. dispone per le s.p.a. ordinarie, con conseguente spoliazione dei soci della potestà di auto-organizzarsi sotto questo profilo; IV. Violazione degli articoli 3, 41, 45 Cost. sub specie di irragionevolezza della soglia individuata dal legislatore per imporre la trasformazione in
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s.p.a., pari a 8 miliardi di euro; V) Violazione degli articoli 3 e 41 Cost. per disparità di trattamento tra le banche popolari cooperative e tutte le altre cooperative, le quali ultime non incorrono in limiti di contenimento dell’attivo, ed inoltre: i) tra soci di banche popolari “sopra soglia” e soci di banche popolari “sotto soglia” (i quali subirebbero un “annacquamento” della propria partecipazione e l’azzeramento del relativo valore); ii) tra soci di banche popolari che dovranno trasformarsi in s.p.a. e soci di altre s.p.a. (i quali possono deliberare quorum più elevati in caso di trasformazione, facendo salvo comunque l’integrale rimborso della quota al socio recedente); iii) tra soci di banche popolari che dovranno trasformarsi e soci di altre cooperative non a mutualità prevalente (che possono deliberare la trasformazione solo con i più elevati quorum di cui all’art. 2545-decies c.c.). VI) Violazione dell’art. 3 della Costituzione per violazione del principio di eguaglianza e della riserva di legge, in relazione alla limitazione del diritto di rimborso in caso di recesso, in cui incorrerebbe il nuovo articolo 28 comma 2-ter del TUB, anche nella parte in cui non differenza la posizione assunta dal socio che recede a seguito di trasformazione rispetto a quella del socio che si avvale del diritto di ordinario recesso, non connesso all’ipotesi di trasformazione da banca popolare a s.p.a. bancaria; VII) Violazione dell’art. 23 Cost., sempre in relazione alla limitazione del diritto al rimborso in caso di recesso, che costituirebbe una prestazione patrimoniale imposta, e che, come tale,
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soggiacerebbe a riserva di legge relativa, e che dunque non sopporterebbe un potere amministrativo di fissazione o di delegazione normativa “in bianco” (nella specie, alla Banca d’Italia); VIII) Violazione dell’art. 117, comma II, lettere d) e l) e comma III, e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost., in quanto la riforma in questione non involgerebbe soltanto la materia di potestà legislativa statale in materia di ordinamento civile e tutela del risparmio, bensì anche quella, di legislazione concorrente, delle casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, che ricorre in caso di ubicazione territoriale specifica e degli interessi locali perseguiti; IX) Violazione dell’art. 118, comma IV, Cost., in combinato disposto con gli articoli 2, 18, 41, 45 e 47 Cost., violazione del principio di sussidiarietà orizzontale, in quanto sia la comparazione che il risparmio sono riconosciuti e tutelati dalla Repubblica nel suo insieme (e dunque anche da Regioni, Province, Comuni), e non solo dallo Stato; inoltre, sarebbero valori che, per regolare fenomeni connotati da spontaneismo sociale, intersecherebbero altre libertà costituzionali, quali quella di associazione e di iniziativa economica, e, in definitiva, di auto-organizzazione. 23. Il Collegio ritiene che solo alcuni dei dubbi di legittimità costituzionale prospettati dai ricorrenti siano manifestamente infondati. 24. Per quanto riguarda la lamentata carenza dei presupposti di necessità e di urgenza per l’adozione del decreto legge, il Collegio è ben consapevole che la giurisprudenza costituzionale
ha, in alcuni casi, ritenuto che la mancanza evidente dei citati presupposti sia sindacabile anche dopo l’intervento della legge di conversione. Sul punto l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale è stata complessa e articolata. L’indirizzo più risalente negava la sindacabilità di ogni vizio proprio del decreto-legge a seguito della legge di conversione, facendo leva sulla configurazione di quest’ultima come forma di novazione (Corte cost. n. 108 del 1986, n. 243 del 1987, nn. 808, 810, 1033, 1035 e 1060 del 1988, n. 263 del 1994). Un mutamento si è avuto con la sentenza n. 29 del 1995, con la quale la Corte costituzionale, dichiarando di non condividere il proprio precedente indirizzo, ha per la prima volta escluso l’efficacia sanante della legge di conversione. Nella citata sentenza n. 29 del 1995, la Corte ha affermato che ai sensi dell’art. 77 Cost., “la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validità costituzionale dell’adozione del predetto atto, di modo che l’eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell’ambito delle possibilità applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest’ultima, nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l’esistenza di presupposti di validità in realtà insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che
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non poteva essere legittimo oggetto di conversione”. Pertanto, prosegue la sentenza in esame, “non esiste alcuna preclusione affinché la Corte costituzionale proceda all’esame del decreto-legge e/o della legge di conversione sotto il profilo del rispetto dei requisiti di validità costituzionale relativi alla pre-esistenza dei presupposti di necessità e urgenza, dal momento che il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta una valutazione del tutto diversa e, precisamente, di tipo prettamente politico sia con riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti della stessa”. Tale nuovo orientamento è stato successivamente ribadito sia rispetto a decreti-legge ancora in corso di conversione (cfr. sent. n. 161 del 1995 e n. 270 del 1996) sia rispetto a decretilegge convertiti in legge (cfr. sent. n. 330 del 1996), mentre è stato escluso rispetto a disposizioni aggiunte in sede di conversione (cfr. sent. n. 391 del 1995) e rispetto a disposizioni di “sanatoria”, che si limitano a far salvi gli effetti di decreti non convertiti (cfr. sent. n. 84 del 1996). Un ulteriore mutamento rispetto alla questione dell’eventuale efficacia sanante da riconoscere alla legge di conversione si è avuto, tuttavia, con la sentenza n. 360 del 1996, nella quale la Corte costituzionale, occupandosi del c.d. vizio di reiterazione, se, da un lato, ha affermato “l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 77 della Costituzione, dei decreti-legge iterati o reiterati, quando tali decreti, considerati nel loro complesso o in singole disposizioni, abbiano sostanzialmente riprodotto, in assenza di nuovi (e sopravvenuti) presupposti
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straordinari di necessità ed urgenza, il contenuto normativo di un decretolegge che abbia perso efficacia a seguito della mancata conversione”, dall’altro lato, ha, tuttavia, riconosciuto che il vizio da reiterazione “può ritenersi sanato quando le Camere, attraverso la legge di conversione (o di sanatoria), abbiano assunto come propri i contenuti o gli effetti della disciplina adottata dal Governo in sede di decretazione d’urgenza”. Il contrasto interpretativo venuto così a delinearsi, in seguito alla sentenza n. 360 del 1996, in ordine alla questione dell’efficacia sanante da riconoscere alla legge di conversione del decreto-legge, è stato negli anni immediatamente successivi composto dalla Corte costituzionale attraverso la distinzione tra il c.d. vizio di reiterazione ed il vizio di carenza dei presupposti di necessità e di urgenza. In particolare, la sentenza n. 398 del 1998 – esplicitando alcuni obiter dicta già contenuti in precedenti decisioni (cfr. ordd. n. 432 del 1996 e n. 90 del 1997 e n. 194 del 1998) – ha distinto espressamente tra la censura per carenza dei presupposti (che viene esaminata pur trattandosi di decretilegge convertiti) e quella per vizio da reiterazione (che viene invece rigettata proprio in quanto i decreti-legge in questione sono stati convertiti). Con riferimento al vizio dei presupposti, la Corte costituzionale ne ribadisce la rilevabilità in sede di giudizio di costituzionalità, a prescindere dalla conversione, solo nei casi di “evidente mancanza”, cioè quando “essa appaia chiara e manifesta perché solo in questo caso il sindacato di legittimità della Corte non rischia di sovrapporsi alla valutazione di oppor-
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tunità politica riservata al Parlamento”. Tale distinzione, ai fini della trasmissibilità alla legge di conversione, tra vizio di reiterazione e carenza dei presupposti ha trovato anche l’avallo di una parte della dottrina, la quale ha osservato come il primo sia meno “grave” riguardando solo una modalità di esercizio di un potere legittimamente attivato; il secondo molto di più, attagliandosi ad una vera e propria carenza di potere, non potendosi neanche attivare il potere di cui all’art. 77 Cost. in assenza dei presupposti. Alla sentenza n. 398 del 1998, tuttavia, hanno fatto seguito una serie di pronunce che hanno ora negato e ora ammesso la possibilità del controllo dei presupposti del decreto-legge dopo la conversione in legge, facendo nuovamente riemergere il classico argomento della efficacia sanante della conversione (cfr. sent. n. 419 del 2000; n. 376 del 2001; e n. 16 e 29 del 2002). Poi questa fase di incertezza è stata nuovamente superata, riaffermandosi la possibilità del sindacato sui presupposti di necessità e urgenza del decreto- legge – esercitabile però solo nei limiti della loro “evidente mancanza” – anche dopo la conversione in legge (cfr. sent. n. 341 del 2003; nn. 6 e 178, 196, 285 e 299 del 2004; nn. 2, 62 e 272 del 2005), fino ad arrivare alla sentenza n. 171 del 2007, che, per la prima volta, ha dichiarato fondata (e non solamente ammissibile) la questione di incostituzionalità della legge di conversione per la carenza evidente dei presupposti di necessità e urgenza rispetto all’adozione del decreto-legge convertito. Nella sentenza n. 171 del 2007, la Corte ha ribadito chiaramente che la
conversione non sana i vizi propri del decreto. Ricordate le oscillazioni sul punto, il giudice costituzionale ha ritenuto di aderire all’orientamento contrario a quello più risalente, per due ordini di ragioni: a) innanzitutto in quanto il corretto assetto dell’impianto delle fonti “è anche funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza la configurazione del sistema costituzionale nel suo complesso. Affermare che la legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie”; b) in secondo luogo per il particolare legame tra decreto e legge di conversione, per cui in sede di conversione “Il Parlamento si trova a compiere le proprie valutazioni e a deliberare con riguardo ad una situazione modificata da norme poste da un organo cui di regola, quale titolare del potere esecutivo, non spetta emanare disposizioni aventi efficacia di legge” (§ 5 del “Considerato in diritto”). L’orientamento del giudice costituzionale, teso a controllare direttamente i presupposti del decreto-legge nonostante l’intervento della legge di conversione, è stato ribadito nelle sentenze n. 128 del 2008 e n. 222 del 2013, che pure hanno ritenuto (non solo ammissibile ma anche) fondata la questione dell’evidente mancanza dei presupposti di cui all’art. 77, comma 2, Cost. Negli ultimi anni, un ulteriore rafforzamento del sindacato di costituzionalità esercitabile sulla legge di conversione, si è avuto con le senten-
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ze n. 22 del 2012 e n. 32 del 2014, in cui la Corte, pur senza occuparsi direttamente della carenza dei presupposti di necessità e di urgenza, ha circoscritto i limiti dell’emendabilità del decreto legge in sede di conversione, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle c.d. norme eterogenee (prive di qualsivoglia legame con la ratio del decreto-legge originario e, quindi, con i suoi presupposti) introdotte in sede di conversione. Secondo la Corte costituzionale, invero, «l’innesto nell’iter di conversione dell’ordinaria funzione legislativa può certamente essere effettuato, per ragioni di economia procedimentale, a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione; se» però «tale legame viene interrotto, la violazione dell’art. 77, co. 2, Cost., non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, che, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge» (§ 4.2 del Considerato in diritto della sentenza n. 22 del 2012). Alla luce del quadro giurisprudenziale appena delineato, la questione di costituzionalità dell’art. 1 del decreto legge n. 3 del 2015 per la violazione dell’art. 77, comma 2, Cost., in relazione alla carenza dei presupposti di necessità e di urgenza non appare manifestamente infondata.
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Si premette che, ad avviso di questo Collegio, potrebbe tuttora ritenersi meritevole di positiva considerazione (se non addirittura preferibile) la tesi (in diverse occasioni, come si è visto, accolta, specie in passato, dalla Corte costituzionale) secondo cui la conversione in legge da parte del Parlamento abbia l’effetto di sanare – sia pure solo ex nunc, e non già ex tunc (profilo, quest’ultimo, forse non del tutto compiutamente sviscerato dalla citata giurisprudenza della Corte costituzionale) – l’eventuale assenza dei presupposti per la decretazione d’urgenza. Ciò essenzialmente in quanto, a partire dalla promulgazione della legge di conversione (ma non prima di essa), la normazione decretale potrebbe considerarsi recepita ad ogni effetto dalla (o nella) legge di conversione che, sebbene soggetta a un più veloce iter di approvazione da parte del Parlamento, sembra essere comunque fonte primaria completamente imputabile a tale Organo costituzionale, che costituisce il principale centro di esercizio della Sovranità popolare di cui all’art. 1 Cost. Ciò sembrerebbe valere quantomeno in quei casi, come quello oggetto del presente giudizio, in cui la riserva di legge prevista dalla Costituzione richiede solo la legge in senso sostanziale e non esige anche (come invece secondo parte della dottrina, accadrebbe in altre materie, ad esempio in quella penale) che la legge sia approvata attraverso un procedimento di formazione “ordinario-parlamentare”, in grado cioè di offrire le maggiori garanzie, legate essenzialmente alle più ampia possibilità di confronto dialettico tra maggioranza e minoranza,
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che risultano, al contrario, in qualche misura potenzialmente compromesse dalla procedura, “speciale” e contingentata nei tempi, prevista per l’approvazione della legge di conversione del decreto legge. Al contrario, nei casi in cui la Costituzione non dà rilevanza, nemmeno implicitamente, al modo in cui la legge si forma, la circostanza che essa sia approvata utilizzando impropriamente la speciale procedura prevista per la conversione del decreto legge, sembrerebbe – sempre ad avviso di questo Collegio – perdere pressoché ogni rilievo nel momento stesso in cui il Parlamento, nell’esercizio della sua sovranità, fa proprio, sia pure in questo caso soltanto con efficacia ex nunc, l’atto avente forza di legge che era stato adottato dal Governo in assenza dei presupposti di necessità ed urgenza. La tesi dell’efficacia sanante con effetto ex nunc – ferma restando perciò l’originaria illegittimità della previsione recata dal decreto-legge per tutto il periodo di sua vigenza anteriore alla conversione in legge – toglierebbe peraltro ogni perdurante rilevanza, nel caso in esame, alla questione di costituzionalità, che pur si potrebbe formalmente porre con riguardo al solo periodo di vigenza del decreto anteriore all’approvazione della legge di conversione, atteso che nel caso di specie i provvedimenti impugnati si collocano in un ambito temporale successivo alla conversione in legge del decreto n. 3 del 2015 (conversione avvenuta con la legge 24 marzo 2015, n. 33); sicché è evidente che la lesione degli interessi dei ricorrenti si sia verificata interamente in epoca successiva a tale conversione.
Nondimeno – giacché non spetta certamente a questo Giudice remittente sovrapporre la propria visione culturale e dogmatica a quella difforme che si è visto essere stata espressa in varie occasioni anche assai recenti (sebbene non sempre) dalla Corte costituzionale – si deve necessariamente convenire che la questione di legittimità costituzionale di cui si sta adesso trattando non possa dichiararsi manifestamente infondata. E ciò anche perché, nella specie, sembrerebbero sussistere adeguati indicatori da cui potrebbe evincersi la “manifesta insussistenza” dei presupposti di necessità e urgenza della riforma di cui trattasi, avuto il debito riguardo alle modalità anche temporali con cui essa è stata introdotta e portata a regime. Non può infatti pretermettersi di considerare che i presupposti di necessità e di urgenza appaiono in particolare contraddetti dalla circostanza che il decreto introduce norme in gran parte non auto-applicative, che richiedono ulteriori misura attuative, demandate nella specie alla Banca d’Italia, per la concreta determinazione del proprio contenuto precettivo. E, sotto tale profilo, ben più di un significativo indizio della carenza dei citati presupposti è fornito dallo stesso art. 1, comma 2, del d.l. n. 3 del 2015, il quale prevede, appunto, che: “In sede di prima applicazione del presente decreto, le banche popolari autorizzate al momento dell’entrata in vigore del presente decreto si adeguano a quanto stabilito ai sensi dell’articolo 29, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, introdotti dal presente articolo, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore
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delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca d’Italia ai sensi del medesimo articolo 29”. Non si può sotto tale profilo non evocare la previsione generale di cui all’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per la quale il decreto-legge deve contenere “misure di immediata applicazione”, che, pur non avendo sul piano formale rango costituzionale, esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge (in questi termini cfr. Corte cost. 22/2012 e n. 220/2013). Né la Relazione illustrativa vale a fugare i dubbi circa la evidente mancanza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza. In base alla Relazione illustrativa, l’importanza di intervenire con urgenza si fonderebbe “sui reiterati interventi al riguardo svolti dal Fondo monetario internazionale, dalla Commissione europea e dalla Banca d’Italia, i quali hanno più volte segnalato i rischi che il mantenimento della forma cooperativa determina per le banche popolari maggiori: scarsa partecipazione dei soci in assemblea (che mina la democrazia azionaria e determina una concentrazione di potere in favore di gruppi di soci organizzati); scarsi incentivi al controllo costante sugli amministratori (che si traducono in situazioni di autoreferenzialità della dirigenza); difficoltà di reperire nuovo capitale sul mercato e, quindi, di assicurare la sussistenza dei fondi che potrebbero essere necessari per esigenze di rafforzamento patrimoniale”. Si richiamano, in particolare, i risultati delle analisi effettuate dal Fondo monetario internazionale in occasione del Financial Sector Asses-
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sment Program e quelli dell’esercizio di valutazione approfondita condotto dalla BCE i quali mostrano che la solidità delle banche dipende ampiamente dalla qualità del governo societario. Osserva, tuttavia, il Collegio come i rischi richiamati a fondamento dell’urgenza appaiono, allo stato, non attuali e concreti, ma meramente potenziali. Non risultano, infatti – e, comunque, non sono specificamente allegate o richiamate – concrete contingenze tali da rendere attuale ed imminente il pericolo che le banche popolari interessate dalla riforma si trovassero, nella contingenza, concretamente ed immediatamente esposte ai suddetti pericoli. Nel dettaglio, ripercorrendo le motivazioni della Relazione illustrativa, non risulta che vi siano attualmente (rectius: che vi fossero all’atto dell’emanazione del decreto-legge) gravi e straordinarie situazioni di concentrazione di potere in capo a gruppi organizzati di soci, né forme allarmanti di autoreferenzialità della dirigenza, né straordinarie difficoltà patrimoniali o di reperimento di capitale. Non sembra, in altri termini, che le ragioni richiamate per giustificare l’utilizzo dello strumento del decretolegge trovino (rectius: trovassero) riscontro concreto in circostanze straordinarie tali da giustificare l’urgenza dell’intervento normativo. La sussistenza dell’urgenza risulta, del resto, ulteriormente smentita dalla considerazione che la materia disciplinata dall’art. 1 del decreto legge n. 3 del 2015 (la riforma strutturale delle banche popolari) è da lungo tempo al centro di un ampio dibattitto che ha visto intervenire anche le Istituzioni dell’Unione Europea ed alcune
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Organizzazioni internazionali (F.M.I. e O.C.S.E.). Si tratta, quindi, di un intervento normativo che, similmente a quanto accaduto in altri casi in cui la Corte costituzionale ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 77, comma 2, Cost. (cfr., in particolare, Corte cost. n. 220 del 2013), dà vita ad una riforma sistematica ed ordinamentale (in questo caso la trasformazione radicale dell’intero sistema delle banche popolari), intervenendo su un tema su cui da tempo è aperto un ampio dibattito, nelle sedi politiche e dottrinali, e che non nasce, nella sua interezza e complessità, da un “caso straordinario di necessità e d’urgenza”. Non valgono, quindi, a superare i dubbi di costituzionalità relativi alla carenza (che nel caso di specie può ritenersi evidente) dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza le pur richiamate esigenze di tutela della concorrenza, di consolidamento patrimoniale delle banche e di finanziamento del sistema economico, perché il decreto-legge, come affermato dalla Corte costituzionale, come strumento non è adeguato “a realizzare una riforma organica e di sistema, che non solo trova le sue motivazioni in esigenze manifestatesi da non breve periodo, ma richiede processi attuativi necessariamente protratti nel tempo, tali da poter rendere indispensabili sospensioni di efficacia, rinvii e sistematizzazioni progressive, che mal si conciliano con l’immediatezza di effetti connaturata al decreto-legge, secondo il disegno costituzionale” (Corte cost. n. 220 del 2013). Per concludere sul punto, il Collegio – pur opinando che potrebbe essere sopravvenuta una sanatoria,
sebbene con effetti solo ex nunc, dell’originaria carenza dei presupposti legittimanti la decretazione d’urgenza ex art. 77 Cost. per effetto della legge di conversione del decreto – ritiene, comunque, di dover sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del d.l. n. 3/2015 per originario (e manifesto) difetto dei presupposti ex art. 77 Cost.; ovvero, secondo altra prospettazione dogmatica, della relativa legge di conversione n. 33/2015, per avere quest’ultima convertito in legge il predetto decreto pur nell’evidente difetto dei prefati presupposti essenziali: e ciò appunto in quanto detti profili di illegittimità costituzionale non risultano manifestamente infondati, ove la Corte costituzionale non ritenga di aderire alla tesi della sanatoria sopravvenuta (pur se solo ex nunc) di cui si è già ampiamente detto. È di piena evidenza come tale questione, ove giudicata fondata, sarebbe, invero, di per sé dirimente, nel giudizio di costituzionalità, in quanto il suo eventuale accoglimento avrebbe l’effetto di assorbire le ulteriori questioni di legittimità sul “merito” della legge, che verranno sollevate infra. 25. Risulta invece manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità che attiene alla scelta del legislatore di prevedere l’incompatibilità, per le banche popolari, della forma della società cooperativa in caso di superamento del limite degli otto miliardi di euro di attivo (con conseguente obbligo, in caso di superamento, di optare per una tra le seguenti alternative: trasformazione in società per azioni; liquidazione della società; riduzione dell’attivo al di sotto degli otto miliardi di euro).
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L’individuazione delle forme giuridiche nelle quali un ordinamento ritiene che vada necessariamente esercitata l’impresa bancaria rientra, infatti, nella discrezionalità del legislatore, insindacabile in sede di legittimità, se non a fronte di profili di macroscopica irragionevolezza, indizianti di un eccesso di potere legislativo: profili che nella specie, tuttavia, non si ravvisano. 26. Discorso assolutamente analogo vale per la soglia degli otto miliardi di euro, la fissazione della quale, sebbene inferiore alla soglia dei trenta miliardi utilizzata ad altri fini dal diritto dell’Unione europea (tale è il criterio utilizzato per identificare le banche “significative” assoggettate alla vigilanza della Banca centrale europea nell’ambito del Meccanismo di Vigilanza Unico), rientra nella discrezionalità del legislatore e non presenta profili di manifesta irragionevolezza. 27. Il Collegio – nei limiti di quanto in questa sede devoluto alla propria competenza, e dunque senza voler incidere in alcun modo sulle già pendenti questioni di legittimità costituzionale sollevate in via principale dalla Regione Lombardia, di cui si dirà oltre – ritiene manifestamente infondati anche i dubbi di legittimità costituzionali volti a lamentare, sotto diversi profili, la lesione della competenze legislative regionali (segnatamente della potestà legislativa regionale concorrente in materia di “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale” di cui all’art. 117, comma 3, Cost.). Il dubbio di costituzionalità sembra manifestamente infondato per la duplice considerazione che nessuna delle banche popolari interessate dalle disposizioni legislative in oggetto
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risulta avere carattere regionale (trattandosi di banche che operano sul mercato nazionale e internazionale); e che, comunque, in questa materia, l’intervento legislativo statale trova il suo titolo legittimante nell’art. 117, comma 2, Cost., che riserva allo Stato le materie sia dell’ordinamento civile (lett. l), sia della “moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari” (lett. e). Su questo specifico punto, comunque, la rilevanza della questione è, di fatto, interamente assorbita dalla circostanza che una questione di costituzionalità dell’art. 1 d.l. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, per violazione delle competenze legislative regionali già pende innanzi alla Corte costituzionale in seguito al ricorso in via principale proposto dalla Regione Lombardia (ricorso depositato presso la cancellaria della Corte costituzionale il 29 maggio 2015, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Prima serie speciale – Corte costituzionale, n. 25 del 15 luglio 2015): sicché la Corte costituzionale risulta essere stata già investita della questione. 28. Non sono, invece, manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale riguardanti alcuni aspetti specifici della disciplina avente ad oggetto il diritto al rimborso del socio in caso di recesso conseguente alla delibera di trasformazione in società per azioni adottata dalla banca popolare. Come si è già evidenziato nella succitata ordinanza cautelare 2 dicembre 2015, n. 5383, i dubbi di legittimità costituzionale riguardano l’art. 1 del decreto legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito con modificazioni dalla
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legge 24 marzo 2015, n. 33, nella parte in cui: a) prevede che, disposta dall’assemblea della banca popolare la trasformazione in società per azioni secondo quanto previsto dal nuovo testo dell’art. 29, comma 2-ter, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, il diritto al rimborso delle azioni al socio che a fronte di tale trasformazione eserciti il recesso sia limitato (con la possibilità, quindi, di escluderlo tout court), e non solo differito entro limiti temporali predeterminati per legge; b) comunque, attribuisce alla Banca d’Italia il potere di disciplinare le modalità di tale esclusione “anche in deroga a norme di legge”, con conseguente attribuzione all’Istituto di vigilanza di un potere di delegificazione “in bianco”, senza la previa e puntuale indicazione, da parte del legislatore, delle norme legislative che possono essere derogate. 29. Sotto il primo profilo, la prevista possibilità di escludere il diritto al rimborso in tutto o in parte, ovvero di differirlo senza limiti di tempo, sembra porsi in contrasto con gli articoli 41 e 42 Cost. (nella parte in cui, rispettivamente, tutelano la libertà di iniziativa economica e la proprietà privata, prevedendo che quest’ultima possa essere espropriata, nei casi preveduti dalla legge e salvo indennizzo, per motivi di interesse generale), nonché con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo. 30. È opportuno muovere proprio dalla disposizione sovranazionale (il citato art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 della CEDU), richiamato come parametro di costituzionalità dall’art.
117, comma 1, Cost. (cfr. Corte cost. n. 348 e n. 349 del 2007; Corte cost. n. 311 del 2009, n. 303 del 2011). La delimitazione dell’ambito di tutela riconosciuta alla “proprietà” dalla CEDU offre, infatti, criteri interpretativi utili per delimitare la tutela che i citati artt. 41 e 42 della Costituzione a loro volta offrono alla libertà di iniziativa economica e alla proprietà privata. L’art. 1, primo paragrafo, del Protocollo n. 1, testualmente dispone: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”. 31. Va ricordato che nella giurisprudenza della Corte EDU la nozione di proprietà ha assunto portata e significato autonomi rispetto agli ordinamenti giuridici dei singoli Stati contraenti, con la conseguenza che è irrilevante che il richiedente sia o meno titolare di un diritto di proprietà secondo l’ordinamento interno; ai fini dell’invocazione della tutela è, infatti, sufficiente che il soggetto richiedente sia titolare di un qualsiasi diritto, ovvero anche di un mero interesse, purché avente valenza patrimoniale La Corte di Strasburgo, in particolare, ha ripetutamente affermato che non le compete definire la questione se ci sia o meno un diritto di proprietà al livello di ordinamento interno, in quanto la nozione di “biens” (in inglese “possessions”) di cui all’articolo 1 del Protocollo n. 1 ha una portata autonoma (Matos e Silva Lda et autres c. Portugal, 16 settembre 1996, § 75). Inoltre, nella decisione Gasus Dosier –
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und Fordertechnik GmbH c. Pays-Bas, 23 febbraio 1995, § 53, la Corte EDU ha precisato che la nozione autonoma di bene fa sì che essa non si limiti alla proprietà dei beni corporali, perché anche altri diritti e interessi aventi valore patrimoniale possono essere considerati “diritti di proprietà” e dunque “biens” ai fini della citata disposizione (nello stesso senso, Brosset-Triboulet c. France, n. 34078/02, 28 marzo 2010). Il criterio utilizzato per delimitare il campo di applicazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale è, dunque, quello del “valore patrimoniale”, senza che assuma rilevanza la qualificazione “interna” della pretesa patrimoniale in termini di proprietà, diritto reale, diritto di credito o mero interesse patrimoniale giuridicamente rilevante. Pertanto, in assenza di una espressa definizione, in seno all’art.1 Protocollo n. 1, dei limiti di applicazione della tutela ivi prevista, ma in conformità con l’interpretazione autonoma del concetto di “bene”, nell’ambito del quale viene incluso, come sopra ricordato, tutto ciò che abbia un valore economicamente valutabile, la Corte ha nel tempo sempre più esteso il campo di applicazione della disposizione, ricomprendendovi non solo la proprietà di beni mobili ed immobili ed i diritti reali, ma anche, tra gli altri: la proprietà intellettuale (Smith Kline and French Laboratories LTd c. Paesi Bassi, n. 12633/87, 4 ottobre 1990, § 70); il diritto alla sfruttamento di una concessione amministrativa (Fredin c. Svezia, n. 12033/86, 18 febbraio 1991); i diritti di credito (Tre Traktorer Aktiebolag c. Svezia, 7 luglio 1989; Raffinieries Grecques Strane t Stratis Andreadis c. Grecia, n. 13427/87, 9 dicembre 1994, § 61, Kotov c. Russia,
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n. 54522/00, 3 aprile 2012; De Luca c. Italia, n. 43870/04, 24 settembre 2013); i diritti ereditari (Inze c. Austria, 8695/79, 28 ottobre 1987); l’avviamento commerciale e la clientela di uno studio professionale (Van Marle e altri c. Paesi Bassi, ricc. n. 8543/79, 8674/79, 8675/79 e 8685/79, 26 giugno 1986); i crediti da lavoro, e, per quello che più rileva in questa sede, le quote di società (Sovtransavto Holding c. Ucraina, 48553/99, 25 luglio 2002, in cui la Corte afferma che “le partecipazioni societarie detenute dalla ricorrente hanno indubbiamente un valore economico e costituiscono “proprietà”, ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n. 1”). 32. Alla luce della giurisprudenza appena richiamata, quindi, non vi è dubbio che sia la partecipazione societaria, sia il diritto al rimborso della quota rappresentino “beni” ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU. 33. Nel caso di specie, la disciplina legislativa introdotta dall’art. 1 del d.l n. 3 del 2015, prevede, da un lato, l’obbligo per le banche popolari di trasformazione in società per azioni (in alternativa agli obblighi di liquidazione o di dismissione di parte delle attività) in caso di superamento della soglia degli otto miliardi di euro di attivo patrimoniale; e, dall’altro lato, la possibilità (demandata, come si vedrà infra, al potere regolamentare della Banca d’Italia, esercitabile peraltro anche in deroga alle norme di legge) di escludere in tutto o in parte, o di rinviare senza limiti di tempo e senza alcun corrispettivo compensatorio, il diritto al rimborso del socio che, in conseguenza di tale trasformazione, abbia esercitato il diritto al recesso. Il risultato finale derivante da tale
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duplice e congiunta previsione solleva, a giudizio del Collegio, dubbi (non manifestamente infondati) di legittimità costituzionale proprio in relazione al rispetto del citato art. 1, del Protocollo n. 1, oltre che in relazione agli artt. 41 e 42 Cost. Per un verso, infatti, la trasformazione in società per azioni (deliberata dall’assemblea dei soci: ma in una situazione di sostanziale semi- vincolatività normativa) modifica sensibilmente in senso riduttivo i diritti “amministrativi” del socio (basti pensare, ad esempio, già solo al fatto che viene meno la regola del voto capitario). Per altro verso, la limitazione totale o parziale del diritto al rimborso incide sui diritti patrimoniali del socio, ponendolo di fronte ad un’alternativa tra due opzioni entrambe penalizzanti: accettare il nuovo status di socio “ridimensionato” per effetto della deliberata trasformazione in società per azioni, ovvero recedere; con il concretissimo rischio però di perdere, in tutto o in parte, la quota versata e subendo così una definitiva perdita patrimoniale (senza alcun corrispettivo o indennità). Il duplice contestuale effetto derivante dall’obbligo di trasformazione (alternativo alla liquidazione o alla riduzione dell’attivo) previsto in capo alla banca popolare e dalla possibile esclusione, totale o parziale, del diritto al rimborso dà così vita ad un meccanismo che, complessivamente considerato, presenta profili di contrasto con la tutela garantita dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1; nonché, sul piano costituzionale interno, anche dagli articoli 41 e 42 della Costituzione. L’esclusione del diritto al rimborso in caso di recesso conseguente alla
trasformazione finisce, invero, per tradursi in una sorta di esproprio senza indennizzo (o con indennizzo ingiustificatamente ridotto) della quota societaria. La trasformazione (imposta dal legislatore al di sopra della soglia degli otto miliardi di euro di attivo patrimoniale, sia pure con la previsione di obblighi alternativi in capo alla banca popolare) modifica in senso peggiorativo il contenuto della partecipazione sociale e, quindi, alla luce della nozione sostanziale di proprietà di cui prima si è detto, riduce il contenuto del diritto di proprietà spettante al socio. Il socio, tuttavia, non ha la garanzia di ottenere il rimborso della quota, nel caso cui ritenga di rinunciare, con il recesso, alla diversa e diminuita “forma di proprietà” derivante dalla trasformazione (imposta ex lege) della banca popolare da società cooperativa in società per azioni. In base alla norma censurata, pertanto, il socio può essere privato di un “bene” che gli appartiene (lo status di socio di società cooperativa, con i connessi diritti), senza avere la garanzia del diritto al rimborso (e, quindi, in sostanza all’indennizzo) nel caso in cui legittimamente ritenga di non accettare il diverso “bene” (lo status di socio in società per azioni) che deriva dalla trasformazione. 34. Non vale a fugare i dubbi di legittimità costituzionale la considerazione secondo cui l’esclusione del diritto al recesso troverebbe una giustificazione nell’esigenza di tutelare un contrapposto interesse pubblico di rilievo costituzionale e comunitario, quale è quello rappresentato, per usare la stessa formula utilizzata dal legislatore, dalla necessità di assicu-
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rare la “computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza delle banche”. Sotto tale profilo, la Banca d’Italia nelle sue difese evidenzia che la riforma limita il diritto al rimborso in caso di recesso solo nel caso in cui ciò sia necessario a trattenere fondi nel patrimonio della società per non violare la disciplina prudenziale e, in particolare, per non intaccare il capitale di qualità primaria, così da pregiudicare la sana e prudente gestione della banca. 35. L’obiezione, tuttavia, non coglie pienamente nel segno, alla luce delle seguenti considerazioni. È vero che nel caso oggetto del presente giudizio viene in rilievo un conflitto tra opposti interessi aventi entrambi rilevanza costituzionale: da un lato, la tutela della proprietà privata, nell’accezione ampia accolta dalla Corte EDU; dall’altro l’interesse generale alla sana e prudente gestione dell’impresa bancaria, correlato alla tutela del credito e del risparmio. Ed è, altresì, altrettanto vero che il bilanciamento tra tali opposti interessi è rimesso, in linea di principio, alla discrezionalità del legislatore. Nondimeno, nell’operare il bilanciamento, la discrezionalità di cui gode il legislatore incontra il limite del c.d. “principio del minimo mezzo”: che trova, a sua volta, il proprio fondamento nei più generali principi di ragionevolezza e proporzionalità. 36. Il principio del minimo mezzo esclude che un bene di rilievo costituzionale possa essere sacrificato – anche se sull’altare di un confliggente interesse di rango costituzionale, e pur ove quest’ultimo risulti prevalente – al di là dei limiti in cui tale sacrificio sia strettamente necessario per assicurare
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un’adeguata tutela dell’interesse, a sua volta costituzionalmente rilevante, che sia ritenuto prevalente nel giudizio di bilanciamento. Si può, quindi, convenire sul fatto che l’esigenza di non intaccare il capitale di qualità primaria (al fine di assicurare la sana e prudente gestione dell’impresa bancaria) giustifichi un sacrificio per gli interessi patrimoniali dei soci. Il profilo che, tuttavia, suscita dubbi di legittimità costituzionale riguarda proprio il rispetto, in concreto, del principio del minimo mezzo da parte della disposizione legislativa de qua: che appare violato nella misura in cui la norma stessa consente che il diritto al rimborso possa essere limitato (anche con la possibilità, quindi, di escluderlo tout court), e non, invece, soltanto differito entro limiti temporali predeterminati e con la previsione di un interesse corrispettivo correlato al ritardato rimborso della quota. La previsione legislativa censurata, nella parte in cui prevede l’esclusione del rimborso (o il suo differimento senza limiti di tempo e senza interessi), si fonderebbe sul presupposto che una banca possa trovarsi in condizioni patrimoniali tali da impedirle, senza intaccare il c.d. capitale di qualità primaria, di far fronte, anche in via differita (entro un termine dato rimesso alla prudente valutazione del legislatore) e con corresponsione di un interesse corrispettivo parametrato ai tassi di mercato (e, quindi, nell’attuale contesto economico, superiore allo zero, ma potenzialmente prossimo ad esso), alle richieste di rimborso dei soci recedenti (in conseguenza della trasformazione).
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In base alla previsione legislativa qui controversa tale banca, comunque, meriterebbe di continuare ad operare sul mercato, anche a scapito degli interessi patrimoniali dei soci recedenti cui viene negato il rimborso (con la possibilità di utilizzare una quota di capitale altrui, perché conferita da ex soci, e quindi da soggetti ormai estranei alla società). Tale ipotesi, che in base alla norma censurata potrebbe legittimamente avversarsi, conferma i sospetti di irragionevolezza della previsione legislativa sotto il profilo della violazione del principio del minimo mezzo. Invero, il fatto che, anche in situazioni come quella appena descritta, il legislatore consenta il sacrificio totale dell’interesse patrimoniale dei soci recedenti è il sintomo di come, nel bilanciamento degli interessi, la norma sia andata oltre a quanto strettamente necessario per tutelare l’interesse pubblico alla sana e prudente gestione dell’attività bancaria. Ciò anche in base alla considerazione che appare in sé non rispettosa dei principi della sana e prudente gestione un’attività bancaria svolta da un’impresa che, come nell’esempio sopra richiamato, non sia ritenuta in grado, neanche nel futuro (ma entro un tempo dato), di ripristinare il capitale di qualità primaria senza ricorrere alle quote di capitale degli ex soci recedenti in conseguenza della trasformazione. 37. Ritiene pertanto il Collegio che l’esigenza di assicurare la sana e prudente gestione dell’attività bancaria non possa giustificare la perdita definitiva del diritto al rimborso; bensì solo il suo differimento nel tem-
po (con la previsione di un termine massimo prestabilito, rimessa alla discrezionalità del legislatore) e salva la corresponsione di un interesse corrispettivo. La previsione di un interesse corrispettivo (parametrabile al tasso di riferimento della BCE che è attualmente pari allo 0,00% e, quindi, a sua volta potenzialmente anche prossimo allo 0, purché comunque positivo) è anch’essa imposta dalla necessità di evitare che il sacrificio derivante dal differimento del rimborso della quota – sebbene intrinsecamente minore di quello conseguente alla sua limitazione parziale o, a fortiori, totale – risulti del tutto privo di qualsivoglia compensazione, determinandosi, altrimenti, anche sotto tale profilo, una forma (sebbene più larvata) di espropriazione senza indennizzo. L’art. 1, d.l. n. 3 del 2015, anche nella parte in cui non prevede, per il caso di differimento del diritto al rimborso, alcuna forma di corresponsione di un interesse corrispettivo presenta, quindi, profili sufficientemente evidenti di incostituzionalità. 38. Non vale ad escludere i dubbi di legittimità costituzionale neanche l’obiezione secondo cui la previsione legislativa che consente di escludere il diritto al rimborso troverebbe fondamento e copertura nelle norme del diritto dell’Unione Europea, e segnatamente nel Regolamento delegato UE n. 241/2014 della Commissione del 7 gennaio 2014 (che integra il Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio). La disposizione del Regolamento che si occupa dei limiti al rimborso
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degli strumenti di capitale è l’art. 10, il quale prevede alternativamente la possibilità sia di rinviare il diritto al rimborso sia di escluderlo (in tutto o in parte). In particolare, l’art. 10, paragrafo 2, dispone testualmente che “La capacità dell’ente di limitare il rimborso conformemente alle disposizioni che regolano gli strumenti di capitale, di cui all’articolo 29, paragrafo 2, lettera b), e all’articolo 78, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 575/2013, riguarda sia il diritto di rinviare il rimborso che il diritto di limitare l’importo rimborsabile”. Il regolamento UE non prevede, quindi, l’obbligo incondizionato di escludere il diritto al rimborso degli strumenti di capitale primario di classe 1. Al contrario, l’art. 10 consente sia di escludere, sia (solo) di rinviare il diritto al rimborso dei predetti strumenti di capitale. L’esclusione del diritto al rimborso per il diritto dell’Unione non è, dunque, un obbligo, ma una facoltà, consentita in alternativa al differimento temporale. Il riconoscimento da parte del Regolamento UE di tale facoltà non è sufficiente, tuttavia, a dare una adeguata “copertura comunitaria” alla norma introdotta dall’art. 1 d.l. n. 3 del 2015. È evidente, infatti, che il legislatore nazionale, a fronte di più “opzioni” comunitariamente consentite, ha l’obbligo di scegliere quella che meglio assicuri il rispetto dei principi costituzionali nazionali. E si è già visto (alla luce delle considerazioni precedentemente svolte) come, in caso di recesso conseguente alla trasformazione in società per azioni delle banche popolari, l’unica
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soluzione che appare costituzionalmente compatibile – perché in linea col principio del minimo mezzo – sia quella del differimento (ad un tempo dato: ossia per un numero massimo di mesi o di anni predeterminato dalla legge) del rimborso, con corresponsione di un interesse corrispettivo per il ritardo (con tasso positivo, sebbene anche minimo). 39. L’art. 1 d.l. n. 3 del 2015 presenta ulteriori dubbi di legittimità costituzionale altresì nella parte in cui attribuisce alla Banca d’Italia il potere di disciplinare le modalità dell’esclusione del diritto al rimborso, giacché detto potere viene attribuito “anche in deroga a norme di legge”: con conseguente attribuzione all’Istituto di vigilanza di un potere di delegificazione “in bianco”, senza la previa e puntuale indicazione, da parte del legislatore, delle norme legislative che possano essere derogate e, altresì, in ambiti verosimilmente coperti da riserva di legge. Nel nostro ordinamento il regolamento di delegificazione è espressamente previsto dall’art. 17, comma 2, legge 23 agosto 1988, n. 400, con attribuzione del relativo potere al Governo. L’art. 17, comma 2, legge n. 400 del 1988, peraltro, accompagna l’attribuzione al Governo del potere di adottare regolamenti di delegificazione con una serie di garanzie, di ordine sia procedimentale (il parere obbligatorio del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari), sia sostanziale (l’individuazione da parte della fonte primaria delle norme generali regolatrici della materia), oltre a ribadire il limite, già desumibile dalla Costituzione, che esclude tale
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tipologia regolamentare in materie coperte da riserva assoluta di legge. 40. Nel caso oggetto del presente giudizio, invece, tali garanzie risultano mancanti, in quanto il legislatore si limita ad attribuire un potere di delegificazione in bianco, senza prevedere alcuna modalità procedimentale, senza dettare alcun principio o norma regolatrice cui attenersi nell’adozione dei regolamenti, e senza individuare le norme primarie suscettibili di essere abrogate. 41. La previsione di un così ampio potere di delegificazione in capo alla Banca d’Italia solleva dubbi di legittimità costituzionale sotto diversi profili. In primo luogo, il dubbio di costituzionalità investe in radice l’attribuzione del potere di adottare regolamenti di delegificazione (con capacità, quindi, di derogare alle norme legislative) a soggetti diversi dal Governo e, per quel che più rileva in questa sede, alla Banca d’Italia, ovvero ad un soggetto estraneo al circuito politico dei rapporti Parlamento- Governo, priva di legittimazione democratica e, dunque, politicamente irresponsabile: ossia, in ultima analisi, ad un soggetto non riconducibile neppure mediatamente – come accade per il Governo, tramite l’istituto della fiducia parlamentare di cui deve godere – alla sovranità popolare, ex art. 1, Cost., da cui promana il fondamento della funzione normativa generale nell’ordinamento giuridico repubblicano. Invero, le ragioni che vengono tradizionalmente invocate a sostegno del potere regolamentare delle Autorità indipendenti in generale e della Banca d’Italia in particolare (la necessità desumibile dalla stessa Costituzione
o dal diritto dell’Unione Europea che la regolazione di determinati mercati sia affidata, anche per la natura politicamente “sensibile” degli interessi pubblici e privati coinvolti, a soggetti politicamente indipendenti e tecnicamente qualificati) non sembrano risultare risolutive nel caso di specie. Qui, infatti, il legislatore non si limita ad attribuire alla Banca d’Italia il potere di regolamentare materie tecnicamente complesse e specialistiche che la legge (o le fonti normative “tipiche”) non sono in grado di regolare in maniera ottimale o che richiedono, per la particolare natura degli interessi in gioco, il regolatore indipendente. In questo caso, il potere regolamentare incide su materie (il diritto al rimborso della quota in caso di recesso) già regolate dalla legge (dal codice civile in particolare) e, soprattutto, prive di quei connotati di particolare tecnicità o settorialità tali da giustificare l’intervento del regolatore indipendente. In quest’ottica, la previsione di un così ampio potere delegificante (e, quindi, della possibilità di dettare regole che si sostituiscono a quelle previste del legislatore) risulta in contrasto con le ragioni che normalmente giustificano la previsione di poteri normativi in capo alle Autorità indipendenti. La delegificazione, infatti, presuppone che la materia sia stata, prima dell’intervento della fonte secondaria delegificante, disciplinata dalla legge (nel caso di specie, come si è detto, principalmente dal codice civile). La stessa preesistenza di una disciplina di rango primario dettata dal legislatore conferma che qui si è al di fuori da quegli ambiti di mercato, settoriali e
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tecnicamente complessi, in presenza dei quali le fonti tipiche promananti da soggetti democraticamente legittimati e politicamente responsabili (essenzialmente la legge o gli atti normativi del Governo) diventano inidonee a dettare la relativa regolamentazione, creando così i presupposti, anche di natura costituzionale, per l’intervento del regolatore indipendente. Risultano, quindi, non manifestamente infondati i dubbi di compatibilità con il sistema costituzionale delle fonti e della rappresentatività istituzionale (quale desumibile dagli articoli 1, 95 e 97 Cost.) l’affidamento (ancorché per legge) ad un’autorità priva di legittimazione democratica (nel senso di direttamente o indirettamente promanante dalla sovranità popolare, ex art. 1 Cost.) del compito di limitare il diritto al rimborso in caso di recesso per mezzo dell’adozione di un atto atipico e asistematico, abilitato, in bianco, a derogare alle norme legislative vigenti. Si tratta, peraltro, di un potere regolamentare di delegificazione caratterizzato da un’inedita latitudine, in quanto, come si è detto, il legislatore non detta alcuna norma generale regolatrice della materia cui attenersi nell’esercizio della delegificazione e non individua neanche le norme legislative di cui è consentita l’abrogazione ad opera della fonte regolamentare. 43. I dubbi di costituzionalità sono rafforzati dalla considerazione che tale potere regolamentare atipico con effetto delegificante è attribuito in materie che appaiono coperte da riserva di legge ai sensi degli articoli 23 e 42 Cost. L’esclusione del diritto al rimborso che si demanda alla regolamentazione della Banca d’Italia si traduce, in-
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vero, in una prestazione patrimoniale imposta al socio recedente, rispetto alla quale la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. preclude una delegificazione regolamentare di così ampia portata. Le considerazioni già svolte in merito all’interferenza tra l’esclusione del diritto al rimborso e la tutela della proprietà privata consentono, infine, di richiamare, ad ulteriore supporto dei dubbi di costituzionalità, la riserva di legge prevista dall’articolo 42 Cost. e dall’articolo 1, paragrafo 1, del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU. È appena il caso di aggiungere che le riserve di legge previste dalla citate norme costituzionali non sembrerebbero, invece, precludere che la legge, previa fissazione di un limite temporale predeterminato e di un tasso di interesse indennitario minimo, demandi ad una fonte di rango secondario (o eventualmente anche al potere regolatorio della Banca d’Italia) l’individuazione o la specificazione, sotto il profilo eminentemente tecnico, dei presupposti economici, finanziari o patrimoniali, che possono concretamente giustificare il differimento del diritto al rimborso della quota del socio recedente. In presenza, invero, di una disciplina legislativa puntuale, che preveda il termine massimo del differimento e l’interesse da corrispondere per il ritardo, la successiva concreta individuazione delle situazioni economiche, finanziarie o patrimoniali che rendono possibile il differimento del diritto al rimborso si traduce in un’attività quasi amministrativa, o al più di specificazione, in chiave meramente tecnica, dei presupposti di legge.
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44. Alla luce delle considerazioni che precedono appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti), convertito con modificazioni in legge 24 marzo 2015, n. 33 – ovvero direttamente di quest’ultima, nei sensi indicati nella superiore motivazione – per i seguenti profili: a) per contrasto con l’art. 77, comma 2, Cost., in relazione alla evidente carenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza legittimanti il ricorso allo strumento decretale d’urgenza (ove non ritenuta sanata, seppure soltanto ex nunc, dalla legge di conversione); b) per contrasto con gli articoli 41, 42 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’articolo 1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla CEDU, nella parte in cui prevede che, disposta dall’assemblea della banca popolare la trasformazione in società per azioni secondo quanto previsto dal nuovo testo dell’art. 29, comma 2-ter, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, il diritto al rimborso delle azioni al socio che a fronte di tale trasformazione eserciti il recesso possa essere limitato (anche con la possibilità, quindi, di escluderlo tout court), e non, invece, soltanto differito entro limiti temporali predeterminati dalla legge e con previsione legale di un interesse corrispettivo; c) per contrasto con gli articoli 1, 3, 95, 97, 23 e 42 Cost., nella parte in cui, comunque, attribuisce alla Banca d’Italia il potere di disciplinare le modalità di tale esclusione, nella misura in cui detto potere viene attribuito
“anche in deroga a norme di legge”, con conseguente attribuzione all’Istituto di vigilanza di un potere di delegificazione in bianco, senza la previa e puntuale indicazione, da parte del legislatore, delle norme legislative che possano essere derogate e, altresì, in ambiti coperti da riserva di legge. 45. Ai sensi dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio davanti al Consiglio di Stato è sospeso fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità. 46. Ai sensi dell’art. 23, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sarà comunicata alle parti costituite e notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti), convertito con modificazioni in legge 24 marzo 2015, n. 33 – ovvero direttamente di tale ultima legge – per i seguenti profili, per come più analiticamente dedotta nella superiore parte motiva: a) per contrasto con l’art. 77, comma 2, Cost. in relazione alla evidente carenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza legittimanti il ricorso allo strumento decretale d’urgenza; b) per contrasto con gli articoli 41, 42 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’articolo 1 del Protocollo Addi-
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zionale n. 1 alla CEDU, nella parte in cui prevede che, disposta dall’assemblea della banca popolare la trasformazione in società per azioni secondo quanto previsto dal nuovo testo dell’art. 29, comma 2-ter, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, il diritto al rimborso delle azioni al socio che a fronte di tale trasformazione eserciti il recesso possa essere limitato (anche con la possibilità, quindi, di escluderlo tout court), e non, invece, soltanto differito entro limiti temporali predeterminati dalla legge e con previsione legale di un interesse corrispettivo; c) per contrasto con gli articoli 1, 3, 95, 97, 23 e 42 Cost., nella parte in
cui, comunque, attribuisce alla Banca d’Italia il potere di disciplinare le modalità di tale esclusione, nella misura in cui detto potere viene attribuito “anche in deroga a norme di legge”, con conseguente attribuzione all’Istituto di vigilanza di un potere di delegificazione in bianco, senza la previa e puntuale indicazione, da parte del legislatore, delle norme legislative che possano essere derogate e, altresì, in ambiti coperti da riserva di legge. Dispone la sospensione del presente giudizio davanti al Consiglio di Stato e ordina alla segreteria l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. (Omissis)
(1-3) Incostituzionalità della riforma delle banche popolari per decreto legge e con l’attribuzione a Banca d’Italia di poteri regolamentari e derogatori “in bianco” Sommario: 1. Premessa. – 2. Notazioni sull’ordinanza cautelare. – 3. Il metodo argomentativo del Consiglio di Stato nella proposizione delle questioni di legittimità costituzionale. – 4. Carenza dei presupposti per il ricorso al decreto legge per riformare le banche popolari. – 5. La limitazione del rimborso del valore della partecipazione ai soci recedenti: fonti normative europee ed approfondimenti della dottrina. – 6. Le motivazioni della rimessione alla Corte costituzionale del co. 2-ter dell’art. 28 t.u.b. e delle disposizioni di Banca d’Italia in materia di rimborsi contenute negli “Aggiornamenti del 9/6/2015” alla circolare n. 285/2013.
1. Premessa. Il Consiglio di Stato, Sezione VI, con ordinanza 2 dicembre 2016, n. 5383/2016 ha sospeso l’efficacia di tre sentenze del TAR Lazio (6540, 6544 e 6548/2016) e di alcune “Disposizioni di vigilanza” di Banca d’Italia relative alle misure e procedure di attuazione della “riforma delle banche popolari” (d.l. n. 3/2015, convertito in legge n. 33/2015). Con separata ordinanza 15 dicembre 2016, n. 5277, ha rimesso al giudizio della
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Corte costituzionale una serie di questioni di legittimità relative a disposizioni della riforma, che riguardano: in linea generale l’insussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza del ricorso al decreto legge per procedere alla riforma; in particolare la previsione della limitazione del diritto al rimborso del valore delle azioni al socio della banca popolare che, a fronte della trasformazione in società per azioni, eserciti il diritto di recesso; ed, ancora, l’attribuzione alla Banca d’Italia del potere di disciplinare le modalità di tale limitazione «anche in deroga a norme di legge» (delegificazione non solo “in bianco”, ma anche derogatoria). È da notare innanzitutto la tecnica di adottare due ordinanze speculari, che rimandano l’una all’altra: - la prima, in ordine temporale, che accorda la misura cautelare e “preannuncia” la rimessione alla Corte di alcune questioni di legittimità costituzionale, già sinteticamente ma puntualmente messe a fuoco; - la seconda, di pochi giorni successiva, di rimessione alla Corte, che si “innesta” sulla prima, sviluppandone i profili costituzionali ma anche quelli cautelari. La scelta della pronuncia “a doppio corpo” è stata eminentemente pratica: da un lato accordare immediatamente la sospensione, al fine di bloccare un passaggio cruciale, le già programmate assemblee societarie convocate per la trasformazione di alcune popolari “maggiori” (c.d. “sopra soglia”) in s.p.a.; dall’altro prendere il tempo necessario per stendere la complessa ordinanza di rimessione.
2. Notazioni sull’ordinanza cautelare. Nelle pagine che seguono si concentrerà l’attenzione soprattutto sulle motivazioni dell’ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale, ma merita almeno un cenno l’argomentazione – pienamente condivisibile – relativa al rapporto tra giudizio – e tutela – cautelare e sospensione del giudizio (di appello), correlata alla rimessione alla Corte delle questioni di costituzionalità: «Al fine di conciliare il carattere accentrato del sindacato di costituzionalità con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.; artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) questo Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 5383/2016 ha pertanto concesso una misura cautelare “interinale” sino alla camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale» (pag. 12 dell’ordinanza di remissione). Il Consiglio di Stato ha optato, in pratica, per un procedimento cautelare a due fasi:
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– nella prima, in attuazione del principio di effettività, che in sede cautelare significa innanzitutto tempestività1, ha accordato la sospensione “a termine”, in ragione dei dubbi di costituzionalità (che riguardano sia le norme primarie sia le “Istruzioni” di Banca d’Italia), ma anche del pregiudizio grave ed irrimediabile che l’attuazione di entrambe le categorie di precetti avrebbe arrecato agli appellanti. Sul punto la motivazione più diffusa è peraltro contenuta nell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale (n. 5277/2016), laddove (par. 17) evidenzia il periculum in mora per i soci delle banche popolari che non avevano ancora adottato le deliberazioni assembleari di trasformazione in s.p.a., dalle quali sorge il diritto del socio dissenziente di recedere e di ottenere il rimborso della partecipazione; rimborso però limitato da una norma primaria, sino a poter essere, in ipotesi, escluso da Banca d’Italia; – nella seconda fase, che sarà successiva alla pronuncia della Corte costituzionale, la questione verrà riesaminata alla luce del portato della pronuncia stessa. Non è affatto escluso che – ove la Corte ritenga fondate, in tutto o in parte, le questioni sollevate – il Consiglio di Stato, all’esito dell’udienza cautelare nuovamente fissata, possa definire il giudizio anche nel merito (ex art. 60 del Codice del Processo Amministrativo – d.lgs. n. 104/2010 e s.m.i.)2 e con sentenza in forma semplificata3.
3. Il metodo argomentativo del Consiglio di Stato nella proposizione delle questioni di legittimità costituzionale. Venendo alle questioni di legittimità costituzionale sollevate è innanzitutto da segnalare il metodo utilizzato dai giudici di Palazzo Spada per costruire il percorso argomentativo svolto nell’ordinanza di rimessione. Tale percorso si basa su una triangolazione4 tra acquis della Corte costituzionale, principi del diritto interno (in particolare societario) ed
Picozza, Manuale di diritto processuale amministrativo, Milano, 2017. In tema v. Di Carlo, Definizione del giudizio in esito all’udienza cautelare in Picozza, a cura di, Codice del processo amministrativo, Torino, 2010, p. 111 ss. 3 Aperio Bella, La definizione del giudizio con sentenza semplificata, in Sandulli, a cura di, Il nuovo processo amministrativo, vol. II, Milano, 2013, p. 192 ss. 4 Si riprende, adattandola alla fattispecie, una locuzione di Cassese in Cassese e Torchia, Diritto amministrativo. Una conversazione, Bologna, 2014, p. 42. 1 2
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acquis delle Corti europee (in particolare della CEDU). Un triplice apertura, condotta con amplissimi richiami e rinvii, sintomatici dell’attitudine della nostra giustizia amministrativa di “mettersi in rete”, per usare un’immagine, con le Corti europee5.
4. Carenza dei presupposti per il ricorso al decreto legge per riformare le banche popolari. L’ordinanza di rimessione ha ritenuto “non manifestamente infondata” la censura, prospettata dagli appellanti, relativa alla carenza dei presupposti di necessità ed urgenza che legittimano il ricorso al decreto legge. I Giudici remittenti – dopo aver ripercorso diffusamente l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia, con una lunga, ma forse superflua, digressione sulla questione dei limiti di emendabilità dei d.l. in sede di conversione – motivano in ordine alla manifesta insussistenza dei presupposti di cui all’art. 77 Cost. Le argomentazioni addotte sono, schematizzando: I) il fatto che – ad onta dell’invocata urgenza – il decreto contiene disposizioni «in gran parte non auto-applicative, che richiedono ulteriori misure attuative, demandate nella specie alla Banca d’Italia, per la concreta determinazione del proprio contenuto precettivo», ciò che contrasta anche con l’art. 15, co. 3, della legge n. 400/1988, giusta il quale il decreto legge deve contenere «misure di immediata applicazione». Sotto questo profilo si può rilevare: - che nella realtà contemporanea, in presenza di materie molto tecniche e complesse, non si può richiedere ai decreti legge un’autosufficienza “assoluta”, essendo spesso indispensabili provvedimenti attuativi, anche di tipo regolamentare (a meno che il decreto non si configuri strutturalmente come legge provvedimento in senso stretto)6; - che non può essere ritenuto, di per sé, illegittimo che un decreto preveda delle scadenze temporali per la sua compiuta attuazione, in quanto l’urgenza può riguardare proprio l’introduzione di un nuovo regime giuridico di una certa attività; - che, tuttavia, gli elementi caratterizzanti il nuovo regime giuridico debbono essere compiutamente definiti ab initio e la loro concreta con-
Pajno, La giustizia amministrativa nel 2017, in Giorn. Dir. Amm., 2/2017, p. 147 ss. Modugno, Fonti del diritto, in Modugno, a cura di, Diritto pubblico, Torino, 2015.
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figurazione e precettività non può essere rimessa “in bianco” a fonti secondarie, per di più derogatorie di leggi; II) l’insussistenza stessa del presupposto dell’urgenza; il Consiglio di Stato – dopo aver ricordato che la questione della riforma delle popolari si poneva da gran tempo, quanto meno dal t.u.b. (d.lgs. n. 385/1993)7 – ha rilevato che i rischi evocati nella “Relazione illustrativa” del d.l. n. 3/2015, siccome connessi al peculiare regime giuridico di tali banche, «appaiono allo stato, non attuali e concreti, ma meramente potenziali» ed ha richiamato una sentenza (n. 220/2013) nella quale la Corte costituzionale ha statuito che il decreto legge non è uno strumento adeguato a realizzare una riforma organica e di sistema, la quale, per sua natura, richiede processi attuativi necessariamente protratti nel tempo. Né – si può aggiungere – a legittimare “a posteriori” la scelta di ricorrere alla decretazione d’urgenza possono soccorrere le situazioni critiche di alcune banche popolari, successivamente esplose, ma già in “incubazione” all’epoca, dovute però, più che al regime giuridico, a malamministrazione ed a carenze della vigilanza.
5. La limitazione del rimborso del valore della partecipazione ai soci recedenti: fonti normative europee ed approfondimenti della dottrina. La riforma delle banche popolari è stata oggetto di numerosi commenti, sovente critici8, che hanno riguardato vari suoi aspetti (anche, in apicibus, il ricorso al decreto legge). Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza in commento, ha rimesso alla Corte una disposizione del d.l. che ha modificato il t.u.b., divenendo l’attuale co. 2-ter dell’art., il quale aveva già attirato vivaci critiche di autorevoli studiosi9. Ci si limita, quindi, ad un rapido richiamo alla questione centrale – la limitazione del rimborso del valore della partecipazione in caso di recesso del socio dissenziente rispetto alla trasformazione della società
7 Oppo, Credito cooperativo e Testo Unico sulle banche, in Amorosino, a cura di, Le banche. Regole e mercato, Milano, 1995, p. 27 ss.. 8 Capriglione, a cura di, La riforma delle banche popolari, Padova, 2015. 9 Salamone, Il recesso delle banche popolari ovvero «rapina a mano armata», in questa Rivista, 2/2016, p. 239 ss; Urbani, Brevi considerazioni in tema di scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio nella riforma della disciplina delle banche popolari, in Capriglione, a cura di, La riforma, cit.
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bancaria cooperativa in s.p.a. – al fine di valutare l’esattezza della prospettazione che ne ha fatto il Consiglio di Stato in sede di proposizione dell’incidente di costituzionalità. La possibile limitazione è funzionale, nell’art. 28, co. 2-ter, alla necessità «di assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca». Il principio civilistico generale del diritto del socio recedente al rimborso integrale del valore della partecipazione, in caso di trasformazione della forma societaria è “soverchiato” dal diritto speciale delle società bancarie che – in funzione del rispetto dei parametri di vigilanza prudenziale – può imporre di contenere o di diluire nel tempo, se non di “neutralizzare”, l’impatto del recesso sulla patrimonializzazione della banca. Il fondamento della divaricazione dal principio codicistico è nel divieto di distribuzione di elementi dell’attivo patrimoniale della banca – nella specie il capitale primario di classe I – ove tale distribuzione sia rischiosa, anche prospetticamente, per la sana e prudente gestione dell’impresa bancaria. Il divieto è sancito nell’art. 141, par. 1, della Direttiva 2013/36/UE [CRD IV], recepita con il d.lgs. n. 72/2015 e, specificamente per le cooperative, dall’art. 29, par. 2, del Regolamento n. 575/2013/UE [CRR]. Le norme europee ora citate costituirebbero il «diretto referente costituzionale»10 dell’attuale art. 28, co. 2-ter del t.u.b. E, poiché il rimborso integrale della partecipazione avviene (in caso di assenza di acquirenti terzi) con fondi propri della società bancaria – ad esempio: le riserve – ciò comporta una riduzione del capitale primario di classe I. Di conseguenza il diritto a tale rimborso può essere limitato o differito – alla luce della specifica situazione della banca – affinché il capitale primario stesso non venga a ridursi al di sotto dei parametri prudenziali di vigilanza. La dottrina11 ha opportunamente evidenziato la peculiarità della disciplina, di stretta derivazione europea, in tema di misura dell’attivo delle società bancarie – rispetto a quella societaria generale – proprio in funzione del rispetto degli speciali criteri prudenziali dettati per la gestione delle imprese bancarie. Il punto critico è che il sacrificio patrimoniale viene imposto soltanto al socio recedente, quasi a punirlo dell’esercizio della sua facoltà di
Salamone, Il recesso, cit., p. 247. Salamone, Il recesso, cit., p. 258.
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recesso, e non anche ai soci rimasti nella s.p.a. bancaria (ad esempio: con un’analoga limitazione degli utili distribuiti), realizzando un’equa ripartizione – più o meno contestuale – del “costo dei rischi” 12 dell’impresa bancaria. È evidente, infatti, che la “spalmatura” tra tutti i soci dell’onere di assicurare lo standard patrimoniale prudenziale prescritto comporterebbe una minore (e più equa) riduzione dell’importo del rimborso ai soci recedenti. Riassumendo: - la previsione di eventuali limitazioni quantitative al rimborso è contenuta in “regole” europee di settore che sono superprimarie13 (senza, tuttavia, essere “costituzionali” come, pur autorevolmente, ritiene Salamone); - per il principio generale della par condicio tra i soci l’eventuale sacrificio non dovrebbe essere sopportato soltanto dal recedente, ma anche – in modi da determinarsi – dai soci che rimangono nella s.p.a. (ed hanno interesse alla sua stabilità futura). In caso contrario si determina una disparità di trattamento in un momento topico costituito dall’operazione straordinaria della trasformazione in s.p.a.
6. Le motivazioni della rimessione alla Corte costituzionale del co. 2-ter dell’art. 28 del t.u.b. e delle disposizioni di Banca d’Italia in materia di rimborsi, contenute negli “Aggiornamenti del 9/6/2015” alla circolare n. 285/2013. I sintetici richiami che precedono alla dottrina ed alle norme europee in materia di limitazione del rimborso della partecipazione consentono di analizzare rapidamente le motivazioni della ritenuta “non infondatezza” della questione di legittimità costituzionale delle disposizioni primarie e secondarie in epigrafe. Il Consiglio di Stato ha individuato due profili di incostituzionalità.
Amorosino, La regolazione pubblica delle banche, Padova, 2016, p. 47 ss.. Predieri, Commento all’art. 6, in Capriglione, a cura di, Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia3, Padova, 2012, p. 75 ss.. 12 13
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6.1. Il primo attiene al ritenuto contrasto del co. 2-ter dell’art. 28 t.u.b. con gli artt. 41 e 42 Cost. «nella parte in cui, rispettivamente, tutelano la libertà di iniziativa economica e la proprietà privata (…) nonché con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo», giusta il quale «nessuno può essere privato della proprietà dei suoi beni se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale». L’ordinanza muove proprio dal Protocollo Addizionale della Convenzione europea ricordando che la Corte EDU ha dato, nel tempo, un’interpretazione via via ampliativa della nozione di bene e di proprietà, ora latamente intesa come titolarità di un diritto o interesse avente valore patrimoniale, ivi comprese le partecipazioni societarie (e di conseguenza – nel caso in esame – il diritto al rimborso della quota di partecipazione). L’obbligo – introdotto dall’art. 1 del d.l. n. 3/2015 – per le maggiori banche popolari (“sopra soglia” degli 8 miliardi di euro di attivo patrimoniale) di trasformarsi in s.p.a., sommato alla «possibilità di escludere in tutto o in parte o di rinviare senza limiti di tempo e senza alcun corrispettivo compensatorio il diritto al rimborso del socio» recedente, configurano – secondo il Consiglio di Stato – una situazione di illegittima compressione dei diritti del socio stesso. Da un lato perché la “semivincolatività” della trasformazione (pena la liquidazione della società cooperativa o la dismissione di assets per rientrare “sotto soglia”) modifica «in senso riduttivo i diritti amministrativi del socio» (ad esempio: con il venir meno del voto capitario). Dall’altro perché «la limitazione totale o parziale del rimborso incide sui diritti patrimoniali del socio ponendolo di fronte ad un’alternativa tra due opzioni entrambe penalizzanti: accettare il nuovo stato di socio “ridimensionato” per effetto della deliberata trasformazione in s.p.a.; ovvero recedere con il concretissimo rischio di perdere, in tutto o in parte, la quota versata subendo così una definitiva perdita patrimoniale (senza alcun corrispettivo o indennità)». Interessante, sotto questo profilo, è la replica – nell’ordinanza in commento – alla tesi – sostenuta dalla difesa di Banca d’Italia – che giustifica il sacrificio individuale con l’interesse pubblico, costituzionale e comunitario, di assicurare la stabilità delle banche lasciando nel loro patrimonio di vigilanza la massima parte del valore delle azioni, che – come s’è visto – costituisce capitale di qualità primaria.
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Il Consiglio di Stato ha rilevato che nel bilanciamento tra i due opposti interessi di rilevanza costituzionale – la tutela della proprietà e quella del risparmio (cui è funzionale la sana e prudente gestione delle banche) – la discrezionalità del legislatore incontra il limite del “minimo mezzo”, in forza del quale il sacrificio del primo può essere giustificato solo nella misura in cui esso è strettamente necessario alla salvaguardia del secondo. Tale principio – prosegue il Giudice remittente – «appare violato nella misura in cui la norma consente che il diritto al rimborso possa essere limitato (anche con la possibilità, quindi, di escluderlo tout court) e non, invece, soltanto differito entro limiti temporali predeterminati e con la previsione di un interesse corrispettivo correlato al ritardato rimborso della quota». In concreto, la riduzione, o esclusione, o rinvio a tempo indeterminato favorisce le banche in trasformazione che non sono in grado di rimborsare i soci recedenti senza intaccare il capitale di qualità primaria. «Invero, il fatto che, anche in situazioni come quella appena descritta, il legislatore consenta il sacrificio totale dell’interesse patrimoniale dei soci recedenti è il sintomo di come, nel bilanciamento degli interessi, la norma sia andata oltre a quanto strettamente necessario per tutelare l’interesse pubblico alla sana e prudente gestione dell’attività bancaria. Ciò anche in base alla considerazione che appare in sé non rispettosa dei principi della sana e prudente gestione un ’attività bancaria svolta da un ’impresa che, come nell’esempio sopra richiamato, non sia ritenuta in grado, neanche nel futuro (ma entro un tempo dato), di ripristinare il capitale di qualità primaria senza ricorrere alle quote di capitale degli ex soci recedenti in conseguenza della trasformazione». 6.2. I Giudici remittenti hanno anche ritenuto superabile l’obiezione della Difesa di Banca d’Italia, secondo cui la previsione legislativa interna trova “fondamento e copertura” nelle norme europee sopra chiamate, cui è da aggiungere l’art. 10 del Regolamento delegato n. 241/2014/UE (che integra il Regolamento n. 575/2013/UE). Secondo “Palazzo Spada” le regole europee prevedono la mera facoltà di limitare l’importo rimborsabile o di rinviare il rimborso, e, si soggiunge, che «il legislatore nazionale, a fronte di più “opzioni” comunitariamente consentite, ha l’obbligo di scegliere quella che meglio assicuri il rispetto dei principi costituzionali nazionali», concludendo che «l’unica soluzione che appare costituzionalmente compatibile – perché in linea
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con il principio del minimo mezzo – sia quella del differimento (ad un tempo dato, ossia per un numero massimo di mesi o di anni predeterminato dalla legge) del rimborso, con corresponsione di un interesse per il ritardo…» La posizione ora richiamata appare in linea di principio condivisibile e potrebbe essere qualificata e “rafforzata” in due modi: - sottolineando, nel giudizio innanzi alla Corte, la rilevata ingiustificata disparità di trattamento tra soci receduti e soci rimasti, che sono maggiormente interessati al buon andamento futuro della s.p.a. bancaria (ad vitandum “bail in”); - chiedendo che la Corte puntualizzi che il legislatore aveva l’obbligo di indicare la misura massima della limitazione quantitativa del rimborso, nonché il termine massimo per l’eventuale dilazione del rimborso stesso. 6.3. Condivisibili, infine, appaiono le “censure” concernenti l’attribuzione alla Banca d’Italia, cioè ad un soggetto diverso dal governo, del potere di adottare – mediante le sue “Istruzioni” – regolamenti di delegificazione anche in deroga a norma di legge. In proposito viene sottolineato che tale Autorità è «estranea al circuito politico Parlamento – Governo, priva di legittimazione democratica e, dunque, politicamente irresponsabile». Il Consiglio di Stato, peraltro, ha evitato di riaprire la questione generale dell’attribuzione di poteri normativi alle Autorità di vigilanza “finanziarie14”, ma si è concentrato sul caso di specie nel quale «il potere regolamentare incide su materie (il diritto al rimborso della quota …) già regolate dal codice civile e soprattutto prive di quei connotati di particolare tecnicità o settorialità da giustificare l’intervento del regolatore indipendente (…). La delegificazione, infatti, presuppone che la materia sia stata, prima dell’intervento della fonte secondaria delegificante, disciplinata dalla legge (nel caso di specie, come si è detto, principalmente dal codice civile). La stessa preesistenza di una disciplina di rango primario dettata dal legislatore conferma che qui si è al di fuori da quegli ambiti di mercato, settoriali e tecnicamente complessi, in presenza dei quali le fonti tipiche promananti da soggetti democraticamente legittimati e politicamente responsabili (essenzialmente la legge o gli atti normativi del Governo)
Amorosino, La regolazione, cit., spec. cap. I e cap. VIII.
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diventano inidonee a dettare la relativa regolamentazione, creando così i presupposti, anche di natura costituzionale, per l’intervento del regolatore indipendente (…). Si tratta, peraltro, di un potere regolamentare di delegificazione caratterizzato da un’inedita latitudine, in quanto, come si è detto, il legislatore non detta alcuna norma generale regolatrice della materia cui attendersi nell’esercizio della delegificazione e non individua neanche le norme legislative di cui è consentita l’abrogazione ad opera della fonte regolamentare. I dubbi di costituzionalità sono rafforzati dalla considerazione che tale potere regolamentare atipico con effetto delegificante è attribuito in materie che appaiono coperte da riserva di legge ai sensi degli articoli 23 e 42 Cost. L’esclusione del diritto al rimborso che si demanda alla regolamentazione della Banca d’Italia si traduce, invero, in una prestazione patrimoniale imposta al socio recedente, rispetto alla quale la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. preclude una delegificazione regolamentare di così ampia portata. Le considerazioni già svolte in merito all’interferenza tra l’esclusione del diritto al rimborso e la tutela della proprietà privata consentono, infine, di richiamare, ad ulteriore supporto dei dubbi di costituzionalità, la riserva di legge prevista dall’art. 42 Cost. e dall’articolo 1, paragrafo 1, del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU». Il ragionamento dei Giudici amministrativi sulla “criticità” costituzionale dell’attribuzione di un potere delegificante/derogatorio “in bianco” alla Banca d’Italia appare convincente. Bisogna ora vedere cosa ne penserà la Corte. Un’ultima chiosa: è di immediata evidenza come la scelta del legislatore e, “a valle”, quella, se possibile rafforzata, della Banca d’Italia sia – integrando l’icastica definizione di Salamone – una minaccia di “rapina a mano armata”, formulata per scoraggiare i soci delle banche popolari di rilievo sistemico dal recedere all’atto della trasformazione in s.p.a. È da ricordare che il legislatore non è nuovo ad iniziative analoghe. Il d.lgs. n. 153/1999, che disciplinò le fondazioni bancarie, previde la dismissione coattiva delle partecipazioni di controllo degli enti fondazionali nelle società bancarie15.
Predieri, Fondazioni bancarie, dismissione coattiva della partecipazione di controllo nelle società bancarie e compiti di sviluppo economico degli enti locali, in Amoro15
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Nel 2016 la riforma delle BCC ha imposto l’aggregazione coattiva delle banche del settore in capogruppo, costituite in forma di s.p.a., dotate di anomali poteri di ingerenza nelle cooperative bancarie16. Come si vede il dirigismo17, rimpannucciato in vesti riformatrici, è tuttora “vivo e lotta insieme a noi”. Sandro Amorosino
e Capriglione, a cura di, Le «fondazioni» bancarie, Padova, 1999, p. 117 ss.. Sabatelli, Il gruppo bancario cooperativo: profili di governance, in Riv. Trim. Dir. Econ. – Supplemento n. 2 al n. 4/2016, p. 27 ss. 17 Merusi, Commento all’art. 2, in Capriglione, a cura di, Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia1, Padova, 1994, p. 7 ss.. sino
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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni
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Crisi delle banche e interventi “precauzionali” D.l. 23 dicembre 2016, n. 237 (convertito con modificazioni nella l. 17 febbraio 2017, n. 15): Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio.
(Omissis) CAPO I Garanzia dello Stato su passività di nuova emissione
Art. 1 Garanzia dello Stato su passività di nuova emissione 1. Al fine di evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell’economia e preservare la stabilità finanziaria, ai sensi dell’articolo 18 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 e dell’articolo 18, paragrafo 4, lettera d), del regolamento (UE) n. 806/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 luglio 2014, il Ministero dell’economia e delle finanze è autorizzato, fino al 30 giugno 2017, a concedere la garanzia dello Stato su passività delle banche italiane in conformità di quanto previsto dal presente Capo I, nel rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di Stato. 2. Per banche italiane si intendono le banche aventi sede legale in Italia. 3. La garanzia può essere concessa solo dopo la positiva decisione della Commissione europea sul regime di concessione della garanzia o, nel caso previsto dall’articolo 4, commi 2 e 3, sulla notifica individuale. 4. Il Ministro dell’economia e delle finanze può con proprio decreto estendere il periodo di cui al comma 1 e all’articolo 10, comma 1, fino a un massimo di ulteriori sei mesi previa approvazione da parte della Commissione europea. 5. Nel presente Capo I per Autorità competente si intende la Banca d’Italia o la Banca Centrale Europea secondo le modalità e nei casi previsti dal regolamento (UE) del Consiglio n. 1024/2013 del 15 ottobre 2013. Art. 2 Caratteristiche degli strumenti finanziari 1. La garanzia dello Stato può essere concessa su strumenti finanziari di debito emessi da banche italiane che presentino congiuntamente le seguenti caratteristiche: a) sono emessi successivamente all’entrata in vigore del presente decreto-legge, an-
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Legislazione
che nell’ambito di programmi di emissione preesistenti, e hanno durata residua non inferiore a tre mesi e non superiore a cinque anni o a sette anni per le obbligazioni bancarie garantite di cui all’articolo 7-bis della legge 30 aprile 1999, n. 130; b) prevedono il rimborso del capitale in un’unica soluzione a scadenza; c) sono a tasso fisso; d) sono denominati in euro; e) non presentano clausole di subordinazione nel rimborso del capitale e nel pagamento degli interessi; f) non sono titoli strutturati o prodotti complessi né incorporano una componente derivata. Art. 3 Limiti 1. L’ammontare delle garanzie concesse è limitato a quanto strettamente necessario per ripristinare la capacità di finanziamento a medio-lungo termine delle banche beneficiarie. 2. Per singola banca, l’ammontare massimo complessivo delle operazioni di cui al presente articolo non può eccedere, di norma, i fondi propri a fini di vigilanza. Art. 4 Condizioni 1. La concessione della garanzia di cui all’articolo 1 è effettuata sulla base della valutazione caso per caso da parte dell’Autorità competente: a) del rispetto dei requisiti di fondi propri di cui all’articolo 92 del Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, su base individuale e consolidata, alla data dell’ultima segnalazione di vigilanza disponibile1; b) dell’inesistenza di carenze di capitale evidenziate nell’ambito di prove di stress condotte a livello nazionale, dell’Unione europea o del Meccanismo di vigilanza unico, o nell’ambito delle verifiche della qualità degli attivi o di analoghi esercizi condotti dall’Autorità competente o dall’Autorità bancaria europea; per carenza di capitale si intende l’inadeguatezza attuale o prospettica dei fondi propri rispetto alla somma dei requisiti di cui alla lettera a) e degli eventuali requisiti specifici di carattere inderogabile stabiliti dall’Autorità competente. 2. La garanzia di cui all’articolo 1 può essere concessa anche a favore di una banca che non rispetta i requisiti di cui al comma 1, lettera a) o lettera b), ma avente comunque patrimonio netto positivo, se la banca ha urgente bisogno di sostegno della liquidità, a seguito della positiva decisione della Commissione europea sulla compatibilità dell’intervento con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato applicabile alle misure di sostegno alla liquidità nel contesto della crisi finanziaria. 3. La garanzia di cui all’articolo 1 può essere concessa anche a favore di una banca in risoluzione o di un ente-ponte di cui al decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. In questi casi, nessun supporto di liquidità garantito dallo Stato può essere fornito prima della positiva decisione della Commissione europea sulla notifica individuale2. 4. Le banche che ricorrono agli interventi previsti dal presente articolo devono svolgere la
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Lettera così modificata dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. Lettera così modificata dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15.
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propria attività in modo da non abusare del sostegno ricevuto né conseguire indebiti vantaggi per il tramite dello stesso, in particolare nelle comunicazioni commerciali rivolte al pubblico. Art. 5 Garanzia dello Stato 1. La garanzia dello Stato è onerosa, incondizionata, irrevocabile e a prima richiesta. 2. La garanzia copre il capitale e gli interessi. 3. Per ciascuna banca, il valore nominale degli strumenti finanziari di cui all’articolo 2 con durata superiore ai 3 anni sui quali può essere prestata la garanzia dello Stato, non può eccedere un terzo del valore nominale totale degli strumenti finanziari emessi dalla banca stessa e garantiti dallo Stato ai sensi dell’articolo 1. 4. Non possono in alcun caso essere assistite da garanzia dello Stato le passività computabili nei fondi propri a fini di vigilanza. Art. 6 Corrispettivo della garanzia dello Stato 1. Gli oneri economici a carico delle banche beneficiarie della garanzia sono determinati caso per caso sulla base della valutazione del rischio di ciascuna operazione con le seguenti modalità: a) per passività con durata originaria di almeno dodici mesi, è applicata una commissione pari alla somma dei seguenti elementi: 1) una commissione di base di 0,40 punti percentuali; e 2) una commissione basata sul rischio eguale al prodotto di 0,40 punti percentuali per una metrica di rischio composta come segue: la metà del rapporto fra la mediana degli spread sui contratti di Credit Default Swap (CDS) senior a cinque anni relativi alla banca o alla capogruppo nei tre anni che terminano il mese precedente la data di emissione della garanzia e la mediana dell’indice iTraxx Europe Senior Financial a 5 anni nello stesso periodo di tre anni, più la metà del rapporto fra la mediana degli spread sui contratti CDS senior a 5 anni di tutti gli Stati membri dell’Unione europea e la mediana degli spread sui contratti CDS senior a 5 anni dello Stato italiano nel medesimo periodo di tre anni; b) per le obbligazioni bancarie garantite di cui all’art. 7-bis della legge 30 aprile 1999, n. 130, la commissione, di cui al numero 2) della lettera a), è computata per la metà3; c) per passività con durata originaria inferiore a dodici mesi, è applicata una commissione pari alla somma dei seguenti elementi: 1) una commissione di base di 0,50 punti percentuali; e 2) una commissione basata sul rischio eguale a 0,20 punti percentuali nel caso di banche aventi un rating del debito senior unsecured di A+ o A ed equivalenti, a 0,30 punti percentuali nel caso di banche aventi un rating di A- o equivalente, a 0,40 punti percentuali per banche aventi un rating inferiore a A- o prive di rating. 2. Per le banche per le quali non sono negoziati contratti di CDS o comunque non sono disponibili dati rappresentativi, la mediana degli spread di cui al comma 1), lettera a), numero 2), è calcolata nel modo seguente4: a) per banche che abbiano un rating rilasciato da agenzie esterne di valutazione del merito di credito (ECAI) riconosciute: la mediana degli spread sui contratti di CDS a cinque
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Lettera così modificata dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. Alinea così modificata dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15.
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anni nei tre anni che terminano il mese precedente la data di emissione della garanzia registrati per un campione di grandi banche, definito dalla Commissione europea, insediate in paesi dell’area euro appartenenti alla medesima classe di rating del debito senior unsecured; b) per banche prive di rating: la mediana degli spread sui contratti CDS registrati nel medesimo periodo per un campione di grandi banche, definito dalla Commissione europea, insediate in paesi dell’area dell’euro e appartenenti alla più bassa categoria di rating disponibile. 3. In caso di difformità delle valutazioni di rating, il rating rilevante per il calcolo della commissione è quello più elevato. Nel caso in cui le valutazioni di rating disponibili siano più di tre, il rating rilevante è il secondo più elevato 4. I rating di cui al presente articolo sono quelli assegnati al momento della concessione della garanzia. 5. La commissione è applicata in ragione d’anno all’ammontare nominale degli strumenti finanziari emessi dalla banca per i quali è concessa la garanzia. Le commissioni dovute dalle banche interessate sono versate, in rate trimestrali posticipate, con le modalità indicate dall’articolo 24, comma 3. Le relative quietanze sono trasmesse dalla banca interessata al Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento del Tesoro, di seguito denominato: «Dipartimento del Tesoro»5. 6) Il Ministro dell’economia e delle finanze, con decreto adottato sentita la Banca d’Italia, può variare, tenuto conto delle condizioni di mercato, i criteri di calcolo e la misura delle commissioni del presente articolo in conformità delle decisioni della Commissione europea. Le variazioni non hanno effetto sulle operazioni già in essere. Art. 7 Procedura 1. Le richieste di ammissione alla garanzia sono presentate dalle banche interessate nel medesimo giorno alla Banca d’Italia e al Dipartimento del Tesoro con modalità che assicurano la rapidità e la riservatezza della comunicazione. 2. La richiesta è presentata secondo un modello uniforme predisposto dal Dipartimento del Tesoro entro quindici giorni dall’entrata in vigore del presente decreto-legge, pubblicato sul sito internet del Dipartimento del Tesoro e della Banca d’Italia, indicando, tra l’altro, il fabbisogno di liquidità, anche prospettico, della banca, le operazioni di garanzia a cui la banca chiede di essere ammessa e quelle alle quali eventualmente sia già stata ammessa o per le quali abbia già fatto richiesta di ammissione. 3. La Banca d’Italia comunica tempestivamente al Dipartimento del Tesoro, di norma entro 3 giorni dalla presentazione della richiesta: a) le valutazioni dell’Autorità competente sulla sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 4, comma 1; b) nel caso di valutazione positiva della condizione sub a): 1) la congruità delle condizioni e dei volumi dell’intervento di liquidità richiesto, alla luce delle dimensioni della banca e della sua patrimonializzazione; 2) l’ammontare dei fondi propri a fini di vigilanza; 3) l’ammontare della garanzia; 4) la misura della commissione dovuta secondo quanto previsto dall’articolo 6. 4. Sulla base degli elementi comunicati dalla Banca d’Italia, il Dipartimento del
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Comma così modificato dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15.
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Tesoro provvede tempestivamente e di norma entro cinque giorni dalla ricezione della comunicazione della Banca d’Italia, in merito alla richiesta presentata dalla banca. Il Dipartimento del Tesoro comunica la decisione alla banca richiedente e alla Banca d’Italia, con modalità che assicurano la rapidità e la riservatezza della comunicazione. 5. Nei casi previsti dall’articolo 4, commi 2 e 3, ovvero qualora il valore nominale degli strumenti finanziari sui quali è concessa la garanzia sia superiore a 500 milioni di euro e sia superiore al 5% del totale passivo della banca richiedente, la banca è tenuta a presentare, entro due mesi dalla concessione della garanzia, un piano di ristrutturazione per confermare la redditività e la capacità di raccolta della banca a lungo termine senza ricorso al sostegno pubblico. Il piano entro due mesi dalla concessione della garanzia è sottoposto alla Commissione europea ai fini della valutazione della compatibilità della misura con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato. Non è in ogni caso richiesta la presentazione del piano di ristrutturazione quando le passività garantite sono rimborsate entro due mesi dalla concessione della garanzia6. 6. Nei casi indicati all’articolo 4, commi 2 e 3, e salvo quanto previsto dal comma 7, la banca richiedente non può, per tutto il tempo in cui beneficia della garanzia: a) distribuire dividendi; b) effettuare pagamenti discrezionali su strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 ai sensi del regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 575 del 26 giugno 2013 o coperti da clausola di grandfathering delle relative disposizioni transitorie; c) riacquistare propri strumenti di capitale primario di classe 1 o strumenti di cui alla lettera b), anche a seguito dell’esercizio di opzioni call, senza preventiva autorizzazione della Commissione europea; d) acquisire nuove partecipazioni, fatte salve le acquisizioni compatibili con la normativa europea in materia di aiuti di Stato, ivi comprese le acquisizioni per finalità di recupero dei crediti e di temporanea assistenza finanziaria a imprese in difficoltà. 7. Nei casi previsti dall’articolo 4, commi 2 e 3, la garanzia può essere concessa, in deroga al limite minimo di durata di tre mesi previsto dall’articolo 2, comma 1, lettera a), su strumenti finanziari con scadenza non superiore a due mesi7. Art. 8 Escussione della garanzia su passività di nuova emissione 1. La banca che non sia in grado di adempiere all’obbligazione garantita presenta richiesta motivata di attivazione della garanzia al Dipartimento del Tesoro e alla Banca d’Italia, allegando la relativa documentazione e indicando gli strumenti finanziari o le obbligazioni contrattuali per i quali richiede l’attivazione e i relativi importi dovuti. La richiesta è presentata, di norma, almeno trenta giorni prima della scadenza della passività garantita, salvo casi di motivata urgenza. 2. Il Dipartimento del Tesoro accertata, sulla base delle valutazioni della Banca d’Italia, la fondatezza della richiesta, provvede tempestivamente e comunque entro il giorno antecedente alla scadenza dell’obbligazione alla corresponsione dell’importo dovuto dalla banca.
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Comma così modificato dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. Comma così sostituito dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15.
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3. A seguito dell’attivazione della garanzia dello Stato, la banca è tenuta a rimborsare all’erario le somme pagate dallo Stato maggiorate degli interessi al tasso legale fino al giorno del rimborso. La banca è altresì tenuta a presentare, entro e non oltre due mesi dalla richiesta di cui al comma 1, un piano di ristrutturazione da sottoporre alla Commissione europea ai fini della valutazione della compatibilità della misura con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato. 3-bis. Le somme corrisposte dal Tesoro agli istituti di credito per onorare la garanzia prevista dal presente decreto sono vincolate per destinazione e non aggredibili da altri creditori della banca a diverso titolo8. 4. Il presente articolo non pregiudica la facoltà dei detentori delle passività garantite e dei titolari di diritti reali di garanzia sulle medesime di escutere la garanzia dello Stato ai sensi dell’articolo 5, comma 1. Art. 9 Relazioni alla Commissione europea e alle Camere9 1. Il Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base degli elementi forniti dalla Banca d’Italia, presenta alla Commissione europea e alle Camere una relazione trimestrale sul funzionamento del regime, con cui sono fornite informazioni riguardo ciascuna emissione di strumenti garantiti ai sensi del presente Capo, l’ammontare della commissione effettivamente applicata con riferimento a ciascuna emissione, le caratteristiche degli strumenti finanziari di debito non garantiti emessi dalle banche beneficiarie10. Art. 10 Erogazione di liquidità di emergenza 1. Il Ministro dell’economia e delle finanze può rilasciare, entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto-legge, la garanzia statale per integrare il collaterale, o il suo valore di realizzo, stanziato da banche italiane a garanzia di finanziamenti erogati dalla Banca d’Italia per fronteggiare gravi crisi di liquidità (erogazione di liquidità di emergenza - ELA), in conformità con gli schemi previsti dalla Banca centrale europea11. 2. La garanzia statale è irrevocabile e assistita dal beneficio di preventiva escussione, da parte della Banca d’Italia, delle garanzie stanziate dalla banca per accedere al finanziamento ELA. 3. La garanzia di cui al comma 1 può essere rilasciata per operazioni di erogazione di liquidità di emergenza in favore di banche che rispettano, secondo la valutazione dell’Autorità competente, le condizioni di cui all’articolo 4, commi 1, 2 e 3, del presente decreto. 4. La banca che riceve l’intervento di cui al comma 1 deve presentare un piano di ristrutturazione per confermare la redditività e la capacità di raccolta a lungo termine senza ricorso al sostegno pubblico, in particolare per limitare l’affidamento sulla liquidità fornita dalla Banca centrale.
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Comma così inserito dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. Rubrica così sostituita dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. 10 Comma così modificato dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. 11 Comma così modificato dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. 9
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5. Per quanto non diversamente previsto dal presente articolo, alla garanzia statale di cui al comma 1 si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 1, 3, 4, 5, comma 2, 6, 7, 8, commi 3 e 4. Art. 11 Escussione della garanzia statale sull’erogazione di liquidità di emergenza 1. In caso di inadempimento della banca alle proprie obbligazioni di pagamento nei confronti della Banca d’Italia rivenienti dal contratto di finanziamento ELA, la Banca d’Italia, in esito all’escussione del collaterale stanziato a copertura del finanziamento e nei limiti dell’importo garantito, presenta richiesta di attivazione della garanzia statale al Dipartimento del Tesoro, allegando la documentazione relativa all’escussione del collaterale e indicando gli importi residuali dovuti. 2. Il Dipartimento del Tesoro, accertata la fondatezza della richiesta, provvede tempestivamente e comunque entro trenta giorni alla corresponsione dell’importo dovuto dalla banca. Art. 12 Disposizioni di attuazione Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, possono essere adottate misure di attuazione del presente Capo I12. CAPO II Interventi di rafforzamento patrimoniale Art. 13. Intervento dello Stato 1. Il presente Capo II disciplina modalità e condizioni dell’intervento dello Stato a sostegno delle banche e dei gruppi bancari italiani. 2. Al fine di evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell’economia e preservare la stabilità finanziaria, ai sensi dell’articolo 18 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180 e dell’articolo 18, paragrafo 4, lettera d), del regolamento (UE) n. 806/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 luglio 2014, il Ministero dell’economia e delle finanze (di seguito il «Ministero») è autorizzato a sottoscrivere o acquistare, entro il 31 dicembre 2017, anche in deroga alle norme di contabilità di Stato, azioni emesse da banche italiane, appartenenti o meno a un gruppo bancario, o da società italiane capogruppo di gruppi bancari (di seguito l’«Emittente»), secondo le modalità e alle condizioni stabilite dal presente Capo II. 3. Nel presente Capo II per Autorità competente si intende la Banca d’Italia o la Banca centrale europea secondo le modalità e nei casi previsti dal regolamento (UE) del Consiglio n. 1024 del 15 ottobre 2013. Art. 14. Programma di rafforzamento patrimoniale 1. L’intervento dello Stato ai sensi dell’articolo 13 può essere richiesto da un Emittente che - in relazione a una prova di stress basata su uno scenario avverso condotta a
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livello nazionale, dell’Unione europea o del Meccanismo di vigilanza unico - ha esigenza di rafforzare il proprio patrimonio. 2. Per poter chiedere l’intervento dello Stato ai sensi dell’articolo 13 l’Emittente deve aver precedentemente sottoposto all’Autorità competente un programma di rafforzamento patrimoniale (il «Programma»), indicante l’entità del fabbisogno di capitale necessario, le misure che l’Emittente intende intraprendere per conseguire il rafforzamento, nonché il termine per la realizzazione del Programma. 3. L’Autorità competente valuta l’adeguatezza del Programma a conseguire, anche su base consolidata, l’obiettivo di rafforzamento patrimoniale di cui al comma 1 e ne informa l’Emittente e il Ministero. 4. L’Emittente informa al più presto l’Autorità competente sugli esiti delle misure adottate. L’Autorità competente ne informa il Ministero. 5. Se l’attuazione del Programma risulta insufficiente a conseguire l’obiettivo di rafforzamento patrimoniale di cui al comma 1, l’Emittente può presentare la richiesta di intervento dello Stato secondo la procedura stabilita dall’articolo 15. Tale richiesta può essere presentata dall’Emittente già ad esito della valutazione del Programma svolta ai sensi del comma 3, quando l’Autorità competente abbia ritenuto che lo stesso non sia sufficiente a conseguire gli obiettivi di rafforzamento patrimoniale, ovvero durante l’attuazione del Programma stesso, se questa risulta inidonea ad assicurare il conseguimento degli obiettivi di rafforzamento patrimoniale. Art. 15. Richiesta di intervento dello Stato 1. L’Emittente che intende fare ricorso all’intervento dello Stato trasmette al Ministero e all’Autorità competente, e alla Banca d’Italia qualora non sia l’Autorità competente, una richiesta contenente: a) l’indicazione dell’importo della sottoscrizione delle azioni dell’Emittente chiesta al Ministero; b) l’indicazione dell’entità del patrimonio netto contabile, individuale o consolidato a seconda dei casi, alla data della richiesta e l’entità del fabbisogno di capitale regolamentare che residua, se del caso, tenendo conto dell’attuazione del Programma; c) l’indicazione degli strumenti e prestiti di cui all’articolo 22, comma 2, e del loro valore contabile, accompagnata dalla valutazione, predisposta da un esperto indipendente, del valore economico ad essi attribuibile al fine della determinazione del tasso di conversione, in ipotesi di continuità aziendale; d) una relazione di stima, predisposta da un esperto indipendente, dell’effettivo valore delle attività e passività dell’Emittente senza considerare alcuna forma di supporto pubblico e ipotizzando che l’Emittente sia sottoposto a liquidazione alla data di presentazione della richiesta di intervento dello Stato, nonché di quanto in tale caso verrebbe corrisposto pro quota ai titolari degli strumenti e prestiti di cui all’articolo 22, comma 2; e) l’attestazione di impegni di cui all’articolo 17; f) il piano di ristrutturazione (il «Piano»), predisposto in conformità con la disciplina dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato applicabile alle misure di ricapitalizzazione delle banche nel contesto della crisi finanziaria. 2. La Banca d’Italia acquisisce l’asseverazione, da parte di esperti indipendenti da essa nominati, a spese dell’Emittente: a) del valore economico risultante dalla valutazione trasmessa dall’Emittente ai sensi del comma 1, lettera c); b) della stima trasmessa ai sensi del comma 1, lettera d);
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c) della valutazione di cui all’articolo 18, comma 4. 3. Gli esperti indipendenti previsti dai commi 1, lettere c) e d), e 2, non devono avere in corso né devono avere intrattenuto negli ultimi tre anni relazioni di affari, professionali o finanziarie con l’Emittente tali da comprometterne l’indipendenza13. Art. 16. Valutazioni dell’Autorità competente 1. Entro sessanta giorni dalla ricezione della richiesta di cui all’articolo 15, l’Autorità competente comunica al Ministero e all’Emittente il fabbisogno di capitale regolamentare dell’Emittente. 2. L’Autorità competente può chiedere all’Emittente chiarimenti e integrazioni ed effettuare accertamenti. In tali casi il termine di cui al comma 1 è sospeso. Art. 17. Rispetto della disciplina in materia di aiuti di Stato 1. La richiesta di cui all’articolo 15 è corredata della dichiarazione con cui l’Emittente assume, dal momento della domanda e fino a quando la sottoscrizione delle azioni da parte del Ministero non sia stata perfezionata, gli impegni previsti dal paragrafo 47 della comunicazione sul settore bancario della Commissione europea. 2 Fermi restando i poteri dell’Autorità competente, la sottoscrizione può essere subordinata, in conformità alla decisione della Commissione europea sulla compatibilità dell’intervento con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato applicabile alle misure di ricapitalizzazione delle banche nel contesto della crisi finanziaria, alle seguenti condizioni: a) revoca o sostituzione dei consiglieri esecutivi e del direttore generale dell’Emittente; b) limitazione della retribuzione complessiva dei membri del consiglio di amministrazione e dell’alta dirigenza dell’Emittente14. Art. 18. Realizzazione dell’intervento 1. A seguito della comunicazione ai sensi dell’articolo 16 da parte dell’Autorità competente, il Piano e le sue eventuali successive variazioni sono notificati alla Commissione europea. 2. A seguito della positiva decisione della Commissione europea sulla compatibilità dell’intervento con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato applicabile alle misure di ricapitalizzazione delle banche nel contesto della crisi finanziaria, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, adottato su proposta della Banca d’Italia, si dispone l’applicazione delle misure di ripartizione degli oneri in conformità con quanto previsto dall’articolo 22. 3. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato sentita la Banca d’Italia, si dispone altresì: a) ove necessario, l’aumento del capitale dell’Emittente a servizio della sottoscrizione delle azioni da parte del Ministero, derogando anche all’articolo 2441 del codice civile e sempre che esso non sia stato deliberato dall’Emittente;
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b) il prezzo di sottoscrizione o di acquisto nonché ogni altro elemento necessario alla gestione della sottoscrizione o dell’acquisto, comprese le fasi successive; c) la sottoscrizione o l’acquisto delle azioni dell’Emittente. 4. Ai fini delle determinazioni previste dal comma 2, su richiesta del Ministero e nel termine da esso indicato, l’Emittente trasmette al Ministero e alla Banca d’Italia l’indicazione del valore delle azioni necessario per calcolare, in conformità con l’Allegato, il prezzo delle azioni da attribuire ai titolari degli strumenti e prestiti indicati all’articolo 22, comma 2. Il valore delle azioni è calcolato da un soggetto in possesso dei requisiti di indipendenza previsti dall’articolo 15, comma 3, secondo i seguenti criteri: A) nel caso in cui la banca non sia quotata, il valore è calcolato in base alla consistenza patrimoniale della società, alle sue prospettive reddituali, all’andamento del rapporto tra valore di mercato e valore contabile delle banche quotate e tenuto conto delle perdite connesse a eventuali operazioni straordinarie, ivi incluse quelle di cessione di attivi, da perfezionare in connessione con l’intervento dello Stato di cui al presente Capo; B) nel caso in cui la banca sia quotata, il valore delle azioni è determinato in base all’andamento delle quotazioni dei trenta giorni di mercato antecedenti la data indicata dal Ministero avendo riguardo alla data di prevista emanazione del decreto di cui al comma 3; nel caso di sospensione della quotazione per periodi complessivamente superiori a quindici giorni nel periodo di riferimento, il valore delle azioni è il minore tra il prezzo di riferimento medio degli ultimi trenta giorni di mercato nei quali l’azione è stata negoziata e quello determinato ai sensi della lettera a)15. 5. I decreti indicati ai commi 2 e 3 sono adottati se: a) l’Emittente non versa in una delle situazioni di cui all’articolo 17, comma 2, lettere a), b), c), d) o e), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, o di cui all’articolo 18, paragrafo 4, lettere a), b) o c), del regolamento (UE) n. 806/2014; e b) non ricorrono i presupposti per la riduzione o la conversione ai sensi del Capo II del Titolo IV del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, né quelli previsti dall’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 806/2014. 6. Le situazioni e i presupposti indicati al comma 5 si assumono non sussistenti quando non consti un accertamento in tal senso dell’Autorità competente. 7. I decreti di cui ai commi 2 e 3 sono sottoposti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti e sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. 8. Il consiglio di amministrazione o il consiglio di gestione provvedono ad adeguare conseguentemente lo statuto dell’Emittente. Si applica l’articolo 2443, comma 3, del codice civile. Art. 19 Caratteristiche delle azioni 1. Salvo quanto previsto dal comma 2, il Ministero sottoscrive azioni di nuova emissione. Le azioni emesse dall’Emittente per la sottoscrizione da parte del Ministero sono azioni ordinarie che attribuiscono il diritto di voto non limitato né condizionato nell’assemblea ordinaria e nell’assemblea straordinaria, non privilegiate nella distribuzione degli utili né postergate nell’attribuzione delle perdite. 2. Entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione del decreto previsto dall’articolo
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18, comma 2, il Ministero, in caso di transazione tra l’Emittente o una società del suo gruppo e gli azionisti divenuti tali a seguito dell’applicazione delle misure di ripartizione degli oneri di cui all’articolo 22, comma 2, può acquistare le azioni rivenienti dall’applicazione di dette misure, se ricorrono cumulativamente le seguenti condizioni: a) la transazione è volta a porre fine o prevenire una lite avente a oggetto la commercializzazione degli strumenti coinvolti nell’applicazione delle misure di ripartizione degli oneri di cui all’articolo 22, comma 2, limitatamente a quelli per la cui offerta sussisteva obbligo di pubblicare un prospetto e con esclusione di quelli acquistati da controparti qualificate ai sensi dell’articolo 6, comma 2-quater, lettera d), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, o clienti professionali ai sensi dell’articolo 6, commi 2-quinquies e 2-sexies, del medesimo decreto legislativo, diversi dall’Emittente o società del suo gruppo, in assenza di prestazione di servizi o attività di investimento da parte dell’Emittente o da società del suo gruppo; a-bis) gli strumenti oggetto di conversione sono stati sottoscritti o acquistati prima del 1° gennaio 2016; in caso di acquisto a titolo gratuito si fa riferimento al momento in cui lo strumento è stato acquistato dal dante causa16; b) gli azionisti non sono controparti qualificate ai sensi dell’articolo 6, comma 2-quater, lettera d), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, né clienti professionali ai sensi dell’articolo 6, commi 2- quinquies e 2-sexies, del medesimo decreto legislativo; c) la transazione prevede che l’Emittente acquisti dagli azionisti in nome e per conto del Ministero le azioni rivenienti dall’applicazione delle misure di ripartizione degli oneri di cui all’articolo 22, comma 2, e che questi ricevano dall’Emittente, come corrispettivo, obbligazioni non subordinate emesse alla pari dall’Emittente o da società del suo gruppo, per un valore nominale pari al prezzo corrisposto dal Ministero ai sensi della lettera d); tali obbligazioni avranno durata comparabile alla vita residua degli strumenti e prestiti oggetto di conversione e rendimento in linea con quello delle obbligazioni non subordinate emesse dall’Emittente aventi analoghe caratteristiche rilevato sul mercato secondario nel periodo intercorrente tra la data di pubblicazione del decreto di cui all’articolo 18, comma 2, e quella di acquisto delle azioni ai sensi del presente comma; d) il prezzo per l’acquisto da parte del Ministero delle azioni rivenienti dall’applicazione delle misure di ripartizione degli oneri è corrisposto all’Emittente in relazione alle obbligazioni da questo assegnate agli azionisti; il prezzo per l’acquisto di dette azioni è il minore tra quello utilizzato per determinare il numero di azioni da attribuire in sede di conversione ai sensi dell’articolo 22, comma 5, lettera d), e quello che determina un corrispettivo corrispondente al corrispettivo pagato dall’azionista per la sottoscrizione o l’acquisto degli strumenti oggetto di conversione ai sensi dell’articolo 22, comma 2, o, nel caso di acquisto a titolo gratuito, al corrispettivo pagato dal dante causa17; e) la transazione prevede la rinuncia dell’azionista a far valere ogni altra pretesa relativa alla commercializzazione degli strumenti finanziari convertiti, in applicazione delle misure di ripartizione degli oneri di cui all’articolo 22, comma 2, nelle azioni acquistate dal Ministero ai sensi del presente comma18.
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Lettera inserita dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. Lettera così sostituita dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. 18 Lettera così modificata dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. 17
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3. Le azioni dell’Emittente offerte in sottoscrizione al Ministero rispettano le condizioni previste dall’articolo 31 del regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 575 del 26 giugno 2013. 4. Il prezzo delle azioni offerte in sottoscrizione al Ministero è determinato secondo i criteri e la metodologia indicati nell’allegato. 5. Le spese di sottoscrizione e acquisto delle azioni da parte del Ministero sono interamente a carico dell’Emittente. Art. 20. Effetti della sottoscrizione 1. All’assunzione di partecipazioni nell’Emittente da parte del Ministero, conseguente alla sottoscrizione o all’acquisto di azioni disposta ai sensi del presente Capo, non si applicano: a) gli articoli 2527 e 2528 del codice civile; b) gli articoli 106, comma 1, e 109, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; c) eventuali limiti di possesso azionario previsti da disposizioni legislative o statutarie, ivi compresi i limiti previsti dall’articolo 30 del Testo unico bancario. Art. 21. Banche costituite in forma cooperativa 1. Nelle assemblee delle banche costituite in forma cooperativa, in cui il Ministero esercita il diritto di voto inerente alle azioni sottoscritte a seguito delle operazioni previste dal presente decreto-legge, si applicano gli articoli 2351, comma 1, 2368, 2369 e 2372 del codice civile, in luogo degli articoli 2538, commi 2 e 5, e 2539 del codice civile, nonché degli articoli 30, comma 1, e 31, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. Le quote di capitale sociale richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea sono quelle previste dalla legge e non si applica l’articolo 137, comma 4, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 5819. 1- bis. All’articolo 37-bis, comma 1-bis, del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, dopo le parole: «nella medesima provincia autonoma» sono inserite le seguenti: «e che comunque non abbiano più di due sportelli siti in province limitrofe20». Art. 22. Ripartizione degli oneri fra i creditori 1. Salvo quanto previsto al comma 7, la sottoscrizione delle azioni dell’Emittente ai sensi dell’articolo 18 è effettuata dal Ministro dell’economia e delle finanze dopo l’applicazione delle misure di ripartizione degli oneri secondo quanto previsto dal presente articolo, con l’obiettivo di contenere il ricorso ai fondi pubblici21. 2. Con il decreto indicato dall’articolo 18, comma 2, sono disposte le misure di ripartizione degli oneri di seguito indicate e l’aumento del capitale dell’Emittente a servizio delle misure stesse22:
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Comma così modificato dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. Comma aggiunto dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. 21 Comma così modificato dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. 22 Alinea così modificato dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. 20
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a) conversione, in tutto o in parte, in azioni ordinarie di nuova emissione computabili nel capitale primario di classe 1 dell’Emittente aventi le caratteristiche indicate nell’articolo 19, comma 1, degli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 ai sensi del regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 575 del 26 giugno 2013 (Additional Tier 1), inclusi gli strumenti qualificati come strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 ai sensi della clausola di grandfathering del citato regolamento e relative disposizioni di attuazione, nonché delle altre passività dell’Emittente aventi un grado di subordinazione nella gerarchia concorsuale uguale o superiore23; b) ove la misura di cui alla lettera a) non sia sufficiente, conversione, in tutto o in parte, in azioni ordinarie di nuova emissione computabili nel capitale primario di classe 1 dell’Emittente aventi le caratteristiche indicate nell’articolo 19, comma 1, degli strumenti e prestiti computabili come elementi di classe 2 ai sensi del regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 575 del 26 giugno 2013 (Tier 2), inclusi gli strumenti e i prestiti qualificati come elementi di classe 2 ai sensi della clausola di grandfathering del citato regolamento e relative disposizioni di attuazione, nonché degli altri strumenti e prestiti aventi lo stesso grado di subordinazione nella gerarchia concorsuale24; c) ove la misura di cui alla lettera b) non sia sufficiente, conversione, in tutto o in parte, in azioni ordinarie di nuova emissione computabili nel capitale primario di classe 1 dell’Emittente aventi le caratteristiche indicate nell’articolo 19, comma 1, degli strumenti e dei prestiti, diversi da quelli indicati dalle lettere a) e b), il cui diritto al rimborso del capitale è contrattualmente subordinato al soddisfacimento dei diritti di tutti i creditori non subordinati dell’Emittente; c-bis) quando necessario per assicurare l’efficacia delle misure di ripartizione degli oneri, il decreto di cui all’articolo 18, comma 2, può disporre, in luogo della conversione, l’azzeramento del valore nominale degli strumenti e prestiti di cui alle precedenti lettere e l’attribuzione di azioni ordinarie di nuova emissione computabili nel capitale primario di classe 1 dell’Emittente aventi le caratteristiche indicate nell’articolo 19, comma 125. 2 -bis. I maggiori o minori valori che derivano dall’applicazione del comma 2 alle banche emittenti di cui all’articolo 13, comma 2, del presente decreto, non concorrono alla formazione del reddito complessivo ai fini delle imposte sul reddito e alla determinazione del valore della produzione netta26. 3. L’adozione delle misure previste dal comma 2 comporta l’inefficacia delle garanzie rilasciate dall’Emittente se ricorrono cumulativamente le seguenti condizioni: a) la garanzia ha a oggetto passività emesse da soggetti direttamente o indirettamente controllati dall’Emittente; b) le passività garantite indicate alla lettera a) sono state emesse nell’ambito di un’operazione unitaria di finanziamento dell’Emittente che include un finanziamento all’Emittente da parte di un soggetto da questo controllato; c) alle passività dell’Emittente derivanti dal finanziamento concessogli di cui alla lettera b), è applicata la misura di cui al comma 2. 4. L’adozione delle misure previste dal comma 2 comporta, altresì, l’inefficacia delle clausole contrattuali o di altro tipo stipulate dall’Emittente aventi ad oggetto proprie
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Lettera così modificata dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. Lettera così modificata dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. 25 Lettera aggiunta dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. 26 Comma inserito dalla legge di conversione 17 febbraio 2017, n. 15. 24
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azioni o strumenti di capitale di cui allo stesso comma 2 e relative ai diritti patrimoniali spettanti sugli stessi, che ne impediscono o limitano la piena computabilità nel capitale primario di classe 127. 5. Le misure di cui al comma 2 sono disposte: a) nei confronti di tutte le passività indicate al comma 2, ove possibile in base alla legge a esse applicabile, secondo la gerarchia applicabile in sede concorsuale; b) in modo uniforme nei confronti di tutti i creditori dell’Emittente che siano titolari di passività assoggettabili alle misure del comma 2 in base alla legge loro applicabile e appartenenti alla stessa categoria, salvo quanto previsto al comma 7, e proporzionalmente al valore nominale dei rispettivi strumenti finanziari o crediti; c) in misura tale da assicurare che nessun titolare degli strumenti e prestiti di cui al comma 2, riceva, tenuto conto dell’incremento patrimoniale conseguito dall’Emittente per effetto dell’intervento dello Stato, un trattamento peggiore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione dell’Emittente, assumendo che essa avvenga senza supporto pubblico; d) determinando il numero di azioni da attribuire in sede di conversione sulla base della metodologia indicata nell’Allegato, lettera A), fermo restando il rispetto di quanto previsto dalle lettere a), b) e c); e) a condizione che l’Emittente abbia provveduto a convertire in azioni o altri strumenti di capitale primario di classe 1 gli strumenti finanziari convertibili eventualmente emessi, nel rispetto delle condizioni previste dai relativi contratti; a tal fine, l’Emittente include nella richiesta di cui all’articolo 15 l’attestazione di aver provveduto a convertire in azioni o altri strumenti di capitale primario di classe 1 gli strumenti finanziari convertibili eventualmente emessi, nel rispetto delle condizioni previste dai relativi contratti. 6. La condizione di cui al comma 5, lettera c), è verificata quando, tenuto conto della stima prevista dall’articolo 15, comma 1, lettera d), il valore delle azioni assegnate in conversione è almeno pari a quanto verrebbe corrisposto ai titolari degli strumenti di capitale aggiuntivo, degli elementi di classe 2 e degli altri strumenti e prestiti subordinati di cui al comma 2 nel caso in cui l’Emittente venisse sottoposto a liquidazione alla data di presentazione della richiesta di intervento dello Stato. 7. Non si dà luogo, del tutto o in parte, all’applicazione delle misure previste nel presente articolo quando la Commissione europea con la decisione di cui all’articolo 18, comma 2, abbia stabilito che la loro adozione può mettere in pericolo la stabilità finanziaria o determinare risultati sproporzionati. In caso di esclusione parziale dall’applicazione delle misure previste nel presente articolo, il decreto di cui all’articolo 18, comma 2, indica gli strumenti o le classi di strumenti esclusi, fermo il rispetto dei criteri di cui al comma 5, lettere a), c) e d). La valutazione sull’applicabilità delle ipotesi di esclusione indicate nel presente comma è compiuta, per ciascun intervento, dalla Commissione europea. 8. All’assunzione di partecipazioni nell’Emittente conseguente alle misure disposte ai sensi del comma 2 si applicano gli articoli 53 e 58, comma 2, del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, e non si applicano gli articoli 2359-bis, 2359-ter, 2359-quinquies e 2360 del codice civile e l’articolo 121 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. 9. La tutela giurisdizionale avverso le misure indicate dal presente articolo è disciplinata dall’articolo 95 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. In caso di violazione della condizione indicata dal comma 5, lettera c), si applica l’articolo 89, comma 1, del
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decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180; il relativo indennizzo è corrisposto dall’Emittente mediante l’attribuzione di nuove azioni. 10. In caso di adozione di una misura di cui al presente articolo o all’articolo 18, ai contratti stipulati dall’Emittente, da una componente del gruppo bancario a cui esso appartiene o da un soggetto da esso controllato si applica l’articolo 65 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. Sono in ogni caso inefficaci le pattuizioni contenute in contratti stipulati con l’Emittente o con una componente del gruppo a cui esso appartiene, che, in caso di adozione di una misura di cui al presente articolo o di un evento direttamente legato all’applicazione di tali misure prevedono la risoluzione del contratto o attribuiscono al contraente il diritto di recedere dal contratto, di sospendere, modificare o compensare i propri obblighi, di escutere una garanzia, di esigere immediatamente la prestazione pattuita con decadenza dal termine o di pretendere una penale a carico dell’Emittente o di altra componente del gruppo a cui esso appartiene. Relativamente ai contratti stipulati dall’Emittente o da una componente del gruppo a cui esso appartiene, l’adozione di una misura di cui al presente articolo o il verificarsi di un evento direttamente connesso all’applicazione di tali misure non costituisce di per sé un inadempimento di un obbligo contrattuale, un evento determinante l’escussione della garanzia ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170, una procedura di insolvenza ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera p), del decreto legislativo 12 aprile 2001, n. 210, o un evento che determina la decadenza dal termine ai sensi dell’articolo 1186 del codice civile. 11. Le disposizioni contenute nel presente articolo sono di applicazione necessaria ai sensi dell’articolo 9 del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 593 del 17 giugno 2008 e dell’articolo 17 della legge 31 maggio 1995, n. 218. Esse costituiscono provvedimenti di risanamento ai sensi della direttiva (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 24 del 4 aprile 2001 e si applicano e producono i loro effetti negli altri Stati comunitari secondo quanto previsto nel Titolo IV, Sezione III-bis, del Testo unico bancario. Art. 23. Disposizioni finali 1. Con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, possono essere dettate disposizioni di attuazione del presente Capo II. 2. Ai fini della strutturazione degli interventi previsti dal presente Capo II, nonché della gestione dell’eventuale contenzioso, il Ministero può avvalersi, a spese dell’Emittente, di esperti in materia finanziaria, contabile e legale, scelti fra soggetti che non abbiano in corso o non abbiano intrattenuto negli ultimi tre anni relazioni di affari, professionali o finanziarie con l’Emittente tali da comprometterne l’indipendenza28. 3. In sede di prima applicazione del presente Capo, qualora Banca Monte dei Paschi S.p.A. presenti la richiesta di cui all’articolo 15, comma 1, il valore economico da attribuire alle passività oggetto delle misure di ripartizione degli oneri ai sensi dell’articolo 22, comma 2, ai fini di cui al comma 5, lettera d), del medesimo articolo, è così determinato29: a) Emissione XS0122238115: 75% del valore nominale; b) Emissione XS0121342827: 75% del valore nominale;
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c) Emissione XS0131739236: 75% del valore nominale; d) Emissione XS0180906439: 18% del valore nominale; e) Emissione IT0004352586: 100% del valore nominale; f) Emissione XS0236480322: 100% del valore nominale; g) Emissione XS0238916620: 100% del valore nominale; h) Emissione XS0391999801: 100% del valore nominale; i) Emissione XS0415922730: 100% del valore nominale; l)Emissione XS0503326083: 100% del valore nominale; m) Emissione XS0540544912: 100% del valore nominale. In considerazione di quanto previsto dal comma 3, l’eventuale richiesta di Banca Monte dei Paschi di Siena non contiene la valutazione di cui all’articolo 15, comma 1, lettera c). Art. 23-bis. Relazione alle Camere30 1. Il Ministro dell’economia e delle finanze trasmette alle Camere una relazione quadrimestrale relativa alle istanze presentate e agli interventi effettuati, nella quale sono indicati l’ammontare delle risorse erogate e le finalità di spesa, ai sensi del presente Capo. 2. Nella relazione sono indicate, con riferimento agli interventi effettuati nel quadrimestre, le informazioni attinenti al profilo di rischio e al merito di credito, riferite alla data nella quale sono stati concessi i finanziamenti, dei soggetti nei cui confronti l’Emittente vanta crediti, classificati in sofferenza, per un ammontare pari o superiore all’1 per cento del patrimonio netto. CAPO III Disposizioni finanziarie Art. 24 Risorse finanziarie 1. Nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo con una dotazione di 20 miliardi di euro per l’anno 2017, destinato alla copertura degli oneri derivanti dalle operazioni di sottoscrizione e acquisto di azioni effettuate per il rafforzamento patrimoniale (ai sensi del Capo II) e dalle garanzie concesse dallo Stato su passività di nuova emissione e sull’erogazione di liquidità di emergenza (ai sensi del Capo I) a favore delle banche e dei gruppi bancari italiani. 2. Con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze è disposta la ripartizione della dotazione del Fondo tra le finalità di cui al comma 1 e la eventuale successiva rimodulazione in relazione alle effettive esigenze31. 3. Gli importi destinati alla copertura delle garanzie concesse ai sensi del Capo I sono versati su apposito conto corrente di Tesoreria centrale32. 4. I corrispettivi delle garanzie concesse e quelli derivanti dalla successiva eventuale cessione delle azioni sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati al Fondo di cui al comma 1. Le risorse del Fondo non più necessarie alle finalità di cui
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al comma 1, quantificate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al Fondo ammortamento titoli di Stato33. Art. 24-bis. Disposizioni generali concernenti l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale34 1. Le disposizioni del presente articolo prevedono misure ed interventi intesi a sviluppare l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale. Tali disposizioni assicurano l’efficacia, l’efficienza e la sistematicità delle azioni dei soggetti pubblici e privati in tema di educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale e riconoscono l’importanza dell’educazione finanziaria quale strumento per la tutela del consumatore e per un utilizzo più consapevole degli strumenti e dei servizi finanziari offerti dal mercato. 2. In conformità con la definizione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), per educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, ai fini del presente articolo, si intende il processo attraverso il quale le persone migliorano la loro comprensione degli strumenti e dei prodotti finanziari e sviluppano le competenze necessarie ad acquisire una maggiore consapevolezza dei rischi e delle opportunità finanziarie. 3. Il Ministero dell’economia e delle finanze, d’intesa con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, adotta, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il programma per una “Strategia nazionale per l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale”. La Strategia nazionale si conforma ai seguenti princìpi: a) organizzare in modo sistematico il coordinamento dei soggetti pubblici e, eventualmente su base volontaria, dei soggetti privati già attivi nella materia, ovvero di quelli che saranno attivati dal programma, garantendo che gli interventi siano continui nel tempo, promuovendo lo scambio di informazioni tra i soggetti e la diffusione delle relative esperienze, competenze e buone pratiche, e definendo le modalità con cui le iniziative di educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale possano entrare in sinergia e collegarsi con le attività proprie del sistema nazionale dell’istruzione; b) definire le politiche nazionali in materia di comunicazione e di diffusione di informazioni volte a promuovere l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale; c) prevedere la possibilità di stipulare convenzioni atte a promuovere interventi di formazione con associazioni rappresentative di categorie produttive, ordini professionali, associazioni dei consumatori, organizzazioni senza fini di lucro e università, anche con la partecipazione degli enti territoriali. 4. Lo schema del programma di cui al comma 3 è trasmesso alle Camere ai fini dell’espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente
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lo schema del programma alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari sono espressi entro trenta giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine il programma può comunque essere adottato. 5. Il Governo trasmette annualmente alle Camere entro il 31 luglio una relazione sullo stato di attuazione della Strategia nazionale per l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale. La relazione può contenere le eventuali proposte di modifica e di aggiornamento del programma di cui al comma 3, da adottare con le medesime procedure previste al comma 4. 6. Per l’attuazione della Strategia nazionale di cui al comma 3, con decreto da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro dello sviluppo economico, istituisce il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria, con il compito di promuovere e programmare iniziative di sensibilizzazione ed educazione finanziaria. 7. Dall’istituzione del Comitato di cui al comma 6 non devono derivare oneri a carico della finanza pubblica. 8. Il Comitato, composto da undici membri, è presieduto da un direttore, nominato dal Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, scelto fra personalità con comprovate competenze ed esperienza nel settore. I membri diversi dal direttore, anch’essi scelti fra personalità con comprovate competenze ed esperienza nel settore, sono designati: uno dal Ministro dell’economia e delle finanze, uno dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, uno dal Ministro dello sviluppo economico, uno dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, uno dalla Banca d’Italia, uno dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), uno dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS), uno dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), uno dal Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, uno dall’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (OCF). I membri del Comitato, nonché il direttore, durano in carica tre anni e l’incarico può essere rinnovato una sola volta. 9. Il Comitato opera attraverso riunioni periodiche, prevedendo, ove necessario, la costituzione di specifici gruppi di ricerca cui possono partecipare accademici e esperti nella materia. La partecipazione al Comitato non dà titolo ad alcun emolumento o compenso o gettone di presenza. 10. Il Comitato ha il compito di individuare obiettivi misurabili, programmi e azioni da porre in essere, valorizzando le esperienze, le competenze e le iniziative maturate dai soggetti attivi sul territorio nazionale e favorendo la collaborazione tra i soggetti pubblici e privati. 11. Agli oneri derivanti dalle attività del Comitato, nel limite di un milione di euro annui a decorrere dall’anno 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
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CAPO IV Misure urgenti per il settore bancario Art. 25 Contribuzioni al fondo di risoluzione nazionale 1. Le contribuzioni addizionali di cui all’articolo 1, comma 848, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 sono versate per la copertura di qualsiasi obbligazione, perdita, costo e qualsivoglia onere o passività a carico del Fondo di risoluzione nazionale comunque derivanti o connesse con l’esecuzione dei Provvedimenti di avvio delle risoluzione e con l’esigenza di assicurarne l’efficacia, anche in conseguenza delle eventuali modifiche ad essi apportate. 2. La Banca d’Italia può determinare l’importo delle contribuzioni addizionali da versare al Fondo di risoluzione nazionale ai fini di cui al comma 1, al netto delle contribuzioni richiamate dal Fondo di risoluzione unico ai sensi degli articoli 70 e 71 del regolamento (UE) n. 806/2014, non oltre i due anni successivi a quello di riferimento delle contribuzioni addizionali medesime e può stabilire che dette contribuzioni siano dovute in un arco temporale dalla stessa definito, non superiore a cinque anni; la Banca d’Italia comunica annualmente l’importo dovuto per ciascun anno del suddetto periodo. 3. Per ogni anno del periodo di cui al comma precedente, l’importo delle contribuzioni addizionali è dovuto dalle banche aventi sede legale in Italia e dalle succursali italiane di banche extracomunitarie considerate dal Comitato di risoluzione unico, alla data di riferimento individuata dal Comitato stesso, ai fini della contribuzione annuale al Fondo di risoluzione unico per il medesimo anno; i criteri di ripartizione delle contribuzioni addizionali sono quelli stabiliti dal Comitato di risoluzione unico per le contribuzioni al Fondo di risoluzione unico per il medesimo anno. Art. 26. Modifiche all’articolo 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170 1. All’articolo 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170 sono apportate le seguenti modificazioni35: a) il secondo periodo del comma 1-bis, è sostituito dal seguente «Salvo quanto previsto dal comma seguente, ai fini dell’opponibilità ai terzi e al debitore ceduto o debitore del credito dato in pegno restano fermi i requisiti di notificazione al debitore o di accettazione da parte del debitore previsti dal codice civile.»; b) dopo il comma 1-bis sono inseriti i seguenti: «1-ter. Qualora, al fine di soddisfare anche in modo indiretto esigenze di liquidità, la Banca d’Italia effettui operazioni di finanziamento o di altra natura che siano garantite mediante pegno o cessione di credito, la garanzia ha effetto nei confronti dei terzi dal momento della sua prestazione, ai sensi degli articoli 1, comma 1 lettera q), e 2, comma 1, lettera b), e in deroga agli articoli 1265, 2800 e 2914 n. 2), del codice civile. In deroga articoli 1248 e 2805 del codice civile, il debitore ceduto o il debitore del credito dato in pegno non possono opporre in compensazione alla Banca d’Italia eventuali crediti vantati nei confronti del soggetto rispettivamente cedente o datore di pegno, indipendentemente dal fatto che tali crediti siano sorti, acquisiti o divenuti esigibili prima della prestazione della garanzia a favore della Banca d’Italia o dopo la stessa. Agli altri effetti di legge, ai fini dell’opponibilità della garanzia al debitore ceduto o al debitore del cre-
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dito dato in pegno restano fermi i requisiti di notificazione o di accettazione previsti dal codice civile. 1-quater. Quando le garanzie indicate nel comma 1-ter sono costituite da crediti ipotecari, non è richiesta l’annotazione prevista dall’articolo 2843 del codice civile. Alle operazioni della Banca d’Italia indicate al comma 1-ter si applica l’articolo 67, comma 4, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267». Art. 26-bis. Modifiche al decreto-legge n. 59 del 201636 1. All’articolo 8, comma 1, lettera a), del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «; il coniuge, il convivente more uxorio, i parenti entro il secondo grado in possesso dei predetti strumenti finanziari, a seguito di trasferimento con atto tra vivi». 2. All’articolo 9, comma 2, del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, la lettera b) è abrogata. 3. All’articolo 9, comma 6, del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, le parole: «entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» sono sostituite dalle seguenti: «entro il 31 maggio 2017» e sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Il servizio di assistenza agli investitori nella compilazione e nella presentazione dell’istanza di erogazione dell’indennizzo forfetario è gratuito. Le banche non possono richiedere, all’investitore che faccia domanda di presentazione dell’istanza, il pagamento o l’addebito di oneri o commissioni, sotto qualsiasi forma». 4. All’articolo 11 del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «L’opzione è esercitata con efficacia a valere dal 1° gennaio 2016 con il primo versamento di cui al comma 7, è irrevocabile e comporta l’applicazione della disciplina di cui al presente articolo a decorrere dall’esercizio in corso al 31 dicembre 2016 fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2030, con l’obbligo del pagamento di un canone annuo»; b) al comma 2, la parola: «annualmente» è sostituita dalle seguenti: «per ciascun esercizio di applicazione della disciplina» e dopo le parole: «e le imposte versate» sono aggiunte le seguenti: «come risultante alla data di chiusura dell’esercizio precedente»; c) al comma 7, il primo e il secondo periodo sono sostituiti dal seguente: «Il versamento del canone è effettuato per ciascun esercizio entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relativo al periodo d’imposta precedente; per il primo periodo di applicazione della disciplina di cui al presente articolo, il versamento è invece effettuato, in ogni caso, entro il 31 luglio 2016 senza l’applicazione dell’articolo 17, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 435». Art. 26-ter. Temporanea irrilevanza dei limiti di cui al secondo periodo del comma 1 dell’articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, ai fini del diritto alla trasformazione delle attività per imposte anticipate37
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1. Per i periodi d’imposta per i quali trova applicazione il comma 4 dell’articolo 16 del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, ai fini del riporto delle perdite, per i soggetti di cui all’articolo 33 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, non si applicano i limiti di cui al secondo periodo del comma 1 dell’articolo 84 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, alla quota di perdita derivante dalla deduzione dei componenti negativi di reddito di cui al comma 55 dell’articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10; a tali fini la perdita si presume prioritariamente derivante dalla deduzione di detti componenti negativi. 2. All’onere derivante dall’attuazione del comma 1, valutato in 14,7 milioni di euro per l’anno 2017, in 10,9 milioni di euro per l’anno 2018, in 21,3 milioni di euro per l’anno 2019, in 29,7 milioni di euro per l’anno 2020, in 25,3 milioni di euro per l’anno 2021, in 21,5 milioni di euro per l’anno 2022, in 19,6 milioni di euro per l’anno 2023 e in 5,5 milioni di euro per l’anno 2024, si provvede mediante riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero per 14,7 milioni di euro per l’anno 2017, per 10,9 milioni di euro per l’anno 2018 e per 29,7 milioni di euro a decorrere dall’anno 2019. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 27. Disposizioni finanziarie 1. Per l’anno 2017, il livello massimo del saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato e il livello massimo del ricorso al mercato finanziario, di competenza e di cassa, di cui all’allegato 1, articolo 1, comma 1, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, nonché l’importo massimo di emissione di titoli pubblici, in Italia e all’estero, di cui all’articolo 3, comma 2, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, sono rispettivamente incrementati di 20 miliardi di euro. 2. All’onere derivante dalle maggiori emissioni nette di titoli pubblici di cui al comma 1, nell’importo massimo di 60 milioni di euro per l’anno 2017, di 232 milioni di euro per l’anno 2018 e di 290 milioni di euro a decorrere dall’anno 2019, che aumentano a 148 milioni di euro per l’anno 2017, a 359 milioni di euro per l’anno 2018 e a 426 milioni di euro a decorrere dall’anno 2019, ai fini della compensazione degli effetti in termini di indebitamento netto, si provvede: a) quanto a 14 milioni per l’anno 2017, 51 milioni per l’anno 2018, 129 milioni di euro per l’anno 2019 e a 100 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020, mediante corrispondente utilizzo del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307; b) quanto a 30 milioni di euro per l’anno 2017, a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019, e a 129 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020, mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all’articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190; c) quanto a 16 milioni di euro per l’anno 2017, a 81 milioni di euro per l’anno 2018 e a 61 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2019, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell’ambito del programma
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«Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero per 10 milioni di euro per l’anno 2017, 70 milioni di euro per l’anno 2018 e a 50 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2019, l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per 2 milioni di euro per l’anno 2017 e per 4 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2018, l’accantonamento relativo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per 2 milioni di euro per l’anno 2017 e per 3 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2018 e l’accantonamento relativo al Ministero della salute per 2 milioni di euro per l’anno 2017 e per 4 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 201838; d) quanto a 88 milioni di euro per l’anno 2017, a 127 milioni di euro per l’anno 2018 e a 136 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2019, mediante corrispondente utilizzo del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all’attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all’articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008 n. 189. 3. Le risorse di cui al precedente comma 2, lettere b) e c), sono iscritte sul fondo di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307 e, unitamente a quelle di cui alla lettera a) e d), sono accantonate e rese indisponibili in termini di competenza e di cassa. 4. Con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, da comunicare al Parlamento, sulla base delle effettive emissioni di titoli del debito pubblico realizzate nel 2017 in relazione alle disposizioni di cui al presente decreto-legge, si provvede alla riduzione degli stanziamenti accantonati di cui al comma 3 in misura corrispondente al finanziamento dei maggiori interessi passivi, ovvero al disaccantonamento delle risorse che si prevede di non utilizzare per le finalità di cui al presente decreto39. 5. Ai fini dell’immediata attuazione delle disposizioni recate dal presente decreto, ove necessario, il Ministero dell’economia e delle finanze può disporre il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui regolarizzazione avviene tempestivamente con l’emissione di ordini di pagamento sui pertinenti capitoli di spesa. Art. 28. Entrata in vigore 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. (Omissis)
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Mavie Cardi
Liquidità bancaria e ricapitalizzazioni: gli interventi “precauzionali” Sommario: 1. Contenuti generali della normativa. – 2. Le garanzie sulle passività bancarie – 3. Le garanzie in tema di Emergency Liquidity Assistance. – 4. Gli interventi di ricapitalizzazione precauzionale. – 5. Forme di tutela per gli investitori retail. – 6. Su alcuni profili specifici della nuova regolamentazione.
1. Contenuti generali della normativa La normativa contenuta nella l. 17 febbraio 2017, n. 15, di conversione del d.l. 23 dicembre 2016, n. 237, si inserisce nel quadro del recente sviluppo della regolamentazione bancaria, introducendo una disciplina di durata temporanea, ma con implicazioni di medio – lungo periodo40. La legge, infatti, affida a meccanismi di intervento pubblico misure poste a tutela del risparmio nel settore creditizio, con il fine di «porre rimedio a una grave perturbazione dell’economia e preservare la stabilità finanziaria». A questo scopo viene disciplinato un insieme di specifici strumenti “istituzionali”. Si prevedono, in sintesi: a) la concessione della garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane, ovvero b) sui finanziamenti erogati dalla Banca d’Italia agli istituti di credito per fronteggiare gravi crisi
40 Nella redazione del presente commento si sono tenute presenti, in particolare, le seguenti fonti documentali: Servizio studi Camera dei Deputati, Dossier Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio, Schede di lettura, A.C. 4280 Parte prima, febbraio 2017; Servizio studi Camera dei Deputati, Dossier Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio, Schede di lettura, A.C. 4280-A, febbraio 2017; Audizione del Ministro dell’Economia, presso le Commissioni congiunte 6° del Senato (Finanze e Tesoro) e IV della Camera dei deputati (Finanze), 12 gennaio 2017; Audizione del Capo del Dipartimento di vigilanza bancaria della Banca d’Italia, presso le Commissioni congiunte 6° del Senato (Finanze e Tesoro) e IV della Camera dei deputati (Finanze), 17 gennaio 2017; Audizione del Direttore generale dell’ABI, presso le Commissioni congiunte 6° del Senato (Finanze e Tesoro) e IV della Camera dei deputati (Finanze), 17 gennaio 2017; Audizione Monte dei Paschi di Siena, presso le Commissioni congiunte 6° del Senato (Finanze e Tesoro) e IV della Camera dei deputati (Finanze), 18 gennaio 2017; Audizione del Presidente della Consob, presso le Commissioni congiunte 6° del Senato (Finanze e Tesoro) e IV della Camera dei deputati (Finanze), 19 gennaio 2017.
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di liquidità e, infine, c) gli interventi per il rafforzamento patrimoniale delle banche. Si tratta di interventi precauzionali calibrati sul caso italiano, sia pure subordinatamente agli standards stabiliti in sede europea. Un primo rilievo - in via del tutto generale - è che la normativa in questione, per quanto scaturita dall’esigenza di delineare una exit strategy temporanea, sembra prefigurare una dimensione istituzionale di riequilibrio del pubblico rispetto al privato. Ne risulta una accentuazione dei profili istituzionali dell’economia bancaria non più riconducibile, almeno nella fase attuale, ai soli schemi imprenditoriali di mercato. Appare anzi profilarsi un New Deal della regolamentazione bancaria nazionale che affida agli strumenti di intervento pubblico non solo le prestazioni di garanzia - pur essenziali per i profili di stabilità bancaria – ma le stesse possibilità di ricapitalizzazione delle banche. È per questo che il profilo istituzionale dell’economia bancaria diviene cruciale, nel tempo attuale, per un percorso orientato al recupero di prospettive di crescita economica. Questi aspetti rappresentano il filo rosso lungo il quale si vuole qui commentare l’intervento normativo in parola, la cui specificità è insita nell’evidente spessore istituzionale dello stesso.
2. Le garanzie sulle passività bancarie Venendo al merito, il Capo I della legge è dedicato alla disciplina della concessione della garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane e sui finanziamenti erogati a queste ultime discrezionalmente dalla Banca d’Italia per fronteggiare gravi crisi di liquidità (Emergency Liquidity Assistance – ELA). Quanto alla prima tipologia di intervento, l’art. 1 della legge stabilisce che la garanzia dello Sato può essere concessa, fino al 30 giugno 2017, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di Stato e subordinatamente alla decisione positiva della Commissione europea sul regime di concessione della garanzia stessa. Il periodo può essere prorogato di ulteriori sei mesi con decreto del MEF, previa approvazione della Commissione Europea. La norma, peraltro, facendo espresso richiamo all’art. 18 del d. lgs.16 novembre 2015, n. 180 e all’art. 18, par, 4, lett. d), del Regolamento UE n. 806/2014, si colloca nell’ambito del tracciato stabilito dal framework regolamentare europeo con riguardo alle condizioni necessarie per la con-
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cessione di sostegno finanziario pubblico. Si tratta, come noto, rispettivamente, di uno dei due decreti di recepimento della direttiva 2014/59/ UE (Bank Recovery and Resolution Directive - BRRD) e del regolamento istitutivo del Single Resolution Mechanism cui è demandata la gestione centralizzata delle procedure di risoluzione nell’area euro. Nell’impossibilità di esaminare in questa sede il ben noto dibattito che ha riguardato i profili applicativi della Direttiva BRRD, appare sufficiente limitarsi a richiamare le condizioni previste dalla stessa ai fini dell’erogazione di sostegno pubblico straordinario che eviti l’attivazione di misure di risoluzione. Condizioni che in quanto previste dalla Direttiva devono intendersi proprie anche della legge in esame. In particolare, il sostegno pubblico, nel rispetto della disciplina sugli aiuti di Stato, deve assumere una veste cautelativa e temporanea ed essere concesso a banche con patrimonio netto positivo. Ciò in forma appunto di garanzia su passività di nuova emissione, oppure a sostegno di strumenti di liquidità forniti dalla Banca centrale (infra § 3), o ancora in termini di sottoscrizione di fondi propri o acquisto di strumenti di capitale (infra § 4). La strumentazione istituzionale introdotta dalla l. 15/2017 si pone quindi in accordance con l’art. 32 della direttiva BRRD (che esclude l’avvio della procedura di risoluzione in presenza di determinate condizioni), assumendo il presidio patrimoniale come presupposto essenziale e condizionante dell’intervento di garanzia. In questo senso, la normativa qui in commento stabilisce (rectius, ribadisce) che gli strumenti finanziari suscettibili di garanzia dello Stato devono necessariamente presentare caratteristiche tali da porsi in linea con la disciplina europea sugli aiuti di Stato. Specificamente, secondo quanto stabilito dall’art. 2 della legge: - l’emissione deve essere successiva all’entrata in vigore dello schema di garanzia; - la durata residua deve essere non inferiore a tre mesi e non superiore ai cinque anni; - il rimborso del capitale deve avvenire a scadenza in unica soluzione; - il tasso fisso; - la denominazione in euro; - non possono esservi clausole di subordinazione e non può trattarsi di titoli strutturati o complessi o che incorporino una componente derivata. Tra le considerazioni che gli elementi sopra richiamati sollecitano, la prima è che gli stessi danno luogo ad uno scenario la cui durata programmata appare già temporalmente definita, ma non del tutto riconducibile a una mera dimensione emergenziale.
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Gli strumenti di garanzia sono caratterizzati infatti da un regime regolatorio contrassegnato da profili strutturali tali da richiedere, presumibilmente un medio-lungo ciclo di uscita (fino ai cinque anni) per l’estinzione della garanzia. La seconda considerazione è che si tratta comunque di un regime che vede espressamente delineato il tema dei confini dell’intervento pubblico in materia. Rispondono a tale generale esigenza regolatoria varie previsioni. In particolare, i fondi propri della banca a fini di vigilanza rappresentano il limite massimo dell’ammontare complessivo dell’operazione per ogni singola banca interessata. La delimitazione dell’intervento pubblico sul piano temporale è segnata all’obiettivo di ripristinare la capacità di finanziamento a mediolungo termine delle banche beneficiarie (art. 3). Ancora, questa azione delimitativa presidia la determinazione quantitativa degli strumenti finanziari di ciascuna banca (con durata superiore ai tre anni) sui quali può essere concessa la garanzia dello Stato, che non può eccedere un terzo del valore nominale totale degli strumenti finanziari emessi dalla banca stessa (art. 5). Rispondono, infine, ancora alla stessa ratio le disposizioni che stabiliscono che la garanzia dello Stato è onerosa. Il corrispettivo della garanzia - in linea con le comunicazioni della Commissione in materia - viene determinato caso per caso in relazione al rischio associato a ciascun intervento. A tal fine, la legge definisce i parametri sulla base dei quali è calcolato l’importo della commissione annuale a carico della banca beneficiaria della garanzia. La commissione è applicata all’ammontare nominale degli strumenti finanziari e comprende una componente di base e una legata al rischio, differenziate in base alla durata originaria delle passività garantite. La garanzia è comunque incondizionata e irrevocabile. Il quadro condizionale emergente dalla regolamentazione è completato dalla previsione della necessità del rispetto, da parte delle banche interessate, di alcuni presupposti, verificati dall’autorità di vigilanza, ai fini della concessione della garanzia. In questo contesto, il rispetto dei requisiti di fondi propri e l’inesistenza di carenze di capitale evidenziate nell’ambito di prove di stress, rappresentano presupposti essenziali dell’operazione, fatta salva l’ipotesi di banche con urgente bisogno di
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sostegno della liquidità, aventi comunque patrimonio netto positivo41 (art. 4). Sotto il profilo operativo, assume particolare rilievo, in termini di impatto sulla governance aziendale, la disciplina della procedura di accesso alla garanzia, definita dall’art. 7. In particolare, rileva la presentazione di un piano di ristrutturazione da parte delle banche per le quali il valore nominale degli strumenti finanziari, su cui è concessa la garanzia, sia superiore a 500 milioni di euro e al 5% del totale passivo. Il piano di ristrutturazione è sottoposto alla Commissione europea ai fini della valutazione del rispetto della normativa in materia di aiuti di Stato e dallo stesso devono potersi evincere la redditività e la capacità di raccolta della banca a lungo termine senza ricorso all’intervento pubblico.
3. Le garanzie in tema di Emergency Liquidity Assistance Alla strumentazione di garanzia sulle passività di nuova emissione, sopra illustrata, si aggiunge quella sui finanziamenti erogati discrezionalmente dalla Banca d’Italia alle banche italiane per fronteggiare gravi crisi di liquidità (Emergency Liquidity Assistance – ELA). La concessione di questa specifica garanzia si pone in posizione complementare, e a integrazione, degli strumenti a sostegno della liquidità bancaria utilizzabili nell’eventualità di tensioni sui mercati della provvista. In questo senso, infatti, la garanzia concessa sulle passività di nuova emissione offre alle banche la possibilità di disporre di strumenti generalmente accettati dal mercato come collaterale per operazioni di raccolta. Analoghi - rispetto a quanto sopra si è già visto - sono i presupposti richiesti alle banche sul piano patrimoniale e di governo aziendale e le modalità dell’intervento (artt. 10-12). Infatti, la normativa prevede che il Ministro dell’Economia e delle Finanze rilasci, entro sei mesi dall’entrata in vigore del d.l. in parola, la garanzia statale. Quest’ultima ha funzione di integrazione del collaterale, o del suo valore di realizzo, stanziato da banche italiane a garanzia
41 L’intervento può essere concesso anche a favore di una banca in risoluzione o di un ente-ponte a seguito di notifica individuale alla Commissione e di parere positivo di quest’ultima sulla compatibilità dell’intervento con la normativa europea in materia di aiuti di Stato.
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di finanziamenti erogati dalla Banca d’Italia in via eccezionale a titolo di liquidità di emergenza. Come si è detto, quindi, presupposto patrimoniale dell’operazione è il rispetto dei requisiti di fondi propri e l’inesistenza di carenze di capitale. A ciò si aggiunge, sotto il profilo operativo, la presentazione del piano di ristrutturazione che confermi la redditività e la capacità di raccolta a lungo termine senza ricorso al sostegno pubblico (considerata anche la necessità di limitare l’affidamento sulla liquidità fornita dalla Banca centrale). Le misure di attuazione relative agli interventi brevemente descritti sono demandate a un decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia42.
4. Gli interventi di ricapitalizzazione precauzionale Proseguendo nell’analisi delle misure introdotte dal d.l. 237/2016 ancor maggiore rilievo assume la strumentazione di rafforzamento patrimoniale che sembra riproporre, in una nuova accezione, il tema - storicamente risalente in Italia - della presenza dello Stato nell’economia bancaria. Il Capo II della legge, infatti, disciplina la sottoscrizione o l’acquisto, da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di azioni di banche italiane le quali presentino esigenze di rafforzamento patrimoniale in relazione all’esito di prove di stress basate su uno scenario avverso e condotte a livello nazionale, dell’Unione Europea o del Meccanismo Unico di Risoluzione. Le disposizioni in questione stabiliscono che per poter richiedere l’intervento di ricapitalizzazione precauzionale la banca deve preliminarmente aver sottoposto all’autorità competente un programma di rafforzamento patrimoniale mediante misure di mercato, rivelatesi in sede attuativa insufficienti a conseguire l’obiettivo di rafforzamento.
42 Con il comunicato stampa del 19 gennaio 2017 il MEF ha reso nota la notifica a Banca MPS del provvedimento di concessione della garanzia dello Stato a sostegno dell’accesso alla liquidità e l’emanazione dei decreti di concessione della garanzia a favore di Banca Marche, Carife e Banca Etruria. Nel medesimo comunicato il MEF riferisce che la Commissione europea ha dato il via libera allo schema grazie al quale il MEF ha potuto emanare i decreti di concessione della garanzia dello Stato a sostegno dell’accesso alla liquidità di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca.
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Ancora una volta, la misura si colloca nella direzione di ripristino e tutela della stabilità finanziaria e in linea con il framework regolatorio in materia di sostegno pubblico straordinario. Ne consegue che, come si è visto per le misure di garanzia, la fornitura cautelare di sostegno pubblico non implica l’attivazione della procedura di risoluzione. In questo senso, la normativa contempla la possibilità che lo Stato rilevi una quota di partecipazione azionaria di una banca che soddisfa i propri requisiti patrimoniali, sebbene, a causa dell’esito di prove di stress (o di equivalenti esercizi condotti da autorità macroprudenziali), debba raccogliere nuovo capitale e non sia in grado farlo sui mercati privati. La portata innovativa dell’esperienza in commento è rappresentata dalla presenza di certe condizioni sul versante patrimoniale. Il tema dell’acquisizione di strumenti di capitale (e quindi degli assetti proprietari) trova precedenti - oltre che risalenti e storici nell’esperienza italiana - più recenti in quella europea: si pensi alle procedure “singole” di capitalizzazione autorizzate, all’inizio della crisi finanziaria, dalla Commissione europea con riguardo a banche UK (Northen Rock, Bradford & Bingley), tedesche (West LB, Sachsen LB), o danesi (Roskilde Bank), oltre a quelle irlandesi. Tuttavia, il profilo caratterizzante ed essenziale della normativa precauzionale italiana (in linea con l’art. 32 della direttiva BRRD) è quello che vede assumere il presidio patrimoniale come presupposto essenziale e condizionante dell’intervento precauzionale. Possiamo dire anzi che il presupposto patrimoniale si pone qui come fondamento proprio dell’intervento pubblico, differenziandolo totalmente e nettamente dalle situazioni sopra citate (e le altre che si sono succedute nel tempo) nelle quali l’intervento (pubblico) sul capitale era totalmente slegato e indipendente dal presupposto del patrimonio netto positivo. Dalla richiesta di ricapitalizzazione precauzionale derivano per la banca implicazioni gestionali e di governance. In particolare, la banca è tenuta ad assumere alcuni impegni, previsti dalla Comunicazione della Commissione UE sugli aiuti di Stato nel settore bancario. La sottoscrizione del capitale, ai sensi dell’art. 17 del d.l., può essere inoltre subordinata da parte del Ministero dell’Economia e Finanze alla revoca o alla sostituzione dei consiglieri esecutivi o del direttore generale degli istituti interessati o alla limitazione delle retribuzioni degli organi apicali. In sede di richiesta di intervento dello Stato (art. 15), la banca deve presentare al Ministero, e all’autorità competente ai sensi del Meccanismo unico di vigilanza bancaria, il piano di ristrutturazione predisposto
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in conformità con la disciplina dell’Unione Europea in materia di aiuti di Stato. La norma stabilisce che la richiesta deve essere accompagnata da informazioni e documentazioni (importo della sottoscrizione delle azioni per cui si chiede l’intervento del Ministero; entità del patrimonio netto contabile; fabbisogno di capitale regolamentare residuale, eventualmente tenuto conto dell’attuazione del programma di rafforzamento patrimoniale; indicazione del valore contabile degli strumenti e prestiti convertibili in azioni, secondo le misure di burden sharing; stima del loro valore economico, predisposta da un esperto indipendente, ai fini della determinazione del tasso di conversione, in ipotesi di continuità aziendale). I passaggi essenziali dell’operazione, a seguito della richiesta da parte della banca interessata alle misure straordinarie di ricapitalizzazione, prevedono la comunicazione, da parte dell’Autorità competente, al MEF e alla stessa banca richiedente, del fabbisogno residuo di capitale regolamentare emerso alla luce della valutazione della richiesta. Il piano di ristrutturazione - da cui discendono precisi obiettivi gestionali al cui raggiungimento la banca richiedente sarà tenuta - viene quindi notificato alla Commissione europea. Solo ad esito positivo della valutazione da parte di quest’ultima in merito alla compatibilità con il mercato interno viene disposta la realizzazione dell’intervento43. È inoltre prevista l’applicazione delle misure di burden sharing. La legge prevede infatti che la realizzazione dell’operazione avvenga a seguito dell’applicazione delle misure di ripartizione degli oneri del salvataggio con azionisti e obbligazionisti della banca (art. 22, co. 2 del d.l.), fatta eccezione per l’eventualità in cui la Commissione europea lo escluda in ragione della presenza di rischi per la stabilità finanziaria. L’adozione delle misure di condivisione degli oneri è anch’essa subordinata al rispetto di condizioni definite dalla legge. Ci si riferisce, tra le altre, alla parità di trattamento per creditori e azionisti appartenenti alla medesima classe e al rispetto della gerarchia fallimentare. In ogni caso, è fatto salvo il c.d principio “No Creditor Worse Off” secondo cui a nessun creditore può essere imposto un sacrificio maggiore rispetto a quello che avrebbe subito in ipotesi di liquidazione dell’intermediario.
43 Ciò attraverso decreto del MEF, su proposta della Banca d’Italia, che definisce gli elementi essenziali dell’operazione (l’aumento di capitale degli istituti interessati, la sottoscrizione o l’acquisto delle azioni da parte del MEF e il prezzo o altri elementi necessari per la realizzazione dell’intervento).
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Un tema centrale riguarda i criteri di determinazione del valore delle azioni, necessario per calcolare il prezzo delle azioni da attribuire ai titolari degli strumenti e prestiti che saranno oggetto di conversione, vale a dire strumenti ibridi (Additional Tier 1), subordinati (Tier 2) e altri strumenti subordinati. L’intervento precauzionale, infatti, si basa, come si è detto, sull’esito di uno stress test con scenario avverso di natura ipotetica che quindi non produce effetti concreti sul piano contabile. Esso pertanto non può richiedere la previa riduzione del valore degli strumenti computabili nel patrimonio di vigilanza, disposta solo in caso di perdite effettive che impattano anche sul bilancio e che eccedano il patrimonio netto contabile della banca. Nel caso di banche non quotate il valore delle azioni è stimato secondo parametri basati sulla consistenza patrimoniale, sulle prospettive reddituali, sul rapporto tra valore di mercato e valore contabile delle banche quotate e tenuto conto delle perdite connesse alle eventuali operazioni straordinarie, ivi inclusa la cessione di attivi, da perfezionarsi in connessione con l’intervento statale. La concreta realizzazione dell’intervento di ricapitalizzazione avviene con la sottoscrizione, da parte del MEF, di azioni ordinarie di nuova emissione cui è attribuito il diritto di voto pieno: le azioni sono computabili come Common Equity Tier 1.
5. Forme di tutela per gli investitori retail. Altro profilo di evidente importanza generale è quello che attiene alla qualificazione e (in dati limiti) alla tutela degli interessi degli azionisti (di minoranza). Come si è detto, la ricapitalizzazione precauzionale comporta l’applicazione delle misure di burden sharing, in presenza tuttavia di alcune condizioni. Sotto questo aspetto, è infatti prevista una forma di compensazione riservata agli investitori retail, che vede la banca farsi parte attiva nella transazione, con azionisti che non siano controparti qualificate o clienti professionali, come definiti dal t.u.f.. Si tratta di una disposizione volta a prevenire o contenere le controversie legate alla commercializzazione degli strumenti finanziari a cui siano state applicate le misure di burden sharing. Secondo quanto previsto dalla normativa, la banca propone una transazione ai soli investitori retail, limitatamente agli strumenti per la cui offerta sussisteva obbligo di pubblicare un prospetto e che siano stati sottoscritti o acquistati prima del 1° gennaio 2016. A partire da tale da-
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ta, in ragione dell’entrata in vigore della strumentazione del bail-in, si presuppone la dovuta conoscenza del livello di rischio degli strumenti in questione. In base all’atto transattivo la banca emittente acquista dagli azionisti le azioni frutto della conversione, in nome e per conto del Ministero, offrendo, come corrispettivo, obbligazioni non subordinate emesse alla pari dalla banca stessa o da società del suo gruppo, per un valore nominale pari al prezzo corrisposto dal Ministero. Il prezzo è definito come il minore tra quello utilizzato per determinare il numero di azioni da attribuire in sede di conversione e quello che determina un corrispettivo corrispondente a quanto pagato dall’azionista per la sottoscrizione o l’acquisto degli strumenti oggetto di conversione. La procedura descritta risponde alla necessità di contemperare esigenze di tutela della stabilità patrimoniale della banca coinvolta con quelle di tutela dei risparmiatori che abbiano acquistato strumenti finanziari con un elevato grado di sofisticazione e un profilo di rischio non adeguato al sottoscrittore. L’instaurarsi di contenziosi di ammontare indeterminato potrebbe infatti esporre l’intermediario a rischi operativi rilevanti, con potenziali impatti anche sul processo di risanamento. Si intende che gli azionisti, ferma restando la solvibilità della banca, subiranno una diluizione della propria quota di partecipazione proporzionalmente all’aumento di capitale realizzato alla luce della normativa. In questo contesto, assume un peso significativo la predisposizione del piano di ristrutturazione da parte della banca, volto a garantirne la continuità aziendale nel lungo periodo, a minimizzare la distorsione della concorrenza, e conseguentemente, a rafforzarne la resistenza rispetto all’ipotetica materializzazione dello scenario avverso. Si tratta pertanto dell’assunzione da parte del management della banca di impegni non derogabili sul piano della gestione aziendale e sottoposti a costante monitoraggio istituzionale. Con specifico riferimento al caso di Monte dei Paschi di Siena il valore da attribuire ai titoli coinvolti nelle misure di burden sharing, in sede di prima applicazione, ai fini del calcolo del tasso di conversione è determinato dallo stesso d.l. (art. 23). Come noto, infatti, a seguito dei risultati della prova di stress europea è emerso che MPS, pur risultando solvibile, presenterebbe una carenza di capitale nell’ipotesi di scenario avverso particolarmente severo. La banca ha pertanto istruito un’operazione di ristrutturazione, con l’intenzione iniziale di evitare il ricorso a risorse pubbliche. Tuttavia, come pure noto, alla luce del mancato successo di questa iniziativa si è concretizzata la necessità di un intervento da parte dello Stato. Alla avvenuta
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comunicazione relativa alla carenza di capitale, da parte della BCE, ha fatto seguito pertanto l’espletamento dell’articolato processo definito nel d.l. 237/2016 sopra tratteggiato.
6. Su alcuni profili specifici della nuova regolamentazione Le misure introdotte con il d.l. 237/2016, qui brevemente descritte, offrono la possibilità di arricchire la capacità di azione statale per far fronte ai fallimenti del mercato, nell’ambito di un framework normativo europeo che - in via generale - rimane fortemente limitativo delle possibilità di intervento pubblico. Lo spostamento dell’intervento pubblico dalla sfera della regolazione a quella dei processi di garanzia e (soprattutto) di ricapitalizzazione assume per il caso italiano una valenza prettamente legata ad elementi come quelli precauzionali, che ne definiscono l’ambito oggettivo di applicazione. Si è fatto cenno nel corso dell’analisi all’insieme degli elementi limitativi in termini sia quantitativi che condizionali dell’intervento pubblico, palesemente volti a definire un ambito possibilmente ristretto di applicazione della normativa. Al contempo, si è anche fatto cenno alla natura emergenziale come segno caratterizzante l’occasione dell’intervento piuttosto che la durata nel tempo dello stesso, comunque destinata a contrassegnare un medio o lungo periodo. Nell’ambito europeo della regolamentazione finanziaria si inserisce così un’area di regolamentazione specificamente italiana con forti implicazioni su due elementi, il patrimonio e la governance. Si tratta di un’area segnatamente riferita (e circoscritta: altra delimitazione) alle “banche” (rectius, alle “banche italiane aventi sede in Italia”) con esclusione di tutti gli altri intermediari attivi nel settore della finanza strutturata italiana. Il dato rilevante è rappresentato dalla qualificazione pubblicistica di questi aspetti che segnerà, in ragione della concreta applicazione della normativa qui commentata - in specie delle misure di ricapitalizzazione - l’ambito, l’estensione e la durata di (nuove) forme di presenza dello Stato nell’economia bancaria, secondo sviluppi certamente originali rispetto al passato. L’accentuazione della necessarietà di un presupposto patrimoniale, in termini di patrimonio netto positivo, come condizione dell’intervento statale vale da sola a segnare il discrimine rispetto alle esperienze storiche. Solo gli effettivi sviluppi applicativi consentiranno però la va-
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lutazione delle ragioni che possiamo definire originanti le misure qui commentate. E soprattutto gli stessi sviluppi potranno consentire di delineare (eventualmente) un quadro piĂš sistematico nel quale trovino esplicitazione i motivi originali della regolazione contemporanea in materie fortemente segnate dalle precedenti esperienze storiche. Mavie Cardi
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NORME REDAZIONALI
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …
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Norme redazionali
4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.
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Norme redazionali
legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)
l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.
2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.
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Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista della cooperazione Riv. coop. Rivista delle società Riv. soc. Rivista del diritto commerciale Riv. dir. comm. Rivista del notariato Riv. not. Rivista di diritto civile Riv. dir. civ. Rivista di diritto internazionale Riv. dir. internaz. Rivista di diritto privato Riv. dir. priv. Rivista di diritto processuale Riv. dir. proc. Rivista di diritto pubblico Riv. dir. pubbl. Rivista di diritto societario RDS Rivista giuridica sarda Riv. giur. sarda Rivista italiana del leasing Riv. it. leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Riv. trim. dir. proc. civ. Vita notarile Vita not.
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Norme redazionali
4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.
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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria
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