Saggi
ISSN 1722-8360
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DI PARTICOLARE INTERESSE IN QUESTO FASCICOLO
Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
2/2020
Diritto della banca e del mercato finanziario
Comunicazioni periodiche alla clientela Merito creditizio del consumatore Il controllo sull’impresa di assicurazione comunitaria Ammortamento alla francese
aprile-giugno
2/2020 anno XXXIV
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Pacini
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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2019, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Niccolò Abriani, Lucia Calvosa, Concetto Costa, Giacomo D’Attorre, Giuseppe Ferri jr., Carlo Felice Giampaolino, Gianluca Guerrieri, Marco Maugeri, Massimo Miola, Umberto Morera, Stefania Pacchi, Michele Perrino, Marco Speranzin, Mario Stella Richter jr.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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SOMMARIO 2/2020
PARTE PRIMA Saggi Note sull’art. 119 t.u.b, di Enrico Minvervini La valutazione “innovativa” del merito creditizio del consumatore e le sfide per il regolatore, di Francesca Mattassoglio
pag. 165 » 187
Fatti e problemi della pratica Finanziamenti con piano di ammortamento: vizi palesi e vizi occulti, di Roberto Marcelli
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Commenti Il controllo sulla impresa assicurativa con sede in altro stato europeo – Cons. St., sez. IV, 8 febbraio 2018, n. 837 Limiti al controllo del Paese d’origine e poteri dell’autorità di vigilanza del Paese ospitante nel diritto delle assicurazioni europeo ed italiano, di Ciro G. Corvese Aumenti di capitale e asta dei diritti di opzione e prelazione – Trib. Milano, 16 gennaio 2016 Asta dei diritti di opzione e prelazione dell’inoptato negli aumenti di capitale delle società quotate, di Giovanni Fumarola
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Miti e realtà La foire aux cancres (III)
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PARTE SECONDA Documenti e informazioni
Le azioni revocatorie concorsuali nello schema di decreto correttivo del Codice della crisi – I. Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 14/2019, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (art. 20); II. Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo (art. 20), con brevi osservazioni di Alessandro Nigro » 75 Norme redazionali » 83 Codice etico » 89
PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
SAGGI
Note sull’art. 119 t.u.b.* Sommario: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Il comma 1: l’ambito di applicazione; i soggetti. – 3. (Segue): la forma e la periodicità della comunicazione. – 4. (Segue): la chiarezza della comunicazione; il rendiconto ed il documento di sintesi. – 5. (Segue): l’omesso invio della comunicazione. – 6. Il comma 2. – 7. Il comma 3: l’esegesi. – 8. (Segue): il rapporto con l’art. 1832 c.c. – 9. Il comma 4: l’ambito di applicazione; i soggetti; la natura del diritto; gli strumenti di tutela; la forma della richiesta. – 10. (Segue): la richiesta c.d. generica. – 11. (Segue): l’oggetto della richiesta. – 12. (Segue): il limite della buona fede. – 13. (Segue): le spese. – 14. (Segue): il rapporto con la disciplina della c.d. privacy.
1. Considerazioni introduttive. L’art. 119 t.u.b., nel testo attualmente vigente, così recita, sotto la rubrica «comunicazioni periodiche alla clientela»: «nei contratti di durata i soggetti indicati nell’art. 115 forniscono al cliente, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente stesso, alla scadenza del contratto e comunque almeno una volta all’anno, una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto. Il CICR indica il contenuto e le modalità della comunicazione [co. 1]. Per i rapporti regolati in conto corrente l’estratto conto è inviato al cliente con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile [co. 2]. In mancanza di opposizione scritta da parte del cliente, gli estratti conto e le altre comunicazioni periodiche alla clientela si intendono approvati trascorsi sessanta giorni dal ricevimento [co. 3]. Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione [co. 4]».
* Lo studio è destinato agli Scritti in memoria di Franco Cipriani.
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La norma, in un’ottica di protezione del cliente quale contraente debole, è finalizzata a mettere questi in condizione di acquisire le informazioni necessarie per raggiungere una piena e tempestiva conoscenza dell’intero svolgimento del rapporto1, in modo da garantire un elevato standard di trasparenza2. In altre parole, il legislatore si è preoccupato di assicurare la trasparenza del rapporto tra banca e cliente, oltre che nel suo momento genetico, anche in tutto il corso della sua esecuzione3: fermo restando che la trasparenza si realizza non attraverso l’informazione in sé e per sé, quanto piuttosto mediante la qualità dell’informazione, che deve essere di agevole percezione4. L’informazione è necessaria per il cliente per una pluralità di ragioni, che possono essere così sintetizzate: per controllare la conformità dell’esecuzione del rapporto rispetto alle pattuizioni contrattuali; per verificare l’effettiva convenienza dell’affare rispetto alle valutazioni operate all’atto dell’instaurazione del rapporto, anche nei confronti dei nuovi prodotti e servizi immessi sul mercato; per acquisire certezze, anche in punto di prova, in ordine allo svolgimento del rapporto5. Il flusso di informazioni è organizzato secondo due direttrici: da un lato, vi è l’obbligo della banca di comunicare periodicamente al cliente quanto avvenuto (commi 1, 2 e 3); dall’altro lato, vi è il diritto del cliente di ottenere, oltre le comunicazioni periodiche, la copia della documentazione inerente a singole operazioni (co. 4)6.
1 Taliercio, Le comunicazioni periodiche alla clientela, in La nuova legge bancaria, a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, II, Milano, 1996, p. 1848; Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari, Regole, Bologna, 2013, p. 104. 2 Urbani, Art. 119, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia4, a cura di Capiglione, III, Padova, 2018, p. 1901; Silvetti, I contratti bancari, Parte generale, in La banca: l’impresa e i contratti, a cura di Calandra Bonaura, Perassi e Silvetti, Padova, 2001, p. 450. 3 Morera, I profili generali dell’attività negoziale, in Brescia Morra e Morera, L’impresa bancaria, L’organizzazione e il contratto, Napoli, 2006, p. 373; Fauceglia, I contratti bancari, Torino, 2005, p. 203. 4 Majello, Art. 119, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio, Santoro, III, Bologna, 2003, p. 1955. 5 Mucciarone, La trasparenza bancaria, in Trattato dei contratti, V, Mercati regolati, a cura di Roppo, Milano, 2014, p. 707 s. Vedi anche Spena, Art. 8, in Legge 17 febbraio 1992, n. 154, Commentario, a cura di Porzio, in Nuove leggi civ. comm., 1993, p. 1168. 6 Così, Dolmetta, Trasparenza, cit., pp. 164 s.
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2. Il comma 1: l’ambito di applicazione; i soggetti. Il co. 1 demanda al CICR la determinazione del contenuto e delle modalità della comunicazione, in un’ottica di delegificazione, e corrispondente amministrativizzazione, della disciplina della trasparenza7. Il CICR, a sua volta, con deliberazione del 4 marzo 2003 (art. 11, co. 5), ha delegato la Banca d’Italia, la quale ha provveduto in materia con apposite «Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari – Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti»8 (emanate da ultimo il 18 giugno 2019). Il co. 1, quale norma di carattere generale9, si applica ai contratti di durata (espressione questa di cui il legislatore si avvale anche nell’art. 118 t.u.b.), tanto a tempo determinato quanto a tempo indeterminato10. I soggetti tenuti all’invio della comunicazione in merito allo svolgimento del rapporto sono quelli indicati nell’art. 115 t.u.b., e cioè le banche e gli intermediari finanziari (nonché, in forza di interpretazione estensiva, ogni soggetto cui sia applicabile la disciplina sulla trasparenza ai sensi dell’art. 115 t.u.b.)11: si tratta della controparte contrattuale del cliente (le Disposizioni in materia di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia individuano anche il soggetto tenuto all’invio della comunicazione in ipotesi di cessione del credito, cessione del contratto, cartolarizzazione dei crediti, cessione dei rapporti giuridici in blocco ex art. 58 t.u.b.). Il destinatario della comunicazione è il cliente12. Peraltro, ai sensi della circolare ABI del 25 febbraio 2005, e già ai sensi delle NUB, in mancanza di diverso accordo scritto, quando un rapporto è intestato a
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Gaggero, Art. 119, in Disciplina delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di Capriglione, Padova, 2000, p. 520; Majello, Art. 119, cit., p. 1955; Taliercio, Le comunicazioni periodiche, cit., p. 1850; Silvetti, I contratti bancari, cit., p. 450; Urbani, Art. 119, cit., p. 1901; Fauceglia, I contratti bancari, cit., p. 203 nt. 346. 8 De Poli, Art. 119, in Commentario breve al diritto dei consumatori2, a cura di De Cristofaro e Zaccaria, Padova, 2013, p. 1652. 9 Così, Urbani, Art. 119, cit., p. 1902. 10 Così, Presutti, Art. 119, in Codice del consumo e norme collegate5, a cura di Cuffaro, Milano, 2019, p. 1595. 11 DE Poli, Art. 119, cit., p. 1651; cfr. anche Porzio, Art. 119, in Testo unico bancario, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, Milano, 2010, p. 1001 nt. 12, che ricorda il disposto dell’art. 13 della delibera del CICR del 4 marzo 2003. 12 Sul problema dell’informazione del garante, ed in particolare del fideiussore, ai sensi del co. 1, si rinvia a Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari, cit., pp. 106 s., testo e nt. 60.
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più persone, le comunicazioni, le notifiche e l’invio degli estratti conto vanno fatti dalla banca ad uno solo dei cointestatari all’ultimo indirizzo da questi indicato per iscritto, e sono operanti a tutti gli effetti anche nei confronti degli altri13. Ai sensi dell’art. 49, co. 12, del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, come sostituito dall’art. 3, co. 1, del d.lgs. 25 maggio 2017 n. 90, a decorrere dall’entrata in vigore di quest’ultima disposizione è ammessa esclusivamente l’emissione di libretti di deposito, bancari o postali, nominativi, ed è vietato il trasferimento di libretti di deposito, bancari o postali, al portatore che, ove esistenti, sono estinti dal portatore entro il 31 dicembre 2018. Questa norma consente di superare il problema dell’invio della comunicazione, in ipotesi di libretti al portatore14.
3. (Segue): la forma e la periodicità della comunicazione. La comunicazione deve essere fornita in forma scritta, ovvero mediante altro supporto durevole (strumento di documentazione che consenta la memorizzazione di informazioni agevolmente recuperabili e agevolmente riproducibili)15 preventivamente accettato dal cliente: ne consegue che l’opzione per modalità di comunicazione diverse dalla forma scritta non deve essere necessariamente contenuta nel contratto, ma può intervenire anche in un momento successivo, purchè anteriore all’uso della modalità alternativa16. Ne consegue altresì che, se nulla è pattuito,
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Dubita della validità di siffatta regola De Poli, Art. 119, cit., p. 1652. Per una trattazione del problema, risolto con indubbio pragmatismo dalle Disposizioni in materia di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia, vedi Majello, Art. 119, cit., p. 1958; Porzio, Art. 119, cit., pp. 1004 s.; Lattanzi, Art. 24, in Le nuove modifiche al testo unico bancario, a cura di Dolmetta, Milano, 2000, pp. 84 s.; Napolitano, Art. 119, in La nuova legge bancaria, V, 2ª app. di agg., a cura di Ferro Luzzi e Castaldi, Milano, 2000, p. 205; Morera, I profili generali, cit., p. 374, testo e nt. 899; Urbani, Art. 119, cit., p. 1904. In giurisprudenza, vedi Cass., 12 maggio 2006, n. 11004, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, II, pp. 731 ss., con nota di Di Pietropaolo, Ambito e fondamento del diritto alla documentazione bancaria (art. 119 t.u.b.). Tutte le sentenze e le ordinanze della Corte di Cassazione che si citano, ove non diversamente indicato, sono reperibili nel sito www.pluris-cedam.utetgiuridica.it. 15 De Poli, Art. 119, cit., p. 1652; Liace, Art. 119, in Commentario breve al testo unico bancario, a cura di Costi e Vella, Padova, 2019, p. 739. 16 Urbani, Art. 119, cit., p. 1903; Liace, Art. 119, cit., p. 738. 14
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la comunicazione deve essere fornita in forma scritta17. Le Disposizioni in materia di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia statuiscono che il contratto stabilisce le modalità di invio delle comunicazioni periodiche alla clientela; che le modalità a disposizione della clientela includono sempre la forma cartacea e quella elettronica, e consistono in ogni caso in supporti durevoli; che in ogni momento del rapporto il cliente ha il diritto di cambiare la modalità di comunicazione utilizzata. La comunicazione deve essere fornita alla scadenza del contratto, e comunque almeno una volta l’anno. Le parti possono concordare una periodicità diversa, e cioè un termine di invio più frequente dell’anno18, come statuiscono anche le Disposizioni in materia di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia. Non sembra invece che il cliente possa rinunziare sic et simpliciter alla comunicazione annuale19. Le citate Disposizioni in materia di trasparenza prevedono che le parti possono convenire che le comunicazioni periodiche siano omesse nei casi di rapporti che non registrano movimenti da oltre un anno e presentano un saldo creditore per il cliente non superiore ad € 2.500: trattasi di una statuizione magari condivisibile nel merito, ma di dubbia legittimità20.
4. (Segue): la chiarezza della comunicazione; il rendiconto ed il documento di sintesi. La comunicazione in merito allo svolgimento del rapporto deve essere chiara, in quanto la chiarezza è uno strumento di realizzazione della trasparenza21. La norma, nel testo attualmente vigente, non menziona più il requisito della completezza, forse per prevenire il rischio che un eccesso di informazioni finisca per generare disinformazione, specie in danno del cliente meno colto ed avveduto22. Peraltro, è evidente che per ottenere il risultato della chiarezza la comunicazione deve presentare
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Così, Presutti, Art. 119, cit., p. 1597. Presutti, Art. 119, cit., p. 1597; Liace, Art. 119, cit., p. 738. 19 Majello, Art. 119, cit., p. 1958. 20 Majello, Art. 119, cit., p. 1958; De Poli, Art. 119, cit., pp. 1652 s.; Urbani, Art. 119, cit., p. 1904: questi studiosi parlano di eccesso di delega, e di disposizione priva di potere derogatorio, non rinvenibile nella norma primaria. 21 De Poli, Art. 119, cit., p. 1652; Majello, Art. 119, cit., p. 1957. 22 Urbani, Art. 119, cit., p. 1902; Liace, Art. 119, cit., p. 738; Caterini, La trasparenza bancaria, in I contratti bancari, a cura di Capobianco, Torino, 2016, p. 173. 18
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un adeguato livello di completezza23, e quindi deve presentare quelle informazioni di base che nella loro essenzialità consentano di comparare i dati, assicurando anche una sana competizione di mercato24. Le Disposizioni in materia di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia parlano di una comunicazione analitica che dia una completa e chiara informazione sullo svolgimento del rapporto, ed un quadro aggiornato delle condizioni economiche applicate. Le citate Disposizioni in materia di trasparenza prevedono che la comunicazione periodica sia effettuata mediante invio o consegna di un rendiconto (estratto conto per i rapporti regolati in conto corrente) e del documento di sintesi delle condizioni economiche. Il rendiconto indica, anche mediante voci sintetiche di costo, tutte le movimentazioni, le somme a qualsiasi titolo addebitate o accreditate, il saldo debitore o creditore e ogni altra informazione rilevante per la comprensione dell’andamento del rapporto. Il documento di sintesi, datato e progressivamente numerato, aggiorna quello unito al contratto e riporta le condizioni economiche in vigore. Le condizioni modificate rispetto alla comunicazione precedente sono riportate con una specifica evidenza grafica. Il documento di sintesi inviato con il rendiconto relativo al periodo che si conclude il 31 dicembre riporta inoltre il numero complessivo delle variazioni intervenute nel corso dell’anno. Se le condizioni economiche in vigore non sono variate rispetto alla comunicazione precedente, l’invio o la consegna del documento di sintesi possono essere omessi, a condizione che in qualsiasi momento del rapporto il cliente possa ottenere gratuitamente dall’intermediario copia del documento di sintesi con le condizioni economiche in vigore (in tale ipotesi l’invio o la consegna del documento di sintesi richiesto dal cliente sono effettuati tempestivamente); ovvero che il cliente che abbia scelto il regime di comunicazioni telematiche possa accedere al documento di sintesi aggiornato, in qualsiasi momento, tramite il sito web dell’intermediario, o ottenerne tempestivamente copia per posta elettronica.
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Così, Urbani, Art. 119, cit., p. 1902. Caterini, La trasparenza bancaria, cit., p. 173. Di comunicazione chiara, e dunque completa, parla Mucciarone, La trasparenza bancaria, cit., p. 708. 24
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5. (Segue): l’omesso invio della comunicazione. L’obbligo di fornire una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto, di cui al co. 1 (come del resto gli obblighi di cui ai commi 2 e 4), è un obbligo accessorio rispetto a quelli che caratterizzano il contenuto economico del contratto25, ovvero un effetto legale del contratto26: si tratta di un obbligo per il cui inadempimento l’art. 119 t.u.b. non prevede alcuna sanzione27. Non si dubita peraltro in dottrina che l’omesso invio della comunicazione leda il diritto soggettivo del cliente all’informazione, e sia fonte di responsabilità risarcitoria a carico della banca (o dell’intermediario finanziario)28. Naturalmente, commette inadempimento sia la banca che non invia una comunicazione, sia la banca che invia una comunicazione errata, in quanto, ai fini che qui interessano, non vi è differenza tra non informare ed informare male29.
6. Il comma 2. La norma, a differenza del co. 1, si applica non a tutti i rapporti di durata, ma ai soli rapporti regolati in conto corrente30, per i quali l’estratto conto prende il posto del rendiconto31 (cfr. le Disposizioni in materia di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia)32: l’invio periodico degli estratti conto esaurisce, in relazione al periodo considerato, l’obbligo della
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Così, Majello, Art. 119, cit., p. 1957. Porzio, Art. 119, cit., p. 1001. 27 Majello, Art. 119, cit., p. 1960; Morera, I profili generali, cit., p. 378. 28 Majello, Art. 119, cit., pp. 1960 s.; Spena, Art. 8, cit., p. 1171; Silvetti, I contratti bancari, cit., p. 453; Porzio, Art. 119, cit., p. 1001; Liace, Art. 119, cit., p. 743; De Poli, Art. 119, cit., p. 1657, che ipotizza che il danno possa essere liquidato in via equitativa dal giudice; Morera, I profili generali dell’attività negoziale, cit., p. 379, che ipotizza che il cliente possa esperire anche l’esecuzione forzata in forma specifica. 29 Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 106. 30 Porzio, Art. 119, cit., p. 1000 nt. 3, critica la formulazione della norma, e lamenta che il legislatore non ha preso atto che il conto corrente bancario è un contratto a sé, e non una clausola di altri contratti. 31 Così, Morera, I profili generali, cit., p. 373. 32 Secondo Presutti, Art. 119, cit., p. 1596, per i rapporti regolati in conto corrente il rendiconto è denominato estratto conto. 26
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banca di rendere il conto al cliente33. Si tratta di un documento, che ha natura di atto unilaterale recettizio34, da tempo largamente diffuso nella prassi, previsto anche dall’art. 50 t.u.b.35. L’estratto conto è inviato al cliente con una periodicità (almeno) annuale: è rimessa esclusivamente alla scelta di questi, e cioè ad una sua unilaterale manifestazione di volontà, l’invio a cadenze più ravvicinate, e precisamente semestrale, trimestrale o mensile36. In dottrina, vi è chi critica la soluzione elaborata dal legislatore, rilevando come il cliente medio della banca è inerte, sicché una tutela affidata all’iniziativa di questi, che sceglie una periodicità ridotta rispetto a quella annuale, si rivela inefficiente37; e chi invece approva siffatta soluzione, sottolineando con ragione come essa consenta al cliente di non vedersi gravato da oneri per comunicazioni non desiderate, ad esempio in ipotesi di conti scarsamente movimentati38. Il co. 2 non sembra consentire invece alle parti di concordare una periodicità differente da una delle quattro previste (annuale, semestrale, trimestrale, mensile), ed in particolare una periodicità superiore a quella annuale39. L’omesso invio dell’estratto conto è fonte di responsabilità risarcitoria a carico della banca (o dell’intermediario finanziario): si rinvia a quanto detto in precedenza. Le Disposizioni in materia di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia aggiungono tra l’altro, rispetto al disposto del co. 2, che nell’estratto conto sono indicate le modalità di calcolo degli interessi; che se il titolare del conto corrente è un cliente al dettaglio, l’estratto conto, relativo al periodo che si conclude il 31 dicembre, riporta il riepilogo delle spese complessivamente sostenute nell’anno solare per la tenuta del conto corrente e per i servizi di gestione della liquidità e di pagamento; e che
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Cass., 22 maggio 1997, n. 4598, in Fall., 1997, pp. 1193 ss., con nota di Tarzia, Obbligo della banca di esibire la documentazione richiesta dal curatore. 34 Spena, Art. 8, cit., p. 1169. 35 Porzio, Art. 119, cit., p. 1000. Sul rapporto tra l’estratto conto, di cui all’art. 119, co. 2, t.u.b., e l’estratto conto, di cui all’art. 50 t.u.b. – c.d. estratto di saldaconto –, si rinvia a Caterini, La trasparenza bancaria, cit., p. 173, testo e nt. 62. 36 Taliercio, Le comunicazioni, cit., p. 1851; Gaggero, Art. 119, cit., p. 522. 37 Così, Majello, Art. 119, cit., p. 1959. 38 Taliercio, Le comunicazioni, cit., p. 1851; Urbani, Art. 119, cit., p. 1905: questi autori trattano anche dei profili fiscali connessi alla scelta del cliente. 39 Urbani, Art. 119, cit., p. 1905.
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ai consumatori titolari di un conto di pagamento gli intermediari, in aggiunta all’estratto conto e al documento di sintesi, forniscono, gratuitamente e almeno una volta all’anno, un documento denominato riepilogo delle spese, che riporta un riepilogo di tutte le spese sostenute dal consumatore nel periodo di riferimento, nonché altre informazioni (tra le quali, nel riepilogo relativo al periodo che si conclude il 31 dicembre, l’ICC).
7. Il comma 3: l’esegesi. Il co. 3 si applica a tutti i rapporti di durata, regolati in conto corrente oppur no, come sta a dimostrare l’espresso riferimento tanto agli estratti conto, quanto alle altre comunicazioni periodiche alla clientela40, che si intendono approvati41 trascorsi sessanta giorni dalla ricezione42: si è in presenza di una approvazione tacita o per fatti concludenti, secondo il criterio del silenzio assenso43. Incombe sulla banca (o sull’intermediario finanziario) l’onere di provare l’an ed il quando del ricevimento dell’estratto conto e della comunicazione periodica da parte del cliente44: e questo può rappresentare un problema di non poco momento, ove la banca si avvalga, come normalmente avviene45, della posta semplice, e non della raccomandata con ricevuta di ritorno (che l’art. 1832, co. 2, c.c. invece espressamente richiede), o di un suo equivalente elettronico46.
40 Lattanzi, Art. 24, cit., p. 84; Napolitano, Art. 119, cit., p. 263; Gaggero, Art. 119, cit., p. 523; Urbani, Art. 119, cit., p. 1906; Morera, I profili generali, cit., pp. 377 s., testo e nt. 908. 41 Sulla natura dell’approvazione cfr. Fiorani, Brevi osservazioni sull’approvazione dell’estratto conto, nota a Cass., 29 luglio 2009, n. 17679, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, II, pp. 487 ss. 42 Si tratta di un termine di decadenza: Silvetti, I contratti bancari, cit., p. 452; Gaggero, Art. 119, cit., p. 523. 43 Majello, Art. 119, cit., p. 1959; Napolitano, Art. 119, cit., p. 263; Taliercio, Le comunicazioni periodiche, cit., p. 1852; Silvetti, I contratti bancari, cit., p. 452. 44 Urbani, Art. 119, cit., p. 1906; De Poli, Art. 119, cit., p. 1654; Silvetti, I contratti bancari, cit., p. 452; Fauceglia, I contratti bancari, cit., p. 205; Morera, I profili generali, cit., p. 375 nt. 901, che ipotizza il ricorso alle presunzioni semplici. 45 Porzio, Art. 119, cit., p. 1001; Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 106 nt. 63; Morera, I profili generali, cit., p. 375 nt. 901. 46 Lattanzi, Art. 24, cit., p. 85; Napolitano, Art. 119, cit., pp. 265 s.; Urbani, Art. 119,
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Trascorsi i sessanta giorni previsti dalla norma, l’estratto conto e la comunicazione periodica si intendono approvati sia da parte del cliente sia da parte della banca: il termine è bilaterale, ovvero se si preferisce l’onere di impugnativa è bilaterale47. Gli estratti conto non tempestivamente (e specificamente) contesta48 ti , e quindi approvati, divengono definitivi anche nei confronti del fideiussore del correntista, che non può sollevare obiezioni49. L’omesso invio degli estratti conto o delle comunicazioni periodiche comporta ovviamente l’inapplicabilità del co. 350. Le Disposizioni in materia di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia si limitano a parafrasare il disposto del co. 3.
8. (Segue): il rapporto con l’art. 1832 c.c. Discussi sono i rapporti correnti tra il co. 3 e l’art. 1832 c.c., applicabile alle operazioni bancarie regolate in conto corrente in forza del rinvio di cui all’art. 1857 c.c. In particolare, poiché il co. 3 appare in linea con il disposto del co. 1 dell’art. 1832 c.c.51, il problema si pone con riguardo al co. 2 di tale norma. Secondo l’opinione di gran lunga prevalente, che merita consenso, il co. 3 integra, a favore del cliente, ma non sostituisce né assorbe la disciplina dell’art. 1832, co. 2, c.c., in considerazione della ratio della norma, di maggior favore per il cliente quale contraente debole52.
cit., p. 1906; Silvetti, I contratti bancari, cit., p. 452. 47 Porzio, Art. 119, cit., p. 1001; De Poli, Art. 119, cit., p. 1653; Liace, Art. 119, cit., p. 743; in giurisprudenza, Cass., 10 gennaio 2018, n. 372. 48 La contestazione, infatti, deve essere specifica, e cioè concernere singole annotazioni, e non generica: cfr. Morera, I profili generali, cit., p. 375 nt. 900. 49 Così, Liace, Art. 119, cit., p. 742. 50 Majello, Art. 119, cit., p. 1961; Spena, Art. 8, cit., p. 1170; Fauceglia, I contratti bancari, cit., pp. 205 s.; Silvetti, I contratti bancari, cit., p. 452; in giurisprudenza, Cass., 25 settembre 2018, n. 22551. 51 Si tratta di norme analoghe: Presutti, Art. 119, cit., p. 1597. Ad avviso di De Poli, Art. 119, cit., p. 1653, vi è prevalenza della prima quale lex specialis sulla seconda quale lex generalis. 52 Maisano, Trasparenza e riequilibrio delle operazioni bancarie, Milano, 1993, p. 209; Gaggero, Art. 119, cit., p. 523; Morera, I profili generali dell’attività negoziale, cit., p. 375 nt. 902; Fauceglia, I contratti bancari, cit., p. 204 nt. 347; Majello, Art. 119, cit., p. 1959; Porzio, Art. 119, cit, p. 1001; Taliercio, Le comunicazioni periodiche, cit., p. 1853;
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Comunque, un consolidato orientamento, tanto dottrinale quanto giurisprudenziale, ha proceduto a «svuotare» di contenuto precettivo il disposto tanto del co. 3 quanto dell’art. 1832 c.c.53. Così, si sostiene in dottrina che l’approvazione dell’estratto conto non vale per le contestazioni relative all’efficacia ed alla validità dei rapporti obbligatori da cui sorgono i crediti ed i debiti annotati nell’estratto conto, e quindi alla legittimità del «titolo» dell’annotazione54; che l’approvazione dell’estratto conto non sana le cause di invalidità delle singole operazioni inserite nel conto stesso55; che l’approvazione preclude soltanto le contestazioni inerenti la tenuta del conto, ovvero gli accrediti e gli addebiti, mentre non impedisce di contestare il diritto della banca a procedere a quelle annotazioni che derivano da prassi illegittime, come ad esempio la scritturazione di interessi anatocistici o usurari; in altre parole, l’approvazione rende inopponibili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contrabile, ma non sotto quelli della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano56. Parimenti, si afferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che l’approvazione dell’estratto conto preclude qualsivoglia contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell’estratto conto, ma non impedisce di sollevare contestazioni in ordine alla validità ed all’efficacia dei rapporti obbligatori dai quali derivano i suddetti addebiti ed accrediti, e cioè quelle fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, dell’inclusione o dell’eliminazione di partite del conto corrente57: il decorso del termine previsto per l’impugnazione dell’estratto conto non è idoneo infatti a consolidare attribuzioni patrimoniali prive di causa in capo alle parti58.
De Poli, Art. 119, cit., p. 1653; Urbani, Art. 119, cit., p. 1906; contra, Viale, La nuova legge sulla trasparenza bancaria: prime perplessità e dubbi interpretativi, in Giur. comm., 1992, I, p. 786; Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 107. 53 Così, Mucciarone, La trasparenza, cit., p. 710. 54 De Poli, Art. 119, cit., p. 1653; Morera, I profili generali, cit., pp. 377 s.; Fauceglia, I contratti bancari, cit., p. 205. 55 Porzio, Art. 119, cit., p. 1001. 56 Liace, Art. 119, cit., pp. 741 s. 57 Cass., 20 novembre 2018, n. 30000; Cass., 4 aprile 2018, n. 9526; Cass., 15 settembre 2017, n. 21472. 58 Cass., 10 gennaio 2018, n. 372.
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9. Il comma 4: l’ambito di applicazione; i soggetti; la natura del diritto; gli strumenti di tutela. Il co. 4, a differenza dei commi 1, 2 e 3, si applica a tutti i rapporti, di durata e no, di qualsiasi tipologia59, e quindi anche alle operazioni bancarie isolate60, ovvero alle operazioni che si concludono con un solo atto61. Ne consegue che la rubrica dell’articolo, che menzionando le comunicazioni periodiche fa inequivoco riferimento ai soli rapporti di durata, non appare corretta62. Il punto non è peraltro pacifico, ritenendosi da parte di alcuni scrittori che pure il comma 4 trovi applicazione ai soli rapporti di durata63: ma il tenore letterale della norma non autorizza siffatta interpretazione restrittiva; anzi, il riferimento alle singole operazioni milita in senso diametralmente opposto64. La richiesta può essere relativa anche a rapporti non più attuali, e cioè chiusi65, purché abbia ad oggetto la copia della documentazione inerente ad operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Due macro categorie di soggetti, oltre ovviamente al cliente, hanno diritto di ottenere copia della documentazione66. Il co. 4 menziona in primo luogo colui che succede al cliente, tanto a titolo universale quanto
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Morera, I profili generali, cit., p. 379, testo e nt. 913; Taliercio, Le comunicazioni periodiche, cit., p. 1853; Liace, Art. 119, cit., p. 742; Di Girolamo, Diritto sostanziale e diritto strumentale: il mancato esercizio dell’uno esclude l’altro?, nota a Trib. Taranto, 4 febbraio 2015, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, p. 557. 60 Porzio, Art. 119, cit., p. 1001; ABF, Collegio Milano, decisione n. 14547 del 13 giugno 2019. Le decisioni dell’ABF sono reperibili nel sito www.arbitrobancariofinanziario.it. 61 Presutti, Art. 119, cit., p. 1599. 62 Contra, Urbani, Art. 119, cit., p. 1901, che, pur ritenendo che il co. 4 si applichi anche a rapporti non di durata, ritiene «sufficientemente esaustiva» la rubrica dell’articolo. 63 Majello, Art. 119, cit., p. 1959; Mucciarone, La trasparenza bancaria, cit., p. 710; De Poli, Art. 119, cit., p. 1656. 64 Urbani, Art. 119, cit., p. 1901. 65 Urbani, Art. 119, cit., p. 1907; Liace, Art. 119, cit., p. 743; Di Girolamo, Diritto sostanziale, cit., p. 565; Di Pietropaolo, Ambito e fondamento, cit., p. 745. In giurisprudenza, Cass., 13 luglio 2007, n. 15669; Cass., 12 maggio 2006, n. 11004, cit., p. 731 ss. Cfr. anche ABF, Collegio Bari, decisione n. 12287 del 15 maggio 2019; ABF, Collegio Bari, decisione n. 5453 del 20 febbraio 2019; ABF, Collegio Milano, decisione n. 677 del 10 gennaio 2019. 66 Lattanzi, Art. 24, cit., p. 86.
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a titolo particolare67. Tra i soggetti che succedono a titolo universale possono essere menzionati l’erede, e la società risultante dalla fusione; tra i soggetti che succedono a titolo particolare il legatario ed il cessionario del contratto (anche se la successione a titolo particolare sembra di difficoltosa realizzazione pratica, quanto meno con riguardo al contratto di conto corrente)68. La norma menziona poi colui che subentra nell’amministrazione dei beni del cliente, e quindi, esemplificativamente: il tutore dell’interdetto, il curatore dell’inabilitato, il curatore dell’eredità giacente, l’amministratore dell’eredità, il curatore dello scomparso, l’amministratore giudiziario, il curatore fallimentare, il commissario liquidatore69, nonché, in ipotesi di rappresentanza volontaria, il mandatario e l’institore70. Anche il garante (il fideiussore, il terzo datore di pegno o di ipoteca)71 ha diritto di ottenere copia della documentazione inerente ad operazioni poste in essere dal soggetto garantito72 (naturalmente, il diritto del garante alla documentazione è funzionale ad ottenere soltanto le informazioni rilevanti per il rapporto con il garante stesso)73. Si discute invece se (alla luce del disposto dell’art. 1936, co. 2, c.c.) il soggetto garantito abbia diritto di ottenere copia della documentazione inerente alle garanzie che assistono il credito della banca74. I soggetti tenuti al rilascio della copia della documentazione, e cioè alla consegna, e non alla semplice «messa a disposizione» della stessa75, sono ovviamente le banche (e gli intermediari finanziari). Il diritto ad ottenere copia della documentazione nasce dall’obbligo di buona fede, correttezza e solidarietà, ha natura sostanziale, e non processuale (non si esaurisce cioè nel processo): la sua tutela è riconosciuta come situazione giuridica finale, e non strumentale, e pertanto per il suo riconoscimento non assume rilievo l’utilizzazione che il cliente intenda
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Porzio, Art. 119, cit., p. 1002; Liace, Art. 119, cit., p. 743. Lattanzi, Art. 24, cit., p. 86 s. 69 Lattanzi, Art. 24, cit., p. 87; Napolitano, Art. 119, cit., p. 266; Urbani, Art. 119, cit., p. 1907; Porzio, Art. 119, cit., p. 1002; Morera, I profili generali, cit., p. 379. 70 Lattanzi, Art. 24, cit., pp. 87, 91. 71 Di Pietropaolo, Ambito e fondamento, cit., pp. 753 s. 72 Porzio, Art. 119, cit., p. 1006 s.; De Poli, Art. 119, cit., p. 1655; Urbani, Art. 119, cit., p. 1908; Morera, I profili generali, cit., p. 380; ABF, Collegio Bologna, decisione n. 9857 del 9 aprile 2019. 73 Di Pietropaolo, Ambito e fondamento, cit., p. 755. 74 In senso negativo, Porzio, Art. 119, cit., p. 1006; più cauta e sfumata la posizione di A. Urbani, Art. 119, cit., p. 1908. 75 De Poli, Art. 119, cit., p. 1654. 68
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fare della documentazione stessa76. Pertanto, per il cliente non è necessario «titolare» la richiesta77, e cioè addurre una giustificazione a corredo della sua richiesta di ottenere copia della documentazione78: il cliente può essere mosso anche da finalità esplorative79. Il diritto di ottenere copia della documentazione può essere fatto valere dal cliente, in ipotesi di inadempimento della banca, con un ordinario giudizio di condanna80; ovvero con un ricorso per decreto ingiuntivo81; ovvero con un ricorso ex art. 702-bis c.p.c.82; in via di urgenza, con un ricorso ex art. 700 c.p.c.83, ove sussista un pregiudizio imminente ed irreparabile (si pensi ad esempio al curatore fallimentare che necessiti della documentazione per esperire l’azione revocatoria fallimentare in danno della banca, in vista dell’imminente scadenza dei termini di cui all’art. 69-bis l.f.)84. Sembra da escludere, invece, che il cliente possa chiedere ed ottenere il sequestro giudiziario della documentazione85. La tutela esecutiva del diritto di ottenere copia della documentazione si attua attraverso l’esecuzione forzata per consegna86. Nel corso di un giudizio ordinario, è inammissibile invece l’istanza ex art. 210 c.p.c. volta ad ottenere nei confronti della banca l’ordine di esibizione della documentazione direttamente accessibile al cliente ai
76 Porzio, Art. 119, cit., p. 1002; De Poli, Art. 119, cit., p. 1656; Presutti, Art. 119, cit., p. 1599; Liace, Art. 119, cit., pp. 740, 743; Marzocco, La tutela cautelare del diritto alla consegna di copia della documentazione bancaria, in Dir. e giur., 2011, p. 181. In giurisprudenza, Cass. 13 luglio 2007, n. 15669; Cass., 12 maggio 2006, n. 11004, cit., pp. 731 ss.; Cass., 27 settembre 2001, n. 12093, in Contr., 2002, p. 122 ss., con nota di Fiamma, Diritto ad ottenere copia di documenti e principio di buona fede. Vedi anche ABF, Collegio Napoli, decisione n. 14802 del 18 giugno 2019; ABF, Collegio Napoli, decisione n. 10338 del 16 aprile 2019; ABF, Collegio Roma, decisione n. 6841 del 7 marzo 2019. 77 Così, Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 108. 78 Liace, Art. 119, cit., p. 743. 79 Marzocco, La tutela cautelare, cit., p. 180. 80 Porzio, Art. 119, cit., p. 1001; De Poli, Art. 119, cit., pp. 1656 s. 81 Caterini, La trasparenza bancaria, cit., p. 176; Presutti, Art. 119, cit., p. 1599; Liace, Art. 119, cit., p. 743; Marzocco, La tutela cautelare, cit., pp. 225 s. 82 Marzocco, La tutela cautelare, cit., p. 227. 83 Majello, Art. 119, cit., p. 1961; De Poli, Art. 119, cit., p. 1656; Urbani, Art. 119, cit., p. 1908; Liace, Art. 119, cit., p. 744; Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 108 nt. 59; ampiamente, Marzocco, La tutela cautelare, cit., passim. 84 Majello, Art. 119, cit., p. 1962; Urbani, Art. 119, cit., p. 1908; Liace, Art. 119, cit., p. 744; Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 108 nt. 70. 85 Majello, Art. 119, cit., p. 1962; De Poli, Art. 119, cit., p. 1657; Liace, Art. 119, cit., p. 743; ampio riesame del problema in Marzocco, La tutela cautelare, cit., passim. 86 Marzocco, La tutela cautelare, cit., p. 182.
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sensi del co. 4, e quindi di documenti che il cliente, assolvendo all’onere della prova, avrebbe dovuto previamente acquisire prima del giudizio, e quindi produrre nel giudizio stesso87. L’omesso invio della documentazione richiesta è fonte di responsabilità risarcitoria a carico della banca (o dell’intermediario finanziario)88: si rinvia a quanto detto in precedenza. Il cliente ha diritto di ottenere la copia della documentazione entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, decorrenti evidentemente dalla ricezione da parte della banca (o dell’intermediario finanziario) della richiesta, per la quale il co. 4 non prevede alcun requisito formale: la richiesta può pertanto essere effettuata in qualsiasi forma89, anche se normalmente il cliente fa ricorso alla raccomandata con ricevuta di ritorno, e da ultimo alla pec.
10. (Segue): la richiesta c.d. generica. La richiesta deve avere ad oggetto, stando al tenore letterale del co. 4, la copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni90: si pone così la questione, piuttosto spinosa91, dell’ammissibilità della richiesta c.d. generica, in quanto il riferimento a singole operazioni è piuttosto limitativo, specie per chi (ad esempio, il curatore fallimentare) subentri nell’amministrazione dei beni del cliente avendo una scarsa conoscenza dei rapporti intercorsi tra la banca ed il cliente stesso92. Sembra necessario che l’estensore della richiesta fornisca alla banca gli elementi minimi indispensabili per consentire l’individuazione dei documenti richiesti, come ad esempio i dati concernenti il soggetto titolare del rapporto, il tipo del rapporto cui è correlata la richiesta, il periodo di tempo entro il quale le operazioni da documentare si sono
87 Urbani, Art. 119, cit., p. 1908; De Poli, Art. 119, cit., p. 1656; ampiamente, Marzocco, La tutela cautelare, cit., p. 191; Cass., 5 dicembre 2017, n. 29123. Contra, immotivatamente, Presutti, Art. 119, cit., p. 1599. Non limpide, sul punto, Cass., 30 ottobre 2019, n. 27769; Cass., 24 maggio 2019, n. 14231; Cass., 8 febbraio 2019, n. 3875. 88 Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 108. 89 De Poli, Art. 119, cit., p. 1656. 90 Sul termine decennale cfr. Liace, Art. 119, cit., pp. 742, 744. 91 Morera, I profili generali, cit., p. 380. 92 Così, Porzio, Art. 119, cit., p. 1004.
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svolte93; nulla esclude, peraltro, che forniti gli elementi minimi indispensabili si richieda la consegna di tutta la documentazione relativa a tutte le operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni94. Non manca peraltro (ma sul punto si dovrà tornare) chi ritiene che la richiesta c.d. generica costituisca in realtà una vera e propria azione di rendiconto (ex art. 1713 c.c.), che troverebbe il suo fondamento normativo nel co. 1, e non nel co. 495.
11. (Segue): l’oggetto della richiesta. Il co. 4 fa esplicito riferimento alla copia della documentazione inerente a singole operazioni, e cioè ad operazioni specifiche: si apre così il problema, scarsamente approfondito ma variamente risolto, se la richiesta, in forza di un’interpretazione estensiva o analogica della norma, possa avere ad oggetto anche i contratti, le comunicazioni periodiche, gli estratti conto. La risposta affermativa pare preferibile96. In questo senso si pronunzia espressamente, con riferimento agli estratti conto (ed ai rendiconti periodici), anche l’ABF97. Non manca peraltro chi sostiene che il diritto del cliente di ottenere copia degli estratti conto e delle comunicazioni periodiche sarebbe fondato sul principio di buona fede98: in ogni caso, il diritto si prescriverebbe in dieci anni ex art. 2946 c.c.
93 De Poli, Art. 119, cit., p. 1655; Presutti, Art. 119, cit., p. 1599. In giurisprudenza, Cass., 28 maggio 2018, n. 13277; Cass., 15 settembre 2017, n. 21472; Cass., 12 maggio 2006, n. 11004, cit., pp. 731 ss. Vedi anche ABF, Collegio Bari, decisione n. 14314 dell’11 giugno 2019; ABF, Collegio Bari, decisione n. 7597 del 18 marzo 2019. Più rigorose le opinioni di Lattanzi, Art. 24, cit., p. 91; Liace, Art. 119, cit., p. 743; Morera, I profili generali, cit., pp. 380 s.; Fauceglia, I contratti bancari, cit., p. 208; Urbani, Art. 119, cit., p. 1908, che richiede istanze «mirate». 94 De Poli, Art. 119, cit., p. 1655; in giurisprudenza, Cass., 28 maggio 2018, n. 13277; Cass., 30 ottobre 2015, n. 22183, che sostiene l’applicazione analogica del comma 4. 95 Morera, I profili generali, cit., pp. 380 s. 96 Cfr. Cass., 22 maggio 1997, n. 4598, cit., pp. 1193 ss. 97 ABF, Collegio Milano, decisione n. 15827 del 26 giugno 2019; ABF, Collegio Napoli, decisione n. 14263 dell’11 giugno 2019; ABF, Collegio Napoli, decisione n. 9737 del 9 aprile 2019; ABF, Collegio Roma, decisione n. 6861 del 7 marzo 2019; ABF, Collegio Roma, decisione n. 4773 del 14 febbraio 2019. 98 Mucciarone, La trasparenza bancaria, cit., p. 711 nt. 157 s.; Porzio, Art. 119, cit., p. 1004, testo e nt. 38.
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Il diritto del cliente di ottenere copia degli estratti conto non può essere identificato, secondo una importante sentenza della Corte di Cassazione, con il diritto al rendiconto: gli estratti conto sono il mezzo con cui la banca assolve al proprio obbligo periodico di rendiconto nei confronti del cliente ma, dopo essere stati redatti al fine di assolvere a tale obbligo, gli stessi divengono a loro volta parte della complessiva documentazione inerente al rapporto bancario; il richiederne la consegna non implica la reiterazione della pretesa di rendiconto, ma si risolve in una domanda di informazione documentale non diversa da quella avente ad oggetto qualsiasi altro documento attinente al rapporto bancario. Del resto, il rendiconto dovuto dalla banca al cliente è retto dalle specifiche norme degli artt. 1832, 1857 c.c. e 119 t.u.b., sicché (come si è accennato in precedenza) l’invio periodico degli estratti conto esaurisce, in relazione al periodo considerato, l’obbligo della banca di rendere il conto al cliente, che non ha più titolo alcuno per richiedere in seguito altre forme di rendiconto relative al medesimo periodo; è infatti contrario ad ogni logica immaginare che il cliente quale mandante possa reiterare alla banca quale mandataria la richiesta di un rendiconto già reso99. Recenti pronunzie della Corte di Cassazione non sembrano peraltro cogliere esattamente la distinzione tra diritto di ottenere copia dei documenti e diritto di rendiconto, e parlano del diritto del cliente di ottenere dalla banca i documenti ed il rendiconto delle operazioni relative agli ultimi dieci anni, ai sensi del co. 4100 . Con riferimento al contratto, si sostiene che il co. 4 sarebbe inapplicabile101. Secondo l’ABF, il diritto del cliente di ottenere copia della documentazione contrattuale sarebbe fondato infatti sull’art. 117, co. 1, T.U.B.: la banca è tenuta ad uno specifico ed assoluto dovere di protezione del cliente, idoneo a tradursi nel dovere di fornirgli il supporto documentale ai contratti stipulati, anche laddove il cliente abbia perduto la documentazione originariamente consegnatagli, in quanto l’obbligo di consegna di copia del contratto è prevista dall’art. 117, co. 1, t.u.b. senza limiti di tempo, e deve considerarsi esteso anche nei confronti dei documenti integrativi del contratto102. Sempre secondo l’ABF, il diritto
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Cass., 22 maggio 1997, n. 4598, cit., pp. 1193 ss. Cass., 30 ottobre 2019, n. 27769; Cass., 24 maggio 2019, n. 14231; Cass., 8 febbraio 2019, n. 3875. 101 Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 108; Presutti, Art. 119, cit., p. 1598. 102 ABF, Collegio Napoli, decisione n. 13425 del 28 maggio 2019; ABF, Collegio Bari, decisione n. 11173 del 30 aprile 2019; ABF, Collegio Milano, decisione n. 8763 del 28 100
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del cliente si prescriverebbe comunque in dieci anni (ex art. 2946 c.c.), ma il termine inizierebbe a decorrere (non dalla stipula del contratto ma) dalla chiusura del rapporto103. Vi è invece chi ritiene che il diritto del cliente di ottenere copia del contratto sarebbe basato sul principio di buona fede104. È pacifico, invece, che il cliente non ha diritto di ottenere, ai sensi del co. 4, copia di documenti interni della banca105, né rielaborazioni di dati106, ricostruzioni contabili107, spiegazioni108, ecc.
12. (Segue): il limite della correttezza. Si è detto che il diritto del cliente di ottenere copia della documentazione è espressione del principio di buona fede oggettiva. Ne consegue che la richiesta, pur potendo avere ad oggetto sia documentazione che il cliente non ha ricevuto, per un disguido postale, o perché la banca non era tenuta ad inviarla, sia documentazione che il cliente ha ricevuto e smarrito109, per trascuratezza, negligenza, disinteresse, disordine, ecc.110, incontra il limite della correttezza111. Pertanto, la richiesta non deve sconfinare nell’abuso e nell’emulazione112: si pensi ad esempio alla richiesta avanzata per capriccio, ed alla reiterazione della stessa per ripetuta negligenza nella conservazione della documentazione113.
marzo 2019; ABF, Collegio Bari, decisione n. 7903 del 20 marzo 2019; ABF, Collegio Roma, decisione n. 6841 del 4 marzo 2019. 103 ABF, Collegio Milano, decisione n. 12598 del 16 maggio 2019; ABF, Collegio Palermo, decisione n. 8239 del 26 marzo 2019. 104 Mucciarone, La trasparenza bancaria, cit., p. 711 nt. 157 s.; Porzio, Art. 119, cit., p. 1004, testo e nt. 38. 105 ABF, Collegio Milano, decisione n. 14547 del 13 giugno 2019; ABF, Collegio Milano, decisione n. 10137 dell’11 aprile 2019. 106 ABF, Collegio Milano, decisione n. 8447 del 27 marzo 2019. 107 ABF, Collegio Milano, decisione n. 1934 del 22 gennaio 2019. 108 ABF, Collegio Roma, decisione n. 2225 del 24 gennaio 2019. 109 Mucciarone, La trasparenza, cit., p. 710 s., secondo cui dalla regola di correttezza discende il diritto del cliente di ottenere copia di documentazione già ricevuta. 110 Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 108. 111 ABF, Collegio Milano, decisione n. 1927 del 22 gennaio 2019. 112 Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 108. 113 Così, Mucciarone, La trasparenza, cit., p. 711 nt. 158.
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13. (Segue): le spese. Ai sensi del co. 4, il cliente ha diritto di ottenere copia della documentazione, ma a proprie spese, fermo restando che gli possono essere addebitati solo i costi di produzione della documentazione richiesta. Il cliente non ha l’onere di anticipare le spese; tra la corresponsione delle spese e la consegna dei documenti non corre un rapporto di sinallagmaticità, sicché la banca non può fare ricorso all’art. 1460 c.c.114. La norma è ispirata ad un criterio indennitario, e non remunerativo115, e vuole evitare che la banca (o l’intermediario finanziario) possa lucrare un qualsivoglia vantaggio economico mediante l’applicazione di commissioni per la produzione della documentazione richiesta116. I costi di produzione sono i costi vivi affrontati dalla banca per il reperimento, la riproduzione e la spedizione della documentazione117. È pertanto illegittima la condotta della banca che imponga un costo fisso e forfettario per la consegna della documentazione118; è invece legittima la prassi di elaborare parametri generalmente applicabili, pubblicizzati tramite fogli informativi, purché vi sia una stretta correlazione tra i costi effettivamente necessari al reperimento ed alla produzione dei documenti richiesti e le spese applicate al richiedente119. Le spese di cui al co. 4 non debbono necessariamente essere previste nel contratto, né pubblicizzate, ai sensi dell’art. 117, commi 4 e 7, lett. b), t.u.b.120. Non a caso, le Disposizioni in materia di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia, che pur si limitano a riprodurre pedissequamente il disposto del co. 4, aggiungono che gli intermediari indicano al cliente,
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Così, Marzocco, La tutela cautelare, cit., p. 179 nt. 27. ABF, Collegio Napoli, decisione n. 1298 del 16 gennaio 2019; ABF, Collegio Bari, decisione n. 1751 del 18 gennaio 2019; ABF, Collegio Napoli, decisione n. 14799 del 18 giugno 2019; ABF, Collegio Napoli, decisione n. 14802 del 18 giugno 2019. 116 Urbani, Art. 119, cit., p. 1907. 117 Liace, Art. 119, cit., p. 744; ABF, Collegio Roma, decisione n. 3713 del 7 febbraio 2019; ABF, Collegio Roma, decisione n. 6841 del 7 marzo 2019. 118 Liace, Art. 119, cit., p. 744; ABF, Collegio Napoli, decisione n. 1298 del 16 gennaio 2019; ABF, Collegio Roma, decisione n. 6841 del 7 marzo 2019; ABF, Collegio Napoli, decisione n. 8516 del 27 marzo 2019; ABF, Collegio Napoli, decisione n. 14802 del 18 giugno 2019. 119 ABF, Collegio Napoli, decisione n. 1298 del 16 gennaio 2019; ABF, Collegio Roma, decisione n. 8516 del 17 marzo 2019; ABF, Collegio Napoli, decisione n. 14799 del 18 giugno 2019; ABF, Collegio Napoli, decisione n. 14802 del 18 giugno 2019. 120 De Poli, Art. 119, cit., p. 1654; contra, Majello, Art. 119, cit., p. 1960. 115
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al momento della richiesta, il presumibile importo delle relative spese121: statuizione che sarebbe superflua, ove le spese stesse dovessero essere previste nel contratto e pubblicizzate (in quanto ai sensi dell’art. 117, co. 7, lett. b, t.u.b. in mancanza di pubblicità nulla è dovuto).
14. (Segue): il rapporto con la disciplina della c.d. privacy. Le Disposizioni in materia di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia statuiscono che resta fermo per il cliente il diritto di accesso ai dati personali previsto dall’art. 7 del Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, secondo le modalità stabilite dal Garante nelle linee guida per trattamenti dati relativi al rapporto banca-clientela del 25 ottobre 2007122. Si segnala peraltro che l’art. 7 del d.lgs. n. 196 del 2003 è stato abrogato dall’art. 27, co. 1), lett. a), n. 2, del d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, recante Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale al regolamento UE n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, c.d. GDPR (vedi specialmente l’art. 15 di tale regolamento).
Enrico Minervini Abstract L’art. 119 del t.u.b. è finalizzato a consentire al cliente, quale contraente debole, di acquisire le informazioni necessarie per conoscere lo svolgimento del rapporto con la banca, in modo da garantire un elevato standard di trasparenza. Il saggio analizza le statuizioni portate dalla norma, con particolare attenzione alla forma, alla chiarezza ed alla periodicità delle comunicazioni della banca; alla periodicità degli estratti conto; all’opposizione del cliente ed alle conseguenze della sua mancata opposizione; al diritto di questi di ottenere dalla banca copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. ***
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Morera, I profili generali, cit., p. 379 nt. 912. Sul punto cfr. Di Pietropaolo, Ambito e fondamento, cit., p. 755; De Poli, Art. 119, cit., pp. 1654 s.; Presutti, Art. 119, cit., p. 1599 s.; Liace, Art. 119, cit., p. 741; Marzocco, La tutela cautelare, cit., p. 179 nt. 27; ABF, Collegio Napoli, decisione n. 14802 del 18 giugno 2019. 122
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Art. 119 of the Consolidated Law on Banking (t.u.b.) aims at enabling the client, as weaker party, to acquire all the necessary information to know the performing of his contractual relationship with the bank, in order to guarantee a high standard of transparency. The essay provides an in-depth analysis of Art. 119. Notably, it focuses on: the requirements of communications from the bank; the periodicity of bank statements; the right of the client to complain and the consequences of his failure to do so; as well as the right of the client to get copy of the documentation with regard to all the operations carried out in the last ten years.
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La valutazione “innovativa” del merito creditizio del consumatore e le sfide per il regolatore Sommario: 1. Premessa. – 2. Alcune considerazioni di carattere generale sulla valutazione del merito creditizio. – 2.1. Cenni circa il sistema tradizionale di valutazione del merito creditizio. – 2.2. La valutazione “innovativa” del merito creditizio. – 3. Alcuni primi giudizi circa i sistemi innovativi di valutazione del merito creditizio. – 3.1. I pregi. – 3.2. I rischi legati alle nuove metodologie di credit scoring. – 4. La disciplina attualmente in vigore. – 4.1. Le disposizioni contenute nel Testo Unico bancario. – 4.2. Il regolamento sulla tutela dei dati personali. – 5. Il cambio di passo delle autorità europee. – 5.1. Le linee guida della BCE sulle Fintech Banks. – 5.2. Le linee guida dell’ABE. – 6. Conclusioni.
1. Premessa. La valutazione del merito creditizio del consumatore, intesa come il vaglio, attraverso la raccolta di informazioni, dell’affidabilità e della probabilità di default di un determinato soggetto, pur costituendo una fase fondamentale dell’attività di erogazione del credito, è stata fino al recente passato oggetto di scarsa attenzione da parte del regolatore e della dottrina1. Oggi, però, la situazione appare in evoluzione.
1 In dottrina, v. Mattassoglio, Innnovazione tecnologica e valutazione del merito creditizio dei consumatori.Verso un Social Credit System?, Milano, 2018; Ferretti, Consumer access to capital in the age of Fintech and big data: The limits of EU law, in Maastricht Journal of European and comparative Law, 2018, p. 1 ss; Id., The “Credit Scoring pandemic” and the European Vaccine: Making Sense of Eu Data Protection Legislation, in Journal of Information, Law and Technology, 2009, pp. 3 ss.; Abdou, Pointon, Credit Scoring, statistical techniques and evaluation criteria: A review of the literature. Intelligent System in Accounting, Finance and Management, 2011,18, pp. 59-88, https://doi. org/10.1002/isaf.325.
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Di recente, sia la Banca Centrale Europea (BCE)2, sia l’Autorità Bancaria Europea (ABE)3 hanno adottato atti che incidono su quest’ambito in ragione di una maggior sensibilità nei confronti del tema dell’indebitamento del singolo e, soprattutto, delle nuove modalità con cui detto giudizio viene condotto. Sempre più spesso, infatti, i finanziatori si avvalgono di dati e modalità di analisi c.d. “alternativi”, che sfruttano strumenti quali Big Data, algoritmi e predictive modelling4, per analizzare un numero potenzialmente illimitato di dati su ciascun singolo richiedente, ivi inclusi quelli appartenenti alla sfera social. Come avremo modo di mettere in luce, ciò assume connotati particolarmente problematici soprattutto nel caso del consumatore persona fisica5, che – a differenza delle imprese6 – è soggetto a un giudizio che finisce per coincidere con una profilazione, finalizzata a determinare la categoria di rischio in base alla capacità di rimborsare il debito, sempre più “onnicomprensiva”7. Fino al recente passato, il giudizio circa la meritevolezza di credito del singolo era incentrata su pochi elementi che comprendevano sostanzialmente il reddito attuale e la passata condotta creditizia, ossia una serie di comportamenti direttamente riferibili al richiedente e, comunque, per lo più attinenti alla sua sfera finanziaria. Al momento, invece, grazie all’innovazione tecnologica, si sta progressivamente affermando un sistema8 che tende a incentrare il giudizio
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BCE, Guide to assessments of Fintech institution licence applications, marzo 2018, consultabili alla pagina www.bankingsupervision.europa.eu., su cui v. infra par. 5.1. 3 Consultation Paper sulle Draft Guidelines on loan origination ad monitoring, del giugno 2019, su cui v. infra par. 5.2. 4 Per un maggior approfondimento v. Mattassoglio, Algoritmi e regolazione. Circa i limiti del principio di neutralità tecnologica, in Rivista della regolazione dei mercati, n. 2/2018, pp. 226 ss. 5 Simionato, Prime note in tema di valutazione del merito creditizio del consumatore nella direttiva 2008/48/CE, in La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/CE e il diritto italiano, a cura di De Cristoforo, Torino, 2009, pp. 184 ss. 6 Nel caso dell’imprenditore, il finanziatore effettua una valutazione che necessariamente riguarda la sua capacità e meritevolezza dal punto di vista professionale e gestionale, con un’attenta analisi del business plan; esso presenta, pertanto, caratteristiche peculiari; in tema v. Inzitari, L’abusiva concessione di credito: pregiudizio per i creditori e il patrimonio del destinatario del credito, in Le società, 2007, 4, p. 465. 7 Modica, Profili giuridici del sovraindebitamento, Napoli, 2012, p. 235. 8 Il settore creditizio è solo uno dei molti ambiti che ormai utilizzano un sistema di score per i consumatori, come dimostra lo studio di Dixon, Gellman, The Sco-
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su una serie di “altre” informazioni, spesso molto etorogenee tra loro (quali il tipo di negozi in cui si preferisce fare la spesa, le abitudini nel tempo libero, le proprie amicizie finanche alla c.d. reputazione social9). L’importanza dell’accesso al credito per ciascun individuo rende il tema estremamente delicato e giustifica la diffidenza che, soprattutto nel contesto americano, già accompagna queste nuove metodologie di analisi. Secondo taluni, infatti, esse potrebbero addirittura sfociare in pratiche discriminatorie e ormai illegali note come “redlining”, ossia una distinzione degli individui semplicemente tramite il loro zip code10. Dette critiche sono naturalmente acuite dalla mancanza di prove incontrovertibili circa l’efficacia, in termini predittivi, di queste nuove modalità di valutazione del merito creditizio. A ciò deve aggiungersi che i consumatori europei paiono ancora per lo più inconsapevoli del fatto che tutti i dati, ivi inclusi quelli prodotti e diffusi nel web, possano ormai essere raccolti e utilizzati per decidere in merito a una loro eventuale e futura richiesta di credito. Lo sviluppo di simili sistemi pone, pertanto, una serie di problematiche che non solo involgono necessariamente l’uso dei dati personali dei consumatori11, ma anche questioni di ordine più generale che attengono alle modalità con cui sia lecito valutare il singolo ai fini della sua affidabilità creditizia. Tutto ciò giustifica il timore che, in assenza di adeguate regole e controlli, l’impiego di tali sistemi possa acuire e rafforzare le tradizionali problematiche relative alle modalità di credit scoring – oscurità, scorrettezza, discriminazione ed esclusione – oltre a costituire un rischio per la stabilità del sistema finanziario nel suo complesso, se dovessero risultare inefficaci.
ring of America: How Secret Consumer Scores Threaten Your Privacy and Your Future, 4 April 2014, consultabile in https://www.ftc.gov/system/files/documents/public_comments/2014/08/00014-92369.pdf. 9 Per una critica di un simile sistema v. Citron, Pasquale, The scored society: Due process for automated prediction, in Washington Law Review, 2014, vol. 89, pp. 1 ss. 10 Havard, “On the take”: The Black Box of Credit scoring and mortgage discrimination, in Public Interest Law Journal, 2011, vol. 20, pp. 241 ss. 11 Per uno sguardo di carattere generale, si vedano le ossservazioni svolte da BCSB, Sound Practices: implications of fintech developments for banks and bank supervisors, 19 February 2018, in https://www.bis.org/bcbs/publ/d431.htm, p. 30.
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È evidente, infatti, che la società in cui viviamo è destinata a divenire sempre più “datizzata”; molti aspetti della nostra vita dipenderanno inevitabilmente dalla scia di informazioni che lasceremo dietro di noi sulla rete. Immaginare che proprio l’ambito della valutazione del merito creditizio – da sempre caratterizzato dall’incessante ricerca di informazioni il più accurate possibile sul richiedente – possa farne a meno, sembra alquanto irrealistico. Proprio per queste ragioni, si ritiene inspensabile che, nel prossimo futuro, l’ordinamento introduca regole che pongano maggiori garanzie a tutela dei consumatori e, nello stesso tempo, limiti per i finanziatori circa la tipologia di dati e le modalità di analisi impiegabili in un ambito così delicato. Per comprendere le ragioni che giustificano una simile convinzione, è indispensabile illustrare, seppure brevemente, le caratteristiche del sistema che abbiamo definito come tradizionale di valutazione del merito creditizio, per poi passare a delineare le peculiarità e le differenze presentate da quello innovativo.
2. Alcune considerazioni di carattere generale sulla valutazione del merito creditizio. La valutazione del merito creditizio12 è il giudizio che le banche, o gli altri soggetti erogatori di credito, pongono in essere per predire il comportamento di un futuro debitore, a partire dalla probabilità che esso non sia in grado di ripagare una singola rata del prestito sino all’ipotesi di insolvenza13, consentendo così di dividere i debitori tra buoni e cattivi pagatori14.
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Su questo profilo, si v. ex multis, Berti, La qualità degli affidamenti: la valutazione del rischio di credito nel rapporto banca-impresa, Milano, 2013; Colombini, Calabrò, Crisi finanziarie, banche e Stati: l’insostenibilità del rischio di credito, Torino, 2011; Lusignani, La gestione dei rischi finanziari nella banca, Bologna, 1996. 13 Sul tema v. Yan et al., How signaling and search costs affect information asymmetry in P2P lending: the economics of big data, in Financial Innovation, 2015, pp. 3-4. 14 Per poter costruire questi sistemi di valutazione, di norma, si utilizzano tecniche diverse quali i c.d. ‘linear probability models’, ‘logits’ ovvero ‘probits’ (grazie all’impiego di dati storici sulle performance di credito e sulle caratteristiche dei debitori per prevedere le probabilità di default), la ‘discriminant analysis’, invece, distingue tra soggetti ad alto ovvero a basso rischio, in questo senso v. Ferretti, Credit Scoring Pandemic, cit.
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Un’accurata analisi, circa la solvibilità del richiedente, è fondamentale per tutte le parti coinvolte nel rapporto15. I creditori, in assenza di adeguate e complete informazioni sui propri debitori, rischiano di commettere errori nella fissazione del tasso di interesse sottostimando o sovrastimando la situazione di rischio dell’obbligato; il consumatore, invece, può rischiare di contrarre un debito superiore alla sua capacità di adempimento (c.d. rischio di sovraindebitamento)16. Quest’attività, a sua volta, si articola in due elementi fondamentali: i dati e le modalità con cui essi vengono processati. Come avremo modo di mettere in luce, l’innovazione tecnologica ha determinato profonde modificazioni su entrambi i profili appena richiamati. 2.1. Cenni circa il sistema tradizionale di valutazione del merito creditizio. I sistemi di valutazione del merito creditizio tradizionale, solitamente, poggiano su una serie di dati che, con riferimento al debitore persona fisica, si sostanziano in nozioni riguardanti l’identità della persona, la passata abilità di ripagare i debiti, il reddito, la movimentazione dei conti, etc. Questa tipologia di informazioni può essere ricondotta nell’alveo dei c.d. dati hard17, ossia dati oggettivi e facilmente verificabili, non soggetti
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Akerlof, The Market for “Lemons”: Quality Uncertainty and Market Mechanism, in The Quaterly Journal of Economics, vol 84, Issue 3, August 1970, pp. 488 ss.; Grossman, Stiglitz, Information and Competitive Price System, in Am. econ. rev., 1976, pp. 246 ss. 16 Per sovra-indebitamento si intende, in virtù della nozione contenuta nella l. 27 dicembre 2010, n. 3, «la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina una “rilevante difficoltà” ed una “definitiva incapacità” di adempiere», per un commento più approfondito sul punto v. Montinaro, Il sovraindebitamento del consumatore: diligenza nell’accesso a credito ed obblighi del finanziatore, in Banca, borsa, tit. cred., fasc. 6, 2015, pp. 781 ss. 17 Sebbene non sia una classificazione unanimemente riconosciuta, i dati hard possono essere contrapposti ai c.d. dati soft. Questi sono sintetizzabili in un numero con maggior difficoltà, in quanto vengono di norma acquisiti attraverso l’esperienza personale e proprio per questo soggettiva di un determinato individuo. Di conseguenza, essi sono verificabili tendenzialmente soltanto dal soggetto che li ha prodotti (e che ha maturato quella determinata esperienza) e possono comprendere opinioni, idee, voci, etc., spesso contenuti in un testo scritto. Per questa distinzione v. Peterson, Information: hard and soft, in http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.126.8246&r ep=rep1&type=pdf, pp. 7-8, secondo cui «It includes opinions, ideas, rumors, economic projections, statement of management’s future plans, and market commentary»; nonché v. J.C. Stein, Information Production and Capital Allocation: Decentralized vs. Hierarchical Firms, in Journal of Finance, 2002, vol. 57, pp. 1891 ss.
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a un’interpretazione personale e trasformabili in un indice numerico con grande facilità. Vista la natura, questa categoria di informazioni può essere ottenuta direttamente dal richiedente18 (dati diretti), ovvero acquisita grazie all’osservazione dell’attività del consumatore (si pensi alla movimentazione dei suoi conti). In questo sistema, un’ulteriore fondamentale fonte di informazioni è costuita dalle c.d. banche dati creditizie (centrali rischi pubbliche o credit bureaux privati)19, che sono state create appositamente per superare l’annosa asimettria informativa che caratterizza il mercato del credito. A partire dagli anni ’8020, le informazioni così raccolte hanno cominciato a essere elaborate tramite modelli matematici21, che hanno contribuito a diffondere il c.d. credit scoring, ossia quel punteggio o indicatore numerico che viene attribuito a ciascun singolo richiedente, per valutare, in termini predittivi o probabilistici, il profilo di rischio, l’affidabilità e la puntualità nei pagamenti. Dal punto di vista operativo, siffatti sistemi di valutazione sono sostanzialmente basati su algoritmi semplici22, il cui modello operativo è completamente o parzialmente determinato dagli operatori nel momento della creazione23 per impiegare un numero limitato di dati.
18 Grazie, ad esempio, alla compilazione di schede o formulari al momento della richiesta di prestito. 19 Sul ruolo delle centrali dei rischi, v. Sciarrone Alibrandi, Mattassoglio, Le centrali dei rischi problemi e prospettive, in Dir. banc., 2017, pp. 476 ss. 20 Nel 1941, un matematico, David Durant ideò un sistema per facilitare l’erogazione dei crediti, basato su una “discriminant analysis”, cfr. id, Risk Elements in Consumer Installment Financing, Study #8, National Bureau of Economic Research, New York, 1941. 21 Su cui v. più approfonditamente, Pottow, Private Liability for Reckless Consumer Lending, in University of Illinois Law Review, 2007, p. 413. 22 Sul tema, v. ancora Mattassoglio, Algoritmi e regolazione, cit. 23 Secondo la distinzione suggerita dalla dottrina, essi possono essere classificati in base alla complessità secondo una scala: il più semplice la c.d. white box, dove l’output è completamente predeterminato; la c.d. grey box non completamente predeterminato, ma che può essere facilmente predetto e compreso; il c.d. black box, quando è molto difficile o impossibile comprenderne il funzionamento; il c.d. sentient, ossia un algoritmo che è in grado di superare il Test di Turing, avvicindandosi al funzionamento dell’intelligenza umana; infine, il c.d. “singularity”, quando l’algoritmo è capace di correggersi e apprendere in autonomia. Per questa distinzione v. Tutt, An FDA for Algorithms?, in Administrative Law Review, 2017, 69, 107, https://papers.ssrn.com/sol3/papers. cfm?abstract_id=2747994.
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Non a caso, l’emblema del sistema di valutazione tradizionale del merito creditizio può essere considerato il famoso FicoScore24, che impiega una serie di pochi dati di tipo hard secondo la seguente ponderazione: il 35% sulla storia creditizia del richiedente; il 30% sul reddito; il 15 % sulla lunghezza della storia creditizia; il 10% sulla tipologia di prestiti già richiesti25 e, infine, un 10% sulla base del nuovo tipo di credito per cui è presentata richiesta26. In questo caso, un peso preponderante viene assegnato all’affidabilità storica del richiedente nonché al suo reddito attuale; mentre minor valore è attribuito alle ragioni per cui il prestito viene richiesto ovvero al numero di istanze che sono state avanzate nel corso degli anni. Esso, inoltre, non tiene in alcuna considerazione altri elementi quali «employment history, salary, and other items»27, solo per citarne alcuni, che potrebbero significativamente influire sull’affidabilità del singolo e, di conseguenza, sul tipo di punteggio che gli verrà assegnato al termine di processo. 2.2. La valutazione “innovativa” del merito creditizio. I modelli innovativi del merito creditizio28 sono stati, invece, messi a punto da una serie di start-up di Fintech credit (le c.d. piattaforme di
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Questi dati sono stati resi pubblici soltanto in anni relativamente recenti dopo l’accesa battaglia intrapresa soprattutto dalle associazioni dei consumatori americani che si sono opposti al regime di segretezza mantenuto sul punto, a fronte dell’importanza sempre maggiore assunta dallo scoring sulla vita dei singoli. 25 Hurley, Adebayo, Credit Scoring in the Era of Big Data, 1in 8 Yale J.L. & Tech (2017), p. 156. Available at: https://digitalcommons.law.yale.edu/yjolt/vol18/iss1/5. 26 My Fico, Credit Education, consultabile sul sito http://www.myfico.com/CreditEducation. 27 Hurley, Adebayo, Credit Scoring, cit., p. 156. 28 Siffatti sistemi si sono diffusi, prima di tutto, proprio nei Paesi in via di sviluppo, con un’organizzazione bancaria e di informazione creditizia meno sviluppata e capillare, nonché con ampie fasce di popolazione prive di accesso al credito. In questi contesti, la possibilità di ricorrere ai nuovi dati e soprattutto a quelli di tipo “social” – che consentono di verificare il numero e la tipologia di amicizie virtuali - ha consentito di sviluppare sistemi di credit rating di soggetti anche in Paesi dell’Africa o dell’America latina ove la maggior parte degli individui non possiede un computer o un conto corrente, ma ha invece uno smartphone. In Sudamerica, anche Equifax Inc. utilizza i dati delle utility e delle telecomunicazioni per l’assegnazione del merito creditizio. In particolare, il loro algoritmo prende in considerazione il numero di telefonate e di messaggi che vengono ricevuti dall’utenza, sul presupposto che più una persona sia cercata, maggiore sia il suo valore economico. Un importante esempio, è costituito dall’attività svolta in quei paesi
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lending29), a partire dalla crisi economico-finanziaria del 2008, grazie a tecniche capaci di sfruttare le potenzialità offerte dalla c.d. data driven economy30. Con questo termine, facciamo riferimento a una serie di advanced analytical tools31, quali Big data, machine learning e predictive modellig32, capaci di incidere sul modo in cui le informazioni sono prodotte, raccolte e analizzate, con una rilevante riduzione dei costi33.
da Lenddo, ossia una società che è nata ad Hong Kong; per un commento più puntuale v. Crunching the numbers: Banks know a lot about their customers. That information may be valuable in more ways than one, in Economist, May 19, 2012, www.economist. com/node/ 21554743. In partiocolare, detti sistemi si avvalgono delle apps di localizzazione contenute nei cellulari per stabilire l’attendibilità e l’affidabilità dei richiedenti credito, così Bloomberg, No Credit History? No problem. Lenderds Are Looking at Your Phone date, novembre 2016. Pionieri in questo ambito sono anche Paesi come la Russia, l’India e la Cina, cfr. The Wall Street Journal, China’s New Tod for Social Control: A credit Rating for Everything, novembre 2016. 29 Per un’esaustiva analisi delle problematiche giuridiche poste dalle piattaforme di lending v. Sciarrone Alibrandi, Borello, Ferretti, Lenoci, Macchiavello, Mattassoglio, Panisi, Marketplace lending Verso nuove forme di intermediazione finanziaria?, Quaderni FinTech del luglio 2019, in http://www.consob.it/documents/46180/46181/FinTech_5. pdf/a92a97f0-7d0e-43de-9fcd-4acfd97199f2; sulle modalità di valutazione del merito creditizio delle piattaforme v. anche Biferali, Big data e valutazione del merito creditizio per l’accesso al peer to peer lending, in Dir. dell’informazione e dell’informatica, 2018, fasc. 3, p. 487 ss. 30 Cfr. Commissione Europea, Communication Building a European Data Economy, COM(2017) 9 final, Bruxelles, del 10 gennaio 2017, consultabile alla pagina https:// ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/communication-building-eu; id., Toward a data-driven economy, COM(2014)442 final, Bruxelles, 2 luglio 2014, in https://www. eesc.europa.eu/en/our-work/opinions-information-reports/opinions; id., Comunicazione Strategia per il mercato unico digitale in Europa, COM(2015)192 final, Bruxelles 6 maggio 2015, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52015DC0192; id., Comunicazione sulla revisione intermedia dell’attuazione della strategia per il mercato unico digitale. Un mercato unico digitale connesso per tutti, COM(2017)228 final, Bruxelles 10 maggio 2017, http://eur-lex.europa.eu/content/news/digital_market. html?locale=it. Scopo della c.d. Data Driven Economy è promuovere un coerente data ecosystem europeo che stimoli la ricerca e l’innovazione relativa ai dati, nonché ai servizi e ai prodotti a essi connessi, con particolare attenzione alla costituzione di una partnership pubblico-privato. 31 Lau, Zhao, Zhang, Cai, Ngai, Learning Context-Sensitive Domain Ontologies from Folksonomies: A Cognitively Motivated Method, in Informs Journal Computer 27, 2015, p. 561. 32 Sul tema v. Mattassoglio, Algoritmi e regolazione, cit. 33 Yan et al., How signaling and search costs affect information asymmetry in P2P
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Detta tecnologia consente di ampliare la tipologia e il volume di dati a disposizione su ciascun individuo, permettendo così, anche a operatori creditizi non convenzionali, di ottenere informazioni sulla cui base profilare i potenziali debitori34. Come emerge da alcuni studi35, i nuovi sistemi di valutazione del merito creditizio considerano una serie molto vasta di dati che si aggiungono a quelli oggetto di analisi nell’ambito delle metodologie tradizionali36, sul presupposto che «all data is a credit data»37. Queste informazioni possono essere raccolte direttamente dal richiedente (tramite la compilazione di formulari on line) (dati diretti), oppure “osservate” grazie all’attività on-line e off-line sul richiedente (tramite la navigazione sul web, l’utilizzo di una applicazione, l’interazione sulle piattaforme social come Facebook o Twitter, etc.38) (dati osservati di tipo web-soft o social-soft)39. Infine, un’ulteriore e importante categoria di dati, che possono essere utilizzati nell’ambito del processo, è costituita dalla rielaborazione di informazioni e comportamenti che non vengono forniti direttamente dal richiedente ma creati dai data controller tramite successive rielaborazioni, che a loro volta possono essere di tipo derivato o inferito40. Le odier-
lending: the economics of big data, in Financial Innovation, 2015, pp. 1 ss. 34 Yan et al., How signaling, cit., 6. 35 Cullerton, Behavioral Credit Scoring, in The George Town Law Journal, vol. 101, 2013, p. 808. 36 Mayer-Schonberger, Cukier, Big data. A revolution that will transform how we live, work and think, New York, Hodder & Stoughton, 2013 pp. 127 ss. 37 Questa è la nota affermazione resa da Douglas Merril (ex Google) durante un’intervista, cfr. Big Data lends new Zest to banks’ credit judments, Financial Times 2014. 38 Sul tema, v. Jeffries, As Banks Start Nosing Around Facebook and Twitter, the Wrong Friends Might Just Sink Your Credit, betabeat.com (Dec. 13, 2011), http://www.betabeat.com/2011/12/13/as-banks-start-nosing-aroundfacebook-and-twitter-the-wrongfriends-might-just-sink-your-credit. 39 Yan et al., How signaling, cit., p. 6; Madrigal, I’m Being Followed: How Google and 104 Other Companies Are Tracking Me on the Web, Atlantic, Feb. 29, 2012, http:// www.theatlantic.com /technology/archive/2012/02/imbeing-followed-how-google-and104-other-companies-are-tracking-me-on-the-web; Andrews, I know who you are and i saw what you did: socialmedia and the death of privacy, New York, 2011; Turow, The Daily You: How the New Advertising Industry Is Defining Your Identity and Your Worth, Yale University Press, 2011. 40 Questa è la distinzione proposta dall’Article 29 Data Protection Working Party nelle sue Guidelines on Automated Individual Decision- Making and Profiling for the Purposes of Regulation 2016/679, (n 19) 8. Per una riflessione circa la pericolosità di questa tipologia di dati, v. Wachte, Mittelstand, A right to reasonable inferences: rethinking data protection law in the age of Big Data and AI, in Colum. Bus. L. Rev. (2019),
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ne società, infatti, si caratterizzano per una serie di soggetti che sono specializzati nella formazione, vendita e dentenzione di profili, appartenenti a ciascun singolo individuo che spesso vengono realizzati «through inferential analytics, consisting of unpredictable and potentially trobling inferences revealing information and predictions about private life, behaviours and preferences that would otherwise remain private»41. In particolare, ai fini della valutazione del merito creditizio, sono tendenzialmente utilizzate tre diverse categorie di informazioni relative42: alle caratteristiche del prestito; alle caratteristiche del richiedente (dati tradizionali come il credit score43, alcune indicazioni demografiche44); e, infine, alle caratteristiche del gruppo a cui appartiene il borrower45 (tratte, ad esempio, dai social network)46. Sempre più diffusa sarebbe la tendenza a ritenere valido il principio secondo cui “birds of a feather flock together” e, quindi, che le relazioni sociali possano essere utili strumenti
p. 1 ss. che precisano come «derived (e.g. country of residency derived from the subject’s postcode) and inferred data (e.g. credit score, outcome of a health assessment, results of a personalisation or recommendation process) are not “provided by” the data subject actively or passively, but rather created by a data controller or third party from data provided by the data subject and, in some cases, other background data». 41 Wachte, Mittelstand, A right to reasonable inferences, cit., p. 12. 42 Lin, Prabhala, Viswanathan, Judging, they keep: friendship networks and information asymmetry in online peer-to-peer lending, in Manag Sci 59(1), 2013, p. 17, https:// www8.gsb.columbia.edu/rtfiles/finance/Finance%20Seminar/Spring%202010/p2p_ prabhala.pdf; Liu, Brass, Chen, Friendships in Online Peer-to-Peer Lending: Pipes, Prisms, and Relational Herding, MIS Quarterly 39(3), 2015, p. 729; sul tema v. anche Yan et al., Financial Innovation (2015), p. 4. In alcuni casi le piattaforme richiedono una serie di garanzie collaterali altre ancora, invece, prevedono un vero e proprio sistema di investigazione off line che prevede una serie di contatti con il richiedente e con persone della sua comunità. Tuttavia, vista la difficoltà e i limiti geografici che presentano questo tipo di riscontri, la maggior parte delle verifiche avviene on line proprio grazie all’utilizzo della tecnologia. 43 Iyer, Khwaja, Luttmer, Shue, Screening in new credit markets: Can individual lenders infer borrower creditworthiness in peer-to-peer lending?, NBER Working Paper Series. National Bureau of Eeconomic Research (NBER), 2009, Cambridge. 44 Kumar, Bank of one: Empirical analysis of peer-to-peer financial marketplaces, AMCIS 2007 Proceedings, Paper 305, https://pdfs.semanticscholar.org/7e22/6f38c3175eb 38165de642ffb5dd05ee67538.pdf. 45 Everett, Group Membership, Relationship Banking and Loan Default Risk: The Case of Online Social Lending, in Banking and Finance Review 7(2), 2015, consultabile sul sito http://ssrn.com/abstract=1114428. 46 Lin, Prabhala, Viswanathan, Judging borrowers, cit., p. 17; Liu, Brass, Chen, Friendships in Online Peer-to-Peer, cit., p. 729.
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su cui basare l’offerta di credito47. Il presupposto è che si possa determinare il merito creditizio di un singolo attraverso la ricostruzione della sua personalità «manifests through an online social footprint, especially a person’s virtual social circles»48. Ciò spiega la ragione per cui alcuni lenders abbiano cominciato a mettere a punto sistemi che integrano la valutazione del merito creditizio con la c.d. reputazione sociale del singolo49, sfruttando algoritmi simili a quelli utilizzati da Klout, che misurano l’apprezzamento considerando elementi quali, ad esempio, il numero di followers su internet50. È, peraltro, evidente che la possibilità di analizzare una così grande quantità di informazioni disomogenee richiede nuovi sistemi di analisi51, basati su algoritmi particolarmente complessi, che si avvalgono della tecnologia di Big Data e machine learning52; essi consentono così di ricercare relazioni statistiche in un determinato insieme di dati53, senza
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Le banche e i lender possono, ad esempio, utilizzare i social prima di tutto per verificare l’identità dei potenziali richiedenti per prevenire frodi, ma ormai ci sono veri e propri third-party providers che scandagliano i social-media (ossia il c.d. “social graph”) per valutare il merito creditizio, attraverso un’analisi dei posts, conducendo, ad esempio, una ricerca per parole chiave che possano evidenziare rischi per la posizione del consumatore, Cullerton, Behavioral credit, cit., p. 814. 48 Packin, Lev-Aretz, On social credit ad the right to be unnetworked, in Columbia Business Law Review 339, 2016, Disponibile su SSRN: https://ssrn.com/abstract=2728414 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.2728414, p. 343, secondo cui «Proponents of social credit claim that one’s friends are a constructive indicator of financial trustworthiness, as people are more likely to be better borrowers if their friends are. Creditworthiness predictors use information about the size and strength of a person’s social network, exchanged messages, tagged photos, browsing habits, education, searches, and geo-spatial data from mobile phones». 49 Cfr. provvedimento doc. web n. 5796783, consultabile sul sito www.garanteprivacy.it 50 Per un maggior approfodimento, v. https://www.neting.it/blog/klout-score-punteggio-che-misura-tua-influenza-sui-social.html. 51 Hastie, Tibshirani, Friedman, The elements of statistical learning: data mining, inference, and prediction, New York, 2009. 52 Robinson + Yu, Knowing the Score. New Data, Underwriting, and Marketing, in the Consumer Credit Marketplace, https://www.upturn.org/static/files/Knowing_the_Score_Oct_2014_v1_1.pdf, p. 13. Negli ultimi tempi, anche gli operatori tradizionali hanno cominciato a mettere a punto una serie di nuovi modelli “alternativi” che includono nell’ambito di analisi un più ampio spettro di dati. Ne è un esempio il c.d. FICO Expansion Score, l’Experian Income Insight o l’Equifax Decision 360. 53 Più precisamente su questo punto v. Fayyad, The Digital Physics of Data mining, 44 Comm. ACM, March 2001, p. 62.
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rispondere a una specifica domanda, ma tramite l’individuazione di modelli utili per il successivo processo decisionale54. Non a caso, anche se impropriamente, il termine Big data può essere assimilato alla c.d. analisi predittiva, ossia a quella scienza che consente di trovare connessioni e correlazioni tra un ampio e spesso variegato tipo di informazioni, grazie alle quali fare predizioni55. L’essenza dei Big data, infatti, non è solo collegata alla quantità di informazioni che, nell’attuale realtà, possono essere prodotte e raccolte, quanto piuttosto ai risultati di “predizione”56 che poggiano su inferenze e connessioni, di dati correlati57. Un valido esempio delle potenzialità dell’uso delle nuove metodologie nel settore del credit scoring è, al momento, costituito dall’algoritmo proprietario brevettato da ZestFinance58, una delle più note startup di Fintech credit59.
54 Cfr. Fayyad, The Digital Physics, cit., p. 62. I modelli rappresentano, infatti, il set di relazioni che vengono via via a formarsi e che saranno poi utilizzati per automatizzare il processo di selezione di un determinato soggetto o attività di interesse, stimando una serie di variabili non osservate ovvero predicendo future variabili. Sul tema, ormai ex multis, v. Mayer-Schonberger, Cukier, Big data. A revolution that will trasform how we live, work and think, New York, 2013; Boyd, Crawford, Critical Questions for Big Data, in Information, Communication & Society (5) 4, 2012, pp. 662 ss.; Kerr, Earle, Prediction, Preeption, Presuption. How Big Data Threatens Big Pictures Privacy, in 66 Stan Law Review, 2013, p. 67. 55 I big data consentirebbero, in altre parole, di comprendere gli individui riuscendo, grazie all’analisi e alla decodificazione di un’immensa quantità di informazioni (che senza la tecnologia resterebbe alla stregua di un rumore di fondo non comprensibile), a ridurre le differenze tra i singoli, fino ad ottenere il c.d. “n = all”, ossia di comprendere e predire i comportamenti di una pluralità di soggetti. Il tutto a una incredibile velocità, cfr. Mayer-Schonberger, Cukier, Big data. A revolution, cit. 56 McCue, Data mining and predictive analysis: Intelligence gathering and crime analysis, New York, 2007, p. 48, che dichiara come «If knowledge is power, then foreknowledge [via predictive analytics] can be seen as battlespace dominance or supremacy». Sul tema si veda anche Viola, Data mining. Sottrazione, cessione e utilizzo di dati personali e documenti riservati, in Diritto alla riservatezza e progresso tecnologico, a cura di Fumagalli Meraviglia, Napoli 2015, pp. 189 ss. 57 Domingos, A few Useful Things to know about Machine Learning, Comm. ACM, Oct. 2012, pp. 78-80. 58 Zestfinance.com, How We Do It, in www.zestfinance.com/how-we-do-it.html. 59 Secondo i dati raccolti da Robinson+Yu, Knowing the score, cit., p. 16, utilizzerebbero tecnologie simili anche se senza analizzare le migliaia di variabili di ZestFinance: LendUp (dati provenienti dalle agenzie di credito, social network, velocità di utilizzazione del loro sito, etc.), Kreditech (dati di localizzazione GPS, social graph, analisi del comportamento online, abitudini di acquisto e device data), Earnest (lavoro corrente, salario, educazione, andamento di spese e risparmi, Linkedln, carte di credito) e Demyst
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Sebbene le esatte metodologie restino in gran parte oscure, oltre a mutare velocemente per via del continuo processo di innovazione tecnologica60, è indubbio che esso riveli la capacità di analizzare un’incredibile quantità di dati, combinando le informazioni tradizionali con migliaia di altri dati che sono rilevati dalle attività offline e online degli individui61. Esso trae, ad esempio, indicazioni dal tempo medio che un utente impiega per leggere e sottoscrivere le condizioni contrattuali che si trovano online; considera i luoghi e le modalità delle abitudini di spesa62, i comportamenti online, i dati GPS, etc. Già questi pochi cenni evidenziano come il nuovo mercato creditizio si stia trasformando in un sistema non più caratterizzato da un problema di carenza informativa, quanto semmai dall’opposto rischio di over-information. In altre parole, la vera sfida per gli operatori consisterà nel riuscire a mettere a punto sistemi di analisi che riescano, in modo efficace, a individuare le ipotesi di default e i livelli di rischio, selezionando soltanto (e solo) quei dati che possano essere davvero utili ai fini della individuazione della capacità di restituzione del debito da parte del singolo. Non è detto, infatti, che un illimitato patrimonio informativo possa essere funzionale al processo di valutazione, sia per la stabilità del singolo intermediario, per il debitore e, infine, per lo stesso sistema finanziario63.
3. Alcuni primi giudizi circa i sistemi innovativi di valutazione del merito creditizio. Allo stato attuale della ricerca64, in assenza di prove empiriche certe circa l’effettivo miglioramento della valutazione del merito creditizio,
Data (crediti score, verifica dell’occupazione, controllo antifrode, income, stabilità di impiego, storia lavorativa e online footprint). 60 Robison + Yu, Knowing the Score, cit. 61 U.S. Patent App. No. 14/276,632 (filed May 13, 2014), http://www.google.com/patents/US20150019405. 62 Credit scoring in the Era of Big Data, cit., p. 165. 63 Negli Stati Uniti i report sui consumatori si basano già su centinaia o, in alcuni casi, addirittura migliaia di dati che provengono da una pluralità di fonti come età, razza, genere, indirizzo di casa, religione, numero del cellulare, condizioni di salute, finanziarie, ossia informazioni anche particolarmente sensibili. Le nuove tecnologie, infatti, consentono di acquisire un ampio bacino di informazioni anche attraverso i social media, il web o le app, cfr. Dixon, Gellman, The Scoring of America, cit., p. 16. 64 Sottolinea il fatto che non sia ancora giunto a compimento un intero ciclo di
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connesso a un aumento del numero delle informazioni65 – anche derivanti da canali social –, è necessario prendere atto dell’esistenza di opinioni profondamente discordanti sul punto, pur se accomunate dalla consapevolezza circa l’estrema rilevanza dell’impiego di strumenti innovativi per la futura evoluzione del settore finanziario66. 3.1. I pregi. Dal punto di vista degli operatori – anche e soprattutto di quelli che cominciano soltanto adesso a svolgere attività di erogazione del credito –, il più rilevante vantaggio, connesso all’utilizzo di questa tecnologia, è sicuramente costituito dalla possibilità di entrare in possesso di una serie amplissima di informazioni riguardanti i potenziali richiedenti. Queste tecniche consentono l’accesso al mercato anche a lender privi del patrimonio informativo storico delle banche e tendenzialmente esclusi dalle centrali dei rischi pubbliche67, con una riduzione dei costi e delle tempistiche legati alla raccolta e alla rielaborazione dei dati.
finanziamento anche il FSB, Financial Stability Implication from Fintech, del 27 giungo 2017, in https://www.fsb.org/wp-content/uploads/R270617.pdf. 65 Di particolare interesse sono i risultati degli studi empirici sulla validità dei modelli di scoring realizzati tramite l’utilizzo di digital footsprings, condotti da Berg, Burg, Gombovic’, Puri, On The Rise of the Fintech-Credfit Scoring using Digital Footprintes, in FDIC CFR WP, 2018-04, consultabile sul sito www.fdic.gov/cfr. Gli A. affermano che, secondo le loro analisi, l’utilizzo di pochi e semplici dati, tratti dall’attività digitale degli individui (quali il tipo di mail, il sistema operativo (IOS o Androitd) o la consultazione di siti di comparazione) possa garantire un innalzamento del livello di affidabilità dei sistemi di scoring soprattutto se associati ai dati tradizionali. Secondo gli A., inoltre, questa tipologia di dati potrebbe altresì consentire di ampliare la platea di soggetti ammessi al prestito, sebbene essi per primi ammettano che questi dati – proprio perché semplici – potrebbero essere alterati dai consumatori qualora ne fossero a conoscenza, rendendoli di fatto inutili. 66 Le ESAS (nel Final Report on Big Data, del 15 March 2018, consultabile https://www. esma.europa.eu/sites/default/files/library/jc-2018-04_joint_committee_final_report_on_ big_data.pdf) mettono in luce sia i vantaggi sia i rischi che l’uso dei big data potrebbe trasversalmente portare nell’ambito dei mercati finanziari; per un approfondimento v. anche EBA, Report on innovative uses of consumer data by financial insstitutions, del 28 June 2017, consultabile alla pagina https://eba.europa.eu/documents/10180/1720738/ Report+on+Innovative+uses+of+data+2017.pdf). In dottrina, Mattassoglio, Big Data: impatto sui servizi finanziari e sulla tutela dei dati personali, in Fintech: introduzione ai profili giuridici, a cura di Paracampo, cit., p. 65. 67 Come è noto, la disciplina vigente non consente alle piattaforme di lending di partecipare al sistema di scambio informazioni gestito dalla Centrale dei rischi; esse, previo pagamento, possono invece accedere ai sistemi privati; su questa tematica più approfondimente, v. Sciarrone Alibrandi, Mattassoglio, Le centrali dei rischi: problemi e
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Da una diversa prospettiva, anche per i consumatori e per il mercato creditizio nel suo complesso, possono riscontrarsi rilevanti vantaggi legati al diffondersi dell’utilizzo delle nuove tecnologie nel settore quale quello di consentire di valutare e di ammettere al credito un più ampio bacino di soggetti considerati unbanked o underbanked, per via dell’assenza di una storia creditizia o comunque che sarebbero esclusi68 secondo il sistema di valutazione del merito creditizio tradizionale, basato su dati hard. Secondo i suoi fautori, l’introduzione di un maggior numero di variabili, sulla base delle quali giudicare l’affidabilità creditizia dei singoli, consentirebbe di rendere lo stesso sistema finanziario «more inclusive»69, come, ad esempio, può accadere ricorrendo alle informazioni relative al pagamento delle utenze soprattutto per i consumatori più giovani. Sempre collegato alla possibilità di poter profilare meglio l’individuo e, quindi, di poter conseguire una maggior distinzione granulare della potenziale clientela70, un secondo vantaggio sarebbe costituito dalla miglior selezione dei soggetti cui concedere credito. In particolare, sarebbe possibile suddividere i potenziali debitori in molteplici categorie di rischio, rispetto alle poche consentite dai metodi di valutazione tradizionale che, essendo legati a variabili limitate, non hanno in passato permesso una più puntuale diversificazione. In altre parole, l’uso della tecnologia dei big data potrebbe consentire di individuare, potenzialmente per ciascun individuo, il livello di rischio più appropriato, che potrebbe così dar vita alla stipulazione di contratti di credito perfettamente rispondenti all’interesse di entrambe le parti. Naturalmente, il presupposto indispensabile per ottenere questi risultati è che il sistema di valutazione basato sui dati alternativi, di cui stiamo discutendo, sia effettivamente in grado di predire, in modo corretto, le ipotesi di default e, quindi, sia più efficiente di quello tradizionale. Al momento, come si è già anticipato, non esistono ancora prove definitive circa la capacità di queste metodologie di migliorare la capacità di predizione
prospettive, in Dir. banc., 2017, I, pp. 764 ss. 68 Tuner et al., A new Pathway to Financial Inclusion: Alternative Data, Credit Building, and Responsible Lending in the Wake of Greta Recession (2012), in http://www. perc.net./wp-content/uploads/2013/09/WEB-file/ADI5-layout1.pdf. 69 Così Policy and Economic Research Council, in http://www.perc.net. 70 Secondo le autorità europee l’utilizzo di un maggior numero di dati potrebbe, altresì, sicuramente contribuire a migliorare la qualità di prodotti e servizi non soltanto dal punto di vista tecnico, ma anche perché maggiormente personalizzati e rispondenti alle necessità dei singoli individui.
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del comportamento del debitore. Tuttavia, di recente, hanno cominciato a diffondersi i primi studi, di matrice economica, che hanno preso in considerazione soprattutto l’ambito del P2P lending71. Essi avrebbero dimostrato come questa tipologia di informazioni sia particolarmente utile ai fini della determinazione del credit score dei singoli soggetti72, oltre ad aver individuato un’effettiva correlazione tra un buon pagatore e la sua stessa disponibilità a rendere noti i propri contatti social73. 3.2. I rischi legati alle nuove metodologie di credit scoring. Come si è anticipato, tuttavia, l’utilizzo di tecnologie alternative, nell’ambito della valutazione del merito creditizio, solleva notevoli perplessità74, soprattutto da parte delle associazioni di consumatori75.
71 Ge, Feng, Gu, Borrower’s default and self-disclosure of social media information in P2P lending, in Financial Innovation, 2016, 2(30), pp. 1-6; Iyer, Khwaij, Luttmer, Shue, Screening peers softly: Inferring the quality of small borrowers, in Managment Science, 2016, 62(6), p. 1554; id., Screening in new credit market: Can individual lender infer borrowercredithworthiness in peer to peer lending, in AFA 2011, Denver Meeting paper; Lin, Prabhala, Viswanathan, Judging, Borrowers, cit., secondo cui «While the structural aspects have limited to no significance, the relational aspects are consistently signicant predictors of lending outcomes, with a striking gradation based on the verificability and visibility of a borrower’s social capital. Stronger and more verificable relational network measures are associated with a higher likelihood of a loan being funded, a lower risk of default, and lower interest rates». 72 Ge, Feng, Gu, Borrower’s default, cit., p. 6. In proposito occorre considerare che l’indagine ha preso come riferimento i dati relativi a una delle maggiori P2P lending cinesi, ove tradizionalmente sono disponibili poche informazioni circa i singoli consumatori. In tema si vedano anche lo studio di Giudici, Hadji-Misheva, Network Scoring Models for P2P Lending, London, submitted paper, richiamato da Giudici, Fintech Risk Management: A Research Challenge for Artificial Intelligence in Finance, in Frontiers in Artificial Intelligence, November, 2018, vol. 1, pp. 3 ss. In esso gli A. propongono di ricostruire un modello di valutazione che tenga in considerazione le differenze tra la natura del richiedente prestito ossia singolo consumatore o impresa medio piccola «associating each borrower with a statistical unit, at each time point many variables can be observed for that unit; in the case of SME lending, balance sheet variables; in the case of consumer credit, transaction account variables». 73 Ge, Feng, Gu, Borrower’s default and self-disclosure of social media information in P2P lending, cit., pp. 1-6. 74 In questa sede, si prescinde, invece, dal prendere in considerazioni profili più propriamente di ordine “etico” relativi all’opportunità di valutare il consumatore in vista dalla concessione di credito non più sulla base del suo merito e valore individuale, ma piuttosto su una serie di elementi quali il tipo di amicizie o la propria reputazione sociale. 75 National Consumer Law Center, Big Data, a Big Disappointment for Scoring Con-
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a) Il rischio di oscurità. In primo luogo, queste metodologie rischierebbero di rendere più opaco il processo di valutazione del merito creditizio. Esse, infatti, utilizzano migliaia di differenti informazioni che possono per giunta non avere alcun legame con la sfera finanziaria del singolo, grazie all’elaborazione di algoritmi sempre più complessi76. La decisione circa il consumatore rischia così di non essere in alcun modo collegata alla sua effettiva capacità di rimborso, quanto di essere frutto di un processo algoritmico, talora inconoscibile. Si noti che, se già in passato, il sistema tradizionale è stato accusato di oscurità, in quanto i singoli non erano perfettamente consapevoli di essere sottoposti a giudizio, ora si tratta di un’oscurità di tipo diverso e, in un certo senso, ancora più pericolosa. Un esempio di quali possano esserne le conseguenze, è costituita dall’ormai nota vicenda di Kevin Johnson, businessman afroamericano di Atlanta che, nel 2008, al ritorno dalle vacanze trovò ad attenderlo una lettera della American Express in cui lo informavano che la sua linea di credito era stata drasticamente tagliata. Alla sorpresa iniziale, si sostituì lo sconcerto quando riuscì a comprendere le ragioni che avevano spinto il gestore ad agire in tal modo, ossia il tipo di negozi in cui si era recato a fare la spesa. Secondo il gestore della carta, infatti, egli aveva fatto acquisti in esercizi che si caratterizzano per avere una clientela con un alto numero di inadempienze proprio nei confronti dell’American Express77.
sumer Creditworthiness, March 2014, consultabile sul sito www.nclc.org.; sempre negli USA, v. il già citato report Robinson + Yu, sull’uso dei Big data per la valutazione del merito creditizio dei consumatori. Anche l’EBA (nel Report on innovative uses of consumer data by financial insstitutions, del 28 June 2017, consultabile alla pagina https://eba. europa.eu/documents/10180/1720738/Report+on+Innovative+uses+of+data+2017.pdf) richiama espressamente lo scetticismo di alcune associazioni di consumatori europee con riferimento ai vantaggi che potrebbero loro derivare dall’uso dei big data vista la mancanza di riscontri obiettivi sull’effettiva portata inclusiva connessa all’aumento dei dati, soprattutto social utilizzati; in tema v. anche ESAS Final Report on the Use of Big Data, 2018, cit. 76 Sul tema Lieber, American Express Kept a (Very) Watchful Eye on Charges, in N.Y. Times, jan 30, 2009, http://www.nytimes.com/2009/01/31. 77 L’EBA richiama il pericolo che i singoli non siano sufficientemente informati, ovvero non capiscano l’uso per il quale i loro dati personali sono raccolti e poi trattati (Report sui data consumer, del 28 giugno 2017, cit.). L’offerta di servizi e prodotti eccessivamente personalizzati potrebbe indurre dubbi circa la classificazione della tipologia del servizio o del prodotto e l’eventuale tipologia di tutela offerta dalla normativa.
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L’esempio appena richiamato bene evidenzia come, nel nuovo contesto, la nostra affidabilità creditizia corra il pericolo di non essere più in alcun modo collegata a nostri comportamenti poco virtuosi, quanto semmai a variabili assolutamente non determinabili ex ante, che per giunta possono variare nel corso del tempo78. Come si è anticipato, alcuni sistemi sono già in grado di analizzare migliaia di variabili, anche con tecniche di analisi che sono state non a caso definite di “deep learning”, proprio per qualificare un’analisi di grandi quantità di dati processate attraverso modelli matematico-statistici incomprensibili per il singolo consumatore79. b) Il pericolo di errori. L’incredibile quantità di dati, coinvolti nel processo di analisi, comporta un innalzamento della probabilità di errori. Sebbene anche in questo caso manchino ancora studi sulla qualità delle informazioni che vengono processate, la dottrina americana ha già messo in luce come spesso questi sistemi possano basarsi su dati errati, contribuendo a produrre risultati scorretti e ingiustificati80. Nel caso dei dati di tipo social-soft, inoltre, vi è l’ulteriore aggravante dovuta al minor rigore con cui si formano. Si pensi all’affidabilità che possono avere i dati diffusi tramite social, non soggetti ad alcuna fase di verifica e validazione, soprattutto se confrontate con le informazioni fatte circolare nell’ambito del sistema informativo gestito dalle centrali dei rischi. In aggiunta al problema relativo alla qualità dei dati, le nuove modalità di valutazione del merito creditizio presentano l’ulteriore questione attinente alla correttezza del procedimento algoritmico81. Come ormai si è più volte ribadito, le modalità operative delle tecniche di machine learning rendono complesso verificare l’esattezza dei ri-
78 Su questo rischio si vedano, in particolare, le osservazioni di D.J. Solove, Data Mining and the Security – Liberty Debate, 75, in Univerity Chicago Law Review, 2008, p. 343 ss., secondo cui «what kind of meaningful challenge can people make if they are not told about the profile that they supposedly matched? How can we evaluate the profiling systems if we are kept in the dark? Predictive determinations about one’s future behavior are much more difficult to contest than investigative determinations about one’s past behavior. Wrongful investigative determinations can be addressed in adjudication. But wrongful predictions about whether a person might engage in terrorism at some point in the future are often not ripe for litigation and review». 79 Castelvecchi, Can we open the black box of AI, in Nature 5 ottobre 2016. 80 Citron, Technological Due Process, in 85 Wash. U.L. Review, 2008, p. 1249. 81 Per un maggior dettaglio, v. Mattassoglio, Algoritmi e regolazione, cit.
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sultati conseguiti, per giunta soggetti a rapidi mutamenti. In altre parole, un algoritmo utilizzato da un determinato intermediario in un certo momento può dare risultati corretti, ossia può essere in grado di individuare con sufficiente esattezza il livello di rischio di un consumatore, ma poco dopo può produrre risultati diversi, al mutare dei parametri di riferimento, sulla base del processo di autoapprendimento dell’algoritmo stesso. Ciò naturalmente amplifica la possibilità di errori. c) Il pericolo di discriminazione. Il problema della discriminazione, nell’ambito delle decisioni relative all’erogazione del credito, è stata una delle questioni più avvertite e indagate. Molti degli interventi normativi sul settore, del resto, si giustificano proprio in ragione dell’obiettivo di riuscire a instaurare un sistema il più possibile neutrale. Alla luce delle riflessioni fin qui poste, appare evidente come il ricorso a tecniche di profilazione avanzate possa incidere negativamente sulla posizione dei singoli82, anche se con sfumature diverse rispetto al passato. Non a caso, parte della dottrina e le associazioni dei consumatori83 hanno già evidenziato come detto uso potrebbe, prima di tutto, accentuare la tendenza a escludere dai canali del prestito soggetti che appartengono a fasce sociali più deboli o comunque a discriminarle84. Nel sistema tradizionale, la valutazione del merito creditizio è finalizzata a minimizzare il rischio di default dei debitori; la nuova tecnologia consente, invece, ai lender di individuare il contraente che possa essere maggiormente vantaggioso85 per il finanziatore, discriminando, di conseguenza, i soggetti che progressivamente si allontanano dal profilo individuato dall’algoritmo, pur partendo da input – ossia con dati iniziali – non discriminatori86. Simili metodologie rischierebbero così, secondo
82 Dive, Khedkar, An Approach for Discrimation Prevention in Data Mining. A review, in Spvryan’s International Journal of Engineering Sciences & Technology (SEST), 2014 issue 1, vol. 2, paper n. 9, p. 1. 83 Sui possibili effetti discriminatori, v. anche Federal Trade Commission, Big Data: a tool for inclusion or exclusion, FTC, January 2016, consultabile sul sito http://www. ftc.gov; nonché Barocas, Selbst, Big Data’s Disparate Impact, in California Law Review, 2016, vol. 104, pp. 671 ss. 84 Sul rischio che il sistema degeneri in trattamenti discriminatori, v. Dwork, Hardt, Pitassi et al., Fairness through awareness. In: Proceedings of the 3rd Innovations in Theoretical Computer Science Conference, 8-10 January, Cambridge, 2011, MA, pp. 214 ss. 85 Ferretti, Credit scoring, cit. 86 Barocas, Selbst, Disparate Impact, cit., p. 671.
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taluni, di sfociare in pratiche illegali di “redlining” (ossia la distinzione degli individui semplicemente tramite il loro zip code87). Le nuove tecniche, in altre parole, creano il pericolo di determinare una discriminazione di tipo non intenzionale, legata alle modalità operative dell’algoritmo stesso e indipendenti da una volontà/processo decisionale che risponda a logiche umane88. Di fronte a siffatte discriminazioni di tipo indiretto, il consumatore è privo di tutela89, posto che anche atti che sono stati elaborati nel corso del tempo proprio per garantire che il consumatore sia sottoposto a un giudizio di valutazione del merito creditizio il più possibile neutrale – quali il The Fair Credit Reporting Act e l’Equal Credit Opportunity90 – non contengono misure idonee a fronteggiarle. Sempre sotto il profilo dei rischi di discriminazione, connessi a una maggior distinzione granulare della clientela, la nuova metodologia permetterebbe ai finanziatori di differenziare il prezzo (in questo caso il tasso di interesse o comunque le condizioni di erogazione del prestito) di un determinato soggetto, pur appartenente a un medesimo target di rischio, sulla base della predisposizione individuale a pagare una cifra maggiorata, attuando una vera e propria discriminazione dei prezzi91. Infine, i dati dei singoli potrebbero essere utilizzati per individuare consumatori particolarmente vulnerabili, ossia proprio quei soggetti a rischio di sovraindebitamento92, con gravi conseguenze sia per il singolo, sia per la stabilità del sistema finanziario nel suo complesso93. d) Il pericolo di esclusione.
87 Alloway, Big Data: Credit Where credit’s due, in Financial Times, Feb. 4, 2015, http://www.ft.com/cms. 88 In tema v. Fourcade, Healy, Classification situations: Life-chances in the neoliberal era, in Accounting, Organizations and Society, 38(8), 2013, pp. 559 ss. Gli Autori affrontano i rischi e l’impatto di un sistema automatizzato di valutazione del merito creditizio sulle popolazioni meno abbienti, mettendo in luce come gli algoritmi possano acuire le differenze sociali e la distinzione tra classi, operando senza che i singoli siano in grado di comprenderne i meccanismi. 89 Dixon, Gellman, The scoring of America, cit., p. 18. 90 Gli atti appena richiamati costitiscono le disposizioni fondamentali che, negli USA, disciplinano l’attività delle Credit Reporting Agencies. Per un approfondimento, v. Mattassoglio, Innovazione tecnologica, cit. 91 Maggiolino, Big data e prezzi personalizzati, in Concorrenza e mercato, 2016, pp. 95 ss. 92 Libertini, La tutela della libertà di scelta del consumatore e i prodotti finanziari, in Mercati finanziari e protezione del consumatore, a cura di Grillo, Milano, 2010, pp. 21 ss. 93 Esas, Final Report, cit.
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Infine, un ulteriore rischio, legato alle nuove modalità di valutazione, riguarderebbe la possibile esclusione, dall’accesso al credito, di tutti quegli utenti che non presentano un profilo di rischio, che potremmo definire idoneo secondo il processo algoritmico94. Come si è anticipato, dette tecniche consentono di individuare il comportamento standard più proficuo per una determinata impresa, rispetto a una serie di altre condotte che sono invece considerate inadeguate. La maggior segmentazione granulare può così condurre alla identificazione di una serie di consumatori “indesiderabili”, esclusi da certi prodotti e/o servizi95. Allo stesso modo, la situazione di determinati debitori potrebbe causare una loro completa esclusione dall’accesso al credito96. In proposito, si pensi al grave rischio che corrono tutte quelle categorie di soggetti che non potessero o volessero utilizzare le connessioni a internet o le altre tecnologie. Nel momento in cui le imprese dovessero profilare, anche ai fini della valutazione del merito creditizio, gli utenti esclusivamente o prevalentemente sulla base dei dati social-soft prodotti on line, tali consuumatori rischierebbero di essere definitivamente esclusi da qualsiasi possibilità di ottenere un finanziamento.
4. La disciplina attualmente in vigore. Alla luce delle osservazioni che precedono, appare evidente quanto la valutazione del merito creditizio, soprattutto in vista di una sua futura e inevitabile evoluzione, necessiti di una cornice regolatoria entro cui esse ricondotta, per offrire sufficienti garanzie al consumatore. Ciò vale ancor più se si considera che questa fase, fino a oggi, non è stata oggetto di un intervento specifico da parte del regolatore, che
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National Consumer Law Center, Full Utility Credit Reporting: Risks To Low-Income Consumer, cit.; Robinson + Yu, Civil Rights, Big Data, cit.; Havard, “On the Take”: the Black Box of Credit Scoring and the Mortgage Discrimination, in The Boston University Public Interest Law Journal, Vol. 20, Spring 2011, pp. 241 ss. 95 Queste ipotesi, ad esempio, potrebbero assumere un carattere particolarmente pericoloso nell’ambito assicurativo. Ad esempio, ai clienti con immobili posti in zone pericolose potrebbe essere richiesto un premio assicurativo molto alto (si pensi a un rischio dovuto a inondazioni o altro). Naturalmente, questo profilo acquista un valore diverso a seconda che si tratti di ipotesi di assicurazioni obbligatorie ovvero facoltative. 96 FSUG, Paper on Assessment of current and future impact on Big Data on Financial Services, June, 2016.
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ha tendenzialmente preferito lasciarla all’autonomia imprenditoriale del soggetto erogante97. 4.1. Le disposizioni contenute nel Testo Unico Bancario. Il nostro ordinamento è privo di una disciplina di carattere generale sulla valutazione del merito creditizio, ma presenta esclusivamente alcune regole settoriali, contenute negli articoli del testo unico bancario sul credito ai consumatori98, che lasciano per lo più impregiudicata la discrezionalità degli intermediari in merito a quali dati utilizzare e con quali metodi processarli. L’art. 124-bis, co. 1 T.u.b. – dedicato ai crediti al consumo – si limita a stabilire che, prima della conclusione del contratto, i finanziatori abbiano l’obbligo di condurre la valutazione sulla base di informazioni «adeguate, raccolte direttamente presso il consumatore, ovvero acquisite qualora lo ritenga necessario attraverso la consultazione di una banca dati»99. Nessun cenno viene fatto alla tipologia di dati che possono essere utilizzati e, per quanto riguarda le fonti, il consumatore viene posto sullo stesso piano della consultazione di una banca dati. In altre parole, spetta
97 In questa sede non verranno presi invece in considerazione gli interventi normativi che hanno riguardato più propriamente il piano della vigilanza prudenziale, tramite l’introduzione di una serie di obblighi di “credit risk assessment”, finalizzati ad aumentare la stabilità del sistema bancario, grazie a un innalzamento dei requisiti di capitale. Un’ottica quindi prettamente pubblicistica di tutela del mercato. In particolare, in Europa ciò è avvenuto con le direttive 2006/48 e Del Parlamento e del Consiglio del 14 giugno 2006, relating to the Taking Up and Pursuit of the Business of Credit Institution, OJEC 2006, L 177/1 e la direttiva 2006/49/EC del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006, on the Capital Adequacy of Investment Firms and Credit Institutions, OJEC 2006, L 177/201. In questo contesto, è stato così imposto ai finanziatori di valutare la creditworthiness del richiedente in vista del mantenimento della loro integrità finanziaria e, perciò, detto vaglio è stato limitato ai soli casi di «credits where excessive concentration of exposures to a single client or group of connected clients may result in an unacceptable risk of loss» (Cfr. Atamer, Duty of Responsible Lending, cit., 200), ossia quando la richiesta di prestito sia di ammontare particolarmente elevato, in ragione della necessità di proteggere la banca, i suoi investitori e il pubblico interesse, verificando il rispetto dei vincoli di adeguatezza patrimoniale. 98 Introdotti con il d.lgs. 13 agosto 2010 n. 141. In base al disposto dell’art. 121, c. 1, lett. c), del T.u.b. per contratto di credito al consumo, si intende «il contratto con cui il finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria». 99 Il testo riprende pressoché letteralmente l’art. 8 della dir. 2008/48.
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al singolo prestatore scegliere discrezionalmente quali informazioni utilizzare e come processarle100. Anche le disposizioni attuative non hanno contribuito a ridurre la discrezionalità in capo all’intermediario circa le modalità con cui condurre la valutazione del merito creditizio, alimentando talora ulteriori dubbi circa l’utilità pratica della norma in commento101. L’art. 6 del d.m. n. 117, del 03.02.2011, infatti, si limita a sancire che «Al fine di evitare comportamenti non prudenti e assicurare pratiche responsabili nella concessione del credito, i finanziatori assolvono all’obbligo di verificare il merito creditizio del consumatore, previsto dall’art. 124 bis t.u.b., applicando le procedure, le metodologie e le tecniche relative alla valutazione e al monitoraggio del merito creditizio dei clienti previste ai fini della sana e prudente gestione dei soggetti vigilati dagli artt. 53, 67, 108, 199 e 114 quaterdecies del t.u.b. e dalle relative disposizioni di attuazione». Solo di recente, una più dettagliata disciplina è stata introdotta nell’ambito dei contratti di credito ai consumatori relativi ai beni immobili residenziali102, grazie alla direttiva 2014/17/UE103, recepita in Italia con il d.lgs. 21 aprile 2016, n. 72. Queste disposizioni, oltre a imporre ai finanziatori e agli intermediari del credito di comportarsi secondo le consuete regole di diligenza, correttezza e trasparenza, richiedono l’acquisizione di informazioni sul consumatore che consentano di addivenire a una conoscenza approfondita
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La direttiva si limita a lasciare liberi i singoli Paesi membri, di mantenere l’obbligo di consultazione di una banca dati, qualora già l’avessero (art. 8, par. 1, ultima parte), impedendo però a contrario la possibilità di introdurre un obbligo ex novo, così Modica, Concessione “abusiva” di credito ai consumatori, in Contratto e impr., 2012, 2, 493. 101 Sul tema v. Gorgoni, Contratto di credito con i consumatori, in Dig. disc. priv. sez. comm., Torino, 2013, p. 244; id., Spigolature su luci (poche) e ombre (molte) della nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori, in Responsabilità civile e previdenza, 2011, 4, p. 761. 102 Per contratto di credito immobiliare ai consumatori, si intende quel «contratto di credito con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria, quando il credito è garantito da un’ipoteca sul diritto di proprietà o su altro diritto reale avente a oggetto beni immobili residenziali o è finalizzato all’acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato», così art. 120-quinquies, co. 1, lett. c, t.u.b. 103 Del Parlamento e del Consiglio Europeo, del 4 febbraio 2014, recante modifica delle direttive 2008/48 e 2013/36/UE e del regolamento (UE), n. 1093/2010 (GU L 60 del 28.2.2014).
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della controparte che tenga conto anche dei suoi bisogni (art. 120-septies), oltre che delle sue prospettive di adempimento «sulla base delle informazioni sulla situazione economica e finanziaria del consumatore necessarie, sufficienti e proporzionate e opportunamente verificate» (art. 120-undecies)104. Tuttavia, anche in questo caso, il legislatore non introduce particolari vincoli circa la tipologia dei dati e le modalità di analisi, soprattutto qualora vengano utilizzate tecniche particolarmente innovative105, lasciando pertanto invariata la discrezionalità in capo ai singoli operatori. 4.2. Il regolamento sulla tutela dei dati personali. Visto il tenore delle disposizioni appena richiamate, al momento, le indicazioni più efficaci per fungere da vincolo ai finanziatori, in ordine sia ai dati utilizzabili sia alle modalità con cui processarli, sono contentenute nel regolamento sulla tutela dei dati personali, n. 2016/679 del 27 aprile 2016106. Esso, infatti, contiene una serie di prescrizioni che sono finalizzate a garantire maggiore tutela nel trattamento dei dati personali dei singoli che incidono anche sulle modalità in cui deve essere condotta l’attività di valutazione del merito creditizio. In primo luogo, il regolamento impone che i dati personali debbano sempre essere trattati in modo «lecito, corretto e trasparente nei confronti dell’interessato», richiedendo il consenso espresso del titolare al loro utilizzo, previa indicazione delle specifiche finalità per cui saranno utilizzati107. Ciò implica, di conseguenza, che l’intermediario debba avvisare il
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Per un commento più puntuale si rinvia a Falcone, “Prestito responsabile” e valutazione del merito creditizio, in Giur. comm., fasc. 1, 2017, pp. 147 ss. 105 Data la vaghezza della normativa primaria, per meglio chiarire quale tipologia di informazioni debbano essere prese in considerazione dai finanziatori ai fini della valutazione del merito creditizio, occorre fare riferimento alle disposizioni di attuazione che sono state adottate dalla Banca d’Italia e soprattutto alle regole stabilite negli orientamenti espressi dall’EBA, cui la stessa autorità italiana rinvia (Guidelines on creditworthiness assessment, del 1 giugno 2015, relativo alla specificazione degli obblighi contenuti nell’art. 18 della citata direttiva). 106 Regolamento del Parlamento e del Consiglio, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE. 107 Parere del Garante Europeo della protezione dei dati sui sistemi di gestione delle informazioni personali, del 13 dicembre 2016 (2016/C 463/10), in www.edps.europa.eu.
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consumatore del fatto che ogni informazione da lui fornita potrà essere utilizzata ai fini del giudizio sul suo rating. Il finanziatore, una volta ottenuto il consenso, deve raccogliere soltanto i dati considerati «adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati» (art. 5, reg. c. 1, lett. c), oltre a dover essere “esatti”; inoltre, dette informazioni devono essere conservate «in una forma che consenta l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità» (art. 5, reg., c. 1, lett. e.)108. Proprio con riferimento alle procedure di trattamento dei dati unicamente automatizzate109, l’art. 22 introduce ulteriori garanzie. La norma sancisce, prima di tutto, un tendenziale diritto dell’interessato a non essere sottoposto a processi che non vedano coinvolta una persona fisica, soprattutto se da essi possano derivare effetti giuridici rilevanti. Fanno eccezione però a tale divieto, le ipotesi in cui detto trattamento sia comunque necessario per la conclusione o per l’esecuzione del contratto (come può ritenersi il caso del credit scoring nell’ambito di una procedura di concessione di credito) ovvero, qualora si sia avuto il consenso espresso dall’interessato110. Nel caso in cui venga adottata questa procedura, il responsabile del trattamento deve introdurre misure appropriate per tutelare i diritti, le libertà e i legittimi interessi dell’interessato. In particolare, la norma richiede che al singolo sia sempre garantito il diritto di ottenere l’intervento umano, di esprimere la propria opinione e, naturalmente, di poter contestare una eventuale decisione sfavorevole (art. 22, c. 3). Il cons. 71 del regolamento richiede, altresì, alle imprese, in applicazione dei principi di buona fede e trasparenza, di utilizzare procedure matematiche e statistiche appropriate, così come misure tecniche e organizzative al fine di consentire l’eventuale correzione dei
108 Le disposizioni sulla tutela dei dati personali non si applicano nel caso in cui le informazioni «che si riferiscono a una persona fisica identificata o identificabile o a dati personali [siano] resi sufficientemente anonimi da impedire o non consentire più l’identificazione» (Cons. 26 del reg. 2016.). Per un commento circa i limiti di dottrina v. Pizzetti, Il “posto” di questo volume tra Big Data e diritto europeo alla protezione dei dati personali, Prefazione al volume di D’Acquisto, Naldi, Big Data e privacy by design, Torino, 2017, I. 109 Spina, Alla ricerca di un modello di regolazione per l’economia dei dati. Commento al Regolamento (UE) 2016/679, in Rivista della regolazione dei mercati, 2016, fasc. 1, pp. 143 ss. 110 Un’ulteriore eccezione è prevista nei casi in cui il diritto dell’Unione o dello stato membro abbia provveduto a disciplinare la procedura e le idonee garanzie per la tutela dei terzi.
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dati erronei, ovvero di prevenire condotte discriminatorie, perpetrate attraverso l’utilizzo di dati sensibili, quali quelli sanitari. Il regolamento, in linea con il proposito di evitare che questi trattamenti siano causa di possibile discriminazione, stabilisce che l’utilizzo dei dati sensibili non siano utilizzabili, salvo che non vi sia stata l’espressa autorizzazione dell’interessato111. Il contenuto dell’art. 22 deve poi essere letto in combinato disposto con il precedente art. 13 che impone, proprio nei casi di procedimenti automatizzati, che se ne debba dare specifica notizia all’interessato, fornendo altresì informazioni significative sulla logica utilizzata dall’algoritmo di calcolo, nonché sull’importanza e sulle conseguenze che possono derivare da un simile trattamento (2° co., lett. f), utilizzando un linguaggio semplice capace di garantire una sufficiente comprensione da parte del singolo, anche tramite l’offerta di simulazioni112. Tali disposizioni, pertanto, a differenza di quelle contenute nel Tub, testimoniano una maggiore sensibilità nei confronti del tema e, soprattutto, introducono alcuni limiti e vincoli per i finanziatori circa le modalità con cui condurre la valutazione del merito creditizio113. Tuttavia, simili previsioni, soprattutto alla luce delle osservazioni che sono state fin qui poste circa le caratteristiche e le problemati dei sistemi innovativi, non paiono sufficienti a garantire idonea protezione al consumatore
111 Nel perseguimento degli obiettivi che si sono qui illustrati, un ruolo fondamentale dovrà essere svolto sicuramente dai nuovi principi relativi alla privacy by design e by default (art. 25 del reg.). Detta disposizione impone al titolare del trattamento di mettere in atto tutte le misure tecniche o organizzative necessarie per proteggere il diritto e la libertà delle persone fisiche sia nella fase in cui vengono scelti i mezzi per operare il trattamento sia in seguito. In particolare, la profilazione finalizzata alla valutazione del merito creditizio, condotta tramite tecniche di big data analytic, dovrebbe prevedere, quanto meno, la pseudoanonimizzazione dei dati, ossia la sottoposizione a un trattamento che li renda attribuibili a una determinata persona fisica solo mediante l’utilizzo di ulteriori informazioni (cons. 26); sul tema v. D’Acquisto, Di Nardo, Big data e privacy by design, cit.; Cavoukian, Privacy by design: Leadership, Methods and Resultes, in European Data Protection: Coming of Age, a cura di Gutwirth, Leenes, De Hert e Poullet Dordrechet, 2013, p. 175 ss; Rubenstein, Regulating Privacy by Design, in Berkeley Tech. L. J., 2011, 26, p. 1409; Schaar, Privacy by Design, in Identity in the information Society, 2010, 3(2), p. 267. 112 Come suggerisce il Parlamento europeo, nel documento del 2017 già citato. 113 Una disciplina ancora più incisiva si rinviene nel codice che regola l’attività delle Società di informazioni creditizia, contenuta nel provvedimento n. 8 del 16 novembre 2004, predisposto dalle associazioni di categoria e approvato dal Garante della privacy, il 16 novembre 2004, ex artt. 12 e 117 del d.lgs. n. 196/2003).
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richiedente credito, posto che secondo opinione condivisa114 esse non sarebbero in grado di affrontare in modo adeguato i rischi posti dai trattamenti che si basano sui big data e sui c.d. dati inferiti115.
5. Il cambio di passo delle autorità europee. Se fino al recente passato, le disposizioni appena richiamate erano le sole capaci di incidere, in modo più o meno diretto, sulla valutazione del merito creditizio, la recente attenzione ad essa dedicata dalle autorità di vigilanza europee, lascia sperare in future e maggiori garanzie per i consumatori. 5.1. Le linee guida della BCE sulle Fintech Banks. Nel marzo 2018, infatti, la BCE ha adottato nuove Linee Guida che, sebbene in un’ottica prettamente prudenziale, introducono una specifica fase di assessment per la valutazione del merito creditizio delle c.d. Fintech Banks, ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività116. Secondo l’esperienza maturata dalla BCE, soprattutto all’inizio della loro attività, le nuove entità possono avere grandi difficoltà ad avere accesso ai dati hard tradizionali e, per questo, tendono a esternalizzare verso terzi il compito di svolgere la valutazione, ovvero utilizzano “alter-
114 Per un commento circa i limiti della disciplina sulla tutela dei dati personali rispetto alla tecnologia dei big data, v. ex multis in dottrina, Pizzetti, Il “posto” di questo volume tra Big Data e diritto europeo alla protezione dei dati personali, Prefazione al volume di D’Acquisto, Naldi, Big Data e privacy by design, Torino, 2017, I; Mantelero, The future of consumer data protection in the E.U. Rethinking the “notice and consent” paradigm in the new era of predictive analytics, in Computer Law and Security Review, 2014, 30 (6), pp. 643 ss.; Wachter, Mittelstadt, Floridi, Why a right to explanation of automated decision-making does not exist in the General Data Protection Regulation, in International Data Privacy Law, 2017, consultabile alla pagina https://papers.ssrn.com/ sol3/papers.cfm?abstract_id=2903469; Goodman, Flaxman, EU Regulations on Algorithmic Decision-Making and a “Right to Explanation”, consultabile alla pagina https://arxiv.org/ abs/1606.08813. 115 Wachte, Mittelstand, A right to reasonable inferences, cit. 116 In dottrina, sul punto, v. Brozzetti, La nuova tipologia di banca Fintech nelle “guide” della Bce in tema di rilascio dell’autorizzazione, in Fintech. Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, a cura di Paracampo, Vol 2, Torino, 2019, pp. 71 ss.
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native sources of data” (dati soft) e “alternative credit-scoring methodologies” (es. Big Data). Queste soluzioni possono però comportare rischi particolarmente insidiosi in un’ottica prudenziale, che giustificano l’introduzione di una nuova fase di additional assessment relativa alla governance e alla struttura del processo decisionale creditizio117. Per la prima volta, pertanto, la BCE interviene in quest’ambito riservato alla discrezionalità delle banche prevedendo una serie di adempimenti che il finanziatore deve seguire per provare la correttezza e resilienza del proprio procedimento di concessione prestiti, nonché la possibilità di correggere e aggiornare i dati anche in caso di rinegoziazione dei contratti. Agli intermediari, inoltre, vene richiesto di rendere noti la tipologia di dati utilizzati e le modalità a garanzia della qualità delle informazioni118. Le autorità di vigilanza, in sede di controllo, sono così incaricate di verificare le modalità concrete di valutazione della capacità finanziaria del richiedente: l’eventuale consultazione di una banca dati, la tipologia delle informazioni per il credit score (quali storia creditizia del singolo, livello di indebitamento, etc.) e la fattibilità (feasibility) del modello di credit scoring adottato dal richiedente. Qualora, invece, l’attività di valutazione sia esternalizzata, alla banca è richiesto solo di verificare alcuni elementi al fine di controllare la correttezza del punteggio attribuito al singolo. Le linee guida, inoltre, insistono sulla necessità che tutti i soggetti coinvolti (dirigenti e dipendenti) nel processo di valutazione siano consapevoli delle modalità di funzionamento del modello impiegato119. Qualora, poi, le Fintech banks presentino una spiccata tendenza all’innovazione tecnologica proprio nell’ambito specifico della valuta-
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Le linee guida introducono, altresì, distinzioni ripetto alle licenze per gli operatori tradizionali, anche con riferimento alle competenze tecniche che devono avere sia i membri del board, sia gli azionisti di maggioranza; al sistema di gestione dei rischi IT; all’obbligo di predisporre un programma delle operazioni; nonché disposizioni particolari per il capitale, la liquidità e l’insolvenza. 118 Bce, Guide, cit., p. 9. 119 Qualora, poi, l’ente intenda operare in diversi Paesi – prassi comune per questo tipo di soggetti – è necessario adottare uno specifico modello di credit scoring che tenga conto delle differenze nazionali (relative all’accessibilità dei dati, alla tassazione, etc.). Infine, nella fase di assessment, devono essere considerati il numero di persone e le risorse coinvolte nello sviluppo e nel mantenimento del sistema di scoring.
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zione del merito creditizio, ossia utilizzino “alternative credit-scoring methods and data”, la guida impone adempimenti ulteriori, che si aggiungono a quelli appena richiamati120. In primo luogo, la BCE e le autorità di vigilanza nazionali devono verificare che l’utilizzo di siffatti sistemi sia supportato da un appropriato risk management oltre che da sufficienti garanzie di capitale. Allorché, poi, detti sistemi alternativi siano utilizzati da un terzo provider esterno, occorre verificare che il rischio di outsourcing sia adeguatamente controllato e se il processo di credit scoring e le fonti dei dati siano accuratamente documentate e comprese dalla banca. Le linee guida, pertanto, secondo un risk based approach, introducono nuovi vincoli procedurali per i finanziatori e attribuiscono poteri di monitoraggio e controllo alle autorità di vigilanza. Tuttavia, esse non si spingono fino a fornire indicazioni su quali tipologie di dati e modelli di valutazione dovrebbero essere preferibilmente utilizzati. 5.2. Le linee guida dell’ABE. Un passo ulteriore è, in questo senso, stato fatto dall’ABE con il Consultation Paper sulle Draft Guidelines on loan origination ad monitoring, del giugno 2019121, che risponde alla richiesta dell’European Council Action Plan di introdurre procedure atte a combattere il fenomeno dei non performing loans. Fin dal 2017, infatti, il Consiglio aveva richiesto di fissare linee guida che fossero finalizzate a monitorare il processo di creazione e governance dei prestiti, aumentando la trasparenza e la verifica circa l’affordability del richiedente. Al di là di tali profili, il documento è di grande interesse poiché, per la prima volta, l’autorità affronta la valutazione del merito creditizio nella sua duplice natura di istituto fondamentale in ottica prudenziale, per la stabilità dell’intermediario, ma anche per la tutela del consumatore richiedente, nel rispetto del principio di proporzionalità122.
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Bce, Guide to assessment, cit., p. 10 EBA/CP/2019/04 del 19 giugno 2019. 122 Il frutto di questa visione condivisa si traduce nella fissazione di una serie di: 1. regole di governance interna e di controllo per la concessione e il procedimento di rilascio dei prestiti; 2. requisiti relativi alle tipologie di informazioni e dati che devono essere raccolti e utilizzati ai fini della valutazione; 3. aspettative/risultati di supervisione per il processo di risk-based pricing dei prestiti; 4. linee sulla valutazione di eventuali collaterali; 5. linee sul monitoraggio continuo del rischio di credito, etc. 121
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Queste esigenze spingono a individuare una serie di adempimenti di carattere minimale che i finanziatori devono rispettare sia con riferimento alla tipologia di dati da utilizzare, sia delle accortezze da adottare per i processi di analisi (5.1.). Agli erogatori di credito viene richiesto di raccogliere un livello sufficiente di informazioni e di dati che siano atti a provare l’affidabilità creditizia del richiedente, fino a ottenere una visione sufficientemente esaustiva della sua posizione finanziaria («including an accurate ad upto-date comprehensive view of all the borrower’s credit commitments»). I dati, oltre a essere accurati, aggiornati e rilevanti rispetto alla tipologia di prestito richiesto (per rischio, complessità, dimensione, etc.), devono essere plausibili e veritieri: un risultato che può essere raggiunto non solo interrogando il richiedente, ma anche terze parti (quali datore di lavoro, autorità pubbliche, centrali dei rischi, etc.). Di interesse, poi, è senz’altro il fatto che il documento si spinga fino a richiamare un’elencazione di specifiche tipologie di informazioni che devono essere per lo meno (at least) raccolte sul consumatore persona fisica e su quella giuridica. Per il consumatore, ad esempio, vengono richieste informazioni sulla finalità del prestito; sull’impiego; sulle entrate; sull’impegno finanziario; su eventuali collaterali; nonché su altri fattori di mitigazione del rischio qualora disponibili. Per adempiere a quest’obbligo, i creditori dovrebbero impiegare, sempre per lo meno, i documenti e le informazioni richiamate nell’allegato 2123. Con riferimento, invece, agli adempimenti che dovrebbero essere garantiti, “inter alia”, quando il soggetto ricorre a tecnologie innovative, si possono ricordare l’obbligo di: a) considerare adeguatamente il risk management e il sistema di controllo dei rischi connessi; b) gestire i potenziali bias che possono derivare dall’utilizzo di siffatti modelli, ponendo in essere le opportune garanzie per i dati e il sistema; c) essere in grado di comprendere e spiegare i modelli utilizzati, garantendone la tracciabilità, l’auditability, la robustezza e la resilienza; d) verificare e monitorare regolarmente gli out-put prodotti, comparando le perfoman-
123 Dati identificativi, residenza, finalità del prestito, prove sull’impiego (part-time, full time, contractor, etc.), entrate (ivi inclusi, bonus annuali, commissioni, etc.) per un periodo di tempo ragionevole, situazione dei conti correnti; asset finanziari e responsabilità; mantenimento di figli, education fee e alimenti; situazione pagamento tasse; assicurazioni sulla vita; dati derivanti dalle centrali dei rischi; informazioni sui collaterali; informazioni sul possesso di collaterali, loro valore e assicurazioni; garanzie, fattori di mitigazione del rischio; contratti di affitto, etc.
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ce con quelle dei sistemi tradizionali; e) documentare accuratamente e periodicamente rivedere il processo e i modelli innovativi, etc. (punto 4.3.3.). Queste disposizioni, pertanto, che sono destinate a sostituire le linee guida dell’ABE del 2015, cominciano a fornire alcune indicazioni, seppur di carattere minimale, circa i dati che debbono essere utilizzati per la valutazione del merito creditizio e accortezze circa l’utilizzo di modelli algoritmici. Esse, tuttavia, non costituiscono ancora un valido rimedio alle problematiche di cui abbiamo fin qui discusso, poiché paiono più che altro spingere verso un’ampia raccolta di informazioni sul singolo cliente, da parte del finanziatore, senza interrogarsi in alcun modo sulle categorie di dati che, invece, non dovrebbero essere incluse nel giudizio. Apprezzabile è, invece, il tentativo di sottoporre a maggior controllo la fase relativa alle procedure di elaborazione dei dati, soprattutto se caratterizzate da sistemi particolarmente innovativi, sebbene, dal punto di visto concreto, quest’attività presenti molteplici complessità dovute all’essenza di per se stessa oscura del procedimento algoritmico124.
6. Conclusioni. Nel corso di questo lavoro, si è cercato di evidenziare quanto le potenzialità dei modelli “innovativi” di valutazione del merito creditizio richiedano una profonda e attenta riflessione da parte del regolatore e delle autorità di vigilanza, in vista di una maggior tutela per il consumatore. Sebbene, infatti, l’evoluzione dei sistemi italiani ed europei sembri ancora in fase embrionale e le imprese paiano, tuttora, restie ad avvalersi pienamente delle nuove metodologie – anche per rischi di tipo reputazionale –, l’innovazione tecnologica sembra destinata a divenire l’elemento cardine della futura valutazione del merito creditizio. È assai probabile, che già a partire dai prossimi anni, essa si diffonda in modo capillare tra tutti gli operatori di settore, consentendo di raccogliere un numero potenzialmente illimitato di dati circa le abitudini e la vita privata dei singoli.
124 Più approfondimente, v. Paracampo, Fintech tra algoritmi, trasparenza e algo-governance, in Dir. banc., 2019, I, p. 213 ss.; Mattassoglio, Algoritmi e regolazione, cit.
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Ciò apre, indubbiamente, nuove prospettive e opportunità per tutti i soggetti coinvolti, ma, nello stesso tempo, rischia di esporre gli individui a nuovi pericoli di discriminazione, esclusione e invasione della privacy, derivanti da un processo decisionale che potrebbe divenire inferenziale e inconoscibile. Come si è avuto modo di sottolineare, siffatti sistemi, se non adeguatamente controllati, rischiano di ripresentare, acuite, molte delle problematiche che già avevano caratterizzato i sistemi di valutazione tradizionale e proprio per questo motivo, si ritiene indispensabile che l’ordinamento si accosti criticamente al fenomeno, cominciando a riflettere anche sulla tipologia dei dati che si ritiene legittimo utilizzare ai fini della determinazione dell’affidabilità creditizia del debitore (quali, in primis, quelli che abbiamo definito come social-soft e inferiti). Nessun intervento sul settore potrà poi prescindere dalla questione relativa alla possibilità di controllare e monitorare il funzionamento dei nuovi processi algoritmici, tematica di carattere trasversale su cui non è certo possibile indulgere oltre in questa sede125. Qui preme soltanto sottolineare come proprio la valutazione del merito creditizio costituisca un esempio concreto e particolarmente sensibile – per il suo immediato impatto sul consumatore – delle potenzialità e dei rischi della recente innovazione tecnologica applicata alla finanza126. Detto intervento normativo diviene, pertanto, a parere di chi scrive, ancora più urgente se consideriamo che, per ammissione della stessa
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Da ultimo sul tema, si veda il documento pubblicato da AGCOM, AGCM e Garante della Privacy, Big Data. Indagine conoscitiva congiunta. Linee guida e raccomandazioni di policy, luglio 2019, consultabili sul sito http://www.dirittobancario.it/sites/default/files/ allegati/big_data_linee_guida_e_raccomandazioni_di_policy.pdf. 126 Le nuove metodologie di cui qui si è discusso non si limitano al solo ambito del credit scoring ma rappresentano uno dei molti volti di un processo, di carattere più generale (e pericoloso), che tende sempre più ad attribuire, a ciascuno di noi, un punteggio per ciascun aspetto della nostra vita, sulla base di algoritmi incomprensibili secondo la logica umana. Un rischio che, del resto, il governo cinese sta già trasformando in realtà con il documento dal titolo Planning Outline for the Construction of a Social Credit System (SCS) con cui intende instaurare un clima di fiducia basato sulla sincerità attraverso un monitoraggio completo della vita e delle attività dei singoli e che vorrebbe, entro il 2020, attribuire a tutti i soggetti giuridici (oltre 1,3 miliardi di persone fisiche a cui si aggiungono le società) un punteggio dal quale dipenderà non solo la possibilità di ottenere un mutuo, il permesso per volare, il rallentamento della connessione a internet, la scuola in cui iscrivere i propri figli, ... (Atto pubblicato dal Consiglio di Stato cinese il 14 giugno 2014, per un approfondimento v. Botman, Big data meets Big Brother as China moves to rate its citizens, del 27 ottobre 2017, consultabile alla pagina www.wired.co.uk.).
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giurisprudenza europea, le norme contenute nel regolamento per la tutela dei dati personali – ossia le uniche al momento in grado di porre un qualche limite agli operatori circa l’attività di credit scoring – non mirano tanto a garantire l’esattezza del procedimento automatizzato o la sua effettiva trasparenza, quanto esclusivamente la correttezza dei dati utilizzati come input. Ciò significa che una eventuale contestazione, circa le modalità con cui la valutazione viene condotta, deve essere effettuata tramite l’applicazione di specifiche regole settoriali127; regole settoriali che al momento non esistono. Nell’attuale scenario, le linee guida della BCE e soprattutto dell’ABE costituiscono senz’altro un primo importante segnale, ma non sono certo sufficienti a garantire ai consumatori il diritto a un giudizio di affidabilità creditizia che sia trasparente, corretto, oggettivo e, soprattutto, contestabile. Nell’attesa che il regolatore riesca a decifrare il fenomeno, l’unica effettiva protezione del singolo sembra dunque essere costituita dalla conoscenza circa le potenzialità di questa tecnologia e delle sue conseguenze; conoscenza che poggia sulla consapevolezza che qualsiasi informazione possa essere prodotta e condivisa nel word wild web potrà essere in futuro utilizzata (anche contro di noi), per determinare il nostro livello di affidabilità creditizia.
Francesca Mattassoglio Abstract La valutazione del merito creditizio del consumatore viene sempre più spesso condotta, dagli operatori finanziari, avvalendosi di dati e modalità di analisi c.d. “alternativi”, che sfruttano strumenti quali Big Data, algoritmi e predictive modelling, per analizzare un numero potenzialmente illimitato di dati su ciascun singolo richiedente, ivi inclusi quelli appartenenti all’attività online e alla sfera social. Una simile situazione rischia, secondo taluni, di sfociare ad-
127 YS. M and S v Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel – Joinned Cases C-141/12 and C-372/12 – Opinion of Advocate General sharpston /Advocate General Sharpston), par. 32-60, per un dettagliato commento v. Watcher, Mittelstadt, A right to reasonable inferences, cit., 19 ss. Gli A., in particolare, sottolineano come, anche nell’ambito dell’art. 22 del regolamento, di cui si è dato conto in precedenza, «the right to contest thus appears to be a mere procedural right to reserve decisions or impactful profiling made using inaccurate or incomplete input data. It is unlikely to compel data controllers to revise automated decisions based on inferences unless sector-specific decision-making standards or other provisions in data protection law have been infringed», p. 52.
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dirittura in pratiche discriminatorie e illegali note come “redlining”, ossia una distinzione degli individui semplicemente tramite il loro zip code. In questo contesto, è indispensabile che l’ordinamento introduca maggiori garanzie a tutela dei consumatori e, nello stesso tempo, limiti per i finanziatori circa la tipologia di dati e le modalità di analisi impiegabili in un ambito così delicato. *** The creditworthiness assessment of consumers has increasingly been conducted, by financial institutions, thanks to innovative tools such as Big Data, machine learning and predictive models, which facilitate the analysis of a potentially unlimited amount of data on each applicant, therein including those originating from online activity and social media. Such situation, for certain scholars, risks leading to discriminatory and illegal practices, known as “redlining”, in other words a distinction between individuals through their zip code. In this context, it is essential that the legal system would introduce major consumers guarantees and, at the same time, restrictions for operators regarding data and analysis methodologies in this crucial area.
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Finanziamenti con piano d’ammortamento: vizi palesi e vizi occulti Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il TAN e la misura del prezzo espresso dal tasso ex art 1284 c.c.: coincidenze e divergenze. – 3. L’ammortamento alla francese e all’italiana: i distinti risvolti giuridici in tema di anatocismo. – 4. L’ammortamento a rata costante (alla francese): trasparenza. – 5. Conclusioni.
1. Introduzione. L’ordinamento pone un limite alla remunerazione del capitale (art. 644 c.p.), regola la modalità di rappresentazione del prezzo espresso dal tasso di interesse (in particolare: artt. 821 e 1284 c.c.) e circoscrive a casi specifici l’impiego dell’anatocismo (art. 1283 c.c.). Gli articoli richiamati, integrati dai presidi di trasparenza disposti dal Titolo VI del t.u.b., in una coordinata sinergia, compongono il quadro giuridico in cui si iscrive, nell’ambito dei rapporti creditizi, la pattuizione dell’obbligazione accessoria avente ad oggetto gli interessi, quale compenso per l’uso del capitale. Entro questo quadro normativo, i termini e i tempi di remunerazione del credito sono rimessi alle parti; nei contratti di adesione predisposti in serie, quali tipicamente sono i contratti bancari di finanziamento, essi sono rimessi alla discrezionalità dell’intermediario. Nell’espressione delle parti, il pagamento degli interessi maturati può intervenire congiuntamente alla scadenza e quindi al pagamento del capitale o anticipatamente rispetto a detta scadenza, al termine dei sottoperiodi di maturazione degli stessi, di ampiezza generalmente costante1
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Nei finanziamenti a rimborso graduale, non è affatto scontato che ad ogni scadenza debbano essere corrisposti gli interessi maturati sull’intero debito residuo, scaduto e da scadere. Nel rispetto del principio che «il pagamento fatto in conto capitale e conto interessi deve essere imputato prima agli interessi» (art. 1194, co. 2 c.c.) possono darsi modalità diverse, tutte consentite e finanziariamente corrette, di comporre la rata in
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Più precisamente, il pagamento degli interessi maturati può essere pattiziamente previsto alla scadenza, unitamente al pagamento del capitale, secondo un algoritmo di calcolo informato alla proporzionalità degli interessi al capitale e al tempo di utilizzo: si parla, in questo caso, di regime semplice. Il pagamento degli interessi può anche essere pattiziamente anticipato, rispetto alla scadenza del capitale, con l’importo determinato in termini proporzionali al capitale in essere: più esattamente, può essere previsto in ogni momento compreso nel periodo di finanziamento, ragguagliando il valore degli stessi al tempo e al capitale ancora in essere, su un piano di equivalenza informato alla legge di scindibilità; (nota 2) in generale, sul piano matematico-finanziario si parla di regime composto quando gli interessi sono calcolati sul montante ad ogni scadenza, ricomprendendo sia l’eventualità del pagamento degli interessi semplici ad ogni scadenza intermedia, sia l’eventualità del pagamento degli interessi composti alla scadenza ultima del capitale. Le due alternative del regime composto, ancorché equivalenti sul piano finanziario, sul piano giuridico sono trattate diversamente: l’ordinamento, mentre consente il pagamento anticipato degli interessi dove, in rapporto al capitale e al tempo, rimane inalterato il montante e con esso il monte interessi del regime semplice, nel rispetto del principio di proporzionalità dell’art. 1284 c.c., oltre che dell’art. 821 c.c., per contro preclude la spirale ascendente degli interessi, che si realizza nella produzione di interessi su interessi (capitalizzazione degli interessi), corrispondente ad una proiezione esponenziale, espressa dalla formula M = C x (1 + i)k, dove appunto il tempo (k), riportato all’esponente, determina un’accelerazione con un divario crescente con il tempo rispetto alla proporzionalità lineare, espressa dalla formula semplice M = C x (1 + k x i)2. Si rileva, peraltro che, da un lato l’art. 1284 c.c., richiamato altresì dall’art. 821 c.c., nel regolare il saggio d’interesse quale misura del prezzo del finanziamento, stabilisce il principio di proporzionalità al tempo, oltre che al capitale, dall’altro l’art. 1283 c.c., congiuntamente al nuovo art. 120 t.u.b., salvo deroghe specifiche (finanziamenti in c/c), vieta la
quota capitale e quota interessi, evitando che il pagamento del capitale preceda il pagamento degli interessi. 2 Cfr. Marcelli, Pastore, Valente, Ammortamento alla francese. Il regime composto e l’anatocismo: il genus finanziario e la species giuridica, in I contratti, n. 6/2019.
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produzione di interessi su interessi3 Dal coordinamento delle menzionate disposizioni emerge chiaramente che qualunque divergenza da una progressione degli interessi proporzionale al tempo contravviene alla norma. Considerate le finalità perseguite dal presidio disposto dall’art. 1283 c.c. e la natura imperativa della norma, se l’anatocismo si qualifica matematicamente con la lievitazione esponenziale degli interessi, si può ragionevolmente presumere che qualunque algoritmo tecnico il quale realizzi la lievitazione esponenziale degli interessi configuri l’anatocismo o almeno un negozio in frode alla legge ex art. 1344 c.c. e comunque la violazione dell’art. 1284 c.c. 4
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Si viene pertanto a creare una discrepanza con la matematica finanziaria che non opera alcuna distinzione, fra capitale ed interessi, considerati entrambi produttivi senza condizionamento alcuno. La norma, invece, distingue i due concetti richiamando il principio di proporzionalità che in matematica viene espresso dalla relazione lineare, rappresentata da una retta passante per il centro, dove il rapporto fra le due variabili, interessi e capitale, è pari ad una costante, corrispondente alla relazione: I = C x t x i, dove ‘i’ è la costante di proporzionalità, al capitale e al tempo. 4 Occorre evitare commistioni fra i termini di pagamento e l’ammontare del prezzo. Quest’ultimo, nella misura espressa dall’art. 1284 c.c., come per ogni altro prodotto o servizio, corrisponde all’ammontare da pagare, mentre i tempi di pagamento attengono ad aspetti distinti e separati dal prezzo: configurano impegni da onorare che riflettono per il mutuatario costi ‘figurativi’, non rientranti nel concetto di prezzo, rigorosamente aderente all’effettivo importo degli interessi corrisposti. «Il saggio di interesse costituisce, infatti, la misura della fecondità del denaro (predeterminata ex legge o stabilita dalla autonomia negoziale) ed è normalmente determinato con espressione numerica percentuale in funzione della durata della disponibilità e dell’ammontare della somma dovuta o del capitale (cfr. art. 1284 c.c., comma 1), ed opera, pertanto, su un piano distinto dalla disciplina giuridica della modalità di acquisto del diritto, fornendo il criterio di liquidazione monetaria dello stesso indipendentemente dal periodo – corrispondente od inferiore all’anno – da assumere a base del conteggio (nel caso in cui occorra determinare, sulla base di un saggio di interesse stabilito in ragione di anno, l’importo degli interessi per un periodo inferiore, bisogna dividere l’ammontare degli interessi annuali per il numero di giorni che compongono l’anno e moltiplicare il quoziente per il numero dei giorni da considerare)». (Cass. n. 20600/2011). Coerente con tale logica è propriamente il regime semplice, non quello composto. «Il parametro i che caratterizza una particolare legge appartenente al regime finanziario semplice rappresenta non soltanto l’interesse del capitale unitario per una unità di tempo ma anche “l’interesse per ogni unità di capitale e per ogni unità di tempo” Ciò dipende, manifestamente dal fatto che nel regime considerato l’interesse è proporzionale, oltre che al capitale, anche al tempo» (Trovato, Matematica per le applicazioni finanziarie, Milano, 1975). «Se i è il tasso di interesse, l’interesse complessivo di un capitale C per un tempo t è: I = C*t*i. Si parla in tal caso di interesse semplice (…) l’interesse risulta proporzionale al tempo, anzi questa proprietà può assumersi come definizione dell’interesse semplice’» (E. Levi, Corso di matematica finanziaria e attuariale, Milano, 1964).
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Fatti e problemi della pratica
La esemplificazione dei finanziamenti in regime composto con rimborso del capitale alla scadenza, nelle due tradizionali tipologie riconducibili al finanziamento Bullet e al finanziamento Zero coupon, finanziariamente equivalenti, consentono di evidenziare la differenziazione rispetto alla quale l’ordinamento interviene. Nella prima tipologia, gli interessi sono pagati periodicamente, lasciandone inalterato, rispetto al regime semplice, il valore complessivo, nel rapporto proporzionale sia al capitale che al tempo di utilizzo; nella seconda interviene la produzione di interessi su interessi che conduce, al termine, ad un monte interessi maggiorato, risultante di una lievitazione esponenziale con il tempo5.
5 Per un finanziamento a scadenza quadriennale di € 1.000, al TAN (tasso annuo nominale) del 10%, sono di seguito riportati i piani di ammortamento, rispettivamente nel regime semplice e composto, quest’ultimo distinto nella modalità Bullet e Zero coupon. Il TAN, che rappresenta il parametro impiegato nell’algoritmo di calcolo, sortisce di regola un valore del monte interessi diverso se impiegato in regime semplice o in regime composto; solo nel regime semplice esprime univocamente il monte interessi in ragione d’anno corrispondente al medesimo tasso ex art. 1284 c.c. Nel regime composto, con capitalizzazione degli interessi, il monte interessi risulta maggiorato della lievitazione esponenziale e corrispondentemente il tasso esprimente il prezzo ex art. 1284 c.c. risulta maggiore del TAN. Il tasso espresso dal TAN impiegato in regime composto, mentre nel finanziamento Bullet corrisponde al tasso ex art. 1284 c.c. esprimendo il medesimo valore dell’obbligazione accessoria del regime semplice, nel finanziamento Zero coupon perde la funzione di prezzo, esprimendo un valore più basso del tasso ex art. 1284 c.c. La criticità dell’anatocismo, come detto, investe la modalità di determinazione degli interessi corrispondente al tasso ex art. 1284 c.c. espresso nel contratto, non la modalità di pagamento, né il quantum: il monte interessi di € 464,1 dello Zero coupon potrebbe essere legittimamente conseguito con il TAN dell’11,60% impiegato in regime semplice, pari al tasso ex art. 1284 c.c. (cfr. Marcelli, Pastore, Valente, TAN, TAE TAEG nei finanziamenti a rimborso in unica soluzione e nei finanziamenti a rimborso graduale, in Banca, borsa, tit. cred., n. 6/2019).
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Per un finanziamento a scadenza quadriennale di € 1.000, al TAN (tasso annuo nominale) del 10%, sono di seguito riportati i piani di ammortamento, rispettivamente nel regime semplice e composto, quest’ultimo distinto nella modalità Bullet e Zero coupon.
Il TAN, che rappresenta il parametro impiegato nell’algoritmo di calcolo, sortisce di regola un valore del monte interessi diverso se impiegato in regime semplice o in regime composto; solo nel regime semplice esprime univocamente il monte interessi in ragione d’anno corrispondente al medesimo tasso ex art. 1284 c.c.. Nel regime composto, con capitalizzazione degli interessi, il monte interessi risulta maggiorato della lievitazione esponenziale e corrispondentemente il tasso esprimente il prezzo ex art. 1284 c.c. risulta maggiore del TAN. Il tasso espresso dal TAN impiegato in regime composto, mentre nel finanziamento Bullet corrisponde al tasso ex art. 1284 c.c. esprimendo il medesimo valore dell’obbligazione accessoria del regime semplice, nel finanziamento Zero coupon perde la funzione di prezzo, esprimendo un valore più basso del tasso ex art. 1284 c.c. La criticità dell’anatocismo, come detto, investe la modalità di determinazione degli interessi corrispondente al tasso ex art. 1284 c.c. espresso nel contratto, non la modalità di pagamento, né il quantum: il monte interessi di € 464,1 dello Zero coupon potrebbe essere legittimamente conseguito con il TAN dell’11,60% impiegato in regime semplice, pari al tasso ex art. 1284 c.c.6 Dato tutto ciò, la modalità di finanziamento Bullet risulta assolutamente legittima, mentre la capitalizzazione composta che caratterizza il finanziamento Zero coupon, oltre a porsi in contrasto con gli artt. 821
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Cfr. Marcelli, Pastore, Valente, TAN, TAE TAEG, cit.
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Fatti e problemi della pratica
e 1284 c.c., disattende il presidio imperativo posto dagli artt. 1283 c.c. e 120 t.u.b., 2° comma. In tale modalità, il TAN del finanziamento non corrisponde al prezzo ex art. 1284 c.c., producendosi nel monte interessi una componente esponenziale che pregiudica la linearità proporzionale sancita dalla norma. Se il contratto, come ordinariamente praticato dagli intermediari su indicazione della Banca d’Italia, riporta un unico tasso, nella sua duplice funzione di prezzo ex art. 1284 c.c. e di parametro di calcolo, questo può corrispondere alla obbligazione accessoria regolata dalla legge solo in assenza di ogni forma di lievitazione degli interessi che si discosti da quella proporzionale.
2. Il TAN e la misura del prezzo espresso dal tasso ex art 1284 c.c.: coincidenze e divergenze. Per una corretta disamina delle condizioni contrattuali è fondamentale tenere distinto il concetto di prezzo, espresso dal tasso ex art. 1284 c.c., dal concetto di TAN che trova la sua origine ed impiego nella scienza finanziaria. Nella scienza finanziaria il TAN assume contorni definitori non propriamente coincidenti con quelli che connotano sul piano giuridico il tasso ex art. 1284 c.c. e le risultanze operative non sempre risultano sovrapponibili. Nella matematica finanziaria il TAN esprime il parametro (tasso) da impiegare nei calcoli, che può essere declinato vuoi in regime semplice, vuoi in regime composto. Nei calcoli finanziari il TAN è il riferimento parametrico annuale – nel significato numerico di interesse per il capitale unitario (o preferibilmente per 100) e per l’intervallo unitario di un anno – che prescinde dalle modalità temporali di pagamento, dal regime finanziario adottato (e, naturalmente, dagli eventuali oneri, commissioni e spese annessi al finanziamento). Il TAN, da solo, senza l’indicazione dell’algoritmo di calcolo, non consente di calcolare l’ammontare degli interessi e non necessariamente si identifica con il prezzo ex art. 1284 c.c. Il TAN, se impiegato nella capitalizzazione degli interessi, perde la funzione di misura del prezzo in quanto la lievitazione esponenziale del monte interessi è realizzata dall’algoritmo di calcolo che prescinde dal valore del TAN. Se, invece, gli interessi vengono alla scadenza sistematicamente pagati così da non dare luogo ad alcuna capitalizzazione, il TAN, anche impiegato in regime composto, esprime il medesimo monte
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interessi del regime semplice, conservando il significato di prezzo previsto dall’art. 1284 c.c.7. Occorre pertanto distinguere, in linea di principio, il prezzo del finanziamento ex art. 1284 c.c. dal parametro espresso dal TAN impiegato nell’algoritmo di calcolo, rispondendo i due tassi a funzioni non propriamente coincidenti. Tuttavia, dopo la rimozione della deroga all’art. 1283 c.c., intervenuta con le modifiche all’art. 120 t.u.b., e il divieto posto all’impiego del regime composto ‘con capitalizzazione’, salvo le deroghe previste, i due tassi, di regola, devono coincidere: il tasso riportato in contratto viene infatti ad assumere la duplice funzione di parametro di calcolo (TAN) e prezzo ex art. 1284 c.c., esprimendo il rapporto proporzionale, in ragione d’anno, dell’obbligazione accessoria all’obbligazione principale. La norma è rivolta a regolare le modalità di produzione degli interessi, lasciando, come detto, i termini di pagamento e il quantum nella libera determinazione delle parti. L’obbligazione accessoria, sul piano economico, è il prezzo del finanziamento: il tasso ex art. 1284 c.c. è l’unità di misura (percentuale, in ragione d’anno) attraverso la quale, nella metrica proporzionale, si perviene a determinare il prezzo. Il criterio
7 Si riscontra frequentemente un uso promiscuo del tasso disposto dall’art. 1284 c.c. e di quello espresso dal TAN. Non è così immediato ed intuitivo il rapporto fra tasso ex art. 1284 c.c., TAN, monte interessi e regime finanziario. Lo stesso importo degli interessi può essere espresso con una metrica informata al regime semplice o composto, ai quali corrisponderanno ordinariamente TAN diversi. Nel regime semplice il TAN esprime l’effettivo esborso per interessi, mentre nel regime composto, poiché l’algoritmo di calcolo, nel quale viene impiegato il parametro espresso dal TAN, considera, oltre al capitale utilizzato, anche il tempo nel quale interviene il pagamento degli interessi riferendo il TAN al montante, in presenza di scadenze degli interessi che precedono il loro pagamento, la funzione proporzionale del TAN passa dal capitale al montante, assumendo in rapporto al capitale una funzione esponenziale. In presenza di interessi capitalizzati, il TAN del regime composto sarà inferiore al TAN del regime semplice che esprime il medesimo monte interessi. In altri termini, se il TAN è impiegato in regime composto, il tasso – riferito al montante, e non al capitale finanziato – non esprime gli interessi su interessi, che rimangono insiti nell’algoritmo di calcolo, ma che vanno compresi, invece, nel rapporto di proporzionalità al quale fa riferimento il tasso ex art. 1284 c.c. Per un finanziamento di € 100 a scadenza di un anno al TAN del 10%, con calcolo trimestrale degli interessi, se questi vengono capitalizzati, il corrispettivo a fine anno si ragguaglia a € 10,38 e il prezzo del finanziamento, espresso dall’art. 1284 c.c., è pari al 10,38%; se, invece, vengono corrisposti trimestralmente, a fine anno il corrispettivo è pari a € 10,0 e il prezzo del finanziamento, espresso dall’art. 1284 c.c., è pari al 10,0%. Come menzionato, quando interviene la capitalizzazione periodica degli interessi, il TAN viene ad assumere sistematicamente un tasso inferiore al prezzo ex art. 1284 c.c.
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proporzionale, al quale risulta informato il regime semplice, risponde ad una metrica elementare, che esprime il costo monetario del finanziamento effettivamente corrisposto, tenuto distinto e separato dai tempi di pagamento contemplati in contratto. Il tasso composto non è che una diversa metrica, per esprimere nel costo del finanziamento una sintesi numerica che aggrega, in un’unica aliquota, costo e tempi di pagamento8. Il criterio proporzionale, adottata dall’ordinamento per esprimere il costo del credito, contribuisce all’efficienza del mercato, così adeguandosi alla più modesta emancipazione dell’operatore al dettaglio, in quanto consente una maggiore consapevolezza della distinzione che, nella sfera economica del prenditore, assume il costo monetario complessivo del finanziamento, rispetto all’onere ‘figurativo’ espresso dalle modalità di pagamento. Proprio per l’assenza nel credito di condizioni di arbitraggio di un mercato concorrenziale, l’utilità delle disponibilità finanziarie si presenta, in capo al prenditore, assai mutevole nel tempo, in funzione delle necessità e delle prospettive di reddito. In tali circostanze l’equivalenza finanziaria intertemporale del regime composto può facilmente risultare poco funzionale alle scelte del prenditore stesso, al quale risultano precluse forme di arbitraggio fra raccolta ed impiego9. La distinzione fra onere monetario e onere ‘figurativo’ può, sotto questo aspetto, consentire un più agevole approccio allo specifico business plan dell’imprenditore e alle proiezioni reddituali del consumatore. Dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono che il divieto di pattuizione implicito dell’art. 1283 c.c. sia da estendere ad ogni tipologia di interesse pecuniario e che il requisito dell’essere interessi scaduti, esigibili e dovuti per almeno sei mesi, ricorrendo le condizioni ivi riportate, costituisca la sola condizione, sine qua non, di producibilità degli interessi su interessi10: «L’unica pattuizione ammessa dall’art. 1283 c.c.
8 Nel tasso composto sono ricompresi gli eventuali oneri ‘figurativi’ che non trovano necessariamente espressione in un effettivo pagamento. Per l’esempio della nota precedente, il tasso composto, espresso dal TAE (tasso annuo effettivo) del 10,38%, corrispondente al TAN del 10%, aggrega in un’unica aliquota costi e tempi di pagamento diversi, in un’equivalenza intertemporale informata alla ragione esponenziale. 9 Nel mercato finanziario, dal lato dell’investitore, rendite effettive e rendite ‘figurative’ si uniformano, a motivo dell’agevole reimpiego degli importi anticipatamente introitati. 10 Cfr. Razzante, La Cassazione ha tumulato l’anatocismo, in filodiritto.it, 13 febbraio 2016; anche Colombo, L’anatocismo, Milano, 2007, p. 79, dove sul punto si richiama
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è quella che le parti possano porre in essere in data posteriore alla scadenza degli interessi e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. Questa costatazione porta ad una prima conclusione; in base all’art. 1283 c.c. l’anatocismo è ammesso nei limiti indicati positivamente nella stessa norma (interessi dovuti per almeno sei mesi, nonché domanda giudiziale ovvero convenzione posteriore alla loro scadenza)»11. La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che il divieto di anatocismo integra una deroga al principio di naturale fruttuosità del denaro e, in quanto tale, si riferisce all’obbligazione di interessi in generale, a nulla rilevando la distinzione tra corrispettivi, compensativi o moratori12. Con riferimento ai rapporti di conto corrente, autorevole dottrina ha ulteriormente osservato che «il divieto di anatocismo (...) non colpisce solo gli accordi preventivi che direttamente stabiliscano la produzione di interessi su interessi, ma anche gli accordi preventivi che abbiano comunque l’effetto di determinare la produzione di interessi su interessi»13; si rileva la ‘violazione indiretta’ dell’art. 1283 c.c. con specifico riferimento al contratto in frode alla legge ex art. 1344 c.c. I medesimi rilievi – sia con riferimento all’art. 1283 c.c., sia con riferimento all’art. 120 t.u.b. – sembrano attagliarsi in talune circostanze ai finanziamenti a rimborso graduale. Le variegate finalità di tutela perseguite dall’art. 1283 c.c. risulterebbero compromesse se dal divieto dell’anatocismo rimanessero escluse le convenzioni di interessi su interessi che non attengono agli interessi scaduti e dovuti per almeno sei mesi.14
altresì Cass. n. 3500/86; Cass. n. 3805/04; Cass. n. 17813/02; Cass. n. 11097/04 e, in dottrina, Nigro, L’anatocismo nei rapporti bancari: una storia infinita?, in Dir. banc., 2001; Sinesio, Il recente dibattito sull’anatocismo nel conto corrente bancario: profili problematici, in Dir. e giur., 2000. 11 Cass. 2593/03. 12 «È pacifico in dottrina e in giurisprudenza che la convenzione di interessi anatocistici stipulata prima della scadenza degli interessi semplici è nulla per violazione della norma di cui all’art. 1283 c.c., la quale è norma imperativa posta a tutela di un interesse pubblico e, in quanto tale, inderogabile dalle parti (Cass. 29.11.1971, n. 3479, in Giust. civ., 1972, I, 518; Cass. 25.2.2004, n.3805, in Foro it., 2004, I, 1765; App. Napoli 31.1.1981, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, II, 143)» (Pandolfini, Gli interessi pecuniari, Milano, 2016). 13 Nigro, L’anatocismo, cit. 14 «La ragione per la quale l’art. 1283 c.c. fa espresso riferimento soltanto alla produzione di interessi su interessi sta nel fatto che il Legislatore del 1942 presupponeva che l’obbligazione accessoria dovesse rimanere tale, a fronte del fondamentale principio per il quale esclusivamente la sorte capitale può produrre interessi (ex art. 820 comma 3 c.c.,
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Nei finanziamenti a rimborso graduale i rapporti fra tasso ex art. 1284 c.c, TAN e regime finanziario assumono una notevole complessità in quanto il piano di rimborso risulta più articolato rispetto al finanziamento a scadenza e i termini pattizi possono essere peculiarità rilevanti in funzione del piano di ammortamento prescelto. Cogliere compiutamente le modalità con le quali, nelle distinte tipologie di ammortamento, si producono effetti significativamente diversi sul piano ermeneutico richiede una particolare attenzione ai nessi matematici: questi, seppur elementari e di immediata evidenza sul piano numerico, rimangono complessi e non facilmente percepibili sul piano logico, nella sottostante articolazione dell’algoritmo matematico. Nei finanziamenti a rimborso graduale, l’obbligazione principale non rimane costante nel periodo, bensì si fraziona, riducendosi nei valori in essere ad ogni scadenza e il prezzo espresso dal tasso ex art. 1284 c.c. si configura in termini proporzionali, non già all’obbligazione principale originaria, bensì alla sua espressione di sintesi, data dal valore medio del periodo di finanziamento. Questa peculiare connotazione comporta una certa opacità ed implicazioni di indubbio rilievo sul piano giuridico. Per la stessa definizione del prezzo, sia nell’espressione assoluta dell’ammontare dell’obbligazione accessoria, sia nell’espressione relativa, in ragione d’anno ex art. 1284 c.c., rimane determinante l’obbligazione principale, non però per il valore iniziale, bensì appunto per la sua espressione di sintesi data dal valore medio utilizzato. È questo il valore assunto a riferimento nell’equilibrio dei termini contrattuali: obbligazioni di capitale aventi il medesimo valore iniziale, ma un diverso valore medio di periodo, vengono sostanzialmente a costituire finanziamenti diversi, ai quali corrisponderanno, anche per un medesimo flusso di pagamenti periodici, prezzi ex art. 1284 c.c. differenti. Nei piani di ammortamento graduale, ordinariamente adottati dagli intermediari, viene impiegato il regime composto con pagamento anticipato degli interessi maturati ad ogni scadenza, calcolati sul debito residuo: più frequentemente si impiega il piano individuato dalla rata
che fa espresso riferimento, per l’appunto, unicamente a crediti per capitale e quindi alla produzione di interessi “primari”), salva la sussistenza, per l’appunto, delle condizioni stabilite dal medesimo art. 1283 c.c. affinché anche gli interessi (primari) possano essere fruttiferi» (Provenzano, Alla ricerca di una sintesi tra matematica e diritto nell’analisi del fenomeno anatocistico nel contratto di mutuo on ammortamento alla francese stilato secondo il regime finanziario della capitalizzazione composta, in assoctu.it, 2019).
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costante (alla francese), meno frequentemente quello individuato dalla quota capitale costante (all’italiana)15. La matematica finanziaria contempla, per ciascuna tipologia di ammortamento, accanto allo sviluppo in regime composto, il corrispon-
15 Ancorché si riscontri un uso promiscuo del termine ‘alla francese’, a rigori, con tale ammortamento i padri storici della scienza finanziaria solevano individuare i piani nei quali ricorrono tre condizioni: i) rata costante; ii) ammortamento graduale, in regime finanziario composto; iii) interessi della rata calcolati sul debito residuo. Diversamente, nell’uso corrente, adottato anche dai moderni accademici e dagli stessi operatori del credito, il termine ‘ammortamento alla francese’ viene associato esclusivamente al concetto di ‘rata costante’, tanto che nei contratti si incontra la terminologia ‘alla francese o a rata costante’, oppure più semplicemente ‘a rata costante’, in alternativa di ‘alla francese’. Il medesimo rilievo si riscontra per l’ammortamento all’italiana. La circostanza non è di poco conto in quanto il piano di ammortamento ‘alla francese’, se inteso nei termini indicati storicamente da De Finetti, Bonferroni, Santoboni, Levi ed altri, risulta definito, univocamente, sia nella rata che nella sua composizione. Al contrario, inteso nell’uso ormai corrente di ‘rata costante’, rimane indefinito nella rata, diversa nel regime semplice e in quello composto; se poi si utilizza il regime composto, rimane indefinito anche nella partizione in quota capitale e quota interessi, scelta ulteriore fra le tante matematicamente possibili e finanziariamente equivalenti. Oltremodo generica risulta la definizione riportata nelle disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia: incorrendo in una palese imprecisione, si identifica, più semplicemente, l’ammortamento alla francese con la rata che prevede la quota capitale crescente e la quota interessi decrescente; la definizione risulta sistematicamente ripresa e riportata nei glossari e legende che nei contratti devono spiegare «con un linguaggio preciso e semplice» i termini tecnici. Anche l’ABF ha avuto modo di rilevare l’uso promiscuo del termine ‘alla francese’, valutando: «Tale piano non risulta espressamente definito ‘alla francese’, né ciò invero potrebbe assumere decisa rilevanza, atteso che non pare esistere nella prassi un unico tipo di ammortamento ‘alla francese’ (come parrebbe ritenere la parte ricorrente)». (ABF Milano, n .3569/15, preceduta dal Collegio di Coordinamento n. 6167/14). L’ormai radicata sinonimia fra ammortamento ‘alla francese’ e ‘a rata costante’ risulta acquisita e confermata dalla giurisprudenza; nella sentenza del Tribunale di Milano n. 5733/14, alla quale si sono uniformate successive decisioni giurisprudenziali, si ribadisce espressamente: «con il termine “piano di ammortamento alla francese” (ovvero “a rata costante”) dovrebbe intendersi unicamente il piano che preveda rate di rimborso costanti nel tempo, ipotesi all’evidenza consentita solo in caso di mutui a tasso fisso». Per trascuratezza e scarsa diligenza, nel reiterare ridotti standards di trasparenza, ormai vetusti e superati, si sono perse nel tempo le nozioni ortodosse di ammortamento alla francese e all’italiana, che rimangono inintelligibili ai più, risultando, come detto, di regola assimilate esclusivamente a ‘rata costante’ e ‘quota capitale costante’. Si può presumere che originariamente, prima che l’uso ricorrente ne facesse perdere la memoria, gli aspetti di capitalizzazione composta e interessi riferiti al debito residuo fossero ‘notoriamente’ collegati e congiunti all’ammortamento francese (e italiano), ma non si ravvisasse la necessità e l’obbligo di renderne edotto anche il prenditore di fondi.
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dente sviluppo in regime semplice16. Inoltre, nel regime composto, nel rispetto del principio posto dall’art. 1194, co. 2, c.c. e dei vincoli di chiusura del piano, l’imputazione degli interessi nella rata può essere convenuta in modalità diverse: così ad ogni scadenza può essere riferita a tutti gli interessi maturati sul debito residuo, o ai soli interessi maturati e precedentemente capitalizzati sulla quota capitale in scadenza, o ancora, secondo criteri intermedi e alternativi (cfr. Allegati 1 e 2 per alcuni esempi). Poiché le dizioni ‘alla francese’ e ‘all’italiana’ non possono che essere intese, esclusivamente ed esaustivamente, come sinonimi di ‘a rata costante’ e ‘a quota capitale costante’, se il contratto non precisa il regime nel quale viene impiegato il TAN e/o il criterio di imputazione degli interessi nella rata, oltre ad aspetti attinenti al rispetto degli artt. 1283, 1284 c.c. e 120 t.u.b., insorgono rilevante criticità che coinvolgono trasparenza, determinatezza e consenso. Merita di essere sottolineato subito che, abbandonata la definizione ortodossa di ammortamento alla francese e ricondotta questa tipologia all’ammortamento a rata costante, viene meno quel rapporto di univocità che, con l’accordo fra le parti esclusivamente circoscritto a importo del finanziamento, tasso e periodicità delle rate, rende il piano di ammortamento una mera conseguenza matematica: questo aspetto viene frequentemente travisato17.
16 L’alternativa fra capitalizzazione semplice e composta nei piani di ammortamento è presa in considerazione implicitamente anche nelle disposizioni di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari della Banca d’Italia. Nelle disposizioni in vigore sino al 30 settembre 2015, nell’Allegato 4B relativo al foglio informativo del mutuo offerto a consumatori, alla nota (5) si riporta: «Se nel piano di ammortamento si applica il regime di capitalizzazione composta degli interessi, la conversione del tasso di interesse annuali i1 nel corrispondente tasso di interesse infrannuale i2 (e viceversa) segue la seguente formula di equivalenza intertemporale i2=(1+i1)t1/t2». Nelle successive disposizioni, nel prospetto informativo europeo standardizzato (PIES) si riporta: «Se il contratto di credito prevede il rimborso differito degli interessi (ossia quando gli interessi non sono rimborsati interamente con le rate ma si cumulano all’importo totale del credito residuo) sono illustrate le conseguenze per il consumatore con riguardo al debito residuo». E, per la Sezione 7, Tabella di ammortamento semplificativa, si riporta: «Questa sezione è compilata quando: i) il tasso di interesse è fisso per tutta la durata del contratto di credito o ii) il contratto prevede il rimborso differito degli interessi (gli interessi non sono integralmente rimborsati con le rate e sono, invece, aggiunti all’importo totale del credito residuo)». 17 Risultano inesatte e fuorvianti le premesse addotte da Silvestri, Tedesco, Mutuo a tasso fisso e rimborso graduale secondo il sistema francese con rate costanti, in Giur. merito, 2009, p. 82, per i quali «In primo luogo vanno ricordati i principi fondamentali che regolano la costruzione dei piani di ammortamento, cioè: 1) Ciascuna rata costante è
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3. L’ammortamento alla francese e all’italiana: i distinti risvolti giuridici in tema di anatocismo Sostanziali differenze, accompagnate da rilevanti risvolti giuridici, si riscontrano nei due tradizionali piani di ammortamento, all’italiana e alla francese. Nel primo, la variabile matematica indipendente, nella quale trova espressione l’oggetto del contratto, è l’obbligazione principale – sia nel valore originario, sia nei valori assunti alle distinte scadenze –, implicitamente definita nella pattuizione della quota capitale costante posta a rimborso. Nel secondo, la variabile matematica indipendente, nella quale trova espressione l’oggetto del contratto, è l’obbligazione accessoria nel suo valore unitario complessivo, implicitamente incluso e definito nel valore della rata costante. Tale distinzione si riversa sul piano di ammortamento, con riflessi giuridici di rilievo sul piano ermeneutico, in quanto nella prima tipologia – fissata l’obbligazione principale, la scelta del regime e del criterio di imputazione – si riflette sull’obbligazione accessoria, mentre nella
costituita da una quota interessi e da una quota capitale, ... 2) La somma delle quote capitale contenute nelle rate deve ammontare all’importo originario del prestito. 3) Con il pagamento della rata vanno riconosciuti tutti gli interessi maturati nel periodo cui la rata si riferisce. 4) In ciascuna rata la quota capitale è la differenza fra il totale della rata e la quota interessi del periodo». Premessa questa definizione dell’ammortamento a rata costante, che, come detto (cfr. nt. 15), non trova più rispondenza nell’impiego usuale dei termini contrattuali, si perviene a considerare un’univoca metodologia di costruzione del piano, pervenendo in tal modo ad una conclusione riduttiva e difforme dalle risultanze che discendono dalla matematica finanziaria, sostenendo di conseguenza: «A un attento esame, una volta raggiunto l’accordo sulla somma mutuata, sul tasso, sulla durata del prestito e sul rimborso mediante un numero predefinito di rate costanti, neanche la misura della rata costituisce oggetto di una violazione in senso tecnico, perché la rata discende matematicamente da quegli elementi contrattuali: il rimborso di quel prestito, accordato a quel determinato tasso, rimborsabile con quel determinato numero di rate costanti può avvenire solo mediante il pagamento di rate costanti di quel determinato importo» Tale conclusione rispecchia l’impropria definizione di ammortamento da cui è partita; si aggiunge, altresì, l’erroneo concetto che nella circostanza dell’ammortamento alla francese ricorre l’impiego del regime semplice. La conclusione viene ripresa e gli autori espressamente richiamati in una recente decisione dell’ABF di Milano (n. 24693 del 22 novembre 2018). Il piano di ammortamento a rata costante, sia nelle modalità originariamente indicate dai padri storici, sia nella modalità usualmente impiegata dagli intermediari, si fonda sulla legge del regime composto, con sostanziali riflessi matematici che interessano sia l’imputazione al capitale che agli interessi: questo aspetto rimane ‘inconfutabilmente’ sancito in ogni testo di matematica finanziaria, dal Bonferroni al De Finetti, dall’Insolera al Levi, per arrivare ai più moderni, Varoli, Trovato, Morriconi, Fersini ed Olivieri.
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seconda tipologia di ammortamento – fissata l’obbligazione accessoria, la scelta del regime e del criterio di imputazione – come si mostrerà, si riflette sull’obbligazione principale, nella sua espressione di sintesi, data dal valore medio di periodo. I. Nell’ammortamento a quota capitale costante (all’italiana), nel passaggio dal regime semplice (Tav. 2.A) al regime composto (Tav. 2.B e 2.C), si riscontrano, per l’obbligazione principale e quella accessoria, le seguenti evidenze: 1) l’obbligazione principale, nell’espressione di sintesi data dal valore medio di periodo, rimane invariata sul medesimo valore del regime semplice; 2) l’obbligazione accessoria assume valori diversi in funzione del criterio di imputazione prescelto. Più in particolare: • con l’imputazione nella rata degli interessi calcolati sulla quota capitale in scadenza (Tav. 2.C) si riscontra la produzione di interessi su interessi e l’obbligazione accessoria assume un valore più alto della corrispondente obbligazione del regime semplice; • con l’imputazione nella rata degli interessi calcolati sul debito residuo (Tav. 2.B), adottata ordinariamente dagli intermediari,20 l’obbligazione accessoria mantiene il medesimo valore della corrispondente obbligazione del regime semplice, ma presenta l’onere ‘figurativo’ del pagamento anticipato, riflesso nel valore delle rate inizialmente più elevato, rispetto all’alternativo criterio di imputazione in regime semplice (Tav. 2.A). Nell’esempio che segue è riportato, per un finanziamento quadriennale di € 1.000, al TAN del 10% il piano di ammortamento a quota capitale costante (all’italiana), sviluppato in regime semplice e composto, quest’ultimo nelle due tradizionali imputazioni, sul debito residuo e sulla quota capitale in scadenza.
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Nel passaggio dal regime semplice (Tav. 2.A) al regime composto, con il pagamento anticipato degli interessi maturati sul debito residuo (Tav. 2.B), ordinariamente adottato dagli intermediari, il valore dell’obbligazione accessoria rimane invariato (€ 250,0), come anche quello dell’obbligazione principale nel suo valore di sintesi espresso dal valore medio di periodo (€ 625,0). Come si può riscontrare, nell’ammortamento all’italiana, quale ordinariamente impiegato dagli intermediari, si replicano le medesime risultanze del finanziamento Bullet: il piano rimane governato dal regime composto che, tuttavia, viene realizzato esclusivamente con l’anticipazione nel pagamento degli interessi calcolato sul debito residuo, lasciando invariato il loro ammontare, rispetto al regime semplice. Solo nell’alternativo sviluppo, con pagamento degli interessi capitalizzati, calcolati alla scadenza del capitale di riferimento, si riscontra la maggiorazione del monte interessi, corrispondente alla produzione di interessi su interessi (Tav. 2.C), replicante le medesime risultanze del finanziamento Zero coupon. L’obbligazione principale, nei suoi valori, originario e periodale, rimane nei tre casi la medesima, costituendo la variabile indipendente fissata in contratto. Sul piano giuridico, ove le condizioni siano chiaramente esposte in contratto, non si ravvisano elementi di criticità nel pagamento anticipato degli interessi maturati a ciascuna scadenza. Non si riscontra alcuna lievitazione esponenziale degli interessi: l’obbligazione accessoria risulta del tutto rispondente ai criteri del regime semplice, di proporzionalità al capitale e al tempo, prescritti dagli art. 821 c.c. e 1284 c.c., mentre l’obbligazione principale risulta chiaramente definita e specificatamente convenuta nei suoi valori periodali. Nel criterio alternativo di imputazione degli interessi, calcolati sulla quota capitale in scadenza, si palesa, invece, la produzione di interessi su interessi che trova rispondenza nel valore maggiorato dell’obbligazione accessoria e, come nel finanziamento Zero coupon, l’accordo pattizio si pone in contrasto con gli artt. 821 e 1284 c.c., disattendendo altresì il divieto degli artt. 1283 c.c. e 120 TUB, 2° comma. II. Nell’ammortamento a rata costante (alla francese), nel passaggio dal regime semplice (Tav. 3.A) al regime composto (Tav. 3.B e 3.C), rispecchiando la diversa natura della variabile indipendente definita in contratto, i rapporti fra obbligazione principale e obbligazione accessoria si rovesciano, palesando le seguenti evidenze:
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1) l’obbligazione accessoria, nel suo valore complessivo, assume l’identico valore, maggiore dell’obbligazione accessoria del regime semplice, quale che sia il criterio di imputazione prescelto; 2) l’obbligazione principale, nel valore di sintesi espresso dal finanziamento medio di periodo, con il pagamento anticipato degli interessi maturati sul debito residuo, assume valori significativamente diversi dal regime semplice in funzione del criterio di imputazione adottato. Più in particolare: • con l’imputazione nella rata degli interessi calcolati sulla quota capitale in scadenza (Tav. 3.C), l’obbligazione accessoria maggiorata rispetto al regime semplice, definita in contratto, esprime la produzione di interessi su interessi, calcolati su un’obbligazione principale di riferimento assai prossima a quella del regime semplice; • con l’imputazione nella rata degli interessi sul debito residuo (Tav. 3.B), adottata ordinariamente dagli intermediari, l’obbligazione accessoria maggiorata rispetto al regime semplice, risulta calcolata su un’obbligazione principale matematicamente ampliata, in misura da esprimere, in regime semplice, la medesima obbligazione accessoria calcolata in regime composto nell’alternativo criterio di imputazione.
Come mostra la Tav. 3, diversamente dall’ammortamento a quota capitale costante, nell’ammortamento a rata costante, anche quando gli interessi vengono pagati anticipatamente rispetto alla scadenza del capitale di riferimento, si replicano le medesime risultanze del finanziamento Zero coupon. D’altra parte, non potrebbe essere diversamente, costituendo l’obbligazione accessoria la variabile indipendente definita in contratto, calcolata in regime composto con interessi capitalizzati e inclusi nel valore della rata.
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Nel passaggio dal regime semplice al regime composto, con il criterio di imputazione degli interessi capitalizzati, calcolati sulla quota capitale in scadenza (Tav. 3.C), si palesa la produzione di interessi su interessi: il valore dell’obbligazione principale (€ 595,3) rimane prossimo a quello del regime semplice e il prezzo (11,0%) segna il divario con il regime semplice, accostandosi d’appresso all’effettivo prezzo ex art. 1284 c.c., prossimo al TAN del 10,95%, espresso dalla rata di € 315,47 nel regime semplice. Con l’alternativa imputazione degli interessi maturati sul debito residuo (Tav. 3.B), in ragione del rapporto di complementarietà delle due imputazioni incluse nella rata costante, la maggiorazione dell’obbligazione accessoria, ricomprendente la preordinata capitalizzazione degli interessi, si riversa in un corrispondente differimento dei rimborsi, e quindi in una maggiorazione dell’obbligazione principale periodale, che, nel suo valore, passa da € 599,87 del regime semplice (Tav. 3.A) a € 654,71 del regime composto con interessi calcolati sul debito residuo (Tav. 3.B)18: di tal guisa la maggiorazione dell’obbligazione accessoria prevista in contratto, si accompagna ad una parallela lievitazione dell’obbligazione principale, che recupera il rapporto di proporzionalità dettato dall’art. 1284 c.c. nel tasso espresso dal TAN. Il rispetto dei vincoli di chiusura del piano, imposti dal valore della rata e, quindi, dell’obbligazione accessoria maggiorata che viene distribuita nelle singole scadenze, viene conseguito, in un caso capitalizzando gli interessi (Tav. 3.C), nell’altro ampliando, in una sorta di roll over, l’obbligazione principale (Tav. 3.B). L’obbligazione principale, nell’espressione di sintesi data dal valore medio di periodo, nel primo caso rimane pressoché invariata (€ 595,29) rispetto al valore del regime semplice (€ 599,87) e la maggiorazione dell’obbligazione accessoria si riversa e si palesa negli interessi secondari corrisposti ad ogni scadenza; nel secondo caso, si riversa e si palesa nel differimento dei rimborsi, amplificando l’utilizzo medio del capitale (€ 654,71) della misura
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È rilevante osservare che gli interessi vengono prima definiti in regime composto nella rata maggiorata indicata in contratto e poi distribuiti alle distinte scadenze con pagamento anticipato rispetto al capitale di riferimento. In tal modo, per i vincoli stessi di chiusura del piano, si induce un’accelerazione della crescita dell’obbligazione principale periodale che restituisce, in ragione semplice, il medesimo monte interessi maggiorato. Tecnicamente, entro limiti definiti, qualunque maggiorazione del monte interessi potrebbe essere ‘spalmata’ nelle rate, in ragione semplice, amplificando l’obbligazione principale periodale, rimasta inespressa nei termini contrattuali.
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funzionale alla produzione di ulteriori interessi primari corrispondenti a quelli secondari, previsti originariamente nella definizione della rata ed esplicitati nell’alternativo criterio di imputazione sulla quota capitale. Nel menzionato differimento dei rimborsi, parallelamente riversato nell’obbligazione principale, è possibile distinguere matematicamente la componente indebita, propriamente riconducibile alla maggiorazione dell’obbligazione accessoria, definita nella pattuizione e poi distribuita nelle rate, che consente di ricondurre il rapporto proporzionale del tasso ex art. 1284 c.c. al TAN contrattuale. Si può agevolmente verificare che, per il medesimo valore dell’obbligazione accessoria, definito con l’impiego del TAN in regime composto, la relativa misura del prezzo, espressa dall’art. 1284 c.c., varia con l’intensità del roll over dell’obbligazione principale, implicito nel criterio di imputazione degli interessi (cfr. Allegato 2)19. Rimane arduo cogliere l’accorgimento matematico sottostante che rende inconferente che l’obbligazione accessoria, definita in contratto nel valore maggiorato dell’anatocismo, sia poi pagata – fra le varie alternative consentite dal rispetto dei vincoli del piano – in ragione semplice, sull’obbligazione principale opportunamente maggiorata dal parallelo differimento dei rimborsi. Nell’ammortamento a rata costante (alla francese), nelle modalità ordinariamente praticate dagli intermediari, il piano rimane governato dal regime composto impiegato per la determinazione del valore della rata, che consente di conseguire l’obbligazione accessoria maggiorata inclusa nella rata e, al tempo stesso, con il criterio di imputazione adottato,
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Per entrambe le tipologie di ammortamento (all’italiana e alla francese), oltre ai due menzionati criteri tradizionali di calcolo delle imputazioni degli interessi – pagamento anticipato degli interessi maturati ad ogni scadenza e pagamento interamente differito alla scadenza del relativo capitale di riferimento – si riscontrano ulteriori variegate alternative intermedie di imputazione che parimenti rispettano i vincoli del piano (cfr. Allegato 1 e 2). Si può facilmente riscontrare che, per l’ammortamento a quota capitale costante, tanto più si anticipa il pagamento degli interessi maturati, tanto più si riduce l’obbligazione accessoria e con essa il tasso ex art. 1284 c.c.; per l’ammortamento a rata costante, diversamente, l’obbligazione accessoria rimane invariata, mentre il valore medio del finanziamento si amplia sino a ridurre il tasso ex art. 1284 c.c. al tasso espresso dal TAN indicato in contratto, quando, ad ogni scadenza, tutti gli interessi maturati vengono corrisposti: nel rapporto che esprime il tasso ex art. 1284 c.c., il numeratore, dato dall’obbligazione accessoria rimane invariato, mentre lievita il denominatore, dato dall’obbligazione principale.
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anche il pagamento anticipato della stessa20. Matematicamente, con la rata includente la quota interessi maggiorata della preordinata capitalizzazione, quando quest’ultima viene anticipata nel pagamento, si realizza un’accelerazione del differimento dei rimborsi che, cumulandosi nelle scadenze, alimenta una crescente maggiorazione dell’obbligazione principale media di periodo e con essa una parallela lievitazione degli interessi, restituendo, in ragione semplice (quindi interessi primari), il monte interessi, maggiorato della capitalizzazione, incluso nella determinazione dell’importo della rata21. Ciò è possibile in quanto in contratto risulta definita l’obbligazione accessoria, mentre l’obbligazione principale è definita solo nel suo valore iniziale: i valori periodali rimangono dipendenti dal criterio di imputazione degli interessi. Il divieto di anatocismo posto dalla norma preclude l’impiego del tasso ex art. 1284 c.c. in capitalizzazione composta per determinare la rata
20 È bene rammentare che il regime composto impiegato nei piani di ammortamento è un regime composto ‘discreto’, dove gli interessi si capitalizzano, non in maniera continuativa nel tempo, bensì in maniera discreta: gli interessi vengono calcolati, in ragione semplice, sul montante in essere all’inizio del periodo, per poi essere capitalizzati al termine del periodo e formare il nuovo montante che, nel periodo successivo, produrrà nuovamente interessi, sempre in ragione semplice. Questa precisazione è fondamentale per non equivocare e scambiare, nei piani di ammortamento, il regime finanziario che governa il piano stesso, dall’interesse calcolato nella specifica rata che, in quello composto coinciderà con il calcolo dell’interesse semplice se ricomprende esclusivamente l’ammontare maturato sul debito residuo nel periodo unitario, coinciderà, invece, con l’interesse composto se riferito anche agli interessi pregressi, maturati nelle precedenti scadenze sulla quota capitale in scadenza. La formula di calcolo dell’interesse nella specifica rata non individua il regime che governa il piano di ammortamento. L’imputazione degli interessi calcolati sul debito residuo individua il regime composto che, nell’ammortamento all’italiana si esprime esclusivamente nella forma dell’anticipazione nel pagamento degli interessi, senza alcuna capitalizzazione, in analogia ad un ordinario finanziamento Bullet, mentre nell’ammortamento alla francese, con l’implicito differimento dei rimborsi, pur in presenza dell’anticipazione tipica del finanziamento Bullet, si conserva la capitalizzazione degli interessi, preordinatamente inclusa nella rata, in analogia ad un ordinario finanziamento Zero coupon. 21 Così operando, l’obbligazione accessoria, ancorché definita nel valore esponenziale rifluente dal regime composto impiegato nella definizione della rata, si viene a comporre nel piano esclusivamente di interessi primari, in un rapporto proporzionale al diverso e più elevato finanziamento medio di periodo. Il differimento dei rimborsi, riflesso nell’obbligazione principale di periodo, per una parte è relativo agli interessi primari corrispondenti all’onere ‘figurativo’, presente anche nell’ammortamento all’italiana, mentre per la parte restante, relativa agli interessi secondari presenti nella rata (maggiorazione), corrisponde all’incremento dell’obbligazione principale, atto a convertirne la natura in primari.
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del finanziamento pattuita in contratto, in quanto si conviene per questa via un monte interessi esponenziale, maggiorato rispetto al monte interesse proporzionale del regime semplice. Né il divieto può essere eluso convenendo in contratto un’obbligazione accessoria determinata impiegando il tasso dell’art. 1284 c.c. in regime composto e riportando in allegato il piano matematicamente equivalente costruito su un’obbligazione principale maggiorata dal roll over, che impiega il medesimo tasso applicato in regime semplice per esprimere lo stesso valore dell’obbligazione accessoria preordinatamente maggiorato dell’anatocismo. Chi, come asserito anche da taluni matematici, rileva nell’ammortamento alla francese l’impiego del regime composto, riscontrando tuttavia, nell’imputazione delle rate, l’assenza della produzione di interessi su interessi, si arresta alla semplice prima evidenza, palese e banale, ma parziale e, per ciò stesso, fuorviante se si omettono i termini della pattuizione, con i pregnanti rapporti matematici che si riversano sul piano esegetico. La disamina va proseguita, constatando, rispetto al regime semplice, un monte interessi esponenziale con il tempo, preordinatamente convenuto nella variabile indipendente fissata in contratto. Risulta evidente che il valore dell’obbligazione accessoria, maggiorata per via della rata determinata in regime composto, si riflette nei vincoli di chiusura del piano, distribuendo tale maggiorazione, corrispondente alla capitalizzazione anatocistica, nelle singole rate; per complemento alla rata costante, risulterà parallelamente maggiorato il debito residuo che reiteratamente esita dopo il pagamento ad ogni scadenza: per tale via si realizza un indebito roll over dell’obbligazione principale periodale che, come accennato, converte in primari la quota parte di interessi secondari inclusi nella determinazione del valore della rata22. In estrema sintesi, il calcolo degli interessi nella
22 Nel confronto fra le due tipologie di ammortamento, occorre prestare attenzione al rapporto di causa ed effetto: la maggiore onerosità dell’ammortamento a rata costante (alla francese) in regime composto, rispetto al corrispondente ammortamento a quota capitale costante (all’italiana), più che al rallentamento nel rimborso del debito, è propriamente riconducibile al monte interessi – propedeuticamente fissato nel valore maggiorato della rata stabilita in contratto – che nell’ammortamento alla francese si riscontra in pari misura, sia nell’anticipata imputazione degli interessi maturati, sia nel diverso e finanziariamente equivalente criterio di imputazione degli interessi alla quota capitale in scadenza, dove il menzionato rallentamento nel rimborso non si rinviene; in questo alternativo sviluppo del piano, nel quale viene meno l’anticipazione del pagamento degli interessi, sia l’ammortamento alla francese che quello all’italiana, presentano la lievitazione esponenziale anatocistica. Si sono frequentemente travisati questi aspetti affermando semplicisticamente che l’ammortamento alla francese presenta un rimborso
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variabile indipendente stabilita in contratto e che presiede la costruzione del piano di ammortamento, include la lievitazione esponenziale del regime composto; il pagamento degli stessi è, invece, realizzato in regime semplice su un’obbligazione principale periodale che, rimasta indefinita nel contratto, viene maggiorata del differimento dei rimborsi. Come detto, assume un rilievo dirimente la diversa struttura contrattuale che caratterizza e distingue l’ammortamento a quota capita-
del capitale più graduale e quindi un maggior carico di interessi. L’evidenza dei termini contrattuali mostra una ragione diversa: il maggior carico di interessi incluso nella rata riportata in contratto determina, per complemento, un improprio differimento dei rimborsi, riversato nel roll over dell’obbligazione principale periodale, nella misura necessaria a convertire in primari gli interessi originariamente convenuti come secondari. Se l’importo della rata fosse correttamente calcolato al prezzo ex art. 1284 c.c. in regime semplice, l’obbligazione accessoria risulterebbe inferiore e, con l’imputazione degli interessi anticipata con il calcolo sul debito residuo, pur in presenza di un rallentamento dei rimborsi, per i vincoli stessi del piano, si avrebbe un TAN più moderato del tasso ex art. 1284 c.c. indicato in contratto e l’anticipazione nel pagamento degli interessi non apporterebbe alcun incremento rispetto al regime semplice. Come si evince chiaramente dagli esempi riportati, se si opera nel regime semplice, l’ammortamento alla francese comporta un rimborso più rapido, quindi un finanziamento medio più basso dell’ammortamento all’italiana (€ 599,87 contro € 625,00) e un carico di interessi minore (€ 239,95 contro € 250,00). Nel passaggio dal regime semplice al composto, nell’usuale criterio di imputazione degli interessi calcolati sul debito residuo, la situazione si rovescia: diversamente dall’ammortamento all’italiana, dove l’impiego del TAN nel calcolo degli interessi sul debito residuo determina esclusivamente un’anticipazione del pagamento degli interessi, che lascia invariato il finanziamento medio (€ 625,00) e il carico degli interessi (250,00), nell’ammortamento alla francese, l’impiego del TAN nel calcolo degli interessi sul debito residuo, rimane dettato dalla propedeutica pattuizione in contratto di un’obbligazione accessoria maggiorata da € 239,95 a € 261,88, distribuendola nei pagamenti anticipati ed inducendo un maggior effetto di rallentamento dei rimborsi, elevando il finanziamento medio da € 599,9 a € 654,71. È la pattuizione dell’obbligazione accessoria maggiorata che, congiuntamente al pagamento anticipato della stessa, determina l’innalzamento del finanziamento medio atto a coprire i maggiori interessi; la variabile indipendente fissata in contratto attraverso il valore della rata è l’obbligazione accessoria, non quella principale nei valori periodici: quest’ultima assume la veste di variabile dipendente. Mentre con l’imputazione degli interessi calcolati sul debito residuo, nell’ammortamento a quota capitale costante, l’obbligazione accessoria rimane invariata, sul medesimo prezzo del regime semplice, sia nei termini assoluti dell’importo, che nei termini relativi del tasso ex art. 1284 c.c., nell’ammortamento a rata costante, l’obbligazione accessoria risulta maggiorata dell’anatocismo già nel valore incluso nella rata pattuita in contratto, e, per gli stessi vincoli di chiusura del piano, tale maggiorazione induce nella relativa distribuzione dei pagamenti un’impropria maggiorazione del differimento dei rimborsi che innalza l’obbligazione principale periodale (finanziamento medio di periodo € 654,7).
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le costante dall’ammortamento a rata costante. In quest’ultimo, dopo aver raccolto l’assenso sull’obbligazione accessoria maggiorata, con il roll over dell’obbligazione principale, si effettua il passaggio, nel pagamento, alla tipologia precedente (definita sull’obbligazione principale) per la quale, come si è mostrato, con il regime composto, congiunto al pagamento anticipato degli interessi maturati sul debito residuo, l’onere figurativo del menzionato pagamento anticipato lascia invariato il valore dell’obbligazione accessoria del regime semplice23. Con il regime composto e l’imputazione degli interessi calcolati sul debito residuo, se la pattuizione attiene all’obbligazione principale (ammortamento all’italiana), l’obbligazione accessoria rimane invariata rispetto al regime semplice e il mutuatario subisce solo l’onere ‘figurativo’ del pagamento anticipato come nei finanziamenti Bullet, mentre, se la pattuizione attiene all’obbligazione accessoria (ammortamento alla francese), variabile indipendente che presiede il piano di rimborso, questa rimane maggiorata rispetto al regime semplice, come nei finanziamenti Zero coupon, quale che sia il criterio di imputazione degli interessi24.
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Nella circostanza la matematica si riveste di una complessità di più difficile accesso alla comprensione. Il rapporto esponenziale dell’obbligazione accessoria predefinito in contratto, con il roll over che maggiora l’obbligazione principale, viene ricondotto all’omologo piano predefinito nella corrispondente obbligazione principale maggiorata che esprime, in regime semplice, l’obbligazione accessoria definita in contratto in regime composto: per tale obbligazione principale maggiorata, come negli ammortamenti definiti contrattualmente sull’obbligazione principale (in particolare, l’ammortamento a quota capitale costante), nel regime composto, anticipando il pagamento, l’obbligazione accessoria è la medesima del regime semplice. Nella complessità della matematica si riscontra un’armonia delle forme tecniche che, in quanto sfuggenti, possono di primo acchito stupire ma in realtà risultano scontate nei rapporti che si vengono a creare fra le variabili indipendenti definite nell’enunciato del contratto e quelle da queste dipendenti riportate nei valori numerici del piano riportato in allegato al contratto. Così come per una stessa obbligazione principale ad ogni tasso composto corrisponde un diverso e maggiore tasso semplice che conduce al medesimo montante finale, in termini inversi, per il medesimo tasso, ad ogni obbligazione principale sviluppata in regime composto, corrisponde una diversa e maggiore obbligazione principale che in regime semplice riproduce, al medesimo tasso, il medesimo montante finale. Analogamente nei finanziamenti con ammortamento alla francese, dove, con il tasso ex art. 1284 c.c. impiegato in regime composto, rimane definita l’obbligazione accessoria, lasciando invariato pur anche il valore iniziale dell’obbligazione principale, maggiorandone tuttavia le espressioni periodiche e di riflesso il relativo valore medio di periodo, con il medesimo tasso si può conseguire, in regime semplice, il medesimo montante del regime composto. 24 Cfr. anche Marcelli, L’ammortamento alla francese e all’italiana: le conclusioni della giurisprudenza risultano confutate dalla matematica, in www.assoctu.it, 2019;
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Le risultanze che ne derivano richiamano d’appresso il roll over dei finanziamenti, impiegato talora per eludere il divieto anatocistico. Ogni qualvolta interviene un pagamento rivolto al contestuale pagamento di interessi e rimborso parziale del capitale – oltre tutto, senza una pattuita, predeterminata convenzione del criterio di imputazione – l’agevole intercambiabilità fra l’obbligazione principale e quella accessoria, può celare i prodromi dell’anatocismo25. La menzionata dinamica del roll over dell’obbligazione principale si riflette, in termini pressoché identici al roll over dei finanziamenti, anche nel prezzo espresso dal tasso ex art. 1284 c.c. che, a seguito delle parallele maggiorazioni – dell’obbligazione principale ed accessoria – viene a corrispondere al TAN impiegato nel calcolo. In tal modo si consegue formalmente la ‘quadra’ per conciliare, al tempo stesso, l’obbligazione accessoria maggiorata, il pagamento anticipato e il rispetto del tasso ex art. 1284 c.c. indicato in contratto, coincidente con il TAN impiegato nel calcolo; viene meno, tuttavia, il concetto di prezzo dell’obbligazione accessoria pattuita in contratto, in quanto i termini di proporzionalità del regime semplice risultano sostituiti sempre da termini proporzionali, ma su valori maggiorati delle due obbligazioni26. La menzionata ‘quadra’
Marcelli e Valente, Ammortamento alla francese: equivoci e pregiudizi, e Tribunale di Roma, 19 settembre 2019, in www.ilcaso.it. 25 L’esperienza ha ampiamente mostrato che il divieto di anatocismo può essere facilmente eluso attraverso plurime forme di roll over del finanziamento, cioè a dire con un finanziamento che viene periodicamente chiuso e contestualmente riaperto; la previsione stessa del futuro rifinanziamento, congiunto alla scadenza degli interessi, viene a costituire un agevole escamotage per capitalizzare gli interessi dovuti alla scadenza. Per i conti correnti la Suprema Corte ha individuato, nell’automatica chiusura/riapertura trimestrale, una forma di roll over atta ad eludere la norma imperativa. Occupandosi degli ordinari finanziamenti in conto corrente ha ravvisato l’illegittimità della capitalizzazione degli interessi al termine del trimestre, stabilendo la depurazione dell’anatocismo, ancorché una vera e propria produzione di interessi su interessi risulti tecnicamente insussistente in presenza di rimesse solutorie che pagano prontamente gli interessi. 26 Nelle modalità usualmente impiegate per l’ammortamento alla francese, emerge questa connotazione assai peculiare: nel concetto economico di proporzionalità al prezzo, espresso dal saggio in ragione d’anno dell’art. 1284 c.c., ad un medesimo TAN corrisponde nel regime composto, accanto all’anticipazione del pagamento degli interessi rispetto alla scadenza del capitale, un prezzo in termini monetari, espresso dal monte interessi, diverso e più alto, di quello riveniente dal regime semplice. Il maggior carico del monte interessi del regime composto che fornirebbe una misura del prezzo espresso dal tasso ex art. 1284 c.c. significativamente maggiore del regime semplice, attraverso il roll over dell’obbligazione principale, determina un sincronico incremento del finanziamento medio, che lascia invariato il rapporto del prezzo, espresso dal tasso ex art. 1284 c.c.
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presuppone pur sempre che si anteponga in contratto la determinazione della rata con l’obbligazione accessoria definita in regime composto ed un tasso che, nella sua duplice funzione – quella primaria di prezzo ex art. 1284 c.c. e quella accessoria di parametro di calcolo –, corrisponde, invece, in regime semplice ad una rata ed un’obbligazione accessoria diverse e inferiori. È la stessa maggiorazione dell’obbligazione accessoria definita originariamente in contratto, che determina nell’anticipazione del relativo pagamento, il roll over necessario ad estendere l’obbligazione principale sino a ridurre, come menzionato, la prefissata natura esponenziale dell’obbligazione accessoria alla proporzionalità del tasso ex art. 1284 c.c. espresso dal TAN indicato in contratto (cfr. Allegato 2)27. L’accessorietà dell’obbligazioni degli interessi viene riferita dalla norma esclusivamente al momento genetico28. Una volta venuta ad esistenza, l’obbligazione degli interessi acquista un’autonomia tale da renderla oggetto di rapporti giuridici separati e da farla sopravvivere anche al debito principale, di modo tale che non spiegano effetti sull’obbligazione di interessi eventuali vicende attinenti all’obbligazione principale, determinate da cause successive alla nascita della stessa29.
Di tal guisa a valori monetari del prezzo diversi, espressi dal monte interessi del regime semplice e composto, corrisponde il medesimo tasso: in questo paradosso risulterebbe consumarsi la pratica anatocistica, consentita dall’indeterminatezza stessa del contratto, riconducibile all’inespressa obbligazione principale nei valori periodali. 27 In un parallelismo con l’esempio dello Zero coupon riportato in precedenza, è come se si convenisse l’obbligazione accessoria al prezzo, pari al TAN del 10% impiegato in capitalizzazione composta degli interessi, al quale corrisponde un valore di € 464,1, e poi si calcolassero gli stessi in ragione semplice sull’obbligazione principale di € 1.160 anziché € 1.000. 28 È bene precisare che «il valore e la natura delle singole rate, indipendentemente dalla composizione variabile interna che ciascuna presenta nei diversi momenti temporali del pagamento, sono quelli di elemento di una obbligazione unica. In altre parole, quando il differimento della restituzione della somma mutuata è regolato nel tempo attraverso la previsione di rate, ai sensi dell’art. 1819 c.c., le rate non producono certo l’effetto di frazionare l’unica obbligazione in tante obbligazioni autonome (come avviene per altri contratti di durata), ma costituiscono mere modalità esecutive di quell’unica obbligazione, non potendosi altrimenti spiegare la previsione di cui alla citata norma, per la quale il mancato pagamento di una rata può produrre la decadenza del beneficio del termine» (Camardi, Mutuo bancario con piano di ammortamento “alla francese”. Nullità delle clausole sugli interessi e integrazione giudiziale, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, I). 29 Cfr. Pandolfini, La disciplina degli interessi pecuniari, Padova, 2004. Per i finanziamenti a rimborso graduale, la Cassazione ha reiteratamente precisato che «la formazione delle rate di rimborso, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi,
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Nei finanziamenti con piano di ammortamento a rata costante (alla francese), l’obbligazione principale è individuata, solo in allegato, per differenza dalla rata costante, dall’imputazione degli interessi. Pertanto, l’obbligazione principale, nei suoi valori periodali, segue all’imputazione dell’obbligazione accessoria, preordinatamente maggiorata dell’anatocismo. La presenza dell’anatocismo, più che nel pagamento anticipato di tutti gli interessi maturati sul debito residuo, si inferisce e desume, al momento originario, dall’impiego del tasso indicato in contratto in regime composto per la determinazione della rata, che, precipuamente informato a replicare gli interessi sugli interessi, fissa i vincoli di chiusura del piano, condizionando, sul valore maggiorato dell’obbligazione accessoria, le imputazioni alle distinte scadenze e il connesso roll over dell’obbligazione principale. Questa evidenza matematica disvela la convenzione anatocistica che, a prescindere dalle modalità di pagamento delle due obbligazioni, si esprime, al momento pattizio, nell’innalzamento esponenziale del monte interessi convenuto, contrapponendosi alle risultanze del regime semplice, al quale si ispirano gli artt. 821, 1283 c.c. e 1284 c.c., oltre che l’art. 120 t.u.b. Il divieto posto dalla norma è riferito , come menzionato, alla modalità di determinazione degli interessi corrispondente al tasso ex art. 1284 c.c. espressa in contratto, non a quella relativa al pagamento30.
attiene alle mere modalità di adempimento di due obbligazioni poste a carico del mutuatario – aventi ad oggetto l’una la restituzione della somma ricevuta in prestito e l’altra la corresponsione degli interessi per il suo godimento – che sono ontologicamente distinte e rispondono a finalità diverse» (Cass. n. 11400/14; cfr. anche Cass. nn. 3479/71, 1724/77, 2593/03, 28663/13, 603/13, 2072/13). 30 Nella pattuizione contrattuale l’importo della rata discende dall’impiego del TAN in regime composto che esprime nel calcolo la maggiorazione indotta dalla capitalizzazione degli interessi. La violazione si annida nella pattuizione: come menzionato, il pagamento, in ragione semplice, dell’indebita maggiorazione prevista nella pattuizione, riversandosi in una corrispondente maggiorazione dell’obbligazione principale, per i vincoli stessi di chiusura del piano, riconduce il prezzo ex art. 1284 c.c. al tasso espresso dal TAN indicato in contratto, su valori maggiorati di entrambe le obbligazioni. Ogni obbligazione accessoria, ricavata dall’impiego del regime composto, può alternativamente essere pagata impiegando il medesimo tasso in regime semplice su un’obbligazione principale più elevata, spesando interamente nella rata costante, in ragione semplice, gli interessi maturati sul debito residuo. Nella circostanza è la tipologia dell’accordo che determina il regime finanziario, non l’imputazione degli interessi. Se la pattuizione raccoglie l’assenso sull’obbligazione principale (ammortamento a quota capitale costante), l’anticipato pagamento degli interessi sul debito residuo non induce alcun incremento dell’obbligazione accessoria rispetto al regime semplice; al contrario, se la pattuizione
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Occorre considerare distinti il parametro giuridico espresso dal tasso ex art. 1284 c.c. e il parametro matematico espresso dal TAN impiegato nell’algoritmo di calcolo del piano. La norma non contempla l’indicazione del TAN. Il tasso indicato in contratto, prima ancora di essere riferito al parametro di calcolo impiegato nella costruzione del piano, deve, a norma dell’art. 1284 c.c. e dell’art. 117 t.u.b., indicare il saggio di interesse in ragione d’anno, espressivo della misura del prezzo dato dall’obbligazione accessoria. Nei piani di ammortamento a rata costante, definiti in contratto il finanziamento, il prezzo ex art. 1284 c.c. e la periodicità, rimane ininfluente e ridondante l’indicazione del TAN: alla misura del tasso ex art. 1284 c.c. riportato in contratto, la matematica finanziaria, nel regime proporzionale, esprime un’obbligazione accessoria minore e un’obbligazione principale più accelerata nei rimborsi periodici. Con il valore della rata costante, ottenuto impiegando il TAN nella formula inversa del regime composto [R=C/∑1/(1+i)k], si perviene a convenire un valore del titolo di debito accessorio maggiorato dell’anatocismo rispetto a quello riveniente dal regime semplice [R=C/∑1/(1+k*i)]; quest’ultimo, nel rispetto della condizione elementare di chiusura tipica del piano di ammortamento [C= C1 + C2 ... + Cn], consentirebbe anche di adottare il criterio di imputazione degli interessi maturati calcolati sul debito residuo ma gli stessi vincoli di chiusura del piano imporrebbero l’impiego di un TAN minore del saggio ex art. 1284 c.c. indicato in contratto e utilizzato per il calcolo della rata. All’indicazione del prezzo ex art. 1284 c.c. riportato in contratto corrisponde, nella matematica finanziaria, il rapporto di proporzionalità esprimente un valore dell’obbligazione accessoria, e quindi della rata, inferiori al valore indicato in contratto. Per tale valore, con l’imputazione nella rata degli interessi calcolati sulla quota capitale in scadenza, i vincoli di chiusura del piano esprimono un TAN in regime semplice pari al prezzo indicato in contratto; con l’imputazione nella rata degli interessi calcolati sul debito residuo, i vincoli di chiusura del piano, esprimono un TAN inferiore al tasso ex art. 1284 c.c. indicato in contratto, corrispondente all’equivalente tasso in regime composto. Nell’esempio il prezzo
è direttamente raccolta sull’obbligazione accessoria maggiorata (ammortamento a rata costante), con l’anticipato pagamento degli interessi sul debito residuo e l’impiego di un tasso pari al TAN indicato in contratto, si viene a mistificare il prezzo rapportando l’obbligazione accessoria ad un’obbligazione principale più alta, ma il costo risulterà sempre ragguagliato ad un prezzo maggiore di quello del regime semplice.
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risulta espresso dal tasso (10%) impiegato in regime semplice per determinare il valore della rata, distinto dal TAN (9,19%) impiegato nella costruzione del piano di ammortamento, con imputazione degli interessi calcolati sul debito residuo (il prezzo che scaturisce dal piano non risulterebbe significativo, in quanto espressivo del regime composto).
Come accennato, con la rata ottenuta dalla formula del regime composto sopra indicata, l’obbligazione accessoria rimane definita in contratto nel valore maggiorato dell’anatocismo, a prescindere dalla scelta del criterio di imputazione. Ne consegue che, se gli interessi imputati, anziché essere calcolati in termini composti sulla quota capitale in scadenza (Tav. 3.C), vengono calcolati in termini semplici sul debito residuo (Tav. 3.B), si ottiene la medesima rata: il piano di ammortamento risulta del tutto equivalente – stessa rata, stesso debito residuo, stesso monte interessi – ma con l’ordine delle rate (e quindi delle loro imputazioni) invertito (la prima eguale all’ultima, la seconda alla penultima, ecc.).
Matematicamente, risulta invertito l’ordine temporale delle rate e quindi la loro composizione, ma il regime finanziario è sempre quello composto che esprime, in modalità diverse, la medesima obbligazione
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accessoria, già propedeuticamente definita nel valore maggiorato espresso in contratto. Ma, invertendo l’ordine delle rate, sul piano giuridico si modifica l’obbligazione principale, nella sua espressione di sintesi data dal valore medio di periodo. Può sembrare il gioco delle tre carte: rimanendo inespresso in contratto il criterio di imputazione nei distinti valori periodali dell’obbligazione principale e accessoria, con la medesima rata, prevedendo nell’allegato un ordine temporale di imputazione invertito, la medesima risultanza matematica verrebbe ad assumere risvolti giuridici opposti. Al di là della rata costante indicata in contratto, rimane pressoché impossibile all’operatore retail avvedersi dell’inversione delle imputazioni al capitale e del conseguente ampliamento del finanziamento medio. Non vi è in contratto alcuna menzione al riguardo che possa supportare una consapevole adesione, né questa può essere dedotta dalla serie indifferenziata di valori riportati in allegato, privi di ogni indicazione delle modalità costruttive. Con il sorprendente paradosso, per i non iniziati alla matematica finanziaria, che gli interessi maturati sul debito residuo risultano, ad ogni scadenza, pagati, ma tale anticipazione nel pagamento non induce alcun beneficio nel monte interessi corrisposto, che rimane quello incluso nella rata, maggiorato rispetto al regime semplice, nella medesima misura che si riscontra nella capitalizzazione anatocistica di Tav. 3.C31. Il cliente rimane ignaro dello scambio: le tre carte risultano identiche sul dorso (nell’esempio, valore della rata in regime composto = € 315,47), ma scambiate nella loro composizione. L’operatore che accede al finanziamento, valuta la sostenibilità della rata e negozia il prezzo espresso dal tasso ex art. 1284 c.c. ma, nella determinazione del valore della rata, il tasso indicato in contratto, senza alcun assenso del cliente,
31 La rata costante incontra un generale gradimento per la semplicità di gestione. Anche il pagamento anticipato degli interessi presenta un apprezzabile favore, per i riflessi fiscali che ne conseguono. Tuttavia, occorre osservare che nell’ammortamento a rata costante (alla francese) il carico economico, nelle due tradizionali alternative di imputazione degli interessi, è il medesimo dello Zero coupon. La maggiorazione dell’obbligazione accessoria, rispetto al regime semplice, in un caso viene rappresentata come interessi anticipati, nell’altro come interessi capitalizzati; contabilmente e fiscalmente, con la prima si consegue un’anticipazione nei costi di esercizio, con la seconda si consegue un’anticipazione nel rimborso del capitale. Per contro, l’intermediario finanziario trae ulteriori non trascurabili benefici sul piano del trattamento giuridico con riguardo all’ipoteca (art. 2855), alla prescrizione (art. 2948 c.c.), al privilegio (art. 2749) e alla cessione del credito (art. 1263 c.c.).
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viene impiegato in regime composto e viene invertito l’ordine di composizione delle rate: il valore della rata risulta più alto del prezzo ex art. 1284 c.c. convenuto, che rimane quello corrispondente al regime semplice. Non si riscontrano plausibili ragioni tecnico-economiche per ritenere che, per il medesimo importo, tasso ex art. 1284 c.c. e rata costante, il piano di ammortamento – la cui determinazione è rimessa nella discrezionalità dell’intermediario – possa in un caso ritenersi viziato da anatocismo (produzione di interessi su interessi) e nell’altro, capovolgendo l’ordine di successione temporale delle imputazioni della rata, ritenersi formalmente immune da anatocismo, ancorché esprima il medesimo regime finanziario composto, con il medesimo esito economico (cfr. Tav. 3.B e 3.C). L’anatocismo - matematicamente riflesso nella dipendenza, diretta e proporzionale, degli interessi correnti agli interessi pregressi, capitalizzati o pagati – risulta tecnicamente presente, ancorché celato nelle pieghe di rilevanti omissioni di trasparenza32. Ciò che rileva giuridicamente è il rapporto fra le due obbligazioni, principale ed accessoria, stabilite originariamente in contratto, che esprime un tasso ex art. 1284 c.c. che si discosta dal TAN indicato in contratto, impiegato in regime composto, anziché semplice. Nell’ammortamento alla francese l’obbligazione accessoria viene prima definita nel valore maggiorato del regime composto con capitalizzazione degli interessi, come nel finanziamento Zero coupon, per poi essere distribuita con pagamento anticipato alle distinte scadenze, come in un ordinario finanziamento Bullet. Diversamente, nell’ammortamento a quota capitale costante (all’italiana), in assenza di vincoli riferiti alla rata, gli interessi corrisposti anticipatamente si riversano nella rata senza alcun roll over del debito a rimborso, che rimane invariato nell’importo pattuito; di riflesso, il paga-
32 Non può trascurarsi l’ambito contrattuale nel quale intervengono le operazioni creditizie. «Siamo dell’avviso che l’autonomia privata (della quale gli usi, normativi o negoziali che siano, rappresentano un’evidente emanazione) debba essere lasciata libera da vincoli, fintanto che le regole che vengono create costituiscono la risultante di una (almeno potenziale) effettiva negoziazione tra le parti: quando ciò non accade – e quella delle relazioni tra istituti di credito e clientela (specie se si tratta di consumatori, ma anche di piccole e medie imprese) rappresenta indiscutibilmente un esempio paradigmatico di siffatta situazione –, è allora condivisibile che intervenga la norma, affinché la libertà contrattuale, la quale per affermarsi “deve ignorare la disparità di potere contrattuale”, non si riduca a “vuota formula”» (Colombo, Gli interessi nei contratti bancari, Roma, 2014).
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mento anticipato dell’obbligazione accessoria, rispetto alla scadenza del capitale, non presenta alcuna lievitazione esponenziale, così come si riscontra negli ordinari finanziamenti Bullet.
4. L’ammortamento a rata costante (alla francese): trasparenza. Se con la rimozione della deroga all’art. 1283 c.c. unita alla nuova formulazione dell’art. 120 t.u.b., sono emerse le criticità in tema di anatocismo che, come evidenziato, interessano esclusivamente l’ammortamento a rata costante (alla francese), con le rilevanti implementazioni intervenute nelle norme di trasparenza, la contrattualistica, che concerne più in generale i finanziamenti a rimborso graduale, rimasta in buona parte invariata nel tempo, presenta lacune ed opacità che risultano confliggere con i più stringenti dettami posti dalle norme di trasparenza, correttezza e buona fede. L’operatore che accede al finanziamento sostanzialmente negozia il prezzo espresso dal tasso ex art. 1284 c.c. Nell’ammortamento alla francese in particolare, impiegando il medesimo tasso come parametro di calcolo (TAN) in capitalizzazione composta degli interessi, risulta alterata la metrica del prezzo ex art. 1284 c.c. Al prezzo ex art. 1284 c.c. la corrispondente obbligazione accessoria è matematicamente, univocamente determinata dal regime semplice: come mostrato, nell’ammortamento alla francese, al TAN impiegato in regime di capitalizzazione degli interessi corrisponde un prezzo ex art. 1284 c.c. privo di significato in quanto implicante, contrariamente a quanto stabilito dall’art. 1284 c.c., per la medesima obbligazione accessoria, prezzi diversi, dipendenti dai tempi di pagamento (cfr. Allegato 2). I manuali di matematica finanziaria, adeguandosi agli usi uniformemente impiegati sul mercato finanziario, associano ormai l’ammortamento a rata costante alla capitalizzazione composta, con gli interessi della rata calcolati sul debito residuo. Ma, come evidenziato, questa non è l’unica alternativa che la scienza finanziaria offre per i piani a rata costante: è solo un uso o consuetudine negoziale, convenuto nel mercato finanziario, trasposto ed ‘imposto’ nei contratti predisposti dagli intermediari bancari nel mercato del credito.33 Un uso, pur radicato nel tempo
33 «Va evidenziato che dopo l’entrata in vigore del codice del 1942 gli usi bancari hanno teso sempre più a modellarsi, sino a coincidere perfettamente, con le regole
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– che investe, oltre all’ammortamento a rata costante, buona parte dei finanziamenti a rimborso graduale – non può assumere una qualche pregnanza normativa e/o di legittimità negoziale. 34 Nell’ammortamento a rata costante (alla francese) la convenzione riportata nell’enunciato del contratto attiene all’obbligazione accessoria definita esclusivamente nel suo valore complessivo (somma rate, decurtata del capitale), che esprime un valore più alto di quello che la matematica finanziaria attribuisce al tasso ex art. 1284 c.c. impiegato nel rapporto proporzionale del corrispondente regime semplice. Se il contratto non riporta né il regime finanziario né il criterio di calcolo degli interessi, rimangono escluse dalla pattuizione le imputazioni nella rata, sia dell’obbligazione principale sia dell’obbligazione accessoria: rimanendo implicito il regime semplice evocato dagli artt. 821 c.c. e 1284 c.c., si palesa il contrasto fra l’importo dell’obbligazione accessoria e il tasso ex art. 1284 c.c. espressi in contratto. La lunga serie di valori numerici riportati nell’allegato non soddisfa il dettato dell’art. 117 t.u.b. in quanto nulla dice dei criteri di imputazione che rimangono celati nella discrezionalità dell’intermediario35.
uniformi elaborate dall’Associazione Bancaria Italiana, le cosiddette N.B.U., assurte al ruolo di vera legge regolatrice dei contratti bancari. È così accaduto che, in luogo di usi osservati spontaneamente nella prassi degli affari, si siano venute affermando regole predeterminate da operatori economici e da gruppi di imprese che, elaborate inizialmente come modelli tipo di contratto ed osservate generalmente ed uniformemente dagli operatori del settore, sono state sovente selezionate ed immesse nelle raccolte delle camere di commercio, finendo con l’integrarsi, modificandola, nella disciplina pressoché di ogni tipo di contratto bancario. Alla luce della sua genesi, appare, quindi, privo di significato il rilievo, ripetutamente formulato rispetto a tale normativa uniforme, circa la sua inidoneità a contemperare equamente i contrapposti interessi dei contraenti’» (Porcelli, La disciplina degli interessi bancari tra autonomia ed eteronomia, Napoli, 2003). 34 «Ora, se si considera che alla base del divieto del rinvio agli usi di piazza per la determinazione degli interessi (v. art. 117, comma 6, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385) vi è l’interesse a tutelare la consapevolezza del cliente circa l’effettivo contenuto del contratto che sta per sottoscrivere e se si ritiene questo interesse, nell’attuale sistema, di fondamentale importanza (quindi di portata generale), non vi dovrebbero essere ostacoli teorici per ritenere che l’art. 117, comma 6, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (t.u.b.) contenga in sé un divieto generale per qualsiasi forma di relatio. E ciò proprio perché detto meccanismo, consentendo solo una valutazione ex post e non ex ante del contenuto contrattuale, si pone in contrasto insanabile con l’esigenza di certezza/consapevolezza che la forma è chiamata a svolgere in un sistema ispirato al principio di trasparenza» (Verdi, Funzione della forma prescritta dall’art. 1284, 3° comma, c.c. e principio di trasparenza, in Giur. it., 2007, 11, p. 2621). 35 Osserva Camardi: «posto che il contratto di mutuo deve contenere e di solito contiene tutti gli elementi idonei a determinare con chiarezza e trasparenza l’operazione finan-
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La mancata esplicitazione del regime finanziario adottato induce, quindi, un’indeterminatezza dell’operazione per la palese contraddizione fra l’importo della rata e il prezzo espresso dal tasso ex art. 1284 c.c. indicato dal TAN. Il vizio nella formazione del consenso è ravvisabile nella circostanza che l’’elaborato finale’ costituito dall’allegato mutua l’applicazione di condizioni ultronee, non espresse nel corpo del contratto, né nell’allegato stesso. La discrasia del prezzo ex art. 1284 c.c. con l’obbligazione accessoria e la riflessa indeterminatezza si ravvisano, più che negli importi da corrispondere, nei criteri adottati per la loro determinazione. L’allegato rimane, per il soggetto che vi aderisce, un puntuale e dettagliato elenco di importi, privi tuttavia di corrispondenza a criteri espressi e concordati: qui si cela l’ingannevole opacità che viene subìta acriticamente, apparendo i valori riportati in allegato come univocamente determinati dall’enunciato contrattuale.36 Né l’indetermi-
ziaria programmata, con particolare riguardo al tasso di interesse, alla maturazione degli interessi e alla relativa capitalizzazione, nei modi e nelle forme in cui è consentita, e alla durata, oltre che alle garanzie, etc; si può dire che il piano di ammortamento ne costituisce l’accordo esecutivo, nel quale le parti attuano e sviluppano matematicamente gli accordi già presi sui tassi e sulla durata del mutuo attraverso un prospetto di rate, delle quali si indica la scadenza esatta, nonché la composizione interna, con riguardo alla quota capitale e alla quota interessi. Il valore precettivo del piano di ammortamento, dunque, è innegabile, perché la scadenza delle singole rate, ad esempio, è decisiva per la definizione della diligenza del mutuatario e della puntualità del pagamento, nonché per l’eventuale messa in mora dello stesso, con tutte le conseguenze del caso; mentre la distribuzione delle stesse negli anni definisce la posizione del mutuatario con riguardo all’esercizio di altri eventuali diritti stabiliti nel contratto, ad esempio il diritto all’estinzione anticipata; e quella del mutuante con riguardo, ad esempio, al diritto alla risoluzione per inadempimento nel pagamento esatto e puntuale delle rate. E tuttavia tale valore precettivo andrebbe di regola individuato in ogni suo aspetto in relazione alle previsioni contenute nel contratto di mutuo, ed è perciò – se ci si consente il bisticcio – “mutuato” da quest’ultimo, del quale è accordo esecutivo, suscettibile perciò di oggettivo sviluppo sulla base delle regole tecniche matematiche normalmente adottate nella prassi degli operatori. In caso di dubbio o incompletezza del piano, pertanto, il giudice dovrebbe poterlo sviluppare applicando le ordinarie regole di interpretazione del contratto. In caso di errore nel computo delle rate o della loro composizione interna, invece, si dovrebbe poter rimediare attraverso la rettifica. E ciò pure nel caso in cui si rinvengano calcoli del tutto incoerenti con le clausole del contratto di mutuo, cioè rate e computi non connessi logicamente e matematicamente con le clausole del contratto relative agli interessi o alla durata del mutuo; nel qual caso però sarebbe pure da valutare la buona o mala fede, ovvero il dolo della banca, agli effetti dell’annullamento del contratto o dell’applicazione dell’art. 1440 c.c.» (Camardi, Mutuo bancario, cit.). 36 Per il credito al consumo, la Direttiva 2008/48 non prevede la tabella di ammortamento con la composizione delle rate in capitale ed interessi, ma esclusivamente il piano
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natezza, in contratti di adesione, può essere superata dalla circostanza che i criteri di imputazione e calcolo possono essere desunti dai valori numerici riportati nel contratto, attraverso calcoli matematici induttivi, propriamente non elementari37. Al mutuatario rimane ignota la presenza stessa delle scelte effettuate, nella convinzione che siano rispondenti ai principi di proporzionalità ex artt. 821 c.c. e 1284 c.c., univocamente determinati dalla scienza finanziaria, una volta definiti i termini riportati nell’enunciato del contratto38. Ogni residua volontà di consapevolezza che possa essere raggiunta decifrando, in via induttiva, i criteri di computo dei valori riportati in allegato al contratto, scema nell’ignavia del cliente, indotta dalla scontata posizione di debolezza nel dover subire le regole dettate dalla banca
di rimborso con l’indicazione dell’importo della sola rata, del numero e periodicità dei pagamenti, nonché del tasso debitore e delle condizioni che ne disciplinano l’applicazione. Risulterebbe alquanto più significativa l’indicazione in contratto del regime finanziario, del criterio di calcolo degli interessi e del relativo monte complessivo che ne deriva, rispetto ad una mera elencazione tabellare in allegato di importi che, noto l’importo della rata, da soli, poco o nulla aggiungono nell’acquisizione della consapevolezza dell’impegno assunto. 37 In termini puntuali e circostanziati la sentenza n. 3968/14 della Cassazione fa espresso riferimento all’obbligazione accessoria costituita appunto dal monte interessi, precisando: «Per la determinatezza e determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione accessoria ad essi relativa, è bensì indispensabile che gli elementi estrinseci od i parametri della determinazione degli interessi ad un tasso diverso da quello legale siano specifici». La sentenza n.25205/14 sempre della Cassazione ha avuto modo di stabilire: «È valida la clausola di determinazione degli interessi corrispettivi per la quale è sufficiente che l’oggetto del contratto sia determinabile: il requisito di determinabilità richiede che siano semplicemente identificati i criteri oggettivi in base ai quali fissare l’esatto contenuto delle obbligazioni dedotte, facendo ricorso, ad esempio, a calcoli di tipo matematico.(...) Ciò che importa, onde ritenere sussistente il requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto di cui all’art. 1346 cod. civ. (rispetto al quale l’art. 1284 cod. civ. contiene l’ulteriore previsione dell’onere di forma per la convenzione di interessi superiori alla misura legale) è che il tasso d’interesse sia desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante, anche quando individuato per relationem. In quest’ultimo caso, mediante rinvio a dati che siano conoscibili a priori (cfr. già Cass. n. 2765/92 e n. 7547/92 cit. in ricorso, nonché Cass. n. 22898/05, n. 2317/07, n. 17679/09, tra le più recenti) e siano dettati per eseguire un calcolo matematico il cui criterio risulti con esattezza dallo stesso contratto. I dati ed il criterio di calcolo devono perciò essere facilmente individuabili in base a quanto previsto dalla clausola contrattuale, mentre non rilevano la difficoltà del calcolo che va fatto per pervenire al risultato finale né la perizia richiesta per la sua esecuzione». 38 Oltre tutto, nei finanziamenti a tasso variabile e nelle operazioni di leasing finanziario, il piano di ammortamento viene omesso o riporta una prospettazione parziale degli importi da riconoscere alle singole scadenze.
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per poter fruire del servizio di credito, che gli sarebbe precluso se non accettasse passivamente le clausole predisposte dalla banca, espresse o solo implicite. Nell’ammortamento a rata costante (alla francese), accanto all’anatocismo e con esso commisto, si ravvisano dunque rilevanti criticità sul piano della trasparenza. In tutto o in parte, talune carenze di trasparenza si riscontrano anche nei piani di ammortamento di altro tipo. Nella Direttiva sul credito al consumo 2008/48/CE, recepita nell’art. 117 t.u.b., tra le informazioni da inserire nei contratti, si prevede «il tasso debitore e le condizioni che ne disciplinano l’applicazione, ...». Tra queste ultime non sembra si possa ‘tacere’ il regime di capitalizzazione composta, né tanto meno il criterio di calcolo degli interessi, senza i quali non è possibile conseguire un’univoca determinazione del prezzo, né un consapevole consenso sull’impegno assunto39. L’omessa indicazione in contratto del regime composto, nonché dell’imputazione degli interessi nella rata, calcolati sul debito residuo, determina un vizio del consenso, con violazione dell’art. 117, co. 4 del t.u.b. e l’applicazione del 7° comma del medesimo articolo. Occorre altresì osservare che, anche nel rispetto del principio che «il pagamento fatto in conto capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi» (art. 1194, co. 2 c.c.), possono darsi modalità diverse - tutte legittime - di comporre la rata in quota capitale e quota interessi, evitando che il pagamento del capitale preceda il pagamento degli interessi allo stesso attribuiti. Ma, in assenza di un consapevole assenso del mutuatario, il pagamento della rata, in una rigorosa rispetto del principio che sottende l’art. 1194 c.c., non può che essere rivolto alla quota capitale in scadenza e agli interessi semplici resi liquidi ed esigibili con essa40.
39 L’impiego del regime composto nei contratti di adesione predisposti dagli intermediari costituisce un’evidente espressione dell’asimmetria contrattuale ed informativa, radicata nel tempo, ancor prima dell’introduzione delle norme di trasparenza, correttezza e buona fede. Nell’inconsapevole acquiescenza, impossibilità e dipendenza dell’operatore che accede al credito, è divenuta ormai una prassi reiterata nel tempo, tanto da apparire ordinaria e legittima. Il sistematico impiego, da parte degli intermediari bancari, del piano di ammortamento uniformemente concepito in capitalizzazione composta e interessi calcolati sul capitale in essere a ciascuna scadenza, ha quasi fatto perdere le tracce dei piani di ammortamento sviluppati in capitalizzazione semplice: nei più recenti manuali di tecnica finanziaria al più vengono accennati, senza essere trattati (cfr. Marcelli, Ammortamento alla francese: il regime composto e l’anatocismo. L’egemonia della finanza sull’economia reale, in assoctu.it, 2019). 40 In assenza di una diversa e legittima convenzione, l’operatività del criterio di impu-
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Come accennato, il mutuatario, con l’unica indicazione in contratto della rata costante, è indotto a ritenere che non vi siano alternative e sia univocamente determinato il piano di ammortamento secondo i principi di proporzionalità temporale previsti dall’art. 821 c.c., informati al regime semplice di calcolo degli interessi. Al vizio del consenso si associa d’appresso l’effetto sorpresa previsto dall’art. 1195 c.c.41. Il testo di questa norma, osserva Dolmetta42 – già per sé stesso univoco e chiaramente applicativo del canone di buona fede ex art. 1375 c.c. – risulta incentrato sui seguenti profili di fondo: l’imputazione è una di quelle materie dove occorre tenere in conto particolare i ruoli (competenza, professionalità, cultura, …) delle parti; se il rapporto è dispari, il creditore non può “sorprendere” il debitore, nel senso puntuale che lo stesso deve conformarsi all’ ‘imputazione che il debitore aveva interesse di fare’ sul piano oggettivo. Non appare propriamente preordinato ad evitare la ‘sorpresa’ ex art. 1195 c.c. far semplicemente riferimento all’ammortamento alla francese, o limitarsi a dire ‘a quote capitale crescenti’ ed omettere di esplicitare compiutamente i termini del regime finanziario e del criterio di calcolo adottato43.
tazione legale dell’art. 1194 c.c. viene dalla giurisprudenza circoscritta alla contemporanea sussistenza dei requisiti di liquidità ed esigibilità, sia del capitale che degli interessi (Cass. n. 10941/16, 6022/2003, 20904/2005, 9510/2007 e 16448/2009), che si ravvisano, per i piani di ammortamento, per la quota capitale in scadenza, non per il debito residuo. 41 Nell’ammortamento alla francese, nelle modalità nelle quali è espresso l’enunciato pattizio, risulta assai frequente riscontrare a posteriori lo stupore e sorpresa della clientela retail che, dopo aver pagato per più anni le rate del mutuo, realizza di aver pagato prevalentemente interessi e costata un debito residuo eccessivamente elevato; non ne comprende la motivazione, riconducibile effettivamente ai maggiori esborsi rispetto al regime semplice: questa ‘sorpresa’ palesa una modesta emancipazione finanziaria ma, al tempo stesso, denuncia un sostanziale vizio del consenso, riconducibile all’originaria carenza di informazione e alle ermetiche peculiarità enunciative e di calcolo del regime finanziario composto, impiegato senza essere specificatamente convenuto in contratto. Senza una puntuale e circostanziata esplicitazione in contratto del regime finanziario e del sistema di calcolo degli interessi, si può ben configurare una significativa e sostanziale ‘sorpresa’ del debitore, come vizio negoziale ex art. 1195 c.c. 42 In Trasparenza nei prodotti bancari. Regole, Bologna 2013, p. 180. 43 «Di solito si ritiene che la conformazione delle rate secondo il metodo di ammortamento alla francese – per quota capitale e quota interesse – non dia luogo, in quanto tale, a fatti anatocistici (così Trib. Modena, 11 novembre 2014, in Il caso.it; ABF Napoli, 8 luglio 2014, n. 4429). Simile struttura sembra legarsi, piuttosto, a un peculiare meccanismo di imputazione delle somme che il debitore viene via via a versare. Va peraltro registrata anche l’opinione secondo cui comunque l’”imputazione dei pagamenti fatta prima agli interessi produce un effetto anatocistico perché in generale contraria alla
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Prima della legge n. 147/2013 e della successiva n. 49/16, che ha disposto la nuova formulazione dell’art. 120 t.u.b. oggi vigente, l’art. 6 della Delibera CICR 9 febbraio ’00 ex lege 342/99 prevedeva che le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non avessero effetto se non fossero specificatamente approvate. Ma prima ancora di essere specificatamente approvate, quale che sia la periodicità e il regime adottato, devono essere specificatamente riportate nel testo del contratto, attraverso modalità compiutamente acquisibili alla consapevolezza del prenditore44. Non si possono trascurare gli obblighi di trasparenza che – nell’enforcement impresso da dottrina e giurisprudenza – si sostanziano travalicando il dovere di far conoscere nel dovere di far comprendere. Il dovere di informazione discende direttamente dall’art. 1337 c.c. che sancisce la responsabilità del creditore reticente, tanto più che, trattandosi di contratti predisposti, si deve applicare la regola di semplice conoscibilità dell’art. 1341, co. 1, c.c. e all’occorrenza dell’art. 1184 c.c.45. Le criticità menzionate richiamano d’appresso la norma dell’art. 127 t.u.b. che, per la trasparenza e correttezza dei rapporti con la clientela, ammette la derogabilità soltanto ‘in senso più favorevole al cliente’ e l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 117, co. 746.
legge dell’interesse semplice”. In ogni caso – nella non difficile ipotesi in cui il cliente rimanga “sorpreso” dei risultati pratici in cui il meccanismo in concreto risulta condurre – potrà trovare applicazione la struttura rimediale disposta dall’art. 1195 c.c.» (Dolmetta, Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle clausole “da inadempimento”), in Riv. dir. banc., 2015). 44 Detto articolo conserva il suo potere dispositivo traendo la sua fonte dalle norme di trasparenza (art. 115 t.u.b.), per i finanziamenti che eventualmente dovessero derogare dal divieto di anatocismo riportato nella nuova formulazione dell’art. 120 t.u.b. 45 La stipulazione di un contratto valido ed efficace non sembra costituire un limite all’azione risarcitoria per la violazione dell’art. 1337 c.c.: «la regola posta dall’art. 1337 cod. civ. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. Ne consegue che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto (Cass. n. 24795/2008; n. 6526/2012)’» (Cassazione, ordinanza n. 23873/13). 46 «Con riferimento all’art. 117 t.u.b., si osserva innanzitutto che tale disposizione si inserisce nell’ambito del titolo del testo unico dedicato alla «trasparenza delle condi-
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Nello squilibrio normativo, che attiene agli assetti di interessi definiti nel contratto di finanziamento a rimborso graduale, l’opacità stessa della formulazione contrattuale, che viene necessariamente a coinvolgere il contenuto economico del sinallagma, consente uno specifico sindacato sotto il profilo della vessatorietà: le pregnanti carenze che pervadono i termini dello scambio, impeditive di una piena consapevolezza degli impegni assunti, possono agevolmente sostenere un giudizio di abusività, con nullità relativa (di protezione), ferma restando l’efficacia del contratto.47 Come si è osservato in precedenza, l’anatocismo, interessa la modalità nella quale viene espresso il prezzo del finanziamento previsto dall’art. 1284 c.c., interessando, in qualche misura, aspetti che attengono alla trasparenza delle condizioni previste in contratto. L’ammortamento a rata costante (alla francese) presenta nei termini contrattuali apprez-
zioni contrattuali e dei rapporti con i clienti» (titolo VI, artt. 115 ss.). Non pare dubbio che la sua funzione – l’effetto che il legislatore intendeva conseguire nel positivizzarla – non sia, come è per la forma scritta di cui all’art. 1350 c. c., di «assicurare contro ogni dubbio la univocità dell’atto e di garantirne la serietà, rendendo avvertito chi la compie che l’atto ha conseguenze sociali le quali vanno maturamente ponderate»; ma, piuttosto, di garantire al cliente un’adeguata informativa sulle condizioni contrattuali, consentendogli di disporre di un testo contrattuale completo dove possa venire a conoscenza dell’interezza dei propri diritti ed obblighi nell’ambito del rapporto negoziale. Il fatto che quella in esame sia una «forma informativa» sembra confermato anche dal fatto che l’art. 117 t.u.b. (così come l’art. 23 t.u.f.) non richiede solamente la redazione per iscritto, ma anche la consegna di un esemplare al cliente: elemento che manifesta come la preoccupazione del legislatore non sia tanto di imporre una consacrazione formale dell’impegno contrattuale, ma piuttosto di fare acquistare alla disponibilità materiale del cliente un testo negoziale per la sua lettura (e auspicabilmente la sua comprensione)» (Moresco, Forma informativa, sottoscrizione della parte protetta e abuso del diritto in Riv. dir. banc., n. 1/2018). 47 L’art. 127, come modificato nel 2010, chiude il Titolo VI del t.u.b. dedicato alla trasparenza, sancendo in via generale che tutte le ipotesi di nullità menzionate nel Titolo «operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice». È chiaro l’intento di evitare abusi nei confronti del contraente debole: il menzionato 2° comma dell’art. 127 t.u.b. replica testualmente la formulazione dell’art. 36, 3° comma del d.lgs n. 206/05, c.d. codice di consumo, dove la nullità, denominata espressamente ‘di protezione’, è volta a sanzionare l’introduzione di clausole vessatorie nei contratti con i consumatori. All’art. 21 del Codice del Consumo si prevede: «È considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: ..... d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo».
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zabili margini di opacità ed indeterminatezza in una commistione che interessa al tempo stesso il divieto di anatocismo e gli obblighi di trasparenza, dove questi ultimi appaiono preposti a mascherare il primo: nella circostanza, ogni margine di dubbio risulta fugato dall’applicazione dell’art. 1370 c.c. Il regime finanziario composto, avvalorato dalla prassi indiscussa e funzionale al mercato finanziario, dove i principi di arbitraggio presidiano la concorrenza del mercato, è stato tout court esteso al mercato del credito, creando apprezzabili pregiudizi ai principi di equilibrio e protezione dell’operatore retail resi necessari dall’endemica assenza di concorrenza, oltre che dalla preponderante asimmetria contrattuale48. Le indicate criticità dell’anatocismo vengono ad essere traguardate sul piano della correttezza, buona fede e trasparenza, nella misura in cui l’effetto anatocistico, ravvisabile nell’evoluzione esponenziale degli interessi, possa essere accompagnato da carenze ed omissioni ravvisabili nella formulazione contrattuale, ravvisabili in particolare all’equivoco significato che può essere attribuito al tasso espresso dal TAN riportato in contratto, nella sua duplice funzione, di parametro di impiego nell’algoritmo di calcolo e di misura del prezzo ex art. 1284 c.c. Di fronte a pervasive forme di oligopolio del credito, che minano significativamente ogni forma di concorrenza, occorre evitare che la trasparenza
48 «Si tratta di elementi – la mancanza di trasparenza, l’unilateralità e l’arbitrarietà nell’attribuzione dei costi e quindi nella determinazione del prezzo del corrispettivo, l’occultamento di componenti rilevanti dei costi – che sono tipici di mercati nei quali vi è grande asimmetria tra le parti del contratto, ma che sono certamente aggravati laddove è consentito agli operatori economici di agire senza tener conto delle regole della concorrenza. Al contrario, la corretta valutazione dei prezzi e delle prestazioni nel libero mercato esigono un’adeguata rappresentazione e valutabilità della composizione degli oneri che gravano su ogni offerta di servizi. Se si considera che la pratica anatocistica nella sostanza costituisce per la banca un corrispettivo aggiunto rispetto agli interessi passivi che addebita al cliente, l’attribuzione di questo onere al cliente, se venisse effettuato nel rispetto delle regole e dei principi del libero mercato e della concorrenza, particolarmente a fronte di contestazioni così radicali e crescenti da parte della dottrina e della giurisprudenza, avrebbe potuto e dovuto essere tradotta in un corrispondente aumento dei tassi di interesse passivi, tale da un lato di consentire di recuperare i vantaggi del venir meno della capitalizzazione trimestrale e dall’altro di fornire una trasparente rappresentazione del costo effettivo del finanziamento. Se questo non è avvenuto, anzi se al contrario la banca ha opposto possibile resistenza ad un siffatto cambiamento, le ragioni sono da ricercare nella tutt’altro che realizzata concorrenza del sistema bancario, che costituisce uno dei profili di maggiore inefficienza del nostro sistema economico con tutti i riflessi sul piano dei rapporti giuridici tra privati» (Inzitari, Interessi, Torino, 2017).
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impiegata nei contratti di adesione assuma l’aspetto di un mero simulacro dietro il quale celare forme diffuse di prevaricazione. Il dovere di informazione e comprensibilità, che discende dall’art. 1337 c.c., integrato dai più ampi e pervasivi standard di trasparenza previsti dalla normativa bancaria, impongono un rigoroso presidio di conoscenza e consapevolezza nei rapporti di credito, fra chi il contratto lo predispone e chi il contratto lo subisce.
5. Conclusioni. Nell’ammortamento a rata costante (alla francese) la distinzione fra le due obbligazioni rimane avvolta in una coltre di opacità: risulta definita in contratto l’obbligazione accessoria esclusivamente nella sua unitarietà, mentre l’obbligazione principale nei valori periodali rimane inespressa, dipendente dalle imputazioni degli interessi nella rata, le cui modalità frequentemente rimangono anch’esse inespresse in contratto. Come menzionato, il contratto di finanziamento contempla due obbligazioni, quella principale, articolata nell’importo originario e nei successivi importi periodici (art. 1813 c.c.) e quella accessoria del compenso espresso dagli interessi (art. 1815 c.c.). Questa seconda obbligazione costituisce, in termini economici, il prezzo del finanziamento. Nell’ammortamento a rata costante (alla francese), nei termini contrattuali, all’autonomia giuridica delle due obbligazioni che compongono la rata, non corrisponde, nel regime composto, un’autonomia matematica, nel senso che, con il criterio di imputazione degli interessi, che frequentemente rimane inespresso nella pattuizione, attraverso il roll over dell’obbligazione principale, si induce una commistione ed interscambio fra le due obbligazioni che modifica il tasso espressivo del prezzo ex art. 1284 c.c. Il tasso ex art. 1284 c.c. è funzione dell’utilizzo del capitale e prescinde dalle modalità temporali di corresponsione dell’obbligazione accessoria, che invece divengono rilevanti nel regime composto. Il TAN, se viene impiegato in regime semplice, esprime compiutamente il rapporto proporzionale stabilito dall’art. 1284 c.c. Se, invece, viene impiegato in regime composto con capitalizzazione degli interessi, non esprime la presenza di interessi su interessi inclusi nell’algoritmo ed estranei al TAN impiegato nello stesso49: di riflesso il TAN può risultare
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Come mostrato nell’esempio riportato inizialmente, nel finanziamento Zero cou-
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inferiore al tasso ex art. 1284 c.c. che, invece, ricomprende tali interessi nel rapporto proporzionale dell’obbligazione accessoria all’obbligazione principale. Le criticità insorgono, sia rispetto agli artt. 1283 c.c. e 120 t.u.b. in quanto si realizza nella determinazione della rata in regime composto, una maggiorazione, rispetto al regime semplice, dell’obbligazione accessoria in essa inclusa, che configura una pattuizione anatocistica, sia rispetto agli artt. 821 e 1284 c.c. in quanto al tasso espresso dal TAN indicato in contratto, inteso quale prezzo ex art. 1284 c.c., corrisponde, nel rapporto proporzionale del regime semplice, una diversa e inferiore obbligazione accessoria50. Il divario corrisponde al carico di interessi su interessi crescente, rifluente dal TAN impiegato in regime composto che, nella stessa misura, si palesa nell’alternativa imputazione con calcolo degli interessi composti sulla quota capitale in scadenza. Nella Tavola che segue si dà conto della lievitazione esponenziale che distingue il regime composto dal regime semplice: sono riportati la rata e il monte interessi del piano di ammortamento a rata costante (alla francese) in funzione della durata. Come si evidenzia il divario fra i due regimi è progressivamente crescente con il tempo: un’analoga progressione si riscontra con l’aumento del tasso di riferimento51.
pon, sulla durata di quattro anni, al TAN del 10%, impiegato in regime composto, corrisponde un monte interessi di € 464,1, pari ad un prezzo ex art. 1284 c.c. dell’11,60%. Il TAN (10%) non esprime gli interessi su interessi (€ 64,1) ricompresi, invece, nel prezzo ex art. 1284 c.c. (11,60%). 50 E’ opportuno, inoltre, osservare che tutti i finanziamenti in essere, a prescindere dall’anno di stipula, vanno assoggettati al divieto di anatocismo nella formulazione espressa dal nuovo art. 120 TUB. Tale articolo, nella relativa Delibera CICR del 3 agosto 2016, viene applicato agli interessi maturati dal 1° ottobre 2016 prescrivendo: «I contratti in corso sono adeguati con l’introduzione di clausole conformi all’art. 120, comma 2, del t.u.b. e al presente decreto, ai sensi degli art. 118 e 126-sexies del TUB. (...) Per i contratti che non prevedono l’applicazione degli articoli 118 e 12-sexies del TUB, gli intermediari propongono al cliente l’adeguamento entro il 30 settembre 2016». Il menzionato disposto dell’art. 120 t.u.b. era già sostanzialmente previsto nella precedente stesura, entrata in vigore il 1/1/14. 51 Occorre altresì considerare che l’obbligazione principale, nell’espressione del valore medio periodale di finanziamento, è decrescente con il tempo nel regime semplice e tendenzialmente crescente nel regime composto con imputazione degli interessi sul debito residuo.
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In questo quadro, mutuando la pronuncia della Cassazione n. 2593 del 20 febbraio 2003, si può agevolmente riscontrare che “una somma di denaro mutuata, in un piano di ammortamento a rata costante (alla francese), al tasso d’interesse del dieci per cento annuo si raddoppia in ventiquattro anni; se invece gli interessi vengono capitalizzati ciò avviene in soli quindici anni circa”. L’impiego del regime composto, coerentemente con il concetto economico di prezzo, espresso in ragione d’anno dall’art. 1284 c.c., è consentito nella misura in cui non determini una lievitazione esponenziale dell’obbligazione accessoria ma la lasci invariata, ancorata all’esito proporzionale del regime semplice. La modalità con la quale venga diversamente conseguito un esito esponenziale dell’obbligazione accessoria, prospetta criticità ermeneutica da ricondurre alla violazione degli artt. 1283 c.c. e 120 t.u.b. (anatocismo) o, almeno in via mediata, per il tramite dell’art. 1343 c.c. (illiceità della causa) e/o dell’art. 1344 c.c. (negozio in frode alla legge). La presenza di anatocismo presenterebbe margini di esclusione solo se, come per l’ammortamento all’italiana, fosse chiaramente individuata l’obbligazione principale, non solo nel suo valore iniziale, ma anche nei suoi valori periodali. Parallelamente l’indeterminatezza della pattuizione verrebbe meno se fosse riportato chiaramente in contratto il criterio di imputazione degli interessi nella rata. Nella circostanza, implicitamente risulterebbero individuate per complemento anche le imputazioni a rimborso dell’obbligazione principale e di riflesso scemerebbe la criticità del roll over che muta in primari gli interessi secondari inclusi nel valore della rata costante. Per tale obbligazione principale periodale, che risulterebbe implicitamente definita in contratto nei valori alle distinte scadenze, il regime composto esprimerebbe il medesimo monte interessi del regime semplice, come nei contratti definiti sull’obbligazione principale (in particolare all’italiana). Permarrebbero comunque criticità
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di trasparenza per un contratto di adesione nel quale l’oggetto del contratto, dato dall’obbligazione principale nei suoi diversi valori periodali, non risulta compiutamente espresso in contratto, ancorché rimanga desumibile con un calcolo non propriamente elementare, dipendente dal criterio di imputazione adottato per gli interessi. 52 Anche volendo prescindere dalla natura anatocistica del regime finanziario composto – divenuta ancor più chiara alla luce del nuovo testo dell’art. 120 t.u.b., co. 2 – per scongiurare ogni effetto ‘sorpresa’ ex art. 1195 c.c., si imporrebbe comunque, nel testo del contratto, la precisazione del regime finanziario composto adottato nel piano di ammortamento, che conduce ad una lievitazione del monte interessi. Senza un’esplicita espressione, oltre che del calcolo della rata, della volontà del mutuatario sul rilevante quanto sfavorevole criterio di imputazione degli interessi calcolati sul debito residuo, appare ineludibile l’adozione del regime semplice con l’applicazione del principio dell’art. 1194 c.c. riferito al capitale liquido ed esigibile (quota capitale) ex art. 1282 c.c. Nella circostanza la criticità si pone sul crinale fra la violazione del divieto di anatocismo e quella del rispetto degli obblighi di trasparenza. Da un lato appare incontrovertibile che l’importo della rata e il TAN indicati in contratto, esprimono una pattuizione anatocistica, esponenziale con la durata del finanziamento, discosta dalla pattuizione proporzionale individuata dal regime semplice. Dall’altro lato, il TAN, senza l’indi-
52 Il piano di ammortamento riportato in allegato è parte integrante del contratto e viene a costituire, a tutti gli effetti, una clausola negoziale determinante per l’equilibrio economico del contratto, «con la conseguenza che in caso di estinzione del contratto anteriormente alla sua naturale scadenza, rappresenta l’elemento contrattuale al quale occorre far riferimento in via esclusiva ai fini del calcolo delle somme riscosse dal mutuante imputabili alla restituzione del capitale ovvero al pagamento degli interessi (Cass. 19 aprile 2002 n. 5703). Ne consegue che non può disconoscersi al documento che lo contiene la qualità di prova scritta delle somme dovute alle singole scadenze, ai fini del rispetto dell’art. 634 c.p.c.» (Cassazione n. 23972/10). Tuttavia, una parte integrante il contratto che impiega criteri e condizioni non previsti nell’enunciato, né espressi nell’allegato, rende inaccessibile, con l’ordinaria diligenza e conoscenza, la comprensione di tabelle numeriche esprimenti l’esito dei calcoli effettuati, contravvenendo alle elementari regole di trasparenza, correttezza e buona fede che presidiano il consapevole assenso del mutuatario. Che l’allegato non dispensi l’intermediario dal fornire i criteri di imputazione lo si evince anche dalla Direttiva sul credito al consumo che esclude addirittura la presenza in contratto del piano di ammortamento, mentre prevede l’indicazione puntuale delle condizioni (cfr. Corte di Giustizia europea, sentenza ECLI: EU:2016:842). D’altra parte, note queste ultime, risulta ridondante l’allegato, mentre non è altrettanto vero il contrario.
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cazione del regime e del criterio di imputazione, non individua univocamente l’obbligazione accessoria; ma, impiegato proporzionalmente in regime semplice, esprime un’obbligazione accessoria inferiore, mentre, se impiegato in regime composto, dà luogo a prezzi ex art. 1284 c.c. non significativi, in quanto diversi in funzione della tempistica di pagamento degli interessi che è estranea al concetto di tasso ex art. 1284 c.c. Con il criterio di imputazione degli interessi calcolati sul debito residuo, il TAN viene a coincidere con la misura percentuale del tasso ex art. 1284 c.c. indicata in contratto, ma l’obbligazione accessoria conserva il valore esponenziale del regime composto, riferito tuttavia in termini proporzionali ad un’obbligazione principale ampliata dal roll over indotto dai vincoli stessi di chiusura del piano. Il diverso carico degli interessi, riportato nel piano allegato al contratto, passa di regola inosservato, nella convinzione che sia univocamente rifluente dalle condizioni esaustivamente riportate nel contratto, con il TAN espressivo del prezzo, nell’ordinaria metodica di proporzionalità al finanziamento ricevuto. Non stupisce più di tanto che si continui a praticare l’ammortamento alla francese nelle modalità e nei termini impiegati correntemente da più decenni dagli intermediari, nonostante l’introduzione di rigorosi principi di trasparenza e la più recente evoluzione intervenuta nell’ordinamento in tema di anatocismo. Le peculiarità insite nell’architettura del piano di ammortamento a rata costante (alla francese) rimangono talmente complesse e nascoste nell’algoritmo di costruzione, che non solo lasciano il mutuatario ignaro dell’abuso subito, ma rendono anche difficile avvedersi della regola di equivalenza finanziaria che presiede e governa il contratto: ne è prova la serie innumerevole di pronunce che dall’interesse semplice applicato al debito residuo, hanno travisato la regola di equivalenza intertemporale che governa il piano, negando il regime composto che, al di là della forma, produce la lievitazione esponenziale del monte interessi53.
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La Banca d’Italia, nella sua funzione istituzionale di organo tecnico al servizio della Pubblica Amministrazione, svolge anche una nutrita assistenza alla magistratura, con incontri di formazione e aggiornamento, oltre a rapporti costanti e continuativi con le principali sedi di Tribunale. Tuttavia, attenta prevalentemente alla sua funzione istituzionale di stabilità del sistema bancario, intesa frequentemente in conflitto di interesse con la concorrenza del mercato, assegnata prevalentemente all’AGCM, la Banca d’Italia, nelle prestazioni professionali, come nelle indicazioni tecniche, appare ormai protesa a svolgere un ruolo di Super ABI, con indubbie commistioni e orientamenti volti a tutelare
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Come per i finanziamenti Zero coupon, la criticità dell’anatocismo si riduce ad un’esigenza di trasparenza del prezzo effettivamente richiesto al cliente54. Risulterebbe di maggiore trasparenza, fruibilità e comprensione, per l’esempio riportato, un’indicazione del TAN del 10,95% associato ad un regime finanziario semplice, in luogo del 10% espresso in regime composto: lasciando immutato il costo del finanziamento, si eviterebbero equivoci e tranelli informativi nei quali può facilmente incorrere l’operatore al dettaglio. Ne risentirebbe la domanda di credito ma risulterebbe, in pari misura, temperato il pernicioso fenomeno del sovra-indebitamento e dei fallimenti, favoriti dall’equivoca indicazione del TAN che esprime un tasso, impiegato in regime composto, minore del costo effettivamente corrisposto. L’evoluzione normativa di maggiore rigore nell’equilibrio e diligenza informativa dei contratti di adesione non ha indotto mutamenti di rilievo
più la stabilità patrimoniale degli intermediari bancari che la tutela degli operatori che accedono al mercato del credito. Le asfittiche condizioni di concorrenza in cui versa il mercato, creano un cuscinetto di salvaguardia nel quale vengono alimentate nutrite rendite di posizione, con tassi e condizioni di credito, apprezzabilmente al di sopra di quanto si riscontra negli altri paesi della Comunità Europea. Assai acuto e pervasivo è al riguardo il rilievo mosso recentemente da Dolmetta: «Il vigente sistema in materia (art. 5 t.u.b.) non tutela la stabilità in quanto tale del singolo ente creditizio, ma solo quella «complessiva» del relativo mercato. E pure erige a principi ordinanti dell’operatività di queste imprese «efficienza» e «competitività» del mercato, nonché «sana e prudente gestione» delle medesime, «trasparenza delle condizioni contrattuali» e infine «correttezza dei rapporti con la clientela» (art. 127 TUB). Giustificare, in termini aperti come pure criptici, soluzioni negoziali favorevoli all’impresa bancaria, perché protezionistiche della stabilità della stessa, significa premiare – e dunque incoraggiare per il futuro – dilettantismi manageriali e submanageriali (se non altro); significa premiare – e quindi sollecitare – la presenza di prassi distorte e di rendite di posizione (secondo una gamma di comportamenti davvero ampia: dagli spostamenti arbitrari delle valute, ancora oggi non di rado praticati, all’applicazione tout court di oneri economici non contrattualizzati). Significa, ancor prima che deprimere la concorrenzialita` del mercato, turbare la regolarità dello stesso: l’impresa, il cui comportamento irrispettoso delle regole non incontra sanzioni adeguate, si procura un vantaggio rispetto alle altre, così pure innescando un «effetto trascinamento» di queste ultime verso l’irregolarità. La stabilità dell’ente dovrebbe essere frutto della efficienza dello stesso. La stabilità in quanto tale – in quanto disgiunta dal risultato dell’efficienza, cioè – sta nel prevenire le crisi. Sta dunque, e in sintesi, non nello scaricare sulla domanda l’inefficienza dell’offerta, quanto invece nell’efficienza della cura preventiva di quest’ultima’ (Dolmetta, Efficienza del mercato e “favor naturalis” per le imprese bancarie, in Riv. dir. civ. n. 5/2018). 54 Già nel 1992 Nigro riconduceva l’anatocismo all’interno della tematica della trasparenza (v. La legge sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari: note introduttive, in Dir. banc., 1992, I, p. 421).
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nella stesura dei contratti relativi ai finanziamenti a rimborso graduale: reiterando modelli pattizi resi ormai obsoleti e superati dai nuovi più stringenti presidi di correttezza e trasparenza, è mancata una revisione critica e, altresì, un’attenta riflessione sui nessi fra la scienza finanziaria e i principi di diritto che vengono gradualmente riformandosi, per cogliere una sintesi che meglio riconcili i principi inalterabili della scienza finanziaria, con la necessaria flessibilità dei principi giuridici, chiamati a mediare opposte esigenze e temperare omissioni, carenze e squilibri che frequentemente pervadono il mercato del credito. La diffusa giurisprudenza, che si è reiteratamente occupata dei finanziamenti a rimborso graduale, in particolare dei piani di ammortamento alla francese, non sembra abbia fornito convincenti soluzioni ai pregnanti dubbi, perplessità e criticità che insorgono quando le regole della matematica finanziaria vengono ad interagire con i principi che governano il diritto: all’evidenza, la nutrita giurisprudenza di questi ultimi anni manifesta una coazione a ripetere labili argomentazioni e nessi logici intrisi spesso di opacità e pregiudizio55.
Roberto Marcelli Abstract Il tasso annuo nominale non si identifica propriamente con il tasso ex art. 1284 c.c.: la differenza risulta cruciale e gioca un ruolo rilevante nell’ammortamento alla francese, differentemente dall’ammortamento all’italiana. Nei piano di rimborso ordinariamente utilizzati dagli intermediari finanziari, in contrasto con l’art. 1283 e 1284 c.c., l’ammortamento alla francese, senza alcuna indicazione contrattuale, contempla l’impiego del regime composto. Ne derivano palesi criticità che investono sia la legittimità dell’utilizzo del regime composto, sia la violazione dei principi di buona fede, correttezza e trasparenza. ***
55 Le contestazioni e i ricorsi in materia di finanziamenti a rimborso graduale non risultano affatto sopiti e la stessa giurisprudenza non sembra aver trovato al riguardo un approdo unanime e definitivo. Nel corso degli ultimi tempi la tematica è riemersa trovando una significativa accoglienza (cfr. Corte d’appello Campobasso, 5 dicembre 2019, n. 412; Trib. Cremona, 28 marzo 2019; Trib. Roma, 29 maggio 2019; Trib. Massa, 13 novembre 2018 e 7 febbraio 2019; Trib. Napoli, 13 febbraio 2018, n. 1558; Trib. Lucca n. 763/18; Trib. Ferrara n. 287/18. In precedenza, Trib. Bari, Sez. Rutigliano, 29 ottobre 2008; Trib. Larino, Sez. Termoli, n. 119/12; Trib. Ferrara 5 dicembre 2013; Trib. Isernia 28 luglio 2014).
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The annual nominal rate does not properly correspond with the art. 1284 c.c. rate: the difference is crucial and plays an important role in French loan, that is unlike Italian loans. In contrast to artt. 1283 e 1284 c.c., the French loans contemplate a compound interest calculation in the repayment schedules routinely used by financial intermediaries outside any contractual indication. Differently from the Italian loan, in addition to the advancing payment of the interest, there is also the payment of the exponential total interest. This results in critical issues that affect both the legitimacy of the compound regime and the violation of good faith principles, fairness and transparency.
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Il controllo sulla impresa assicurativa con sede in altro Stato europeo Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 25 gennaio 2018 - 8 febbraio 2018, n. 837; Pres. Santoro; Est. Buricelli; Onix Asigurari S.A. c. IVASS (Riforma TAR Lazio-Roma, sez. II-ter, 14 gennaio 2015, n. 478). Assicurazioni (Impresa) – Impresa di assicurazione comunitaria – Libertà di prestazione di servizi – Esercizio di attività assicurativa in Stato europeo diverso dallo Stato d’origine –Provvedimento dell’Autorità dello Stato ospitante – Divieto di stipulare contratti – Motivazioni – Mancanza del requisito di onorabilità da parte del socio di controllo – Inammissibilità – Annullamento del provvedimento (Direttiva 92/49/CE, art. 40, par. 6; d.lgs. 9 settembre 2005, n. 209, artt. 167, 193) È annullabile, sulla base dei principi dell’autorizzazione unica e dell’home country control, il provvedimento con il quale un’Autorità di vigilanza di uno Stato membro dell’UE vieti di stipulare contratti ad un’impresa assicurativa avente la sede in altro Stato europeo ed operante nel primo in regime di libertà di prestazione di servizi qualora il provvedimento si basi sulla mancanza del requisito reputazionale del socio di maggioranza. (1)
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(Omissis) Fatto e diritto 1. Esigenze di sintesi (v. art. 3, comma 2, del c.p.a.), compatibilmente, peraltro, con la complessità della vicenda, amministrativa e processuale, in trattazione, suggeriscono anzitutto di richiamare e dare per conosciuta la descrizione della vicenda medesima compiuta nell’ordinanza n. 4928 del 2015, di questa Sezione, di rimessione di questione pregiudiziale alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 267 del TFUE. Si fa rinvio in particolare al p. 1.2. dell’ordinanza n. 4928/2015, per quanto riguarda la sintesi del provvedimento del 20 dicembre 2013, impugnato in primo grado, con il quale l’IVASS ha vietato a Onix di stipulare nuovi contratti sul territorio italiano; al p. 2.2., riguardo al riassunto delle censure formulate nel ricorso e nei motivi aggiunti di primo grado; ai pp. 2.3. e 2.4., per il sunto della motivazione della sentenza appellata; al p. 3., sulla ricapitolazione dei motivi di appello; al p. 4., per il compendio delle difese dell’IVASS; al p. 6., da 6.3. a 6.11., per il riepilogo della disciplina normativa di riferimento, del diritto dell’Unione e del diritto interno, in materia, e al p. 6.2., e da 6.12. a 6.23., sulla propensione della sezione a ritenere che rientri nelle attribuzioni dell’IVASS, a tutela dell’interesse degli assicurati e dei beneficiari delle polizze assicurative, e in presenza delle condizioni stabilite nella “clausola di salvaguardia” di cui all’art. 193, comma 4, seconda parte, del codice delle assicurazioni private (CAP), di cui al d. lgs. n. 209 del 2005, vietare alla impresa di assicurazione, avente sede in un diverso Stato membro, la stipula-
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zione di nuovi contratti, sul territorio della Repubblica Italiana, anche in assenza di un preventivo contraddittorio (non solo) con l’impresa destinataria del divieto di assunzione di nuovi affari (ma anche con il soggetto passivo della misura), non sembrando venire in rilievo, nei casi come quello in esame, una rivalutazione in via autonoma, da parte dell’Autorità di vigilanza dello Stato ospitante, del “requisito soggettivoautorizzativo” della reputazione, di per sé considerato; e senza che si concretizzi, da parte dello Stato ospitante, nessuna sovrapposizione indebita di valutazioni né, tantomeno, prevaricazione alcuna, nei riguardi della Autorità di controllo dello Stato membro di origine. Nel 2015 la sezione ha espresso l’opinione per cui, al fine di giustificare in via d’urgenza l’adozione di misure appropriate a tutela degli interessi degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative, non occorre che un pregiudizio per gli assicurati si sia già verificato, bastando il pericolo che esso possa concretizzarsi: viene in considerazione una “previsione d’urgenza in prevenzione”, una “attribuzione precauzionale e d’urgenza a protezione degli assicurati italiani, attuali e potenziali”, quando l’Autorità del Paese di origine non sia in grado di intervenire sull’autorizzazione (v. p. 6.17. ord. sez. VI n. 4928/2015 e p. 30 della sentenza della CGUE). Al p. 7. dell’ordinanza n. 4928 del 2015, infine, questa sezione ha rimesso alla CGUE, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, la seguente questione pregiudiziale: “se il diritto [dell’Unione] e in particolare l’art. 40, § 6, della direttiva 92/49/CEE, la comunicazione interpretativa della Commissione
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2000/C/43/03 – punto 5 e il principio [di diritto dell’Unione] dell’home country control ostino a un orientamento interpretativo (quale quello relativo all’art. 193, comma 4, del codice delle assicurazioni private, approvato con il d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, condiviso da questo giudice) secondo cui l’autorità di vigilanza di uno Stato ospitante un operatore assicurativo in libera prestazione di servizi possa assumere in via d’urgenza e a tutela degli interessi degli assicurati e degli aventi diritto a prestazioni assicurative provvedimenti inibitori, con specifico riguardo al divieto di stipulazione di nuovi contratti sul territorio dello Stato ospitante, fondati sulla ritenuta carenza, originaria o sopravvenuta, discrezionalmente valutata, di un requisito soggettivo previsto ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa, e segnatamente della reputazione”. 2. Con la sentenza del 27 aprile 2017, nella causa C-559/15, la CGUE si è pronunciata sulla questione pregiudiziale dichiarando (v. p. 53., e dispositivo) che: a) “la direttiva 92/49/ CEE del Consiglio, del 18 giugno 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita e che modifica le direttive 73/239/CEE e 88/357/CEE (terza direttiva assicurazione non vita), e in particolare il suo articolo 40, paragrafo 6, devono essere interpretati nel senso che ostano a che le autorità di vigilanza di uno Stato membro assumano in via d’urgenza, nei confronti di un’impresa di assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita che opera sul territorio di tale Stato membro in re-
gime di libera prestazione di servizi, a tutela degli interessi degli assicurati e degli altri possibili beneficiari delle polizze assicurative sottoscritte, provvedimenti, come il divieto di stipulare nuovi contratti su tale territorio, fondati sulla carenza, originaria o meno, discrezionalmente valutata, di un requisito soggettivo previsto per il rilascio dell’autorizzazione necessaria all’esercizio dell’attività assicurativa, quale il requisito relativo alla reputazione. (b) Per contro, tale direttiva non osta a che tale Stato membro, nell’esercizio delle prerogative che in caso di urgenza gli sono riconosciute, stabilisca se talune insufficienze o dubbi relativi all’onorabilità dei dirigenti dell’impresa assicurativa interessata indichino un pericolo reale e imminente che si verifichino irregolarità a danno degli interessi degli assicurati o degli altri possibili beneficiari delle polizze assicurative sottoscritte e, in tal caso, adotti immediatamente misure appropriate, come, eventualmente, il divieto di stipulare nuovi contratti sul suo territorio”. In particolare, su “procedimento principale e questione pregiudiziale” si fa rinvio ai pp. da 14 a 22 e da 28 a 31 della sentenza della Corte di giustizia. Dal p. 23 al 27 la Corte ha sintetizzato il “percorso contenzioso” in sede europea compiuto vanamente da Onix (v. specialmente il p. 24). Sulla “questione pregiudiziale” (v. dal p. 36 al p. 53 sent.), la Corte di giustizia ha chiarito anzitutto che l’art. 40, § 6, della direttiva 92/49 va interpretato nel senso che esso consente l’adozione di misure volte a impedire che in futuro siano commesse infrazioni
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Commenti
(v. p. 40), e che la direttiva si fonda su due princìpi, attinenti, il primo, alla creazione di un’autorizzazione unica che, una volta rilasciata, consente alle imprese di esercitare la loro attività, nel settore dell’assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita, in tutta l’Unione; e, il secondo, inerente al controllo delle imprese assicurative da parte dello Stato membro di origine, con riguardo in particolare al rilascio e alla revoca dell’autorizzazione medesima, sicché “soltanto le autorità competenti dello Stato membro di origine, ad esclusione di quelle degli altri Stati membri, possono verificare se un’impresa di assicurazione soddisfi la condizione relativa all’onorabilità dei suoi dirigenti” (p. 44). La Corte ha quindi confermato la portata dell’art. 40, § 6, della direttiva 92/49, riguardo all’ulteriore profilo della istituzione di due procedure distinte, l’una, ordinaria e, l’altra, d’urgenza (v. p. 45) precisando, altresì, che nei casi d’urgenza la procedura “...non prevede, in deroga alla procedura ordinaria ..., un obbligo dello Stato membro della prestazione di servizi interessato di informare, in merito a tali irregolarità, le autorità competenti dello Stato membro di origine, né di comunicare a queste ultime l’intento di adottare misure appropriate” (p. 47 ). “Infatti, l’imminente verificarsi di un’irregolarità può rendere necessaria l’adozione immediata di misure. Non si può neppure esigere dallo Stato membro della prestazione di servizi che, in presenza di un’urgenza, si impegni in un processo d’informazione dello Stato membro di origine, che può ritardare, a danno degli interessi degli assicurati e dei beneficiari delle
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coperture assicurative sottoscritte, l’adozione di tali misure” (p. 48). La Corte ha quindi ribadito che “per contro, in mancanza di indicazione contraria, l’articolo 40, paragrafo 6, della direttiva 92/49 non può essere interpretato nel senso che esso consente allo Stato membro della prestazione di servizi di derogare alla competenza esclusiva dello Stato membro di origine, quale evocata al punto 44 della presente sentenza, per pronunciarsi sul rispetto, da parte di un’impresa assicurativa, delle condizioni di autorizzazione, con particolare riguardo a quella relativa all’onorabilità dei suoi dirigenti, il cui controllo, ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 92/49, rientra nella competenza esclusiva dello Stato membro di origine” (p. 49). La Corte ha però precisato che “spetta tuttavia allo Stato membro della prestazione di servizi, nell’esercizio delle prerogative che, in caso di urgenza, gli sono riconosciute, stabilire se talune insufficienze o dubbi relativi all’onorabilità dei dirigenti dell’impresa assicurativa interessata indichino un pericolo reale e imminente che siano commesse irregolarità a danno degli interessi degli assicurati o degli altri possibili beneficiari delle coperture assicurative sottoscritte e, in tal caso, adottare immediatamente misure appropriate, come, eventualmente, il divieto di stipulare nuovi contratti sul suo territorio” (p. 50). Al riguardo, la Corte ha rammentato che “dal considerando 3 della direttiva 92/49 (risulta) che quest’ultima mira a garantire agli assicurati una tutela adeguata … tutela (che) non potrebbe essere garantita se l’articolo 40, paragrafo 6, di detta direttiva
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dovesse essere interpretato nel senso di escludere che lo Stato membro della prestazione di servizi interessato possa, in una situazione d’urgenza, valutare l’esistenza di un pericolo imminente per gli interessi di tali assicurati e adottare immediatamente misure per porvi rimedio, senza essere tenuto a rimettere alle autorità dello Stato membro di origine il compito di intraprendere le azioni appropriate a tal fine (p. 51). La Corte ha infine puntualizzato che, “dal momento che, com’è stato constatato al punto 42 della presente sentenza, la stessa direttiva fa prevalere il principio del controllo delle imprese assicurative da parte dello Stato membro di origine, le misure che lo Stato membro della prestazione di servizi può adottare, in caso di urgenza, possono essere soltanto conservative. Esse sono applicate, di conseguenza, solo nell’attesa di una decisione delle autorità competenti dello Stato membro di origine, che tragga le conseguenze, rispetto alle condizioni di rilascio dell’autorizzazione, in particolare a quella dell’onorabilità, dagli elementi di fatto rilevati dallo Stato membro della prestazione di servizi, come esige il principio di certezza del diritto rientrante nell’ordinamento giuridico dell’Unione. (p. 52). 3. Esaurita la fase incidentale del giudizio dinanzi alla CGUE, in vista della nuova udienza di discussione dell’appello, Onix e IVASS si sono scambiati memorie illustrative e repliche insistendo sulle rispettive posizioni. In data 19 gennaio 2018, Onix ha depositato in giudizio la nota dell’Autorità di vigilanza romena (ASF) prot. n. 189 del 17 gennaio 2018, rivolta
all’IVASS e all’EIOPA, con la quale si informa che l’ASF ha concluso la valutazione sugli azionisti di riferimento della compagnia assicurativa romena Onix, alla luce dei criteri di reputazione, probità morale, correttezza e stabilità finanziaria, e altro, di cui al Regolamento n. 3/2016, in modo positivo. All’udienza del 25 gennaio 2018 la causa è stata discussa e quindi trattenuta in decisione. Nel corso della discussione, l’IVASS ha chiesto l’espunzione della nota ASF dagli atti del processo, poiché in essa si fa richiamo al Regolamento n. 3 del 2016, disposizione inapplicabile alla presente controversia. 4. Il collegio può prescindere dalla acquisizione, agli atti del processo, ai sensi dell’art. 54, comma 1, del c.p.a., della nota ASF depositata il 19 gennaio 2018, vale a dire tardivamente, posto che, quali che siano le ripercussioni, “de futuro” o già avvenute, al momento della pubblicazione della presente sentenza, derivanti dalla nota stessa, sul permanere, o sul venire meno, dell’efficacia del provvedimento IVASS del 20 dicembre 2013 di divieto di assunzione di nuovi affari in Italia, in tale nota si fa richiamo al Regolamento n. 3 del 2016, disposizione inapplicabile alla presente controversia, dato che il provvedimento contestato in primo grado deve considerarsi governato dal principio “tempus regit actum”. Il collegio procede direttamente a rendere pubblica la presente sentenza mediante deposito in segreteria, in un termine assai breve, indipendentemente dalla pubblicazione anticipata del dispositivo, chiesta dall’appellante.
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Il collegio ritiene che, alla stregua di quanto deciso dalla CGUE, con la sentenza 27 aprile 2017, causa C-559/15, sia fondato e possa essere accolto, per le ragioni, entro i limiti e con le precisazioni che seguiranno, il primo motivo di appello, dal che consegue che, in riforma della sentenza impugnata, il divieto di assunzione di nuovi affari sul territorio italiano, per come è stato motivato, dev’essere annullato. E infatti, come correttamente osserva l’appellante, sulla base delle statuizioni della sentenza della CGUE, applicate alla vicenda in discussione (v. pp. 43 e 44 della sentenza), l’IVASS non aveva nessuna competenza per valutare la reputazione dell’azionista di riferimento di Onix, società avente sede in Romania, spettando in via esclusiva alle autorità competenti dello Stato membro di origine la verifica sul se una impresa di assicurazioni soddisfi la condizione relativa alla onorabilità dei suoi dirigenti: dal che, la – corretta, e condivisibile – sottolineatura della prima delle due statuizioni di cui al p. 53 della decisione della Corte di giustizia (v. sopra, lett. a), secondo la quale la direttiva 92/49 dev’essere interpretata nel senso che osta “a che le autorità di vigilanza di uno Stato membro assumano in via d’urgenza, nei confronti di un’impresa di assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita che opera sul territorio di tale Stato membro in regime di libera prestazione di servizi, a tutela degli interessi degli assicurati e degli altri possibili beneficiari delle polizze assicurative sottoscritte, provvedimenti, come il divieto di stipulare nuovi contratti su tale territorio, fondati sulla carenza, originaria o me-
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no, discrezionalmente valutata, di un requisito soggettivo previsto per il rilascio dell’autorizzazione necessaria all’esercizio dell’attività assicurativa, quale il requisito relativo alla reputazione”. Nel caso in esame l’IVASS, quale autorità di vigilanza dello Stato ospitante, ha adottato in via di urgenza, a carico di Onix, un provvedimento di divieto di stipula di nuovi contratti sul territorio dello Stato italiano, fondato sulla ritenuta carenza, in radice, in capo all’azionista di riferimento, del requisito soggettivo autorizzatorio costituito dalla reputazione, idonea a garantire una sana e prudente gestione della società. Ora, anche a voler ritenere che, nella specie, una situazione di urgenza qualificata potesse effettivamente desumersi dalle segnalazioni allarmate e dalle richieste di informazioni alle quali si fa riferimento nelle premesse del provvedimento impugnato in primo grado, correlate ai “significativi precedenti penali e di vigilanza” dell’azionista di riferimento, e non potesse considerarsi contraddetta dalla durata (alcuni mesi) dell’istruttoria, dovuta essenzialmente alla interlocuzione, tra IVASS e ASF, culminata nell’incontro del 9 dicembre 2013; rimane il fatto che l’IVASS, nel vietare a Onix l’assunzione di nuovi affari sul territorio italiano, ha compiuto un richiamo puntuale a “rilevanti profili di criticità con riferimento alla reputazione dell’azionista di riferimento”, ricavabili “dal complesso delle informazioni acquisite” (segue l’indicazione della sentenza penale di condanna in primo grado, e dei precedenti di vigilanza a carico del Lentini), manifestando quindi l’intenzione di fon-
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dare le ragioni del divieto di assumere nuovi affari sul territorio italiano, come si desume in maniera agevole dalla lettura del provvedimento nel suo complesso, non sull’esistenza di semplici dubbi sulla onorabilità ma, più radicalmente, sull’assenza del requisito della reputazione, a tal punto da rimarcare, in quello che nella sentenza impugnata viene definito il “nucleo centrale della motivazione del provvedimento impugnato”, che se Onix fosse stata una impresa italiana, essa non avrebbe ottenuto l’autorizzazione all’esercizio della attività assicurativa (e questo) per la carenza dei requisiti di reputazione del suo azionista di riferimento. In diversi punti della motivazione del provvedimento di divieto l’autorità emanante muove dall’assunto che Onix non possieda / sia priva del requisito reputazionale richiesto. Così, necessariamente, letto, il provvedimento di divieto di assunzione di nuovi affari sul territorio italiano, adottato dall’Istituto prendendo le mosse, come detto, dalla carenza, in radice, del requisito della reputazione, appaiono condivisibili, poiché “illuminati” dai chiarimenti dato dalla Corte di giustizia al p. 53/a), i rilievi di parte appellante per i quali: - non sembrano conciliarsi tra loro, da un lato, il provvedimento oggetto della presente controversia con cui l’IVASS vieta alla ricorrente - tra l’altro “sine die”, anche se è giusto evidenziare che l’Autorità di vigilanza italiana, prima di adottare l’atto di divieto, ha interloquito vanamente per mesi con l’ASF in attesa di una decisione dell’Autorità dello Stato di origine - di assumere nuovi affari in Italia, e ciò sul presupposto che i precedenti pe-
nali e di vigilanza rendessero Onix carente in radice del requisito soggettivo richiesto per l’autorizzazione (autorizzazione che, invece, lo Stato di origine ha accordato e mantenuto: si veda al riguardo anche il verbale dell’incontro del 9 dicembre 2013, da cui si ricava che, per l’Autorità di vigilanza romena, alla quale era stato domandato di revocare l’autorizzazione, l’azionista di riferimento può essere “squalificato” solo in caso di condanna penale definitiva); e, dall’altro, la risposta data dalla CGUE al quesito formulato da questa Sezione, là dove il giudice europeo sancisce che “la direttiva (92/49) non osta a che (lo) Stato membro (ospitante) nell’esercizio delle prerogative che in caso di urgenza gli sono riconosciute, stabilisca se talune insufficienze o dubbi relativi all’onorabilità dei dirigenti dell’impresa assicurativa interessata indichino un pericolo reale e imminente che si verifichino irregolarità a danno degli interessi degli assicurati o degli altri possibili beneficiari delle polizze assicurative sottoscritte e, in tal caso, adotti immediatamente misure appropriate, come, eventualmente, il divieto di stipulare nuovi contratti sul suo territorio”; statuizione, quest’ultima, che non sembra attagliarsi alla fattispecie odierna, e questo perché, in disparte il divieto, per questo giudice, di riformulare la motivazione del provvedimento impugnato il quale, come rilevato, si riferisce chiaramente non a dubbi sulla onorabilità dei dirigenti della impresa, ma, in maniera più radicale, alla carenza del requisito della reputazione in capo all’azionista di riferimento, resta che l’IVASS ha vietato a Onix di assumere nuovi affari basandosi, per ciò che attiene al requisi-
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to reputazionale, sulla comunicazione ISVAP n. 3 del 2 luglio 2009, e sulle linee guida CEIOPS del 28 luglio 2008, richiamate dall’ISVAP e vigenti però soltanto nelle more del recepimento della direttiva 2007/44, avvenuto, ben prima dell’adozione del provvedimento di divieto, con il d. m. n. 220/2011, l’art. 5 del quale (“requisiti di onorabilità”) dispone invece che l’onorabilità non ricorre nel caso di “condanna con sentenza definitiva” a pena detentiva per i reati indicati nel decreto medesimo. In proposito va rammentato che, al momento della adozione dell’impugnato divieto di conclusione di nuovi affari, l’azionista di riferimento della impresa, cittadino italiano, era stato condannato in primo grado per tentata truffa aggravata, sicché in questa situazione l’IVASS sembra avere illegittimamente ritenuto di poter valutare (negativamente) l’onorabilità dell’azionista di riferimento sulla base delle, ormai superate, discipline “ISVAP 2009” ed “EIOPA 2008”. Assorbito ogni altro profilo di censura non esplicitamente dedotto l’appello va pertanto accolto e, in riforma della sentenza gravata, il divieto di as-
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sunzione di nuovi affari impugnato in primo grado va annullato. L’IVASS rimane comunque obbligata – sempre che non l’abbia già fatto – a rivalutare senza indugio il permanere, o no, di tutti i presupposti della misura di divieto a suo tempo adottata, alla luce sia dei chiarimenti dati dalla CGUE ai punti 42 e seguenti della sentenza e sia delle decisioni prese di recente dall’ASF. La novità, la complessità e la oggettiva controvertibilità, ricavabile dal dipanarsi della vicenda nel suo insieme, delle questioni trattate, giustificano pienamente, ancorché in via eccezionale, la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie per le ragioni ed entro i limiti precisati in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento dell’IVASS del 20 dicembre 2013. (Omissis)
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(1) Limiti al controllo del Paese d’origine e poteri dell’autorità di vigilanza del Paese ospitante nel diritto delle assicurazioni europeo ed italiano Sommario: 1. Introduzione: il divieto di stipulare contratti nel territorio italiano imposto dall’IVASS ad un’impresa di assicurazione comunitaria operante in regime di libera prestazione di servizi. – 2. Il ricorso avverso il provvedimento dell’IVASS: le tappe della vicenda giudiziaria che hanno condotto alla sentenza del Consiglio di Stato n. 837/2018. – 3. Le questioni giuridiche connesse all’art. 40, par. 6, direttiva n. 92/49/CEE e all’art. 193 del CAP: premessa. – 3.1. I presupposti per l’attivazione dei poteri di cui all’art. 40, par. 6, della dir. n. 92/49/CEE: cenni e rinvio. – 3.2. (Segue) …e per l’applicazione dell’art. 193 del CAP. – 4. L’autorizzazione unica ed il controllo del paese d’origine con specifico riguardo alla valutazione dell’onorabilità dei partecipanti al capitale e degli esponenti aziendali al momento del rilascio dell’autorizzazione. – 4.1. Premessa. – 4.2. Il requisito dell’onorabilità nella disciplina assicurativa italiana. – 4.3. Le considerazioni della CGUE sul requisito dell’onorabilità. – 5. Le eccezioni all’home country control nel diritto delle assicurazioni europeo: una sintesi delle posizioni della Commissione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. – 6. Alcune osservazioni conclusive.
1. Introduzione: il divieto di stipulare contratti nel territorio italiano imposto dall’IVASS ad un’impresa di assicurazione comunitaria operante in regime di libera prestazione di servizi. Il presente scritto trae spunto dalla sentenza del Consiglio di Stato del 9 febbraio 2018, n. 837 che si è espresso in merito ad un ricorso avverso il provvedimento IVASS del 20 dicembre 20131 con il quale l’Autorità di vigilanza italiana aveva imposto ad un’impresa di assicurazione con sede in Romania il divieto di stipulare nuovi contratti in regime di libera prestazione di servizi nel territorio della Repubblica Italiana; il provvedimento era stato emanato ai sensi dell’art. 193, co. 4, del d.lgs. 9 settembre 2005, n. 209, più noto come Codice delle assicurazioni private (d’ora in avanti CAP), attuativo dell’art. 40 della direttiva 92/49/CE (nota anche come III direttiva danni, attuata in Italia con il d.lgs. 17 marzo 1995, n.
1 Consultabile al link: https://www.ivass.it/normativa/nazionale/secondaria-ivass/ amministrativi-provv/2013/provv-51-13-000856/Provvedimento_n.51-13-000856.pdf.
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1752) e con gli effetti di cui all’art. 167 dello stesso CAP regolante la nullità dei contratti3. Nel provvedimento si legge che l’azione dell’IVASS era stata dettata «tenuto conto delle criticità emerse con riguardo alla impresa rumena, abilitata ad operare in Italia in regime di libera prestazione di servizi, al fine di tutelare gli interessi degli assicurati italiani e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative sul territorio della Repubblica italiana». Il provvedimento aveva avuto come destinatario un’impresa di assicurazione rumena con sede in Bucarest che dal 24 ottobre 2012 operava in Italia in regime di libera prestazione di servizi4, a beneficio in particola-
Sul punto sia permesso rinviare al mio L’attuazione delle III direttive CEE in materia di assicurazioni vita e danni, Padova, 1997. 3 Secondo l’articolo citato nel testo: «1. È nullo il contratto di assicurazione stipulato con un’impresa non autorizzata o con un’impresa alla quale sia fatto divieto di assumere nuovi affari. 2. La nullità può essere fatta valere solo dal contraente o dall’assicurato. La pronuncia di nullità obbliga alla restituzione dei premi pagati. In ogni caso non sono ripetibili gli indennizzi e le somme eventualmente corrisposte o dovute dall’impresa agli assicurati ed agli altri aventi diritto a prestazioni assicurative». Sul punto v. Farenga, Commento sub art. 167, in Il codice delle assicurazioni, diretto da Capriglione (con la collaborazione di Alpa e Antonucci), II, 2, Padova, 2007, pp. 56 ss. ed anche Ferrante, Commento sub artt. 165-169, in Commentario al Codice delle Assicurazioni, a cura di Bin, Padova, 2006, pp. 512 ss.; Cavallo Borgia, I contratti di assicurazione, in Il nuovo codice delle assicurazioni. Commento sistematico, a cura di Amorosino e Desiderio, Milano, 2006, 334 ss. e, da ultimo, Farenga, Diritto delle assicurazioni private, Torino, 2019, 147. 4 In questo scritto, dato l’oggetto prefissato, l’attenzione sarà concentrata sulla libertà di prestazione dei servizi e non sull’altro corollario del mutuo riconoscimento, ossia la libertà di stabilimento. Su queste due libertà in ambito assicurativo, la bibliografia è molto ampia; cfr. ex multis Capotosti, Gli orientamenti della giurisprudenza comunitaria in tema di libertà di servizi e la loro influenza sulla prestazione assicurativa, in Ass., 1975, II, 1, pp. 24 ss.; Capotosti, Le modalità nell’esercizio della libertà di servizi secondo i più recenti orientamenti della Corte di Giustizia Comunitaria, in Ass., 1976, II, 1, pp. 6 ss.; Sacerdoti, Diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi assicurativi dopo la l . 10 giugno 1978, n. 295, in Dir. e pratica nell’ass., 1980, I, 1, pp. 81 ss.; Rousselle, Riflessioni sull’applicazione della libertà di prestazione dei servizi all’attività assicurativa nel mercato comune e sull’orientamento degli assicuratori comunitari, in Dir. e pratica nell’ass., 1984, pp. 94 ss.; Monaco, Esiste già la libera prestazione dei servizi assicurativi?, in Dir. e pratica dell’ass., 1986, I, 4, pp. 645 ss.; Capotosti, Libertà dei servizi assicurativi e questioni procedurali di formazione della direttiva, in Ass., 1988, II, 1, pp. 24 ss; Scordamaglia, Libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi nel settore assicurativo, in Foro it., 1988, IV, 1, pp. 23 ss.; Frigessi Di Rattalma, Libertà di prestazione assicurativa nel diritto comunitario derivato, in Dir. e pratica nell’ass., 1989, I, 3, pp. 381 ss.; Capotosti, Voce Prestazione di servizi (diritto comunitario), in Enciclopedia giuridica, XXIV, Roma, 1991; Pandarese, La normativa comunitaria in materia di prestazione dei servizi assicurativi: le 2
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re delle amministrazioni aggiudicatrici, prestando fideiussioni a imprese private aggiudicatarie di appalti al fine di garantire la loro partecipazione agli stessi e l’esecuzione di questi ultimi. Il percorso argomentativo seguito nel provvedimento dell’IVASS è il seguente: 1) l’azionista di riferimento dell’impresa di assicurazione rumena era privo della “reputazione”, come definita dal quadro normativo europeo vigente, necessaria a garantire la sana e prudente gestione dell’impresa; 2) dal quadro descritto emergeva una grave situazione di arbitraggio regolamentare in quanto un soggetto espulso dal mercato italiano dei finanziamenti e delle cauzioni (a seguito di provvedimenti di rigore delle Autorità competenti) e destinatario di una sentenza penale di condanna al quale – in base alla normativa italiana di recepimento della direttiva 92/49/CEE – non sarebbe stato consentito di accedere al mercato assicurativo italiano si era stabilito in un altro Paese dell’Unione Europea per tornare a svolgere in Italia analoga attività nel settore dell’assicurazione cauzione; 3) l’operatività dell’impresa di assicurazione rumena, come emergeva dai dati della raccolta premi, era molto concentrata in Italia e si dispie-
implicazioni per lo sviluppo di un mercato assicurativo europeo, in Il settore assicurativo: struttura, concorrenza e performance, a cura di Forestieri, Milano, 1991; Partesotti, L’attuazione della libertà di prestazione nell’assicurazione contro i danni, in Nuove leggi, civ. comm., 1993, pp. 483 ss.; Partesotti, L’attuazione della libertà di prestazione di servizi nell’assicurazione sulla vita, in Nuove leggi civ. comm., 1994, pp. 1282 ss.; Capotosti, Giurisprudenza comunitaria in tema di regole di concorrenza, discriminazione fiscale e responsabilità degli Stati per violazioni di diritto comunitario, in Ass., 1996, II, 4-6, pp. 169 ss.; Capotosti, Il concetto di libera circolazione dei servizi secondo la Commissione europea, in Ass., 1994, II, pp. 23 ss.; Cerini, Note in tema di esercizio dell’attività assicurativa in regime di libertà di prestazione di servizi e in regime di stabilimento, in Dir. econ. ass., 1999, 1, pp. 155 ss.; Capotosti, Stabilimento, prestazione di servizi e interesse generale secondo la comunicazione interpretativa della Commissione europea, in Ass., 2000, II, 1, pp. 51 ss.; Caranta, Commento sub artt. 20-20 bis e 73, in La nuova disciplina dell’impresa di assicurazione sulla vita in attuazione della terza direttiva, a cura di Partesotti, Ricolfi, Padova, 2000, pp. 153 ss. e pp. 739 ss.; Monti, Mercato unico europeo e diritto delle assicurazioni: problemi e prospettive, in Danno e responsabilità, 2006, 8-9, pp. 817 ss.; Mezzacapo, L’accesso all’attività assicurativa, in Il nuovo codice delle assicurazioni. Commento sistematico, a cura di Amorosino e Desiderio, cit., pp. 136 ss.; Chini, L’impresa di assicurazione, in Le assicurazioni private, a cura di Alpa, Torino, 2006, pp. 35 ss.; Mastroianni, La libera prestazione dei servizi, in Diritto dell’Unione Europea, Parte speciale, a cura di Strozzi, Torino, 2015, pp. 233 ss. e Bargagli, Cesarano, Attività assicurativa in regime di libera prestazione di servizi: profili giuridici e fattuali per una stabile organizzazione, in Fiscalità & commercio internaz., 2017, fasc. 7, pp. 13 ss.
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gava in un settore particolarmente delicato quale quello delle cauzioni, con beneficiari pubbliche amministrazioni e privati, con il rischio, quindi, di grave pregiudizio per l’erario e di nocumento agli interessi di assicurati italiani e di altri aventi diritto a prestazioni assicurative in Italia; 4) esisteva un crescente allarme sociale per l’operatività in Italia dell’impresa di assicurazione destinataria del provvedimento dell’IVASS, comprovato dalle richieste di informazioni che pervenivano in merito alla società ed alla sua solidità finanziaria, soprattutto da parte di pubbliche amministrazioni in qualità di beneficiarie delle polizze fideiussorie emesse, ciò a riprova che l’impresa rumena era attiva sul territorio italiano e il livello degli impegni assunti in Italia in crescente aumento. Secondo il Consiglio di Stato, cha accoglie il ricorso dell’impresa assicurativa rumeno avverso il provvedimento citato, l’IVASS non aveva nessuna competenza per valutare la reputazione dell’azionista di riferimento dell’impresa rumena, spettando in via esclusiva alle autorità competenti dello Stato membro di origine la verifica sul se una impresa di assicurazioni soddisfi la condizione relativa all’onorabilità dei suoi dirigenti5. Sempre nella sentenza si legge che «anche a voler ritenere che, nella specie, una situazione di urgenza qualificata potesse effettivamente desumersi dalle segnalazioni allarmate e dalle richieste di informazioni alle quali si fa riferimento nelle premesse del provvedimento impugnato in primo grado, correlate ai “significativi precedenti penali e di vigilanza” dell’azionista di riferimento, e non potesse considerarsi contraddetta dalla durata (alcuni mesi) dell’istruttoria, dovuta essenzialmente alla interlocuzione, tra IVASS e ASF, culminata nell’incontro del 9 dicembre 2013; rimane il fatto che l’IVASS, nel vietare all’impresa rumena l’assunzione di nuovi affari sul territorio italiano, ha compiuto un richiamo puntuale a “rilevanti profili di criticità con riferimento alla reputazione
Dalla conclusione indicata nel testo discende la sottolineatura della prima delle due statuizioni di cui al punto 53 della decisione della Corte di Giustizia, secondo la quale la direttiva 92/49/CEE dev’essere interpretata nel senso che osta «a che le autorità di vigilanza di uno Stato membro assumano in via d’urgenza, nei confronti di un’impresa di assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita che opera sul territorio di tale Stato membro in regime di libera prestazione di servizi, a tutela degli interessi degli assicurati e degli altri possibili beneficiari delle polizze assicurative sottoscritte, provvedimenti, come il divieto di stipulare nuovi contratti su tale territorio, fondati sulla carenza, originaria o meno, discrezionalmente valutata, di un requisito soggettivo previsto per il rilascio dell’autorizzazione necessaria all’esercizio dell’attività assicurativa, quale il requisito relativo alla reputazione». 5
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dell’azionista di riferimento”, ricavabili “dal complesso delle informazioni acquisite”, manifestando quindi l’intenzione di fondare le ragioni del divieto di assumere nuovi affari sul territorio italiano, come si desume in maniera agevole dalla lettura del provvedimento nel suo complesso, non sull’esistenza di semplici dubbi sulla onorabilità ma, più radicalmente, sull’assenza del requisito della reputazione, a tal punto da rimarcare, in quello che nella sentenza impugnata viene definito il “nucleo centrale della motivazione del provvedimento impugnato”, che se (l’impresa rumena) fosse stata una impresa italiana, essa non avrebbe ottenuto l’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa (e questo) per la carenza dei requisiti di reputazione del suo azionista di riferimento”». Sembra, almeno ad una prima sommaria lettura, che la decisione dei giudici amministrativi si fondi su una differenza nominalistica onorabilità/reputazione e cioè che l’IVASS abbia fondato il suo procedimento sulla “reputazione” dell’azionista di riferimento, che era anche dirigente dell’impresa assicurativa, e non sulla sua “onorabilità”. Ma prima di soffermarci su tale questione occorre procedere con ordine, poiché il complesso iter giurisprudenziale che ha condotto alla citata decisione, impone a chi scrive di partire, innanzitutto, dalle motivazioni del provvedimento e, successivamente, di fare brevi cenni alla vicenda giudiziaria che ha condotto alla sentenza del Consiglio di Stato ponendo particolare attenzione alla sentenza della Corte di giustizia cui lo stesso Consiglio si era rivolto per definire una questione pregiudiziale.
2. Il ricorso avverso il provvedimento dell’IVASS: le tappe della vicenda giudiziaria che hanno condotto alla sentenza del Consiglio di Stato n. 837/2018. Al citato provvedimento dell’IVASS l’impresa di assicurazione rumena si opponeva mettendo in atto tutta una serie di azioni. A) Innanzitutto, essa presentava un esposto all’EIOPA. Con decisione del 2 giugno 2014, il presidente di detta Autorità dichiarava l’esposto ammissibile, per poi tuttavia respingerlo con decisione del 6 giugno 2014, considerando che il potere delle autorità competenti dello Stato membro della prestazione di servizi di adottare, in caso di urgenza, misure appropriate, come quelle di cui all’art. 40, par. 6, della direttiva 92/49/CEE, può essere esercitato quando non si possa rispondere in altro modo alle preoccupazioni di tali autorità, ossia, in particolare, mediante la cooperazione tra autorità di vigilanza.
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Nella stessa decisione si disponeva altresì che spetta allo Stato membro definire la portata e i limiti di tale potere, che il rispetto delle norme nazionali è sottoposto al controllo giurisdizionale dei giudici italiani, e che non sussistono motivi per ravvisare una violazione di tale direttiva da parte dell’IVASS. In risposta a una lettera dell’impresa di assicurazione rumena dell’8 ottobre 2014, i servizi dell’EIOPA confermavano tale posizione con lettera del 24 novembre 20146. L’impresa di assicurazione rumena proponeva ricorso avverso tale lettera dinanzi alla Commissione di ricorso. Con decisione del 3 agosto 2015, quest’ultima respingeva il ricorso in quanto inammissibile, perché diretto contro un atto meramente confermativo di un precedente atto non tempestivamente impugnato. Tale decisione formava poi oggetto di un ricorso dinanzi al Tribunale dell’Unione europea (causa T-590/15). Con ordinanza del 24 giugno 2016 il Tribunale respingeva tale ricorso in quanto in parte manifestamente irricevibile e in parte manifestamente infondato in diritto. B) Oltre a questa azione con la quale aveva fatto il classico “buco nell’acqua”, l’impresa rumena proponeva ricorso avverso la decisione dell’IVASS dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che lo respingeva con sentenza n. del 14 gennaio 2015, n. 4787, ritenendo che la constatazione secondo cui l’azionista di riferimento della società in libera prestazione di servizi non soddisfi i requisiti di reputazione per poter esercitare l’attività assicurativa sul territorio italiano costituisce ragione d’urgenza, idonea a legittimare l’intervento dell’IVASS in deroga al principio del controllo da parte dello Stato membro di origine. C) L’impresa rumena non si dava per vinta e avverso l’appena citata sentenza proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato (Italia) sostenendo, in particolare, che l’autorità di controllo dello Stato membro della prestazione di servizi non può, in deroga al principio del controllo da parte dello Stato di origine, vietare all’operatore assicurativo autorizzato nello Stato membro di origine di stipulare nuovi contratti sul suo territorio in base al rilievo che il requisito relativo alla reputazione non sarebbe soddisfatto.
V. il link: https://eiopa.europa.eu/Publications/Administrative/BoA%202015%20 -%20001%20(Decision%20Onix%20v%20EIOPA).pdf. 7 La sentenza è consultabile al link: https://quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/ pa24.php?idDoc=16563699&idDocType=3. 6
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Il giudice del rinvio propendeva per il rigetto del ricorso, considerato che l’art. 40, par. 6, della direttiva 92/49/CEE autorizza le autorità di controllo dello Stato membro della prestazione di servizi, alla luce dei precedenti penali accertati a carico dell’azionista di riferimento, a vietare, a titolo preventivo, all’impresa di assicurazione il proseguimento delle proprie attività nel territorio di tale Stato membro al fine di tutelare gli interessi degli assicurati. Tuttavia, nutrendo dubbi sulla compatibilità di tale soluzione con il diritto dell’Unione, e in particolare con il principio dell’autorizzazione unica e del controllo della condizione relativa alla reputazione da parte dello Stato membro di origine, il Consiglio di Stato decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «se il diritto dell’Unione Europea e in particolare l’art. 40, par. 6, della direttiva 92/49/CEE, la comunicazione interpretativa della Commissione 2000/C/43/03 [Libera prestazione dei servizi e interesse generale nel settore delle assicurazioni (GU 2000, C 43, pag. 5)], punto 58, e il principio dell’home country control ostino a un orientamento interpretativo (quale quello relativo all’art. 193, co. 4, del, condiviso da questo giudice) secondo cui l’autorità di vigilanza di uno Stato ospitante un operatore assicurativo in libera prestazion[e] di servizi possa assumere in via d’urgenza e a tutela degli interessi degli assicurati e degli aventi diritto a prestazioni assicurative provvedimenti inibitori, con specifico riguardo al divieto di stipulazione di nuovi contratti sul territorio dello Stato ospitante, fondati sulla ritenuta carenza, originaria o sopravvenuta, discrezionalmente valutata, di un requisito soggettivo previsto ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa, e segnatamente della reputazione». Sulla base di un’articolata documentazione, la CGUE, con la sentenza del 27 aprile 20179, risolveva la questione affermando che la III direttiva danni e, in particolare il suo art. 40, par. 6 «devono essere interpretati nel senso che ostano a che le autorità di vigilanza di uno Stato membro assumano in via d’urgenza, nei confronti di un’impresa di assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita che opera sul territorio
Consultabile al link https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ. do?uri=OJ:C:2000:043:0005: 0027: IT:PDF. 9 Cfr. CGUE, Terza sezione, 27 aprile 2017, Onix Asigurari SA contro IVASS, consultabile anche al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=ECLI:ECLI:E U:C:2017:316_ 1&from=EN. 8
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di tale Stato membro in regime di libera prestazione di servizi, a tutela degli interessi degli assicurati e degli altri possibili beneficiari delle polizze assicurative sottoscritte, provvedimenti, come il divieto di stipulare nuovi contratti su tale territorio, fondati sulla carenza, originaria o meno, discrezionalmente valutata, di un requisito soggettivo previsto per il rilascio dell’autorizzazione necessaria all’esercizio dell’attività assicurativa, quale il requisito relativo alla reputazione». A questa conclusione, la CGUE faceva seguire un’altra di apparente senso contrario rispetto alla precedente: «Per contro, tale direttiva non osta a che tale Stato membro, nell’esercizio delle prerogative che in caso di urgenza gli sono riconosciute, stabilisca se talune insufficienze o dubbi relativi all’onorabilità dei dirigenti dell’impresa assicurativa interessata indichino un pericolo reale e imminente che si verifichino irregolarità a danno degli interessi degli assicurati o degli altri possibili beneficiari delle polizze assicurative sottoscritte e, in tal caso, adotti immediatamente misure appropriate, come, eventualmente, il divieto di stipulare nuovi contratti sul suo territorio». Le conclusioni della CGUE possono, pertanto, essere divise in due parti: nella prima parte la Corte, nel pieno rispetto del principio dell’home country control, afferma che l’Autorità di vigilanza dello Stato ospitante non può adottare provvedimenti fondati sulla carenza o meno di un requisito soggettivo previsto per il rilascio dell’autorizzazione; nella seconda parte, la Corte, interpretando in modo estensivo le norme della direttiva n. 92/49/CEE, afferma che il principio richiamato non può essere inteso in senso assoluto ma è lecito che le autorità del paese ospitante possano adottare provvedimenti, come il divieto di contrarre, qualora sussista un pericolo imminente per la tutela degli assicurati. In altre parole, se non si è in errore, se per un verso la Corte ritiene che la strada perseguita dall’Autorità di vigilanza italiana non sia stata corretta nel senso che per raggiungere l’obiettivo della tutela degli assicurati ha richiesto la revoca dell’autorizzazione da parte della ASF; per altro verso avverte che l’IVASS avrebbe potuto adottare il provvedimento di divieto a contrarre in Italia, attraverso altra via, ossia attraverso le prerogative che in caso di urgenza le sono riconosciute non solo dall’ordinamento nazionale (v. art. 193 del CAP) ma, forse, anche dall’ordinamento europeo. D) Si giunge così all’ultimo atto della vicenda giudiziaria, ossia alla sentenza del Consiglio di Stato, 9 febbraio 2018, n. 837 che alla luce della decisione della Corte di Giustizia, accoglie l’appello della impresa di assicurazione rumena sulla base di considerazioni che, è bene anticiparlo, non convincono pienamente.
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Tale decisione si fonda, come vedremo fra breve, solo ed esclusivamente sulla prima parte delle conclusioni cui è giunta la Corte di Giustizia e cioè che l’IVASS non avrebbe potuto disporre il divieto a contrarre sulla base della carenza del requisito dell’onorabilità dell’azionista di riferimento e non fa alcun riferimento alla seconda parte della decisione nella quale la Corte di giustizia ammette la possibilità di limitazioni al principio dell’home country control10. Nell’argomentare la sua decisione il Consiglio di Stato riprende la seconda parte del decisum della CGUE per affermare che non sembrano conciliarsi tra loro, da un lato, il provvedimento oggetto della presente controversia con cui l’IVASS vieta alla ricorrente (…) di assumere nuovi affari in Italia, e ciò sul presupposto che i precedenti penale e di vigilanza rendessero l’impresa rumena carente in radice del requisito soggettivo richiesto per l’autorizzazione11 e, dall’altro, la risposta data dalla CGUE al quesito formulato dallo stesso Consiglio di Stato, là dove il giudice europeo statuisce che «la direttiva (92/49) non osta a che (lo) Stato membro (ospitante) nell’esercizio delle prerogative che in caso di urgenza gli sono riconosciute, stabilisca se talune insufficienze o dubbi relativi all’onorabilità dei dirigenti dell’impresa assicurativa interessata indichino un pericolo reale e imminente che si verifichino irregolarità a danno degli interessi degli assicurati o degli altri possibili beneficiari delle polizze assicurative sottoscritte e, in tal caso, adotti immediatamente misure appropriate, come, eventualmente, il divieto di stipulare nuovi contratti sul suo territorio». Secondo i giudici amministrativi, tale ultima conclusione non sembra potersi applicare alla fattispecie in esame perché ci sarebbe stata da parte dell’IVASS un’errata applicazione delle disposizioni in tema di onorabilità dell’esponente aziendale all’epoca dei fatti anche azionista di maggioranza in quanto il provvedimento non si riferirebbe «a dubbi sulla onorabilità dei dirigenti della impresa, ma, in maniera più radicale, alla carenza del requisito della reputazione in capo all’azionista di riferimento basandosi, per ciò che attiene al requisito reputazionale,
10 Sul punto v. Nicolin, Il mutuo riconoscimento tra mercato interno e sussidiarietà, Padova, 2005, passim. 11 Autorizzazione che, invece, lo Stato di origine ha accordato e mantenuto: si veda al riguardo anche il verbale dell’incontro del 9 dicembre 2013, da cui si ricava che, per l’Autorità di vigilanza romena, alla quale era stato domandato di revocare l’autorizzazione, l’azionista di riferimento può essere “squalificato” solo in caso di condanna penale definitiva.
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sulla comunicazione ISVAP n. 3 del 2 luglio 2009, e sulle linee guida CEIOPS del 28 luglio 2008, richiamate dall’IVASS e vigenti però soltanto nelle more del recepimento della direttiva 2007/44, avvenuto, ben prima dell’adozione del provvedimento di divieto, con il d. m. n. 220/2011, l’art. 5 del quale (“requisiti di onorabilità”) dispone invece che l’onorabilità non ricorre nel caso di “condanna con sentenza definitiva” a pena detentiva per i reati indicati nel decreto medesimo». Si deve tener conto che sempre secondo il Consiglio di Stato «al momento della adozione dell’impugnato divieto di conclusione di nuovi affari, l’azionista di riferimento della impresa, cittadino italiano, era stato condannato in primo grado per tentata truffa aggravata, sicché in questa situazione, l’IVASS sembra avere illegittimamente ritenuto di poter valutare (negativamente) l’onorabilità dell’azionista di riferimento sulla base delle, ormai superate, discipline “IVASS 2009” ed “EIOPA 2008». Sul tema di detti requisiti di onorabilità previsti dalla disciplina speciale per gli azionisti di riferimento e per i dirigenti ci si soffermerà in modo approfondito più avanti. Prima di entrare in medias res, occorre svolgere alcune considerazioni preliminari sulla decisione dei giudici amministrativi. Nella sentenza della CGUE si fa riferimento alla possibilità che l’autorità del paese ospitante possa adottare provvedimenti se «talune insufficienze o dubbi relativi all’onorabilità dei dirigenti dell’impresa assicurativa interessata indichino un pericolo reale e imminente che si verifichino irregolarità a danno degli interessi degli assicurati o degli altri possibili beneficiari delle polizze assicurative sottoscritte». A tale osservazione i giudici italiani ribattono che il provvedimento impugnato “si riferisce chiaramente non a dubbi sulla onorabilità dei dirigenti della impresa, ma, in maniera più radicale, alla carenza del requisito della reputazione in capo all’azionista di riferimento”. L’affermazione non appare, almeno prima facie, corretta sulla base di due ordini di motivi: in primo luogo, con riferimento al caso di specie, il socio rilevante era anche dirigente dell’impresa di assicurazione; in secondo luogo, con riferimento ai requisiti di onorabilità, si deve rilevare come l’atteggiamento del legislatore italiano, soprattutto di quello amministrativo, è stato quello di individuare requisiti di onorabilità sostanzialmente simili sia per gli esponenti aziendali che per i partecipanti al capitale in modo rilevante. Tanto premesso, il lavoro seguirà i seguenti punti: in primo luogo, ci si soffermerà sulle questioni giuridiche connesse all’interpretazione dell’art. 40, par. 6 della direttiva n. 92/49/CEE e dell’art. 193 del CAP che deriva dalla citata norma comunitaria; in secondo luogo, sarà esaminato
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il principio dell’autorizzazione unica con particolare riguardo ai requisiti di onorabilità degli esponenti aziendali e dei partecipanti al capitale; in terzo luogo, saranno trattate le possibili eccezioni al principio dell’home country control ed infine, nelle conclusioni, ci si interrogherà su quale altra strada avrebbe potuto percorrere l’IVASS per motivare il provvedimento di divieto di contratte nel territorio italiano.
3. Le questioni giuridiche connesse all’art. 40, par. 6, direttiva n. 92/49/CEE e all’art. 193 CAP: premessa. Vediamo ora quali sono i limiti e le condizioni poste dall’art. 40, par. 6 della direttiva n. 92/49/CEE e dall’art. 193 del CAP affinché le autorità del paese ospitante possano esercitare controlli sulle imprese comunitarie che svolgano attività assicurativa usufruendo della libertà di prestazione di servizi. Prima di ciò, è utile premettere che, come è noto, l’attività assicurativa ha una propria regolamentazione anche con riferimento alla libertà di circolazione dei servizi, che si articola nei suoi due corollari, libertà di stabilimento e libertà di prestazione di servizi. La ragione della specificità della disciplina è rinvenibile, come accade per le banche e per gli altri intermediari finanziari, nella natura dell’attività assicurativa che riveste un ruolo fondamentale per la politica economica e finanziaria degli Stati e dell’Unione Europea nel suo complesso12.
12 Sul tema la letteratura è molto ampia, cfr., anche per riferimenti, Cerini, Note in tema di esercizio dell’attività assicurativa in regime di libertà di prestazione di servizi e in regime di libero stabilimento, in Dir. econ. ass., 1999, pp. 155 ss.; Mariani, Libera prestazione di servizi e stabilimento degli intermediari di assicurazione comunitari in Italia, in Dir. comm. int., 2001, pp. 661 ss. Sulla concorrenza nel comparto assicurativo cfr. AA.VV., Profili di innovazione istituzionale nell’intermediazione istituzionale (il rapporto banca/assicurazione), Padova, 1998; Patroni Griffi, Ricolfi (a cura di), Banche e assicurazioni fra cooperazione e concorrenza, Milano 1997; Nanni, La disciplina della concorrenza nel mercato assicurativo, in Dir. econ. ass., 2001, pp, 89 ss.; Donati, Volpe Putzolu, Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, 2002, 61 ss.; Cagnasso, Cottino, Irrera, L’assicurazione: l’impresa e il contratto, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, vol. X, Padova, 2001, pp. 47 ss., Antonucci, Imprese di assicurazione e disciplina della concorrenza, estratto da Le assicurazioni. L’impresa e il contratto, Trattato di diritto privato a cura di Bessone, Vol. 16, Torino, 1998, passim; Giampaolino, Le assicurazioni – L’impresa, i contratti, in Trattato di diritto commerciale, fondato da Buonocore e diretto da Costi, sez. III, vol. 3, Torino,
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La creazione del mercato unico delle assicurazioni è stata raggiunta in modo più articolato di quanto non sia avvenuto negli altri settori dell’intermediazione finanziaria13 tanto che sono state necessarie tre direttive di coordinamento. Con le ultime direttive, c.d. di terza generazione, la 96/1992/CEE per il ramo vita e la 49/1992/CEE per il ramo danni (attuate in Italia con due provvedimenti coevi, i dd.lgss. nn. 174 e 175 del 17 marzo 199514), è stata eliminata la precedente ripartizione tra rischi di massa e grandi rischi, come pure quella tra libertà di prestazione attiva e passiva, per lasciare il posto all’unico regime del mutuo riconoscimento e dell’home country control15. Gli effetti delle direttive c.d. di armonizzazione minima circa la vigilanza si ravvisano soprattutto relativamente agli obiettivi e agli strumenti e possono essere così riassunti: a) per gli obiettivi: si chiarisce che l’obiettivo principale della Vigilanza è la tutela del consumatore dei servizi finanziari, siano essi servizi bancari, assicurativi o di investimento16. b) per gli strumenti: si assiste anche ad un’omogeneizzazione degli strumenti dei quali si deve avvalere la vigilanza per raggiungere l’obiettivo citato; non più meglio non solo la “vigilanza strutturale” che trova ancora nell’autorizzazione il suo momento principale ma tale strumento risulta notevolmente ridimensionato dalla introduzione di requisiti oggettivi cui l’Autorità di Vigilanza deve attenersi ma anche la vigilanza
2013, pp. 114 ss. 13 Sul punto v. Antonucci, L’assicurazione fra impresa e contratto, Bari, 1996, pp. 31 ss. ed anche Volpe Putzolu, L’evoluzione della legislazione in materia di assicurazioni, in Il nuovo codice delle assicurazioni. Commento sistematico, a cura di Amorosino, Desiderio, Milano, 2006, pp. 7 ss. 14 Per un commento dei due decreti citati nel testo, sia permesso rinviare al mio L’attuazione delle III direttiva in materia di assicurazioni vita e danni, Padova, 1997, passim. 15 Capotosti, Mercato unico delle assicurazioni contro i danni: terza ed ultima fase, in Ass., 1990, II, pp. 99 ss. ed anche ID., Voce Prestazione di servizi (diritto comunitario), cit., pp. 8 ss.; Id., Introduzione alla nuova disciplina assicurativa italiana, in Assicurazioni, 1995, II, 1, pp. 89 ss.; Bottiglieri, I decreti legislativi per l’esercizio dell’attività assicurativa. Il principio dell’«autorizzazione unica», in Responsabilità civile e previdenza, 1995, pp. 866 ss.; Desiderio, Temi e problemi di diritto delle assicurazioni, Milano, 2010, pp. 31 ss. 16 Cottino, L’assicurazione tra passato e presente, in Irrera (a cura di), L’assicurazione: l’impresa e il contratto, in Trattato di diritto commerciale, Padova, 2011, XXIV.
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prudenziale che, invece, consiste nell’uso di strumenti che mirano a soddisfare la stabilità dell’intermediario e la trasparenza. Esempio di questi strumenti è, nella disciplina assicurativa, la c.d. “vigilanza finanziaria”17. Infatti, fra le norme più importanti dei decreti di attuazione delle c.d. III direttive comunitarie in materia di assicurazione vita e danni, dobbiamo ricordare l’art. 20, d.lgs. 17 marzo 1995, n. 174 (decreto di attuazione della direttiva 92/96/CEE in materia di assicurazione diretta sulla vita) e l’art. 21, d.lgs. 17 marzo 1995, n. 175 (decreto di attuazione della direttiva 92/49/CEE in materia di assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita). Nell’individuare i compiti di vigilanza spettanti, all’epoca, all’Isvap, entrambe le norme citate pongono l’accento sulla c.d. vigilanza “finanziaria”, ossia su quella parte di vigilanza che si concretizza nel costante controllo della situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, e soprattutto del possesso di un margine di solvibilità e di riserve tecniche sufficienti in rapporto all’insieme dell’attività svolta, nonché di attivi congrui ai fini della loro integrale copertura. Le disposizioni citate prevedono, altresì, che le imprese di assicurazione debbano essere dotate di un’idonea organizzazione amministrativa e contabile e debbano disporre di procedure di controllo interno 18. Pertanto, la vigilanza del paese d’origine concerne sia la vigilanza cd finanziaria che la vigilanza strutturale, il cui strumento principale è l’autorizzazione, per la quale le direttive comunitarie hanno previsto il passaporto unico. La vigilanza finanziaria assume particolare rilievo ai nostri fini posto che lo stesso avvocato generale Bot afferma che il principio del controllo del paese d’origine “come sancito dalla direttiva 92/49, possiede peraltro portata limitata, in quanto «riguarda unicamente la sorveglianza finanziaria delle imprese di assicurazione» e «non esclude la possibilità di controlli» da parte delle autorità dello Stato membro ospitante»” 19.
V. infra nota 19. Sulla vigilanza “finanziaria”, prevista dalle direttive di III generazione e conseguentemente anche nei due decreti di recepimento nell’ordinamento italiano, sia permesso rinviare al mio, La vigilanza “finanziaria” sulle imprese di assicurazione vita e danni, in Il mercato finanziario, a cura di Rispoli, Rotondo, Milano, 2005, pp. 363 ss. al quale adde più recentemente Amorosino, Il diritto delle assicurazioni nell’unitarietà delle regolazioni dei tre mercati finanziari, in Diritto mercato assic. e fin., 2016, pp. 253 ss. 19 Nella sentenza della Corte di Giustizia del 28 aprile 2009, Commissione/Italia (C17 18
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3.1. I presupposti per l’attivazione dei poteri di cui all’art. 40, par. 6, della dir. n. 92/49/CEE: cenni e rinvio. Si deve, innanzitutto, premettere che la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato riguarda l’art. 40, par. 6 della direttiva 92/49/CEE, il quale recita: «I paragrafi 3, 4 e 5 lasciano impregiudicato il potere degli Stati membri interessati di prendere, in caso di urgenza, misure appropriate per prevenire le infrazioni commesse sul loro territorio. Ciò implica la possibilità di impedire ad un’impresa di assicurazione la stipulazione di nuovi contratti di assicurazione nel loro territorio». I parr. 3, 4 e 5 citati nella norma prevedono quanto segue: 1) se le autorità competenti di uno Stato membro constatano che un’impresa che ha una succursale od opera in regime di libera prestazione di servizi nel territorio di detto Stato non ne rispetta le norme di diritto ad essa applicabili, invitano l’impresa interessata a porre fine a tale situazione irregolare (par. 3); 2) se l’impresa in questione omette di conformarsi, le autorità competenti dello Stato membro interessato informano le autorità competenti dello Stato membro di origine. Queste prendono senza indugi tutte le misure appropriate affinché l’impresa interessata ponga fine a tale situazione irregolare. La natura delle misure viene comunicata alle autorità competenti dello Stato membro interessato (par. 4); 3) se, nonostante le misure prese dallo Stato membro di origine – o per l’insufficienza di tali misure o in mancanza delle misure stesse nello Stato interessato – l’impresa persiste nel violare le norme di legge vigenti nello Stato membro interessato, quest’ultimo, dopo averne informato
518/06, EU:C:2009:270, punti 114-117) «Come osservato dalla Commissione, la direttiva 92/49 istituisce, al suo quinto ‘considerando’ ed al suo art. 9, il principio del controllo da parte dello Stato membro di origine. Tuttavia, come risulta inequivocabilmente dal settimo ‘considerando’ e dall’art. 9 della medesima direttiva, tale principio riguarda unicamente la sorveglianza finanziaria delle imprese di assicurazione. È pur vero che l’art. 9 della direttiva 92/49 definisce in termini non esaustivi la sfera di applicazione del principio del controllo da parte dello Stato membro di origine, affermando che la vigilanza finanziaria comprende “in particolare” la verifica dello stato di solvibilità e della costituzione di riserve tecniche. Tuttavia, tale disposizione non può essere interpretata nel senso che essa significhi, nello spirito del legislatore comunitario, che lo Stato membro di origine possieda una competenza esclusiva di controllo che si estenda ai comportamenti commerciali delle imprese di assicurazioni. Ne consegue che detto art. 9 non esclude la possibilità di controlli come quelli esercitati dall’ISVAP».
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le autorità competenti dello Stato membro di origine, può prendere le misure appropriate per evitare o reprimere nuove irregolarità e, se strettamente necessario, impedire anche l’ulteriore stipulazione di contratti di assicurazione da parte dell’impresa nel suo territorio. Gli Stati membri provvedono affinché sia possibile effettuare sul proprio territorio le notifiche alle imprese di assicurazione (par. 5). L’art. 40 persegue, dunque, l’obiettivo di realizzare il mercato interno delle assicurazioni dirette contro i danni, garantendo la libertà di circolazione. L’idea è che gli assicurati possano stipulare un contratto con qualsiasi impresa di assicurazione comunitaria, che eserciti la propria attività sia in base alla libertà di stabilimento sia alla libertà di prestazione di servizi. Per ottenere ciò, la III direttiva impone i principi di un’unica autorizzazione e del controllo dello Stato di origine. In questo modo, qualsiasi ente che ottenga un’autorizzazione nel proprio paese membro può svolgere attività di assicurazione contro i danni negli altri paesi membri, senza richiedere alcuna altra autorizzazione alle autorità di vigilanza del paese ospitante. Per raggiungere questo obiettivo, la direttiva di terza generazione sulle assicurazioni diverse dalle assicurazioni sulla vita ha modificato sia la direttiva 73/239/CEE (l. 10 giugno 1978, n. 295) sia la direttiva 88/357/ CEE (d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 49) apportando importanti novità in alcune disposizioni20 che sono utili per interpretare correttamente l’art. 40, par. 6.
20 Così, l’art. 4 della direttiva 92/49/CEE ha rivisto l’art. 6 della direttiva 73/239/CEE per stabilire che «l’accesso all’attività di assicurazione diretta è subordinato alla concessione di un’autorizzazione amministrativa» che deve essere richiesto alle autorità dello Stato di origine, la quale la rilascia sulla base di determinati requisiti. L’art. 5 della direttiva 92/49/CEE ha emendato l’art. 7 della direttiva 73/239/CEE per estendere l’efficacia dell’autorizzazione per tutti gli Stati membri, in modo che la compagnia di assicurazione possa offrire i suoi servizi in tutti detti Stati, sia in regime di libertà di stabilimento, sia in regime di libera prestazione di servizi. L’art. 6 della direttiva 92/49/CEE ha stabilito i requisiti per l’autorizzazione mediante la modifica dell’art. 8 della direttiva 73/239/CEE. Questi includono il requisito che le imprese di assicurazione «siano effettivamente gestite da persone che soddisfano le condizioni necessarie di onorabilità e professionalità». Allo stesso modo, l’art. 8 obbliga a negare l’autorizzazione se i membri che hanno una partecipazione qualificata non sono in grado di garantire una gestione “sana e prudente” dell’impresa di assicurazione. L’art. 14 della direttiva 92/49/CEE ha riformato l’art. 22 della direttiva 73/239/CEE in tema di revoca dell’autorizzazione, assegnando questo potere a qualsiasi ente che ottenga un’autorizzazione nel proprio Stato membro per contrarre l’assicurazione contro i danni
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In primo luogo, l’autorità del paese ospitante dovrebbe avvisare l’impresa di assicurazione ed invitarla a rispettare le regole. Se il mancato rispetto persiste, informerà le autorità dello Stato di origine e adotterà “il più presto possibile” le misure necessarie per garantire il rispetto della legge. Se non adottano misure, non sono adeguate o non hanno l’effetto desiderato e l’inosservanza continua, le autorità dello Stato che fornisce i servizi possono adottare le precauzioni necessarie per porre fine all’irregolarità e impedire che si ripresenti. Il paragrafo 6 della norma in esame contempla situazioni di urgenza, nel qual caso le autorità dello Stato in cui l’ente assicurativo svolge la propria attività possono adottare le misure necessarie per prevenire le irregolarità commesse sul suo territorio. Include la possibilità di impedirgli di stipulare nuovi contratti. Il paragrafo successivo stabilisce che i poteri previsti dal terzo al quinto comma non impediscono agli Stati membri di sanzionare i reati commessi sul loro territorio. Mentre l’ottavo paragrafo autorizza le autorità dello Stato membro in cui sono state commesse violazioni a rivolgersi allo stabilimento o alla proprietà detenuti dall’ente assicurativo che viola il suo territorio; il nono richiede motivazione e notifica delle sanzioni ed, infine, il decimo comma obbliga l’EIOPA per le irregolarità e le misure da adottare. Inoltre, sempre per una corretta interpretazione dell’art. 40 nel suo complesso, sono illuminanti le Conclusioni svolte dall’avvocato generale Bot nella causa più volte citata e soprattutto le considerazioni svolte nei punti 51-5821. Innanzitutto, l’art. 40, cit., prevede una clausola di salvaguardia che consente l’adozione, da parte dello Stato membro ospitante, di misure destinate a garantire il rispetto, da parte delle imprese aventi una succursale od operanti in regime di libera prestazione di servizi nel suo territorio, delle norme ivi applicabili. Tale articolo istituisce due diversi procedimenti a seconda che ricorra o meno una situazione di urgenza. Come chiaramente esposto nelle Conclusioni dell’avvocato generale Bot, la procedura ordinaria, prevista all’art. 40, parr. da 3 a 5, della di-
negli altri Stati membri, senza che le sue autorità nazionali possano opporsi all’autorità competente dello Stato membro di origine. Tra le cause vi è la mancanza di conformità alle condizioni di accesso. 21 Le conclusioni sono anche pubblicate in www.bancario.it Limiti al divieto di operare per un’impresa di assicurazioni estera il cui dirigente e azionista di riferimento è stato condannato penalmente.
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rettiva 92/49/CEE, «consente allo Stato membro ospitante di prevenire o reprimere le infrazioni commesse sul proprio territorio da un’impresa autorizzata. L’autorità di controllo di tale Stato membro deve anzitutto invitare l’impresa interessata a porre fine all’irregolarità, quindi, laddove quest’ultima ometta di conformarsi, informarne le autorità competenti dello Stato membro d’origine affinché esse prendano “senza indugio tutte le misure appropriate affinché l’impresa interessata ponga fine a tale situazione irregolare”. È solo nel caso in cui l’impresa persista nel violare le norme di legge vigenti, nonostante le misure prese, vuoi a causa dell’“insufficienza” o di “carenze” delle misure stesse, che lo Stato membro ospitante può direttamente prendere “le misure appropriate per evitare o reprimere nuove irregolarità”, le quali comprendono, “se strettamente necessario”, il divieto di stipulare nuovi contratti di assicurazione» (punto 53 delle Conclusioni). Il procedimento d’urgenza previsto dall’art. 40, par. 6, della direttiva 92/49/CEE, «consente agli Stati membri interessati, in caso di urgenza, di prendere misure appropriate per prevenire le infrazioni commesse sul loro territorio, tra cui il divieto di stipulare nuovi contratti di assicurazione» (punto 54 delle Conclusioni). Al punto 56 delle Conclusioni, l’avvocato generale afferma che nel caso di specie, è pacifico che la misura consistente nel divieto di stipulare nuovi contratti in Italia sia stata adottata sulla base dell’art. 193 del CAP, il quale, come avremo modo di vedere meglio nel paragrafo successivo, ha unificato il procedimento d’urgenza e il procedimento ordinario22.
Ai punti 56 e 57 delle Conclusioni dell’avvocato generale Bot si legge: «Le parti che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte hanno fornito letture opposte di tale disposizione. Mentre la Onix sostiene che tale disposizione limita il potere di intervento dello Stato membro ospitante alla sola ipotesi di violazione delle disposizioni di interesse generale ricomprese nella «normativa operativa» applicabile in tale Stato membro in relazione alla conclusione e all’esecuzione dei contratti di assicurazione, il governo italiano ritiene che tale potere possa essere fondato sulla mera circostanza che uno degli azionisti non risponda più ai requisiti di reputazione, laddove risulti che l’interesse generale degli assicurati non possa essere adeguatamente tutelato nello Stato membro d’origine. Il governo medesimo aggiunge, per quanto riguarda, più in particolare, il procedimento di urgenza ex articolo 40, paragrafo 6, della direttiva 92/49, che la nozione di «prevenzione delle infrazioni» è estremamente ampia e comprende tutte le circostanze dalle quali può risultare un pericolo reale per gli interessi degli assicurati o di pregiudizio per la regolarità e l’efficienza del mercato delle assicurazioni nel suo insieme». 22
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3.2. (Segue) …e per l’applicazione dell’art. 193 del CAP. Come appena ricordato, l’art. 40, cit., è stato trasposto nell’ordinamento italiano attraverso l’art. 193 del CAP, relativo alla vigilanza sulle imprese di assicurazione di altri Stati membri che operano sul territorio della Repubblica italiana, il quale, per quanto maggiormente interessa in questa sede, dispone che: 1) «le imprese di assicurazione che hanno la sede legale in altri Stati membri sono soggette alla vigilanza prudenziale dell’autorità dello Stato membro d’origine anche per l’attività svolta, in regime di stabilimento od in regime di libertà di prestazione di servizi, nel territorio della Repubblica» (co. 1); 2) «fermo quanto disposto al co. 1, l’IVASS, qualora accerti che l’impresa di assicurazione non rispetta le disposizioni della legge italiana che è tenuta ad osservare, ne contesta la violazione e le ordina di conformarsi alle norme di legge e di attuazione» (co. 2); 3) «qualora l’impresa non si conformi alle norme di legge e di attuazione, l’IVASS ne informa l’autorità di vigilanza dello Stato membro di origine, chiedendo che vengano adottate le misure necessarie a far cessare le violazioni» (co. 3); 4) «quando manchino o risultino inadeguati i provvedimenti dell’autorità dello Stato di origine, quando le irregolarità commesse possano pregiudicare interessi generali, ovvero nei casi di urgenza per la tutela degli interessi degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative, l’IVASS può adottare nei confronti dell’impresa di assicurazione, dopo averne informato l’autorità di vigilanza dello Stato membro di origine, le misure necessarie, compreso il divieto di stipulare nuovi contratti in regime di stabilimento o di libertà di prestazione di servizi con gli effetti di cui all’art. 167» (co. 4). L’art. 193 del CAP deve essere letto congiuntamente agli artt. 23-27 sempre del CAP che dettano le regole che l’impresa comunitaria [come definita all’art. 1, lett. v) del CAP] deve seguire per potere operare in Italia in regime di libertà di stabilimento o di libertà di prestazione di servizi23.
Sul punto cfr., Donati, Volpe Putzolu, Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, 2015, pp. 71 ss., Antonucci, Mariano, Commento sub art. 27 Cap, in Il codice delle assicurazioni, diretto da Capriglione (con la collaborazione di Alpa e Antonucci), I, 1, Padova, 2007, pp. 221 ss; RIVA, Commento sub artt. 192-197, in Commentario al codice 23
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Il co. 1 della norma in commento sancisce la completa applicazione nell’ordinamento assicurativo italiano del principio dell’home country control: le imprese di assicurazione che hanno la sede legale in un Paese membro dell’Unione Europea operanti nel nostro Paese in regime di libertà di stabilimento (v. art. 23 del CAP) o in regime di libera prestazione dei servizi (v. art. 24 del CAP) sono soggette alla vigilanza prudenziale dell’Autorità dello Stato della sede legale24. Ciò posto, il principio di cui sopra viene subito dopo affievolito in quanto il co. 2 della norma in esame fa rimanere in capo all’IVASS il potere di accertare il rispetto, da parte dell’impresa comunitaria, delle disposizioni della legge italiana che l’impresa medesima è tenuta ad osservare. La norma mantiene aperte due questioni già sollevate da alcuni studiosi25 a seguito dell’attuazione delle III direttive: la prima questione concerne la definizione da attribuire a «disposizioni della legge italiana»; la seconda riguarda il procedimento per la repressione delle irregolarità. La prima questione in realtà si compone di due distinti problemi: il primo è stabilire se si tratta solo di disposizione di rango primario ovvero se la locuzione “disposizioni della legge italiana” debba comprendere anche norme amministrative-regolamentari26; il secondo problema è, invece, stabilire quali sono le specifiche prescrizioni cui l’impresa comunitaria deve attenersi.
delle assicurazioni, a cura di Bin, cit., pp. 610 ss.; Desiderio, Commento sub art.193, in Codice delle assicurazioni private, a cura di Candian, Carriero, cit., pp. 833 s. Il primo comma dell’art. 193 del CAP riproduce senza variazioni di rilievo i commi 1 degli artt. 73 (Sul punto v. Caranta, in La nuova disciplina dell’impresa di assicurazione sulla vita, cit., pp. 739 ss.) del d.lgs. n. 174/1995 e 84 del d.lgs n. 175/1995; i commi 2-7 riproducono, con alcune variazioni di cui parleremo più avanti, il contenuto dei commi 2-7 dell’art. 74 del d.lgs. n. 174/1995 e dell’art. 85 del d.lgs. n. 175/1995. Nella norma in esame non è stato riportato il primo comma degli artt. 74 e 85, citt., in base al quale l’IVASS avrebbe potuto chiedere alle imprese comunitarie la presentazione di tutti i documenti necessari per consentire l’accertamento di irregolarità di gestione. 24 Cfr. Bassan, Commento sub art. 24, in Il codice delle assicurazioni, diretto da Capriglione, cit., pp. 203 ss.; Carlevale, Commento sub art. 24, in Commentario breve al diritto delle assicurazioni, a cura di Volpe Putzolu, Padova, 2013, pp. 324 s.; Merani, Commento sub artt. 23-29, in Commentario al Codice delle Assicurazioni, a cura di Bin, cit., pp. 51 ss.; Maffongelli, Commento sub artt. 23-27, in Codice delle assicurazioni, a cura di Candian, Carriero, cit., pp. 121 ss. 25 Caranta, in La nuova disciplina, cit., pp. 743 ss. 26 Sul punto v. anche Bottiglieri, I decreti legislativi per l’esercizio dell’attività assicurativa: il principio del “home country control”, in Resp. civ. e prev., 1996, pp. 876 s.
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Per ciò che concerne il primo problema, dalla lettura della norma sembrerebbe che per disposizioni della legge italiana debbano intendersi esclusivamente norme (disposizioni) a carattere legislativo; ma sempre nella stessa norma si prevede che l’IVASS può ordinare all’impresa di conformarsi alle norme di legge e di attuazione al pari di quanto previsto nella norma successiva (v. co. 3). Pertanto l’affievolimento del principio dell’home country control si potrebbe realizzare sia per norme di carattere primario che norme regolamentati. L’altro problema è definire il limite del potere dell’IVASS circoscrivendo le disposizioni su cui ricade l’applicazione della norma in esame. In proposito, è stato osservato che «l’IVASS possa sanzionare eventuali violazione della legge italiana da parte di imprese comunitarie… solo se e nella misura in cui si tratti di disposizioni che siano contemporaneamente: a) adottate per motivi di interesse generale, b) in relazione ad oggetti per i quali la direttiva comunitaria riserva margini di competenza a beneficio del potere legislativo ai Paesi membri, c) nel rispetto dei principi fondamentali di non discriminazione e proporzionalità»27. Il CAP ha risolto il problema introducendo l’art. 27 che obbliga le imprese di assicurazione comunitarie al rispetto delle norme di interesse generale disponendo che le imprese citate non possono stipulare contratti, nonché fare ricorso a forme di pubblicità che siano in contrasto con disposizioni nazionali di interesse generale28, ivi comprese quelle
Cfr. sul punto Caranta, La nuova disciplina, cit., p. 748; Sciarrone Alibrandi, MucciaCommento sub artt. 192-194, in Il codice delle assicurazioni, diretto da Capriglione (con la collaborazione di Alpa e Antonucci), II, 2, Padova, 2007, p. 316). Più precisamente le imprese comunitarie devono rispettare le norme di interesse generale in materia di contratti e di pubblicità, poste a protezione degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative (v. Antonucci, Mariano, Commento sub art. 27 Cap, cit., I, 1, Padova, 2007, pp. 224 ss. È stato correttamente osservato che proprio «alla stregua del principio di proporzionalità, la stessa restrizione imposta nell’interesse generale potrebbe rivelarsi come adeguate nei riguardi di una succursale, ma al contempo eccessiva rispetto alla prestazione dei servizi. Pertanto, l’opera di individuazione delle normative di interesse generale non risolverà i suoi sforzi nella specifica indicazione delle singole norme di pertinenza, ma dovrà estendersi alla verifica dell’area di rilevanza di dette disposizioni rispetto alle multiformi espressioni delle libertà comunitarie» (così Antonucci, Mariano, Commento sub art. 27 Cap, cit., p. 227). 28 Per la nozione di «interesse generale» cfr. Comunicazione interpretativa della Commissione Europea C(1999)5046 del 2.2.2000). Sul punto cfr. Antonucci, Mariano, Commento sub art. 27 Cap, cit., pp. 228 ss. e Rossetti, Il diritto delle assicurazioni, I, L’impresa di assicurazione. Il contratto di assicurazione, Padova, 2011, pp. 158 ss. 27
rone,
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poste a protezione degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative. Secondo l’art. 27, cit., pertanto, le norme che devono essere rispettate dalle imprese comunitarie – e che quindi soddisfano le tre condizioni sopraelencate – attengono alla disciplina della trasparenza assicurativa (stipulazione dei contratti e ricorso a forme di pubblicità contrastanti con disposizioni nazionali di interesse generale) ivi comprese le norme poste a tutela degli assicurati e dei sottoscrittori di prodotti assicurativi29. Circa il procedimento per la repressione delle irregolarità, ai sensi del co. 2 dell’art. 193 del CAP, qualora l’IVASS accerti che l’impresa di assicurazione comunitaria non rispetta le disposizioni della legge italiana nel senso anzidetto, può avviare il procedimento per la repressione delle irregolarità con due provvedimenti: 1) la contestazione della violazione e 2) l’ordine di conformarsi alle norme di legge e di attuazione. Il procedimento di accertamento deve seguire le regole fissate dall’IVASS con regolamento emanato ai sensi dell’art. 9, co. 2 del CAP, nel rispetto dei principi della facoltà di denuncia di parte, della piena conoscenza dei degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché della distinzione tra le funzioni istruttorie e quelle decisorie.
L’IVASS ha pubblicato un elenco (applicabile alle imprese di assicurazioni e agli intermediari) contenenti norme di interesse generale e, sebbene si tratti di una casistica esemplificativa e non esaustiva, l’Istituto precisa di non essersi limitato a indicare puramente e semplicemente intere parti di legislazione, ma di selezionare le norme che contengono requisiti aggiuntivi rispetto alle disposizioni minimali previste dalle direttive. La dottrina si è posta in atteggiamento critico, rilevando l’imprecisione delle stesse, poiché alcune delle norme contenute, per stessa ammissione dell’Istituto, hanno carattere informativo “pur non potendosi considerare strettamente di interesse generale”. In questo modo, dunque, ricade sull’interprete verificare se la natura sia informativa ovvero imperativa a discapito della chiarezza normativa (cfr. Carlevale, cit., 328). 29 Antonucci, Mariano, Commento sub art. 27 Cap, cit., p. 222, dove gli autori affermano che «la nozione d’interesse generale, dosando l’applicazione di normativa non armonizzata, si pone quindi sulla delicata linea di confine fra effettività dell’ordinamento nazionale e barriera all’operatività delle imprese comunitarie. Barriera che s’apprezza e sotto il profilo dell’offerta contrattuale sotto quello delle attività di promozione dei propri prodotti (…). Barriera delineata (…) con gli sfocati confini propri delle clausole general, ma al contempo barriera ben solida, visto il carattere imperativo della prescrizione, che pone il problema delle conseguenze della sua violazione». In argomento e per una completa disamina delle decisioni della CGUE v. Rossetti, Il diritto delle assicurazioni, I, L’impresa di assicurazione. Il contratto di assicurazione, cit., pp. 157 ss.
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Inoltre è prevista l’applicabilità, con il limite della compatibilità, della l. 7 agosto 1990, n. 241 (legge sul procedimento amministrativo e sul diritto di acceso ai documenti) per quanto concerne i principi sull’individuazione e sulle funzioni del responsabile del procedimento, sulle partecipazioni al procedimento e sull’accesso agli atti amministrativi. All’interno del medesimo regolamento l’IVASS dovrà determinare i casi di necessità ed urgenza o i motivi di riservatezza per cui sia possibile derogare a tali principi. Una volta accertata la violazione, l’IVASS ha un potere più intenso di quanto previsto in passato. Infatti mentre nella disciplina previgente l’Istituto avrebbe potuto solo invitare l’impresa comunitaria a porre fine alla situazione di irregolarità, ora contesta all’impresa di assicurazione la violazione ed ordina alla medesima di conformarsi alle norme di legge e di attuazione. Riguardo al profilo, di grande rilievo, della collaborazione fra Autorità di vigilanza, il co. 3 della norma in esame riproduce senza alcuna variazione il co. 3 dell’art. 74 del d.lgs. n. 174/1995 e dell’art. 85 del d.lgs. n. 175/1995. In dottrina è stato sostenuto che l’IVASS potrebbe, al verificarsi dell’urgenza, adottare i provvedimenti sanzionatori senza attendere l’adozione delle misure da parte dell’Autorità del paese membro30. La conclusione cui era giunta la dottrina citata è ora prevista espressamente dal legislatore al co. 4 della norma in esame. Infine, l’IVASS può adottare i provvedimenti sanzionatori nell’ipotesi appena indicata qualora si verifichino tre ipotesi: a) quando manchino o risultino inadeguati i provvedimenti dell’Autorità dello Stato d’origine; b) quando le irregolarità commesse possano pregiudicare interessi generali, ovvero c) nei casi di urgenza per la tutela degli interessi degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative. A meno che non si verifichi la situazione indicata alla lett. c), in tutte le altre situazioni l’IVASS deve attendere la decisione dell’altra Autorità31. Per quanto concerne le misure adottabili da parte dell’IVASS, il legislatore fa riferimento al generico canone della necessità e definisce come necessaria la misura consistente nel divieto di stipulare nuovi contratti sia in regime di stabilimento che di libertà di prestazione dei servizi. Se l’impresa di assicurazione che ha commesso l’infrazione opera in regime di stabilimento o possieda beni nel territorio italiano, le sanzioni
Capotosti, La disciplina definitiva delle assicurazioni private sulla vita, in Ass., 1992, II, pp. 268 ss. 31 Rossetti, L’autorizzazione all’esercizio dell’impresa assicurativa: le novità del codice, in Ass., 2005, I, pp. 457 ss. 30
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amministrative sono adottate nei riguardi della sede secondaria o dei beni ed in questa seconda ipotesi la misura indicata è la confisca (misura non indicata in modo esplicito nella vecchia legislazione). Gli ultimi due commi dell’art. 193 del CAP riproducono senza alcuna variazione i commi 6 e 7 degli artt. 74 del d.lgs. n. 174/1995 e 85 del d.lgs. n. 175/1995. Nel caso di specie del quale qui si tratta tutti i presupposti dell’art. 193 del CAP erano stati rispettati dall’Autorità di vigilanza italiana, infatti: 1) le informazioni e la documentazione in possesso dell’IVASS erano state trasmesse all’Autorità di vigilanza rumena chiedendo di adottare ogni iniziativa a protezione degli assicurati, avvertendo che, in assenza di interventi, l’IVASS, tenuto per legge a garantire la protezione degli assicurati italiani, avrebbe adottato ogni provvedimento utile e necessario per la tutela degli interessi degli assicurati italiani; 2) l’Autorità rumena aveva condiviso le preoccupazioni dell’IVASS, offrendo la propria collaborazione e preannunciando la costituzione di una task force interna per la valutazione delle misure da adottare nei confronti dell’impresa rumena e chiedendo la collaborazione dell’IVASS per esaminare i documenti relativi al dossier; 3) l’IVASS aveva manifestato la disponibilità a collaborare, sottolineando al contempo la necessità che i tempi di conclusione dei lavori della task force e le conseguenti determinazioni dell’Autorità rumena fossero coerenti con l’urgenza del caso e con il dovere dell’IVASS di intervenire con misure immediate a protezione degli assicurati italiani; 4) pertanto, l’IVASS, ravvisando nel caso di specie motivi di urgenza, aveva preannunciato che, qualora l’Autorità rumena non avesse adottato entro trenta giorni un provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa dell’impresa di assicurazione rumena, avrebbe dovuto adottare nei confronti dell’impresa, a protezione degli assicurati italiani, il divieto di assunzione di nuovi affari in Italia; 5) a tale invito dell’IVASS, l’ASF aveva fatto presente di non poter adottare, in base alla propria legislazione, un provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa anche perché i criteri previsti a livello comunitario per la valutazione della reputazione degli azionisti non erano stati incorporati nell’ordinamento interno e pertanto non vincolanti; l’ASF aveva fatto comunque presente che avrebbe avviato un processo di modifica della legislazione rumena32.
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Nel documento del BoS (documento predisposto dall’EIPOA Board of Supervisors
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4. L’autorizzazione unica ed il controllo del paese d’origine con specifico riguardo alla valutazione dell’onorabilità dei partecipanti al capitale e degli esponenti aziendali al momento del rilascio dell’autorizzazione. 4.1. Premessa. La direttiva 92/49/CEE (attuata in Italia con il d.lgs. n. 175/1995) impone due principi: l’autorizzazione unica ed il controllo dello Stato membro di origine. Ciò sta a significare che solo le autorità di questo paese sono competenti per verificare se l’impresa richiedente rispetti i requisiti di accesso e, in tal caso, concedere l’autorizzazione a svolgere l’attività assicurativa. Questa autorizzazione apre le porte all’intero mercato interno nel senso che permette all’impresa di assicurazione autorizzata in un paese membro di offrire i suoi servizi assicurativi nel territorio di ogni paese membro, sia in regime di stabilimento sia in regime di libera prestazione di servizi a parità di condizioni con gli assicuratori operanti nel paese di destinazione. Questi due principi sono essenziali per la creazione del mercato unico dei servizi assicurativi, così come per tutti gli altri servizi finanziari, senza di essi, la libertà di stabilimento e la libertà di prestare servizi all’interno della UE rimarrebbero meri principi teorici. L’autorizzazione unica rilasciata dall’autorità competente dello Stato di origine impedisce alle autorità degli altri Stati membri di esigerne un’altra, imponendo requisiti diversi, vietando ai titolari dell’autorizzazione di svolgere l’attività assicurativa per la quale sono stati autorizzati, privandoli della loro autorizzazione o applicando loro condizioni meno favorevoli rispetto alle società del paese d’origine33.
datato 30 Gennaio 2017 dal titolo “Decisione del BoS relativa alla collaborazione tra le Autorità di vigilanza delle assicurazioni”.) sono indicate le informazioni che, ai sensi degli artt. 147-148 della Direttiva Solvency II, l’autorità dello stato membro d’origine deve dare all’autorità del paese ospitante (cap. 3.2.1, pp. 26 ss.). 33 In generale per il controllo sulle imprese di assicurazione esercitato per il tramite del provvedimento autorizzatorio prima del CAP v. Donati, L’autorizzazione all’esercizio dell’industria assicurativa, in Ass., 1941, I, pp. 326 ss.; ID, Trattato di diritto delle assicurazioni private, Milano, 1952, pp. 159 ss.; Lucifredi, I poteri discrezionali del Ministero nell’autorizzazione all’esercizio dell’industria assicurativa, in Assicurazioni, 1947, I, pp. 93 ss.; ID, Ancora sui poteri discrezionali del Ministero nell’autorizzazione all’eser-
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Spetta a quest’ultimo verificare se sono soddisfatti i requisiti per ottenere un’autorizzazione. Il criterio per identificare lo stato competente è la sede legale come si ricava dall’art. 1, lettera c) della direttiva 92/49/ CEE: «Stato membro d’origine è lo Stato membro in cui è situata la sede legale della compagnia di assicurazione che copre il rischio; indirizzo sociale della compagnia di assicurazione che copre il rischio». I requisiti per ottenere l’autorizzazione sono gli stessi in tutti gli Stati membri, in quanto sono espressamente individuati nella direttiva 73/239/CEE (l. n. 295/1978). L’art. 8, par. 1, lett. e), della direttiva 73/239/CEE, prevede che le imprese di assicurazione debbano essere effettivamente dirette da persone che soddisfano i necessari requisiti «di onorabilità e di qualificazione o di esperienza professionale», mentre gli articoli 8 e 15 ter della direttiva 92/49/CEE prevedono requisiti relativi alla «qualità» degli azionisti o dei soci, la quale deve garantire una gestione sana e prudente; il secondo di questi due articoli precisa che, in caso di acquisizione da parte di un nuovo acquirente, questi deve soddisfare il criterio relativo alla «reputazione». L’art. 8 modificato dall’art. 6 della direttiva 92/49/CEE (d.lgs. n. 175 del 1995), impone quanto segue: a) adottare una delle forme sociali prescritte; b) limitare il proprio oggetto sociale all’attività assicurativa; c) presentare un programma di attività che specifichi, tra l’altro, i rischi che devono essere coperti e i criteri per i premi e le richieste di risarcimento; e d) che gli azionisti e i gestori di riferimento abbiano una reputazione che consente una gestione sana e prudente dell’entità34.
cizio dell’industria assicurativa, in Ass., 1966, I, pp. 3 ss.; Kimball, I fini della disciplina dell’impresa di assicurazione: un’indagine preliminare sulla teoria generale del diritto delle assicurazioni, Ass., 1961, I, pp. 401 ss. e Garri, voce Impresa di assicurazione, II (Diritto amministrativo), in Enc. giur., XVI, Roma, 1988; Martina, Commento sub art. 7, cit., pp. 90 ss. 34 Cfr., sul punto, ex multis, Giampaolino, Le assicurazioni. L’impresa – I contratti, in Trattato di diritto commerciale, cit., pp. 21 ss.; Gnes, La disciplina delle assicurazioni, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di Cassese, parte speciale, tomo terzo, Milano, 2003, pp. 2910 ss.; Rossetti, L’autorizzazione all’esercizio dell’impresa assicurativa: le novità del codice delle assicurazioni, cit., pp. 433 ss.; Merani, Commento sub artt. 13-22, in Commentario al Codice delle Assicurazioni, a cura di Bin, cit., pp. 60 ss.; Mezzacapo, L’accesso all’attività assicurativa, in Il nuovo codice delle assicurazioni, a cura di Amorosino, Desiderio, cit., pp. 126 ss. e Gentile, Commento sub artt. 13-15, in Il codice delle assicurazioni, diretto da Capriglione (con la collaborazione di Alpa e Antonucci), I, 1, Padova, 2007, pp. 132 ss.;
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A queste nome devono essere aggiunte, soprattutto per i profili che stiamo trattando in questa sede, le modifiche apportate alla III direttiva danni dalla direttiva 2007/44/CE (nota come “Direttiva partecipazioni”, emanata con l’intento di raggiungere un’uniformità delle norme relative agli assetti proprietari per tutti gli intermediari finanziari)35. L’art. 15 della direttiva 92/49/CEE, come modificato dall’art. 1, punto 2) della direttiva 2007/44/CE36, stabilisce ora al co. 1 che « Gli Stati membri prevedono che qualsiasi persona fisica o giuridica (di seguito “candidato acquirente”), che abbia deciso, da sola o di concerto con altre, di acquisire, direttamente o indirettamente, una partecipazione qualificata in un’impresa di assicurazione o di aumentare ulteriormente, direttamente o indirettamente, detta partecipazione qualificata in modo tale che la quota dei diritti di voto o del capitale da essa detenuta raggiunga o superi il 20 %, 30 % o 50 %, o che l’impresa di assicurazione divenga una sua impresa figlia, notifichi previamente per iscritto alle autorità competenti dell’impresa di assicurazione nella quale intende acquisire una partecipazione qualificata o aumentare detta partecipazione qualificata l’entità prevista della partecipazione e le informazioni pertinenti di cui all’articolo 15 ter, paragrafo 4. Gli Stati membri possono non applicare la soglia del 30 % quando essi applicano una soglia di un terzo a norma dell’articolo 9, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/109/CE».
Si tratta della Direttiva 2007/44/CE del 5 settembre 2007 che modifica la direttiva 92/49/CEE del Consiglio e le direttive 2002/83/CE, 2004/39/CE, 2005/68/CE e 2006/48/ CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario, pubblicata in GUCE, 21 settembre 2007, n. L. 247. Sulla applicazione di tale direttiva nel settore assicurativo v. Brestolli, Commento sub art. 68 Cap, in Volpe Putzolu, Commentario breve, cit., pp. 68 ss. ed anche il mio, Gli assetti proprietari delle imprese di assicurazione fra diritto comune e diritto speciale, in Dir. Banc., 2014, I, pp. 553 ss. 36 Le regole che ora governano le partecipazioni nelle imprese di assicurazione e di riassicurazione sono contenute, per la disciplina primaria, negli artt. 68-75 del CAP come modificati dall’art. 4, d.lgs. n. 21/2010 e, per la disciplina secondaria, nella comunicazione Isvap n. 3 del 2 luglio 2009 che, seppure emanata nelle more del decreto di attuazione della direttiva 2007/44/CE, non ha perso la sua validità posto che con essa l’Isvap ha individuato, senza poi emanare nessun altro provvedimento in materia, le norme della citata direttiva direttamente applicabili alle imprese di assicurazione e di riassicurazione. L’architettura sulla quale poggia la disciplina delle partecipazioni al capitale delle imprese di assicurazione è uguale a quella degli altri intermediari e si fonda su due obblighi principali: a) la preventiva richiesta di autorizzazione e b) l’obbligo di comunicazione. 35
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A questa norma la direttiva soprarichiamata ha affiancato altre due norme rendendo più complessa ed articolata la disciplina degli assetti proprietari delle imprese di assicurazione. Si vuole far riferimento agli artt. 15-bis e 15-ter. 4.2. Il requisito dell’onorabilità nella disciplina assicurativa italiana. L’ASF aveva fatto presente nella sua difesa, fra l’altro, di non poter adottare, in base alla propria legislazione, un provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa «anche perché i criteri previsti a livello comunitario per la valutazione della reputazione degli azionisti non erano stati incorporati nell’ordinamento interno e pertanto non vincolanti». Quanto affermato dall’Autorità rumena desta forti preoccupazione soprattutto se si pone mente alle conseguenze che possono derivare (e che in effetti sono derivate anche nel caso trattato dalla sentenza del Consiglio di Stato) da differenziali normativi con altri paesi che hanno una disciplina molto rigida della “reputazione” sia dei soci rilevanti sia degli esponenti aziendali come accade in Italia. Nel nostro ordinamento, infatti, la disciplina dei requisiti di onorabilità è molto rigida e complessa ed è proprio di tale disciplina che ora daremo conto seppure nei limiti in cui è concesso in questa sede posto l’obiettivo prefissato. La materia degli assetti proprietari delle imprese di assicurazione è contenuta, innanzitutto, nel Titolo VII del CAP e precisamente nei Capi I, II e III (dall’art. 68 all’art. 81) i quali forniscono una disciplina organica di tre gruppi di materie fra loro strettamente connesse: gli artt. 68-75 racchiudono la disciplina delle partecipazioni nelle imprese di assicurazione regolata in precedenza dalla l. 9 gennaio 1991, n. 20 , le regole sulla ownership structure; gli artt. 76-78 definiscono le regole concernenti i requisiti degli esponenti aziendali e dei titolari di partecipazioni, precedentemente contenuta nei decreti attuativi delle direttive comunitarie di terza generazione (d.lgs. n. 174/1995 e d.lgs. n. 175/1995) ed, infine, gli artt. 79-81 disciplinano la materia delle partecipazioni detenibili dalle imprese di assicurazione e di riassicurazione. I gruppi di norme appena elencati sono stati oggetto di importanti ed incisivi interventi normativi: 1) un primo intervento è avvenuto per effet-
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to dell’art. 4, d.lgs. 27 gennaio 2010 n. 2137 che, nel dare attuazione alla direttiva 2007/44/CE, ha modificato gran parte degli articoli regolanti la disciplina delle partecipazioni al capitale delle imprese di assicurazioni ed i requisiti di onorabilità dei titolari di dette partecipazioni; 2) il secondo intervento, di tipo regolamentare, è costituito dal decreto del ministero dello sviluppo economico n. 220 dell’11 novembre 2011 avente come contenuto il “Regolamento recante determinazione dei requisiti di professionalità, onorabilità ed indipendenza degli esponenti aziendali, nonché dei requisiti di onorabilità dei titolari di partecipazioni, ai sensi degli articoli 76 e 77 del Cap” che colma un “imbarazzante” vuoto normativo durato un po’ più di sei anni38. In particolare, i requisiti degli esponenti e dei partecipanti al capitale in misura rilevante hanno trovato collocazione nel nostro ordinamento agli artt. 76, 77 e 78 del CAP, ai quali il legislatore, riprendendo il contenuto di norme presenti in altri settori del mercato finanziario39, affida il
Il decreto citato nel testo, nel dare attuazione alla direttiva 2007/44/CE (nota come “Direttiva partecipazioni”, emanata con l’intento di raggiungere un’uniformità delle norme relative agli assetti proprietari per tutti gli intermediari finanziari), ha modificato gran parte degli articoli regolanti la disciplina delle partecipazioni al capitale delle imprese di assicurazioni ed i requisiti di onorabilità dei titolari di dette partecipazioni. Per un commento sistematico dell’art. 68 Cap prima delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 21/2010 v. Troiano, Commento sub artt. 68-69, in Il codice delle assicurazioni private diretto da Capriglione, Padova, I, 2, pp. 98 ss.; Giampaolino, Gli assetti proprietari e i gruppi assicurativi, in Il nuovo Codice delle Assicurazioni, a cura di Amorosino e Desiderio, cit., pp. 209 ss., spec. pp. 211-216 e Regoli, Commento sub artt. 68-75, in Commentario al codice delle assicurazioni, a cura di Bin, cit., pp. 146 ss. Il d.lgs. n. 21/2010 ha anche anticipato l’attuazione delle regole presenti nella Direttiva 2009/138/CE del 25 novembre 2009, nota come Solvency II, agli artt. 57-63, tanto che il decreto di attuazione di quest’ultima, il d.lgs. 12 maggio 2015, n. 74 ha introdotto poche e non rilevanti modifiche ed integrazioni. Focarelli, Il ruolo delle imprese di assicurazione nella crisi finanziaria: Solvency II è una risposta adeguata?, in Banca, impresa, soc., 2010, 2, pp. 271 ss.; Balsamo Tagnani, Solvency II – L’avvio del nuovo regime di vigilanza prudenziale nel settore assicurativo, in Contratto e impr., 2016, pp. 691 ss. e Scalise, Fichera, Solvency II: impatti del nuovo regime sui profili pubblicistici della vigilanza assicurativa, in Dir. mercato assic. e fin., 2017, pp. 119 ss. 38 Anche questa materia è stata ripresa da Solvency II agli artt. 42 (Requisiti di competenza e di onorabilità per le imprese che dirigono effettivamente l’impresa o rivestono altre funzioni fondamentali) e 43 (Prova dell’onorabilità) ed è stata oggetto di attenzione da parte della EIOPA con gli Orientamenti sulla corporate governance pubblicati nel 2013. 39 Si intende far riferimento all’art. 26 del t.u.b. per le banche, all’art. 209 del t.u.b. per gli altri intermediari finanziari, all’art. 13 del t.u.f. per le imprese di investimento, srg e sicav. Sul punto cfr. Valensise, Commento sub artt. 76-78, in Il codice delle assicurazioni 37
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compito di uniformare la disciplina assicurativa a quella degli altri settori del mercato finanziario per ciò che concerne, da un lato, i requisiti di professionalità, onorabilità ed indipendenza degli esponenti aziendali (artt. 76 e 79 citt.) e, dall’altro, i requisiti di onorabilità dei titolari di partecipazioni rilevanti (art. 78, cit.). Queste norme sono state poi integrate dalle disposizioni dettate dal decreto del ministero dello sviluppo n. 220/2011. A) L’art. 76 del CAP prevede che gli esponenti aziendali (rectius “i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione e di controllo”) devono possedere i requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza così come indicati nel regolamento adottato dal Ministro dello sviluppo economico, sentito l’Isvap. Posto che anche le imprese di assicurazione e di riassicurazione possono adottare modelli alternativi di governance rispetto al modello tradizionale, per esponenti aziendali devono intendersi tanti gli amministratori quanto il consiglio di gestione ed i suoi membri e per soggetti che svolgono la funzione di controllo i sindaci, i componenti del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo interno della gestione (art. 78 del CAP e art. 8, d.m. (sviluppo) n. 220/2011). Sempre con riferimento all’ambito soggettivo, è inoltre espressamente ribadito che al rappresentante generale delle sedi secondarie all’estero di imprese nazionali e a quello delle sedi secondarie in Italia di imprese aventi sede legale in uno Stato terzo non si applicano, ai sensi del CAP (art. 16 e 28 del CAP), le norme sui requisiti di indipendenza (art. 2, co. 2, d.m. (sviluppo) n. 220/2011). Con specifico riferimento alla onorabilità, è previsto che per coloro che intendono ricoprire le cariche di amministratore, sindaco40 o direttore generale nelle imprese di assicurazione e di riassicurazione, i requisiti
private, diretto da Capriglione, Padova, I, 2, pp. 190 ss. 40 Il requisito dell’onorabilità previsto per i membri del collegio sindacale era stato modificato con il d.lgs. 4 agosto 1999, n. 343 con il quale era stata recepita nel nostro ordinamento la direttiva 95/26/CE più nota come direttiva post-BCCI. Sul punto sia permesso rinviare al mio, Commento sub art. 4 d.lgs. 4 agosto 1999, n. 343, in Il rafforzamento della vigilanza prudenziale nel settore assicurativo, Commentario a cura di Partesotti, Padova, 2002, pp. 96 ss., spec. pp. 101 s.
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di «onorabilità»41 si concretizzano nella insussistenza di situazioni impeditive tassativamente previste dal d.m. (sviluppo) 220/201142. Ai sensi dell’art. 5, co. 1, di detto regolamento tali situazioni sono le seguenti: 1) stato di interdizione legale ovvero interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e, comunque, tutte le situazioni previste dall’art. 2382 c.c.; 2) l’essere stato sottoposto a misura di prevenzione disposte ai sensi della l. 27 dicembre 1956, n. 1423 o della l. 31 maggio 1965, n. 575 e della l. 13 settembre 1982, n. 646 come successivamente modificate e integrate, salvi gli effetti della riabilitazione; 3) l’essere stato condannato con sentenza irrevocabile, salvi gli effetti della riabilitazione: a) a pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l’attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento nonché dal d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 e successive modificazioni ed integrazioni; b) alla reclusione per delitti societari o fallimentari; c) alla reclusione per un tempo non inferiore ad un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria; d) alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni per un qualunque delitto non colposo43.
41 Il termine «onorabilità» è stato usato per la prima volta nella l. 5 marzo 1985, n. 74 con la quale veniva attribuito al Governo la delega per l’attuazione della direttiva CEE 77/780 (prima direttiva di coordinamento in materia bancaria). Il termine citato serviva ad indicare «specifici requisiti di onorabilità che (dessero) affidamento per una corretta gestione dell’attività bancaria in base al comportamento professionale delle persone stesse e ai loro precedenti penali». La medesima legge parlava, poi, di «requisiti di esperienza adeguati alla carica da rivestire, alle dimensioni ed all’ambito operativo dell’ente» ed entrambi tali requisiti dovevano essere richiesti per i soggetti che determinassero effettivamente l’orientamento dell’ente creditizio. 42 Per un’attenta e accurata ricostruzione del requisito dell’onorabilità si rinvia a Petragnani Gelosi, I requisiti di onorabilità degli intermediari mobiliari, in Diritto penale della banca e del mercato finanziario, Torino, 2002, pp. 375 ss. 43 «Le espressioni “delitti contro il patrimonio, contro la fede pubblica o contro l’economia pubblica” devono ritenersi tassativamente riferite alle classificazioni codicistiche, e quindi alle fattispecie di reato in esse racchiuse: non possono quindi assumersi come causa di incompatibilità altri delitti, non rientranti in tali categorie, che pure offendono il patrimonio o l’economia» (Palombi, Piga, Diritto penale dell’economia e dell’impresa, Mercato finanziario, vol. II, Torino, 1996, p. 1019 cui adde Zanotti, Belli, Profili penalistici in tema di requisiti di onorabilità per esponenti e partecipanti al capitale di banche
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Rilevanti sono le novità rispetto alla disciplina previgente [v. art. 2, d.m. (industria) n. 186/1997]: in primo luogo, nel requisito sub 1) è stata mantenuta la lett. a) dell’art. 2 cit. con l’aggiunta del richiamo ai requisiti di cui all’art. 2382 c.c., norma che, negli altri ordinamenti è richiamata in via esclusiva senza, ovviamente alcuna aggiunta; in secondo luogo, l’inserimento dei reati in materia bancaria e finanziaria, di cui al requisito sub 3, lett. a) rappresenta un’importante novità già presente in altri ordinamenti come quello dei mercati mobiliari dove il legislatore ha accolto le considerazioni svolte a suo tempo da parte della dottrina 44; infine, il d.m. (sviluppo) n. 220/2011 ha riprodotto la soluzione presente in altri ordinamenti ad una delle più importanti questioni sorte nel vigore della disciplina previgente, ossia se la perdita dell’onorabilità si verifica anche in seguito alla sentenza che applica la pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (c.d. patteggiamento)45. B) Se per raggiungere la sana e prudente gestione dell’impresa di assicurazione e di riassicurazione è necessario che chi ricopre cariche di vertice abbia determinati requisiti di idoneità morale e competenza professionale, nondimeno è opportuno che i soci rilevanti degli intermediari finanziari abbiano specifici requisiti di onorabilità e rispettino taluni obblighi di trasparenza. Si tratta del c.d. «aspetto qualitativo» del capitale che nel mercato finanziario assume un rilievo particolare in ragione «del carattere fiduciario su cui riposa l’attività degli intermediari e della rilevanza che acquista la garanzia di un efficiente allocazione delle risorse nel sistema economico»46. L’imposizione di requisiti di onorabilità dei soci rilevanti dovrebbero innanzitutto evitare l’ingresso nella società di persone socialmente pericolose che non danno idonea garanzia della correttezza della gestione, in altre parole di persone con cattiva “reputazione”.
e Sim, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, pp. 448 ss.). 44 Cfr. Freni, Commento sub artt. 7 e 8, d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, in La disciplina degli intermediari e dei mercati finanziari a cura di Capriglione, Padova, 1997, p. 55. 45 Il problema viene risolto ora positivamente dall’art. 3, co. 2 del d.m. citato, dove si stabilisce che anche le sentenze penali emesse a seguito di patteggiamenti per i reati indicati sub 3, lett. a) e b), rilevano ai fini della sussistenza dell’onorabilità sempreché le pene non siano inferiori ad un anno. In tema cfr. Mazzini, Commento sub art. 26 Tub, (2003), cit., p. 409, spec. note 37 ss. ed anche Marafioti, La condanna a pena concordata e l’onorabilità dei dirigenti bancari, in Dir. pen e proc., 1999, pp. 227 ss. Per i sindaci di intermediari quotati trova applicazione l’art. 2, d.m. (giustizia) n. 162/2000. 46 Cfr. Troiano, Commento sub artt. 10-12 d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, in Capriglione. (a cura di), La disciplina degli intermediari e dei mercati finanziari, Padova, 1997, p. 74.
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Operando in questo modo, si dovrebbe evitare che i soci che detengono una determinata porzione del capitale, considerata rilevante, e che, presuntivamente, siano in grado di influenzare le decisioni della società, rimangano nell’anonimato e ciò è importante anche per salvaguardare il rapporto fiduciario esistente tra il pubblico dei risparmiatori e l’intermediario finanziario. La disciplina dei requisiti di onorabilità è contenuta nell’art. 77 del CAP rimaneggiato ad opera dell’art. 4, lett. q) ed r), d.lgs. n. 21/2010 con il quale viene sottratta alla competenza del Ministro dello sviluppo economico la determinazione delle partecipazioni rilevanti al fine dell’applicazione della norma in oggetto e viene fatto esplicito rinvio alle soglie partecipative indicate normativamente dall’art. 68 del CAP. La regole sui requisiti di onorabilità dei partecipanti poi si completa con l’art. 2, co. 5 e l’art. 5 d.m. (sviluppo) n. 220/2011. I soggetti sui quali ricade l’obbligo del rispetto del requisito di onorabilità non devono essere più individuati in via regolamentare ma sono normativamente previsti dal precedente art. 68, co. 1 del CAP. Tale norma si occupa di individuare i soggetti sui quali ricade l’obbligo di comunicazione delle partecipazioni delle imprese di assicurazione e di riassicurazione. Il rinvio all’art. 68 del CAP, operato dall’art. 77 del medesimo Codice, ha la ratio di saldare le soglie necessarie per il rispetto dei requisiti di onorabilità con le soglie oltre le quali scatta l’obbligo di comunicazione47. Pertanto, il partecipante soggetto al rispetto dei requisiti di onorabilità è chiunque detiene una partecipazione che: 1) comporta il controllo come individuato dall’art. 23 del t.u.b.; 2) dà la possibilità di esercitare un’influenza notevole sulla società e 3) attribuisce una quota dei diritti di voto o del capitale pari al 10 per cento. Venendo ora ai requisiti, si deve sottolineare, anche ai fini della presente nota, che il d.m. (sviluppo) n. 220/2011 attua una quasi piena equiparazione fra la posizione dei soci, come su indicati, e quella degli esponenti aziendali, prescrivendo per i primi gli stessi requisiti di onora-
47 La saldatura citata nel testo era stata realizzata già nel previgente quadro normativo con l’introduzione della partecipazione del 5 per cento, la soglia di applicazione dei requisiti di onorabilità rilevanti per il rilascio dell’autorizzazione veniva equiparata a quella rilevante per la disciplina degli obblighi di comunicazione come indicati dal regolamento Banca d’Italia in vigore all’epoca (sul punto sia permesso rinviare al mio La disciplina degli esponenti aziendali e dei partecipanti al capitale delle Sicav, delle Sim e delle Sgr, cit., p.210).
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bilità che lo stesso regolamento ha previsto per i secondi [v. art. 2, co. 3 d.m. (sviluppo) n. 220/2011]. Così, i soggetti che detengono le partecipazioni di cui all’art. 68 Cap, rispettano il requisito di onorabilità se: 1) non sia stato sottoposto a misura di prevenzione disposte ai sensi della legge 27 dicembre 1991, n. 1423 o della legge 31 maggio 1965, n. 575, come successivamente modificate e integrate, salvi gli effetti della riabilitazione; 2) non sia stato condannato con sentenza irrevocabile, salvi gli effetti della riabilitazione: a) a pena detentiva per un tempo non inferiore a sei mesi per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l’attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento; b) alla reclusione per un tempo non inferiore a sei mesi per delitti societari o fallimentari; c) alla reclusione per un tempo non inferiore ad un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica, il patrimonio, l’ordine pubblico, l’economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria; d) alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni per un qualunque delitto non colposo; 3) non sia stato condannato con sentenza penale emessa a seguito di patteggiamenti per i reati indicati sopra al punto 2, sempreché le pene non siano inferiori ad un anno48. Il controllo di detti requisiti spetta sempre all’IVASS sia in sede di rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa sia nell’ambito della verifica dell’idoneità dei soggetti che intendono assumere una partecipazione nelle imprese di assicurazione. Dall’analisi della disciplina italiana del requisito dell’onorabilità si possono ricavare due osservazioni: 1) in primo luogo, balza agli occhi la laconica risposta dell’ASF, autorità dello stato membro d’origine, secondo la quale detta autorità non avrebbe potuto revocare l’autorizzazione rilasciata all’impresa di assicurazione rumena, segnatamente in quanto i criteri previsti dalle linee guida per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni negli istituti finanziari, richiesta dalla direttiva 2007/44/CE, non erano stati recepiti nell’ordinamento rumeno; in secondo luogo, la supposta differenza evidenziata dal Consiglio di Stato per il quale l’IVASS nel provvedimento parla di “reputazione” e
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Marafioti, La condanna, cit., pp. 227 ss.
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non di “onorabilità” non può essere accolta in quanto la “reputazione” è proprio uno dei criteri di valutazione per il requisito dell’“onorabilità”. 4.3. Le considerazioni della CGUE sul requisito dell’onorabilità. Serve alla nostra indagine ora considerare, prima di verificare se il mancato rispetto del requisito di onorabilità rientri o meno nelle eccezioni al principio dell’home country control, le osservazioni svolte dall’avvocato generale Bot per la decisione della GUCE più volte citata ed, in particolare, quelle svolte nei punti 41-58 delle Conclusioni dell’avvocato generale Bot. La direttiva 73/239/CEE e la direttiva 92/49/CEE subordinano esplicitamente il rilascio e il mantenimento dell’autorizzazione a requisiti relativi all’«onorabilità» dei dirigenti e alla «reputazione» degli azionisti49. Da ciò derivano, secondo la CGUE, due conseguenze. In primo luogo, senza che sia necessario pronunciarsi sulla portata esatta delle linee guida del 18 luglio 2008, si deve rilevare che l’adozione di tali linee guida a carattere imperativo non significa evidentemente che, prima di tale interpretazione, le disposizioni che fissavano requisiti attinenti alla reputazione non rivestissero alcun carattere vincolante per gli Stati membri. È pertanto erroneamente che le autorità di controllo rumene hanno ritenuto di potersi richiamare alla mancata trasposizione delle linee guida per legittimare il loro diniego di revocare l’autorizzazione della impresa di assicurazione rumena a causa dei precedenti giudiziari del suo azionista di riferimento. In secondo luogo, se i termini relativamente vaghi di «reputazione» e di «onorabilità» lasciano sicuramente un certo potere discrezionale alle autorità competenti dello Stato membro d’origine, essi non possono tuttavia essere interpretati nel senso che autorizzino le autorità di controllo dello Stato membro ospitante a procedere ad una valutazione di tali criteri, concorrente a quella effettuata dalle autorità di controllo dello
Per quanto riguarda, più in particolare, la causa in esame, si deve rilevare che l’articolo 8, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 73/239, prevede che le imprese di assicurazione debbano essere effettivamente dirette da persone che soddisfano i necessari requisiti «di onorabilità e di qualificazione o di esperienza professionale», mentre gli articoli 8 e 15 ter della direttiva 92/49 prevedono requisiti relativi alla «qualità» degli azionisti o dei soci, la quale deve garantire una gestione sana e prudente; il secondo di questi due articoli precisa che, in caso di acquisizione da parte di un nuovo acquirente, questi deve soddisfare il criterio relativo alla «reputazione». 49
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Stato membro d’origine. Se un potere discrezionale esiste, esso spetta esclusivamente allo Stato membro d’origine e non equivale ad un’attribuzione di competenza concorrente allo Stato membro ospitante. In altre parole, l’assenza di delimitazione precisa dei contorni della nozione «standard» di reputazione o di quella di onorabilità non può giustificare l’interferenza delle autorità di controllo dello Stato membro ospitante nelle competenze riservate a quelle dello Stato membro d’origine. Correttamente l’avvocato generale Bot ritiene, pertanto, che il requisito della reputazione non si sottrae al principio, richiamato dalla Commissione nella sua comunicazione interpretativa50, secondo cui il rispetto dei requisiti armonizzati di autorizzazione incombe unicamente allo Stato membro d’origine, sotto la responsabilità del quale l’autorizzazione unica viene rilasciata. Per tali motivi, l’avvocato generale condivide pienamente le conclusioni che ne ha tratto l’Istituzione, ossia che l’autorità dello Stato membro ospitante non è autorizzata, in linea di principio, ad ovviare all’inattività dell’autorità dello Stato membro d’origine adottando una misura fondata esclusivamente sulla violazione di una dei requisiti richiesti ai fini dell’autorizzazione delle società di assicurazione. Di conseguenza, l’avvocato generale propone alla Corte, a titolo di regola generale, che l’art. 8, par. 1, e l’art. 13, par. 6, della direttiva 92/49/ CEE, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che l’autorità di controllo dello Stato membro ospitante adotti, nei confronti di un’impresa di assicurazione operante sul proprio territorio in regime di libera prestazione di servizi, misure quali il divieto di stipulare nuovi contratti, fondate esclusivamente sull’inosservanza dei requisiti di autorizzazione, come quella relativa alla reputazione degli azionisti. A tale conclusione, l’avvocato generale fa seguire un corretto temperamento affermando che, dalla suddetta regola non è possibile far discendere ex abrupto che, nelle circostanze del procedimento principale, gli Stati, e nel caso di specie lo Stato italiano “verrebbe privato, ad eccezione del mezzo del ricorso per inadempimento, di qualsiasi possibilità di agire per assicurare la tutela degli assicurati e dei contraenti l’assicurazione, il passo è, a mio avviso, da evitare”. Infatti, la tesi secondo cui il principio dell’autorizzazione unica e la regola del controllo da parte dello Stato membro d’origine implichereb-
50 V. la Comunicazione interpretativa della Commissione Europea C(1999)5046 del 2.2.2000.
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bero che lo Stato membro ospitante sia privato di qualsiasi possibilità di agire nei confronti di un’impresa di assicurazione autorizzata che non rispetti le norme di diritto applicabili nel proprio territorio poggia su una visione incompleta della direttiva 92/49/CEE; una serie di importanti disposizioni di tale direttiva riservano, infatti, alle autorità dello Stato membro ospitante la possibilità di intervenire per mettere fine alle irregolarità constatate. In primo luogo, l’art. 28 di tale direttiva riconosce allo Stato membro ospitante il potere di impedire la conclusione di un contratto che sia «in contrasto con le disposizioni legali d’interesse generale in vigore». L’interesse generale costituisce, dunque, una prima salvaguardia che consente di giustificare una misura restrittiva della libertà di prestazione di servizi di un’impresa autorizzata. La soluzione accolta in tal senso dal legislatore dell’Unione rispecchia direttamente la giurisprudenza della Corte, risultante dalla sentenza del 20 febbraio 1979, detta «Cassis de Dijon», la quale ha riconosciuto che ragioni imperative di interesse generale possono giustificare restrizioni alla libera circolazione. In secondo luogo, come abbiamo già avuto modo di dire, l’art. 40 della direttiva 92/49 prevede una clausola di salvaguardia che consente l’adozione, da parte dello Stato membro ospitante, di misure destinate a garantire il rispetto, da parte delle imprese aventi una succursale od operanti in regime di libera prestazione di servizi nel suo territorio, delle norme ivi applicabili. Nel caso di specie, «è pacifico che la misura consistente nel divieto di stipulare nuovi contratti in Italia sia stata adottata sulla base dell’articolo 193 del codice delle assicurazioni private, il quale ha unificato il procedimento d’urgenza e il procedimento ordinario. Tuttavia, si evince parimenti dalla decisione di rinvio che tale misura è stata motivata dalla sussistenza di una situazione di urgenza caratterizzata dalla necessità di tutelare gli assicurati. È per questo motivo che il giudice del rinvio ha incentrato la questione pregiudiziale sull’interpretazione dell’articolo 40, paragrafo 6, della direttiva 92/49»51.
51 Tuttavia, si deve osservare che, al riguardo, la Commissione, ha affermato che, per avviare il procedimento di urgenza, l’autorità dello Stato membro ospitante non deve limitarsi a dimostrare che non ricorra ovvero non ricorra più uno dei requisiti necessari ai fini dell’autorizzazione, ma «è tenuta a provare la sussistenza di una necessità particolare di intervenire per impedire la perpetrazione di infrazioni, riconoscendo, tuttavia, che incombe all’autorità medesima accertare se, in presenza di circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, sussistesse il rischio di perpetrazione di infrazioni nel
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5. Le eccezioni all’home country control nel diritto delle assicurazioni europeo: una sintesi delle posizioni della Commissione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Prima di giungere alle conclusioni, occorre ritornare sulla questione se il controllo dello Stato di origine sia assoluto o ammetta alcune eccezioni, riassumendo la posizione della Commissione e quella della CGUE. A) Con specifico riguardo all’autorizzazione, la Commissione, nella sua Comunicazione “Libertà di prestazione di servizi e interesse generale nel settore delle assicurazioni” ha assunto una posizione molto restrittiva. La Commissione ritiene che le disposizioni delle direttive sulle assicurazioni vietino allo Stato membro ospitante di esercitare un controllo mirante a verificare se un’impresa di assicurazione che ha intenzione di operare sul suo territorio in regime di libera prestazione di servizi o tramite una succursale rispetti le condizioni armonizzate alle quali l’autorizzazione unica le è stata rilasciata dallo Stato membro d’origine. Tale controllo spetta infatti unicamente allo Stato membro d’origine, “sotto la responsabilità di quest’ultimo che è rilasciata l’autorizzazione unica e lo Stato membro ospitante non può rimetterla in discussione. Se lo Stato membro ospitante ha dei motivi per dubitare del rispetto di tali condizioni, può avvalersi dell’articolo 227 (ora 259 TFUE) del trattato o invitare la Commissione ad agire conformemente alla procedura prevista, in caso di violazione degli obblighi del trattato, dall’articolo 226 (ora 258 TFUE) del trattato stesso”. Unica eccezione sarebbe rappresentata dall’interesse generale52. Infatti, la Commissione afferma che «un’impresa di assicurazione operante
territorio nazionale, e se, al fine di impedirle, il divieto di stipulare nuovi contratti fosse strettamente necessario, potendo essere presa in considerazione, a tal fine, la situazione concreta delle persone responsabili della gestione dell’impresa e l’inosservanza, da parte delle medesime, del requisito dell’onorabilità» (v. punto 57 delle Conclusioni dell’avvocato generale). 52 In merito all’interesse generale, è stato correttamente osservato che “alla stregua del principio di proporzionalità, la stessa restrizione imposta nell’interesse generale potrebbe rivelarsi come adeguata nei riguardi di una succursale, ma al contempo eccessiva rispetto alla mera prestazione dei servizi. Pertanto, l’opera di individuazione delle normative di interesse generale non risolverà nella specifica individuazione delle singole norme di pertinenza, ma dovrà estendersi alla verifica dell’area di rilevanza di dette disposizioni rispetto alle multiformi espressioni delle libertà comunitarie” (Così, Antonucci, Mariano, Commento sub art. 27, cit., p. 227).
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nel quadro del regime stabilito dalle direttive sulle assicurazioni possa pertanto essere costretta ad adeguare i propri servizi alla regolamentazione del paese ospitante solo se le misure ad essa opposte sono di interesse generale, indipendentemente dal fatto che l’impresa agisca tramite una succursale o in regime di libera prestazione di servizi». Tuttavia è la stessa Commissione ad osservare che la CGUE non ha mai fornito una definizione dell’interesse generale, preservando pertanto la natura evolutiva di tale concetto. Infatti, si legge che «La Corte ha valutato caso per caso la possibilità di considerare un determinato provvedimento nazionale giustificato da un motivo imperioso di pubblico interesse ed ha precisato con quali modalità stabilire se un siffatto provvedimento possa essere opposto da uno Stato membro ad un operatore economico cittadino di un altro Stato membro operante sul territorio del primo. Essa ha pertanto precisato le rigorose condizioni che devono soddisfare i provvedimenti nazionali volti a perseguire un obiettivo imperioso di interesse generale per essere legittimamente opposti a tale operatore»53. La Commissione ha altresì ritenuto utile chiarire la propria interpretazione del concetto di interesse generale, applicato al diritto delle assicurazioni, attraverso alcuni esempi di misure a cui un operatore economico potrebbe trovarsi di fronte all’esercizio delle due libertà, di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Gli esempi sono: a) la notificazione preliminare delle condizioni di polizza; b) le operazioni di capitalizzazione svolte da imprese di assi-
53 V. par. 2 della Comunicazione (p. 16 s.) dove si legge che «la Corte di giustizia richiede che, perché una disposizione nazionale possa legittimamente ostacolare o limitare l’esercizio del diritto di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, essa soddisfi le condizioni seguenti: deve riguardare un settore non armonizzato; deve perseguire un obiettivo di interesse generale; deve essere non discriminatoria; deve essere obiettivamente necessaria; deve essere proporzionata all’obiettivo perseguito; occorre inoltre che l’obiettivo di interesse generale non sia già salvaguardato dalle regole alle quali il prestatore è soggetto nello Stato membro in cui è stabilito. Tali condizioni sono cumulative. La disposizione nazionale che pretende di essere conforme ai principi della libera circolazione deve soddisfare tutte le condizioni suddette. Il mancato rispetto di una di esse costituisce prova della non conformità della disposizione al diritto comunitario. La nozione di interesse generale costituisce un’eccezione ai principi fondamentali del trattato in materia di libera circolazione e deve di conseguenza essere interpretata restrittivamente onde evitare che vi si ricorra in modo eccessivo o abusivo. Qualora insorga una controversia, spetta comunque allo Stato membro che impone la restrizione fornire la prova che la misura in causa soddisfa le succitate condizioni». Sul punto cfr., fra molti, Bariatti, Casi e materiali di diritto internazionale privato comunitario, Milano, 2009, pp. 814 s.
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curazione; c) i sistemi uniformi obbligatori di bonus/malus; d) la lingua del contratto di assicurazione; e) i codici di condotta professionali; f) i tassi d’interesse tecnici massimi in materia di assicurazione vita; g) l’imposizione di condizioni-tipo o minime di assicurazione; h) le clausole che impongono franchigie obbligatorie nei contratti di assicurazione; i) l’obbligo di prevedere un valore di riscatto nei contratti di assicurazione vita; j) il divieto di ricorrere alla tecnica del «cold calling»; k) modalità stabilite dallo Stato membro ospitante per la riscossione delle imposte indirette sui premi di assicurazione dei contratti stipulati in regime di libera prestazione dei servizi: designazione di un rappresentante fiscale dell’assicuratore. Con riferimento a tali esempi, la Commissione afferma che «ancora una volta, è bene precisare che detta interpretazione lascia impregiudicata quella che la Corte di giustizia, competente in ultima istanza per assicurare l’interpretazione del trattato e del diritto derivato, potrebbe essere indotta a fornire in merito alle questioni considerate»54. B) Veniamo ora, proprio, alla posizione che la CGUE ha assunto nella sentenza relativa al caso esaminato. Si deve essere senz’altro d’accordo con l’avvocato generale Bot quando afferma che «i principi dell’autorizzazione unica e del controllo da parte dello Stato membro d’origine (impongono) di ritenere che le autorità di controllo dello Stato membro ospitante possano agire sulla base dell’articolo 40 della direttiva 92/49 solo in caso di infrazioni alle disposizioni che rimangono di competenza degli Stati membri»55. A questa conclusione l’avvocato BOT arriva attraverso una serie di considerazioni che trovano la condivisione di chi scrive. L’interpretazione restrittiva incontra, secondo l’avvocato generale, almeno tre diversi ordini di obiezioni illustrate ai punti 61-63 delle Conclusioni. In primo luogo, la Comunicazione della Commissione poggia su una lettura esageratamente restrittiva dell’art. 40, per quanto enunci un’eccezione al principio del controllo da parte dello Stato membro d’origine, la quale deve essere interpretata restrittivamente, è tuttavia redatto in termini generici, senza che venga operata una distinzione a seconda dell’origine delle infrazioni che si intende prevenire (punto 61).
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V. Comunicazione, cit., par. 3, p. 20. V. il settimo considerando della direttiva 95/26/CEE, più nota come direttiva post-
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In secondo luogo, la tesi secondo la quale l’art. 40 sembra essere stato esattamente concepito non solo quale disposizione di ordine procedurale, bensì anche quale eccezione al principio del controllo da parte dello Stato membro d’origine, che, in presenza di determinate condizioni, renderebbe competente lo Stato membro ospitante risulta avvalorata dai lavori preparatori della direttiva 92/49/CEE56. Il meccanismo di salvaguardia deve essere letto come una deroga al principio di «devoluzione della competenza» allo Stato membro d’origine, che consente allo Stato membro ospitante di adottare misure per prevenire o reprimere le irregolarità sul proprio territorio. L’apporto di tale meccanismo non è dunque unicamente procedurale (punto 62). A ciò si deve aggiungere, sempre secondo l’avvocato generale, che il principio del controllo da parte del paese d’origine non è un principio assoluto e, «non trattandosi di un principio enunciato dal Trattato», il legislatore dell’Unione «può discostarsene». Tale principio, come sancito dalla direttiva 92/49/CEE, possiede peraltro portata limitata, in quanto «riguarda unicamente la sorveglianza finanziaria delle imprese di assicurazione» «non esclude la possibilità di controlli» da parte delle autorità dello Stato membro ospitante (punto 63). In terzo luogo, “non ricorre un’ermeticità assoluta tra le disposizioni dello Stato membro d’origine e quelle dello Stato membro ospitante, atteso che fatti costitutivi di una violazione delle disposizioni armonizzate possono parimenti essere costitutivi di un’irregolarità alla luce della legislazione nazionale non armonizzata o, quantomeno, far correre il rischio di irregolarità” (punto 64). Considerando, fra l’altro, la significativa differenza di formulazione fra il par. 3 ed il par. 6 dell’art. 40, si deve qui sottolineare che «l’aspetto preventivo del procedimento d’urgenza previsto dalla seconda norma citata consente, a differenza del primo, un’attuazione più flessibile. Tale procedimento non obbedisce agli stessi requisiti del procedimento ordinario, in quanto, affinché lo Stato membro ospitante possa avviarlo, è sufficiente la dimostrazione della necessità di «prevenire le infrazioni» che potrebbero essere commesse sul suo territorio. La protezione degli assicurati nazionali a fronte dei rischi di infrazioni è dunque idonea a giustificare l’intervento dello Stato membro ospitante, a condizione, certamente, che tali rischi siano debitamente accertati»57.
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V. punto 62 delle Conclusione dell’avv. Bot. Punti 66 e 67 delle Conclusioni.
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Da quanto fin qui argomentato l’avvocato generale deduce che «la clausola di salvaguardia prevista nella direttiva 92/49/CEE non è stata concepita dal legislatore dell’Unione quale disposizione esclusivamente procedurale, destinata unicamente ad organizzare la cooperazione fra lo Stato membro d’origine e lo Stato membro ospitante in relazione al controllo delle imprese di assicurazione che operano in regime di libertà di stabilimento o in quello di libera prestazione di servizi, senza modificare le regole di ripartizione delle competenze. Tale clausola, concepita quale eccezione al principio del controllo da parte dello Stato membro d’origine, è parimenti intesa a riconoscere poteri di intervento allo Stato membro ospitante, inquadrandoli, al contempo, in rigorosi requisiti attinenti al loro esercizio, sia sostanziali che procedurali»58. In definitiva, pur condividendo pienamente la tesi della Commissione, secondo cui l’autorità dello Stato membro ospitante non è autorizzata, in linea di principio, ad ovviare all’inerzia dell’autorità dello Stato membro d’origine adottando misure fondate sulla violazione di una dei requisiti necessari ai fini dell’autorizzazione delle società di assicurazioni, l’avvocato generale Bot ritiene, tuttavia, che, in un caso come quello in esame, l’art. 40, par. 6, possa servire da fondamento ad una misura che vieti la conclusione di nuovi contratti, essendo tale misura, in realtà, fondata non sulla violazione di una dei requisiti necessari ai fini dell’autorizzazione, bensì sull’esistenza di un rischio di irregolarità gravante sugli assicurati e sui beneficiari dei contratti di fideiussione (punto 68 delle Conclusioni)59.
Nella sentenza del 13 maggio 1997 (legge 9915/1997) (C-233/94), Repubblica federale di Germania contro Parlamento europeo e Consiglio, la CGUE negò che il principio di controllo da parte dello Stato di origine nel settore bancario non ammettesse eccezioni. E nel caso del 28 aprile 2009 (C-518/06), Commissione contro Repubblica italiana e Repubblica di Finlandia, affermò che il principio del controllo da parte dello Stato membro di origine si applica solo alla sorveglianza finanziaria delle compagnie di assicurazione, ma non gli conferisce la competenza esclusiva per controllare il comportamento commerciale. 59 Si legge nelle Conclusioni dell’avvocato generale che «Orbene, ciò è quanto si è esattamente verificato nel procedimento principale, avente ad oggetto una fattispecie caratterizzata da circostanze particolari che evidenziano il rischio patente delle irregolarità fatte valere dalle autorità di controllo italiane, nonché l’urgenza di adottare provvedimenti nei confronti della Onix al fine di assicurare la protezione del mercato italiano delle assicurazioni» (punto 69). 58
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Con riferimento al caso di specie60 l’avvocato generale conclude che «le condizioni per l’avvio del procedimento di urgenza ex articolo 40, paragrafo 6, della direttiva 92/49, (ricorrono) nella specie, considerato che l’IVASS non si è limitata a constatare il mancato rispetto del requisito della reputazione da parte della Onix, ma ha evidenziato l’esistenza di una situazione di urgenza che necessitava l’adozione di misure destinate a prevenire irregolarità»61.
6. Alcune osservazioni conclusive A conclusione di questo lavoro, alle considerazioni già svolte all’interno dei paragrafi precedenti e data la condivisione delle conclusioni cui è giunta la CGUE, se ne possono aggiungere due conclusive: una di ordine specifico strettamente legata al caso in esame ed un’altra di portata più generale. Ci si chiede, innanzitutto, se l’IVASS avrebbe potuto argomentare diversamente il provvedimento adottato contro l’impresa rumena e, in secondo luogo con riferimento alla questione più generale, se il principio dell’home country control, che, come affermato dalla GUCE, non deve essere interpretato alla stregua di un dogma, non si possa considerare affievolito anche soprattutto alla luce delle nuove normative in materia assicurativa. A) Riguardo alla prima questione, se anche si volesse ammettere che l’ASF non avrebbe potuto revocare l’autorizzazione per la mancanza nell’ordinamento giuridico rumeno della previsione dei requisiti di onorabilità del socio rilevante e dell’esponente aziendale, a ben guardare,
60 Non si può non condividere l’osservazione dell’avvocato generale Bot quando afferma che «rifiutarsi di sanzionare comportamenti che integrano una frode alla legge, consistenti nell’utilizzare la libera prestazione di servizi come strumento di elusione di una decisione che inibisce l’accesso ad un mercato nazionale giustificata, segnatamente, da precedenti penali, equivale a fornire un argomento rilevante a tutti coloro che esprimono forti reticenze nei confronti del principio del paese di origine, il quale costituisce tuttavia la chiave di volta della costruzione del mercato interno. Tale principio merita di meglio di un approccio dogmatico che, fregiandolo di un pericoloso assolutismo, lo irrigidisce all’eccesso, per poi alla fine indebolirlo e minacciare tutta la costruzione» (punto 83 delle Conclusioni). 61 V. punto 74 delle Conclusioni. Sull’abuso del diritto nel mercato assicurativo v. Sorbello, Mercato unico, attività assicurativa ed abuso del diritto, in Giur. merito, 2011, pp. 1627 ss.
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nella vicenda che qui interessa, un altro requisito previsto per il rilascio dell’autorizzazione non era stato rispettato. Ci si vuole riferire al requisito previsto dall’art. 8.1 bis della direttiva 73/239/CEE (v. ora art. 14 del CAP62) il quale stabilisce che l’amministrazione centrale, ossia il centro degli affari, sia situata nello stesso Stato della sede legale. Si deve ricordare che tale requisito era stato introdotto successivamente alle III direttive vita e danni attraverso la direttiva 95/26/CEE, più nota come direttiva post-BCCI con l’obiettivo precipuo di evitare arbitraggi normativi. Arbitraggio normativo che è evidente nelle dichiarazioni della stessa autorità di vigilanza rumena la quale ha esplicitamente dichiarato che nell’ordinamento assicurativo rumeno non esistono norme stringenti come quelle previste dall’ordinamento giuridico italiano. Ed è proprio in virtù di tale carenza normativa che il soggetto italiano ha potuto beneficiare dell’autorizzazione a svolgere attività assicurativa in Romania e ad aggirare il divieto ad egli imposto di operare in Italia usufruendo della libertà di prestazione di servizi, uno dei corollari dell’home country control. Sta di fatto che la carenza del requisito in questione non è stata oggetto di valutazione perché non è stato dedotto in giudizio quale possibile motivo del provvedimento adottato dall’IVASS63. Se prendiamo le distanze dalla autorizzazione e dalla disciplina ad essa applicabile, si potrebbe forse affermare che l’IVASS avrebbe potuto argomentare la decisione facendo riferimento alle norme in materia di libertà di circolazione dei capitali presenti nel Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea (d’ora in avanti TFEU) 64. Ci si vuole riferire, in particolare, all’art. 65, par. 1, lett. b) del TFUE secondo il quale: 1. Le disposizioni dell’art. 6365 non pregiudicano il
62 Ai sensi dell’art. 14, co. 1, del CAP «L’IVASS rilascia l’autorizzazione di cui all’articolo 13 quando ricorrono le seguenti condizioni: (…) b) la direzione generale e amministrativa dell’impresa richiedente sia stabilita nel territorio della Repubblica (…)». 63 Infatti, secondo l’avv. Generale Bot, «le circostanze che caratterizzano il procedimento principale fanno emergere elementi obiettivi di elusione della normativa italiana. È pacifico, infatti, che la Onix, da quando è stata autorizzata ad esercitare in regime di libera prestazione di servizi, abbia rivolto il 75% delle proprie attività verso il territorio italiano, sebbene essa fosse diretta e controllata da una persona alla quale era vietato l’accesso al mercato delle assicurazioni italiano. Si evince da tali elementi che il sig. Lentini si è stabilito in Romania per esercitare nuovamente sul territorio italiano, tramite una persona giuridica interposta, la stessa attività di cui gli è vietato l’esercizio». 64 Sul punto v. Daniele, Diritto del mercato unico europeo, Milano, 2016, pp. 231 ss. 65 Ai sensi dell’art. 63 (ex art. 56 del TCE), co. 1, del TFUE, «Nell’ambito delle dispo-
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diritto degli Stati membri: a) (omissis); b) di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale66 e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Si tratta di una esplicita eccezione al principio dell’home country control non solo perché si specifica che è possibile «prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali …» ma soprattutto perché dette misure possono essere adottate, in particolare, nel settore della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziare, ivi compresa anche le imprese di assicurazione, ossia proprio per quella parte di vigilanza per la quale dovrebbe applicarsi sempre, secondo le direttive comunitarie di terza generazione in materia assicurativa, il principio del mutuo riconoscimento. In dottrina è stato osservato che «La libera circolazione dei capitali può anzitutto trovare limite, ai sensi dell’art. 65, comma 1, lett. b) TFEU, in esigenze di sicurezza e di ordine pubblico e secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia in motivi imperativi di interesse generale67. Il punto emerge con “martellante monotonia” da una giurisprudenza ormai molto consolidata della CGUE ed è assai ben illustrata da un recente e interessante caso deciso il 22 ottobre 2013 dalla Grande Sezione nelle cause riunite C-105 a C-107/12, Staat der Nederladen c. Essent, in cui si chiedeva alla Corte di chiarire se fosse o meno compatibile con il Trattato una legge nazionale che recasse un divieto di priva-
sizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi. 2. Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi». 66 Sul punto v. Palmitessa, Interpretazione degli articoli 63 TFUE e 65 TFUE nell’ambito di partecipazioni in fondi di investimento non residenti. Sentenza C-326/12 del 9 Ottobre 2014 della Corte di Giustizia Europea, scaricabile al link: https://www.businessjus. com/wp-content/uploads/2014/12/Interpretazione-degli-articoli-63-TFUE-e-65-TFUEnellambito-di-partecipazioni-in-fondi-di-investimento-non-residenti.-Sentenza-C326-12-del-9-Ottob.pdf. 67 Pocar, Baruffi, Commento sub art. 65, in Commentari brevi ai Trattati dell’Unione Europea, Padova, II ed., 2014, p. 453.
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tizzazione per i gestori dei sistemi di distribuzione di energia elettrica o gas»68. Per ciò che qui interessa, secondo la sentenza appena citata la libera circolazione dei capitali può essere limitata da una normativa nazionale solamente laddove sia giustificata da uno dei motivi indicati nell’art. 65 TFEU ovvero da motivi imperativi di interesse generale ai sensi della giurisprudenza della Corte (punto 50 della sentenza; v. anche sentenza 14 febbraio 2008, in causa C-274/06, Commissione/Spagna, punto 35 e Commissione/Polonia, cit., punto 55)69. Al contrario, non costituiscono motivi imperativi di interesse generale quelli di “natura puramente economica” (punto 51 della sentenza e v. già sentenze 16 gennaio 2003, in causa C388/01, Commissione/Italia, punto 22 e 17 marzo 2005, in causa C-109/04, Kranemann, punto 34), mentre possono essere tali quelli “di ordine economico che perseguono un obiettivo di interesse generale” (punto 52 della sentenza; v., in tal senso, la sentenza 11 settembre 2008, in causa C-141/07, Commissione/ Germania, punto 60 e la giurisprudenza citata). La tutela dei consumatori costituisce invece un motivo imperativo di interesse generale (punto 58 della sentenza; v. le sentenze 13 settembre 2007, in causa C-260/04, Commissione/Italia, punto 27; 29 novembre 2007, in causa C-393/05, Commissione/Austria, punto 52 e 18 novembre 2010, in causa C-458/08, Commissione/Portogallo, punto 89). Si noti peraltro che tali interessi devono essere indicati a priori e i provvedimenti che li fanno valere devono essere adeguatamente motivati e sindacabili in sede giurisdizionale70.
Lamandini, Golden share e libera circolazione dei capitali in Europa e in Italia, in Giur. comm., I, p. 677 s. 69 Pocar, Baruffi, op. loc. ultt. citt. 70 In merito si segnala la sentenza della Corte (Terza Sezione), 7 giugno 2012, nella causa C-39/11, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Verwaltungsgerichtshof (Austria), con decisione del 10 gennaio 2011, pervenuta in cancelleria il 28 gennaio 2011, nel procedimento VBV – Vorsorgekasse AG contro Finanzmarktaufsichtsbehörde (FMA), dove al par. 29 si stabilisce che “la normativa controversa nella causa principale non può essere giustificata invocando motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, previsti all’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE. Ai sensi di una giurisprudenza costante, tali motivi possono essere invocati soltanto in caso di minaccia effettiva ed abbastanza grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività, e non potrebbero, inoltre, essere utilizzati a fini puramente economici (v., in tal senso, sentenze del 27 ottobre 1977, Bouchereau, 30/77, Racc. pag. 1999, punto 35, nonché del 14 marzo 2000, Église de scientologie, C-54/99, 68
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Ciò posto se l’IVASS, al fine dell’adozione del provvedimento di divieto a carico dell’impresa di assicurazione rumena, avesse voluto invocare l’art. 65, par. 1, lett. b) del TFUE avrebbe dovuto dimostrare non già il difetto di requisiti previsti per il rilascio dell’autorizzazione ma che detta impresa aveva violato la legislazione e le regolamentazioni nazionali nel settore della vigilanza prudenziale71. In altre parole l’Autorità di vigilanza italiana avrebbe dovuto dimostrare la violazione delle norme relative al margine di solvibilità e alle riserve tecniche. Tuttavia anche in tale ipotesi la dimostrazione avrebbe trovato il limite dei motivi di interesse generale così come visto in precedenza con riferimento all’art. 40 della direttiva … e, pertanto, per i profili suesposti in merito all’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la dimostrazione della legittimità del provvedimento sarebbe stata molto più difficile e complessa rispetto alla strada in concreto seguita. B) Con riferimento alla seconda questione, ossia ad un possibile affievolimento del principio dell’home country control alla luce delle più recenti novità normative, si deve innanzitutto notare che la disciplina di cui alla Direttiva 2009/138/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (Solvibilità II)72, ribadisce il principio della licenza unica e conferma la competenza del paese d’origine circa l’esercizio della vigilanza prudenziale sull’attività dell’impresa di assicu-
Racc. p. I-1335, punto 17 e giurisprudenza ivi citata)”. 71 V. supra nota 19. 72 Si tratta della direttiva 2009/138/CE del Parlamento europeo in materia di accesso ed esercizio dell’attività di assicurazione e di riassicurazione, in G.U.C.E. 17 dicembre 2009, n. L 335. Circa gli effetti di questa direttiva sulla organizzazione delle imprese di assicurazione cfr. Selleri, L’impatto di Solvency II sull’organizzazione dell’impresa di assicurazione: verso l’organizzazione per processi?, in Dir. econ. ass., 2010, pp. 605 ss. e Candian, Tita, La compliance delle imprese assicurative nel quadro europeo tra Solvency II, Eiopa, e direttiva Omnibus II, ivi, 2011, pp. 3 ss.; Corvese, Corporate Governance in Insurance Companies: a Comparison Between Canadian and Italian Legal Systems, in Banking & Finance Law Review, vol. 33, pp. 57 ss.; Siri, Corporate Governance of Insurance Firms after Solvency II, in Insurance Regulation in the European Union: Solvency II and Beyond, Marano, Siri (eds.), London, 2017; Manes, Corporate Governance, the Approach to Risk and the Insurance Industry under Solvency II, in Andenas, Avesani, Manes, Vella, Wood (eds.), Solvency II: A Dynamic Challenge for the Insurance Market, Bologna, 2017, pp. 115 ss.; Siri, La centralità del governo societario nel sistema di Solvibilità II, in La riforma del sistema europeo delle Autorità di controllo. La governance delle imprese di assicurazione. La gestione delle crisi nel settore bancario e assicurativo, Ufficio consulenza legale dell’IVASS, Quaderno n. 11, Roma, 2018, 68 ss.
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razione svolta in un altro Stato membro attraverso la libertà di prestazione di servizi e/o la libertà di stabilimento. Tuttavia la direttiva citata contiene anche disposizioni che potrebbero comportare una rilevante compressione della competenza dell’autorità di vigilanza del paese d’origine e fra queste merita ricordare l’art. 155 della direttiva che disciplina, appunto, l’inosservanza delle disposizioni di legge da parte di un’impresa di assicurazione. Di seguito i tratti essenziali della norma citata. Innanzitutto, se le autorità di vigilanza di uno Stato membro ospitante constatano che un’impresa di assicurazione che ha una succursale od opera in regime di libera prestazione di servizi nel territorio di detto Stato membro non rispetta le norme di diritto dello stesso ad essa applicabili, esse invitano l’impresa di assicurazione interessata a porre fine a tale situazione irregolare. In secondo luogo, se l’impresa di assicurazione non ottempera all’invito, le autorità di vigilanza dello Stato membro interessato ne informano le autorità di vigilanza dello Stato membro di origine. Le autorità di vigilanza dello Stato membro di origine adottano senza indugio tutte le opportune misure affinché l’impresa di assicurazione interessata ponga fine a tale situazione irregolare. Le autorità di vigilanza dello Stato membro di origine comunicano alle autorità di vigilanza dello Stato membro ospitante le misure adottate. In terzo luogo, se, nonostante le misure adottate dallo Stato membro di origine o poiché in tale Stato membro dette misure risultano inadeguate o mancanti, l’impresa di assicurazione persiste nel violare le norme di legge vigenti nello Stato membro ospitante, le autorità di vigilanza dello Stato membro ospitante, dopo averne informato le autorità di vigilanza dello Stato membro di origine, possono adottare opportune misure per prevenire o reprimere nuove irregolarità e, se strettamente necessario, impedire all’impresa di stipulare nuovi contratti di assicurazione sul territorio dello Stato membro ospitante. Ma l’aspetto più rilevante risiede nel secondo periodo del terzo comma, lì dove il legislatore comunitario ha previsto che “inoltre l’autorità di vigilanza dello Stato membro d’origine o di quello ospitante può rinviare la questione all’EIOPA e richiederne l’assistenza conformemente all’articolo 19 del regolamento (UE) n. 1094/201073. In tal caso l’EIOPA può
73 Si tratta del Regolamento (UE) n. 1094/2010 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea
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agire conformemente ai poteri che le conferisce tale articolo. Gli Stati membri provvedono affinché sul loro territorio sia possibile notificare alle imprese di assicurazione gli atti necessari in relazione a dette misure”. E ciò comporta che, secondo l’art. 19, par. 4 del citato regolamento «Fatti salvi i poteri attribuiti alla Commissione dall’articolo 258 TFUE, se un’autorità competente non si conforma alla decisione dell’Autorità e pertanto omette di assicurare che un istituto finanziario rispetti gli obblighi che gli sono direttamente applicabili ai sensi degli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, l’Autorità può adottare nei confronti del singolo istituto finanziario una decisione individuale che gli impone di adottare le misure necessarie per rispettare gli obblighi che gli incombono ai sensi del diritto dell’Unione, tra cui la cessazione di ogni eventuale pratica». Inoltre, ai sensi del successivo parr. 5 e 6: a) «Le decisioni adottate ai sensi del paragrafo 4 prevalgono su ogni decisione adottata in precedenza dalle autorità competenti sulla stessa materia. Ogni misura adottata dalle autorità competenti in relazione ai fatti oggetto di una decisione ai sensi dei paragrafi 3 o 4 è compatibile con dette decisioni»; b) «Nella relazione di cui all’articolo 50, paragrafo 2, il presidente dell’Autorità espone la natura e il tipo di controversie fra le autorità competenti, gli accordi raggiunti e le decisioni adottate per comporre siffatte controversie». Con riferimento a siffatta disciplina non si possono non condividere le considerazioni svolte in dottrina, seppure con riferimento ad analoghe norme previste nel diritto bancario comunitario e cioè che «l’attuale architettura si affida ancora sostanzialmente al meccanismo dell’home country control, ma con un rilevante limite, destinato a fungere per così dire da valvola di sicurezza: l’autorità competente del paese di origine viene infatti ora posta di fatto sotto la tutela dell’Autorità bancaria europea, che ha il potere di intervenire direttamente sugli enti creditizi qualora la predetta autorità nazionale sia carente nello svolgimento delle funzioni di vigilanza in relazione alle attività delle banche in regime di libera prestazione dei servizi o tramite succursali e questa carenza sia tale da porre in pericolo la stabilità dell’ente o del sistema»74.
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delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/79/CE della Commissione. 74 Nicolin, Il diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi nel settore degli enti creditizi: verso il superamento dell’home country control?, in Studi in onore di Laura Picchio Forlati, a cura di Bernardo Cortese, Padova, 2014, p. 371.
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Abstract L’elaborato trae spunto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 837/2018 che si è espresso in merito ad un ricorso avverso il provvedimento dell’IVASS del 20 dicembre 2013 con il quale l’Autorità di vigilanza italiana, applicando il disposto dell’art. 193, co. 4 del Codice delle assicurazioni private, aveva imposto ad un’impresa di assicurazione con sede in un altro paese membro dell’Unione Europea il divieto di stipulare nuovi contratti in regime di libera prestazione di servizi nel territorio della Repubblica Italiana. L’esame del complesso iter giurisprudenziale e delle motivazioni che hanno condotto i giudici del Consiglio di Stato alla decisione in commento, offrono all’autore l’occasione per discutere se la libertà di prestazione di servizi assicurativi possa non essere considerata un dogma ma possa incontrare limiti sia nella disciplina speciale assicurativa sia nelle norme europee sulla libera circolazione dei capitali. *** The paper is inspired by the decision of the Consiglio di Stato no. 837/2018, which expressed on an appeal against the IVASS provision with which the Italian Insurance Supervisory Authority, applying the provisions of art. 193, co. 4 of the Italian Private Insurance Code, had imposed on an insurance company based in another EU member country the prohibition on entering into new contracts under the freedom to provide insurance services in the territory of the Italian Republic. The examination of the complex jurisprudential procedure and of the reasons that led the judges of the Consiglio di Stato to the decision in comment, offer the author the opportunity to discuss whether the freedom to provide insurance services can not be considered a dogma but can meet limits both in the special insurance regulations and in the EU rules on the free movement of capital.
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Aumenti di capitale e asta dei diritti di opzione e prelazione Tribunale di Milano, sez. impr., ordinanza 16 gennaio 2016, G.U. Ricci, Sintesi – Società di Investimenti e Partecipazioni s.p.a. c. GEquity s.p.a. (già Investimenti e Sviluppo s.p.a.) Società per azioni – Società per azioni quotate – Aumento del capitale sociale – Sottoscrizione – Termine finale – Fissazione da parte del consiglio di amministrazione – Successiva anticipazione da parte dello stesso consiglio – Illegittimità – Fattispecie (Cod. civ., art. 2439, 2443, 2444) È illegittima la deliberazione del consiglio di amministrazione che anticipi il termine fissato dal medesimo consiglio per la sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale ex art. 2439 c.c. allorché tale anticipazione non abbia altra plausibile ed apprezzabile ragione se non quella di estromettere dalla sottoscrizione un determinato soggetto. (1)
(Omissis) Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data 30 dicembre 2016 Sintesi – Società di Investimenti e Partecipazioni S.p.A., società quotata sul Mercato Telematico Azionario, (in breve anche “Sintesi”) ha chiesto all’intestato Tribunale di: « Ordinare all’Ufficio delle Imprese di Genova, competente per la società GEquity S.p.A., di non procedere all’iscrizione relativa alla chiusura dell’aumento di capitale di GEquity deliberato in data 8 febbraio 2016, in quanto non tiene in conto
della sottoscrizione di n. 41.983.225 azioni da parte della ricorrente Sintesi S.p.A., come da comunicazione a mezzo PEC del 29 dicembre 2016 ore 16.30; nonché di ordinare a GEquity di prendere atto della sottoscrizione di n. 41.983.225 azioni da parte di Sintesi S.p.A., comunicata a Gequity a mezzo PEC del 29 dicembre 2016 ore 16.30, e di emettere le relative azioni e di riconoscere a Sintesi l’esercizio dei relativi diritti » esponendo in ricorso: - di essere stata ammessa alla procedura di concordato preventivo con
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provvedimento del Tribunale fallimentare del 2 dicembre 2016; - che il principale cespite su cui è fondato il piano del concordato era costituito da un credito da finanziamento in conto futuro aumento di capitale pari ad euro 2.099.161,25 nei confronti della società GEquity S.p.A., società anch’essa quotata alla Borsa di Milano; - di detenere già una quota di partecipazione in GEquity di circa il 29%; x che nell’ambito del concordato il principale obiettivo era quello di dismettere tale partecipazione destinata ad aumentare fino al 56% a seguito della conversione del residuo credito di Sintesi in conto futuro aumento capitale di GEquity; - che era interesse di Sintesi procedere a tale conversione – definita «fondamentale» – al fine di avviare poi una procedura d’asta per la vendita della partecipazione nel rispetto della normativa concorsuale; - che la delibera di aumento di capitale adottata da GEquity in data 8 febbraio 2016 prevedeva che l’aumento rimanesse aperto fino al 31 dicembre 2016; - che Sintesi aveva ripetutamente manifestato il proprio interesse a «convertire il credito in prelazione sull’inoptato nelle nuove azioni di GEquity»; - che viceversa GEquity aveva l’opposto interesse a che Sintesi non convertisse, dal momento che il gruppo dei soci di maggioranza, facenti capo alla famiglia Gadolla, avrebbe perso il controllo della società a seguito della conversione da parte di Sintesi; - che la famiglia Gadolla, attraverso Gadolla Trading S.r.l., aveva comunicato in data 13 dicembre 2016
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un’offerta per l’acquisto del credito di Sintesi per 400.000 euro; - che quest’ultima – ritenendo più consono agli interessi dei propri creditori convertire il credito e vendere le azioni a seguito di procedura competitiva – aveva deliberato in data 14 dicembre 2016 di convertire il credito e dunque di diventare socia al 56% di GEquity; - che Sintesi non aveva obbligo di lanciare un’Offerta Pubblica di Acquisto delle azioni di GEquity – avvenuto il superamento della soglia del 30% – poiché intendeva impegnarsi a non esercitare i diritti di voto in attesa della vendita della partecipazione e tale era già stato comunicato a Borsa e Consob; - che Sintesi aveva già ricevuto due offerte di acquisto per la partecipazione in GEquity incrementata al 56%, da HRD Itala S.r.l. per 751.000 euro e da Aspera S.p.A. per 1.000.000 di euro; - che conseguentemente Sintesi aveva già richiesto in data 16 dicembre 2016 al Tribunale fallimentare l’autorizzazione alla conversione del credito in azioni di GEquity; - che il gruppo Gadolla aveva manifestato il proprio interesse a partecipare alla vendita competitiva post-conversione con missiva del 20 dicembre 2016; - che il Commissario giudiziale aveva già espresso parere favorevole in data 28 dicembre 2016; - poiché a causa delle ristrettezze dei tempi il Tribunale fallimentare non avrebbe potuto concedere l’autorizzazione, in data 28 dicembre il c.d’a. straordinario di Sintesi aveva deliberato di convertire il credito in azioni e aveva comunicato a GEquity tale determinazione con PEC del 29 dicembre (ore 16.40);
Tribunale di Milano
- che immediatamente dopo – alle ore 17.39 dello stesso giorno – veniva diffuso un comunicato stampa di GEquity con il quale era reso noto che l’aumento di capitale di GEquity era stato chiuso con una delibera del c.d’a. del 29 dicembre 2016 senza tener conto della richiesta di sottoscrizione di Sintesi; - che l’iscrizione nel Registro delle imprese dell’attestazione da parte di GEquity della chiusura dell’operazione di aumento di capitale avrebbe vanificato l’emissione delle azioni e la stessa proposizione di altre impugnative a fini cautelari ex art. 2379-ter, secondo comma, c.c.; - che la domanda cautelare è strumentale rispetto ad una futura azione finalizzata ad ottenere l’accertamento in via definitiva del diritto di Sintesi a partecipare all’aumento di capitale mediante conversione del suo residuo credito in conto aumento capitale in azione di GEquity, ed in ogni caso ad ottenere il riconoscimento del risarcimento di tutti i danni subiti. Con decreto reso in pari data il Tribunale ha inibito inaudita altera parte l’iscrizione presso il Registro delle Imprese di Genova della chiusura dell’aumento di capitale di Gequity fissando l’udienza per la verifica nel contraddittorio fra le parti dei fatti esposti in ricorso. L’iniziativa cautelare di Sintesi è stata fermamente contrastata da GEquity che nella propria comparsa di costituzione ha preliminarmente eccepito: a) l’incompetenza per territorio del Giudice adito, ritenendo competente il Tribunale di Genova, nella cui circoscrizione ha sede GEquity e l’Uffi-
cio nei cui confronti è stata emessa la misura inibitoria urgente; b) l’inammissibilità della tutela cautelare atipica sotto il duplice profilo: - del difetto del presupposto della residualità, sull’assunto che è previsto anche a favore dei soci di minoranza il rimedio dell’impugnazione ex art. 2388 c.c.; - e dell’assenza di un danno patrimoniale irreparabile stante la natura meramente economica, e comunque sempre ristorabile per equivalente, del pericolo prospettato. Quanto al merito, la resistente ha precisato: - l’assenza in capo a Sintesi di diritti di prelazione, o diritti di altra natura, a sottoscrivere l’inoptato risultante dall’aumento di capitale della società deliberato da GEquity; - l’assenza in capo a soci o terzi del diritto di sottoscrivere le azioni inoptate, salvo espressa offerta a loro rivolta dal con c.d’a. di GEquity; - l’irricevibilità della comunicazione del 29 dicembre 2016 con la quale Sintesi aveva dichiarato di sottoscrivere in prelazione n. 41.983.225 azioni di nuova emissione di GEquity, non vantando Sintesi alcun diritto al riguardo; atteso che Sintesi aveva già sottoscritto n. 10.374.000 azioni, esercitando i propri diritti di opzione, ed utilizzando parzialmente i versamenti in conto futuro aumento capitale e successivamente aveva sottoscritto ulteriori n. 4.000.000 di azioni rinvenienti dall’inoptato, riuscendo in tal modo a mantenere la propria quota di partecipazione al capitale di GEquity nella misura del 29,9% e così avendo ricevuto esattamente il quantitativo di azioni inoptate da essa richiesto prima
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della chiusura dell’Aumento di capitale; - la non conformità alle fasi del procedimento d’aumento di capitale nell’ambito delle società quotate delle manifestazioni d’interesse manifestate da Sintesi sull’inoptato; - che – di conseguenza – con la comunicazione via PEC del 29 dicembre 2016 non si sarebbe perfezionata alcuna sottoscrizione da parte di Sintesi di azioni di GEquity. In sede di prima udienza Sintesi ha precisato che nel ricorso introduttivo era stata utilizzata la locuzione « diritto di prelazione » laddove invece andava più correttamente scritto « diritto di opzione » e ha svolto ampie difese volte a sostenere – anche al fine di confermare la competenza del Tribunale di Milano – che fin dal 28 luglio 2016 si erano incrociate le volontà delle due società nel senso che l’offerta di Sintesi più volte manifestata di sottoscrizione dell’inoptato mediante conversione del credito in azioni, era stata di fatto accettata sia pur subordinatamente alla mancata sottoscrizione da parte di terzi mediante versamenti in denaro. Le parti hanno quindi svolto difese conclusive nei termini assegnati. In via pregiudiziale e sulla base della cognizione sommaria propria di questa fase, risultano infondate: sia l’eccezione d’incompetenza per territorio, dovendosi a tal fine dare rilievo alla prospettazione di parte ricorrente con riferimento specifico all’asserito perfezionamento dell’accordo sull’offerta di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione rimaste inoptate, a fronte di scambio di dichiarazioni rese fin dal 28 luglio 2016, in sede di assemblea soci straordinaria (doc. 24)
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e conclusosi in data 7 settembre 2016 con la dichiarazione resa a Milano dal Presidente del c.d’a. di GEquity Gianfranco Gadolla (doc. 25); sia l’eccezione d’inammissibilità della tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. dal momento che la tutela richiesta da Sintesi con il ricorso introduttivo non si sovrappone e non coincide con gli scopi e gli interessi che l’ordinamento permette ai soci di minoranza di far valere in giudizio mediante lo strumento tipico delle impugnazioni delle delibere del c.d’a. ex art. 2388, quarto comma, c.c.; e ciò in considerazione della estrema rilevanza nel caso di specie del fattore tempo, considerata l’oggettiva impossibilità di ottenere tutela attraverso un atto di impugnazione della delibera e contestuale istanza di sospensione dell’esecuzione della stessa, attesa l’irreversibilità degli effetti prodotti dalla iscrizione nel Registro delle Imprese dell’attestazione di definitiva esecuzione dell’aumento di capitale deliberato da una società quotata ex art. 2379-ter c.c., sicché deve essere considerata ammissibile una tutela atipica di natura inibitoria, oltre a quella necessariamente successiva di natura impugnatoria; quest’ultima volta ad ottenere la caducazione della delibera impugnata previo accertamento delle rispettive posizioni di diritto, ma inidonea a salvaguardare l’interesse concreto tutelato con l’odierno ricorso in considerazione della tempistica imposta dalla norma da ultimo citata. Ciò premesso, deve trovare conferma il decreto emesso inaudita altera parte in data 30 dicembre 2016 – con il quale questo Tribunale ha inibito l’iscrizione nel Registro delle imprese relativa alla delibera con cui il c.d’a.
Tribunale di Milano
di GEquity ha chiuso in via anticipata l’aumento di capitale deliberato in data 8 febbraio 2016 – dal momento che sulla base della produzione documentale e delle difese svolte da entrambe le parti in sede di udienza e di memorie successive, è stato possibile ricostruire non solo il complessivo iter procedimentale in cui si è svolta l’operazione di aumento di capitale oggetto di causa, ma altresì l’effettivo svolgimento delle trattative e dei rapporti intercorsi fra le parti, in modo tale da far emergere evidenti profili di illeceità e di mala fede nella condotta tenuta dagli organi della società resistente e dunque la sussistenza in capo a Sintesi del diritto a partecipare alla conversione del proprio residuo credito in conto futuro aumento capitale in azioni di nuova emissione di GEquity rimaste inoptate nell’ambito dell’operazione di aumento di capitale in esame, così come prospettato nel ricorso introduttivo. Per una migliore comprensione della vicenda è necessario ricostruire la cronologia dei fatti: - in data 8 febbraio 2016 Investimenti e Sviluppo S.p.A. (ora GEquity) delibera un aumento di capitale di 5.244.000 euro; in tale delibera viene precisato che « il termine finale per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione viene fissato al 31 dicembre 2016 o ad una data antecedente su delibera del consiglio di amministrazione » (doc. 5); - in data 28 giugno 2016 il c.d’a. di GEquity ha deliberato le condizioni di emissione delle nuove azioni (doc. 21 depositato il 10 gennaio); - in data 30 giugno 2016 Consob ha approvato il Prospetto informativo
per l’avvio dell’aumento di capitale (doc. 21); - in data 4 luglio 2016 il c.d’a. di GEquity ha determinato il calendario dell’offerta in opzione ai soci con le giornate dal 4 luglio al 25 luglio 2016 (doc. 21); - con comunicazione in data 12 luglio 2016 Sintesi, tramite email dell’amministratore delegato ha comunicato a GEquity l’intenzione di «sottoscrivere pro quota l’aumento di capitale e il POC offerti in opzione esclusivamente mediate l’utilizzo dei versamenti in conto futuro aumento di capitale». Ha precisato altresì nella stessa missiva che «laddove poi residuasse dell’inoptato la nostra Società sarebbe inoltre interessata a sottoscrivere la parte inoptata dell’aumento di capitale fino alla concorrenza dei citati versamenti in conto futuro aumento di capitale, utilizzando sempre tale provvista, nei limiti in cui tale sottoscrizione non derivi un obbligo di OPA » (doc. 6 allegato al ricorso); - il 25 luglio 2016 si chiude il periodo di offerta; - in data 28 luglio 2016 si è svolta l’assemblea straordinaria degli azionisti di GEquity al fine di dare mandato al c.d’a. di verificare, alla chiusura dell’aumento di capitale, l’esito delle sottoscrizioni e di procedere all’integrale copertura delle perdite mediante abbattimento delle riserve disponibili e, per la quota residua mediante riduzione del capitale sociale, ai sensi dell’art. 2446, terzo comma, c.c.; nel corso dell’assemblea viene dato atto che l’aumento di capitale in opzione è stato sottoscritto per un importo di 1,7 milioni di euro pari al 32,40% del totale delle azioni offerte e in quell’occasione prende la parola il rappresen-
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tante di Sintesi il quale nel dichiarare il proprio voto favorevole alle delibere proposte «ribadisce la propria volontà di sottoscrivere l’eventuale inoptato dell’aumento di capitale la cui offerta in opzione si è conclusa il 25 luglio ultimo scorso utilizzando a tal fine i propri versamenti in conto futuro aumento di capitale nella misura e nei modi da concordare con la società». In risposta il Presidente ha confermato «la disponibilità a valutare la richiesta avanzata dal socio Sintesi, ribadendo la necessità per Investimenti e sviluppo (ora GEquity) di dare priorità ad offrire l’eventuale inoptato a coloro che effettueranno nuovi versamenti in denaro al fine di assicurare la copertura del fabbisogno finanziario per i prossimi 12-18 mesi» (doc. 24 pag. 8); - nelle sedute del 24, 25, 26, 29 e 30 agosto 2016 i diritti inoptati delle azioni di GEquity sono stati offerti in Borsa (come si evince da doc. 21); - in data 7 settembre 2016 l’assemblea degli azionisti ha deliberato il trasferimento della sede della società da Milano a Genova e la variazione della denominazione sociale da Investimenti e Sviluppo a GEquity (come si evince da doc. 21); l’iscrizione al Registro imprese di tali modifiche avviene il successivo 4 ottobre 2016 (doc. 9 Visura); - in data 7 settembre 2016 il presidente del c.d’a. di GEquity in riscontro ad una richiesta di sintesi relativa ad una « ulteriore sottoscrizione », scrivendo da Milano, confermava che « la società provvederà a dare istruzioni a Monte Titoli S.p.A. per l’emissione di n. 10.374.000 nuove azioni a Vostro favore e contemporaneamente provvederà a scaricare il Vostro finanziamento soci in conto aumento ca-
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pitale dell’importo di 518.700,00 euro », dichiarando altresì: «Tale operazione esaurisce completamente la vostra richiesta di sottoscrizione formulata con precedenti PEC. Prendiamo peraltro atto della Vostra riserva in ordine ad ulteriori sottoscrizioni di nuove azioni rimaste inoptate» (doc. 25); - in data 14 settembre 2016 GEquity ha offerto a Sintesi di sottoscrivere n. 4.000.000 di ulteriori azioni rinvenienti dall’inoptato; l’offerta era giustificata dal fatto – come si legge nella comunicazione – che altri soci avevano disposto la sottoscrizione di ulteriori nuove azioni rimaste inoptate per cui era interesse di Sintesi, per continuare a detenere il 29,9% del capitale sociale, sottoscrivere ulteriori azioni mediante ulteriore utilizzo parziale del finanziamento in conto aumento capitale (doc. 3 fasc. GEquity); - in data 15 settembre 2016 Sintesi accetta la proposta e chiede di dar corso alla sottoscrizione di ulteriori n. 4.000.000 di azioni mediante utilizzo parziale dei versamenti in conto aumento di capitale per l’ulteriore importo di 200.000 euro (doc.4 fasc. GEquity); - in data 21 settembre 2016 l’avv. Marcello Campagna, per conto di Andrea Tempofosco, Gadolla Trading S.r.l. e AZ Partecipazioni (queste ultime socie di GEquity legate da un patto parasociale di preventiva consultazione che di fatto permette il controllo della società – doc. 8), ha inviato all’avv. Scrosati di Sintesi una proposta di acquisto dell’intero residuo finanziamento in conto aumento di capitale di Sintesi in GEquity al prezzo di 250.000 euro da pagarsi contestualmente alla cessione; la proposta è subordinata all’ottenimento
Tribunale di Milano
dell’autorizzazione del Tribunale fallimentare al compimento dell’atto (doc. 6 fasc. GEquity); proposta sulla quale non è stato raggiunto l’accordo; - in data 23 settembre 2016 GEquity ha comunicato che al termine dell’asta tenutasi dal 24 al 30 agosto 2016 nessun diritto era stato esercitato (doc. 23); - in data 29 settembre 2016 il c.d’a. in forza della delega ricevuta dall’assemblea del 28 luglio 2016, preso atto delle sottoscrizioni ricevute ai fini dell’aumento di capitale, ha proceduto alla copertura integrale delle perdite mediante l’utilizzo delle riserve disponibili e, per la parte residua, mediante abbattimento del capitale sociale di GEquity da 5.770.000 euro a 200.000 euro, uscendo così dalla fattispecie prevista dall’art. 2446 c.c. (come si evince da doc. 21 pag. 9); - con comunicato del 15 novembre 2016 (doc. 21) gli amministratori di GEquity nell’ambito del resoconto intermedio di gestione «ricordano che le azioni e le obbligazioni convertibili rimaste inoptate possono essere sottoscritte fino al 31 dicembre 2016» ; viene contestualmente comunicato che «gli amministratori stanno lavorando per individuare un potenziale sottoscrittore delle azioni e obbligazioni rimaste inoptate»; - in data 17 novembre 2016 Sintesi ha depositato domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, unitamente al deposito del Piano ed alla relazione ex art. 161, terzo co, l.f. (come si evince da doc. 1); - in data 2 dicembre 2016 il Tribunale di Milano ha dichiarata aperta la procedura di concordato preventivo proposta da Sintesi Società di Investimenti e Partecipazioni S.p.A. fissando
l’adunanza dei creditori per il 21 marzo 2017 (doc. 14); - in data 13 dicembre 2016 l’avv. Marcello Campagna, per conto dei soci di GEquity Gadolla Trading S.r.l., AZ Partecipazioni S.r.l. e Nicola Fossati (tutti e tre legati dal patto parasociale di cui al doc. 8), ha formulato una nuova proposta di acquisto del credito per finanziamento in conto futuro aumento capitale in capo a Sintesi, a fronte di un corrispettivo di 400.000 euro da pagarsi, quanto a un terzo contestualmente alla cessione, quanto al residuo in due rate scadenti al 31 dicembre 2017 e 31 dicembre 2018; proposta vincolata fino al 20 gennaio 2017 e condizionata all’ottenimento dell’autorizzazione del Tribunale (doc. 10 e 7 fascicolo GEquity); - in data 14 dicembre 2017 si svolge il consiglio di amministrazione di Sintesi anche al fine di valutare la proposta di GEquity, in esito al quale viene deliberato (doc. 11); a) di accettare un’altra offerta – proveniente da HRD Italia S.r.l. ed avente ad oggetto l’acquisto delle azioni di GEquity ivi comprese quelle rinvenienti dalla conversione del residuo credito in conto futuro aumento capitale, sotto la condizione della concessione dell’autorizzazione da parte del tribunale fallimentare con riguardo all’obbligo di vendita competitiva della partecipazione societaria; b) di sottoscrivere conseguentemente l’inoptato dell’aumento di capitale deliberato da GEquity utilizzando in compensazione il residuo credito per versamenti in conto futuro aumento capitale; c) di assumere gli impegni di cui all’art. 49, comma primo, lettera e), del regolamento Emittenti, relativo alla cessione a parti non cor-
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relate dei titoli in eccedenza le soglie previste dall’art. 106 TUF per l’obbligo di Offerta Pubblica di Acquisto, e a non esercitare i relativi diritti; - in data 16 dicembre 2016 viene depositata da Sintesi un’istanza al Tribunale per richiedere l’autorizzazione a convertire il credito (doc. 30); risulta prodotto anche il parere favorevole su questa istanza da parte del Commissario giudiziale; - con comunicazione del 20 dicembre 2016 Sintesi viene sollecitata dall’avv. Campagna per conto degli offerenti (Gadolla trading, AZ Partecipazioni e Fossati) a prendere posizione sulla proposta del 13 dicembre (doc. 8); - con comunicazione del 21 dicembre 2016 l’avv. Scrosati comunica al collega le determinazione del c.d’a. di Sintesi del 14 dicembre, evidenziando altresì che «verosimilmente» il Tribunale avrebbe richiesto una procedura competitiva per la dismissione delle azioni di GEquity alla quale anche soci potevano evidentemente partecipare formulando una diversa offerta; - all’esito della riunione del 29 dicembre 2016 – chiusa alle ore 10.48 – il c.d’a. di Sintesi ha nuovamente deliberato, previa valutazione in ordine alla validità della determina anche in assenza dell’autorizzazione del Tribunale fallimentare attesa la natura di ordinaria amministrazione dell’atto da autorizzare (nella parte in cui ha ad oggetto la conversione di un credito in azioni e non la cessione di partecipazioni azionarie) e considerati come comunque favorevoli per i creditori concordatari gli effetti economici derivanti dalla conversione in azioni di un credito in conto futuro aumento di capitale (doc. 16):
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a) di sottoscrivere l’inoptato dell’aumento di capitale deliberato da GEquity utilizzando il residuo credito per versamenti in conto futuro aumento di capitale; b) di assumere gli impegni di cui all’art. 49, comma primo, lettera e) del Regolamento Emittenti, ovvero di cedere entro dodici mesi a parti non correlate i titoli e non esercitare i diritti di voto nello stesso periodo; - nella stessa giornata alle ore 16.40 Sintesi ha inviato tramite posta certificata la comunicazione a GEquity relativa alla sottoscrizione dell’inoptato (doc. 17); - alle ore 17.39 GEquity ha pubblicato il comunicato stampa con il quale ha reso note le determinazioni adottate nella stessa mattina dal proprio c.d’a. con riguardo alla chiusura anticipata dell’operazione di aumento di capitale deliberata in data 8 febbraio 2016 (doc. 18); - alle ore 11.30 sempre del 29 dicembre 2016 si era riunito in seduta straordinaria anche il c.d’a. di GEquity al fine di deliberare, fra gli altri oggetti all’ordine del giorno, la chiusura anticipata dell’Aumento di capitale deliberato in data 8 febbraio 2016 (doc. 11 di parte resistente). Così ricostruiti i rapporti e le trattative intercorse fra le parti, debbono ritenersi fondate le doglianze svolte in ricorso da Sintesi con riguardo a tempistica e contenuti dell’ ultima delibera del c.d’a. di GEquity, nel cui verbale – prodotto in giudizio e reso noto alla controparte solo in udienza – non si rinviene alcuna giustificazione della decisione di anticipare il termine di chiusura dell’aumento di capitale deliberato l’8 febbraio 2016, così come non è fatto cenno alcuno
Tribunale di Milano
alle manifestazioni di interesse formulate in più occasione da Sintesi con riguardo all’intenzione di convertire anche il suo residuo credito nell’inoptato. Manifestazioni d’interesse che rimanevano attuali anche dopo la parziale conversione del credito nell’inoptato e che certo erano ben note a GEquity ed ai suoi soci di riferimento (in particolare Gianfranco Gadolla tramite Gadolla Trading S.r.l.) dal momento che gli stessi avevano manifestato il loro interesse ad acquistare quel credito, ovvero il credito iscritto a bilancio di GEquity per versamenti in conto aumento capitale nel suo residuo ammontare dopo le conversioni in azioni già esercitate da Sintesi, rispetto al quale poteva permanere un interesse in capo agli altri soci (unici legittimati ad effettuare ulteriori offerte sull’inoptato) solo ed in quanto potesse ritenersi ancora attuale sia la facoltà di Sintesi (quale parte cedente) ad esercitare la conversione in pendenza dell’operazione di aumento di capitale, sia d’altra parte l’interesse di GEquity a tale conversione. Quest’ultimo interesse peraltro era stato riconosciuto formalmente dallo stesso c.d’a. di GEquity che – una volta constatato l’esito negativo delle aste di agosto per l’offerta dell’inoptato al mercato ex art. 2441, terzo comma, c.c. – aveva comunicato alla Borsa la situazione aggiornata dell’operazione di Aumento di capitale ed in quel contesto aveva ritenuto di confermare il proprio impegno ad una proficua collocazione delle azioni (e delle obbligazioni) rimaste inoptate. Queste le parole utilizzate nel comunicato stampa del 15 novembre 2016: «Gli amministratori (di GEquity) stanno lavorando per individuare un potenziale
sottoscrittore delle azioni e delle obbligazioni rimaste inoptate» e ciò a dimostrazione dell’interesse ancora attuale della società ad una esecuzione per quanto più possibile completa dell’aumento di capitale. E ciò dopo che gli stessi amministratori, poche righe sopra, avevano ricordato che « Azioni e Obbligazioni convertibili rimaste inoptate potevano essere sottoscritte fino al 31 dicembre 2016» (doc. 21 pag. 9). Tali manifestazioni di interesse – in mancanza di espresse diverse indicazioni a loro volta supportate da adeguate giustificazioni – non possono certo essere interpretate nel senso di una implicita limitazione soggettiva dei «potenziali investitori» o del termine finale per la sottoscrizione. La condotta tenuta dal c.d’a. GEquity ed in particolare la decisione di chiudere l’Aumento di capitale in via anticipata, considerata anche l’assenza di alcuna specifica indicazione al riguardo nel verbale del c.d’a. del 29 dicembre 2016, non trovano altra giustificazione plausibile se non nell’intento dei membri di quello stesso c.d’a. (espressione degli stessi soci interessati all’acquisto da Sintesi del credito) di evitare la conversione e precludere in tal modo in via definitiva a Sintesi la successiva cessione, previo esperimento di una procedura competitiva, del pacchetto di controllo della società. Procedura competitiva alla quale quegli stessi soci potevano certo partecipare – secondo l’invito espresso dalla stessa Sintesi – ma evidentemente con prospettive ben diverse dopo che era stata resa nota l’esistenza di un’offerta, ben al di sopra delle concrete loro possibilità economiche (400.000 euro da pagare con amplissima dilazione a fronte dell’offerta di HRD Italia
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S.r.l. per circa un milione di euro per il pacchetto di maggioranza dopo la conversione), che avrebbe costituito verosimilmente la base d’asta di una successiva vendita competitiva autorizzata dal Tribunale. Anche la questione della necessità della autorizzazione non appare un argomento convincente delle difese di GEquity, dal momento che correttamente controparte ha sostenuto la natura di atto di ordinaria amministrazione con riferimento alla determina del c.d’a. di Sintesi assunta in data 29 dicembre 2016 avente ad oggetto la mera conversione di un finanziamento in conto aumento capitale in azioni (operazione astrattamente neutra sul piano economico dal momento che si tratta di sostituire azioni ad un credito), a differenza invece della diversa operazione di cessione di una partecipazione azionaria mediante cessione di azioni, quale atto al quale senza alcun dubbio va attribuita natura liquidatoria dell’attivo patrimoniale di una società ammessa alla procedura di concordato preventivo, che pertanto necessariamente in quella fase doveva essere autorizzato dal Giudice delegato ai sensi dell’art. 167 l.f. e verosimilmente doveva essere disciplinato mediante esperimento di una procedura competitiva nell’interesse del mercato e della massa dei creditori concordatari. Le dichiarazioni rese dal c.d’a. di GEquity nel novembre 2015 in assenza considerazioni o esigenze di diversa natura – mai esplicitate dal c.d’a. – fanno dunque ritenere tempestiva la conversione operata da Sintesi entro l’originario termine del 31 dicembre 2016, stante la natura abusiva della
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delibera di chiusura anticipata adottata dal c.d’a. di GEquity in data 29 dicembre 2016. In ogni caso, anche diversamente ragionando rispetto a tale ultima conclusione, la comunicazione della delibera di Sintesi deve comunque ritenersi produttiva di effetti, dal momento che è documentato che è stata ricevuta da GEquity ore 16.40, ovvero prima che quest’ultima rendesse noto ai terzi (con comunicato stampa pubblicato alle 17.39) la chiusura anticipata dell’aumento di capitale. E ciò in mancanza di preventivi avvisi o comunicazioni ai soci di minoranza potenzialmente interessati alla conversione e non rappresentati nel c.d’a. come da patto parasociale pacificamente accettato. Alla luce di tali considerazioni, deve essere confermato il decreto reso in data 30 dicembre 2016, misura che appare di per sé sufficiente alla tutela di estrema urgenza richiesta dalla ricorrente e come tale da considerare assorbente rispetto alla ulteriore richiesta cautelare della stessa ricorrente; richiesta che, del resto, presuppone l’impugnazione della delibera del c.d’a. di EQUITY adottata in data 29 dicembre 2016. Posto il necessario collegamento tra la permanenza del dispositivo cautelare qui confermato e l’esito di tale impugnazione, non deve provvedersi sulle spese. P.Q.M. visti gli artt. 669-sexies, secondo comma, e 700 c.p.c, conferma il provvedimento reso in data 30 dicembre 2016. Spese al definitivo. (Omissis)
Giovanni Fumarola
(1) Asta dei diritti d’opzione e prelazione dell’inoptato negli aumenti del capitale delle società quotate Sommario: 1. Introduzione. – 2. La vicenda controversa ante e post provvedimento d’urgenza. – 3. Ratio dell’istituto dell’asta dei diritti d’opzione e suo collocamento lungo il procedimento d’aumento del capitale – 4. Lineamenti di fattispecie: 4.1. La quotazione della categoria di azioni (e non della società) quale presupposto della fattispecie: il caso dell’aumento del capitale della Fabbrica Italiana Lapis ed Affini. – 4.2. L’omessa menzione delle obbligazioni convertibili e i diritti d’opzione nuovi – 4.3. L’esatto oggetto dell’asta: i diritti e non le azioni. – 4.4. Disciplina societaria ed informativa. – 5. Gli effetti delle dichiarazioni d’impegno. – 6. Invalidità e responsabilità nel collocamento presso terzi. – 7. L’anticipazione del termine ex articolo 2439.
1. Introduzione. Gli istituti dell’offerta sul mercato regolamentato dei «diritti di opzione non esercitati» (la c.d. asta in borsa – o sul mercato – dei diritti d’opzione1) e del diritto di prelazione sulle azioni «non optate» (la c.d. prelazione sull’inoptato) – la cui disciplina è racchiusa, per entrambi,
1 Rinviandosi a quanto oltre nel testo, può anticiparsi sin da subito come, pur non essendo previsto in modo imperativo lo svolgimento dell’offerta dei «diritti di opzione non esercitati» nella forma competitiva dell’asta, la prassi non consta di altre forme di svolgimento dell’offerta. Difatti, nell’unico scritto interamente dedicato agli aspetti applicativi della questione – Jovenitti, L’offerta in borsa dei diritti inoptati: aspetti giuridici e operativi, in Riv. soc., 1978, 2-3, p. 448 (e dello stesso autore si v. anche Ancora sull’offerta in borsa di diritti inoptati, in Riv. soc., 1979, 1-2, pp. 224 e ss.) – si sostiene che, pur nel silenzio della legge, «non può che trattarsi di un ordine “al meglio”», e cioè, secondo gli allora vigenti usi della Borsa Valori di Milano, l’esecuzione dell’ordine con formazione competitiva del prezzo dell’operazione (si v. spec. nt. 13 per le altre modalità di esecuzione degli ordini di borsa astrattamente possibili, diverse dall’asta); l’asta viene poi definita «abituale» in Notari, Gli aumenti di capitale nelle società quotate, prolusione al convegno Le operazioni sul capitale sociale, organizzato dalla Fondazione italiana per il Notariato e tenutosi a Milano il 29 marzo 2008, apparsa in Fondazione italiana per il Notariato, Le operazioni sul capitale sociale: casi pratici e tecniche di redazione del verbale notarile. Atti del convegno. Milano, 29 marzo 2008, nei Quaderni della Fondazione italiana per il Notariato, suppl. 3, Milano, 2008, pp. 55 e ss., disponibile anche in versione informatica sul sito internet della fondazione (dalla quale si cita: § b.iv). Alla luce di questa precisazione di carattere empirico, nel prosieguo, per brevità, si farà esclusivo riferimento all’asta restando inteso di come questa catturi solo la quasi totalità della fattispecie dell’offerta dei diritti d’opzione, residuando però – solo teoricamente – anche altre forme di offerta.
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nel comma terzo dell’articolo 2441 del codice civile – hanno destato attenzioni in opere per lo più di taglio pratico2, non avendo poi trovato riscontro in un’effettiva attenzione della giurisprudenza le (solo) teoricamente affascinanti riflessioni dei primi commentatori alla legge 216 del 19743, con la quale entrambi hanno fatto apparizione nell’ordinamento4.
2 Si v., per tutti, Busi, Prelazione sull’inoptato nelle s.p.a. non quotate, in Not., 4, 2001, pp. 386 e ss. Rinviando alla prossima nota per la dottrina specificatamente formatasi in punto di prelazione dell’inoptato, può osservarsi qui come l’asta in borsa dei diritti d’opzione non esercitati sia stata pressoché totalmente relegata all’attenzione della sola prassi, rappresenta dai prospetti d’offerta degli aumenti del capitale di società quotate; come già cennato, l’unico contributo interamente dedicato al tema, ma limitato a questioni strettamente applicative, risulta essere Jovenitti, L’offerta, pp. 444 e ss.; cenni non solo sfuggenti possono leggersi anche in Abu Awwad, Il diritto di opzione nelle società quotate, Milano, 2013, pp. 74 e ss., e Notari, Gli aumenti. 3 La sorte dei diritti d’opzione non esercitati è stata oggetto di riflessioni anche prima dell’entrata in vigore della legge 216; rinviandosi per una più approfondita ricostruzione storica a Agnese, La prelazione su azioni inoptate, in Il Caso, sezione Dottrina e opinioni, documento n. 287, 2012, § 1, ci si limita qui a tre delle più significative opinioni sul punto: Ascarelli, Due questioni in tema di diritto d’opzione, in Studi in tema di società, Milano, 1952, pp. 255 e ss.; Cerami, Collocamento delle azioni non optate, in Riv. soc., 1960, pp. 75 e ss., e Nobili, Contributo allo studio del diritto d’opzione nelle società per azioni, Milano, 1958, pp. 168 e ss. Quanto ai commenti successivi alla disciplina nuova del 1974, in ordine, cronologico, Santini, I «buchi» della riforma, in Giur. comm., 1974, I, pp. 432-438; Nobili, commento sub art. 1/13 in Nobili e Vitale, La riforma delle società per azioni. Commento alla legge 7 giugno 1974, n. 216, Milano, 1975, pp. 343 e ss.; Portale, Opzione e sovraprezzo nella novella azionaria, in Giur. comm., 1975, I, p. 207 e ss., e poi, col medesimo titolo, in La riforma-stralcio della società per azioni e la piccola riforma della borsa valori, Milano, 1975, p. 220 e ss.; Rivolta, Profili della nuova disciplina del diritto di opzione nelle società per azioni, in Riv. dir. civ., 1975, I, p. 517; Grande Stevens, Il nuovo art. 2441: diritto di prelazione nell’acquisto delle azioni (o delle obbligazioni convertibili) non optate di società non quotate in borsa, in Riv. soc., 1976, pp. 1188 e ss.; Sordelli, Opzione, prelazione e criteri di ripartizione per nuove azioni rimaste inoptate, in Giur. comm., 1977, I, pp. 398 e ss.; Weigmann, La prelazione sui titoli inoptati, in Giur. comm., 1982, I, pp. 608 e ss.; G. Mucciarelli, La prelazione nell’art. 2441, terzo comma, del codice civile, in Riv. soc., 1992, p. 17 e ss.; Ginevra, Osservazioni a Pretura di Modena 31 luglio 1990 in tema di contestualità ex art. 2441 co. 3 c.c., nota a Pret. Modena, 31 luglio 1990, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, II, pp. 230 e ss.; Ambrosini, Aumento del capitale sociale: determinazione del prezzo delle azioni inoptate, nota a Cass., 28 marzo 1996, n. 2850, in Soc., 1996, pp. 1401 e ss.; Leocata, Del diritto di prelazione sulle azioni nuove inoptate in sede di aumento del capitale, in Vita not., 1998, pp. 1276 e ss. Quanto ai casi in cui la giurisprudenza si è dovuta occupare del tema, può aggiungersi alle due sentenze annotate ora citate, il caso App. Torino, 1° giugno 2006, Autostrada Albenga-Garessio-Ceva S.r.l. c. Sitaf – Società Italiana per il Traforo Autostradale del Fréjus per Azioni, in Giur. it., 2007, 3, p. 659. 4 L’articolo 1/13 della legge 216 del 1974, istitutiva della Consob, ha disposto l’inte-
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Dal canto loro, manualistica, trattatistica e commentari – generi per natura vocati alla completezza della trattazione – non hanno mai mancato di ribadire quello che in effetti emerge con gran nitore già dalla lettera della legge e cioè la summa divisio tipologica fra prelazione dell’inoptato come istituto proprio delle società chiuse e asta in borsa dei diritti d’opzione di quelle aperte, restituendo così una ricostruzione degli istituti in parola come due modi non comunicanti5: in altre parole, la ratio perseguita dal legislatore del 1974 sarebbe particolarmente evidente nell’escludere la prelazione dell’inoptato nei casi di società aperte, cosa che finirebbe per rappresentare un’inutile lungaggine procedimentale, particolarmente imperdonabile considerata la presenza di un mercato borsistico ove gli azionisti intenzionati ad incrementare la propria partecipazione possano reperire con prontezza i diritti d’opzione non esercitati6.
grale riscrittura dell’articolo 2441 del codice civile, eliminando in buona parte le tracce della formulazione dell’editio princeps del codice civile dando così all’articolo la forma che, con minime modifiche (introdotte con la riforma del diritto societario del 2003 e poi con i decreti legislativi 310 del 2004 e 184 del 2012), ha tutt’oggi. 5 Particolarmente netti nel rimarcare la cesura fra la disciplina delle società chiuse e quella delle società aperte Abu Awwad, Il diritto, p. 74; G. Bianchi, Le operazioni sul capitale sociale dopo la riforma del diritto societario, Padova, 2007, pp. 159 e ss.; Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società 8, a cura di Campobasso (M.), Torino, 2014, p. 521; Ferrara jr e Corsi, Gli imprenditori e le società 8, Milano, 1992, pp. 604-605 (« … ma quando si tratta di società con azioni quotate vale una diversa regola »); Ginevra, commento sub art. 2441 in Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, commentario diretto da Abbadessa e Portale, a cura di Cariello, Campobasso e Tombari, II, Milano, 2016, p. 2626; Jaeger, Denozza e Toffoletto, Appunti di diritto commerciale. Impresa e società 7, Milano, 2010, p. 497; Rosapepe, Modificazioni statutarie e recesso, in Abriani et al., Diritto delle società. Manuale breve 4, Milano, 2008, p. 395; B. Quatraro, d’Amora, Israel e G. Quatraro, Trattato teorico-pratico delle operazioni sul capitale2, I, Milano, 2001, pp. 378-379 (ove qualche cenno a cavallo fra le due pagine citate su quasi 2800 di pagine complessive dell’opera). In Jovenitti, L’offerta, pp. 444-445, prendendo le mosse dal tema che qui rileva, si fa risalire la più generale distinzione in punto di disciplina fra società chiuse ed aperte ai progetti di legge del 1965, 1967 (c.d. progetti De Gregorio) e 1973 (c.d. progetto Marchetti). 6 Esattamente in tal senso Abu Awwad, Il diritto, p. 75; Notari, Gli aumenti, § b; Portale, Opzione, p. 214 (che all’indomani della riforma già motivava la scelta del legislatore per le «notevoli difficoltà tecniche»); Santini, I «buchi», pp. 436 e ss. (ove la notazione della crescente complessità « quanto più polverizzata … la base azionaria e più alto … il numero dei soci richiedenti »); Sordelli, Opzione, p. 402; Weigmann, La prelazione, p. 613 («cautela superflua»).
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E proprio la chiarezza della lettera della legge oltre che l’assoluta predominanza della prassi in tal senso, fanno dell’arresto che qui si annota un unicum di sicuro interesse, se non altro7 per aver offerto un caso pratico (controverso) in cui si è avuta una manifestazione di entrambi gli istituti in parola nell’occasione di un aumento del capitale deliberato da una società quotata.
2. La vicenda controversa ante e post provvedimento d’urgenza. Limitandosi ai fatti strettamente necessari per quanto qui rileva, può iniziarsi notando come le protagoniste della vicenda da cui genera la controversia siano due società quotate, entrambe non propriamente in bonis. Da un lato, infatti, v’è Sintesi, una società di partecipazioni che nel passato aveva effettuato cospicui versamenti in conto futuro aumento del capitale in favore della società su cui esercitava direzione e coordinamento – Investimenti e Sviluppo (per brevità, “IeS”) –, ma che, una volta ammessa alla procedura di concordato preventivo, ha progressivamente dismesso la propria partecipazione ed ha cercato, in ogni circostanza utile, di compensare il proprio credito da versamento con la sottoscrizione di azioni di IeS, azioni che poi avrebbero rappresentato il principale cespite del concordato. Occasione – irripetibile, vista la condizione finanziaria ed il trascorso di IeS – per la compensazione è l’aumento del capitale che l’assemblea degli azionisti di IeS delega al consiglio d’amministrazione di deliberare, auspicando che, per l’effetto, le perdite che intanto erodevano il capitale sociale nella misura ex articolo 2446 si assottigliassero entro il livello di guardia nonché l’accordo ex articolo 182-bis della legge fallimentare trovasse la sua miglior esecuzione. Dopo una prima deliberazione consiliare revocata, l’aumento del capitale viene deliberato (assieme all’emissione di obbligazioni convertibili e warrant), com’è ovvio scindibilmente, con termine ex articolo
In verità, come emergerà subito dalla lettura del fatto alla base della vicenda, i temi d’interesse giuridico sollevati sono molteplici: con particolare riguardo, fra l’altro, all’approfondimento del tema della sottoscrizione dell’aumento mediante compensazione di versamenti in conto futuro aumento del capitale e del relativo momento di perfezionamento della sottoscrizione si rimanda al commento di Giuliano, Sottoscrizioni di azioni inoptate, versamenti in conto futuro aumento di capitale, poteri degli amministratori e tutela delle minoranze nell’aumento di capitale sociale, in Giur. comm., 2018, II, pp. 860 e ss. 7
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2439 a quasi un anno di distanza «o ad una data antecedente su deliberazione del consiglio di amministrazione» e con l’espressa previsione della c.d. efficacia progressiva delle sottoscrizioni8. Considerato che la partecipazione detenuta da Sintesi in IeS al momento dell’aumento è del ~5%, l’ammontare complessivo dei versamenti si commisura a ~3
8 «Ciascuna sottoscrizione sarà immediatamente efficace al momento stesso del suo versamento, con relativa emissione delle azioni e legittimazione all’esercizio dei diritti sociali, fermo restando che l’adempimento previsto dall’articolo 2444, primo comma del codice civile verrà eseguito unitariamente». La previsione in questione non è altro che quanto il consiglio notarile di Milano ha espressamente dichiarato ammissibile con la massima numero 96 (intitolata Efficacia delle sottoscrizioni di aumenti di capitale, prima del termine finale di sottoscrizione), in esito al revirement dottrinale rispetto alla tradizionale posizione negativa (sul quale si v. Vicari, commento sub art. 2439 in Commentario del codice civile diretto da Gabrielli, Milano, 2015, p. 1230 e ss.; Guerrera, commento sub artt. 2438-2439 in Società di capitali. Commentario a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, p. 1161, nonché a Trib. Torino, 4 settembre 2013, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, I, p. 604, con nota di Felicetti, Osservazioni in tema di “scindibilità progressiva” nell’aumento di capitale di s.p.a. (e di sua congruità o meno all’oggetto sociale). Ci si limita qui a notare come nel caso l’aumento del capitale integri anche la fattispecie dell’offerta al pubblico di sottoscrizione con la conseguente applicazione della disciplina speciale ex t.u.f. (nonché ex regolamento emittenti, regolamento dei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A. e regolamento dei servizi di gestione accentrata di Monte Titoli S.p.A.) una simile previsione è destinata a rimanere del tutto inattuabile attesa l’obbligatoria materiale emissione delle azioni di compendio a chiusura del periodo di offerta, salvo il caso del tutto eccezione degli aumenti di capitale c.d. iperdiluitivi regolati sulla base del modello rolling (sul quale si rimanda all’unico contributo in materia: L.A. Bianchi, Note sul modello «rolling» negli aumenti di capitale iperdiluitivi, in Analisi giur. ec., 1, 2017, p. 169 e ss. e spec. p. 182, ove sembrerebbe potersi ritenere l’aumento di capitale a efficacia progressiva quale traslazione del modello rolling nell’ambito delle società chiuse). Un’altra possibile antinomia fra la disciplina societaria e quella del mercato finanziario è rappresentata proprio dalla previsione dell’anticipazione del termine ex articolo 2439 – ove ritenuta ammissibile e sulla quale si veda infra nel testo –, cosa che potrebbe creare non pochi attriti con il principio di parità di trattamento degli oblati, seppur il t.u.f. non replichi l’espressa disposizione dettata in punto di offerte pubbliche di acquisto o scambio di cui all’articolo 103 – a mente della quale « l’offerta è irrevocabile » – anche a proposito delle offerte pubbliche di sottoscrizione o vendita. Con particolare riguardo al caso di specie, a dispetto della facoltà attribuita al consiglio d’amministrazione in ordine alla chiusura anticipata dell’aumento, il prospetto d’offerta prevedeva espressamente che «l’Offerta diverrà irrevocabile dalla data del deposito del corrispondente avviso presso il Registro delle Imprese di Milano, ai sensi dell’articolo 2441, secondo comma, del Codice Civile». Sul rapporto fra offerta in opzione quale fattispecie di offerta pubblica di sottoscrizione e l’offerta d’opzione fatta mediante iscrizione al Registro delle Imprese ex articolo 2441, comma secondo, si v. Notari, L’aumento, cit., § s.n. intitolato Il rapporto tra la “offerta di opzione” di cui all’art. 2441, comma 2, c.c., e il “prospetto d’offerta” di cui all’art. 95 T.U.F.
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milioni e l’ammontare massimo dell’aumento a ~5 milioni, l’integrale compensazione del versamento – ovviamente ove possibile, visto che richiederebbe una sottoscrizione per ben oltre la misura dell’opzione – determinerebbe il conseguimento del controllo in favore di Sintesi, circostanza sicuramente invisa agli amministratori in carica, espressione di un patto parasociale rappresentante altri azionisti, i quali, dal canto loro, pure hanno intenzione di sottoscrivere l’aumento preferenzialmente compensando loro crediti e solo in seguito conferendo denaro; in caso contrario – circostanza di cui se ne dà poi espressamente avvertenza nel prospetto d’offerta fra i fattori di rischio – l’obbligo restitutorio delle somme versate da Sintesi, in mancanza o per la differenza di quanto non sottoscrivibile, potrebbe addirittura determinare l’erosione del capitale sociale fin sotto il minimo legale. In questa delicata situazione, viene approvato da Consob il prospetto dell’offerta al pubblico di sottoscrizione9, integrando, com’è ovvio, l’offerta in opzione nell’ambito dell’aumento del capitale una fattispecie di sollecitazione del pubblico risparmio ex articoli 93-bis e seguenti del t.u.f.: in ossequio al codice civile, è previsto che alla fase di offerta in opzione delle azioni faccia seguito l’offerta sul mercato dei diritti d’opzione non esercitati per 5 giornate di mercato aperte. Curiosamente, si apprende dal prospetto che taluni soggetti – i paciscenti ed alcuni ex amministratori – hanno fatto pervenire a IeS «impegni di sottoscrizione vincolanti ed irrevocabili» relativi, fra l’altro, alla «sottoscrizione di azioni inoptate», senza meglio specificare a quale fase del procedimento d’offerta questo impegno in particolare si riferisse; non è chiaro, cioè, se le «azioni inoptate» oggetto d’impegno fossero da intendersi in realtà, per metonimia, come i diritti d’opzione non esercitati ed offerti sul mercato ex articolo 2441, co. 3, o se invece si fossero riferiti ad una fase a questa successiva, quella in cui gli amministratori – esaurita l’offerta in borsa o, per le società chiuse, dell’inoptato – tornerebbero liberi di collocare le azioni discrezionalmente col solo vincolo di massimizzare l’utilità per la società10. Dal canto suo, Sintesi, avendo interesse
9 Il prospetto d’offerta così come tutta la documentazione cui si farà riferimento nel prosieguo – contenente significative informazioni ulteriori a quelle che emergono dalla ricostruzione dei fatti ad opera dal giudice – sono disponibili nelle varie sotto-sezioni della sezione «Investor relations» del sito internet della società (ora raggiungibile all’indirizzo «www.gequity.it»). 10 È generalmente condiviso che la discrezionalità che fa da sfondo a questa fase del procedimento d’aumento sia bilanciata dall’obbligo di ottenere il miglior risultato
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a compensare nella massima misura il proprio versamento ed appresi gli impegni dei paciscenti a sottoscrivere le azioni inoptate, prontamente sottoscrive l’aumento per la sua quota d’opzione ed aggiunge, per non soccombere sotto le altrui sottoscrizioni più che proporzionali, che «laddove poi residuasse dell’inoptato … sarebbe inoltre interessata a sottoscrivere la parte inoptata dell’aumento di capitale fino alla concorrenza dei citati versamenti in conto futuro aumento di capitale, utilizzando sempre tale provvista». Trascorsa oltre metà del complessivo periodo di apertura dell’aumento (7 di 11 mesi) e chiusasi da pochi giorni l’offerta in opzione, si celebra in terza convocazione l’assemblea chiamata a deliberare, fra l’altro, ex articolo 2446, volgendo ormai al termine il periodo di grazia: nonostante in esito all’offerta fosse stato sottoscritto circa un terzo dell’aumento, il consiglio propone – e l’assemblea delibera – di rinviare al momento in cui spirerà il termine dell’aumento (dopo circa 6 mesi) l’assunzione dei provvedimenti ex articolo 2446, ben potendo la società fino ad allora riaprire altri periodi d’offerta e, ancor prima, effettuare l’asta dei diritti d’opzione sul mercato, raccogliendo così ulteriori sottoscrizioni tali da incrementare il patrimonio netto e, per l’effetto, ridurre l’incidenza delle perdite. Nel corso della medesima assemblea, si legge dal verbale di come Sintesi abbia ribadito l’intenzione di sottoscrivere azioni inoptate, vedendosi però replicare dal presidente di IeS che sarebbe stata data precedenza ai sottoscrittori che contestualmente avessero liberato le azioni in denaro nuovo e non in compensazione di precedenti crediti vantati nei confronti della società, com’è il caso del credito da versamento in conto futuro aumento del capitale. Nel comunicato che IeS diffonde alla vigilia dell’apertura dell’offerta dei diritti d’opzione sul mercato, i paciscenti tornano a ribadire l’impegno al tempo riportato nel prospetto, tuttavia questa a volta a condizione che «le sottoscrizioni da parte dei soci diversi da coloro che hanno rilasciato gli Impegni, ad esito dell’Offerta e dell’offerta in Borsa ai sensi dell’art. 2441, comma 3, del Codice Civile, siano state complessivamente inferiori a tali ammontari». Chiusasi anche la fase di offerta in borsa dei diritti d’opzione – asta andata del tutto deserta – IeS conclude un comunicato stampa rammen-
possibile, contemperando le variabili rappresentate dalla massimizzazione del prezzo di sottoscrizione con il tempo necessario per trovare soggetti interessati alla sottoscrizione a tali condizioni: così Ginevra, Osservazioni, cit., p. 236; Id., commento, p. 2626; Grande Stevens, Il nuovo, cit., p. 1189.
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tando gli impegni di sottoscrizione dell’inoptato dei paciscenti – ma non anche quelli di Sintesi – a proposito dei quali dichiara di «attiv[arsi] quanto prima per chiamare gli impegni». IeS procede quindi ad offrire le azioni inoptate ai paciscenti secondo gli ammontari indicati sin dal prospetto e a Sintesi, in una misura però che si fatica a comprendere: in un successivo comunicato, si da conto sia che «A seguito delle citate sottoscrizioni dell’inoptato, l’Emittente precisa che gli impegni ricevuti sono stati integralmente adempiuti fino al loro ammontare massimo e pertanto sono da considerare esauriti», sia che « coerentemente con il contenuto della delibera di aumento del capitale, [IeS] intende offrire entro il 31-12-2016 le rimanenti azioni e obbligazioni rimaste inoptate prioritariamente a coloro che effettueranno nuovi versamenti in denaro». Ed infatti, atteso che l’impegno assunto da Sintesi era da intendersi sottoposto alla doppia condizione dell’avanzo di azioni e della capienza del credito da opporre in compensazione, non si vede come possano residuare azioni a fronte di buona parte del credito ancora sussistente. L’unica conclusione desumibile, allora, non può che essere quella del rifiuto del consiglio di offrire immediatamente tutto l’inoptato (in compensazione), attendendo così eventuali sottoscrittori diversi dai paciscenti – i quali non hanno avanzato ulteriori richieste – che offrano di liberare in denaro le azioni. Di tale intenzione se ne ha riscontro in un successivo comunicato, nell’ambito del resoconto intermedio di gestione, nel quale il consiglio ribadisce che sino alla scadenza del termine ex articolo 2439 le azioni possono essere sottoscritte e informa di «stare lavorando per individuare un potenziale sottoscrittore delle azioni e obbligazioni rimaste inoptate», pur in presenza della sottoscrizione di Sintesi ancora pienamente efficace e precisamente sino a che vi siano azioni ancora inoptate e parte del credito ancora da compensarsi. Da questo momento sino agli ultimi giorni di validità dell’aumento, si assiste, da un lato, ai paciscenti che offrono a Sintesi di acquistare il credito (ad un prezzo parecchio scontato) da versamento – evidentemente con l’intento di togliere il consiglio d’amministrazione dall’impaccio di continuare a fare finta di nulla, pur in assenza di altri sottoscrittori – ed a Sintesi che ribadisce la disponibilità a sottoscrivere le azioni inoptate. Da ultimo, Sintesi ribadisce ciò a due giorni dalla chiusura dell’aumento ma pochi minuti dopo, con una seduta straordinaria convocata d’urgenza, il consiglio delibera – senza alcuna motivazione – la chiusura anticipata dell’offerta, seppur di qualche ora, con quasi metà dell’ammontare deliberato non sottoscritto e la sussistenza ancora di un cospicuo credito da versamento: è proprio in questo momento che sorge la vicenda processuale che qui interessa. Il giorno seguente viene de-
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positato un ricorso ex articolo 700 del codice di rito, col quale Sintesi domanda al Tribunale di Milano – luogo ove, in thesi, si sarebbero perfezionate le sottoscrizioni – di «ordinare all’Ufficio delle Imprese di Genova … di non procedere all’iscrizione relativa alla chiusura dell’aumento di capitale» in quanto non tiene conto delle plurime richieste di sottoscrizione dell’inoptato, nonché di ordinare a IeS, nelle more ridenominatasi GEquity, di prendere atto della sottoscrizione dell’inoptato e «di emettere le relative azioni e di riconoscere a Sintesi l’esercizio dei relativi diritti». Il Tribunale di Milano, in accoglimento della prima domanda ordina quindi «al Conservatore del Registro delle Imprese di Genova di non procedere all’iscrizione relativa alla delibera del consiglio di amministrazione di GEquity del 29 dicembre 2016 di chiusura anticipata dell’aumento di capitale deliberato in data 8 febbraio 2016», ordine poi confermato con l’ordinanza che qui si annota11. Guardando anche agli avvenimenti successivi, sì da avere una visione completa della vicenda, può aggiungersi che poco dopo la pronuncia del provvedimento cautelare, Sintesi, forte del provvedimento favorevole, ha pure proposto una denuncia ex articolo 2408 che ha poi indotto il collegio sindacale a denunciare a sua volta i medesimi fatti ex articoli 2409 e 152 del t.u.f. E sotto la pressione di quest’ultima denuncia, la vicenda si conclude con il consiglio d’amministrazione che revoca parzialmente la precedente deliberazione, nella parte in cui il termine dell’aumento veniva anticipato, e delibera di emettere in favore di Sintesi tante azioni quante capienti nel residuo credito da versamento, arrivando così a detenere una partecipazione dell’oltre 54% – a fronte del 5 ante aumento – to-
Per quanto sia il ricorso ex articolo 700 sia il dispositivo dell’ordinanza discorrano di iscrizione della deliberazione consiliare di chiusura anticipata dell’aumento – in verità non oggetto di iscrizione o deposito presso il Registro delle Imprese, sempre nella misura in cui sia da ritenersi ammissibile – più correttamente, il riferimento nel ricorso e nell’ordinanza è da intendersi all’attestazione di esecuzione dell’aumento del capitale ex articolo 2444. Come infatti riconosce la Corte, concludendo nel senso dell’ammissibilità della tutela cautelare residuale ex articolo 700, la ragione per cui sia provvisoriamente da disporsi un simile divieto di iscrizione sta nell’assicurare la proponibilità della futura (ed eventuale) impugnazione della deliberazione di aumento del capitale, impugnazione che – trattandosi di società quotata – subirebbe la preclusione brevissima ex articolo 2379-bis a mente del quale «Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l’invalidità della deliberazione di aumento del capitale non può essere pronunciata dopo che a norma dell’art. 2444 sia stata iscritta nel registro delle imprese l’attestazione che l’aumento è stato anche parzialmente eseguito». 11
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talizzando così il complessivo aumento una percentuale del ~95% di sottoscrizioni dell’ammontare deliberato.
3. Ratio dell’istituto dell’asta dei diritti d’opzione e suo collocamento lungo il procedimento d’aumento del capitale. Prima di affrontare il centrale tema della qualificazione giuridica delle vicende sopra delineate, in modo da poter ragionevolmente comprendere a quale disciplina sarebbero stati soggetti gli amministratori – cosa che non emerge inequivocabilmente dall’ordinanza – può essere utile passare in rassegna i pochi elementi che connotano la fattispecie e la disciplina dell’asta dei diritti d’opzione. Iniziando dalla ratio di questo speciale regime e dal suo collocamento lungo il più ampio procedimento d’aumento del capitale, può osservarsi come l’attenzione dei commentatori si sia concentrata solo sulla sua qualificazione quale alternativa procedimentale alla prelazione dell’inoptato, l’eliminazione, insomma, di quella che per una società con azionariato diffuso sarebbe stata solo un’inutile lungaggine. Non si vedrebbe l’utilità, infatti, di gravare il procedimento anche di quest’ultima fase quando i soci che hanno esercitato l’opzione ben possono soddisfare l’interesse a sottoscrivere ulteriori azioni direttamente in sede di offerta sul mercato, fase che in ogni caso sarebbe necessaria data la moltitudine di azionisti nei quali la compagine sociale è frammentata, salvo ovviamente il caso di scuola in cui tutte le azioni inoptate siano assorbite dalla ulteriore richiesta di chi ha esercitato l’opzione12. Inoltre, come segnalava anche la relazione al c.d. Progetto Marchetti, tale lungaggine sarebbe per di più di complessa attuazione «non essendo possibile dare corso a richieste di prelazione che possono venire da decine di migliaia di azionisti, e che possono avere a oggetto poche azioni»13. Tale circostanza, del resto, trova riscontro nella precisa scelta del legislatore di prevedere – in modo solo apparentemente asimmetrico
12 È appena il caso di notare come le accurate analisi preliminari alla strutturazione di un’operazione di aumento del capitale condotte da intermediari specializzati dovrebbero far escludere il rischio della determinazione dell’ammontare offerta in misura inferiore alla domanda di mercato, sì da determinarne l’integrale sottoscrizione giù in fase di asta dei diritti d’opzione. 13 Il passo citato è riportato in Nobili, Commento, cit., p. 365. L’intera relazione al c.d. Progetto Marchetti la si può leggere in Riv. soc., 1973, p. 278 e ss.
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– il cumulo fra prelazione dell’inoptato e asta dei diritti d’opzione nel diverso procedimento di recesso ex articolo 2437-quater, ove è del tutto verosimile che vi sia l’assorbimento dell’inoptato – in thesi di ammontare notevolmente inferiore rispetto a quello da aumento di capitale – entro la cerchia dei soli azionisti che hanno esercitato l’opzione sulle azioni recedute14. Così argomentando, risulta allora eccentrico l’ulteriore caso in cui nella disciplina societaria del codice civile si manifesta il diritto d’opzione e cioè quello della vendita delle azioni per le quali non siano stati effettuati i conferimenti promessi ex articolo 234415. Non si spiegherebbe perché anche in questo caso in cui l’oggetto dell’offerta verosimilmente potrebbe essere fatto proprio dai soli soci che esercitino l’opzione sia prevista direttamente la vendita a rischio per il tramite di una «banca o di un intermediario autorizzato alla negoziazione in mercati regolamentati». E non a caso, infatti, è stata suggerita da alcuni autori la lettura ortopedica della disposizione sì da ricomprendervi anche l’obbligo di offerta a chi dichiari di voler acquistare più azioni di quante ne spettino pro quota16.
La lettera dei commi terzo e quarto è infatti chiara nel prevedere il cumulo delle fasi procedimentali: «3. Coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell’acquisto delle azioni che siano rimaste non optate. 4. Qualora i soci non acquistino in tutto o in parte le azioni del recedente, gli amministratori possono collocarle presso terzi; nel caso di azioni quotate in mercati regolamentati, il loro collocamento avviene mediante offerta nei mercati medesimi». Nota la differenza di disciplina della prelazione dell’inoptato da recesso da quella da aumento del capitale, Daccò, Commento sub art. 2437-quater, in Le società per azioni, II, p. 2545; secondo Assonime, circolare n. 68/2005, La nuova disciplina del diritto di recesso: commento, in Riv. soc., 2005, p. 1414, dovrebbe invece applicarsi analogicamente la disciplina dell’articolo 2441. 15 La sedes della disposizione è, come noto, quella dei conferimenti in sede di costituzione ma – come, del resto, larghi tratti della generale disciplina dei conferimenti – è da ritenersi applicabile anche a proposito dei conferimenti in sede di aumento del capitale (peraltro senza che sia richiesto alcun adattamento alla diversa fattispecie). Ad esempio, è espressamente presa in considerazione l’applicazione dell’articolo 2344 nel caso di aumento del capitale nella massima H.B.34 del Comitato interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie. 16 Prendendo le mosse proprio dalla prelazione dell’inoptato, cita per connessione la disciplina del socio in mora dei versamenti Weigmann, La prelazione, cit., p. 610; per le opere di carattere più generale si v. Bertolotti, Commento sub art. 2433, in Commentario del codice civile diretto da Gabrielli, Delle società – dell’azienda – della concorrenza*, a cura di Santosuosso, Torino, 2015, p. 851; Erede, Commento sub art. 2433, in Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e 14
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Ma tornando al caso dell’asta dei diritti d’opzione deve notarsi come essa, secondo una prospettiva economicamente più aderente con la realtà, non si limiti solo a sostituire in modo più efficiente la prelazione dell’inoptato ma, nella pratica, assomma in sé anche l’ulteriore fase che è quella in cui gli amministratori, nelle società chiuse, hanno facoltà di offrire ai terzi le azioni inoptate e non prelazionate. Infatti, se in esito all’asta questi non sono integralmente venduti – com’è verosimile che sia – vuol dire che la domanda del mercato per le sottostanti azioni è limitata ai soli diritti d’opzione sottoscritti e dunque non vi sarebbe ragione di prevedere ulteriori momenti d’offerta al pubblico ma semmai è bene che si innestino meccanismi di garanzia, già in precedenza pattuiti (segnatamente, per dirla con la definizione del testo unico della finanza, che vi sia l’intervento di un intermediario autorizzato a prestare il servizio di collocamento con assunzione di garanzia a ciò incaricato). Ed è appena il caso di notare come simili intermediari abbiano interessi affatto diversi da quelli dell’azionista intenzionato ad incrementare la partecipazione: la loro funzione istituzionale – appunto di mera garanzia e non di investimento – impone loro di avere interesse a che le azioni residue siano del minor ammontare possibile giacché quanto minore è il residuo tanto minore sarà l’esborso cui farsi carico, a fronte del medesimo compenso fisso previsto per il semplice fatto che la garanzia sia prestata. In altre parole, nelle società quotate, a differenza di quelle chiuse, nella normalità dei casi non vi è alcuna ulteriore offerta successiva al momento in cui si chiude l’offerta in opzione visto che se mai vi fossero terzi interessati alle azioni questi sarebbero interventi in sede di asta; ne consegue che l’enfatico e ricorrente riferimento agli amministratori che
Notari, Costituzione – conferimenti, a cura di Notari, Milano, 2007, p. 464, ove si giustifica – in linea con quanto sostenuto qui nel testo – la fase di prelazione dell’inoptato in ragione dell’«incertezza» dell’offerta sul mercato, e p. 463 ove, più in generale, si sostiene la necessità di colmare le lacune mediante l’applicazione analogica della disciplina sull’opzione ex articolo 2441, segnatamente per quanto concerne il regime pubblicitario dell’offerta in opzione e la sua durata minima; Olivieri, Commento sub artt. 2342-2345, in Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da d’Alessandro, II, t. I, Padova, 2010, p. 195; Spolidoro, I conferimenti in danaro, nel Tratt. soc. per az. diretto da Colombo e Portale, 1**, Capitale. Euro e azioni. Conferimenti in denaro, a cura di Portale, Figà-Talamanca e Spolidoro, Torino, 2004, p. 466; contra Abriani, I conferimenti, nel Tratt. dir. comm, diretto da Cottino, IV, I, Le società per azioni, a cura di Abriani, Cagnasso, Montalenti e Ambrosini, Padova, 2010, p. 136, nt. 37, il quale sostiene che nel caso di specie non si tratti tecnicamente di un diritto d’opzione.
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«tornano ad essere liberi» di offrire le azioni ai terzi dopo aver esaurito, a seconda del sotto-tipo di società in questione, la fase di offerta dell’inoptato o dei diritti d’opzione non esercitati, risulta pressoché solo teorico nel caso di società quotate17. In generale e limitatamente ai soli momenti di offerta delle azioni di compendio dell’aumento, può quindi dirsi che il procedimento d’aumento del capitale delle società chiuse è tendenzialmente tripartito – sempre, cioè, con salvezza del caso in cui la prelazione assorba tutto l’inoptato – atteso che ben potrebbe sussistere l’interesse dei terzi a sottoscrivere le azioni, mentre quello delle società quotate è tendenzialmente bipartito – salvo quanto si vedrà infra – giacché l’asta dei diritti, quale appendice dell’offerta in opzione, è la sede in cui allo stesso tempo viene recepita l’intera domanda di azioni del mercato, sia esso rappresentato dagli azionisti che già hanno esercitato l’opzione ma che hanno intenzione di sottoscrivere ulteriori azioni, sia dei terzi non azionisti. Difatti, se in ipotesi il legislatore avesse voluto prevedere anche per le società quotate l’ulteriore fase della prelazione dell’inoptato, considerato che sarebbe altamente improbabile che in esito alla stessa non residuino più azioni, in ogni caso sarebbe stato necessario un successivo momento in cui sia possibile per il mercato incrociare la propria domanda di azioni con l’offerta della società (quale che sia la qualificazione formale di una simile offerta: dei diritti d’opzione non esercitati o direttamente di azioni inoptate). Al contrario, invece, se la legge avesse previsto per le società chiuse una sola fase ulteriore all’offerta in opzione – la diretta offerta ai terzi, cioè – ne sarebbe derivato un notevole rischio di abusi da parte degli amministratori. Infatti, la loro discrezione nel collocare le azioni avverrebbe al di fuori della cornice di disciplina speciale della sollecitazione del pubblico risparmio e dunque non sarebbe stata arginata da alcuna precisa disposizione in ordine allo svolgimento dell’offerta e alla condotta da tenere nel suo corso ma solo dal generico dovere – di diritto societario generale – di rispettare la parità di trattamento fra i soci e dall’ancora più generico obbligo di buona fede: di qui la ragione di prevedere il preciso obbligo di offrire il prelazione le azioni inoptate agli
Per tutti, si v. Nobili, Commento, cit., p. 368 («La società può liberamente collocare le azioni od obbligazioni convertibili non optate, che non siano richieste in prelazione o i cui diritti on siano venduti in borsa»); nella manualistica, invece, Jaeger, Denozza e Toffoletto, Appunti, p. 497. 17
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azionisti che ne facciano «contestuale – ed espressa – richiesta»,18 come a ragion veduta prevede il primo periodo del comma terzo dell’articolo 2441 (obbligo che, in realtà, non esclude del tutto margini di incertezza, specie in punto di criteri di ripartizione delle azioni inoptate in caso di richieste sovraproprozionali)19. In definitiva, quindi, l’asta dei diritti d’opzione rappresenta il luogo ed il momento in cui contestualmente è soddisfatto, per un verso, l’interesse degli azionisti che hanno esercitato l’opzione a rafforzare o tutelare la propria partecipazione – interesse perseguibile nella massima parità di trattamento ed al riparo di trattamenti non equi attesa la disciplina di (ed il funzionamento del) mercato, rendendosi così superfluo un meccanismo ad offerta obbligatoria a chi ne faccia richiesta –, e per l’altro, quello del dei soggetti terzi alla compagine sociale ad accedervi mediante la sottoscrizione di azioni. Tutto ciò, inoltre, secondo un meccanismo competitivo in base al quale all’aumentare della domanda dei diritti d’opzione aumenta anche il loro prezzo ed i cui proventi sono percepiti direttamente dalla società, apprezzandosi così il valore della partecipazione dei vecchi azionisti e di quelli nuovi20.
4. Lineamenti di fattispecie. Una volta chiarita la ratio dell’asta dei diritti – quella di economicità procedimentale – ed aver dato un preciso collocamento lungo il procedimento d’aumento, non può che venire in rilievo un elemento che allo stesso tempo è presupposto e ambito soggettivo della fattispecie.
18 Il fatto che l’obbligo di offrire l’inoptato agli azionisti che abbiano esercitato il diritto d’opzione sia un argine alla discrezionalità degli amministratori è cosa pressoché unanime: si v., per tutti, Nobili, Commento, cit., p. 343. 19 Problema sul quale si rinvia, per tutti, a Sordelli, Opzione, prelazione, p. 398 e ss., ove anche riferimenti agli altri autori (spec. Weigmann e Portale) che si sono interessati alla oscura – e non risolta – questione. 20 Così, per tutti, Ginevra, Commento, cit., p. 2518. Si v. anche Mucciarelli (G.), Il sopraprezzo delle azioni, Milano, 1997, p. 427, ove si nega, però, la natura del corrispettivo quale sopraprezzo (contra, in modo dubitativo, Nobili, commento, p. 368: «Tali somme hanno natura simile ad un sopraprezzo di emissione dei titoli, in quanto versate alla società da chi intende sottoscrivere i titoli stessi: pertanto la società dovrà trattare come sopraprezzo … è però prudente far rilevare che la soluzione proposta presenta un notevole margine di opinabilità»).
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4.1. La quotazione della categoria di azioni (e non della società) quale presupposto della fattispecie: il caso dell’aumento del capitale della Fabbrica Italiana Lapis ed Affini. Nonostante fin ora si sia fatto generico riferimento alle società quotate – o, ancor più genericamente, alle società aperte –, secondo la lettura preferibile della disposizione l’asta dei diritti d’opzione non esercitati si applicherebbe – e presupporrebbe –, anzitutto, la quotazione su un mercato regolamentato delle azioni21 e non in generale la quotazione della società, formula di comodo, invalsa nel lessico pratico, ma che inevitabilmente tradisce alcune imprecisioni. La distinzione, infatti, non è solo lessicale giacché ove lo status di emittente quotato derivasse alla società dalla quotazione di una sola delle categorie di azioni emesse e l’aumento del capitale si attuasse tramite l’emissione di azioni appartenenti ad una delle categorie non emesse, non si darebbe il caso dell’asta dei diritti d’opzione bensì della prelazione dell’inoptato22. Questo perché il riferimento del terzo comma al caso delle «azioni … quotate in mercati regolamentati [i cui] i diritti di opzione non esercitati devono essere offerti nel mercato regolamentato dagli amministratori» farebbe emergere una stretta connessione fra le azioni e i relativi diritti d’opzione sì da considerare il riferimento alle azioni quotate non tanto al fatto della generica quotazione di una delle categorie emesse bensì alla quotazione della categoria di azioni oggetti di emissione, quotazione già in essere o in fieri in esito all’emissione. Insomma, la disposizione sarebbe da leggersi non nel senso di «Se una categoria di azioni è quotata, i diritti di opzione non esercitati…» ma di «Se le azioni di categoria emesse di compendio all’aumento sono già quotate o destinate alla quotazione, i diritti
21 Il riferimento alle azioni vale, ove fosse necessario, a restringere l’ambito soggettivo della fattispecie alle sole società azionarie – e cioè anche alla accomandita e cooperativa disciplinata ex articolo 2519 dalle disposizioni sulla società per azioni –, unici tipi societari che, del resto, possono emettere titoli negoziati su mercati regolamentati (il che è un dato di fatto nonostante il regolamento di Borsa Italiana S.p.A., unico mercato regolamentato italiano, in nessun punto faccia espressa menzione ad alcun tipo societario ma preveda, all’art. 2.2.42, come ammissibili alle negoziazioni anche gli «altri titoli rappresentativi di capitale di rischio»). 22 Sembrerebbe essersi avveduto della sfumatura solo Nobili, Commento, cit., pp. 366-367, poi ripreso da Notari, Gli aumenti, cit., § b.i, i quali si sono espressi esattamente nel senso di cui al testo. Nel resto dei contributi, invece, il riferimento all’asta dei diritti d’opzione è sempre ricondotto genericamente al caso delle «società quotate» (da ultimi, Abu Awwad, Il diritto, cit., p. 75; Ginevra, Commento, cit., p. 2626).
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di opzione…». La disposizione di legge, in verità, non è di felicissima formulazione – peraltro ereditata dalla legge 216 – giacché non è chiaro quali siano le azioni che debbono essere quotate ai fini del procedimento di asta: oltre alla questione prima cennata – cioè sulla sufficienza o meno di almeno una categoria di azioni quotate anche se non oggetto di nuova emissione – ci si potrebbe anche chiedere cosa ne sia del caso in cui la quotazione viene disposta proprio in esito all’aumento, caso in cui formalmente nessuna azione è quotata al momento dell’esercizio dell’opzione23. Andando per ordine, la tesi della necessità che l’aumento si attui mediante emissione della categoria di azioni ammesse alla quotazione ha il pregio d’essere aderente con la ratio della disciplina e cioè l’accorciamento del procedimento d’aumento del capitale solo nei casi in cui la numerosità dei destinatati dell’offerta sia effettiva e tale da rendere la prelazione dell’inoptato davvero una lungaggine eliminabile, cosa che non sussisterebbe, ad esempio, in una società, ancorché quotata, che emetta le azioni della categoria non ammessa alla quotazione, in ipotesi in mano ad una stretta cerchia di azionisti (si pensi, per concretezza e da ultimi, ai casi delle categorie di azioni non ammesse a quotazione di taluni special purpose acquisition vehicles quotati (le c.d. SPAC), rectius emittenti altra categoria di azioni ammesse a quotazione24. La tesi in parola è stata difesa sostenendo che «se una società non ha chiesto la quotazione in borsa delle azioni di una certa categoria, questo significa che ha voluto mantenere – per quelle azioni – una basa azionaria ristretta»25.
La questione se «la legge si riferisca alle azioni preesistenti all’aumento del capitale o a quelle di nuova emissione» è espressamente preso in considerazione solo in Nobili, Commento, p. 366, propendendo per la soluzione nel secondo senso. 24 Aquafil S.p.A. e F.I.L.A. – Fabbrica Italiana Lapis ed Affini S.p.A. emettono, oltre alle azioni ordinarie ammesse alla quotazione, anche altre categorie di azioni – fra cui quella connotata dal voto plurimo ex articolo 2351, co. 4 – non ammesse alla quotazione. Di là dai casi in cui quella ad essere ammessa a quotazione sia la categoria ordinaria, può anche citarsi il caso affatto diverso di Edison S.p.A., che in seguito ad un’offerta pubblica di acquisto promossa da Transalpina di Energia S.r.l. sulle sole azioni ordinarie, poi revocate dalla quotazione, ad oggi ha le sole azioni di risparmio ammesse a quotazione. 25 Così Nobili, Commento, cit., p. 367, il quale poi esplicita la sua posizione aggiungendo che «in caso di aumento del capitale, perciò, è logico che le azioni siano sottoscritte dai titolari del diritto d’opzione …; sarebbe assai meno logico che chiunque, mediante l’acquisto in borsa dei diritti, potessa acquistare le azioni della categoria non quotata». 23
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È tuttavia da osservarsi come il grande limite alla tenuta pratica della tesi è rappresentato dal fatto che essa poggia su una premessa a ben vedere non sempre vera: essa presupporrebbe la perdurante separazione delle due categorie di azioni lungo il corso dell’intero procedimento d’aumento del capitale. In altri termini, è possibile osservare come solo teoricamente la categoria di azioni diffusa segua una via del tutto parallela da categoria concentrata, ed è ben possibile che vi siano momenti di intersezione fra le due vie, nei quali la tesi in questione sembrerebbe potersi revocare in dubbio. Senza addentrarsi nella più generale questione dell’atteggiarsi del diritto d’opzione nel caso di aumento del capitale di società emittenti più categorie d’opzione26 e limitandosi a quanto strettamente necessario per quanto qui interessa, è anzitutto da osservarsi come le vie delle due categorie possono rimanere distinte – e quindi giustificare per la categoria concentrata l’applicazione della disciplina da società chiusa, ossia la prelazione dell’inoptato – in tanto in quanto siano contestualmente emesse (ed offerte in opzione) anche azioni dell’altra categoria. L’immanenza del diritto d’opzione imporrebbe, infatti, che se la società deliberasse la sola emissione di azioni di una delle due categorie queste senza dubbio dovrebbero essere offerte in opzione indifferentemente a tutti i portatori di azioni senza distinzione di categoria, sempre che l’opzione non sia limitata, esclusa o non spettante: altro non è questo che il principio che affiora nel diritto positivo solo a proposito della disciplina speciale delle azioni di risparmio ma che è da considerarsi come generalmente applicabile. E cioè, a mente dell’articolo 146, co. 8, del t.u.f. – riproduttivo dell’originario articolo 1/14, co. 5, della l. 216 del 1974 – i portatori di azioni di risparmio «hanno diritto di opzione su azioni di risparmio della stessa categoria ovvero, in mancanza o per la differenza, nell’ordine, su azioni di risparmio di altra categoria, su
26 Sul quale non si può che rinviare al florilegio di pareri pro veritate resi dal meglio della dottrina commercialistica del tempo a proposito del noto caso dell’aumento del capitale della Mondadori, terreno sul quale si fronteggiarono, tramite le rispettive casseforti di famiglia (Fininvest e CIR), Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti: Ferro-Luzzi e Libonati, Categorie di azioni e aumento del capitale con emissione di sole azioni ordinarie, in Riv. dir. comm., 1990, I, pp. 703 e ss.; Portale, «Uguaglianza e contratto»: il caso dell’aumento del capitale sociale in presenza di più categorie di azioni, ibidem, pp. 711 e ss.; Costi (i) e d’Alessandro (II), Aumento di capitale, categorie di azioni e assemblee speciali, in Giur. comm., 1990, I, pp. 563 e ss.
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azioni privilegiate ovvero su azioni ordinarie», il che vorrebbe dire che in mancanza di emissione di alcuna azione di risparmio (di alcuna categoria) né di altre azioni privilegiate gli azionisti di risparmio concorrono, ovviamente pari passu, con gli azionisti ordinari ad esercitare il diritto d’opzione sulle azioni ordinarie, uniche emesse. La regola in questione non a torto è unanimemente ritenuta espressione di un principio più generale27, sicché nel nostro caso, ove vi fosse la sola emissione di azioni della categoria concentrata, queste dovrebbero essere offerte in opzione anche alla moltitudine di portatori di azioni della categoria diffuse, facendo venire meno il fondamento della tesi per cui la prelazione dell’inoptato rivivrebbe nelle società quotate nel caso l’aumento riguardasse una categoria di azioni non ammessa alla quotazione: le azioni della categoria concentrata devono essere offerte sin da subito e contestualmente a tutti gli azionisti e dunque non si vedrebbe giustificazione alcuna a che sia dato un qualche spazio alla prelazione dell’inoptato. Ma anche se vi fosse l’emissione di azioni di entrambe le categorie (ed in proporzione al rispettivo ammontare), si potrebbe comunque dare il caso – meno palese eppure presente – di intersezione fra le due categorie: atteso che non vi sono dubbi quanto ai portatori di azioni della categoria concentrata i quali concorreranno con gli azionisti diffusi nell’asta dei diritti d’opzione sulle azioni della categoria diffusa, non è altresì chiara la sorte delle azioni concentrate rimaste inoptate28. Infatti, ove si ritenesse che queste spettino ad entrambe le categorie di azionisti si porrebbe in concreto il dubbio sulle modalità della relativa
De Acutis, Il diritto dell’azionista di risparmio di impugnare le deliberazioni invalide e l’emissione di azioni di risparmio con sovrapprezzo, nota a Trib. Milano, 26 settembre 1991, in Giur. comm., 1992, II, pp. 506-507; Nobili, commento, p. 356; incidentalmente anche Balbi, Azioni di risparmio: aumento di capitale e riconversione, in Giur. comm., 1991, I, pp. 21 e ss. Nell’ambito delle trattazioni non circoscritte alla sola disciplina delle azioni di risparmio si v., in luogo dei molti commenti sub articolo 2441 e da ultimo, Capizzi, Operazioni straordinarie e tutela degli investitori. Tra rimedi compensativi e rimedi ostativi, Torino, 2018, p. 171 (e spec. nt. 124, ove si ricorda la proposta di codificazione del principio in questione nel c.d. progetto Ascarelli, nonché si cita ulteriore dottrina conforme: Belviso, Cerrato, Rivolta e Speranzin). Nella manualistica si v. Ferrara jr e Corsi, Gli imprenditori e le società15, Milano, 2011, p. 653, nt. 2. 28 Il caso dell’emissione di azioni di due categorie è espressamente preso in considerazione in Nobili, commento, p. 367: «Naturalmente, se uno stesso aumento di capitale comprende azioni quotate e azioni non quotate, sembra inevitabile l’applicazione dei due regimi diversi, limitando l’offerta in borsa ai diritti relativi alle azioni quotate». 27
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offerta e cioè se l’inoptato della categoria concentrata debba (i) essere esclusivamente offerto agli azionisti concentrati che, esercitano l’opzione, abbiano fatto anche richiesta di sottoscrivere l’inoptato, (ii) essere offerto agli azionisti di entrambe le categorie in prelazione, prima che quindi abbia avvio l’asta dei diritti d’opzione sull’altra categoria, o (iii) essere direttamente offerto in sede di asta assieme ai diritti non esercitati dell’altra categoria, configurandosi così un’unica asta dei diritti d’opzione non esercitati sulle azioni di entrambe le categorie. Risultando la questione del tutto inedita, ci si limiterà conclusivamente a qualche notazione di dettaglio sulla scorta dell’unico precedente reperibile di aumento del capitale a doppia categoria, quello deliberato dalla Fabbrica Italiana Lapis ed Affini S.p.A. (F.I.L.A.) nell’ottobre 201829. Quanto alla limitazione dell’offerta dell’inoptato entro la cerchia dei portatori di azioni della categoria concentrata (di cui sub i), sembrerebbe che una simile limitazione non solo non sia desumibile da alcuna disposizione o principio ma limiti in qualche modo il diritto d’opzione nella misura in cui non consenta a tutti gli azionisti, di qualsiasi categoria, di poter estendere la propria sottoscrizione, per via dell’esercizio della prelazione dell’inoptato o dell’acquisto sul mercato dei diritti d’opzione non esercitati. E comunque, a riprova del fatto che la limitazione dell’inoptato ai soli portatori di azioni della categoria interessata dall’aumento non sia reputabile in alcun modo quale disciplina naturale, può citarsi proprio quella disposizione statutaria della F.I.L.A. in punto di aumento del capitale che proprio per evitare la partecipazione degli azionisti della categoria diffusa all’inoptato della categoria concentrata prevede il divieto per i portatori di azioni di una certa categoria di venire a detenere azioni dell’altra categoria30.
29 Tutta la documentazione inerente l’operazione ed ulteriore all’assemblea straordinaria della società che ha deliberato in prima battuta l’aumento del capitale in data 11 ottobre 2018 (e verbalizzata con atto in data 16 ottobre 2018 a rogito notaio Gianluca Gonzales, numero 9785/6401 di repertorio) è disponibile nelle sezioni «Governance» e «Investors» sul sito internet della società all’indirizzo www.filagroup.it. 30 Articolo 5.9 dello statuto sociale: «…precisandosi che le Azioni B potranno essere sottoscritte soltanto da soci già titolari di Azioni B; in assenza di sottoscrizione di Azioni B di nuova emissione da parte dei soci già titolari di Azioni B, le azioni B si convertiranno automaticamente in azioni ordinarie». Quanto ad un esempio di società emittente più categorie di azioni, nessuna delle quali ammesse a quotazione, si veda lo statuto di CDP Reti S.p.A. il cui articolo 6.8 espressamente prevede che «Qualora vi siano azioni rimaste inoptate, le stesse potranno essere oggetto di prelazione esclusivamente da parte dei soci già titolari di azioni della medesima categoria».
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Il caso sub ii sarebbe invece quello aderente alla tesi esaminata: trattandosi di una categoria di azioni non ammessa a quotazione, ai sensi dell’articolo 2441, co. 3, deve seguirsi il procedimento da società chiusa e dunque l’offerta in opzione avverrebbe in prima battuta ai soli portatori di azioni concentrate (posto che altrettanto si faccia con riguardo alle azioni diffuse) mentre l’offerta del residuo inoptato dovrebbe avvenire a tutti gli azionisti che ne abbiano fatto richiesta. Ciò rappresenterebbe senz’altro una lungaggine considerato che parallelamente l’offerta sul mercato dei diritti d’opzione (sulle azioni diffuse) non esercitati rimarrebbe in attesa del completamento delle sottoscrizioni dell’inoptato. La soluzione sub iii, allora, se non altro avrebbe il pregio di una maggior efficienza dell’intero procedimento d’aumento senza privare alcun azionista delle sue prerogative, potendo ciascuno soddisfarsi a condizioni di massima parità nell’unica asta di tutti di diritti d’opzione (i.e. su azioni di entrambe le categorie)31. In definitiva, si avrebbe che secondo l’interpretazione teleologica dell’articolo 2441, co. 3, il tratto discretivo fra i due regimi – la prelazione dell’inoptato e l’asta dei diritti – sia preferibile ravvisarlo non tanto nella quotazione o meno della categoria interessata quanto nella possibilità che i destinatari dell’offerta siano effettivamente la moltitudine di azionisti diffusi. E siccome, come visto, in un caso o nell’altro l’emissione di azioni della categoria non ammessa a quotazione finisce per intersecarsi con la parallela emissione delle azioni della categoria diffusa (rectius con i relativi portatori) non può che residuare il dubbio sul fatto che, in fin dei conti, il comma terzo dell’articolo 2441 sia da interpretarsi nel senso di ricollegare la procedura di asta dei diritti d’opzione più in generale alle società quotate, anche nel caso di aumento del capitale con emissione di azioni della categoria non ammessa a quotazione. Da ultimo, può concludersi notando come l’aumento della F.I.L.A. purtroppo non risulti d’ausilio per due ordini di ragioni: pur avendo ad
31 L’unico ostacolo pensabile a questa soluzione è di natura, per così dire, cartolare: atteso che l’obbligo di dematerializzazione sussiste solo con riguardo alle azioni «ammess[e] alla negoziazione o negoziat[e] in una sede di negoziazione italiana o di altro Paese dell’Unione Europea» (articolo 83-bis del t.u.f.) potrebbe darsi il caso che, salva la volontaria adesione al regime di dematerializzazione, le azioni della categoria non ammessa a quotazione siano rappresentate da titoli azionari (o addirittura nemmeno da questi) e quindi sarebbe del tutto oscuro il mezzo tecnico col quale verrebbero negoziati i diritti d’opzione aventi come sottostanti le azioni non dematerializzate (o neppure rappresentate da titoli azionari).
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oggetto l’emissione di azioni appartenenti ad entrambe le categorie, anzitutto, lì la categoria concentrata lo era a tal punto che il portatore delle azioni era uno solo, il quale ha fatto proprie tutte le azioni esercitando il diritto d’opzione e dunque non si è concretamente posto il problema del residuo inoptato. Inoltre, pure se si fosse posto, il meccanismo di automatica conversione prima descritto avrebbe comunque fatto sì che l’inoptato della categoria concentrata si trasformasse in un diritto d’opzione sulle azioni dell’altra categoria, concludendosi così il procedimento d’aumento in ogni caso con la sola asta dei diritti d’opzione sulla sola categoria diffusa32. Da ultimo, rimarrebbe da chiedersi cosa ne sia del caso in cui la categoria di azioni sia sì ammessa alle quotazioni ma al momento dell’aumento del capitale sia stata disposta la sospensione delle negoziazioni del titolo oggetto di nuova emissione. Sembrerebbe preferibile perseguire la via della prelazione dell’inoptato: infatti, anche per le ragioni ora esposte, non sarebbe forse sufficiente l’astratta quotazione del titolo, essendo necessaria l’effettività delle negoziazioni sì da renderne obbligatoria – e teoricamente giustificabile – l’asta dei relativi diritti. 4.2. L’omessa menzione delle obbligazioni convertibili e i diritti d’opzione nuovi – 4.3. L’esatto oggetto dell’asta: i diritti e non le azioni. A cavallo fra elemento soggettivo ed oggettivo della fattispecie è poi un’ulteriore questione che trova spunto sempre dall’ambiguità letterale della disposizione. Il fatto che all’interno del terzo comma dell’articolo 2441 si faccia prima riferimento ad azioni e obbligazioni convertibili con riguardo alla prelazione dell’inoptato e poi alle sole azioni con riguardo all’asta dei diritti, induce a chiedersi se nel secondo caso siano da ritenersi implicitamente ricomprese anche le obbligazioni convertibili – solo per dimenticanza (colpevole, visti i quasi 45 anni…) del legislatore non
32 Si v. a tal proposito quanto previsto nella nota informativa sugli strumenti finanziari oggetto di offerta al pubblico: «in caso di mancato esercizio da parte di Pencil [l’unico portatore delle azioni della categoria concentrata] (in tutto o in parte) dei Diritti di Opzione B a essa spettanti durante il Periodo di Offerta, i Diritti di Opzione B eventualmente rimasti inoptati all’esito di tale periodo si convertiranno in Diritti di Opzione A in ragione di n. 1 Diritto di Opzione A ogni Diritto di Opzione B rimasto inoptato e saranno oggetto dell’Offerta in Borsa con le medesime caratteristiche degli eventuali Diritti di Opzione A inoptati; quindi daranno diritto a sottoscrivere nuove Azioni Ordinarie rivenienti dall’Aumento di Capitale in ragione di n. 1 Nuova Azione Ordinaria ogni Diritto di Opzione A esercitato».
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menzionate – oppure se, a contrario, l’asimmetria fra i due periodi del medesimo comma sia intenzionale. Nel primo senso milita non solo la prassi di borsa ma anche l’assenza di una giustificazione ad una simile disparità di trattamento che senza motivo eliminerebbe il momento di massima trasparenza in cui gli azionisti potrebbero sottoscrivere le azioni in potenza prima che diventino collocabili a terzi senza più la certezza della parità di trattamento che solo l’asta di borsa assicura33. 4.3. L’esatto oggetto dell’asta: i diritti e non le azioni. Da ultimo, va dato conto del fatto che la diposizione sia chiara nel definire l’ambito oggettivo della fattispecie e cioè i diritti d’opzione sulle azioni e non le azioni medesime, azioni che invece sono oggetto dell’offerta a chi ha esercitato l’opzione e abbia fatto contestuale richiesta dell’inoptato: tuttavia, anche a tal proposito, la dottrina più attenta non ha mancato di mettere in evidenza di come, in realtà, non si tratti dei medesimi diritti d’opzione non esercitati bensì di nuovi diritti d’opzione, aventi sì ad oggetto le medesime azioni dei primi ma termini esercizio diversi34. Solo questi ultimi, infatti, devono essere offerti dagli amministratori sul mercato e non anche i primi, salva ovviamente la volontaria scelta dell’emittente di negoziare anche i diritti d’opzione spettanti in prima battuta – e, com’è ovvio, gratuitamente – agli azionisti35.
Nel senso dell’«errore del legislatore», Jovenitti, L’offerta, cit., p. 445, ove si cita peraltro la via seguita da Mediobanca in una prima emissione di obbligazioni convertibili all’indomani dell’entrata in vigore della legge 216 (nt. 5); del resto, anche nel caso qui annotato, IeS ha offerto in sede di asta anche i diritti d’opzione relativi alle obbligazioni convertibili. Contra, meramente sulla base dell’argomentazione a contrario, Nobili, Commento, cit., p. 368. 34 Nobili, Commento, cit., p. 367; Mucciarelli, La prelazione, cit., p. 63; Notari, Gli aumenti, cit, § b.iii; Portale, Opzione, cit., p. 214; Santini, I «buchi», cit., p. 438. 35 La negoziazione dei diritti d’opzione consentirebbe agli azionisti non intenzionati a sottoscrivere l’aumento del capitale di poter vendere sul mercato il proprio diritto così che l’insieme di tutti i diritti d’opzione venduti possa assorbire parte della domanda del mercato sulle azioni (con anticipo rispetto a quanto accadrebbe se invece i terzi interessati a sottoscrivere dovessero attendere l’asta dei diritti). È appena il caso di notare come il riferimento all’ultima parte del terzo comma dell’articolo 2441 all’«integrale vendita» dei diritti – caso nel quale evidentemente non vi sarebbe alcuna asta – sia da leggersi estensivamente sì da ricomprendervi anche il caso dell’esercizio dell’opzione (alternativo alla sua vendita); in altri termini, l’esclusivo riferimento alla vendita in nessun caso può essere argomento per desumere l’onerosità dell’assegnazione dell’opzione agli aventi 33
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4.4. Disciplina societaria ed informativa. Venuto meno il previgente riferimento alla «borsa» – foriero di dubbi quanto all’applicazione dell’istituto al vecchio «mercato ristretto»36 – può dirsi che la disciplina societaria dell’asta dei diritti d’opzione, in sé e per sé considerata, non offra particolari spunti di riflessione. Quanto alla disciplina informativa, è da aggiungersi che l’articolo 89 del regolamento c.d. emittenti adottato da Consob, interamente dedicato all’«Offerta di diritti di opzione», dispone che la società emittente sia tenuta a pubblicare un comunicato nel rispetto dei requisiti di diffusione delle informazioni regolamentari – e non più solo su un giornale a diffusione nazionale, come prevedeva la formulazione della disposizione ante 2009 – «con l’indicazione del numero dei diritti di opzione non esercitati da offrire in borsa … e delle date delle riunioni in cui l’offerta sarà effettuata». In aggiunta, sono da considerarsi pure gli oneri informativi preassembleari (o preconsiliari) previsti in ragione della modificazione dello statuto derivante dall’aumento del capitale: sia che questo venga deliberato dall’assemblea, sia che venga delegato al consiglio d’amministrazione, ai sensi del co. 1-bis dell’articolo 72 del regolamento emittenti l’organo amministrativo è richiesto di redigere una relazione illustrativa secondo uno schema predefinito, fra le cui indicazioni richieste vi è quella degli «azionisti che hanno manifestato la disponibilità a sottoscrivere, in proporzione alla quota posseduta, le azioni … di nuova emissione, nonché gli eventuali diritti di opzione non esercitati» (voce 1.7, schema 2, allegato 3A del regolamento emittenti). E si noti come non a caso, del tutto coerentemente con la disciplina delle società quotate, la disponibilità che gli azionisti possono manifestare – in un momento tutto sommato lontano da quello di effettivo avvio dell’offerta, in ragione dei tempi necessari per l’approvazione del prospetto – riguarda la sottoscrizione delle azioni in opzione o dei diritti inoptati, cioè esclusivamente quelli offerti in sede d’asta e non già il restante inoptato al di fuori di essa. Diverso è invece il caso delle informazioni da rendere poi nel prospetto d’offerta: ai sensi del c.d. regolamento prospetti37 quella che rileva
diritto, rimanendo ferma la sua gratuità e la facoltà di vendita (teoricamente possibile anche nel caso di diritti non negoziati, cosa che peraltro permette di escludere pure che dal riferimento alla vendita si desuma la necessaria negoziazione dei diritti d’opzione nel caso di azioni ammesse a quotazione). 36 Sul quale ampiamente Jovenitti, Ancora sull’offerta, cit., p. 231 e ss. 37 Regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giu-
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è la sola posizione del garante dei titoli ossia l’intermediario che presta il servizio di collocamento assumendo anche la garanzia a sottoscrivere i titoli residui, il che, come visto sopra, nulla ha a che vedere con la prelazione dell’inoptato o l’asta dei diritti, momenti che per loro natura sono connotati dall’interesse ad incrementare la partecipazione, cosa che con ogni evidenza l’intermediario non ha.
5. Gli effetti delle dichiarazioni d’impegno. Non sarà di certo sfuggito dall’esposizione dei fatti di causa di come lo svolgimento del procedimento d’aumento del capitale di IeS sia stato sotto vari aspetti eccentrico. Il conflitto interpersonale fra Sintesi ed i paciscenti – di cui l’organo amministrativo ne era così palesemente espressione – ha persistentemente fatto da sfondo all’intero procedimento, privandolo in ogni connotato di operazione di raccolta fra il pubblico di capitale di rischio, com’è nella normalità dei casi un’operazione di aumento del capitale deliberato da una società quotata. E ciò con significative ricadute sull’articolarsi delle singole fasi del procedimento. Da una visione complessiva della vicenda – ed anche ex post, notandosi la pressoché totale assenza di sottoscrizioni provenienti dal mercato –, emerge con particolare nitore la contrapposizione dell’interesse del gruppo di controllo di IeS a continuare a tenere ben salde le redini della società con quello di Sintesi a convertire, quanto prima e nella massima misura possibile, il proprio versamento in conto futuro aumento del capitale di guisa che l’unico cespite patrimoniale su cui fondare il concordato preventivo fosse rappresentato quanto meno da azioni. L’agire in modo del tutto parziale degli amministratori di IeS diviene palese allorché, sempre per pressanti motivi concorsuali, viene deliberato l’aumento e con ogni mezzo questi cercano di perseguire il mantenimento del controllo in favore del vicino gruppo dei paciscenti limitando allo stesso tempo l’esborso di nuove risorse da parte di questi, il tutto sotto la spada di Damocle del credito da versamento di Sintesi che, se convertito, avrebbe dato luogo al cambio del controllo e, se restituito, alla totale erosione del capitale sociale.
gno 2017. Si v. in particolare lo schema di redazione della nota di sintesi del prospetto: art. 7, § 7, lett. c.
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Nonostante nel caso in questione non vi fossero dubbi sulla disciplina applicabile (in ragione dell’emissione di un’unica categoria di azioni, ammessa alla quotazione), è quanto meno singolare il fatto che Sintesi e i paciscenti abbiano agito lungo tutto il procedimento d’aumento come se fossero azionisti di una società chiusa: entrambe non hanno sottoscritto alcun diritto d’opzione nel corso dell’asta ma hanno preferito assicurare il proprio interesse ad estendere il numero di azioni da sottoscrivere, rispetto a quello spettante pro quota, attraverso delle dichiarazioni, dal vario tenore, che in prima approssimazione potrebbero essere definite di impegno e i cui effetti giuridici appaiono quanto mai incerti, sia nei confronti della società, sia degli amministratori. Ed infatti, da un lato, Sintesi, proprio come se le fosse riconosciuta la prelazione sull’inoptato, ha dichiarato contestualmente alla sottoscrizione in opzione di voler sottoscrivere fino alla concorrenza del proprio credito da versamento – dichiarazione nel prosieguo più volte ribadita – e, dall’altro, i paciscenti hanno comunicato alla società i loro «impegni di sottoscrizione vincolanti ed irrevocabili» relativi, fra l’altro, alla «sottoscrizione di azioni inoptate». Il fatto che quindi i due principali sottoscrittori dell’aumento abbiano deciso di non sfruttare l’occasione messa loro a disposizione dal legislatore per incrementare la partecipazione sottoscritta in concorrenza con i terzi – l’asta, cioè – ha fatto sì che i rispettivi interessi si protraessero nella fase successiva a quella dell’asta dei diritti, fase che, come visto, nella normalità dei casi dovrebbe essere inesistente allorché si tratti di aumento del capitale delle società quotate. Ciò perché – lo si ripete – a questo momento dovrebbe non esservi già più domanda di mercato sulle azioni di nuova emissione, domanda che si sarebbe esaurita proprio nella fase dell’asta. Anzitutto, è bene escludere ogni rilevanza giuridica del periodo di tempo precedente alla chiusura dell’asta dei diritti: trovando applicazione la parte del terzo comma dell’articolo 2441 che prescrive la doverosa promozione dell’asta e non quella che riconosce in capo a chi ne abbia fatto contestuale richiesta il diritto di prelazione sull’inoptato, l’offerta eventualmente fatta ad un certo azionista – magari su impegno di quest’ultimo – prima della promozione dell’offerta dei diritti non esercitati sarebbe di certo illegittima ed esporrebbe gli amministratori a responsabilità per inosservanza di un loro obbligo specifico. Una volta chiusa l’asta dei diritti, vengono allora in rilievo gli impegni a sottoscrivere l’inoptato e così diviene necessario comprenderne gli effetti. Quale che sia la qualificazione civilistica del negozio di sottoscrizione delle azioni che si ritenga preferibile, è da escludersi anzitutto che gli
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impegni assunti possano valere a perfezionare le sottoscrizioni di Sintesi e dei paciscenti: la formale offerta delle azioni da parte dell’organo amministrativo – che di volta in volta individui i destinatari, il prezzo di sottoscrizione ed il quantitativo di azioni offerte – è in ogni caso necessaria38. Persino nel caso in cui la deliberazione di aumento fosse del tutto autosufficiente e non necessiti di atti esecutivi degli amministratori (quanto alla determinazione del prezzo di sottoscrizione e destinatari dell’offerta) la legge ritiene non derogabile la formale offerta in opzione, la quale nei casi di notevole chiusura della compagine sociale può pure avvenire nel medesimo contesto assembleare in cui si delibera l’aumento – e non secondo il regime di pubblicità previsto dal codice, sull’assunto di una minima apertura della compagine – ma deve comunque esservi. Ed anche se si ragionasse secondo lo schema del diritto di prelazione sull’inoptato – qui non sussistente – non potrebbe che ritenersi necessaria pure in questo caso l’ulteriore e distinta offerta sempre da parte dell’organo amministrativo: secondo l’interpretazione preferibile, lungi dal perfezionare la sottoscrizione delle azioni, la richiesta di inoptato contestuale all’esercizio dell’opzione «inerisce nelle fattispecie costitutiva del diritto di prelazione, e non si configura come atto di esercizio dello stesso», a differenza dell’esercizio del diritto d’opzione, «un diritto che preesiste all’offerta o comunque nasce in uno con essa»39.
38 Si v., per tutti, Ginevra, Sottoscrizione ed aumento del capitale sociale nella s.p.a., Milano, 2001, pp. 200 e ss. e l’ivi citato dattiloscritto inedito di Marchetti, L’aumento di capitale sociale, cit. 39 Così Mucciarelli, La prelazione, cit., p. 59, ove conclusivamente si sostiene che «di un diritto di prelazione, preesistente all’offerta ed indipendente da un atto o comportamento del soggetto attivo del rapporto, non è dato invece neppur parlare» (ma si v. anche p. 58 ove sono passate in rassegna – criticamente – le tesi per cui la richiesta di inoptato sarebbe accettazione di una proposta, proposta o invito a proporre); sostiene chiaramente la necessità di un’offerta da parte degli amministratori anche nella fase di prelazione dell’inoptato Weigmann, La prelazione, cit., p. 612, e ciò, se non altro, in ragione del riconoscimento a questi di un potere di arbitraggio dei conflitti fra soci che si risolve concretamente, ad esempio, nella scelta di uno fra i vari criteri di ripartizione delle azioni impiegabili nel caso di richieste di sottoscrizione in prelazione eccedenti oppure nella determinazione di un prezzo diverso da quello in base al quale le azioni in opzione sono state offerte. Per notazioni di dettaglio sulle peculiarità procedimentali discendenti dall’inquadramento del negozio di sottoscrizione nel caso in versamenti in conto futuro aumento del capitale, si v. Giuliano, Sottoscrizioni, cit., pp. 869 e ss. (ove si conclude comunque nel senso del mancato perfezionamento della sottoscrizione, vuoi per mancanza di una preventiva ed incondizionata dichiarazione di sottoscrivere nel momento in cui fu eseguito il versamento, vuoi per la mancata espressa accettazione da
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Questa ricostruzione, del resto, trova esatta rispondenza con il modo di operare impiegato dall’organo amministrativo di IeS, che «prendendo atto» della irrituale richiesta di inoptato di Sintesi, una volta chiusa l’asta dei diritti, ha formalmente offerto le azioni ulteriori a quelle sottoscritte in opzione, in modo peraltro quantitativamente limitato alla misura massima richiesta (nel tentativo di limitare la diluizione ha offerto un controvalore di azioni per circa 200 mila euro a fronte di un credito da versamento – ancora vantato e da Sintesi dichiarato compensabile per l’intero – eccedenti il milione e mezzo di euro). Ed offerta formale di ulteriori azioni vi è stata anche nell’epilogo della vicenda, successivamente al provvedimento cautelare cioè quando si sono offerte pressoché tutte le residue azioni sino a concorrenza del credito da versamento di Sintesi. Non è dato invece conoscere le scansioni temporali con cui si sono perfezionate le sottoscrizioni in favore dei paciscenti. Inoltre, un conforto sul fatto che non abbia avuto luogo nessun perfezionamento di sottoscrizioni ulteriori a quelle formalmente offerte discende dalla stessa ordinanza del Tribunale, che in effetti si è limitata ad accogliere solo la prima domanda cautelare – quella inerente l’ordine di inibire l’iscrizione dell’attestazione ex articolo 2444 – e non anche la seconda, con la quale si chiedeva al giudice di «ordinare a GEquity di prendere atto delle sottoscrizioni … da parte di Sintesi … e di emettere le relative azioni e di riconoscere a Sintesi l’esercizio dei relativi diritti»40.
6. Invalidità e responsabilità nel collocamento presso terzi. Sulla premessa del mancato perfezionamento di alcuna sottoscrizione da parte di Sintesi, non possono allora che nutrirsi dubbi sulla coerenza
parte del consiglio di amministrazione della proposta di Sintesi, in thesi rappresentata dall’atto del versamento). 40 Sotto questo profilo appare allora in contraddizione con il dispositivo dell’ordinanza la notazione del giudice per cui il complessivo comportamento del consiglio d’amministrazione fa ritenere «tempestiva la conversione operata da Sintesi entro l’originario termine del 31 dicembre 2016, stante la natura abusiva della delibera di chiusura anticipata adottata dal c.d’a. di GEquity». Affinché di tempestiva conversione si possa parlare, il presupposto che dovrebbe sussistere sarebbe quello del perfezionamento della sottoscrizione del maggior numero di azioni: su queste premesse, non si vede come mai, quindi, non sia stata accolta anche la seconda domanda cautelare, che postulerebbe l’accertamento incidentale dell’avvenuta sottoscrizione.
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del provvedimento d’urgenza emanato dal Tribunale. L’ordine di vietare l’iscrizione al Registro delle Imprese dell’attestazione ex articolo 2444 non ha infatti altro motivo – secondo la motivazione del giudice – se non l’evitare di incorrere nella speciale causa di preclusione all’impugnazione prevista dall’articolo 2379-ter. Non si vede però quale sia l’asserito motivo di invalidità della delibera consiliare che possa fondare l’esigenza di apprestare una tutela cautelare per mezzo della quale venga assicurato che l’azione d’impugnazione non sia preclusa. La delibera di aumento del capitale è infatti pienamente legittima e i possibili vizi attengono, semmai, al suo momento esecutivo. In aggiunta, oltre a non essersi perfezionata alcuna sottoscrizione, non può neppure dirsi sorto alcun diritto perfetto dell’azionista – sia esso di opzione o prelazione – poi violato, sicché non potrebbero trovare applicazione neppure quei rimedi che sono stati ritenuti configurabili nei casi di aumento del capitale deliberati in violazione del diritto d’opzione41. Dal fatto che nessun diritto (o comunque interesse pretensivo) sia sorto nei confronti della società ne discenderebbe, quindi, che non trovino spazio i rimedi impugnatori, sia avverso la deliberazione di aumento del capitale sia avverso le singole deliberazioni consiliari attuative di queste. Segnatamente, è da ritenersi perciò escluso anche il rimedio dell’impugnazione della deliberazione consiliare direttamente lesiva dei «diritti» del socio ex articolo 2388, comma quarto. L’approccio da ritenersi preferibile sarebbe allora non quello dell’invalidità ma della responsabilità. In altri termini, le dichiarazioni di impegno sortirebbero semmai l’effetto di influenzare la condotta dell’organo amministrativo, limitandone la discrezionalità in quella fase del procedimento d’aumento connotata dalla tendenziale libertà nel collocamento fra i terzi delle azioni inoptate (o per le società quotate – ancorché sia cosa rara, come detto prima – delle azioni di cui diritti d’opzione non siano stati acquistati in sede di asta). Tuttavia, per quanto già da tempo la
41 Nella varietà delle posizioni sostenute, quanto all’annullabilità della deliberazione di aumento del capitale in violazione del diritto d’opzione si v. Cerrai e Mazzoni, La tutela del socio e delle minoranze, in Il diritto delle società per azioni: problemi, esperienze e progetti, a cura di Abbadessa e Rojo, Milano, 1993, p. 383. Per una esaustiva rassegna degli altri rimedi ipotizzabili – segnatamente quello reale, cioè del riscatto delle azioni finite nelle mani dei terzi in violazione dell’opzione – si v. Ginevra, Commento, cit., pp. 2627-2628, nonché Trib. Catania, 18 dicembre 1995 e 10 aprile 1996, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, II, p. 577, con nota di Id., Mancato rispetto del diritto di opzione nel collocamento delle azioni di nuova emissione e tutela del socio.
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dottrina ammonisse che tale libertà «non significa tuttavia che la società goda di una illimitata facoltà di collocamento»42 non risulta che gli argini all’illimitata facoltà di collocamento abbiano mai rappresentato oggetto di riflessione della dottrina né che, nel caso di specie, dalla deliberazione di aumento – spesso indicata come risolutiva sul punto – possano trarsi validi spunti per rintracciare un paradigma di diligente condotta col quale raffrontare l’agire degli amministratori43. Di là da qualche notazione incidentale limitata ai soli profili del prezzo di collocamento, un solo autore ha notato come, «non esistendo del resto regole rigide che disciplinano in via generale il comportamento da adottare verso i sottoscrittori», l’unico criterio cui gli amministratori debbono attenersi è quello della bilanciata ponderazione, da un lato, del rispetto della parità di trattamento fra azionisti e, dall’altro, la massimizzazione dell’utile per la società44. In ogni caso, sembrerebbe che ove la prima sia rispettata – e cioè siano offerte le azioni senza discriminazioni soggettive a chiunque abbia manifestato interesse – l’unico criterio diligente che gli amministratori possono seguire sia quello del maggior prezzo offerto. Prima di badare alla fase terminale del procedimento di collocamento – nella quale non sarebbe stato di grande difficoltà operare la ponderazione in parola, visto che non vi erano più offerte da comparare – è d’interesse l’iniziale rifiuto degli amministratori ad offrire a Sintesi tante azioni fino a saturazione del residuo del proprio credito da versamento perché viene in rilievo un ulteriore fattore, diverso dal prezzo, che avrebbe potuto guidare la condotta nel collocamento. La circostanza che in un momento di tensione finanziaria – oltre che patrimoniale – fossero da prediligere le sottoscrizioni di azioni da liberarsi con nuovi versamenti in denaro e non invece in compensazione di un precedente credito (i.e. senza un miglioramento degli indici di liquidità della società) appare del tutto ragionevole come motivo su cui fondare il rifiuto opposto a Sintesi. È però chiaro che, non essendo stati poi trovati altri terzi interessati alla sottoscrizione, la condotta degli amministratori si sia rivelata gravemente colpevole giacché l’unico motivo per cui l’aumento sia terminato – peraltro con anticipo di qualche giorno – senza offerta
Cerami, Collocamento delle azioni non optate, in Riv. soc., 1960, p. 78. Essa attribuiva, fra l’altro, la facoltà dell’organo amministrativo di «collocare anche a terzi ed al medesimo prezzo le parti dell’aumento di capitale … rimaste eventualmente inoptate dopo le offerte dei diritti di opzione sul mercato ai sensi dell’articolo 2441, terzo comma, del codice civile, entro i medesimi termini finali deliberati in questa riunione». 44 Così Ginevra, Commento, cit., p. 2626. 42 43
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delle azioni a Sintesi, unica interessata, è stato quello di evitare il cambio di controllo in favore di quest’ultima. Gli amministratori, quindi, in mancanza d’altro e secondo diligenza, avrebbero comunque dovuto accettare di buon grado la sottoscrizione in compensazione non essendo più sostenibile la preferenza per i nuovi conferimenti che inizialmente poteva pure giustificare il rifiuto opposto. Da ciò discenderebbe un duplice ordine di rimedi sul piano risarcitorio e quindi diversi da quelli impugnatori con effetti reali. Anzitutto il (già) socio o il terzo (aspirante sottoscrittore) avrebbero azione diretta ex articolo 2395 contro gli amministratori ove dalla mancata (o minor) offerta, almeno colposa, delle azioni sia derivato loro un danno diretto; non si nascondono tuttavia le difficoltà a pensare a quale possa essere il danno arrecato dalla mancata (o minore) sottoscrizione delle azioni, soprattutto se si osserva come l’azione c.d. diretta abbia tradizionalmente avuto spazio in casi esattamente agli antipodi ossia di sottoscrizione di azioni sulla base di rappresentazioni contabili troppo ottimistiche o, peggio, non veritiere45. Eppure, uno spunto viene forse proprio dal caso di specie e cioè dalla perdita della chance di conseguire il controllo sulla società, caso che, con qualche forzatura concettuale, potrebbe essere ricostruito secondo il modello della risarcibilità del danno per lesione dell’interesse pretensivo all’ingresso nella compagine sociale46. Più plausibilmente, inoltre, i soci (evidentemente diversi da quello che ha espresso gli amministratori che colpevolmente abbiano omesso di collocare le azioni presso terzi o soci a ciò resisi disponibili) potrebbero esercitare l’azione di responsabilità della minoranza ex articolo 2393-bis dolendosi del loro comportamento contrario a diligenza che ha fatto sì che il capitale sociale non fosse incrementato e, specularmente, che il patrimonio sociale rimanesse gravato da una corrispondente passi-
45 Da ultimi, si vedano quelli che possono essere definiti leading case quanto all’azione ex articolo 2395 esercitata dolendosi del danno da investimento disinformato: Trib. Milano, sez. impresa, 3 ottobre 2013, Riva Crugnola (p. est.), IGI Investimenti Due – Fondo comune di investimento mobiliare chiuso c. Mazars S.p.A. ed altri; Trib. Milano, sez. impresa, 4 dicembre 2014, Consolandi (rel.), Rocca c. Unipol Gruppo Finanziario S.p.A., e Trib. Milano, sez. impresa, 3 marzo 2015, Galioto (p. est.), Albertelli c. Banco Popolare S.c. a r.l., tutte in Giurisprudenza delle imprese. 46 In tal senso, seppur facendo discendere il danno in via immediata dall’anticipazione del termine finale dell’aumento, Giuliano, Sottoscrizioni, cit., p. 879, richiamando l’approccio al sistema delle impugnative societario muovendo dall’apparato concettuale proprio della scienza amministrativistica del Libertini, Appunti per un corso di diritto commerciale, in Riv. dir. soc., 2008, pp. 198 e ss.
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vità. Da ultimo, ove l’agire in spregio alla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico dovesse degradare in fatti censurabili o addirittura in gravi irregolarità saranno esperibili – come in specie – pure i più estremi rimedi delle denunzie, rispettivamente, ex articoli 2408 e 2409.
7. L’anticipazione del termine ex articolo 2439. Il tema dei rimedi esperibili indirizza le ulteriori (ed ultime) questioni intorno all’anticipazione del termine ex articolo 2439. Difatti, l’A. che ha annotato questa stessa pronuncia ha ritenuto configurabile pure l’ulteriore rimedio dell’impugnazione della deliberazione consiliare che ha anticipatamente chiuso il procedimento d’aumento del capitale «con l’effetto di riaprire i termini (…) e richiedere la sottoscrizione delle azioni»47. Anche a tal proposito è pero da ribadire come l’assenza sia di alcuna efficace sottoscrizione sia di diritti a vedersi offerte le azioni (e quindi anche di corrispondenti obblighi degli amministratori ad offrirne) dovrebbe portare ad escludere, in teoria, ogni utilità della riapertura dei termini nonché della richiesta delle azioni in sottoscrizione, richieste che non si vede come mai debbano sortire un qualche effetto in questo momento quando non l’hanno fatto in precedenza. Ciò ovviamente non pregiudica, però, in via meramente di fatto, la possibilità che gli amministratori – intimoriti dall’ampio novero di rimedi esercitabili nei loro confronti, come, nel caso di specie, la denunzia ex articolo 2409 – volontariamente procedano alla riapertura del procedimento d’aumento del capitale e quindi all’offerta e seguente emissione delle azioni in favore del socio o del terzo immotivatamente ignorato. Ma di là da ciò, quello che non trova d’accordo è l’impostazione della questione sostanziale giacché i termini del problema – forse non avvedendosi che nel caso di specie l’aumento era stato deliberato in attuazione di una delega ex articolo 2443 – sono stati definiti nel senso dell’ammissibilità o meno della « delega [assembleare e comunque al di fuori della delega in senso tecnico ex articolo 2443] all’organo amministrativo del potere di fissare il termine finale»48 dell’aumento del capitale
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Giuliano, Sottoscrizioni, p. 878. Ivi, p. 874 (§ 7, cpv. 4).
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(questione risolta in senso positivo, in coerenza con l’interpretazione maggioritaria49). In specie, il consiglio d’amministrazione più che delegare (… a se stesso) la fissazione del termine ex articolo 2439 ha deliberato l’aumento del capitale prevedendo un termine finale mobile e cioè ad una certa data ma riservandosi la facoltà di anticiparlo con propria deliberazione collegiale (e ciò permette di escludere, se mai ve ne fosse bisogno, anche l’ipotesi di una delega a singoli membri del consiglio). La questione quindi – identica per i casi di aumento di deliberazione sia assembleare sia consiliare – attiene all’ammissibilità di una simile previsione e, per l’effetto ed ove trovi effettivamente applicazione, dell’anticipazione del termine deliberata in corso di aumento. La deliberazione, allora, non solo sarebbe perfettamente autosufficiente e non presenta alcuna lacuna da colmarsi ad opera degli amministratori nell’esercizio di una delega atipica50 – infatti, salvo la deliberazione consiliare d’anticipo, l’aumento ha un proprio termine finale – ma, anzi, prevede forse troppo nel concedere anche la facoltà di anticipazione del termine medesimo: è su tale facoltà che bisogna porre l’attenzione. Tradizionalmente, la preoccupazione degli interpreti circa la mobilità del termine ex articolo 2439 si è manifestata con riguardo al caso speculare della sua proroga – nel quale, specie nel contesto di aumenti inscindibili, si ingenererebbe uno stato di incertezza fra i sottoscrittori delle azioni in ordine all’acquisto dello status socii51 – ma non anche a quello della sua anticipazione.
49 Si v., per tutti, Trib. Catania, 27 gennaio 1989 e App. Catania, 17 marzo 1989, in Giur. comm., 1989, II, p. 925, con nota di Abbadessa, È delegabile la fissazione del termine per l’esecuzione dell’aumento di capitale?; espressamente anche nel senso favorevole Arato, Modificazioni dello statuto e operazioni sul capitale, in Le nuove s.p.a. **, diretto da Cagnasso e Panzani, Bologna, 2010, p. 1316. In generale sul termine ex articolo 2439 si v. Ardizzone, Il «fattore tempo» nell’aumento di capitale: limiti alla discrezionalità nella determinazione del termine finale di sottoscrizione, in Scritti giuridici per Piergaetano Marchetti. Liber discipulorum, Milano, 2011, pp. 13 e ss. 50 Così è inquadrato più in generale il problema in Giuliano, Sottoscrizioni, pp. 874 e ss., e cioè sull’ammissibilità di attribuzione all’organo amministrativo di deleghe diverse da quelle tipizzate dal legislatore (problema al quale viene data, per lo meno in astratto, risposta negativa sulla scorta delle tesi in punto di inderogabilità del riparto di competenze organiche). 51 Si v., in giurisprudenza (che ha negato la prorogabilità), Trib. Torino, 27 febbraio 1994, in Giur. it., 1995, I, 2, pp. 46 e ss., e Trib. Genova, 16 gennaio 1990, in Soc., 1990, pp. 946 e ss.
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È dunque da chiedersi se anche in questo caso sussistano le istanze di tutela dei sottoscrittori in ordine all’efficacia delle loro sottoscrizioni e più in generale al rispetto della parità nel loro trattamento durante l’offerta sì da valutare la potenziale lesività della chiusura anticipata del termine. Anzitutto, è bene subito sgomberare il campo da due casi di anticipazione del termine per così dire estremi, e che in quanto tali non saranno presi in considerazione: quello della deliberazione consiliare che prenda meramente atto dell’integrale sottoscrizione delle azioni e quello della anticipazione in qualsiasi modo connotata da irregolarità (o, peggio, da intenti fraudolenti). Nella normalità dei casi, forse i soli sottoscrittori di un aumento inscindibile potrebbero lamentare l’anticipata chiusura dell’aumento, cosa che avrebbe il diretto effetto di porre nel nulla le sottoscrizioni nel frattempo fatte, giacché, ove sia prevista la scindibilità, si avrebbe addirittura un’anticipazione dell’acquisto della qualità di socio (sempre che non sia prevista la c.d. efficacia progressiva dell’aumento52, in base alla quale l’emissione delle azioni avverrebbe addirittura in contestualità della sottoscrizione). Rimane allora da badare alla posizione dei terzi intenzionati a sottoscrivere l’aumento – scindibile o inscindibile – ma che al momento della chiusura ancora non l’abbiano ancora fatto riponendo affidamento sul residuo margine di tempo. Lo specifico tema della parità di trattamento degli oblati, com’è noto, trova la sua più sofisticata espressione non tanto nella disciplina societaria quanto in quella del mercato finanziario, segnatamente nella dimensione della sollecitazione del pubblico risparmio, di cui l’aumento in questione ne è fattispecie. A tal riguardo, può infatti osservarsi come, in linea con la prassi pressoché totalitaria, il periodo di svolgimento dell’offerta al pubblico di sottoscrizione non coincide affatto con il periodo di apertura dell’aumento del capitale – il secondo, in specie, ammontava a quasi un anno ed il primo a circa 20 giorni (comprensivi di offerta in opzione e di asta dei diritti) – ma ne rappresenta una piccola parentesi. La ragione di tale disallineamento è ovviamente da ravvisarsi nei tempi tecnici dell’iter di approvazione del prospetto nonché dall’assicurarsi un congruo margine di tempo per promuovere eventualmente un secondo periodo d’offerta al pubblico entro il medesimo termine ex articolo 2439. Ne consegue che ove l’aumento del capitale integri anche una fattispecie d’offerta al pubblico la garanzia
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Si v. nt. 8.
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di parità di trattamento è massimamente assicurata se non altro entro il periodo d’offerta, sicché, una volta che questo sia terminato, i terzi – in linea di massima, salvi i casi rari com’è quello di specie – non potrebbero dolersi nell’anticipata chiusura del periodo di aumento. Ed in ogni caso, pure con riguardo al periodo di offerta al pubblico, non risultano disposizioni che imperativamente ne proibiscano la variazione in riduzione: una simile preoccupazione sembra accolta dal testo unico della finanza con esclusivo riguardo alle offerte pubbliche d’acquisto o scambio e cioè nei casi di sollecitazione al disinvestimento anziché all’investimento, solo nei quali il rischio di una chiusura anticipata dell’offerta acuirebbe la pressione ad aderire in capo ai destinatari dell’offerta nel timore che ciò divenga improvvisamente non più possibile53. Infatti, le varie disposizioni regolamentari in materia di offerta pubblica d’acquisto (o scambio) – tutte aventi fonte nel perentorio comando dell’articolo 103 del t.u.f. a mente del quale «l’offerta è irrevocabile» e «ogni clausola contraria è nulla» – che farebbero ritenere inconcepibile una terminazione anticipata del periodo d’offerta per volontà dell’organo amministrativo54 non sono altresì replicate in punto di offerta pubblica di (vendita o) sottoscrizione né dagli schemi di prospetto previsti dall’omonimo regolamento comunitario è possibile desumere nulla in tal senso. Nonostante la libertà che allora vi sarebbe nel prevedere la chiusura anticipata del periodo d’offerta, è però da notarsi come la prassi non se ne sia mai avvalsa in modo puramente discrezionale, forse sia perché
In corsivo è riportata, com’è chiaro, la traslitterazione dell’espressione di lingua inglese pressure to tender, diffusamente impiegata in materia di offerte pubbliche d’acquisto per indicare i casi di quella che più correttamente è stata tradotta come coazione a vendere (così, per tutti, Mucciarelli (F.M.), Le offerte pubbliche d’acquisto o scambio, in Tratt. dir. comm., fondato da Buonocore e diretto da Costi, Torino, 2014, p. 15, ove si cita Bebchuck, The pressure to tender: An analysis and a proposed remedy, in Delaware Journal of Corporate Law, 12, 1987, pp. 911-949. 54 In ordine di comparizione nel regolamento emittenti e senza pretese di esaustività, si vedano (i) l’articolo 38 che rinvia all’allegato 2A quanto allo schema di redazione del documento d’offerta, che a sua volta prevede l’obbligatoria menzione nel frontespizio della «data di inizio e di chiusura del periodo di adesione … ed eventuale indicazione della possibilità di proroga», (ii) l’articolo 40, comma primo, a mente del quale «L’efficacia dell’offerta non può essere sottoposta a condizioni il cui verificarsi dipenda dalla mera volontà dell’offerente», e (iii) l’articolo 40, co. secondo, che prevede come durata minima dell’offerta un periodo di 15 giorni. 53
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del tutto controproducente da un punto di vista economico (si precluderebbe così l’ulteriore raccolta di adesioni), sia perché comunque ripugnante (i.e. non condivisibile da parte della Consob) l’idea che la pura discrezione abbia spazio nello svolgimento di offerte al pubblico, in quanto tali fondate sui principi di parità di trattamento55. In definitiva, per quanto risulti davvero difficile ipotizzare un caso pratico che non sia connotato da risvolti patologici, sembrerebbe potersi concludere nel senso dell’ammissibilità di una anticipazione del termine ex articolo 2439 da parte dello stesso organo che ha deliberato l’aumento del capitale.
Giovanni Fumarola Abstract Una ordinanza cautelare del Tribunale di Milano avente ad oggetto, in definitiva, l’ordine al Conservatore del Registro delle Imprese di non dare corso all’iscrizione dell’attestazione ex art. 2444 c.c. di un aumento di capitale è occasione per analizzare un istituto giuridico di rado affrontato in dottrina ma relegato alla prassi, quello dell’asta in borsa dei diritti d’opzione ex art. 2441, c. 3, c.c. Questa breve nota intende quindi passare in rassegna sia gli aspetti problematici dell’istituto coperti dai risalenti orientamenti dottrinali (formatisi per lo più attorno alla legge istitutiva della CONSOB del 1974), sia quelli “scoperti”, cercando di avanzare delle proposte di soluzione per colmare tali lacune (ad esempio, per i casi di più categorie di azioni, alcune ammesse a quotazione ed alcune no, o di obbligazioni convertibili). In seguito, si tenta di dare un inquadramento giuridico alle dichiarazioni di “impegno” (di sottoscrizione delle azioni non sottoscritte), ed in particolare di stabilire quale sia il momento in cui le sottoscrizioni delle azioni per le quali vi è l’impegno si perfezioni. Dalla soluzione a questi due problemi discende, in conclusione, una proposta circa i rimedi esperibili e sul regime di diligente condotta degli amministratori nell’offrire le azioni residue a chi ne avesse fatto richiesta.
Si veda a tal proposito una clausola ricorrente nei prospetti d’offerta (presente ad esempio in quello de Il Sole 24 Ore S.p.A. del 2007, di Philogen S.p.A. del 2011 e di Enav S.p.A. del 2016) secondo la quale «La Società si riserva la facoltà, d’intesa con i Coordinatori dell’Offerta Globale, di disporre la chiusura anticipata dell’Offerta Pubblica (che comunque non potrà essere effettuata prima del secondo giorno del Periodo di Offerta) qualora, prima della chiusura del Periodo di Offerta, l’ammontare delle Azioni oggetto dell’Offerta Pubblica sia interamente collocato, dandone in ogni caso tempestiva comunicazione alla Consob e al pubblico». 55
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*** An injunction issued by the Court of Milan regarding the order to the Companies Register not to register a capital increase resolution pursuant to article 2444 of the Italian Civil Code is a chance to analyse the (non-subscribed) shares’ “auction”, as set forth in article 2441, § 3, of the Italian Civil Code, a matter rarely debated by scholars and only managed by practitioners. Therefore, this brief paper aims at reviewing both the issues covered by scholars (dating back to the CONSOB law of 1974) and those not covered by them, in an attempt to propose solutions to fill gaps in the Law (for instance, the case of issuance of multiple shares’ classes, listed and unlisted, or convertible bonds). Then, the paper will deal with the legal regime of the statements of commitment (relating to non-subscribed shares) and, in particular, with the precise moment when the purchase of said non-subscribed shares is fulfilled. The solution to such issues leads to some conclusions on which legal remedies are available and how directors should diligently act in similar circumstances.
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MITI E REALTÀ
La foire aux cancres (III) Come si osservava nelle prime (e purtroppo non recenti) due puntate di questa rubrica1, la materia delle procedure concorsuali sembra particolarmente propizia agli «incidenti» che sempre più spesso caratterizzano la nostra produzione normativa. Ne viene ulteriore conferma dalla recentissima (e non ancora entrata in vigore) nuova riforma organica di quelle procedure, come recata dalla l. delega n. 155/2017 e dal d.lgs. n. 14/2019, contenente il c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Soprattutto il secondo dei due testi si rivela, anche ad una analisi non particolarmente approfondita, ricchissimo (oltre che di oscurità, di lacune e di contraddizioni) di autentici «svarioni», sub specie di errori di vario genere, da quelli materiali a quelli “concettuali”, di ridondanze, di stranezze o vere e proprie assurdità. *** Qualche esempio, iniziando dalla categoria degli errori materiali. - L’art. 50, co. 6, del Codice stabilisce che, nell’ipotesi di accoglimento del reclamo contro il provvedimento che rigetta la domanda di apertura della liquidazione giudiziale, «I termini di cui agli articoli 33, 34 e 35 si computano con riferimento alla sentenza della corte di appello». Il richiamo all’art. 35 è sbagliato: questa disposizione non prevede alcun termine (né, dato il suo oggetto [la morte del debitore durante la procedura], avrebbe ragione di prevederli). - L’art. 118, co. 5, sempre del Codice stabilisce: «Il soggetto che ha presentato la proposta di concordato approvata e omologata dai creditori…». Ovviamente si sarebbe dovuto scrivere: «approvata dai creditori e omologata».
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In Dir. banc., rispettivamente, 2005, I, pp.335 ss. e 2006, I, pp. 377 ss. Nella prima puntata si legge anche la spiegazione dell’espressione foire aux cancres, che è il caso di ripetere qui: si trattava del titolo di un libretto di moltissimi anni fa, che raccoglieva gli «strafalcioni» degli scolari francesi; e che è apparso idoneo ad abbracciare gli «svarioni», per usare un eufemismo, che costellano con impressionante frequenza le nostre leggi.
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Miti e realtà
- L’art. 136, co. 4 e l’art. 137, co. 2, richiamano, a proposito del rendiconto del curatore in relazione ai giudizi proseguiti dopo la chiusura della liquidazione giudiziale, l’art. 233, co. 2. Il richiamo è sbagliato: la norma da richiamare è l’art. 234. - L’art. 154, co. 3, stabilisce che «I crediti condizionali partecipano al concorso a norma degli articoli 204, 226 e 227». Il riferimento corretto è invece agli artt. 204, 227 e 228. - Nel co 3 dell’art. 262 si richiama l’art. 2447-ter, lett. c); il richiamo corretto è invece alla lett. d). - L’art. 297, co. 4, stabilisce che il tribunale, prima di provvedere sul ricorso per l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza ai fini dell’apertura della liquidazione coatta amministrativa, «deve sentire il debitore con le modalità di cui all’art. 40»: il richiamo corretto è invece all’art. 41. - L’art. 324 prevede l’esenzione dai reati di bancarotta, con riferimento, tra l’altro, «ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma degli articoli 99, 100 e 101». Il riferimento non è corretto con riguardo all’art. 101 che non prevede (più) alcuna autorizzazione da parte del giudice2. *** Qualche esempio, ora, della categoria degli errori “concettuali”. - L’art. 1, co. 1, del Codice contiene un’elencazione di figure di debitori fra le quali compare il “gruppo di imprese”. Nel nostro ordinamento, però, al gruppo di imprese non si può riconoscere una distinta soggettività giuridica: costituisce un vero e proprio errore quindi parlare di «debitore [che operi] … quale… gruppo di imprese». - Nell’art. 2, lett. e), si stabilisce che per consumatore – ai fini dell’applicazione del Codice medesimo – si deve intendere «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta». Questa definizione ricalca la definizione di consumatore contenuta dell’art. 2, co. 3, lett. a) del codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005). Nel riprenderla si è però
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È il caso di precisare che il Codice contiene in realtà molti altri errori materiali, dei quali è prevista però la correzione nello Schema di decreto, appunto, “correttivo” pendente avanti le Camere (il che poi la dice lunga sulla accuratezza dell’opera di revisione di cui quello Schema dovrebbe costituire il frutto).
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La foire aux cancres (III)
trascurato di considerare che tale nozione era stata elaborata al fine di fornire il presupposto per l’applicazione di un regime particolare ad un certo tipo di obbligazioni e che essa è pertanto assolutamente inidonea a fornire il presupposto per l’applicazione o non applicazione di strumenti di attuazione della responsabilità patrimoniale – quali sono le procedure oggetto della disciplina contenuta nel Codice – che, come tali, necessariamente riguardano il complesso di tutte le obbligazioni assunte da un debitore e l’intero patrimonio di questo. - Ai sensi dell’art. 39, «Il debitore che chiede l’accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza deposita presso il tribunale le scritture contabili e fiscali obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti ovvero l’intera esistenza dell’impresa o dell’attività economica o professionale, se questa ha avuto una minore durata». L’inciso relativo all’“attività economica o professionale” è frutto di autentico sbaglio, dal momento che le procedure di regolazione a cui la disposizione si riferisce sono, come risulta chiaramente dagli articoli successivi, la liquidazione giudiziale, il concordato preventivo e l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, che trovano tutte il loro presupposto soggettivo nella qualità di imprenditore (ne è conferma nella Relazione illustrativa, dove, a proposito dell’art. 39, si sottolinea proprio come la norma non distingua espressamente fra tipologie di imprenditori). - L’art. 284, co. 4, stabilisce che «La domanda proposta ai sensi dei commi 1 e 2 – cioè, rispettivamente, la domanda di accesso al concordato preventivo e quella di accesso al procedimento di omologazione di accordi di ristrutturazione – deve contenere l’illustrazione delle ragioni di maggiore convenienza, in funzione del migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, della scelta di presentare un piano unitario ovvero piani reciprocamente collegati e interferenti invece di un piano autonomo per ciascuna impresa». La disposizione, nella parte in cui si riferisce agli accordi di ristrutturazione, parrebbe frutto di un autentico travisamento o, se si preferisce, di una totale incomprensione delle regole che governano gli accordi di ristrutturazione ed il relativo procedimento di omologazione. L’intero meccanismo – nella sua versione “tipica” – si fonda su due componenti essenziali: da un lato, l’esistenza di un accordo con una percentuale minima di creditori (il 60%), accordo il cui contenuto è lasciato alla assoluta libertà delle parti e, in particolare, non è vincolato alla regola della par condicio; dall’altro, la idoneità dell’accordo ad assicurare il pagamento integrale e alla scadenza (salva una breve dilazione voluta
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dalla legge) dei creditori estranei all’accordo, idoneità che deve essere specificamente attestata dal professionista indipendente. Dato tutto ciò sembra evidente: - che negli accordi di ristrutturazione non trova posto mai il criterio del “migliore soddisfacimento dei creditori” per la semplice ragione che, in essi, il grado di soddisfacimento dei creditori è già fissato ex ante (per i creditori aderenti all’accordo, dall’accordo medesimo; per i creditori non aderenti, dalla legge, che impone il soddisfacimento integrale e alla scadenza dei medesimi); - che, per stessa ragione, negli accordi non trova spazio alcuna valutazione di convenienza3. - Si può aggiungere che analogo travisamento o incomprensione è possibile ravvisare in un brano della Relazione illustrativa dedicato all’art. 285 (il quale, peraltro, non riguarda gli accordi) dove si legge che «L’omologazione, tanto del concordato quanto dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, presuppone una valutazione complessiva della situazione del gruppo, ma richiede comunque che i creditori di ciascuna impresa siano soddisfatti in misura non inferiore a quella che potrebbe risultare all’esito della liquidazione della singola impresa debitrice». Anche qui, il discorso riferito agli accordi è assolutamente sbagliato, perché in tale contesto è a priori precluso il confronto fra quanto i creditori ricevono in base all’accordo e quanto potrebbero ricevere in una eventuale liquidazione. *** Non mancano esempi di ridondanze. - Il co. 2 dell’art. 3 Codice “doppia” inutilmente il co. 2 dell’art. 2086 c.c., come introdotto dallo stesso Codice. Oltretutto, dato e non concesso che questa duplicazione abbia una ragion d’essere, non si comprende il perché della parzialmente diversa formulazione delle due disposizioni:
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Né potrebbe farsi valere, in senso contrario, la previsione contenuta nella disciplina degli accordi con efficacia estesa, per la quale deve risultare che i creditori della medesima categoria cui vengano estesi gli effetti dell’accordo possano risultare soddisfatti in base all’accordo stesso in misura non inferiore rispetto ad una eventuale liquidazione giudiziale [art. 61, co. 2, lett. d)]: perché nel caso specifico si tratta di un caso di soddisfacimento non integrale imposto ad un creditore contro la sua volontà ed è quindi logico il ricorso al criterio del confronto con quanto quel creditore riceverebbe in una eventuale liquidazione.
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nella prima si parla di “imprenditore collettivo”, nella seconda di “imprenditore che operi in forma societaria o collettiva”; nella seconda si prevede che gli assetti organizzativi debbano essere adeguati “anche” in funzione della tempestiva rilevazione della crisi ecc., mentre nella prima manca il termine “anche”; nella seconda si prevede che l’imprenditore debba attivarsi “senza indugio” per l’adozione e attuazione di strumenti per il superamento della crisi, nella prima la suddetta espressione non c’è. - L’art. 225 stabilisce, a favore dei creditori ammessi tardivamente, «il diritto di prelevare le quote che sarebbero loro spettate nelle precedenti ripartizioni se assistiti da cause di prelazione o se il ritardo è dipeso da cause ad essi non imputabili». La previsione è ripetuta nel successivo art. 226, per il quale «Il creditore ammesso a norma dell’articolo 208 ha diritto di concorrere sulle somme già distribuite nei limiti di quanto stabilito nell’articolo 225». - L’art. 284, co. 4, seconda parte stabilisce che la domanda – presentata da più imprese appartenenti a un gruppo – di accesso al concordato preventivo o al procedimento di omologazione di accordi di ristrutturazione «deve … fornire informazioni analitiche sulla struttura del gruppo e sui vincoli partecipativi o contrattuali esistenti tra le imprese e indicare il registro delle imprese o i registri delle imprese in cui è stata effettuata la pubblicità ai sensi dell’articolo 2497-bis del codice civile». Questa previsione è pressoché testualmente riprodotta nel successivo art. 289, per il quale «La domanda di accesso a procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza presentata da un’impresa appartenente ad un gruppo deve contenere informazioni analitiche sulla struttura del gruppo e sui vincoli partecipativi o contrattuali esistenti tra le società e imprese e indicare il registro delle imprese o i registri delle imprese in cui è stata effettuata la pubblicità ai sensi dell’articolo 2497-bis del codice civile». È vero che le due disposizioni si riferiscono a due ipotesi diverse: la presentazione di una domanda di gruppo e la presentazione di una domanda di impresa singola; ma esse devono considerarsi espressione di una logica unitaria. Altrimenti dovrebbe arrivarsi a ritenere che tale obbligo informativo non sussista ove la domanda sia di accesso alla liquidazione giudiziale di gruppo, visto che l’art. 287 non ne fa menzione. - Analogo discorso vale per la previsione dell’art. 286, che riguarda il procedimento di concordato di gruppo, per la quale (co. 4) «Il commissario giudiziale, con l’autorizzazione del giudice, può richiedere alla Commissione nazionale per le società e la borsa – Consob o a qualsiasi altra pubblica autorità informazioni utili ad accertare l’esistenza di collegamenti di gruppo e alle società fiduciarie le generalità degli effettivi titolari di diritti sulle azioni o sulle quote ad esse intestate. Le informa-
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zioni sono fornite entro quindici giorni dalla richiesta». E che anch’essa si trova pressoché testualmente riprodotta nel successivo art. 289, ultima parte, per il quale «In ogni caso il tribunale ovvero, successivamente, il curatore o il commissario giudiziale possono, al fine di accertare l’esistenza di collegamenti di gruppo, richiedere alla CONSOB o a qualsiasi altra pubblica autorità e alle società fiduciarie le generalità degli effettivi titolari di diritti sulle azioni o sulle quote ad esse intestate. Le informazioni sono fornite entro quindici giorni dalla richiesta». *** Non pochi sono gli esempi di “bizzarrie” o “assurdità”. - L’art. 1, co. 2, lett. a), del Codice, dopo aver fatto salve le disposizioni delle leggi speciali in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese, aggiunge «Se la crisi o l’insolvenza di dette imprese non sono disciplinate in via esclusiva, restano applicabili anche le procedure ordinarie regolate dal presente Codice»: la prima parte della frase, sotto qualunque profilo la si consideri, è priva di qualsivoglia senso. - L’art. 7, co. 2, stabilisce che: «Nel caso di proposizione di più domande, il tribunale tratta in via prioritaria quella diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o dalla liquidazione controllata, a condizione che nel piano sia espressamente indicata la convenienza per i creditori e che la domanda medesima non sia manifestamente inammissibile o infondata». La formulazione è a dir poco bizzarra. Per valutare se la domanda in questione sia manifestamente inammissibile o infondata il tribunale deve appunto trattare la medesima in via prioritaria; quindi non è problema di priorità nella trattazione, ma di modalità della trattazione, nel senso che il tribunale deve preliminarmente verificare la sussistenza o meno di una manifesta inammissibilità o infondatezza della domanda. - L’art. 259, che fa parte della disciplina della liquidazione giudiziale, menziona distintamente, nella rubrica e nel testo, gli “enti” e gli “imprenditori collettivi”. La distinzione non ha alcun senso: siamo in materia di liquidazione giudiziale, quindi gli “enti” sottoposti a quella procedura debbono essere necessariamente “imprenditori” commerciali. - L’art. 368, riguardante il coordinamento con la disciplina del diritto del lavoro, prevede, al co. 3, lett. b), l’introduzione nel co. 1- bis dell’art. 24 della l. n. 223/1991, dopo il primo periodo, della seguente frase «Ai datori di lavoro non imprenditori in stato di liquidazione giudiziale si applicano le disposizioni di cui all’articolo 189, comma 6 del codice della
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crisi e dell’insolvenza». Peccato che i datori di lavoro non imprenditori non sono assoggettabili alla liquidazione giudiziale. - L’art. 380 ha modificato l’art. 2484 c.c., aggiungendo al catalogo delle cause di scioglimento delle società di capitali «l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e di liquidazione controllata», non anche, però, il provvedimento dell’autorità governativa (previsto nel vecchio testo dell’art. 2448, co. 2, c.c.). L’art. 382 ha riformulato il primo comma dell’art. 2308 c.c. riguardante le cause di scioglimento delle società in nome collettivo, conservando il riferimento al provvedimento dell’autorità governativa e sostituendo al termine “fallimento” l’espressione “liquidazione giudiziale”, senza però aggiungere anche la liquidazione controllata. È quanto meno curioso che la stessa normativa che aveva come obiettivo quello di ricostituire l’omogeneità di regime, in materia di scioglimento, fra società di persone e società di capitali introduca fattori di disomogeneità fra le stesse sia pure sotto diversi profili. *** Per finire una curiosità. Nella seconda delle puntate ricordate all’inizio si era rilevata la “singolarità” della previsione dell’art. 195, co. 1, l. fall., come riformulato dalla riforma del 2006, là dove attribuisce anche all’autorità che ha la vigilanza sull’impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento la legittimazione a richiedere l’accertamento dello stato di insolvenza di quell’impresa. La disposizione è stata ripresa telle quelle dal Codice della crisi nell’art. 297. Si ripropone allora l’interrogativo: per quale motivo l’autorità amministrativa che ha la vigilanza sull’impresa e che, di regola, ha il potere o di disporre direttamente la liquidazione coatta o di chiedere all’autorità sovraordinata di provvedere in tal senso dovrebbe preferire la strada “tortuosa” disegnata dalla disposizione in questione: proporre ricorso al tribunale per ottenere una dichiarazione dello stato di insolvenza dell’impresa vigilata alla quale consegua l’obbligo dell’autorità competente (che può essere la stessa autorità vigilante) di disporre la liquidazione coatta? ***
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Il materiale per una foire aux cancres dedicata alle normative sulle procedure concorsuali è dunque in continua crescita4. Con esso è in crescita anche il convincimento – già espresso nelle precedenti occasioni – che non è soltanto la cultura (giuridica e non) a difettare ormai nel nostro legislatore [Sacha]
4 Va considerato che neppure la legge delega n. 155/2017 è esente da pecche. Per esempio: nell’art. 3, co. 2, il principio di delega riguardante la previsione relativa agli «effetti dell’eventuale annullamento o risoluzione della proposta unitaria omologata» è inserito due volte, una prima nella lett. c) e una seconda nella lett. e). E ancora: l’art. 15, co. 1, stabilisce il mantenimento del “regime speciale” della liquidazione coatta amministrativa solo nei casi previsti «dalle leggi speciali in materia di procedimenti amministrativi di competenza delle autorità amministrative di vigilanza, conseguenti all’accertamento di irregolarità e all’applicazione di sanzioni da parte delle medesime autorità», con una formulazione a dir poco criptica e, nella sua ultima parte, riferita a procedimenti sanzionatori che, di regola, nulla hanno a che vedere con la liquidazione coatta.
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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni
DOCUMENTI E INFORMAZIONI
Le azioni revocatorie concorsuali nello schema di decreto correttivo del Codice della crisi Con il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il quadro normativo in materia di azioni revocatorie (un tempo: fallimentari ed oggi) concorsuali è rimasto sostanzialmente identico rispetto alla normativa previgente. Sono state confermate le coordinate di fondo del sistema, pur con tutte le ambiguità ben note; e la disciplina dettata dal nuovo legislatore negli artt. 163 ss. riproduce in larghissima parte quella offerta dagli artt. 64-70 della legge fallimentare. Non mancano i “ritocchi”, che sono anzi abbastanza numerosi, specie con riguardo alle figure di esonero di cui all’originario art. 67, co. 3, l. fall. ed all’attuale art. 166, co. 3. Ma si deve registrare una sola rilevante innovazione: quella concernente il momento dal quale computare a ritroso il c.d. periodo sospetto, che viene fissato non più con riferimento alla data di pubblicazione della sentenza di apertura della procedura (un tempo: di fallimento; oggi) di liquidazione giudiziale, bensì con riferimento alla data del «deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale». Si tratta di una modifica che realizza un doppio “vantaggio” dal momento che il periodo sospetto, da un lato, non è più eroso del lasso di tempo occorrente per l’istruttoria preliquidazione e, dall’altro, si allunga in misura corrispondente a quel lasso di tempo. Di una modifica, ancora, che riguarda tutte le ipotesi di revocatoria concorsuale, ma che assume particolare importanza con riferimento alla revocatoria degli atti a titolo oneroso, la cui disciplina era stata fortemente innovata nell’ambito della riforma del 2005-2007, con il drastico dimezzamento del periodo sospetto; e che, rispetto a tale disciplina, finisce per risultare espressione di una logica, quella del ripotenziamento della revocatoria, opposta alla logica che aveva caratterizzato la suddetta riforma. Lo Schema di decreto correttivo del Codice, recentemente approvato dal Consiglio dei ministri e di cui appresso pubblichiamo un piccolo
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stralcio, interviene anche e proprio sul regime della revocatoria, con modifiche che appaiono meritevoli di considerazione. *** Lo Schema interviene, innanzi tutto, sull’art. 166, co. 3, lett. b), concernente una delle ipotesi più critiche di esenzione (o esonero) dalla revocatoria. Ricordiamo che la disposizione in questione, riproducendo testualmente l’art. 67, co. 3, n. 2, l. fall., stabilisce che non sono soggette a revocatoria, fra l’altro, «le rimesse effettuate su un conto corrente bancario che non hanno ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione del debitore nei confronti della banca». Questa previsione aveva da subito sollevato moltissimi problemi, ovviamente destinati a riproporsi oggi tels quels. Uno dei problemi più spinosi è stato ed è, ovviamente, quello relativo al significato ed alla portata da attribuire all’espressione «hanno ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione del debitore nei confronti della banca». La genericità e l’ambiguità dei termini impiegati non ha consentito di dare risposte sicure. Così, è difficile capire che cosa voglia dire esattamente «consistente» e, soprattutto, come si debba valutare la «consistenza», se in assoluto o con riguardo all’entità della esposizione debitoria. Ugualmente, non è facile capire che cosa voglia dire esattamente «durevole». È indubbio che, in questa parte, si è inteso riecheggiare l’orientamento che, indipendentemente dalla distinzione fra conto passivo e conto scoperto, mirava a circoscrivere le rimesse revocabili solo a quelle che, con valutazione ex post, fossero risultate avere definitivamente ridotto l’esposizione debitoria verso la banca (e, quindi, a commisurare la revoca all’effettivo «rientro» ottenuto dalla banca). Ma «durevole» e «definitivo» non sono esattamente sinonimi: quindi resta il dubbio che, per la revocabilità, non sia necessario che la rimessa abbia ridotto in via definitiva (rispetto alla chiusura del rapporto) l’esposizione debitoria, ma sia sufficiente che la disponibilità con essa creata non sia stata immediatamente riutilizzata dal correntista, con un nuovo prelievo, o non sia stata immediatamente destinata ad impieghi concordati con il correntista (in sostanza: le c.d. operazioni bilanciate, che da tempo la giurisprudenza aveva ritenuto sottratte alla revocatoria). La giurisprudenza formatasi sull’art. 67 l. fall. pareva propensa a seguire una terza via: quella che identifica la «durevolezza» con un’apprezzabile stabilità nel tempo (restando però incerti i criteri alla luce dei quali apprezzare la stabilità). C’è da aggiungere che se è chiaro, in generale, l’intento di ridurre drasticamente l’area delle rimesse revocabili (ulte-
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riormente rispetto alla riduzione già conseguente al dimezzamento del periodo sospetto) assai poco chiara è la logica che presiede alla distinzione fra rimesse revocabili e rimesse non revocabili. Un qualche senso si può forse dare al criterio della «durevolezza» (soprattutto se questo termine si intenda come sinonimo di «definitività»); quello della «consistenza», invece, risulta assolutamente inafferrabile: veramente non si riesce a comprendere la ragione per la quale la rimessa (che abbia ridotto in modo durevole o definitivo l’esposizione debitoria) sia revocabile o non revocabile in relazione all’essere o no al di sopra di una certa soglia quantitativa (comunque poi questa soglia si calcoli). Nello Schema di decreto correttivo si prevede di espungere dalla disposizione l’aggettivo «consistente», lasciando come requisito per la revocabilità il solo connotato della «durevolezza». Non c’è dubbio che tale modifica apporta un rilevante contributo alla identificazione della portata della disposizione in questione. Vi è da dubitare, però, che si tratti di un contributo decisivo. Infatti, innanzi tutto, rimangono le incertezze prima ricordate in ordine al significato da attribuire al termine «durevole». In secondo luogo, e forse soprattutto, rimane avvolto dal buio il profilo – completamente ignorato dai redattori dello Schema – del rapporto della disposizione in questione con l’art. 171, co.3. Questa norma stabilisce: «Qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario o comunque rapporti continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d’insolvenza, e l’ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso». Orbene, il coordinamento fra questa previsione e l’art. 166, co. 3, lett. b) non è facile, perché i due criteri da tali disposizioni previsti, ove valutati indipendentemente l’uno dall’altro, parrebbero rispondere a logiche diverse (basandosi il primo su di una considerazione complessiva del rapporto in cui gli atti estintivi si inseriscono, il secondo su di una considerazione atomistica delle singole rimesse) e, ove applicati indipendentemente l’uno dall’altro, parrebbero poter portare ad esiti diversi. L’unico modo di coordinarli sembrerebbe essere quello di attribuire all’art. 171 la funzione di delimitare l’ambito di operatività dell’art. 166, co. 3, lett. b) sul piano degli effetti, scindendo dunque il piano della pronuncia di revoca (che riguarderebbe tutte le rimesse che abbiano determinato una riduzione durevole dell’esposizione debitoria) e quello dell’obbligazione restitutoria (da circoscrivere entro il limite della differenza): un modo, però che – seppur condiviso ormai anche dalla
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Cassazione (v. sentenza n. 277/2019) - risulta tutt’altro che soddisfacente. Infatti, innanzi tutto, esso comporta una forzatura del tenore letterale dell’art. 171, il quale pone sì un limite alla obbligazione restitutoria, ma un limite che è al tempo stesso massimo e minimo, nel senso che l’obbligazione restitutoria, per quella norma, ha ad oggetto non già al massimo l’importo della differenza, bensì proprio quell’importo. In secondo luogo, esso introduce una scissione fra pronunzia di inefficacia e obbligazione restitutoria che non ha precedenti nel nostro sistema e che non sembra con esso compatibile. In terzo luogo, esso rischia di determinare difficoltà insormontabili nell’ipotesi (che è poi l’ipotesi nella quale, secondo quella ricostruzione, l’art. 171 entrerebbe in gioco) in cui la somma delle rimesse revocabili ai sensi dell’art. 166 lett. b) superi il limite della differenza: non si saprebbe infatti come l’importo restituito (ragguagliato a quel limite) dovrebbe essere imputato alle singole rimesse. *** Sempre in materia di azioni revocatorie, lo Schema interviene, poi, sull’art. 170, recante la rubrica «Limiti temporali delle azioni revocatorie e d’inefficacia». Questa disposizione, nel suo attuale tenore, riproduce sostanzialmente il previgente art. 69-bis, co. 1, l. fall., il quale poneva due distinti termini per la proposizione delle «azioni revocatorie disciplinate nella» sezione dedicata agli atti pregiudizievoli ai creditori: un termine di tre anni, decorrente dalla data della dichiarazione di fallimento ed un termine di cinque anni, decorrente dalla data del compimento dell’atto. La riproduce precisando peraltro, da un lato, che i suddetti limiti valgono per «le azioni revocatorie e di inefficacia disciplinate nella» sezione dedicata agli atti pregiudizievoli e, dall’altro, che il secondo termine è di prescrizione e non di decadenza. L’art. 69-bis conteneva però anche un comma 2 (aggiunto dal d. l. n. 83/2012) ai sensi del quale «Nel caso in cui la domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i ermini di cui agli artt. 64, 65, 67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese». Nello Schema si prevede il “recupero” appunto di questa previsione, con l’aggiunta, nell’art. 170, di un secondo comma così formulato: «Quando alla domanda di accesso ad una procedura concorsuale segue l’apertura della liquidazione giudiziale, i termini di cui agli artt. 163, 164, 166, commi 1 e 2, e 169 decorrono dalla data di pubblicazione della predetta domanda di accesso». Anche questa integrazione va vista con favore, in
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quanto segno di una continuità che non aveva ormai ragione di essere interrotta. La nuova formulazione della disposizione, con il riferimento non più al solo concordato preventivo, ma genericamente ad “una procedura concorsuale”, fa però sorgere qualche dubbio in ordine all’ambito di applicazione della regola della consecutio. Il dubbio si pone, ovviamente, con riguardo al procedimento di omologazione degli accordi di ristrutturazione, che il Codice ha mostrato di voler accostare sempre di più al concordato preventivo, senza tuttavia assumere una posizione netta a favore della riconducibilità dello stesso nel novero delle procedure concorsuali in senso proprio. *** Nell’ambito della disciplina della crisi dei gruppi e con riferimento alle operazioni infragruppo, il Codice prevede, all’art. 290, un regime revocatorio speciale, largamente ispirato a quello contemplato nel quadro dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese. Di questa normativa i redattori dello Schema di decreto correttivo si sono completamente disinteressati: il che lascia a dir poco sconcertati, dal momento che essa avrebbe meritato una più che attenta riconsiderazione e rivisitazione. Infatti. a. L’art. 290, co. 1, stabilisce: «Nei confronti delle imprese appartenenti al medesimo gruppo possono essere promosse dal curatore, sia nel caso di apertura di una procedura unitaria, sia nel caso di apertura di una pluralità di procedure, azioni dirette a conseguire la dichiarazione di inefficacia di atti e contratti posti in essere nei cinque anni antecedenti il deposito dell’istanza di liquidazione giudiziale, che abbiano avuto l’effetto di spostare risorse a favore di un’altra impresa del gruppo con pregiudizio dei creditori, fatto salvo il disposto dell’art. 2497, primo comma, del codice civile» (co. 1); e «Spetta alla società beneficiaria provare di non essere stata a conoscenza del carattere pregiudizievole dell’atto o del contratto» (co. 2). È sicuro che si tratta di azioni revocatorie: non si riesce però a comprendere quale ne sia esattamente la natura, anche in rapporto alla previsione del co. 3. Sembrerebbe doversi ritenere che si tratti di azioni revocatorie ordinarie di atti a titolo oneroso (la qualificabilità come revocatoria di atti a titolo gratuito sembrerebbe esclusa dal carattere relativo della presunzione di conoscenza posta a carico della società beneficiaria), azioni aggravate non tanto sotto il profilo del periodo sospetto, ma
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sotto quello della presunzione di conoscenza posta appunto a carico della società beneficiaria. Ma è una ricostruzione tutt’altro che certa. b. Il co. 3 stabilisce: «Il curatore della procedura di liquidazione giudiziale aperta nei confronti di una società appartenente ad un gruppo può esercitare, nei confronti delle altre società del gruppo, l’azione revocatoria prevista dall’art. 166 degli atti compiuti dopo il deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale o, nei casi di cui all’art. 166, comma 1, lettere a) e b), nei due anni anteriori al deposito della domanda o nell’anno anteriore, nei casi di cui all’art. 166, comma 1, lettere c) e d)». In questa disposizione non è difficile rinvenire una singolare incongruenza ed una altrettanto singolare lacuna. L’azione revocatoria prevista dall’art. 166, co. 1 riguarda i c.d. atti anormali di gestione, rispetto ai quali il periodo sospetto è fissato in un anno per gli atti di cui alle lett. a), b) e c) ed in sei mesi per gli atti di cui alla lett. d). Il legislatore della riforma – seguendo la linea già adottata nella normativa sull’amministrazione straordinaria – ha previsto un aggravamento di quel regime, consistente in un raddoppio del periodo sospetto: un raddoppio che però ha riguardato solo gli atti di cui alle lett. a), b) e d), perché per gli atti di cui alla lett. c) è stato confermato il termine di un anno. A questa incongruenza si aggiunge una vistosa lacuna, Il co. 3 ignora completamente la revocatoria concorsuale degli atti a titolo oneroso normali, quelli oggetto del co. 2 dell’art. 166 del Codice e considerati anche e proprio nella normativa sull’amministrazione straordinaria (in effetti: una volta entrati nell’ordine di idee di adottare un regime di revocatoria aggravata degli atti a titolo oneroso infragruppo, non c’è ragione di limitare il regime ai soli atti anormali). Il legislatore del Codice ha deciso, giustamente, di copiare il sistema adottato dalla l. sull’amministrazione straordinaria: ma non è nemmeno riuscito a copiarlo bene! [A. N.] I Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del d. lgs. n. 14/2019, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Omissis) Art. 20 Modifiche alla Parte Prima, Titolo V, Capo I, Sezione IV, del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14
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1. All’articolo 166, comma 3, del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, sono apportate le seguenti modificazioni: a) alla lettera b), le parole “consistente e” sono soppresse; b) alla lettera e), dopo le parole “nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere” la parola “e” è soppressa. 2. L’articolo 170 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 è sostituito dal seguente: Art. 170 Limiti temporali delle azioni revocatorie e d’inefficacia 1. Le azioni revocatorie e di inefficacia disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse dal curatore decorsi tre anni dall’apertura della liquidazione giudiziale e comunque si prescrivono decorsi cinque anni dal compimento dell’atto. 2. Quando alla domanda di accesso ad una procedura concorsuale segue l’apertura della liquidazione giudiziale, i termini di cui agli articoli 163, 164, 166, commi 1 e 2, e 169 decorrono dalla data di pubblicazione della predetta domanda di accesso.». (Omissis) II Relazione illustrativa (Omissis) Articolo 20 Modifiche alla Parte Prima, Titolo V, Capo I, Sezione IV, del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 La disposizione interviene: - sull’articolo 166, che disciplina la revocatoria degli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie posti in essere nell’anno o nei sei mesi antecedenti il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale. La modifica concerne, in primo luogo, la causa di esonero da revocatoria prevista dal comma 3, lettera b), per le rimesse effettuate su conto corrente bancario. La norma attuale, mutuata dalla legge fallimentare, esclude la soggezione a revocatoria delle rimesse che non hanno ridotto in modo consistente e durevole l’esposizione debitoria. La previsione ha dato luogo a numerose incertezze interpretative, in particolar modo con riferimento al requisito della “consistenza”, che esprime un valore relazionale, da accertare caso per caso e che lascia all’interprete un inevitabile margine di discrezionalità. Una parte della giurisprudenza di merito, ad esempio, ha fatto ricorso ad un parametro espresso in termini percentuali, da alcuni rapportato al saldo debitore nel periodo sospetto; secondo un altro orientamento verrebbe invece in considerazione il c.d. “rientro” ex art. 70 della legge fallimentare (ora, articolo 171, comma 3, del Codice), cioè la differenza tra la massima esposizione debitoria raggiunta dal debitore nel periodo c.d. sospetto e quella riscontrata al momento di apertura del concorso; altre pronunce hanno valorizzato l’importo medio delle rimesse dato dalla somma
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delle stesse divise per il loro numero, rapportate all’importo medio del saldo debitore computato all’inizio e a fine del periodo di riferimento. L’eliminazione del requisito della (non) consistenza ai fini della revocabilità delle rimesse è dunque funzionale a eliminare tali difformità interpretative, in ossequio all’art. 2, comma 2, lettera m), della legge n. 155 del 2017, senza in alcun modo pregiudicare l’effettivo ambito di operatività dell’esenzione, giacché l’esigenza di sottrarre alla revocatoria operazioni che non abbiano realmente depauperato il patrimonio del debitore né leso effettivamente la par condicio creditorum è comunque soddisfatta, oltre che dal requisito della durevolezza, dal limite stabilito dall’art. 171, comma 3. La modifica della lettera e) del medesimo comma 3 è di mera forma, giacché elimina una congiunzione non necessaria tra le parole “posti in essere” e le parole “dal debitore”; - sull’art. 170. L’articolo 7, comma 4, lettera b), della legge n. 155 del 2017, nel prevedere che il periodo sospetto ai fini dell’esercizio delle azioni di inefficacia e revocatorie (diverse dalla revocatoria ordinaria) decorre dalla data della domanda a cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale, come ora espressamente prevedono gli articoli 163, 164, 166 e 169, in cui è implicito il riconoscimento normativo del principio di derivazione giurisprudenziale della consecuzione delle procedure concorsuali, imponeva di tener comunque fermo il disposto dell’art. 69-bis, secondo comma, della legge fallimentare. Il legislatore delegato, nel mutare nell’art. 170 il contenuto dell’art. 69-bis, ha invece omesso di riprodurre il secondo comma della norma citata. La modifica introdotta è dunque volta a rimediare a tale omissione, ovviamente apportando alla disposizione i necessari adattamenti lessicali. (Omissis)
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a. I contributi proposti per la pubblicazione (saggi, note a sentenza, ecc.) debbono essere inviati, in formato elettronico (word), al Direttore responsabile prof. avv. Alessandro Nigro al seguente indirizzo email alessandro.nigro@tiscali.it È indispensabile l’indicazione nella prima pagina (in alto a destra) dell’indirizzo email, per l’invio delle bozze. b. I contributi proposti per la pubblicazione sono preventivamente vagliati dalla Direzione. Quelli che superano tale vaglio vengono trasmessi, in forma anonima, ad uno dei componenti della apposita struttura di revisione, coordinata dal prof. Daniele Vattermoli. Il revisore rimette al coordinatore la sua relazione che, in forma anonima, è trasmessa al Direttore il quale, se la relazione è positiva, autorizza la pubblicazione del contributo.
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto
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corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. … 4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile codice di commercio
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c.c. c.comm.
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Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall. legge cambiaria l.camb. testo unico t.u. testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) t.u.b. testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58) t.u.f. 2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc.
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Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur. Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm.
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4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
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Attraverso la procedura del peer-review i Revisori assistono il Comitato di Redazione nell’assumere decisioni sugli articoli proposti, e inoltre possono suggerire all’Autore correzioni e accorgimenti tesi a migliorare il proprio contributo. Qualora non si sentano adeguati al compito proposto o sappiano di non potere procedere alla lettura dei lavori nei tempi richiesti sono tenuti a comunicarlo tempestivamente al Comitato di Redazione. Ogni testo assegnato in lettura deve essere considerato riservato; pertanto tali testi non devono essere discussi con altre persone senza l’esplicita autorizzazione della Direzione. La revisione deve essere effettuata in modo oggettivo. I Revisori sono tenuti a motivare adeguatamente i giudizi espressi. I Revisori s’impegnano a segnalare al Comitato di Redazione eventuali somiglianze o sovrapposizioni del testo ricevuto con altre opere a loro note. Tutte le informazioni riservate o le indicazioni ottenute durante il processo di peer-review devono essere considerate confidenziali e non possono essere usate per altre finalità. I Revisori sono tenuti a non accettare in lettura articoli per i quali sussiste un conflitto di interessi dovuto a precedenti rapporti di collaborazione o di concorrenza con l’autore e/o con la sua istituzione di appartenenza.
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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria
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