Diritto della banca e del mercato finanziario 2/2018

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ISSN 1722-8360

di particolare interesse in questo fascicolo Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

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Diritto della banca e del mercato finanziario

• Fondi di investimento e patrimoni separati • Strumenti di debito chirografario di secondo livello • Sanzioni della Banca d’Italia e della Consob • Accordi di ristrutturazione

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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2017, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Niccolò Abriani, Stefano Ambrosini, Lucia Calvosa, Giuseppina Capaldo, Giacomo D’Attorre, Giuseppe Fauceglia, Danilo Galletti, Gianvito, Giannelli, Raffaele Lener, Massimo Miola, Mario Stella Richter, Maurizio Sciuto.


Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria

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SOMMARIO 2/2018

PARTE PRIMA Saggi Questioni dibattute su diritto di proprietà e Fondi Comuni di Investimento: gli strumenti di gestione delle crisi dei Fondi Comuni di Investimento e dei patrimoni separati, di Sido Bonfatti pag. 167 «Strumenti di credito chirografario di secondo livello». Alchimie » 207 linguistiche e tutela del mercato, di Daniele Vattermoli Incentivi alla gestione dei crediti deteriorati: lo schema di garanzia GACS e l’attività dei Fondi Atlante, di Brunella » 225 Russo Il “dialogo” tra Arbitro Bancario Finanziario, giurisprudenza e dottrina in tema di usura bancaria: » 275 linee generali, di Giovanni Battista Fauceglia

Commenti Sanzioni della Banca d’Italia e della Consob e principio del favor rei – App. Milano, 19 marzo 2017, n. 87, con osservazioni di V. C.

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Miti e realtà Aforismi » 339

PARTE SECONDA Legislazione Gli accordi di ristrutturazione nella riforma delle procedure concorsuali – I. l. 19 ottobre 2017, n. 155: Delega al governo


per la riforma delle discipline della crisi delle imprese e dell’insolvenza, art. 5; – II. Relazione al disegno di legge presentato alla Camera dei deputati; – III. Schema di decreto delegato recante il codice della crisi e dell’insolvenza, con osservazioni di A. N.

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Norme

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redazionali

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PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ



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Questioni dibattute su diritto di proprietà e Fondi Comuni di Investimento: gli strumenti di gestione delle crisi dei Fondi Comuni di Investimento e dei patrimoni separati* Sommario: Sez. I. La declinazione del diritto di proprietà nei fondi comuni di investimento e nei patrimoni destinati. – 1. Premessa. – 2. “Crisi” e scadenza del fondo (e del patrimonio destinato). – Sez. II. Le situazioni di “crisi” dei fondi e dei patrimoni destinati. – 3. Le situazioni di “crisi” delle sgr e le situazioni di “crisi” dei fci. – 4. Effetti della “crisi” della sgr sul fci “in bonis”. – 5. Segue. Effetti della “crisi” della sgr sul fci a sua volta versante in una situazione (pregressa ovvero conseguente) di “crisi”. – 6. Le situazioni di “crisi” dei fondi comuni di investimento diverse dalla “incapienza” (comportante un “pericolo di pregiudizio”). – 7. La “natura giuridica” dei fondi comuni di investimento. – 8. Fondi comuni di investimento e procedure di composizione negoziali delle crisi d’impresa: a) il “piano di risanamento attestato ex art. 67, co, 3, lett. d), l. fall. – 9. Segue. b) lo “accordo di ristrutturazione “ex art. 182-bis l. fall. – 10. Segue. c) il concordato preventivo. – Sez. III. La scadenza del “fondo” e della destinazione del patrimonio separato. – 11. la problematica della scadenza del termine di durata del fondo. – 12. Le soluzioni della prassi: il “trasferimento di attività e passività” e la “assunzione di attività e passività”. – 13. La prosecuzione del mandato gestorio dopo la scadenza del fondo anche per effetto della assunzione di una obbligazione unilaterale “atipica”.

Sezione I La declinazione del diritto di proprietà nei fondi comuni di investimento e nei patrimoni destinati 1. Premessa. I profili problematici che investono “la proprietà” nel contesto della disciplina dei Fondi Comuni di Investimento (FCI)1 derivano principal-

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Documento presentato per la discussione nell’ambito del IX° Convegno Annuale dell’Associazione Italiana dei Professori Universitari di Diritto Commerciale “Orizzonti del Diritto Commerciale”, tenutosi in Roma i giorni 21 e 22 febbraio 2018. 1 Definibili come «l’OICR costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in

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mente – come si vedrà – dalla dissociazione comunque realizzata tra “titolarità” del diritto (oltretutto, come vedremo, di incerta attribuzione) e “disponibilità” dello stesso (integralmente attribuita ad un soggetto – la Società di Gestione del Risparmio: SGR – che gestisce il Fondo), che: (i) o non ne è il “titolare”; ovvero (ii) ne è il titolare per c.d. solo “formale”, in quanto radicalmente escluso dalla conseguibilità tanto dei proventi della gestione, quanto del risultato finale della stessa. Il problema si pone diversamente per i “patrimoni separati” del diritto comune (cfr. art. 2447-bis, lett. a), c.c.). La titolarità di tali patrimoni è indubbiamente attribuibile alle società per azioni che li abbiano costituiti: ma la rispondenza degli stessi nei confronti dei creditori, legittimati a considerarli responsabili del soddisfacimento delle loro pretese, pare atteggiarsi in termini diversi da quelli conosciuti dal diritto comune – ivi compreso l’atteggiarsi della responsabilità del patrimonio sociale (separato) rispetto alle pretese dei creditori sociali. Le problematiche originate dalla innovatività dei due istituti sono affrontate in modo più (per i FCI) o meno (per i patrimoni destinati) soddisfacente con riguardo alle attività necessarie per la loro costituzione, e per la successiva gestione dei rapporti e delle attività che ne costituiscano l’oggetto. Risulta invece carente (per i FCI) o sostanzialmente mancante (per i patrimoni destinati) una disciplina degli effetti: (i) delle situazioni di “crisi” (per come verranno in appresso specificate); (ii) degli effetti della scadenza apposta all’uno o all’altro dei due istituti. Poiché il primo fenomeno … non è infrequente; e poiché il secondo fenomeno è inevitabile; può risultare di qualche interesse ricercare una risposta ai quesiti originati dalla denunciata carenza (o mancanza) di disciplina. A tale tentativo sono dedicate le pagine che seguono.

quote, istituito e gestito da un gestore»: dove per OICR si deve intendere: «l’organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati, a favore di soggetti diversi dai consumatori, a valere sul patrimonio dell’OICR, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata»; art. 1, co, 1, lett. J) e k) t.u.f. Si precisa che nel corso del presente contributo si farà esclusivo riferimento al “Fondo”, ma intendendo ricomprendere nelle conclusioni raggiunte – ove non diversamente precisato – anche il “comparto” in cui il primo sia suddiviso.

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2. “Crisi” e scadenza del Fondo (e del patrimonio destinato). I profili problematici ai quali si è fatto cenno emergono (ovvero sono emersi nella relativamente ridotta esperienza formatasi dalla loro istituzione) con particolare intensità con riguardo a due distinte fattispecie: le situazioni di “crisi” dei Fondi (intendendo per tali sia quelle prospettate dalla condizione di “incapienza” del Fondo per l’insufficienza delle attività a fronteggiare le passività maturare; sia quelle connesse alla perdita della “continuità aziendale” delle attività esercitate dai – ovvero esercitate attraverso i – Fondi stessi), e la scadenza del termine (originario o prorogato) loro assegnato al momento della costituzione. Nello stesso modo, anche le situazioni di “crisi” dei patrimoni destinati, costituiti ai sensi dell’art. 2447-bis lett. a), c.c., propongono – come vedremo – interrogativi di non facile soluzione: e la stessa scadenza del termine, che fosse stato apposto alla costituzione di un patrimonio separato, produce effetti di non semplice individuazione. Occorre ancora segnalare che i due fenomeni presi in considerazione si differenziano – inter alia – anche per i caratteri di eventualità e di necessarietà che caratterizzano le problematiche rispettivamente originate. Le situazioni di “crisi” dei Fondi Comuni di Investimento e dei patrimoni separati non sono solo statisticamente circoscritte ad alcune soltanto delle fattispecie interessate (non tutte possono “finire male”): ma soprattutto sono connesse ad un fattore, che è “eventuale”, nel senso di non appartenere necessariamente alla struttura dei due istituti. Trattasi del fattore denominato “leva” (finanziaria), in forza del quale l’attività di gestione del FCI e l’attività di gestione del patrimonio separato possono (ma non necessariamente devono) essere sostenute con l’indebitamento verso i terzi. Se ciò non fosse consentito (o, comunque, nelle fattispecie nelle quali, in concreto, non fosse praticato), la situazione di “crisi” si ripercuoterebbe unicamente sulla maggiore o minore entità del patrimonio residuo finale (del Fondo, ovvero quello separato ex art. 2447-bis, lett. a), c.c.). Il fenomeno della scadenza del termine per il quale il FCI è stato costituito (o del termine apposto alla separazione di una porzione del patrimonio sociale ex art. 2447-bis, lett. a), c.c.) rappresenta invece un connotato inevitabile dell’istituto (per lo meno, se vogliamo, come esso risulta disciplinato dalle norme primarie e regolamentari): e ciò rende ancor più ingiustificabile la assoluta mancanza di una disciplina volta a regolare – principalmente – la sorte dei rapporti pendenti,

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che rappresentano un fenomeno operativamente e giuridicamente inevitabile2. Un’ultima precisazione. Con riguardo ai FCI, si ritiene che le problematiche affrontate nel presente contributo (e le soluzioni proposte nel suo contesto) possano sostanzialmente ritenersi comuni a tutti i Fondi Comuni di Investimento (“aperti” o “chiusi”; mobiliari o immobiliari). Si ritiene peraltro che l’intensità dei problemi segnalati, e la rilevanza delle soluzioni prospettabili per il loro superamento, possano essere colte con maggiore chiarezza nella declinazione che ricevono con riguardo alla gestione dei Fondi Comuni di Investimento immobiliari. In conseguenza di ciò, sarà con particolare attenzione a tale fattispecie che la presente indagine verrà condotta.

Sezione II Le situazioni di “crisi” dei fondi e dei patrimoni destinati

3. Le situazioni di “crisi” delle SGR e le situazioni di “crisi” dei FCI. 3.1. Le Società di Gestione del Risparmio sono soggette ad una articolata disciplina delle situazioni di “crisi”, in buona parte derivata dalla corrispondente disciplina delle crisi bancarie, che si estende dalle fattispecie caratterizzate anche soltanto da profili di rischio della emersione di situazioni di difficoltà, alle fattispecie espressive di una vera e propria insolvenza irreversibile. Tali situazioni possono senz’altro essere determinate (e di norma infatti lo sono) da corrispondenti situazioni di difficoltà dei Fondi gestiti: se non altro perché queste ultime possono comportare la impossibilità per i Fondi in “crisi” di corrispondere alla SGR le commissioni di gestione dovute, che rappresentano (sostanzialmente) l’unica fonte di ricavi di tali intermediari. Ovvio, pertanto, che la mancanza di ricavi possa originare situazioni di crisi in capo alla SGR.

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Basti pensare alla “ultrattività” della disciplina fiscale, che può originare accertamenti tributari, concernenti atti di gestione posti in essere durante la vigenza del Fondo (o durante il periodo di separazione ex art. 2447-bis, lett. a), c.c.), notificati in momenti anche di molto successivi alla scadenza del Fondo (o della separazione del patrimonio destinato).

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Non si può escludere peraltro l’ipotesi che la situazione di crisi della SGR tragga origine da fattori estranei ai risultati economici della gestione dei Fondi: sia perché potrebbe derivare da investimenti sbagliati proprio delle risorse rivenienti dalla riscossione delle commissioni di gestione; sia perché potrebbe essere determinata da fattori (produttivi delle cc.dd. “crisi di legalità”)3 attinenti al mancato rispetto delle disposizioni normative, regolamentari e statutarie che governano l’attività delle imprese di diritto speciale quali gli intermediari (bancari e) finanziari. Meno diretta è la relazione tra “crisi” della SGR e “crisi” del Fondo: nel senso che, di norma, la prima non dovrebbe determinare la seconda (così come, per fare un esempio almeno in parte calzante, la situazione di crisi della controllante non dovrebbe, di per sé, determinare una corrispondente situazione di crisi della controllata). La crisi della SGR dovrebbe comportare (semplicemente) la cessione del Fondo ad altra SGR4: il ché comporterebbe (semplicemente) la sostituzione del soggetto deputato a gestire le attività (o gli asset) conferiti nel Fondo. Tuttavia nel momento della emersione della “crisi” della SGR una immediata cessione del Fondo ad altro intermediario abilitato potrebbe rivelarsi non possibile: nel qual caso dovrebbe darsi luogo alla liquidazione del Fondo5, che – in relazione alla tipologia di investimenti nel frattempo effettuati dallo stesso (ovvero a suo nome) – potrebbe determinare una situazione di crisi non esistente sino al momento della permanenza della “continuità aziendale” delle attività poste in essere dal Fondo stesso. La possibile duplicità di manifestazione del fenomeno rappresentato – la “crisi” della SGR connessa ovvero disconnessa con una concomitante “crisi” del Fondo o dei Fondi gestiti – non dovrebbe riprodursi con altrettanta frequenza nella diversa fattispecie della costituzione di un patrimonio destinato ex art. 2447-bis, lett. a), c.c. La limitata incidenza dello stesso sul patrimonio sociale (un valore non «complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società»: art. 2447-bis, co. 2, c.c.); e la insensibilità del patrimonio sociale «per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare» per il quale è stato costituito il patrimonio destinato; dovrebbero escludere che la situazione di “crisi”

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Bonfatti, La disciplina delle crisi delle imprese bancarie, finanziarie e assicurative, in, Manuale di diritto fallimentare4, Padova, 2011, p. 703 ss. 4 Cfr. art. 57, co. 3-bis. t.u.f. 5 Cfr. art. 57, co. 6-bis, t.u.f.

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di quest’ultimo possa innescare una corrispondente “crisi” della società6 (laddove il fenomeno che si producesse a parti invertite comporterebbe anche in questo caso la “semplice” cessione del patrimonio destinato ad un terzo, ovvero – in caso di impossibilità di dismissione –, come vedremo, la liquidazione del patrimonio stesso – con possibile determinazione, anche in questo caso, di una situazione di “crisi” prima inesistente, perché provocata dalla cessazione della “continuità aziendale”). 3.2. La disciplina della “crisi” della SGR presenta aspetti peculiari rispetto a quelle delle SIM (e delle SICAV) sotto due principali profili: (i) la previsione di una disciplina particolare per le attività dei Commissari liquidatori funzionali alla (cessione o alla) liquidazione dei fondi e dei comparti della SGR; e (ii) la previsione dell’assoggettamento a procedura di liquidazione (giudiziale) dei fondi e/o dei comparti (o di taluno di essi) della SGR, a prescindere dall’adozione di provvedimenti di rigore nei confronti della Società. Sotto il primo profilo, mentre rimane confermato che la disciplina della procedura di l.c.a. è regolata dalle disposizioni del T.U. bancario richiamate dall’art. 57, co. 3, t.u.f. per tutti gli intermediari (SIM, SGR, SICAV, ecc.) qui considerati, si precisano (art. 57, co. 3-bis t.u.f., introdotto dal d.lgs. n. 47/2012) le disposizioni del t.u.b. applicabili anche alle attività dei commissari volte alla gestione, alla cessione o alla liquidazione dei fondi e dei comparti già gestiti dalla SGR assoggettata a l.c.a. Occorre infatti considerare che se per ciò che concerne gli effetti dell’apertura della l.c.a sulla società di gestione è sufficiente il rinvio alle norme del t.u.b. che disciplinano il subentro degli organi della procedura agli esponenti aziendali della società assoggettata a l.c.a.: per ciò che concerne i fondi comuni di investimento gestiti dalla SGR, invece, occorrerà tenere conto della presenza di Organi autonomi, previsti dalla disciplina di settore, a presidio della correttezza tecnica ed amministrativa della loro gestione, nonché della circostanza che nonostante l’assoggettamento della SGR a l.c.a., i fondi comuni di investimento (o taluno tra essi) potrebbero di per sé non presentare alcuna anomalia. L’art. 1, co. 17, lett. a) del d.lgs. n. 42/2012 ha quindi introdotto il co. 3-bis nell’art. 57 t.u.f., sancendo che nell’ipotesi di assoggettamento della SGR a l.c.a. «i commissari liquidatori provvedono alla liquidazione o alla cessione dei fondi da questa gestiti e dei relative comparti, esercitando a tali fini i poteri di amministrazione degli stessi».

6 Salva restando l’ipotesi della “contaminazione” della società per responsabilità da fatti illeciti, pur afferenti alla gestione del patrimonio destinato: art. 2447-quinquies, co. 3, c.c.

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La norma in questione aggiunge anche che «i partecipanti ai fondi o ai comparti hanno diritto esclusivamente alla ripartizione del residuo netto di liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione». Tale ultima previsione è coerente con la visione dell’istituto che pare affermarsi in giurisprudenza, dove è risultata esclusa l’opposizione allo stato passive della SGR in l.c.a. proposta dai partecipanti di un fondo comune di investimento immobiliare gestito dalla stessa, sulla base della argomentazione che «i partecipanti al fondo sono sostanzialmente titolari dei diritti sui beni conferiti nel fondo, la cui titolarità formale spetta tuttavia alla SGR che in quel momento gestisce il fondo, con la conseguenza di vantare unicamente un diritto di credito al valore residuo della quota, all’esito della liquidazione del fondo e del pagamento dei creditori»7. Secondo i primi commentatori8 la ricostruzione proposta da questa giurisprudenza assimilerebbe il fondo comune di investimento gestito da una SGR «alla proprietà fiduciaria (e, più precisamente, ad un trust, considerato dal Tribunale la “matrice culturale del fondo comune di investimento”, in cui i partecipanti al fondo sono sostanzialmente titolari dei diritti sui beni conferiti nel fondo la cui titolarità formale spetta tuttavia alla SGR che in quel momento gestisce il fondo)” e, sotto il profilo operativo della liquidazione, richiama quanto previsto dall’art. 155 l.fall. in tema di patrimoni destinati costituiti da un soggetto poi dichiarato fallito. Orbene, il nuovo comma introdotto dal d.lgs. n. 47 del 2012 rende chiaro, in linea con quanto effettuato dalla sentenza sopra richiamata, che al pari di quanto previsto dall’art. 155 l.fall. in tema di patrimoni destinati (a norma del quale se è dichiarato il fallimento della società che gestisce il patrimonio, l’amministrazione dello stesso è attribuita al curatore fallimentare che provvede alla sua cessione o, se questa non è possibile, alla liquidazione del patrimonio), la liquidazione coatta di una SGR comporta la liquidazione o la cessione (ma, sembrerebbe doversi dire la cessione e, in caso di impossibilità di questa, la liquidazione) dei fondi da questa gestiti e dei relativi comparti. In ipotesi di liquidazione, poi, i partecipanti ai fondi gestiti da una SGR in liquidazione coatta amministrativa (i) non godono di un diritto di rivendica ma esclusivamente di un diritto di credito sul residuo netto di liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di parteci-

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Trib. Milano, 29 marzo 2012, n. 65566/10 R.G., in www.ilfallimentarista.it. Pescatore, Commento all’art. 57, in Vella, a cura di, Commentario T.U.F., Torino, 2012, I, pp. 556-557. 8

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pazione; e (ii) non godono del diritto di affidare la gestione del fondo ad altra SGR, posto che dalla data dell’emanazione del decreto di liquidazione coatta amministrativa cessano le funzioni degli organi del fondo». L’art. 1, co. 17, lett. b) d.lgs. n. 47/2012 ha introdotto anche il co. 6-bis dell’art. 57 t.u.b., secondo il quale «qualora le attività del fondo o del comparto non consentano di soddisfare le obbligazioni dello stesso e non sussistano ragionevoli prospettive che tale situazione possa essere superata, uno o più creditori o la SGR possono chiedere la liquidazione del fondo al tribunale del luogo in cui la SGR ha la sede legale». In tale ipotesi «il Tribunale, sentiti la Banca d’Italia e i rappresentanti legali della SGR, quando ritenga fondato il pericolo di pregiudizio, dispone la liquidazione del fondo con sentenza deliberata in camera di consiglio». A seguito della “liquidazione giudiziale” del Fondo «la Banca d’Italia nomina uno o più liquidatori che provvedono secondo quanto disposto dal comma 3-bis; possono essere nominati liquidatori anche SGR o enti. Il provvedimento della Banca d’Italia è pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Si applica ai liquidatori, per quanto compatibili, l’articolo 84, ad eccezione dei commi 2 e 5, del T.U. Bancario». Per l’ipotesi poi che successivamente la SGR che gestisce il fondo sia sottoposta a l.c.a, i commissari liquidatori della SGR «assumono l’amministrazione del fondo sulla base di una situazione dei conti predisposta dai liquidatori del fondo stesso». In tale disciplina i primi commentatori hanno individuato un (ulteriore) elemento di continuità tra la disciplina dei fondi comuni di investimento e quella dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, come disciplinati dagli artt. 2447-bis ss. c.c. Si è osservato in proposito9 che «a norma dell’art. 2447-novies, co. 2, c.c. si procede alla liquidazione del patrimonio destinato quando si realizza ovvero è divenuto impossibile l’affare cui esso è stato destinato o nel caso in cui ne facciano richiesta i c.d. creditori particolari nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare cui era destinato il patrimonio; similmente, il comma 6-bis dell’art. 57 t.u.f. prevede che qualora le attività del fondo o del comparto non consentano di soddisfare le obbligazioni dello stesso e non sussistano ragionevoli prospettive che tale situazione possa essere superata se ne può chiedere la liquidazione (anche qui da parte dei creditori o del soggetto che amministra il fondo) al tribunale del luogo in cui la SGR ha la sede

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Pescatore, Commento all’art. 57, cit, pp. 556-557.


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legale (ed il tribunale, sentiti la Banca d’Italia e i rappresentanti legali della SGR quando ritenga fondato il pericolo di pregiudizio, dispone la liquidazione del fondo con sentenza deliberata in camera di consiglio)». Ad una prima lettura la norma parrebbe rivolta a consentire alla SGR od ai creditori del fondo “insolvente” di provocarne la liquidazione tramite l’intervento giudiziale, nonostante l’eventuale contrarietà dei partecipanti al fondo, e dunque con il proposito di consentire alla società di gestione ed ai creditori di conseguire coattivamente il risultato liquidatorio in ipotesi non perseguito spontaneamente dai partecipanti al fondo. Certamente il fenomeno descritto rappresenta una possibile chiave di lettura della disciplina in commento, come dimostrato proprio da uno dei (pochissimi) casi sino ad oggi occorsi10. Tuttavia l’importanza dell’intervento normativo sta altrove. A prescindere dalla circostanza che i partecipanti al fondo provvedano o non provvedano alla deliberazione di liquidazione volontaria dello stesso, il profile problematico è rappresentato dalla circostanza che il relativo procedimento (demandato al Regolamento del fondo, nel rispetto delle linee–guida dettate dalle disposizioni regolamentari di settore – oggi costituite dal Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio approvato con provvedimento della Banca d’Italia 8 maggio 2012) non è in grado di soddisfare le esigenze conseguenti alla ipotesi di “insolvenza” del fondo, perché postula – nella sostanza – il pagamento integrale dei creditori, e considera esclusivamente l’ipotesi del rimborso parziale dei partecipanti. Mentre nel caso di pagamento integrale dei creditori e di eventuale “stralcio” delle sole pretese dei partecipanti è effettivamente concepibile un procedimento di liquidazione “ordinaria”, condotto secondo regole tendenzialmente privatistiche, pur se caratterizzate da profili di carattere organizzativo tendenti ad assicurarne l’efficacia e l’efficienza; nel caso invece di “insolvenza”, e cioè di prospettazione di un pagamento parziale anche dei creditori, emergono esigenze connesse: (i) al necessario rispetto del principio generale della “par condicio”, che consigliano l’adozione di procedimenti soggetti alla vigilanza di organi “terzi”; (ii) alla necessaria tutela dello status quo dei rapporti patrimoniali tra i creditori ed il “debitore” comune, che impongono l’introduzione del divieto di costituire (volontariamente) e di acquisire (in ipotesi contro la volontà del debitore)

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V. Trib. Milano, Sez. II, 22 gennaio 2013, n. 19/13, nella quale l’istanza di liquidazione giudiziale proposta da un creditore, e condivisa dalla SGR, seguiva il rigetto da parte dell’assemblea dei partecipanti della proposta di liquidazione ordinaria del fondo avanzata dalla SGR.

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titoli costituitivi di diritti di prelazione e/o di provvedere al, o conseguire il, soddisfacimento dei crediti individuali; e (iii) alla introduzione di meccanismi funzionali ad agevolare il conseguimento dell’adesione dei creditori a soluzioni di composizione negoziale della “crisi” o favorendone la formazione (tramite la previsione dell’efficacia vincolante del consenso della maggioranza anche nei confronti dei creditori dissenzienti); oppure consentendo l’intervento sostitutivo di autorità pubbliche. È per tale ragione che nell’ipotesi in discussione le procedure di liquidazione “ordinaria”, pur disponibili per le imprese finanche – come visto – per i “patrimoni” privi di soggettività giuridica come i fondi comuni di investimento – come si preciserà –, non sono utilmente introducibili, e devono essere sostituite da procedure di carattere “concorsuale”11. In questo contesto il dubbio che potrebbe (e, soprattutto, avrebbe potuto nel passato) essere sollevato sulla possibile inapplicabilità alla insolvenza dei fondi comuni di investimento di qualsiasi procedura di regolazione delle “crisi”, per la semplice ragione connessa alla mancanza di personalità giuridica dei fondi stessi12, fa comprendere quanto provvidenziale sia stato l’intervento normativo che ha portato alla disciplina della “liquidazione giudiziale” del fondo comune di investimento a prescindere dalla condizione della società di gestione. Ed a tale proposito pare opportuno precisare che laddove (anche) la società di gestione venga assoggettata, “successivamente”, a l.c.a., i commissari liquidatori della SGR assumeranno anche l’amministrazione del fondo o dei fondi (già dichiarati in via giudiziale) “insolventi”: ciò che induce a ritenere che allorché l’assoggettamento a l.c.a. della SGR preceda qualsiasi intervento sui “fondi”, nell’ipotesi di “capienza” degli stessi, si applichi l’art. 57, co.3-bis (cessazione delle funzioni degli organi del fondo ed attribuzione dei relative poteri amministrativi ai Commissari liquidatori); mentre nell’ipotesi di “insolvenza” del fondo o di taluno dei fondi i Commissari liquidatori siano legittimati, in qualità di rappresentanti della

11 Puntualmente, in argomento, in occasione di un altro (tra i pochissimi) casi di applicazione dell’art. 57, co. 6-bis, t.u.f., il Tribunale ha affermato che «la messa in liquidazione volontaria del fondo comune [“insolvente”] non impedisce l’accoglimento del ricorso [ex art. 57, co. 6-bis, t.u.f.], in quanto in questo modo si attiva una procedura di liquidazione in sede amministrativa destinata a prevalere su quella di diritto comune perché finalizzata alla tutela della par condicio creditorum» (Trib. Lecce, Sez. I, 5 marzo 2013, n. 21/2013). 12 Da ultimo, in questo senso, Cass., 20 maggio 2013, n. 12287; Cass. 15 luglio 2010, n. 16605 (commentata da Babanti Silva, Alcune riflessioni in merito alla natura dei fondi comuni di investimento, in www.dirittobancario.it).

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SGR, a chiedere la liquidazione giudiziale del fondo ai sensi dell’art. 57, co. 6-bis t.u.f., per poi venire designati dalla Banca d’Italia liquidatori anche del fondo o dei fondi assoggettati a “liquidazione giudiziale”13. Né della dichiarazione giudiziale di “insolvenza” del fondo si ritiene si possa fare a meno, nonostante la pendenza della già intervenuta l.c.a. della Società di gestione, in considerazione degli effetti sui terzi che – come si avrà modo di vedere – la sentenza pronunciata dal tribunale ai sensi dell’art. 57, co. 6-bis, t.u.b., è in grado di produrre. Per tale ragione si deve concludere che nell’ipotesi di insolvenza del fondo comune di investimento la Società di gestione non debba sottoporre ai partecipanti (in ipotesi anche consenzienti) l’approvazione della liquidazione “ordinaria” del fondo, bensì debba ricorrere alla procedura di “liquidazione giudiziale” di cui all’art. 57, co. 6-bis, t.u.f. 3.3. Per ragioni di comodità espositiva abbiamo definito le situazioni nelle quali si pone l’esigenza di una disciplina delle “crisi” del fondo comune di investimento, a prescindere dalla presenza del presupposto per interventi di rigore sulla società di gestione, come la condizione di “insolvenza” del fondo. La definizione non è precisa, stante la lettura della norma che oggi condiziona l’applicabilità della previsione introdotta nell’art. 57, co. 6-bis, t.u.f. la quale allude alla incapacità del fondo di «soddisfare le obbligazioni dello stesso», ed alla mancanza di «ragionevoli prospettive che tale situazione possa essere superata». Di tali precisazioni occorre dunque tenere conto, anche se le situazioni delineate vengono effettivamente già ricondotte alla nozione – per l’appunto – di “insolvenza”14.

13 In mancanza di una disciplina di carattere concorsuale delle situazioni di “crisi” del fondo si è ipotizzato, nella pratica (cfr. Trib. Lecco, Sez. I, 5 marzo 2013, n. 21/2013) che la società di gestione del fondo in “crisi” potesse costituire una nuova società (c.d. NewCo), attribuendone l’intero capitale sociale al fondo, e “conferendole” le attività e le passività facenti capo allo stesso, in funzione della successiva presentazione da parte della NewCo di una domanda di concordato preventivo. In tal modo le attività facenti capo al fondo (“conferite” nella NewCo) sarebbero state ralizzate al riparo da atti o iniziative suscettibili di violare la par condicio creditorum, ed in una condizione di totale trasparenza; mentre le passività facenti capo al fondo sarebbero state soddisfatte secondo le regole canoniche del concorso dei creditori – nulla rimanendo, ovviamente, per i partecipanti al fondo; e nessuno spazio di manovra rimanendo più né agli organi di amministrazione della società di gestione, né agli organi del fondo in “crisi”. 14 Secondo Trib. Lecco, Sez. I, 5 marzo 2013, n. 21/2013, «la novella [introduttiva dell’art. 57, co. 6-bis t.u.f.] (…) richiama nozioni, quali l’incapacità di fare fronte alle obbligazioni e all’assenza di prospettive di ripresa, sostanzialmente coincidenti con quella di insolvenza ex art. 5 l.fall.».

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L’art. 57, co. 6-bis, t.u.f. prevede anche, come ulteriore presupposto per la pronuncia della “liquidazione giudiziale” del fondo, l’accertamento da parte del tribunale del “pericolo di pregiudizio”: circostanza che peraltro sembrerebbe risultare in re ipsa, allorché siano risultati accertati gli altri presupposti della incapacità del fondo a soddisfare le obbligazioni facenti capo allo stesso e della mancanza di ragionevoli prospettive di superamento della situazione critica, essendo connaturale a tale situazione il pericolo (a non dir d’altro) di: (i) atti preferenziali; (ii) acquisizione di titoli di prelazione da parte di taluni creditori in danno degli altri; (iii) soddisfacimenti preferenziali (per es. attraverso il compimento di operazioni con il fondo comportanti l’assunzione da parte dei terzi di obbligazioni suscettibili di compensazione con crediti pregressi); eccetera. Gli effetti della “dichiarazione giudiziale” dell’insolvenza del fondo sono anzitutto rappresentati dalla conseguente nomina da parte della Banca d’Italia di uno o più liquidatori (che provvedono secondo quanto previsto dall’art. 57, co. 3-bis, t.u.f.): nomina che pare risultare atto dovuto, alla stessa stregua della emanazione del provvedimento di assoggettamento a l.c.a. della società di gestione, ove intervenga la “dichiarazione giudiziale” della sua “insolvenza” (cfr. art. 195, co. 4, l.fall., richiamato dall’art. 82, co. 1, t.u.b. per le banche, al quale fa rinvio l’art. 57, co. 3, t.u.f. per le SIM, le SGR e le SICAV). Gli effetti invece della nomina dei liquidatori da parte della Banca d’Italia sono rappresentati, anzitutto, dall’applicabilità agli stessi, in quanto compatibile, dell’art. 84 t.u.b., ad eccezione dei commi 2 e 5 (cfr. art. 57, co. 6-bis, t.u.f.). Ciò comporta che: (i) i commissari rivestano la qualifica di pubblici ufficiali; pongano in essere atti che si ripercuotono sul patrimonio del fondo; procedano alle operazioni funzionali alla sua liquidazione, (ii) la Banca d’Italia possa emanare direttive per la liquidazione del fondo (della cui eventuale inosservanza sono personalmente responsabili i liquiditori) e possa stabilire che talune categorie di operazioni siano soggette alla sua autorizzazione; (iii) i liquidatori debbano presentate annualmente alla Banca d’Italia una relazione, informando periodicamente i creditori (e i partecipanti al fondo) sull’andamento della liquidazione, secondo le modalità stabilite dalla Banca d’Italia; (iv) ai liquidatori si applichi l’art. 72, commi 7, 8 e 9 t.u.b. (“poteri e funzionamento” degli organi della procedura di Amministrazione Straordinaria dell’impresa bancaria); e (v) i liquidatori, previa autorizzazione della Banca d’Italia, possano ricorrere alla collaborazione di coadiutori. Di per sé, peraltro, gli effetti così individuati non soddisferebbero adeguatamente le esigenze poste dalla “insolvenza” del fondo, nulla disponendo – ad esempio – sul versante della protezione del patrimonio

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del fondo da azioni individuali dei singoli creditori; né sul terreno di favorire l’adesione degli stessi a soluzioni di composizione negoziale della “crisi” (o l’adottabilità di soluzioni comunque vincolanti per i creditori). A tale risultato è possibile pervenire (e si ritiene corretto pervenire, alla luce della ratio complessiva della disciplina neo introdotta nell’art. 57 t.u.f.) solo interpretando per così dire estensivamente il rinvio (contenuto nel co. 6-bis della norma) a «quanto disposto dal comma 3-bis» dell’art. 57, riferendo detto rinvio non tanto all’operato dei liquidatori – che, recita la disposizione, «provvedono secondo quanto disposto dal comma 3-bis» –, bensì più in generale al contesto nel quale i liquidatori “provvedono”, così rendendo applicabili anche alla “procedura “di “liquidazione giudiziale” del fondo le disposizioni del t.u.b. richiamate dal comma 3-bis per la liquidazione coatta amministrativa della società di gestione. La conclusione è sorretta da più di un argomento interpretativo: (i) in via preliminare, la ratio dell’intervento riformatore, il quale «tende, da un lato, ad evitare il rischio che, data l’attuale lacuna normativa, l’incapienza di un singolo fondo possa comportare interventi giudiziali destabilizzanti per la stessa SGR e per tutti i fondi, anche capienti, dalla stessa gestiti; dall’altro a fornire adeguata tutela ai creditori del fondo insolvente (sic!), prevedendo una specifica possibilità di ricorso al tribunale per far cessare la gestione del fondo e un conseguente intervento dell’autorità di vigilanza per assicurare modalità idonee di liquidazione o cessione del fondo stesso»15; (ii) secondariamente, la circostanza che il richiamo del co. 3-bis dell’art. 57 t.u.f. per regolare l’operato dei liquidatori del fondo nominati dalla Banca d’Italia a seguito della sentenza di liquidazione giudiziale dello stesso, ben può ricomprendere le norme rese applicabili (dal comma 3-bis cit.) per l’appunto all’operato dei liquidatori della società di gestione; e infine (iii) la circostanza che nel momento in cui l’art. 57, co. 6-bis, prevede l’assoggettamento della SGR a l.c.a. successivamente alla “liquidazione giudiziale” del fondo, si limiti a prevedere la consegna della “situazione dei conti” da parte dei liquidatori del fondo ai commissari liquidatori della società, senza rinviare alle disposizioni del t.u.b. richiamate dall’art. 57, co. 3-bis, per l’ipotesi di apertura della L.C.A. sulla SGR: il chè appare perfettamente coerente con l’idea che tali disposizioni fossero già divenute applicabili con la sentenza di liquidazione giudiziale del fondo. A tale stregua la disciplina di questa “procedura” risulta adeguatamente caratterizzata (inter alia) da: (i) la produzione di “effetti protettivi”

15

Relazione all’art. 1, co. 17, d.lgs. n. 47/2012.

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per il patrimonio del fondo (cfr. art. 83 t.u.b.); (ii) un ordinato procedimento di accertamento delle passività facenti capo al fondo (cfr. artt. 8689 t.u.b.); (iii) efficienti modalità di liquidazione degli assets del fondo (cfr. art. 90 t.u.b.)16; e (iv) «un efficace procedimento di composizione della “crisi” del fondo attraverso la predisposizione di una proposta di concordato di liquidazione dello stesso, soggetta al vaglio del tribunale nell’eventuale contraddittorio con i creditori e con ogni altro “interessato”» (tra i quali, beninteso, i partecipanti al fondo in liquidazione), in applicazione dei richiamati artt. 93 e 94 t.u.b. Per ciò che concerne infine il procedimento attraverso il quale perseguire e conseguire la “liquidazione giudiziale” del fondo, si segnalano: (i) la natura, espressamente individuata in quella dei procedimento in camera di consiglio (cfr. art 737 ss. c.p.c.); (ii) la legittimazione attiva, riservata ai creditori ed alla stessa SGR; (iii) la competenza, attribuita al tribunale del luogo in cui la SGR ha sede legale; (iv) la forma dell’atto introduttivo, che in mancanza di precisazioni deve essere individuate nel ricorso (cfr. art. 737, co. 1, c.p.c); (v) la forma del provvedimento conclusivo, che viene espressamente individuata nella sentenza, con la conseguenza che il regime di impugnazione non sarà quello (delineato dagli artt. 739 e 740 c.p.c.) tipico dei provvedimenti (decreti) che definiscono i giudizi camerali, bensì quello tipico delle sentenze (termine c.d. breve di trenta giorni dalla notificazione e, in difetto, termine c.d. lungo di sei mesi dalla pubblicazione) – senza peraltro che la forma dell’impugnazione assuma le vesti della citazione in appello, dovendo mantenere quelle del ricorso, ai sensi degli art. 739-740 c.p.c.17).

16 Nell’ambito della procedura di liquidazione giudiziale del fondo comune di investimento (immobiliare) aperta con la sentenza di Trib. Milano, Sez. II, 22 gennaio 2013, n. 19/13 la Banca d’Italia, su istanza del liquidatore, ha rilasciato l’autorizzazione a contrarre un finanziamento bancario funzionale a porre in essere determinate attività sul patrimonio del fondo, tese a valorizzarlo maggiormente in funzione di una più proficua liquidazione, «ai sensi dell’art. 90, comma 4, TUB, richiamato dall’art. 57, commi 3-bis e 6-bis t.u.f.». Da segnalare che l’istanza di autorizzazione del liquidatore precisava che il credito derivante dall’erogazione prospettata sarebbe stato caratterizzato dal “beneficio della restituzione in prededuzione”. 17 Cass., n. 10521/1994; Cass., n. 8587/1991.

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4. Effetti della “crisi” della SGR sul FCI “in bonis”. Gli effetti della “crisi” della SGR sui FCI gestiti sono disciplinati dalla legge per la sola ipotesi nella quale detta situazione di difficoltà determini l’assoggettamento della SGR alla liquidazione coatta amministrativa. In linea di principio – ma con riserva di approfondimento in altra sede – la scelta è condivisibile, in tanto in quanto la procedura di l.c.a. sia la sola che, determinando la (od essendo conseguenza della)18 revoca dell’autorizzazione amministrativa ad esercitare l’attività “riservata” che caratterizza la SGR, impedisca la continuazione della gestione dei FCI originariamente istituiti (ovvero acquisiti). Le altre “procedure di crisi”, infatti, in quanto necessariamente caratterizzate dalla “continuità aziendale” della SGR, non dovrebbero comportare (di per sé, o comunque nell’immediato) la dismissione (per cessione o per liquidazione) dei Fondi, esaurendosi l’attività della SGR proprio nella gestione degli stessi. Come che sia, per il solo caso di assoggettamento della SGR alla l.c.a. è disposto che «Se è disposta la liquidazione coatta di una società di gestione del risparmio, i commissari liquidatori provvedono alla liquidazione o alla cessione dei fondi da questa gestiti e dei relativi comparti, esercitando a tali fini i poteri di amministrazione degli stessi. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 83, 86, ad eccezione dei commi 6 e 7, 87, commi 2 e 3, 88, 89, 90, 91 ad eccezione dei commi 1-bis, 2, 3 e 11-bis, 92, 92-bis, 93 e 94 del T.U. bancario, nonché i commi 4 e 5 del presente articolo. I partecipanti ai fondi o ai comparti hanno diritto esclusivamente alla ripartizione del residuo netto di liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione; dalla data dell’emanazione del decreto di liquidazione coatta amministrativa cessano le funzioni degli organi del fondo» (art. 57, co. 3-bis, t.u.f.). I Commissari liquidatori, pertanto, in conseguenza della privazione della SGR dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività “riservata” di gestione collettiva del risparmio, non possono continuare l’attività di gestione del Fondo (o dei Fondi). Nonostante l’espressione letterale della norma richiamata, è da ritenere che i Commissari debbano provvedere in prima battuta (al tentativo di procedere) alla cessione del FCI a terzi; e solo ove ciò non sia possibile (o non sia ritenuto conveniente), possano procedere con la liquidazione del Fondo.

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Bonfatti, La disciplina, cit., p. 704.

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A tale proposito l’art. 57, co. 3-bis, t.u.f. rinvia a numerose disposizioni del t.u.b., in materia di liquidazioni bancarie, precisando che «i partecipanti ai fondi o ai comparti hanno diritto esclusivamente alla ripartizione del residuo netto di liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione». Gli effetti del rinvio, per l’ipotesi di «liquidazione coatta amministrativa di una società di gestione del risparmio», alle numerose disposizioni dettate per l’accertamento del passivo, la liquidazione dell’attivo, la ripartizione del ricavato, nell’ambito delle liquidazioni bancarie, si prestano ad almeno due interpretazioni difformi: (i) la prima, favorevole a considerare la portata della estensione in parola circoscritta al regolamento delle passività della SGR (cioè alle obbligazioni assunte dalla stessa verso i terzi, e come tali destinate a trovare soddisfacimento nel contesto della procedura di l.c.a. aperta nei confronti della Società); (ii) la seconda, favorevole a considerare la portata del descritto rinvio estesa anche alla liquidazione dei Fondi gestiti, che assumerebbe in questo modo (anch’essa) i connotati di una liquidazione concorsuale. È da ritenere che a tale proposito si debbano tenere distinte due possibili situazioni. La prima è quella caratterizzata da una condizione di perdurante solvibilità del Fondo. In tal caso, ove – come detto – non sia possibile procedere alla sua cessione, i Commissari liquidatori dovranno provvedere alla liquidazione del Fondo facendo applicazione del relativo Regolamento di gestione19. La seconda è quella caratterizzata da una concomitante situazione di “crisi” anche del Fondo: nel qual caso la situazione si presenta, come vedremo subito in appresso, più complessa.

5. Segue. Effetti della “crisi” della SGR sul FCI a sua volta versante in una situazione (pregressa ovvero conseguente) di “crisi”. Come detto, la seconda situazione che può presentarsi, nell’ipotesi di assoggettamento della SGR alla procedura di l.c.a., è quella costituita

19 In modo non dissimile da quanto previsto per la liquidazione del patrimonio destinato della S.p.A. fallita, che deve essere liquidato (ove non ceduto) dal curatore del fallimento, «secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili».

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dall’ipotesi nella quale anche il Fondo versi (o venga a versare) in una situazione di “crisi”. Allorché tale “crisi” sia rappresentata dalla “incapienza” delle attività a soddisfare le obbligazioni assunte dal Fondo – ovvero nell’interesse dello stesso –, e nella mancanza di ragionevoli prospettive di miglioramento, è da ritenere che si debba fare applicazione di quanto disposto dall’art. 57, co. 6-bis, t.u.f., e cioè ricorrere alla liquidazione giudiziale del Fondo, conseguita attraverso la dichiarazione del Tribunale (che vi provvede «quando ritenga fondato il pericolo di pregiudizio») e la successiva nomina di uno o più Commissari liquidatori ad opera della Banca d’Italia. I liquidatori, in tal caso, «provvedono secondo quanto disposto nel comma 3-bis» dell’art. 57 t.u.f.: e da ciò si ritiene possibile (e necessario) ricavare il carattere della “concorsualità” della liquidazione del Fondo20 21.

6. Le situazioni di “crisi” dei Fondi Comuni di Investimento diverse dalla “incapienza” (comportante un “pericolo di pregiudizio”). Come detto, per l’ipotesi di insufficienza delle attività del Fondo a soddisfarne le obbligazioni, e in una situazione nella quale il Tribunale ravvisi la sussistenza di un “pericolo di pregiudizio”, l’art. 57, co. 6-bis, t.u.f. dispone la liquidazione giudiziale del Fondo stesso, che apre una procedura informata ai caratteri della l.c.a. della SGR (quindi, alla l.c.a. bancaria), alla quale si ritiene corretto attribuire natura “concorsuale”22, per quello che ne può derivare che non sia già ricavabile dalle disposizioni del t.u.f. e del t.u.b. rivolte a disciplinare le liquidazioni coatte amministrative di intermediari finanziari bancari e non bancari. Tuttavia questa sorta di “insolvenza patrimoniale” del Fondo non è l’unica situazione nella quale si ponga l’esigenza dell’intervento di misure “straordinarie”, atte a prevenire la produzione di una situazione di “crisi”, ovvero ad evitarne la evoluzione in una condizione deteriore (poniamo, da “reversibile” a “irreversibile”).

20

Carriere, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali di crisi d’impresa, in Il fallimento6, 2014, p. 617 ss. 21 Pervenendo peraltro, in tal modo, ad un risultato diverso (e anzi opposto, per lo meno secondo l’interpretazione assolutamente dominante) rispetto a quello disposto, nella corrispondente ipotesi, per il patrimonio destinato ex art. 2447-bis, lett. a) c.c., per il quale, anche in caso di “incapienza”, la liquidazione deve avvenire «secondo le regole della liquidazione delle società in quanto compatibili»: art. 156, co. 1, l. fall. 22 Carriere, Fondi comuni, cit., p. 617 ss.

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Per le attività esercitate direttamente da una Società; e per le stesse attività esercitate direttamene proprio da una SGR; numerose sono le misure di “prevenzione” della crisi; di “composizione giudiziale” della crisi; di “soluzione alternativa” della crisi, diverse dall’apertura di una procedura di l.c.a., con la inevitabile conseguenza della cessazione dell’attività d’impresa che ne deriva (cfr. art. 57, co. 1, t.u.f., che in presenza dei presupposti di assoggettamento della SGR alla l.ca. dispone la preventiva “revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività” da parte dell’Autorità di Vigilanza – Ministero dell’Economia e delle Finanze –). Lo scioglimento del dubbio se la “crisi” di un FCI sia prevenibile, o affrontabile; o componibile attraverso il ricorso ad una delle misure disponibili in altre situazioni (per utilizzare una espressione quanto più possibile generale) presentanti corrispondenti caratteristiche patrimoniali-economiche-finanziarie, si gioverebbe molto della attribuibilità al Fondo di una qualificazione soggettiva tipica. Se si trattasse di un “imprenditore”, gli si potrebbe consentire l’utilizzo delle misure volte a favorirne il superamento o la composizione della crisi, come il Piano di Risanamento Attestato ex art. 67, co. 3, lett. d) l.fall.; e l’Accordo di Ristrutturazione ex art. 182-bis l.fall.23. Se si trattasse di un “imprenditore commerciale”, gli si potrebbe consentire l’accessibilità anche alla procedura di Concordato preventivo, ove si ritenesse di potere prescindere dalla esclusione disposta (non già per il FCI gestito, bensì) per la SGR che lo gestisce24. Se si trattasse di un “debitore” presentante una situazione di sovraindebitamento non soggetta né assoggettabile a procedure concorsuali diverse da quelle regolate nel Capo II della legge 27 gennaio 2012, n. 3, se ne potrebbe valutare l’accessibilità ad una delle cc.dd. procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (disciplinate dalla richiamata legge n. 3/2012). Il dubbio peraltro non si presta ad una facile soluzione, principalmente per la considerazione che prima ancora di accertare in quale soggetto possa identificarsi un Fondo Comune di Investimento, è necessario verificare se si tratti di un soggetto (imprenditore di diritto comune o di diritto speciale che sia; insolvente commerciale o insolvente civile che sia), trattandosi di circostanze nient’affatto scontata, ed anzi – come si dirà – diffusamente ed autorevolmente negata.

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Postulandone l’estraneità alla categoria delle “procedure concorsuali”: infra, n. 7. Art. 80, co. 3, t.u.b., richiamato dall’art. 75, co. 3, t.u.f.


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La verifica del profilo accennato rappresenta, a parere di chi scrive, un necessario passaggio preliminare. In caso di esito positivo, il risultato potrà facilitare di molto l’individuazione delle soluzioni più convincenti. In caso di esito negativo, si dovrà valutare la perdurante disponibilità di soluzioni al problema, ovvero prendere atto della mancanza di soluzioni, allo stato delle cose ed allo stato della normativa vigente.

7. La “natura giuridica” dei Fondi Comuni di Investimento. Per definizione i FCI costituiscono «patrimoni autonomi, suddivisi in quote, istituiti e gestiti da un gestore ... raccolti tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati, a favore di soggetti diversi dai consumatori, a valere sul patrimonio del [Fondo] …, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata»: art. 1, co, 1, lett. j) e k) t.u.f. Per definizione i FCI sono caratterizzati da una “separatezza patrimoniale” che viene giudicata “perfetta”25: nel senso che (i) le attività che fanno parte del Fondo non rispondono di obbligazioni diverse da quelle assunte “dal” Fondo, ovvero “nell’interesse” del Fondo; e (ii) la SGR non risponde delle obbligazioni assunte dal (o nell’interesse del) Fondo, quale che sia la natura (negoziale o extra negoziale) delle obbligazioni “estranee”26. Secondo l’art. 36, co. 4, t.u.f., infatti, «ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la Sgr risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o nell’interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli investitori

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Paolini, Fondi Comuni di Investimento, SGR e trascrizione, Studio n 90-2012/I, in Diritto bancario, gennaio 2013, p. 7. 26 Difformemente, pertanto, da quanto previsto per i “patrimoni destinati”: cfr. art. 2447 quinqiues, co. 3, seconda parte, c.c.

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sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi. La società di gestione del risparmio non può in alcun caso utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti». Se pare sufficientemente chiara la disciplina del profilo “oggettivo” del patrimonio assoggettabile alle disposizioni dettate per il Fondo Comune di Investimento, estremamente controversa si presenta invece la individuazione del profilo “soggettivo” di tale patrimonio: chi, cioè, ne sia il “titolare” (potremmo dire: il proprietario). Fermo l’unanime consenso sulla qualificabilità dei beni e dei diritti facenti parte del “Fondo” come “patrimonio separato” rispetto a quello degli altri “soggetti” interessati – la SGR; i Partecipanti; gli altri Fondi –, è persino messo in dubbio che se ne possa individuare un “titolare”, prospettandosi la configurabilità di un patrimonio per c.d. “acefalo” . Chi non si arrende a tale, mortificante conclusione, è diviso tra coloro che attribuiscono la proprietà dell’oggetto del Fondo ai partecipanti, alla stregua di quella che potremmo chiamare una “comunione legale” tra i sottoscrittori delle quote del Fondo; chi ne attribuisce la titolarità alla SGR che lo ha costituito (o alla SGR, che può essere diversa dalla prima, che – di volta in volta – lo gestisce) 27 ; chi, infine, esclude che “titolare” del Fondo (rectius: dei diritti che costituiscono l’oggetto del Fondo) sia la SGR che lo ha istituito (e/o che lo gestisce), attribuendo la proprietà di ciò che ne è l’oggetto – in termini evidentemente alquanto approssimativi – «ai Partecipanti al Fondo (o al Fondo) … cioè il Fondo, o i suoi Partecipanti»28. L’evoluzione normativa registrata dall’istituto del FCI per ciò concerne la esclusione di eccezioni alla “separatezza” che ne caratterizza il patrimonio; il superamento delle possibili ambiguità sulla possibile individuazione (oggi negata in radice: art. 36, co. 4, t.u.f.) di una responsabilità sussidiaria della SGR per le obbligazioni assunte dal (o nell’interesse del) Fondo; la esclusione di ogni possibile attribuzione alla SGR degli eventuali “residui attivi di liquidazione” all’atto dello scioglimento del Fondo; l’instaurazione di prassi organizzative rivolte ad implementare il sistema di governance dei Fondi (con la previsione e la disciplina, nei relativi Regolamenti, di “Organi” coinvolti nella gestione del patrimonio separato: Assemblea dei Partecipanti; Comitati Consultivi; Comitati Tecnici; ecc.); rappresentano tutti indizi che, insieme ad altri argomenti – taluno dei quali molto convincenti – portano a prendere le distanze dal

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Cfr. Cass., 15 luglio 2010, n. 16605. Trib. Milano, 10 giugno 2016, n° 7237, in Diritto bancario, ottobre 2016.


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principio affermato dalla Corte di Cassazione, e poi ripreso da diverse decisioni di merito, sull’attribuzione della “proprietà” del Fondo – pur separatamente dalla proprietà del patrimonio sociale, nonché dalla proprietà degli altri patrimoni gestiti attraverso Fondi diversi – alla SGR. D’altro canto, l’orientamento contrastato si è formato prima delle più recenti innovazioni normative che hanno rafforzato l’autonomia del patrimonio seperato e la estraneità della SGR alle relative obbligazioni; nonché prima della assunzione da parte di molti Fondi di una struttura organizzativa avanzata. Prende pertanto l’idea di attribuire al “Fondo” una propria soggettività29: anche se ciò può non esaurire il discorso rappresentato dalla individuazione del “proprietario” dei diritti, dei beni, dei rapporti giuridici afferenti al “Fondo”, tanto vistosa rappresentandosi la mancanza di ogni diritto dispositivo (assegnato inequivocabilmente alla SGR) su ciò di cui si sarebbe “titolari”. In questo complesso contesto, va valutata con attenzione l’opinione di chi30 invita a prescindere dallo (o per lo meno a soprassedere allo) scioglimento del dubbio se al Fondo Comune di Investimento debba o non debba essere riconosciuta, in termini generali e strutturali, una “soggettività giuridica”; per ripiegare sul più modesto problema interpretativo rappresentato dalla domanda se il FCI «sia o meno un soggetto di diritto ai fini dell’applicazione della disciplina di volta in volta rilevante»31.

8. Fondi Comuni di Investimento e procedure di composizione negoziale delle crisi di impresa – A) Il “Piano di Risanamento Attestato” ex art. 67, co. 3, lett. d), l. fall. Il “Piano di Risanamento Attestato”, disciplinato essenzialmente dall’art. 67, co. 3, lett. d) l.fall., è costituito dal compimento di uno o più

29 Trib. Milano, 10 giugno 2016, n. 7232, in Diritto bancario, ottobre 2016; Barbanti Silva, Alcune riflessioni in merito alla natura dei Fondi Comuni di Investimento, in Diritto bancario, marzo 2013. 30 Paolini, Fondi Comuni di Investimento, SGR e trascrizione, Studio n 90-2012/I, in Diritto bancario, gennaio 2013. 31 Utilizzando questo approccio l’A. citata alla nota precedente risolve in senso positivo il quesito della “soggettivizzazione” del Fondo al fine di dare applicazione alla disciplina della trascrizione immobiliare, con riguardo alla pubblicità concernente gli atti di disposizione di beni immobili acquistati nell’interesse del Fondo ovvero venduti, sempre nel suo interesse.

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atti giuridici, rivolti a «consentire il risanamento della esposizione debitoria» e ad «assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa», integrato dalla “Attestazione” di un esperto indipendente (i cui requisiti sono contestualmente precisati) circa la veridicità dei dati aziendali posti alla base del “Piano” e la sua fattibilità. Gli effetti sono principalmente rappresentati dalla esenzione dall’azione revocatoria degli atti, pagamenti, garanzie (costituite su beni del debitore) posti in essere in esecuzione del Piano; e dalla esimente dalla responsabilità penale astrattamente attribuibile al compimento di quegli atti come possibile oggetto dei reati di bancarotta (ai sensi e nei limiti di cui all’art. 217-bis l.fall.). Il “Piano” non costituisce pertanto una “procedura”: né costituisce necessariamente un “Accordo” (e quando lo fosse, non è necessariamente riservato ai soli “creditori”). Esso può anche essere rappresentato da uno più contratti traslativi (cessioni di asset); da operazioni societarie straordinarie (fusioni o scissioni); da atti unilaterali. Si deve ritenere che il soggetto che fosse investito di un mandato gestorio sufficientemente ampio da consentirne il compimento di atti anche di straordinaria amministrazione, potrebbe esercitarlo validamente per predisporre un “Piano di Risanamento” volto a superare la situazione di crisi del patrimonio amministrato. Non pare che vi possano essere dubbi nel ritenere che anche la SGR possa procedere in tal senso, con effetti circoscritti ai beni ed ai diritti ricompresi nel “Fondo”, ai fini di prevenirne ovvero comporne la “crisi”. In tale ipotesi sembra di potere prescindere dalla risposta alla domanda sulla (maggiore o minore) “soggettività” del Fondo. Si ritiene cioè legittimata la SGR stessa a porre in essere quegli atti; a concludere quei contratti; a predisporre quel “Piano”, funzionali a conseguire (il “risanamento” del Fondo e, con l’integrazione apportata dalla “Attestazione” qualificata di cui si è detto) gli effetti protettivi connessi all’istituto. A riprova della correttezza della conclusione si può addurre la circostanza che certamente la SGR potrebbe predisporre e concludere, nell’interesse dal “Fondo”, un accordo stragiudiziale con i creditori dello stesso, volto a regolarne un processo di riequilibrio economico-finanziario. La predisposizione di un “Piano” ex art. 67, co. 3, lett. d) l.fall. non è (necessariamente) più di questo, con la integrazione – che costituisce però un fattore del tutto “esterno” – della “Attestazione qualificata” prevista dalla norma richiamata. A nulla rileva, a parere di chi scrive, a tale proposito, la discussione se il FCI abbia o non abbia soggettività giuridica; e chi sia il “titolare” (ammesso che ve ne sia uno) dei rapporti giuridici facenti capo al Fondo. La legittimazione a disporne è comunque riservata alla SGR: e la

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SGR ben può disporne attraverso il compimento di atti giuridici e/o la conclusione di contratti (integrati dalla “Attestazione speciale”) volti al superamento della situazione di difficoltà del Fondo. Ma vi è di più. Potendo disporre dell’istituto in esame per comporre la situazione di “crisi” (finanziaria) del “Fondo” agendo all’interno di un “contesto protetto”, che favorisca la stabilità degli effetti degli atti giuridici posti in essere, potrebbe esporsi ad una responsabilità omissiva per inadeguato assolvimento della “funzione” assegnatale dalla disciplina di settore, la SGR (e per essa i suoi organi amministrativi) che, sussistendone i presupposti, omettesse di porre in essere questa misura di tutela del patrimonio del “Fondo”.

9. Segue. B) L’”Accordo di Ristrutturazione” ex art. 182-bis l.fall. 9.1. Lo “Accordo di Ristrutturazione” disciplinato dall’art. 182-bis l.fall. è correttamente qualificabile una “procedura”: esso è qualificabile come tale, infatti (e non come semplice accordo stragiudiziale, pur essendo proprio questo), solo in virtù della conclusione (positiva) di un procedimento giudiziale, che è la procedura di omologazione. In prima battuta potrebbero essere riproposte per lo “Accordo” le considerazioni formulate per il “Piano”: potendo disporre la SGR dei rapporti giuridici inerenti il “Fondo”, ben potrebbe farli oggetto di un accordo con i creditori, funzionale a superare il momento di difficoltà, previa omologazione del Tribunale. Il giudizio di omologa postula però un “ricorrente”; ed è condizionato alla presenza di presupposti, anche soggettivi. Solo “l’imprenditore” può ricorrervi: e se il “Fondo” venisse riconosciuto “titolare” del patrimonio separato che ne costituisce l’oggetto, si potrebbe dubitare che esso sia legittimato a ricorrere a tale istituto; come si potrebbe dubitare che potesse farlo la SGR, in grado di qualificarsi “imprenditore”, allo scopo di conseguire effetti destinati a trovare applicazione nei confronti di un patrimonio il cui titolare – il Fondo – risultasse invece (perché non qualificabile “imprenditore”) non legittimato a conseguirli. Se tuttavia si prescinde dal prendere posizione sulla questione di portata generale (e addirittura “sistematica”) se ed in quali limiti il FCI possa qualificarsi “proprietario” (o “titolare”) dei rapporti giuridici che ne costituiscono l’oggetto; e si ripiega sul più circoscritto interrogativo se la disciplina dello “Accordo” possa trovare applicazione nei confronti dei rapporti giuridici facenti capo al Fondo; la risposta più convincente è la risposta positiva.

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Per la verità l’ipotesi del ricorso di una SGR (nell’interesse di un Fondo gestito) all’istituto dello Accordo di Ristrutturazione disciplinato dall’art. 182-bis l. fall. pone già di per sé un dubbio interpretativo, dal momento che tale genere di società – come gli altri intermediari bancari e finanziari – non è soggetto alle “procedure concorsuali” di diritto comune (cfr. artt. 80, comma 6, t.u.b., richiamato dall’art. 57, co. 3, t.u.f.). Il dubbio – sul quale si ritornerà più ampiamente in appresso – deve peraltro essere risolto, ad avviso di chi scrive, in senso positivo, dal momento che all’istituto disciplinato dall’art. 182-bis l.fall. non può essere riconosciuta la natura di “procedura concorsuale”. Difettano della disciplina tipica di tali procedure, alcuni profili essenziali, quali – principalmente – la indisponibilità del patrimonio da parte dell’imprenditore interessato (che può continuare a disporne, con atti – anche di straordinaria amministrazione – sicuramente opponibili ai creditori, quantunque in ipotesi contradditori rispetto agli impegni derivanti con la sottoscrizione dello “Accordo” – con l’unica, eventuale conseguenza della esposizione dello stesso al rischio della risoluzione contrattuale –); e la mancanza di una versa e propria “cristallizzazione” delle passività “concorsuali” (al punto che – ad esempio – ben potrebbe il creditore anteriore al perfezionamento dello “Accordo” opporre in compensazione all’imprenditore una propria obbligazione sorta in epoca successiva)32. Ciò precisato, l’opinione favorevole ad ammettere la possibilità del ricorso all’istituto dello “Accordo” ex art. 182-bis, l.fall., da parte di una SGR, nell’interesse di un Fondo Comune di Investimento (con specifico riguardo proprio ai Fondi Comuni Immobiliari di tipo chiuso), può fondamentalmente essere espressa sulla scorta del disposto di diritto positivo rappresentato dall’art. 57, co. 6 bis, t.u.f.33. Tale norma, infatti, delinea una Procedura, assimilabile alla Liquidazione Coatta Amministrativa degli Intermediari Finanziari – e tanto più dopo essere stata integrata dalla modifica conseguente all’attività di adeguamento

32 La esclusione della natura di “procedura concorsuale” dello “Accordo di Ristrutturazione” anche alla luce delle recentissime modifiche legislative è confermata da Fabiani, L’Ipertrofica legislazione concorsuale tra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in www.ilcaso.it. In precedenza v. per tutti Inzitari, La disciplina della crisi nel testo Unico Bancario, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Banca d’Italia, n. 75, Roma, 2014; e D’ambrosio, Accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, IV, Torino 2009, p. 1802 ss. 33 Carriere, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali di crisi d’impresa, in Il fallimento6, 2014, 617 ss.

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del t.u.f. alla Direttiva Comunitaria 2014/59/UE, che ha portato ad integrare la disposizione in commento con una inedita seconda parte34, che investe esclusivamente il Fondo Comune di Investimento in stato di insolvenza, e che può essere aperta su istanza – anche – della SGR che lo gestisce. La norma attesta che una procedura concorsuale può essere disposta nei confronti del FCI, nonostante il dubbio se tale patrimonio abbia soggettività giuridica: e sulla scorta di tale constatazione si è ritenuto che non sussistano ostacoli ad ipotizzare che tale patrimonio possa costituire oggetto anche di una procedura di composizione della “crisi” come quella delineata dall’art. 182-bis, l.fall.35. Se mai può essere interessante aggiungere che il problema preso in considerazione dalla dottrina dianzi citata non si pone soltanto in presenza di una situazione di “crisi” circoscritta ad uno (o più) dei Fondi Comuni di Investimento (immobiliari di tipo chiuso) gestiti da una SGR. Esso si pone anche in relazione all’ipotesi della emersione di una situazione di “crisi” della stessa SGR, allorquando essa sia provocata dalla condizione di “crisi” di un “Fondo” (o di più Fondi). I ricavi della SGR, infatti, sono costituiti unicamente – come detto dalle commissioni percepite per la gestione del “Fondo”, a carico del patrimonio in ché esso consiste: ed in una situazione di insolvenza (o anche di illiquidità) del “Fondo”, è inevitabile rappresentarsi la possibilità che anche la SGR vada incontro a serie difficoltà economiche – tanto allorché il “Fondo” non abbia oggettivamente le disponibilità liquide per corrispondere alla SGR le commissioni di gestione; quanto nell’ipotesi

34 Lo Schema di Decreto Legislativo recante modifiche del t.u.f. in attuazione della Direttiva CEE 2014/59/UE, in corso di approvazione da parte del Parlamento, prevede che al co. 6-bis dell’art. 57 sia aggiunto il seguente periodo: «Nel caso in cui il fondo o il comparto sia privo di risorse liquide o queste siano stimate dai liquidatori insufficienti a soddisfare i crediti in prededuzione fino alla fine della liquidazione, i liquidatori pagano, con priorità rispetto a tutti gli altri crediti prededucibili, le spese necessarie per il funzionamento della liquidazione, le indennità e le spese per lo svolgimento dell’incarico dei liquidatori, le spese per l’accertamento del passivo, per la conservazione e il realizzo dell’attivo, per l’esecuzione di riparti e restituzioni e per la chiusura della liquidazione stessa, utilizzando dapprima le risorse liquide eventualmente disponibili della liquidazione, e poi le somme messe a disposizione dalla società di gestione del risparmio che gestisce il fondo o il comparto, somme che restano a carico della società stessa. Non si applica l’articolo 92-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 5 del T.U. bancario; il comma 6 del medesimo articolo si applica nel caso in cui non vi siano prospettive di utile realizzo dei beni del fondo o del comparto». 35 Trib. Milano, 3 dicembre 2015, in Fallimento, 2016, p. 958 ss. con nota di Grigo’, Accordi di ristrutturazione dei debiti e fondi comuni di investimento: una possibile “diversa” lettura?; Trib. Milano, 10-17 novembre 2016.

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nella quale le disponibilità sussistano, ma la SGR assuma la determinazione di non utilizzarle per pagare le commissioni di gestione (cioè per auto-soddisfarsi), nella giusta considerazione dei possibili effetti pregiudizievoli di tali pagamenti (oggettivamente) “preferenziali” – . In tale situazione, considerato che per il ricorso all’istituto dello “Accordo di Ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall., sussisterebbero tanto il presupposto soggettivo (soggetto di diritto – la SGR – avente la qualità di “imprenditore”), quanto il presupposto oggettivo (“stato di crisi”), diventa necessario stabilire, in presenza di un soggetto che sia titolare di più patrimoni separati, a quale di tali patrimoni fare riferimento per fare corretta applicazione delle norme che disciplinano l’istituto, con particolare riguardo: a) ai creditori da prendere in considerazione per verificare la sussistenza del presupposto del “consenso allargato” – tanti aderenti rappresentanti il 60% delle passività; e b) alle passività di cui verificare la possibilità del “soddisfacimento integrale”, per consentire allo “Accordo” di produrre gli effetti ad esso attribuiti dalla legge. Il problema non sarebbe molto diverso se ci si trovasse di fronte allo “stato di crisi” di una società per azioni di diritto comune, la quale fosse titolare di più “patrimoni destinati” costituiti ai sensi dell’art. 2447-bis cod. civ., e la cui “crisi” fosse determinata da uno dei patrimoni di cui è titolare (per esempio, quello originariamente posseduto, al netto delle porzioni di patrimonio costituite in “patrimonio destinato” in un momento successivo, in applicazione della norma richiamata). La legge consente ad un soggetto giuridico che abbia una determinata forma (quella di S.P.A.) di essere titolare di più patrimoni separati (cfr. il richiamato art. 2447-bis cod. civ.). Addirittura, la legge prevede che un determinato soggetto giuridico (la Società di Gestione del Risparmio: SGR) sia costituito proprio in funzione della assunzione della titolarità di più patrimoni separati, per provvedere alla loro gestione (individuale ed indipendente). Nulla consente di concludere che a tali soggetti sia vietato fare ricorso a tutta una serie di istituti giuridici, per il solo fatto che la disciplina di questi sia impostata sulla “regola” della sussistenza in capo ad un soggetto di un unico patrimonio, senza disciplinare espressamente la “eccezione” rappresentata dal soggetto giuridico titolare di più patrimoni separati (ma talora facendolo, e così dimostrando l’accettabilità del fenomeno da un punto di vista giuridico e concettuale: cfr. art. 57, co. 6 bis, t.u.f.). Il problema è piuttosto stabilire come debbano essere applicate, nei casi

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rappresentati dalle “eccezioni”, le norme pensate per una applicazione alle fattispecie costituenti la “regola”. Come sarebbe seriamente necessario domandarsi perché dovrebbe essere vietato ad una S.p.A. di diritto comune “in stato di crisi” di fare ricorso all’istituto di cui all’art. 182-bis, co. 2 (e co. 6), l.fall., per il solo fatto di avere (legittimamente) costituito un “patrimonio separato” ai sensi dell’art. 2447-bis cod. civ.; nello stesso modo non appare condividibile l’idea che alla S.p.A. rappresentata da una SGR risulti vietato fare ricorso all’istituto richiamato, in conseguenza del fatto (per lei connaturato alla tipologia dell’attività svolta) di avere costituito un patrimonio separato nell’esercizio dell’attività istituzionale di Società di Gestione del Risparmio. Il problema che si pone, pertanto, a ben vedere, come detto, non è quello di stabilire se la S.p.A. con “patrimoni destinati” ex art. 2447-bis cod. civ., ovvero la SGR che gestisce i patrimoni separati dei FCI, possa o non possa fare ricorso all’istituto dell’art. 182-bis l.fall.: ma – piuttosto – come le disposizioni che disciplinano l’istituto debbano essere applicate, perché esso possa produrre gli effetti che la legge gli attribuisce. Pare evidente che la risposta debba essere nel senso che le disposizioni in questione vanno applicate con riguardo ai rapporti giuridici facenti capo al patrimonio separato nel contesto del quale si sono prodotte le difficoltà che determinano lo “stato di crisi” della società (S.p.A. con “patrimoni destinati” o SGR che sia), e sui quali si intende intervenire con il ricorso all’istituto dello “Accordo”. È evidente infatti che se la S.p.A. che avesse costituito un “patrimonio destinato” versasse in stato di crisi per l’andamento negativo della attività di impresa originaria (cioè diversa da quella, per il cui esercizio è stato costituito il “patrimonio destinato”), dovrebbe coinvolgere nello Accordo di Ristrutturazione esclusivamente i creditori “sociali” (ed i relativi rapporti giuridici), e non dovrebbe coinvolgere i creditori (e i rapporti giuridici) relativi al “patrimonio destinato”. A questa stregua, nel momento in cui lo stato di crisi della SGR sia rappresentato dalle conseguenze delle difficoltà del “Fondo” gestito; e la rimozione della “crisi” debba passare attraverso un intervento sui rapporti giuridici che determinano le difficoltà del “Fondo” – e la cui ristrutturazione può comportare il superamento di tali difficoltà –; è inevitabile dovere concludere che la SGR debba coinvolgere i creditori – e i rapporti giuridici – originati dall’attività di gestione del “Fondo”. In conclusione: a) nell’ipotesi nella quale la situazione di “crisi” dipenda dai rapporti giuridici instaurati dalla SGR come tale nei confronti dei terzi – per esempio, rapporti derivanti da finanziamenti bancari assunti dalla Società per

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il sostegno finanziario della propria attività di gestione di Fondo Comuni di Investimento –, sarà nei confronti di costoro che dovrà essere apprestata la “Proposta” di Accordo di Ristrutturazione e predisposto il “Piano” funzionale ad eseguirla (restandovi indifferenti i rapporti giuridici instaurati nell’interesse di questo o quell’altro “Fondo” gestito); b) laddove la “crisi” della SGR dipenda dalla condizione di difficoltà economico-patrimoniale–finanziaria di uno dei “Fondi” gestiti, e non possa essere rimossa se non attraverso la ristrutturazione dell’indebitamento assunto nell’interesse di quel “Fondo” – in quanto, per esempio, da questa ristrutturazione dipenda l’esigibilità e la riscuotibilità dei crediti della SGR a carico del patrimonio gestito nell’ambito del “Fondo”, a titolo di commissioni di gestione o ad altro titolo (anticipazione di spese per la gestione dei cespiti costituenti il patrimonio gestito nell’ambito del “Fondo”) –, saranno i rapporti giuridici instaurati nell’interesse di quel “Fondo” che dovranno costituire l’oggetto della “Proposta” e del “Piano”; c) lo stesso deve dirsi – si deve ritenere – allorché fossero soltanto i rapporti giuridici facenti capo ad uno dei “Fondi” gestiti a richiedere una ristrutturazione complessiva in funzione della prevenzione della dichiarazione giudiziale di insolvenza del “Fondo” prevista dall’art. 57, co. 6 bis, T.U.F. (ipotesi che potremmo definire “crisi del Fondo”, e per la quale non pare coerente escludere l’applicabilità di procedure di composizione della “crisi” del “Fondo”, in una situazione nella quale risulta normativamente applicabile una procedura concorsuale di liquidazione dello stesso “Fondo”, allorché “incapiente”). Nei primi due casi (“crisi della SGR” per indebitamento diretto; “crisi della SGR” conseguente all’indebitamento di un “Fondo” gestito), come si dirà meglio in appresso, si può dubitare che la Società di Gestione del Risparmio possa richiedere l’ammissione al Concordato preventivo, stante il divieto di massima del ricorso alle procedure concorsuali di diritto comune per gli intermediari bancari e finanziari – e non sia costretta invece a fare ricorso alle misure di “risoluzione” delle crisi previste dalla normativa finanziaria di settore. Ma almeno nel terzo caso la conclusione – come si dirà – potrebbe dovere essere diversa, trattandosi di una procedura concorsuale che (benché necessariamente richiesta, nel caso di specie, da un intermediario finanziario) non investirebbe rapporti giuridici instaurati con “risparmiatori”, o con “investitori” finanziari, o con fruitori di “servizi di investimento”, bensì attività e passività di natura squisitamente commerciale (nei casi dei FCI immobiliari, attività e passività tipiche di una impresa commerciale operante nel settore immobiliare). 9.2. La soluzione alla quale si aderisce – soluzione secondo la quale ben può una SGR affrontare la situazione di “crisi” di un FCI, dalla stessa

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gestito, mediante il ricorso allo “Accordo” ex art. 182-bis l.fall. con i creditori del Fondo stesso – è stata sostenuta, come si è detto, dalle uniche decisioni pubblicate, che risultino pronunciate in materia36. Analogamente si è espressa la dottrina che ha preso in considerazione ex professo il problema37. A tale proposito, può avere contribuito a pervenire a tali soluzioni la considerazione che, al postutto, la stessa SGR avrebbe potuto ricorrere alla misura dello “Accordo” ex art. 182-bis l.fall.38, in virtù della ritenuta sottrazione della stessa al divieto di accesso degli intermediari finanziari a “procedure concorsuali” diverse dalla l.c.a. di diritto speciale (bancario): cfr. art. 80, co. 6, t.u.b., reso applicabile (anche) alla SGR dall’art. 57, co. 3, t.u.f.: – sottrazione argomentata dalla esclusione della natura di “procedura concorsuale” della figura dell’Accordo di Ristrutturazione39. È da valutare allora se a diversa conclusione debba pervenirsi, allorché si passi a considerare il contenuto di due recentissime decisioni della Corte di Cassazione40 – le quali, sia pure sinteticamente (o somma-

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Trib. Milano, 3 dicembre 2015, cit.; Trib. Milano, 10-17 novembre 2016, cit. Carriere, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali della crisi d’impresa, in Il fallimento6, 2014, p. 617 ss. Secondo Grigo’, Accordi di ristrutturazione dei debiti e fondi comuni di investimento: una possibile “diversa” lettura?, in Il fallimento, 2016 (8-9), p. 659 ss., la conclusione della prima decisione del Tribunale di Milano (3 dicembre 2015, cit.) potrebbe essere messa in discussione dalla considerazione congiunta: a) del rilievo attribuito da quella decisione all’iniziativa assunta dalla SGR in funzione della anticipazione di una possibile situazione di “crisi” anche propria; b) dalla possibile attribuzione allo “Accordo” della natura di “procedura concorsuale”; e c) dalla sottrazione della SGR alle “procedure concorsuali” di diritto comune (cfr, art. 57, co. 3, t.u.f., che rende applicabile alla l.c.a. degli intermediari finanziari l’art. 80, co. 6, t.u.b., secondo il quale «le banche [e gli intermediari assimilati] non sono soggetti a procedure concorsuali diverse dalla liquidazione coatta prevista dalle norme della presente Sezione»). Tuttavia, al di là del dissenso che deve essere espresso relativamente alla prospettazione di cui alla lettera b) – cfr. infra –, si deve subito precisare che la seconda (e successiva; e più articolata) pronuncia del Tribunale di Milano – resa nell’ambito dello stesso procedimento omologatorio – conclude che (i) «debba ritenersi condivisibile la ricostruzione dogmatica che nega all’accordo di ristrutturazione la natura di procedure concorsuali»; e (comunque) che la previsione dell’art. 57, co. 6-bis t.u.f., «nell’ammettere il Fondo (e non la sola SGR) alla procedura di liquidazione coatta amministrativa ... apre nettamente lo scenario di un impiego – sempre per il solo Fondo (ed al di là della sua autonomia soggettiva) – di strumenti alternativi di soluzione della crisi». 38 Cfr. Trib. Milano, 3 dicembre 2015, cit. 39 Ex multis, in particolare, Trib. Milano, 10-17 novembre 2016, cit. 40 Cass., 18 gennaio 2018, n° 1182, in Diritto bancario, gennaio 2018, con nota di Bonfatti, La natura giuridica degli accordi di ristrutturazione; Cass., 25 gennaio 2018, n. 1896, in www.ilcaso.it, gennaio 2018, con nota di Bonfatti, La natura giuridica dei “Piani di Risanamento Attestati” e degli “Accordi di Ristrutturazione”. 37

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riamente?) paiono attribuire allo “Accordo” ex art. 182-bis, l. fall. natura di “procedura concorsuale”. A parere di chi scrive la risposta deve essere negativa, per due principali ragioni: a) le decisioni richiamate non convincono nel “giustificare” – se così si può dire: trattasi di motivazioni oggettivamente inadeguate41 – la innovativa presa di posizione sul delicato e rilevante problema interpretativo; e b) a tutto concedere, sottratta alle “procedure concorsuali” di diritto comune è la regolazione della “crisi” della SGR (disciplinata per l’appunto nell’art. 57 co. 3, t.u.f.); non già la regolazione della “crisi” del Fondo. A tale proposito occorre sottolineare che la disciplina della crisi della SGR in quanto tale è integrata dal rinvio (cfr. art. 57, co. 3, t.u.f.) ad una serie di norme del Testo Unico Bancario, fra le quali è compreso «l’articolo 80, comma da 3 a 6». La disciplina della “crisi” del FCI gestito da una SGR, già assoggettata ad una serie di norme del t.u.f., è integrata da un analogo rinvio (cfr. art. 57, co. 3-bis, t.u.f) ad una serie di norme del t.u.b., tra le quali non compare (soltanto) l’art. 80, comma 6, t.u.b. (la disposizione cioè che sottrae gli intermediari bancari e finanziari alle “procedure concorsuali” di diritto comune). La disciplina della crisi del FCI, quando ne ricorra il presupposto di legge (insufficienza delle attività a soddisfare le passività), è ricavata dall’art. 57, co. 6-bis, per rinvio al comma 3 - bis), e non – al postutto – al comma 3. Se ne desume che il FCI non è sottratto, di per sé, “alle procedure concorsuali” di diritto comune, perché non deve registrare l’applicabilità dell’art. 80, co. 6, t.u.b.42. Né rileva a tale proposito la considerazione dell’eventuale principio generale che in materia di “crisi” del Gruppo bancario o finanziario comporta l’assoggettabilità delle società del “gruppo” alle procedure concorsuali di diritto speciale, anche ove non si tratti di intermediari bancari e finanziari, allorché sia assoggettata alla l.c.a. la “Capogruppo” (cfr. artt. 100 e 101 t.u.b.). In primo luogo, stiamo considerando in questa sede la disciplina delle situazioni di crisi del FCI, svincolata dalla situazione nella quale (anche) la SGR sia assoggettata alla l.c.a. (sua propria). In secondo luogo, il parallelo tra il rapporto fra la SGR ed il Fondo gestito

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Cfr. Bonfatti, La natura giuridica, cit. Contra Carriere, Fondi comuni, cit., p. 625, testo e nota 35, in virtù di una interpretazione sistematica volta a considerare applicabile alla l.c.a. del Fondo anche il co. 3, dell’art. 57 t.u.f., e con esso le norme del t.u.b. richiamate (tra le quali l’art. 80 co. 6). 42

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ed il rapporto fra la società bancaria o finanziaria Capogruppo e società del “Gruppo” non convince, in prima battuta. Infine, e soprattutto – come si dirà in appresso: infra, n. 8 – non si coglie, per la situazione di crisi del FCI, l’esigenza di una disciplina concorsuale di diritto speciale, come la si può cogliere per gli intermediari bancari e finanziari, o comunque certamente non con la stessa intensità.

10. Segue. C) Il Concordato Preventivo. Una volta acquisito il principio secondo il quale l’art. 57, co.6-bis, t.u.f. «apre nettamente lo scenario di un impiego – sempre per il solo Fondo ... – di strumenti alternativi di soluzione della crisi, senza che si debba affermare in alcun modo come presupposto necessario lo stato di crisi della SGR medesima (che quindi ben può attuare tali strumenti quando la crisi investa il Fondo in sé e non la SGR)» 43, si pone il problema se tra tali “strumenti alternativi” possa annoverarsi anche il Concordato preventivo. Si oppongono a pervenire ad una conclusione positiva almeno due argomenti: a) la indubbia natura di “procedura concorsuale” del Concordato preventivo, con conseguente possibilità di operatività del “divieto” di cui all’art. 80, co. 6, t.u.b.; e b) la previsione normativa, per lo meno nelle situazioni di crisi caratterizzate da “incapienza patrimoniale”, della procedura – diciamo così – di l.c.a. del “Fondo”, disciplinata dall’art. 57, co. 6-bis, t.u.f. Trattasi di argomenti indubbiamente solidi, rispetto ai quali qualche considerazione critica è tuttavia formulabile. Quanto al primo argomento, abbiamo già osservato (supra, n. 7) che il rinvio dell’art. 56, co. 6-bis, t.u.f., alla disciplina del comma 3-bis della norma (e non a quello del comma 3), sembra non ricomprendere il richiamo (nel comma 3-bis effettivamente assente) all’art. 80, co. 6, t.u.b., cioè al “divieto” illustrato. La crisi del F.C.I. non sarebbe quindi sottratta alle “procedure concorsuali” diverse dalla l.c.a. bancaria, per cui la SGR potrebbe chiedere l’ammissione del Fondo – inter alia – al Concordato preventivo. Quanto al secondo argomento, può essere lecito rinviare al principio generale di diritto concorsuale, secondo il quale «se la legge non dispone diversamente, le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa

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Trib. Milano, 10-17 novembre 2016, cit.

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possono essere ammesse alla procedura di Concordato preventivo...» (art. 3, co. 1, l.fall.): per cui, in assenza del richiamo dell’art. 80, co. 6, t.u.b.; e constatata la mancanza di norme che dispongano diversamente dal richiamato art. 3, co. 1, l.fall.; l’ammissione al Concordato preventivo del Fondo dovrebbe essere consentita: (i) nelle situazioni di “crisi” diverse dalla incapienza patrimoniale (tipicamente, le crisi di liquidità, caratteristiche, tra l’altro, dei F.C.I. immobiliari dei nostri tempi); e (ii) anche nelle situazioni di “crisi” contemplate dall’art. 56, co. 6-bis, t.u.f., nonostante l’assoggettabilità a l.c.a. (diciamo così) del Fondo, allorché tale procedura non sia ancora stata aperta. Depongono per una lettura del complesso apparato normativo propensa a favorire l’ammissibilità del Concordato preventivo, piuttosto che a negarla, almeno tre considerazioni di fondo: a) la duttilità, la modernità e la speciale attenzione a tutelare il valore della “continuità aziendale” – pur sempre in funzione del maggiore soddisfacimento dei creditori – che caratterizzano la disciplina dell’odierno Concordato preventivo, di cui parrebbe opportuno consentire di giovarsi al maggior numero di “operatori” possibile; e b) la mancanza, nelle situazioni di “crisi” dei F.C.I., delle esigenze di carattere generale che giustificano una disciplina delle procedure di crisi “di diritto speciale”. Le banche, le SGR, le SIM, eccetera, sono oggetto di una disciplina (anche) concorsuale speciale, perché coinvolgono – inter alia – l’interesse costituzionalmente protetto della tutela del risparmio (anche nelle forme del risparmio gestito con modalità collettive, o “in monte”). La tutela di tale valore può rimanere affidata al mantenimento di una disciplina speciale della gestione (e della stessa “liquidazione”) della SGR: mentre non giustifica una disciplina concorsuale speciale (delle situazioni di crisi) dei patrimoni separati dei singoli Fondi. Sono questi patrimoni, se si considera la fattispecie giudicata di maggior interesse – quella dei Fondi immobiliari –, impegnati nell’esercizio di attività d’impresa di diritto comune (le attività immobiliari nelle diverse declinazioni dell’investimento funzionale al conseguimento di un reddito – gli affitti –; dell’investimento funzionale a sviluppare una attività industriale propriamente detta – la edificazione e successiva vendita del costruito –; dell’investimento funzionale all’attività di intermediazione immobiliare): attività alla soluzione delle cui situazioni di crisi ben può attagliarsi il ricorso agli istituti di diritto comune, anziché al (necessario ed impeditivo) ricorso agli istituti concorsuali di diritto speciale;

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c) la circostanza che identico risultato (l’ammissibilità del Fondo al Concordato preventivo) può essere conseguito dalle SGR attraverso il conferimento del patrimonio del Fondo a una società di capitali di diritto comune, ed il successivo deposito di una domanda di Concordato preventivo da parte di quest’ultima. La situazione di crisi già manifestatasi in capo al Fondo potrebbe in questo modo venire indubitabilmente affrontata (oneri fiscali a parte) con lo strumento del Concordato preventivo (sulla società conferitaria). Non si vede allora perché escludere il ricorso all’istituto in questione in via diretta.

Sezione III La scadenza del “fondo”

11. La problematica della scadenza del termine di durata del Fondo. I Fondi Comuni di Investimento immobiliare, ai quali in questa sede prestiamo particolare attenzione, si sono sviluppati sul finire del secondo millennio e nei primi anni del terzo, avvantaggiandosi della “bolla” speculativa allora in atto nel comparto immobiliare, per poi risentire drammaticamente della crisi che ha investito questo mercato nell’ultimo decennio, e che perdura tutt’ora. Il crollo dei valori immobiliari ha determinato due principali effetti marcatamente pregiudizievoli: a) la maturazione di perdite, per i sottoscrittori, in luogo dei (lauti) guadagni sperati; nonché b) la difficoltà delle stesse dismissioni degli immobili oggetto degli investimenti del Fondo, in un contesto nel quale la “domanda” non era in grado di soddisfare la “offerta”, se non in termini imprevedibilmente ridotti. Su questo sfondo si colloca una problematica tendenzialmente priva di disciplina: gli effetti della scadenza del termine (originario e prorogato, quando lo sia stato) del Fondo sui rapporti ancora pendenti. La difficoltà di affrontare e risolvere tale problematica è direttamente proporzionale alla difficoltà di definire la “natura giuridica” dei Fondi Comuni di Investimento, e con essa la “titolarità” dei rapporti giuridici costituenti l’oggetto del “Fondo” (in altre parole, la proprietà dei beni, dei crediti, degli asset, che fanno capo ai rapporti giuridici instaurati “dal” – ovvero “per il” – Fondo).

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Giunto a scadenza il Fondo, la risposta alla domanda di chi fossero i diritti che ne costituivano l’oggetto, rappresenterebbe il presupposto per lo scioglimento del dubbio di chi siano ora, a Fondo scaduto. La teoria della “comunione”, li assegnerebbe (ovvero confermerebbe) in capo ai Partecipanti; la teoria del “patrimonio separato” della SGR li assegnerebbe (o manterrebbe) alla SGR; la teoria del Fondo come “patrimonio acefalo” incontrerebbe qualche difficoltà in più a sciogliere l’enigma. Senza che peraltro ciò risolvesse ogni problema: al contrario, rimarrebbe comunque irrisolta la questione concernente l’individuazione della disciplina destinata a sostituirsi a quella, non più applicabile, del Fondo Comune di Investimento. Vi è da puntualizzare, a tale proposito, che il fenomeno evocato può assumere diverse forme, e presentarsi con una certa varietà di contenuti. Tenendo sempre presente la fattispecie che più interessa – i Fondi Comuni di Investimento immobiliari –, una prima ipotesi può essere rappresentata dal mancato esaurimento delle attività di liquidazione degli immobili detenuti dal Fondo – o nel suo interesse –, al momento della scadenza del termine di durata. Questo scenario originerebbe delicati problemi concernenti i dubbi: a) di chi siano gli immobili invenduti; b) quale disciplina regoli i relativi atti di disposizione; c) su chi gravino le spese di gestione (manutenzione; imposizione fiscale; e così via); d) a chi e con quali modalità si debba riconoscere il ricavato delle (eventuali) successive liquidazioni. I problemi in esame (ed i numerosi altri non elencati) devono essere apparsi, alle SGR che hanno dovuto registrare la scadenza del termine di durata di alcuni FCI immobiliari negli ultimi due anni, di tale complessità da indurre alla liquidazione del Fondo (cioè degli immobili) entro la data del termine di scadenza, “ad ogni costo”: con modalità, cioè (ad esempio: vendita ad operatori–terzi, ma riacquisizione della gestione degli immobili attraverso la assunzione di un mandato gestorio conferito dal neo-proprietario alla SGR “venditrice”), decisamente inusuali; oppure in contropartita di prezzi (ad esempio: inferiori anche del 70% rispetto ai valori stimati dagli Esperti Indipendenti nel contesto della predisposizione dei Rendiconti periodici pubblicati pochi mesi prima) oggettivamente “imbarazzanti” – con la conseguenza della emersione di una possibile responsabilità risarcitoria nei confronti dei Partecipanti-Investitori, per una inadeguata programmazione delle attività di liquidazione. Nemmeno tale strategia, peraltro; e neppure l’adozione di strategie più oculate, attente a programmare per tempo le attività di progressiva dismissione degli immobili residui del Fondo, in prossimità della data

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di scadenza della sua durata; avrebbero potuto ieri, e potranno oggi e domani, rappresentare una soluzione adeguata ai problemi comunque aperti dalla sopravvenienza del termine di scadenza del Fondo. Sia sufficiente formulare due esempi: a) le cause pendenti; b) gli accertamenti fiscali latenti. Le cause pendenti pongono principalmente il problema di chi e come le prosegua dopo la scadenza del Fondo; nonché chi risponda dei possibili esiti negativi (e dei costi processuali); e chi si giovi degli eventuali risultati positivi. Gli accertamenti fiscali latenti (quelli cioè che possono intervenire a distanza di diversi anni dal compimento dell’atto che ne costituisce il presupposto – nel caso, la compravendita immobiliare dei cespiti del Fondo –, a Fondo ormai – anche ampiamente – scaduto). Tali accertamenti pongono in termini anche più preoccupanti la domanda chi e come gestisca i relativi procedimenti (tenendo conto che con la scadenza del Fondo devono considerarsi scaduti anche i suoi “Organi”, quali l’Assemblea dei Partecipanti; i Comitati Consultivi; eccetera, e comunque diventa inefficace la relativa disciplina); e chi risponda delle eventuali sopravvenienze passive fiscali.

12. Le soluzioni della prassi: “il trasferimento di Attività e Passività” e la “assunzione di Attività e Passività”. Poste di fronte all’esigenza di regolare la gestione dei rapporti facenti capo ai primi Fondi Comuni di Investimento (immobiliari) venuti a scadenza – perlomeno, per quanto è dato di sapere -, le SGR interessate hanno adottato strategie di varia natura, peraltro non molto divergenti tra di loro. In (almeno) un caso, è stata stipulata una Convenzione tra la SGR (“in proprio”, per così dire) e il Fondo (“rappresentato” dalla SGR medesima), in forza della quale si è prodotto il “trasferimento” alla prima delle attività, passività e liquidità residue del Fondo, accompagnato dalla “conferma” di un mandato gestorio alla SGR – qualificato irrevocabile perché conferito nell’interesse dei Partecipanti – funzionale alla liquidazione degli attivi, al regolamento delle passività, ed al riconoscimento ai Partecipanti degli eventuali residui di liquidazione, con esclusione della possibilità di produzione di “differenze negative” a carico del Fondo nonché (per esso) dei Partecipanti. In (almeno) un altro caso, la SGR ha provveduto, nell’interesse del Fondo, a completare le attività di liquidazione immobiliare entro il termine di scadenza dello stesso, ma assumendo impegni di garanzia per

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un elevato importo (complessivamente 10 milioni di euro) – anche in considerazione della prossimità della liquidazione alla data di scadenza del Fondo, ed alla conseguente possibilità di sopravvenienze passive di natura fiscale. Successivamente, ha provveduto a: a) detrarre dalle liquidità distribuite ai Partecipanti a seguito della liquidazione del Fondo un importo pari alle garanzie rilasciate agli acquirenti “dell’ultimo momento” (cioè 10 milioni di euro), depositandolo su “conti correnti dedicati” presso la Banca Depositaria; b) “assumere” le attività residue già in capo al Fondo per l’importo figurativo di 1 euro, con l’impegno di riconoscere ai Partecipanti quanto ricavato dalla liquidazione di tali attivi, al netto delle “eventuali sopravvenienze passive future che dovessero insorgere”; c) “assumere” le passività residue del Fondo, mantenendo una somma corrispondente (detratta pertanto dalle liquidità da distribuire) su un conto corrente aperto presso la Banca Depositaria, con l’impegno di riconoscere ai Partecipanti “le eventuali differenze positive derivanti dalle minori somme che dovessero essere complessivamente pagate dalla SGR rispetto al valore delle passività” assunte. In entrambi i casi si assiste ad un lodevole tentativo della SGR interessata di ovviare all’inconveniente prodotto dalla scadenza di un “regime giuridico” – quello che disciplina il patrimonio separato oggetto di un FCI –, alla quale non corrisponde l’esaurimento degli effetti giuridici generati dagli atti posti in essere entro il termine della sua scadenza. In entrambi i casi – inoltre – si assiste al lodevole tentativo della SGR di individuare soluzioni che contemporaneamente: (i) non facciano gravare sui Partecipanti i costi delle attività necessarie per l’effettivo esaurimento dei rapporti giuridici originati dalla gestione del Fondo; (ii) non facciano gravare sui Partecipanti le “passività latenti” che potrebbero generarsi in conseguenza del compimento di atti di gestione del Fondo, ma in un momento successivo all’esaurimento della sua liquidazione – se non, beninteso, in conseguenza della imputazione di dette passività alle attività mantenute nella disponibilità della SGR alla stregua di altrettanti “fondi-rischi”: ma, comunque, nei limiti delle rispettive entità -; (iii) escludano la attribuibilità alla SGR degli eventuali “residui di liquidazione” attivi (destinati invece ai Partecipanti). Ciononostante le soluzioni individuate non sono prive di possibili “inconvenienti”, vuoi dal punto di vista dei Partecipanti-Investitori; vuoi dal punto di vista della SGR gestore del Fondo; principalmente in relazione a: (i) per un verso, l’inevitabile (ed ingiustificato) rischio assunto dalla SGR, alla quale potrebbero non bastare i “fondi-rischi” accantonati,

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per fronteggiare le “passività latenti” connesse ad atti di gestione del Fondo posti in essere prima della sua scadenza, ma emerse dopo. Né può pensarsi alla costituzione di “fondi-rischi” abnormi, stante la legittima aspettativa dei Partecipanti-Investitori a che, alla scadenza della durata del Fondo, il patrimonio risulti integralmente liquidato nonché integralmente ripartito. La “assunzione” delle passività del Fondo presenta un duplice rischio: a) che benché si provveda ad una analitica identificazione dei titoli giuridici che possano originarle, non è possibile comunque determinarne a priori l’entità finale; e b) che si rafforzi la suggestione di una responsabilità “sostitutiva” della SGR per le passività originate da atti posti in essere (ovvero occorsi) nella gestione del Fondo (o comunque sorte nel corso della sua durata), in conseguenza della “morte” dello stesso: il ché appare difficilmente accettabile; (ii) per un altro verso, la “assunzione” di attività (già “del Fondo”) in capo alla SGR, espone i Partecipanti al rischio del concorso con i creditori della stessa, in ipotesi di insolvenza della società di gestione. È da dubitare, infatti, che la separatezza patrimoniale istituita con la costituzione del Fondo sopravviva allo stesso, impedendo la “confusione” delle attività “assunte” dalla SGR (ma originariamente riferibili al Fondo) con il patrimonio sociale della stessa; come è da dubitare che dette attività siano sottratte alle azioni aggressive individuali dei singoli creditori sociali (e tanto più alla apprensione da parte di un “curatore fallimentare”, ovvero il Commissario Liquidatore della LCA che fosse disposta nei confronti della SGR). La costituzione delle Attività “assunte” in conti correnti “dedicati”, accesi presso la (ex) Banca Depositaria, non può garantire la “separatezza” originaria, generata da una disciplina (la costituzione del Fondo) inevitabilmente cessata con la scadenza del termine di durata dello stesso.

13. La prosecuzione del mandato gestorio dopo la scadenza del Fondo, anche per effetto dell’assunzione di una obbligazione unilaterale “atipica”. Il ruolo assegnato alla SGR che istituisce e gestisce un Fondo Comune di Investimento è equiparabile, per legge, a quello del mandatario (art. 36, co. 3, t.u.f.): e gli obblighi assunti con l’accettazione dello svolgimento di questa “funzione” vedono come beneficiari i Partecipanti – Investitori (art. 36, co. 3, cit.).

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La SGR non diviene “titolare” dei rapporti giuridici originati da atti di gestione del “Fondo”; né è responsabile delle obbligazioni che dagli stessi si generano (art. 36, co. 4, t.u.f.). Ad avviso di chi scrive, la gestione della fase deputata ad “accompagnare” l’esaurimento dei rapporti giuridici riferibili alla gestione del Fondo, dopo la scadenza del termine di durata dello stesso, deve mantenere ferma la estraneità del patrimonio della SGR tanto rispetto alle attività, quanto rispetto alle passività “superstiti” rispetto alla scadenza del Fondo. La gestione “professionale” di tale fase post-liquidatoria, che dovrà mantenere fermo il principio di “separatezza”, sopra annunciato; e che dovrà essere rivolta a contemperare, nei limiti del possibile, i diritti dei Partecipanti (aventi ad oggetto la ripartizione del ricavato dalla liquidazione) ed i diritti dei soggetti interessati dai rapporti giuridici non ancora esauriti – ivi comprese le situazioni di “soggezione” alle altrui iniziative, come potrebbero essere quelle connesse alle potestà accertative “postume” degli Enti impositori44 –; potrà passare attraverso (i) la costituzione di “fondi-rischi” coerenti con le passività non ancora definite (anche per contenziosi giudiziali non esauriti), formalizzati in depositi vincolati presso la Banca Depositaria, con l’esclusione della facoltà di disporne – nell’interesse della SGR –, prefigurando così la creazione di un rapporto di deposito nell’interesse altrui, con conseguente diritto del beneficiario di pretenderne, all’occorrenza, la “separazione” dal patrimonio del depositante; ed il conseguente obbligo di attribuzione delle somme depositate ai Partecipanti, al netto delle passività eventualmente concretizzatesi per rapporti giuridici inerenti al Fondo; (ii) l’assunzione, a titolo gratuito, dell’impegno a proseguire – “ad esaurimento” – la gestione dei rapporti giuridici facenti capo al Fondo o comunque originati da atti o fatti inerenti la sua gestione, attraverso: a) se ritenuta sufficiente, la considerazione della “ultrattività” del mandato gestorio ricevuto originariamente dal Fondo – considerato, a questi fini, “soggetto di diritto” in funzione dell’applicabilità della disciplina inerente alla sua costituzione ed alla sua gestione –, con il conseguente

44 Potestà che tuttavia dovrebbero fare i conti con la peculiarità della situazione rappresentata: così da mettere in dubbio la legittimazione di accertamenti “postumi”, quante volte la SGR si sia offerta di anticipare i relativi risultati determinando di comune accordo con gli Enti impositori i presupposti di una possibile rideterminazione dei valori suscettibili di imposizione fiscale (integrativa), così da incorporarne l’ammontare nel Rendiconto finale di liquidazione del Fondo.

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effetto della “irrevocabilità” (e permanenza di effetti) in quanto conferito anche nell’ interesse di terzi (i Partecipanti); b) se ritenuta insufficiente (o non sufficientemente persuasiva) la prima soluzione, con l’assunzione da parte della SGR di un impegno unilaterale (atipico)45 nei confronti dei Partecipanti, avente ad oggetto la gestione gratuita, nel loro interesse, delle attività di esaurimento dei rapporti giuridici già riferibili al Fondo. I risultati dell’esercizio “ultrattivo” del mandato gestorio del Fondo, ormai scaduto, potranno essere principalmente di tre generi: la rilevazione finale di un “residuo attivo di liquidazione”, da ripartirsi tra i Partecipanti, in proporzione del numero delle quote possedute alla data di scadenza del Fondo; ovvero (i) l’esaurimento delle attività mantenute nei fondi-rischi per assorbimento da parte delle passività riferibili al Fondo; (ii) la rilevazione finale di un “residuo passivo di liquidazione”, per insufficienza dei fondi-rischi mantenuti nella disponibilità della SGR a soddisfare le passività legittimamente riferibili ai rapporti giuridici originati dal (o comunque sorti con riferimento al) Fondo. Nell’ultima delle ipotesi considerate non pare che si possa prevedere soluzione diversa da quella disposta per il caso dell’eccesso di distribuzione ai soci del risultato della liquidazione del patrimonio sociale, ammettendo i creditori del Fondo a ripetere dai Partecipanti quanto loro dovuto, nei limiti dell’importo riscosso in base al rendiconto finale di liquidazione, oltre che a rivalersi nei confronti della SGR, «se il mancato pagamento è dipeso da colpa della stessa» (cfr. art. 2495, co. 2, c.c.).

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Cfr. in argomento Gallo, I contratti, le promesse unilaterali, l’apparenza, Torino, 2017, p. 466; Sacco, Il contratto, in Tratt. dir. civ., diretto da Vassalli, VI, 2, 1975, p. 38; Graziani, Le promesse unilaterali, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, IX, Torino, 1984, p. 667; Gianola, Verso il riconoscimento della promessa atipica, informale, gratuita ma interessata, in Giur. it., 1995, I, 1, c. 1920.

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«Strumenti di debito chirografario di secondo livello». Alchimie linguistiche e tutela del mercato bancario Sommario: 1. Il bail-in e le passività “ammissibili”. Criticità della misura e prospettive di riforma dell’ordinamento comunitario. – 2. I nuovi artt. 12-bis e 91, co. 1-bis t.u.b. – 3. Strumenti di debito chirografario di secondo livello (senior non preferred debt): caratteristiche tipologiche e funzionali.

1. Il bail-in e le passività “ammissibili”. Criticità della misura e prospettive di riforma dell’ordinamento comunitario. Com’è ampiamente noto, attraverso la misura del bail-in1 – introdotta in Italia dal d.lgs. n. 180/2015 di recepimento della Direttiva 2014/59/UE

1 Sulla quale molto si è scritto, nonostante essa sia stata introdotta relativamente di recente nell’ordinamento dell’Unione europea ed in quello domestico. E cfr., tra gli altri, Binder, The position of creditors under the BRRD, 2016, paper consultabile on line sul sito http://ssrn.com/abstract=2698086; Blandini, How to overcome crisis (and onself) without getting overcome: la fiducia ed il bail-in dal punto di vista del creditore, 2017, consultabile on line sul sito www.orizzontideldirittocommerciale.it; Capizzi e Cappiello, Prime considerazioni sullo strumento del bail-in: la conversione forzosa di debito in capitale, 2014, paper consultabile on line sul sito www.orizzontideldirittocommerciale. it; Carmassi e Di Giorgio, L’impatto del bail-in sulla rete di protezione finanziaria, in AGE, 2016, p. 297; Carrascosa Morales e Delgado Alfaro, El bail-in en la reestructuración bancaria en España, in ICE, n. 874, 2013, p. 81; Chennells e Wingfield, Bank failure and bail-in: an introduction, in Quaterly Bulletin, 2015 Q3, Bank of England, p. 228; Cihák e Nier, The Need for Special Resolution Regimes for Financial Institutions – The Case of the European Union, in 2 Harv. Bus. L. Rev., 2012, p. 395; Demirgüç Kunt e Huizinga, Are banks too big to fail or too big to save? International evidence from equity prices and CDS spreads, in 37 Journal of Banking & Finance, 2013, p. 875; Dewatripont, European banking: Bailout, bail-in and State aid control, in International Journal of Industrial Organization, vol. 34, 2014, p. 37; Di Brina, Il Bail-in (L’influenza del diritto europeo sulle crisi bancarie e sul mercato del credito), 2016, paper consultabile on line sul sito www.

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(c.d. BRRD: Banking Recovery and Resolution Directive) – le perdite registrate dalla banca in dissesto (o a rischio di dissesto) vengono “allocate”, in prima battuta, tra gli azionisti, mediante la svalutazione (write-down),

orizzontideldirittocommerciale.it; Donati, La ricapitalizzazione «interna» delle banche mediante bail-in, in AGE, 2016, p. 597; Faia e Weder di Mauro, Cross-Border Resolution of Global Banks, SAFE Working Paper Series, n. 88, 2015, consultabile on line sul sito www.econstor.eu; Gardella, Il bail-in e il finanziamento delle risoluzioni bancarie nel contesto del meccanismo di risoluzione unico, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, I, p. 587; Goodhart e Avgouleas, A Critical Evaluation of Bail-ins as Bank Recapitalisation Mechanisms, Centre for Economic Policy Research, Discussion Paper n. 10065, luglio 2014, consultabile on line sul sito http://ssrn.com/abstract=2478647; Guizzi, Il bail-in nel nuovo sistema di risoluzione delle crisi bancarie. Quale lezione da Vienna?, in Corriere giuridico, 2015, p. 1485; Hadjiemmanuil, Bank Stakeholders’ Mandatory Contribution to Resolution Financing: Principle and Ambiguities of Bail-in, 2015, paper consultabile on line sul sito http://ssrn.com/abstract=2733063; Hüpkes, Adequate loss-absorbing and recapitalization capacity of G-SIBs in resolution, in ECB Legal Conference, From Monetary Union to Banking Union, on the way to Capital Markets Union, dicembre 2015, p. 199; Inzitari, BRRD, bail-in, risoluzione della banca in dissesto, condivisione concorsuale delle perdite, in Dir. fall., 2016, p. 629; Jacobs e Mitchell, The no-creditorworse-off principle from a valuation perspective: standing in the shoes of a hipothetical liquidator, in Butterworths journal of international banking and financial law, vol. 29, 2014, p. 233; Lener, Bail-in bancario e depositi bancari fra procedure concorsuali e regole di collocamento degli strumenti finanziari, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, I, p. 287; Lienemeyer e Kerle e Malikova, The New State Aid Banking Communication: The Beginning of the Bail-In Era Will Ensure a Level Playing Field of Enhanced BurdenSharing, in European State Aid Law Quaterly, n. 2/2014, p. 277; Lupo Pasini e Buckley, International Coordination in Cross-Border Bank Bail-ins: Problems and Prospects, in European Business Organsation Law Review, n. 2/2015, p. 203; Maccarone, Il ruolo e l’ambito di intervento dei DGS e dei fondi di risoluzione nelle crisi bancarie, in Dir. banc., 2015, I, p. 177; Portale, Dalla «pietra del vituperio» al «bail-in», in Riv. dir. comm., 2017, I, p. 21; Presti, Il bail-in, in Banca, Impresa, Società, 2015, p. 339; E. Rulli, “Dissesto”, “risoluzione” e capitale nelle banche in crisi, 2016, paper consultabile on line sul sito www.orizzontideldirittocommerciale.it; Santoni, La disciplina del bail-in, lo stato di dissesto e la dichiarazione dello stato di insolvenza, in AGE, 2016, p. 517; Santoro, Crisi bancarie, ruolo dell’informazione e protezione del cliente, in Dir. banc., 2015, I, p. 541; Speranzin, Bail-in (e condivisione degli oneri), Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Commerciale, Milano, 2017, p. 28; Stanghellini, La disciplina delle crisi bancarie: la prospettiva europea, in Aa.Vv., Dal Testo unico bancario all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione di poteri, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, n. 75, 2014, p. 147; Id., Risoluzione, bail-in e liquidazione coatta: il processo decisionale, in AGE, 2016, p. 567; Vattermoli, Il bail-in, in Chiti-Santoro, L’unione bancaria europea, Pisa, 2016, p. 517; Wojcik, The significance and limits of the “no creditor worse off” principle for an effective bail-in, in ECB Legal Conference, From Monetary Union to Banking Union, on the way to Capital Markets Union, dicembre 2015, p. 253.

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che può essere anche integrale (wipe-out), della loro partecipazione al capitale di rischio, e, in un secondo momento, tra i creditori dell’ente, che possono subire la riduzione (potenzialmente anche a zero) del valore nominale del credito vantato (debt write-down) e/o la conversione dello stesso in quote di partecipazione al capitale di rischio (debt conversion)2. In estrema sintesi: assorbimento delle perdite e ricapitalizzazione dell’ente attraverso, rispettivamente, la riduzione e la conversione in quote di capitale primario di classe 1 delle c.d. “passività ammissibili”, per tali ultime intendendosi «gli strumenti di capitale non computabili nel patrimonio di vigilanza e le altre passività (…) non escluse dall’ambito di applicazione del bail-in» [art. 1, co. 1, lett. qq) d.lgs. n. 180/2015]3. A. In tale scenario, l’entità delle passività ammissibili che in un dato momento figurano nella struttura patrimoniale dell’ente in crisi è dunque elemento centrale nel misurare la possibile efficacia dello strumento di risoluzione4: ed invero, solo qualora i c.d. “bail-inable instruments”

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In tal modo assicurando «un maggior incentivo a vigilare sul buon funzionamento dell’ente in circostanze normali» (Considerando 67, Direttiva n. 2014/59/UE). Il meccanismo così introdotto sembra essere in ideale continuità con gli auspici di inizio secolo scorso, dove nelle Relazioni annuali della Banca d’Italia si faceva osservare, per un verso, come dovesse ritenersi: «ovvio che spetta esclusivamente al depositante l’accorgimento di riporre la propria fiducia in organismi che ne siano meritevoli, e dieno affidamento di un’amministrazione sagace, oculata, prudente; e di non lasciarsi con facilità adescare dall’allettamento di forti ragioni d’interesse o di vantaggi d’altro genere» (Relazione per l’anno 1926); e, per altro verso, che non «si deve pensare da alcuno, come talvolta erroneamente avviene, alla possibilità di interventi finanziari risanatori, solo per il fatto che gli è demandata la vigilanza, da parte dell’Istituto di Emissione (…) le disposizioni di legge, che si riferiscono alla tutela del risparmio, mentre tendono ad accrescere il senso del dovere in chi amministra l’altrui, non diminuiscono nei singoli depositanti l’obbligo di rendersi conto, nell’esclusivo loro interesse della solidità degli enti ai quali credono di affidare i loro averi» (Relazione per l’anno 1931). I passi delle Relazioni sono ripresi da Vattermoli, Le cessioni «aggregate» nella liquidazione coatta amministrativa delle banche, Milano, 2001, p. 257. 3 Che riprende quanto stabilito dall’art. 2, paragrafo 1, n. 71) della Direttiva 2014/59/ UE, ai sensi del quale, per “passività ammissibili” si intendono: «le passività e gli strumenti di capitale che non rientrano negli strumenti del capitale primario di classe 1, nel capitale aggiuntivo di classe 1 o di classe 2 di un ente o entità di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), c) o d), che non sono escluse dall’ambito di applicazione dello strumento del bail-in in virtù dell’articolo 44, paragrafo 2». 4 Nel Considerando n. 3 della proposta di modifica della Direttiva 2014/59/UE del 23 novembre 2016, di cui si parlerà più diffusamente nel prosieguo, si evidenzia come: «Gli Stati membri dovrebbero garantire che gli enti creditizi e le imprese di investimento dispongano di una sufficiente capacità di assorbimento delle perdite e di ricapitalizzazione per assicurare un assorbimento delle perdite e una ricapitalizzazione

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siano sufficienti a consentire la continuità aziendale potrà dirsi soddisfatta la precondizione richiesta dalla legge per procedere alla risoluzione della banca in dissesto. Le passività ammissibili svolgono un ruolo talmente centrale nell’applicazione del bail-in da essere oggetto di un requisito minimo obbligatorio per tutti gli enti creditizi (c.d. MREL: “Minimum Requirement of Eligible Liabilities”)5, concettualmente simile al requisito prudenziale offerto dal regulatory capital6. A ciò si aggiunga che a livello internazionale, il Financial Stability Board prima7, ed il Comitato di Basilea poi8, hanno elaborato norme, di

agevoli e rapidi nelle procedure di risoluzione con un impatto minimo sulla stabilità finanziaria e i contribuenti». 5 Sul quale v. i Regulatory Technical Standards, elaborati dall’EBA, “On criteria for determining the minimum requirement for own funds and eligible liabilities under Directive 2014/59/UE”, del 3 luglio 2015 e, soprattutto, il Regolamento delegato (UE) 2016/1450, del 23 maggio 2016. Tale requisito è di importo variabile ed è determinato per ciascun intermediario dalla Banca d’Italia, tenendo in conto – oltre ovviamente le dimensioni, le caratteristiche operative e il profilo di rischio della banca – la necessità, tra l’altro, che la procedura di bail-in possa essere efficacemente disposta, consentendo all’intermediario di assorbire le perdite e di rispettare il requisito del capitale primario di classe 1, nonché, a salvataggio interno avvenuto, di «ingenerare nel mercato una fiducia sufficiente» in esso (art. 50, co. 2, lett. b), ai fini, è da ritenere, della continuità aziendale. Certo è che pensare che il criterio della “fiducia sufficiente”, già di per sé estremamente vago e che comunque dovrebbe essere testato a bail-in avvenuto, possa servire per determinare ex ante l’importo minimo di passività ammissibili dell’ente, non sembra un’idea particolarmente felice; così come utopistica, d’altra parte, è l’idea stessa che l’applicazione in sé della svalutazione e/o conversione non incida negativamente proprio sulla fiducia del mercato nei confronti (almeno) dell’ente sottoposto a risoluzione. Sul punto cfr., per tutti, V. Santoro, Crisi bancarie, cit., p. 548. 6 Com’è noto, nello svolgimento della loro attività gli enti creditizi debbono costantemente rispettare un determinato requisito patrimoniale, al fine di potere adeguatamente fronteggiare i rischi (di credito, di controparte, di mercato e operativi) tipici dell’impresa bancaria, la cui disciplina si ricava essenzialmente dal Regolamento (UE) n. 575/2013 e dalla Direttiva 2013/36/UE. Nel sistema disegnato dal Regolamento i fondi propri dell’ente creditizio vengono calcolati sommando al capitale di classe 1 (Tier 1 capital) il capitale di classe 2 (Tier 2 capital); a sua volta, il capitale di classe 1 si scompone in capitale primario (Common EquityTier 1 capital) e capitale aggiuntivo (Additional Tier 1 capital). Ciascuna di tali componenti deve rispettare dei coefficienti minimi, calcolati sull’importo complessivo dell’esposizione al rischio dell’ente: in ciò si risolve, semplificando al massimo, il requisito prudenziale del c.d. regulatory capital. 7 Cfr. FSB, Total Loss-Absorbing Capacity (TLAC) Principles and Term Sheet, 9 novembre 2015. 8 Cfr. BCBS, TLAC holdings, Amendments to the Basel III standard on the definition of capital, ottobre 2016.

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applicazione necessaria per le banche a rilevanza sistemica globale (c.d. GSII), che prevedono, anche qui, l’obbligo per tali intermediari di finanziarsi con passività ad elevata capacità di assorbimento delle perdite, in modo da rendere effettiva, appunto, la misura del bail-in (requisito minimo c.d. TLAC: “Total Loss-Absorbing Capital”)9. B. Tanto premesso, i problemi operativi che hanno posto e pongono le passività ammissibili scaturiscono essenzialmente da ciò che, per un verso, la direttiva BRRD non impone la subordinazione obbligatoria degli strumenti computabili nel MREL; e, per altro verso, che di tali passività possono far parte, oltre i crediti subordinati in senso stretto, quelli cioè che in caso di apertura della procedura concorsuale debbono essere soddisfatti soltanto dopo il completo soddisfacimento dei chirografari (e dei privilegiati, ovviamente, in primis), anche quei crediti che in caso di concorso sul patrimonio dell’ente in dissesto avrebbero lo stesso rango (chirografario o addirittura privilegiato) di quelli esclusi, per scelta dell’autorità di risoluzione, dai bail-inable instruments. Ed invero. a) Premesso che tra le “passività ammissibili”, come si è visto, sono esclusi gli strumenti di capitale computabili nel patrimonio di vigilanza10

9 A livello operativo, il livello minimo armonizzato della norma TLAC per gli enti a rilevanza sistemica globale dovrebbe essere introdotto nella legislazione dell’Unione europea attraverso alcune modifiche al summenzionato regolamento (UE) n. 575/2013. 10 Il che, tuttavia, non significa che le componenti dei fondi propri non partecipino al salvataggio interno. La mancata inclusione deriva, al contrario, dalla loro naturale destinazione alla copertura delle perdite, a cui le passività ammissibili partecipano, dunque, in via aggiuntiva (e cfr. art. 52, d.lgs. n. 180/2015). Ai fini che qui specificamente interessano occorre osservare come in ambito bancario il concetto di “fondi propri” abbia un’estensione sconosciuta al diritto societario comune, atteso che in esso confluiscono anche elementi estranei al c.d. passivo ideale (capitale sociale; utili non distribuiti; riserve), come ad esempio i prestiti caratterizzati dalla clausola di subordinazione. In tale settore, ciò che sembra rilevare, ai fini della computabilità nei fondi propri, è l’attitudine dello strumento (di capitale o di debito) ad assorbire le perdite registrate dall’intermediario e, dunque, la più o meno accentuata partecipazione al rischio di impresa assunta dal sottoscrittore del titolo. Può anche dirsi che nel settore de quo lo «sgretolamento della linea di distinzione tra capitale di rischio e capitale di credito, tra pretesa residuale e pretese fisse» (così Presti, Il bail-in, cit., p. 347), precede l’ingresso dell’ente nella fase patologica. Così, mentre nel capitale primario sono computati gli strumenti caratterizzati, tra l’altro, dall’essere rimborsabili, in caso di insolvenza o liquidazione dell’ente, solo dopo tutti gli altri crediti [art. 28.1, lett. j), Reg. n. 575/2013] e, fuori dalla procedura, dall’assorbire per primi le perdite registrate dall’intermediario (lett. i); in quello aggiuntivo figurano gli strumenti che, tra l’altro, prevedono la riduzione permanente del valore nominale

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e premesso, altresì, che nel d.lgs. n. 180/2015 le passività ammissibili vengono individuate per sottrazione, stabilendo l’art. 49 che «Sono soggette al bail-in tutte le passività, ad eccezione delle seguenti (…)», va osservato come tra i criteri utilizzati dalla disposizione testé menzionata per escludere alcune passività dal perimetro del bail-in vi sia quello fondato sul rango del credito vantato nei confronti dell’ente in dissesto, non potendo subire gli effetti del bail-in i crediti assistiti da garanzia reale (nei limiti del valore dei beni sui quali la stessa insiste) e quelli, vantati dall’amministrazione tributaria o dagli enti previdenziali, che godono di privilegio o di altra causa legittima di prelazione (art. 49, co. 1, lett. b), con ciò implicitamente ammettendo che non soltanto i subordinati ed i chirografari, ma anche – come si anticipava – i creditori privilegiati possono teoricamente contribuire al salvataggio interno11. b) Vi è poi una seconda macrocategoria di passività eccezionalmente esonerabili dal bail-in, dal perimetro assai più fluido e modellabile all’oc-

del credito o la conversione in strumenti di capitale primario di classe 1 al verificarsi del trigger event dedotto nel regolamento sottostante la loro emissione (art. 52.1, Reg. n. 575/2013); e in quello di classe 2, infine, sono ricompresi i prestiti subordinati, il cui rimborso è pienamente postergato al soddisfacimento di tutti gli altri creditori dell’ente non ugualmente subordinati [art. 63, lett. d), Reg. n. 575/2013]. 11 Gli altri criteri utilizzati attengono alla qualifica soggettiva del creditore [lavoratori dipendenti, per la parte relativa alla retribuzione fissa; fornitori di beni e servizi necessari per il normale funzionamento dell’ente sottoposto a risoluzione; sistemi di garanzia dei depositanti, per i contributi dovuti dall’ente in dissesto per l’adesione al sistema (lett. g)]; e al titolo dal quale nasce il credito [es.: obblighi derivanti dalla detenzione da parte dell’ente di disponibilità dei clienti e quelli sorti per effetto di un rapporto fiduciario: lett. c) e d)]. Una menzione a parte meritano i depositi protetti, espressamente esclusi dalle passività ammissibili, ex art. 49, co. 1, lett. a). Nonostante l’espressa esclusione di cui si è detto, e nonostante il fatto che tra i principi a cui si conforma la risoluzione (e, dunque, il bail-in) vi sia quello per il quale «i depositi protetti non subiscono perdite», occorre sottolineare come, seppure indirettamente, anch’essi entrino nel complessivo meccanismo del salvataggio interno. Ed invero, ai sensi dell’art. 86, il fondo di garanzia dei depositanti è tenuto a corrispondere all’ente sottoposto a risoluzione una somma di denaro pari all’ammontare «di cui i depositi protetti sarebbero stati ridotti ai fini dell’assorbimento delle perdite se a quei depositi fosse stato applicato il bail-in» (mentre nessun intervento è previsto per la ricapitalizzazione dell’ente); tale esborso, inoltre, deve soddisfare il principio del minor onere, da valutare rispetto al rimborso diretto ed endoconcorsuale dei depositanti (anche per il fondo, cioè, deve valere la regola del no creditor worse off: Hadjiemmanuil, Bank Stakeholders’, cit., p. 11). Osservando il meccanismo dalla parte del fondo di garanzia non è vero, dunque ed a ben vedere, che i depositi protetti sono esclusi dalle passività ammissibili (sui rapporti tra salvataggi bancari e intervento dei fondi di garanzia dei depositanti cfr., da ultimo e per tutti, Maccarone, Il ruolo e l’ambito di intervento, cit., p. 187).

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correnza dall’Autorità di risoluzione, la cui individuazione non risponde ad alcun criterio definito ex ante, essendo per l’esclusione sufficiente che si realizzi almeno una delle condizioni poste dall’art. 49, co. 212. L’eccezione deve comunque essere tale da rispettare il principio secondo il quale i creditori possono essere chiamati ad assorbire le perdite dell’ente solo dopo che vi sia stato il contributo degli azionisti; non è invece necessario che si rispetti la par condicio creditorum, nel senso che i titolari delle passività escluse possono ricevere un trattamento migliore di quello che riceverebbero (e che verosimilmente ricevono, per effetto del bail-in) i creditori di pari o di più alto rango in caso di apertura della l.c.a. [art. 49, co. 3, lett. a)]13. c) Problemi infine scaturiscono (o possono scaturire) con riferimento alle passività ammissibili riconosciute contrattualmente come tali, ri-

12 Ovvero: impossibilità di applicare la misura in tempi ragionevoli; necessità di assicurare la continuità delle funzioni essenziali e delle principali linee di operatività dell’ente o di evitare un contagio che perturberebbe gravemente il funzionamento dei mercati finanziari; “distruzione di valore” a danno degli altri creditori che determinerebbe l’applicazione del bail-in nei confronti di quelle passività. Altri elementi rilevanti ai fini dell’esclusione sono, per un verso, l’impatto che avrebbe l’esclusione sulla capacità di assorbimento delle perdite dell’ente (lett. b) e, per altro verso, la qualità soggettiva dei titolari delle passività, la norma richiamando espressamente i crediti per depositi (per la parte che eccede la protezione accordata dai sistemi di garanzia) vantati da persone fisiche, microimprese, piccole e medie imprese (lett. e). L’esclusione “supplementare” di alcune poste dal bail-in genera evidentemente un fabbisogno per la copertura delle perdite e per la ricapitalizzazione dell’ente che può essere soddisfatto, o attraverso l’allocazione di maggiori oneri in capo alle passività ammissibili (sempre però rispettando il principio del worse-off); oppure, e sembra l’opzione maggiormente realizzabile nella pratica, mediante l’intervento “esterno” del Fondo di risoluzione sul capitale dell’ente, che riporti (almeno) a zero il patrimonio netto o che ripristini il coefficiente di capitale primario di classe 1 richiesto per continuare ad operare come banca (art. 49, co. 5). Peraltro, il coinvolgimento del Fondo di risoluzione è, per un verso, subordinato ad un “contributo minimo” al salvataggio da parte degli azionisti e dei creditori (pari almeno all’8% delle passività totali, salva la deroga ex co. 8) e, per altro verso, contenuto in un tetto massimo (5% delle passività totali, salva anche qui la possibilità di una deroga, di cui al co. 10). In casi del tutto eccezionali e rispettando le condizioni poste dal co. 9, si può infine ricorrere a finanziamenti provenienti da fonti alternative al Fondo, che se pubbliche debbono comunque rispettare la disciplina in tema di aiuti di Stato (sul punto cfr., tra gli altri, Dewatripont, European banking, cit., p. 37). 13 La discrezionalità dell’Autorità di risoluzione nello scegliere le passività eccezionalmente esonerabili dalla misura del bail-in è oggi limitata dal Regolamento delegato (UE) n. 2016/860, del 4 febbraio 2016, che impone alla stessa Autorità di fornire una solida spiegazione delle ragioni del trattamento di favore eventualmente riservato a determinate passività dell’ente. Sul punto cfr. Speranzin, Bail-in, cit., p. 44.

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spetto a titoli (da svalutare o convertire) soggetti alla legge di una Stato terzo: tema particolarmente delicato, attese le implicazioni politiche che dallo stesso possono scaturire14. C. Il quadro normativo di riferimento così sinteticamente descritto ha mostrato, nell’attuazione pratica, non poche debolezze. In particolare, i fattori di criticità concernono: la discrezionalità riconosciuta all’Autorità di risoluzione nel delimitare l’ambito delle passività ammissibili e la conseguente incertezza giuridica che da essa ne deriva; l’attuale non allineamento dei requisiti MREL e TLAC; la possibilità che tra i bail-inable instruments siano compresi anche quelli non contrassegnati, ex ante, da alcuna forma esplicita di postergazione, ciò che può determinare (ed in punto di fatto ha determinato) un elevato numero di cause risarcitorie e/o ripristinatorie e comunque una non indifferente tensione sociale; la potenziale disparità di trattamento che, soprattutto per le banche ad operatività cross-border, l’attuale disciplina può generare tra soggetti che ricoprono la medesima posizione giuridica; gli effetti distorsivi della concorrenza che tale disparità può innescare all’interno del mercato unionale.

14 Ciò che, non a caso, ha giustificato l’intervento specifico, sul punto, del Financial Stability Board, con il documento “Cross-border recognition of resolution action”, del 29 settembre 2014. In particolare, ai sensi dell’art. 59, co. 1 d.lgs. n. 180/2015, se una passività rientrante tra quelle ammissibili, ex art. 49, è disciplinata dalla legge di uno Stato terzo, la banca deve inserire nel regolamento negoziale la clausola in forza della quale il creditore accetta che, in caso di applicazione del bail-in, il suo diritto di credito potrebbe subire la svalutazione e/o la conversione in quote di capitale di rischio; in difetto di tale clausola, prosegue la norma, la stessa «si considera in ogni caso inserita di diritto nel contratto, anche in sostituzione di clausole difformi eventualmente apposte dalle parti, senza che sia dovuto alcun indennizzo per la sua mancata previsione». Tale disposizione genera più di un dubbio: se le parti hanno (legittimamente) scelto come applicabile al titolo la legge di uno Stato terzo, la quale non prevede la svalutazione o la conversione del diritto di credito ad opera di un provvedimento di un’Autorità amministrativa (per di più di uno Stato diverso), come può imporsi alla parte creditrice questo nuovo criterio di collegamento, che di fatto conduce all’applicazione della legge italiana? D’altronde, quando l’art. 50, co. 6 d.lgs. 180/2015, assegna alla Banca d’Italia il potere di disciplinare le caratteristiche che debbono possedere le passività ammissibili, aggiunge, con riferimento a quelle disciplinate dal diritto di uno Stato terzo, che esse sono computabili «a condizione che la società interessata abbia dimostrato (…) che l’eventuale applicazione del bail-in alle passività sarebbe efficace nell’ordinamento di quello Stato»; e l’art. 59, co. 3, da parte sua, consente alla stessa Banca d’Italia di «chiedere all’emittente di fornire un parere legale relativo all’applicabilità e all’efficacia della clausola contrattuale inserita».

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Le criticità emerse nell’attuazione della misura del bail-in hanno indotto le istituzioni europee ad elaborare, nell’ambito del c.d. “Pacchetto bancario europeo”, una proposta di Direttiva che modifica la Direttiva 2014/59/ UE per quel che riguarda la classificazione degli strumenti di debito non garantiti nella gerarchia dei crediti in caso di insolvenza della banca15. La proposta, in estrema sintesi, intende operare l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in materia di gerarchia dei crediti vantati nei confronti degli enti bancari in dissesto, introducendo una nuova classe di strumenti di finanziamento, definiti “di primo rango non privilegiato”, da sottoporre a bail-in durante la risoluzione, subito dopo gli strumenti di fondi propri, ma prima delle altre passività di “primo rango”16. Con l’espressione credito di primo rango (non garantito) viene fatto riferimento, nella proposta, alla categoria dei crediti che non vantano alcuna causa di prelazione (ossia ai chirografari)17; categoria alla quale appartengono anche quelli dalla stessa proposta di direttiva definiti “non

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COM(2016) 853 final, del 23 novembre 2016. La modifica concerne, in particolare, l’art. 108 della direttiva 2014/59. 16 Le espressioni nella specie utilizzate dal legislatore unionale risentono, in negativo, delle difficoltà connesse alla traduzione dei testi giuridici, non esistendo nel nostro ordinamento la categoria del credito di “primo rango”, e men che meno del credito di “primo rango non privilegiato” o, viceversa, “privilegiato”. Sulle questioni legate alla traduzione/interpretazione dei testi giuridici (questioni che sono al centro della scienza conosciuta come “giurilinguismo”) cfr., da ultimo e per tutti, D. Zappacosta, Il giurilinguista nel diritto del commercio internazionale, Repères DoRiF Les voix/vois de la traduction – volet n. 2, DoRiF Università, Roma fèvrier 2016, http:// www.dorif.it/ezine/ezine_articles.php?id=283. 17 Nel Considerando n. 9 si legge: «Al fine di ridurre al minimo i costi sostenuti dagli enti creditizi e dalle imprese di investimento per conformarsi al requisito di subordinazione come pure l’eventuale impatto negativo sui loro costi di finanziamento, la presente direttiva dovrebbe consentire agli Stati membri di mantenere l’attuale classe di debito di primo rango non garantito, che presenta il più elevato rango in caso di insolvenza tra gli strumenti di debito ed è meno costosa da emettere per gli enti creditizi e le imprese di investimento rispetto a qualsiasi altra passività subordinata. Essa dovrebbe tuttavia imporre agli Stati membri di creare una nuova classe di attività del debito di primo rango “non privilegiato” da sottoporre a bail-in durante la risoluzione solo dopo gli strumenti di fondi propri, ma prima delle altre passività di primo rango. Gli enti creditizi e le imprese di investimento dovrebbero conservare la facoltà di emettere debito in entrambe le classi, mentre solo la classe di primo rango “non privilegiata” dovrebbe essere ammissibile ai fini del soddisfacimento del requisito di subordinazione del regolamento (UE) n. 575/2013 e della direttiva 2014/59/UE. Ciò dovrebbe consentire agli enti creditizi e alle imprese di investimento di utilizzare per il loro finanziamento o per altre ragioni operative il debito di primo rango meno costoso e di emettere la nuova classe di primo rango “non privilegiata” ai fini della conformità al requisito di subordinazione».

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privilegiati”, in quanto junior rispetto ai restanti crediti chirografari, ma senior rispetto ai fondi propri. L’introduzione della clausola di subordinazione “intraclasse” (quella dei chirografari, appunto) avvicina così i requisiti fissati a livello europeo per il MREL a quelli elaborati a livello internazionale per la norma TLAC, la quale, come si diceva, pone la clausola di postergazione come caratteristica imprescindibile delle passività ad alta capacità di assorbimento delle perdite.

2. I nuovi artt. 12-bis e 91, co. 1-bis t.u.b. Sulla base delle indicazioni provenienti dai mercati internazionali e prendendo spunto dalle esperienze già maturate negli ordinamenti a noi più vicini18, con la legge di bilancio 2018 il legislatore domestico ha (per una volta) voluto anticipare gli organi unionali, muovendosi – seppure, come si vedrà, solo di riflesso – proprio sul terreno delle passività ammissibili, introducendo gli “strumenti di debito chirografario di secondo livello” (conosciuti all’estero con l’espressione “senior non preferred debt” o “notes”), traduzione italiana della “classe di debito di primo rango non privilegiata” di cui alla proposta di direttiva19, con il dichiarato fine di rendere più immediatamente percepibile il rapporto patrimoniale tra il finanziato ed il finanziatore, in caso di dissesto del primo, e dunque maggiormente trasparente il mercato del credito alle banche. Più in particolare, l’art. 1, co. 1103, lett. b) l. 27 dicembre 2017, n. 205 introduce nel t.u.b. l’art. 12-bis, ai sensi del quale: «1. Sono strumenti di debito chirografario di secondo livello le obbligazioni e gli altri titoli di debito, emessi da una banca o da una società del gruppo bancario, aventi le seguenti caratteristiche: a) la durata originaria degli strumenti

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In Spagna, in particolare, il Real Decreto Ley n. 11, del 23 giugno 2017, ha introdotto in quell’ordinamento i “créditos ordinarios no preferentes”, la disciplina dei quali ricalca esattamente quanto stabilito dalla proposta di direttiva europea e dalla legge di bilancio 2018 italiana. Su tali nuovi strumenti di finanziamento cfr. A. Tapia Hermida, Reforma de la regulación financiera por el Real Decreto-Ley 11/2017: Cooperativas de crédito y concurso de entidades financieras, 6 luglio 2017, disponibile on line http://ajtapia. com/2017/07/reforma-la-regulacion-financiera-real-decreto-ley-112017-cooperativascredito-concursos-entidades-financieras/. Discipline simili erano state altresì introdotte in Belgio ed in Francia. 19 Il primo “Senior Non-Preferred Bond” italiano è quello da poco emesso, con scadenza a 5 anni e per un importo complessivo pari a 1.5 miliardi di euro, da Unicredit.

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di debito è pari ad almeno dodici mesi; b) gli strumenti di debito non sono strumenti finanziari derivati, come definiti dall’articolo 1, comma 3 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, non sono collegati a strumenti finanziari derivati, né includono caratteristiche ad essi proprie; c) la documentazione contrattuale e, se previsto, il prospetto di offerta o di ammissione a quotazione degli strumenti di debito indicano che il rimborso del capitale e il pagamento degli interessi e di eventuali altri importi dovuti ai titolari sono disciplinati secondo quanto previsto dall’articolo 91, comma 1-bis, lettera c-bis). 2. L’applicazione dell’articolo 91, comma 1-bis, lettera c-bis), è subordinata al rispetto delle condizioni di cui al comma 1. Le clausole che prevedono diversamente sono nulle e la loro nullità non comporta la nullità del contratto. 3. Una volta emessi, gli strumenti di debito chirografario di secondo livello non possono essere modificati in maniera tale da far venire meno le caratteristiche indicate al comma 1. È nulla ogni pattuizione difforme. 4. La Banca d’Italia può disciplinare l’emissione e le caratteristiche degli strumenti di debito chirografario di secondo livello». La lett. c) della medesima disposizione, poi, inserisce nell’ordine di distribuzione dell’attivo nella liquidazione coatta amministrativa bancaria recato dall’art. 91, co. 1-bis, la nuova lett. c-bis), ai sensi della quale: «i crediti per il rimborso del capitale e il pagamento degli interessi e di eventuali altri importi dovuti ai titolari degli strumenti di debito chirografario di secondo livello indicati dall’articolo 12-bis sono soddisfatti dopo tutti gli altri crediti chirografari e con preferenza rispetto ai crediti subordinati alla soddisfazione dei diritti di tutti i creditori non subordinati della società»20. La disciplina dedicata ai nuovi strumenti di debito si chiude con l’art. 1, co. 1105, ai sensi del quale: «Il valore nominale unitario degli strumenti di debito chirografario di secondo livello previsti dall’art. 12-bis del Testo unico bancario è pari ad almeno 25.000 euro. I medesimi strumenti di debito possono essere oggetto di collocamento, in qualsiasi forma realizzato, rivolto ai soli investitori qualificati». L’intervento del legislatore domestico, come si diceva, anticipa quello che sembra sarà il nuovo assetto della disciplina unionale in punto di passività ammissibili, dettando regole che solo apparentemente riguar-

20 L’art. 1, co. 1104, l. n. 205/2017, estende la disciplina recata dal co. 1103 anche alle società di intermediazione mobiliare, introducendo un nuovo art. 60-bis.4-bis t.u.f.

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dano la struttura finanziaria della banca ed i criteri di ripartizione endoconcorsuale tra i creditori dell’ente sottoposto a l.c.a., ma che, com’è facilmente intuibile, rilevano ai fini dell’applicazione del meccanismo del bail-in. Tale strumento, invero, è retto dal principio generalissimo del “no creditors worse-off than liquidation”, la decisione in ordine al suo utilizzo dovendo di conseguenza fare i conti con lo scenario che ai singoli interessati si presenterebbe in caso di apertura della l.c.a. dell’intermediario in dissesto21, risultando così del tutto evidente che qualunque modifica che riguardi i diritti dei creditori nell’ambito della procedura concorsuale – come quella introdotta, appunto, dalla legge n. 205/2017 – produca effetti, di riflesso, proprio sul processo di allocazione delle perdite innescato dall’adozione del bail-in22. Va peraltro sin d’ora detto, anticipando le osservazioni che verranno più compiutamente svolte nel prossimo paragrafo, che l’intervento normativo risulta tutt’altro che convincente, sia che lo si riguardi dal punto di vista della tecnica legislativa nella specie impiegata (l’aggettivo “chirografario” mal si attaglia, invero, ad un “debito”), sia che lo si riguardi dal punto di vista della funzionalità dello stesso al raggiungimento dell’obiettivo della trasparenza del (e nel) mercato del credito alle banche, che per effetto della novella sembra ora, in realtà e viceversa, più opaco.

21 Il confronto con la procedura concorsuale amministrativa serve invero per fissare la soglia massima delle perdite che ciascun azionista o creditore della banca in dissesto può subire per effetto de bail-in: «nessun azionista e creditore subisce perdite maggiori di quelle che subirebbe se l’ente sottoposto a risoluzione fosse liquidato, secondo la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal t.u.b. o altra analoga procedura concorsuale applicabile» (art. 22, co. 1, lett. c). In tale norma si fa riferimento alle perdite subite dagli azionisti e, eventualmente, dai creditori, per effetto della misura di risoluzione, che vengono poste in relazione con quelle che gli stessi soggetti avrebbero sopportato in caso di apertura della l.c.a.; il bail-in si riduce dunque ad un meccanismo che consente di allocare perdite, non già di soddisfare crediti (e, più in generale, interessi economici). È per tale motivo che, come si diceva nel testo, la concreta operatività del bail-in deve fare i conti con un modello “virtuale” di l.c.a., che rappresenti ciò che sarebbe accaduto (in termini, occorre ribadire, di perdite), in ipotesi di apertura della procedura concorsuale. 22 Rimanendo sul terreno propriamente concorsuale, non v’è dubbio che la novella contribuisca a rendere ancora più caotica la situazione dei riparti nella l.c.a. bancaria, essendo ora ben quattro le sottocategorie di chirografari caratterizzati da diversi livelli di seniority; alle quali si aggiungono, per un versante, le varie tipologie di subordinati e gli ibridi di patrimonializzazione e, sul versante opposto, i privilegiati, coloro che vantano garanzie reali e, infine, i prededucibili.

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3. Strumenti di debito chirografario di secondo livello (senior non preferred debt): caratteristiche tipologiche e funzionali. Chiarite nei paragrafi precedenti le ragioni che hanno spinto il legislatore domestico ad introdurre nell’ordinamento i nuovi strumenti di finanziamento, si può ora passare ad analizzarne le caratteristiche tipologiche e funzionali. A. Si può iniziare dalle prime, concentrando l’attenzione sul rango del credito23. Sul punto, occorre sgombrare sin da subito il campo da possibili equivoci chiarendo, a dispetto del nome che a tali strumenti è stato assegnato in ambito nazionale ed internazionale, che si tratta di titoli di debito subordinati; se si vuole, subordinati di primo livello, ma comunque caratterizzati dalla clausola di postergazione rispetto a tutti gli altri crediti chirografari (ed a quelli che vantano cause legittime di prelazione sul patrimonio dell’intermediario). A pensar male si potrebbe anche sostenere che con la novella si sia voluto utilizzare un mero espediente linguistico per celare la vera natura dei nuovi strumenti di finanziamento, non essendovi dubbio che, se non altro esteticamente, per gli emittenti, il mercato e, soprattutto, i portatori dei titoli suoni meglio “strumenti chirografari di secondo livello” oppure “senior non preferred debt”, piuttosto che “strumenti subordinati”; se però si considera il posto che i crediti vantati dai portatori dei titoli occupano nell’ordine verticale di distribuzione del patrimonio responsabile, il richiamo al rango chirografario o addirittura al termine senior – non accompagnato da “subordinated”, nella specie mascherato da “non preferred” – non può che ritenersi decettivo. a) Ciò premesso, va subito detto che si tratta di un’ipotesi di subordinazione convenzionale tipica24 – e, più in particolare, di una “ab initio

23 Le altre caratteristiche essenziali, come si è visto, concernono: la durata, non potendo questa essere inferiore ai 12 mesi; la stabilità nominale, non essendo (né avendo le caratteristiche degli) strumenti finanziari derivati, né potendo a questi essere collegati; l’importo minimo del taglio, pari a 250.000 euro; il collocamento selettivo, essendo rivolto ai soli investitori qualificati. 24 Accanto alle ipotesi tipiche di subordinazione volontaria, vi sono anche quelle atipiche, nelle quali l’individuazione dei confini (ossia dei presupposti, delle condizioni, degli effetti e dell’estensione oggettiva, soggettiva e temporale) della subordinazione è lasciata all’autonomia dei paciscenti. La libertà di cui godono le parti nel modellare il patto di subordinazione fa sì che nella pratica degli affari si registrino clausole di

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subordination”25 –, in quanto tale presentante tratti in comune con le obbligazioni subordinate ex art. 2411, co. 1 c.c. e 12, co. 7 t.u.b. La natura volontaria della postergazione va affermata nonostante il nuovo art. 12-bis, co. 4, per un verso, contempli la stessa come elemento tipologico della fattispecie e, per altro verso, consenta alla Banca d’Italia di dettare norme specifiche in ordine alle caratteristiche – compresa, deve ritenersi, la clausola di subordinazione – di tali strumenti di debito. Ciò in quanto alla base del rapporto obbligatorio tra il portatore del titolo e la banca v’è sempre un atto di accettazione della clausola di subordinazione da parte del primo, manifestato attraverso l’acquisto o la sottoscrizione del titolo medesimo, a nulla rilevando – ai fini classificatori – che le condizioni del credito, compresa la postergazione, siano prefissate, rispetto alla conclusione dell’accordo medesimo. b) Dal punto di vista dell’estensione, si tratta di una subordinazione assoluta (o generale o universale o public subordination) e non relativa (anche detta private subordination), la postergazione nel soddisfacimento del credito vantato dai portatori di tali titoli operando nei confronti di tutti gli altri crediti (non ugualmente subordinati), anche futuri, vantati nei confronti dell’ente in crisi26. Ciò significa che in caso di l.c.a. dell’intermediario la postergazione in discorso produce un arretramento del rango del credito, che nella specie si colloca tra i crediti chirografari (quelli che da oggi in poi dovrebbero, a rigore, chiamarsi “chirografari di primo livello”) ed i subordinati propriamente detti. In sintesi, una sorta di “mezzanine finance”.

subordinazione dal contenuto più vario: per una rassegna delle diverse ipotesi di subordinazione volontaria cfr. Vattermoli, Crediti subordinati e concorso tra creditori, Milano, 2012, pp. 6 ss. 25 Ed invero, dal punto di vista cronologico, il patto di subordinazione può essere contestuale (ab initio subordination) alla nascita del credito oppure successivo (subsequent subordination), in questo secondo caso «dando vita ad un autonomo negozio destinato a modificare il preesistente regolamento del credito»: così, G.F. Campobasso, I prestiti subordinati nel diritto italiano, in Portale (a cura di), Ricapitalizzazione delle banche e nuovi strumenti di ricorso al mercato, Milano, 1983, p. 356. Sul punto cfr., altresì, A. Bruyneel, Les prêts subordonnés, in Rev. banque, 1976/77, 530: «L’engagement de subordination peut être pris par le créancier tantôt au moment où il consent un prêt ou conclut un contrat qui va le rendre créancier, tantôt ultérieurement». 26 In tal caso, la subordinazione può definirsi ad oggetto elastico o variabile, atteso che soltanto nel momento in cui si realizza l’evento che rende operante la subordinazione sarà possibile individuare gli effettivi beneficiari della postergazione.

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c) Come stabilito dalla lett. c-bis) dell’art. 91, co. 1-bis t.u.b., la postergazione coinvolge non soltanto il credito in linea capitale, ma anche la parte relativa agli interessi maturati e le altre somme comunque dovute ai titolari degli strumenti ex art. 12-bis t.u.b.: si tratta, dunque, di una subordinazione c.d. totale. d) Per quel che concerne, poi, il momento a partire del quale scatta la subordinazione, non v’è dubbio che la stessa operi in caso di apertura della procedura concorsuale nei confronti della banca in dissesto. Stando a quanto stabilito dalle disposizioni di rango primario, prima dell’apertura della l.c.a. il portatore del titolo può esercitare tutti i diritti connessi allo status di creditore (ossia, il diritto di percepire il pagamento degli interessi maturati, secondo quanto previsto dalle clausole contrattuali; il diritto, alla scadenza, di ottenere la restituzione della somma dovuta; il diritto di esercitare le azioni a tutela del proprio credito, ecc.); aperta la procedura, invece, il soddisfacimento del credito – che è e rimane credito concorsuale – è subordinato all’integrale pagamento dei crediti chirografari di primo livello (e prima, ovviamente, dei privilegiati e dei prededucibili). È peraltro possibile che nella normativa secondaria il trigger event della subordinazione venga anticipato ad un momento precedente l’apertura del concorso (ad esempio, in caso di liquidazione volontaria dell’ente)27. e) Guardando, infine, al grado di “tenuta” della postergazione rispetto sia alle vicende circolatorie del credito che ne è contraddistinto, sia ai pos-

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Sembra tuttavia difficile immaginare che si possa giungere a delineare i contorni della clausola di postergazione in modo tale da rendere la stessa incondizionata (anche detta “complete” o “standstill subordination”), così impedendo il soddisfacimento del credito che ne è caratterizzato fintanto che vi siano crediti non ugualmente subordinati da soddisfare. Su di un piano generale, infatti, la subordinazione assoluta – come quella che viene qui in considerazione – è di norma condizionata; sempre sul piano generale, poi, quella involontaria è altresì concorsuale, scattando solo in caso di apertura del concorso sul patrimonio del debitore comune. Su questi aspetti cfr., in generale, Ryan, The Subordinated World of Junk Bonds, in 105 Bank. L.J., 1988, p. 5; Seberger, Subordination and Inter-Creditor Agreements, IICLE Press, 2007, 11, disponibile on line sul sito www.iicle.com, «The standstill subordination, sometimes referred to as a “standby” subordination, is the most protective of the senior lender. As its name implies, under the standstill subordination, the junior creditor may not receive or accept any payment from the borrower and is obligated to stand still or stand by until all amounts (principal and interest) owing to the senior lender are paid in full»; G.F. Campobasso, I prestiti subordinati, cit., p. 356; Otis Rodner, La subordinación del crédito, Caracas, 1981, p. 21; Lopes, Contractual Subordinations and Bankruptcy, in 97 Banking L.J., 1980, p. 206-207; Goldenberg, La subordinación voluntaria de créditos, Cizur Menor, 2011, p. 35.

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sibili comportamenti delle parti del rapporto di subordinazione volti a depotenziarne l’efficacia, si può concludere nel senso di ritenere quella che caratterizza i titoli ex art. 12-bis t.u.b. un’ipotesi di subordinazione “forte”. i. Con riferimento alla vicenda circolatoria, pur trattandosi di una forma di postergazione volontaria – ché, se fosse di tipo legale non vi sarebbe, sul punto, alcuna incertezza28 –, come tale non rappresentante una qualità intrinseca del credito oggetto di cessione, è il fatto stesso che risulti dal titolo di debito emesso dalla società finanziata che fa sì che essa “segua” il credito negli eventuali successivi passaggi del titolo che lo incorpora (arg. ex art. 1993 c.c.)29. ii. Rispetto, poi, a quelli che vengono chiamati gli “accordi di desubordinazione”, con i quali le parti originarie, facendo leva sull’autonomia privata e sulla efficacia relativa dei contratti, mutano in un secondo momento i termini della postergazione, potendo anche escluderla del tutto30, la tutela per i terzi (cioè di coloro che beneficiano della posterga-

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Nella subordinazione involontaria, invero, la legge opera una valutazione ex ante del credito, ritenendolo non meritevole di partecipare, nella ripartizione del patrimonio del debitore comune, su un piano di uguaglianza con gli altri crediti concorrenti. È il credito ad essere subordinato, non il creditore, anche qualora la retrocessione del rango creditizio sia fatta dipendere dalle condizioni personali di quest’ultimo: il cambio nella titolarità del medesimo non può, dunque, reagire su tale caratteristica o qualità. Sul punto cfr., tra gli altri, Carroll, Priorities and Subordination in the Bankruptcy Reform Act of 1978, in 17 Hous. L. Rev., 1980, p. 249; Baird e Rasmussen, Anti-Bankruptcy, University of Southern California Law, Legal Studies Research Paper Series Paper No. 09-9, 2009, disponibile on line sul sito http://papers.ssrn.com; Fortgang e Moers Mayer, Trading Claims and Taking Control of Corporation in Chapter 11, in 12 Cardozo L. Rev., 1990, p. 1 ss.; Berman, District court decides that equitable subordination runs with claimant, not with claim, in Bankruptcy Law Alert, settembre 2007, p. 1-2. 29 Nello stesso senso, in un’ottica più generale, G.F. Campobasso, I prestiti subordinati, cit., p. 372. 30 In generale, sui problemi generati dai “de-subordination agreements” cfr., tra gli altri, Wood, Subordination Agreements, Bankruptcy and the PPSA, in 49 Canadian Business Law Journal, 2010, p. 72; Levin, Subordination, Priorities and Super-Priorities: An Update, 2008, disponibile on line sul sito www.fasken.com, p. 4: «It is uncommon in corporate finance for subordination arrangements to be put in place between a borrower and certain subordinating creditors in circumstances where senior creditors are not made party to the relevant subordination agreement. A question arises as to whether this lack of privity will impair the enforceability of the subordination arrangements in the event of an insolvency of the borrower as between unsecured creditors». Per la dottrina francese cfr., per tutti, Retout, Les Titres subordonnés, Paris, 1995, p. 19: «Une difficulté pourrait ce pendant apparaître du fait que les créanciers subordonnés (les stipulants) conservent le droit de révoquer la subordination faite au profit des autres créanciers (les bénéficiaires) tant que ceux-ci n’ont pas déclaré vouloir en profiter».

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zione) è nella specie assicurata direttamente dalla legge, il co. 3 dell’art 12-bis t.u.b. espressamente escludendo la possibilità di modifiche, successive all’emissione, delle caratteristiche essenziali – quelle dettate dal comma 1 della medesima disposizione, tra cui, appunto, quella che attiene al rango – degli strumenti di debito chirografario di secondo livello. B. Passando alle caratteristiche funzionali. Se si dovesse ragionare tenendo esclusivamente in considerazione gli stretti ambiti sui quali è direttamente intervenuta la riforma, ossia la struttura finanziaria degli enti creditizi e i meccanismi di riparto endoconcorsuale in ipotesi di apertura della l.c.a. bancaria, si potrebbe tranquillamente dire che di questi strumenti di debito chirografario di secondo livello si sarebbe potuto fare a meno, tanto più che, come si è detto, gli stessi contribuiscono a rendere ancor più caotica la già ingarbugliata disciplina recata dall’art. 91 t.u.b. La vera partita, però, ed anche questo si è detto sin dalle prime battute, tali strumenti la giocano sul tavolo, parallelo a quello concorsuale, della risoluzione. La clausola di postergazione nei confronti degli altri crediti chirografari dovrebbe invero rendere a tutti evidente la loro inclusione tra le “passività ammissibili”: i detentori dei titoli – e ci si riferisce, in particolare, ai successivi acquirenti, visto che i sottoscrittori sono necessariamente investitori qualificati – non potrebbero, dunque, dolersi della svalutazione e/o conversione dei titoli posseduti, in ipotesi di bail-in dell’istituto emittente, proprio perché, verosimilmente, nulla di più potrebbero ottenere dalla l.c.a. D’altra parte, quando il sistema europeo entrerà a regime (quando cioè verrà modificata la Direttiva n. 2014/59), tutti coloro che operano nel mercato dell’Unione si ritiene saranno in grado di comprendere il grado di rischiosità dei senior non-preferred debt; non vi saranno, sempre in ipotesi, disparità di trattamento tra i possessori dei medesimi titoli; né vi sarà la possibilità, per i singoli ordinamenti nazionali e per gli intermediari che sono ivi stabiliti, di godere di indebiti vantaggi competitivi. Eppure, anche volendo considerare gli aspetti testé menzionati, i dubbi in ordine alla funzione assolta da tali strumenti permangono. L’idea di fondo alla base della novella è che gli strumenti di debito chirografario di secondo livello, in quanto contrassegnati da una sorta di “lettera scarlatta” che ne rende immediatamente chiara la loro natura postergata, evitano che in caso di risoluzione dell’intermediario si generino tensioni sociali e si scateni una “corsa al contenzioso” da parte degli investitori per ottenere una qualche forma di ristoro, magari nei confronti

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degli stessi governi nazionali, venendo così meno – o sfumando grandemente – i vantaggi per la collettività connessi al risanamento interno. Ma se così è, viene naturale domandarsi perché mai non si sia modificata la direttiva stabilendo, ad esempio e più semplicemente, che per essere considerata nel MREL la passività deve recare espressamente la parola “subordinata” o “postergata”. In altri termini, che bisogno c’era di introdurre uno scalino intermedio tra gli già esistenti strumenti propriamente subordinati (quali, per intenderci, i prestiti postergati ex art. 12, co. 7 t.u.b.) e quelli chirografari (che da oggi dovremmo definire “di primo livello”)? Torna il dubbio che si tratti di una sorta di alchimia linguistica, che forse gioverà agli intermediari, per i quali il collocamento di “strumenti di debito chirografario di secondo livello” costerà probabilmente meno rispetto a quanto occorrerebbe per il collocamento di “prestiti subordinati di primo livello”, ma che certo sembra andare in tutt’altra direzione rispetto all’obiettivo (a questo punto più sbandierato, che realmente perseguito) della trasparenza del mercato bancario.

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Incentivi alla gestione dei crediti deteriorati: lo schema di garanzia GACS e l’attività dei Fondi Atlante Sommario: 1. Qualche nota preliminare. – 2. Inquadramento del fenomeno: le nuove definizioni di credito deteriorato adottate dalla Banca d’Italia sulla base delle disposizioni EBA. – 3. La gestione dei crediti deteriorati. Profili di criticità. – 4. Procedure di recupero: lo schema di garanzia statale. – 5. L’operatività dei Fondi Atlante. – 6. Considerazioni conclusive.

1. Qualche nota preliminare. Le sofferenze sui crediti hanno assorbito, negli ultimi anni, larga parte della redditività operativa delle banche italiane, richiedendo rettifiche di valore e consistenti accantonamenti non sempre sufficienti a superare le significative perdite d’esercizio1. La crescita esponenziale delle attività deteriorate ha prodotto pertanto riflessi negativi sui bilanci degli enti creditizi con conseguenti diffi-

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Per una dettagliata disamina dell’argomento, si veda Cacciamani, Qualità dei prestiti ed equilibri di gestione delle aziende di credito, in Il Risparmio, n.4/1992, p. 749 e ss.; Tierno, I crediti in sofferenza nei bilanci bancari, in Amministrazione e Finanza, n. 12, 1993, p. 725 e ss.; Masciandaro, Porta, a cura di, Le sofferenze bancarie in Italia. Cause, effetti su intermediari e imprese, profili di vigilanza, in Bancaria Editrice, Roma, 1998;
Resti, Sironi, Rischio e valore nelle banche. Misura, regolamentazione, gestione, Milano, 2008; Napolitano, Il credito bancario a sofferenza. Dall’utopia di Luigi Luzzatti agli accordi di Basilea II, ESI, 2009, p. 19 e ss.; Ferfoglia, I crediti deteriorati nelle banche. Aspetti normativi e dinamiche, Milano, Febbraio 2012, disponibile online su AnalisiBanka.it; Quattrocchio, La classificazione dei crediti da parte degli intermediari finanziari. Le diverse nozioni di crisi ed insolvenza. La segnalazione alla centrale rischi, Biella, ottobre 2015, in il Commercialista Monografie, p. 31 e ss.; Bonollo, Credito deteriorato e nuovo archivio delle perdite richiesto da Banca d’Italia, reperibile alla pagina www.finriskalert.it, 2014.

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coltà relative ai processi di monitoraggio, causa l’enorme stock che le strutture di recupero si sono trovate a gestire, in gran parte imputabili alle pressioni generate dalla crisi dei mercati. Da qui l’avvertita necessità di ottenere per il futuro performance ottimali mediante l’adozione di adeguate strategie gestionali di tali posizioni volte a massimizzare il valore del recupero, minimizzando tempi e costi delle operazioni. Valutati i limiti di un loro conferimento a una Bad Bank2 dal momento che andrebbero cedute, secondo quanto impone la Commissione Europea, a un valore di “mercato” inferiore a quello “di bilancio” (con una perdita per le banche calcolato al 18% circa del valore lordo), la soluzione più “naturale” è parsa, ancora una volta, quella di procedere ad interventi di mercato interno attraverso l’utilizzo di credit derivatives e di processi di cartolarizzazione dei “crediti deteriorati”, terminologia

2 La Bad Bank (che si rammenta non essere una banca né risulta in possesso di licenza bancaria, ma agisce meramente come gestore del recupero crediti o come società specializzata nel disinvestimento di asset) creata ad hoc dagli istituti bancari in difficoltà che non riescono a smaltire grandi quantità di crediti deteriorati, prevede lo sdoppiamento della banca, la quale dovrà cedere parte del proprio portafoglio ai nuovi veicoli societari che aiutano gli istituti di credito a depurarsi dalle perdite derivanti da crediti anomali, tossici e difficilmente esigibili. È proprio grazie a questo veicolo che alcuni istituti falliti sono stati salvati, facendosi carico dei crediti deteriorati, mentre la parte sana delle banche è stata messa in vendita. Nonostante alcuni vantaggi per le banche, tale strumento è parso girare a vuoto in un tipico corto circuito: se le banche svendono i NPLs a valori di mercato stracciati (c.d. fire sale), incorrono in perdite e aumenti di capitali ingenti e questo non funziona per gli istituti di credito che non hanno facile accesso al mercato. Se invece le banche vendono i NPLs a prezzi ben sopra il prezzo di mercato e li trasferiscono ad una Bad Bank capitalizzata dallo Stato ed emettente bond garantiti dallo Stato, allora scatta l’aiuto di Stato e con esso il burden sharing e la ristrutturazione della banca. Sul tema della Bad Bank, si veda, amplius, Bruno, Il Bad banking nell’intermediazione finanziaria. Soluzioni tradizionali e innovative, in Banche e banchieri, n.1/2000; Tomistico, Le sofferenze non calano, la bad bank resta sul tavolo, in BancaFinanza, 2013; Bottari, La gestione dei crediti non performing: le bad banks, in Economia della banca, 2014; Capizzi, Crisi d’impresa e ristrutturazione del debito: Procedure, attori, best practice, Milano, 2014; Aa.Vv., Una bad bank di sistema anche in Italia?, in Mercati e intermediari finanziari, Dirigenza bancaria, n.175/2015; Mauri, Bad bank: aiuto ai banchieri o all’economia?, reperibile alla pagina www.europinione.it del 9 giugno 2015; Rossano, Gli aiuti di Stato alle banche e le ritrattazioni della Commissione: tra distorsioni della concorrenza e (in)stabilità finanziaria, in Riv. trim. dir. econ., p. 1 e ss; Lener, Bailin: una questione di regole di condotta?, relazione al Convegno di Trento “Salvataggio bancario e tutela del risparmio” del 12 febbraio 2016, in Riv. dir. banc., dirittobancario. it, n.9/ 2016; Aa.Vv., L’Eba propone una bad bank europea per gestire gli Npl, in Sole23ore del 30 gennaio 2017.

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quest’ultima usata per indicare quelle posizioni problematiche individuate dall’EBA con il nome di NPLs. In tale quadro operativo, assume particolare rilevanza sia il recente aggiornamento alla Circolare 272/2008 della Banca d’Italia3 di recepimento del Regolamento di esecuzione 2015/534/UE4, che il “Revision to the securitisation framework”, in vigore a partire dal 1 gennaio 2018, mirante al rafforzamento dei requisiti patrimoniali a fronte delle esposizioni connesse alle operazioni di cartolarizzazione e di ri-cartolarizzazione. Nel contesto in specie, si colloca a pieno titolo il documento EBA “Final draft Implementing Technical Standards” (noto con la sigla EBA/2013/ITS/03), volto a individuare misure di forbearance ed elementi di armonizzazione nell’area comunitaria, in tema di definizione di default e svalutazione crediti anche con riferimento al periodo temporale richiesto per valutare come sofferenza un credito in difficoltà. Appare fin da subito come gli attuali crediti “forborne”, di cui si parlerà nel prosieguo, oggetto di “misure di tolleranza” da parte dalle banche verso debitori che si trovino, o stiano per trovarsi, in situazioni di difficoltà finanziaria5, unitamente al nuovo framework prudenziale in

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La Banca d’Italia ha pubblicato l’8° aggiornamento del 15 marzo 2016 alla Circolare n. 272 del 30 luglio 2008 “Matrice dei conti” con cui viene rivisto l’impianto della Sezione III al fine di dare applicazione al Regolamento (UE) 2015/534 del 17 marzo 2015. Quest’ultimo disciplina le informazioni finanziarie di vigilanza degli intermediari bancari nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico, il Single Supervisory Mechanism (SSM). Vengono inoltre apportati coerenti aggiustamenti alla Sottosezione II.5 “Altri dati statistici – Andamento conto economico” e recepite talune modifiche agli schemi segnaletici e chiarimenti previsti da precedenti comunicazioni al sistema. La nuova Sezione III – e le modifiche apportate alla Sottosezione II.5 – sono entrate in vigore in tutto l’arco del 2016 e riguardano le segnalazioni da parte di intermediari tenuti a inviare l’intero FINREP, nonché di banche italiane facenti parte di un gruppo bancario significativo in merito a dati riferiti alle filiazioni di un gruppo bancario italiano significativo, residenti in Paesi UE non partecipanti all’SSM o in Paesi extracomunitari, con totale attivo superiore a 3 miliardi di euro; di Bancoposta; di succursali italiane di banche estere (comunitarie ed extracomunitarie). 4 Tale Regolamento introduce importanti modifiche alla classificazione dei crediti e all’accantonamento delle riserve allineandole alle recenti nozioni di Non-Performing Exposures e Forbearance ad opera degli Implementing Technical Standards. 5 In specie, il documento EBA afferma testualmente «For the purpose of template 19, forborne exposures are debt contracts in respect of which forbearance measures have been extended. Forbearance measures consist of concessions towards a debtor facing or about to face difficulties in meeting its financial commitments (“financial difficulties”). For the purpose of template 19, a concession refers to either of the following actions: 1. a modification of the previous terms and conditions of a contract the debtor is considered

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materia di cartolarizzazioni (inserito nel più ampio programma di Basilea 3) saranno indubbiamente capaci di offrire migliori opportunità per le banche sul piano gestionale degli assets problematici6. Ciò essenzialmente in quanto le citate misure – intese quale strategie basate su mantenimento delle posizioni in bilancio/misure di concessione – risultano giustificate dalla circostanza che tali crediti mostrano una probabile, ma non certa, difficoltà finanziaria del debitore, per cui possono apparire recuperabili7. A differenza delle non performing exposures – le quali costituiscono una categoria di credito a sé stante – i forborne credits possono risultare al contempo non performing, allorquando vengono indicate tutte le esposizioni che beneficiano di una concessione da parte della banca, in

unable to comply with due to its financial difficulties (“troubled debt”) to allow for sufficient debt service ability, that would not have been granted had the debtor not been in financial difficulties; 2. a total or partial refinancing of a troubled debt contract, that would not have been granted had the debtor not been in financial difficulties. A concession may entail a loss for the lender». 6 Tuttavia va attenzionato il fatto che la categoria forborne performing costituisce un punto di rottura e di novità rispetto alla normativa italiana. Infatti, seppur l’esposizione risulti ristrutturata, i nuovi standards la classificano sia come deteriorata che non, a differenza delle esposizioni ristrutturate previste dalla “Matrice dei Conti”, le quali risultano, invece, sempre e solo deteriorate. Un’ampia disamina sull’argomento viene condotta da D’auria, Chiefalo, Le nuove definizioni di credito deteriorato, in Moderari, febbraio 2015; Aa.Vv., La gestione dei crediti deteriorati:
un’indagine presso le maggiori banche italiane, in Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers) della Banca d’Italia n. 311, Febbraio 2016; Aa.Vv., Quanto valgono i crediti deteriorati?, in Note di stabilità finanziaria e vigilanza della Banca d’Italia, n.3/2016. 7 Cosicché, per assumere la caratteristica di forborne, un credito deve registrare almeno una condizione, ovvero, un cambiamento delle condizioni contrattuali originariamente pattuite o un totale/parziale rifinanziamento del debitore. A ben guardare, il concetto di forborne credits risulterebbe sovrapponibile alla fattispecie di “esposizioni ristrutturate” rinvenibili nel nostro ordinamento prima del 7° aggiornamento della Circolare “Matrice dei Conti del 2015; tuttavia è dato rilevare significate differenze in quanto queste ultime richiedono alla banca di accettare la determinazione di una perdita, a seguito della riformulazione delle condizioni contrattuali, mentre, invece, i forborne prevedono la semplice “concessione” garantita dal creditore al debitore. Inoltre il dato temporale pone una netta distinzione tra le “esposizioni ristrutturate”, le quali possono tornare in bonis solo dopo 24 mesi e i forborne che prevedono una diversa tempistica. Per ulteriori approfondimenti, si rinvia a Pellegatta, Non perfroming loans (NPL) e forborne credits: verso le nuove regole EBA per i crediti deteriorati in Italia e in Europa, UBI Banca, Milano, luglio 2014, reperibile online su expartecreditoris.it.

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termini di rinegoziazione delle clausole contrattuali, e che hanno comportato una perdita per la stessa, purché tali esposizioni rimangano nella presente categoria almeno un anno. Trascorso tale periodo, il credito può abbandonare l’attributo di non performing e confluire nella categoria forborne performing. Di contro, i crediti forborne performing ricomprendono le esposizioni derivanti dalla precedente categoria (ad esempio, le esposizioni ristrutturate che però non hanno comportato una perdita per la banca; le esposizioni scadute da più di 30 giorni) sempre che non venga superato il limite di 90 giorni, motivo che condurrebbe l’esposizione direttamente tra le non performing exposures. In altri termini, è previsto un preliminare passaggio alla classe di forborne performing credits reso obbligatorio nel momento in cui viene evidenziato un impairment8 o default, a patto che sia trascorso il c.d. “cure period” (almeno un anno) entro cui l’impresa deve dimostrare di aver riacquistato piena capacità di adempiere le proprie obbligazioni creditizie9. Una volta raggiunta la categoria forborne performing, il credito dovrà rimanerci per almeno due anni e solo dopo potrà confluire nella classe performing, sempre che siano soddisfatte le condizioni già indicate10.

8 La procedura di impairment, prevista dallo IAS 36, fa riferimento alle attività che presentano un certo livello di patologia a causa del default del debitore. Cfr., IAS 36 – Riduzione durevole delle attività (Impairment of assets) di giugno 1998. Esso rappresenta uno standard indicativo di quel trattamento contabile delle perdite di valori relative alle immobilizzazioni materiali di proprietà o in leasing, partecipazioni in imprese controllate, collegate e joint-ventures, attività immateriali e avviamento acquisito a titolo oneroso. In buona sostanza ne definisce sia i principi cui un’impresa deve rispondere per assicurarsi che le proprie attività siano iscritte ad un valore non superiore al valore recuperabile, sia l’individuazione delle informazioni integrative da fornire in merito alle attività che hanno subito una riduzione durevole di valore. 9 Si parla in questo caso di regolare adempimento dei propri impegni, nonché di regolare pagamento delle rate del mutuo con cui si è consolidata l’esposizione in c/c costantemente sconfinata. 10 Al di là delle suddette definizioni tecniche, il rapporto banca affidante-impresa in difficoltà finanziaria risulterà caratterizzato da un appesantimento delle svalutazioni che la banca dovrà adottare a fronte della specifica linea di credito concessa come misura di “tolleranza”; cui si aggiunge l’ingessamento del rapporto con l’impresa: l’azione gestionale della banca sarà rivolta essenzialmente al rientro “morbido” dalla propria complessiva esposizione, almeno sino a che essa stessa non giudichi superato lo stato di difficoltà finanziaria (ovvero per almeno i primi 12 mesi dalla classificazione ad Inadempienza Probabile). In tale quadro si innesta anche il nuovo approccio utilizzato dalla BCE nel processo di AQR che prevede delle soglie standardizzate per la valutazione delle classi di credito.

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Seguendo siffatto iter emerge con chiarezza il tratto saliente di questa nuova disciplina individuabile proprio nella “possibilità” concessa al debitore di ripristinare la qualità del proprio debito, determinandone il ritorno in bonis, posto che entrambe le categorie di forborne exposures possono ridivenire crediti performanti e abbandonare così l’attributo di “deteriorato”11. A potenziare i principi del documento EBA, in termini di recupero dei crediti, ha contribuito inoltre la scelta, piuttosto travagliata del legislatore nazionale, contenuta nelle disposizioni della l. n. 49/2016 (di conversione del d. lgs. n. 18/2016), di “vendere” alle banche una garanzia statale sui crediti conferiti. Dopo un lungo negoziato durato quasi un anno, si è raggiunta l’intesa tra Commissione Europea e Governo italiano sulla predisposizione di un meccanismo di garanzia (per la verità un po’ più complicato di una semplice garanzia statale) per così dire “prezzato” a condizioni di mercato in modo da non interferire con il divieto di aiuti di Stato; una scelta questa ritenuta positiva a livello di sistema perché stimola la modernizzazione della governance (in particolare il passaggio dal cartaceo ad una gestione più digitale delle sofferenze). Infatti, dopo una prima fase di assestamento, la vendita dei NPLs tramite asset-backed securities potrà diventare veloce tanto quanto la cartolarizzazione dei crediti in bonis. Si tratta, comunque, di una garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (c.d. GACS) esclusivamente a copertura delle tranche senior, cioè di quelle più sicure purché abbiano previamente ottenuto un livello di rating corrispondente a un investment grade il quale, secondo le proiezioni, dovrebbe rappresentare uno strumento molto utile per la gestione delle sofferenze bancarie.

In sintesi si può affermare come i financials dell’impresa assumano maggiore enfasi nelle fasi di affidamento e monitoraggio del credito, nonché in sede di valutazione del presunto valore recuperabile (c.d. approccio “going concern”, secondo BCE). È molto probabile che le banche adotteranno nei processi e nei sistemi di gestione del rischio di credito standard comuni. 11 Nello specifico, i crediti forborne performing riescono più facilmente a ritornare in bonis, in quanto non costituiscono delle esposizioni deteriorate, ma solo ristrutturate; infatti, dopo un’attenta valutazione da parte del management della banca, l’esposizione classificata come forborne performing può abbandonare tale attributo se è trascorso il c.d. probation period, vale a dire due anni da quando è stata ottenuta la concessione. Va richiesto, inoltre, che sia stato ottemperato il piano di risanamento del debito per almeno un anno e che il debitore non risulti insolvente, da più di 30 giorni, in altre esposizioni nei confronti della banca.

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Molti, tuttavia, gli aspetti tecnici ancora da chiarire, dalla percentuale massima di tranche senior ammessa in ciascun Abs, all’entità delle maggiorazioni del costo dei credit default swap12; ma, soprattutto, resta aperta la questione principale sull’entità del prezzo complessivo cui saranno conferiti i crediti in sofferenza alla società veicolo. Va aggiunto inoltre come l’efficacia della Gacs, nel favorire lo sviluppo del mercato delle partite anomale, andrà valutata congiuntamente alla operatività dei Fondi Atlante, di natura privata (ma non vi è dubbio circa la supervisione di MEF e Banca d’Italia e la partecipazione di CDP) che affiancherà le banche aderenti nelle operazioni quale compratore di ultima istanza, investendo in crediti deteriorati. Le nuove strategie messe a punto dall’ordinamento nazionale per la gestione di tali crediti dovranno certamente fare i conti, di qui a poco, anche con gli scenari che si profileranno dopo l’uscita definitiva della Gran Bretagna dall’UE. La preoccupazione maggiore – anche se essa va via via stemperandosi – è che questo evento possa trasformarsi in una crisi sistemica attraverso le oscillazioni dei mercati finanziari. Verosimilmente per preservare la stabilità si riproporrà con forza l’idea di gestire tali evenienze di bilancio attraverso strumenti di ricapitalizzazione pubblica (richiamando quanto disposto all’art.132 della direttiva BRRD) anche mediante sottoscrizione di fondi propri e acquisto di strumenti di capitale (ma sempre in fase ex ante) o di intervenire con la creazione di un nuovo Fondo (ad agosto 2016 è partito “Atlante 2” per la gestione dei NPLs) in grado di assicurare eventuali nuovi aumenti di capitale delle banche e l’acquisto di attività deteriorate. Ma non mancano progetti che vedranno il coinvolgimento soprattutto di investitori privati quali fondi pensione, fondi d’investimento per lo smaltimento dei non-performing loans (molto simile al modello di Bad Bank) né un’eventuale accelerazione della garanzia europea sui depositi bancari. Sarà allora opportuno interrogarci se, in uno scenario internazionale ancora incerto, la possibilità di strutturare un’operazione di cartolarizzazione con acquisizione di tranche junior da Atlante e di quelle senior mediante intervento del Gacs, permetterà alle banche italiane di riappropriarsi – a fini produttivi – del proprio patrimonio di vigilanza per

12 I credit default swap (Cds), già conosciuti ai tempi della crisi dello spread, sono titoli derivati che rappresentano un’assicurazione contro l’eventuale fallimento di un emittente. Più il prezzo è alto più significa che la copertura offerta è necessaria.

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così dire “ingabbiato” dagli elevati livelli delle sofferenze. O piuttosto, e su questo vale la pena riflettere, se ne debba concretamente valutare la convenienza (non intesa in senso assoluto ma da stabilire caso per caso) soprattutto in riferimento alla diversa natura degli enti creditizi e al grado di esposizione dei relativi bilanci, in linea con la direttiva europea BRRD sui requisiti patrimoniali minimi. Il diverso atteggiamento del Governo nei recenti casi di risoluzione della crisi delle banche venete e della Montepaschi sembrerebbe andare proprio in questa direzione.

2. Inquadramento del fenomeno: le nuove definizioni di credito deteriorato adottate dalla Banca d’Italia sulla base delle disposizioni EBA. Da un’analisi empirica delle cause che hanno caratterizzato l’elevato livello di crediti deteriorati nel sistema bancario italiano emergono due dati essenziali: le inevitabili fasi recessive, a seguito delle varie tappe della passata crisi (2008-2009 e seconda metà del 2011), e non di meno i lunghi tempi delle procedure di recupero dei crediti. A fronte di siffatta questione, l’atteggiamento della Banca d’Italia è stato ancora una volta cauto ritenendo le esposizioni bancarie non tanto un’emergenza per il sistema italiano quanto un problema da affrontare – e dunque gestire – attraverso una vigilanza efficace volta ad attenzionare fattori di rischio, in buona parte sfuggenti vuoi a motivo all’insufficiente azione di controllo, vuoi anche per un’inadeguata governance, delle singole banche creditrici13, che inevitabilmente incidono sui bilanci e

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Sulla questione si cita Barbagallo, I crediti deteriorati delle banche italiane: problematiche e tendenze recenti, intervento al primo Congresso Nazionale FIRST CISL sul tema “La fiducia tra banche e Paese: NPL, un terreno da cui far ripartire il dialogo”, Roma 6 giugno 2017. Secondo l’a., la gestione dei crediti deteriorati non è sempre agevole dal momento che coinvolge molte aree di operatività (dal legale, al commerciale, ai controlli), richiedendo altresì molteplici conoscenze specialistiche (giuridiche, economiche, statistiche), competenze organizzative, supporto tecnologico. Di recente, continua l’a., uno stimolo al cambiamento nella gestione dei crediti deteriorati è derivato dall’introduzione della nuova segnalazione sulle sofferenze della Banca d’Italia, nata dalla constatazione di una scarsa disponibilità di dati a livello informatizzato presso le banche, indispensabile sia per una efficace gestione di questi attivi sia per una loro cessione sul mercato ove necessario. Causa dunque delle forti carenze sul fronte dei dati è l’allungamento dei tempi di definizione delle trattative e l’atteggiamento dei potenziali acquirenti a chiedere forti sconti.

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sulla qualità dei loro prestiti14. Non a caso la crescita delle partite anomale è stata favorita anche dal discutibile comportamento organizzativo e gestionale degli intermediari, che hanno sottovalutato l’importanza e la complessità del processo di recupero dei crediti. Questo tra l’altro spiega la particolare scelta dell’autorità di controllo di non accettare di buon grado i rischi di eccessive tolleranze nei confronti di debitori, che possono portare ad utilizzi smisurati ed abusi degli strumenti di ristrutturazione del credito15. In Italia, infatti, i “crediti ristrutturati” – fino alla loro abrogazione a seguito del 7° aggiornamento della Circolare “Matrice dei Conti” – sono stati considerati una categoria specifica dei NPLs, i quali per tornare in bonis devono essere tenuti sotto osservazione per almeno due anni e presentare pagamenti regolari; una situazione questa del tutto diversa rispetto agli altri Paesi europei, laddove i crediti ristrutturati vengono considerati “performing” e non presentano, come nel nostro sistema, un “probation period”16.

14 La spesso cattiva valutazione nei bilanci bancari dei crediti deteriorati – riconducibili in particolar modo alle posizioni in sofferenza (la categoria di deteriorati di qualità peggiore) – richiede la definizione di strategie di recupero attraverso una verifica ispettiva che esamini le singole posizioni o portafogli. Ciascuno di essi può differire per l’assenza o la presenza di garanzie; la tipologia e il valore delle garanzie in rapporto alle esposizioni; il tempo necessario al recupero; ecc. La Banca d’Italia effettua circa cento ispezioni all’anno sulle banche meno significative (less significant) a fini di vigilanza (quelle di propria competenza), richiedendo quando necessario modifiche nella valutazione dei crediti deteriorati. 15 Siffatto atteggiamento restrittivo ha determinato un elevato Gross NPL Ratio, vale a dire il rapporto tra l’ammontare di sofferenze bancarie e il totale dei prestiti. Se raffrontato con gli indicatori degli altri Paesi membri esso risulta molto più alto, tanto da ritenere indispensabile per le banche italiane adottare una definizione di credito in sofferenza in linea con quella delle altre banche europee, di modo che il loro stock di NPL possa ridursi di circa un terzo. 16 La distinzione tra impieghi in bonis e impieghi sofferenti presentano una diversa portata a seconda del Paese e dell’istituzione finanziaria. Ad esempio Bosnia, Estonia, Ungheria e Romania, utilizzano dei criteri meramente quantitativi; in particolare, nel valutare il deterioramento di un credito, essi applicano la soglia dei 90 giorni di ritardo classificando l’intero ammontare di prestiti in default come non performing. Bulgaria e Kosovo, invece, considerano prestiti deteriorati quelli per i quali si registra un mancato pagamento trascorsi tra i 31 e i 90 giorni (o tra i 91 e i 180) dalla data di scadenza del prestito, e quelli per i quali la situazione finanziaria del debitore potrebbe peggiorare al punto da non poter più ripagare il debito in questione. Per maggiori dettagli, Impavido, Kligen, Sun, NPLs and Macroeconomy, IMF Working Paper, 2012, pp. 14-15.

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Questo stesso rigore si estende anche con riguardo all’”effetto trascinamento”, c.d. “pulling effect”, secondo cui l’intera esposizione di una banca verso una controparte viene considerata automaticamente deteriorata anche se solo una o alcune delle operazioni poste in essere rispondono ai requisiti regolamentari. Tale automatismo è del tutto assente in altri ordinamenti, nei quali la scelta è rimessa alle banche allorquando decidono di deliberare impairment di una singola transazione e non di altre nell’ambito della stessa controparte. A questa situazione di svantaggio si aggiunge l’ulteriore circostanza per cui le posizioni deteriorate (eccetto le sofferenze) continuano a maturare interessi, contribuendo inevitabilmente alla crescita del totale dei NPLs. Se raffrontata con le prassi adottate negli altri Paesi europei si può notare come, a contrario, l’impairment di un’attività finanziaria comporta la cessazione del computo degli interessi17. Con l’introduzione dell’Asset Quality Review (AQR)18 nel 2014 il livello di attenzione nei confronti della classificazione dei crediti, in specie

Diversamente, altri Paesi usano criteri qualitativi quali la valutazione delle informazioni sulla situazione finanziaria del cliente condotta da un team di esperti analisti, la prospettiva di futuri pagamenti, la ristrutturazione dei prestiti ed in particolare la presenza di garanzie. Ed ancora Germania e Regno Unito non seguono alcun criterio ben definito per la classificazione dei prestiti bancari, mentre la Banca Centrale Russa applica una definizione di Non Performing Loans completamente differente da quella di altri Paesi. Un credito è classificato come deteriorato quando anche solo una rata non è stata pagata nei tempi dovuti piuttosto che l’intero ammontare. Nello specifico, viene adottata una definizione di “insolvenza” abbastanza ampia. La conseguenza è una sottostima del valore del credito deteriorato così come afferma Beck, Jakubik, Piloiu, Key Determinants of Non-Performing Loans: New evidence from a Global Sample, 2015, p. 532 e ss. In Italia, la Banca Centrale attraverso la Circolare “Matrice dei Conti”, individua ben quattro categorie di credito deteriorato, in tal senso differendo fortemente dalla disciplina di altre autorità di vigilanza europee che distinguono semplicemente tra good loans e bad loans. 17 L’intento dell’EBA, a tal proposito, è quello di superare le differenze esistenti tra i vari Paesi, senza tuttavia modificare o sostituire le definizioni di impaired o di default assets. Si parla del c.d. “effetto ombrello”, per cui le nuove definizioni coprono alcuni dei concetti già esistenti relativi al rischio di credito, senza modificare il modo in cui le autorità nazionali implementano le valutazioni. Tuttavia, la definizione può essere più ampia andando a coprire aspetti comuni. 18 L’evoluzione del rischio di credito e le conseguenti politiche di svalutazione dei crediti verso la clientela sono monitorate dalle autorità di vigilanza. In tale ambito esse hanno effettuato delle verifiche sulla qualità degli attivi (Asset Quality Reviews, A.Q.R.)

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sui “forborne credits” – cioè le esposizioni oggetto dell’attività di “forbearance” – ha avuto un notevole incremento, superando quel difetto di armonizzazione nell’area comunitaria, in tema di definizione di default e svalutazione crediti, e non meno di determinazione del periodo temporale richiesto per valutare come sofferenza un credito in difficoltà, cui poc’anzi si faceva riferimento. Trattasi delle c.d. “misure di tolleranza” concesse dalle banche in presenza di quel fenomeno sempre più crescente noto con il termine di “financial difficulties” rappresentativo di una situazione in cui il debitore si trova, o sta per trovarsi, in difficoltà nel far fronte ai propri impegni finanziari. L’esigenza dunque è quella di creare un’effettiva omogeneizzazione dei criteri di classificazione e rappresentazione dei non performing e dei forborne credits19 intesi quali condizioni necessarie per avviare ed effettuare delle AQR su basi comparabili con il programma comunitario di Unione Bancaria, conducendo a grandi passi verso una valutazione

che, ormai, sono svolte con regolarità come parte del processo di revisione e valutazione prudenziale (Supervisory Review and Evaluation Process, S.R.E.P.). 19 Al fine di contribuire alla standardizzazione delle definizioni, l’European Banking Authority ha emesso nel 2013 le Recommendations on asset quality review, laddove si afferma che «...forbearance measures consist of concessions towards a debtor facing or about to face difficulties in meeting its financial commitments (financial difficulties)» ed ancora «... forbearance measures are contracts the terms of which the debtor is considered unable to comply with due to its financial difficulties so that the institution decides either to modify the terms and conditions of the contract to enable the debtor to service the debt or to refinance, totally or partially, the contract. Refinancing refers to the use of contracts to ensure the total or partial payment of other contracts the current terms of which the debtor is unable to comply with». Cfr., in particolare, par. 3, che a sua volta rimanda ai par.163-179 del Final Draft ITS Included reperibile all’indirizzo EBA/ITS/2013/035. Si veda EBA “Final draft Implementing Technical Standards” (EBA/2013/ITS/03) del 21 ottobre 2013. Tale documento è stato assunto in conformità dell’art.15 CRR (Regolamento n.575/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento n.648/2012/EU) e troverà attuazione in tutti gli Stati membri attraverso un Regolamento o Decisione (nel nostro ordinamento ciò è avvenuto con il 7° aggiornamento del 20 gennaio 2015 della Circolare della Banca d’Italia “Matrice dei Conti”). L’utilizzo di un Regolamento come strumento normativo di attuazione è fondamentale per facilitare la diretta applicabilità delle norme non richiedendo un formale recepimento né la possibilità di apportare modifiche o integrazioni, diversamente da quanto può accadere attraverso una direttiva. Successivamente nel febbraio 2014 ha fatto seguito un secondo documento dell’EBA intitolato Final draft Implementing Technical Standards.

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uniforme del merito creditizio nell’area bancaria europea, mediante un necessario allineamento della disciplina italiana agli standard europei. In particolare, la definizione della già richiamata “forbearance measure” proposta dall’EBA, riconducendo sotto un’unica definizione tutti i diversi concetti utilizzati nelle varie giurisdizioni (o frameworks) talvolta definiti come “crediti ristrutturati”, “crediti rinegoziati”, “crediti rifinanziati”, “crediti modificati”, rappresenta sicuramente un nuovo banco di prova per le banche italiane per la gestione e il monitoraggio del credito. Quel che emerge dalla definizione EBA dei “forborne credits” è la mancata sovrapposizione con il concetto di “esposizioni ristrutturate” definite dalla citata Circolare 272/2008 emanata dalla Banca d’Italia20, in quanto mentre per quest’ultime il discrimen è dato dalla sussistenza di una perdita per il debitore e comunque le esposizioni in parola possono essere reintegrate nel portafoglio in bonis trascorsi 24 mesi (sempre che vi sia una delibera aziendale attestante l’avvenuto recupero delle condizioni di solvibilità del debitore e la mancanza di insoluti su tutte le linee di credito); nei “forborne credits” – distinti in due sottocategorie in funzione del tempo21 – emerge il concetto di “concessione” garantita

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Cfr., Circolare n. 272 del 2008 sulla “Matrice dei conti”, in specie capitolo 2 rubricante “Qualità del credito”, laddove si definisce “credito ristrutturato” «... le esposizioni per le quali, a causa del deterioramento delle condizioni economico-finanziarie del debitore, vengono modificate le originarie condizioni contrattuali (riscadenziamento dei termini, riduzione del debito e/o degli interessi) e si origini una perdita». 21 Si tratta in questo caso delle sottocategorie di “forbearance non perforning” e di “forbearance performing”. Per ulteriori chiarimenti in merito, si rinvia a Callegaro, I nuovi Implementing Technical Standard dell’EBA in materia di forbearance measure e forborne exposure, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 2014, p. 2014, laddove l’a. evidenzia come la materia dei forborne sia stata anche oggetto di un documento dell’Esma (European Securities and Market Authority) del 20 dicembre 2012 intitolato “Public Statement” (che segue il report dell’ESRB “Forbearance, resolution and depositinsurance” del luglio 2012) in cui si afferma testualmente «it reminds issuers that measures that relate to the financial difficulties of the borrower should not to be combined with circumstances where modification of contractual terms is undertaken for other reasons (e.g. commercial). Modification of the terms and conditions of the contract may include, but it is not necessarily limited to, the reduction of the interest rate, principal, accrued interest of the rescheduling of the dates of payment of principal and/or interests. Some of examples of these measures include: move to interest only schedules, temporary payment holiday, extension of loan term, arrangement leading to payment of fees or charges on behalf of the borrower (e.g. in case of mortgage or property loans, payment of outstanding fees and charges to property security of a property, taxes or maintenance of the property, amendment or lack of enforcement of covenants (e.g. suspension of application of a

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dal creditore al debitore che, a ben guardare, non comporta di per sé necessariamente una perdita22. Sembra pertanto evidente come le richiamate norme EBA abbiano imposto non solo un’attenta verifica delle pratiche di gestione del rischio da parte delle banche italiane – soprattutto con riguardo alle esposizioni immobiliari (mutui retail, immobiliari corporate) sulle quali hanno prodotto un significativo impatto le varie “moratorie ABI” attraverso la previsione di sostanziali operazioni di riscadenzamento della debitoria (è innegabile, infatti, ritenere come l’attività di recupero ed incasso si sia sovente scontrata con la necessità di deroga richiesta da una generalizzata ed estesa attività di revisione delle condizioni contrattuali) – ma anche la necessità di migliorare le modalità di monitoraggio delle posizioni, in quanto la tempestiva individuazione dei primi segnali di anomalia aumenta notevolmente le possibilità di rientro in bonis del debitore. Si rende indispensabile rafforzare, soprattutto sul piano delle competenze, le strutture interne incaricate dell’analisi dei piani industriali e finanziari delle aziende. Accertamenti ispettivi di vigilanza hanno evidenziato come non pochi intermediari siano privi delle professionalità necessarie per esaminare e “sfidare” la validità dei piani industriali delle imprese23. In tal senso, già la Circolare n.263/2013 della Banca d’Italia in ordine alle “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche” ha imposto modalità di monitoraggio alla funzione di Controllo Rischi

covenant that has been breached due to the financial difficulties), and capitalization of arrears or partial debt write-off». Esempi questi che ricorrono anche nelle Previsioni EBA avendo, tra le altre, sostanziali similari se non analoghe finalità. Cfr., EBA Final draft Implementing Technical Standards on Supervisory reporting on forbearance and non-performing exposures under article 99(4) of Regulation (EU) No 575/2013. 22 In altre parole a seguito della “concessione” e in base al tempo di permanenza nella categoria “ristrutturate”, le esposizioni subiscono un’evoluzione da credito tendenzialmente “ristrutturato” (non performing) a esposizioni confluenti nel portafoglio in bonis anche senza riserve, una volta trascorso il “probation period”. L’attenzione richiamata dal documento dell’EBA non è da considerarsi di poco conto, in quanto comporta indubbi costi informatici ed organizzativi. Si tratta infatti di sottoporre ad analisi e monitoraggio le revisioni contrattuali attuate sui crediti in bonis, quando non sussistono ancora elementi per una classificazione ad incaglio e quindi non è effettuata alcuna appostazione a default. 23 Si tratta di un aspetto cruciale per svolgere al meglio la funzione allocativa del credito e per evitare di supportare piani di ristrutturazione destinati a fallire, determinando solo un prolungamento delle scadenze e talvolta un aumento dell’esposizione debitoria.

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indubbiamente più incisive. Tali disposizioni prevedono, in particolare, l’indicazione di un “valore di pronto realizzo” delle garanzie, calcolando per i beni immobili appositi haircut24, ovvero “coefficienti di scarto”, in funzione dell’aggiornamento della perizia e del contesto di mercato25. In generale, l’attività di forbearance – correlata alla gestione del rischio – dovrebbe effettivamente perseguire l’interesse di rendere il debito più sostenibile attraverso un efficace inquadramento nelle politiche di accantonamento. Questo comporta una corretta valutazione delle prospettive del debitore, con l’unico effetto di aumentare il debito a scadenza e, paradossalmente, peggiorare la solvibilità del debitore sul lungo periodo (incorrendo anche in potenziali danni reputazionali). Il 20 gennaio 2015 la Banca d’Italia ha pubblicato una serie di aggiornamenti alle Circolari relative alle Segnalazioni Statistiche, di Vigilanza e alla Matrice dei Conti26. Questi provvedimenti sono stati finalizzati ad allineare le attività deteriorate alle nuove definizioni di “credito nonperforming” (Non-performing exposure, NPE) e di “credito oggetto di concessioni” (Forbearance), emanate come già accennato dall’EBA negli “Impementing Technical Standard”, ovvero nelle note tecniche di attuazione relative alle segnalazioni statistiche di vigilanza consolidate, armonizzate e approvate dalla Commissione europea il 9 gennaio 201527.

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In argomento, cfr., D’auria, Le regole di “Basilea 2” sul rischio di credito nel suo intervento tenutosi presso l’Università LUMSA di Roma il 12 dicembre 2016. 25 Sul punto, l’ABI nel maggio 2011 ha emanato apposite linee guida per la valutazione degli immobili. La trasparenza e la corretta valutazione degli immobili restano infatti gli elementi essenziali per garantire la stabilità dell’industria bancaria sia nelle operazioni di erogazione dei crediti sia nelle emissioni/acquisizioni di titoli rivenienti da operazioni di cartolarizzazione e di obbligazioni bancarie garantite. 26 Nel corso del mese di gennaio 2015 oltre all’aggiornamento della Circolare n.272 del 30 luglio 2008 (“Matrice dei Conti” – 7° aggiornamento) sono state pubblicate le modifiche alla Circolare n.217 del 5 agosto 1996 “Manuale per la compilazione delle Segnalazioni di Vigilanza per gli Intermediari Finanziari, per gli Istituti di Pagamento e per gli IMEL” (13° aggiornamento); Circolare n.148 del 2 luglio 1991 “Manuale delle Segnalazioni Statistiche e di Vigilanza per gli Intermediari del Mercato Mobiliare” (19° aggiornamento); Circolare n.189 del 21 ottobre 1993 “Manuale delle Segnalazioni Statistiche e di Vigilanza per gli Organismo di Investimento Collettivo del Risparmio” (16° aggiornamento); Circolare n.115 del 7 agosto 1990 “Istruzioni per la compilazione delle segnalazioni di vigilanza su base consolidata” (20° aggiornamento). 27 Il 15 marzo 2016, come già citato, la Banca d’Italia ha inoltre pubblicato l’8° aggiornamento alla Circolare n.272 per l’attuazione dei principi contenuti nel Single Supervisory Mechanism. Si fa riferimento al documento EBA/ITS/2013/03 del 24 luglio 2014 “EBA Final Draft

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Questi in estrema sintesi i cambiamenti a seguito dell’attuazione, da parte degli Stati membri e dunque dell’Italia, del documento EBA. Va subito notato come il legislatore nazionale – benché in ritardo di oltre un anno – si sia sostanzialmente allineato alle nuove definizioni europee, soprattutto con riguardo all’espetto più significativo della differente suddivisione delle attività deteriorate. Si registrano infatti interessanti novità rispetto alla previgente disciplina italiana, con riguardo ad esempio alle “esposizioni scadute e/o sconfinamenti”, laddove se una singola esposizione, nell’arco temporale di 90 giorni è pari o superiore al 20%, allora l’intero complesso delle esposizioni verso il medesimo soggetto va considerato come scaduto e/o sconfinante. Resta, invece, ferma la soglia del 5%, c.d. “soglia di materialità”, il cui superamento da parte di una quota scaduta e/o sconfinante da più di 90 giorni, aggiunta ad altre quote scadute dello stesso soggetto (anche per un periodo inferiore a 90 giorni), determina la rilevazione dell’esposizione complessiva come scaduta28. Quanto alle nozioni di “incagli” ed “esposizioni ristrutturate” esse vengono sostituite, rispettivamente, dalle “inadempienze probabili” (c.d. unlikely to pay)29 e dalle “esposizioni oggetto di concessioni” (forbearance). Le cc.dd. “inadempienze probabili”, a loro volta, non contemplano più le ipotesi di “incaglio oggettivo” previste dalla precedente normativa, ciò in quanto è prevista solo la sussistenza di quelle esposizioni creditizie, per le quali l’intermediario giudichi improbabile che il debitore

implementing technical standards on supervisory reporting on forbearance and non performing exposures under article 99(4) of CRR”. È bene ricordare che gli ITS dell’EBA si applicano alle statistiche di vigilanza consolidate armonizzate in ambito UE, riferite a gruppi bancari e SIM (FINancial REPorting – FINREP). Tuttavia, la Banca d’Italia, allo scopo di continuare ad avere un’unica definizione di “attività finanziarie deteriorate” (sia a livello individuale che consolidato e applicabile al complesso degli intermediari vigilati), ha deciso di estendere le nuove nozioni di NPE e “Forbearance” che saranno utilizzati anche per le segnalazioni individuali di banche e SIM a tutti gli altri intermediari finanziari. 28 Resta ancora in dubbio se sia il caso di procedere ad un abbassamento di tale soglia, ovvero dal 5% al 2%, da momento che ciò, tuttavia, comporterebbe un incremento dei crediti deteriorati. Si consulti, L. Giannini, Riflessi del nuovo assetto regolamentare e di vigilanza nei rapporti tra le banche e la clientela, Lecce, 29 giugno 2015. 29 La categoria unlikely to pay, ovverosia le inadempienze probabili, rappresentano infatti le esposizioni per le quali l’intermediario, dopo un’accurata valutazione soggettiva, giudichi improbabile l’intero adempimento da parte del debitore.

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possa adempiere integralmente (in linea capitale e/o interessi) alle sue obbligazioni creditizie. La nuova categoria delle c.d. “forbearance” non formano una classe di non-performing a sé stante, ma rappresenta una qualificazione del credito, sia in bonis sia deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili ed esposizioni scadute). In altre parole, le esposizioni sottoposte a misure di forbearance, possono collocarsi tra i crediti in bonis (“altre esposizioni oggetto di concessione”) oppure tra quelli deteriorati (“esposizioni oggetto di concessioni deteriorate”) a condizione che le esposizioni siano scadute da oltre 90 giorni e superino una prefissata soglia di materialità30. È facile notare come la nuova qualificazione di “esposizioni oggetto di concessioni” in luogo delle “esposizioni ristrutturate deteriorate” non costituisce una categoria di deteriorato ma, sulla base di quanto detto, una qualificazione del credito, siano essi in bonis (che corrispondono grosso modo alle “Forborne performing exposures” e dunque al di fuori della categoria di NPE) o deteriorati (c.d. “Non-performing exposures with forbearance measures” che rappresentano un dettaglio, a seconda dei casi, delle sofferenze, delle inadempienze probabili oppure delle esposizioni scadute deteriorate)31. In estrema sintesi, soprattutto con riferimento alle banche italiane, tali modifiche producono una serie di effetti non di poco conto. Invero la loro clientela risulta sostanzialmente rappresentata da PMI, se non addirittura da micro-imprese, laddove la valutazione del relativo merito creditizio dipende dal collaterale, ovvero dalle garanzie reali e/o personali offerte da terzi soggetti a supporto dell’esposizione creditizia, attribuendo un peso, per così dire, secondario al progetto imprenditoriale. La rivoluzione messa in atto dalla modifica degli standards tecnici impone invece una radicale evoluzione nella valutazione del merito creditizio che dovrebbe basarsi – secondo i nuovi parametri – sulla raccolta, convalida ed analisi delle informazioni finanziarie e previsionali, piuttosto che sulla “speranza” di monetizzare eventuali garanzie.

30 Mette conto ricordare che sia per le “inadempienze probabili” sia per i “crediti scaduti deteriorati” è consentito l’utilizzo del trattamento per transazione, limitatamente alle esposizioni verso controparti retail. 31 L’aggregato delle Non-Performing Exposures, di cui agli ITS, è formato dalle categorie delle sofferenze, delle inadempienze probabili, dalle esposizioni scadute deteriorate, all’interno delle quali rientrano anche le esposizioni oggetto di concessione (forbearance) deteriorate.

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In tale quadro si innesta il problema della valutazione dei crediti in fase ex ante, ovvero prima che si trasformino potenzialmente in NPLs. La parzialità delle informazioni sulla clientela, cui generalmente le banche dispongono – considerata una delle concause delle sofferenze bancarie, ovvero i debiti non pagati dalle famiglie e dalle imprese – potrebbe essere superata attraverso l’utilizzo di grandi quantità di dati (c.d. big data) trattati con metodologie ad hoc32, i cui punti di forza sostanzialmente si basano sulla particolare estensione della quantità di dati raccolti (volume), la continua evoluzione dei dati e la rapidità di analisi in tempo reale effettuata tramite l’utilizzo di complessi algoritmi (velocità) e la diversità e ricchezza a seconda del contenuto e del formato dei dati (varietà). Si addiverrebbe in tal modo ad una profilatura della clientela più particolareggiata in quanto i big data rappresentano un’interrelazione di dati provenienti potenzialmente da fonti eterogenee; quindi non solo dati strutturati, come i database, ma anche non strutturati, vale a dire immagini, e-mail, dati GPS, informazioni provenienti dai social network. Questo presupporrebbe per il mercato dei prestiti, così come già accade da tempo per quello dei servizi di pagamento, un forte processo di digitalizzazione con notevole incremento del patrimonio informativo che, a parte la delicata, quanto complessa, tutela della privacy del soggetto richiedente il finanziamento33, aprirebbe la strada a nuove tecniche

32 In estrema sintesi Big data è il termine usato per descrivere una raccolta di dati così estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrapolazione di valori (si pensi ad esempio alla metodologia (analytics). Il progressivo aumento della dimensione dei dataset è legato alla necessità di analisi su un unico insieme di dati, con l’obiettivo di estrarre informazioni aggiuntive rispetto a quelle ottenibili analizzando piccole serie, con la stessa quantità totale di dati. (Fonte: wikipedia). Per maggiori approfondimenti, cfr., Aa.Vv., Big Data: The next frontier for innovation, competition, and productivity, McKinsey Global Institute, 2011; Aa.Vv, A Formal definition of Big Data based on its essential features, in Library Review, vol. 65, n. 3, 2016, 122-135; Morabito, Big Data and Analytics: Strategic and Organizational Impacts, Berlino, 2015; Corea, Big Data Analytics: A Management Perspective, Berlino, 2016. 33 L’enorme disponibilità di ogni sorta di informazione è indubbiamente una prospettiva allettante e apre innumerevoli scenari di ricerca; tuttavia ai benefici incontestabili si presenta la possibilità, seppur remota, di risalire alle fonti di questa conoscenza e ai dati personali di singoli, specifici individui. Con “dato personale” si intende qualsiasi informazione che identifica o rende identificabile una persona fisica. Generalmente si distingue tra dati identificativi (dati anagrafici, fotografie, ...) e dati sensibili, che possono rivelare «l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a

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di analisi, elaborazione ed interconnessione dei dati attraverso i quali è possibile altresì “re-identificare” un individuo servendosi di informazioni apparentemente anonime. La potenzialità dei big data, anche rispetto a dati anonimi o aggregati, può tradursi in indagini conoscitive sempre più puntuali ed analitiche, rappresentando per il settore bancario, un nuovo sistema d’individuazione dei fabbisogni finanziari e creditizi del pubblico, di modo che la loro intercettazione rappresenti una nuova area competitiva volta alla valutazione dei rischi e alla capacità di pilotare i componenti di reddito. Senza voler anticipare alcune delle concrete difficoltà riscontrate nell’utilizzo pratico degli strumenti attualmente messi a disposizione per la gestione dei crediti deteriorati, vale la pena sottolineare come una quantità maggiore di dati renderebbe superabile la consistente asimmetria informativa tra seller e buyer, rendendo più facile e sicura la vendita di crediti deteriorati. Allo stato infatti risulta difficile stabilire con esattezza il valore di recupero di un credito deteriorato divenuto sofferenza, non performing o bad loan. Indubbiamente una delle principali cause dell’assenza di un mercato siffatto in Italia – e i limiti incontrati, come si avrà modo di analizzare più

partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, lo stato di salute e la vita sessuale». Così, Aa.Vv., Cosa intendiamo per dati personali, 2015 reperibile all’indirizzo http:// www. garanteprivacy.it/web/guest/home/diritti/cosa-intendiamo-per-dati-personali. È molto comune che un dataset includa, nella sua forma originale, informazioni che sono riconducibili a specifici individui (un nome, una data di nascita, un indirizzo IP). Ciò diventa potenzialmente pericoloso nel momento in cui si dispone di una chiave per collegare dati su uno stesso individuo provenienti da fonti diverse – informazioni sanitarie, preferenze e opinioni espresse sui social network, dati collegati alle spese online e ai metodi di pagamento. Spesso, il modo in cui tali informazioni vengono registrate non è trasparente, anche se il recente provvedimento del Garante della privacy ha molto migliorato il quadro nazionale e l’utente medio non sempre è consapevole di quanti e quali dati sensibili stia diffondendo con le sue operazioni quotidiane. Si veda, Garante per la protezione dei dati personali, Individuazione delle modalità semplificate per l’informativa e l’acquisizione del consenso per l’uso dei cookie dell’8 maggio 2014 (pubblicato sulla G.U. n.126 del 3 giugno 2014). Per la dottrina in materia, Pedreschi, Social Data Science, relazione presentata al Seminario di Cultura digitale 2015, disponibile all’indirizzo http://www.labcd.unipi.it/ seminari/dino-pedreschi-social-data-science, il quale puntualizza come siamo tutti fruitori e allo stesso tempo produttori di Big Data, per cui la divulgazione di conoscenza con riguardo alla protezione della sfera privata è, al contempo, prerequisito e obiettivo della Social Data Science.

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in avanti, dai Fondi Atlante e della stessa GAGS – dipende dal difetto, ancor oggi, di banche dati informatizzate ed efficienti sui portafogli di crediti in vendita, diversamente da quanto accade in altri Paesi europei (Germania, Gran Bretagna)34 che, se superata, si tradurrebbe in termini pratici nella possibilità di vendere bene e a prezzi più elevati i crediti in oggetto. È importante peraltro sottolineare come in Italia non esista ancora una cultura sul tema della qualità dei dati, e questa carenza si manifesta soprattutto in merito alle informazioni sulle garanzie, il che, come ben si comprende, rende difficile fare la due diligence per gli investitori.

3. La gestione dei crediti deteriorati. Profili di criticità. Nel quadro congiunturale attuale che vede una progressiva erosione patrimoniale delle banche e un persistente decadimento della qualità del portafoglio crediti, è facile comprendere come la gestione delle sofferenze bancarie sia divenuta una delle priorità del Governo nazionale e dell’Autorità di controllo europea, a motivo della crescente preoccupazione tra gli operatori del settore impegnati ad affrontare il problema del deterioramento della qualità dei prestiti bancari con sempre maggiore intensità. Un ruolo di primo piano è stato indubbiamente svolto dall’ondata di cambiamenti apportata da Basilea 2 intorno agli anni ‘90, per aver introdotto non pochi elementi di novità, attraverso la previsione di criteri oggettivi e omogenei allo scopo di definire partite in bonis, partite anomale e partite in default (o “past due loas”). Ciò ha portato gli enti creditizi a valutare correttamente, e in modo realistico, i rischi insiti nelle operazioni finanziarie e, di conseguenza, accantonare precise porzioni di capitale commisurate al livello di rischio sopportato35 e non più sulla

34 Anche la Spagna ha messo a punto un sistema di conoscibilità dei dati. Il sistema bancario spagnolo nel momento in cui vende pacchetti di sofferenze fornisce un link al cui interno sono disponibili tutti i documenti e tutte le informazioni su ogni credito. Trattasi di documenti standard, chiamati “nota simple”, in cui si trovano tutte le informazioni necessarie; questo aiuta molto gli investitori a capire meglio i crediti e dunque a valorizzarli per bene, facendo così salire il prezzo di vendita. 35 A tal proposito sono stati rivisti i coefficienti patrimoniali; infatti ora non si applica più l’8% uguale per tutte le esposizioni, ma è necessario calcolare di volta in volta il valore appropriato tenendo conto del rating della controparte, dell’esistenza di eventuali garanzie. Si è visto come Basilea 2 propone dei metodi più avanzati per la misurazione dei rischi sopportati e, di conseguenza, porta all’individuazione di coefficienti patrimoniali

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base della tipologia della controparte, che di fatto ha consentito una liberazione di risorse bancarie da impiegare in nuove attività. Con l’introduzione di Basilea 2 alle banche è stata concessa inoltre la possibilità di scegliere la metodologia da utilizzare per qualificare il patrimonio di vigilanza da detenere a fronte dei rischi di credito36. Ne è derivato che il “capitale proprio” di una banca ha finito con lo svolgere una funzione di copertura delle perdite inattese; cosicché qualora quest’ultime risultavano superiori a quelle attese, la banca sarebbe sopravvissuta grazie alla dotazione di capitale proprio, facendo in modo che la determinazione del tasso attivo da applicare ai prestiti remunerasse tutte le varie componenti di perdita oltre ai costi operativi37. Tuttavia questi meccanismi non sono stati in grado di ridurre la prociclicità di Basilea 2, che, con la riduzione del credito da parte delle banche, ha generato un aumento dell’effetto recessivo influendo negativamente sui bilanci delle imprese; di conseguenza, le perdite non hanno consentito alle stesse di investire in ricerca e sviluppo, con inevitabile

che rispecchino la situazione in cui versa la singola banca e che non siano uguali per tutte. Elemento di estrema importanza è appunto la valutazione del rischio insito nel singolo rapporto di affidamento. Infatti, Basilea 2, lascia alle banche la possibilità di scegliere in che modo svolgere la valutazione circa il merito di credito del cliente affidato, prevedendo due metodi di misurazione del rischio il “metodo standardizzato” in base al quale a diverse tipologie di controparti erano assegnati differenti coefficienti di ponderazione e quello dei “rating interno” con approccio base o approccio avanzato. Cfr. Santini, Le norme internazionali sul capitale delle banche; l’accordo di Basilea del 1988 e le proposte per una nuova regolamentazione del rischio di credito, in Misurazione e gestione del rischio di credito, a cura di Santini, Carosio, Marullo Reedtz, interventi tenuti nell’ambito del seminario su: “Credito e Risparmio: Intermediari, Mercati e Istituzioni”, Perugia, 17 marzo 2000, p. 8 e ss. 36 Trattasi del “calcolo del requisito patrimoniale” così come previsto nel Regolamento emanato da Banca d’Italia. Al fine di valutare il rischio di credito associato alle diverse operazioni di finanziamento, le banche potranno adottare il “metodo standard” (rating esterni), oppure il “metodo dei rating interni” (I. R. B.) a volta suddiviso in una versione di base (“foundation”) ed una avanzata (“advanced”). Nelle due metodologie basate sui modelli interni – novità principale di Basilea 2 – le banche stimano interamente le componenti dello stesso rischio di credito e cioè la probabilità di default (PD), la perdita caso di default (LGD) nonché l’esposizione al momento del default (EDA). 37 Per un’ampia disamina, cfr., Resti, Sironi, Rischio e valore nelle banche. Misura, regolamentazione e gestione, Milano, 2008, p. 115 e ss. Sul punto anche Santini, Le norme internazionali, cit., p. 8 e ss.; Ammann, Credit Risk Valuation: Methods, Models, and Applications2, Berlin, Heidelberg, New York, 2001.

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effetto di rallentamento del processo produttivo e aumento del tasso di disoccupazione38. A loro volta, le conseguenze della recessione economica hanno influito negativamente sulle banche causandone una diminuzione del patrimonio e, in casi estremi, una nuova crisi finanziaria. Questa considerazione porta a ritenere come, a conti fatti, le restrizioni al credito apportate da Basilea 2 – su cui sono gravati pesantemente

38 La ciclicità finanziaria era già presente a seguito del primo accordo di Basilea, accentuandosi successivamente con l’introduzione di Basilea 2 incrementando, di fatto, l’instabilità del sistema finanziario. Con tale concetto si prende la possibilità che, in periodi di riduzione della velocità dello sviluppo economico, le banche potrebbero ridurre gli impieghi a causa del crescente livello di rischio con la conseguenza di inasprire ulteriormente la crisi; questo ovviamente qualora le riserve accumulate durante la fase di espansione non siano sufficienti a coprire i rischi associati. Viceversa, in periodi di espansione economica, quest’ultimi diminuiranno, per cui anche i requisiti patrimoniali tenderanno ad essere meno rilevanti. A seguito dei nuovi principi contabili internazionali (IAS/IFRS), la prociclicità ha subito un effetto moltiplicatore a causa dell’adozione di criteri di valutazione delle banche orientati, da un lato, al principio del fair value e, dall’altro, al criterio del mark to market per quella parte del bilancio relativa al portafoglio di negoziazione. Questi criteri obbligano le banche a svalutare i prestiti quanto il merito di credito delle imprese affidate si deteriora e a sminuire il valore di bilancio di certi strumenti finanziari il cui valore di mercato si è ridotto. Sei il valore dell’attivo di una banca si riduce inevitabilmente anche suo patrimonio tende a ridursi. Consegue che quella che nasce con una crisi di liquidità (crollo dei prezzi dei titoli strutturati generato dalla carenza di liquidità del relativo mercato) si trasforma in una crisi di solvibilità delle banche. Rispetto all’impianto di Basilea 2, con il nuovo Accordo siglato nel 2013 sono state introdotte una serie di misure in grado di creare un “cuscinetto” di capitale durante i periodi di espansione economica da utilizzare successivamente nei periodi di crisi; ciò in quanto si ritiene che la creazione di un sistema anticiclico basato su tecniche previsionali delle perdite attese dovrebbe contribuire a una maggiore stabilità, limitando anziché accrescere gli shock economici e finanziari. Cfr., Aa.Vv., Procyclicatily of capital regulation: is a problem? How to fix it?, in Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers), n. 74, ottobre 2010. Sugli effetti di Basilea 3, Mussari, Basilea 3 e l’impatto sui finanziamenti bancari alle imprese italiane, Audizione del Presidente dell’ABI alla Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati, Roma 6 ottobre 2010; Tarantola, Verso una nuova regolamentazione finanziaria, Intervento Napoli 21 gennaio 2011; Aa.Vv., Il passaggio da Basilea 2 a Basilea 3: gli effetti sui mercati e sui bilanci bancari, Napoli, 2011, p. 30 e ss. Sul concetto di “buffer di capitale”, per cui si richiede alle banche, al fine di evitare l’erosione del capitale in periodi di crisi, la detenzione un cuscinetto di capitale aggiuntivo rispetto ai requisiti minimi richiesti, si rinvia a Penza, Basilea 3 e gli impatti sulle banche: redditività, gestione del capitale e ruolo del Pillar 2, Speciale Basilea 3, Banc., n° 11/2011; Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, Basilea 3 - Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari, dicembre 2010 (aggiornato a giugno 2011).

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gli esiti di un sistema ancora basato sul precedente Accordo, almeno fino al 2008 nel pieno della crisi finanziaria a livello mondiale – non hanno sviluppato una crescita economica sostanziale39; anzi si è assistito, in sede comunitaria, ad un ripensamento della regolazione prudenziale, lasciando al centro del futuro quadro prudenziale delineato dal nuovo Accordo del 201340 le regole sull’adeguatezza del capitale, considerato quale strumento essenziale per influenzare incentivi all’assunzione di rischi, da parte delle banche, e per determinare la loro capacità di assorbimento delle perdite. A seguire, Basilea 3 – pur sembrando, per certi versi, una “rivisitazione” di Basilea 2 dal momento che ha ereditato in toto il concetto di “ponderazione del rischio”, senza alcuna distinzione tra attività molto rischiose (prestiti non garantiti) e meno rischiose (titoli di Stato)41 – ha cercato di superare le lacune e le inefficienze del precedente program-

39 Sul punto, amplius, Masera e Mazzoni, Basilea III. Il nuovo sistema di regole bancarie dopo la grande crisi, Milano, 2012, p. 79 e ss.; Masera, Gli standard di Basilea: soluzione o concausa dei problemi di instabilità?, in Banc., 01/2012, p. 5 e ss; Per l’a., il mancato funzionamento dei principi contenuti in Basilea 2 non sta però nelle sue regole, quanto piuttosto nell’assenza, ad esempio, di veicoli fuori bilancio e linee di credito a questi concesse.
Lacune che sono state al centro del nuovo impianto di revisione di Basilea 3, traducibile in un approfondimento e perfezionamento del sistema, non in una condanna dell’intera filosofia. 40 L’Accordo è stato recepito in Europa dalla direttiva 2013/36/UE e dal Regolamento UE n.575/2013, mentre in Italia è stato introdotto con la Circolare della Banca d’Italia n.285 del 17 dicembre 2013 e successivi aggiornamenti. Direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 «Accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE». Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo a «Requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012». 41 Il coefficiente di solvibilità richiesto è sempre pari all’8% indipendentemente dal fatto che esso serva per coprire attività rischiose o attività prive di rischio. Inoltre, l’introduzione dell’indice di leva finanziaria – che prevede al denominatore il complesso delle attività neutralizzate rispetto al rischio – appare poco utile nel raggiungimento dello scopo che tale nuova disciplina si è prefissata. Infatti, la letteratura ha più volte evidenziato come un semplice rapporto tra capitale e attivo risulti inadeguato a ridurre il rischio di insolvenza di una banca, perché è opportuno che ciascuna classe dell’attivo venga ponderata per la relativa rischiosità. A conti fatti, risulterebbe poco chiara la scelta di imporre la stessa quantità di capitale per un impiego in titoli di Stato e per un prestito altamente rischioso, così da ritenere tale nuova regolamentazione del tutto pleonastica.

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ma, introducendo un miglioramento della qualità, della coerenza e della trasparenza del patrimonio di vigilanza con l’obiettivo di accrescere, all’interno del patrimonio di base, il peso degli elementi patrimoniali di maggiore qualità42, c.d. common equity. L’impatto delle nuove regole ha interessato con la stessa intensità sia il mondo bancario che quello delle PMI pur con una certa gradualità allo scopo di non compromettere la ripresa in corso e permettendo alle banche di continuare ad assicurare flussi di credito rispondenti alle esigenze delle imprese, potenzialmente esposte ad eventuali inasprimenti nelle condizioni di offerta di finanziamenti. In quale misura Basilea 3 influirà sulla ridefinizione quantitativa e qualitativa dell’attività delle singole banche dipenderà soprattutto dalle decisioni che verranno adottate in materia di patrimonializzazione entro il lasso di tempo previsto dal legislatore a partire dal 1° gennaio 2013 fino a giungere alla sua piena attuazione entro il 1° gennaio 201943. A tal riguardo la strada è obbligata, per cui se un ente creditizio decidesse di non rivedere la propria patrimonializzazione attuale dovrà ridurre il volume dell’attivo o cambiarne la composizione ridimensionando le attività che assorbono più patrimonio e aumentando quelle che

42 Indubbiamente, nonostante le sue potenziali debolezze, Basilea 3 rappresentare la prima vera risposta regolamentare, coordinata a livello internazionale, alla crisi originata dai mutui subprime. Nello scenario internazionale, al fine di contrastare la crisi, sono state proposti numerosi esempi di riforma, come ad esempio l’introduzione di una Tobin Tax sugli spostamenti di capitale, restrizioni alle vendite allo scoperto, la riduzione forzata della dimensione di molte grandi banche, l’introduzione delle c.d. “clearing houses”, ossia casse di compensazione e garanzia per la negoziazione di derivati, ecc. Tutte queste novità non si sono tradotte in una puntuale e concreta regolamentazione, applicabile uniformemente alle banche internazionali. Cfr., Rest e Sironi, Rischio e valore nelle banche. Misura, regolamentazione e gestione, Milano, 2009, in particolare cap. 26 “La crisi finanziaria e Basilea 3”; Resti, Liquidità e capitale delle banche: le nuove regole, i loro impatti gestionali, in Banc. n. 11/2011, p. 14 e ss. 43 A partire da gennaio 2013 vengono introdotti i buffer per la conservazione del capitale pari al 3,5%; il requisito minimo per il common equity innalzato al 3,5% ed anche il Tier 1, che dal 2% viene innalzato al 4,5%. Da gennaio 2014, invece, i requisiti precedenti vengono innalzati dal 3,5% al 4%, mentre il Tier 1 viene ulteriormente alzato fino al 5,5%. Dal 2015 al 2019, infine, tutti i requisiti giungeranno a pieno regime. In particolare, il requisito minimo per il common equity arriverà al 4,5%, il buffer più il precedente requisito al 7% ed il Tier 1 al 6%. Per quanto riguarda l’indice di leva finanziaria, per quest’ultimo è previsto un periodo di sperimentazione dal 2013 al 2017, salvo la totale applicazione nel 2019 per una misura pari al 4,5%. Infine, i requisiti di liquidità vengono introdotti gradualmente, con un aumento annuale di 10 punti percentuali, fino al 2019.

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ne assorbono meno. Di contro, la rettifica della propria patrimonializzazione – attraverso la conversione in azioni ordinarie di titoli liberi o mediante il ricorso all’aumento di capitale a pagamento, o ancora mediante l’accantonamento di utili, che potrebbero portare anche ad un aumento dimensionale – attribuirà un ruolo cruciale in ogni caso al grado di propensione delle singole banche nei riguardi della concessione dei prestiti alle imprese e alle famiglie. Questo è il punto indubbiamente più critico dell’applicazione di Basilea 3, dal momento che riguarda il suo influsso sulla capacità delle banche di fornire all’economia i mezzi finanziari di cui essa ha bisogno per la sua crescita. Altro elemento di sicuro riscontro sulla gestione dell’attivo di bilancio delle banche, da parte di Basilea 3, è dato dalla riformulazione delle politiche bancarie nei settori della cartolarizzazione, dei derivati e, più in generale, di tutte le operazioni che avranno requisiti regolamentari più impegnativi di quelli previsti dal precedente Accordo. L’implementazione della regola di patrimonializzazione, con particolare riferimento al peso che su di essa avrà il calcolo del rischio – e quindi dell’assorbimento patrimoniale delle singole componenti dell’attivo – unitamente alle conseguenze delle norme sulla leva e sulla gestione della liquidità, nonché sulla nuova cultura bancaria che Basilea 3 diffonderà nelle banche, dovrebbero dare un forte sostegno all’orientamento verso una struttura e un’operatività tipiche delle banche tradizionali orientate al territorio che, del resto, è l’unica seria opportunità di business possibile in maniera diffusa nel contesto economico sociale nel nostro Paese. A marzo 2017 la BCE ha emanato le “Linee guida”44 – rivolte a tutti gli enti significativi, sottoposti alla sua diretta vigilanza – ponendo in risalto il rischio di credito e gli accresciuti livelli di NPLs quali principali fattori di rischio per le banche nell’area dell’euro. Il documento, pur non esso al momento vincolante45, definisce le misure, i processi e le migliori prassi che le banche dovrebbero adottare nel trattamento dei crediti deteriorati, coerentemente con la gravità e la portata delle consistenze nei rispettivi portafogli.

44 Cfr., BCE, Linee guida per le banche sui crediti deteriorati (NPL), documento emanato nel mese di marzo 2017. 45 Si prevede, tuttavia, che gli scostamenti devono essere spiegati e motivati su richiesta dell’Autorità di vigilanza. Le disposizioni normative e regolamentari vincolanti, oppure le norme contabili riguardanti la gestione dei NPLs devono essere fatte proprie; la mancata conformità può dare luogo a misure di vigilanza.

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Punto di forza nella strategia di siffatta gestione è il nuovo approccio alla governance, assegnando in questo contesto un ruolo attivo di monitoraggio agli organi di amministrazione46 delle singole banche. A tal riguardo, le “Linee guida” non prescrivono obiettivi quantitativi per la riduzione delle esposizioni, ma richiedono alle banche di elaborare una strategia che potrebbe includere una serie di opzioni fra cui le politiche di recupero degli NPLs, servicing e vendita di portafogli. Altrettanto peso è stato dato al dialogo continuo di vigilanza con le banche interessate attraverso l’applicazione dei principi di proporzionalità e di rilevanza47 che consentono di graduare il livello di intrusività dell’azione della BCE a seconda della portata e della gravità delle consistenze di NPLs nei portafogli delle strutture creditizie48. Allo stato, in questa fase di adeguamento ai nuovi principi delineati dalla BCE da parte delle banche europee, chiamate a promuovere la rapida convergenza della prospettiva regolamentare e di quella contabile e in attesa di attuare la guida finale della BCE sulla gestione dei crediti non performing predisposta nel mese di giugno 2017, si vagliano le pos-

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Per quanto concerne l’azione di indirizzo e il processo decisionale, l’organo di amministrazione della banca dovrebbe approvare su base annuale la strategia e il piano operativo per la gestione degli NPL; monitorare l’attuazione della strategia; definire sia gli obiettivi gestionali e gli incentivi per le attività finalizzate al recupero degli NPL che adeguate procedure di approvazione delle decisioni afferenti al recupero degli NPL. Ulteriori azioni intraprese dovrebbero riguardare sufficienti controlli interni sui processi di gestione degli NPL e approvazione delle relative politiche. Si rinvia anche alla “Nota dell’MVU sulla governance e sulla propensione al rischio” di giugno 2016. 47 Le linee guida sono indirizzate esclusivamente agli enti significativi, nonché alle loro controllate nazionali, europee e internazionali. La BCE applica il principio di proporzionalità, con particolare riguardo alla rilevanza del problema degli NPL in una determinata banca. Pertanto, gli enti significativi caratterizzati da livelli più elevati di NPL dovrebbero attenersi integralmente alle linee guida, mentre gli enti significativi con un livello complessivo di NPL relativamente basso dovranno conformarsi soltanto ad alcuni capitoli, come indicato nel documento stesso. Inoltre, le banche che stanno riducendo in maniera considerevole i loro crediti deteriorati raggiungendo livelli relativamente contenuti non rientrano nell’ambito di applicazione delle linee guida. 48 Secondo le “Linee guida” i responsabili della vigilanza devono indirizzare il proprio impegno verso le banche che presentano livelli elevati di NPL. Nel quadro dell’ordinaria attività di vigilanza, la BCE effettuerà analisi, anche comparative, e verificherà, nell’ambito del processo annuale di revisione e valutazione prudenziale (Supervisory Review and Evaluation Process, SREP), che le banche abbiano risposto in modo appropriato. La BCE, inoltre, rafforzerà i requisiti in materia di comunicazioni all’autorità di vigilanza per le banche che presentano elevati livelli di NPLs.

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sibili strategie individuali per la riduzione degli NPLs. Molte le misure da intraprendere, prima tra tutte la cessione dei crediti deteriorati che vede, da un lato, un possibile intervento diretto dello Stato mediante un’operazione di cartolarizzazione (riformulata rispetto allo schema tradizionale) – e, dall’altro, la cessione del portafoglio ad investitori specializzati attraverso l’attività di un Fondo. Ma tra le possibili misure da adottare vi rientrano anche altre da valutare sotto il profilo del miglior risultato in termini di perdite per gli azionisti, tra cui la cartolarizzazione “in house” – con la facoltà per l’originator di sottoscrivere la tranche senior delle notes emesse e per gli azionisti stessi della banca in sofferenza la disponibilità a sottoscrivere la tranche junior49) – o ancora l’escussione delle garanzie e non ultima la messa in atto di strategie alternative. Spetterà dunque ad ogni singola banca indicare le soluzioni più adatte al proprio portafoglio crediti.

4. Procedure di recupero: lo schema di garanzia statale. Una delle ragioni alla base del differenziale tra il valore di bilancio delle sofferenze bancarie e il prezzo offerto da un investitore, è in larga misura riconducibile alla lunghezza dei tempi di recupero giudiziali o stragiudiziali di tali attivi – resi ancor più problematici dalla crisi che ha colpito il tessuto produttivo italiano – con rilevanti differenze a seconda delle varie regioni del Paese e delle banche creditrici interessate. Allo scopo di alleggerire i bilanci bancari dall’elevata consistenza dei crediti deteriorati, il legislatore italiano è intervento in un primo momento sulle procedure esecutive e fallimentari attraverso il decreto legge n.83 del 201550 e successivamente con l’introduzione dello stru-

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La prospettiva di una cartolarizzazione “in house” investirebbe gli azionisti in proporzione alla loro percentuale di partecipazione al capitale sociale della banca. Ciò avrebbe il vantaggio di escludere l’intervento di investitori esterni nella cessione delle posizioni a sofferenza e dunque la fuoriuscita di tali tipologie di asset dall’attivo della banca originator (c.d. derecognition del portafoglio). Tale possibile strategia trova spazio nell’ambito di un lavoro condotto da Aa.Vv., La gestione dei crediti deteriorati: un confronto tra cessione e cartolarizzazione del portafoglio, in Banc. n. 2/2017, p. 40 e ss. 50 Cfr., d.l. 27 giugno 2015, n. 83 relativo a «Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione

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mento della garanzia sulle operazioni di cartolarizzazione di crediti in sofferenza, disciplinato dal recente provvedimento del 14 febbraio 2016, n.1851, a valere su un fondo finalizzato a coprire i costi connessi alle attività di rilascio delle garanzie, che sostanzialmente dovrebbe facilitare la dismissione da parte delle banche italiane dell’ingente stock di crediti deteriorati accumulato52. L’ambito di applicazione della norma in oggetto, dettagliato in modo puntuale dal decreto53, riguarda dunque l’interesse di una banca a creare un titolo obbligazionario con sottostante i crediti deteriorati e successivamente a stimarne la probabilità di realizzo delle sofferenze cartolarizzate54, a condizione che gli assets sottostanti siano contestualmente

giudiziaria», convertito con modificazioni dalla Legge 6 agosto 2015, n.132 pubblicata in G.U. 20/08/2015, n.192. La finalità è quella di consentire un’accelerazione dei tempi di recupero, semplificare e migliorare tali procedimenti, favorendo la più rapida ed efficace soddisfazione dei creditori. 51 Cfr., d.l. 14 febbraio 2016, n.18 recante «Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio». Pubblicato in G.U., Serie generale, n. 37 del 15 febbraio 2016. Il Decreto ha disciplinato in modo molto dettagliato la struttura della cartolarizzazione di NPLs e della GACS, prevedendo precise disposizioni normative con riguardo al prezzo di cessione; al tranching e alla struttura finanziaria dei titoli; agli eventuali contratti accessori; ai ratings; al servicer. Ed ancora, le clausole di pagamento degli interessi e di rimborso del capitale, prevedendo addirittura l’ordine di priorità dei pagamenti applicabile a ciascuna operazione. L’accesso alla garanzia è limitato a un periodo di diciotto mesi decorrenti dalla data dell’entrata in vigore del decreto in commento. Tale finestra può essere estesa previa una nuova valutazione da parte della Commissione europea. 52 Per finanziare la GACS, il MEF ha istituito un fondo specifico con una dotazione per l’anno 2016 di 100 milioni di euro, che sarà poi ulteriormente alimentato con i corrispettivi annui delle GACS di volta in volta concesse. 53 In particolare, l’art. 3, co3, del decreto prevede che «Il Ministero dell’economia e delle finanze, entro tre mesi dalla data della positiva decisione della Commissione europea sul regime di concessione della garanzia dello Stato di cui al comma 1, nomina, previa approvazione di quest’ultima, un soggetto qualificato indipendente per il monitoraggio della conformità del rilascio della garanzia a quanto previsto nel presente capo e nella decisione della Commissione europea di cui al comma 1. Ai relativi oneri si provvede, nel limite massimo di euro 1 milione per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, a valere sulle risorse della contabilità speciale di cui all’articolo 12». 54 A fare da apripista per il decollo del mercato delle Abs sui NPLs è stata la Banca Popolare di Bari che ad agosto 2016, nell’ambito di un più ampio programma di dismissione di sofferenze, ha ceduto un portafoglio di circa 480 milioni di valore lordo

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crediti pecuniari classificati come sofferenze e oggetto di cessione da parte di banche aventi sede legale in Italia55. Il vincolo normativo nei confronti delle sole «banche italiane aventi sede in Italia» appare di fatto ostativo all’eventuale accesso diretto, al mercato degli NPLs, da parte delle principali banche e degli investitori stranieri, limitando le effettive potenzialità della GACS. Queste condivisibili perplessità56, sembrano individuare nella volontà del legislatore nazionale una precisa volontà a lasciare fuori dall’ambito applicativo del decreto molti intermediari finanziari, i quali per poter beneficiare della garanzia statale dovrebbero previamente cedere gli NPLs ad una banca italiana, con aggravio di costi aggiuntivi, già di per sé onerosi. L’atteggiamento di chiusura ha certamente inteso favorire lo sviluppo del mercato italiano dei Non Performing Loans, facilitando l’accesso di investitori locali con orizzonte di medio-lungo periodo e contribuendo a ridurre la forbice di prezzo tra chi vende e chi compra crediti deteriorati, che costituisce uno dei principali ostacoli per la crescita di questo mercato. Una tale evenienza spiega la necessità di imporre alle banche interessate di strutturare l’operazione di cartolarizzazione nel rispetto di alcuni elementi a salvaguardia della posizione del garante57. Seguendo la strut-

ad un veicolo di cartolarizzazione (che a sua volta ha emesso tranche Abs, le quali, al rilascio della garanzia statale, sono state vendute sul mercato. Si parla dunque del primo senior bond con garanzia pubblica di una cartolarizzazione di NPLs italiani, un’operazione che Si qualifica non solo prima sul mercato italiano ma che ha anche raggiunto il livello considerato soddisfacente in termini di tranching, ottenendo circa il 30% del valore lordo di titoli dotati di rating. Per quanto riguarda il rendimento delle obbligazioni, la classe senior ha avuto un coupon pari all’euribor 6 mesi + 50 bps, incorporando nella struttura il premio dovuto al MEF per la garanzia dei titoli senior. 55 Per alcune letture in merito, si rinvia a Fiscale, Gacs (Garanzia Cartolarizzazione Sofferenze) - Lo Schema di garanzia statale italiano per i titoli senior emessi nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione di NPLs, in Diritto bancario online, Marzo 2016, p. 1 e ss. 56 Secondo l’opinione della dottrina, è indispensabile che l’ambito di applicazione del decreto venga ampliato in modo da permettere anche ad altri soggetti diversi dalle banche (quali, ad esempio, società di leasing, intermediari finanziari specializzati nella concessione di finanziamenti garantiti dalla cessione del quinto dello stipendio oppure in credito al consumo) l’accesso allo schema della Gacs, rendendo in tal modo siffatta operazione appetibile per una platea più ampia di soggetti. Così, Fiscale, Gacs, cit., p. 6. 57 Si prevede che l’istanza per la concessione della garanzia sia presentata dalla banca cedente e che venga concessa con decreto ministeriale. Per l’istruttoria, il MEF può avvalersi di una società “in house”.

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tura della cartolarizzazione – cui il decreto del 2016 ha aggiunto, rispetto alla vecchia formulazione della legge n. 130/’99, elementi di assoluta novità circa le fasi dell’operazione e della relativa garanzia – i crediti in sofferenza, verranno spezzati nelle note tranche senior, mezzanine e junior, delle quali la prima sarà garantita dalla GACS dopo che la società veicolo per la cartolarizzazione ne avrà acquistato gli NPLs dalla banca (ad esempio mutui, credito al consumo, ecc.) a sua volta trasformandoli in Abs, ovvero titoli asset-backed e venduti successivamente ad investitori privati o istituzionali. Il prezzo di siffatto trasferimento non dovrà essere superiore al valore netto di bilancio, espresso dal valore lordo al netto delle rettifiche58; mentre la relativa gestione andrà affidata ad un soggetto esterno ed indipendente (c.d. NPLs Servicer), terzo rispetto alla banca cedente e non appartenente al suo gruppo59. In particolare si prevede, da parte della SPV, l’emissione di almeno due classi di titoli in relazione al rischio di assorbimento delle perdite, delle quali una (junior) è subordinata all’altra (senior)60 – salva la possibilità di emettere anche titoli di classe mezzanine – di modo che i detentori dei titoli junior non potranno ricevere né il pagamento degli interessi né il rimborso del capitale, fino a quando i detentori dei titoli senior (o mezzanine se emessi) non saranno stati integralmente ripagati61.

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Sul prezzo dei crediti NPLs, ancora Fiscale, Gacs, cit., p. 7, il quale si interroga sull’eventualità che la banca originator abbia in modo cautelativo svalutato a zero i propri crediti in bilancio. In tal caso, continua l’a., la banca cedente dovrebbe cedere tale credito svalutato senza alcun corrispettivo e anche la SPV (che ha beneficiato di una cessione priva di corrispettivo) potrebbe veder limitati i propri diritti e garanzie nei confronti della banca cedente. 59 Fondamentalmente dovrà essere incaricato dell’attività di servicing e della gestione degli NPLs. Tale soggetto potrà essere sostituito dai detentori dei titoli nel corso dell’operazione, a condizione che ciò non comporti un peggioramento del rating dei titoli senior. 60 I titoli senior dovranno possedere un livello di rating, assegnato da un’agenzia esterna di valutazione di merito del credito (c.d. ECAI), non inferiore all’ultimo gradino della scala di valutazione del merito di credito investment grade. La SPV non potrà richiedere la revoca del rating fino all’integrale rimborso dei titoli senior. 61 È necessario sottolineare che la garanzia sulle passività emesse nell’ambito di siffatte operazioni di cartolarizzazione può essere rilasciata solo a favore dei detentori di titoli senior. Tuttavia, può essere prevista l’emissione di una classe intermedia (mezzanine), anche questa priva della garanzia dello Stato. I titoli senior ed i mezzanine dovranno avere una remunerazione a tasso variabile con pagamento degli interessi a scadenza trimestrale, semestrale o annuale. Inoltre, la remunerazione dei titoli mezzanine potrà essere differita al ricorrere di determinate

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Per facilitare il buon esito delle operazioni di cartolarizzazione potranno essere inoltre previste forme di credit enhancement rappresentate dall’attivazione di una linea di credito c.d. “di liquidità”, ovvero dalla stipula di contratti di copertura finanziaria del rischio sui tassi di interesse. Ciò si evince chiaramente dal tenore letterale dell’art. 7 del decreto del 2016, allorquando si afferma che i pagamenti dovuti ai portatori dei titoli e agli altri creditori della società di cartolarizzazione saranno effettuati in conformità all’ordine di priorità dei pagamenti ivi stabilito che evidenzia il grado di subordinazione dei titoli delle diverse classi62. Inoltre, si prevede che l’esercizio della garanzia spetti al rappresentante degli obbligazionisti e non al singolo obbligazionista per evitare escussioni multiple da parte dei singoli detentori dei titoli63. Nel quadro composito delle operazioni di cartolarizzazione, la scelta di supportare siffatto meccanismo con l’aggiunta di una garanzia statale, qualificabile a tutti gli effetti come una garanzia incondizionata, irrevocabile e “a prima richiesta” rilasciata dal MEF – concessa a beneficio dei detentori dei titoli senior a seguito di istanza documentata presentata

condizioni o essere vincolata ad obiettivi di performance nella riscossione o recupero delle sofferenze cedute. 62 Le somme rivenienti dai recuperi e dagli incassi realizzati in relazione al portafoglio dei crediti cartolarizzati, nonché dai contratti di copertura finanziaria e gli eventuali utilizzi a valere sulla linea di credito, al netto degli importi trattenuti dal NPLs Servicer per la propria attività di gestione, dovranno essere utilizzati secondo il seguente ordine di priorità di pagamenti: a) oneri fiscali; b) somme dovute ai prestatori di servizi; c) interessi e commissioni relative alla eventuale linea di credito; d) pagamento dovuto a fronte della concessione della GACS; e) pagamento delle somme dovute alle controparti di contratti di copertura finanziaria; f) interessi dei titoli senior; g) rimborso del capitale della linea di credito (ove utilizzata); h) interessi dei titoli mezzanine (se emessi); i) completo rimborso del capitale dei titoli senior; j) completo rimborso del capitale dei titoli mezzanine (se emessi); k) pagamento delle somme dovute per capitale, interessi ed ogni altra forma di remunerazione sui titoli junior. Cfr., art.7 del d.l. 14 febbraio 2016, n. 18 citato. 63 Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel recuperare le somme contro il veicolo, si attiene alle regole della cartolarizzazione. Infatti, i veicoli di cartolarizzazione sono “bankruptcy remote” poiché i creditori agiscono nel rispetto di accordi che regolano le azioni di ciascuno e non prevedono normalmente azioni autonome del singolo creditore (ad esempio per ingiunzioni di pagamento o istanze di fallimento). Qualora, invece, la surroga consentisse al Ministero di agire al di là dell’accordo con i diversi creditori (normalmente documentato nell’”intercreditor agreement”), potrebbe essere inficiato lo status del veicolo quale “bankruptcy remote” mettendo a rischio i presupposti per il rating.

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dalla banca cedente – sembra conferire nuova linfa a siffatta operazione di finanza strutturata, nel corso degli ultimi anni oggetto di forti critiche, assurgendola a tecnica finanziaria virtuosa ed efficiente non solo e non tanto in ragione dei numerosi benefici – che riguardano sia la segregazione patrimoniale che l’escussione della GACS64 – quanto per una gestione più rispondente all’attuale situazione del mercato italiano dei crediti deteriorati. Invero siffatta operazione che abbina la struttura della cartolarizzazione con l’assegnazione dei rating ed il rilascio della GACS, comporta rilevanti benefici sul costo della classe senior, consentendo allo stesso tempo, di migliorare sensibilmente la valutazione del portafoglio e di ridurre l’onerosità complessiva, assicurando comunque rendimenti interessanti ai potenziali sottoscrittori delle diverse tranche, inclusa la junior. Solo per inciso va evidenziato come dal tenore letterale dell’art.11, co.1, del Decreto in oggetto, si evinca una chiara preclusione, per il singolo investitore detentore di una tranche senior, di poter attivare in modo diretto ed autonomo la garanzia statale, dovendola subordinare ad una decisione collegiale che vede protagonisti tutti gli altri portatori dello stesso titolo. Circostanza questa che potrebbe disattende le esigenze dei singoli investitori di poter contare su una procedura più snella ed efficiente. Un diverso approccio del legislatore si registra invece con riguardo alla garanzia statale, che proprio a motivo di una maggiore efficacia, è necessario che venga concessa solo quando la banca cedente abbia trasferito, a titolo oneroso, almeno il 50% + 1 dei titoli junior o, in ogni caso, un ammontare dei titoli junior (e, ove emessi, anche di quelli mezzanine) che consenta l’eliminazione contabile dei crediti deteriorati della banca in questione65.

64 Il beneficiario della GACS potrà escutere la garanzia entro nove mesi dall’avvenuta scadenza dei titoli senior, in caso di mancato pagamento, anche parziale, delle somme dovute per capitale o interessi che si protragga per almeno 60 giorni dalla scadenza del relativo termine per l’adempimento. Prima di poter escutere la garanzia, i detentori dei titoli senior, in concerto e tramite il rappresentante dei detentori dei titoli (RON), dovranno inviare alla società cessionaria la richiesta per il pagamento dell’importo scaduto e non pagato. Una volta decorsi 30 giorni, ed entro sei mesi, dall’invio della richiesta alla società cessionaria i detentori di tali titoli potranno richiedere l’intervento della garanzia dello Stato. In seguito all’escussione della GACS, il MEF provvederà, in quanto surrogato nei diritti dei detentori dei titoli senior, al recupero della somma pagata, degli interessi al saggio legale e delle spese sostenute per il recupero stesso. 65 In particolare, la GACS è concessa a fronte di un corrispettivo annuo determinato a

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Indubbiamente il carattere oneroso della garanzia statale, costituisce uno dei punti cruciali della norma in commento. Si rammenta che oltre al fatto di essere concessa solo sui titoli senior ed essere efficace quando la banca cedente abbia trasferito al mercato almeno la metà più uno dei titoli junior – e comunque un ammontare di titoli junior e mezzanine che consenta, come prima accennato, la derecognition dei crediti ceduti dal bilancio della banca cedente, cioè il trasferimento del rischio al di fuori della banca – il corrispettivo della garanzia, richiesto alle banche per la concessione della stessa, dovrà essere tale da non qualificare l’operazione come aiuto di Stato, che di fatto la renderebbe inutilizzabile66. Un siffatto meccanismo si presta tuttavia ad alcune preliminari considerazioni. Quanto la garanzia concessa dallo Stato sia in grado di favorire la dismissione dello stock di crediti deteriorati accumulati dalle banche italiane dipende da una serie di concomitanti fattori, primo tra tutti una sufficiente riduzione del gap tra il prezzo offerto dagli investitori e quello richiesto dalle banche cedenti per i crediti in sofferenza, rammentando, come si diceva poc’anzi, che essi sono trasferiti dalla banca cedente alla società di cartolarizzazione per un prezzo non superiore al valore netto di bilancio. È vero infatti che la GACS consente un risparmio in termini di riduzione del tasso degli interessi, maturati sui titoli senior; nondimeno può accedere che lo stesso risparmio si dimostri poco sufficiente a ridurre la forchetta di prezzo tra domanda e offerta che ha finora frenato il mercato degli NPLs in Italia, a causa non solo dell’incidenza del costo (di

condizioni di mercato, facendo riferimento a tre panieri CDS (credit default swap) riferiti a singoli emittenti italiani il cui rating, emesso da S&P, Fitch o Moody’s, sia valutato ad un livello almeno pari all’investment grade corrispondente a quello assegnato ai titoli senior che dovranno essere assistiti dalla garanzia. Laddove la disciplina applicabile richieda che siano acquisiti due rating, entrambi devono riconoscere almeno tale livello minimo. È prevista anche la possibilità di un rating privato, non reso pubblico, ma destinato esclusivamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze, ai fini della concessione della garanzia. Resta fermo il vincolo del rating minimo. 66 Con decisione del 10 febbraio 2016 della Commissione Europea è stato confermato che, soddisfatte determinate condizioni, lo schema di garanzia statale scelto dalle autorità italiane «is free of state aid within the meaning of EU state aid rules» ovvero è privo di aiuti di Stato ai sensi delle norme UE sugli aiuti statali. Hanno preceduto siffatta pronuncia alcuni Comunicati stampa del MEF n. 20 del 27 gennaio 2016 “Definito lo strumento per facilitare lo smaltimento delle sofferenze bancarie” e n. 21 del 28 gennaio 2016 “GACS: come sarà calcolato il prezzo della garanzia”.

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mercato) della garanzia e di quello necessario per l’ottenimento ed il mantenimento del rating, ma anche delle commissioni dovute al Servicer indipendente per la gestione dei crediti in sofferenza67. Al riguardo, come più volte evidenziato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, non esiste un vero mercato per i crediti deteriorati in Italia, pertanto risulta arduo individuare un prezzo di mercato delle garanzie rilasciate sui titoli che abbiano questi crediti come sottostante68. Per tale motivo il corrispettivo annuo della garanzia è costruito prendendo come riferimento i prezzi dei credit default swap di società italiane (indicate nel decreto istitutivo della GACS) con un livello di rischio corrispondente a quello dei titoli senior che verrebbero garantiti69. Tale corrispettivo, peraltro, sarà crescente nel tempo, nel caso in cui i titoli senior non siano stati completamente rimborsati entro la fine del terzo o del quinto anno dalla concessione della garanzia da parte dello Stato. Molto dipenderà anche dalla tempestività dell’attuazione del regime delle garanzie, dal momento che occorrerà del tempo affinché le agenzie di rating adeguino i loro criteri di valutazione alla nuova fattispecie di asset (NPLs) e li applichino ai primi portafogli ammessi al beneficio della garanzia statale.

67 Tale figura è prevista dal momento che le banche non possono effettuare la gestione dei NPLs tramite le proprie strutture.
 68 Si parte dal presupposto che non esiste un prezzo di mercato unico per le attività finanziarie, poiché in ogni transazione economica esistono sempre 2 prezzi diversi (“prezzo denaro” e“prezzo lettera”, rispettivamente prezzo di vendita e di acquisto). La differenza tra questi due prezzi (spread bid/ask) si manifesta in qualsiasi contrattazione e varia a seconda delle caratteristiche dell’oggetto della negoziazione. Il problema dei Non Performing Loan è quello di capire perché lo spread bid/ask (uno dei fattori che certamente vi contribuisce è la GACS attraverso la possibilità di creare un moltiplicatore usando lo schema di garanzia) sia così ampio e pertanto occorre operare in varie direzioni per ridurlo. Va ricordato, tra l’altro, come a differenza di tutte le altre attività finanziarie gli NPLs non hanno cash flow propri; essi infatti coincidono con il credito recuperato, il cui valore è più difficile da valutare basandosi su una tempistica incerta. Il prezzo di mercato comunque viene calcolato prendendo come riferimento i prezzi dei CDS degli emittenti italiani con un livello di rischio corrispondente a quello dei titoli garantiti. Il prezzo sarà crescente nel tempo, sia per tenere conto dei maggiori rischi connessi a una maggiore durata delle note, sia per introdurre nello schema un forte incentivo a recuperare velocemente i crediti. Prezzi di mercato, perciò, e destinati ad aumentare. 69 Il corrispettivo è annuale ed è pagato in via posticipata con le stesse modalità con le quali sono pagati i titoli senior nella specifica operazione (gli interessi possono essere pagati trimestralmente, semestralmente o annualmente).

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Strettamente legato a tale fattore risulta essere la capacità della banca cedente – compito talvolta non semplice – di selezionare portafogli di crediti muniti di idonea documentazione probatoria70 allo scopo di ottenere un rating investment grade sui titoli senior71. Stessa difficoltà che peraltro sembra riguardare anche la possibilità per le banche di utilizzare i titoli senior come garanzia nelle operazioni di rifinanziamento con la BCE. Ad oggi, la materia non è stata ancora contemplata dai provvedimenti della Banca Europea, ma potrebbe rappresentare un valore aggiunto sul piano della liquidità bancaria, utile a favorire lo sviluppo delle cartolarizzazioni assistite dal beneficio della garanzia statale incentivando l’intervento degli investitori. Restano i temi connessi all’interesse degli investitori, i quali tradizionalmente acquistano, mediante cartolarizzazione, i crediti in sofferenza. Il fine ultimo al quale essi propendono è rappresentato dal rendimento atteso (generalmente alto) in un ristretto periodo di tempo, cosa che potrebbe trovare un considerevole limite nella subordinazione alla tranche senior (l’unica assistita dalla Gacs) e nell’essere ripagati solo quando i titoli senior saranno stati interamente rimborsati72.

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La capacità di selezionare portafogli idonei all’assegnazione del rating richiesto si presenta spesso compito non agevole soprattutto in presenza di portafogli vetusti o acquisiti per effetto di una o più operazioni straordinarie. 71 I titoli senior infatti dovranno essere dotati di almeno un rating uguale o superiore all’investment grade da parte di un’agenzia di rating indipendente e inclusa nella lista delle agenzie accettate dalla BCE (External Credit Assessment Institution o “ECAI”). All’art. 5 del Decreto Legge n.18/2016 è previsto specificatamente come «1. Ai fini del rilascio della garanzia dello Stato, i Titoli senior devono avere previamente ottenuto un livello di rating, assegnato da una agenzia esterna di valutazione del merito di credito (ECAI) accettata dalla Banca Centrale Europea al 1° gennaio 2016, non inferiore all’ultimo gradino della scala di valutazione del merito di credito investment grade. Qualora ai sensi della normativa applicabile sia richiesto il rilascio di due valutazioni del merito di credito, la seconda valutazione sul medesimo Titolo senior può essere rilasciata da una ECAI registrata ai sensi del Regolamento (UE) 1060/2009 e anch’essa non può essere inferiore all’ultimo gradino della scala di valutazione del merito di credito investment grade. 2. La valutazione del merito di credito, comunque non inferiore all’ultimo gradino della scala di valutazione del merito di credito investment grade, può, in alternativa, essere privata e destinata esclusivamente al Ministero dell’economia e delle finanze, da intendersi come committente ed unico destinatario ai fi ni dell’articolo 2 del Regolamento (UE) 1060/2009. In questo caso, l’agenzia di rating, scelta tra quelle accettate dalla Banca Centrale Europea al 1° gennaio 2016, e proposta dalla banca cedente, è approvata dal Ministero dell’economia e delle finanze. Il corrispettivo dovuto all’agenzia di rating è a carico della banca cedente o della società cessionaria». 72 Il corrispettivo annuo è calcolato sul valore residuo dei titoli senior all’inizio del

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5. L’operatività del Fondo Atlante. Nell’intento di sostenere le banche italiane nelle proprie operazioni di ricapitalizzazione73 e favorirne la gestione dei crediti in sofferenza, il Governo italiano compie un ulteriore intervento costituendo nell’aprile 2016, e successivamente nell’agosto dello stesso anno, due Fondi d’investimento alternativi chiusi riservati, di natura privata, sottoscritti da banche, fondazioni bancarie, società di assicurazione, enti previdenziali74 e con l’intervento limitato di CDP75.

periodo di pagamento degli interessi ed è determinato, per i primi tre anni, alla media semplice dei prezzi dei singoli CDS a tre anni inclusi nel Paniere CDS di riferimento; per i successivi due anni, alla media semplice dei prezzi dei singoli CDS a cinque anni inclusi nel Paniere CDS di riferimento; per gli anni successivi, alla media semplice dei prezzi dei singoli CDS a sette anni inclusi nel Paniere CDS di riferimento. Al corrispettivo fisso sopra indicato si aggiunge una maggiorazione ove la tranche senior non sia stata rimborsata entro il terzo anno. Il MEF potrà variare, in conformità alle decisioni della Commissione Europea, la misura del corrispettivo annuo ovvero i criteri di calcolo, ma eventuali variazioni non avranno effetto sulle GACS già in essere. 73 Si prevede che il Fondo Atlante investirà fino al 70% del suo patrimonio in banche con ratio patrimoniali inferiori ai minimi stabilità nell’ambito SREP (acronimo di Supervisory Review and Evaluation Process, ovvero il processo di revisione e valutazione prudenziale da parte della BCE) mediante sottoscrizione sia di azioni in offerte al mercato – tramite accordi con uno o più membri del consorzio di collocamento o tramite collocamenti privati dedicati al fondo stesso – che di una quota massima del 75% per singola emissione a meno che la sottoscrizione di una quota maggiore non sia necessaria ai fini del buon esito dell’operazione. È necessario inoltre che tale investimento non comporti l’obbligo di OPA. Al Fondo non spetterà alcuna attività di direzione e coordinamento sulle banche in cui partecipa, mentre potrà effettuale operazione in partnership o dei coinvestimenti con altri investitori. 74 Le Casse previdenziali, nonostante le fortissime pressioni del Governo, hanno posto il loro veto sulla partecipazione al Fondo attraverso l’impiego dei soldi delle pensioni dei loro iscritti, soprattutto in occasione degli aumenti di capitale delle due popolari venete (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca) quasi in risoluzione. 75 Il Fondo Atlante 1 è stato lanciato da Quaestio Capital Management Sgr con una dotazione compresa tra i 4 e i 5 miliardi di euro, aumentabile a 6 miliardi. Unicredit, Intesa Sanpaolo, MPS, UBI Banca (alcune delle banche interessate al Fondo) e compagnie di assicurazione come Generali, Unipol e Cattolica hanno formulato un impegno vincolante per l’acquisto di quote del Fondo così come alcune delle fondazioni bancarie, che potrebbero contribuire per somme fino a mezzo miliardo di euro; mentre il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti (struttura formalmente privata ma, di fatto, completamente controllata dal MEF) doveva essere volutamente minoritario, per non rischiare di ricadere nella fattispecie di aiuti di Stato.

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Non entrando nel merito dei problemi che Atlante 1 ha dovuto affrontare con riguardo agli aumenti di capitale di alcune banche popolari – a partire dalla seconda metà dello scorso anno con risultati abbastanza positivi dal momento che ha puntato essenzialmente sull’equity degli istituti in crisi mettendo in sicurezza gli aumenti di capitale di Popolare di Vicenza e Veneto Banca76 – l’operatività dei Fondi si è concentrata soprattutto sul deconsolidamento dai bilanci bancari dei NPLs77 mediante acquisizione di tranche junior (a serio rischio di default) e mezzanine (a rischio intermedio) di veicoli di cartolarizzazione e lasciando quelle a maggior seniority ad altri, per lo più investitori istituzionali e alla GACS, in una percentuale che si è aggirata intorno al 50-70%78. In buona sostanza i Fondi sfruttano quello che comunemente viene definito “effetto moltiplicatore”79, il quale, investendo principalmente nelle tranche equity, produce una potenzialità di investimento molto più grande80. Ma ovviamente affinché la leva ci sia è fondamentale l’as-

In buona sostanza, invece, è stato messo in piedi uno strumento, quale Atlante 1, formalmente privato, ma con forte presenza di capitali pubblici (Cassa depositi e prestiti è tra i maggiori sottoscrittori di Atlante), con lo scopo di far intervenire lo Stato nel capitale delle banche senza violare le regole europee. 76 Occorre tuttavia sottolineare che, di contro, l’intervento del Fondo nella ricapitalizzazione della Popolare di Vicenza e su Veneto Banca ha impegnato totalmente quanto raccolto tra i sottoscrittori (appena 3,5 miliardi a fronte di una previsione ben superiore) prosciugando totalmente la disponibilità dello stesso e rendendo pertanto necessario varare un nuovo Fondo al fine di poter operare sulle sofferenze bancarie (anche qui le sottoscrizioni sono state piuttosto basse, limitandosi a quota 1,7 miliardi di cui una parte rinvenienti dalla dotazione iniziale dello stesso fondo Atlante 1). 77 Si stima che il Fondo Atlante utilizzerà il 70% della sua dotazione per gli aumenti di capitale e il 30% per le sofferenze. Previsione questa poi smentita dai fatti, in quanto si è avuto un subentro del Fondo stesso come azionista nel capitale svalutato delle due banche venete. 78 Alcune differenze operative caratterizzano il Fondo Atlante 2 rispetto a quello fondato precedente. Oltre ad essere un fondo alternativo mobiliare chiuso, riservato ad investitori professionali, può investire unicamente in crediti deteriorati e strumenti collegati ad operazioni in NPLs, soprattutto attraverso l’acquisto di tranche junior e mezzanine (queste ultime in particolare), emesse da veicoli costituiti per l’acquisito di portafogli in sofferenza, lasciando al mercato le senior, garantite dallo Stato attraverso la GACS. 79 Trattasi del rapporto tra il valore lordo dei crediti deteriorati (nominale) e l’ammontare investito nell’equity tranche. 80 L’ammontare da investire in NPLs potrà aumentare se coesistono tre elementi fondamentali, di cui il primo con riferimento alle partecipazioni bancarie che dovranno essere valorizzate e dismesse rapidamente;
un’attività di sinergia con altri Fondi e/o operatori specializzati; ed inoltre la riapertura del Fondo a nuovi sottoscrittori in caso di successo.

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sicurazione della garanzia statale per permettere il collocamento delle tranche senior. Ripercorrendo le tappe della crisi degli istituti di credito, a far data dai primi mesi del 2015, sembra abbastanza evidente che la creazione dei Fondi (il secondo nato per esigenze di ricostituzione della dotazione, ma entrambi con la vocazione a rappresentare dei distressed securities) è stata pensata al fine di evitare ad altre banche di maggiori dimensioni, interessate dal fenomeno dei crediti deteriorati, la stessa sorte delle quattro banche locali (Popolare Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara poste in liquidazione con il decreto del 23 novembre 2015)81 – innescando una crisi di sfiducia a cascata per l’intero sistema bancario.

81 Provvedimento questo sul quale la Banca d’Italia, si rammenta, è ritornata alla fine dello scorso anno proponendo un processo di ristrutturazione che fa leva sull’operatività del Fondo di Risoluzione Nazionale. La Banca d’Italia, con provvedimento del 23 dicembre 2016, approvato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 10 marzo 2017, ai sensi dell’art. 32, comma 6, del d.lgs. 180/2015, ha disposto che il programma di risoluzione di Banca delle Marche s.p.a., Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio soc. coop., Cassa di Risparmio di Ferrara s.p.a. e Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti s.p.a., è modificato prevedendo «A fronte della cessione delle sofferenze alla società veicolo (per un valore netto di …), l’ente ponte acquisisce un credito verso la società veicolo, remunerato con un tasso di mercato, che viene garantito dal Fondo di risoluzione. Nel caso in cui la società veicolo ottenga da soggetti diversi dall’ente ponte il finanziamento necessario al pagamento del corrispettivo all’ente ponte per l’acquisto delle sofferenze, il Fondo potrà prestare garanzia in favore dei soggetti finanziatori, garantire alla società veicolo le risorse necessarie per adempiere agli obblighi di pagamento derivanti dai contratti di finanziamento, nonché sottoscrivere capitale ed eseguire conferimenti ed apporti al patrimonio della stessa in presenza delle condizioni di cui agli articoli 2446 e 2447 del codice civile; “il Fondo, oltre che intervenire nella cessione d’azienda come indicato nel punto precedente e a garantire il credito dell’ente ponte (o di eventuali soggetti terzi finanziatori) verso la società veicolo, sottoscrive il capitale dell’ente ponte e della società veicolo necessario per il rispetto dei requisiti patrimoniali previsti dalla vigente regolamentazione». La Banca d’Italia, con provvedimento del 14 marzo 2017, ha disposto che gli effetti del citato provvedimento del 23 dicembre 2016 decorrano, ai sensi dell’art. 32, co.2, del medesimo decreto, dalla data di tale provvedimento. La modifica in oggetto è tesa a scongiurare l’applicazione della procedura del bail-in alle quattro banche popolari dando attuazione al Fondo di Risoluzione Nazionale (Fondo Salva Banche) entrato in vigore in Italia a seguito del recepimento della Direttiva BRRD, mediante i d.lgs. nn. 180 e 181 del 16 novembre 2015. Trattasi comunque di un’unica operazione possibile dal momento che tale Fondo sarà prosciugato e non potrà essere reintegrato. Esso, infatti, ha chiuso il 2016 con una perdita vicina ai 2,6 miliardi di euro, tanto da richiedere non solo l’intervento di nuovi soci (oltre a Banca Intesa San Paolo, Unicredit e Ubi anche altre banche, comprese le fondazioni e le società previdenziali)

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Pertanto la politica di investimento del Fondo – che agisce da anchor investor con l’unico obiettivo di tutelare gli investitori – è essenzialmente quella di investire in banche (fino al 70%)82 con ratio patrimoniali inferiori ai minimi stabiliti nell’ambito dello SREP e che quindi realizzino, su richiesta dell’Autorità di Vigilanza, interventi di rafforzamento patrimoniale mediante aumento di capitale, ovvero sottoscrizioni di azioni in offerte al mercato o accordi con uno o più membri del consorzio di collocamento o private placement dedicati al Fondo o co-investimenti83. Del restante 30% del Fondo – una quota questa abbastanza consistente di esposizioni bancarie che offrirebbe indubbiamente agli enti creditizi una concreta possibilità di piazzare le tranche più rischiose liberando i bilanci da una crisi oramai endemica – si procederà attraverso operazioni di investimento in non performing loans (prevalentemente junior tranche con IRR inferiore a quello richiesto tradizionalmente da investitori specializzati ma comunque adeguato e coerente con quello di un titolo con rating medio di circa B)84 di una pluralità di banche italiane, anche garantiti da asset tramite tranche junior (occasionalmente mezzanine)85.
 Sotto il profilo partecipativo, verrà precluso al Fondo l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento sulle banche in cui partecipa,

ma anche la creazione di un mercato secondario delle quote, nel quale l’attività dei market makers – sostenuta dalla Banca d’Italia – con lo scopo di contribuire al processo di riallocazione, accrescendo la liquidità dei titoli di partecipazione. p 82 Il Fondo non sottoscrive più del 75% della singola emissione, a meno che la sottoscrizione di una quota maggiore sia necessaria ai fini del buon esito dell’operazione. Sono possibili ulteriori investimenti in aumenti di capitale delle banche in portafoglio – se richiesti dalle Autorità di Vigilanza - fino al 30 giugno 2019 salvo che tali investimenti non facciano superare al Fondo il limite massimo di 70% investibile in azioni bancarie e a condizione che residuino impegni di sottoscrizione ancora «tirabili». 83 Sono preclusi investimenti che comportino l’obbligo di OPA. 84 A titolo di esempio si segnala che l’IRR mediano netto realizzato dagli investitori di circa 14,000 fondi specializzati in distressed debt risulta pari a 12.2%, equivalente a circa 16% - 18% al lordo delle fee. 
 85 Lo smaltimento dei crediti deteriorati dipende anche dalla redditività delle banche nell’immediato futuro, per cui maggiore è il buffer rispetto ai coefficienti patrimoniali, più facile è assorbire perdite da cessione di NPLs, più rapido è lo smaltimento, che porterà a minori coefficienti patrimoniali richiesti (circolo virtuoso). 
 I tempi di realizzazione di un mercato efficiente di NPLs in Italia e il successo del Fondo a favorirlo dipendono anche dall’andamento dell’economia italiana nei prossimi anni, l’assenza di deflazione e stagnazione; dal re-rating nei valori delle banche che facilita lo smaltimento dei crediti deteriorati e viceversa; unitamente alla capacità delle banche di ritornare a livelli di redditività elevata e, non meno, dal ciclo immobiliare in Italia.

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favorendo – grazie anche al continuo monitoraggio da parte della BCE – l’indipendenza del management della SGR da azionisti ed investitori, potendo così prevenire il sorgere di conflitti di interesse, gestire in maniera adeguata le operazioni con parti correlate e garantire la massima trasparenza del processo di investimento86. Tuttavia, non è escluso che il Fondo per il futuro intenda garantirsi una partecipazione al capitale (c.d. “equity kicker”) attraverso qualsiasi strumento finanziario, nel caso in cui l’investimento in NPL comporti un significativo re-rating del valore della banca. Possibile, almeno in teoria, che il veicolo sottoscriva una partecipazione al capitale di rischio a valle della dismissione di portafogli87. Nell’immediato Atlante agisce pertanto da back-stop facility, eliminando l’eccesso di offerta rispetto alla domanda di azioni negli aumenti di capitale di banche in difficoltà patrimoniale88, avvalendosi di una tecnica di valutazione basata unicamente sul merito dell’operazione, secondo le finalità stabilite nel regolamento, e non sul principio del first come first serve (FCFS). Al fine di valorizzare la partecipazione e accelerarne la dismissione, il Fondo può stipulare partnership e/o co-investimenti con altri investitori e/o istituzioni finanziarie, nonché promuovere operazioni straordinarie, strategie queste che, in buona sostanza, sono pensate per evitare che il rischio di un’operazione di NPLs sia unicamente a suo carico e/o che non possa beneficiare dell’upside dell’equity a seguito dell’operazione. Proprio per questa finalità il Fondo non si sostituisce ai Fondi Specializzati, al service provider o alle banche d’affari, ma investe (o co-investe) in costituende strutture di cartolarizzazione, le quali soddisfino i suoi re-

86 Circa la governance delle partecipazioni rilevanti del Fondo, la SGR voterà sulla nomina degli amministratori nelle assemblee delle banche partecipate dal Fondo, attenendosi a stringenti requisiti di indipendenza. Alla società di gestione, inoltre, non è data facoltà di intervenire nella gestione ordinaria della banca. 
 87 Tra le opzioni ipotizzate da Atlante c’è anche il varo di una bad bank, in cui “riversare” i crediti in sofferenza in vista di una loro valorizzazione. 88 Non tutti gli aumenti di capitale si qualificano per un potenziale investimento del Fondo, ma solo quelli che il mercato da solo (con o senza consorzio di garanzia) non riesce ad assicurare e che potenzialmente possono comportare un rischio bail-in e/o quindi indurre un rischio di sistema. Tuttavia, l’impatto di medio-lungo periodo sulla value proposition dipenderà dal successo della politica d’investimento come risultato del rafforzamento patrimoniale.

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quisiti di rendimento, al fine di ridurre l’impatto sui bilanci delle banche e accelerare lo smaltimento dei crediti deteriorati89. Ovviamente il raggiungimento di siffatti obiettivi dipende anche da fattori esogeni e diversi tra loro ma che concorrono a rendere concreta l’operatività dei Fondi Atlante. Sotto un profilo più strettamente aziendale, tali fattori sono rinvenibili nella capacità delle banche di ritornare rapidamente alla redditività operativa, dal momento che il tempo di smaltimento degli NPLs dipende, come noto, dalla capacità di generare nuovi utili che assorbino le vecchie perdite, senza causare aumenti di capitale e rischi di bail-in. Inoltre, man mano che gli utili aumentano e i crediti deteriorati diminuiscono, il patrimonio di vigilanza richiesto si riduce, innescando un circolo virtuoso. Non va dimenticato peraltro che in mancanza di uno scenario positivo dell’economia nell’immediato futuro, il problema delle sofferenze (solo per inciso, esse possono raggiungere il massimo anche tre anni dopo una recessione) è più prospettica che legata allo stock esistente, in quanto l’ammontare delle sofferenze dipende anche dal tasso al quale gli altri crediti deteriorati diventano sofferenze e quelli in bonis diventano deteriorati. In questa logica l’intervento dello Stato sarà fondamentale nella misura in cui sarà in grado, in tempi brevi, di modificare ed accelerare le procedure di insolvenza e la liquidazione delle garanzie. È necessario ricordare comunque come il meccanismo dei Fondi – tanto nelle operazioni di ricapitalizzazione quanto in quelle di gestione dei crediti in sofferenza – sia strutturato sulla capacità, che a rigor di logica potrebbe anche essere meramente eventuale, di un ritorno in bonis della banca, tale da assicurare un guadagno all’operazione, e sulla speranza di acquistare le tranche junior e senior ad un valore superiore a quello che al momento è disposto ad offrire il mercato, scommettendo, in altri termini, sulla possibilità di ottenere dei guadagni anche dalla gestione di questi crediti difficili. Di contro, un esito negativo dell’operazione rischierebbe di trasferire sul Fondo e sulle società che ci hanno investito la cattiva situazione finanziaria della banca/e supportata.

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Altra caratteristica di Atlante è quella di ottimizzare le proprie risorse per risolvere i problemi delle banche finanziando (o co-finanziando) l’equity tranche delle cartolarizzazioni non promosse in proprio, ma in collaborazione e in coordinamento con altri soggetti.

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Un elemento decisivo nell’efficiente operatività dei Fondi spetterà anche al prezzo di acquisizione degli NPLs che, come noto, si attesterà intorno al 32% del valore originario. Tutto ovviamente dipenderà dalla due diligence che sarà condotta sui portafogli da parte degli operatori specializzati. Il valore finale tuttavia sarà funzione soprattutto di un elemento fino ad oggi poco evidenziato, ma che per Atlante rappresenta un fattore decisivo, ovvero la composizione del portafoglio di NPLs e la scomposizione tra la parte di crediti garantiti (a più alto rendimento) e non garantiti.

6. Considerazioni conclusive. Non vi è dubbio, alla luce delle considerazioni fin qui esposte, come per l’economia italiana la qualità degli attivi bancari è, al momento, uno dei problemi principali, nonostante i lievi accenni di ripresa registrati all’inizio del 2017, con un’incidenza maggiore degli NPLs per le banche caratterizzate da una struttura cooperativa, rispetto al resto degli intermediari. In questo contesto, nonostante lo schema della garanzia statale sia stato uno strumento atteso dalle banche italiane, il suo apprezzamento ne è stato fortemente condizionato dalla complessità dello schema e, non meno, dai costi che lo stesso comporta. Per la verità è emersa la sensazione che tale tipo di operazione non solo non offre sempre livelli di performance ottimali ma che tali livelli sono differenti a seconda della diversa struttura bancaria. Alcuni profili di criticità rendono infatti incerta la convenienza di siffatto strumento di recupero delle partite deteriorate. Uno per tutti il prezzo di mercato delle sofferenze. Per essere appetibili, si rammenta, i crediti deteriorati devono essere trasferiti o ceduti a un valore inferiore a quello di bilancio rettificato e questo determina indubbiamente una perdita per le banche. Altre variabili sono quelle specifiche di ciascuna banca: l’efficacia delle procedure di recupero; l’adeguatezza dei tassi di copertura; l’incidenza degli NPLs sul totale degli impieghi e, non ultimo, il contesto esterno in cui le banche operano. C’è anche da dire che lo stesso potenziale intervento del Fondo Atlante potrebbe muoversi con le stesse caratteristiche di una Bad Bank, la quale a quanto è dato di capire non piace particolarmente al sistema bancario italiano (Visco a suo tempo ha parlato addirittura di

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“impraticabilità”)90, con il dubbio che la ridotta entità dello stesso – nonostante gli aumenti di capitale previsti per la costituzione di Atlante 2 – porterà ad un intervento del Fondo limitatamente ad un certo numero di banche di piccole e medie dimensioni, lasciando fuori quelle più grandi. In particolare è emerso che tale Fondo d’investimento – creato, come noto, per sostenere gli aumenti di capitale delle banche italiane e acquistare i crediti deteriorati – non ha risposto positivamente agli obiettivi prefissati, vuoi anche a causa della reazione del mercato, non incline a comprare le azioni di banche, soprattutto di quelle che versano in una situazione di difficoltà gestionale, cosa alla quale il Fondo dovrebbe sopperire comprando le eventuali azioni che gli istituti di credito non riusciranno a vendere sopra un certo prezzo. Vuoi perché spetterebbe al Fondo acquistare anche i crediti deteriorati meno sicuri, le cc.dd. tranche junior, diversamente dalla GAGS, visto che i fondi di Atlante sono in gran parte privati. Ad ogni buon conto se, da un lato, tale strumento genera dei benefici sui contribuenti, dall’altro occorre evidenziarne i profili di criticità, dal momento che le risorse del Fondo – alquanto limitate rispetto al totale delle sofferenze in circolazione nel sistema bancario nazionale – difficilmente sono in grado di gestire il portafoglio crediti con la finalità di aggregare e/o riformare le aziende in difficoltà. Inoltre non vi è un soggetto terzo, in quanto il Fondo è composto dai finanziamenti offerti dalle stesse banche. Anche Atlante 2, che a differenza del primo, può investire unicamente in crediti problematici e strumenti collegati a operazioni in crediti problematici è stato da più parti ritenuto inadeguato a risolvere le crisi di liquidità del sistema bancario. Ulteriori riflessioni critiche interessano anche lo schema della Gacs, posto come il limite di demarcazione con il concetto di aiuto di Stato parrebbe, da una prima lettura, piuttosto sottile. È pertinente chiedersi

90 Nonostante le posizioni interne, l’Ue sembra pronta a varare una nuova Bad Bank alternativa per risolvere il problema degli NPLs. I ministri europei daranno mandato alla Commissione di Bruxelles di sviluppare un modello entro la fine del 2017 per la costruzione di Bad Bank nazionali che permettano alle banche di smaltire i crediti deteriorati, attraverso principi, soglie, governance e regole per la valutazione degli asset e modus operandi dei contenitori per gli NPLs, che potranno essere privati e pubbliche; in questo secondo caso verranno tracciate dalla Commissione anche le condizioni con cui i Governi – che dovranno agire da operatore di mercato – saranno tenuti a comportarsi per non violare le regole Ue sugli aiuti di Stato.

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se, dal momento che le garanzie sono “prezzate” a condizioni di mercato, ciò possa escludere del tutto una dinamica simile a quella dell’aiuto di Stato, soprattutto in momenti di maggiore vulnerabilità dei mercati. Verosimilmente la previsione delle commissioni incassate dallo Stato attraverso la garanzia dovrebbe superare i costi e questo non genererebbe alcun onere per il bilancio dello stesso. Ma basta questo per scongiurare il pericolo di ipotesi di aiuto di Stato di fronte all’eventuale necessità di “salvare” una struttura bancaria da un possibile fallimento? Ma ammesso pure che la misura abbia caratteristiche tali da escludere la presenza di elementi di aiuto, lo scopo di favorire lo sviluppo del mercato italiano dei non performing loans è subordinato a due elementi ostativi (per la banca): il livello di rating concesso solo ai titoli senior – che deve corrispondente, come noto, a un investment grade91, a quanto pare molto difficile da ottenere, per poter attivare la garanzia statale – e la sua reale efficacia a patto che la banca abbia venduto più del 50% dei titoli junior. Questo è certamente conveniente sotto il profilo della tutela degli interessi dell’investitore che vuole accedere al mercato degli Abs di crediti in sofferenza (caratterizzato da un orizzonte medio-lungo), ma limitativo per la banca che può fare affidamento sulla garanzia statale solo a certe condizioni (relativi agli assets sottostanti) e a titolo oneroso. Resta sempre il fatto comunque che affinché i margini di sicurezza offerti dalla GACS siano realmente sussistenti sarà necessario che le garanzie vengano realizzate e liquidate in tempi rapidi. Guardando comunque al problema da un altro punto di vista la scelta di “scaricare” le partite immobilizzate (soprattutto quelle più rischiose, ovvero junior e mezzanine) sull’investitore finale, cioè fondi di credito specializzati, non risulta affatto conveniente per la banca, la quale dovrebbe vendere tali titoli ad un prezzo inferiore indipendentemente dal fatto che la tranche senior abbia una garanzia. Preferibile sarebbe allora, in un quadro regolamentare comunitario come quello attuale che impone di ottimizzare la gestione dei crediti non performing e dei forborne credits, pensare di eliminare a monte (ove possibile) l’eventualità di un loro successivo smobilizzo, attraverso un migliore monitoraggio degli attivi.

91 L’investment grade indica un rating uguale o superiore a «BBB-» da Standard & Poor’s (o equivalente per le altre agenzie come Moody’s e Fitch), al di sotto del quale ci sono titoli c.d. “spazzatura”.

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Si chiederebbe, in buona sostanza, alle strutture creditizie di dotarsi – in termini preventivi – di migliori procedure interne al fine di riconoscere con tempestività gli Npls e attuare opportuni accantonamenti, rettifiche di valore o stralci, in relazione sia alle dimensioni e natura della banca che alla gravità delle sofferenze. Le criticità sembrano dunque riguardare il livello di velocizzazione delle tempistiche della procedura scelta, che non generi al contempo incertezza e ritardi per gli operatori. In quest’ottica allora si potrebbe puntare su procedure giudiziali e stragiudiziali rapide ed efficaci, per il recupero dei crediti, ad esempio pensando ad accorciare i tempi di recupero al fine di ridurre considerevolmente l’incidenza delle sofferenze sul complesso dei prestiti. È chiaro tuttavia che dipenderà molto anche da quanto il nostro ordinamento sarà in grado di adeguarsi, in tempi brevi, ai nuovi standard europei in materia di classificazione dei crediti deteriorati, in particolar modo con riguardo alla necessità di un analisi e monitoraggio delle revisioni contrattuali attuate sui crediti in bonis. Temi questi, peraltro, ancora abbastanza trascurati e poco approfonditi anche dalla dottrina, nonostante la sua centralità nell’attuale scenario. Ed ancora, il forte aumento dei crediti in sofferenza nei bilanci delle banche italiane a seguito della recente crisi (si parla di circa 300 miliardi di euro a fine 2015 a fronte di quelli degli enti creditizi significativi in tutta l’Area Euro che alla fine del terzo trimestre 2016 ammontavano a poco più di 921 miliardi di euro) riverserebbe sul mercato una quantità enorme di pacchetti di crediti cartolarizzati, che verrebbero acquistati da chi? Domanda che potrebbe sorgere spontanea se si pensa come le nostre imprese – già sofferenti per i propri debiti – fatichino a investire (e a innovare); mentre gli investitori istituzionali sono disincentivati dalla complessità e dai costi dello schema di garanzia statale, ma anche da alcuni elementi di incertezza92 che non trovano ancora una chiara definizione. Per ovviare a questi e altri problemi finora evidenziati sarebbe allora corretto ritenere di strutturare un’operazione di cartolarizzazione impegnando il Fondo Atlante per il 50% con l’acquisto di tranche junior di importo rilevante (20-30%) e con l’intervento della GACS per quelle senior a prezzo di mercato. L’operazione così congeniata mirerebbe a

92

Si ricordano, a tal proposito, la valutazione dell’esperto indipendente, le conseguenze della difformità dalle previsioni del Decreto in oggetto, i tempi di rilascio della GACS, le modalità di esecuzione della garanzia, i tempi di pagamento, e non meno, l’idoneità dei titoli senior come collateral per la BCE.

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ridurre l’alto costo della garanzia pubblica, dal momento che la stessa diminuisce il costo della tranche senior (abbattendone il rendimento) e quindi aumenta le risorse disponibili per alzare la prestazione della tranche junior, rendendola così più appetibile. Vale la pena allora interrogarsi se tale composito meccanismo possa risolvere le esigenze di liquidità di tutte le strutture bancarie, o solo di alcune di esse, e con quali benefici concreti per le stesse. Alla luce di queste evidenti perplessità, si dovrà allora ritenere come nonostante lo schema della cartolarizzazione dei crediti aiuti, in generale, le banche a “liberare” i bilanci, unitamente agli effetti positivi, a livello di sistema, della GACS – nella misura in cui incentiva lo svolgimento di operazioni pubbliche e permette la creazione di un possibile mercato per le sofferenze bancarie – le iniziative in oggetto non possono da sole superare le difficoltà del settore bancario, richiedendo, quale fattore imprescindibile, una revisione complessiva dell’intero impianto regolamentare che inizi da un adeguamento di tutti i soggetti bancari alle nuove modalità di riconoscimento, monitoraggio e gestione delle esposizioni deteriorate per portarle su livelli sostenibili e comparabili su scala internazionale, comprese anche le banche cooperative, già peraltro interessante da processi di trasformazione, il cui radicamento locale e regionale molto spesso ha disatteso le aspettative di ritorno per divenire invece un fattore importante di rischio. Le banche, come peraltro accennato, devono in diversa misura (in relazione alla loro struttura e dimensione, nonché all’entità delle sofferenze) dotarsi di migliori procedure interne al fine di riconoscere con tempestività gli NPLs; non di meno, è necessario migliorare gli standard di erogazione, vincolando le decisioni sulla concessione dei prestiti a parametri più obiettivi e basati sulla meritevolezza del credito. Per far ciò occorre che le banche facciano meno affidamento sulle garanzie ed essere più incentrate sulle prospettive concrete dei prenditori di generare profitti e flussi di cassa. Resta poi da verificare l’interesse degli investitori nei confronti dello schema sulle cartolarizzazioni, soprattutto perché rimane ampio il divario tra la valutazione di mercato dei portafogli di NPLs e i prezzi attesi dalle banche. Il supporto dei Fondi, e più in concreto di Atlante 2, nelle operazioni di risoluzione delle esposizioni deteriorate, richiede un potenziamento della sua dotazione posto che, allo stato, può esser in grado di intervenire al massimo su un numero limitato di banche di piccole e medie dimensioni; un rafforzamento che comunque non può prescindere da un ruolo più incisivo della società di gestione del Fondo, quale azionista in termini di governance e di controlli interni delle banche in

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questione al fine di attrarre anche altri potenziali finanziatori, anche di provenienza estera. Un peso che forse ha assunto una posizione di secondo piano nell’ambito delle iniziative volte a rafforzare la posizione finanziaria del settore bancario, va senza dubbio attribuita – richiamando quanto poc’anzi evidenziato – alle procedure extragiudiziali, nell’ambito più ampio della riforma della legge fallimentare, per accelerare il recupero dei crediti. Le vicende legate alle banche popolari balzate agli onori delle cronache nel corso degli anni precedenti, con il loro conseguente appesantimento sul capitale dei soggetti intervenuti a sanarle, ha acceso i riflettori sono necessità di valutare preliminarmente, da parte della banca interessata, la sussistenza del presupposto della continuità aziendale secondo quanto prescritto dai principi contabili internazionali93. In altri termini occorre capire in particolare, con riferimento alla specifica situazione economica e patrimoniale della banca “da salvare”, se questa necessiti di svolgere un’attenta valutazione in ordine ai presupposti di continuità aziendale e – in tale ambito – valutare la sussistenza di realistiche alternative alla liquidazione. Pertanto quando il risultato negativo dell’esercizio sia in gran parte attribuibile ad una serie di fattori concomitanti (ad esempio, aumento delle coperture sui crediti deteriorati, anche per effetto del recepimento delle rettifiche di valore richieste dalla BCE; eventuali rettifiche di valore su titoli e partecipazioni; accantonamenti a fondi rischi e oneri; storno di parte della fiscalità differita attiva precedentemente stanziata; ed ancora i nuovi ratio patrimoniali da rispettare a partire dal 31 marzo 2017) difficilmente superabili da una serie di iniziative intraprese dal Consiglio d’Amministrazione e tali da arrecare pregiudizio rispetto alla prospettiva della continuità aziendale su cui si fonda il progetto di bilancio di esercizio, ecco che forse in questa situazione non solo si renderebbe inutile l’utilizzo della GACS, ma si rischierebbe di accollare sul Fondo il peso di una crisi posto che la cessione delle sofferenze e il rafforzamento della posizione patrimoniale costituiscono spesso un binomio inscindibile indicativo di una situazione di decozione, protesa al fallimento, di una banca al punto di richiedere ulteriori interventi di sostegno patrimoniale da

93 Cfr., Documento congiunto BI/Consob/Isvap n.2 del 6.2.2009 e successivo n.4 del 3.3.2010 in materia di applicazione degli IAS/IFRS.

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parte dell’azionista Fondo Atlante, con i ben noti risultati che l’analisi in oggetto ha cercato di evidenziare. Un motivo in più questo per ritenere come la vicenda del Monte dei Paschi di Siena per la quale il Governo, stando alle ultime notizie di fine luglio, ha ottenuto parere positivo da parte della Commissione europea per la “ricapitalizzazione precauzionale”94 – traducibile nell’ingresso dello Stato nel capitale bancario in base alle nuove regole della direttiva

94 Il 4 luglio 2017, la Commissione europea ha approvato la richiesta di aiuto pubblico a sostegno della “ricapitalizzazione precauzionale” del MPS dopo il fallimento del tentativo, da parte del Governo italiano, di ricapitalizzazione sul mercato. Il piano, in linea con le norme della Ue sulla base di un efficace piano di ristrutturazione, contribuirà a garantire la redditività a lungo termine della banca, limitando nel contempo le distorsioni della concorrenza. Gli aiuti di Stato in questione si attestano a 5,4 miliardi di euro sulla base dell’accordo di massima sul piano di ristrutturazione della banca raggiunto il 10 giugno 2017. Il contributo da parte dei privati, cioè azionisti e obbligazionisti subordinati, sarà di 4,3 miliardi. Inoltre Montepaschi prevede una spesa fino a 1,5 miliardi di euro per il risarcimento dei detentori di obbligazioni subordinate al dettaglio che sono stati vittime di vendita scorretta. Una decisione che fa seguito a quella presa per le banche venete, che prevedono simili rimborsi per gli obbligazionisti subordinati (non vengono toccati invece detentori di bond senior, quelli meno rischiosi, e depositanti, non essendo scattato il meccanismo di risoluzione che innesca il bail-in). Definiti anche i numeri della cartolarizzazione delle sofferenze in portafoglio alla banca, pertanto il pacchetto lordo sarà di 26,1 miliardi. Sull’accodo si è espressa anche la BCE, nella sua veste di autorità di vigilanza, confermando la solvibilità e la sussistenza dei requisiti patrimoniali, oltre all’impegno formale, da parte di investitori privati, ad acquistare il portafoglio di crediti deteriorati della banca. In buona sostanza, gli NPLs in cessione saranno rilevati da Fondo Atlante 2 nella misura del 95% delle tranche junior e mezzanine emesse da un veicolo di cartolarizzazione (la Quaestio Sgr, società che gestisce i Fondi Atlante), la quale si riserva il diritto di coinvolgere altri investitori nell’operazione) che acquisirà il portafoglio di sofferenze di MPS. La tranche senior verrà invece trattenuta dall’istituto senese e ceduta in seguito all’ottenimento del rating e delle GACS. Il prezzo medio pagato per i crediti non performing di Montepaschi sarà pari al 21% del Gross Book Value. Secondo gli accordi, la quota eccedente il rendimento del 12% per il fondo, sarà retrocesso per il 50% a Monte dei Paschi. Quaestio coordinerà e controllerà l’intera operazione, sia per quanto riguarda la struttura della cartolarizzazione, sia per la gestione dei piani di recupero dei crediti allo scopo di tutelare gli interessi degli investitori nel Fondo e perseguire l’obiettivo di contribuire a creare un mercato dei NPLs in Italia efficiente ed aperto alla concorrenza. L’operazione di cartolarizzazione delle sofferenze di MPS, una delle più importanti e complesse crisi bancarie in Italia, è la terza di Atlante 2 dopo quelle effettuate sul portafoglio di 2,2 miliardi delle 3 bridge bank acquisite da UBI Banca e sul portafoglio di 343 milioni di Cariferrara acquisita da BPER Banca.

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europea BRRD sul risanamento e risoluzione delle banche – rappresenti un “adattamento” della norma alla natura e alle dimensioni delle sofferenze dell’ente in crisi che pone i risparmiatori italiani al riparo dall’applicazione del meccanismo del bail-in (che comunque non lascia sereni nonostante il non coinvolgimento dei possessori di bond senior e correntisti oltre i 100 mila euro) in pieno stile “salvataggio” con l’unica nota nuova (si fa per dire) del burden sharing95 non senza conseguenze

95 Prima dell’entrata in vigore della direttiva BRRD (e conseguentemente del bailin) con il termine burden sharing si intendeva la procedura mediante la quale, in caso di dissesto di un istituto bancario, era previsto, che prima del coinvolgimento di fondi pubblici, venisse attuata la riduzione del valore nominale delle azioni e delle obbligazioni subordinate, o la conversione in capitale di queste ultime. Applicata tale manovra nell’ambito della ricapitalizzazione precauzionale di Stato della banca senese, è previsto che, nel rafforzamento patrimoniale complessivo della banca pari a 8,1 miliardi di euro, l’aumento di capitale riservato al MEF ammonti a 3,9 miliardi, mentre il controvalore del burden sharing sarà pari a 4,3 miliardi di euro. Operativamente si prevede la conversione forzosa in azioni di tutti i 4,3 miliardi di euro di obbligazioni subordinate emesse dalla banca, sia quelle in mano agli investitori istituzionali che quelle in mano alla clientela retail. Successivamente, entro 60 giorni, le azioni dei retail saranno sottoscritte dallo Stato e in cambio saranno distribuiti dei bond senior (quindi obbligazioni non subordinate). Le azioni, sospese da oltre sei mesi, dovrebbero essere riammesse agli scambi subito dopo il salvataggio, anche se Consob potrebbe decidere di posticipare l’evento a dopo la pausa estiva. Nello specifico, la legge “Salva Risparmio” dello scorso febbraio, prevede che il valore delle nuove azioni emesse dalla banca sia il minore tra il prezzo di riferimento medio degli ultimi 30 giorni di negoziazione e quello determinato sulla base del patrimonio. In questo secondo caso il Montepaschi ripulito e ricapitalizzato quoterebbe al 100% del valore patrimoniale tangibile, un privilegio che sul listino milanese hanno solo Intesa Sanpaolo e il Credito Emiliano. Così, D.L. n.237 del 23 dicembre 2016 «Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio», coordinato con la legge di conversione 17 febbraio 2017, n.15 in vigore dal 22 febbraio 2017, il quale definisce i rapporti di conversione dei prestiti subordinati. Vale la pena precisare tuttavia come l’impatto sugli attuali azioni del burden sharing sembri avere un effetto di eccessiva diluizione tale che le quote degli attuali possessori di azioni Montepaschi risulteranno praticamente azzerate. Si stima infatti che, a ricapitalizzazione di Stato avvenuta – una volta sistemati gli ex obbligazionisti subordinati retail (questa categoria di investitori possano arrivare ad avere una partecipazione azionaria del 25% nel capitale della banca) – ai vecchi azionisti rimarrà solo il 3% della nuova Montepaschi, mentre lo Stato sarà titolare di una partecipazione di circa il 70%. Anche se il valore dei titoli non subirà svalutazioni forzose (come accaduto invece nel caso delle quattro banche), l’effetto diluitivo dell’aumento di capitale sarà almeno del 95%. Soprattutto perché la riscrittura del decreto SalvaRisparmio ha inasprito le condizioni per i vecchi azionisti proprio in base al principio

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per possessori di azioni MPS e per una buona fetta di obbligazionisti subordinati96 chiamati a condividere con lo Stato i costi (decisamente elevati) del risanamento della banca senese.

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del burden sharing. Il prezzo di emissione delle nuove azioni sarà infatti a sconto del 15% rispetto ai vecchi titoli per gli obbligazionisti subordinati e del 25% per lo Stato. Ciò significa che, a parità di investimento, gli ex bondholder e il Tesoro potranno sottoscrivere più titoli, accentuando l’effetto diluitivo per i vecchi soci. 96 I possessori di bond subordinati Montepaschi dovranno aderire infatti a un debt/ equity swap, operazione simile a quella compiuta dalle banche greche a fine 2015. In base a quanto previsto dalla suddetta legge “Salva Risparmio”, i più rischiosi titoli Tier 1 saranno convertiti in azioni al 75% del valore nominale, mentre i Tier 2 (posseduti principalmente dal retail) al 100%. Sempre in base alla citata legge n.15/2017, entro 60 giorni le azioni di nuova emissione – frutto della conversione di strumenti subordinati e assegnate a controparti non qualificate (quindi investitori retail) – saranno acquistate dal Tesoro su richiesta dei possessori. In cambio i risparmiatori riceveranno bond senior per un controvalore pari al minore tra il valore di conversione e quello di acquisto. Tale modalità è stata suggerita da Consob con lo scopo di evitare comportamenti eccessivamente speculativi e di contenere, allo stesso tempo, gli oneri per le finanze pubbliche. L’esborso pubblico salirà pertanto a 5,4 miliardi, consentendo allo Stato di attestarsi al 70% della nuova banca, mentre agli istituzionali ex obbligazionisti subordinati farà capo circa il 25% del capitale. Restano fuori da questa complessa operazione gli obbligazionisti senior e la clientela della banca, per i quali nulla cambierà in materia di conto corrente, conto di deposito o conto titoli o per chi è esposto verso la banca con un contratto di mutuo. L’applicazione del meccanismo del burden sharing si fermerà infatti ai bond subordinati e dunque le altre categorie di stakeholder non risentiranno in alcuna forma dei costi del salvataggio.

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Il “dialogo” tra Arbitro Bancario Finanziario, giurisprudenza e dottrina in tema di usura bancaria: linee generali Sommario: 1. Premessa. − 2. Contesto normativo e problematiche applicative. In particolare, la discussa vincolatività del principio di simmetria. − 3. L’usura sopravvenuta: gli indirizzi ricostruttivi della dottrina e della giurisprudenza. − 4. Segue. La recente parabola evolutiva dell’usura sopravvenuta: tra i rimedi individuati dall’Arbitro Bancario Finanziario e l’opzione “negazionista” delle Sezioni unite. − 5. Gli interessi moratori e la disciplina antiusura: tra rimedi “demolitori” e rimedi “correttivi”. − 6. L’usurarietà degli interessi moratori nei diversi approcci ermeneutici della Corte di Cassazione e dell’Arbitro Bancario Finanziario. − 7. Cenni in tema di “clausole di salvaguardia”. – 8. Polizza assicurativa e contratto di finanziamento: le recenti interpretazioni convergenti della giurisprudenza di legittimità e del Collegio di Coordinamento ABF.

1. Premessa. Nonostante siano passati più di vent’anni dall’entrata in vigore della legge 7 marzo 1996, n. 108, il tema dell’usurarietà dei tassi applicati alle operazioni creditizie da parte degli istituti bancari e finanziari continua a conoscere un’attualità che ha trovato rinnovata vitalità grazie alla istituzione dell’Arbitro bancario finanziario, le cui decisioni spesso sollecitano un “dialogo” – problematico ma fecondo – con quanto emerge dalle pronunce della giurisprudenza e dai rilievi della dottrina. Come sottolineato da un’autorevole dottrina, l’attività decisoria dei collegi ABF − proponendo una «dialettica serrata tra regole e fatti» −, costituisce un fattore interno e fisiologico di produzione di «norme bancarie» che, sul piano del diritto applicato, non sembra meno rilevante delle determina-

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zioni della giurisprudenza e delle indicazioni provenienti dall’autorità amministrativa1. Occorre premettere che, nonostante i (a causa dei) ripetuti interventi normativi in materia di usura − a ben vedere sintomatici di una certa incertezza legislativa −, la disciplina introdotta nel ’96 non è riuscita a mettere fine ai precedenti problemi esegetici, che pure era stata chiamata a risolvere o quantomeno mitigare. D’altronde, le dinamiche evolutive/involutive del mercato, i continui e sporadici innesti normativi (quasi sempre operati con decretazione d’urgenza e/o per il tramite di provvedimenti omnibus), la produzione normativa di fonte europea, la scarsa qualità tecnica impiegata nel redigere le norme di settore, non aiutano a far chiarezza in un ambito sempre più sottoposto a continue tensioni e ad una legislazione dal carattere troppo spesso «ondivago»2. Quanto alla verifica dell’usurarietà o meno degli interessi, essa rappresenta una delle più dibattute questioni nell’ambito del contenzioso bancario3. Esula dalla nostra riflessione l’indagine delle ragioni di una così abbondante produzione giurisprudenziale, per quanto molte delle controversie sottoposte all’attenzione della giurisprudenza (ordinaria ed arbitrale) siano ascrivibili alle incerte soluzioni date in passato a

1 Così, Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, p. 25. D’altra parte, per quanto non si possa attribuire alle decisioni dell’ABF il valore di veri e propri precedenti vincolanti per gli intermediari, gli uffici reclami di quest’ultimi hanno il dovere di valutare le istanze avanzate dai clienti sulla base delle norme di stretto diritto, delle regole deontologiche adottate dall’istituto e degli orientamenti confermati dell’Arbitro, che viene così a svolgere una speciale funzione di moral suasion nel contesto relazionale tra gli intermediari bancari ed i loro clienti, fornendo ai primi la corretta interpretazione delle norme alle quali essi debbono attenersi. 2 Cian, Costo del credito bancario e usura. Ancora sulle commissioni bancarie, sullo iusvariandi e sull’azzeramento del tasso soglia, in Obbl. contr., 2012, p. 655; Dolmetta, Operazioni bancarie e sopravvenienze legislative, in Tratt. contr. Rescigno-Gabrielli. I contratti bancari, a cura di Capobianco, Torino, 2016, p. 595. 3 Recentemente, Inzitari, Interessi, Torino, 2017, p. 4: l’evoluzione del regime degli interessi costituisce «uno dei fenomeni in cui con maggiore incidenza ed immediatezza si sono man mano venute a riflettere le congiunture più significative delle diverse fasi della storia economica», e che ne hanno fatto «uno degli indici più fedeli e significativi del progressivo modificarsi del mercato dei capitali». Né appare risolutivo, ai fini del nostro discorso, parlare di “interessi usurari”, se solo si considera la possibile inserzione in contratto di voci di costo e clausole penali che, a nulla rilevando il nomen loro assegnato, configurano proprio quegli «interessi» o «altri vantaggi» che la normativa vuole sanzionare, ed il cui positivo riscontro comporterebbe conseguenze rilevanti sia dal punto di vista civilistico che − a date condizioni − da quello penale.

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questioni che, soprattutto a causa della avvertita necessità di alleviare il costo dei finanziamenti in essere, sono prepotentemente tornate alla ribalta. Malgrado le buone intenzioni iniziali, l’anelito di chiarezza e semplificazione a cui il legislatore mirava è venuto ad essere sconfessato dalla realtà applicativa del sistema riformato nel 1996, alla cui formale linearità hanno fatto da contraltare opzioni ermeneutiche troppo spesso contrastanti. A tal proposito, va segnalata la criticità di un sistema sanzionatorio privo di una “progressività delle sanzioni” che il legislatore avrebbe potuto introdurre, soprattutto in considerazione delle differenze esistenti tra l’usura criminale e quella bancaria: nell’usura praticata dagli operatori legali del credito, infatti, manca quella tecnica di approfittamento della clientela propria dell’attività criminale e ciò che rileva, ai fini dell’integrazione del reato de quo, è l’eccessivo costo del credito praticato alla medesima4. Parte della dottrina non ha mancato di ricordare come siano state proprio le (a volte insufficienti) rilevazioni della Banca d’Italia (sulle quali infra, par. 2), non meno che le criticabili scelte della giurisprudenza, a condurre la disciplina ad una vera e propria eterogenesi dei fini: pensata per colpire − penalmente e civilmente − la pattuizione di tassi fuori mercato, la legge del ’96 è stata per lo più utilizzata per qualificare abusivamente come “usuraria” una parte non irrilevante dell’attività creditizia regolamentata5.

4

Oppo, Lo «squilibrio» contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., p. 535; Quadri, La nuova legge sull’usura ed i suoi diversi volti, in Corr. giur., 1996, p. 365; Colombo, Riflessioni sulla c.d. usura bancaria, tra Shakespeare e le Istruzioni della Banca d’Italia, cit., p. 1461 ss.; M. Cian, Appunti sul sistema dell’usura civile: complessità del fenomeno reale e rigidità del modello normativo, in Studiumiuris, 2008, p. 1384 ss.; Bivona, La clausola penale usuraria, cit., 13 ss.; Palmieri, Usura e sanzioni civili: aspetti ancora instabili, in Foro it., 2014, I, c. 49 ss. Sulla «ancillarità» del momento civile rispetto a quello penale: Meruzzi, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, in Contr. impr., 1999, p. 410 ss. 5 Tavormina, Banche e tassi usurari: il diritto rovesciato, in Contr., 2014, p. 85 ss. Con prospettiva diversa, D’Amico, Interessi usurari e contratti bancari, in Aa. Vv.,Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, a cura del medesimo, Torino, 2016, p. 5, per il quale è veramente difficile ipotizzare che un operatore del mercato regolamentato oltrepassi il TSU, poiché il meccanismo costruito dalla legge n. 108/1996 solo apparentemente (o, se si vuole, solo marginalmente) ha l’obiettivo di sottoporre a controllo il suo operato, essendo costruito, nel suo parametro di riferimento, sul livello dei tassi praticati nel mercato del credito, alla cui dinamiche il legislatore avrebbe sostanzialmente “delegato” il compito di valutare l’usurarietà della condotta.

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2. Contesto normativo e problematiche applicative. In particolare, la discussa vincolatività del principio di simmetria. Com’è noto, la legge del 7 marzo 1996, n. 108 ha profondamente innovato la fattispecie di cui all’art. 644 c.p.6, espungendo il precedente riferimento allo stato di bisogno ed al necessario approfittamento di esso da parte del reo, nonché selezionando drasticamente gli elementi costitutivi dell’illecito penale, oggi circoscritto al solo «farsi dare o promettere», quale corrispettivo di una prestazione di denaro od altra utilità, interessi ovvero altri vantaggi usurari; così segnando il definitivo passaggio ad un’impostazione oggettiva della fattispecie, la quale non ha però impedito che, accanto agli effetti repressivi del mercato illegale del credito, venisse a manifestarsi una vera e propria «esplosione» dei conflitti in quello legale7. Tramite l’oggettivizzazione della nozione di «interesse» collegato alla media dei tassi applicati sul mercato legale, l’asse portante della norma, spostato dal disvalore della condotta al disvalore dell’evento, sembra assegnare alla fattispecie penale il ruolo di norma di ordine pubblico economico con funzione correttiva degli abusi di mercato (art. 41, co. 2,

6 A dispetto della sua storia millenaria, il reato di usura ha conosciuto la propria disciplina normativa solo a partire dal 1930, con l’introduzione della fattispecie di cui all’art. 644 c.p., con la quale il legislatore volle superare l’impostazione “eccessivamente liberale” del codice precedente. L’assetto normativo conoscerà una profonda innovazione a partire dagli anni Novanta (con la legge 7 agosto 1992, n. 356), durante i quali l’andamento negativo del ciclo economico ed i problemi connessi al risanamento del deficit pubblico determinarono una tale recrudescenza del fenomeno usurario da fargli acquisire connotati per molti versi inediti. Sull’evoluzione della disciplina e della dottrina: Alpa, Usura: problema millenario, questioni attuali, in Nuova giur. civ. comm., 1996, II, p. 181 ss.; Santarelli, La categoria dei contratti irregolari, Torino, 1984, p. 68 ss.; Boari, Usura (dir. interm.), in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, p. 1141 ss.; Sassi, Esegesi del contratto usurario, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 247 ss. 7 Fausti, Il mutuo, in Trattato dir. civ., Cons. naz. notariato, diretto da Perlingieri, Napoli, 2004, p. 155. Quanto al modello ispiratore, il legislatore francese è invero intervenuto più volte sul meccanismo normativo della «usura presunta», introdotto sin dagli anni Sessanta, circoscrivendone la portata sostanzialmente alla disciplina dei finanziamenti ai consumatori. La svolta legislativa italiana non è stata esentata dalle critiche: Battaglini − Masciandaro, Il vantaggio di bussare due volte: contratti bancari ed usura, diritti di proprietà, valore della garanzia e della rinegoziazione, in Eco. politica, 2000, p. 415, secondo i quali le peculiarità del «contratto usurario» vanno ricercate in altri elementi rilevatori, quali ad esempio la finalità dell’operazione creditizia, il ruolo ed il valore della garanzia, i metodi di rinegoziazione.

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Cost.). Come osservato da autorevole dottrina, il legislatore − costringendo entro una rigida e predeterminata soglia le transazioni che abbiano ad oggetto un finanziamento concluso a condizioni che la legge stessa considera usurarie −, non si sarebbe limitato ad un intervento di mero «ordine pubblico di protezione», perseguendo piuttosto la strada dell’ordine pubblico economico di «direzione»: nell’ipotesi principale, infatti, è de jure usura uno scostamento dalla prassi di mercato, a nulla rilevando la situazione socio-economica dell’usurante e dell’usurato, né il contesto dell’operazione contrattuale8. È altresì noto che l’intervento di riforma ha inciso in maniera decisa anche sulla disciplina civilistica di cui all’art. 1815, co. 2, c.c. a mente del quale, «se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi»: rispetto alla precedente disciplina (che stabiliva una riduzione degli interessi al tasso legale, in deroga all’art. 1343 c.c.), il legislatore ha inasprito la sanzione prevista, pur senza predisporre una disciplina transitoria applicabile ai rapporti in essere al momento dell’entrata in vigore della nuova legge, creando le premesse per buona parte dei contrasti interpretativi sul punto9.

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In tal senso, Gentili, I contratti usurari: tipologie e rimedi, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 358. Sul punto, anche Nivarra, Mutuo civile e usura, in I contratti per l’impresa. Vol. II, Banca, mercati, società, a cura di Gitti, Maugeri e Notari, Bologna, 2012, p. 33: la soluzione di delineare una fattispecie di usura incentrata su di un indice oggettivo si iscrive in una più ampia politica del diritto ispirata al controllo dei prezzi di mercato. Nel senso della riconducibilità della fattispecie alla categoria delle nullità di protezione, tra gli altri: Di Marzio, Il trattamento dell’usura sopravvenuta tra validità, illiceità e inefficacia della clausola interessi, in Giust. civ., 2000, I, p. 3105; Semeraro, Usura bancaria e regole del mercato del credito, in Banca, borsa, tit. credito, 2017, I, p. 221; e, seppur con prospettiva più ampia, Oppo, Impresa e mercato, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 421 ss. 9 Nonostante la sua collocazione nel codice, la disposizione è pacificamente applicabile a tutti i contratti di finanziamento che prevedono la corresponsione degli interessi: Cass., 27 settembre 2013, n. 22204, in Foro it., 2014, I, 128; Cass., 22 giugno 2016, n. 12965, in Nuova giur. civ. com., 2016, p. 1593 ss., nota di Salanitro, Usura e commissione di massimo scoperto: la Cassazione civile riconosce il valore vincolante del principio di simmetria; nonché, ABF 13 gennaio 2013, n. 125. Per l’applicabilità della norma anche ai contratti di finanziamento che non siano un mutuo (al di là della questione relativa al fatto che detta applicabilità avvenga in via diretta ovvero in via analogica), tra gli altri: Quadri, La nuova legge sull’usura: principî civilistici, in Nuova giur. civ. com., 1997, II, p. 69; Oppo, Lo «squilibrio» contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., 1999, I, p. 535; Gazzoni, Usura sopravvenuta e tutela del debitore, in Riv. not., 2000, p. 1448; Dagna, Profili civilistici dell’usura, Padova, 2008, p. 54; Sassi, Esegesi del contratto usurario, cit., p. 251. Per una ricostruzione in senso opposto: Morera, I profili generali dell’attività negoziale, in Brescia Morra e Morera, L’impresa bancaria, in Tratt. dir. civ., Cons. naz. Notariato, diretto da Perlingieri, Napoli, 2006, p. 365.

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Sul versante della sanzione penale, a norma del novellato art. 644 c.p. il momento perfezionativo del reato risulta risiedere tanto nella «promessa» quanto nella «dazione» degli interessi usurari, con la precisazione che quest’ultimi vanno intesi in senso atecnico, trattandosi − più propriamente − di una percentuale indicativa del costo totale del credito, comprensivo anche di altri oneri (commissioni variamente denominate, remunerazioni, spese, etc.): il rilievo, per vero, ha da subito costituito la base argomentativa delle pronunce giurisprudenziali per le quali la nuova disciplina risultava applicabile anche ai rapporti contrattuali sorti precedentemente alla sua entrata in vigore (rectius: alla pubblicazione del primo d.m. trimestrale di rilevazione periodica dei tassi effettivi globali medi, il 23 marzo 1997) ed ancora in corso. Furono proprio questi i dubbi interpretativi che spinsero il legislatore a delineare con maggiore chiarezza l’ambito applicativo della legislazione anti-usura, intervenendo con una norma d’interpretazione autentica10: ai fini dell’applicazione della disciplina de qua, «si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento» (d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, l. 28 febbraio 2001, n. 24).Certo è che, a giudicare dalla perdurante incertezza della giurisprudenza e della dottrina successive, non sembra che l’intervento normativo sia riuscito nell’intento di fugare tutti i dubbi in proposito, nonostante il positivo vaglio della Corte Costituzionale11.

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Colombo, Gli interessi nei contratti bancari, in Tratt. contr., diretto da Rescigno ed Gabrielli, I contratti bancari, cit., p. 517, rileva come l’adesione della S.C. alle tesi favorevoli all’applicazione ai contratti preesistenti abbia molto probabilmente comportato la inevitabile reazione del mondo bancario e, quindi, l’emanazione del decreto legge n. 394/2000, rispetto al quale, fra l’altro, il legislatore, verosimilmente memore dell’illegittimità costituzionale che aveva colpito la norma con cui si era tentato di sanare il pregresso con riferimento alle clausole di ricapitalizzazione automatica, ritenne di optare per la via della legge d’interpretazione autentica. 11 C. Cost., 25 febbraio 2002, n. 29 (ord.), in Contr., 2002, 545 ss., con nota di Scozzafava, Interpretazione autentica della normativa in materia di usura e legittimità costituzionale. Peraltro, la Corte costituzionale era già stata investita del giudizio di legittimità dell’art. 1815, co. 2, c.c., allorché il giudice remittente ne aveva opinato l’illegittimità per l’esclusione della sanzione della pretesa di interessi validamente pattuiti ma successivamente divenuti usurari: Corte Cost., 22 giugno 2000, n. 236 (ord.), in Foro it., 2000, I, 2105.

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In séguito, la disciplina ha conosciuto ulteriori novità normative: prima, con l’art. 2-bis del «decreto legge anticrisi», 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2, con il quale è stata prevista la rilevanza nel computo dell’usura delle commissioni di massimo scoperto e degli oneri ad esse assimilabili; poi, con l’art. 8, co. 5, lett. d), d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla l. 12 luglio 2011, n. 106, a norma del quale si è modificato il criterio di determinazione del tasso soglia ex art. 2, co. 4, della legge anti-usura, non più determinabile mediante l’aumento della metà del TEGM trimestralmente rilevato, bensì attraverso l’aumento di un quarto dello stesso, «cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali». Dal punto di vista applicativo, i maggiori contrasti si sono registrati con riferimento ai provvedimenti amministrativi volti a rilevare il livello-soglia oltre il quale l’interesse si configura come «usurario» a norma di legge. A tal punto che la polemica circa la portata cogente o meno di detti provvedimenti rappresenta la spia più evidente della necessità di un intervento di riforma in materia, avvertita da tempo anche in ambienti bancari12. Più in particolare, il riferimento è alle Istruzioni della Banca d’Italia13, emanate ai fini della rilevazione dei tassi effettivi globali medi (TEGM) praticati dal sistema bancario e finanziario in relazione a categorie omogenee di operazioni creditizie, ripartite in predeterminate classi di importo, rispetto alle quali si dibatte se gli elementi da considerare nel calcolo del tasso effettivo globale (TEG) del singolo rapporto, ai fini della verifica del superamento della soglia usuraria, debbano essere quelli (i.e.: solo quelli) rilevati periodicamente dalla banca centrale e poi utilizzati per la determinazione del tasso globale effettivo medio, costituente la base per il calcolo del tasso-soglia (TSU) e costantemente richiamate dai d.m. di rilevazione trimestrale dei tassi mediamente appli-

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Di recente, Girino, Quot capita, tot fenora. Per una lettura critica, non ipercritica, dell’usurato presidio usurario e per l’avvio di un razionale percorso di riforma, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 26, 2017, pp. 14-16. 13 Destinate alle banche iscritte nell’albo di cui all’art. 13 t.u.b., agli intermediari finanziari iscritti nell’albo ex art. 106 t.u.b. ed ai soggetti iscritti nell’elenco di cui all’art. 111 co. 1, t.u.b. (Microcredito). La decima ed ultima versione delle Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura è quella del 29 luglio 2016, in www.bancaditalia.it.

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cati nel mercato del credito; ovvero − più correttamente − se si possano legittimamente ricomprendere ulteriori voci di costo non considerate dalle summenzionate Istruzioni14. Se è indubbia la funzione di soggetto deputato ex lege a rilevare i tassi effettivi globali praticati dagli istituti bancari e finanziari assegnata alla Banca d’Italia, incerti e dibattuti sono i confini di questo potere, soprattutto con riferimento alla metodologia di calcolo da essa applicata in punto di rilevazione dei tassi medi praticati dal sistema bancario e finanziario in relazione alle categorie omogenee di operazioni creditizie specificate dalle medesime istruzioni. Più specificamente, si è sostenuto che l’utilizzo ex post di un metodo di calcolo diverso da quello utilizzato dalla Banca d’Italia ed esplicitato nelle sue Istruzioni, comporterebbe un’evidente violazione sia del principio generale dell’equità giuridica, sia della necessità di coerenza logica e metodologica nell’attività di raffronto tra il TEG applicato dalla singola banca ed il tasso soglia trimestralmente rilevato sulla base della media dei tassi applicati nel mercato (c.d. «principio di simmetria»). Invero, tanto le differenti finalità perseguite dal TEGM e dal TEG (l’uno, rilevato ai meri fini amministrativi e relativo alla media dei tassi applicati nel mercato del credito, l’altro, espressione del costo complessivo del credito applicato nel singolo rapporto), quanto il meccanismo legislativo previsto ai fini del controllo di usurarietà del TEG, non basato, nei suoi elementi strutturali, su un (preteso) principio di omogeneità di questo con il TEGM, fanno propendere per una differente ricostruzione sul punto: se è vero che TEG e TEGM devono riferirsi

14 Com’è noto, la problematica ha soprattutto riguardato (prima dell’intervento normativo del 2009) la ricomprensione o meno delle CMS nel calcolo del TEG, nonché quella relativa alla ricomprensione dei tassi moratori, questione che, data la perdurante assenza di un intervento legislativo ad hoc, ancor oggi registra orientamenti giurisprudenziali contrastanti sul punto. Quanto alla natura giuridica di atti meramente amministrativi dei decreti ministeriali (cfr. Cass., S.U., 29 aprile 2009, n. 9941, in Giust. civ., Mass., 2009, 4, 685) di rilevazione trimestrale del tasso effettivo globale medio, emanati dal MEF ai sensi dell’art. 2, L. n. 108/1996 e sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, è pacifica l’inapplicabilità ad essi del principio “jura novit curia” (art. 113 c.p.c.), ragion per cui, l’onere di allegazione gravante sulla parte che deduce l’applicazione di interessi usurari comprenderà anche la produzione in giudizio dei d.m. relativi ai trimestri in contestazione. Ex plurimis:Trib. Ravenna, 29 maggio 2012, in www.ilcaso.it; Trib. Latina, 28 agosto 2013, in www.expartecreditoris.it; Trib. Nola, 9 gennaio 2014, ivi; Trib. Roma, 16 novembre 2016, in DeJure.it; Trib. Genova, 4 maggio 2017, ivi; Trib. Milano, 25 febbraio 2016, in www.expartecreditoris.it; Trib. Torino, 20 aprile 2017, in www.ilcaso. it;Trib. Mantova, 25 giugno 2015, in www.expartecreditoris.it.

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tendenzialmente allo stesso “oggetto”, pena l’inutilità pratica di qualsiasi loro raffronto, non può non considerarsi il fatto che detto oggetto è, nel suo nucleo essenziale, costituito dagli interessi corrispettivi, quale elemento tipico del costo del credito, mentre il legislatore ha inteso adottare, ai fini del controllo dell’usurarietà, una nozione più ampia («globale», appunto) della semplice media dei tassi generalmente applicati dagli intermediari15. D’altra parte, il valore medio rilevato dal MEF, oltre ad avere base giuridica distinta e lontana dalla normativa antiusura, trova la propria giustificazione nella finalità economica assegnatale dallo stesso ordinamento, e cioè quella di ricomprendere tutti i costi che − pur distinti secondo predeterminate ed omogenee categorie − normalmente, ordinariamente e fisiologicamente vengono sopportati nell’erogazione del credito. Rispetto a tali valori medi, la funzione dello spread è quella di determinare la fascia in cui possono collocarsi gli scostamenti di ciascuna relazione contrattuale dall’operatività corrente fotografata dalle rilevazioni del TEGM che, pertanto, ricopre la precisa funzione di consentire ad ogni operatore di misurare la liceità del proprio agire, attraverso un classico controllo di compliance, integrato nel sistema di controlli interni16. Orbene, al di là delle argomentazioni fondate sulla pretesa operatività del principio di simmetria17 tra l’impostazione metodologica utilizzata per il TEGM e quella del TEG − ragion per cui, le Istruzioni rispondereb-

15 D’Amico, Principio di simmetria e legge anti-usura, in Contr., 2017, p. 501 ss.; Piraino, Usura e interessi, in Gli interessi usurari, cit., p. 149; Bivona, La clausola penale usuraria, Roma, 2016, p. 91 ss.; Marcelli, L’usura della legge e l’usura della Banca d’Italia: nella mora riemerge il simulacro dell’omogeneità. La rilevazione statistica e la verifica dell’art. 644 c.c.: finalità accostate ma non identiche, in Dir. banc., 2015, p. 581 ss. Contra,Colombo, Riflessioni sulla c.d. usura bancaria, tra Shakespeare e le Istruzioni della Banca d’Italia, in Corr. giur., 2014, p. 1464; Petrella e Resti, Usura bancaria: i rischi di un’applicazione paradossale e fuorviante della legge, in Banca, impresa, soc., 2017, p. 123 ss.; Robustella, Usura bancaria e determinazione del “tasso soglia”, Bari, 2017, p. 108. 16 Antonucci, L’onnicomprensività dell’interesse usurario. Elementi costitutivi e sistema delle fonti all’attenzione delle SS.UU., in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 28, 2017, p. 6. 17 Sul quale non è dato rilevare unanimità di vedute nemmeno in sede di legittimità. A titolo esemplificativo, tra le più recenti: Cass., 5 aprile 2017, n. 8806, in Riv. dir. banc., con nota di Campagna, Usura bancaria: anche le spese di assicurazione devono essere incluse nella clausola di determinazione del Taeg, nel senso dell’irrilevanza del principio di simmetria; contra, Cass., 22 giugno 2016, n. 12965, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1593 ss., nota di Salanitro, Usura e commissione di massimo scoperto: la Cassazione civile riconosce il valore vincolante del principio di simmetria.

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bero, da un lato alla primaria esigenza di raccogliere dagli intermediari dati tra loro coerenti ed omogenei al fine di determinarne il valore medio da cui individuare il tasso soglia e, dall’altro lato, all’esigenza di poter raffrontare dati omogenei nel momento in cui si imponga la necessità di accertare se il TEG concretamente applicato sia rispettoso del relativo TSU applicabile − non può nemmeno sottacersi l’erroneità di assegnare alle Istruzioni della banca centrale una natura di mere circolari, avendo esse rilevanza ed efficacia esterne e, quindi, un profilo normativo secondario più pregnante; come confermato sia dai d.m. che impongono agli intermediari di attenersi ai criteri di calcolo indicati dalla Banca d’Italia, sia dalla stessa normativa di settore che riconosce all’autorità di vigilanza il potere di impartire agli intermediari istruzioni contenenti prescrizioni «a rilevanza ed efficacia esterna» (art. 4, co. 1, t.u.b.).

3. L’usura sopravvenuta: gli indirizzi ricostruttivi della dottrina e della giurisprudenza. In termini generali, si parla di «nullità sopravvenuta» (o «successiva»), nel caso in cui l’atto, pur validamente formato, divenga medio termine difforme dallo schema legale, e ciò tanto a séguito del sopravvenire di una circostanza che determina il venir meno di un suo requisito essenziale, quanto in conseguenza della sopravvenienza di disposizioni normative che ne travolgano retroattivamente il regolamento degli interessi; per quanto il problema dello jus superveniens non si traduca, sic et simpliciter, in una deroga o meno al principio della irretroattività della legge, avendo più ampie ed articolate implicazioni18. Non a caso alla tematica − «dalle molte e larghe prospettive»19 − dell’usura sopravvenuta si

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Maniàci, La nuova normativa in materia di usura ed i rapporti negoziali in corso, in Contr., 2000,p. 695. Cfr. Passagnoli, La retroattività tra leggi e sentenze, in Pers. e merc., 2017, p. 138: che lo jus superveniens possa modificare gli effetti del contratto, oramai non stupisce più il giurista, «avvezzo da decenni alla scissione tra fatto generatore compiuto (il contratto) ed effetti che esso produce, rispetto alla cui modificabilità − in corso di rapporto − soccorre oltretutto l’idea che tanto la integrazione quanto la sostituzione del contenuto negoziale possano realizzarsi anche in modo diacronico». 19 Così, Dolmetta, Al vaglio delle Sezioni Unite l’usura sopravvenuta, in IlCaso.it, II, n. 564/2017, p. 2. Sul tema, anche Serrao D’Aquino, L’usura sopravvenuta: una polisemia irrisolta?, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 32, 2017; Morisi, L’usurarietà sopravvenuta, in Contr., 2017, p. 573 ss.

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ricorre spesso con argomentazioni che vanno ben al di là dello specifico ambito dell’applicazione intertemporale del diritto, una “polisemia” che ha ricondotto nel perimetro applicativo dell’usura sopravvenuta eventi tra loro assai diversi, come l’eventualità della discesa dei tassi di mercato (con ovvi riflessi sul TEGM),ovvero la crescita esponenziale − qualitativa e quantitativa − delle commissioni concretamente applicate al rapporto già in essere. All’indomani dell’entrata in vigore della legge di riforma, alcune soluzioni giurisprudenziali20 si orientarono per l’applicabilità della nuova disciplina anche ai contratti stipulati in epoca precedente, seppur limitatamente alla regolamentazione degli effetti ancora in corso, sulla base dell’assunto che se l’obbligazione degli interessi si concretizza in una serie di prestazioni che si succedono periodicamente nel tempo, ai fini della qualificazione usuraria a rilevare è il momento della loro dazione e non già quello della stipula del contratto, con la conseguente sostituzione del tasso inizialmente pattuito con quello «soglia» valido ratione temporis. Meno controversa è stata, invece, la questione relativa alla riconducibilità dei contratti già completamente esauritisi al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina, giustamente esclusa sulla

20 In tal senso, cfr.: Cass., 2 febbraio 2000, n. 1126 e Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, in Contr., 2000, 687 ss., nota di Maniàci, La nuova normativa in materia di usura ed i rapporti negoziali in corso; Cass., 17 novembre 2000, n. 14899, in Corr. giur., 2001, 43 ss., nota di Gioia, Usura: il punto della situazione. Sulla pronuncia della S.C. da ultimo citata, si rimanda anche a Farneti, La sentenza n. 14899 del 2000 della Corte di cassazione: nullità rilevabile d’ufficio per i mutui usurari contratti prima della l. n. 108 del 1996, in Studiumiuris, 2001, 125 ss.: in particolare, pronunciandosi a favore della tesi della gratuità del prestito nel caso di mancata riduzione del tasso originariamente stabilito al di sotto del tasso soglia, essa suscitò grande preoccupazione nel mondo bancario circa la prospettiva di dover far fronte alla richiesta di ingenti restituzioni degli interessi già percepiti. Tra le pronunce di merito, nel senso della rilevanza della nuova disciplina circa i contratti stipulati in epoca anteriore: Trib. Milano, 13 novembre 1997, in Banca, borsa tit. cred., 1998, II, p. 501 ss., note di Morera, Interessi pattuiti, interessi corrisposti, tasso “soglia” e… usurario sopravvenuto e di Severino Di Benedetto, Riflessi penali della giurisprudenza civile sulla riscossione di interessi divenuti usurari successivamente all’entrata in vigore della l. n. 108 del 1996; Trib. Velletri, 3 dicembre 1997, in Corr. giur., 1998, p. 192 ss., nota di Gioia, Interessi usurari: rapporti in corso e ius superveniens; Trib. Firenze, 10 giugno 1998, ibidem, 1998, p. 805; Trib. Cagliari, 4 febbraio 1999, in Riv. giur. sarda, 2000, II, p. 431 ss., nota di Chessa, A proposito dell’efficacia temporale delle nuove disposizioni in materia di usura; Trib. Napoli, 19 maggio 2000, in Giur. it. 2000, 1665 ss.; Trib. Nola, 9 gennaio 2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Lecce, 2 dicembre 2013, in www.ilcaso.it; Trib. Taranto, 25 giugno 2013, ivi.

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base del principio della irretroattività della legge penale, a nulla rilevando l’eventuale pendenza della controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto e rimaste inadempiute, posto che detta circostanza non concerne la continuazione del rapporto contrattuale, di per sé già estinto, bensì la sola sussistenza delle ragioni di credito in capo alla parte non inadempiente21. Tra gli indirizzi interpretativi22, le ipotesi avanzate si sono sostanzialmente mosse nella direzione della nullità (parziale) sopravvenuta, della inefficacia successiva e della inesigibilità della prestazione23. Nell’ottica della conservazione del contratto, si è accreditato il ricorso al meccanismo della dichiarazione di nullità parziale della clausola per violazione di norme imperative, seguita dalla sua sostituzione ex lege (artt. 1419, co. 2, c.c. e 1339 c.c.), sostenendosi che il rapporto non possa restare insensibile agli sconfinamenti sopraggiunti, operando in questi casi un correttivo automatico che limita l’obbligazione restitutoria all’importo corrispondente all’applicazione della soglia usuraria24.

21 In tal senso, cfr.: Cass., 2 febbraio 2000, n. 1126, cit.; Cass., 22 luglio 2005, n. 15497, in Giust. civ., Mass., 2005, 6; Cass., 12 luglio 2007, n. 15621, in Foro it., Rep., 2007, Usura, n. 9; Cass., 16 maggio 2010, n. 11632, in Giust. civ., Mass., 2010, 739; Cass., 13 dicembre 2010, n. 25182, ibidem, 2010, 1597. 22 Non sempre favorevoli all’applicabilità della disciplina riformata ai rapporti contrattuali sorti antecedentemente ad essa, cfr.: Trib. Avellino, 12 aprile 1999, in Dir. fall., 1999, II, p. 920 ss., nota di Landolfi, Brevi note in tema di interessi usurari “sopravvenuti” ai sensi della legge n. 108 del 1996; Trib. Palermo, 7 marzo 2000, in Foro it., 2001, I, 1061 ss. (s.m.), nota di Nicosia, Rilevanza penale della percezione di interessi divenuti «usurari» in base alla sopravvenuta l. 108/96?; Trib. Roma, 4 giugno 1998, ibidem, 1998, p. 2557 ss., nota di Palmieri, Appunti sulla valutazione del carattere usurario degli interessi tra norme interpretative, sanzioni e ragioni economiche; Trib. Salerno, 27 luglio 1998, in Contr., 1999, 589 ss., nota diZorzoli, Interessi usurari e mutui stipulati anteriormente alla legge 108/1996; Trib. Venezia, 20 settembre 1999, in Giur. it., 2000, 955 ss., nota diPandolfini, Sopravvenuta usurarietà del tasso d’interesse e tutela civilistica dell’usura: incertezze e questioni di legittimità; Trib. Perugia, 9 dicembre 1998, in Rass. giur. umbra, 1999, 739; Trib. Roma, 10 luglio 1998, in Corr. giur., 1999, 1022 ss., nota di Palmieri − Moliterni, Tassi usurari e razionamento: repressione e prevenzione degli abusi nel mercato del credito; Trib. Torino, 27 novembre 1998, in Corr. giur., 1999, 454 ss., nota di Gioia, I riflessi civilistici di una sentenza penale; Trib. Roma, 16 novembre 2001, in Corr. giur., 2002, p. 510 ss., nota di Di Vito, Usura sopravvenuta e inesigibilità della prestazione. 23 Gambino, L’usura «sopravvenuta» e l’indigenza del dato positivo, in Giust. civ., 2014, p. 887. 24 Oppo, Lo «squilibrio» contrattuale, cit., p. 536. Seppur nel senso della automatica sostituzione del livello dei tassi d’interesse divenuti usurari con quello del TSU, senza il ricorso necessario alla fattispecie di cui all’art. 1419, co. 2, c.c., cfr. Vanorio, Il reato

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Invero, alla richiamata opinione dottrinale si contesta l’assenza di una disposizione di legge che ne legittimi l’operatività (comminando, l’art. 1815, co. 2, c.c., la nullità della clausola che prevede interessi usurari, e disponendo, le norme relative al tasso soglia, il limite oltre il quale il contratto deve considerarsi usurario), senza considerare i rischi insiti del continuo “rinvio mobile” alla fonte esterna che renderebbe la clausola degli interessi sottoponibile a reiterati giudizi, per cui «il fatto adeguato oggi a compiere in sé i presupposti della norma, può domani, in ragione di nuovi presupposti, non esserlo più»25. A séguito della legge d’interpretazione autentica del 2001 e delle ricordate pronunce della Corte Costituzionale, il tentativo di ricondurre nell’alveo della legalità il tasso divenuto usurario, pur con la contestuale salvezza del contratto, si è orientato verso l’ulteriore ipotesi della «sopravvenuta inefficacia» del negozio, nel senso che il sopravvenire di norme imperative impedirebbe a quest’ultimo la produzione di ulteriori effetti con esse contrastanti, consistendo, le successive variazioni del tasso soglia, un quid facti che coinvolge non già la validità della clausola, bensì i suoi effetti. Anche rispetto a quest’ultima ricostruzione, però, emerge il problema del concreto meccanismo attraverso il quale sostituire gli effetti negati, oltre alla difficoltà di configurare l’inefficacia in oggetto, non essendo molto chiaro se si tratti di inefficacia in senso stretto ovvero di inefficacia quale conseguenza della nullità. In particolare, si è sostenuta la possibilità di configurare l’inesigibilità degli interessi superiori al TSU alla stregua di una sopravvenuta impossibilità giuridica (in quanto il parametro cui rapportare l’esecuzione del contratto è costituito da una norma imperativa) e parziale (non essendo contra legem la pretesa all’integrale adempimento della pattuizione, ma solamente quella che riguarda la parte eccedente il tasso-soglia) della prestazione26. O, ancora, considerando l’inesigibilità della quota parte

di usura ed i contratti di credito: un primo bilancio, in Contr. impr., 1999, p. 520 ss. In giurisprudenza, Trib. Monza, 22 aprile 2003, in Giur. merito, 2004, p. 285. 25 Gambino, L’usura «sopravvenuta» e l’indigenza del dato positivo, cit., p. 890. 26 In tema, cfr. Di Vito, Usura sopravvenuta e inesigibilità della prestazione, in Corr. giur., 2002, p. 516-517: richiamando autorevole dottrina (Mengoni, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 283-285), inquadra il concetto di «inesigibilità della prestazione» di cui agli artt. 1218 e 1256 c.c. nel senso di una sottospecie dell’impossibilità, individuando proprio nella sopravvenuta illiceità dell’oggetto della prestazione un’ipotesi da ricondurre a tale rimedio.

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degli interessi eccedenti i limiti del tasso soglia quale rimedio alla sopravvenuta «ineffettualità» della fonte costitutiva del diritto27. Tra le ipotesi avanzate in dottrina, si segnala anche quella volta a ritenere applicabile la disciplina dell’impossibilità sopravvenuta parziale, così come prevista dall’art. 1464 c.c., e cioè qualificando il superamento dei tassi soglia pro tempore vigenti come un’ipotesi di sopravvenuta divergenza dai requisiti enunciati in materia di oggetto del contratto dall’art. 1346 c.c., dove tale divergenza andrebbe valutata non in termini di impossibilità giuridica, bensì di illiceità. Pervero, il debitore, eccependo la sopravvenuta usurarietà degli interessi quale causa di impossibilità parziale della propria prestazione, si esporrebbe alla (probabile) eccezione di risoluzione anticipata del rapporto da parte del creditore che non abbia più un apprezzabile interesse all’adempimento parziale. Ciononostante, questa dottrina, sostenendo la necessaria e contestuale composizione tra gli interessi in gioco attraverso un giudizio di rilevanza e meritevolezza di quello opposto dal creditore, esclude un’insindacabile diritto di recesso in capo a quest’ultimo, in quanto fondato su di un interesse «alla percezione di un tasso che sarebbe vietato pattuire nel trimestre corrispondente» e, pertanto, usurario: così, a fronte della eccezione di inesigibilità per l’usurarietà sopravvenuta, l’istituto creditore non potrà avvalersi del diritto di recedere ex art. 1464 c.c., stante l’irrilevanza del suo interesse contrario alla conservazione del contratto28.

27

Di Marzio, Il trattamento dell’usura sopravvenuta tra validità, illiceità e inefficacia della clausola interessi, in Giust. civ., 2000, I, p. 3112;Gambino, L’usura «sopravvenuta» e l’indigenza del dato positivo, cit., p. 892; Inzitari,Il mutuo con riguardo al tasso «soglia» della disciplina antiusura e al divieto di anatocismo, in Banca, borsa e tit. credito, 1999, I, p. 264. In giurisprudenza, cfr. Trib. Monza, 13 ottobre 2014, in Giur. it., 2015, p. 825 ss., nota di Scarantino, Usura originaria (o contrattuale) ed usura sopravvenuta; Trib. Padova, 12 agosto 2014, in Banca, borsa e tit. credito, 2015, II, p. 339 ss., nota di Scagliotti, Ancora sul problema dell’usurarietà sopravvenuta: il rapporto con l’esercizio dello iusvariandi. 28 La tesi è sostenuta da Passagnoli, Ancora su regole e principi: l’usurarietà sopravvenuta, in Pers. e merc., 2015, pp. 110-111; ma vedi anche Mucciarone, Usura sopravvenuta e interessi moratori usurari tra Cassazione, ABF e Banca d’Italia, in Banca, borsa e tit. credito, 2014, I, p. 442. Con dubbi, Morisi,L’usurarietà sopravvenuta, cit., pp. 589-590. Cfr. anche Giuliano, Usura sopravvenuta e tutele contrattuali, in Giur. comm., 2015, II, p. 808: sussistono margini per l’attivazione del rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenutaex art. 1467 c.c., solo lì dove la prestazione sia divenuta tale «avuto riguardo all’alea normale del contratto e dunque, rischio che implicitamente i contraenti hanno assunto al momento della stipulazione del medesimo».

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Infine, si è seguita la strada della inesigibilità della prestazione divenuta usuraria sulla base del ricorso alla buona fede esecutiva di cui all’art. 1375 c.c., alla quale hanno guardato anche talune pronunce della giurisprudenza di merito che hanno richiamato al principio de quo in funzione integrativa e conseguente riduzione dei tassi pattuiti secondo i principî dell’equità. In tal senso, escluso che la mera richiesta degli interessi originariamente integri il reato di usura, dal punto di vista civilistico, nelle ipotesi in cui la condotta del creditore rivesta rispetto l’altrui inadempimento caratteristiche di mala fede (e cioè di approfittamento della mancata prestazione della controparte negoziale per conseguire vantaggi ulteriori), il principio di buona fede quale norma fondamentale nella fase esecutiva del rapporto giuridico consentirebbe l’integrazione del contratto, attraverso la riduzione dei tassi pattuiti, secondo equità; ferma restando, in ogni caso, la preventiva eccezione di mala fede ed il suo concreto riscontro29. Esclusa tanto la soluzione della nullità parziale basata sulla prospettiva di un «rinvio mobile alla fonte esterna», quanto la tesi dell’inefficacia successiva che rimuoverebbe parzialmente gli effetti prodotti da un atto valido, parte della dottrina ha sostenuto la configurabilità di un diritto a riscuotere gli interessi limitato alla misura non eccedente il tasso soglia ratione temporis applicabile. Da quest’angolo visuale, due sarebbero le possibili ipotesi ricostruttive: in una, l’inesigibilità della suddetta parte eccedente la soglia d’usura troverebbe la propria giustificazione nel dato dell’ineffettualità del diritto a ricevere gli interessi oltre soglia, nell’altra, l’inesigibilità costituirebbe il risultato dell’applicazione dell’art. 1375 c.c., nel senso che diversamente si verrebbe a concretizzare un vero e proprio abuso del diritto da parte dell’istituto mutuante. Orbene, a detta di parte della dottrina, entrambe le ricostruzioni summenzionate possono raccomandarsi al principio sistematico della diminuzione equitativa della penale eccessivamente onerosa da parte del giudice (art. 1384 c.c.), divergendo, invece, sul punto della «specifica costruzione del criterio di equità, da adottare in luogo della pretesa usuraria», poiché la riconduzione al tasso legale dell’interesse divenuto usurario, pur inserendosi in una

29 Trib. Roma, 10 luglio 1998, cit. In dottrina: Maniàci, Contratti in corso ed usurarietà c.d. sopravvenuta, in Contr., 2001, p. 154; nonché, Gazzoni, Usura sopravvenuta e tutela del debitore, cit., pp. 1454-1455, che richiama la figura dell’abuso del diritto, stante la sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione a carico del debitore, peraltro oggettivamente accertabile e normativamente giustificabile con riferimento ai nuovi tassi applicati dal legislatore, che rendono inesigibile la parte eccedente il TSU.

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prospettiva maggiormente conforme alle scelte tradizionali del nostro ordinamento30, risulterebbe opzione meno conforme ad equità, rispetto a quella orientata a riportare il carico economico al livello del TEGM, con maggiore fedeltà alle indicazioni provenienti dal mercato31.

4. Segue. La recente parabola evolutiva dell’usura sopravvenuta: tra i rimedi individuati dall’Arbitro Bancario Finanziario e l’opzione “negazionista” delle Sezioni unite. Con due sentenze “gemelle” del gennaio 2013, emesse con riguardo ad alcuni rapporti di conto corrente bancario sorti in epoca precedente all’entrata in vigore della legge del ’96, la Cassazione civile si è orientata nel senso dell’automatica sostituzione con i tassi soglia applicabili in relazione ai diversi periodi in cui gli interessi corrispettivi e moratori previsti in contratto e maturati successivamente alla data di entrata in vigore della legge risultavano superiori ai tassi soglia vigenti pro tempore: pur escludendo la possibilità di un’applicazione retroattiva della L. n. 108/1996, e ferma la validità delle clausole negoziali relative agli oneri economici originariamente pattuite tra le parti, i giudici di legittimità hanno ritenuto di procedere ai sensi degli artt. 1419, co. 2, c.c. e 1339 c.c. attraverso l’inserzione automatica delle relative clausole conformi ai diversi tassi soglia usura ratione temporis operanti32.

30 Come dimostra la formulazione del secondo comma dell’art. 1815 c.c., precedente alla riforma del ’96, secondo la quale, alla stipulazione di interessi usurari, la relativa clausola andava dichiarata nulla, con obbligo di corrispondere i restanti interessi nella sola misura legale. 31 In tal senso, potrebbe essere una soluzione quella di abbandonare, dal punto di vista della sanzione civile, il rimedio − eccessivamente severo − della gratuità di cui al secondo comma dell’art. 1815 c.c. Così, Dolmetta, Gli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, in IlCaso.it, II, 9 febbraio 2014, pp. 11-12, che però aggiunge trattarsi di «varianti interne» dell’idea della sostituzione equitativa. Vedi anche Id., Trasparenza dei prodotti bancari, cit., p. 151: a ben vedere, in un’economia di mercato non ha senso parlare di carico economico «giusto», dovendo piuttosto ragionarsi in termini di prezzo «normalmente praticato» in luoghi e tempi dati, che, tra l’altro, potrebbe a sua volta essere influenzato da correttivi, strutturali e non. 32 Cass., 11 gennaio 2013, nn. 602 e 603, in Foro it. 2014, I, p. 128 ss., nota di Palmieri, Usura e sanzioni civili: assetti ancora instabili; nonché, in Banca, borsa e tit. credito, 2013, II, p. 487 ss., nota di Quaranta, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità. Per una critica alla soluzione della Cassazione, anche Civale, Usura

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La soluzione non convince a pieno, in quanto non è dato riscontrarsi alcuna situazione patologica ab origine, necessaria ai fini della dichiarazione di invalidità, che per sua stessa natura costituisce un fenomeno necessariamente contemporaneo al negozio, per cui le possibili vicende future del rapporto validamente costituito non potranno alterare l’iniziale giudizio di meritevolezza espresso dall’ordinamento33. Inoltre, sul punto non si rinvengono particolari ed argomentate motivazioni da parte della S.C., la quale, similmente a quanto accaduto in altre occasioni, ha omesso di prendere in considerazione la legge d’interpretazione autentica, limitandosi a richiamare parte della propria precedente giurisprudenza (in taluni casi espressa solo in obiter dicta) al fine di stabilire che la clausola contrattuale recante un tasso d’interesse che risulti ex post superiore al TSU non diviene nulla in conseguenza di tale sforamento, bensì inefficace ex nunc, con relativa applicazione del meccanismo sostitutivo della clausola nulla34.

sopravvenuta: la Cassazione riapre il contenzioso banca-cliente, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 7, 2013. 33 In dottrina, sulla generale non configurabilità della nullità sopravvenuta nei contratti di durata, potendosi tutt’al più ipotizzare un’invalidità sopravvenuta solo per quei casi in cui il contratto non abbia ancora prodotto i suoi effetti tipici tra le parti: Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1969, p. 386; Tommasini, Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 899 ss.; Roppo, Il contratto², in Tratt. dir. priv., diretto daIudica e Zatti, Milano, 2011, p. 750; Mantovani, Le nullità e il contratto nullo, in Tratt. contr., diretto da Roppo, IV, Rimedi, 1, Milano, 2006, p. 31; Franzoni, Degli effetti del contratto, vol. II. Integrazione del contratto. Suoi effetti reali e obbligatori², in Il codice civile. Comm., fondato da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, 2013, p. 26. Per vero, non sono mancati autori per i quali, ogniqualvolta la conclusione del contratto non realizzi completamente i suoi effetti, esso continua a rimanere fonte e ragione giustificativa della programmazione non ancora completamente realizzatasi, ammettendo in questi casi la categoria della nullità sopravvenuta dell’atto, nonostante la sua originaria conformità allo schema normativo: Riccio, Nullità sopravvenuta del contratto, in Contr. impr., 2000, p. 631 (ed ivi ampia bibliografia in tal senso); Bianca, Diritto civile, III. Il contratto, Milano, 2000, p. 575; Gentili, Le invalidità, in I contratti in generale, tomo II, in Tratt. contratti, diretto da Rescigno e Gabrielli, Torino, 2006², p. 1445 ss. 34 Nel senso dell’esclusione della operatività del meccanismo dei tassi soglia previsto dalla legge n. 108/1996 rispetto alle pattuizioni precedenti all’intervento legislativo: Cass., 26 giugno 2001, n. 8742, in Giust. civ., 2002, I, 116; Cass., 24 settembre 2002, n. 13868, in Giust. civ., Mass., 2002, 1707; Cass., 13 dicembre 2002, n. 17813, ivi, 2188; Cass., 25 marzo 2003, n. 4380, in Giust. civ., Mass., 2003, 600; Cass., 19 marzo 2007, n. 6514, in Giust. civ., 2008, I, 2252. Contra, Cass., 13 giugno 2002, n. 8442, in Giust. civ., 2002, I, 2109; Cass., 25 maggio 2004, n. 10032, in Giust. civ., Mass., 2004, 5; Cass., 21 febbraio 2005, n. 4092, ibidem, 2005, 4.

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La presupposta35 “riscoperta” dell’usurarietà sopravvenuta da parte della Cassazione era stata preceduta da una pronuncia del 2012 da parte del collegio romano dell’Arbitro bancario finanziario36 che, invocando il divieto di abuso del diritto ed il canone della buona fede, aveva ravvisato l’esigenza di adeguare gli interessi a suo tempo stipulati in un contratto precedente di un anno alla legge del ’96, rideterminandoli entro i limiti della soglia di usura37. Nonostante la soluzione fosse stata preceduta da altre pronunce dell’Arbitro che avevano escluso qualsiasi rilevanza all’ipotesi di sopravvenuta usurarietà dei tassi38, le sopraccennate argomentazioni furono ben presto riprese in altre decisioni, tra cui una del collegio napoletano del 2013 − di poco successiva alla sentenza della Corte di Cassazione − decisamente contraria a riconoscere «una sorta di patente di immunità» ai contratti stipulati in epoca precedente alla legge antiusura, poiché «indicatori di rilievo presenti nell’ordinamento sollecitano dubbi di non trascurabile momento sulla sua condivisione, legittimando con ciò percorsi interpretativi di segno diverso»39. Più specificamente, circoscri-

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Nelle summenzionate pronunce non è dato rinvenire alcun revirement della Cassazione sul tema, come dimostrano ulteriori due pronunce emesse nello stesso anno, sia in sede penale (Cass., 16 gennaio 2013, n. 8353, in CED Cassazione penale, 2013) che in sede civile (Cass., 25 settembre 2013, n. 21885, in Diritto e giust., 26 settembre 2013, 1221), nel senso che i criteri fissati dalla legge n. 108/1996 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non possono trovare applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della stessa, ostandovi il tenore della norma d’interpretazione autentica contenuta nel primo comma dell’art. 1 del D.L. n. 394/2000, convertito con modificazioni nella legge n. 24/2001. 36 Così, Palmieri, Usura e sanzioni civili: assetti ancora instabili, cit., c. 151. 37 ABF, 29 febbraio 2012, n. 620, in Foro it., 2014, I, 145: «il superamento del tasso soglia sopravvenuto all’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996 non determina la configurazione del reato di usura, né comporta la nullità della relativa clausola contrattuale ai sensi dell’art. 1815, comma 2 c.c. Tuttavia, il Collegio ritiene che l’applicazione dei tassi superiori alla soglia di usura, benché non sanzionabile, sia tuttavia in contrasto con l’art.2 della citata legge n. 108/1996, norma imperativa sopravvenuta ispirata ad un generale principio di non abuso del diritto, che impone l’adeguamento degli interessi a suo tempo stipulati in modo che non risultino in contrasto con la norma stessa […]». 38 Pur senza particolarmente motivare sul punto ma limitandosi a richiamare la legge d’interpretazione autentica e le già ricordate pronunce del Giudice delle leggi, cfr.: ABF, 29 marzo 2011, n. 626; ABF, 10 maggio 2011, n. 974; ABF, 18 ottobre 2011, n. 2183. 39 Così, ABF, 3 aprile 2013, n. 1796, in Foro it., 2014, I, 144. In altri termini, esclusa l’operatività di una (inammissibile) ipotesi di invalidità sopravvenuta del contratto o di sue singole clausole, dovrebbe – più correttamente – parlarsi di «inopponibilità» al cliente

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vere la rilevanza del fenomeno usurario al solo momento genetico del rapporto sancirebbe delle «evidenti asimmetrie» e «doppie velocità» nella razionalizzazione del mercato del credito quale scopo maggiormente significativo dell’intera disciplina riformata. Sviluppando tali impostazioni, l’ABF si è pertanto pronunciato nel senso di distinguere gli effetti dell’usura a seconda se riferiti al momento genetico dell’accordo ovvero al momento funzionale dello stesso, così schiudendo il varco all’inammissibilità della ricorrenza di una fattispecie di invalidità sopravvenuta del contratto di finanziamento o di una sua specifica clausola, nonché alla inesigibilità, da parte del creditore, della quota parte degli interessi eccedenti il tasso soglia legale trimestralmente rilevato; a nulla rilevando, peraltro, l’assenza, nel presente contesto, di una norma che richiami l’istituto della integrazione automatica della clausola difforme da quella legislativa, contemplato dall’art. 1339 c.c., stante la portata generale e non già eccezionale di quest’ultimo. Orbene, sul punto è intervenuto il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario con una pronuncia del 201440, con la quale ha giudicato inadeguato il rimedio civilistico di cui all’art. 1419 c.c., stante l’assenza di una patologia originaria dell’atto, nonché le conseguenze di una siffatta soluzione che andrebbe a rompere la simmetria insita nel regolare esercizio del credito affidato agli orientamenti complessivi del mercato, peraltro senza una ragionevole giustificazione ed aprendo così le porte al «rischio di effetti perversi»: il meccanismo della sostituzione automatica delle clausole applicato alle ipotesi di usura sopravvenuta, infatti, «finirebbe con l’incidere in modo asimmetrico sulla tipologia dei finanziamenti». A differenza dei finanziamenti a tasso variabile, normalmente immuni dal rischio di usura sopravvenuta (incorporando «un meccanismo di adeguamento ai tassi di mercato, salvo che si tratti di contratti a tasso variabile spuri, i quali prevedano un floor prossimo alla misura del tasso concordato»), a detta del plenum, i finanziamenti a tasso fisso sono esposti «alla possibilità di usura sopravvenuta proprio perché sono contratti in cui il prendi-

della quota parte eccedente il tasso soglia. In tema, vedi anche: ABF, 5 luglio 2012, n. 2286; ABF, 2 marzo 2012, n. 664; ABF, 28 febbraio 2013, n. 1137; ABF, 9 agosto 2013, n. 4374; ABF, 19 maggio 2016, n. 4664; ABF, 25 luglio 2017, n. 9063. 40 ABF Collegio Coord., 10 gennaio 2014, n. 77, in Riv. dir. comm., 2014, II, p. 275 ss., nota di Guizzi, L’ABF, il problema della “usura sopravvenuta” e il sistema dei rimedi: in cauda venenum; nonché, in Giur. comm., 2015, II, p. 801 ss., nota di Giuliano, Usura sopravvenuta e tutele contrattuali.

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tore assume il rischio dei tassi discendenti ed il prestatore assume il rischio dei tassi crescenti»; ragion per cui, «applicando il rimedio di cui all’art.1419 c.c., si frantumerebbe detto equilibrio esponendo il prestatore al rischio di tassi crescenti senza il vantaggio di poter profittare dei tassi decrescenti e conciò si disincentiverebbe in modo drastico la stipulazione di finanziamenti poliennali a tasso fisso, mentre è noto che i finanziamenti a tasso fisso sono graditi a coloro che dispongono di un reddito fisso, ossia alle categorie sociali più ampie e bisognose di tutela, per l’ovvia ragione che per chi dispone di un reddito fisso, un incremento dei tassi su prestiti poliennali è rovinoso»41. Sviluppando ulteriormente il proprio ragionamento, il Collegio di coordinamento aggiunge che, «in caso di marcata e duratura discesa dei tassi di mercato», chi contrasse un finanziamento a tasso fisso non può comunque essere lasciato senza alcuna forma di tutela, come d’altronde confermato dalla stessa Corte Costituzionale nella pronuncia del 25 febbraio 2002, n. 29, in punto di rimedi civilistici esperibili a tutela della posizione del mutuatario. Orbene, a fronte di un tasso fisso pattuito «collocato ab initio nello stretto margine inferiore del tasso soglia del momento», e cioè con un floor sin dall’origine molto elevato, «[a]vveratosi lo scenario di una discesa notevole e costante dei tassi di mercato», è lo stesso ordinamento giuridico costituzionalmente orientato dal principio di solidarietà ex art. 2 Cost., a pretendere che anche il prenditore partecipi al «vantaggio economico conseguente», pertanto concludendo per l’antigiuridicità della pretesa dell’intermediario che, evidentemente non adeguandosi al canone della buona fede contrattuale, si rifiuti di (ri)portare i tassi concordati al di sotto della soglia usuraria ratione temporis in vigore.

41 Sul punto, D’Amico, Usurarietà sopravvenuta: un problema ancora (parzialmente) aperto, in Giustiziacivile.com, 18 dicembre 2017, par. 3; nonché, Guizzi, Le Sezioni Unite e il de profundis per l’usura sopravvenuta, in Corr. giur., 2017, p. 1501: il riconoscimento all’intermediario del beneficio esclusivo rappresentato dal trattenimento del maggior profitto rispetto alle stime iniziali dell’operazione in conseguenza della diminuzione dei tassi, non ha nullo si ingiusto, stante la logica poliennale dell’operazione ed i rischi generalmente connessi all’esercizio dell’attività creditizia.

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La soluzione dell’Arbitro Bancario Finanziario42 − al di là dei richiami all’operatività diretta dei principî costituzionali in ambito contrattuale43 − appare ragionevole, per quanto non sia stata esentata da critiche da parte di alcuni autori, a detta dei quali il ragionamento sviluppato nella decisione (e, in séguito, confermato più volte dai collegi territoriali dell’ABF) si rivela intrinsecamente pericoloso nel suo sottendere l’idea che l’organo chiamato a giudicare della controversia possa arrivare a sindacare il «giusto profitto» che l’intermediario può ritrarre dai suoi impieghi. In altri termini, il dovere di buona fede contrattuale, così come declinato dall’ABF, finirebbe per «operare come uno strumento destinato a ridefinire l’assetto concordato in ordine alle regole di distribuzione del rischio contrattuale e poi in maniera del tutto diversa da come programmata dalle parti»44. Invero, alle obiezioni fondate sulla regola di distribuzione dell’alea normale del mutuo a tasso fisso − che, diversamente da quello a tasso variabile, offre al prenditore il vantaggio dell’immunità dal rischio di incremento dei tassi medi di mercato −, i collegi dell’ABF hanno replicato che circoscrivere la valutazione dell’usurarietà al solo momento della stipula si tradurrebbe in un sostanziale aggiramento della normativa, proprio in virtù della naturale ciclicità dei tassi d’interesse, che maturano trimestre per trimestre; senza considerare poi la natura cogente delle norme, di ordine pubblico economico e penalmente sanzionanti, in materia di usura, applicabili a prescindere dalla tipologia di tasso d’interesse applicato. Com’è noto, sul tema dell’usura sopravvenuta sono recentemente intervenute le Sezioni unite della Cassazione45 con una pronuncia origina-

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Quanto alle pronunce successive, ex multis: ABF, 14 aprile, n. 2261; ABF, 25 febbraio 2015, n. 1438; ABF, 29 aprile 2015, n. 3393; ABF, 20 gennaio 2016, n. 500; ABF, 21 ottobre 2016, n. 9398; ABF, 14 luglio 2017, n. 8476; ABF, 25 luglio 2017, n. 9063. 43 Con argomenti critici, Mengoni, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa e tit. credito, 1997, I, pp. 9-10: «il riferimento ai principî costituzionali come parametri interpretativi della clausola della correttezza e della buona fede ha più un valore retoricopersuasivo che una funzione argomentativa fondante. […] In generale, si può dire che il contenuto assiologico della clausola della correttezza e della buona fede è sempre in grado, per chi sappia (e voglia) leggerla, di tradursi in giudizi di dover essere appropriati al caso concreto, senza bisogno di stampelle costituzionali». Più di recente, Cataudella, L’uso abusivo di princìpi, in Riv. dir. civ., 2014, p. 747. 44 Così, Guizzi, L’ABF, il problema della “usura sopravvenuta” e il sistema dei rimedi, cit., p. 292. 45 Cass., S.U., 19 ottobre 2017, n. 24675, in Corr. giur., 2017, 1484 ss., note di

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ta dalla contestazione in merito ad un contratto di mutuo che, stipulato in epoca precedente all’entrata in vigore della del primo d.m. ai sensi della legge 7 marzo 1996, n. 108, aveva originato un rapporto negoziale svoltosi quasi interamente sotto la vigenza della nuova disciplina46. Dal punto di vista sillogistico, il plenum della Cassazione ha osservato che la formalizzazione del limite oltre il quale gli interessi sono usurari è rinvenibile nella previsione di cui al quarto comma dell’art. 2 della legge n. 108/1996, la quale fissa per relationem tale nozione individuandola nel limite ex art. 644, comma 3, c.p., il cui perimetro è segnato dalla legge

Pagliantini, L’usurarietà sopravvenuta ed il canone delle SS.UU.: ultimo atto?; Guizzi, Le Sezioni Unite e il de profundis per l’usura sopravvenuta. Tra i commenti alla pronuncia delle Sezioni unite, vedi anche: Carriero, Usura sopravvenuta. C’era una volta?,in Foro it., 2017, I, c. 3282; La Rocca, Usura sopravvenuta e «sana e prudente gestione» della banca: le sezioni unite impongono di rimeditare la legge sull’usura a venti anni dall’entrata in vigore,ivi, c. 3285 ss.; Morisi, Il tramonto dell’usura sopravvenuta, in Contr., 2017, p. 640 ss.; Mazzini, No a ricontrattazione anche se le condizioni non sono più a norma, in Guida al diritto, 2017, 46, p. 40 ss.; Federico, Il denaro e il tempo. Brevi note su Ss.Uu. n. 24675 del 18 luglio 2017 in materia di “usurarietà sopravvenuta”, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 29, 2017; Alecci, Le Sezioni Unite ed il tramonto della «usura sopravvenuta», in Dir. civ. cont., 30 ottobre 2017; D’Amico, Usurarietà sopravvenuta: un problema ancora (parzialmente) aperto, in Giustiziacivile.com, 18 dicembre 2017; Cristofari, Vita, morte e resurrezione, sotto altre spoglie, dell’usurarietà sopravvenuta, in www.personaedanno.it. Bartolomucci, L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite, in Giur. it., 2018, p. 41 ss. Tra le successive pronunce di legittimità che danno séguito a quanto stabilito dalle Sezioni unite, vedi Cass., 30 gennaio 2018, n. 2311, in DeJure.it. 46 Con ordinanza n. 2484 del 31 gennaio 2017, in Corr. giur., 2017, p. 599 ss., note di Guizzi, Tentazioni pericolose: il miraggio dell’usura sopravvenuta e di Pagliantini, La saga (a sfaccettature multiple) dell’usurarietà sopravvenuta tra regole e principi; nonché, in Nuova giur. civ. com., 2017, p. 795 ss., nota di G. Salvi, L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni unite tra negazionismo e correzione del contratto, la Prima sezione civile della Corte di cassazione aveva rimesso gli atti al Primo presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni Unite in relazione al contrasto fra due opposti orientamenti giurisprudenziali delle sezioni semplici sorto in ordine alla questione dell’eventuale applicabilità della normativa antiusura ai contratti di mutuo sorti anteriormente alla sua entrata in vigore ma che hanno avuto vigenza successivamente a essa, anche alla luce della norma di interpretazione autentica di cui all’articolo 1, comma 1, del D.L. n. 394/2000. Si noti che, a dispetto della pendente questione dinanzi alle Sezioni unite, la Cass., 12 aprile 2017, n. 9405, in www.dirittobancario.it, ha voluto comunque pronunciarsi sul tema, nel senso della rilevanza dell’usurarietà sopravvenuta degli interessi, asserendo che il giudice del merito è comunque tenuto ad accertare l’usurarietà e, per la frazione temporale nella quale il superamento del tasso soglia sia effettivamente intervenuto, deve applicare il tasso previsto in via normativa, secondo la rilevazione trimestrale eseguita ai sensi dell’art. 2 della legge n. 108/1996 e con esclusione dell’applicazione delle sanzioni civili e penali stabilite dalle disposizioni codicistiche penale e civile.

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d’interpretazione autentica n. 24/2001, che esclude chiaramente l’usura sopravvenuta nel senso esplicato precedentemente. Orbene, poiché l’illecito civile di cui all’art. 1815, co. 2, c.c. è configurabile solo lì dove risulti essersi preliminarmente configurata una fattispecie criminosa − non essendo meritevole di adesione la tesi che limita l’efficacia della norma d’interpretazione autentica alla sola sanzione penale −, è configurabile un illecito civile solo lì dove sia stata accertata la violazione della previsione exart. 644 c.p., così come riformata dalla legge n. 108/1996 ed interpretata alla luce della legge 28 febbraio 2001, n. 2447. Infine, quanto alla circostanza che la pretesa del mutuante possa essere configurata in termini di illiceità sulla base dei principî di correttezza e buona fede oggettiva (artt. 1175 e 1375 c.c.) che, alla luce del dovere costituzionale di solidarietà, porrebbero in capo a ciascuna delle parti il dovere di agire in modo da preservare gli interessi della controparte contrattuale, le Sezioni unite osservano, «per completezza», che deve altresì escludersi qualsiasi violazione del canone di buona fede in quanto non riscontrabile nell’esercizio − ex se considerato − dei diritti scaturenti dal contratto, bensì solo nelle particolari, concrete modalità di tale esercizio (per vero non precisate dalla S.C.)48 non censurabili nell’ipotesi della semplice e legittima richiesta degli interessi dovuti, per il solo fatto di essere divenuti ultra soglia in un momento successivo alla loro originaria pattuizione. Alla luce dell’esposte premesse, le Sezioni unite hanno concludono per l’esclusione della nullità o comunque della inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi che, validamente pattuita, abbia superato, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge

47 «Deve perciò concludersi che è impossibile affermare, sulla base delle disposizioni della legge n. 108 del 1996, diverse dagli art. 644 c.p. e 1815, 2° comma, c.c. come da essa novellati, che il superamento del tasso soglia dell’usura al tempo del pagamento, da parte del tasso convenzionale inferiore a tale soglia al momento della pattuizione, comporti la nullità o l’inefficacia della corrispondente clausola contrattuale o comunque l’illiceità della pretesa del pagamento del creditore». 48 Cfr. D’Amico, Usurarietà sopravvenuta: un problema ancora (parzialmente) aperto, cit., par. 7: trattasi di ipotesi comunque marginali, come ad es. il caso di una banca che, dopo aver dissuaso il cliente dal manifestato intento di esercitare il proprio diritto alla “portabilità del mutuo”, abbia continuato a pretendere il pagamento degli interessi previsti originariamente dal contratto di mutuo, rifiutandosi di procedere alla promessa rinegoziazione dello stesso.

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n. 108/1996; e ciò, sia nel caso di finanziamento stipulato anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, sia nel caso della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula. Inoltre, è da escludersi anche che «la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto». Per quanto l’usura originaria sia la sola a mostrare una carica di disvalore etico a cui guarda la disciplina in materia, in dottrina si è sottolineato l’errore di trarre da una siffatta premessa la conseguenza per cui l’iniziale validità del saggio d’interessi applicato sia tale da rendere immune il contratto al quale esso inerisce da qualsivoglia futura sopravvenienza, per altro legata alla media dei tassi praticati nell’ambito del mercato creditizio, e cioè al punto di equilibrio tra i prenditori ed i prestatori di denaro operanti in un mercato regolamentato e concorrenziale49. Una critica che troverebbe ulteriore conferma nell’inciso della pronuncia del Giudice delle leggi, n. 29/2002, in cui chiaramente si afferma come l’esclusione dell’usura sopravvenuta da parte della legge d’interpretazione autentica non può spingersi fino al punto di giustificare una totale immunità della relativa pattuizione dall’esperibilità degli «ulteriori istituti e strumenti di tutela del mutuatario, secondo la generale disciplina civilistica dei rapporti contrattuali»50. Anche alla luce dell’intento legislativo di voler introdurre (non già uno strumento calmieratore del mercato del credito, bensì) una disciplina sanzionatoria dei tassi oltre soglia così come pattuiti originariamente, non è possibile ipotizzare una sopravvenuta nullità parziale del contratto usurario, con sostituzione della clausola viziata, mancando una norma di legge in tal senso orientata. Al contempo, non convincono appieno

49 In questi termini, Pagliantini, L’usurarietà sopravvenuta ed il canone delle SS.UU., cit., p. 1490. 50 Per le Sezioni Unite, la questione sul punto non si pone, nel senso che far salva la validità ed efficacia della previsione contrattuale di un tasso d’interesse che finisca poi col superare il tasso di soglia nel corso del rapporto, «non significa negare la praticabilità di altri strumenti di tutela del mutuatario previsti dalla legge, ove ne ricorrano gli specifici presupposti»; presupposti che, nel caso di specie, non rilevano né dal punto di vista dell’invalidità od inefficacia della clausola determinativa degli interessi, né dal punto di vista della buona fede quale criterio di integrazione del contenuto contrattuale rilevante ai fini dell’esecuzione del contratto.

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le conclusioni del S.C. rese a proposito della esclusione della clausola di buona fede: se è vero che la contravvenzione a detto principio non esplica la sua influenza compromettendo la validità del negozio, la chiusura della Cassazione sul punto sembra eccessiva e, comunque, non risolutiva della questione. Senza considerare, peraltro, il pericolo insito in una siffatta opzione interpretativa, che non appare certo orientata allo scoraggiare il fenomeno usurario, ma anzi contiene in sé la possibilità di aprire nuovi spazi per la presenza nel mercato di rapporti creditizi regolati da condizioni economiche complessive maggiori della soglia usuraria di tempo in tempo accertata51. Sul punto, la soluzione offerta dalla S.C. sembra piuttosto preoccupata di evitare un eccessivo ricorso alla clausola generale di buona fede quale argomento principale del contenzioso futuro tra clienti e banche, negandole qualsivoglia funzione integrativa o correttiva del programma negoziale.

5. Gli interessi moratori e la disciplina antiusura: tra rimedi “demolitori” e rimedi “correttivi”. Una delle maggiori criticità del “dibattito” relativo agli oneri rilevanti in sede di valutazione di usurarietà del contratto, concerne l’inclusione di quelle “voci” che, pur concorrendo al costo complessivo dell’operazione economica regolata in contratto, non attengono alla fase stricto sensu fisiologica del rapporto contrattuale, in quanto improduttive − quantomeno nell’immediato − di effetti giuridici ed economici a carico del cliente (in primis, l’interesse moratorio in caso di mancato od inesatto adempimento e la penale di estinzione anticipata del rapporto). Nonostante le diverse opinioni in senso opposto da tempo espresse in dottrina, che hanno concluso per la rilevanza usuraria anche degli interessi moratori52, ed a dispetto delle soluzioni fornite in tal senso dalla Suprema Corte nel corso degli anni53, diversi sono stati i tribunali

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Così, La Rocca, Usura sopravvenuta e «sana e prudente gestione» della banca, cit., c. 3287. Con dubbi circa la capacità della soluzione restrittiva delle Sezioni unite di assicurare reale stabilità ed uniformità al problema degli effetti civilistici dell’usura, anche Carriero, Usura sopravvenuta. C’era una volta?, cit., c. 3285. 52 Per tutti, Libertini, Interessi, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, p. 126. 53 Cass., 17 novembre 2000, n. 14899, in Giust. civ., 2000, 3099; Cass., 4 aprile 2003, n. 5324, in www.personaemercato.it; Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, in Giur. it., 2000, I, 1665; Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, in Riv. trim. dir. econ., 2014, II, 1 ss., nota di Tucci,

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che hanno limitato la disciplina in oggetto ai soli interessi corrispettivi; tutt’al più ritenendo applicabile ai moratori pattuiti in misura superiore al tasso legale, la normativa dettata in materia di riduzione equitativa della penale eccessivamente onerosa54. Un’impostazione che è stata fatta propria soprattutto dai collegi dell’Arbitro Bancario Finanziario, in linea con le indicazioni provenienti dalla Banca d’Italia e dai d.m. trimestrali che escludono espressamente i moratori dalla rilevazione del TEGM, per quanto l’eventualità dell’applicazione degli interessi moratori, quale conseguenza del ritardato o mancato adempimento, non esclude di per sé la rilevanza degli stessi ai fini dell’usura, piuttosto interessando il mero profilo dell’accertamento dell’usurarietà, che evidentemente non potrà avvenire prima ed indipendentemente dalla loro concreta applicazione. Tipicamente la questione relativa alla rilevanza degli interessi moratori si pone soprattutto con riguardo alle operazioni di finanziamento con piano di ammortamento prestabilito (mutuo, leasing, credito personale, etc.), poiché nelle c.dd. «operazioni ad utilizzo flessibile» (aperture di credito in conto corrente, credito revolving, factoring, etc.), il problema del superamento del tasso soglia usura si pone per lo più con riferimento alle commissioni bancarie, mentre l’eventuale addebito di restituzione si pone alla chiusura del rapporto. La soluzione che nega rilevanza usuraria agli interessi moratori poggia principalmente su argomentazioni di carattere letterale (: riferendosi, gli artt. 1815, co. 2, c.c. e 644, co. 1, c.p., rispettivamente agli interessi «convenuti» e «in corrispettivo», valorizzerebbero la sola fase fisiologica del rapporto contrattuale e non anche quella patologica conseguente all’inadempimento di una delle parti) e sistematico, nel senso che la determinazione convenzionale degli interessi in oggetto realizzerebbe una liquidazione preventiva e forfettaria del danno risarcibile, mancan-

Interessi di mora e usura (Cassazione civile sez. I, 09 gennaio 2013, n. 350). 54 Escludono rilevanza usuraria agli interessi moratori: Trib. Salerno, 27 luglio 1998, cit.; Trib. Roma, 1° febbraio 2001, in Corr. giur., 2001, 1082 ss., con nota di Lamorgese, Interessi moratori e usura, Trib. Napoli, 5 maggio 2000, in Giur. it., 2000, 1665; Pret. Macerata, 1° giugno 1999, in Foro it. 2000, I, 1709; Trib. Rimini, 6 febbraio 2015, in www. ilcaso.it; Trib. Brescia, 24 novembre 2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Milano, 8 marzo 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Varese, 27 aprile 2016, ivi; Trib. Roma, 16 novembre 2016, in Persona e mercato, 2017, 21 ss., con nota di Benussi, Interessi moratori ed usura: trattamento equitativo per chi applica tassi usurari?; Trib. Milano, 29 novembre 2016, in Ilsocietario.it.

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do quella funzione di remunerazione per la messa in disponibilità del denaro, tipica degli interessi corrispettivi55. Peraltro, si tende ad assimilare la clausola contrattuale degli interessi moratori ad una penale ex art. 1382 c.c., soggetta ad equa riduzione (anche d’ufficio) da parte del giudice, lì dove eccessivamente onerosa; ovvero sottoponibile al rimedio correttivo previsto all’art. 1344 c.c., in materia di negozio in frode alla legge, nel caso in cui vengano previsti in capo al soggetto finanziato termini e modalità di adempimento talmente stringenti e ravvicinati nel tempo da decretarne, di fatto, l’irreversibile inadempimento56.

55 Tra le pronunce più recenti, di particolare interesse è la lettura di Trib. Savona, 20 febbraio 2017, in www.expartecreditoris.it, che alle summenzionate ragioni aggiunge: l’argomento della necessaria osservanza del principio di simmetria (espressamente escludendo, le Istruzioni della Banca d’Italia, gli interessi moratori dal calcolo del TEGM); il confronto con le indicazioni di fonte comunitaria (: la direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori prevede che «al fine di calcolare il tasso annuo effettivo globale, si determina il costo totale del credito al consumatore, ad eccezione di eventuali penali che il consumatore sia tenuto a pagare per la mancata esecuzione di uno qualsiasi degli obblighi stabiliti nel contratto di credito e delle spese, diverse dal prezzo d’acquisto, che competono al consumatore all’atto dell’acquisto, in contanti o a credito, di merci o di servizi»); la necessità di rispettare la coerenza del sistema (: computare gli interessi moratori ai soli fini del TEG significherebbe andare contro la ratio del sistema, poiché, tenendo bassi i tassi soglia, senza considerare gli aspetti patologici, si renderebbero antieconomici alcuni servizi di finanziamento che non sarebbero più gestiti dagli istituti bancari con la conseguenza di escludere dal finanziamento bancario una fascia rilevante di imprenditori a rischio di insolvenza, spingendoli verso l’usura criminale); la recente introduzione della previsione di un interesse legale di mora, per l’ipotesi di assenza di una specifica convenzione tra le parti sul punto, ad opera del d.l. n. 132/2014, convertito con la l. 10 novembre 2014, n. 162, parametrato con rinvio al tasso di interesse legale per le transazioni commerciali di cui al d.lgs. n. 231/2002, che è un tasso che per diverse operazioni è risultato superiore al tasso soglia. 56 Realmonte, Stato di bisogno e condizioni ambientali: nuove disposizioni in tema di usura e tutela civilistica della vittima del reato, in Riv. dir. comm., 1997, I, p. 778; Carriero, Credito, interessi usura: tra contratto e mercato, in Banca, borsa e tit. credito, 2016, I, p. 116, che mette in luce il fatto che, così facendo, si porrebbero in capo al mutuatario, sotto le mentite spoglie degli interessi moratori, «veri e propri interessi corrispettivi destinati a regolare (non la patologia ma) la fisiologia dello scambio e, per questa via, a violare la disciplina antiusura». Anche, Morera, Interessi pattuiti, interessi corrisposti, tasso «soglia» e … usurario sopravvenuto, cit., p. 519: la dazione degli interessi moratori, lungi dall’essere data in corrispettivo di un’altrui prestazione «è in (melius: il) corrispettivo della propria non prestazione (fattispecie dunque estranea, opposta potrei ben dire, a quella contemplata e sanzionata dalla l. n. 108 del 1996)».

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Né deve sottacersi un altro dato di rilievo, stavolta relativo al c.d. “principio di omogeneità di confronto”: in più di un’occasione, infatti, si è messa in luce la circostanza che a non contemplare tanto gli interessi di mora, quanto le penali che il debitore è tenuto a versare a séguito della mancata esecuzione degli obblighi stabiliti a suo carico ex contractu, siano proprio le Istruzioni emanate della Banca d’Italia ai fini della rilevazione dei TEGM57, sulla base del fatto che gli interessi di mora sono «riferiti a situazioni di deterioramento del rapporto e a casi di inadempimento, che normalmente determinano un inasprimento delle condizioni economiche inizialmente applicate. L’eventuale inclusione degli interessi di mora nel TEG andrebbe ad innalzare le soglie applicabili ai rapporti “normali”, lasciando margini per ingiustificati incrementi nell’onerosità del finanziamento»58. Per quanto, è bene rimarcare, più di un autore ha concluso per la ricostruzione unitaria del fenomeno, con dubbi sulla stessa opportunità di differenziare dal punto di vista causale i due tipi di interesse, evidenziando altresì come una funzione risarcitoria o indennitaria dev’essere riconosciuta ad ogni specie di obbligazione di interessi59. A ben vedere, è la stessa Banca d’Italia60 a precisare che anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura: seppur con

57 Sull’accertamento dell’usurarietà dei tassi e sulla impossibilità per il giudice di discostarsi dai criteri metodologici e dalle formule utilizzate dalla Banca d’Italia, senza pretesa di esaustività: Trib. Roma, 13 settembre 2017, in Quotidiano giur., 10 ottobre 2017; Trib. Milano, 21 ottobre 2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Ferrara, 13 dicembre 2016, ivi; Trib. Milano, 25 marzo 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Monza, 20 luglio 2016, ivi; Trib. Treviso, 14 aprile 2016, in www.dirittobancario.it. 58 Così si legge a p. 15, in Banca d’Italia, Resoconto della consultazione sulla disciplina in materia di usura (2009), in www.bancaditalia.it. Da altro angolo visuale, cfr. Dolmetta, Le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura ex lege n. 108 del 1996, in Banca, borsa tit. cred., 2000, II, p. 627 ss.: l’estensione della sanzione prescritta dal legislatore all’art. 1815, comma 2, c.c. agli interessi moratori incoraggerebbe l’inadempimento del debitore, in quanto sottratto da qualsivoglia conseguenza sul piano risarcitorio. 59 In tal senso: Libertini, Interessi, cit., p. 101 ss.; Simonetto, L’interesse: composizione, misura, natura e forma, in Gli interessi nel rapporto a funzione creditizia, a cura del medesimo, Padova, 1981, p. 28; Scozzafava, Gli interessi monetari, Napoli, 1984, p. 86 ss.; Fausti, Il mutuo, cit., p. 123; Quadri, Gli interessi, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Obbligazioni², IX, Torino, 1999, p. 638 ss.; Inzitari, Delle obbligazioni pecuniarie, in Comm. cod. civ., diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 2011, p. 30 ss.; Colombo, Danni nelle obbligazioni pecuniarie, in Comm. Cod. civ. Gabrielli, Delle obbligazioni, a cura di Cuffaro, vol. II, Torino, 2013, p. 186 ss. 60 Banca d’Italia, Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura (2013), in www.bancaditalia.it. In dottrina, con argomenti critici: Dolmetta, A commento della comunicazione della Banca d’Italia 3.7.2013: usura e interessi moratori, in IlCaso.it, 8

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prassi ultra legem edal fine di evitare il confronto tra tassi disomogenei (: da una parte, il TEG, comprensivo della mora effettivamente pagata, e, dall’altra, il tasso soglia che la esclude), i d.m. trimestrali riportano i risultati di un’indagine statistica condotta dalla banca centrale a partire dal 2001, per cui «la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali» (maggiorazione recentemente rivista e rideterminata, anche a seconda dell’operazione di credito presa in considerazione)61. Per quanto significativi, i summenzionati dati restano comunque conseguiti ai soli fini conoscitivi, verosimilmente continuando a non invertire l’approccio giustamente scettico sin qui dimostrato in sede giudiziaria, pur non mancando soluzioni giurisprudenziali sul punto e che, in mancanza di una decisa presa di posizione da parte del legislatore, hanno comunque considerato il citato metodo di calcolo un criterio «ragionevolmente omogeneo»62. Da quanto premesso, emerge l’orientamento di quella parte della giurisprudenza per la quale, in assenza della rilevazione di un tasso effettivo globale medio specifico per gli interessi moratori, e ferma restando la possibilità di ridurne equitativamente l’ammontare ove manifestamente eccessivo, il loro eventuale carattere usurario potrà conseguire solamente dalla dimostrata circostanza di una pattuizione degli stessi tale da aver determinato una sproporzione tra le rispettive prestazioni, con approfittamento delle condizioni di difficoltà economiche e finanziarie del debitore: un orientamento preclusivo che si sorregge sulle ulteriori

luglio 2013; Marcelli, La mora e l’usura: criteri di verifica, in IlCaso.it, II, n. 431/2014. 61 A séguito di una rilevazione statistica − ultimata nel corso del 2017 dalla Banca d’Italia, in accordo con il MEF, condotta su di una base campionaria costituita dai principali istituti bancari e finanziari operanti sul mercato e selezionati tra i soggetti tenuti alla segnalazione trimestrale di rilevazione del TEGM − è risultato che «i tassi di mora pattuiti presentano, rispetto ai tassi percentuali corrispettivi, una maggiorazione media pari a 1,9 punti percentuali per i mutui ipotecari di durata ultraquinquennale, a 4,1 punti percentuali per le operazioni di leasing e a 3,1 punti percentuali per il complesso degli altri prestiti». Così, l’art. 3, co. 5, del d.m. di rilevazione dei tassi trimestrali (gennaiomarzo 2018) e la relativa nota metodologica ad esso allegata, in www.bancaditalia.it. 62 Così, Trib. Padova, 27 aprile 2016, in DeJure.it. Con argomenti critici, invece, Trib. Milano, 29 gennaio 2015, in Foro it., 2015, 1806, che osserva come la suddetta rilevazione statistica trasfusa nei d.m. trimestrali, «non può rilevare quale indice oggettivo ai fini della valutazione di usurarietà», in quanto: mai commissionata dal Ministero del Tesoro, ufficiosa e non attendibile scientificamente, «non essendo conosciute le modalità di rilevazione statistica utilizzate e, al contrario, risultando essere stata condotta attraverso l’acquisizione di dati a campione».

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motivazioni afferenti la diversità ontologica e funzionale degli interessi moratori rispetto a quelli corrispettivi, ovvero sulla mera eventualità della debenza dei primi rispetto ai secondi63. Sembra preferibile l’orientamento che ammette l’usurarietà del tasso di mora64, rispetto al quale dovrà concludersi per la nullità di questo, senza che il tasso d’interesse corrispettivo, pattuito nel rispetto della legge, venga colpito dalla sanzione della non debenza65. In altri termini,

63 Cfr. Trib. Milano, 29 gennaio 2015 e Trib. Cremona, 9 gennaio 2015, in Foro it.,2015, I, 1806 ss.; Trib. Rimini, 6 febbraio 2015, in www.ilcaso.it; Trib. Lodi, 11 agosto 2016; Trib. Livorno, 3 maggio 2016; Trib. Roma, 22 giugno 2015, in DeJure.it; Trib. Bologna, 17 febbraio 2015, in www.dirittobancario.it; Trib. Pavia, 31 ottobre 2017, in www.expartecreditoris.it. Sulla manifesta eccessività del tasso d’interesse moratorio, che non può prescindere dalla considerazione del suo rapporto quantitativo con i tassi corrispettivi, come, sia pure in via tendenziale, pone lo stesso art. 1224 c.c., cfr. ABF Coll. Coordinamento, 24 giugno 2014, n. 3955. 64 In tal senso, Teti, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, in Riv. dir. priv., 1997, p. 480; Di Marzio, Il trattamento dell’usura sopravvenuta, cit., p. 217; Fausti, Il mutuo, cit., p. 170; Fauceglia, Del mutuo, in Comm. Cod. civ., Dei singoli contratti, diretto da Gabrielli, a cura di Valentino, vol. III, Torino, 2011, p. 200 ss.; Tucci, Interessi di mora e usura, cit., p. 16. Contra, Morera, Interessi pattuiti, interessi corrisposti, tasso «soglia», cit., p. 517; Mucciarone, Usura sopravvenuta e interessi moratori usurari tra Cassazione, ABF e Banca d’Italia, cit., pp. 445-446 (: l’inciso «a qualunque titolo» contenuto nell’art. 1 della l. n. 24/2001, «potrebbe ben riferirsi invece che alla natura degli interessi, al tipo di finanziamento, considerata la collocazione della norma dell’art. 1815, comma 2°, c.c. all’interno della disciplina del prototipo dei finanziamenti»); Oppo, Lo squilibrio contrattuale tra diritto civile e diritto penale, cit., p. 534 (: non si può includere direttamente nella previsione legislativa l’interesse moratorio che, infatti, «non ha causa solo nel godimento della somma ma nell’inadempimento e nel danno conseguente»). 65 Tra le pronunce in tal senso, cfr.: Trib. Roma, 10 luglio 1998, in Foro it., 1999, I, 343; Trib. Campobasso, 3 ottobre 2000, in Foro it., 2001, I, 333 ss., nota di A. Palmieri, Ascesa (giurisprudenziale) e declino (per decreto) dell’usurarietà sopravvenuta; Trib. Reggio Emilia, 24 febbraio 2015, in Foro it., 2015, I, 1805; Trib. Santa Maria C.V., 23 febbraio 2016 e 23 gennaio 2016, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, II, 735 ss., nota di Pincione, Il calcolo del “tasso di soglia” tra usura e interessi di mora; Trib. Treviso, 11 aprile 2014, in Giur. comm., 2015, II, 849 ss., nota di Rapisarda, Interessi usurari e meritevolezza delle clausole di riequilibrio nel contratto di leasing immobiliare; Trib. Palermo, 12 dicembre 2014, inedita; Trib. Marsala, 31 dicembre 2016, in iusletter.com; Trib. Verona, 12 settembre 2015; Trib. Brescia, 15 giugno 2017; Trib. Treviso, 9 dicembre 2014; Trib. Taranto, 17 ottobre; Trib. Venezia, 15 ottobre 2014, in www.ilcaso.it; Trib. Pesaro, 5 ottobre 2017; Trib. Torino, 27 aprile 2016; Trib. Chieti, 23 aprile 2015, in DeJure. it. Più di recente, crf.: Trib. Como, 11 ottobre 2017, in www.ilcaso.it; nonché, Trib. Bari, 17 marzo 2018 e Trib. Lucca, 28 febbraio 2018, ivi: la costituzione del TEG include (oltre agli interessi corrispettivi) anche ogni altra remunerazione aggiuntiva collegata

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l’eventuale invalidità della clausola attinente agli interessi moratori non potrà riflettersi anche sulla (accertata) validità ed efficacia di quella relativa ai compensativi, individuando, dette previsioni, paradigmi negoziali tra di loro autonomi, in quanto destinati ad essere applicati l’uno in alternativa dell’altro. De jure condendo, non può sottacersi che la necessità di un intervento legislativo di riforma (anche) sul punto è ormai non più rinviabile: potrebbe pensarsi, ad esempio, alla predisposizione di una disciplina antiusura ad hoc, con relativa sanzione della nullità ovvero −lì dove si escluda l’operatività del disposto ex art. 1815, co. 2, c.c. anche ai moratori −della loro riconduzione ai tassi di mercato od ai relativi tassi-soglia vigenti.

6. L’usurarietà degli interessi moratori nei diversi approcci ermeneutici della Corte di Cassazione e dell’Arbitro Bancario Finanziario. Come anticipato, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, ivi compreso quello della S.C., si è espresso a favore della rilevanza usuraria anche degli interessi moratori e della clausola penale di inadempimento, con la conseguente nullità delle stesse in caso di usurarietà originaria del relativo patto negoziale. Ciononostante, pur condividendo l’orientamento (invero ormai consolidato) della giurisprudenza sul punto, non risultano affatto risolti i ben più rilevanti problemi del “metro di giudizio” della valutazione usuraria dei moratori, nonché del trattamento sanzionatorio degli stessi, nel senso di ridurli ad un ipotetico tasso soglia costituito dalla maggiorazione di quello stabilito per i corrispettivi, come suggerito dalla banca centrale o dichiararne l’illegittimità con piena applicazione della sanzione prevista dal secondo comma dell’art. 1815 c.c. Il tema è tornato all’attenzione a séguito di una pronuncia della prima sezione civile della Corte di Cassazione del gennaio 201366, che, non certo potuto chiarire gli interrogativi di cui sopra né, tantomeno, ha fatto registrare un revirement in materia, essendosi limitati, i giudici di legittimità, a confermare il loro orientamento nel senso della ricomprensione

all’erogazione del credito, ivi compresi gli interessi di mora. 66 Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 675 ss., nota di Tarantino, Usura e interessi di mora; in Foro it., 2014, I, 128 ss., nota di Palmieri, Usura e sanzioni civili: aspetti ancora instabili; in Banca, borsa, tit. cred., 2013, II, 498 ss., nota di Dolmetta, Su usura e interessi moratori: questioni attuali.

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anche degli interessi moratori ai fini della disciplina in commento, sulla base dell’inciso «a qualunque titolo» contenuto nella previsione normativa di cui al D.L. n. 394/200067. A tal proposito, rileva non tanto quanto statuito dalla succitata pronuncia, quanto piuttosto i plurimi richiami ad essa nell’ambito di una non irrilevante parte dei successivi contenziosi in materia bancaria avverso gli istituti, spesso instaurati sulla base di argomentazioni fondate sulla pretesa costruzione del TEG quale mera somma algebrica della misura percentuale del tasso corrispettivo con prevista a titolo d’interesse moratorio. Sul punto diverse sono state le pronunce con le quali i giudici di merito (non diversamente dai collegi dell’ABF)68, hanno censurato, sotto il profilo giuridico e matematico69, siffatte operazioni di calcolo basate sull’illogica assimilazione di entità tra loro eterogenee dal punto di vista causale, di funzionamento e di determinazione. Pertanto, rappresentando la suddetta sommatoria un “non tasso”, ovvero un “tasso creativo”, in quanto percentuale relativa ad interessi mai applicati e comunque non applicabili alla parte finanziata, spesso si assiste al rigetto di domande fondate sostanzialmente sulla base di comparazioni artifi-

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Di una pronuncia «puramente ripetitiva» sul punto, ha parlato anche Sacchettini, Se il contratto prevede una clausola penale la riduzione a equità è demandata al giudice, in Guida diritto, 2013, 7, 26. L’aspetto è altresì messo in luce da Dolmetta, Su usura e interessi moratori, cit., 503, che al riguardo richiama diversi precedenti, anche se incentrati più specificamente sulla questione del diritto transitorio: Cass., 11 gennaio 2013, nn. 602 e 603, in www.ilcaso.it; Cass., 26 giugno 2001, n. 8742, in Giust. civ., 2002, 116; Cass., 13 dicembre 2002, n. 17813, in Giust. civ., Mass., 2002, 2188; Cass., 22 luglio 2005, n. 15497, ivi, 2005, 6; Cass., 13 maggio 2010, n. 11632, in Giust. civ., Mass., 2010, 5, 739; Cass., 22 aprile 2010, n. 9532, ivi, 2010, 4, 582; nonché, Cass. 7 aprile 1992, n. 4251, in Vita not., 1992, 1137 ss. Pertanto − conclude l’A. − il lato di «freschezza» della decisione sembra risedere piuttosto nell’essere il primo provvedimento della S.C. relativo ad una fattispecie concreta che per intero è venuta a svilupparsi sotto l’ombrello della l. n. 108/1996. Diverso discorso deve farsi con riguardo alla dottrina, nell’ambito della quale la ricomprensione degli interessi moratori ai fini della disciplina antiusura non è affatto scontato. Per una ricostruzione dottrinale sul tema,Salanitro, Usura e interessi moratori: ratio legis e disapplicazione del tasso soglia, in Gli interessi usurari, cit., p. 79 ss. 68 Ex plurimis: ABF, 20 novembre 2013, n. 5877; ABF, 18 marzo 2015, n. 2033; ABF, 29 maggio 2015, n. 4430; ABF, 16 giugno 2015, n. 4839; ABF, 23 novembre 2015, n. 8621; ABF, 28 settembre 2016, n. 8305; ABF, 6 ottobre 2016, n. 8879; ABF, 7 novembre 2016, n. 9872; ABF, 31 marzo 2017, n. 3496; ABF, 23 giugno 2017, n. 7335. 69 Nel senso dell’irrilevanza sostanziale del tasso nominale di mora ai fini della verifica dell’usurarietà dei finanziamenti con piano di ammortamento predominato “alla francese”, si vedano le osservazioni di Comana, Il tasso di mora nella disciplina sull’usura: un’analisi matematica, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 8, 2018.

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ciose di dati tra loro disomogenei70, se non addirittura sprovviste delle opportune allegazioni probatorie. Dalla considerazione della concreta causa giustificatrice del tasso d’interessi corrispettivi rispetto a quello relativo ai moratori, emerge che, mentre i primi sono pattiziamente stabiliti in dipendenza di un equilibrio contrattualmente concordato inter partes che determina anche i termini temporali in cui lo spostamento della disponibilità della somma di denaro da un soggetto all’altro abbia effetto, ai secondi, è affidata la funzione di compensare il creditore per la perdita della disponibilità di somme di denaro subita esclusivamente per il ritardo nel pagamento di quanto dovutogli e per un periodo di tempo non prevedibile. In altri termini, preconcordare la misura degli interessi moratori dovuti in caso di mancato od inesatto adempimento, non incide sulla natura giuridica del debito risarcitorio né annulla le differenze del relativo tasso determinativo rispetto a quello sub voce interessi corrispettivi. Peraltro, uno dei profili di maggiore criticità è quello relativo alla concreta determinazione del tasso moratorio che − generalmente indicato con il ricorso ad un autonomo tasso d’interesse oppure per relationem, mediante la previsione di uno spread a maggiorazione percentuale del saggio d’interesse corrispettivo applicato − viene applicato alla rata interamente considerata, comprensiva del capitale dovuto e degli interessi corrispettivi già maturati, secondo quanto previsto dal piano di ammortamento: poiché nelle operazioni di finanziamento con un sottostante piano di ammortamento prestabilito il problema dell’applicazione degli interessi moratori emerge in corso di rapporto e non già alla sua chiusura, ci si è chiesti se l’eventualità appena accennata, tipica nel caso ad es. di inadempimento di una rata del mutuo (o del leasing) con piano di ammortamento “alla francese”, venga o meno in rilievo un profilo usurario dell’anatocismo, inteso in senso ampio quale fenomeno operativo

70 In tal senso: Trib. Verona, 27 aprile 2014, in www.ilcaso.it; Trib. Padova, 10 marzo 2015, in iusletter.com; Trib. Milano, 8 marzo 2016, in DeJure.it; Trib. Treviso, 11 febbraio 2016, ivi; Trib. Milano, 28 gennaio 2014, in www.dirittobancario.it; Trib. Livorno, 3 maggio 2016, cit.; Trib. Modena, 26 settembre 2017, in Riv. dir. banc., nota di Tandoi, Profili di nullità del mutuo: non cumulabilità di interessi corrispettivi e interessi moratori ai fini della verifica del rapporto ed effetti della errata indicazioni dell’ISC; Trib. Bologna, 29 settembre 2017, in iusletter.com; Trib. Torino, 14 maggio 2015 e Trib. Bergamo, 25 febbraio 2016, in www.expartecreditoris.it; Trib. Santa Maria C.V., 23 gennaio 2016, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, II, 735.

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per cui gli interessi maturati su un credito vengono posti a base di un nuovo ed ulteriore conteggio71. Sul punto, la dottrina non è concorde, sostenendo, da un lato, che l’ipotesi realizzi una vera e propria sommatoria tra i due tassi (seppur non nel senso di una loro combinazione meramente algebrica, dovendosi necessariamente considerare il tasso di mora all’interno dei costi effettivamente sostenuti dal mutuatario per la conclusione del contratto, individuati attraverso un autonomo «tasso interno di rendimento»)72; e, dall’altro, che i suddetti tassi moratori non si sommano ai corrispettivi della rata scaduta ed insoluta, bensì vi si sostituiscono: scaduta la rata, gli interessi corrispettivi vengono “inglobati” dalla stessa73. Sulla questione si è pronunciato più volte lo stesso Arbitro Bancario Finanziario escludendo il ricorso di un fenomeno anatocistico, qualificando la rata scaduta−nella sua acquisita inscindibilità funzionale − quale oggetto di un debito unitario, con la conseguenza che non si viene a concretizzare alcuna sommatoria di interessi, operando i moratori sull’unico debito esistente74. Pur essendoci limitati ad un veloce cenno rispetto ad un tema che meriterebbe ben altro spazio, è necessario rilevare come sul punto, a dispetto della soluzione della maggioranza della giurisprudenza (ordinaria

71 Sul tema: Dolmetta, Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle clausole «da inadempimento»), in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 1, 2015; Griffo, Interessi moratori, usura e anatocismo: la querelle infinita, in Contr., 2015, p. 507 ss.; Rondinelli, Appunti e spunti in tema di usura contrattualizzata nei contratti di mutuo (e non solo) a margine dell’Ordinanza del Tribunale di Milano del 28/01/2014, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 9, 2014. 72 Griffo, Interessi moratori, usura e anatocismo: la querelle infinita, cit., p. 510. 73 D’Amico, Interessi usurari e contratti bancari, in Gli interessi usurari, cit., p. 23. 74 ABF,13 gennaio 2014, n. 125. La tesi è stata poi ripresa, fra gli altri, dalla pronuncia dell’ABF Collegio di coord., 30 aprile 2014, n. 2666, in Nuova giur. civ. comm., 2014, p. 482 ss., nota di Volpe, Usura e interessi moratori nel linguaggio dell’Arbitro Bancario Finanziario.In giurisprudenza, cfr. le pronunce richiamate dallo stesso ABF Napoli, dec. n. 125/2014: Cass., 21 ottobre 2005, n. 20449 in Foro it., Rep., 2005, Credito fondiario, n. 8; Cass., 31 gennaio 2006, n. 2140, in Corr. giur., 2007, 3, 393 ss.; con riguardo ai mutui fondiari per i contratti anteriori al 1.1.1994, v. Trib. Roma, 6 agosto 2003, in Temi romana, 2003, 70; Trib. Napoli, 8 giugno 2001, in Foro it., Rep.,2003, Credito fondiario, n. 7; contra Cass., 20 febbraio 2003, n. 2593, in Foro it., 2003, I, 1774; Trib. Pescara, 23 agosto 2005, in Foro it., 2006, I, 1755. Per un quadro sui divergenti orientamenti della giurisprudenza e dell’ABF in punto di ricomprensione degli interessi moratori nell’ambito applicativo della legge n. 108/1996: Piraino, Usura e interessi, in Gli interessi usurari, cit., p. 116 ss.; Civale, Anatocismo, usura, interessi e commissioni, Roma, 2017, p. 131 ss.

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ed arbitrale) sul punto, non sono mancate, anche di recente, pronunce in senso opposto, che oltre a considerare la mora ricompresa nel perimetro applicativo degli artt. 1815, co. 2, c.c. e 644 c.p., ne hanno altresì valorizzato il contributo ai fini del superamento del tasso-soglia, unitamente con il tasso corrispettivo75. Venendo agli orientamenti dell’Arbitro Bancario Finanziario, la questione della (ir)rilevanza degli interessi moratori ai fini della disciplina in commento è inizialmente emersa in connessione alle censure relative al succitato metodo della sommatoria dei moratori con quelli corrispettivi, stante il «carattere risarcitorio» dei primi e la possibilità di ricorrere allo strumento rimediale ex art. 1384 c.c. nel caso di loro eccessiva onerosità: se «l’interesse moratorio, dal punto di vista del debitore, assolve ad un ruolo essenzialmente dissuasivo, ricordandogli che l’inadempimento comporta per lui un aggravio dell’onere», dal punto di vista del creditore «assume un ruolo puramente risarcitorio, non rappresentando un vero e proprio corrispettivo del credito erogato»76. Sollecitato dalla rimessione ad opera del Collegio ABF di Roma (con ordinanza del 17 gennaio 2014, n. 260), sul tema è intervenuto il Collegio di Coordinamento, con la decisione del 28 marzo 2014, n. 187577, con la quale ha chiarito l’estraneità degli interessi moratori dal campo applicativo della disciplina antiusura (stante la loro ricordata natura di liquidazione forfettaria minima del danno da ritardo nelle obbligazioni

75 Cfr.: App. Roma, 7 luglio 2016, in Contr., 2017, p. 131 ss., nota di Labella, Interessi di mora e applicabilità della normativa antiusura; Trib. Como, 13 luglio 2017, in Quotidiano giur., 1° settembre 2017; App. Venezia, 18 febbraio 2013, in www.ilcaso. it; Trib. Padova, 13 maggio 2014, in www.dirittobancario.it; Trib. Udine, 26 settembre 2014, in Danno e resp.,2015, 522 ss, nota di Sangiovanni, Interessi corrispettivi e moratori, tasso-soglia usura e clausola penale; Trib. Brindisi, 8 novembre 2017, in www.ilcaso.it; Trib. Bari, 11 gennaio 2018, ivi. 76 In tal senso, cfr. ABF, 20 novembre 2013, n. 5877; ABF, 17 gennaio 2014, n. 260; nonché, ABF, 13 gennaio 2014, n. 125:le «ragioni principali di questa differenziazione ruotano, in primo luogo, intorno alla funzione degli interessi moratori. Questi configurano, com’è noto, una sorta di liquidazione presuntiva e forfettaria del danno causato dal mancato o ritardato pagamento di un’obbligazione pecuniaria (art. 1224, co. 1, c.c.). La loro caratteristica è quella di essere dovuti dal giorno della mora. Si osservi che il creditore ha diritto agli interessi moratori anche se non erano previsti nel contratto (art. 1224, co. 1, c.c.), ed a prescindere dalla prova del danno subito». 77 ABF, Collegio di coord., 28 marzo 2014, n. 1875, in Contr., 2015, p. 25 ss., nota di Volpe, Interessi moratori e usura; nonché, in Nuova giur. civ. com., 2014, p. 928 ss., nota di Mizzau, La riduzione equitativa degli interessi moratori sproporzionati nell’attuale mercato del credito.

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pecuniarie), e l’applicabilità di un altro e diverso profilo rimediale: quello, appunto, della diminuzione equitativa per manifesta eccessiva onerosità, integrando una vera e propria clausola penale. D’altra parte, all’impossibilità di assimilarne la natura e la funzione osta anche la diversa intensità del rischio creditorio sottesa alla determinazione della misura degli interessi corrispettivi da un lato e degli interessi moratori dall’altro: se la prima misura presuppone la regolarità ed esattezza del pagamento dovuto, la seconda «incorpora l’incertezza relativa al momento della solutio, posto che il soddisfacimento delle ragioni creditorie non è più affidato alla fisiologica esecuzione del contratto, ma ai rimedi che assistono il creditore deluso, il quale può anche rimanere tale per sempre»78. È orientamento costante dei collegi dell’Arbitro Bancario Finanziario che la previsione pattizia della misura degli interessi moratori, così come universalmente praticata nei contratti bancari, sia perfettamente assimilabile ad una clausola penale e che, pertanto, a tali clausole sono direttamente applicabili le normative relative alla clausola penale o altra nomenclatura equivalente. Ciò, ovviamente, non equivale ad escludere qualsivoglia vaglio di legittimità in merito a tali interessi, soccorrendo in tale ipotesi il potere officioso del giudice di ridurre il tasso convenzionale degli interessi moratori ove manifestamente eccessivo (art.1384 c.c.), o di considerare vessatoria la relativa clausola, con conseguente dichiarazione di nullità (artt. 33, co. 2, lett. f) e 36, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206). Orbene, nonostante la prassi faccia ricorso a varianti terminologiche del lemma «clausola penale», occorre precisare che la clausola in oggetto, propriamente detta, è esclusivamente quella disciplinata all’art. 1382 c.c., a norma del quale le parti possono convenire, in caso di inadempimento o ritardo, l’obbligo dell’inadempiente ad una predeterminata prestazione, limitando ad essa il risarcimento del danno (salva la convenzione di risarcibilità del danno ulteriore). Pertanto, la prestazione oggetto della clausola penale, intesa in senso tecnico, consegue all’inadempimento, imputabile alla parte ex art. 1228 c.c., suscettibile di fondare un diritto al risarcimento del danno: in essa, infatti, le parti compiono ex ante una

78

L’impostazione è confermata dalle successive pronunce dell’Arbitro. A titolo esemplificativo: ABF, 12 maggio 2015, n. 3703; ABF, 25 giugno 2015, n. 5080; ABF, 23 novembre 2015, n. 8621; ABF, 18 febbraio 2016, n. 1497; ABF, 27 settembre 2016, n. 8295; ABF, 20 ottobre 2016, n. 9266; ABF, 31 marzo 2017, n. 3596; ABF, 1° giugno 2017, n. 6116; ABF, 28 giugno 2017, n. 7670.

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valutazione economica del futuro insuccesso del contratto, liquidando preventivamente il risarcimento dovuto per l’inadempimento ed il ritardato adempimento (o entrambe le denegate ipotesi)79.

7. Cenni in tema di “clausole di salvaguardia”. Altro profilo connesso alla problematica rilevanza della mora ai fini della verifica dell’usurarietà del tasso, è quello relativo alla frequente inserzione di clausole negoziali c.dd. “di salvaguardia” nei contratti che implicano un’erogazione del credito: previsioni finalizzate ad impedire il superamento del tasso soglia, con l’effetto dell’automatica riconduzione del tasso usurario entro i limiti legali. Trattasi di una regola di compliance, sostanzialmente alternativa alla previsione di apposite clausole di rinegoziazione del contratto80, attraverso la quale far fronte alla discesa dei tassi d’interesse rilevanti ai fini della normativa anti-usura; in coeren-

79 Quanto alla funzione della clausola penale, la dottrina non ha fornito sempre interpretazioni unanimi. In particolare, si sono potute individuare almeno tre tesi principali: quella attributiva alla clausola de qua della funzione di determinare, in via preventiva e forfetaria, il danno derivante dal mancato od inesatto adempimento di una delle parti; quella che identifica nella penale uno strumento caratterizzato da una funzione al contempo preventiva (nel senso di induzione all’adempimento) e punitiva (per la possibilità di dichiarare coercibile un’obbligazione di pagamento di una somma potenzialmente non corrispondente ai danni effettivamente subiti, come confermerebbe lo stesso art. 1382 c.c. che svincola dal danno l’esigibilità della penale); quella che, infine, riconosce alla penale la duplice funzione risarcitoria ed afflittiva, nel senso di compendiare sia la funzione risarcitoria, volta a colmare l’incidenza effettiva dei danni, sia la sanzione afflittiva, finalizzata a sanzionare l’inosservanza del comportamento dovuto.Per un quadro generale della tematica, recentemente: Smorto, Clausola penale, in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg. VIII, Torino, 2013, p. 141 ss.; Lucchini Guastalla, Riflessioni in tema di clausola penale, in Riv. dir. civ., 2014, I, p. 91 ss.; Citarella, La penale esigua e l’equità del contratto, Torino, 2016. 80 Del Prato, Sulle clausole di rinegoziazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2016, I, p. 801 ss., le clausole negoziali volte a porre un rimedio alle sopravvenienze sono essenzialmente riconducibili a due generali tipologie: le clausole di adeguamento automatico o demandato ad un terzo e le clausole di rinegoziazione. Nonostante la molteplicità dei profili di differenziazione, in entrambi le ipotesi sono previste condizioni, sospensive o risolutive, che generano l’adeguamento (ora automatico, ora rimesso al terzo) del contratto ovvero il dovere di rinegoziare. Tanto le clausole di rinegoziazione quanto quelle di adeguamento, «gestiscono le sopravvenienze e perseguono una distribuzione convenzionale del rischio contrattuale», nel senso che fissano in negativo l’alea normale del contratto.

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za con la finalità dell’istituto bancario di tutelarsi dal rischio del futuro abbassamento dei tassi d’interesse, l’operatività della clausola de qua si può rintracciare nel caso in cui, per effetto di vicende sopravvenute, il tasso applicato al rapporto finisca per sforare il tasso-soglia vigente in uno o più trimestri successivi, e non già quando le pattuizioni risultino contrarie al precetto di legge sin dall’origine. Tra le fattispecie ipotizzabili, si pensi alla previsione negoziale di una clausola a norma della quale il tasso di mora dovuto dal correntista inadempiente viene calcolato in una misura pari al tasso-soglia, arrotondato per difetto a favore del cliente, oppure all’inserzione di clausole che prevedano la sostituzione automatica del tasso di interesse pattuito nel caso in cui questo, anche medio tempore, superi quello di volta in volta corrispondente al limite massimo consentito dalla legge in materia antiusura: in dette circostanze verrebbe in rilievo l’idoneità della previsione di far salvo il rapporto contrattuale dal pericolo di sforamento del tasso legale, con esclusione del meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 1815, co. 2, c.c.81. Se alcuni tribunali hanno giudicato sufficiente la previsione della clausola de qua ad escludere “a monte” l’usurarietà dei tassi concretamente pattuiti dalle parti82, non sono mancate pronunce volte ad escludere una siffatta, insita idoneità, con conseguente nullità del saggio d’interessi previsto e la gratuità dell’intero contratto, in caso di superamento del tasso soglia da parte del TEG83.

81

Trib. Padova, 13 gennaio 2016, in www.ilcaso.it. Cfr.: Trib. Napoli, 9 gennaio 2014, in Quotidiano giur.,6 febbraio 2014, pp. 6-7, nota di Dentis, La clausola di salvaguardia inserita nel contratto di mutuo inibisce lo sforamento del tasso soglia; Trib. Napoli, 4 giugno 2014, in www.altalex.com, nota di Tanza, Mutuo: l’efficacia della clausola di salvaguardia degli interessi moratori; Trib. Rimini 14 marzo 2015, in www.expartecreditoris.it; Trib. Tivoli, 18 febbraio 2015, ivi; Trib. Roma 16 settembre 2014, in www.ilcaso.it; Trib. Marsala, 31 dicembre 2016, cit.; Trib. Milano, 3 dicembre 2014, in www.dirittobancario.it. Vedi anche Trib. Roma, 21 ottobre 2015, in www.expartecreditoris.it, che, in relazione ad un contratto di leasing finanziario, ha valutato la previsione contrattuale della clausola di salvaguardia ivi inserita come idonea «ad escludere in radice la pattuizione di interessi usurari». 83 Trib. Bari, 14 dicembre 2015, in Contr., 2016, p. 455 ss., nota di Sangiovanni, Interessi di mora e clausole di salvaguardia contro il rischio di usura. Vedi anche: Trib. Benevento, 30 dicembre 2015, in www.ilcaso.it; Trib. Brindisi, 7 aprile 2016, ivi; Trib. Asti, 6 luglio 2015, in indebitibancari.altervista.org; Trib. Bologna, 6 marzo 2015, in www. sdlcentrostudi.it (la presenza di una clausola di salvaguardia non esclude di per sé il rischio di applicazione di interessi usurari, pertanto il CTU, nell’eseguire le proprie operazioni peritali, dovrà accertare il concreto contenimento o meno degli interessi moratori al di sotto del TSU); Trib. Brindisi, 5 dicembre 2017, in www.ilcaso.it. 82

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Ciò detto, non convince a pieno la tesi per cui la mera pattuizione di una clausola di salvaguardia al momento della stipula del contratto escluda di per sé il superamento della soglia d’usura: dette clausole sono per lo più previste in riferimento ai soli interessi moratori, così come nominalmente ed atomisticamente previsti in contratto, ragion per cui, non sono mancate pronunce tese a dichiarare l’inefficacia della clausola di salvaguardia che si limiti a ricondurre al tasso soglia i soli costi contrattuali riferiti agli interessi moratori, senza alcun riferimento alcuno agli ulteriori oneri previsti a carico del cliente84. Sul punto è recentemente intervenuta la S.C. che, in relazione ad una clausola di automatica di riconduzione del costo del credito al limite soglia antiusura previsto, ratione temporis, dai vari decreti ministeriali intervenuti nel corso del rapporto regolato in conto corrente in cui essa era stata inserita, pur ammettendone l’astratta liceità, ne ha negato la sussistenza in concreto, in quanto destinata ad operare solo in chiusura del rapporto e non già in costanza del medesimo85. Più specificamente, i giudici di legittimità hanno rintracciato nel fatto che la banca non avesse provveduto, in sede di chiusura trimestrale o annuale del conto, alla riconduzione infra-soglia del costo del credito, la spia di un intento elusivo della norma imperativa ex art. 1815, co. 2, c.c., qualificando la relativa pattuizione come convenuta in frode alla legge e, pertanto, nulla ai sensi dell’art. 1344 del codice civile86.

84 Così, Trib. Bari, 18 ottobre 2016, in www.ilcaso.it. La presenza di una clausola di salvaguardia che riconduce la misura degli interessi moratori al limite massimo del tasso soglia dell’usura non rileva al fine di escludere l’usurarietà del tasso convenuto, qualora il contratto espressamente preveda, oltre agli interessi, anche una commissione per estinzione anticipata e spese di assicurazione. Ne deriva che per valutare se il tasso pattuito supera il tasso soglia è necessario cumulare gli interessi moratori con la commissione di estinzione anticipata e le altre spese: così, Trib. Bari, 27 novembre 2015, in www.ilcaso.it. 85 Cass., 22 giugno 2016, n. 12965, in Contr., 2016, p. 969 ss., nota di Farina, Clausole di salvaguardia, commissione di massimo scoperto e divieto delle usure. Secondo i giudici di legittimità, «la clausola contenuta nei contratti di apertura di credito in conto corrente, che preveda l’applicazione di un determinato tasso sugli interessi dovuti dal cliente e con fluttuazione tendenzialmente aperta, da correggere con sua automatica riduzione in caso di superamento del c.d. “tasso soglia usurario”, ma solo mediante l’astratta affermazione del diritto alla restituzione del supero in capo al correntista, è nulla ex art. 1344 c.c., perché tesa ad eludere il divieto di pattuire interessi usurari, previsto dall’art. 1815 c.c., comma 2, per il mutuo, regola applicabile per tutti i contratti che prevedono la messa a disposizione di denaro dietro una remunerazione». 86 Sul punto, critico Farina, Clausole di salvaguardia, commissione di massimo

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Scorrendo le decisioni rese dall’Arbitro Bancario Finanziario in punto di contestazione dell’usurarietà degli interessi applicati nei confronti del cliente, non è raro imbattersi in eccezioni sollevate dall’intermediario fondate sulla presenza in contratto di apposite clausole di salvaguardia, che, per lo più previste in tema d’interesse moratorio, sarebbero idonee a contrastare ab origine il rischio di usura. Pur senza argomentare particolarmente sul punto, l’orientamento dell’ABF ammette l’esclusione dell’usura in presenza di una apposita clausola contrattuale di salvaguardia che, tanto in maniera autonoma ed espressa, quanto a séguito di una interpretazione unitaria del più ampio contesto negoziale in cui essa è calata, esclude sin dall’inizio lo sforamento della soglia legale trimestralmente determinata, da parte del tasso d’interesse concretamente applicato87. Pertanto, essa è pacificamente ritenuta in grado di tutelare le ragioni del cliente in maniera adeguata, in considerazione del fatto che le parti, indicando l’ammontare del tasso massimo applicabile nei limiti della L. 7 marzo 1996, n. 108, assegnerebbero alla clausola negoziale in oggetto il precipuo compito di escludere, sin dall’origine, entrambe le ipotesi previste dalla fattispecie penale di cui all’art. 644 c.p., che, infatti, non parla solo di «dare», ma anche di «promettere» interessi od altri vantaggi usurari. Vi è però da osservare che, stando almeno alla casistica fin qui esaminata, la clausola di salvaguardia risulta sempre circoscritta al solo tasso moratorio, e non già − più correttamente − alla previsione di tutti gli

scoperto, cit., pp. 977-978, il quale, partendo dalla valorizzazione, operata dalla stessa S.C., del principio ermeneutico ex art. 1362, co. 2, c.c., con riferimento al comportamento dei contraenti successivo alla stipulazione, ivi compreso quello meramente esecutivo, osserva che «se le clausole devono essere interpretate, pur nella loro letteralità, le une per mezzo delle altre, un’esegesi unitaria del dato negoziale al momento della pattuizione condurrebbe ad escludere l’integrazione in quella sede dell’intento elusivo. Sulla base di tali presupposti il comportamento successivo tenuto dalla banca e subìto dal cliente, consistito in un addebito sul conto di spese e competenze al di sopra della soglia, ben potrebbe, alla luce appunto della sua unilateralità, essere ricondotto nell’alveo del mero inadempimento e come tale sanzionato con il risarcimento del danno e, in considerazione della sua gravità, con la risoluzione, senza il ricorso al rimedio della nullità». 87 In tal senso, cfr.: ABF, 21 maggio 2014, n. 3358; ABF, 2 ottobre 2014, n. 6460; ABF 19 settembre 2014, n. 6081; ABF, 17 ottobre 2014, n. 6819; ABF, 20 gennaio 2015, n. 394; ABF 8 aprile 2015, n. 2693; ABF, 4 maggio 2015, n. 3492; ABF, 4 settembre 2015, n. 6559; ABF, 4 dicembre 2015, n. 8989; ABF, 9 febbraio 2016, n. 1132; ABF, 25 febbraio 2016, n. 1742; ABF, 24 giugno 2016, n. 5910; ABF, 20 dicembre 2016, n. 11186; ABF, 2 maggio 2017, n. 4575;ABF, 25 luglio 2017, n. 9032.

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oneri legati all’inadempimento88, anche a discapito della sua funzione di «indice sintomatico dell’agire improntato a canoni di virtuosità in contrahendo da parte della banca»89. Così facendo, infatti, la suddetta clausola è sì operante, ma solo limitatamente ad uno dei tassi semplici indicati in contratto, mentre dal tenore della normativa chiaramente emerge la necessità di una più ampia ricomprensione degli oneri, pur distinti con riguardo alla funzione concretamente svolta ed alla attualità o meno della loro applicazione al rapporto contrattuale.

8. Polizza assicurativa e contratto di finanziamento: le recenti interpretazioni convergenti della giurisprudenza di legittimità e del Collegio di Coordinamento ABF. Come si è già avuto modo di sottolineare, ai fini dell’accertamento della usurarietà o meno di un finanziamento, si deve tener conto non solo degli interessi stricto sensu intesi, ma anche di tutte quelle voci di costo collegate all’erogazione del credito, ad eccezione di quelle previste per imposte e tasse. A tal riguardo, uno dei momenti più interessanti del “dibattito” relativo alla controversa ricostruzione degli oneri rilevanti ai fini della disciplina antiusura, ha riguardato la questione della ricomprensione nel TEG della polizza assicurativa sottoscritta in sede di erogazione del finanziamento e ad esso collegata. In altri termini, se la determinazione del tasso effettivo globale dev’essere condotta tenendo conto delle commissioni, delle remunerazioni a

88

Sul punto, Farina, Clausole di salvaguardia, commissione di masso scoperto, cit., p. 979; nonché, Tanza, Mutuo: l’efficacia della clausola di salvaguardia, cit., il quale osserva come la clausola de qua, per poter efficacemente tutelare il cliente e porre al riparo l’istituto da future contestazioni in punto di usurarietà degli interessi, «dovrebbe essere diretta non solo agli interessi di mora, che costituiscono solo un componente dell’interesse usurario, ma dovrebbe coinvolgere l’intera economia negoziale. L’usura potrebbe esserci anche con il solo interesse corrispettivo e di certo la clausola di salvaguardia, specifica all’interesse di mora, non salverebbe la banca dalla commissione del reato di usura». Pur sinteticamente, sul tema vedi anche Volanti, Clausola di determinazione degli interessi moratori, in Confortini, a cura di, Clausole negoziali, Torino, 2017, pp. 262-263. 89 Su questo punto, a fronte della recente pronuncia delle Sezioni unite che hanno escluso la violazione del canone della buona fede a fronte dell’esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, si vedano le osservazioni di Pagliantini, L’usurarietà sopravvenuta, cit., p. 1493.

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qualsiasi titolo e delle spese poste concretamente a carico del cliente, in detto calcolo dovrebbe essere ricompresa anche la polizza assicurativa stipulata a garanzia del rimborso da parte del soggetto finanziato, attesa la sua (seppur indiretta) natura remunerativa per l’istituto mutuante. Com’è noto, infatti, detti prodotti assicurativi presentano elementi causali concreti di garanzia per la banca, che sarà assicurata per il debito residuo a fronte di eventi che potrebbero compromettere l’integrità economica del mutuatario, aumentando il rischio d’insolvibilità90. Orbene, molte delle pronunce intervenute sul tema hanno distinto tra l’obbligatorietà e la facoltatività della copertura assicurativa, ricomprendendola nel perimetro applicativo della disciplina anti-usura solo a fronte della prima delle suddette eventualità: una circostanza invero difficilmente accertabile poiché, al di là del dato meramente formale delle indicazioni contrattuali in tal senso, da tempo è invalsa la prassi di abbinare il prodotto assicurativo di «credit protection» alle operazioni bancarie di finanziamento, a prescindere dalla sua qualificazione opzionale91. Infatti, l’Arbitro Bancario Finanziario ha più volte ricordato come

90 In dottrina, senza pretesa di esaustività: Candian, Assicurazione e garanzie del credito, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, I, p. 632 ss.; Caleo, Le polizze assicurative connesse ai mutui tra regolamentazione e mercati, in Obbl. contr., 2012, p. 906 ss.; D’Ostuni, Le polizze abbinate ai mutui ed ai finanziamenti, in Civale, a cura di, La trasparenza bancaria, Milano, 2013, p. 527 ss.; Pirilli, Le polizze assicurative connesse ai mutui tra tutela del cliente ed equilibrio del mercato, in Contr., 2013, p. 943 ss.; Fausti,Assicurazioni del debitore a “garanzia” dei mutui ipotecari: considerazioni sulla recente disciplina, ibidem, 2014, I, p. 614 ss.; Malvagna, Nel focus del credito al consumo: gli oneri economici della «cessione del quinto», in Riv. dir. civ., 2015, II, p. 1532 ss.; Freda, L’abbinamento ed il collegamento negoziale, in Marano e Siri, a cura di, Le assicurazioni abbinate ai finanziamenti, Milano, 2016, p. 121 ss.; Camedda,I contratti di assicurazione collegati a mutui e finanziamenti. L’obbligo di rimborso del premio assicurativo in caso di estinzione anticipata del finanziamento, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it., 27, 2018, p. 1 ss. 91 Quanto appena osservato è altresì emerso da una recente lettera al mercato resa a séguito di una indagine conoscitiva condotta congiuntamente da Ivass e Banca d’Italia [Lettera al mercato Classificazione III 2 6 − Oggetto: «Polizze abbinate a finanziamenti (PPI –Payment Protection Insurance). Misure a tutela dei clienti», del 26 agosto 2015, in www.bancaditalia.it], nella quale le due autorità di vigilanza hanno dato conto, non solo delle criticità relative alla «produzione» ed alla «distribuzione» delle polizze combinate ai finanziamenti, ma anche della reale facoltatività di molte di esse. Più in particolare, dalle risultanze degli accertamenti ispettivi condotti nei propri ambiti di competenza, «sono emersi casi in cui l’erogazione del prestito è risultata sistematicamente abbinata alla sottoscrizione di una polizza di assicurazione nonostante la natura facoltativa di quest’ultima. Alcuni indici di “penetrazione assicurativa” rilevati, risultati anche

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l’espressa qualificazione negoziale della polizza assicurativa in termini di sua facoltatività non è di per sé dirimente ai fini della valutazione usuraria della voce di costo, stante l’inadeguatezza del mero dato formale e la previsione normativa di cui all’art. 121 t.u.b., secondo la quale «[n]el costo totale del credito sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito, o per ottenerlo alle condizioni offerte»92. Rispetto alla problematica dell’inclusione delle voci di costo assicurative nel calcolo del TEG93, in più occasioni i collegi territoriali dell’Arbitro Bancario Finanziario si sono pronunciati con riguardo ai finanziamenti erogati mediante cessione del quinto della retribuzione o della pensione, o con delegazione di pagamento, rispetto ai quali previsione di cui all’art. 54 del D.P.R. n. 180/195094 sembrerebbe escludere qualsiasi ipotesi di rilevanza usuraria.

superiori all’80%, possono essere sintomatici del carattere sostanzialmente vincolato delle polizze». 92 Cfr.: ABF, 2 aprile 2015, n. 2600; ABF, 22 ottobre 2015, n. 8128; ABF, 27 gennaio 2016, n. 735; ABF, 13 settembre 2016, n. 7811; ABF, 16 settembre 2016, n. 8009; ABF Collegio coord., 12 settembre 2017, nn. 10617, 10620 e 10621. In particolare, in queste ultime pronunce, il Collegio di coordinamento dà conto del fatto che, quantomeno in termini generali, «la stipulazione di una polizza assicurativa può incidere sulle condizioni del contratto di finanziamento (e, a seconda dei casi, anche sulla sua stessa conclusione) ogni qual volta sia idonea ad incidere ex ante – eliminandolo o riducendolo – sul rischio di solvibilità del cliente sopportato dal finanziatore; rischio che, come noto, costituisce uno dei principali fattori in base ai quali lo stesso finanziatore compie normalmente la valutazione sul merito creditizio del cliente (art. 124-bist.u.b.) e definisce al contempo le condizioni del credito». 93 Tra le pronunce della giurisprudenza di merito, cfr.: Trib. Alba, 18 dicembre 2010, in Giur. it., 2011, 860 ss., nota di Cottino, Non tutta l’usura ha matrici criminali; App. Milano, 22 agosto 2013, in www.dirittobancario.it; Trib. Chieti, 27 gennaio 2017, ibidem; App. Milano, 14 marzo 2014, in www.ilcaso.it; Trib. Reggio Emilia, 9 luglio 2015, in www. ilcaso.it; Trib. Prato, 11 giugno 2016, in DeJure.it; Trib. Roma, 15 giugno 2017, ibidem; Trib. Busto Arsizio, 12 marzo 2013, in Foro padano, 2013, 322 ss.; App. Torino, 20 dicembre 2013, in www.ilcaso.it; Trib. Padova, 14 marzo 2014, in www.dirittobancario.it. 94 Norma ai sensi della quale le suddette tipologie di finanziamento «devono avere la garanzia della assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego od altre malleverie che ne assicurino il ricupero nei casi in cui […] non sia possibile la continuazione dell’ammortamento o il ricupero dei residuo credito»: una previsione che pertanto escluderebbe i relativi costi di assicurazione dal perimetro dell’autonomia negoziale delle parti, in quanto direttamente derivanti da un requisito di legge, con la conseguente loro assimilazione alla componente relativa alle «imposte e tasse», esclusa dal conteggio ai fini del superamento del tasso-soglia di usura (artt. 644, co. 4, c.p.; art. 2, co. 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108).

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Per vero, in occasione della “revisione” delle proprie «Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura», nell’agosto del 2009 la Banca d’Italia, contrariamente da quanto stabilito nella precedente versione delle stesse, ha ricompreso le polizze assicurative nel calcolo TEG delle operazioni di prestito contro cessione del quinto dello stipendio ed assimilate95.Sul punto, l’orientamento dei Collegi territoriali dell’ABF si è dimostrato coerente con quanto indicato dalla banca centrale, ritenendone vincolante la metodologia di calcolo applicata e la classificazione dei costi da computare in relazione alle categorie omogenee di operazioni creditizie specificate dalle medesime Istruzioni. Nonostante l’espressa qualificazione di «facoltativa», talora la copertura assicurativa deve in realtà considerarsi obbligatoria, lì dove le connotazioni formali indicate in contratto non appaiano decisive, in sede di interpretazione complessiva dell’operazione economica, a risolvere la questione controversa, stante l’insufficienza del mero dato formale. Proprio alla luce di un siffatto approccio ermeneutico, in alcuni casi l’ABF ha escluso la rilevanza ai fini dell’usura di quelle polizze che non appaiono in alcun modo collegate al contratto di finanziamento, in quanto sostenute da una propria autonoma causa negoziale a copertura di rischi del tutto indipendenti dalle ragioni del credito: si pensi a quelle polizze, occasionali e prive di collegamento funzionale con l’operazione principale, che non risultano riconducibili nell’ambito del «credit insurance protection», e pertanto escluse dalla competenza arbitrale (ad es. una polizza di assistenza medica domiciliare)96. A ben vedere, il dibattito in discorso ha conosciuto una rinnovata attualità a séguito di una recente pronuncia della Corte di Cassazione97 in

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Contestualmente, era altresì previsto (lettera D) Norme transitorie − D1. Periodo transitorio, delle Istruzioni)un periodo transitorio (ricompreso tra il 1° luglio ed il 31 dicembre 2009) durante il quale, al fine di verificare il rispetto del limite del tasso-soglia, gli intermediari avrebbero dovuto attenersi ai criteri indicati nella precedente versione delle Istruzioni della Banca d’Italia e dell’UIC (pubblicate rispettivamente nella G.U. n. 74 del 29 marzo 2006 e n. 102 del 4 maggio 2006), pertanto restando esclusi dal calcolo del TEG gli oneri assicurativi imposti per legge direttamente a carico del cliente (spese per assicurazione in caso di morte, invalidità, infermità o disoccupazione del debitore), anche per il tramite dell’intermediario, purché certificati da un’apposita polizza. 96 Senza pretesa di esaustività, cfr.: ABF, 4 marzo 2015, n. 1537; ABF, 30 settembre 2015, n. 7705; ABF, 25 ottobre 2016, n. 9542; ABF, 5 gennaio 2017, n. 19; ABF, 20 gennaio 2017, n. 498; ABF, 11 aprile 2017, n. 3985. 97 Cass., 5 aprile 2017, n. 8806, in www.dirittobancario.it. Soluzione successivamente confermata dalla Cass., 16 aprile 2018, n. 9298, ibidem: il costo della polizza assicurativa

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merito ad un finanziamento al quale risultavano applicabili ratione temporis le Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia nel 2001 che, nonostante includessero nel calcolo del TEG le «spese per assicurazione e garanzia», erano state interpretate − peraltro senza il supporto di un adeguato itinerario argomentativo − dal giudice d’appello nel senso della implicita esclusione delle polizze (asseritamente) sottoscritte in assenza di vincoli98. Nel cassare con rinvio la sentenza di merito sul punto, la S.C. ha affermato il principio di diritto per cui, «in relazione alla ricomprensione di una spesa di assicurazione nell’ambito delle voci economiche rilevanti per il riscontro dell’eventuale usurarietà di un contratto di credito, è necessario e sufficiente che la detta spesa risulti collegata all’operazione di credito»; sussistenza che, tra l’altro, pur essendo con qualunque mezzo di prova, «risulta presunta nel caso di contestualità tra la spesa e l’erogazione»99. La soluzione si mostra consapevole della necessità di valorizzare il collegamento negoziale tra il finanziamento e la copertura assicurativa e, di conseguenza, le relative cause contrattuali: argomento non sempre pacificamente configurabile, soprattutto con riguardo all’individuazione del peso che assumono l’elemento soggettivo (ossia la volontà − esplicita od implicita − di coordinare i negozi al fine di indirizzarli verso un fine comune ed ulteriore) e quello oggettivo (che guarda più

accessoria al contratto di finanziamento, conclusa nell’interesse (non già dell’assicurato, bensì) dell’istituto finanziatore, al fine di garantirlo dal rischio d’incapacità patrimoniale sopravvenuta del finanziato, concorre alla determinazione del tasso usurario (art. 2, co. 1 e 4, L. n. 108/1996), in quanto inquadrabile nella nozione di «costo», ai sensi dell’art. 644 c.p. 98 A detta della S.C., la corte territoriale non si era neppure preoccupata «delle incertezze interpretative che risultano legate a una lettura risolta tout court da una contrapposizione tra «assenza di vincoli» (o «facoltà») e «presenza di vincoli» (od obbligo), posta se non altro la difficoltà di perimetrare i confini dell’«obbligo», tra quello tratto da legge o da contratto e quello frutto di una più o meno accentuata costrizione o comunque dal semplice fatto». Optando per una siffatta ricostruzione dicotomica obbligatorietà/ facoltatività, il giudice di appello avrebbe altresì adottato«un’interpretazione delle istruzioni non conforme al disposto formulato dalla norma dell’art. 644 c.p., bensì allo stesso antitetica; e senza necessità, tanto più». 99 «È infatti appena il caso di aggiungere che la contestualità tra credito e assicurazione − quale espressione indicativa, e presuntiva, del «collegamento» tra questi elementi che è richiesto dal comma 5 dell’art. 644 c.p. − si pone, prima di ogni altra cosa, come manifestazione tipica di un’offerta sul mercato che si modella sull’articolazione di prodotti predisposti in modo unitario e preassemblati (ovvero «a pacchetto», per rendere il concetto in termini evocativi)».

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specificamente alla funzione economico-sociale svolta dal collegamento negoziale).Nella soluzione prospettata dalla S.C. sembra leggersi la consapevolezza dell’insufficienza, insita nella nozione di contratto quale puro schema formale, ad esprimere sia il multiforme atteggiarsi degli interessi in gioco che la variabilità delle soluzioni attraverso le quali gli stessi possono comporsi. In altri termini, si ribadisce l’importanza del superamento dello «schermo formale» del singolo atto, in modo da poter considerare l’interesse dei contraenti nel più ampio schema della «operazione economica»100, nel senso che il contratto di finanziamento si pone quale antecedente logico-giuridico di quello assicurativo ad esso collegato, nel quadro di un’operazione economica unitaria di rafforzamento del credito101. Orbene, il “dialogo” a cui si è più volte accennato trova particolare riscontro in due recenti pronunce del Collegio di coordinamento dell’ABF102, con le quali l’Arbitro ha stabilito che l’onere probatorio − offerto con qualsiasi mezzo e relativo al collegamento funzionale della spesa con l’operazione di credito −, possa ritenersi adempiuto in caso di «contestualità» (non già meramente cronologica, bensì) funzionale della polizza al finanziamento, alla luce del principio ricavabile dal quarto comma dell’art. 644 c.p. (: «[p]erla determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito»), così come valorizzato dalla richiamata sentenza n. 8806/2017 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, che

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Gabrielli, “Operazione economica” e teoria del contratto, Milano, 2013, p. 159. Il tema è emerso anche con riferimento al caso in cui l’erogazione del credito bancario avvenga contestualmente alla sottoscrizione del cliente di un derivato su tassi d’interesse, “parametrato” (quanto a nozionale, scadenze e tasso variabile) sul finanziamento medesimo, ma a tassi “invertiti”, nel senso che è il cliente a pagare il variabile ed a ricevere il fisso. Nonostante la non sovrapponibilità del derivato di copertura e della polizza assicurativa, le due fattispecie condividono la funzione di garanzia rivestita nell’operazione economica in cui vengono inseriti, la contestualità funzionale e l’applicabilità della disciplina antiusura, disciplinante qualsivoglia contratto avente funzione creditizia al quale è possibile associare la corresponsione di interessi. Per vero, in dottrina si è segnalato che la fattispecie probabilmente più ricorrente nella prassi concerne gli interest rate swaps, conclusi dal cliente già indebitato a copertura del rischio tassi sull’indebitamento, funzionalmente diversa da quella di negoziazione di un derivato di copertura negoziato contestualmente al finanziamento e magari dallo stesso istituto mutuante: così, Tucci,Derivati e usura, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it., 12, 2018, p. 10. 102 ABF Collegio coord., 9 gennaio 2018, nn. 249 e 250, in Quaderni di aggiornamento. Conciliatore Bancario Finanziario, n. 2/2018, p. 6 ss. 101

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ha sottolineato la portata sistematica della fattispecie penale, lasciando sullo sfondo il profilo dell’obbligatorietà della copertura assicurativa. Una presunzione che, ovviamente, potrà essere vinta dall’intermediario resistente che riesca ad offrire prova contraria rispetto al suddetto collegamento funzionale, «e dunque provando che il mutuo ha rappresentato soltanto l’occasione per offrire al cliente prodotti assicurativi diversi (ad esempio: polizza auto, polizza furto, polizza spese mediche, etc.), ovvero provando che la polizza non era stata richiesta e neppure offerta dall’intermediario, ma resa disponibile direttamente dal soggetto finanziato o da questi unilateralmente voluta».

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COMMENTI

Sanzioni della Banca d’Italia e della Consob e principio del favor rei Corte di Appello di Milano, ordinanza 19 marzo 2017, n. 87; Pres. VigRel. Fiecconi; XY c. Consob

orelli,

Sanzioni amministrative irrogate dalla Consob – Nuova disciplina – Norma transitoria – Sanzioni ex art. 187-bis t.u.f. – Retroattività della disciplina più favorevole sopravvenuta – Esclusione – Contrasto con gli art. 3 e 117 Cost. – Sussiste – Questione non manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 117; Convenzione EDU, art. 7; d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 98, t.u. dell’intermediazione finanziaria, art. 187-bis; d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, art. 6) Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, co. 2 d.lgs. n. 72/2015, nella parte in cui ha modificato le sanzioni di cui all’art. 187-bis del t.u.f. in attuazione dell’art. 3 della l. delega n. 154/2014, escludendo la retroattività in mitius della normativa più favorevole prevista dall’art. 6, co. 3, del medesimo d.lgs. n. 72/2015, in violazione degli art. 3 e 117 Cost., quest’ultima in relazione al parametro interposto dell’art. 7 CEDU. (1) (Omissis) Ritenuto in fatto. 1. A seguito del procedimento amministrativo n. 36074/2015, avviato dalla Consob con atto di contestazione datato 28 ottobre 2015, e concluso in data 26 settembre 2016, è emerso che in data 6 febbraio 2014 il sig. XY aveva inoltrato alla coniuge Z una email concernente il «Piano di rafforzamento patrimoniale e di semplificazione del-

la struttura del Gruppo Italcementi», poi reso noto il successivo 6 marzo 2014 con comunicato congiunto di Italcementi s.p.a. e Italmobiliare s.p.a. 2. La Consob notificava quindi al ricorrente, in data 26 settembre 2016, la delibera n. 19659 e il relativo atto di accertamento della violazione dell’art. 187-bis, comma 1, lett. b) t.u.f. congiuntamente al provvedimento sanzionatorio, irrogando al sig. XY una

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sanzione amministrativa pecuniaria pari ad €. 100.000,00 della quale veniva contestualmente ingiunto il pagamento, integrata dalla misura interdittiva accessoria, come prevista all’art. 187-quater, comma 1 del t.u.f., di due mesi di sospensione dall’esercizio dell’attività, disponendo la pubblicazione, per estratto, della delibera, nel Bollettino della Consob. 3. Nel provvedimento impugnato l’Autorità osservava che l’informazione privilegiata, della quale il ricorrente era in possesso per aver partecipato alla ideazione del Progetto del Gruppo Italcementi in qualità di responsabile dell’Ufficio Evaluation and Coordination of M&A and Development Projects nell’ambito della Direzione Piano Strategico di Italcementi, riguardava notizie positive del processo decisionale che aveva condotto all’approvazione del piano in data 6 marzo 2014 ed era stata comunicata ad un soggetto con specifiche competenze in materia finanziaria e al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione, dell’ufficio. 4. Con ricorso ex art. 187-septies, commi 4 e ss., t.u.f., notificato a mezzo PEC, in data 26 ottobre 2016, il sig. XY ha proposto opposizione avverso la delibera n. 19659 del 6 luglio 2016 ed il connesso atto di accertamento congiuntamente al provvedimento sanzionatorio. 5. Il ricorrente ha dedotto, in via preliminare, la violazione del termine di durata del procedimento sanzionatorio e, nel merito, l’infondatezza dell’addebito. 6. Sotto il profilo del quantum sanzionatorio, il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 72/2015, che esclude l’applicazione dell’art.

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39, comma 3, della legge 28 dicembre 2005, n. 262, la quale a sua volta prevede(va) la quintuplicazione delle sanzioni contemplate dal t.u.f. L’applicazione dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 72/2015 infatti avrebbe condotto all’irrogazione della sanzione di € 20.000,00, come previsto testualmente dall’art. 187-bis, comma 1, t.u.f., in luogo della sanzione quintuplicata di € 100.000,00, irrogata dalla Consob ai sensi dell’art. 39, comma 3, legge 28 dicembre 2005, n. 262. 7. Ad avviso della Consob, tuttavia, all’applicazione del comma 3, dell’art. 6, del decreto legislativo n. 72/2015, osterebbe il disposto del precedente comma 2 del medesimo articolo, laddove si nega l’applicazione retroattiva in mitius delle modifiche introdotte dal medesimo decreto legislativo n. 72/2015 alla Parte V del t.u.f. Il decreto legislativo n. 72/2015 infatti, in attuazione della delega conferita dall’art. 3, comma 1, lettera m), n. 1) della legge 7 ottobre 2014, n. 154 ha attribuito al Governo il potere di «valutare l’estensione del principio del favor rei ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui è stata commessa la violazione». Quest’ultimo, tuttavia, ha scelto, nella sua discrezionalità, di negare la retroattività in mitius ai fini delle modifiche alla parte V del t.u.f. 8. Alle medesime conclusioni condurrebbe inoltre la generale disposizione contraria alla retroattività in mitius dello ius superveniens in materia di sanzioni amministrative, di cui all’art. 1, della legge n. 689/1981. Considerato in diritto. 9. Questa Corte ritiene che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, decreto legisla-


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tivo n. 72/2015, ai sensi del quale «Le modifiche apportate alla parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia secondo le rispettive competenze ai sensi dell’art. 196bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia continuano ad applicarsi le norme della parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo». 10. Tale norma costituisce l’attuazione della legge delega n. 154 del 2014 con cui il legislatore ha delegato il Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea. In particolare, l’art. 3, comma 1, lett. m) dispone che il Governo debba: «con riferimento alla disciplina sanzionatoria adottata in attuazione delle lettere i) e l): valutare l’estensione del principio del favor rei ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui è stata commessa la violazione». 11. Si sottolinea preliminarmente che le suddette disposizioni sopra letteralmente riportate non menzionano l’art. 187-bis t.u.f. tra le norme da riformulare sotto il profilo delle sanzioni. Si profila, pertanto, in tal senso, un possibile eccesso di delega in violazione dell’art. 77 Cost. 12. A parte il rilievo formale di cui sopra, a questa Corte pare che il Governo, dando attuazione alla legge delega sopra citata, avrebbe dovuto meglio valutare l’opportunità di estendere il principio del favor rei

con riguardo alla disciplina sanzionatoria della fattispecie di «abuso di informazioni privilegiate» in questione, esercitando discrezionalmente un potere che era stato conferito dal legislatore delegante. Pertanto, quanto al merito della questione oggetto di discussione tra le parti del giudizio e inerente alla mancata previsione di una norma che applichi il principio della retroattività della lex mitior, si osserva quanto segue. 13. In primo luogo, la rilevanza della questione in relazione al caso in esame emerge sotto il profilo del quantum sanzionatorio, dal momento che l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015, comporterebbe la possibilità di irrogare, nei confronti del sig. XY, ove sia ritenuto responsabile dell’illecito, la sanzione minore e più mite di € 20.000.00, in luogo di quella maggiore, pari a € 100.000,00 determinata dalla Consob, oltre le sanzioni interdittive. 14. In secondo luogo, la non manifesta infondatezza della questione discende dal rilievo che nella fattispecie in esame, secondo un orientamento consolidato della Corte europea dei diritti dell’uomo, le garanzie di cui alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) si applicano a tutti i precetti di carattere afflittivo a prescindere dalla loro qualificazione come sanzioni penali nell’ordinamento di provenienza. 15. Il riferimento è in primis alla sentenza Engel c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976, ove si legge che «se gli Stati contraenti fossero nella piena discrezionalità nel classificare un illecito penale quale disciplinare invece che penale, o di perseguire l’autore di un reato misto sul piano disciplinare, piut-

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tosto che sul piano penale, il funzionamento delle clausole fondamentali di cui agli articoli 6 e 7 sarebbe subordinato alla loro sovrana volontà. Una discrezionalità così estesa potrebbe condurre a risultati incompatibili con le finalità e con l’oggetto della Convenzione». Con la sentenza Engel, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha in particolare individuato tre criteri ai fini della qualificazione penale di una sanzione: la classificazione dell’illecito nell’ordinamento nazionale, l’intrinseca natura dell’illecito e la severità della sanzione applicabile, utilizzati in via alternativa o cumulativa dalla Corte di Strasburgo allo scopo di assicurare la uniforme applicazione di uno standard minimo di garanzie in tutti gli Statiparte. 16. Nell’ambito dei suddetti criteri, il parametro della classificazione dell’illecito nell’ordinamento nazionale rappresenta soltanto un punto di partenza per l’analisi condotta dalla Corte europea. Il criterio della natura dell’illecito è invece il più elastico, in quanto fa leva su una pluralità di indici come: a) la cerchia dei destinatari del precetto, che deve rivolgersi alla generalità dei cittadini, e non inserirsi esclusivamente nella disciplina interna di un gruppo contrassegnato da uno status speciale; b) la finalità della sanzione comminata dalla norma incriminatrice, che deve avere carattere deterrente e punitivo; c) la qualificazione penalistica prevalente nel panorama degli ordinamenti nazionali; d) il collegamento della sanzione con l’accertamento di una infrazione (con esclusione, quindi, delle mere misure preventive).

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Infine, il criterio della severità della sanzione fa riferimento alla gravità delle conseguenze previste dalla legge; può trattarsi, in particolare, di pene detentive, o pene pecuniarie di rilevante entità. 17. In applicazione dei suddetti criteri, sono state ricondotte alla materia penale alcune significative ipotesi di sanzioni qualificate nell’ordinamento interno conte sanzioni amministrative. All’uopo è opportuno richiamare la sentenza del 27 settembre 2011, Menarini contro Italia, e la sentenza del 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri contro Italia, nelle quali la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto di natura «penale», ai sensi dell’art. 6 della CEDU, rispettivamente le sanzioni amministrative in materia di concorrenza (art. 15, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 – Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) e le sanzioni amministrative in materia di manipolazione del mercato (art. 187ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 - Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52). Si tratta quindi di stabilire se la sanzione di cui all’art. 187-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (t.u.f.), concernente l’illecito di «abuso di informazioni privilegiate», possa qualificarsi anch’essa come «penale» alla luce dei criteri individuati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Non e’ in proposito dirimente il fatto che la fattispecie in esame sia qualificata dal nostro ordinamento quale «sanzione amministrativa», dal momento che i criteri individuati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo possono essere utilizzati


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sia cumulativamente che alternativamente e che, come sopra precisato, le indicazioni fornite dal diritto interno hanno un valore meramente relativo (Sentenza Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 marzo 2014 causa Grande Stevens e altri c. Italia). 18. Sotto il profilo della natura della sanzione, si può osservare che essa è certamente rivolta alla generalità dei consociati, in chiave di protezione dell’interesse fondamentale alla tutela dei mercati finanziari. La Consob, autorità amministrativa indipendente, ha lo scopo di garantire la protezione degli investitori e l’efficacia, la trasparenza e lo sviluppo dei mercati azionari. Si tratta quindi di interessi generali della società, normalmente tutelati dal diritto penale. La sanzione in esame, peraltro, persegue prevalentemente scopi deterrenti e punitivi, come si ricava dalla circostanza che, ai fini della consumazione del fatto illecito di cui alle lettere b) e c) del primo comma dell’art. 187-bis, è sufficiente rispettivamente che vi sia stata la comunicazione ad altri di informazioni privilegiate al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio ovvero che vi sia stata la raccomandazione o induzione di altri, sulla base di tali informazioni, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a), senza che rilevi in proposito un’eventuale successiva operatività sugli strumenti finanziari cui inerivano dette informazioni. 19. Per quanto riguarda l’aspetto della gravità della sanzione suscettibile di essere inflitta, il quantum sanzionatorio astrattamente applicabile risulta dal combinato disposto dell’art. 187-bis, che prevede l’irrogazione di

una sanzione pecuniaria che va da € 20.000.00 a € 3.000.000,00, e dell’art. 39, comma 3, della legge n. 262 del 2005, ai sensi del quale: «le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, dalla legge 12 agosto 1982, n. 576, e dal decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che non sono state modificate dalla presente legge, sono quintuplicate». Il comma quinto dell’art. 187-bis prevede inoltre che: «le sanzioni amministrative pecuniarie previste dai commi 1, 2 e 4 sono aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall’illecito quando, per le qualità personali del colpevole ovvero per l’entità del prodotto o del profitto conseguito dall’illecito, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo». La comminazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui sopra comporta, per i soggetti cui sono applicate, anche la perdita temporanea del requisito della onorabilità richiesto per l’esercizio di funzioni apicali e di controllo all’interno delle società di capitali e, ove queste ultime siano quotate in borsa, essi vengono colpiti da un’incapacità temporanea di amministrare, di dirigere o di controllare società quotate in borsa per una durata da due mesi a tre anni. La Consob può anche interdire alle società quotate, alle società di gestione e alle società di revisione di avvalersi della collaborazione dell’autore dell’infrazione per una durata massima di tre anni e richiedere agli ordini professionali la sospensione temporanea dell’interessato dall’esercizio della sua

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attività professionale. 20. Sebbene nel caso in esame la sanzione sia stata applicata nel suo ammontare minimo (€ 100.000,00), l’aspetto penale di una sanzione va valutato con riguardo alla pena massima prevista in astratto, a prescindere dalla sanzione inflitta in concreto (sentenza Engel c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976. § 82 e sentenza Dubus S.A. c. Francia dell’11 giugno 2009, § 37). Dalla natura «penale», ai sensi della CEDU, della sanzione in esame discende, ad avviso di questa Corte d’Appello, l’applicabilità alla stessa del principio di legalità penale di cui all’art. 7 della CEDU. Detta norma, secondo l’interpretazione della Corte di Strasburgo, rinvenibile nelle sentenze 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, e del 24 gennaio 2012, Mihai Toma contro Romania, il carattere penale della sanzione non implica che debba vigere solo il principio della irretroattività delle leggi penali più severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività della legge penale meno severa. Detto principio si traduce nella regola dell’applicazione della legge penale che contempla una pena più mite, anche se posteriore alla commissione del reato. 21. Tanto considerato, ad avviso del giudice a quo si profila un’ipotesi di contrasto fra l’art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 70/2015 e l’art. 117 della Costituzione, in relazione al parametro interposto dell’art. 7 CEDU. 22. In particolare, si ritiene che la scelta di non ricorrere al principio della retroattività del trattamento sanzionatorio più favorevole con riferimento alle sanzioni previste dall’art. 187-bis, del t.u.f., di natura sostanzialmente penale, ponga un consistente

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dubbio sulla compatibilità di detto regime con l’art. 3 Cost. e con i principi uguaglianza e di ragionevolezza. Si richiama in proposito la sentenza n. 393 del 2006, in cui la Corte costituzionale ha chiarito che «il livello di rilevanza dell’interesse preservato dal principio retroattività della lex mitior – quale emerge dal grado di protezione accordatogli dal diritto interno, oltre che dal diritto internazionale convenzionale e dal diritto comunitario – impone di ritenere che il valore da esso tutelato può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo». 23. In tale pronuncia la Corte costituzionale, in sintesi, ha affermato che, sebbene il principio dell’applicazione retroattiva della lex mitior non sia assoluto, tuttavia la sua deroga deve essere giustificata da gravi motivi di interesse generale (sentenze n. 236 del 2011 e n. 393 del 2006 Corte cost.), superando a questi fini un vaglio positivo di ragionevolezza, e non un mero vaglio negativo di non manifesta irragionevolezza. Devono cioè essere positivamente individuati gli interessi superiori, di rango almeno pari a quello del principio in discussione, che ne giustifichino il sacrificio. 24. Orbene, nel caso in esame, non sarebbe ravvisabile alcuna giustificazione, men che meno di rango costituzionale, tale da legittimare il sacrificio del trattamento più favorevole previsto dall’art. 6, comma 3, del decreto legislativo n. 72/2015. Difatti, nonostante nella legge delega fosse indicata detta possibilità nella materia de qua, risulta alquanto difficile ravvisare una ratio alla scelta fatta in senso opposto dal legislatore delegato. 25. In materia di sanzioni ammini-


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strative, difatti, non sono isolati i casi in cui il legislatore ha previsto la regola della retroattività della lex mitior, in deroga al regime generale di irretroattività della sanzione amministrativa previsto dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981. Si può all’uopo richiamare l’art. 23-bis del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico delle norme di legge in materia valutaria), come inserito dall’art. 1, comma 2, della legge 7 novembre 2000, n. 326 (Modifiche al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, in materia di sanzioni per le violazioni valutarie); l’art. 3 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662); l’art. 46 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337); l’art. 3 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica. a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300). 26. Nel caso di specie, invero, non può nondimeno essere trascurato l’orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, ribadito nella recente sentenza n. 4114/2016, nella quale è stata espressamente dichiarata l’inapplicabilità del nuovo regime introdotto dal decreto legislativo n. 72/2015 (sia in punto di fattispecie di illecito che di apparato sanzionatorio)

ai fatti commessi antecedentemente alla sua entrata in vigore. La Suprema Corte ha affermato in particolare che: «in materia di intermediazione finanziaria, le modifiche alla parte V del decreto legislativo n. 58 del 1998 apportate dal decreto legislativo n. 72 del 2015 si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla Consob, in tal senso disponendo l’art. 6 del medesimo decreto legislativo, e non è possibile ritenere l’applicazione immediata della legge più favorevole, atteso che il principio cd. del favor rei, di matrice penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde, invece, al distinto principio del tempus regit actum. Né tale impostazione viola i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014 (Grande Stevens ed altri c/o Italia), secondo la quale l’avvio di un procedimento penale a seguito delle sanzioni amministrative comminate dalla Consob sui medesimi fatti violerebbe il principio del ne bis in idem, atteso che tali principi vanno considerati nell’ottica del giusto processo, che costituisce l’ambito di specifico intervento della Corte, ma non possono portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come amministrativa dal diritto interno, con conseguente irrilevanza di un’eventuale questione di costituzionalità ai sensi dell’art. 117 Cost. 27. Occorre, d’altra parte rammentare che la stessa Corte costituzionale qui adita è stata recentemente investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n.

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689, nella parte in cui non prevede la retroattività in mitius nella generale disciplina dell’illecito amministrativo, in relazione agli articoli 3 e 117, primo comma della Costituzione, quest’ultimo con riferimento agli articoli 6 e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. In tale occasione, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, statuendo che «non si rinviene nel quadro delle garanzie apprestate dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative». La Corte costituzionale ha anche precisato che l’applicazione del principio della retroattività della lex mitior è subordinato alla «preventiva valutazione della singola sanzione (qualificata “amministrativa” dal diritto interno) come «convenzionalmente penale», alla luce dei cosiddetti criteri Engel (così denominati a partire dalla sentenza della Corte EDU, Grande Camera - 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi e costantemente ripresi dalle successive sentenze in argomento)». Il motivo del rigetto, secondo la medesima Corte, si ricollega alla circostanza che non sia possibile desumere dai principi affermati dalla Corte Europea dei

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Diritti dell’Uomo un’estensione generalizzata del principio della retroattività della legge più favorevole con riguardo all’intero sistema delle sanzioni amministrative. 28. Va rimarcato, tuttavia, che la questione qui prospettata non si riferisce alla generalità delle sanzioni amministrative, ma unicamente a una previsione normativa di carattere certamente afflittivo (secondo i criteri Engel sopra citati), atteso che il presente giudizio ha per oggetto una sanzione pecuniaria qualificabile come penale alla luce dei criteri individuati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Profilandosi, in tal senso, un contrasto tra la previsione di cui all’art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015, che esclude la retroattività della normativa più favorevole prevista dal successivo comma 3 del medesimo articolo, con gli articoli 3 e 117 della Costituzione, quest’ultima in relazione al parametro interposto dell’art. 7 della CEDU, si ritiene pertanto necessario rimettere alla Corte costituzionale la valutazione della compatibilità dell’art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015 con le norme della Costituzione sopra richiamate, atteso che la scelta operata dal legislatore non appare ragionevole, se solo si fa riferimento alle norme fiscali sopra menzionate. Difatti l’insider trading è un illecito civile che ha anche rilievo penale: pertanto, non vi sono ragioni per escludere l’applicazione della legge più favorevole in tale specifico campo, come è avvenuto per le violazioni tributarie. 29. È opportuno rilevare che il denunciato contrasto non potrebbe essere risolto ricorrendo a un’interpre-


Corte di Appello di Milano

tazione conforme alla Convenzione EDU e ai parametri costituzionali, in quanto è riscontrabile una consolidata giurisprudenza di legittimità che in più occasioni ha ribadito la non applicabilità del principio della retroattività della lex mitior al settore degli illeciti amministrativi. Tale impostazione si fonda sul rifiuto generalizzato di un’applicazione analogica dell’art. 2, secondo comma, codice penale, anche alla luce dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, e sulla considerazione dei casi nei quali opera il principio della retroattività della lex mitior come casi settoriali, non estensibili oltre il loro ristretto ambito di applicazione. Si aggiunge, inoltre, che la norma, una volta affermatane la natura sostanzialmente penale, pare in netto contrasto anche con il principio di cui all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il quale stabilisce che «se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima». 30. Nel caso in esame, pertanto, appare opportuno verificare se una disposizione normativa che, in questa particolare fattispecie, di sicuro rilievo penale, non abbia previsto tale effetto retroattivo, nonostante nella legge delega fosse stata espressamente prevista tale opzione normativa, si ponga o meno in contrasto con i principi costituzionali sopra richiamati e già previsti dal legislatore in materie affini.

P.Q.M. La Corte di appello di Milano, sezione prima civile, visto l’art. 6, comma 2 del decreto legislativo n. 72/2015: ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza: a) solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015 nella parte in cui ha modificato le sanzioni di cui all’art. 187-bis t.u.f. in attuazione dell’art. 3, lettera i) e l) della legge delega n. 154/2014, ai sensi dell’art. 77 Cost.; b) solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015 nella parte in cui ha modificato le sanzioni di cui all’art. 187-bis t.u.f. in attuazione dell’art. 3 della legge delega n. 154/2014, escludendo la retroattività in mitius della normativa più favorevole prevista dall’art. 6, comma 3, decreto legislativo n. 72/2015, in violazione degli articoli 3, 117 Cost.; c) per l’effetto, sospende il giudizio in corso sino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale; d) dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonché’ al Presidente del Consiglio dei ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. (Omissis)

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Commenti

(1) A. La materia delle sanzioni amministrative nel settore, lato sensu, finanziario continua a prospettare nodi problematici tanto complessi quanto delicati. Fino a poco tempo fa polarizzava l’attenzione la questione del mancato pieno rispetto, nei procedimenti sanzionatori, del principio del contraddittorio, in relazione in particolare alla “scomposizione” di tali procedimenti in due fasi distinte, quella istruttoria e quella decisoria. Questione in larga misura, anche se non totalmente, risolta con la modifica delle discipline regolamentari, che aveva visto – come a suo tempo si era segnalato (in Dir. banc., 2017, II, p. 18) – «la definitiva consacrazione della regola secondo la quale la proposta sanzionatoria da parte dell’ufficio con funzioni istruttorie all’organo con funzioni decisorie, con cui si chiude la fase appunto istruttoria, deve essere formalmente comunicata ai destinatari delle sanzioni (o, quanto meno, a quelli che abbiano partecipato all’istruttoria, in particolare presentando controdeduzioni alle contestazioni), ai quali deve essere anche consentito di poter presentare all’organo con funzioni decisorie osservazioni scritte sulla proposta medesima». Oggi si va prospettando, con sempre maggiore intensità, una diversa – pur se in qualche modo connessa – questione (del pari segnalata in Dir. banc., 2017, II, p. 20): quella dell’applicabilità alle sanzioni Consob e Banca d’Italia, la cui disciplina è stata profondamente modificata dal d.lgs. n. 72/2015, della regola della retroattività della legge successiva più favorevole, il principio c.d. del favor rei, sancito dall’art. 2 del codice penale. B. Con il d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, di recepimento della direttiva 26 giugno 2013 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (c.d. CRD IV), è stata – fra l’altro – interamente ridisegnata la disciplina delle sanzioni amministrative di competenza della Banca d’Italia e della Consob, praticamente riscrivendo le disposizioni in materia contenute rispettivamente nel t.u.b. (art. 144 ss.) e nel t.u.f. (art. 187-bis ss.; 190 ss.). In particolare, per quello che qui rileva, da un lato, sono state ridelineate le fattispecie sanzionatorie, anche per tenere conto dei nuovi assetti della vigilanza nei due settori interessati e, dall’altro e soprattutto, è stata ridefinita l’area dei destinatari delle sanzioni. Infatti, nella normativa previgente, le sanzioni avevano come destinatari tendenzialmente solo le persone fisiche “esponenti” degli intermediari alle quali fossero imputabili le violazioni, gli intermediari essendo tendenzialmente soltanto obbligati in solido al pagamento delle sanzioni, con obbligo di rivalsa nei confronti degli “esponenti”. Nella nuova normativa, le sanzioni colpiscono direttamente le società o enti nei cui confronti siano accertate le violazioni, da chiunque poi siano

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V. C.

state concretamente commesse, prevedendosi, in aggiunta, sanzioni nei confronti degli “esponenti” solo quando la violazione accertata nei confronti dell’intermediario sia conseguenza della violazione di doveri propri di quegli “esponenti” e ricorrano una o più di certe condizioni, espressamente indicate dalla legge, quali per esempio l’avere la condotta dell’esponente inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali (art. 144-ter, co. 1, t.u.b.; art 190-bis, co.1, t.u.f.). In relazione a questi mutamenti, la legge di delega sulla cui base è stato emanato il d.lgs. in questione, cioè la l. 7 ottobre 2014, n. 154, aveva stabilito, all’art. 3, co. 1, lett. m, punto 1, che il Governo dovesse «valutare l’estensione del favor rei ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui è stata commessa la violazione» Questa valutazione o non c’è stata o, comunque, si è conclusa negativamente. Infatti, rispettivamente, l’art. 2, co. 3, e l’art. 6, co. 2, d.lgs. n. 72/2015 stabiliscono perentoriamente che le modifiche apportate al tit. VIII t.u.b. ed alla parte V t.u.f. si applicano «alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate» dalle due A.V. nell’esercizio delle rispettive competenze; mentre alle «violazioni commesse prima della data di entrata in vigore» di quelle disposizioni continuano ad applicarsi le norme previgenti. La questione di fondo a questo punto è chiara: si stratta di stabilire se queste normative, là dove precludono l’applicazione alle violazioni anteriori di parti della nuova disciplina che risultino più favorevoli ai destinatari rispetto al regime previgente possano essere sospettate di incostituzionalità sotto il profilo della violazione del principio del favor rei, cioè della retroattività delle norme punitive più favorevoli. C. La questione di costituzionalità appena delineata è stata e viene normalmente impostata (e così ha fatto la Corte d’Appello di Milano nell’ordinanza qui pubblicata) in termini di qualificabilità o meno delle sanzioni Consob o Banca d’Italia (in genere o in casi specifici) come sanzioni sostanzialmente penali. A questo proposito, merita di essere subito segnalata una profonda divergenza fra gli orientamenti, in materia, della Corte EDU e gli orientamenti della nostra giurisprudenza e, in particolare, della nostra Corte di Cassazione. La Corte EDU ha elaborato precisi parametri alla luce dei quali valutare in concreto la natura penale o meno di certe sanzioni amministrative (la qualificazione formale nell’ordinamento interno; la natura dell’illecito; la severità della sanzione: sono i c.d. criteri Engel, in quanto elaborati nella sentenza del giugno 1976, resa nel giudizio Engel c. Paesi Bassi); e

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Commenti

d’altra parte ha utilizzato tali parametri in modo assai elastico e nell’ottica di favorire l’“attrazione” delle sanzioni amministrative nell’area delle sanzioni penali. La nostra Cassazione – oltre ad escludere la possibilità di adottare un principio assoluto ed astratto di equiparazione delle sanzioni amministrative alle sanzioni penali (sul punto v. anche Corte costituzionale, 20 luglio 2016, n. 193, in Foro it., 2016, I, 2977, che ha giudicato infondata la questione di costituzionalità dell’art. 1 della l. n. 689 del 1981, là dove non prevede l’applicazione della legge sopravvenuta più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi) – ha sistematicamente negato la possibilità di ritenere penali misure esplicitamente definite amministrative dalla normativa nazionale, valorizzando così all’estremo la qualificazione formale della sanzione. Emblematiche delle linee argomentative adottate dalla nostra Corte Suprema possono considerarsi due pronunzie. La prima è la sentenza 1 marzo 2016, n. 4114 (in Foro it., Rep., 2016, voce Sanzioni amministrative e depenalizzazione, 61), la quale ha, innanzi tutto, chiarito che le sanzioni irrogate dalla Consob ai sensi dell’art. 191 t.u.f. non possono essere qualificate come penali posto che, nonostante quanto ritenuto dalla Corte EDU, nel nostro sistema non sarebbe neppure ipotizzabile che delle norme possano avere “natura penale” in mancanza di una specifica attribuzione formale da parte del legislatore. La Corte ha in proposito affermato che l’art. 191 t.u.f. «è una norma sostanziale contemplante un illecito amministrativo. Donde, in mancanza di espressa disposizione di legge, resta immune dai riflessi di principi dettati in materia di norme penali, posto che un concetto della “natura penale” di una disposizione di diritto interno sarebbe esso in stridente relazione di incompatibilità col sistema costituzionale italiano, in cui la nozione di illecito penale è astretta dal criterio di legalità formale». In secondo luogo, e con specifico riferimento alla lamentata incostituzionalità del d.lgs. 72/15 nella parte in cui non prevede l’applicazione retroattiva della disciplina più favorevole, la Corte ha chiarito che «il principio dell’applicazione immediata della legge più favorevole (cd. favor rei), per consolidata giurisprudenza, non si estende alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde, invece, salvo distinta e specifica disposizione di legge, al principio tempus regit actum)». La seconda pronunzia è la sentenza 30 giugno 2016, n. 13433 (in Foro it., Rep. 2016, voce Intermediazione e consulenza finanziaria, 104, 105) la quale ha, innanzi tutto, affermato che «la ricorrenza di alcuni caratteri comuni non comporta, di necessità, l’equiparazione della sanzione amministrativa a quella penale a tutti gli effetti, in virtù di assonanze

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V. C.

formali, talvolta ridondanti nella magia delle parole (“afflittività”): del resto riscontrabili, come detto, perfino in fattispecie civili, senza dubbio irriducibili ad una nozione astratta unitaria (...); la distonia tra una concezione panpenalistica – tale da precludere in via generale ed astratta il concorso reale di sanzioni – e la disciplina interna, sorretta da diuturna tradizione culturale, porrebbe problemi non lievi di compatibilità e perfino di eventuali controlimiti: come ad esempio, alla luce del carattere obbligatorio dell’azione penale (art. 112 Cost.), che non potrebbe essere menomato dall’irrogazione di una precedente sanzione amministrativa». Ciò posto, con riguardo a sanzioni irrogate dalla Consob ai sensi dell’art. 190 t.u.f., la Corte ha sottolineato che «un consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale ritiene inapplicabile, in materia di sanzioni amministrative, il principio della retroattività della legge più favorevole al reo di cui all’art. 2 c.p., in forza dell’autonomia reciproca dei due sistemi sanzionatori. (…) Nel campo del diritto amministrativo, la ratio dell’irretroattività della lex mitior è ravvisata nell’esigenza di rafforzare l’efficacia deterrente della sanzione, eliminando ogni aspettativa di elusione per effetto di una più favorevole legge successiva; oltre che da esigenze di prevedibilità, certezza e celerità della contestazione e del recupero delle somme. La Corte costituzionale ha sempre ritenuto manifestamente infondata la relativa questione (sent. 28 novembre 2002 n. 501) con riferimento alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1, comma 2 e del D.Lgs. 8 novembre 1997, n. 389, art. 7, comma 13 (Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio) nella parte in cui non prevedono che se la legge in vigore al momento in cui fu commessa la violazione e quella posteriore stabiliscano sanzioni amministrative pecuniarie diverse, si applichi la legge più favorevole al responsabile. Si deve dunque concludere che il semplice emendamento della disciplina positiva dettata dall’art. 190 T.U.F., nel testo vigente all’epoca dell’illecito, non pone nel nulla, di per sé, gli accertamenti di responsabilità già eseguiti, né giustifica la deroga al principio di irretroattività naturale della legge (art. 11 preleggi); senza che tale regula juris sollevi, per le ragioni suesposte - ed in particolare, alla luce della giurisprudenza citata del giudice delle leggi - dubbi di legittimità costituzionale in ordine al D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 72, art. 6, nella parte in cui non prevede l’applicazione del principio del favor rei con riferimento alle sanzioni amministrative già irrogate ai sensi del T.U.F.» Nello stesso senso di queste due sentenze si sono espresse Cass., 24 febbraio 2016, n. 3656 (in Dir. banc., 2016, I, p. 530, con nota di Amorosino), che non ha direttamente trattato il tema della legittimità del d.lgs.

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Commenti

72/2015 nella parte in cui non prevede l’applicazione retroattiva della disciplina più favorevole. La sentenza è comunque rilevante perché ha chiarito che in termini generali le sanzioni irrogate da Banca d’Italia e Consob non possono essere qualificate come penali; Cass., 2 settembre 2016, n. 17510 (inedita); Cass., 2 dicembre 2016, n. 24728 (inedita), con riferimento a sanzioni irrogate da Banca d’Italia; Cass., 7 aprile 2017, n. 9126 (in Foro it., Rep., 2016, voce Banca, credito e risparmio, 82); Cass., 28 febbraio 2018, n. 4642 (inedita). Non sono mancate peraltro eccezioni. Per esempio, Cass., 14 settembre 2017, n. 31143, ordinanza (inedita) ha ritenuto che la sanzione prevista dall’art. 187-bis t.u.f. per abuso di informazioni privilegiate abbia natura sostanzialmente penale, integrando i caratteri di afflitività delineati dalla giurisprudenza della Corte EDU in ragione dell’elevato importo della sanzione prevista. Ciò, va sottolineato, con riferimento ad una problematica diversa da quella che stiamo esaminando. D. Il panorama fin qui illustrato spiega l’accuratezza, per non dire la puntigliosità, con la quale la Corte di Milano ha cercato di valorizzare, da un lato, l’esistenza, nel caso di specie, dei connotati idonei ad imprimere alla sanzione in concreto irrogata dalla Consob natura sostanzialmente penale secondo la giurisprudenza CEDU, superando l’ostacolo della qualificazione formale che – nella ricostruzione che i giudici milanesi hanno fatto di quella giurisprudenza – assume in effetti solo il ruolo di punto di partenza. E, dall’altro, la “vicinanza” dell’illecito oggetto della sanzione comminata nella specie, cioè l’abuso di informazioni privilegiate, con l’illecito oggetto della pronunzia CEDU nel caso Grande Stevens, cioè la manipolazione di mercato. È appena il caso di sottolineare che – come visto al punto precedente – la stessa Cassazione si è già pronunziata nel senso della “riqualificabilità” come penale della sanzione prevista per l’abuso di informazioni privilegiate. E. Un ultimo punto. La questione di cui ci stiamo occupando potrebbe, a ben considerare, essere affrontata e risolta anche prescindendo dal problema della assimilabilità delle sanzioni amministrative, o di certe sanzioni amministrative, alle sanzioni penali. Il principio del favor rei, infatti, trova un preciso fondamento costituzionale nel canone dell’uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., alla luce del quale non sembra dubbio che l’applicazione della disciplina più favorevole sopravvenuta debba considerarsi regola generale immanente nell’ordinamento con riguardo a tutte le sanzioni (in quanto misure punitive) siano esse penali o amministrative.

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V. C.

Talché, va completamente ribaltato il ragionamento svolto sul tema dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 193/2016, che, come già detto, ha giudicato infondata la questione della costituzionalità dell’art. 1 della l. n. 689 del 1981 là dove non prevede l’applicazione della legge sopravvenuta più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi. Non occorre una disposizione espressa per estendere a determinate sanzioni amministrative il principio del favor rei; occorre una disposizione espressa per escludere l’(altrimenti “normale”) applicazione, a determinate sanzioni, di quel principio. Una impostazione, questa, destinata a rivelarsi sempre più convincente (e, in qualche misura, inevitabile) quanto più si ampli, come si sta ampliando, l’ambito delle sanzioni amministrative rispetto alle quali o per volontà della legge o per decisioni giudiziarie risulti positivamente applicabile il principio del favor rei. [V.C.]

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MITI E REALTÀ

Aforismi Avvocati Esistono due tipi di avvocati: gli avvocati che conoscono bene la legge e gli avvocati che conoscono bene il giudice che la deve applicare. (Coluche) [Il libro aperto degli aforismi, a cura di Fausto Capelli, Rubettino, 2015, p. 155, n. 5]

L’avvocato che si lagna di non essere capito dal giudice, biasima non il giudice, ma se stesso. Il giudice non ha il dovere di capire: è l’avvocato che ha il dovere di farsi capire. (Piero Calamandrei/Elogio dei giudici scritto da un avvocato) [ID., p. 156, lett. b]

Un modo per limitare parte dei processi sarebbe quello di pagare solo gli avvocati che vincono le loro cause; ma non sono riuscito a far passare questa idea al Consiglio di Stato. (Napoleone Bonaparte) [ID., p. 200, lett. b]

Banche Un banchiere abile è tale se ti presta l’ombrello quando il tempo è bello e te lo toglie quando piove. (Sigmund Graff) [ID., p. 124, n. 8]

Per ottenere un prestito bisogna provare di non averne bisogno. (Stanislaw J. Lec) [ID., p. 125, n. 24]

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Miti e realtà

Se vedi un banchiere svizzero che si getta dalla finestra, seguilo, perché c’è sicuramente da guadagnare qualcosa. (Voltaire) [ID., p. 281, n. 12]

Il segreto bancario in Svizzero e il cioccolato svizzero avevano caratteristiche peculiari che li rendevano unici al mondo. [ID., p. 284, lett. b]

Le banche continuano a chiedere soldi e fiducia; ma allo sportello legano sempre la penna alla catena. (Karl Kraus) [ID., p. 348 n. 9]

Economia Anche nelle maggiori strettezze, i denari del pubblico si trovan sempre per impiegarli a sproposito. (Alessandro Manzoni) [ID., p. 126, n. 43]

L’economia dipende dagli economisti esattamente come il tempo dipende dai meteorologi. (J.P. Kaufmann) [ID., p. 126, n. 44]

Lo sfarzo dell’ufficio di rappresentanza di una società è inversamente proporzionale alla solidità finanziaria della medesima società (Ennio Flaiano) [ID., p. 186, n. 16]

Chi troppo vuole firma cambiali. (Marcello Marchesi) [ID., p. 284, lett. a]

Legge Quante più parole si adopera in distendere una legge, tanto più scura essa può diventare. (Ludovico A. Muratori) [ID., p. 199, n. 30]

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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni



LEGISLAZIONE

Gli accordi di ristrutturazione nella riforma delle procedure concorsuali All’esito di un itinerario a tratti tormentato e confuso, il Parlamento italiano ha varato, nell’ottobre del 2017, una legge delega di (nuova) riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali. Si tratta di una legge delega la cui attuazione è destinata ad incidere profondamente sulla attuale legge fallimentare e sulle leggi ad essa collegate e che, per quel che qui interessa, contiene anche specifiche disposizioni concernenti uno dei più nuovi istituti del nostro sistema di composizione e soluzione delle crisi di impresa, vale a dire gli accordi di ristrutturazione dei debiti, introdotti nel nostro ordinamento dalla riforma del 2005-2007 ed allo stato regolati, nei profili fondamentali, dall’art. 182-bis l. fall. Non sappiamo come troveranno attuazione i principi di delega che qui interessano e non sappiamo neppure – perché il testo è sul punto abbastanza ambiguo – se le regole non direttamente toccate dai principi di delega verranno mantenute o modificate e come. Delle indicazioni possono certamente essere tratte dagli “schemi di decreti legislativi” – specificamente da quello costituente il c.d. codice della crisi e dell’insolvenza – elaborati da un’apposita commissione, rimessi al Ministro nel dicembre 2017 e resi pubblici: ovviamente, non essendo certo che tali “Schemi” siano effettivamente destinati in futuro a tradursi in testi normativi si tratta di indicazioni da assumere come meramente orientative. Pubblichiamo di seguito: il testo delle disposizioni della legge delega riguardanti gli accordi di ristrutturazione (I); stralcio della relazione di accompagnamento al disegno di legge delega in sede di presentazione alla Camera dei Deputati (II); testo delle disposizioni dello “Schema” del c.d. codice della crisi e dell’insolvenza riguardanti il nostro istituto (III). ****** In coerenza con la logica “episodica” che connota l’intera nuova disciplina, anche in materia di accordi di ristrutturazione il legislatore ha

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Legislazione

dettato principi di delega che concernono solo alcuni profili dell’istituto che qui interessa e che si possono elencare: - riconduzione anche del procedimento per l’omologazione degli accordi nell’alveo del procedimento unitario di accertamento giudiziale della crisi e dell’insolvenza» (di cui all’art. 2, lett. d) della legge delega); - assimilazione della disciplina delle misure protettive degli accordi a quella prevista per il concordato preventivo; - applicazione del meccanismo dell’estensione coattiva degli accordi (e delle convenzioni di moratoria) – oggi prevista dall’art. 182-septies l. fall. solo per gli accordi e le convenzioni con banche e intermediari finanziari – agli accordi non liquidatori (ed alle convenzioni) conclusi con creditori anche diversi da banche ed intermediari finanziari che rappresentino almeno il 75 per cento dei crediti di una o più categorie economicamente omogenee; - eliminazione o riduzione del limite del 60 per cento attualmente previsto dal co. 1 dell’art. 182-bis, ove il debitore non proponga la moratoria del pagamento dei creditori estranei, né richieda le misure protettive previste dal co. 6 di quella disposizione; - estensione degli effetti dell’accordo ai soci illimitatamente responsabili alle stesse condizioni previste per il concordato preventivo. Questa disciplina presenta molti aspetti di criticità, sia per quello che stabilisce sia per quello che non stabilisce. Iniziando proprio da quello che la legge non stabilisce, balza subito agli occhi la grave lacuna rappresentata dalla mancata indicazione del presupposto oggettivo del procedimento di agevolazione degli accordi (così come, del resto, del concordato preventivo). Nel regime attuale, il presupposto oggettivo è rappresentato dallo «stato di crisi», nozione che in tale regime comprende anche l’insolvenza; la legge delega ha invece previsto, in via generale, lo “sganciamento” della nozione di crisi da quella dell’insolvenza. (art. 2, lett. c). Di qui, la necessità di precisare (anche per il concordato preventivo) se il presupposto oggettivo sia costituito solo dallo stato di crisi (nella nozione voluta oggi dalla legge delega, cioè come «probabilità di futura insolvenza») o anche dallo stato di insolvenza. Una necessità rimasta inavvertita, per ciò che riguarda gli accordi, anche nello “Schema” di decreto delegato (nel quale invece è stato specificato il presupposto oggettivo del concordato preventivo). Venendo a quello che la legge stabilisce. Si prevede l’eliminazione o la riduzione (non è ovviamente la stessa cosa) della soglia del 60 % laddove, in particolare, gli accordi consentano il pagamento immediato dei creditori estranei. L’effetto di questa innovazione si tradurrebbe però nella configurazione di due “sottospecie” di accordi, la più nuova delle quali, quella con soglia ridotta o addirittura eliminata, risulta anche

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A. N.

quella meno “plausibile” e comunque quella meno utilizzabile. È infatti assai improbabile che un accordo con una minoranza dei creditori possa consentire il soddisfacimento integrale ed immediato dei creditori estranei, allora costituenti la maggioranza. Si prevede l’ampliamento a tutti i creditori, nel caso di accordo non liquidatorio (qui ha giuocato evidentemente la suggestione del concordato preventivo, che comporta un’ulteriore scomposizione della figura) del meccanismo di estensione dell’accordo attualmente previsto dall’art. 182-septies l. fall. Ora, già questo meccanismo, nella sua attuale configurazione in cui la limitazione ad una specifica ed omogenea categoria di creditori ha una precisa ragion d’essere, prospetta non pochi e non lievi problemi interpretativi ed applicativi: questi problemi sarebbero ovviamente ancora più gravi con la sua generalizzazione a tutti i creditori. Si prevede l’estensione degli effetti degli accordi ai soci illimitatamente responsabili alle medesime condizioni previste per il concordato preventivo. Ci si è dimenticato, però, che per i creditori gli effetti del concordato sono radicalmente diversi dagli effetti degli accordi, i quali, in realtà, sono naturalmente destinati ad operare, laddove diversamente non sia stabilito nei singoli accordi con i singoli creditori, nei confronti dei soci illimitatamente responsabili. Da tutto ciò consegue che, in sede di attuazione della delega, il legislatore delegato dovrebbe impegnarsi a fondo per costruire un set di regole chiare ed efficienti. Un obiettivo che non sembra essere stato raggiunto con lo “Schema” di decreto di cui si è detto, posto che in esso, dopo aver dettato una disciplina assai minuziosa dell’iter del procedimento di omologazione degli accordi, negli aspetti comuni (o forzosamente resi tali) con il procedimento di ammissione prima e di omologazione poi del concordato preventivo (art. 45-59), si è dettata una disciplina dei profili specifici dell’istituto a dir poco lacunosa ed incoerente. In particolare: - l’art. 63, in materia di estensione degli accordi ai soci illimitatamente responsabili, sembra presupporre che l’istituto abbia alla sua base un unico accordo, di cui si tratti di regolare gli effetti, quanto ai soci illimitatamente responsabili, nei confronti di tutti i creditori, laddove invece, da un lato, un problema di effetti, riguardo a quei soci, si pone solo con riguardo ai creditori aderenti e non ai creditori estranei la cui posizione rispetto ai soci illimitatamente responsabili è destinata a rimanere assolutamente inalterata e, dall’altro, a base dell’istituto è normalmente un fascio di accordi, che potranno avere effetti diversi nei confronti dei soci illimitatamente responsabili a seconda di quanto sia previsto nei singoli accordi; - l’art. 64, in materia di riduzione della soglia dal 60% al 30% del totale dei crediti, sembrerebbe presupporre che la moratoria dei creditori estranei

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debba essere oggetto specifico della “proposta” del debitore, laddove, da un lato, una proposta del debitore entra in gioco solo nell’ipotesi che il procedimento unitario di accertamento della crisi o dell’insolvenza sia avviato dal debitore sulla base appunto di una sua proposta di accordo e, dall’altro, il regime della moratoria di quei creditori scatta automaticamente ai sensi dell’art. 61, co. 3, talché quello che è necessario è che il ricorso del debitore evidenzi che l’accordo è idoneo a soddisfare immediatamente dopo l’omologazione tutti i creditori estranei e che l’attestatore confermi tale idoneità; - l’art. 65, in materia di accordi ad «efficacia estesa» non riproduce tutti i passaggi essenziali dell’attuale art. 182-septies l. fall., omettendo, in particolare, di specificare che l’individuazione delle “classi” (così è stato tradotto, non sappiamo quanto giustificatamente, il diverso termine “categorie” usato nella legge delega) rispetto alle quali si intende far operare l’estensione coattiva deve avvenire all’interno dell’accordo generale; di specificare che è nel ricorso generale che il debitore deve chiedere l’estensione; di chiarire che è il tribunale che deve disporre l’estensione, previa verifica di tutti i presupposti della medesima. ****** Proseguendo nella linea che ha caratterizzato tutti gli interventi normativi dell’ultimo periodo, la legge delega ha previsto un ulteriore rafforzamento della “vicinanza” fra gli accordi di ristrutturazione ed il concordato preventivo, come attestano i numerosi rinvii alla disciplina di questo secondo istituto (e analoga tendenza è riscontrabile nello “Schema” di decreto delegato di cui si è detto più volte). D’altra parte, la stessa legge delega ha evitato di risolvere in modo chiaro ed inequivocabile il problema della natura degli accordi o, meglio, del procedimento di omologazione dei medesimi: nel testo della legge nulla è detto esplicitamente; le indicazioni estraibili dalla disciplina sono di segno contrastante; la relazione è fortemente ambigua (in un passo della stessa si riconduce alle procedure concorsuali anche quel procedimento, che in altra parte viene collocato nella fase stragiudiziale). Una parte sempre maggiore della dottrina e da ultimo anche la Cassazione sono orientate a d attribuire all’istituto in questione la natura di procedura concorsuale, con tutte le conseguenze che allora ne derivano: da un lato, l’applicazione dei principi fondamentali di quelle procedure (a partire dalla par condicio) e, dall’altra, la prededucibilità (nella successiva procedura di liquidazione o fallimento che dir si voglia) dei crediti sorti in occasione o in funzione di quel procedimento, l’applicazione della regola della consecuzione, ecc.

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Chi scrive è stato ed è tuttora convinto che il procedimento in questione non possa essere qualificato come procedura concorsuale. Pur se sono presenti, nella disciplina, caratteri “paraconcorsuali”, mancano nella struttura portante dell’istituto gli elementi essenziali di questo tipo di procedura; specificamente mancano, da un lato, la regolamentazione coattiva dei rapporti creditori/debitore e, dall’altro, la costituzione di un centro di imputazione distinto che si sostituisca o si affianchi al debitore nella gestione del patrimonio del medesimo. ****** Per completezza va precisato che il regolamento UE n. 848/2015 sulle procedure di insolvenza ha esplicitamente incluso fra le medesime anche gli accordi di ristrutturazione del diritto italiano: e v. l’allegata tab. A. Ciò è dipeso, però, dal fatto che in quel regolamento si adotta una nozione di procedure concorsuali più ampia di quella che caratterizza – o che ha caratterizzato finora – il nostro sistema. Come si stabilisce nell’art. 1, che delinea l’ambito di applicazione del regolamento, vi sono infatti comprese, oltre alle procedure che prevedono lo spossessamento in tutto o in parte del debitore, con la nomina di un amministratore e quelle in cui i beni e gli affari di un debitore sono soggetti al controllo o alla sorveglianza di un giudice, le procedure che prevedano la sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali concessa per legge o da un giudice al fine di consentire le trattative tra il debitore ed i suoi creditori: il che è quanto contempla il co. 6 dell’art. 182-bis. Peraltro, questa disposizione regola un meccanismo che costituisce una parte solo accessoria e comunque eventuale del procedimento e che, forse, non avrebbe dovuto influire sulla qualificazione del medesimo come procedura concorsuale. [A.N.]

I Legge 19 ottobre 2017, n. 155 – Delega al governo per la riforma delle discipline della crisi delle imprese e dell’insolvenza. (Omissis) Art. 5 Accordi di ristrutturazione dei debiti e piani attestati di risanamento 1. Nell’esercizio della delega di cui all’art.1, al fine di incentivare gli accordi di ristrutturazione dei debiti, i piani attestati di risanamento e le convenzioni

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di moratoria nonché i relativi effetti, il Governo si attiene ai seguenti principi e caratteri direttivi: a) estendere la procedura di cui all’art. 182-septies del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, all’accordo di ristrutturazione non liquidatorio o alla convenzione di moratoria conclusi con creditori, anche diversi da banche e intermediari finanziari, rappresentanti almeno il 75 per cento dei crediti di una o più categorie giuridicamente ed economicamente omogenee; b) eliminare o ridurre il limite del 60 per cento dei crediti previsto nell’art. 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ove il debitore non proponga la moratoria del pagamento dei creditori estranei, di cui al primo comma del citato articolo 182-bis, né richieda le misure protettive previste dal sesto comma del medesimo articolo; c) assimilare la disciplina delle misure protettive degli accordi di ristrutturazione dei debiti a quella prevista per la procedura di concordato preventivo, in quanto compatibile; d) estendere gli effetti dell’accordo ai soci illimitatamente responsabili, alle medesime condizioni previste nella disciplina del concordato preventivo; e) prevedere che il piano attestato abbia forma scritta, data certa e contenuto analitico; f) imporre la rinnovazione delle prescritte attestazioni nel caso di successive modifiche, non marginali, dell’accordo o del piano. (Omissis)

II Relazione al disegno di legge presentato alla Camera dei deputati (Omissis) 3. Piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione. Nella fase stragiudiziale si collocano gli istituti dei piani attestati di risanamento e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, già presenti nella normativa vigente, da modificare e integrare ai fini di un migliore inserimento nel quadro sistematico che s’intende disegnare. Si tratta di istituti recenti, ma già ormai ben radicati nel panorama del diritto concorsuale, che necessitano sicuramente di una rivitalizzazione perché se ne possa apprezzare in maniera più evidente il proficuo utilizzo nella prassi. Ciò dicasi, in particolare, per gli accordi di ristrutturazione, che a dieci anni dalla loro introduzione nell’ordinamento non sembrano ancora aver incontrato il favore diffuso degli operatori. Allo scopo di renderli più duttili e meglio fruibili si è perciò proposta l’eliminazione della soglia del 60 per cento dei crediti, prevista dal vigente articolo 182-bis della legge fallimentare, purché sia attestata

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l’idoneità dell’accordo alla soddisfazione non solo integrale, ma anche tempestiva, dei creditori estranei alle trattative, a meno che il debitore intenda chiedere misure protettive, quali, ad esempio, la sospensione delle azioni esecutive o cautelari durante le trattative. Gli effetti dell’accordo, previo controllo da svolgere in sede di omologazione giudiziale secondo i parametri previsti dall’articolo 182-septies della legge fallimentare (introdotto dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012), dovrebbero invece potersi estendere anche ai creditori non aderenti appartenenti a categorie omogenee (anche diverse da quella dei creditori finanziari) – fermo restando ovviamente il loro diritto di impugnare l’omologazione – se l’accordo medesimo sia raggiunto con creditori che rappresentano una rilevante percentuale (almeno il 75 per cento) del totale dei crediti appartenenti alla medesima categoria. Ragioni di ordine sistematico suggeriscono, in caso di società con soci illimitatamente responsabili, di estendere gli effetti dell’accordo anche a tali soci, in coerenza con quanto accade per il concordato preventivo. 4. Procedimento di accertamento giudiziale della crisi e dell’insolvenza. In difetto di soluzioni stragiudiziali, o perché non attivate o perché non concluse positivamente, la crisi e l’insolvenza sono destinate necessariamente a trovare sbocco in ambito giudiziario. Ed è proprio in tale ambito che dovrebbe potersi attuare quell’opera di semplificazione e di chiarificazione della disciplina normativa cui già si è fatto cenno. La prospettata reductio ad unum della fase iniziale delle varie procedure esistenti, con la creazione di un unico «procedimento di accertamento giudiziale della crisi e dell’insolvenza», destinato a costituire una sorta di contenitore processuale uniforme di tutte le iniziative di carattere giudiziale fondate sulla prospettazione – e miranti alla regolazione – della crisi o dell’insolvenza, siano esse finalizzate alla conservazione o alla liquidazione dell’impresa o del patrimonio del debitore, quali che ne siano la natura (civile, professionale, agricola, commerciale), le dimensioni (piccola, media, grande) e la struttura (persone fisiche, persone giuridiche, gruppi di imprese, cooperative, associazioni, fondazioni, organizzazioni non lucrative di utilità sociale, enti ecclesiastici, banche, assicurazioni, società partecipate pubbliche e società in house), con la sola esclusione degli enti pubblici, fatte salve le eventuali disposizioni speciali riguardanti l’una o l’altra di tali situazioni. Una volta individuata un’unica sede procedimentale, globalmente destinata all’esame delle situazioni di crisi o di insolvenza, attraverso strumenti di regolazione conservativa o liquidatoria, diventa naturale che in essa confluiscano tutte le domande e le istanze, anche contrapposte, di creditori, pubblico ministero e debitore, in vista dell’adozione o dell’omologazione, da parte dell’organo giurisdizionale competente, della soluzione più appropriata alle situazioni di crisi o di insolvenza accertate, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio su tutte le istanze avanzate. Siffatta impostazione agevola altresì la risoluzione dei problemi di coordinamento tra le molteplici procedure concorsuali attualmente in essere (fase prefallimen-

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tare, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, dichiarazione di insolvenza degli imprenditori commerciali soggetti alle varie forme di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa, accordi e liquidazioni dell’imprenditore non assoggettabile a fallimento nonché del debitore civile, accordi, piani e liquidazione del consumatore), con particolare riferimento alla frequente sovrapposizione tra procedura di concordato preventivo e procedimento per la dichiarazione di fallimento, in ordine alla quale è intervenuta da ultimo anche la Corte di cassazione nella sua più autorevole composizione. In linea con tale recente insegnamento giurisprudenziale e con i princìpi affermati nella raccomandazione n. 2014/135/UE e nel regolamento (UE) 2015/848, anche in ambito processuale dovrà perciò darsi, finché possibile e avendo cura di scoraggiare comportamenti strumentali, la prevalenza agli strumenti negoziali di risoluzione della crisi d’impresa e di ristrutturazione rispetto a quelli meramente disgregatori. Il procedimento sarà suscettibile di diversi possibili esiti, a seconda del tipo di provvedimento richiesto al giudice e dell’accertamento positivo o negativo della sussistenza delle relative condizioni, e appare coerente con questa logica prevedere che un iniziale percorso concordatario, ove rivelatosi impraticabile, possa convertirsi automaticamente in un esito di tipo liquidatorio (corrispondente all’attuale fallimento), senza necessità di una nuova domanda – e dunque con risparmio di tempi e di costi – poiché l’iniziale domanda di regolazione della crisi sussume in sé tutti i prevedibili esiti del percorso giudiziale. Ovviamente ciò non comporta la reintroduzione in una diversa forma della fallibilità d’ufficio, già da tempo espunta dall’ordinamento, che anzi dev’essere espressamente ribadita mediante l’eliminazione dell’unica ipotesi in cui essa è tuttora contemplata dall’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 270 del 1999. L’unicità della procedura destinata alle situazioni di crisi o di insolvenza, attraverso strumenti di regolazione conservativa o liquidatoria, si accompagna all’esigenza che le diverse forme di soluzione negoziale della crisi offrano al debitore analoghe opportunità di evitare aggressioni del proprio patrimonio (o comunque dei beni facenti parte dell’impresa) che rischino di vanificare ogni possibilità di superamento della crisi nel tempo occorrente per mettere a punto la soluzione più adatta. Ciò ha suggerito di configurare un percorso protettivo identico per i diversi istituti che vengono di volta in volta in gioco, non automatico ma operante previa richiesta al giudice, e con identiche soluzioni quanto all’ambito oggettivo del divieto, alle conseguenze della violazione e alla durata della protezione. 5. Tribunale competente. Tema particolarmente delicato è quello dell’individuazione del tribunale competente a provvedere sulle procedure concorsuali. Non occorrono molte parole per evidenziare come la gestione di tali procedure e l’adozione dei provvedimenti a esse inerenti richiedano, in moltissimi casi, valutazioni giuridiche (ma non soltanto giuridiche) di natura spiccatamente specialistica. L’attuale conformazione della geografia giudiziaria non sembra in-

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vece consentire un sufficiente livello di specializzazione dei giudici addetti alla trattazione delle procedure concorsuali. È infatti fin troppo ovvio che soltanto in uffici giudiziari dotati di un organico adeguato è possibile assicurare un minimo di specializzazione dei magistrati addetti a una determinata materia, specie per quanto concerne la competenza collegiale (che nella materia concorsuale è molto estesa). Invece, esistono ancora una trentina di tribunali infra-provinciali, ottantotto tribunali con meno di trenta giudici in organico, quarantacinque con meno di venti giudici in organico e addirittura ventisette tribunali con un organico che va da quindici a soli sei giudici. I tribunali nei quali sono attualmente funzionanti sezioni specializzate in materia concorsuale sono solo una ventina, mentre, per il resto, nella maggior parte delle tabelle dei tribunali figurano solamente uno o due giudici delegati alle procedure concorsuali. Stando così le cose, la soluzione apparentemente più ovvia per risolvere il problema della specializzazione dei giudici che trattano le procedure concorsuali potrebbe apparire quella di assegnare in blocco tali procedure ai tribunali delle imprese (sezioni specializzate in materia di impresa presso i tribunali e le corti di appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione), istituiti dall’articolo 2 del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, che ha modificato il decreto legislativo n. 168 del 2003. Tuttavia una siffatta scelta, nella sua assolutezza, potrebbe non essere priva di inconvenienti sia per l’eccessivo carico di procedure che si concentrerebbe sulle sezioni specializzate, sia perché, almeno nel caso di procedure relative a imprese di minore dimensione o a consumatori e a debitori che non esercitano attività d’impresa, l’eventuale maggiore lontananza dell’ufficio giudiziario potrebbe aggravare ingiustificatamente gli oneri e le difficoltà pratiche nell’esercizio dei diritti da parte di soggetti non adeguatamente attrezzati. Anche l’alternativa costituita da un massiccio e generalizzato ricorso ad applicazioni infradistrettuali di magistrati esperti nella materia concorsuale non è parsa praticabile, trattandosi di un rimedio farraginoso, costoso e non esente da profili disfunzionali per gli uffici interessati. Si è quindi preferito optare per una soluzione mediana, prevedendo: che presso i tribunali delle imprese (con opportuno rafforzamento degli organici) siano concentrate le procedure di maggiori dimensioni; che quelle riguardanti i soggetti interessati solo dalle procedure di sovraindebitamento restino attribuite ai tribunali oggi esistenti secondo i normali criteri di competenza; che la trattazione delle rimanenti procedure sia invece ripartita tra un numero ridotto di tribunali, dotati di una pianta organica adeguata, scelti in base a parametri oggettivi da individuare (numero dei magistrati addetti all’ufficio, numero delle imprese operanti nel circondario, flussi di procedure registrati negli ultimi anni). Tutto ciò, comunque, in concomitanza con l’emanazione di disposizioni volte ad assicurare un maggiore grado di effettiva specializzazione dei giudici comunque chiamati a occuparsi delle procedure anzidette. (Omissis)

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III Schema di decreto delegato recante il codice della crisi e dell’insolvenza (Omissis) Articolo 45 Procedimento unitario 1. Il tribunale con decreto convoca le parti non oltre trenta giorni dal deposito del ricorso. 2. Tra la data della notifica e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non inferiore a dieci giorni. 3. I termini di cui ai commi precedenti possono essere abbreviati dal presidente del tribunale, con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza. In tali casi, il presidente del tribunale può disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi. 4. Il debitore si deve costituire fino a tre giorni prima dell’udienza o fino all’udienza, in caso di abbreviazione dei termini. Nel costituirsi, deve depositare i documenti di cui all’articolo 43 e, a pena di decadenza, proporre l’eccezione di incompetenza nonché l’eventuale domanda di accesso al concordato preventivo o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. 5. L’intervento dei terzi che hanno legittimazione a proporre la domanda e del pubblico ministero può avere luogo sino a che la causa non venga assunta in decisione. 6. Tutte le domande proposte separatamente debbono essere riunite, anche d’ufficio, in un unico processo. In caso di domanda di accesso al concordato preventivo o al giudizio di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti non può essere dichiarata aperta la procedura di liquidazione giudiziale, salvo i casi di revoca dei termini concessi dal giudice ai sensi dell’articolo 48 e quanto previsto dall’articolo 53, secondo comma. 7. La domanda del debitore, entro il giorno successivo al deposito è comunicata dal cancelliere al registro delle imprese per la sua iscrizione, da farsi entro il giorno successivo al ricevimento. 8. Il tribunale può delegare l’audizione delle parti al giudice relatore, che provvede all’ammissione e all’espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio. Il giudice può disporre la raccolta di informazioni da banche dati pubbliche e da pubblici registri. Articolo 46 1. Istruttoria sui debiti risultanti dai pubblici registri nei procedimenti per l’apertura della liquidazione giudiziale o del concordato preventivo.

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Fermo quanto disposto dall’articolo 43, a seguito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale o del concordato preventivo, la cancelleria acquisisce, mediante collegamento telematico diretto alle banche dati dell’Agenzia delle Entrate, dell’Istituto Nazionale di previdenza sociale e del Registro delle Imprese, i dati e i documenti relativi al debitore individuati all’articolo 28 delle disposizioni per l’attuazione e con le modalità prescritte nel medesimo articolo. 2. Il Ministero della giustizia trasmette altresì alla cancelleria le informazioni e i documenti relativi al debitore, risultanti dai registri informatici di cancelleria e relativi in particolare ai procedimenti monitori ed esecutivi introdotti nei dodici mesi precedenti il ricorso.

Articolo 47 Rinuncia alla domanda 1. In caso di rinuncia alla domanda il procedimento si estingue se nessuna altra parte o il pubblico ministero lo prosegue in occasione del primo atto del processo successivo alla rinuncia. 2. Sull’estinzione il giudice provvede con decreto e, nel dichiarare l’estinzione, può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese. Il decreto, ricorrendone i presupposti, è trasmesso al pubblico ministero, unitamente alla documentazione acquisita ai sensi dell’articolo 46, ai fini dell’eventuale iniziativa di cui all’articolo 42, lettera b). 3. Il cancelliere comunica immediatamente il decreto al registro delle imprese per la sua iscrizione, da farsi entro il giorno successivo alla ricezione, quando la domanda in precedenza vi sia stata iscritta.

Articolo 48 Accesso al concordato preventivo e al giudizio per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione 1. All’udienza il tribunale, sulla domanda del debitore di accedere a una procedura di regolazione concordata: a) fissa un termine perentorio compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore, in presenza di giustificati motivi e in assenza di domande per l’apertura della liquidazione giudiziale, di non oltre trenta giorni, entro il quale il debitore deposita la proposta, il piano e la documentazione nel concordato preventivo oppure l’accordo di ristrutturazione dei debiti. b) nel caso di domanda di accesso alla procedura di concordato preventivo nomina un commissario giudiziale, disponendo che questi riferisca immediatamente al tribunale su ogni atto di frode ai creditori o grave mutamento delle

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condizioni o condotta del debitore manifestamente inidonea a una soluzione efficace della crisi; al commissario si applica l’articolo 53, comma 3, lettera f); c) dispone gli obblighi informativi periodici, relativi alla gestione economica, patrimoniale e finanziaria, che il debitore deve assolvere mediante relazioni e documenti da depositarsi presso la cancelleria del tribunale. Con la medesima periodicità, il debitore deposita una relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria che, entro il giorno successivo, è iscritta nel registro delle imprese su richiesta del cancelliere; d) in caso di nomina del commissario giudiziale, ordina al debitore il versamento, entro un termine perentorio non superiore a dieci giorni, di una somma per le spese della procedura, nella misura necessaria fino alla approvazione da parte dei creditori della proposta di concordato o fino alla conclusione delle trattative o al deposito del relativo accordo di ristrutturazione; e) ordina l’iscrizione immediata del provvedimento, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese. 2. Il tribunale, su segnalazione del commissario giudiziale o delle parti del procedimento o del pubblico ministero, con decreto non soggetto a reclamo, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, revoca il provvedimento di concessione dei termini quando accerta una delle situazioni di cui alla lettera b) del primo comma o vi sia stata grave violazione degli obblighi informativi di cui alla lettera c) del primo comma. Nello stesso modo il tribunale provvede quando non concede il termine. 3. I provvedimenti di cui al primo comma possono essere emessi dal tribunale, verificata la regolarità della domanda, anche senza la convocazione all’udienza, quando non siano state proposte istanze per l’apertura della liquidazione giudiziale. 4. Nel caso di domanda di accesso al giudizio di omologazione di un accordo di ristrutturazione, la nomina del commissario giudiziale è disposta solo in presenza di istanze per la apertura della procedura di liquidazione giudiziale e su richiesta di parte. Articolo 49 Notificazione e pubblicazione del decreto di concessione dei termini per l’accesso al concordato preventivo o al giudizio per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione 1. Entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, il decreto di concessione dei termini per l’accesso al concordato preventivo o al giudizio per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione è notificato al debitore, al pubblico ministero e alle parti richiedenti l’apertura della liquidazione giudiziale. 2. Il decreto è trasmesso all’ufficio del registro delle imprese ai fini della sua iscrizione. L’estratto contiene il nome del debitore, il nome dell’eventuale commissario, il dispositivo e la data del deposito. L’iscrizione è attuata presso l’ufficio del registro delle imprese competente ove l’imprenditore ha la sede legale

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e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso quello corrispondente al luogo ove la procedura è stata aperta.

Articolo 50 Effetti del decreto di concessione dei termini per l’accesso al concordato preventivo o al giudizio per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione 1. Dopo il deposito della domanda di accesso e fino all’omologazione il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale. In difetto di autorizzazione gli atti sono inefficaci e il tribunale può disporre la revoca della concessione del termine disposto ai sensi dell’articolo 48. 2. La domanda di autorizzazione contiene le idonee informazioni sul contenuto del piano o sulle trattative in corso. Il tribunale può assumere ulteriori informazioni, anche da terzi, e acquisisce il parere del commissario giudiziale, se nominato. 3. I crediti di terzi sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili. 4. Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori. 5. Il debitore può compiere gli atti di ordinaria amministrazione.

Articolo 51 Apertura del concordato preventivo e del giudizio di omologazione dell’accordo di ristrutturazione 1. A seguito del deposito del piano e della proposta di concordato, il tribunale, verificate le condizioni di cui agli articoli da 89 a 93, anche con riferimento alla fattibilità del piano e tenuto conto dei rilievi del commissario giudiziale, con decreto: a) nomina il giudice delegato; b) stabilisce, in relazione al numero dei creditori, alla entità del passivo e alla necessità di assicurare la tempestività e l’efficacia della procedura, la data del voto dei creditori e la relativa comunicazione, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi; c) fissa il termine per la comunicazione ai creditori non oltre novanta giorni dalla data del provvedimento e stabilisce il termine per la comunicazione di questo ai creditori; d) fissa il termine perentorio, non superiore a quindici giorni, entro il quale il debitore deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma pari al 50 per cento delle spese che si presumono necessarie per l’intera procedura ov-

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vero la diversa minor somma, non inferiore al 20 per cento di tali spese, che sia determinata dal giudice, dedotta quella già versata ai sensi dell’articolo 48, comma 1, lettera d). 2. Il decreto è comunicato e pubblicato ai sensi dell’articolo 49. 3. Dopo il deposito dell’accordo di ristrutturazione, il tribunale, verificate le condizioni di cui all’articolo 61, fissa con decreto l’udienza per l’omologazione. Per le eventuali opposizioni si applica il secondo comma dell’articolo 52. 4. Il tribunale, quando accerta la mancanza delle condizioni previste singolarmente dagli articoli 61 o da 89 a 93, sentito il debitore, dispone con decreto motivato la cessazione della procedura. 5. Il decreto è reclamabile dinanzi alla corte di appello nel termine di quindici giorni dalla comunicazione; la corte di appello, sentite le parti, provvede in camera di consiglio con decreto motivato. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 737 e 738 del codice di procedura civile. 6. La domanda può essere riproposta, decorso il termine per proporre reclamo, quando si verifichino mutamenti delle circostanze. Articolo 52 Omologazione del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti 1. Se il concordato è stato approvato dai creditori, il tribunale fissa l’udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale, disponendo che il provvedimento venga pubblicato presso l’ufficio del registro delle imprese dove l’imprenditore ha la sede legale e notificato, a cura del debitore, al commissario giudiziale e agli eventuali creditori dissenzienti. 2. Le opposizioni dei creditori dissenzienti e di qualsiasi interessato devono essere proposte con memoria depositata entro il termine perentorio di almeno dieci giorni prima dell’udienza. Il commissario giudiziale deve depositare il proprio motivato parere almeno cinque giorni prima dell’udienza. Il debitore può depositare memorie fino a due giorni prima dell’udienza. 3. Il tribunale, verificata la regolarità della procedura e l’esito della votazione, anche con riferimento alla fattibilità del piano e tenuto conto dei rilievi del commissario giudiziale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio, provvede con sentenza sull’omologazione del concordato. 4. Nello stesso modo il tribunale provvede sull’omologazione dell’accordo di ristrutturazione. 5. La sentenza che omologa il concordato o l’accordo di ristrutturazione è notificata e iscritta a norma dell’articolo 49 e produce i propri effetti dalla data della pubblicazione ai sensi dell’articolo 133, primo comma, del codice di procedura civile. Gli effetti nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione nel registro delle imprese.

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6. Se il tribunale non omologa il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione, si applica l’articolo 53, secondo comma. Articolo 53 Dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale 1. Il tribunale, in assenza di domande di accesso a una procedura di regolazione concordata, su ricorso di uno dei soggetti legittimati e accertati i presupposti dell’articolo 126, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale. 2. Nelle stesse condizioni provvede quando sia decorso inutilmente o sia stato revocato il termine di cui alla lettera a) del primo comma dell’articolo 48, il debitore non abbia depositato le spese di procedura di cui alla lettera d) del primo comma dell’articolo 48, nei casi previsti dall’articolo 111, in caso di mancata approvazione del concordato preventivo o quando il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione non siano stati omologati. 3. Con la sentenza il tribunale: a) nomina il giudice delegato per la procedura; b) nomina il curatore; c) ordina al debitore il deposito entro due giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, in formato digitale nei casi in cui la documentazione è tenuta a norma dell’art. 2215-bis del codice civile, nonché dell’elenco dei creditori, se già non eseguito a norma dell’articolo 43; d) stabilisce il luogo, il giorno e l’ora dell’udienza in cui si procederà all’esame dello stato passivo, entro il termine perentorio di non oltre novanta giorni dal deposito della sentenza, ovvero centoventi giorni in caso di particolare complessità della procedura; e) assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del debitore, il termine perentorio di trenta giorni prima dell’udienza di cui alla lettera d) per la presentazione delle domande di insinuazione; f) autorizza il curatore ad accedere con sollecitudine alle banche dati, ai fini delle ricerche per la ricostruzione dell’attivo e del passivo, provvedendovi secondo le modalità telematiche, ai sensi degli articoli 155-quater, 155-quinquies e 155-sexies delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile; all’accesso del curatore non sono applicati oneri o costi da parte dei gestori delle banche dati stesse. 4. La sentenza è comunicata e pubblicata ai sensi dell’articolo 49. La sentenza produce i propri effetti dalla data della pubblicazione ai sensi dell’articolo 133, primo comma, del codice di procedura civile. Gli effetti nei riguardi dei terzi, fermo quanto disposto agli articoli da 168 a 176, si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese, che è immediatamente richiesta dal cancelliere al competente ufficio.

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Articolo 54 Reclamo contro il provvedimento che rigetta la domanda di apertura della liquidazione giudiziale 1. Il tribunale che rigetta la domanda di apertura della liquidazione provvede con decreto motivato. Il decreto, a cura del cancelliere, è comunicato alle parti e, quando è stata disposta la pubblicità della domanda, iscritto immediatamente al registro delle imprese. 2. Entro quindici giorni dalla comunicazione, il ricorrente o il pubblico ministero possono proporre reclamo contro il decreto alla corte d’appello che, sentite le parti, provvede in camera di consiglio con decreto motivato. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 737 e 738 del codice di procedura civile. 3. Con il reclamo di cui al secondo comma, il debitore può chiedere la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese o al risarcimento del danno per responsabilità aggravata ai sensi dell’articolo 96 del codice di procedura civile. 4. Il decreto della corte d’appello che rigetta il reclamo non è ricorribile per cassazione, è comunicato dalla cancelleria alle parti del procedimento in via telematica, al debitore, se non costituito, ai sensi dell’articolo 44, commi 3, 4 e 5 ed è iscritto immediatamente al registro delle imprese nel caso di pubblicità della domanda, già disposta ai sensi del primo comma, secondo periodo. 5. In caso di accoglimento del reclamo, la corte di appello dichiara aperta la liquidazione giudiziale con sentenza e rimette gli atti al tribunale, che adotta, con decreto, i provvedimenti di cui al terzo comma dell’articolo 51. Contro la sentenza della corte di appello che decide sul reclamo può essere proposto ricorso per cassazione, ma i termini sono ridotti alla metà. La sentenza della corte d’appello e il decreto del tribunale sono iscritti nel registro delle imprese su richiesta del cancelliere del tribunale. 6. I termini di cui agli articoli 38 e 39 si computano con riferimento alla sentenza della corte d’appello. Articolo 55 Impugnazioni 1. Contro la sentenza del tribunale che pronuncia sull’omologazione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione, oppure dispone l’apertura della liquidazione giudiziale può essere proposto reclamo dalle parti del procedimento concluso con la sentenza impugnata e, nel caso dell’apertura della liquidazione giudiziale, anche da qualunque interessato. Il reclamo è proposto con ricorso da depositare nella cancelleria della corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni. 2. Il ricorso va depositato esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e deve contenere: 1) l’indicazione della corte d’appello competente;

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2) le generalità dell’impugnante; 3) l’esposizione dei motivi su cui si basa l’impugnazione, con le relative conclusioni; 4) a pena di decadenza, l’indicazione dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti. 3. Il termine per il reclamo decorre per le parti costituite dalla data della notificazione telematica del provvedimento a cura dell’ufficio e, negli altri casi, dalla data della iscrizione nel registro delle imprese. 4. Il reclamo non sospende l’efficacia della sentenza, salvo quanto previsto all’articolo 56. L’accoglimento del reclamo produce gli effetti di cui all’articolo 57. 5. Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso, designa il relatore, e fissa con decreto l’udienza di comparizione entro quarantacinque giorni dal deposito del ricorso. 6. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, è notificato a cura della cancelleria e in via telematica, al reclamante, al curatore o al commissario giudiziale e alle altre parti entro dieci giorni. 7. Tra la data della notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di venti giorni. 8. Le parti resistenti devono costituirsi, a pena di decadenza, almeno sette giorni prima della udienza, eleggendo il domicilio nel comune in cui ha sede la corte d’appello. La costituzione si effettua mediante il deposito in cancelleria di una memoria contenente l’esposizione delle difese in fatto e in diritto, nonché l’indicazione, a pena di decadenza, dei mezzi di prova e dei documenti prodotti. 9. L’intervento di qualunque interessato non può avere luogo oltre il termine stabilito per la costituzione delle parti resistenti con le modalità per queste previste. 10. All’udienza, il collegio, nel contraddittorio delle parti, assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, eventualmente delegando un suo componente. 11. La corte provvede sul ricorso con sentenza, entro il termine di trenta giorni dall’esaurimento della trattazione. 12. La sentenza è notificata, a cura della cancelleria e in via telematica, alle parti, e deve essere pubblicata e iscritta al registro delle imprese a norma dell’articolo 49. 13. Il termine per proporre il ricorso per cassazione è di trenta giorni dalla notificazione. Al controricorso e al ricorso incidentale si applicano gli articoli 370 e 371 del codice di procedura civile, con i termini diminuiti della metà. 14. Il ricorso per cassazione non sospende l’efficacia della sentenza. Il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza è emesso entro sei mesi dalla proposizione del ricorso. 15. Con la sentenza che decide l’impugnazione, il giudice dichiara se la parte soccombente ha agito o resistito con mala fede o colpa grave e, in tal caso, revoca con efficacia retroattiva l’eventuale provvedimento di ammissione della stessa al patrocinio a spese dello Stato, salva ogni altra condanna ai sensi dell’articolo 96 del codice di procedura civile. In caso di società o enti, il giudice dichiara se sussiste mala fede del legale rappresentante che ha agito o resistito in giudizio e, in caso positivo, lo condanna personalmente in solido alle spese dell’intero processo o di singoli atti e al raddoppio del contributo unificato di cui all’articolo

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9 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, calcolato sulla misura ordinaria dovuta per i processi civili di valore indeterminabile. Articolo 56 Sospensione della liquidazione o del piano o dell’accordo 1.Proposto il reclamo, la corte di appello, su richiesta di parte o del curatore, può, quando ricorrono gravi e fondati motivi, sospendere, in tutto o in parte o temporaneamente, la liquidazione dell’attivo, la formazione dello stato passivo e il compimento di altri atti di gestione. Allo stesso modo può provvedere, in caso di reclamo avverso la omologazione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, ordinando la inibitoria, in tutto o in parte o temporanea, dell’attuazione del piano o dei pagamenti. 2. La corte può disporre le opportune garanzie a tutela dei creditori e in funzione della continuità aziendale. 3. L’istanza si propone con lo stesso reclamo o con l’atto di costituzione per le altre parti; il presidente, con decreto in calce, ordina la comparizione delle parti dinanzi al collegio in camera di consiglio e dispone che copia del ricorso e del decreto sia notificata alle altre parti e al curatore o al commissario giudiziale, nonché al pubblico ministero. 4. La corte decide con decreto non reclamabile, né ricorribile per cassazione.

Articolo 57 Effetti della revoca della liquidazione giudiziale, dell’omologazione del concordato e dell’accordo di ristrutturazione 1. Se la liquidazione giudiziale è revocata, restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura. Le spese della procedura e il compenso al curatore sono liquidati dal tribunale, su relazione del giudice delegato e tenuto conto delle ragioni dell’apertura della procedura e della sua revoca, con decreto reclamabile ai sensi 129, fermo quanto previsto dall’articolo 147 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. Ai fini di cui al presente articolo gli organi della procedura restano in carica fino al momento in cui diviene definitiva la sentenza che pronuncia sulla revoca. 2. Dalla pubblicazione della sentenza di revoca e fino al momento in cui diviene definitiva, l’amministrazione dei beni e l’esercizio dell’impresa spettano al debitore, sotto la vigilanza del curatore. Il debitore può compiere gli atti di straordinaria amministrazione, e in generale stipulare mutui, transazioni, patti compromissori, alienazioni e acquisti di beni immobili, rilasciare garanzie, rinunciare alle liti, compiere ricognizioni di diritti di terzi, consentire cancellazioni di ipoteche e restituzioni di pegni, accettare eredità e donazioni, previa autorizzazione del tribunale, assunte, se occorre, sommarie informazioni e acquisito il parere del curatore.

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3. Gli atti compiuti senza l’autorizzazione del tribunale sono inefficaci rispetto ai terzi. I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell’articolo 103. 4. Con la sentenza che revoca la liquidazione giudiziale, la corte d’appello dispone gli obblighi informativi periodici, relativi alla gestione economica, patrimoniale e finanziaria, che il debitore deve assolvere, mediante relazioni e documenti da depositarsi presso la cancelleria del tribunale, e sotto la vigilanza del curatore, sino al momento in cui la sentenza diviene definitiva. Con la medesima periodicità, il debitore deposita una relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria che, entro il giorno successivo, è comunicata ai creditori e pubblicata nel registro delle imprese a cura del cancelliere, con esclusione in tutto o in parte di tale pubblicità in caso di pregiudizio evidente per la continuità aziendale accertato dal tribunale con decreto non soggetto a reclamo. In caso di violazione di tali obblighi, accertata dal tribunale con decreto emesso su segnalazione degli organi della procedura o del pubblico ministero e assoggettabile a reclamo ai sensi dell’articolo 129, il debitore è privato della possibilità di compiere gli atti di amministrazione ordinaria e straordinaria. 5. In caso di revoca dell’omologazione del concordato o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, e su domanda di uno dei soggetti legittimati, la corte d’appello, accertati i presupposti di cui all’articolo 126, dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale, rimettendo immediatamente gli atti al tribunale per l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 53, comma 3. La notifica della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale è effettuata alle parti a cura della cancelleria della corte d’appello e comunicata al tribunale, nonché iscritta al registro delle imprese e presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura. 6. Nel caso previsto dal comma precedente, su istanza del debitore il tribunale che ha omologato il concordato o l’accordo di ristrutturazione, ove ricorrano gravi e giustificati motivi, può sospendere i termini per la proposizione delle impugnazioni dello stato passivo e l’attività di liquidazione fino al momento in cui la sentenza che pronuncia sulla revoca diviene definitiva. Sezione III Misure cautelari e protettive Articolo 58 Misure cautelari e protettive 1. Nel corso del procedimento previsto dall’articolo 45, su istanza di parte, il tribunale può emettere i provvedimenti cautelari, inclusa la nomina di un custode dell’azienda o del patrimonio, che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente l’attuazione della sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale o che omologa il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione dei debiti.

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2. Su richiesta del debitore o di coloro che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull’impresa o dei creditori il tribunale può disporre anche il divieto di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore e dell’impresa, indicandone la durata. Entro il medesimo termine i creditori non possono acquisire titoli di prelazione se non concordati. Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese e le decadenze non si verificano. 3. I provvedimenti di cui al secondo comma possono essere richiesti dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima del deposito dell’accordo di ristrutturazione, depositando la documentazione di cui all’articolo 61 e una proposta di accordo corredata da un’attestazione del professionista indipendente che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e che la proposta, se accettata, è idonea ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. La disposizione si applica anche agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa di cui all’articolo 65. 4. Quando i provvedimenti di cui al secondo comma e ogni altro necessario per condurre a termine le trattative in corso sono richiesti dal debitore che abbia presentato l’istanza di composizione assistita della crisi o sia stato convocato dal relativo organismo, la domanda è pubblicata nel registro delle imprese. Il presidente della sezione specializzata fissa con decreto l’udienza entro il termine di quindici giorni dal deposito della domanda. All’esito dell’udienza, provvede con decreto motivato fissando la durata delle misure. 5. L’amministratore delle procedure di insolvenza nominato dal giudice competente ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015 può chiedere i provvedimenti di cui al primo e al secondo comma quando nel territorio dello Stato sia stata presentata la domanda di cui all’articolo 44 o, se non risulti depositata la domanda, nella richiesta siano indicate le condizioni di effettivo e imminente soddisfacimento non discriminatorio di tutti creditori secondo la procedura concorsuale aperta. Articolo 59 Procedimento 1. Nei casi previsti dall’articolo precedente, il presidente del tribunale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento; ad essa procede direttamente il giudice relatore, se già delegato dal tribunale per l’audizione delle parti. 2. Tutte le domande proposte separatamente debbono essere riunite, anche d’ufficio, in un unico procedimento. 3. Il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione alla misura richiesta e, quando la convocazione potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, provvede con decreto motivato, assunte ove occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l’udienza di convocazione delle parti avanti a sé, ove già non disposta ai sensi dell’articolo

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45, assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a otto giorni per la notifica del ricorso e del decreto alle altre parti. All’udienza il giudice con ordinanza conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto. 4. Le misure disposte hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermate o revocate dal provvedimento che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale o pronuncia sull’omologazione del concordato o dell’accordo di ristrutturazione. La pronuncia che conferma la misura] può disporre la conservazione degli effetti protettivi stabilendone la durata e le modalità. 5. In caso di atti di frode, su istanza del commissario giudiziale, delle parti del procedimento o del pubblico ministero, il tribunale, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, revoca o modifica le misure. 6. I provvedimenti di cui al primo e al secondo comma dell’articolo 58 possono essere emessi anche dalla corte d’appello nel giudizio di reclamo previsto dall’articolo 54. (Omissis) Sezione II Accordi di ristrutturazione dei debiti dell’imprenditore Art. 61 Accordi di ristrutturazione dei debiti 1. L’accordo di ristrutturazione dei debiti è stipulato dall’imprenditore, non minore, con i creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti. 2. L’accordo deve indicare il piano economico finanziario che ne consente l’esecuzione. Il piano deve essere redatto secondo le modalità indicate dall’articolo 60. Al piano debbono essere allegati i documenti di cui all’articolo 43. 3. L’accordo deve essere idoneo ad assicurare il pagamento dei creditori estranei nei seguenti termini: entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data; entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione. 4. Un professionista indipendente designato dal debitore deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. L’attestazione deve specificare l’idoneità dell’accordo e del piano ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei termini di cui al comma che precede. Art. 62 Modifiche dell’accordo o del piano 1. Qualora prima dell’omologazione intervengano modifiche non marginali dell’accordo o del piano o risulti che la situazione dell’impresa le renda neces-

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sarie per la realizzazione dell’accordo, è rinnovata l’attestazione di cui al quarto comma dell’articolo precedente. Ove occorra, il debitore richiede anche il rinnovo delle manifestazioni di consenso dei creditori pregiudicati. 2. Qualora dopo l’omologazione si rendano necessarie modifiche non marginali del piano, fermo restando l’accordo già omologato, l’imprenditore, ove non ritenga di proporre un nuovo accordo di ristrutturazione o di far ricorso ad altra procedura prevista dal presente Codice, apporta al piano le modifiche idonee ad assicurare l’esecuzione dell’accordo, richiedendo al professionista indicato al quarto comma dell’articolo precedente il rinnovo dell’attestazione. 3. Il piano modificato e l’attestazione sono pubblicati presso il registro delle imprese e della pubblicazione è dato avviso ai creditori a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata. Entro trenta giorni dalla ricezione dell’avviso è ammessa opposizione avanti al tribunale, nelle forme di cui all’articolo 52. Articolo 63 Coobbligati e soci illimitatamente responsabili. 1. Ai creditori che hanno aderito all’accordo di ristrutturazione si applica l’articolo 1239 del codice civile. 2. Nel caso in cui l’efficacia dell’accordo sia estesa ai creditori non aderenti, costoro conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. 3. Salvo patto contrario, l’accordo di ristrutturazione della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, i quali, se hanno prestato garanzia, continuano a rispondere per tale diverso titolo, salvo che non sia diversamente previsto. Articolo 64 Accordi di ristrutturazione agevolati 1. Il limite del sessanta per cento di cui al primo comma dell’articolo 61 è sostituito dal trenta per cento quando il debitore: non proponga la moratoria dei creditori estranei all’accordo e tale condizione risulti espressamente dall’attestazione di cui al quarto comma dell’articolo 61; non abbia richiesto e rinunci a richiedere misure protettive temporanee. Articolo 65 Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa 1. La disciplina di cui agli articoli 61 e seguenti dell’accordo di ristrutturazione si applica, in deroga agli articoli 1372 e 1411 del codice

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civile, al caso in cui gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima classe. 2. Ai fini di cui al primo comma occorre che: a) tutti i creditori appartenenti alla classe siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui suoi effetti; b) l’accordo abbia carattere non liquidatorio, prevedendo la prosecuzione dell’attività d’impresa; c) i crediti dei creditori aderenti appartenenti alla classe rappresentino il settantacinque per cento di tutti i creditori appartenenti alla classe, fermo restando che un creditore può essere titolare di crediti inseriti in più di una classe; d) i creditori della medesima classe non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell’accordo possano risultare soddisfatti in base all’accordo stesso in misura superiore rispetto alla liquidazione giudiziale. e) il debitore, oltre agli adempimenti pubblicitari ordinari, abbia notificato l’accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori ai quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo. 3. Restano fermi i diritti dei creditori non appartenenti alla classe individuata nell’accordo. 4. Il provvedimento del tribunale di cui all’articolo 52 è notificato anche ai creditori della medesima classe non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell’accordo che possono proporre opposizione ai sensi del secondo comma del medesimo articolo. 5. In nessun caso, per effetto dell’accordo di ristrutturazione, ai creditori ai quali è stato esteso l’accordo possono essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti. Non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati. Articolo 66 Convenzione di moratoria 1. La convenzione di moratoria intervenuta tra un imprenditore, anche non commerciale, e i suoi creditori, diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi e avente ad oggetto la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito, in deroga agli articoli 1372 e 1411 del codice civile, è efficace anche nei confronti dei creditori non aderenti che appartengano alla medesima classe. 2. Ai fini di cui al primo comma occorre che: a) tutti i creditori appartenenti alla classe siano stati informati dell’avvio delle trattative o siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbia-

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no ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sulla convenzione e i suoi effetti; b) i crediti dei creditori aderenti appartenenti alla classe rappresentino il settantacinque per cento di tutti i creditori appartenenti alla classe, fermo restando che un creditore può essere titolare di crediti inseriti in più di una classe; c) vi siano concrete prospettive che i creditori della medesima classe non aderenti, cui vengono estesi gli effetti della convenzione, possano risultare soddisfatti all’esito della stessa in misura superiore rispetto alla liquidazione giudiziale; d) un professionista indipendente, designato dal debitore e iscritto nel registro dei revisori legali, abbia attestato la veridicità dei dati aziendali, l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi, anche in relazione alle possibili soluzioni della stessa e la ricorrenza delle condizioni di cui alla lettera precedente. 3. In nessun caso, per effetto della convenzione, ai creditori della medesima classe non aderenti possono essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti. Non è considerata nuova prestazione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati. 4. La convenzione va notificata, insieme alla relazione del professionista indicato al comma secondo, lettera d), ai creditori non aderenti per raccomandata o per posta elettronica certificata. 5. Entro trenta giorni dalla notificazione è ammessa opposizione avanti al tribunale del luogo in cui ha sede l’imprenditore diretta ad accertare che la convenzione non produce effetti nei suoi confronti. 6. Il tribunale fissa udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti disponendo che il provvedimento venga pubblicato presso l’ufficio del registro delle imprese dove l’imprenditore ha la sede legale e notificato, a cura dell’opponente, al debitore, ai creditori aderenti e agli altri creditori cui sia stata estesa l’efficacia dell’accordo, almeno dieci giorni prima dell’udienza. 7. Le parti convenute possono costituirsi in giudizio sino a cinque giorni prima dell’udienza. Si applicano i commi terzo e quarto dell’articolo 52. 8. Contro la sentenza che pronuncia sulle opposizioni è ammesso reclamo ai sensi dell’articolo 54. Articolo 67 Trattamento dei crediti tributari e contributivi 1. Il debitore può effettuare la proposta di transazione fiscale di cui all’articolo 93 anche nell’ambito delle trattative che precedono la stipulazione dell’accordo di ristrutturazione di cui agli articoli 60, 64 e 65. In tali casi l’attestazione del professionista indipendente, relativamente ai crediti fiscali e previdenziali, deve inerire anche alla convenienza del trattamento proposto rispetto alla liqui-

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dazione giudiziale; tale circostanza costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale. 2. La proposta di transazione fiscale, unitamente alla documentazione di cui agli articoli 60, 64 e 65, è depositata presso gli uffici indicati al comma 3 dell’articolo 93. Alla proposta di transazione deve altresì essere allegata la dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi dell’articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che la documentazione di cui al periodo precedente rappresenta fedelmente e integralmente la situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio. L’adesione alla proposta è espressa, su parere conforme della competente direzione regionale, con la sottoscrizione dell’atto negoziale da parte del direttore dell’ufficio. L’atto è sottoscritto anche dall’agente della riscossione in ordine al trattamento degli oneri di riscossione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112. L’assenso così espresso equivale a sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione. 3.La transazione fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione è risolta di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie. Articolo 68 Effetti dell’accordo sulla disciplina societaria 1. Dalla data del deposito della domanda per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione disciplinati dagli articoli 61, 64 e 65 ovvero della richiesta di misure cautelari e protettive ai sensi dell’articolo 58 relative ad una proposta di accordo di ristrutturazione e sino all’omologazione, non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, numero 4, e 2545-duodecies del codice civile. 2. Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l’applicazione dell’articolo 2486 del codice civile. (Omissis)

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NORME REDAZIONALI

a. I contributi proposti per la pubblicazione (saggi, note a sentenza, ecc.) debbono essere inviati, in formato elettronico (word), al Direttore responsabile prof. avv. Alessandro Nigro al seguente indirizzo email alessandro.nigro@tiscali.it È indispensabile l’indicazione nella prima pagina (in alto a destra) dell’indirizzo email, per l’invio delle bozze. b. I contributi proposti per la pubblicazione sono preventivamente vagliati dalla Direzione. Quelli che superano tale vaglio vengono trasmessi, in forma anonima, ad uno dei componenti della apposita struttura di revisione, coordinata dal prof. Daniele Vattermoli. Il revisore rimette al coordinatore la sua relazione che, in forma anonima, è trasmessa al Direttore il quale, se la relazione è positiva, autorizza la pubblicazione del contributo.

I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)

II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto

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Norme redazionali

corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. … 4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).

III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile codice di commercio

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c.c. c.comm.


Norme redazionali

Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall. legge cambiaria l.camb. testo unico t.u. testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) t.u.b. testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58) t.u.f. 2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc.

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Norme redazionali

Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur. Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm.

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Norme redazionali

Rivista della cooperazione Rivista delle società Rivista del diritto commerciale Rivista del notariato Rivista di diritto civile Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista di diritto societario Rivista giuridica sarda Rivista italiana del leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile 4. Commentari, trattati

Riv. coop. Riv. soc. Riv. dir. comm. Riv. not. Riv. dir. civ. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. RDS Riv. giur. sarda Riv. it. leasing Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.

Il codice civile. Comm., diretto da Schlesin­ger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cu­ra di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, To­rino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Tori­no, Tratt. soc. per az., diretto da Co­lombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume

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Norme redazionali

CODICE ETICO

La rivista Diritto della banca e del mercato finanziario è una rivista scientifica peer-reviewed che si ispira al codice etico delle pubblicazioni elaborato da COPE, Committee on Publication Ethics, Best Practice Guidelines for Journal Editors. (http://publicationethics.org/resources/guidelines)

Doveri dell’Editore

Fornisce alla rivista risorse adeguate nonché la guida di esperti (p. e. per la consulenza grafica, legale ecc.), così da svolgere il proprio ruolo in modo professionale e accrescere la qualità del periodico. L’Editore si preoccupa di perfezionare un contratto che definisca il suo rapporto con il proprietario della rivista e/o con la Direzione. I termini di detto contratto devono essere in linea con il Codice di condotta per editori di riviste scientifiche messo a punto da COPE. Il rapporto tra Direzione, Comitato di Redazione ed Editore deve basarsi saldamente sul principio di indipendenza editoriale.

Doveri del Direttore e del Comitato di Redazione

Il Direttore e il Comitato di Redazione della rivista Diritto della banca e del mercato finanziario sono i soli responsabili della decisione di pubblicare gli articoli sottoposti alla rivista stessa. Nelle loro decisioni, essi sono tenuti a rispettare le linee di indirizzo della rivista. Gli articoli scelti verranno sottoposti alla valutazione di uno o più revisori e la loro accettazione è subordinata all’esecuzione di eventuali modifiche richieste e al parere conclusivo del Comitato di Redazione. La Direzione e il Comitato di Redazione sono tenuti a valutare i manoscritti per il loro contenuto scientifico, senza distinzione di razza, sesso, orientamento sessuale, credo religioso, origine etnica, cittadinanza, di orientamento scientifico, accademico o politico degli autori. Se il Comitato di Redazione rileva o riceve segnalazioni in merito a errori o imprecisioni, conflitto di interessi o plagio in un articolo pubblicato, ne darà tempestiva comunicazione all’Autore e all’Editore e intraprenderà le azioni necessarie per chiarire la questione e, in caso di necessità, ritirerà l’articolo o pubblicherà una ritrattazione.

Doveri degli Autori

Gli Autori, nel proporre un articolo alla rivista, devono attenersi alle Norme per gli Autori consultabili sul sito internet della rivista. Gli Autori sono tenuti a dichiarare di avere redatto un lavoro originale in ogni sua parte e di avere debitamente citato tutti i testi utilizzati. Qualora siano utilizzati il lavoro e/o le parole di altri Autori, queste devono essere opportunamente parafrasate o letteralmente citate.

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Codice etico

Norme redazionali

Va correttamente attribuita la paternità dell’opera e vanno indicati come coautori tutti coloro che abbiano dato un contributo significativo all’ideazione, all’organizzazione, alla realizzazione e alla rielaborazione della ricerca che è alla base dell’articolo. Tutti gli Autori sono tenuti a dichiarare esplicitamente che non sussistono conflitti di interessi che potrebbero aver condizionato i risultati conseguiti o le interpretazioni proposte. Gli Autori devono inoltre indicare gli eventuali enti finanziatori della ricerca e/o del progetto dal quale scaturisce l’articolo. I manoscritti in fase di valutazione non devono essere sottoposti ad altre riviste ai fini di pubblicazione. Quando un Autore individua in un suo articolo un errore o un’inesattezza rilevante, è tenuto a informare tempestivamente la Redazione e a fornirle tutte le informazioni necessarie per indicare le doverose correzioni del caso. I protocolli di studio dei lavori originali devono essere preventivamente autorizzati dai comitati etici di riferimento degli Autori e le ricerche devono essere condotte secondo norme etiche con specifico richiamo alla dichiarazione di Helsinki.

Doveri dei Revisori

Attraverso la procedura del peer-review i Revisori assistono il Comitato di Redazione nell’assumere decisioni sugli articoli proposti, e inoltre possono suggerire all’Autore correzioni e accorgimenti tesi a migliorare il proprio contributo. Qualora non si sentano adeguati al compito proposto o sappiano di non potere procedere alla lettura dei lavori nei tempi richiesti sono tenuti a comunicarlo tempestivamente al Comitato di Redazione. Ogni testo assegnato in lettura deve essere considerato riservato; pertanto tali testi non devono essere discussi con altre persone senza l’esplicita autorizzazione della Direzione. La revisione deve essere effettuata in modo oggettivo. I Revisori sono tenuti a motivare adeguatamente i giudizi espressi. I Revisori s’impegnano a segnalare al Comitato di Redazione eventuali somiglianze o sovrapposizioni del testo ricevuto con altre opere a loro note. Tutte le informazioni riservate o le indicazioni ottenute durante il processo di peer-review devono essere considerate confidenziali e non possono essere usate per altre finalità. I Revisori sono tenuti a non accettare in lettura articoli per i quali sussiste un conflitto di interessi dovuto a precedenti rapporti di collaborazione o di concorrenza con l’autore e/o con la sua istituzione di appartenenza.

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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria

L’abbonamento alla rivista decorre dal 1° gennaio di ogni anno e dà diritto a tutti i numeri relativi all’annata, compresi quelli già pubblicati. L’abbonamento si intende rinnovato in assenza di disdetta da comunicarsi almeno 60 giorni prima della data di scadenza a mezzo lettera raccomandata a.r. da inviare a Pacini Editore S.r.l. Cedola di sottoscrizione - Abbonamento Italia 2018 (4 fascicoli): € 120,00 - Abbonamento Estero 2018 (4 fascicoli): € 170,00 - Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................

Inviare il presente modulo all’Editore: Pacini Editore Srl via Gherardesca - 56121 Ospedaletto-Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • info@pacinieditore.it è possibile acquistare la rivista direttamente sul sito dell’Editore


FONDAMENTI DEL DIRITTO COMMERCIALE INTERNAZIONALE – VOLUME 1 Profili generali - Attori - Fonti - Regole di conflitto Alessandro Nigro (a cura di) Testi di Vincenzo Caridi, Diego Corapi, Alessandro Nigro, Maurizio Orlandi, Massimo Panebianco

ISBN: 978-88-6995-363-7

€ 25

Il libro è dedicato ai profili generali della materia, ai protagonisti, pubblici e privati, delle suddette relazioni, alle fonti delle norme che tali relazioni governano, alle regole in punto di individuazione del diritto applicabile. I volumi successivi tratteranno del contratto internazionale in generale, dei più importanti tipi di contratti internazionali, dei profili transnazionali del diritto societario e del diritto industriale, della risoluzione delle controversie nel commercio internazionale, dei profili transnazionali del diritto concorsuale e del diritto tributario.


IMPRESA E SOCIETÀ Impresa - Società di persone - Società di capitali - Cooperative - Azienda - Consorzi e concorrenza - Disciplina penale Giuseppe Fauceglia (a cura di)

ISBN: 978-88-6995-248-7

€ 130

L’esame della giurisprudenza e degli orientamenti dottrinali più consolidati, oltre che delle Massime dei Consigli Notarili, rende questo Commentario utile per gli operatori del diritto (magistrati, notai, avvocati e consulenti di impresa), oltre che per i dottori commercialisti. Lo sviluppo dei singoli commenti, i numerosi ed articolati richiami alla giurisprudenza più recente, consentono un utilizzo immediato dei risultati raggiunti, non limitati ad un’informazione essenziale, ma alla ricostruzione organica delle singole disposizioni di legge.


LE DINAMICHE DEL DIRITTO DELL’ECONOMIA Sandro Amorosino

ISBN: 978-88-6995-398-9

€ 15

Il diritto dell’economia appare, nel tempo, presente, “inafferrabile”, per: – la vastità e varietà dei campi delle attività economiche organizzate in mercati ed oggetto di regolazioni; – la sconfinatezza di molti mercati; – la velocità dei mutamenti dei sistemi di regole, che “inseguono” le trasformazioni dei mercati, dovute alla telematica, alle evoluzioni tecnologiche e scientifiche ed anche alla geopolitica. Rapide e contraddittorie sono, quindi, le dinamiche dei diritti dei tanti mercati, tra gli interessi economici ed i tentativi dei pubblici poteri, ai vari livelli, di “controllarle”. Di qui il titolo del libro e il tentativo dell’autore di avvicinarsi con metodo giuridico aperto e sincretistico – ma non descrittivo – alle dinamiche in atto.


L’UNIONE BANCARIA EUROPEA Mario P. Chiti, Vittorio Santoro (a cura di)

ISBN: 978-88-6995-062-9

€ 54

Il libro tratta, con il commento di specialisti accademici e delle istituzioni, le problematiche poste dalla costituzione dell’Unione bancaria nell’ambito dell’Unione europea. Sono esaminati i profili di diritto europeo e di diritto nazionale, tanto nella prospettiva del diritto pubblico quanto in quella del diritto commerciale e bancario. L’Unione bancaria rivolta completamente l’assetto precedente della funzione di vigilanza bancaria, dopo alcuni provvedimenti che avevano avviato la europeizzazione della funzione. Introduce anche procedure del tutto nuove e controverse per la funzione di risoluzione delle crisi bancarie. I saggi in cui si articola il libro analizzano partitamente, a mo’ di commentario, le principali questioni determinate dalla nuova disciplina europea e dai provvedimenti nazionali di attuazione; anche alla luce della prima giurisprudenza.


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