Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
ISSN 1722-8360
di particolare interesse in questo fascicolo
• Il crowdfunding
• Controllo societario da credito
• Anticipazione su crediti e concordato preventivo
• Commissione UE e fallimento
luglio-settembre
Pacini Editore
3/2014 anno xxviii
3/2014
luglio-settembre
3/2014 anno XXVIII
Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è coordinato dal prof. Vittorio Santoro. Nell’anno 2013, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Elisabetta Bertacchini, Marcello Clarich, Antonia Irace, Cinzia Motti, Stefano Pagliantini, Antonio Piras, Michele Sandulli, Maurizio Sciuto, Giuseppe Terranova, Enrico Tonelli, Francesco Vella.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
Comitato di direzione Carlo Angelici, Sido Bonfatti, Mario Bussoletti, Gino Cavalli, Salvatore Maccarone, Fabrizio Maimeri, Alessandro Nigro, Mario Porzio, Ángel Rojo, Vittorio Santoro, Luigi Carlo Ubertazzi. Comitato di redazione Antonella Brozzetti, Vincenzo Caridi, Ciro G. Corvese, Giovanni Falcone, Elisabetta Massone, Francesco Mazzini, Donato Ivano Pace, Filippo Parrella, Gennaro Rotondo. Segreteria di redazione Daniele Vattermoli Direttore responsabile Alessandro Nigro La sede della rivista è presso la Segreteria del Ce.Di.B. Corso Vittorio Emanuele II, 173 - 00186 Roma L’amministrazione è presso: Pacini Editore SpA Via Gherardesca - 56121 Ospedaletto - Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it - info@pacinieditore.it
I dattiloscritti, i libri per recensione, bozze, ecc. dovranno essere inviati al Prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290 - 00198 Roma
Š Copyright 2014 Ce.Di.B. - Centro di studi di diritto e legislazione bancaria. Registrazione presso il Tribunale di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009 Direttore responsabile: Alessandro Nigro
Realizzazione editoriale e progetto grafico
Via A. Gherardesca 56121 Ospedaletto (Pisa) Fotolito e Stampa Industrie Grafiche Pacini Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail segreteria@aidro.org e sito web www.aidro.org
Sommario 3/2014
PARTE PRIMA Saggi Il nuovo concordato preventivo (natura, funzioni, interessi), di Alessandro Nigro La folla e l’impresa: prime riflessioni sul crowdfunding, di Aldo Laudonio Controllo societario da credito e diritto della crisi: il problema del Sanierungsprivileg, di Paolo Cuomo Le recenti modifiche alla disciplina di vigilanza in materia di partecipazioni detenibili dalle banche e dai gruppi bancari: un passo indietro nel processo di liberalizzazione delle regole, di Maria Elena Salerno
pag. 345 » 357 » 425 » 447
Commenti Revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente – Trib. Bergamo, 28 aprile 2014, con nota redazionale Anticipazione su crediti, concordato preventivo e art. 169-bis l. fall. – Trib. Milano, 18 maggio 2014; App. Genova, 10 febbraio 2014; App. Brescia, 19 giugno 2013, con osservazioni di Vincenzo Caridi
» 477
» 491
Fatti e problemi della pratica Il diritto di recesso nei contratti di intermediazione finanziaria nella giurisprudenza e nei recenti interventi legislativi, di Gianfranco Liace
» 515
PARTE seconda Legislazione La Raccomandazione della Commissione sul “nuovo” approccio al fallimento – Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014 su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza (2014/135/EU), con osservazioni di Marco Conforto
pag. 111
Norme
» 127
redazionali
PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
Saggi
Il nuovo concordato preventivo (natura, funzioni, interessi)* 1. Sono trascorsi poco più di otto anni dal momento in cui il “nuovo” concordato preventivo ha fatto il suo ingresso nel nostro ordinamento. In questo lasso di tempo, tutto sommato breve, - da un lato, la normativa che lo riguarda ha subito ripetute modifiche ed integrazioni; - dall’altro, si è assistito al rapido formarsi, su tale istituto, di una ricchissima letteratura e di una cospicua giurisprudenza. Sia l’uno che l’altro fenomeno hanno una loro precisa giustificazione. All’istituto è stato assegnato dal legislatore della riforma un ruolo rilevantissimo nel sistema complessivo delle nostre procedure concorsuali; d’altra parte, esso ha fatto registrare nella pratica un crescente successo, confermando le aspettative del legislatore. La difettosa tecnica normativa adottata ha, d’altra parte ancora, avuto la sua importanza, sollecitando interventi normativi “correttivi” e, per altro verso, imponendo di cercare di “rimediare”, in via interpretativa, alle oscurità ed imprecisioni del dettato della legge. A questa ricchezza, sul piano quantitativo, delle norme ed a questa abbondanza delle elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali non ha corrisposto e non corrisponde però, a mio sommesso avviso, una nitidezza di linee ricostruttive. Al contrario. Oggi, la materia del concordato preventivo continua a prospettare una nutrita serie di talvolta inestricabili grovigli di problemi interpretativi ed applicativi, assai spesso – almeno a me sembra – conseguenza di quelli che mi spingo a definire autentici equivoci e fraintendimenti anche su profili cruciali della disciplina. Non ho ovviamente la possibilità di prendere in considerazione tutti i
* Testo, con talune integrazioni e l’aggiunta delle note essenziali, della relazione svolta al Convegno su «Il nuovo concordato preventivo» tenutosi a Latina il 10 dicembre 2013.
Saggi
temi e gli aspetti, diciamo, critici dell’istituto. Mi limiterò a toccarne solo alcuni, quelli che reputo di rilevanza centrale, cercando, da un lato, di non invadere i territori affidati ai relatori che seguiranno e, dall’altro, di offrire un contributo, sia pure piccolo, alla chiarezza di idee, che mi pare talvolta manchi. 2. Comincio dalla natura giuridica del concordato preventivo. Questa procedura è da sempre contraddistinta, come sappiamo, dall’originale combinazione di due momenti entrambi essenziali, quello pattizio (proposta del debitore e accettazione a maggioranza da parte dei creditori) e quello propriamente giurisdizionale. Ricordo che proprio in relazione a questa combinazione si sono tradizionalmente contrapposte, in dottrina, due concezioni: quella contrattualistica, secondo cui la proposta del debitore, da qualificarsi come proposta contrattuale, si combinerebbe con l’accettazione dei creditori dando luogo ad un accordo o contratto, di cui la sentenza di omologazione da parte del tribunale costituirebbe una semplice condizione di efficacia; e quella pubblicistica, o più esattamente processualistica, secondo cui la fonte del regolamento concordatario starebbe nel provvedimento di omologazione del tribunale, del quale l’adesione dei creditori costituirebbe solo un presupposto. In realtà, né l’una né l’altra concezione potevano considerarsi pienamente accettabili; e risultava più corretta la posizione di chi sottolineava come nella procedura in questione concorressero con pari importanza e rilievo sia l’aspetto negoziale sia quello processuale, derivandone la assoluta specialità della procedura stessa. E questa conclusione deve condividersi anche oggi, pur dopo le profonde modifiche apportate con la riforma del 2005-2007 alla disciplina del concordato preventivo, con la valorizzazione dell’autonomia del debitore e dei creditori e con la riduzione degli spazi d’intervento spettanti all’autorità giudiziaria (modifiche che hanno portato larga parte della dottrina a riproporre con maggior forza la tesi della natura essenzialmente contrattualistica): il controllo del tribunale, pur se circoscritto tendenzialmente alla verifica della legalità formale e sostanziale, continua a rivestire un ruolo determinante come “contrappeso” all’adozione, in sede di adesione dei creditori, del principio di maggioranza, estraneo come tale agli schemi contrattuali. Tutto questo ha precise “ricadute”. In particolare, e direi soprattutto, le ha sul piano della possibilità di “travasare” nel concordato regole e tecniche proprie della disciplina generale dei contratti, possibilità che andrebbe verificata con molta cautela. Per esempio. La giurisprudenza
346
Alessandro Nigro
tende sempre più spesso ad utilizzare, nel nostro campo, il concetto di causa. Emblematico l’atteggiamento assunto dalla nota sentenza – su cui tornerò1 – in tema di limiti del controllo del giudice sulla fattibilità del piano concordatario: le SS. UU. hanno affermato che il piano (anzi, la proposta) deve essere coerente con la c.d. “causa concreta” del concordato. Orbene, personalmente sono convinto che, rispetto al concordato preventivo, non ci sia spazio per utilizzazioni operative della nozione di causa e che, eventualmente, ogni discorso in chiave finalistica debba essere svolto in termini di funzione. 3. Passo, proprio, alla funzione o funzioni del concordato preventivo, altro tema importante quanto delicato. In un pur pregevolissimo studio sul “nuovo” concordato preventivo si legge che l’istituto sarebbe connotato da una «ambiguità funzionale»2. Questo perché si tratterebbe di una procedura concorsuale – cito testualmente – «utilizzabile con finalità sia di prevenzione dell’insolvenza e risanamento dell’impresa, sia di conservazione dell’organismo produttivo anche attraverso il mutamento della sua titolarità, sia di liquidazione concorsuale»3. Nello studio si sottolinea anche come proprio tale ambiguità funzionale stia alla base di molte delle incertezze interpretative che hanno influito sulle prime applicazioni dell’istituto, condizionandone l’utilizzazione. A me sembra che questo tipo di affermazioni – abbastanza frequenti nella letteratura in materia – sia emblematico appunto degli equivoci e fraintendimenti di cui parlavo all’inizio. Perché esso è il frutto – almeno così a me pare – della non percezione della distinzione fra quello che, usando il linguaggio utilizzato in materia di società, può definirsi come scopo-mezzo e, invece, lo scopo fine; o, se si preferisce, fra scopo immediato e scopo mediato. Non c’è dubbio che il concordato preventivo sia stato disciplinato dal legislatore della riforma in un’ottica che valorizza l’autonomia privata. E ugualmente non c’è dubbio che esso possa essere utilizzato, a seconda della scelta del proponente, con l’obiettivo di risanare l’impresa attraverso operazioni idonee a consentire la conservazione della funzionalità e
1
Infra, § 5. Calandra Bonaura, Concordato preventivo, in Enc. dir., Annali, II, t. 2, 2008, p. 253. 3 Calandra Bonaura, Concordato preventivo, cit., p. 254. 2
347
Saggi
del valore del patrimonio anche sulla base di nuovi assetti economici e finanziari (sono, appunto, i c.d. concordati di risanamento, oggi – dopo la “riforma” del 2012 – disciplinati espressamente dall’art. 186-bis); o, invece, con l’obiettivo della liquidazione del patrimonio del debitore. Ma si tratta, in ogni caso, di uno scopo-mezzo o di uno scopo immediato; lo scopo fine, lo scopo mediato è invece sempre e soltanto uno: il soddisfacimento dei creditori. E lo scopo mezzo può essere perseguito solo nei limiti in cui non influisca negativamente sul perseguimento dello scopo fine. Del che, poi, è conferma proprio nel ricordato art. 186-bis, dove si stabilisce, da un lato, che la proposta di concordato con continuità aziendale deve essere assistita da una relazione dell’esperto il quale attesti, specificamente, che la prosecuzione dell’attività di impresa prevista dal piano “è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori” e, dall’altro, che l’ammissione alla procedura debba essere revocata ai sensi dell’art. 173 nel caso in cui l’esercizio dell’attività di impresa “risulta manifestamente dannoso per i creditori”. Si badi: si tratta di una confusione in cui, talvolta, è caduto – non so dire se consapevolmente o no – lo stesso legislatore. Mi riferisco, come è chiaro, all’art. 1 d. lgs. n. 270 del 1999, là dove si precisa che l’amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente con finalità conservative del patrimonio produttivo. Anche qui: le finalità conservative non costituiscono – checché se ne dica – la funzione, in senso proprio, della procedura; esse concretano solo lo scopo-mezzo, mentre lo scopo-fine, cioè la funzione appunto, è costituita, di nuovo, dal soddisfacimento dei creditori. Come dimostra, a tacere d’altro, la circostanza che la procedura di amministrazione straordinaria è destinata a chiudersi ove manchino domande di ammissione al passivo, indipendentemente dal conseguimento o meno dell’obiettivo della conservazione del patrimonio produttivo. Dunque, tornando al nostro tema, il concordato preventivo non presenta, in realtà, alcuna “ambiguità funzionale”. La sua funzione, in senso proprio, è data, puramente e semplicemente, dal soddisfacimento dei creditori. Che è poi la funzione propria e tipica di tutte le procedure concorsuali – le quali altro non sono, ricordo, che strumenti di attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore – e, specificamente, di tutte le procedure o subprocedure che si concretino in concordati giudiziali. Tutto questo significa che non possono in principio accettarsi letture della normativa in materia – e capita talvolta di incontrarle – e men che meno applicazioni, che portino a privilegiare, per esempio, l’obiettivo del risanamento a scapito del grado di soddisfacimento dei creditori. E,
348
Alessandro Nigro
più in generale, significa che non hanno alcuna ragion d’essere incertezze interpretative ed applicative che trovino la loro radice in dubbi sulla funzione (o funzioni) del concordato preventivo. 4. Gli interessi che vengono in considerazione nella procedura di concordato preventivo – e con questo passo ad un terzo profilo – sono dunque prioritariamente gli interessi dei creditori. Prioritariamente ed aggiungerei esclusivamente. In altre procedure ed in altri concordati (penso specificamente al concordato fallimentare) emerge anche l’interesse del debitore; non così nel concordato preventivo, l’interesse del debitore trovando ex ante considerazione e protezione per effetto dell’attribuzione al medesimo debitore della legittimazione esclusiva alla predisposizione e presentazione della proposta di concordato. L’interesse tipico e proprio dei creditori è, ovviamente, quello al massimo possibile soddisfacimento attraverso la procedura: è un interesse che, in quanto comune, può essere definito come collettivo, ma che non è altro che la somma degli interessi individuali dei singoli creditori. Se, sia a livello “collettivo” sia a livello di singoli, l’interesse tipicamente rilevante è quello al massimo possibile soddisfacimento, la legge ben può permettere l’ingresso ad altri interessi dei creditori. È quanto avvenuto – con la riforma e, prima, con la normativa sull’amministrazione straordinaria “speciale” – nell’ambito delle soluzioni concordatarie, dove è stata prevista la possibilità della suddivisione dei creditori in classi, secondo – oltre che posizioni giuridiche omogenee – «interessi economici omogenei». La legge consente che emergano qui quei fattori di disomogeneità, sul piano degli interessi concreti, fra creditori che erano stati indicati in passato come causa della inefficienza delle assemblee e dei corpi rappresentativi dei creditori. Ma lo consente non per sostituire, bensì per aggiungere alla considerazione dell’interesse comune e tipico dei creditori (che permane anche nel caso della suddivisione in classi, come rivela il mantenimento, anche in quel caso, del criterio della maggioranza sull’insieme dei crediti) la considerazione di interessi particolari fra loro differenziati; e, ancora, lo consente non tanto per assicurare l’omogeneità degli interessi in funzione della votazione (per giustificare, cioè, la soggezione della minoranza dissenziente alla volontà della maggioranza), quanto per permettere trattamenti differenziati di “gruppi” di creditori, sì da pervenire alla soluzione compositiva più aderente alle concrete condizioni ed esigenze delle diverse componenti del ceto creditorio, agevolandone così l’approvazione. Va tenuto presente, a tale riguardo, che le soluzioni compositive giu-
349
Saggi
diziali sono assistite – e lo sono sempre state – da un particolare favor del legislatore essenzialmente in quanto idonee ad offrire ai creditori un grado di soddisfacimento maggiore di quello da essi conseguibile attraverso la liquidazione coattiva (concorsuale o no) del patrimonio del debitore. Infatti, l’asse portante di queste soluzioni compositive è sempre stato rappresentato dalla valutazione della loro convenienza per i creditori, una valutazione in passato affidata sia ai creditori sia al tribunale ed oggi, dopo la riforma, rimessa pressoché esclusivamente ai creditori (sul punto tornerò appresso): orbene, la valutazione di convenienza consiste tipicamente in un raffronto fra quanto viene offerto ai creditori e (non già quanto il proponente potrebbe offrire, ma) quanto i creditori potrebbero ottenere in via esecutiva (ordinaria o concorsuale) dal patrimonio del debitore. Ne è conferma quanto dispone l’art. 180, co. 4 l. fall., là dove prevede che il tribunale, ove un creditore dissenziente appartenente ad una classe dissenziente o, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentino il 20% dei crediti ammessi al voto contestino la convenienza della proposta, possa omologare il concordato (solo) «qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto in misura non inferiore alle alternative concretamente praticabili» L’articolazione in classi con trattamenti differenziati delle medesime serve allora a (tentare di) assicurare la più “giusta” partecipazione di tutti gli interessati al plusvalore creato dalla soluzione concordataria. È possibile ed opportuna qualche ulteriore puntualizzazione sull’interesse individuale, del singolo creditore, al massimo possibile soddisfacimento. A tale interesse – alla luce anche delle ultime elaborazioni giurisprudenziali – sembra doversi ormai riconoscere la consistenza di vero e proprio diritto soggettivo4. E questo ha ricadute di notevole importanza: in particolare, per quel che qui specificamente interessa, tale diritto sembrerebbe potere, in linea di principio, fondare l’opposizione di qualsiasi creditore dissenziente ad una proposta di concordato (fallimentare o preventivo) ove questa non gli assicuri un soddisfacimento non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. So bene, naturalmente, che la lettera della legge, l’appena ricordato art. 180, co. 4 l. fall., è in senso diverso, circoscrivendo la legittimazione a presentare opposizione per motivi di convenienza solo ai creditori (dissenzienti) appartenenti alle classi dissenzienti o, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, ad una percentuale dei creditori; così come
4
350
Cass., 27 maggio 2009, n. 12247, in Dir. banc., 2010, 119, con osservazioni di V. C.
Alessandro Nigro
so bene che tale lettera – soprattutto dopo la modifica operata nel 2012 con la previsione appunto della legittimazione di una percentuale – è difficilmente superabile per via interpretativa. Sono convinto, però, che rispetto a tale disposizione possano essere formulati corposi dubbi di illegittimità costituzionale, sotto il profilo, in particolare, della sua evidente irragionevolezza e, quindi, della violazione dell’art. 3 Cost. L’irragionevolezza, a mio avviso, sussiste sia per ciò che riguarda la previsione di due criteri di legittimazione assolutamente eterogenei, sia per ciò che riguarda ciascuno dei due criteri singolarmente preso. Specificamente mi parrebbe privo di senso quello previsto per l’ipotesi di mancata formazione delle classi: esso è il frutto di un maldestro travaso di tecniche di tutela tratte dalla disciplina delle società per azioni, il quale non tiene affatto conto di ciò che i connotati della collettività dei creditori – una collettività non voluta ma subita – non sono tali da consentire una piena assimilazione fra la posizione del singolo socio e quella dei singoli creditori. Si tratta di una irragionevolezza tanto più vistosa ove si consideri la diversa soluzione adottata nella pressoché coeva (alla modifica dell’art. 180 l. fall.) disciplina dettata per l’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento – istituto strutturalmente e funzionalmente affine al concordato preventivo – dove si consente espressamente al singolo creditore dissenziente o escluso (e addirittura ad ogni altro interessato) di contestare l’accordo sotto il profilo appunto della convenienza, stabilendo che, in questo caso, il giudice concede l’omologazione dell’accordo «se ritiene che il credito può essere soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria disciplinata» dalla legge (art. 12, co. 2, della l. 27 gennaio 2012, n. 3, come modificata dal d. l. n. 179 del 2012). Il dato che a questo punto diviene importante sottolineare è che proprio il riconoscimento del fondamentale strumento di autotutela costituito dalla legittimazione del singolo creditore dissenziente ad opporsi all’omologazione potrebbe e dovrebbe arrivare a costituire il vero ed efficiente contrappeso alla soppressione, a seguito della riforma, dello strumento di eteroprotezione dei creditori costituito dal giudizio officioso di convenienza da parte del tribunale in sede di omologazione. A me sembra, infatti, che il problema della protezione del creditore singolo là dove sia destinato ad operare il principio di maggioranza – un problema tanto più rilevante oggi rispetto ad una disciplina che tende obiettivamente a privilegiare i creditori “forti” – debba trovare soluzione ricercando gli strumenti di tutela prima di tutto all’interno del sistema e secondo linee coerenti con la logica del medesimo. L’attribuzione al singolo creditore dissenziente della legittimazione ad opporsi all’omologazione del concordato sotto il profilo della conve-
351
Saggi
nienza risponderebbe a questa esigenza, offrendo proprio lo strumento più soddisfacente in termini di coerenza sistematica. Non solo: più soddisfacente anche perchè offrirebbe il vantaggio (certo di non scarso peso) di consentire di risolvere più agevolmente molte delle questioni particolari che attualmente si agitano in materia.
5. L’ultimo tema che vorrei affrontare tocca il profilo da cui sono partito, quello della compresenza del momento pattizio e del momento giurisdizionale, compresenza che implica la ricerca ed individuazione del punto di equilibrio fra i due momenti. Si tratta del tema, cruciale, dei poteri di controllo del tribunale in punto di fattibilità del piano e/o della proposta di concordato. a. Occorre premettere che, nel sistema disegnato dalla legge, sono tre i momenti in cui entrano in giuoco i poteri del tribunale in punto di verifica delle condizioni di ammissibilità al concordato e, quindi, della fattibilità del piano: - in sede di ammissione (art. 162); - durante la procedura (art. 173); - in sede di omologazione (art. 180). Orbene, fin dall’inizio si sono contrapposte, sul tema che qui interessa, due impostazioni: - la prima, volta a ridurre il controllo del tribunale ad una verifica formale ed estrinseca delle condizioni di ammissibilità, escludendosi ogni controllo di merito, salvo il caso di opposizioni in sede di omologazione; - la seconda, volta ad attribuire al tribunale il controllo della legittimità sostanziale della proposta e del piano. Da ultimo, la giurisprudenza della Cassazione si era decisamente orientata nella prima direzione, nel senso cioè contrario alla sindacabilità nel merito della proposta e quindi della fattibilità del piano, in tutti i diversi momenti di cui prima si è detto, salvo che in sede di omologazione ove un creditore proponga opposizione proprio per sollecitare un giudizio di merito. Non sono mancate, però, sentenze della stessa Cassazione di segno opposto. Talchè la questione è stata rimessa alle SS.UU., le quali si sono pronunziate sul punto con la ormai notissima sentenza 23 gennaio 2013, n. 15215.
5 Pubblicata in moltissime riviste: v., per tutte, Foro.it., 2013, I, 1534, con note di Costantino e di Fabiani.
352
Alessandro Nigro
La sentenza, da tutti attesa, lascia abbastanza scontenti: essa, palesemente il frutto di un tentativo di “compromesso” fra i contrapposti orientamenti, segue itinerari abbastanza contorti e non perviene ad esiti chiari e definitivi. Non ho qui la possibilità, ovviamente, di ripercorrere la pronunzia. Mi debbo limitare a richiamare il principio di diritto da essa formalmente posto, che mi pare confermi il mio giudizio critico: “Il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dalla attestazione del professionista, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti; il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo; il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato; quest’ultima, da intendere come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro”. Come ho già detto in altra sede, la sentenza delle SS.UU. ha un solo pregio: quello di costringere a considerare tutta una serie di “snodi” cruciali. Questi “snodi” sono: - esiste o no una differenza tra proposta e piano? - cosa significa fattibilità del piano? - può trovare spazio nel concordato la c.d. “causa concreta”? - si pone ed in che termini un problema di fattibilità giuridica? b. Sul primo punto. A me sembra che, in principio, la distinzione fra proposta e piano – che del resto ormai la legge nitidamente pone (v. l’art. 161 l. fall., come integrato dal d.l. n. 83/2012) – sia e debba essere netta. Perché la proposta è intesa dalla legge e dal sistema semplicemente come l’offerta che il debitore fa di qualche cosa ai creditori. Il piano è qualcosa di più e di diverso: il piano è il progetto o il programma entro cui questa offerta si colloca; un progetto, un programma che comprende non soltanto quello che si dà o si darebbe ai creditori, ma anche il modo in cui lo si dà e le risorse con cui lo si dà. Opportunamente, del resto, la legge parla di fattibilità del piano, non di fattibilità della proposta. c. Fattibilità del piano – e con questo passo al secondo punto – si-
353
Saggi
gnifica allora puramente e semplicemente coerenza fra il risultato finale cui si vuole pervenire e gli strumenti e i percorsi attraverso i quali si dovrebbe ottenere questo risultato finale o, detto in altro modo, l’idoneità dei mezzi di cui si prevede l’utilizzazione a portare a quel certo risultato. Questa è la fattibilità, non altro. Ed è questo che l’esperto, l’attestatore, deve verificare in chiave prognostica: che lo strumentario ipotizzato sia ragionevolmente idoneo a consentire quel certo soddisfacimento dei creditori che la proposta ipotizza. Se le cose stanno così, tutto il discorso che la Cassazione svolge con riferimento alla causa, a ben considerare, nulla ha a che vedere con il piano e con la sua fattibilità, perché quello che conta, nel sistema, è la intrinseca fattibilità del piano, indipendentemente poi dalla bontà del risultato. In altre parole: che il risultato sia o no coerente con la “causa in concreto” del concordato non ha nulla a che vedere con la fattibilità del piano. Aggiungo che distinguere fra fattibilità “giuridica” e fattibilità “economica” con riferimento al piano è, mi parrebbe, sbagliato in partenza, perché è chiaro che le valutazioni economiche devono scontare anche le premesse giuridiche, il quadro giuridico (un piano che preveda l’alienazione di beni di terzi non è fattibile, punto e basta; non è un problema di economicità o di giuridicità). Dato tutto questo, qual è il ruolo dell’attestatore, aspetto di cui dobbiamo preoccuparci? Con il ragionamento della Cassazione, indubbiamente il ruolo dell’attestatore viene ad essere ridimensionato. Io credo invece che il ruolo dell’attestatore sia assunto nel sistema (poi: che sia corretto o sbagliato è un altro discorso!) come un elemento fondamentale. Il legislatore ha voluto evitare che il giudice si debba occupare direttamente del profilo della fattibilità del piano. Ha previsto una specifica attestazione di tale requisito, nel senso che ho tentato di chiarire prima, cercando di conferire a questa attestazione il massimo di attendibilità, derivante per un verso dalle capacità professionali dell’attestatore, per un altro dai requisiti di indipendenza che già si potevano ritenere impliciti nel sistema, ma che sono stati espressamente “codificati” nell’ultimo intervento normativo. Dopodiché, qui siamo in presenza di una valutazione tecnica basata su una prognosi: quindi quello che il giudice può e deve verificare è la coerenza e la logicità di questa attestazione. Si tratta, in sostanza, di un discorso analogo a quello che, in campo amministrativistico, si fa per la discrezionalità tecnica. Rispetto ad un provvedimento che sia frutto, appunto, di discrezionalità tecnica, il controllo giurisdizionale è un controllo non sul merito delle valutazioni tecniche, ma sulla loro coerenza, logicità e completezza. Lo stesso vale per l’attestazione di cui ci stiamo occupando. Se così non fosse, l’attestazione non servirebbe a nulla e sarebbe il caso di eliminarla, come complicazione assolutamente inutile.
354
Alessandro Nigro
d. Sgombrato dal campo della fattibilità il problema della coerenza rispetto alla “causa concreta”, vengo al punto successivo: si pone, nel concordato preventivo, un problema di “causa concreta” e in che cosa questa “causa concreta” dovrebbe consistere? Su questo tema la sentenza della Cassazione è di una vaghezza e “fumosità” impressionanti. Come ho già detto prima, sono comunque convinto che, rispetto al concordato preventivo, non ci sia spazio per utilizzazioni operative della nozione di causa e che, eventualmente, ogni discorso in chiave finalistica debba essere svolto in termini di funzione: e la funzione del concordato è il soddisfacimento dei creditori nella maggior misura possibile. È chiaro che, messa la questione in questi termini, un controllo del tribunale - sulla proposta, peraltro, e non sul piano - non ci potrebbe essere o, meglio, ci potrebbe essere soltanto sotto il profilo del controllo di convenienza. In altri termini: se si riporta in un alveo corretto la sentenza della Cassazione, si finisce al giudizio di convenienza; e il giudizio di convenienza non rientra (più) nei compiti d’ufficio del tribunale. e. Quanto fin qui detto non significa che non vi sia spazio per una verifica da parte del tribunale di quella che la Cassazione definisce la “fattibilità giuridica”, da riferire propriamente alla proposta e non al piano. Questo spazio ovviamente c’è e concerne il rispetto, da parte appunto della proposta, delle norme inderogabili e, in primo luogo, delle norme inderogabili che regolano il concorso: rispetto che condiziona l’ammissibilità e l’omologabilità della proposta. È da questo angolo di visuale che vanno affrontati due problemi specifici: - quello se il rispetto della “causa concreta” o, più correttamente, della funzione del concordato esiga la previsione, nella proposta, di un soddisfacimento minimo per tutti i creditori; - quello se sia ammissibile una proposta che, a fronte di un pagamento in percentuale ai creditori, preveda una “cessione parziale” ai medesimi del patrimonio del debitore, in funzione, in particolare, della continuazione dell’impresa. Al primo problema, sulla scorta proprio di quanto affermato dalla sentenza che stiamo considerando, si tende ormai a dare risposta senz’altro affermativa6. In realtà, ragionando nei termini fin qui prospettati, la soluzione appare tutt’altro che giustificata. Nel nostro attuale sistema (diversamente dal vecchio) non è rintracciabile nessuna norma o principio
6
V. per esempio Trib. Modena, 13 giugno 2013, in www.il caso.it.
355
Saggi
dal quale possa derivarsi la necessità che, nel concordato preventivo, sia previsto un soddisfacimento sia pur minimo per tutti i creditori. Anche in ordine al secondo problema vanno maturando orientamenti tendenti a dare risposta affermativa7. Anche qui, la mia opinione è in senso diverso. Con l’apertura della procedura di concordato, scatta il vincolo di destinazione dell’intero patrimonio del debitore al soddisfacimento dei creditori ed entra in giuoco il sistema imperativo di graduazione dei crediti, alla luce del quale può ritenersi consentito al debitore di conservare porzioni del proprio patrimonio solo laddove sia previsto il pagamento integrale dei debiti8. 6. Concludo rilevando che, a proposito delle problematiche da ultimo considerate, può “riemergere” quello che dicevo prima a proposito della necessità di riconoscere a ciascun creditore dissenziente il diritto di opporsi all’omologazione contestando la convenienza, appunto, della proposta concordataria. Perché con questo riconoscimento si risolverebbe in radice, per esempio, il problema del rispetto della causa concreta. Nel senso che si potrebbe tranquillamente prescindere, in sede di ammissibilità, dalla verifica se la proposta sia o no coerente con l’esigenza di assicurare un “soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori”. Qualunque sia il grado di soddisfacimento previsto la proposta dovrebbe ritenersi in sé ammissibile, potendo risultare in concreto conveniente per tutti i creditori, per le ragioni più diverse, che non si potrebbero apprezzare a priori. Se, poi, tutti i creditori l’approvano o se l’approva la maggioranza, ma nessuno dei dissenzienti si oppone facendone rilevare la svantaggiosità rispetto alle alternative concretamente praticabili, ogni problema è automaticamente risolto, perché comunque tutti i creditori, esplicitamente o implicitamente, hanno mostrato di ritenerla, appunto, in concreto conveniente. Alessandro Nigro
7
V. per esempio Jorio, La riforma fallimentare: pregi e difetti delle nuove regole, in Giur. comm., 2013, I, p. 705 s. 8 Sul punto v. ora anche Nigro e Vattermoli, Sub art. 186-bis, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Commento per articoli, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2014, p. 564 s.
356
La folla e l’impresa: prime riflessioni sul crowdfunding Sommario: 1. Il crowdfunding ed un legislatore “sordo” e “strabico”… – 2. Una problematica introduzione alle varie specie di crowdfunding e qualche cenno comparatistico. – 3. Alcune considerazioni economiche (…e non solo). – 4. Soggetti e oggetti della regolamentazione italiana: ossia quando i fini non incontrano i mezzi. – 5. Postilla sull’importanza del silenzio e su ciò che sarebbe stato meglio non tacere.
1. Il crowdfunding ed un legislatore “sordo” e “strabico”… La recente introduzione nel nostro ordinamento1 della possibilità di costituire dei portali per la raccolta del capitale di rischio da destinare a specifiche varianti di forme societarie (start-up innovative) che il legislatore proclama spiccatamente votate all’innovazione tecnologica sembra essere solo una prima incompleta, macchinosa ed inadeguata
1 L’articolato corpo regolamentare scaturisce da un decreto legge, come ormai sempre più spesso accade nella legislazione economica più recente: si tratta del d.l. 179/2012, e, in particolare, dei suoi artt. 26, co. 5, e 30. Mentre il primo consente che «le quote di partecipazione in start-up innovative costituite in forma di società a responsabilità limitata possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali», il secondo opera una serie di modifiche al t.u.f., conferisce una delega alla Consob per l’attuazione della normativa primaria così introdotta (delega attuata con il regolamento 18592 del 26 giugno 2013, di seguito: reg. equity c.f.) e stabilisce, infine, un privilegio in relazione all’accesso alla garanzia del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese (la cui disciplina operativa è peraltro demandata ad un decreto interministeriale, poi adottato il 26 aprile 2013 ad opera del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, e pubblicato in G.U. il 25 giugno 2013). Sulla correttezza della tecnica normativa che al ricorso al decreto-legge coniuga le rilevanti deleghe attuative appena elencate si potrebbe sollevare più di un dubbio, almeno sotto il profilo dell’urgenza dell’intervento; non consta peraltro che tale profilo sia stato rilevato da nessuno degli autori che si è occupato del tema.
357
Saggi
traduzione normativa di un fenomeno economico che, seppur giovane, ha già assunto una notevole importanza ed ha dato prova di molteplici potenzialità applicative: il crowdfunding (letteralmente: “finanziamento della folla”). Contrariamente a quanto è stato rilevato a prima lettura2, invero, la disciplina italiana è ben lungi non solo dall’abbracciare l’intero spettro delle modalità realizzative del crowdfunding, ma lascia altresì sorgere numerose e gravi perplessità sulla bontà delle scelte normative effettuate. Pare infatti che il legislatore italiano, il quale ha regolato solo una fattispecie – quella della partecipazione al capitale – senza però nulla dire sulle altre possibili esplicazioni, sia afflitto da un serio processo di degradazione “sensoriale”; di seguito si cercherà di dimostrare che, oltre a recepire “ad orecchio” tendenze normative straniere3, sul piano “visivo” scambia manifestazioni economiche rilevanti e degne della sua attenzione con altre, di minore momento. Nei successivi paragrafi, quindi, ci si propone di fornire un sintetico inquadramento giuridico-economico crowdfunding e delle sue multiformi esplicazioni operative, quindi si procederà ad evidenziare alcune delle principali falle della normativa italiana e infine si segnalerà taluni aspetti lasciati in ombra dalla recente novella e probabilmente bisognosi di attenzione normativa.
2 Da parte di Bollettinari, Il crowdfunding: la raccolta del capitale tramite piattaforme on-line nella prassi e nella recente legislazione, in Nuovo dir. soc., 2013, 2, p. 9, il quale afferma nell’esordio della sua analisi che «il fenomeno del crowdfunding è stato regolamentato in Italia dalla legge n. 221 del 17 dicembre 2012». Una prospettiva ancor più limitata è tradita nel rapporto “Restart, Italia!”redatto nel 2012 dalla task force sulle startup istituita dal Ministero dello Sviluppo Economico: «Per quanto riguarda l’Italia, la nostra normativa attualmente non contempla, in maniera chiara, la possibilità di fare ricorso al crowdfunding. Per far sì che questo strumento sia disponibile anche da noi, è importante prevedere una procedura di autorizzazione snella e semplice, basata però su chiare garanzie offerte da parte di chi voglia aprire queste piattaforme online dedicate alla raccolta di capitale, creando meccanismi di trasparenza e informazione per rendere chiaro ai cittadini che – come in ogni investimento – corrono sempre il rischio di perdere il capitale investito» (p. 78, sottolineature aggiunte). Più condivisibilmente, sulla settorialità e incompletezza della regolamentazione italiana, v. Girino, Le regole del crowdfunding, in Amm. e fin., 2014, pp. 76 s. 3 Come è stato detto ad altro proposito da Mattei, La riforma del diritto societario italiano. Una nuova ricezione acustica?, in Riv. dir. comm., 2003, I, p. 615 ss.
358
Aldo Laudonio
2. Una problematica introduzione alle varie specie di crowdfunding e qualche cenno comparatistico. Definendo in maniera preliminare e sommaria il crowdfunding4 sulla scorta dell’evidenza empirica come quella particolare modalità di reperimento attraverso una piattaforma informatica (e senza l’ausilio dei consueti intermediari) di piccoli contributi presso una moltitudine di potenziali sostenitori5 in vista della realizzazione di una certa iniziativa, si possono immediatamente mettere a fuoco alcune delle caratteristiche fondanti dell’oggetto di queste riflessioni, e specialmente, per quanto ora interessa, la duttilità del crowdfunding rispetto ai campi d’applicazione più vari e compositi (artistico, culturale, scientifico, giornalistico, politico, altruistico, imprenditoriale…), oltre che la centralità del mezzo informatico rispetto alle operazioni di raccolta. Se a questo primo approccio ricognitivo del tema si combina, inoltre, l’identificazione delle finalità sottese, sia dal lato di chi fa appello, sia da quello di chi contribuisce, e dei modi in cui esse influenzano la realizzazione della raccolta, si può cominciare a discernere gli aspetti innovativi del crowdfunding rispetto ad altri canali di finanziamento e si possono illuminare i vari e talora anche fortemente eterogenei modelli che si celano sotto quest’unica etichetta.
4 Le origini di questo strumento di rastrellamento di capitali nella sua configurazione attuale sono recentissime e non si rinvengono piattaforme anteriori al 2005 (v. Schwienbacher, Larralde, Crowdfunding of small entreprenurial venues, in The Oxford handbook of entrepreneurial finance, New York, 2012, p. 371). Sebbene la parola stessa tradisca le radici anglosassoni – e in specie statunitensi – del fenomeno, si può affermare che in Italia esistevano (ed esistono ancora) alcune piattaforme coeve alle prime esperienze nordamericane, se non anche più risalenti (è il caso, ad esempio, di “Produzioni dal basso” – http://www.produzionidalbasso.com/ –, operante specialmente nel settore discografico e cinematografico sin dal 2005). 5 Qui e nel prosieguo si ricorrerà senza alcun intento qualificatorio ad una varietà di termini per identificare i soggetti che alimentano le iniziative promosse attraverso le piattaforme di crowdfunding, come anche le attribuzioni che essi effettuano. Ciò anche in considerazione del fatto che non sembra si stia affermando alcuna tendenza uniformante (cfr. Gerber e Hui, Crowdfunding: motivations and deterrents for participation, in corso di pubblicazione su Transactions on Computer-Human Interaction, 2013, p. 2, nt. 1, consultabile sul sito http://egerber.mech.northwestern.edu, ove si riferisce che a seconda delle piattaforme, «People who pledge funds are referred to as “backers”, “fuelers”, or “funders”»). Anzi, ciascuna delle maggiori piattaforme esistenti ha coniato un proprio lessico, in funzione di strategie di marketing volte alla diversificazione della rispettiva offerta di servizi.
359
Saggi
A quest’ultimo riguardo, si può prendere a prestito il lessico anglosassone (non solo in virtù dell’origine del fenomeno, ma anche per non imprimere inavvertitamente connotati causali ancora da sondare), in base al quale attualmente si suole distinguere quattro principali varianti di crowdfunding: il donation-based crowdfunding, il reward-based crowdfunding, il lending-based crowdfunding, e, infine, l’equity-based crowdfunding6 (senza contare la presenza di varie ibridazioni).
6 La categorizzazione, tuttavia, non è esaustiva e nemmeno unanimemente condivisa tra i vari autori – giuristi ed aziendalisti – che hanno esercitato già con una certa intensità i loro sforzi qualificatori. Nella letteratura giuridica straniera si segnalano: Kappel, Ex ante crowdfunding and the recording industry: a model for the U.S.?, in Loy. L.A. Entertainment L. Rev., 2009, 29, no. 3, pp. 375 ss., ove è trattata l’allora incipiente applicazione del crowdfunding all’industria discografica, sia nella sua versione disinteressata (patronage ex ante crowdfunding), sia nella variante che prevede altresì la partecipazione ai profitti derivanti dalle vendite degli album (patronage-plus ex ante crowdfunding); Burkett, A crowdfunding exemption? Online investment crowdfunding and U.S. securities regulation, in Transactions Tenn. J. Bus. L., 2011, 13, no. 1, pp. 66 ss., 71 ss.; Schwarz, Crowdfunding securities, in Notre Dame L. Rev., 2012, 88, no. 3, pp. 1459 s.; Heminway e Hoffman, Proceed at your peril: crowdfunding and the Securities Act of 1933, in Tenn. L. Rev., 2011, 78, no. 4, p. 881; Bradford, Crowdfunding and the federal securities laws, in Colum. Bus. L. Rev., 2012, 2012, no. 1, pp. 10 ss., il quale si segnala per la sua analiticità. Mentre in Italia, v. Bollettinari, Il crowdfunding, cit., pp. 17 ss.; Fregonara, La start up innovativa. Uno sguardo all’evoluzione del sistema societario e delle forme di finanziamento, Milano, 2013, pp. 92 ss. (parti di questo studio sono state riprodotte in Ead., Il crowdfunding: un nuovo strumento di finanziamento per le start up innovative, in Riv. ODC, 2014, 1, pp. 1 ss., disponibile sul sito http://www.rivistaodc.eu); M. Pinto, L’equity based crowdfunding in Italia al di fuori delle fattispecie regolate dal ‘‘Decreto Crescita’’, in Soc., 2013, p. 819; Manzi, Il fenomeno del crowdfunding e del social lending: caratteristiche operative e profili contrattuali, in I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione, Milano, 2013, p. 394; Alvisi, Equity crowdfunding: uno sguardo comparatistico, in Riv. dir. banc., 2014, 3, pp. 2 s., leggibile sul sito http://www.dirittobancario.it. Tra gli economisti e gli aziendalisti, cfr. Rubinton, Crowdfunding: disintermediated investment banking, working paper, 2011, pp. 2 s. (reperibile sul sito http://mpra.ub.uni-muenchen. de); Schwienbacher e Larralde, Crowdfunding, cit., pp. 370 s.; Mollick, The dynamics of crowdfunding: an exploratory study, in corso di pubblicazione su J. Bus. Venturing, 2014, pp. 3 s. (del file scaricato dalla banca dati Elsevier). Alle distinzioni prospettate e di seguito discusse nel testo se ne può aggiungere un’altra legata al fattore temporale, ossia quella tra ex ante ed ex post crowdfunding (su cui v. Kappel, Ex ante, cit., p. 375), in cui la raccolta dei fondi avviene, rispettivamente, prima o dopo che il prodotto da finanziare sia stato realizzato, o comunque pronto per essere erogato. Il secondo caso riveste minore interesse ai fini della presente disamina, in quanto il contributo versato può variamente essere inquadrato come elemento (corrispettivo, acconto…) di un rapporto sinallagmatico, la cui unica particolarità è quella di essere instaurato attraverso internet; ove sia applicabile il diritto italiano, la principale conse-
360
Aldo Laudonio
Volendo brevemente illustrare queste modalità nelle loro forme “pure”, si può rilevare che nel donation-based crowdfunding a fronte delle somme versate non è prevista alcuna forma di remunerazione economica. Sebbene tale schema sia precipuamente impiegato per fini caritatevoli e filantropici (ed in questo senso non rappresenta altro che una nuova etichetta che sta soppiantando il generico ed abusato lemma fundraising), non si può omettere di riferire che esso ha altresì avuto un’ingente applicazione anche ad attività imprenditoriali7.
guenza di ciò sarà l’attrazione di tale rapporto nell’alveo delle regole poste dal codice del consumo (artt. 50 ss. d.lgs. 206/2005) e dal d.lgs. 70/2003, attuativo della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico. Quanto appena detto, infine, vale anche per la variante del reward-based crowdfunding che assume le forme sostanziali di una prevendita, su cui v. infra, nel testo. Per completezza, si riporta che la iosco e l’esma all’interno di propri documenti ufficiali sull’argomento riconducono a due grandi macro-aree (financial e non-financial, o community crowd-funding e financial return crowd-funding) le varie forme di crowdfunding indicate, in funzione della presenza o dell’assenza di una remunerazione finanziaria per il contribuente: v. iosco, Crowd-funding: an infant industry growing fast, 2014, p. 9, reperibile sul sito http://www.iosco.org; esma, Position paper on crowdfunding, 2014, punto 11, leggibile sul sito http://www.esma.europa.eu. 7 Secondo le rilevazioni presenti nel rapporto Massolution, 2013 CF - The crowdfunding industry report, 2013, pp. 43 ss. (acquistabile sul sito http://www.crowdsourcing. org), le somme destinate ad iniziative imprenditoriali attraverso il donation-based crowdfunding nel 2012 rappresentano il 12,8% (125.350.000 $) del totale (979.300.000 $), superando così il totale delle somme raccolte mediante l’equity-based crowdfunding (111.700.000 $). Occorre comunque avvertire che l’affidabilità di questi dati e la loro rilevanza in ambito giuridico devono essere considerate con grande cautela, se solo ci si sofferma a riflettere che, per un verso, all’etichetta “business” utilizzata nel rapporto non corrisponde necessariamente il nostro concetto di impresa e, per l’altro, che tra le iniziative finanziate se ne rinvengono alcune che potrebbero qualificarsi come imprenditoriali (produzioni videoludiche, discografiche…), ma che sono differentemente identificate nel rapporto citato. Anche per l’esma (Position, cit., punti 17 e 18) l’equity-based crowdfunding presenta dimensioni ridotte: «We can make an educated guess about the absolute, as well as relative, size of investment crowdfunding in Europe in the range between 50 and 100 million euros in 2013. This represents a marginal figure (less than 0,3%) when compared to the overall IPO market in Europe (estimated at 26 billion euros in 2013, according to PriceWaterhouse)». A ogni modo, sulla scorta di questi dati (e di altri più oltre riportati) che attestano una crescente affermazione del donation-based crowdfunding, sembrerebbe doveroso riconsiderare l’affermazione di Ferrarini, I costi dell’informazione societaria per le PMI: mercati alternativi, «crowdfunding» e mercati privati, in AGE, 2013, n. 1, p. 215, a parere del quale i fondi raccolti tra il pubblico degli internauti sarebbero destinati alle «attività più disparate […] fino al finanziamento di progetti imprenditoriali con intenti di liberalità o più realisticamente di investimento del risparmio»
361
Saggi
Se in questa variante si possono agevolmente rinvenire sul piano giuridico gli elementi caratterizzanti del contratto di donazione, più ardua risulta la qualificazione della frammentaria realtà del reward-based crowdfunding, nel quale chi fa appello alle contribuzioni altrui promette l’attribuzione di una qualche forma di ricompensa o premio, spesso graduata in relazione all’ammontare dell’offerta. La ricompensa, in realtà, può alle volte essere anche di valore puramente simbolico e consistere solo in un messaggio di ringraziamento, una menzione pubblica o un incontro con i promotori dell’iniziativa; in tal caso non vi è margine per estrapolare queste attribuzioni dall’ambito della liberalità. La considerazione non cambia laddove il premio abbia un valore esiguo o comunque ampiamente sproporzionato rispetto all’entità dell’erogazione effettuata, potendosi tutt’al più riconoscere talvolta i lineamenti di una donazione modale (art. 793 c.c.). Se, però, il valore del contributo e quello della ricompensa si approssimano, diventa problematico sceverare “la matrice di corrispettivo dell’acquisto di beni o della fruizione di servizi – laddove è evidente la sinallagmaticità – da quella di elargizione soltanto occasionata dal conseguimento di alcunché di valore irrisorio o addirittura esclusivamente affettivo – ove è palese l’intento liberale”8. All’evanescenza di questo confine si aggiunga, poi, che la locuzione reward-based crowdfunding è sovente usata anche in relazione a raccolte di fondi in cui è palese l’instaurarsi di un rapporto di scambio, o di un investimento finanziario. Nella prima ipotesi, si può parlare di una for-
(sottolineatura aggiunta). Incompleta pare, invece, l’informazione trasmessa da Alvisi, Equity, cit., p. 2, nel passaggio in cui sostiene che il donation-based crowdfunding è «finalizzato a finanziare iniziative senza scopo di lucro e rispetto al quale i soggetti che elargiscono il loro apporto finanziario […] non hanno diritto ad alcun rimborso» (sottolineatura aggiunta). Lo stesso rilievo è riprodotto quasi testualmente in Vitali, Equity crowdfunding. La nuova frontiera della raccolta del capitale di rischio, in Riv. soc., 2014. p. 371. Sorprende, inoltre, l’affermazione di Caratozzolo, La disciplina italiana dell’equity crowdfunding: tra incentivazione degli emittenti e tutela degli investitori, in Riv. trim. dir. econ., 2013, I, p. 266, scaricabile dal sito http://www.fondazionecapriglione.luiss.it, secondo il quale l’equity-based crowdfunding sarebbe «superiore rispetto […] alle operazioni di mera liberalità, prive di specifica disciplina e poco rilevanti da un punto di vista economico» (sottolineatura aggiunta). Infine, sembra non tenere conto dei dati prima riportati e generalmente ridimensiona la portata del crowdfunding Troisi, Crowdfunduìing e mercato creditizio: profili regolamentari, in Contr. e impr., 2014, pp. 519 ss. 8 Nonostante sia stata scritta riguardo ad altra materia, anche nell’argomento di cui ci si occupa è parsa particolarmente calzante la frase di Fusaro, Trasformazioni eterogenee, fusioni eterogenee ed altre interferenze della riforma del diritto societario sul «terzo settore», in Contr. e impr., 2004, p. 298.
362
Aldo Laudonio
ma di prevendita, accompagnata o meno dalla formula pay as you wish (già sperimentata, ad esempio, nelle industrie videoludica, discografica e cinematografica e, più in generale, dello spettacolo) e, se del caso, agganciata a diverse e crescenti fasce di erogazioni prestabilite dal soggetto richiedente in relazione a vari benefici accessori9. Giuridicamente non sembra di poter rinvenire alcun aspetto sensibilmente innovativo in tale strumento, classificabile senza grandi difficoltà e in massima parte tra i contratti aventi ad oggetto beni futuri, e lo stesso vale sul piano economico, ove chi procede ad effettuare un preordine gioca un ruolo di mero consumatore senza dar vita ad un vero e proprio finanziamento. Nella seconda varietà di reward-based crowdfunding, invece, è complesso individuare un riferimento univoco nel nostro ordinamento, e nel breve spazio di queste considerazioni ci si limita a suggerirne la contiguità con l’associazione in partecipazione. In effetti, si è già registrata qualche opinione che ha reclamato una qualificazione autonoma (profitsharing crowdfunding, royalty crowdfunding…)10 per questa peculiare
9 Non è necessariamente sempre vero quanto affermato da Pinto, L’equity, cit., p. 819, secondo il quale molto spesso allo schema della prevendita si accompagna «uno sconto rispetto al prezzo praticato al (successivo) momento della commercializzazione», in quanto può anche verificarsi che in realtà il quantum corrisposto attraverso il crowdfunding superi il successivo prezzo al mercato. Per una disamina economica delle condizioni d’uso ottimali e delle distorsioni cui può dar luogo il ricorso al pre-ordering, v. Belleflamme, Lambert e Schwienbacher, Crowdfunding: tapping the right crowd, in corso di pubblicazione su J. Bus. Venturing, 2014, p. 2, 6 ss. (del file scaricato dalla banca dati Elsevier). Nella letteratura italiana un’altra ricostruzione viziata del fenomeno cui si è accennato nel testo è offerta da Alvisi, Equity, cit., p. 3, secondo cui esso rappresenterebbe «un’evoluzione del reward-based model e in un certo senso transizione verso schemi partecipativi, particolarmente utilizzato da società di nuova costituzione, che prevede che al finanziatore sia accordato un trattamento di favore per usufruire dei servizi erogati dalla società o acquistare i suoi prodotti a condizione che l’iniziativa abbia successo, ed eventualmente il diritto a acquisire quote/azioni in un momento successivo». Oltre alle critiche già mosse nei confronti di Pinto, se ne possono aggiungere altre due: a) non sussiste alcun elemento a sostegno dell’affermazione che la prevendita derivi dal reward-based crowdfunding ed anzi si deve ricordare che svariati meccanismi di prevendita online esistevano già da diverso tempo prima che il crowdfunding prendesse piede; b) non consta che nel sistema basato sulla prevendita siano presenti anche opzioni che consentano acquisti di partecipazioni nelle società sollecitanti, ed in effetti la distanza tra la causa di vendita – presente in un caso – e quella societaria – presente nell’altro – non potrebbe essere maggiore. 10 Per la prima definizione, v. Belleflamme, Lambert e Schwienbacher, Crowdfunding, cit., pp. 2, 4 s. (ove anche per alcuni esempi concreti), nella quale, però, è altresì incluso l’equity-based crowdfunding, sebbene in conclusione gli autori evidenzino alcuni pro-
363
Saggi
sottospecie di reward-based crowdfunding, nella quale chi effettua un versamento matura successivamente ed in vari modi il diritto a partecipare agli utili derivanti dall’attività che ha patrocinato11. Con il lending-based crowdfunding la raccolta dei fondi si realizza in generale credendi causa12, ma presenta almeno due significative sottospecie sul piano operativo13: nella prima, il gestore della piattaforma su internet effettua una mera attività di mediazione14 tra le richieste di finanziamento e la platea dei potenziali mutuanti, con la conseguenza che, una volta terminata con successo la fase di raccolta delle promesse di mutuo, i promittenti mutuanti sono messi in contatto con l’aspirante
fili differenziali (p. 17). La seconda, invece, non è attestata in scritti scientifici noti, ma sembra prendere piede nella prassi e risulta particolarmente affermata nel settore discografico (ove non è altro che un’applicazione delle consuete modalità di remunerazione). 11 Nella maggior parte delle piattaforme consultate che seguono questo modello operativo non è previsto un obbligo di restituzione della somma originariamente versata, il che – pare appena il caso di precisarlo – impedisce che si possa assimilare il contratto tra sostenitore e beneficiario ad un mutuo parziario (eventualmente di scopo). Per ulteriori considerazioni e riferimenti sulla differenza tra associazione in partecipazione e mutuo parziario, v. Mignone, L’associazione in partecipazione, in Il codice civile. Commentario, diretto da Busnelli, Milano, 2008, pp. 78 ss. Appaiono superate le considerazioni di Ghidini, L’associazione in partecipazione, Milano, 1959, pp. 6 ss., il quale assimilava il mutuo parziario ad un’associazione in partecipazione con esonero dell’associato dalle perdite. Non condivisibile sembra, invece, l’orientamento di De Acutis, L’associazione in partecipazione, Padova, 1999, pp. 68 ss., 85 ss., 127 ss., 134 ss., il quale, ritenendo la partecipazione alle perdite un elemento soltanto naturale dell’associazione in partecipazione fa di questo contratto l’archetipo dei negozi parziari, creando però così serie difficoltà di ordine sistematico. 12 In proposito, si crede di dover segnalare il passaggio in cui Fregonara, La start up, cit., p. 93, afferma con una certa leggerezza che con tale tipo di crowdfunding «si finanziano, senza interessi, i progetti di microimprenditori non solvibili, che non riescono ad accedere ai prestiti bancari». Tale descrizione necessita almeno di due correzioni, perché la gratuità dei mutui non è certamente caratteristica generale (o anche solo preponderante) delle piattaforme che si occupano di lending-based crowdfunding, ed in secondo luogo poiché le richieste di finanziamento provengono da qualsiasi soggetto e non solo da “microimprenditori”, per giunta non solvibili. Il rilievo circa la natura non necessariamente imprenditoriale dei soggetti che ricorrono a questa (ed altre) forme di crowdfunding si può estendere anche alle osservazioni di Troisi, Crowdfunding, cit., p. 250. 13 Per un’illustrazione di altre varianti, v. iosco, Crowd-funding, cit., pp. 16 ss. e a p. 38, ove per una catalogazione di alcuni operatori in relazione alle caratteristiche della loro attività. V. anche Manzi, Il fenomeno, cit., pp. 405 ss. 14 Tale attività non è inquadrabile in quella descritta nell’art. 128-sexies, co. 1, t.u.b. (diversamente, tuttavia, si pronuncia Manzi, Il fenomeno, cit., p. 404, nt. 26). Nonostante ciò, qualora la piattaforma operi nell’ambito del credito al consumo, sarà forse riconducibile alla figura dell’“intermediario del credito” definito all’art. 121, co. 1, lett. h), t.u.b.
364
Aldo Laudonio
mutuatario e versano direttamente a costui le somme che hanno scelto di concedere. Più complessa appare l’attività svolta da altri gestori che pure si inscrivono in questa ramificazione del crowdfunding, dal momento che in essa sono intuibili i tratti dell’intermediazione bancaria: i fondi sono, infatti, raccolti presso il pubblico e poi ridistribuiti dal gestore della piattaforma tra i vari potenziali mutuatari ritenuti meritevoli le cui richieste di mutuo siano compatibili con le proposte immesse nel sistema dai vari mutuanti15. La conclusione non cambia considerando che su certe piattaforme è prevista la sola restituzione delle somme attribuite senza la corresponsione di interessi ai finanziatori. Nel panorama mondiale non mancano, poi, architetture anche più complesse, nelle quali si prevede a favore dei mutuanti l’emissione di titoli qualificabili come “di debito” che incorporano le posizioni creditorie spettanti; ciò di solito avviene mediante specifiche società-veicolo costituite volta per volta dal gestore della piattaforma secondo un meccanismo assimilabile alla cartolarizzazione. Da ultimo, attraverso l’equity-based crowdfunding si consente a coloro che lo vogliono di entrare a far parte di una compagine societaria effettuando i relativi conferimenti (in caso di un aumento di capitale a servizio) o acquistando delle partecipazioni già esistenti (ipotesi, quest’ultima, che però appare decisamente più rara nella prassi). Attraverso la piattaforma, a costoro è generalmente illustrato il genere di attività imprenditoriale che si intende intraprendere e vengono fornite altre informazioni rilevanti (societarie, patrimoniali, finanziarie…) che consentano di adottare una scelta d’investimento consapevole. Rispetto alle altre specie di crowdfunding, quest’ultima negli USA è stata oggetto di un massiccio dibattito giuridico e politico16, che ha pre-
15 In Italia si può riferire di una piattaforma che opera in maniera simile e che risulta iscritta nell’albo degli intermediari finanziari ex art. 106 t.u.b.: ciò è legato al fatto che tale società non effettua direttamente la raccolta del risparmio, poiché coloro che intendono erogare prestiti sono indirizzati ad una banca presso cui sarà aperto un conto deposito (secondo il modello denominato dalla iosco, Crowd-funding, cit., p. 17 s., client segregated account model). Non pare peraltro che nel nostro paese esista alcuna piattaforma appartenente alla species descritta nel testo, e ciò non sorprende particolarmente: nell’eventualità in cui si intendesse crearne una, dovrebbe presumibilmente richiedere l’autorizzazione all’attività bancaria alla Banca d’Italia e sottostare alla relativa vigilanza. Cfr. anche le perplessità accennate in Girino, Le regole, cit., pp. 75 s., testo e nt. 3. 16 Si può anzi sostenere che l’equity-based crowdfunding, con poche eccezioni, ha di fatto monopolizzato gli studi di natura giuridica sinora pubblicati sul tema: Heminway e Hoffman, Proceed, cit., pp. 879 ss., i quali però a più riprese ammettono l’eterogeneità
365
Saggi
so le mosse da una considerazione la quale non è stata probabilmente stata oggetto di un accurato processo di revisione critica da parte del legislatore statunitense. Secondo i sostenitori della meritevolezza di una regolamentazione apposita dell’equity-based crowdfunding, essa si sarebbe resa indispensabile per poter sottrarre questa forma di procacciamento di capitali dall’obbligo di preventiva registrazione presso la SEC e da tutti i doveri informativi concomitanti e successivi: in quest’ottica i vincoli normativi (e gli oneri economici) legati alla realizzazione di un’ipo rappresenterebbero l’ostacolo principale al pieno sviluppo di questa forma di finanziamento. A ben vedere, ciò assume i contorni di un vero e proprio assioma, poiché tale proposizione lascia in ombra alcune fondamentali differenze tra questa forma di crowdfunding e le altre; inoltre equiparandole indebitamente, desume dal successo delle altre (che si muovono al di fuori delle “pastoie” della normativa sui mercati finanziari)17 la ragione dell’insuccesso di quella per cui si invoca un re-
delle fattispecie ricomprese nella capiente etichetta del crowdfunding (p. 881, nt. 4 e 5, pp. 942 s., nt. 308, p. 951, pp. 963 ss., ove per una tabella in cui si classificano vari operatori), senza tuttavia approfondirne lo studio; Burkett, A crowdfunding, cit., pp. 79 ss., dedica comunque alcuni cenni alle altre forme di crowdfunding (pp. 71 ss.); Palmiter, Pricing disclosure: crowdfunding’s curious conundrum, in Oh. St. Ent. Bus. L. J., 2012, 7, no. 2, pp. 373 ss.; Bradford, Crowdfunding, cit., pp. 42 ss.; Bradford, The new federal crowdfunding exemption: promise unfulfilled, in Sec. Reg. L. J., 2012, 40, no. 3, pp. 1 ss.; S.R. Cohn, The new crowdfunding registration exemption: good idea, bad execution, in Fla. L. Rev., 2012, 64, no. 5, pp. 1435 ss.; Schwarz, Crowdfunding, cit., pp. 1460 ss.; Hazen, Crowdfunding or fraudfunding? Social networks and the securities laws – Why the specially tailored exemption must be conditioned on meaningful disclosure, in N.C. L. Rev., 2012, 90, no. 5, pp. 1735 ss.; Heminway, Business lawyering in the crowdfunding era, in Am. U. Bus. Rev., 2014, 3, no. 1, pp. 151 ss., in cui è dedicata particolare attenzione alla funzione consulenziale ed ai profili di responsabilità dell’avvocato nrllo svolgimento di operazioni di crowdfunding. 17 Anche se bisogna ricordare che il lending-based crowdfunding si muove (volutamente) ai margini del non sempre netto perimetro dell’attività bancaria mimandone certe caratteristiche. Come già segnalato supra, alle nt. 14 e 15 (e testo corrispondente), talvolta potrebbero realizzarsi degli “sconfinamenti”, con l’eventuale applicazione delle relative sanzioni per lo svolgimento abusivo di attività riservate. In Francia, alcune piattaforme di crowdfunding si sottraevano al monopole bancaire prevedendo che i mutui concessi sono erogati a titolo gratuito (cfr. artt. L. 311-1, L. 313-1 e L. 511-5 Code monétaire et financier e AMF-ACP, Guide du financement participatif (crowdfunding) a destination des plates-formes et des porteurs de projet, 2013, p. 4, disponibile sul sito http://www.acpr. banque-france.fr, in cui si equiparano ai mutui gratuiti anche quelli cui sia associata l’attribuzione di «avantages en nature de faible valeur destiné à promovoir le projet ou son initiateur»); più spesso, però, in quel paese i gestori delle piattaforme operavano come conseiller en investissements financiers o intermédiaire en opérations de banque et en
366
Aldo Laudonio
gime privilegiato. Non solo, è stato scarsamente preso in considerazione il profilo dell’incremento (potenzialmente repentino) della complessità della governance e dei costi transattivi ad essa legati18 a cui si lega poi strettamente l’osservazione in base alla quale il compimento di un’operazione di equity-based crowdfunding potrebbe precludere il successivo accesso al venture capital, proprio per la complicazione del quadro delle relazioni interne e la moltiplicazione degli interessi rilevanti19. Comunque sia, anche concedendo astrattamente che all’equity-based crowdfunding si schiuderebbero alcuni ulteriori margini di sviluppo, non pare che la barriera regolamentare all’ingresso sia il vero handicap che ne blocca la crescita e meno ancora sembra che si possano legittimamente stabilire dei paragoni tra fenomeni tra loro affatto dissimili: proseguendo nel ricorso alla terminologia tipica del diritto della concorrenza, si è infatti convinti che le varie tipologie di crowdfunding non possano essere forzatamente aggregate e valutate come segmenti di un unico mercato rilevante. Difficilmente si può credere, infatti, che la
services de paiement avendo ottenuto le relative autorizzazioni e avvalendosi per la loro operatività di una banca presso cui erano raccolti i fondi e che provvedeva ad erogare il credito (tale linea di condotta è suggerita anche da AMF-ACP, Guide, cit., pp. 5 s.). A seguito dell’emanazione dell’ordonnance n. 2014-559 relativa al financement participatif la situazione descritta è destinata a cambiare parzialmente, poiché a partire dall’1 ottobre 2014 sfuggiranno al monopolio dell’attività bancaria le «personnes physiques qui, agissant à des fins non professionnelles ou commerciales, consentent des prêts dans le cadre du financement participatif de projets déterminées, conformément aux dispositions de l’article L. 548-1 et dans la limite d’un prêt par projet». I mutui dovranno essere a tasso fisso e non potranno superare la soglia dell’usurarietà (art. L. 511-6, al. 7, Code monétaire et financier, introdotto dall’art. 16 ord. cit.). 18 Un elenco di altri e più generali costi transattivi che si accompagnano a qualsiasi riforma normativa si può leggere in Heminway e Hoffman, Proceed, cit., pp. 940 s., i quali peraltro suggeriscono una serie di possibili alternative de lege ferenda per minimizzarli (p. 941p ss., 955 ss.). Altri suggerimenti si possono rinvenire in Hazen, Crowdfunding, cit., pp. 1753 ss., il quale insiste particolarmente sul fatto che «a viable crowdfunding exemption should include not only disclosure of the «risks, obligations, benefits, [and] history» of the offering, but also meaningful disclosure of the nature of the business sufficient to enable investors to evaluate the merits of the securities being offered» (e si veda anche la trattazione dei profili concernenti i margini di possibile riduzione di obblighi informativi comunque esistenti in taluni regimi semplificati per la realizzazione di offerte pubbliche da parte di small businesses presi a modello da quest’A.: pp. 1763 ss.). 19 Sul punto, si legga l’accenno riportato da Hazen, Crowdfunding, cit., p. 1754, nt. 108: «Catherine Mott, founder and CEO of BlueTree Capital Group and BlueTree Allied Angels, said equity may not be the right type of ownership for crowdfunding. Companies seeking ‘follow-on funding’ will have a hard time getting it from sophisticated investors».
367
Saggi
grande (e crescente) mole di micro-erogatori liberali o di (pre)acquirenti nutra qualche interesse a conseguire delle partecipazioni societarie20. Tuttavia la voce dei sostenitori dell’equity-based crowdfunding è stata tanto forte da giungere in maniera sorprendentemente rapida all’attenzione degli organi legislativi degli USA e ancor più sollecitamente le richieste presentate si sono trasformate in legge, il Jobs Act21 del 5 aprile
20 Oltre all’infungibilità tra le modalità di raccolta e dei relativi effetti per i soggetti finanziati e per i finanziatori sottolineata nel testo, molte altre potrebbero comunque essere le barriere suscettibili di frammentare ulteriormente il crowdfunding in una grande varietà di mercati rilevanti tra loro separati, quali quella linguistica, quella derivante dal(/i) settore(/i) merceologico(/i) in cui è specializzato il portale, quella geografica…. Proprio su quest’ultima ripartizione la stessa Iosco, Crowd-funding, cit., p. 20, sottolinea che «the majority of business models for both peer-to-peer lending and equity crowdfunding choose to market themselves in only one locality» e a p. 42 indica che la ragione di ciò risiede principalmente nell’incertezza sul diritto applicabile. Tra gli aziendalisti, si sono evidenziati limiti geografici legati ai legami familiari, ai gusti, alla cultura, alle tradizioni o ad altre caratteristiche dei finanziatori: Mollick, The dynamics, cit., pp. 9 s.; si veda anche l’indagine empirica di Agrawal, Catalini, Goldfarb, The geography of crowdfunding, in NBER Working Paper Series, 2011, pp. 1 ss., disponibile sul sito http:// www.nber.org, sulle caratteristiche geografiche dell’attività del portale Sellaband, specializzato in ambito discografico. 21 Nel solco delle riflessioni qui abbozzate si può inserire anche l’ulteriore (sarcastica) critica mossa da Palmiter, Pricing, cit., p. 374, il quale afferma che «JOBS is the Orwellian acronym for Jumpstart Our Business Startups, based on the legislation’s questionable assumption that small businesses will hire new employees if the companies have greater access to securities investors». Vale la pena riportare anche le parole del chief judge Frank Easterbrook, secondo il quale «the JOBS Act stands for […] “Jumpstart Our Business Startups Act” […]. Like many a legislative title designed to support a catchy acronym, it’s inaccurate in every particular. The legislation isn’t limited to startups. It covers trading companies with as many as 2,000 public investors. And it isn’t about jobs. It’s about the cost of capital for smaller firms. A firm could produce no jobs at all and still be covered. Political actors care about jobs because people vote, but from the economic standpoint the goal is efficient production, rather than production that requires a lot of labor» (si tratta della trascrizione del convegno Corporations - Deregulating the markets: the JOBS Act, in Del. J. Corp. L., 2013, 38, pp. 476 s.). Per una sintesi dei contenuti del JOBS Act in lingua italiana, v. Assonime, L’impresa start up innovativa, circ. 11/2013, in Riv. soc., 2013, pp. 800 ss. Differentemente dagli usa, in Francia il legislatore si è preoccupato più equilibratamente di introdurre una normativa in grado di contemplare e disciplinare oltre all’equity-based, anche il lending-based, il donation-based ed il reward-based crowdfunding: v. artt. 1-14 ord. n. 2014-559 (sulla figura del conseiller en investissement participatifs e sul perimetro della disciplina dell’offerta al pubblico di titres financiers nel quadro di un’operazione di financement participatif), artt. 15-21 (in materia di financement participatif realizzato mediante mutui o donazioni – di particolare interesse è l’introduzione degli intermédiaires en financement participatifs: art. 17). Si deve segnalare che, similmente alla
368
Aldo Laudonio
del 2012 e più specificamente nel suo Title III (Crowdfunding Act), con cui sono state apportate varie modifiche al Securities Act del 1933 ed al Securities Exchange Act del 1934. In estrema sintesi, i contenuti della riforma si possono raccogliere intorno a quattro direttrici di intervento: 1) è prevista un’eccezione agli obblighi di registrazione presso la SEC per le offerte di securities inferiori ad un certo ammontare complessivo annuale (un milione di dollari)22 realizzata da un broker o da un funding
regolamentazione statunitense, anche quella francese è al momento incompleta, poiché contiene varie deleghe regolamentari ancora non attuate. 22 Vi è anche una serie di limiti massimi all’importo aggregato degli investimenti individuali nel medesimo periodo: le soglie sono differenziate in relazione al reddito o al patrimonio dell’investitore. Su questi tetti all’investimento si è già notato che, riducendo l’ammontare della ricchezza esposta al rischio, non contribuiscono comunque da soli a proteggere più efficacemente gli investitori o a rendere le relative offerte al pubblico più sicure e si sono invocate altre misure accessorie: Hazen, Crowdfunding, cit., pp. 1765 ss., osserva che «although it is often said that good things come in small packages, fraud can come in small packages, too. Fraud in small packages can be just as effective and damaging to the victims, many of whom may be least able to bear the risk of even a small investment in a speculative business» e conclude: «Regardless of the amount of money to be raised, any exemption for crowdfunding should include some affirmative disclosure requirements»; Heminway e Hoffman, Proceed, cit., p. 946. Per altro verso, anche in considerazione della ridotta dimensione degli importi esposti a rischio, si incontra talvolta la sottolineatura di una certa prossimità tra il crowdfunding ed il gioco d’azzardo: Kappel, Ex ante, cit., pp. 378 ss., 382 ss., analizza il caso di una piattaforma di crowdfunding britannica gestita mediante un sistema di scommesse (va al riguardo precisato che la piattaforma citata - Slicethepie.com – attualmente non opera più secondo quel metodo ed anzi non è più attiva nell’ambito del crowdfunding) e valuta quali modifiche possano essere apportate al diritto statunitense per consentire il ricorso a quello che chiama betting model di crowdfunding; Heminway e Hoffman, Proceed, cit., p. 935, nt. 280, viceversa sottolineano condivisibilmente al riguardo che la legge garantisce diversi livelli di protezione a seconda dei contesti in cui il singolo agisce in base a delicati bilanciamenti di interessi; Schwarz, Crowdfunding, cit., p. 1475, testo e nt. 107, approva infine il fatto che anche ai piccoli investitori (non accredited) sia stata data la possibilità di “tentare la sorte” investendo nel successo di una startup… aggiungendo per rafforzare il suo argomento che costoro hanno già «the opportunity to gamble unlimited amounts in Las Vegas or via state lotteries» (la medesima assimilazione è presente anche in Id., Keep it light, chairman White: SEC rulemaking under the Crowdfund Act, in Vand. L. Rev. En Banc, 2013, 66, p. 45). Sul punto ci si limita a sottolineare la pericolosa capziosità di quest’ultimo argomento, il quale, accomunando quoad effectum scommesse ed investimenti, tende a suggerirne un’equiparazione anche sul piano della disciplina: se si pensa, ad esempio, al faticoso percorso con cui si è pervenuti all’emancipazione dei contratti derivati dall’applicazione dell’eccezione di gioco (art. 25, co. 3, t.u.f.), si può forse comprendere meglio il rischio insito nell’insistere sulla “ludicità” del crowdfunding. Reintrodurre surrettiziamente la logica del gioco per giustificare
369
Saggi
portal (sec. 302(a)); 2) un funding portal conosce un generale regime di esenzione rispetto agli obblighi di registrazione previsti per i broker
la rinuncia alle consistenti (seppure costose) tutele previste a favore dei clienti retail è altamente destabilizzante nel quadro regolamentare generale dei mercati finanziari: così si assimilano attività affatto diverse sul piano della concreta funzione economico-sociale con ricadute potenzialmente dirompenti sulla ragionevolezza di quest’ordinamento settoriale. Sul rapporto tra gioco e derivati finanziari, si vedano da ultime, anche per ogni riferimento, le divergenti opinioni nei contributi di Dolmetta, Introduzione. Speculazione e prudenza; Maffeis, L’ufficio di diritto privato dell’intermediario e il contratto derivato over the counter come scommessa razionale; Di Raimo, Dopo la crisi, come prima e più di prima (il derivato finanziario come oggetto e come operazione economica); Barcellona, Contratti derivati puramente speculativi: fra tramonto della causa e tramonto del mercato; Minneci, L’operatività in IRS: tra causa tipica, causa concreta e obbligo di servire al meglio l’interesse del cliente; Corrias, I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori; Pagliantini, I costi impliciti nei derivati fra trasparenza e causa (ovvero quando nomina non sunt consequentia rerum), in SWAP tra banche e clienti. I contratti e le condotte, a cura di Maffeis, Milano, 2014, rispettivamente alle pp. XIII ss., 20 ss., 44 ss., 91 ss., 163 ss.; 193 ss., 216 ss. Cui adde, per una riflessione di più ampio respiro e la richiesta di una tutela preventiva forte della clientela, Nigro, Crisi finanziaria, banche, derivati, in Dir. banc., 2009, I, pp. 13 ss., spec. 18 ss. In giurisprudenza, cfr. le recenti App. Milano, 18 settembre 2013; Trib. Torino, 27 gennaio 2014; Trib. Milano, 13 febbraio 2014, tutte consultabili sul sito http://www.dirittobancario.it. Merita di essere infine sottolineato che Bradford, Crowdfunding, cit., pp. 105 ss., assai incisivamente affermava già prima dell’entrata in vigore del JOBS Act: «A crowdfunding exemption, properly structured, can ameliorate some, but not all, of the risk. But investments in small businesses, whether or not those investments are facilitated through crowdfunding, are inherently risky. Crowdfunding possesses no magical properties that prevent investors from losing money just like other investors» e di seguito ricordava che «investing in small businesses is very risky. Small business investments are illiquid, and small businesses, especially startups, are much more likely to fail than are more established companies. Losses due to fraud and self-dealing are also much more likely. Small business investments expose investors to a disproportionate risk of fraud. The abuses in the penny stock market in the 1980s “typify the securities fraud potential associated with direct marketing of microcap securities to individual investors”. The SEC’s experience when it eased the requirements of the Rule 504 small offering exemption in the 1990s also illustrates the potential fraud associated with unregulated small offerings. The changes freed Rule 504 offerings from federal mandatory disclosure requirements even when those offerings were not registered at the state level. In New York, which has no state registration requirement, “Rule 504 was being used by nefarious promoters to distribute up to $1 million of securities in New York to a select favored group, followed promptly by boiler-room promotions that artificially drove up the secondary market price until such time as the initial purchasers could sell their shares at a handsome profit, leaving the gullible crop of new investors with suddenly deflated shares and irrecoverable losses”» (sottolineature aggiunte). L’accostamento tra i portali per il crowdfunding e le boiler rooms è leggibile anche in Thompson e Langevoort, Redrawing the public-private boundaries in entrepreneurial capital raising, in Cornell L. Rev., 2013, 98, no. 6, p. 1605.
370
Aldo Laudonio
(sec. 304) e nello svolgimento della sua attività deve presentare un’articolata serie di informazioni (tra cui anche quelle predisposte dall’emittente) agli investitori ed alla SEC, oltre ad effettuare dei penetranti controlli sull’emittente e su vari suoi esponenti per ridurre il rischio di frodi (sec. 302(b)); 3) l’emittente deve trasmettere alla SEC, agli intermediari ed agli investitori una notevole mole di informazioni, che pur non presentando i medesimi contorni di un vero e proprio prospetto, non se ne discosta di molto, e ciò la espone anche a specifiche responsabilità; 4) le securities emesse sono soggette ad un divieto di circolazione (salve limitate esenzioni). La disciplina relativa all’equity-based crowdfunding così introdotta sarà operativa soltanto a seguito della elaborazione dei responsi ottenuti nella fase di consultazione sulla bozza di regolamento attuativo predisposta dalla SEC23, ma è già circondata da numerose e vibrate critiche24 perché si prevede che invece di realizzare l’auspicata semplificazione, in realtà comporterà un aumento degli oneri regolamentari che si voleva rimuovere e si introdurranno nuovi profili di responsabilità. Per molti aspetti queste norme hanno rappresentato il modello a cui si è rivolto lo sguardo del legislatore italiano: ad ogni modo, come se non bastasse il conclamato overshooting normativo statunitense, nella versione italiana sono state introdotte nuove ed inesplicabili criticità.
23 Il documento di consultazione (quasi 600 pagine, di cui circa un centinaio dedicate alla modulistica e ad altri allegati) è attualmente disponibile sul sito http://www.sec.gov/ rules/proposed/2013/33-9470.pdf. Il successo del crowdfunding ha inoltre suscitato l’attenzione della Commissione dell’Unione Europea, la quale lo ha menzionato nel suo Libro Verde Il finanziamento a lungo termine dell’economia europea, COM(2013) 150, par. 3.4, pp. 19 s. (della versione italiana), ed ha altresì realizzato un’indagine conoscitiva mediante una consultazione in proposito, la cui documentazione ed i relativi risultati sono leggibili sul sito: http:// ec.europa.eu/internal_market/consultations/2013/crowdfunding/index_en.htm. L’esito di tale consultazione ha poi spinto la Commissione a istituire un nuovo organo consultivo e promozionale denominato European Crowdfunding Stakeholders Forum (per maggiori informazioni su funzioni e composizione, v. http://ec.europa.eu/internal_market/finances/crowdfunding/index_en.htm#ecsf). Per riferimenti a consultazioni sul crowdfunding in altri stati, v. iosco, Crowd-funding, cit., p. 31. 24 Si confrontino i vari accenti di Cohn, The new crowdfunding, cit., pp. 1443 ss.; Palmiter, Pricing, cit., pp. 389 ss., 401 ss.; Bradford, The new federal, cit., pp. 23 ss., il quale lamenta la scadente tecnica redazionale del JOBS Act, la complessità e onerosità del regime che ha disegnato, nonché svariati profili di incertezza per i funding portals; Thompson e Langevoort, Redrawing, cit., pp. 1605 ss. Diversamente, Schwarz, Crowdfunding, cit., pp. 1473 ss., mostra approvazione per il Crowdfunding Act.
371
Saggi
Prima di scendere nel dettaglio, può tuttavia essere opportuno offrire qualche ulteriore spunto di riflessione di carattere economico per approfondire natura, moventi e vantaggi del crowdfunding ed osservare in una maniera differente l’intricato complesso formato dal d.l. 179/2012 e dal reg. equity c.f.
3. Alcune considerazioni economiche (…e non solo). La crescente diffusione tra gli operatori economici dell’appello internautico disintermediato (o a bassa intensità di intermediazione)25 al micro finanziamento diffuso e la sua accentuata diversificazione derivano, da un lato, nell’inaccessibilità giuridico-economica – o comunque nella difficoltosa raggiungibilità – di altre e più convenzionali fonti di finanziamento (quali il credito bancario, il venture capital ed i business angels)26, e, dall’altro, nell’onerosità legata all’accesso al mercato dei capitali27.
25
In relazione a tre diversi casi da loro studiati Ordanini, Miceli, Pizzetti, ParasuraCrowdfunding: transforming customers into investors through innovative service platforms, in J. Serv. Man., 2011, 22, no. 4, pp. 443 ss. (consultato e di seguito citato facendo riferimento alla versione disponibile sul sito http://didattica.unibocconi.it), evidenziano più dettagliatamente che «the firm can either add an intermediary role that was previously absent (as in the case of Kapipal and its consumer-to-consumer funding), or substitute a traditional intermediary (e.g., SellaBand taking the place of traditional recording companies), or disintermediate by eliminating the activity of a service provider previously involved in the network (e.g., Trampoline’s approach avoids the use of traditional venture-capital services)». Per ulteriori riflessioni sulla funzione di disintermediazione che il crowdfunding aspirerebbe a svolgere: Troisi, Crowdfunding, cit., pp. 520, 524. 26 Il rilievo è comune a tutti gli studi di carattere economico/aziendale sul tema e al riguardo si rinvia agli scritti già citati nella nt. 5. Esso si affaccia comunque anche nella letteratura giuridica nostrana: Bollettinari, Il crowdfunding, cit., p. 12; M. Pinto, L’equity, cit., p. 820 (testo e nt. 14 e 15, con riferimento all’esperienza statunitense). Si vedano anche le informazioni relative al costo della quotazione negli USA e sui suoi effetti dissuasivi nei confronti delle pmi riportate da Heminway e Hoffman, Proceed, cit., p. 908 ss., testo e note 144-148 per ulteriori riferimenti; Schwarz, Crowdfunding, cit., p. 1468 ss. La considerazione è presente anche in Esma, Position, cit., punto 21; iosco, Crowd-funding, cit., p. 21. 27 Con riguardo a quest’ultimo ambito, si vedano le considerazioni sui costi informativi e le proposte di Ferrarini, I costi, cit., pp. 203 ss., spec. 213 ss. Per una sintetica analisi dei fattori economici del crescente successo del crowdfunding, specie alla luce della crisi finanziaria iniziata nel 2008, v. iosco, Crowd-funding, cit., pp. 12 ss. Per altro verso, bisogna incidentalmente notare che l’onerosità della quotazione in un mercato regolamentato non è stata affatto mitigata dalle regole adottate con l’art. 20, co. 1, d.l. 91/2014, rubricato “misure di semplificazione a favore della quotazione delle man,
372
Aldo Laudonio
Non solo, rispetto a tali fonti, il crowdfunding, specie nella sua applicazione a iniziative imprenditoriali, presenta ulteriori e notevoli vantaggi, quali quello di poter saggiare preliminarmente il potenziale successo28 presso il pubblico del bene o del servizio che si intende realizzare. Si risparmiano così i costi legati agli strumenti di analisi del mercato ottenendo al contempo una convalida della bontà del progetto agevolmente spendibile in seconda battuta presso gli investitori professionali. Il contatto sulle piattaforme informatiche contribuisce, quindi, a fornire un mezzo utile a colmare almeno in parte il divario informativo che separa gli operatori economici che alimentano l’offerta dai destinatari di essa; procura altresì la possibilità di stabilire con questi ultimi relazioni di natura collaborativa prima altrimenti precluse. L’incontro virtuale con
imprese e misure contabili”: il complesso delle interpolazioni effettuate sul t.u.f., lungi dal realizzare una semplificazione, sembra volto piuttosto ad incentivare la quotazione da parte di società di piccola e media dimensione a proprietà concentrata attraverso un sensibile depotenziamento della loro contendibilità. Non solo si dubita dell’effettiva necessità ed urgenza di un simile intervento nell’ambiente giuridico-economico del mercato regolamentato italiano, in cui la contendibilità è già molto bassa, ma si crede anche che la “personalizzazione” delle S.p.a. realizzata mediante l’attribuzione di diritti di voto maggiorati a certi soci (art. 127-quinquies t.u.f.) introduca un forte ostacolo all’ulteriore crescita sul mercato di queste società e presenti vari profili di attrito sistematico con la “finanziarizzazione” delle S.r.l. start-up innovative (su quest’ultimo fenomeno, v. infra, sub nt. 94 e 95 e testo corrispondente). 28 O anche il suo insuccesso, consentendo così di abbandonare l’iniziativa senza consumare inutilmente in essa tempo e risorse: Mollick, The dynamics, cit., p. 3, parla in tal caso di fail quickly. Pare il caso di aggiungere che al di là della bontà del progetto vi sono altre dinamiche del processo comunicativo su internet che influenzano fortemente il successo della raccolta: ad esempio, nel settore del peer-to-peer lending è stata rilevata una particolare tendenza dei prestatori a fornire credito a soggetti che caratterizzassero la propria identità e la propria storia secondo una narrativa con certi elementi ricorrenti (affidabilità, successo, religiosità, onestà…), ma che, nella maggior parte dei casi, si sono rivelati cattivi pagatori, se non del tutto insolventi: per ulteriori e stimolanti riflessioni, v. Herzenstein, Sonenshein e Dholakia, Tell me a good story and I may lend you my money: the role of narratives in peer-to-peer lending decisions, in J. Marketing Res., 2011, 48, pp. 138 ss. (ed anche sul sito http://papers.ssrn.com/, che qui si cita: pp. 8 ss., 22 ss.). Per un primo approccio alla “fallacia narrativa”, ossia l’innata propensione a credere ad esposizioni logicamente ordinate di fatti anziché a dati non elaborati, ed ai guasti che produce nelle previsioni finanziarie e nei conseguenti investimenti, si veda Taleb, The black swan. The impact of the highly improbable2, London, 2010, pp. 62 ss., 267 ss. Sul rilievo dei cognitive biases nella nostra dottrina, v. Angelici, La società per azioni. Principi e problemi, I, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 2012, pp. 527 ss.
373
Saggi
i destinatari della propria attività produttiva, all’inverso, può mutare significativamente i processi decisionali e le strategie dell’imprenditore, spingendolo sovente a coinvolgerli attraverso i social networks o attraverso le comunità predisposte dalle stesse piattaforme di crowdfunding. In altre parole, e sempre con riferimento all’ambito imprenditoriale, il crowdfunding può contribuire in molti modi alla creazione e all’accrescimento di valore sia sul piano economico-finanziario, ampliando le modalità di reperimento del capitale e riducendone il costo29 o abbattendo i tempi del processo produttivo, sia sul piano relazionale-cognitivo, in quanto permette di ridurre – se utilizzato efficientemente – una serie
29 In relazione alla fondamentale equazione base del valore W = R i (ove “W” rappresenta il valore del capitale economico dell’impresa, dato dal rapporto tra il reddito medio normale atteso – “R” – e il costo del capitale – “i” –), il crowdfunding, quale alternativa agli ordinari canali di finanziamento (e in particolare alla quotazione borsistica), è in grado di agire sul denominatore abbassandolo sensibilmente. Tra gli studiosi di finanza aziendale si attribuisce la paternità della teoria della creazione di valore per gli azionisti a Rappaport, Creating shareholder value: The new standard for business performance, New York, 1986: tale A., per vero, qualche anno dopo è tornato sui suoi passi enunciando una serie di integrazioni alle istanze (oltre a quelle dei soci, anche quelle dei dipendenti, dei fornitori, dei consumatori…) che gli amministratori devono ponderare nel compimento delle proprie scelte, il tutto in un’ottica di lungo periodo (Id., Creating shareholder value: A guide for managers and investors, New York, 1998), passando dall’ottica per lo più descrittivo/predittiva della prima opera a un’impostazione maggiormente prescrittiva. È inoltre doveroso menzionare lo scritto in cui si è proposto il concetto della cosiddetta enlightened value maximization e della corrispondente enlightened stakeholders theory per fornire uno strumento quantitativo utile al management per coniugare i vari interessi prima accennati nelle proprie scelte operative: Jensen, Value maximization, stakeholder theory, and the corporate objective function, in J. App. Corp. Fin., 2001, 14, no. 3, pp. 8 ss. Per altre informazioni e riferimenti, si veda nella letteratura italiana: Guatri, La teoria di creazione del valore. Una via Europea, Milano, 1991, passim. Nell’ambito della letteratura giuscommercialistica nazionale, si segnalano le riflessioni di Ferrarini, Valore per gli azionisti e governo societario, in Riv. soc., 2002, p. 462, il quale svolge una rassegna di problematiche relative a particolari vicende societarie di carattere gestionale o strutturale in un costante raffronto con gli esiti raggiunti dalla letteratura economica e giuridica straniera; Denozza e Stabilini, CSR and corporate law: the case for preferring procedural rules, 2008, pp. 1 ss., spec. 13 ss., consultabile sul sito http://www.ssrn.com; Angelici, La società, cit., pp. 101 s., testo e nt. 51, il quale ricorda, come gli autori dell’articolo citato prima, la § 172 del Companies Act britannico del 2006 (cui si può accostare l’art. 64 del Código das Sociedades Comerciais portoghese) come esempio di trasposizione normativa dell’enlightened shareholder value ed illustra le difficoltà applicative derivanti dalla plurivocità dello shareholder value in situazioni di inefficienza del mercato finanziario, specialmente come metro della responsabilità degli amministratori (a pp. 410 ss., testo e nt. 133 e 134).
374
Aldo Laudonio
di asimmetrie informative e di creare tra richiedente e contribuenti un reticolo di rapporti, anche di lungo termine, funzionali all’evoluzione dell’attività d’impresa. Cercando di attingere all’essenza del finanziamento della folla, si crede di poterla individuare nel “progetto” diffuso su internet e accompagnato dalla richiesta di finanziamento30. Spogliando, in realtà, il crowdfunding dei mutevoli connotati strutturali legati alle finalità perseguite dalle parti dell’operazione, si può invero riscontrare che è intorno al progetto, il quale funge da elemento selettivo e condizionante, che si raccoglie l’attenzione dei contribuenti. Costoro nella grande maggioranza dei casi non sono interessati a partecipare attivamente all’organizzazione. Per lo più, infatti, essi intendono inserirsi strumentalmente nel concretizzazione del progetto presentato perché credono nella causa che lo anima o per ragioni di solidarietà (e ciò vale specialmente per iniziative politiche o filantropiche), o perché vogliono contribuire alla realizzazione di prodotti o servizi che siano sempre più rispondenti ai loro gusti ed ai loro bisogni (e ciò è quanto vale con riguardo ad iniziative imprenditoriali in generale, anche se va precisato che chi contribuisce potrebbe anche non rendersi mai un cliente dell’impresa)31. È altresì vero che nel lending crowdfunding l’aspettativa della remunerazione del finanziamento fa passare in secondo piano il momento progettuale rispetto alla valutazione del merito creditizio del richiedente, ma la portata e l’attendibilità di una simile considerazione si attenuano in relazione a contesti imprenditoriali; in questi ambiti sono le prospettive reddituali a condizionare l’apprezzamento, sia pur sommario, delle potenzialità del progetto, facendo premio sulle caratteristiche soggettive del richiedente32. Tutto quanto ciò sembra indice di una significativa variazione, da un lato, delle dinamiche comportamentali di coloro che normalmente sarebbero meri consumatori o sostenitori di iniziative benefiche, e, dall’altro, dei soggetti che variamente cercano di attingere alle risorse di terzi per concretizzare le attività più disparate. Il fulcro dell’evoluzione risiede nel contatto attorno alla realizzazione di un progetto: esso rappresenta
30
Così anche Mollick, The dynamics, cit., p. 4. Una simile considerazione si ritrova anche in Bollettinari, Il crowdfunding, cit., p. 20, ove si legge: «ciò che più rileva per l’investitore è la partecipazione ad un progetto condiviso verso cui nutre apprezzamento» (v. pure p. 34). 32 Sul punto si possono richiamare le risalenti, ma tuttora attuali, considerazioni sulla “garanzia commerciale” di Cabras, Le opposizioni dei creditori nel diritto delle società, Milano, 1978, pp. 99 ss. 31
375
Saggi
un’illustrazione programmatica più o meno articolata dello scopo che si intende raggiungere mediante i fondi richiesti, delle modalità con cui questi saranno impiegati nell’attività prevista e della durata della campagna di raccolta33.
33
Si utilizza un’espressione mutuata dal lessico operativo in quanto l’accostamento ad un termine del linguaggio giuridico o aziendalistico esistente risulterebbe forzato ed impreciso. Nell’ottica aziendalistica, l’assimilazione del progetto ad un più ampio e comprensivo business plan, infatti, pare vistosamente fuorviante, nella misura in cui il progetto, per come normalmente si verifica nella prassi, può anche contemplare solo alcuni degli aspetti tipici di un business plan. Benché, poi, presentino qualche affinità funzionale sotto il profilo di programmazione dell’attività, sul piano giuridico il progetto non può essere assimilato ad un oggetto sociale, non soltanto perché l’oggetto sociale è concetto tipico delle organizzazioni collettive a rilievo reale, ma soprattutto per la frequente e del tutto fisiologica vaghezza che permea quest’ultimo, oltre alla sua ormai debolissima vincolatività per i gestori dell’impresa sociale. Senza contare che l’attività descritta nel progetto potrebbe ben porsi ai margini (o al di fuori) della sfera dell’imprenditorialità ed in tal senso potrebbe forse essere di qualche utilità cognitiva ricorrere al più neutrale concetto di “affare”, frequente – eppure indefinito – nel lessico civilistico. Al riguardo, per una diffusa riflessione sistematica, si veda De Acutis, L’associazione, cit., pp. 141 ss., il quale evidenzia la polisemia della nozione di affare e la sua peculiarità, se considerata in seno al contratto analizzato, sostenendo che in tale ambito «non può che descrivere una vicenda naturalmente in grado di produrre utili», anche se non necessariamente imprenditoriale (pp. 158 ss.). Sulla stessa scia, anche se di carattere più settoriale è, invece, l’analisi di Mignone, L’associazione, cit., pp. 20 s., 65 ss., 68 ss. Meno utili sono le ricerche condotte intorno all’individuazione della nozione di “specifico affare” all’interno dell’istituto dei patrimoni destinati di cui agli artt. 2447-bis ss. c.c., in quanto i confini più o meno ampi che si vogliano tracciare sono pur sempre condizionati dall’impianto concettuale e dal programma di attività dell’oggetto sociale e quindi risentono necessariamente della logica imprenditoriale (o anche professionale ex art. 10, co. 3-9, l. 183/2011: in proposito si vedano le interessanti considerazioni di Bertolotti, Società tra professionisti e società tra avvocati, Torino, 2013, pp. 54 ss., 177 ss., 191 ss., in merito ai punti di contatto e di divergenza tra attività d’impresa e attività professionale esercitate collettivamente, con particolare attenzione al rilievo del profilo organizzativo quale selettore della disciplina applicabile) cui è vincolato il patrimonio nella sua interezza. Proprio in quest’ultimo ambito disciplinare, però, può forse ricavarsi qualche suggestione dall’art. 2447-ter, co. 1, lett. c), c.c., ove si prescrive la definizione di un “piano economico-finanziario” da cui risultino, tra l’altro, le modalità e le regole relative all’impiego delle risorse destinate ed il risultato che si intende perseguire, e nell’art. 2447-decies, comma 2, lett. a), c.c., in cui, analogamente si richiede di descrivere l’operazione in cui sarà utilizzato il finanziamento, “le modalità ed i tempi di realizzazione; i costi previsti ed i ricavi attesi”. Viceversa, centrale è l’importanza del progetto nel diritto francese: in quell’ordinamento il progetto rappresenta infatti la chiave di volta dell’attività di intermédiation en financement participatif, che “consiste à mettre en relation, au moyen d’un site internet, les porteurs d’un projet déterminé et les personnes finançant ce projet” nel rispetto delle
376
Aldo Laudonio
Il progetto, quindi, raccoglie ed ordina teleologicamente la mole dei contributi, restando assolutamente indifferente per i contribuenti la natura e gli scopi del soggetto che li richiede. Nell’ottica dei sostenitori, in breve, l’affermazione del crowdfunding pare legata ad una diffusa domanda di maggiore prossimità (si potrebbe dire in maniera del tutto atecnica e descrittiva “partecipazione”) ad un’attività puntualmente identificata e non al soggetto che la realizza34, secondo una traiettoria, se si vuole, per certi aspetti, inversa a quella seguita, in epoca medievale, dall’evoluzione che portò dalla commenda alla società in accomandita35. Il particolare legame finalistico che si instaura così tra gli erogatori e l’attività programmata merita pertanto un’attenta considerazione, specialmente nella misura in cui evidenzia margini di superamento di paradigmi tanto sedimentati da essere ormai tralatizi nel dialogo sull’impresa, quali quello sulla estraneità della gratuità al metodo ed alla logica imprenditoriale o sull’imprescindibile necessità di intermediari professionali per consentire l’incontro tra la domanda e l’offerta di credito o di investimento. Quanto appena detto è confermato da dati statistici, da cui risulta che le forme di crowdfunding predominanti sono quelle donation-based e reward-based, le quali nel 2012 hanno complessivamente raggiunto l’importo di quasi 1,4 miliardi di dollari raccolti nel mondo (senza considerare il modello lending-based, che da solo ha superato 1,1 miliardi di dollari)36. A questi si possono affiancare indagini empiriche nelle quali si
condizioni fissate dalla legge, per lo più legate alle finalità soggettive (professionali o non professionali) che muovono chi richiede questa forma di finanziamento (art. L. 5481, al. 1, Code monétaire et financier). Si può inoltre rinvenire una definizione piuttosto ampia di progetto, suscettibile di adattarsi alle varie forme di crowdfunding in precedenza tratteggiate: «Un projet consiste en un achat ou un ensemble d’achats de biens ou de prestations de service concourant à la réalisation d’une opération prédéfinie en termes d’objet, de montant et de calendrier» (art. L. 548-1, al. 2, Code monétaire et financier). 34 La “partecipazione” – stavolta intesa in senso tecnico – al soggetto (generalmente societario) è pur sempre un complesso di situazioni giuridiche strumentali e non finali rispetto alla produzione dell’attività e perciò, anziché approssimare il crowdfunder ad essa, lo “allontana”. 35 Fermo restando che il cenno nel testo non si riferisce in alcun modo ai diversi ordini di ragioni che hanno influenzato tale vicenda, sulla quale, per ampi ragguagli, si veda Santarelli, Mercanti e società tra mercanti3, Torino, 1998, pp. 143 ss., 151 ss. 36 I dati sono ricavati da Massolution, 2013 CF - The crowdfunding, cit., pp. 25 s., ove si rinviene anche la sottolineatura della massiccia crescita rispetto al 2011 relativi ai modelli di crowdfunding menzionati nel testo (523% per il reward-based, 111% per il lending-based e 45% per il donation-based). La iosco, Crowd-funding, cit., pp. 33 s.,
377
Saggi
è cercato di scandagliare le motivazioni dei sovvenzionatori37, ricavando che, pur nella diversità degli intenti associati alle diverse specie di raccolta, vi sono alcuni tratti comuni, legati specialmente al senso di immediato coinvolgimento nell’attuazione del progetto, che solo attraverso il ricorso alle potenzialità del mezzo informatico è possibile trasmettere38. Viceversa, l’equity-based crowdfunding rappresenta quantitativamente il fanalino di coda di questa nuova realtà, con soli 115,7 milioni di dollari raccolti nel 2012 ed un tasso di crescita pur significativo, ma inferiore alle altre varianti. Si è convinti che ciò non sia unicamente dovuto agli ostacoli legali ed ai costi che caratterizzano l’offerta al pubblico di prodotti finanziari, ma anche alla circostanza che l’equity-based crowdfunding possa essere un fenomeno eccentrico rispetto al genere di bisogno manifestato dal pubblico, come prima descritto. A riprova di quanto si afferma, si può riferire il paragone tra i dati statistici relativi alle dimensioni medie delle campagne di crowdfunding in base alla tipologia: se quelle donation-based, reward-based e lending-based si caratterizzano per importi inferiori ai cinquemila dollari39, le raccolte di capitali di rischio effettuate con l’equity-based crowdfunding si presentano invece assai più cospicue, raggiungendo i 190.000 dollari. Si può opinare che la comparazione non sia omogenea, in quanto le prime tre varietà di crowdfunding non sono necessariamente associate al successivo svolgimento di un’attività d’impresa, mentre l’ultima lo è ontologicamente, ma anche così il dato si presenta comunque significativo. In particolare, la diversa magnitudine così evidenziata suggerisce che vi siano logiche ed obiettivi (nonché margini di profitto) differenti nell’equity-based crowdfunding rispetto agli altri generi di raccolta, logiche ed obiettivi probabilmente più affini a quelle che attualmente muovono i venture capitalists o i business angels. Ed in effetti, se si concorda con il rilievo che il crowdfunding colma uno spazio prima lasciato vuoto
stima che l’ammontare di mutui concessi attraverso il lending-based crowdfunding (denominato nel rapporto peer-to-peer lending) si sia attestato a 2,8 miliardi di dollari nel 2013, con un aumento del 145% rispetto al 2012. 37 Cfr. Ordanini e altri, Crowdfunding, cit. pp. 21 ss.; Gerber e Hui, Crowdfunding, cit., pp. 8 ss., 14 ss. 38 Naturalmente, diversamente declinati a seconda che vi sia anche una partecipazione ai risultati economici, come riportato da Ordanini e altri, Crowdfunding, cit. pp. 21 ss. 39 Secondo il già citato rapporto di Massolution, gli ordini di grandezza sono: 1) donation-based con $ 1.400; 2) reward-based con $ 2.300; 3) misto reward/donationbased con $ 2.300; 4) lending-based con $ 4.700.
378
Aldo Laudonio
da costoro40, si ha la sensazione che l’equity-based crowdfunding in larga parte rappresenti il tentativo di tali operatori di occuparlo, almeno parzialmente, attraverso un meccanismo di parcellizzazione dei finanziamenti e di frazionamento del rischio, il cui funzionamento è reso possibile grazie ad un’intensa attività di lobby volta ad ottenere una semplificazione del quadro regolamentare41. Il legislatore italiano, per parte sua, non solo ha recepito de relato una regolamentazione sull’equity-based crowdfunding la cui capacità d’impulso sul piano economico è quanto meno dubbia, ma ha mancato di condurre una pur minimale riflessione sui vantaggi e le criticità delle altre manifestazioni del finanziamento plurale, come si illustrerà nei paragrafi successivi.
4. Soggetti e oggetti della regolamentazione italiana: ossia quando i fini non incontrano i mezzi. Per una curiosa forma di contrappasso, l’incipit degli enunciati normativi a carattere promozionale degli ultimi anni trabocca sempre più di altisonanti elencazioni di obiettivi, volte forse a coprire con la loro retorica la pochezza delle misure destinate a darvi effetto, ed il nostro caso non si esime. L’art. 25, co. 1, d.l. 179/2012 proclama infatti che «le presenti disposizioni sono dirette a favorire la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, in particolare giovanile, con riguardo alle imprese start-up innovative […]. Le disposizioni della presente sezione intendono contestualmente contribuire allo sviluppo di nuova cultura imprenditoriale, alla creazione di
40 Questo aspetto è specialmente indagato da Schwienbacher e Larralde, Crowdfunding, cit., pp. 375 ss. 41 L’informazione al riguardo, peraltro, è trasmessa dagli stessi lobbisti, come si può leggere sul profilo personale di Jason Best, co-fondatore di un’importante società di consulenza specializzata: «As co-founder and principal of Crowdfund Capital Advisors (CCA), Jason Best co-authored the crowdfund investing framework used in the JOBS Act to legalize equity and debt based crowdfunding in the USA. He has provided congressional testimony on crowdfunding and was honored to attend the White House ceremony when President Obama signed the JOBS Act into law on April 5, 2012. Jason co-founded the crowdfunding industry trade group that works with the Securities and Exchange Commission and FINRA as they create the rules for crowdfund investing» (si consulti il sito http://crowdfundcapitaladvisors.com).
379
Saggi
un contesto maggiormente favorevole all’innovazione, così come a promuovere maggiore mobilità sociale e ad attrarre in Italia talenti, imprese innovative e capitali dall’estero»42. Di fronte al corpo di regole che si dipana di seguito e a quelle scaturite dal solerte intervento della Consob, però, nella mente dell’interprete le finalità quasi subito assumono la più dimessa veste di auspici, ben presto sepolti sotto una coltre di indici contraddittori43. Sicuramente, la semplificazione dell’accesso ai mercati finanziari poteva rappresentare uno strumento per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, ma il legislatore – barcollando – si è mosso in tutt’altra direzione44.
42
L’Italia non è nuova a questa tendenza declamatoria (due esempi tra tanti di elevata vacuità retorica: il primo periodo del primo comma dell’abrogato art. 23-bis d.l. 112/2008 e l’art. 1 d.l. 1/2012) e nemmeno sola, accompagnata com’è dalla Spagna, secondo quanto segnalato con riferimento all’attuale art. 1 ley 14/2013 da M. Cian, Le società startup innovative. Problemi definitori e tipologici, in AIDA, 2013, p. 410. Sebbene in ciò possa scorgersi l’indice di una certa consonanza nella tecnica normativa e nell’individuazione degli obiettivi di politica economica a livello internazionale, non si crede di poter apprezzare la progressiva intromissione nei testi normativi di questi enunciati più degni di un preambolo o di una relazione d’accompagnamento. Cfr. anche le osservazioni di carattere generale sulla tecnica normativa di Mosco, La notte delle regole: responsabilità della politica e problemi di tecnica legislativa, in AGE, 2013, p. 356, a parere del quale «le leggi (o le singole parti di esse) ormai si aprono con norme meramente programmatiche che appesantiscono il testo e possono creare confusione senza avere alcuna utilità». 43 Al riguardo non può che manifestarsi piena sintonia con il pensiero di Marasà, Considerazioni sulle nuove S.r.l.: S.r.l. semplificate, S.r.l. ordinarie e start up innovative prima e dopo la L. n. 99/ 2013 di conversione del D.L. n. 76/2013, in Le società, 2013, p. 1095, ove considera che «un dato sembra accomunare S.r.l. semplificate, S.r.l. a capitale ridotto e start up ed è che si tratta di figure effimere; infatti, S.r.l.s, S.r.l.c.r. e start-up innovative tutte si collocano in quel profluvio di leggi emergenziali che, con interventi tanto suggestivi nelle etichette quanto, spesso, limitati negli effetti, sta sconvolgendo l’Italia». Cui adde le considerazioni di Ibba, Liberalizzazioni, efficienza del sistema e qualità della produzione legislativa, in Giur. comm., 2013, I, pp. 244 ss. e degli altri Aa. da lui citati; Mosco, La notte, cit., p. 351 ss.; Nuzzo e Tullio, La legislazione d’impresa dell’ultimo quinquennio: quantità più che qualità, in AGE, 2013, pp. 396 ss., e spec. pp. 408 ss. 44 Circa i recenti schizofrenici interventi sulla disciplina delle S.r.l. anche Spolidoro, Una società a responsabilità limitata da tre soldi (o da un euro)?, in Riv. soc., 2013, p. 1088, ha espresso un giudizio ampiamente condivisibile e riproponibile senza variazioni nella nostra materia: «Per semplificare una disciplina giuridica in modo efficace occorre comunque avere le idee ben definite su obiettivi e mezzi necessari. Insomma, chi intende semplificare deve avere a sua volta idee semplici, univoche e chiare; invece, chi vorrebbe semplificare, ma nel farlo insegue obiettivi molteplici, equivoci ed oscuri, fallisce l’obiettivo e complica dove vorrebbe fare il contrario». Inoltre, l’inettitudine del legislatore più recente ha ispirato anche a tale A. il ricorso al più vivo sarcasmo: «Gli sviluppi […] che hanno condotto all’attuale situazione […] suscitano
380
Aldo Laudonio
In primo luogo, il congegno della start-up innovativa (art. 25, co. 2, d.l. cit.) quale unica destinataria delle raccolte realizzate mediante equity-based crowdfunding, ha fin da subito attratto le censure di tutti i commentatori45: già dal superficiale confronto con le omologhe discipline americana e francese, spicca evidente questo vincolo. E così, ciò che nella mente del legislatore46 doveva essere l’elemento trainante del nuovo sviluppo economico costruito intorno ad attività ad alto tasso di innovazione tecnologica, si tramuta inavvertitamente in una barriera. La razionalità della sua introduzione sfugge per più ragioni: per un verso, non si capisce perché solo queste società possano attingere a questa forma di finanziamento e non sia invece accessibile indiscriminatamente; per l’altro, non si può che ripetere un’osservazione (tratta dal buon senso, prima ancora che dalle scienze aziendalistiche) sulla rischiosità di gran lunga più elevata delle imprese in fase di avviamento, rischiosità per giunta amplificata dall’esigenza che le start-up operino in un ambito caratterizzato da un’intrinseca ed elevata incertezza sullo stesso raggiungimento dei risultati attesi47.
per la verità l’immagine di una fanciulla che insegue con il retino il volo di una farfalla o, per evocare un’immagine più realistica, la camminata di un ubriaco che abbraccia un lampione a destra e casca in un rigagnolo a sinistra». 45 V. Ferrarini, I costi, cit., p. 217; Fregonara, La start up, cit., p. 95; M. Pinto, L’equity, cit., pp. 821 s.; Girino, Le regole, cit., p. 77; Alvisi, Equity, cit., p. 4; Mosco, La nuova regolamentazione dell’equity crowdfunding, in Crowd Future. Aspetti giuridici del crowdfunding, 2014, pp. 8 e 14, disponibile sul sito http://www.crowdfundingitalia.com, il quale nota comunque che «se ciò è certamente una grave incongruenza, ancor più in questi tempi di recessione, la scelta si rivela però opportuna per sperimentare sul campo la regolamentazione di un fenomeno che è oggettivamente difficile disciplinare con equilibrio» (p. 9). Si limita a segnalare la differenza tra i due ordinamenti Vitali, Equity, cit., p. 377, 382. 46 Rectius, nella pericolosa ingenuità del dettato del già citato rapporto “Restart, Italia!”, op. cit., pp. 25 ss., la cui influenza è stata retoricamente sottolineata anche dalla prima relazione annuale al parlamento redatta dal Ministero dello Sviluppo Economico (Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della normativa a sostegno dell’ecosistema delle startup innovative, 2013, p. 4, leggibile sul sito http://www.sviluppoeconomico.gov.it), che peraltro non manifesta migliore intelligenza della materia, specie in presenza di passaggi come i seguenti: «Alle deroghe normative al diritto societario, volte a rendere più agili e meritocratiche le procedure di gestione aziendale, si sono affiancate corpose agevolazioni agli investimenti […]» (p. 4); «Tenendo conto dell’elevato rischio economico assunto da chi decide di fare impresa investendo in attività ad alto livello di innovazione, sono previste procedure semplificate di liquidazione e chiusura» (p. 20) (sottolineature aggiunte). 47 La stessa Consob, nella sua analisi d’impatto del reg. equity c.f. (Relazione sull’at-
381
Saggi
A tale fattore di rischio connaturato all’ambito di operatività di queste società se ne accompagna inevitabilmente un altro, inerente alla regolamentazione che ne descrive le caratteristiche e ne limita contenutisticamente l’oggetto sociale: anche dopo l’opportuna rimozione dell’obbligo che la maggioranza delle partecipazioni fosse detenuta da persone fisiche (originariamente contenuto nell’art. 25, co. 2, lett. a), d.l. cit.), la distanza che separa il legislatore dall’interpretazione dei più basilari concetti propri del diritto commerciale e dalla realtà imprenditoriale non si è attenuata. Infatti, tutti i parametri individuati per delimitare i confini della qualifica di start-up innovativa48 mostrano i segni di una desolante sprov-
tività di analisi d’impatto della regolamentazione (AIR) e sugli esiti della procedura di consultazione, 2013, p. 3, consultabile sul sito http://www.consob.it) ammette: «Il problema che la norma primaria vuole affrontare è costituito dalla scarsità di canali per la raccolta di fondi da parte di soggetti imprenditoriali di nuova costituzione caratterizzati da uno specifico profilo rischio/rendimento, che incorpora un alto tasso di mortalità ma anche la possibilità di ritorni elevati in caso di successo di iniziative basate su prodotti e tecnologie innovativi. Gli intermediari tradizionali non sono incentivati ad indirizzare il risparmio verso forme così rischiose di investimento: il “circuito indiretto” presuppone una trasformazione del rischio che può rivelarsi sproporzionata nel caso in cui si intendesse «trasformare» depositi in azioni rischiose. Gli intermediari tradizionali, infatti, hanno la necessità, resa ancor più stringente dalla crisi finanziaria, di contenere il grado di rischio delle attività rispetto a quello delle passività e, a tal fine, sono portate a ridurre le disponibilità di fondi per imprese ad elevato rischio come le start-up innovative» (neretto in originale; sottolineatura aggiunta). Viene allora quasi spontaneo chiedersi perché gli ordinari risparmiatori dovrebbero supplire gli investitori più sofisticati laddove questi ultimi si rifiutino di assumere rischi troppo elevati. Un simile interrogativo può evidenziare i profili di debolezza della giustificazione di Vitali, Equity, cit., pp. 382 s., il quale sostiene che le scelte derogatorie in favore delle start-up innovative sono controbilanciate «dall’esigenza di incentivare l’accesso al mercato di capitali a favore di enti – in ragione della natura di società neo-costituite e dell’attività in un ambito (quello tecnologico) ad alto rischio – risulterebbero scarsamente captive [sic] rispetto all’interesse degli investitori». 48 Giustamente ritenuta una «immunità condizionata e temporanea dal diritto comune della società a responsabilità limitata» da Spada e Maltoni, L’impresa start up innovativa costituita in società a responsabilità limitata, in Riv. not., 2013, I, pp. 1117 ss. (la citazione è a p. 1121), (dell’articolo è disponibile una versione anteriore sul sito http:// www.cavererespondere.it). Così anche Marasà, Considerazioni, cit., pp. 1094 s., secondo cui «i requisiti che identificano la start up innovativa non rilevano sul piano della legittimità della costituzione ma solo come presupposti per accedere ad una disciplina di favore, la logica a cui il legislatore si rifà sembra essere quella comune ad altre esperienze normative in materia di contratti associativi come quella del D.Lgs. n. 460/1997 sulle ONLUS e del D.Lgs. n. 155/2006 sulle imprese sociali»; Cossu, Le start up innovative
382
Aldo Laudonio
vedutezza e si fatica a comprendere come l’innovatività possa essere alternativamente garantita da un certo rapporto tra spese in ricerca e sviluppo rispetto al costo o al valore della produzione (maggiore o uguale al 15%)49, o dalla presenza di un certo numero di dipendenti o collaboratori che siano dottori di ricerca, dottorandi o laureati50, oppure dalla
in forma di società a responsabilità limitata. Profili privatistici, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, II, Torino, 2014, pp. 1705, 1707, la quale parla di «specialità-pecularietà, o specialità debole» (e v. anche p. 1715). Si veda anche la suggestiva ed articolata proposta interpretativa di Benazzo, La s.r.l. start-up innovativa, in Nuove leggi civ. comm., 2014, pp. 126 ss., che, sottolineando i dirompenti effetti “distruttivi” del tipo S.r.l. di diritto comune da parte del d.l. 179/2012, riconosce un forte rilievo sistematico alla figura (ed alle correlate problematiche) della S.r.l. start-up innovativa e conclude a favore di «un’applicazione estensiva (e non già analogica) anche alla s.r.l. di tutti quegli istituti e di quelle norme, propri del modello azionario, tipicamente pensati e destinati a salvaguardia vuoi dell’integrità patrimoniale (quest’ultima strettamente correlata al beneficio della responsabilità limitata), vuoi di una etero-tutela in favore di soci meramente investitori». 49 Molti sono i dubbi che si addensano intorno a questo parametro che, a tacer d’altro, è rappresentato da una proporzione costantemente variabile per fattori anche non imputabili alla società, o comunque da essa facilmente manipolabile. Innanzitutto, il sintagma “spese di ricerca e sviluppo” è invero dichiaratamente inteso in maniera ampia e derogatoria dei principi contabili e ricomprende tutta una serie di spese a volte arduamente riconducibili al concetto di ricerca (quali, ad esempio, quelle relative allo “sviluppo del business plan” o ai “servizi di incubazione forniti da incubatori certificati”), altre volte, invece, normalmente ricomprese in altre voci di bilancio (ad esempio, quelle attinenti le “spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale”). Da ciò risulta un evidente e non del tutto condivisibile allargamento cui attingere per definire il numeratore nel calcolo della proporzione, il che può concorrere a mascherare l’effettiva (in)capacità innovativa dell’impresa dietro una percentuale falsata. Ad attività avviata, questa proporzione potrebbe poi risultare impossibile da evincere e verificare nel caso in cui la società optasse per la redazione del bilancio in forma abbreviata: ciò renderebbe implicitamente necessario evidenziare comunque le voci relative ai costi per la ricerca (a seconda dei casi, nello stato patrimoniale o, preferibilmente, nel conto economico: cfr., in generale, OIC, Principio contabile 24 - Immobilizzazioni immateriali, 2005, pp. 18 ss., consultabile sul sito http://www.fondazioneoic.eu; più specificamente, Assonime, L’impresa, cit., p. 785, sia pur manifestando incertezza; M. Cian, Le società, cit., pp. 414 s.) in virtù del principio di chiarezza (art. 2423, co. 2, c.c.), o, almeno, che sia data opportuna notizia al riguardo nella nota integrativa; sul punto, invero, pare insufficiente che tali spese siano solo “descritte” in nota integrativa, come richiede l’art. 25, co. 2, lett. h), n. 2, terzo periodo, d.l. 179/2012. Si potrebbe altresì aggiungere che le spese di ricerca o sviluppo potrebbero essere superiori in un certo esercizio ed inferiori in altri, in ragione, ad esempio, del raggiungimento dei risultati attesi dalla ricerca e dell’avvio della produzione seriale. Sul punto, v. anche infra, sub nt. 70-74 e teso corrispondente. 50 Ed al riguardo basta evocare l’espandersi della realtà della sottoccupazione nell’attuale stagione di crisi economica: anche un call center che effettua particolari ricerche
383
Saggi
titolarità (o dalla licenza) delle privative industriali e dei diritti di cui all’art. 25, co. 2, lett. h), n. 3, d.l. cit. In primis, la natura della diretta afferenza all’oggetto sociale ed all’attività d’impresa di tali diritti esclusivi richiesta dalla norma citata sarebbe tutta da valutare, anche in funzione delle possibili evoluzioni dell’iniziativa economica e del contesto in cui si inserisce. Data, quindi, la vaghezza di questo legame (strumentale, teleologico?), non sorprende che non vi sia alcun parametro per la sua rilevazione e che sia assente nel testo del d.l. 179/2012 ogni forma di sanzione per il caso in cui tale afferenza venisse di fatto a mancare. Va anzi ricordato, da un lato, che il rispetto di questo, come degli altri requisiti di cui all’art. 25, co. 2, d.l. cit. è soddisfatto dalla mera presentazione di un’autocertificazione del
demoscopiche impiegando dei laureati come telefonisti potrebbe astrattamente aspirare allo status di start-up innovativa. Va inoltre detto che nell’art. 25 d.l. 179/2012, da un lato, si sancisce un nesso tra le privative industriali facenti capo alla start-up innovativa ed il loro impiego nell’attività (sul quale si vedano le riflessioni svolte di seguito nel testo), mentre, dall’altro, manca affatto l’introduzione di un simile collegamento per quanto concerne la posizione dei dipendenti qualificati in seno all’organizzazione aziendale (ed infatti Benazzo, La s.r.l., cit., p. 112, nt. 26, paventa il rischio che i lavoratori si trasformino in «semplici piazzisti, sia pure scientificamente qualificati, di prodotti ad alto valore tecnologico»). Cfr. al riguardo anche M. Cian, Le società, cit., pp. 413 s., il quale suggerisce prudentemente un’interpretazione teleologica che recupera dei limiti funzionali all’impiego di questa forza lavoro qualificata all’interno della società, non mancando comunque di sottolineare i dubbi che ne scaturirebbero in punto di individuazione della fattispecie. A fronte della genericità del dettato normativo, sembra comunque arduo stabilire dei vincoli, specie di fronte al sintagma per cui il rapporto di lavoro o di collaborazione con questi soggetti può instaurarsi “a qualsiasi titolo” (art. 25, co. 2, lett. h), n. 2, d.l. 179/2012; parere MiSE, 22 agosto 2014, n. 147538, nel quale si esclude che possa rilevare ai fini del rispetto del requisito in parola la semplice partecipazione agli organi amministrativi, essendo necessaria la contestuale instaurazione di un rapporto di lavoro.). Della inadeguatezza di tale norma ad imporre un inserimento funzionalizzato nell’azienda di questi prestatori d’opera titolati si può inoltre avere una più netta percezione attraverso il raffronto con la disciplina tributaria premiale francese a favore della jeune entreprise innovante, la quale ultima «ou […] est dirigée ou détenue directement à hauteur de 10 % au moins, seuls ou conjointement, par des étudiants, des personnes titulaires depuis moins de cinq ans d’un diplôme conférant le grade de master ou d’un doctorat, ou des personnes affectées à des activités d’enseignement ou de recherche, et elle a pour activité principale la valorisation de travaux de recherche auxquels ces dirigeants ou ces associés ont participé, au cours de leur scolarité ou dans l’exercice de leurs fonctions, au sein d’un établissement d’enseignement supérieur habilité à délivrer un diplôme conférant au moins le grade de master» (art. 44-sexies-0, III, lett. b), Code général des impôts; sottolineature aggiunte).
384
Aldo Laudonio
legale rappresentante (art. 25, co. 2, 9 e 15, d.l. cit.)51 e, dall’altro, che la sopraggiunta mancanza dell’afferenza in parola non consentirebbe all’investitore di azionare il rimedio speciale della revoca della propria adesione (sempre che tale fatto si verifichi dopo la chiusura dell’offerta: art. 25, co. 2, reg. equity c.f.), né quello ordinario del recesso ex artt. 2437 o 2473 c.c. Secondariamente, solo in virtù di una prodigiosa consacrazione legislativa si può considerare “innovativa” una società che, ad esempio, ottenga una licenza per la produzione di un modello di cellulare o di un detersivo brevettati da altri. Ci si può anche spingere oltre, sottolineando come il requisito dell’art. 25, co. 2, lett. h), n. 3, d.l. 179/2012 possa generare un effetto perverso nella misura in cui, richiedendo la disponibilità attuale delle privative o dei diritti in esso elencati, esso non contribuisce a stimolare l’innovazione, bensì l’applicazione di un’innovazione già acquisita. Sarebbe stato possibile pronunciarsi diversamente se fosse stata invece prevista, ad esempio, la realizzazione di brevetti da utilizzare nell’attività programmata, ma così non è stato52. Infine, rimane oscura la valutazione assiologica – se pure ve n’è stata una – che ha portato all’omissione nell’elenco dei disegni e dei modelli
51 Per tutto quanto sin qui esposto non sembra di poter condividere l’apprezzamento mostrato da Fregonara, La start up, cit., p. 40. Sottolineano la frequenza (e le criticità) del ricorso all’autocertificazione: Benazzo, La s.r.l., cit., pp. 113 ss.; Cossu, Le start up, cit., pp.1709 s. Sul punto si veda anche infra, sub, nt. 71, limitandosi ad osservare che il controllo del Ministero dello Sviluppo Economico attraverso il Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie della Guardia di finanza di cui all’art. 31, co. 5, d.l. 179/2012 certo non si presenta idoneo né per strumenti, né per finalità allo scopo di prevenire il ricorso abusivo alla qualifica di start-up innovativa. 52 Diversamente, Benazzo, La s.r.l., cit., pp. 111 s., il quale ritiene possibile che una start-up innovativa possa avere come oggetto la sola ideazione ed il conseguimento di una privativa industriale, ma contestualmente articola una serie di fondate perplessità scaturenti dalla separazione tra sviluppo, da un lato, e produzione e commercializzazione, dall’altro, di prodotti o servizi “ad alto valore tecnologico”; in particolare, l’A. sostiene (ed in ciò si condivide il suo pensiero) che non sarebbe comunque possibile scindere nell’oggetto statutario la fase della commercializzazione da quelle dello sviluppo e della produzione (conforme sul punto anche il parere MiSE, 29 settembre 2014, n. 169235). Tra i dubbi manifestati, merita di essere rimarcata la consonanza con quanto poc’anzi sottolineato nel testo in merito alla dubbia innovatività di una società che si limiti a sfruttare una privativa industriale altrui (p. 113, nt. 26: «Certamente, rimane la difficoltà di rinvenire una giustificazione per l’accesso a un sistema di agevolazioni anche in capo a un’impresa che sia meramente commerciale e licenziataria di un brevetto da altri sviluppato e registrato»).
385
Saggi
di cui agli artt. 31 ss. c.p.i., nonostante l’indiscussa notorietà mondiale del disegno industriale italiano e gli stimoli che esso ha recato all’avanzamento tecnologico53. La medesima critica può essere ripetuta anche in relazione alla mancata menzione del know-how, o, per meglio dire, delle informazioni di cui agli artt. 98 e 99 c.p.i., e al riguardo pare opinabile che la loro assenza sia giustificata da esigenze di protezione della loro connaturata segretezza (che altrimenti si porrebbero anche per il caso di domande di brevetto depositate senza che ne sia richiesta l’immediata accessibilità: art. 53, co. 3, c.p.i.), né perché si possa escludere categoricamente che tali informazioni siano insuscettibili di originare delle innovazioni tecnologiche. L’illusoria pretesa ordinatrice di un legislatore velleitario è poi tradita dal precetto per cui la start-up innovativa «ha quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico» (art. 25, co. 2, lett. f), n. 3, d.l. cit.). Se si accosta questa disposizione ad altre che nel nostro ordinamento sanciscono l’obbligo di prevedere nello statuto l’esercizio esclusivo (o prevalente) di questa o quella attività, se ne può cogliere tutta la pretenziosa vacuità. Sfugge anzitutto in cosa possa consistere l’innovatività o l’alto valore tecnologico dei prodotti o servizi sviluppati, realizzati e commercializzati da una start-up innovativa54.
53 In merito si può segnalare che una delle operazioni di equity crowdfunding realizzate in Italia (Cantiere Savona: per riferimenti, v. infra, sub nt. 114) ha ad oggetto la partecipazione in una società che al momento dell’avvio della raccolta aveva soltanto presentato una domanda relativa ad un disegno industriale, con ciò collocandosi al di fuori della portata dell’art. 25, co. 2, lett. h), n. 3, d.l. 179/2012. Non solo, dal solo bilancio della società stessa (redatto in forma abbreviata: v. supra, sub nt. 49) non è possibile valutare se sia stata osservata la proporzione tra spese in ricerca e sviluppo rispetto al costo o al valore della produzione (art. 25, co. 2, lett. h), n. 1, d.l. cit.), né si può desumere da alcun documento pubblicato quali siano le qualifiche dei dipendenti o dei collaboratori (art. 25, co. 2, lett. h), n. 2, d.l. cit.). Di interesse è pure il parere del 22 agosto 2014, n. 147532 reso dal Ministero dello Sviluppo Economico, secondo cui sarebbe sufficiente anche il deposito della richiesta di registrazione per accedere allo status di start-up innovativa, il che, se da un lato è coerente con il testo della disposizione in questione, dall’altro ne mette in evidenza il limite: nelle more del procedimento di brevettazione, anche la società che ha depositato una domanda il cui oggetto sia sprovvisto dei requisti necessari può qualificarsi come start-up innovativa. 54 Si concentra su quest’aspetto M. Cian, Le società, cit., pp. 412 ss., il quale sin da subito criticamente segnala al riguardo che «è proprio quello che determina il maggior grado di vaghezza che il nuovo istituto presenta rispetto ai suoi predecessori». Perplessità di fronte alla formulazione della norma è manifestata anche da Bartolacelli, L’insostenibile
386
Aldo Laudonio
Fermo restando, infatti, che a tali società è indifferentemente consentito di svolgere ogni genere di attività e di inserirsi in una qualunque fase del processo produttivo-distributivo55, in cosa consiste allora l’elemento distintivo rispetto a qualsivoglia altra società? Dal confronto con un’altra disciplina, quella del contratto di rete, si consolida il convincimento in merito all’evanescenza del concetto di innovatività evocato in seno al d.l. 179/2012: nell’ambito della rete, invero, l’elemento teleologico è costituito dall’accrescimento della capacità innovativa e della competitività degli imprenditori aderenti (art. 3, co. 4-ter, d.l. 5/2009)56; tuttavia, stante l’indeterminatezza che tali con-
leggerezza dell’S.r.l.s. Nell’intricata “matassa” delle “nuove” S.r.l.: ricercare un bandolo o tagliare il filo?, relazione presentata al convegno “L’impresa e il diritto commerciale: innovazione, creazione di valore, salvaguardia del valore nella crisi”, organizzato dall’Associazione “Orizzonti del Diritto Commerciale” e svoltosi a Roma il 21 e 22 febbraio 2014, pp. 13 s.; Salvatore, Commento all’art. 2463 c.c., in Società a responsabilità limitata, nel Comm. cod. civ., già a cura di Scialoja, Branca e Galgano e ora di De Nova, Bologna-Roma, 2014, p. 96, nt. 122; Benazzo, La s.r.l., cit., p. 113, il quale afferma che il sintagma normativo in questione «per quanto evocativo, non ha certamente un contenuto scientificamente definito; non corrisponde ad alcuna definizione normativa; contiene enormi margini di arbitrarietà». 55 Analogamente si esprime l’Assonime, L’impresa, cit., p. 784, secondo la quale «non è ammissibile […] una limitazione a priori dei campi di attività in cui l’impresa start up innovativa può operare, ivi compresi quelli tecnologicamente maturi. Non sembra giustificato inoltre che questa indicazione comporti una limitazione ai sistemi innovativi applicati alla produzione industriale»; Cossu, Le start up, cit., p. 1710. In concreto, non si può sottacere qualche perplessità di fronte ad una delle raccolte coronate dal successo nel nostro paese, ossia quella della Paulownia Social Project s.r.l. (v. infra, sub nt. 114): infatti, l’attività prevista si esaurisce senza residui nella selvicoltura e nella connessa attività di commercializzazione (art. 2135, co. 1, c.c.) e l’unico connotato “innovativo” consiste nel fatto che sarà utilizzata una varietà vegetale su licenza del titolare, una società catalana. 56 Sulla debolezza e sulla scarsa tenuta funzionale della causa così delineata dalla legge si esprimono, riconoscendole vari gradi di capacità identificativa: Guerrera, Il contratto di rete tra imprese: profili organizzativi, in Contr., 2014, p. 398; Delle Monache, Il contratto di rete tra imprese, 2014, pp. 7 ss., spec. p. 10, leggibile sul sito http://www. judicium.it; Zanelli, Reti e contratti di rete, Padova, 2012, pp. 74 s.; Donativi, Le reti di imprese: natura giuridica e modelli di governance, in Soc., 2011, pp. 1436 ss.; Santagata, Il “contratto di rete” fra (comunione di) impresa e società (consortile), in Riv. dir. civ., 2011, I, p. 324 e par. 5; Maltoni, Il contratto di rete. Prime considerazioni alla luce della novella di cui alla L. n. 122/2010, in Not., 2011, pp. 66 s.; Id., Spada, Il “contratto di rete”, studio n. 1-2011/I della Commissione Studi d’Impresa del Consiglio Nazionale del Notariato, reperibile sul sito http://www.notariato.it, pp. 6 s.; Mosco, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giur. comm., 2010, I, pp. 845 s.; Granieri, Il contratto di rete: una soluzione in cerca del problema?, in Contr., 2009, pp. 937 s.; C. Scognamiglio, Il contrat-
387
Saggi
cetti presentano anche per le scienze aziendalistiche57, l’enunciato normativo demanda all’autonomia privata di delimitarli in relazione al caso concreto e di dare loro sostanza attraverso «l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate con gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi» (art. 3, co. 4-ter, n. 3, lett. b), d.l. 5/2009) e la definizione nel programma di rete delle «modalità di realizzazione dello scopo comune» (art. 3, co. 4-ter, n. 3, lett. c), d.l. 5/2009). Al di là del diverso rilievo che l’innovazione presenta nelle reti d’impresa (finalistico) e nelle start-up innovative (strumentale), manca in queste ultime un’analoga apertura all’autonomia dei contraenti e difficilmente l’enunciazione dell’oggetto sociale, per la sua funzione programmatica, può prestarsi a sostanziare dettagliatamente le caratteristiche o il risultato dell’attività che s’intende intraprendere58. Anzi, a voler rappresentare sin troppo minuziosamente il contenuto dell’attività produttiva innovativa si correrebbe il rischio di approssimare le frontiere della sua
to di rete: il problema della causa, ivi, pp. 962 ss.; Iamiceli, Introduzione. Dalle reti di imprese ai contratti di rete: un percorso incompiuto, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di Iamiceli, Torino, 2009, p. 23. Propendono, invece, per l’integrale assimilazione del contratto di rete al consorzio (con attività esterna): Marasà, Contratti di rete e consorzi, in Corr. mer., 2010, pp. 9 s.; Corapi, Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in Riv. dir. comm., 2010, pp. 799 s. 57 Si rimarca la ridondanza del testo normativo nella misura in cui l’accrescimento della capacità innovativa è strumentale all’aumento della competitività dell’impresa e ne rappresenta solo una delle possibili modalità realizzative. In questo senso, v. anche Granieri, Il contratto, cit., p. 937, secondo il quale «la capacità innovativa è diretta o all’abbassamento dei costi, mediante innovazione di processo, o alla differenziazione dei prodotti (o dei servizi), che nel gergo degli aziendalisti sono sempre scelte strategiche dirette a ottenere o mantenere un vantaggio competitivo». 58 Si può forse riproporre anche con riguardo alle start-up innovative la critica formulata in merito alle reti di imprese da C. Scognamiglio, Il contratto, cit., p. 964, per il quale «il legislatore dell’art. 4-ter si esprime non in termini di potenzialità della capacità innovativa e della competitività sul mercato, bensì in termini di attualità: quasi che già l’indicazione degli obiettivi strategici e delle attività comuni poste a base della rete potesse recare già fin dall’origine iscritto in sé, indefettibilmente, il raggiungimento di quei risultati» (sottolineature aggiunte). Utile per il discorso qui condotto risulta anche il seguente passaggio del medesimo A. in merito alla «impossibilità di scrutinare tali requisiti, declinati come attuali, in un contratto che si pone, pur sempre ed inevitabilmente, come un progetto di attività, destinato a proiettarsi nel futuro» (sottolineature aggiunte). Similmente, Benazzo, La s.r.l., cit., pp. 110, 114, pone l’accento sull’impossibilità (o comunque l’estrema difficoltà) di valutare in sede di controllo notarile di legittimità dello statuto di una start-up innovativa i requisiti che dipendono dalla futura attività.
388
Aldo Laudonio
obsolescenza, specialmente in settori ove l’avvicendamento tecnologico è estremamente rapido. In altri termini, l’eccesso di dettaglio potrebbe ingessare il programma imprenditoriale e farebbe altresì sorgere più di un lecito interrogativo sulla perdurante qualificabilità come start-up innovative di società il cui oggetto sociale sia stato colpito da una sopraggiunta “arretratezza”59.
59 Nella differente prospettiva della valutazione sulle ripercussioni della mancanza originaria o sopravvenuta dei requisiti per poter accedere alla qualifica di start-up innovativa, deve dirsi che c’è una condivisibile convergenza circa la revoca dei benefici goduti e la responsabilità degli amministratori che hanno reso dichiarazioni non corrispondenti al vero: così Maltoni, Spada, L’impresa, cit., pp. 1115 s.; M. Cian, Le società, cit., pp. 417 s.; Fregonara, La start up, cit., pp. 46 s., la quale segnala inoltre un difetto di coordinamento tra gli artt. 25, co. 16, e 31, co. 4, d.l. 179/2012 in merito alla cancellazione dalla sezione speciale del registro delle imprese in caso di perdita dei requisiti previsti; Salvatore, Commento all’art. 2463 c.c., cit., pp. 98, 101; Benazzo, La s.r.l., cit., p. 115. Poche certezze si registrano, invece, sul piano della stabilità degli effetti derogatori di discipline sostanziali in presenza di usi distorti dello status di start-up innovativa: senza poter esporre più diffuse argomentazioni in proposito, sembra plausibile sostenere che la disciplina concorsuale ordinaria (art. 31, co. 1, d.l. 179/2012) tornerebbe ad applicarsi ogniqualvolta sia dimostrabile che il ricorso alla qualifica di start-up innovativa fosse inserito in una strategia fraudolenta, in coerenza con lo spirito repressivo delle manovre elusive ampiamente presente nella legge fallimentare. Va comunque tenuto in considerazione che quand’anche la start-up innovativa avesse ottenuto l’omologazione dell’accordo di composizione della crisi, dopo la scadenza del regime privilegiato potrebbe essere eventualmente dichiarata fallita ed in tal caso l’accordo sarebbe risolto (art. 12, co. 5, l. 3/2012). Resterebbero ad ogni modo irrevocabili ex art. 67 l. fall. gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo. Circa il diritto societario, invece, il ricorso alle deroghe e l’inserimento delle clausole consentite dall’art. 26 d.l. 179/2012 dovrebbero essere considerati irreversibili, sebbene ciò crei più d’una disarmonia sistematica in relazione al fatto che l’iscrizione nell’apposita sezione speciale del registro delle imprese ha natura di pubblicità notizia e che non vi è alcuna esplicita previsione in merito all’efficacia sanante di tale adempimento (come invece, anche se contraddittoriamente, è previsto nell’art. 20, co. 4, d.lgs. 96/2001 in materia di società tra avvocati, su cui si vedano: De Angelis, Le società tra avvocati: uno sguardo d’insieme, in Le società tra avvocati, a cura di De Angelis, Milano, 2003, p. 57; Cagnasso, L’iscrizione nella sezione speciale e l’invalidità della società, ivi, pp. 135 ss., spec. pp. 140 ss.; Marasà, L’evoluzione del registro delle imprese e il regime pubblicitario delle società tra professionisti, in Nuovo dir. soc., 2013, n. 18, pp. 11 s., 15). Questa conclusione sembra giustificata sia in ragione del generale arretramento nel diritto societario “comune” della tutela reale a favore di quella obbligatoria (massimamente in occasione di operazioni sul capitale ed in genere straordinarie), sia in virtù della stessa logica conservativa manifestata dalla legge nell’art. 31, co. 3, d.l. cit. Per altro verso, si è dell’opinione che quest’ultimo precetto “salvifico” non possa essere considerato insuperabile in presenza di situazioni patologiche conclamate (come
389
Saggi
Constatato, quindi, che l’oggetto sociale si dimostra una sede particolarmente inidonea per l’esplicitazione dell’innovatività nelle società qui esaminate, non si crede che tale difficoltà possa essere aggirata facendo ricorso alla “breve descrizione dell’attività svolta”60 che il legale rappresentante della società è chiamato a rendere al registro delle imprese al momento dell’iscrizione nell’apposita sezione speciale (art. 25, co. 12, lett. d), d.l. 179/2012): tale dichiarazione, innanzitutto, non si può tradurre in un’illustrazione dell’oggetto sociale (tant’è che quest’ultimo è separatamente indicato: art. 25, co. 12, lett. c), d.l. cit.), ed è inoltre unicamente funzionale all’accesso al regime privilegiato concesso alle start-up innovative, cosicché non è suscettibile in alcuna maniera di riverberarsi sull’organizzazione societaria. Si potrebbe comunque dire a questo punto che rispetto alla generica capacità innovativa delle reti d’impresa, l’innovazione delle start-up conosce una connotazione ulteriore su cui far leva per raggiungere una miglior comprensione del parametro in esame: l’art. 25, co. 2, lett. f), d.l. cit., infatti, non prende in considerazione ogni possibile profilo innovativo, ma solo quello che conduce allo sviluppo, alla produzione ed alla commercializzazione «di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico». Nell’incertezza su come riempire di significato quest’espressione, si sarebbe potuto volgere lo sguardo al di fuori dei nostri confini per trarne ispirazione61, oppure attingere ad uno stratificato insieme di definizioni
nei casi di società che non svolgano attività innovative, che siano costituite ed attive da oltre 48 mesi, che distribuiscano utili, che non rispettino i parametri dell’art. 25, co. 2, lett. h), n. 1, 2 e 3, d.l. cit.), con la doverosa eccezione delle posizioni dei terzi e specialmente di quegli investitori che incolpevolmente abbiano fatto affidamento sulla veridicità della pubblicità. Cfr. anche le osservazioni parzialmente coincidenti di M. Cian, Le società, cit., pp. 417 s. 60 È precisazione ovvia, ma nondimeno opportuna, che se la società non abbia ancora avviato la sua iniziativa imprenditoriale, il legale rappresentante non potrà, né dovrà pronunciarsi sull’attività “svolta”. 61 Come fa, ad esempio, M. Cian, Le società, cit., pp. 412 ss., traendo alcuni spunti dall’ordinamento francese (con la già ricordata jeune entreprise innovante) e, soprattutto, da quello spagnolo, nel quale si rinviene l’istituto della joven empresa innovadora. In riferimento a questa figura, introdotta con l’intento di farne la destinataria di uno statuto privilegiato, sembra opportuno evidenziare che la definizione presa a riferimento da quest’A. e recata dall’art. 36 della ley 5/2013 della Comunidad Autónoma de la Región de Murcia non presenta alcun carattere di originalità, in quanto riproduce quasi letteralmente il testo della disposición adicional tercera della ley 14/2011 del governo centrale: «El Ministerio de Ciencia e Innovación otorgará la condición de joven empresa
390
Aldo Laudonio
istituzionali europee. Forse questa seconda opzione avrebbe potuto rivelarsi più agevole da percorrere ed anche suscettibile di creare un reticolo di norme di privilegio maggiormente sistematiche e meno avulse. Per giunta, a queste ultime definizioni si era già fatto ricorso in tempi recenti. Ci si riferisce al d.m. 87/2008 (attuativo dell’art. 1, co. 845, l. 296/2006), volto all’istituzione di un regime di aiuto a favore delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione. In special modo, l’art. 2 di questo regolamento descrive una serie di concetti e di istituti («innovazione del processo» e «innovazione organizzativa»: co. 4, lett. d) e e), d.m. cit.; «nuova impresa innovatrice»: co. 4, lett. l), d.m. cit.) di sicuro rilievo anche in questa materia. Ciò non tanto perché un testo regolamentare62 con finalità incentivanti possa essere considerato di per sé idoneo a proiettarsi anche sulla disciplina avente forza di legge delle start-up innovative, ma in quanto le sue definizioni sono tratte dalla comunicazione della Commissione europea 2006/C 323/01 concernente gli aiuti di stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione, che, a sua volta, nella sequenza dei richiami, ripropone i contenuti dell’Oslo Manual dell’OCSE/Eurostat in materia di misurazione delle attività scientifiche e tecnologiche63.
innovadora a aquella empresa que tenga una antigüedad inferior a 6 años y cumpla los siguientes requisitos: a) Que haya realizado unos gastos en investigación, desarrollo e innovación tecnológica que representen al menos el 15% de los gastos totales de la empresa durante los dos ejercicios anteriores, o en el ejercicio anterior cuando se trate de empresas de menos de dos años. b) Que el Ministerio de Ciencia e Innovación haya constatado, mediante una evaluación de expertos, en particular sobre la base de un plan de negocios, que la empresa desarrollará, en un futuro previsible, productos, servicios o procesos tecnológicamente novedosos o sustancialmente mejorados con respecto al estado tecnológico actual del sector correspondiente, y que comporten riesgos tecnológicos o industriales». Al secondo párrafo di questa disposizione si fissa inoltre un termine di tre anni all’esecutivo per l’elaborazione di uno statuto della joven empresa innovadora: attraverso l’attribuzione di tale qualifica ad opera del ministero della scienza e dell’innovazione, si potrà così accedere al regime premiale quando sarà stato definito. Nell’attuale situazione di mancata attuazione della delega, la comunidad autónoma di Murcia ed anche altre comunidades autónomas hanno quindi variamente precorso i tempi introducendo delle previsioni agevolative per la joven empresa innovadora: tra le altre, v. artt. 2, par. 2, lett. c), e 23 ley 5/2013 della Castilla y León; art. 20 ley 10/2013 de La Rioja; art. 3 ley 5/2013 della Galicia. 62 Bisogna segnalare che sul piano operativo i benefici previsti dal d.m. 87/2008 sono concessi su base individuale, mentre il regime delle start-up innovative ha un carattere generale ed astratto. Tuttavia, anche quest’ultimo non può sottrarsi a scrutinio in base al corpus normativo europeo sul divieto di aiuti di stato. 63 Cfr. OCSE-Eurostat, Oslo Manual. The measurement of scientific and technological
391
Saggi
L’approdo così raggiunto, ad ogni modo, continua a non essere del tutto tranquillizzante per svariati motivi: 1) la funzione dichiarata dell’Oslo Manual è quella di fornire linee guida per la raccolta e l’interpretazione di dati sull’innovazione, quindi appare difficile piegare a fini prescrittivi le enunciazioni a carattere definitorio in esso presenti, e v’è traccia di tale difficoltà nel dettato della menzionata comunicazione della Commissione europea, la quale fa seguire a delle nozioni genericamente identificate in positivo un nutrito elenco di eccezioni; 2) nell’ultima edizione dell’Oslo Manual – e conseguentemente anche nei testi normativi che vi fanno riferimento – è stato rimosso l’aggettivo “tecnologico” dalle definizioni per renderle più duttili rispetto alla realtà delle imprese operanti nel settore dei servizi64, con un correlato sbiadimento sul piano conoscitivo; 3) nell’Oslo Manual si individuano diversi tipi di innovazione (di processo, di prodotto, di organizzazione, di marketing…) rispetto ai quali si ammette tuttavia la sussistenza di aree grigie in cui è difficile distinguere un profilo innovativo dall’altro, potendoci anzi essere anche delle sovrapposizioni indiscernibili65; 4) rispetto ai diversi tipi di innovazione così specificati, a livello normativo non corrisponde un recepimento integrale, in quanto sia nella comunicazione 2006/C 323/01, sia nel d.m. 87/2008 si identificano soltanto l’innovazione di processo e quella organizzativa, cosicché resta scoperto proprio l’ambito attinente l’innovazione (tecnologica) di prodotto; 5) l’identificazione di imprese innovative nell’Oslo Manual è per forza di cose legata all’os-
activities. Guidelines for collecting and interpreting innovation data3, Luxembourg, 2005, spec. pp. 46 ss., sulle varie nozioni di innovazione ed a p. 58 ss., sulle imprese innovative. Sempre nell’ambito dei riferimenti a normativa tecnica, pare per altro verso da escludersi la possibilità di ricorrere alla classificazione ATECO elaborata dall’Istat per trarre qualche spunto interpretativo, in quanto, come si è riscontrato, l’innovatività è un predicato trasversale e non riconducibile esclusivamente ad una o altra delle categorie di attività lì enumerate. Si interroga al riguardo della possibilità di ricondurre la nozione di innovazione nel d.l. 179/2012 nell’alveo della novità brevettuale M. Cian, Le società, cit., pp. 415 s., sostenendo che «la componente di indeterminatezza […] si accrescerebbe enormemente». In proposito, da un lato, pare di poter accantonare un simile dubbio alla luce della maggiore vaghezza delle definizioni di innovazione nella comunicazione 2006/C 323/01, le quali travalicano ampiamente l’ambito di ciò che può essere oggetto di privative industriali; dall’altro, qualora fosse stato possibile fare ricorso all’arsenale concettuale ed all’elaborazione giurisprudenziale in materia di brevetti – e se ne dubita –, ciò, anziché incrementare l’indeterminatezza della nozione di innovazione tecnologica, avrebbe forse concorso a chiarirne meglio i contenuti. 64 V. OCSE-Eurostat, Oslo Manual, cit., p. 17. 65 Per alcuni chiarimenti, si consulti ancora OCSE-Eurostat, Oslo Manual, cit., pp. 53 ss.
392
Aldo Laudonio
servazione della loro attività in un certo lasso di tempo, quindi non può essere stabilita a priori66, viceversa nell’ottica dei provvedimenti europei ed italiani si deve stabilire la natura innovativa di una certa impresa (e non solo) in maniera prognostica al fine di concedere i benefici previsti e per quest’accertamento la disciplina regolamentare nostrana ha richiesto alternativamente la relazione di un esperto esterno, oppure che sia superata una soglia minima nel rapporto tra le spese operative di ricerca e sviluppo67 e quelle totali (art. 2, co. 4, lett. l), d.m. cit.). Nella disciplina delle start-up innovative manca la prima di queste alternative, ossia una valutazione preventiva ed estrinseca all’impresa in merito alla sua innovatività: questo compito – come suggerito dalla stessa comunicazione e stabilito nel d.m. 87/2008 – avrebbe potuto essere affidato ad un privato68 o anche ad un’entità pubblica69, ma non è stato così. Si è piuttosto optato per l’adozione di magic numbers70, ossia i
66
Si veda nuovamente OCSE-Eurostat, Oslo Manual, cit., pp. 58 s. A questo riguardo si può affermare che il testo regolamentare è tecnicamente più preciso rispetto a quello dell’art. 25, co. 2, lett. h), n. 1, d.l. 179/2012, rispetto al quale ulteriori dubbi sono avanzati e condivisibilmente risolti da M. Cian, Le società, cit., pp. 414 s. La comune ascendenza europea di questi parametri in altri ordinamenti di stati membri è riscontrabile, inoltre, in maniera pressoché testuale anche nelle già citate disposición adicional tercera della ley 14/2011 spagnola e nell’art. 44-sexies-0, III, lett. a), Code général des impôts francese. 68 Né ci sarebbe molto di cui sorprendersi, se solo si pensa al massiccio fenomeno di privatizzazione di delicati compiti di controllo e valutativi che si registra nei più disparati ambiti del diritto commerciale (e basti qui pensare ai molteplici ruoli che il professionista è chiamato a svolgere nell’ambito del concordato preventivo – artt. 160, co. 2, 161, co. 3, 182-quinquies, co. 1 e 4, 186-bis, co. 2, lett. b), co. 3 e 5, lett. a), l.fall. –, degli accordi di ristrutturazione dei debiti - art. 182-bis, co. 1, 6 e 7, l.fall. – e nei piani di risanamento attestati – 67, co. 2, lett. d), l.fall.). 69 Considerate le necessarie competenze tecniche e l’ambito di incidenza della riforma, si sarebbe potuto pensare all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, che già si occupa di sostegno alle imprese innovative. La contraddittorietà delle scelte politiche e normative è comunque evidenziata dal fatto che un organo centralizzato è stato istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico per la concessione di visti a cittadini extra-UE per l’ingresso in Italia al fine di costituire start-up innovative (v. http://italiastartupvisa.mise. gov.it/pdf/linee_guida_ISV.pdf). 70 Una precedente edizione dell’Oslo Manual ammonisce contro il ricorso a “numeri magici” nell’elaborazione di statistiche in merito alla proporzione tra imprese innovative e non: «One of the first steps when presenting the results of an innovation survey is to take the proportion of firms which are “innovating” as opposed to “non-innovating”. This proportion threatens to become a “magic number” comparable to the percentage of GDP devoted to R&D». Con i dovuti adattamenti si crede di poter replicare l’avvertimento anche nel presente ambito normativo. 67
393
Saggi
rapporti di cui all’art. 25, comma 2, lett. h), n. 1 e 2, d.l. 179/2012, da cui sembra altamente arbitrario poter desumere univocamente il carattere innovativo di una certa impresa. Cosicché ci si persuade che la disciplina sulle start-up innovative consenta l’accesso ad una disciplina intensamente privilegiata senza che vi sia un efficace controllo preventivo (ed anche successivo)71 e ciò potrebbe presentare taluni profili di attrito con il divieto di aiuti di stato. Al di là di tutto ciò, resta il fatto che la prevalenza non è definita ricorrendo ad indici quantitativi, e si reputa che essi non possano essere recuperati interpretativamente72, dal momento che la disciplina sulle start-up innovative, pur essendo costellata da parametri numerici73, sul punto non aggiunge nulla. Anche qui, la ricerca di qualche soluzione nell’ormai imperscrutabile trama del nostro ordinamento giuridico non restituisce lumi, ma ulteriori
71 Dal momento che, come si è già avuto modo di constatare, l’art. 25, co. 9 e 15, d.l. 179/2012 consente al legale rappresentante della start-up innovativa di autocertificare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge e, d’altronde, il conservatore del registro delle imprese non appare munito dei poteri e della preparazione necessari per verificare il grado di innovazione tecnologica. Fondatamente critico in merito al ricorso all’autocertificazione è Benazzo, La s.r.l., cit., pp. 114 s., per il quale «nel caso delle start-up innovative, viceversa, l’attestazione non è indipendente, quanto piuttosto una mera autocertificazione; l’attestazione, a sua volta, è affatto priva di quei contrappesi (professionalità, indipendenza, responsabilità) all’autonomia privata che poc’anzi si citavano, essendo la stessa affidata semplicemente al “legale rappresentante” (non altrimenti qualificato) della medesima società». Per parte sua, il notaio, secondo un’attendibile e condivisa opinione, «non [è] tenuto ad alcuno scrutinio circa la ricorrenza dei requisiti di novità e qualità tecnologica dell’attività di impresa che i fondatori intendono svolgere, se non nei limiti nei quali il buon senso comune induca a dubitare dei loro intenti» (così Spada e Maltoni, L’impresa, cit., p. 1117). 72 Sul punto non pare supportata da un aggancio sistematico sufficientemente saldo la pur suggestiva illazione di Spada e Maltoni, L’impresa, cit., p. 1117, che si richiamano al concetto di prevalenza introdotto nell’ambito della disciplina codicistica delle cooperative (artt. 2512 ss. c.c.). Invero, in quella sede il rispetto della condizione di prevalenza può anche non tradursi in alcun intervento formale sui contenuti dell’oggetto sociale, ma funge da vincolo eteronomo alla concreta operatività della società se si opta statutariamente di svolgere attività anche con terzi, conservando al contempo l’accesso ai benefici e privilegi che la legge riserva alle cooperative a mutualità prevalente (e v. artt. 2513 e 2521, co. 2, c.c., nonché l’art. 223-duodecies, co. 6 e 7, disp. att. c.c.). Inoltre, nelle cooperative il rapporto di prevalenza non si stabilisce tra diverse attività da esse svolte (l’attività può anche essere una sola), bensì in virtù della loro destinazione soggettiva, ossia, della prevalente partecipazione allo scambio mutualistico dei soci rispetto ai terzi. 73 Assai nutriti anche per quanto riguarda gli incubatori certificati, e sul punto si vedano l’art. 25, co. 5, 6 e 7, d.l. 179/2012 e il d.m. 22 febbraio 2013.
394
Aldo Laudonio
dubbi. Invero, una disposizione che impone l’indicazione nell’oggetto sociale dell’attività svolta prevalentemente si ritrova nell’art. 8, co. 2, d.m. 34/2013, attuativo dell’art. 10, co. 10, d.l. 183/2011, in materia di società tra professionisti. La norma regolamentare impone l’iscrizione di società tra professionisti multidisciplinari «presso l’albo o il registro dell’ordine o collegio professionale relativo all’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo». Ancora una volta, nessuna precisazione su come debba essere intesa la prevalenza, ma se il problema in quella sede è di natura ordinistica e non sostanziale74, nel caso delle start-up innovative il problema è forse anche più serio, poiché la prevalenza dell’attività di sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico condiziona la stessa qualificabilità della società come tale. Un altro dato si affaccia all’attenzione: nelle s.t.p. multidisciplinari il riferimento alla prevalenza presenta una sua logica – pur nella discutibilità della soluzione adottata – proprio in ragione della varietà delle attività professionali legate dall’esercizio collettivo in forma societaria; nelle start-up innovative, invece, sembra più frutto di un tuziorismo preoccupato di non circoscrivere e irrigidire eccessivamente la loro dinamica imprenditoriale, fermo restando – come già sottolineato – che in ogni caso l’oggetto sociale ormai costituisce un ostacolo assai blando rispetto alla discrezionalità degli amministratori75. Coerentemente, a tale tuziorismo sembra di poter anche ascrivere il silenzio sull’individuazione della condizione di prevalenza. Diventa
74 Ossia, la s.t.p. multidisciplinare non cessa di essere tale poiché svolge prevalentemente un’attività professionale diversa da quella dichiarata nei suoi patti fondativi, ma è soltanto assoggettata al diverso ordine o collegio eventualmente competente. Ulteriori difficoltà potranno sorgere quando l’attività professionale in questione non sia esclusivo appannaggio di un certo ordine (e si può pensare, ad esempio, ai profili di contiguità tra l’attività di ingegnere e quella di geometra), e, soprattutto, in relazione alla misura stessa della prevalenza. Se essa può essere accertata in qualsiasi modo allo scopo di correggere in sede deontologica fenomeni di elusione di determinate – e più rigorose – prescrizioni ordinamentali attraverso un impiego distorto delle s.t.p., è più difficile dire quale tra i vari parametri utilizzabili sia da ritenere più attendibile. Forse, tra i tanti, la composizione dei ricavi dalle prestazioni professionali indicate come prevalenti (e di cui sarebbe opportuno tenere separata evidenza) si lascia preferire (differentemente da quanto cautamente suggerisce Bertolotti, Società, cit., pp. 99 s., che propone di prendere a riferimento l’utile di bilancio, senza però considerare che l’utile potrebbe anche mancare o essere generato da attività accessorie di carattere non professionale, pur sempre nella misura in cui la criticatissima formula dell’art. 10, co. 4, lett. a), d.l. 183/2011 non le preclude). 75 V. supra, sub nt. 33.
395
Saggi
pertanto ancor più arduo giustificare la scelta restrittiva di ammettere all’equity crowdfunding solo le start-up innovative, se poi il legislatore stesso si è evidentemente sottratto anche al compito di segnare i confini della prevalenza di questa sfuggente innovatività. Di conseguenza, escluse altre soluzioni, la prevalenza non potrebbe che tradursi in una priorità “gerarchica” dichiarata documentalmente tra le attività programmate, il che peraltro risulta anche più congeniale alla logica di un controllo meramente formale realizzato al momento dell’iscrizione nell’apposita sezione speciale del registro delle imprese76. Questo comunque non toglie che in un secondo momento si possa accertare il mancato rispetto originario o il sopravvenuto superamento di tale soglia, e che tale risultato sia attingibile ricorrendo alle fonti di prova più disparate, anche se prevedibilmente collegate ad una valutazione qualitativa e, specialmente, quantitativa dei risultati economici dell’attività svolta77. L’esito di tale accertamento sarà presumibilmente la cancellazione dalla ricordata sezione speciale e la conseguente decadenza dai benefici (fiscali, previdenziali, giuslavoristici78 e concorsuali) collegati, mentre per quanto riguarda le deroghe rispetto al diritto societario si ripropongono gli interrogativi già prima tratteggiati79. Un frenetico inseguimento del “nuovo è bello” ha poi portato all’esclusione dalla cerchia delle start-up innovative delle società costituite mediante «fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda
76 Non è mancato chi abbia giustamente rilevato l’appesantimento recato al sistema della pubblicità d’impresa dall’istituzione dell’ennesima sezione speciale ed anche l’incoerenza rispetto alle finalità semplificatrici e pro-concorrenziali che accompagnano gli ultimi provvedimenti in materia economica: Marasà, L’evoluzione, cit., p. 13, secondo cui «l’introduzione di queste nuove sezioni non corrisponde ad alcun disegno coerente con la funzione di migliorare l’informazione del mercato ma apre la strada […] a duplicazioni di adempimenti pubblicitari non solo del tutto inutili ma anche palesemente in contraddizione con quanto viene costantemente predicato in questi tempi, cioè che è essenziale per la competitività delle nostre imprese e per la loro stessa sopravvivenza sui mercati che gli adempimenti burocratici ad esse imposti siano semplificati, con riduzione dei relativi costi». Critico nei confronti della previsione della sezione speciale per le startup innovative è anche Cetra, La pubblicità di impresa, in Dir. comm., a cura di Cian, I, Torino, 2013, p. 119. 77 In questo senso, si riadatta, condividendola, la proposta interpretativa formulata con riguardo alle s.t.p. multidisciplinari da Bertolotti, Società, cit., p. 100. 78 Resta comunque ferma l’efficacia dei contratti a tempo determinato stipulati dalla start-up innovativa sino alla scadenza del termine originariamente previsto (art. 31, co. 4, primo periodo, d.l. 179/2012). 79 V. supra, sub nt. 59.
396
Aldo Laudonio
o di ramo di azienda» (art. 25, co. 2, lett. g), d.l. 179/2012). Si può facilmente immaginare che questo solco sia stato tracciato per non consentire ad operatori economici già esistenti di trarre vantaggio dal poliedrico regime di privilegio temporaneamente accessibile per queste iniziative eludendo i requisiti prestabiliti. Preso atto che anche l’aggiramento di tale divieto non si presenta particolarmente arduo80, meno agevole è trovare una giustificazione per la ricaduta di questa esclusione, la quale impedisce ai risparmiatori di allocare i propri investimenti selezionando liberamente in una gamma assai più ampia di iniziative tutte ugualmente innovative. Anzi, da quest’orizzonte sono state espunte proprio quelle imprese la cui storia ed il cui inserimento nel mercato avrebbero potuto contribuire alla formazione di una più consapevole scelta di investimento e, magari, anche ad alimentare un tiepido affidamento81.
80 E invero sembra sia già stato in concreto superato in almeno un’operazione di crowdfunding realizzata secondo i dettami della disciplina nazionale, quella della Diaman Tech S.r.l. (si vedano i riferimenti indicati infra alla nt. 112 per ulteriore documentazione). Da quanto affermato in un’intervista dallo stesso amministratore delegato, si desume infatti che «Diaman Tech nasce come spin off del gruppo di consulenza Diaman per «scorporare la vendita di software dalle attività sottoposte alla vigilanza» (v. Pennisi, Cosa ci insegna la storia di Diaman Tech sull’equity crowdfunding, 2014, disponibile sul sito http://smartmoney.startupitalia.eu). Dall’intervista in questione, inoltre, si ricava che la maggior parte delle offerte (l’85% circa) proveniva da soggetti che erano già in contatto con la Diaman Tech S.r.l., mentre «gli altri sono tutti operatori finanziari che sono stati avvicinati e ingolositi con sconti successivi sull’acquisto dei software, il 90% per chi investiva almeno 1.500 euro». La vicenda offre due spunti di riflessione. Primo: se la porzione largamente prevalente di offerte proviene da soggetti che erano già in contatto con la emittente, sarebbe forse stato possibile coinvolgerli nell’aumento di capitale mediante trattative private. Secondo: bisogna sottolineare la peculiarità di quest’operazione di equity crowdfunding, la quale ha raggiunto il successo grazie al ricorso ad una tecnica (gli sconti sul prodotto) tipica del reward-based crowdfunding, e forse proprio quest’ultima modalità avrebbe potuto rappresentare un’ipotesi alternativa più diretta ed economica rispetto agli obiettivi prefissati. 81 Da altro punto di vista, la volontà di proteggere i soci di start-up innovative sovraindebitate e di consentire loro di intraprendere nuove iniziative imprenditoriali senza risentire degli effetti negativi di crisi pregresse sembra essersi spinta troppo oltre rendendo inaccessibili (se non all’autorità giudiziaria ed a quelle di vigilanza) le informazioni su di loro risultanti dal registro delle imprese «decorsi dodici mesi dall’iscrizione nel registro delle imprese del decreto di apertura della liquidazione della start-up innovativa adottato a norma dell’articolo 14-quinquies della legge 27 gennaio 2012, n. 3» (art. 31, co. 2, d.l. 179/2012). Paradossale è poi l’estensione di questa norma ai titolari di “cariche o qualifiche” nella società, purché soci. Non si vede, infatti, perché le notizie concernenti un ex amministratore, un ex sindaco, un ex direttore generale, un ex institore o una
397
Saggi
Una fatale confusione tra “nuovo” e “innovativo” ha così segnato il limite dell’accesso all’equity-based crowdfunding da parte di imprese già esistenti e, per una singolare eterogenesi dei fini, ai piccoli investitori è stata riservata la fetta meno appetibile del mercato del finanziamento dell’innovazione. Non si nutre pertanto neanche particolare fiducia sul fatto che questa forma di crowdfunding possa rappresentare un rimedio alla diffusa e cronica sottocapitalizzazione nostrana82, peraltro fomentata dalla previsione di s.r.l. start-up innovative con capitale anche di un solo euro83.
qualsiasi altra figura non appartenente alla compagine sociale debbano continuare ad essere pubblicizzate, mentre quelle relative ad un socio che abbia ricoperto i medesimi incarichi non lo sono: se ciò che conta è l’influenza esercitata sulla gestione dell’attività sociale, è indifferente che tale influenza sia stata praticata in una veste anziché in un’altra. Tutto ciò circoscrive ulteriormente ed in maniera scomposta l’orizzonte informativo cui la potenziale platea di investitori può attingere: non solo si trovano di fronte a società prive di passato, ma anche a soci il cui curriculum può presentarsi immacolato perfino in presenza di reiterati insuccessi. Certamente, le più recenti riforme delle procedure concorsuali hanno fatto tramontare l’epoca della “pietra del vituperio” (su cui si vedano la vivace ricostruzione storica e le riflessioni di Portale, Dalla «pietra del vituperio» alle nuove concezioni del fallimento e delle altre procedure concorsuali, in Studi per Franco di Sabato, II, Napoli, 2009, pp. 749 ss.), ma l’antitetico omaggio dell’anello di Gige ai soci di start-up innovative pone le premesse per pericolosi abusi di questa normativa privilegiata, oltre a creare plurime sperequazioni dentro e fuori la disciplina di queste società. L’introduzione di questa nuova forma di “segreto”, inoltre, sembra da un lato accompagnarsi ad un’inconfessata concezione negativa delle nuove procedure per la composizione delle crisi da sovraindebitamento, quasi che al ricorso alle stesse si possa associare il medesimo stigma sociale derivante dall’assoggettamento a fallimento (ed allora non si capisce perché assoggettare le start-up innovative solo ad esse); dall’altro, l’automaticità della sua concessione alle start-up innovative, mal si concilia con la logica della l. 3/2012, nella quale, ad esempio, l’ottenimento di un altro beneficio assai significativo, quale l’esdebitazione, è legato ad una previa valutazione della condotta del debitore interessato (art. 14-terdecies, co. 2, l. 3/2012). Critico al riguardo è anche Munari, Impresa e capitale sociale nel nuovo diritto della crisi, Torino, 2013, p. 83, che scrive: «Così facendo però si finisce per dimostrare – in maniera forse troppo poco equilibrata – un incondizionato favor per il fresh start con buona pace delle esigenze di trasparenza». 82 Anche tale apodittica convinzione è espressa nella relazione d’accompagnamento al d.l. cit. ed è acriticamente riproposta da Fregonara, La start up, cit., pp. 84 s. 83 Alla luce dei dati statistici (aggiornati all’8 settembre 2014) appare che il ricorso al modello della s.r.l.s. per dar vita ad una start-up innovativa sia piuttosto limitato ed invero consta che su un totale di 2447 s.r.l. start-up innovative ne esistano soltanto 254 “semplificate”. Varie ragioni possono essere addotte per spiegare questo fenomeno. In primo luogo, è possibile accedere a benefici fiscali notevolmente più sostanziosi già solo attraverso l’ottenimento della qualifica di start-up innovativa senza neanche dover adottare lo scadente atto costitutivo standard predisposto con il d.m. 138/2012 (tacendo
398
Aldo Laudonio
Quale valida motivazione potrebbe infatti indurre una folla di investitori a conferire somme anche modeste in una iniziativa nella quale gli stessi fondatori hanno inteso di rischiare soltanto un obolo…neanche si trattasse del leggendario cent di zio Paperone! Così incrementata la naturale rischiosità dell’investimento, la legge si è spinta oltre deprimendone anche la prospettiva di remunerazione, come risulta dal divieto quadriennale di distribuzione degli utili (art. 25, co. 2, lett. g), d.l. cit.). Al riguardo, si dubita della bontà di una scelta paternalistica che, calandosi su una miriade di possibili scenari differenti, fissa un identico ciclo di autofinanziamento “coattivo”, anche in presen-
degli ondivaghi orientamenti ministeriali in merito all’inderogabilità di questo modello ed ogni altra sua criticità, ci si limita in questa sede a riferire che in una discutibile nota interpretativa del Ministero della Giustizia – n. 118972.U dell’11 settembre 2013, integrata con comunicazione del 13 settembre 2013 – si sostiene che le clausole n. 4 e 5 dell’atto in questione devono ritenersi soppresse per effetto delle modifiche alla disciplina della S.r.l.s. apportate dal d.l. 76/2013: sul punto si rinvia comunque alle riflessioni di Bartolacelli, L’insostenibile, cit., pp. 31 ss.). In secondo luogo, qualora si volesse accedere ad un’operazione di equity crowdfunding, «si erge un insuperabile ostacolo […] derivante dalla necessità di riconoscere al sottoscrittore un diritto di co-vendita o di recesso per il caso di trasferimento del controllo» (art. 24, co. 1, lett. a), reg. equity c.f.), come giustamente segnalato da Capelli, L’equity based crowdfunding e i diritti del socio, relazione presentata al convegno “L’impresa e il diritto commerciale: innovazione, creazione di valore, salvaguardia del valore nella crisi”, cit., p. 5. In terzo luogo, quand’anche si ritenesse di poter apportare degli adattamenti all’atto costitutivo standard in funzione della specialità della disciplina del d.l. 179/2012, si presenta un’ulteriore difficoltà: la S.r.l.s. che intenda realizzare un’operazione di equity crowdfunding dovrebbe fronteggiare per intero tutte le spese legate all’imprescindibile delibera di aumento del capitale; non solo, questa delibera non potrebbe fissare l’ammontare del capitale sociale oltre i 9.999,99 euro, per non provocare la decadenza dai benefici previsti dall’art. 2463-bis, co. 3, c.c. (sebbene si possa immaginare – e concretamente è già accaduto, anche se non con riguardo ad una S.r.l.s. – che ai terzi sottoscrittori sia richiesto di effettuare sostanziosi apporti a titolo di sovrapprezzo). Pare così una conclusione obbligata quella secondo cui l’opzione per le S.r.l.s. start-up innovative implicitamente conduca alla nascita di società “chiuse” rispetto all’accesso al finanziamento possibile per tutte le altre start-up innovative. Perciò, pur condividendo l’opinione di Spada e Maltoni, L’impresa, cit., p. 1122, e di Presti e Rescigno, Corso di diritto commerciale6, II, Bologna, 2013, p. 251, secondo cui «nulla sembra precludere che una S.r.l.s. sia qualificabile anche come start up», bisogna aggiungere che il cumulo di queste qualifiche non consente allo stato attuale di sfruttare appieno le potenzialità della seconda. Infine, se proprio si volesse ricorrere all’investimento dei terzi senza vincolare nel capitale sociale risorse proprie, resta comunque praticabile l’alternativa rappresentata dall’impiego della s.r.l. “tradizionale” con capitale fino ad 1 € (art. 2463, co. 4, c.c.).
399
Saggi
za del raggiungimento di obiettivi o del verificarsi di situazioni esterne che potrebbero tranquillamente consentire la ripartizione dei risultati positivi dell’attività. Sarebbe stato forse possibile lasciare aperto uno spiraglio all’autonomia privata – così come fatto con le clausole di recesso e co-vendita di cui all’art. 24, co. 1, lett. a), reg. equity c.f. – consentendo di individuare degli eventi il cui verificarsi avrebbe permesso la divisione degli utili, ma si è preferita una logica di tutela rigida, la quale comunque tralascia la possibilità di distribuzioni indirette di utili84. Alcune ulteriori considerazioni critiche possono essere formulate con riguardo alla mancanza nel d.l. 179/2012 di una visione generale degli istituti giuridici del diritto societario e di senso della realtà. Implicitamente identificando nella s.r.l. il veicolo d’elezione85 per lo svolgimento di attività ad elevato tenore d’innovazione, il decreto in parola ne fa oggetto di un nutrito complesso di norme di privilegio a differenza degli altri tipi societari. Queste norme, per quanto qui interessa, ampliano gli strumenti di raccolta dei capitali delle s.r.l. attraverso: 1)
84 Contemplata invece frequentemente nella pletorica legislazione speciale in tema di enti nonprofit: ex plurimis, v. art. 10, comma 1, lett. d), d.lgs. 460/1997; art. 3, comma 2, d.lgs. 155/2006. 85 La precipua attenzione dedicata a questo tipo dal legislatore ha già fatto pronunciare più autori in questo senso (Bartolacelli, L’insostenibile, cit., p. 5; Presti e Rescigno, Corso di diritto commerciale, cit., p. 215; Marasà, Considerazioni, cit., p. 1087; Benazzo, La s.r.l., cit., pp. 107 s., nt. 14, ove si sottolinea efficacemente che «anche là ove organizzata sotto forma di s.p.a. (o di s.a.p.a.), a scopo lucrativo o mutualistico, l’impresa start-up innovativa, in punto di diritto societario, beneficia unicamente della “dilazione” temporale che il decreto accorda all’operatività delle “regole del netto”, segnatamente della c.d. “regola del ROL”», nonché a pp. 115 ss., in cui si parla della «compulsiva manipolazione genetica del tipo s.r.l.»), e pure i dati ricavabili dall’elenco pubblicato su internet dalle camere di commercio testimoniano la netta preferenza accordata nella pratica alla S.r.l.: infatti, su 2541 start-up innovative iscritte all’8 settembre 2014, 2447 sono S.r.l. (di cui 3 consortili), mentre 43 sono S.p.A., 50 sono società cooperative (tra cui svariate cooperative sociali e imprese sociali in forma di cooperativa). Si segnala che in precedenza tra i risultati compariva perfino una società semplice, la quale non rientrava tra i soggetti legittimati ad ottenere la qualifica di start-up innovativa (art. 25, co. 2, d.l. 179/2012). Rispetto all’intervento del legislatore nazionale sul precario habitat normativo della S.r.l. (che, come si vedrà risulta piuttosto scoordinato), si lascia ancora una volta preferire l’opzione del legislatore francese, il quale si è limitato a ritoccare la disciplina della société par actions simplifiée (adattandola alla maggiore complessità derivante da un superiore numero di partecipanti – art. 14 ord. n. 2014-559 – e prevedendo la possibilità di attribuire un voto plurimo secondo un meccanismo simile a quello dell’art. 20, co. 1, d.l. 91/2014: v. supra, sub nt. 27), confermando così implicitamente che la possibilità di fare appello al pubblico risparmio è riservata alle sole società azionarie.
400
Aldo Laudonio
la facoltà di creare e determinare liberamente il contenuto di varie “categorie di quote” fornite di diritti diversi, prive di diritto di voto, a voto diversamente “carato”, o a voto limitato/condizionato (art. 26, co. 2 e 3, d.l. cit.)86; 2) la possibilità di emettere strumenti finanziari partecipativi sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 2346, ult. co., c.c.87 (art. 26, co. 7, d.l. cit.). In generale, si assiste ad una pedissequa trasposizione delle regole sui mezzi di reperimento della provvista finanziaria (e non solo) della s.p.A. nella s.r.l., con in più la possibilità che tale ibridazione possa irreversibilmente consolidarsi trascorso il termine di durata della qualifica di start-up innovativa (art. 31, co. 4, d.l. cit.). Non è azzardato pronosticare che difficilmente una piccola s.r.l. in fase di crescita farà uso di questa panoplia di strumenti, anche per non andare incontro alla conseguente complicazione del governo societario e dei rapporti interni a una compagine caratterizzata da posizioni troppo eterogenee88, nell’ambito della quale, peraltro, i soci uti singuli godreb-
86 Per una rassegna di interrogativi sui limiti all’autonomia statutaria in quest’ambito, v. Spada e Maltoni, L’impresa, cit., pp. 1122 ss.; Fregonara, La start up, cit., pp. 76 ss.; Salvatore, Commento, cit., pp. 103 ss.; Benazzo, La s.r.l., cit., pp. 116 ss., con accenti fortemente critici, censurando in particolare l’ingiustificato vantaggio competitivo che attraverso le deroghe al diritto comune sarebbe riconosciuto alla S.r.l. start-up innovativa sulla S.p.a. start-up innovativa (pp. 104 s., 123 ss.). 87 Per un evidente difetto di coordinamento nell’art. 26, co. 7, d.l. 179/2012 questa facoltà di emissione è riferita a tutte le società che possono assumere la veste di start-up innovativa (s.p.A., s.r.l., s.a.p.a., società cooperative e sE) e anche a tutti gli incubatori certificati (art. 25, co. 5, d.l. cit.), mentre gli strumenti finanziari emessi non possono incorporare i diritti amministrativi che consentano la partecipazione alle sole decisioni dei soci ai sensi degli articoli 2479 e 2479-bis c.c. Se, invero, per le società azionarie non era necessario prevedere questa facoltà di emissione, essendo già abilitate da apposite previsioni codicistiche, il rinvio di portata generale alle materie di cui agli artt. 2479 e 2479-bis c.c. resta comunque inopportuno e foriero di confusione, considerata la diversa e più rigida ripartizione delle competenze organiche in questi tipi societari rispetto alla S.r.l. Interpretativamente, si può forse prevenire l’emersione di alcuni risultati aberranti attraverso la conclusione che il riferimento alle disposizioni del codice civile valga esclusivamente per le S.r.l. start-up innovative, mentre per le società azionarie e le società cooperative a base azionaria continui a trovare applicazione la sparpagliata disciplina comune sugli strumenti finanziari partecipativi e di debito (così anche, per tutti, Spada e Maltoni, L’impresa, cit., p. 1130; Benazzo, La s.r.l., cit., p. 121). Per altri rilievi, v. infra, nt. 89. 88 Si rinvia ai rilievi svolti supra, sub par. 2, nt. 19 e testo corrispondente. Molteplici critiche e proposte correttive sono state trasmesse alla Consob dai soggetti che hanno partecipato al procedimento di elaborazione del reg. equity c.f. e per una sintesi, v.
401
Saggi
bero del penetrante diritto di informazione riconosciuto dall’art. 2476, co. 2, c.c.89. Va aggiunto il sistema normativo della s.r.l., in ciò del tutto
Consob, Regolamento in materia di “raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line” - Esiti della consultazione, 2013, pp. 4, 49 s., leggibile sul sito http://www.consob.it. In particolare, non sembra possibile – come pure è stato suggerito da più parti – che per evitare appesantimenti del governo societario siano costituite delle apposite società-veicolo che a loro volta procederebbero alla raccolta dei conferimenti degli investitori e parteciperebbero in rappresentanza di costoro nella startup innovativa: il ricorso all’equity crowdfunding è consentito esclusivamente a start-up innovative e per la realizzabilità della proposta avanzata alla Consob sarebbe necessaria una modifica alla normativa primaria (artt. 1, co. 5-novies e 5-decies, 50-quinquies e 100ter t.u.f., inseriti dall’art. 30 d.l. 179/2012). 89 Potrebbe facilmente verificarsi che un concorrente della società che ricorre all’equity-based crowdfunding desideri accedere alle sue informazioni riservate (anche attraverso un prestanome) e decida pertanto di effettuare un minimo conferimento durante la campagna per poi potersi avvalere delle facoltà previste dall’art. 2476, comma 2, c.c. e venire a conoscenza – a buon mercato – di quanto di suo interesse. Ad una simile situazione critica, il cui rischio è certamente accentuato nelle start-up innovative, dottrina e giurisprudenza non forniscono però risposte univoche, essendo ancora alla ricerca dei limiti estrinseci che potrebbe incontrare l’esercizio del diritto di informazione nelle S.r.l. Sul punto, per un rappresentativo campione ed ulteriori riferimenti, cfr. M.G. Paolucci, Commento all’art. 2476 c.c., in Società a responsabilità limitata, cit., pp. 480 ss.; Presti, Il diritto di controllo dei soci non amministratori, in S.r.l. - Commentario, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011, pp. 656 ss.; Angelillis [e Sandrelli], Commento all’art. 2476 c.c., in Commentario alla riforma delle società. Società a responsabilità limitata, a cura di Bianchi, Milano, 2008, pp. 706 ss.; Zanarone, Della società a responsabilità limitata, II, in Il codice civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 2010, pp. 1110 ss.; Guidotti, I diritti di controllo del socio nella S.r.l., Milano, 2007, pp. 152 ss., 160 s., nt. 110 (ove un disamina della liceità del diniego di accesso ad informazioni su invenzioni non ancora brevettate); Montagnani, Informazione e controlli nelle nuove società a responsabilità limitata, Padova, 2007, pp. 238 ss.; Buta, I diritti di controllo del socio di S.r.l., in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, a cura di Abbadessa e Portale, III, Torino, 2007, pp. 608 ss., in cui anche ampia informazione sull’ordinamento tedesco; Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, V, 1, Padova, 2007, p. 255; Ricci, I controlli individuali del socio non amministratore di società a responsabilità limitata, in Riv. dir. comm., 2006, I, pp. 136 s., con speciale riguardo alle informazioni segrete ex artt. 98 e 99 c.p.i. (ed a queste andrebbero aggiunte le privative di cui si è discusso supra, nel testo in corrispondenza della nt. 51);. In dottrina è peraltro minoritario l’orientamento che sostiene la derogabilità della previsione codicistica (Guidotti, I diritti di controllo, in La nuova società a responsabilità limitata, a cura di Bione, Guidotti e Pederzini, Padova, 2012, pp. 355 ss., e, amplius, Id., I diritti di controllo del socio, cit., pp. 104 ss.; Benazzo, I controlli nella società a responsabilità limitata: singolarità del tipo od omogeneità della funzione?, in Riv. soc., 2010, pp. 25 s. e nt. 18, ove l’A. dichiara il proprio mutamento di opinione rispetto a scritti anteriori, nonché pp. 36 s., 45 s., 49 ss., in cui si argomenta che la soppressione – a mag-
402
Aldo Laudonio
immutato, presenta una strutturazione piuttosto complessa della vicenda circolatoria delle quote di partecipazione (art. 2470 c.c.), la quale già di per sé pone uno dei maggiori fattori di illiquidità dell’investimento in ragione della difficoltà di creare un mercato secondario90. Non solo, la disciplina codicistica non offre neppure una chiara e rigida struttu-
gioranza – del controllo individuale dovrebbe essere accompagnata dall’istituzione di un controllo “per uffici”; Abriani, Controllo individuale del socio e autonomia contrattuale nella società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2005, I, pp. 162 ss.; Id., Controlli e autonomia statuaria: attuare l’“audit” per abbassare la “voice”, in AGE, 2003, p. 345 ss.; alcune aperture in M.G. Paolucci, Commento all’art. 2476 c.c., cit., pp. 492 ss., anche se con molta cautela; Montagnani, Informazione, cit., pp. 247 ss.; Perrino, Il controllo individuale del socio di società di capitali: fra funzione e diritto, in Giur. comm., 2006, I, p. 665) e ciò rende ancor più problematica la situazione delle S.r.l. start-up innovative che accedano al crowdfunding. Pure l’esplicitazione statutaria dell’obbligo di riservatezza gravante sul socio (e che la dottrina pressoché unanime ritiene comunque sussistente) non accompagnata dalla fissazione di clausole penali, o anche l’introduzione di divieti di concorrenza e di apposite cause facoltative di esclusione potrebbero rappresentare rimedi in concreto poco efficaci di fronte all’ampiezza del diritto di informazione e alla difficoltà della sua sindacabilità nel merito (v. nuovamente Montagnani, Informazione, cit., p. 244 e, con il consueto acume in merito alla difficoltosa determinazione di cause di esclusione ed ai rischi che dall’esclusione del socio possono derivare per la società stessa, pp. 253 s.). Non ci si può al momento soffermare sulle ulteriori problematiche di coordinamento che si presentano in relazione alle cooperative che siano modellate sulla disciplina delle S.r.l., rinviandosi comunque all’approccio problematico di Benazzo, I diritti individuali di ispezione e controllo, in La cooperativa - s.r.l. tra legge e autonomia statutaria, a cura di Cusa, Padova, 2008, pp. 295 ss., spec. pp. 304 ss. ed ai riferimenti in esso contenuti. In giurisprudenza, può da ultimo rivestire qualche interesse ai fini del problema qui sollevato Trib. Milano (ord.), 22 luglio 2012, in http://www.giurisprudenzadelleimprese. it, in cui si argomenta che «il diritto alla consultazione della documentazione sociale e alla estrazione di copia possa trovare specifica limitazione – attraverso l’accorgimento del mascheramento preventivo dei “dati sensibili” presenti nella documentazione, quali, ad esempio, i dati relativi ai nominativi di clienti e fornitori – laddove alle esigenze di controllo “individuale” della gestione sociale – cui è preordinato il diritto del socio ex art. 2476 c.c. secondo comma – si contrappongano non pretestuose esigenze di riservatezza fatte valere dalla società». 90 Come condivisibilmente opina Alvisi, Equity, cit., pp. 6 s., anche se, per vero, la logica in cui si muove il legislatore primario e secondario sembra essere quella di un investimento immobilizzato nel quale le aspettative economiche dei soci “esterni” sono tutelate con meccanismi di disinvestimento (recesso, co-vendita) diversi dalla vendita. Più in generale l’investitore dev’essere avvertito contro il rischio di illiquidità ai sensi dell’art. 15, comma 1, lett. b), reg. equity c.f. e tale pericolo è tra i più gravi tra quelli evidenziati dall’ Esma, Position, cit., punti 27 ss., e dalla iosco, Crowd-funding, cit., pp. 23 ss., oltre a quello di frodi, di fallimento dei progetti, di diluizione degli investimenti, di fallimento della piattaforma (o di chiusura del suo sito) e di attacchi informatici.
403
Saggi
razione organica della società stessa, rinvenibile invece nelle S.p.A., il che aggrava ancora di più le tensioni interne cui si può andare incontro nel fare appello alla folla91. Anche il pietoso tentativo di riesumare gli strumenti finanziari partecipativi – che fin dal 2003 si sono limitati ad osservare la realtà delle società dalle fittissime pagine che la dottrina ha loro dedicato92 – non pare destinato a miglior sorte. Guardando, infatti, alle S.p.a., dal complesso delle disposizioni primarie (specialmente gli artt. 1-co. 5-novies e 100-ter t.u.f.) e secondarie (artt. 15, co. 1, lett. a), e 24, co. 1, lett. a), reg. equity c.f.), si direbbe che la disciplina è quasi esclusivamente tarata sull’offerta di azioni. Nondimeno, sembra che non vi siano preclusioni alla possibilità di utilizzare l’equity crowdfunding per emettere strumenti finanziari caratterizzati nel senso della partecipatività. Naturalmente, ciò lascia del tutto impregiudicate le numerose difficoltà ricostruttive ed applicative di questi strumenti, che ne hanno in sostanza decretato l’insuccesso. Nelle s.r.l. start-up innovative, poi, solo le quote di partecipazione al capitale “possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali” (art. 26, co. 5, d.l. cit.)93.
91
Un cenno sulla possibile applicazione del meccanismo delle assemblee speciali si può leggere in Fregonara, La start up, cit., pp. 75 s., la quale ripropone un’intuizione già presente in Spada e Maltoni, L’impresa, cit., pp. 1124 s., 1128. 92 Lo scetticismo su questo istituto è condiviso anche da Bartolacelli, L’insostenibile, cit., p. 6, nt. 11, che già in altra opera (La partecipazione non azionaria nella S.p.A., Milano, 2012, p. 313), all’esito di un impegnativo percorso ricostruttivo, scriveva: «Se l’intento del legislatore delegante era di provvedere ad un ampliamento delle forme di finanziamento della società, si può dire che il risultato è stato attinto se non unicamente, perlomeno principalmente sul solo piano teorico» (sottolineatura aggiunta). 93 Quindi a tali strumenti, se mai saranno usati, è riservata una funzione di raccolta di risorse attraverso trattative individuali tra i soci esistenti e, più in generale, presso altri soggetti già in contatto con la società: certo non potranno essere oggetto di emissioni in massa spersonalizzate. Alternativamente, come attestato anche dalla relazione d’accompagnamento al decreto, sarà possibile usarli per integrare particolari forme di remunerazione accessoria di amministratori, dipendenti o collaboratori continuativi (art. 27 d.l. cit. e sul punto v. Assonime, L’impresa, cit., pp. 794 s.), similmente a quanto già previsto dall’art. 2349 c.c. Alla luce di tutto ciò si può adombrare il sospetto che, rapidamente evaporato l’entusiasmo iniziale, anche il legislatore guardi ormai con una certa dose di scetticismo e sfiducia agli strumenti finanziari partecipativi, ritagliando per essi dei ruoli di “nicchia”. Va tuttavia evidenziato che questa opzione normativa sembra divergere dall’istanza di facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese al mercato dei capitali di rischio (anche attraverso strumenti di mezzanine financing) ed al microcredito, prescelta quale obiettivo politico dalla UE (a partire dal c.d. Small Business Act, COM(2008) 394, riesaminato con la comunicazione COM(2011) 78, ulteriormente dettagliato per quanto riguarda l’accesso
404
Aldo Laudonio
La sensazione, a quest’ultimo riguardo, è che si sia consumato un capovolgimento sul piano della logica e della coerenza sistematica. Basta soffermarsi a considerare che in virtù dell’angusto spiraglio aperto a favore dell’appello al mercato dei capitali (di credito) con l’art. 2483 c.c., alle S.r.l. ordinarie è consentita soltanto l’emissione di titoli di debito, la cui sottoscrizione è riservata ad “investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale”, i quali dovrebbero poi garantire la solvenza dell’emittente presso gli acquirenti non professionali (secondo un meccanismo la cui operatività è risultata assai problematica per tutti gli interpreti). Nelle s.r.l.
delle p.m.i. a canali di finanziamento alternativo nella comunicazione COM(2011) 870, e confermato, inter alia, anche dalla recente comunicazione COM(2012) 795, contenente il piano d’azione Entrepreneurship 2020). A quanto detto si può aggiungere che per effetto della previsione del menzionato art. 27, nelle cooperative start-up innovative si presenta un inedito problema di ricostruzione del raccordo tra la legge speciale ed i già oscuri confini della fattispecie degli strumenti finanziari in quelle società, che richiederà di adattare interpretativamente l’art. 2545-quinquies c.c. al genere di emissioni “remunerative” contemplate nel d.l. cit. Le peculiari difficoltà di individuazione appena ricordate sono solo in minima parte risolte dall’art. 11, co. 3-bis, d.l. 145/2013; il testo di questo comma, discutibilmente formulato come norma di interpretazione autentica (come frequentemente avviene nell’ambito della più recente legislazione in materia di cooperative, a testimonianza del livello di oscurità raggiunto in quel settore), recita: “Il quarto comma dell’articolo 2526 del codice civile si interpreta nel senso che, nelle cooperative cui si applicano le norme sulle società a responsabilità limitata, il limite all’emissione di strumenti finanziari si riferisce esclusivamente ai titoli di debito”. Anche se quest’enunciato è ben lontano dal precludere ogni margine di incertezza, la norma sembra implicitamente consentire alle cooperative-S.r.l. l’emissione (senz’alcun limite) di strumenti finanziari diversi, eventualmente anche dalla natura azionaria (tra le ipotesi tipiche, si pensi alle azioni di sovvenzione o di partecipazione cooperativa: artt. 4 e 5 l. 59/1992). Per le cooperative-S.r.l. che assumano la veste di start-up innovative, ciò consentirà senz’altro di superare l’inderogabile gradimento degli amministratori di fonte legale associato alle sole partecipazioni dei soci cooperatori (art. 2530 c.c.), accogliendo un orientamento dottrinale (per vero minoritario) favorevole all’emissione di titoli azionari da parte di queste cooperative, per cui cfr. Belli, Di Gennaro, I soci finanziatori, in La cooperativa - s.r.l., cit., pp. 113 ss.; Calvosa, La circolazione della partecipazione cooperativa, in Il nuovo diritto delle società, IV, cit., pp. 879 ss.; Bonfante, Commento all’art. 2526 c.c., in Il nuovo diritto societario, a cura di Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, III, Bologna, 2004, pp. 2492 s. Contra, tra gli altri, Patriarca, I titoli di debito, in La cooperativa - s.r.l., cit., pp. 124 ss.; Bartalena, Commento all’art. 2519 c.c., in Commentario alla riforma delle società. Società cooperative, a cura di Presti, Milano, 2007, pp. 105 ss.; Rescigno, Strumenti finanziari emessi da società cooperative, in Il nuovo diritto delle società, cit., pp. 941 ss.; Lamandini, Commento all’art. 2526 c.c., ivi, pp. 206 s.; Cusa, Il socio finanziatore nelle cooperative, Milano, 2006, p. 44 ss.; Presti, Gli strumenti finanziari delle società cooperative, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, III, 3, Milano, 2005, p. 3524 ss.
405
Saggi
start-up innovative, invece, vi è un’ampia libertà di emissione di titoli partecipativi, eppure la platea dei risparmiatori può essere sollecitata attraverso i “portali” soltanto a sottoscrivere quote di partecipazione alla società94. Gli stessi soggetti che nel codice civile sono stati circondati di ampie cautele nei confronti di titoli (di norma) incorporanti un obbligo di restituzione del finanziamento, nel d.l. 179/2012 sono considerati alla stregua di esperti investitori, ma solo per la partecipazione al capitale delle s.r.l., per definizione esposta al rischio – per giunta elevato – dell’attività d’impresa. Di fronte al lunatico atteggiamento paternalista del legislatore, resta così inspiegabilmente preclusa ogni altra possibile forma di (micro-)investimento mediante portali informatici. Valutando, infine, il complesso sforzo di “finanziarizzazione” della s.r.l. in rapporto al modesto risultato raggiunto con l’art. 26, co. 5, d.l. cit., viene spontaneo interrogarsi se non sarebbe stato preferibile limitarsi ad intervenire sulla disciplina del capitale legale minimo della S.p.A. introducendo soglie più basse95 compatibilmente con la normativa europea, senza stravolgere l’as-
94 Così anche Spada e Maltoni, L’impresa, cit., p. 1130, sebbene in un’ottica per la quale gli strumenti finanziari partecipativi sarebbero funzionali soltanto alla provvista di capitale di credito (e dovrebbero pertanto essere assoggettati alla disciplina dell’art. 2483 c.c., se emessi da S.r.l.); Fregonara, La start up, cit., pp. 83 s.; Enriques, La disciplina italiana uccide il crowdfunding nella culla?, in Crowd future, cit., p. 73; Cossu, Le start up, cit., p. 1718; Benazzo, La s.r.l., cit., pp. 119 s. Diversamente, Assonime, L’impresa, cit., pp. 804, 807, ammette anche l’offerta di strumenti finanziari di carattere partecipativo, in quanto ne riconosce la natura di “strumenti di rischio”; Vitali, Equity, cit., pp. 391 ss. In senso contrario, infine, Capelli, L’equity, cit., p. 24, testo e nt. 63. 95 Il provocatorio interrogativo formulato nel testo (e presente anche in Benazzo, La s.r.l., cit., p. 116, nt. 30, insieme ad altri suggerimenti) è stato peraltro recentemente superato dall’abbattimento del capitale minimo delle s.p.a. a 50.000 euro (art. 20, co. 7, d.l. 91/2014), risultando così soltanto doppio rispetto alla soglia fissata dall’art. 6, par. 1, dir. 2012/30/UE. È appena il caso di precisare che quanto detto non implica in nessun modo accettazione della demagogica battaglia contro il capitale sociale e le sue soglie legali minime nella quale il legislatore si è impegnato da qualche anno. Sul piano concreto, se anche un soldo può ormai comprare la responsabilità limitata (e in questo senso la funzione dei minimi legali sembra ormai ridursi a quella di un bistrattato “interruttore disciplinare” di questo o quel tipo sociale), evidentemente non basta ad alimentare e sostenere l’impresa che si vuole svolgere. Per altro verso, il messaggio veicolato dalla sequela di interventi sul capitale sociale sembra essere quello di un progressivo affrancamento da un ostacolo, nel segno di una più libera determinazione della struttura finanziaria (almeno) delle S.r.l.; in realtà, la limitatezza (sia dal punto di vista sistematico, che da quello politico-economico) delle modifiche normative si scontra con un edificio normativo all’interno del quale, nonostante sia impossibile esigere un’adeguata capitalizzazione della società (o una sua non manifesta sottocapitalizzazione: sul tema, per tutti, v. Portale, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Tratt. S.p.A., diretto da Colombo e
406
Aldo Laudonio
setto della s.r.l., già vittima di reiterati e contraddittori mutamenti normativi.
Portale, I**, Torino, 2004, pp. 41 ss., 63 ss., 112 ss., 143 ss.), ai soci non è lasciata completa discrezionalità nel “dosaggio” delle risorse proprie della società. L’ingannevolezza e la fragilità dell’immunità creata dal legislatore si scontrano innanzitutto con il principio trasversale degli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., il quale, quantomeno all’approssimarsi della crisi, fissa una duplice – ancorché poco nitida – barriera contro il tentativo di esternalizzare le perdite, mediante la postergazione del rimborso di quei finanziamenti dei soci «concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento», ferma restando la restituzione alla società delle somme riscosse, se il pagamento è avvenuto nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento (Cossu, Le start up, cit., pp. 1722 s., nt. 117, ritiene le S.r.l. start-up innovative particolarmente esposte all’applicazione di questa norma). Oltre a queste regole, tutto il diritto societario, specie a seguito della riforma del 2003, è disseminato di clausole generali che demandano ai componenti degli organi amministrativi e di controllo, rispettivamente, di dotare la società di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile e di vigilare costantemente su di esso (artt. 2381, co. 3 e 5, 2403, co. 1, c.c., nonché art. 2497, co. 1, primo periodo, c.c., con la sua menzione dei “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” e, per le società quotate, l’art. 149, co. 1, lett. c), t.u.f.), ed è generale il convincimento in merito all’intensificazione dei doveri di sorveglianza in prossimità di situazioni di crisi (senza alcuna pretesa di completezza, v. Sacchi, La responsabilità gestionale della crisi dell’impresa societaria, in Giur. comm., 2014, I, pp. 314 ss., spec. pp. 318 ss.; Brizzi, Finanziamento dell’impresa in crisi e doveri gestori, relazione presentata al convegno “L’impresa e il diritto commerciale: innovazione, creazione di valore, salvaguardia del valore nella crisi”, cit., pp. 12 ss.; Id., Responsabilità gestorie in prossimità dell’insolvenza e tutela dei creditori, in Riv. dir. comm., 2008, I, pp. 1027 ss., spec. 1031 ss.; Montagnani, Disciplina della riduzione del capitale: impresa o legislatore in crisi?, in Giur. comm., 2013, I, pp. 761 s.; Nigro, “Principio” di ragionevolezza e regime degli obblighi e della responsabilità degli amministratori di S.p.A., ivi, pp. 467 s., 475 ss.; Guerrera, Compiti e responsabilità degli amministratori nella gestione dell’impresa in crisi, in La governance nelle società di capitali, diretto da Vietti, Milano, 2013, pp. 247 ss., spec. 256 ss.; Rocco di Torrepadula, Profili di responsabilità degli amministratori di società per azioni durante la crisi, ivi, pp. 276 ss.; Montalenti, Amministrazione e controllo nella società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. soc., 2013, pp. 71 ss.; Id., La gestione dell’impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale, in RDS, 2011, pp. 820 ss.; Strampelli, Capitale sociale e struttura finanziaria nella società in crisi, in Riv. soc., 2012, pp. 622 ss.; Miola, La tutela dei creditori ed il capitale sociale: realtà e prospettive, ivi, pp. 275 ss., spec. 277 ss., testo e nt. 117, 301 ss., testo e note, in cui anche ampia bibliografia comparatistica; Id., Riflessioni sui doveri degli amministratori in prossimità dell’insolvenza, in Scritti in onore di Umberto Belviso, Bari, 2011, pp. 609 ss.; Mazzoni, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum A. Piras, Torino, 2010, pp. 829 ss., 835 ss.): la conservazione di un veicolo societario onerato di passività il cui risanamento sia prevedibilmente impraticabile contrasta con questi fondamentali doveri ed è fonte di responsabilità per i componenti degli organi tenuti ad osservarli (e, talora, anche dei soci), anche se si tratti di start-up innovative (il che tuttavia non toglie che l’azione di responsabilità possa rivelarsi un rimedio debole). Con riguardo alle criticità derivanti dal rinvio dei termini per le riduzioni obbligatorie del
407
Saggi
La sperimentazione legislativa, comunque, non si è conclusa qui ed altre misure adottate possono concorrere indirettamente a minare il successo delle start-up innovative: tra queste si può ricordare l’esonero dall’assoggettamento alle procedure concorsuali, soppiantate dalle procedure per la composizione delle crisi da sovraindebitamento (art. 31 d.l. cit. e l. 3/2012). Questa opzione, presentata come un beneficio per tali società, oltre a fare ricadere sugli investitori i costi transattivi associati ad una normativa ancora in fase di turbolento assestamento e dedicata alla risoluzione di problematiche affatto differenti, è altresì suscettibile di produrre un effetto perverso, data la natura volontaria delle procedure di composizione. La possibile conseguenza consiste nel fatto che anche in caso di conclamata insolvenza delle start-up innovative, nessun loro creditore potrà provocarne il fallimento fino alla scadenza del regime privilegiato96, creandosi così
capitale nelle start-up innovative (art. 26, co. 1, d.l. 179/2012), si consultino: Assonime, L’impresa, cit., p. 815, per la quale – con una conclusione invero discutibile – il regime della ricapitalizzazione per perdite resta quello dell’articolo citato anche dopo lo spirare del termine dell’art. 31, comma 4, d.l. cit., se la perdita si manifesta quando la società è ancora una startup innovativa; Fregonara, La start up, cit., pp. 55 ss., che però presta un’apodittica adesione alla tesi minoritaria – seppure autorevolmente rappresentata – che riconosce nel capitale una funzione di “garanzia supplementare” dei creditori sociali (p. 57 ss.); Montagnani, Disciplina, cit., pp. 758 s.; Cagnasso, Note in tema di start up innovative, riduzione del capitale e stato di crisi (Dalla “nuova” alla “nuovissima” S.r.l.), relazione presentata al convegno “L’impresa e il diritto commerciale: innovazione, creazione di valore, salvaguardia del valore nella crisi”, cit., pp. 5 ss. 96 Salvi gli eventuali abusi della veste di start-up innovativa (di cui si è già fatto cenno supra, sub nt. 59 e infra, sub nt. 97), viene meno anche uno dei vantaggi economici del ricorso al crowdfunding, ossia il c.d. fail quickly. Apprezzabile appare pertanto il tentativo di individuare un rimedio sistematico alla preservazione di simulacri di società prive di risorse proprie suggerendo che gli amministratori in queste situazioni procedano a una gestione conservativa e, in caso di antieconomicità della prosecuzione dell’attività, si verifichi una causa di scioglimento per impossibilità sopravvenuta del conseguimento dello scopo sociale: Cagnasso, Note, cit., pp. 10 s., con specifico riguardo alle start-up innovative; similmente, proponendo un’interpretazione estensiva della causa di scioglimento per impossibilità sopravvenuta di conseguimento dell’oggetto sociale in ragione del cessazione della prospettiva di continuità aziendale, anche Strampelli, Capitale, cit., pp. 627 ss., testo e nt. 73 e 74; Miola, La tutela, cit., p. 315, testo e nt. 221; Racugno, Venir meno della continuità aziendale e adempimenti pubblicitari, in Giur. comm., 2010, I, pp. 225 s.; nonché, in termini più generali ed a sostegno della sua tesi contrastante la manifesta sottocapitalizzazione delle società di capitali, Portale, Capitale, cit., pp. 71 ss., spec. nt. 116. Non sembra, però, che si possa superare la logica sistematica per cui la causa di scioglimento rilevante nel caso di specie è quella dell’art. 2484, co. 1, n. 4, c.c., mentre quella dell’art. 2484, co. 1, n. 2, c.c. (sull’impossibilità sopravvenuta di conseguimento dell’oggetto
408
Aldo Laudonio
un insieme di società “infallibili”97, che però potrebbero andare incontro a notevoli difficoltà nell’accesso ad altri canali di finanziamento. Esaurita così la valutazione delle principali criticità relative alla stessa configurazione dei soggetti che possono accedere all’equity-based crowdfunding ed ai limitati strumenti impiegabili a questo scopo, resta da analizzare l’altro cardine di queste operazioni, ossia i portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative (d’ora in avanti, “portali”). Anche su questo versante la distanza tra scopi e mezzi è ampia e la divaricazione inizia nello stesso d.l. 179/2012, nel momento in cui si
sociale) ha diversi presupposti, non sovrapponibili alla prima (ed al riguardo ci si limita a rinviare alle considerazioni tuttora attuali di Niccolini, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Tratt. S.p.A., diretto da Colombo e Portale, 7***, Torino, 1997, pp. 272 ss.; Montagnani, Disfunzione degli organi collegiali ed impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale, Milano, 1993, pp. 48 ss., 98 ss.). L’osservazione è inoltre corroborata dal venir meno del fallimento quale causa di scioglimento delle società di capitali, come segnala anche Montagnani, Disciplina, cit., pp. 763 s., che scrive: «Se non è oggi causa di scioglimento il fallimento, non vedrei perché dovrebbe esserlo la soggettiva difficoltà di conseguire l’oggetto sociale» (ed in tale ultimo caso ricadrebbe l’ipotesi tracciata da Cagnasso). Non si può comunque escludere che l’impossibilità di raggiungere gli scopi statutariamente previsti o le altre cause previste dall’art. 2545-septiesdecies c.c. possano essere alla base dell’apertura del procedimento di liquidazione coatta amministrativa nei confronti delle cooperative start-up innovative che ne siano interessate, stanti non solo il mancato richiamo di questa norma, ma anche – e soprattutto – l’assoggettamento di queste società a vigilanza pubblica allo scopo di garantire le finalità sancite nell’art. 45 Cost. 97 Pare il caso di segnalare una possibilità di abuso dell’“infallibilità” garantita alle start-up innovative consistente nell’assunzione di tale qualifica da parte di altre società che non ne abbiano concretamente i requisiti. Non è invero del tutto peregrino immaginare che delle società, le quali incontrino delle difficoltà nella loro fase di avviamento, possano introdurre talune modifiche meramente formali nel proprio statuto (specialmente nell’oggetto sociale) per accedere attraverso l’adempimento degli oneri pubblicitari ai privilegi concessi alle start-up innovative, e tra questi specialmente la procrastinazione della riduzione obbligatoria del capitale e la sottrazione a procedure diverse da quelle della l. 3/2012. Per evitare quindi che la sezione speciale delle start-up innovative si trasformi in una specie di cimitero di elefanti, sembra di poter fare applicazione del principio di effettività di cui più volte si è servita la giurisprudenza nell’assoggettare a fallimento società con oggetto agricolo che svolgessero di fatto attività commerciali (tra le più recenti, v. Cass., 24 marzo 2011, n. 6853, in Giust. civ., 2012, I, 2759 ss., con nota di Gaeta; Cass., 28 aprile 2005, n. 8849, in Giust. civ., 2006, I, 902 ss.; cui adde, in ragione degli interessanti spunti sull’analisi della fattispecie da cui si è giunti al giudizio incidentale di legittimità, C. Cost., 20 aprile 2012, n. 104, in Dir. e giur. agr., 2012, 326 ss., con nota di Germanò, e in Giust. civ., 2012, I, 1142 ss. con nota redazionale) e concludere che se l’attività enunciata nell’oggetto sociale non coincide con quella effettivamente svolta, allora potrà essere dichiarata fallita la società che si è opportunisticamente travestita da start-up innovativa (e ciò anche se è stata avviata una delle procedure della l. 3/2012).
409
Saggi
opera la scelta di istituzionalizzare questi soggetti aggiungendo all’elenco dei servizi e delle attività di investimento già esistenti un nuovo genere di attività loro riservata e consistente nella gestione di “una piattaforma online che abbia come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle start-up innovative” (art. 1, co. 5-novies, t.u.f., introdotto dall’art. 30, co. 1, d.l. cit.). Per le imprese di investimento e le banche già autorizzate ai relativi servizi di investimento il conseguimento dello status di portale e la possibilità di esercizio della specifica attività sono assoggettati ad un mero obbligo di preventiva comunicazione ed (agevolata) annotazione nella sezione speciale di un registro tenuto dalla Consob (art. 50-quinquies, co. 2, t.u.f. e artt. 4, co. 2, 5, co. 2, reg. equity c.f.). Viceversa, per qualsiasi altro soggetto che voglia dar vita ad un portale è necessario sottoporsi all’ordinario – e più complesso – procedimento di iscrizione nella sezione ordinaria del medesimo registro (art. 50-quinquies, co. 2 e 3, t.u.f. e artt. 7 ss., reg. equity c.f.)98.
98 La Consob, prevedendo nel proprio regolamento svariati requisiti indispensabili all’ammissibilità della domanda d’iscrizione e molteplici obblighi informativi in fase operativa, non ha fatto altro che riadattare al caso specifico dei portali la disciplina autorizzativa predisposta per altri intermediari, secondo un vistoso fenomeno di path dependance che aveva già colpito anche il legislatore primario. Si tratta di un procedimento che ha poco di snello e semplice, contrariamente a quanto auspicato dal rapporto “Restart, Italia!”, op. cit., p. 78. Similmente si pronunciano anche Mosco, La nuova regolamentazione, cit., pp. 13 s.; Enriques, La disciplina, cit., p. 74, ove si legge che «la Consob ha contribuito ad appesantire il quadro normativo con ulteriori scelte restrittive, a cominciare dalle norme in materia di accesso al registro dei gestori di portali, le quali si discostano poco da quelle in materia di accesso all’albo delle sim (e richiedono dunque agli interessati di sostenere costi particolarmente elevati, soprattutto in ragione delle consulenze legali e aziendali necessarie per portare a termine con successo il procedimento). Inoltre l’autorità di vigilanza ha previsto per l’attività di gestione dei portali regole di condotta nei confronti degli investitori pur più leggere, ma sempre onerose, in particolare per i rischi di responsabilità civile che ne conseguono»; Santoro e Tonello, Equity Crowdfunding ed imprenditorialità innovativa, in Riv. dir. banc., 2014, n. 7, p. 10, leggibile sul sito http:// www.dirittobancario.it, ove anche per forti critiche nei confronti della disciplina italiana sull’equity crowdfunding nel suo complesso. Rilevano le affinità in questione, ma approvano le scelte compiute dalla CONSOB: Caratozzolo, La disciplina, cit., p. 278; Troisi, Crowdfunding, cit., pp. 527 ss.; Vitali, Equity, cit., pp. 386 ss., il quale distingue inoltre tra iscrizione nella sezione ordinaria ed annotazione in quella speciale (come se nel reg. equity c.f. non fosse menzionata anche quest’ultima formalità: v. artt. 4 e 5 reg. cit.) e, ricorrendo impropriamente ai principi ed alla logica della pubblicità d’impresa, riconosce alla prima un’efficacia costitutiva, mentre assegna alla seconda la funzione di mera pubblicità notizia.
410
Aldo Laudonio
Fissata questa prima barriera all’ingresso, i portali “puri” sono stati penalizzati anche nello svolgimento dell’attività, perché è stata loro inibita la detenzione di somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza di terzi (art. 50-quinquies, co. 4, t.u.f.)99. Cosicché la loro funzione, salvo lo svolgimento di attività accessorie (che potrebbero però dar luogo a conflitti d’interessi), si ridurrà a quella di mere “vetrine” – per di più onerate di molteplici obblighi informativi più o meno penetranti – per aumentare la conoscibilità delle offerte e di collettori degli ordini degli investitori100. Questi ordini saranno sempre trasmessi ad una banca o ad un’impresa di investimento che ne curi l’esecuzione (art. 17, co. 2, reg. equity c.f.). Come visto, resta peraltro fermo che tali operatori possano anche gestire direttamente il portale, così seguendo l’intero processo di raccolta. La Consob, nel dare corpo alla delega semplificatrice affidatale dal legislatore, ha previsto un regime agevolato per banche e imprese di investimento. Qualsiasi ruolo esse svolgano nell’ambito del crowdfunding101, esse sono infatti esentate dalle “disposizioni applicabili contenute nella Parte II del Testo Unico e nella relativa disciplina di attuazione” a condizione che: a) “gli ordini siano impartiti da investitori-persone fisiche e il relativo controvalore sia inferiore a cinquecento euro per singolo ordine e a mille euro considerando gli ordini complessivi annuali»; b) «gli ordini siano impartiti da investitori-persone giuridiche e il relativo controvalore sia inferiore a cinquemila euro per singolo ordine e a diecimila euro con-
99 Con norma analoga a quella introdotta negli USA, ove però il divieto si applica a tutti i gestori di portali, non essendovi distinzioni all’interno della categoria (sec. 3(a)(80) Securities Exchange Act, aggiunta dal JOBS Act). 100 Scarso significato riveste allora il regime privilegiato loro riservato (art. 50-quinquies, co. 2, secondo periodo, t.u.f.) e consistente nell’esenzione dall’applicazione delle norme concernenti la prestazione di servizi di investimento (artt. 21-25-bis t.u.f.) e la promozione e collocamento a distanza di servizi e attività di investimento e strumenti finanziari (art. 32 t.u.f.). In effetti, le norme che disciplinano l’attività dei portali sono largamente ed incongruamente ricalcate sulla trama di regole da cui pure dovrebbero essere esonerati e sono per giunta depotenziate dall’obbligo di astenersi “dal formulare raccomandazioni riguardanti gli strumenti finanziari oggetto delle singole offerte atte ad influenzare l’andamento delle adesioni alle medesime” (art. 13, co. 3, secondo periodo, reg. equity c.f.). Ciò testimonia l’indecisione del legislatore nel tracciare i lineamenti dei gestori di portali: da curatori di un luogo virtuale di incontro tra la domanda e l’offerta di investimento di capitali di rischio, finiscono per trasformarsi in un goffo ibrido “para-consulenziale”. In merito, v. anche le condivisibili riflessioni critiche di Girino, Le regole, cit., pp. 77 ss., specie il testo corrispondente alla nt. 13 (da cui si è tratta la qualificazione virgolettata). 101 Sia che rispetto alla raccolta si pongano quali mere esecutrici di ordini, sia che esse stesse gestiscano il portale.
411
Saggi
siderando gli ordini complessivi annuali”102 (art. 17, co. 4, reg. equity c.f.).
102
La debolissima misura adottata per contrastare elusioni di tale soglia consiste nella presentazione di un’attestazione da parte dell’investitore (art. 17, co. 5, reg. equity c.f.). Non vi è tuttavia chi non possa accorgersi dell’ampiezza della falla che così si apre, da un lato, nel ridondante e formalistico sistema di protezione disegnato per contenere il rischio cui possono esporsi gli investitori non professionali e, dall’altro, nella possibilità che il crowdfunding possa essere agevolmente sfruttato per realizzare operazioni di riciclaggio. Se l’investitore realizza una serie di numerose, piccole sottoscrizioni presso vari portali, attestando ogni volta di non avere superato il tetto annuale predisposto dal legislatore, potrà sottrarsi alla disciplina antiriciclaggio (e ciò senza immaginare il ricorso a false identità ed operazioni realizzate con triangolazioni dall’estero). Per alcune notazioni sull’identico problema in relazione agli investment caps presenti nel JOBS Act, v. Bradford, The new federal, cit., p. 8 s. Anche la SEC ha sottolineato questo pericolo nella sua bozza di consultazione dichiarando: «We believe that securities offered and sold in reliance on Section 4(a)(6) could be susceptible to money laundering because they are low priced, are placed in an offering that is exempt from registration and not subject to the filing review process of a registered offering. In addition, we expect that many of the issuers relying on the exemption in Section 4(a)(6) may be shell companies, which have been associated with a high risk of money laundering» (p. 249). Per ridurre tali pericoli, si è ritenuto che «the funding portal […] is in the best position to “know its customers”, and to identify and monitor for suspicious and potentially illicit activity at the individual customer level» (p. 251), proponendo, quindi, di rendere applicabile ai gestori la normativa antiriciclaggio (pp. 223, 250 ss., 410 s.). Si ricorda, inoltre, che per non essere assoggettata alle disposizioni contenute nel capo I del titolo II della parte IV del t.u.f. (ed alle corrispondenti norme di attuazione) la start-up innovativa non può realizzare emissioni per valori complessivamente superiori al (generoso) limite di portata generale di € 5.000.000 ogni dodici mesi (art. 34-ter, co.1, lett. c), reg. emittenti). Al riguardo, Girino, Le regole, cit., p. 81, s’interroga sulla giustificazione del discrimine tra le offerte sotto tale soglia realizzate o meno per il tramite dell’equity crowdfunding. Per vero, se si scegliesse di non ricorrere a quest’ultimo canale, si eviterebbero numerosi costi e adempimenti formali, ma gli spazi residui entro cui muoversi non sarebbero poi così ampi come l’A. parrebbe accreditare chiedendosi: «Perché mai un’offerta non eccedente i 5 milioni è oggi del tutto libera mentre sconta i pesanti vincoli sin qui descritti nel solo caso di start-up innovative che si finanzino via portale?» (sottolineatura aggiunta). In altra ottica Mosco, La nuova regolamentazione, cit., pp. 11 ss., ravvede possibili profili di contrasto tra il regime esonerativo introdotto a livello regolamentare (art. 17, comma 4, reg. equity c.f.) a favore dei soli gestori “di diritto” per gli investimenti sotto soglia, la normativa del t.u.f. (art. 50-quinquies, co. 2) e il regime di esenzioni facoltative previsto dall’art. 3 dir. 2004/39/ CE (MiFID). Sul punto, però, v. anche le opposte opinioni di Mangione, Equity crowdfunding e diritto dell’intermediazione finanziaria, in Crowd future, cit., pp. 25 s., a parere della quale «l’attività di perfezionamento degli ordini “sotto soglia” esercitata nell’“ultimo miglio” di operatività del meccanismo dell’equity crowdfunding dalle banche e dalle imprese di investimento non [è] qualificabile come servizio di investimento ai sensi del t.u.f. »; Enriques, La disciplina, cit., p. 75, il quale riconosce ambiti di libertà alla Consob con riguardo all’attività di gestione dei portali, purché nel rispetto del criterio di ragionevolezza. Principio, che, si aggiunge sommessamente, pare violato nel caso di specie.
412
Aldo Laudonio
Cosicché, superate le modestissime soglie che permettono di attivare la disciplina di favore, la semplificazione e il risparmio che il crowdfunding avrebbe dovuto teoricamente garantire all’aspirante investitore retail si volatilizzano, poiché per dare seguito ai suoi ordini, sarà chiamato a stipulare (presumibilmente a proprie spese) un ordinario contratto per l’erogazione dei relativi servizi di investimento con piena applicazione di tutta la disciplina di derivazione MiFID, nonché di quelle volte a contrastare il fenomeno del riciclaggio dei proventi di attività criminose103. All’atto pratico, pertanto, per il piccolo risparmiatore non si registra alcuna differenza – neppure a livello di tutela – tra un qualunque investimento e quello realizzato aderendo a un’operazione di equity-based crowdfunding, se non in situazioni economicamente marginali. Anche al di sotto degli importi previsti il risparmiatore è comunque destinatario in più fasi di un massiccio e composito flusso informativo da parte del gestore del portale (v. artt. 13, co. 2, 3 e 4, 14, 15 e 16 reg. equity c.f.). In particolare, più e più volte gli si ricorda la rischiosità dell’investimento che sta per realizzare (art. 13, co. 3, reg. equity c.f., nonché l’avvertenza recata dall’informativa sull’emittente e riprodotta nell’all. 3 di tale regolamento) e gli si richiede di rispondere “positivamente ad un questionario comprovante la piena comprensione delle caratteristiche essenziali e dei rischi principali connessi all’investimento in start-up innovative per il tramite di portali”, nonché di dichiarare “di essere in grado di sostenere economicamente l’eventuale intera perdita dell’investimento […]” (art. 15, co. 2, reg. equity c.f.). Merita quindi d’essere illustrato il risultato paradossale che si genera qualora lo sprovveduto e remissivo risparmiatore immaginato dal legi-
103
Delle osservazioni collimanti si possono leggere anche in Fregonara, La start up, cit., pp. 96 ss. Particolare enfasi sulla valutazione di adeguatezza dell’investimento da parte di banche ed intermediari finanziari è posta da Caratozzolo, La disciplina, cit., pp. 284 s., che conclude così: «L’eventuale esito negativo di questo non consentirebbe la conclusione dell’operazione di investimento, anche nel caso in cui la fase svolta innanzi al gestore autorizzato abbia avuto esito positivo». Più vaghi sono i chiarimenti forniti dalla Consob con comunicazione n. 0066128/2013, nella quale l’autorità si limita ad affermare: «I gestori di diritto potranno prescegliere le concrete modalità di svolgimento della propria attività, graduando l’applicazione delle regole di condotta in ragione dei tipi di servizi di investimento effettivamente prestati nei confronti della clientela e della tipologia di investitori serviti. Allo scopo di assicurare adeguata tutela ai risparmiatori aderenti alle iniziative di equity crowdfunding e favorire l’assunzione di consapevoli scelte di investimento da parte degli stessi, le banche e le imprese di investimento dovranno, altresì, prestare particolare attenzione ai presidi di trasparenza nella relazione con la clientela».
413
Saggi
slatore volesse effettuare un investimento appena superiore alle soglie dell’art. 17, co. 4, reg. equity c.f. Costui, infatti, una volta esaurita la trafila sulla piattaforma informatica, deve affrontare l’approccio fisico con la modulistica MiFID e antiriciclaggio, subendo così un percorso potenzialmente più aggravato, lungo e complesso di chi, a parità di rischio, intendesse investire somme assai più ingenti. È inoltre opportuno dedicare dei cenni almeno ad altri tre profili problematici inerenti l’informazione trasmessa dal portale: 1) poiché l’art. 14, comma 2, lett. b), reg. equity c.f. demanda al gestore di informare l’investitore non professionale circa “le attività svolte, ivi incluse le modalità di selezione delle offerte o l’eventuale affidamento di tale attività a terzi”, si profila una possibile fonte di responsabilità per il gestore che abbia scelto di diffondere questi dati; infatti, ove non rispetti gli stessi criteri che si è imposto nell’individuare e pubblicare le offerte, il gestore dovrà risarcire i danni (contrattuali) arrecati agli investitori che si sono basati sulle informazioni ricevute. Questo rischio potrebbe ingenerare una ripercussione certamente non voluta dal legislatore, ossia spingere i gestori a non comunicare i criteri selettivi adoperati, oppure a non effettuare alcuna selezione, alternativa che sembra però impraticabile in virtù delle considerazioni esposte immediatamente di seguito104. 2) Nell’allegato 3 del reg. equity c.f. si rende necessario che ciascuna offerta sia preceduta da una dicitura apposta dal gestore in cui si rende noto, tra l’altro, che «l’emittente è l’esclusivo responsabile della completezza e della veridicità dei dati e delle informazioni». Da una lettura superficiale ed isolata di quest’avvertenza si potrebbe desumere una sorta di esonero di responsabilità del gestore nel caso in cui effettivamente le informazioni non fossero complete o veritiere, ma di ciò si può seriamente dubitare. Nonostante il legislatore secondario abbia richiesto l’inserimento di quest’ulteriore avviso a maggior tutela degli investitori non professionali, si crede, infatti, che l’emittente possa essere reputato responsabile dei danni arrecati al patrimonio di costoro se non abbia adottato idonee misure «per ridurre e gestire i rischi di frode» (art. 14, co. 1, lett. e), reg. equity c.f.); e se l’avver-
104 Assai diverso e più serio si presenta attualmente il quadro normativo in Francia ove entrambe le categorie di operatori legittimate ad intervenire nell’ambito di operazioni di crowdfunding (conseillers en investissements participatifs per l’equity crowdfunding, e intermédiaires en financement participatifs per le altre forme di crowdfunding) devono preventivamente definire e rendere noti al pubblico i criteri in base ai quali hanno selezionato le operazioni proposte (artt. L. 547-9, n. 2, e L. 548-6, n. 2, Code monétaire et financier).
414
Aldo Laudonio
tenza agli investitori è menzionata in un allegato al regolamento ed ha un carattere eminentemente formale, l’obbligo di introdurre ed eseguire delle misure contro le frodi è certamente una norma sostanziale la cui violazione espone a responsabilità105. Lo stesso discorso potrebbe peraltro ripetersi in relazione alla complessa valutazione che il gestore è chiamato a compiere sulla presenza nello statuto di clausole regolanti il diritto di recesso o di covendita in caso di trasferimento a terzi del controllo sulla società: escluso che possa trattarsi di una verifica puramente formale, resta l’interrogativo sulla portata di questa tutela indiretta degli investitori non professionali e sulle conseguenze del suo mancato espletamento106. 3) Sempre nell’allegato 3 del reg. equity c.f. si legge che «le informazioni sull’offerta sono facilmente comprensibili da un investitore ragionevole e sono fornite attraverso l’utilizzo di un linguaggio non tecnico o gergale, chiaro, conciso, ricorrendo, laddove possibile, all’utilizzo di termini del linguaggio comune», ed il tutto dev’essere contenuto in un documento composto da non oltre cinque fogli A4. Una prima osservazione da fare in merito a questi requisiti è che si può fondatamente dubitare della loro vincolatività: in effetti, benché l’art. 16, co. 1, lett. a), reg. equity c.f. stabilisca l’obbligo per il gestore del portale di pubblicare le informazioni contenute nell’allegato 3, non stabilisce anche che si debba farlo attenendosi agli standard “qualitativi” lì descritti; d’altronde, la stessa Consob sembra rendersi conto dell’irragionevolezza delle proprie richieste nel momento in cui premette che solo alcuni dei requisiti qualitativi sono stati definiti, così implicitamente ammettendo che si tratta di un quadro essenzialmente esemplificativo: che ciò sia vero è confermato dall’assenza di sanzioni per l’inosservanza delle direttive contenutistiche e formali del regolamento. Al di là, però, si pone un problema ben più serio di bilanciamento tra le istanze di riduzione dell’asimmetria informativa e dei costi dell’informa-
105 Non è neanche troppo difficile immaginare che nell’eventuale esperienza giurisprudenziale tale responsabilità potrebbe essere spesso ritenuta sussistente in re ipsa, colorandosi di una implicita oggettività (come spesso è accaduto con la responsabilità amministrativa ex d.lgs. 231/2001). Tale rischio è suscettibile di essere amplificato se, oltre a rispettare gli altri requisiti di professionalità, i gestori sceglieranno di dotarsi di amministratori di minoranza «in ruoli non esecutivi, che abbiano maturato una comprovata esperienza lavorativa di almeno un biennio nei settori industriale, informatico o tecnico-scientifico, a elevato contenuto innovativo, o di insegnamento o ricerca nei medesimi settori» (art. 9, comma 3, reg. equity c.f.). Qualora si verificasse una frode, in effetti, sarà ancor più difficile in tal caso poter dimostrare che le misure preventive non sarebbero state in grado di individuarla e scongiurarla. 106 Per ulteriori approfondimenti, v. Capelli, L’equity, cit., pp. 13 ss., spec. 17.
415
Saggi
zione stessa107 che non può essere liquidato in una maniera così corriva. Ed invero, al netto dell’inafferrabile natura del concetto di “investitore ragionevole”108, solo l’effetto taumaturgico di un precetto (apparentemente) giuridico può creare l’illusione che si possa spiegare in cinque cartelle con un linguaggio “non tecnico o gergale, chiaro, conciso” anche informazioni potenzialmente assai complesse, come quelle attinenti al business plan della start-up innovativa, alla natura dei “prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico” che si intendono realizzare, alla struttura di amministrazione e controllo della società, agli stessi strumenti di tutela messi a disposizione dell’investitore109… Il pericolo in tal caso è che dall’eccesso di semplificazione “coatta” sorgano ambiguità, inesattezze, omissioni, ed anche qui l’ombra della responsabilità si allarga, anziché restringersi. Infine, a chiusura del laborioso percorso esplorativo di una disciplina i cui snodi presentano ancora altri elementi problematici110, ci si limita a sollevare una critica nei confronti della regola dell’art. 24, co. 2, reg. equity c.f., la quale richiede al gestore di verificare «ai fini del perfezionamento dell’offerta sul portale […] che una quota almeno pari al 5% degli strumenti finanziari offerti sia stata sottoscritta da investitori profes-
107
Si vedano ancora le riflessioni di Ferrarini, I costi, cit., pp. 207 ss. Su cui, in una prospettiva giuscommercialistica, v. Denozza, La nozione di informazione privilegiata tra “Shareholder Value” e “Socially Responsible Investing”, in Giur. comm., 2005, I, pp. 591 ss.; in un’ottica penalistica, Seminara, Disclose or abstain? La nozione di informazione privilegiata tra obblighi di comunicazione al pubblico e divieti di insider trading: riflessioni sulla determinatezza delle fattispecie sanzionatorie, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, pp. 339 ss., cui adde, per una diversa lettura, Tripodi, Informazioni privilegiate e statuto penale del mercato finanziario, Padova, 2012, pp. 19 s., 245 ss. 109 E basti qui limitarsi a riportare il linguaggio adoperato dalla stessa Consob quando richiede, ad esempio, la descrizione delle clausole predisposte dall’emittente in merito a “modalità per la way out dall’investimento, presenza di eventuali patti di riacquisto, eventuali clausole di lock up e put option a favore degli investitori ecc.”. 110 Si allude, tra l’altro, alle ripercussioni che sulla predisposizione della delibera di aumento di capitale può provocare l’adozione del sistema all or nothing o di quello keep it all per stabilire, rispettivamente, se l’emittente possa procedere alla raccolta dei conferimenti promessi solo se sia stato raggiunto l’importo desiderato entro il termine previsto, oppure se possa comunque realizzare all’aumento di capitale in misura pari a quanto eventualmente raccolto. Se a questa situazione relativamente lineare si combina, però, la pluralità di strumenti di tutela riconosciuti all’investitore (diritto di recesso dal contratto di investimento: art. 13, co. 5, reg. equity c.f.; diritto di revoca dell’adesione all’offerta: art. 25, co. 2, reg. equity c.f.; diritto di recesso del consumatore: art. 67-duodecies d.lgs. 206/2005, codice del consumo), si può facilmente prevedere l’insorgere di una miriade di difficoltà realizzative (accompagnate dai relativi costi). 108
416
Aldo Laudonio
sionali o da fondazioni bancarie o da incubatori di start-up innovative previsto all’articolo 25, comma 5, del decreto». Questa disposizione, già subissata di contestazioni in una sua precedente versione durante la fase di indagine conoscitiva della Consob111, continua ad essere presente senza alcuna possibile giustificazione nel reg. equity c.f. Essa, oltre ad essere foriera di molteplici conflitti di interesse, è suscettibile di introdurre involontariamente comportamenti irrazionalmente emulativi tra gli investitori non professionali, i quali, anziché basarsi sulle informazioni ricevute, potrebbero preferire l’osservazione delle scelte dei soggetti qualificati; nulla toglie, peraltro, che questo meccanismo possa verificarsi a parti invertite, con i soggetti qualificati che vengono attratti da quei progetti che riscuotono maggior successo nella folla. Ancora, né prima, né ora la partecipazione di un soggetto qualificato può rappresentare un attendibile strumento di garanzia – o anche solo di conferma – per gli investitori non professionali circa la bontà dell’investimento ed anzi può costituire un serissimo fattore di incertezza, suscettibile, com’è, di vanificare anche operazioni di raccolta prossime all’obiettivo112. Sicché, tutto ciò che resta è un immotivato obbligo di coinvolgere in ogni operazione di raccolta uno di questi attori economici, che, in cambio della sua adesione, potrebbe anche condizionare pesantemente il futuro della start-up innovativa113.
111 In quel testo, l’adesione di un investitore “qualificato” era una condizione di ammissibilità dell’offerta, in quanto doveva essere raccolto prima del suo stesso inizio (v. Consob, Regolamento, cit., pp. 70 ss.). Si coglie l’occasione per segnalare che non si crede di poter reperire alcun appiglio nel d.l. 179/2012 per un intervento attuativo di questa portata (ed evidentemente non si ritiene che la delega regolamentare dell’art. 100-ter, co. 2, t.u.f. legittimasse la Consob ad introdurre un obbligo di sottoscrizione) e che non si conoscono disposizioni analoghe nel diritto degli USA. 112 O che l’abbiano addirittura superato (altro problema, questo, di non semplice coordinamento con il diritto societario). In letteratura, si vedano le altre critiche di Fregonara, La start up, cit., pp. 109 ss.; Vitali, Equity, cit., p. 384, 399, seppure molto cautamente e con l’erronea affermazione che la sottoscrizione dell’investitore professionale debba intervenire anteriormente all’appello ai risparmiatori mediante il portale: la svista è probabilmente legata ad un’alterazione del testo regolamentare rispetto alle bozze presentate per la consultazione, alterazione di cui però non si è tenuto conto per un palese difetto di coordinamento nell’allegato 3 reg. equity c.f. (ed in ogni caso, come visto, si dubita della valenza precettiva di tale allegato). In senso opposto, invocando un maggior coinvolgimento degli investitori menzionati dall’art. 24, co. 2, reg. equity c.f., si esprime Troisi, Crowdfunding, cit., pp. 530 s. 113 Senza che, peraltro, in occasione di una successiva fuoriuscita di questi investitori dalla compagine sociale, un socio crowdfunder possa azionare i rimedi (recesso, co-
417
Saggi
Quest’ultima prova di cieco paternalismo – o di più o meno surrettizia “cattura del regolatore” – suggella l’irragionevole livello di incongruenza del bizantino equity-based crowdfunding all’italiana rispetto alle finalità riportate al principio di questo discorso114.
5. Postilla sull’importanza del silenzio e su ciò che sarebbe stato meglio non tacere. Si allunga così nel nostro ordinamento giuridico la catena dei vani tentativi di intercettare la domanda di investimento dei risparmiatori e di farla incontrare con l’esigenza di finanziamento delle imprese: dalle azioni di risparmio del 1974, agli strumenti finanziari del 2003 fino ai “mini-bond” del 2012. Eppure, perplessità sulla convenienza e sulla bontà dell’equity-based crowdfunding potevano già essere avanzate anche sulla scorta di una superficiale osservazione dei dati di mercato. Certo, non è del tutto vero che attraverso questo strumento l’impresa non possa creare, conservare o ripristinare valore con il contributo della folla.
vendita) di cui l’art. 24, co. 1, lett. a), reg. equity c.f. demanda la concreta configurazione all’autonomia statutaria. In sintesi, il socio crowdfunder può “imitare” l’investitore professionale in entrata, ma non può seguirlo in uscita e conseguentemente sbiadisce ancor di più la funzione garantistica della norma qui criticata. Si vedano altre considerazioni di segno negativo in Benazzo, La s.r.l., cit., pp. 128 s. 114 È significativo considerare che uno dei primi scritti apparsi a seguito del completamento del quadro normativo non si occupi di analizzarne la trama, bensì di esplorare – con esiti talvolta dubbi – “i confini entro i quali è possibile esercitare un’attività di equity based crowdfunding nei casi non regolati dal Decreto Crescita”: M. Pinto, L’equity, cit., pp. 823 ss. E già prima, in termini più condivisibili v. Spada e Maltoni, L’impresa, cit., p. 1132. In virtù di quanto sin qui argomentato nel testo, appaiono piuttosto ingenue le affermazioni di Caratozzolo, La disciplina, cit., pp. 266 s., per il quale «l’intervento legislativo si è fatto carico di favorire il ricorso a tali tecniche, facilitandone le condizioni di accesso e semplificandone le modalità di utilizzo» (sottolineature aggiunte). Alla data in cui sono state chiuse le bozze di quest’articolo risulta che, nonostante la CONSOB abbia consentito l’iscrizione di un gestore nella sezione ordinaria e di altri otto in quella speciale, siano state avviate solo sette operazioni di equity-based crowdfunding in Italia, di cui soltanto tre completate (Diaman Tech, Cantiere Savona e Paulownia Social Project) ed una fallita: per informazioni, si vedano i siti http://www.starsup.it, http:// www.unicaseed.it e http://www.assitecacrowd.com (i tre portali su cui si sono registrate le offerte perfezionate), nonché http://www.cantieresavona.it, http://www.paulowniasocialproject.it e http://www.diamantech.net (i siti delle società offerenti).
418
Aldo Laudonio
Assai difficilmente, però, può farlo con l’attuale disciplina, la quale tutt’al più svolgerà un ruolo servente rispetto all’operatività dei tradizionali investitori professionali. Possono agevolmente immaginarsi varie possibili applicazioni, come, ad esempio, per sostenere l’espansione in un nuovo territorio di un’impresa già consolidata sul mercato, o per sviluppare una nuova linea di prodotti, o, in certi casi, per legare maggiormente alla gestione imprenditoriale i destinatari stessi dell’attività (ad esempio, nel settore dell’edilizia abitativa privata, similmente a quanto avviene nelle cooperative edili), o, ancora, per consentire la realizzazione di un workers buy-out115…
115
La realizzazione dell’operazione di equity-based crowdfunding potrebbe rappresentare un elemento di un concordato preventivo presentato dall’imprenditore all’esito di una trattativa con i propri dipendenti o con le loro rappresentanze sindacali. Nel piano di ristrutturazione, in particolare, potrebbe essere inserita e descritta una ricapitalizzazione della società attraverso le somme raccolte in una campagna di crowdfunding, alla quale, essendo svolta sotto l’egida dell’autorità giurisdizionale, non sarebbe eccessivamente difficile riconoscere la possibilità di svincolarsi dagli impedimenti del d.l. 179/2012. L’eventuale partecipazione a tali operazioni di fondi mutualistici (peraltro già coinvolti in molti recenti casi di workers buy-out in virtù delle previsioni della c.d. legge Marcora: l. 49/1985) potrebbe ulteriormente ampliarne le possibilità di successo. Oltre ad un complesso di riferimenti a livello di soft law europea favorevoli all’acquisto dell’azienda da parte dei dipendenti (Raccomandazione della Commissione 94/1069/ CE, artt. 1, ult. trattino, e 7, lett. b); Comunicazione della Commissione COM(2004) 18, par. 2.3.1; Comunicazione della Commissione COM(2006) 117, par. 2.8, 3.5; Parere del Comitato economico e sociale europeo 2012/C 191/05, par. 3), la concreta frequenza del ricorso al tipo della società cooperativa da parte degli ex lavoratori per la realizzazione di workers buy-out sembra peraltro aver influenzato uno dei più recenti interventi sul punto, ossia l’art. 11 d.l. 145/2013; in particolare, il secondo comma di questo precetto concede alle cooperative costituite da lavoratori dell’impresa assoggettata a procedura concorsuale un diritto di prelazione in caso di affitto o di vendita di aziende, rami d’azienda o complessi di beni e contratti di imprese. Non sembra tuttavia peregrino sollevare il sospetto di incostituzionalità di questa previsione nella misura in cui essa sancisce una misura preferenziale riservata esclusivamente alle società di ex dipendenti costituite in forma cooperativa: rispetto alla primaria istanza di tutela e promozione del diritto al lavoro (artt. 4, co. 1, e 35, co. 1, Cost.) che viene in considerazione nel caso di specie, il favor costituzionalmente riservato alla cooperazione (art. 45 Cost.) può assumere un carattere strumentale e servente, certamente, però, non esclusivo. Cosicché parrebbe opportuno estendere il privilegio in questione a società di qualsiasi tipo costituite da lavoratori che intendano acquistare o affittare il complesso aziendale entro cui prestavano la propria opera; questa conclusione è tanto più fondata se si considera oltretutto che alle società cooperative di lavoro sono già riservati altri benefici dall’ordinamento e che questa novella li amplificherebbe ulteriormente. In ambito comparatistico presentano profili di interesse le esperienze normative brasiliana ed argentina, nelle quali, anche per via delle frequenti e profonde crisi economiche
419
Saggi
L’approccio del d.l. 179/2012, tuttavia, è gravemente viziato nelle sue premesse e non si crede sia suscettibile di redenzione. Cosa si può fare allora? La risposta che si crede di suggerire consiste nel non dare per scontate certe considerazioni che vengono ripetute acriticamente da più parti e che hanno condotto alla disattenzione verso le altre facce del crowdfunding. In special modo, non si condivide l’affermazione per cui il donation-based crowdfunding ed il reward-based crowdfunding non necessiterebbero di regolamentazione. Confessando immediatamente da parte di chi scrive la netta preferenza per una regolamentazione minimale e per principi, sembra comunque che alcuni semplici adattamenti (peraltro ispirati a prassi già affermate) potrebbero
attraversate da quei paesi, sono stati regolamentati diversi aspetti delle operazioni di workers buy-out. In particolare, nella Lei de Falências e de Recuperação de Empresas (lei 11101/2005 - lfre) brasiliana si contempla quale modalità realizzativa della recuperação judicial il “trespasse ou arrendamento de estabelecimento, inclusive à sociedade constituída pelos próprios empregados” (art. 50, inciso VII, lfre) e la società tra dipendenti può anche rendersi acquirente del complesso aziendale (o di sue partizioni) nell’ambito della procedura fallimentare (art. 145 lfre, il quale richiama l’art. 141 lfre, che, tra l’altro, esclude la successione nei debiti aziendali, analogamente all’art. 105, co. 4, l.fall.). Va precisato che in tale legge non si registra alcuna forma di preferenza nei confronti del workers buy-out e che è indifferente il tipo sociale prescelto dai dipendenti (con l’esclusione della sociedade simples, cui è interdetto l’esercizio di attività commerciali, e quella – apparentemente paradossale – della cooperativa, poiché considerata nel diritto brasiliano alla stregua di una sociedade simples, artt. 982, 1096 cod. civ. br.). Differente, invece, è l’approccio dell’Argentina, la cui Ley de Concursos y Quiebras (ley 24522/1995) conosce una diffusa partecipazione dei lavoratori allo svolgimento delle procedure concorsuali (cfr. artt. 14, n. 1 e 13, 42, 45, par. 4, 260 lcq) e ammette esclusivamente il tipo della società cooperativa costituita tra di essi, ad esempio, a stipulare contratti per la gestione e conservazione dell’azienda in pendenza del fallimento (art. 187, par. 2, lcq), a proporre proyectos de explotación per la prosecuzione dell’attività d’impresa (artt. 189, par. 1, 190, 191, 191-bis, 192, 195, par. 2, lcq), a formulare a certe condizioni una proposta di acuerdo preventivo (art. 48, n. 1, lcq) riconoscendo significativi privilegi ed agevolazioni (art. 48-bis lcq), nonché ad acquistare l’azienda dal fallimento (art. 203-bis lcq). Non solo, qualora le sia stata affidata la prosecuzione dell’attività, la cooperativa dei lavoratori è la destinataria “naturale” dell’alienazione dei beni aziendali, se ciò risulta di “evidente utilità” per la procedura in relazione alla loro particolare natura, al loro scarso valore o all’insuccesso di altre forme di liquidazione (art. 213 lcq). Infine, per una documentata rassegna di casi concreti di workers buy-out, si segnala il reportage di Bianchi, Fenici d’Italia. Come alcune imprese italiane sono riuscite a reinventarsi e sopravvivere alla crisi, 2013, leggibile sul sito http://ilbureau.com (in questo sito si può inoltre consultare una mappa dei casi censiti: http://ilbureau.com/la-rinascita-infografica), anche se la cronaca di operazioni analoghe cresce quotidianamente.
420
Aldo Laudonio
creare un ambiente sicuro per la loro espansione ed aprire gli scenari ad iniziative oggi ancora non immaginabili. Limitando le osservazioni che si svolgeranno a degli essenziali spunti di riflessione, si può ribadire la centralità dell’elemento progettuale in entrambe le fattispecie e la decisa caratterizzazione teleologica che imprime loro116. Nel panorama normativo italiano117, però, la protezione dei vincoli teleologici è affidata per lo più a rimedi obbligatori e quindi di nessuna seria efficacia preventiva contro fenomeni distrattivi, le cui conseguenze ridondano al di là dell’area del risarcibile. Per altro verso, l’ingiustificato arricchimento (art. 2041 c.c.) non ha alcuna capacità di reazione contro una semplice variazione delle condizioni di impiego di un certo bene, avendo natura restitutoria (ossia, non può conseguire il risultato di ripristinare il rispetto del vincolo di destinazione), e la sua macchinosità lo rende del tutto inidoneo ad essere azionato da chi abbia effettuato attribuzioni di modico valore118. Si rende perciò necessaria l’introduzione di una qualche forma di tutela collettiva per i crowdfunders119 e, in primo luogo, per fornire lo-
116
Si rinvia ai rilievi estrapolati da un’osservazione della prassi e da studi aziendalistici esposti supra, sub par. 3. 117 Orfano, peraltro, dal 2012 anche di un’autorità che si occupi delle iniziative di raccolta destinate al terzo settore e quindi completamente sguarnito su un fronte di solito presidiato in altri stati. 118 Qualora vi siano gli estremi per poter qualificare un’operazione di reward-based crowdfunding in termini di associazione in partecipazione, il discorso sui rimedi potrebbe assumere un maggiore spessore, senza necessità di variazioni della normativa esistente. Invero, se si ritenesse di prestare adesione a quell’orientamento interpretativo che nell’associazione in partecipazione ad un singolo affare riconosce un limite implicito alla libertà dell’associante (De Acutis, L’associazione, cit., p. 193) o comunque un obbligo per costui di non alterare l’obiettivo perseguito dalle parti (Mignone, L’associazione, cit., pp. 398 s.; con maggiore incertezza, De Ferra, Della associazione in partecipazione, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1973, p. 68, nt. 8), si potrebbero ricavare molteplici elementi utili a ricostruire un efficace quadro di tutele basato sulla risoluzione per inadempimento e sul risarcimento del danno. Non solamente, si potrebbe inoltre configurare uno specifico obbligo di informazione gravante sul soggetto finanziato verso i suoi sostenitori ogni qual volta si realizzi una circostanza a lui non imputabile che imponga una modifica dell’originario progetto. 119 Com’era agevolmente prevedibile, negli USA si è già verificato un caso di frode nei confronti dei finanziatori di un progetto di un gioco di carte i cui fondi sono stati raccolti mediante la nota piattaforma Kickstarter. Nel caso di specie, la società finanziata non solo non ha distribuito il gioco entro il termine previsto, ma non ha neppure restituito le somme ricevute. Per tale motivo, l’autorità che si occupa di tutelare i consumatori nello
421
Saggi
ro uno strumento di aggregazione e rappresentanza, si potrebbe porre in capo al gestore del portale l’obbligo di stimolare la costituzione di un’associazione dei partecipanti ad ogni campagna, la quale potrebbe operare mediante una propria “comunità virtuale”. Quest’associazione, a sua volta, potrebbe utilmente accedere al rimedio dell’azione di cui all’art. 140-bis cod. cons. in presenza di pregiudizi diretti arrecati ai patrimoni dei sostenitori, laddove per ogni singolo erogatore le sole spese per l’accesso alla giustizia supererebbero il valore del suo apporto, privandolo di ogni incentivo. Oltre a ciò, ad ogni modo, continua a farsi sentire la mancanza di un rimedio reale in grado di garantire l’osservanza dei vincoli teleologici (nel caso di specie, quelli scaturenti dal progetto) e sarebbe necessario considerare seriamente una loro possibile configurazione120. La tutela, però, sarebbe spuntata se non ci fosse possibilità di accesso ad alcuna informazione da parte del soggetto finanziato. A ciò si può facilmente rimediare sempre attingendo alle migliori pratiche di condotta del crowdfunding, ossia stabilendo un obbligo di informazione periodica sia contabile, che descrittiva sull’avanzamento e sui risultati del progetto. Una simile modifica non richiederebbe alcun adattamento al mercato e, peraltro, dovrebbe essere integrata soltanto nella disciplina della donazione, poiché in quella dell’associazione in partecipazione si rinviene già uno strumento utile nell’art. 2552, commi 2 e 3, c.c.121.
stato di Washington (in cui risiedevano alcuni dei sostenitori della campagna), ossia la Consumer Protection Division dell’Attorney General, il 30 aprile 2014 ha iniziato un procedimento in relazione alla commissione di atti o pratiche ingannevoli nello svolgimento del commercio e concorrenza sleale (§ 020, Ch. 86, Tit. 19, Washington Revised Code), richiedendo l’applicazione di misure inibitorie e di civil penalties pecuniarie alla società finanziata, oltre alla restituzione agli interessati delle somme versate (l’atto è leggibile sul sito: http://www.atg.wa.gov/uploadedFiles/AsylumComplaint%202014-05-01.pdf). 120 Anche sul versante del diritto penale la situazione non migliora, perché stante l’inapplicabilità dell’appropriazione indebita (art. 646 c.p.), non si potrebbe che ricorrere alla truffa (art. 640 c.p.), anch’essa di difficile utilizzabilità nel contesto in questione. 121 Nella dottrina più recente, v. De Acutis, L’associazione, cit., pp. 224 ss.; Mignone, L’associazione, cit., pp. 383 ss., spec. 392 ss., e ivi per altri riferimenti. Diversamente, riguardo alla materia qui esaminata: Vitali, Equity, cit., p. 390, secondo cui «ulteriori previsioni di natura informativa, riguardanti, ad esempio, gli aspetti di rendicontazione del progetto imprenditoriale, la comunicazione dei risultati finanziari, così come – più in generale – la vita societaria esuli [sic] dalle finalità della disciplina dell’equity crowdfunding e degli obiettivi del Regolamento, anche in considerazione del fatto che quest’ultimo non è diretto a promuovere qualsivoglia forma di “attivismo” da parte degli azionisti che abbiano investito in stat-up innovative». Pare nondimeno che quest’opinione presti il
422
Aldo Laudonio
Molto altro si potrebbe aggiungere, ma è preferibile arrestarsi qui, anche perché occorre difendersi dall’insistente richiamo di certe regole “in cerca di autore” e lo stesso invito ci si permette di rivolgere al legislatore, affinché non introduca quella parola di troppo che provochi migrazioni del crowdfunding verso altri e più accoglienti paesi.
Aldo Laudonio
fianco a tre ordini di perplessità: 1) nella disciplina regolamentare avrebbero ben potuto essere previsti simili obblighi informativi, ad esempio, facendo leva sulla delega riguardante la definizione degli obblighi di condotta dei gestori dei portali (art. 50-quinquies, co. 5, lett. d), t.u.f.), i quali avrebbero potuto diventare il trait d’union tra investitori e start-up innovative disseminando le informazioni trasmesse da queste ultime dopo la realizzazione dell’offerta; 2) oltre ad uniformarsi alla realtà operativa del crowdfunding, la diffusione di queste informazioni non comporta di per sé la promozione di alcun attivismo dei soci; 3) se l’attivismo è fomentato nelle società quotate anche a livello di normativa europea, sfugge perché dovrebbe essere represso in quelle piccole entità societarie che si vorrebbero avvicinare al mercato finanziario.
423
Controllo societario da credito e diritto della crisi. Il problema del Sanierungsprivileg* Sommario: 1. Premessa. – 2. Rilievi preliminari: il fenomeno del controllo societario da credito. – 2.1. Il problema di fondo del controllo societario da credito e la sua impostazione. – 2.2. Controllo societario da credito e postergazione legale. – 3. Il problema della estendibilità del Sanierungsprivileg alla nuova finanza erogata nell’esercizio del controllo societario da credito. – 4. Problemi applicativi.
1. Premessa. Le seguenti riflessioni hanno ad oggetto il problema dell’esonero da postergazione legale della “nuova finanza” erogata, in funzione del piano di gestione della crisi di una società di capitali, da parte del creditore che eserciti il controllo in virtù di covenants inseriti nel contratto di finanziamento. La discussione del tema verrà preceduta da alcune (sommarie) osservazioni di carattere generale sul controllo creditorio da covenants, indispensabili per legittimare il problema. A tal fine, il fenomeno verrà brevemente descritto nei suoi tratti empirici e nella sua funzione socioeconomica, per poi individuare e impostare il relativo problema giuridico.
*
Testo, con alcune modifiche e integrazioni, della relazione omonima presentata nel V Convegno annuale dell’Associazione Orizzonti del Diritto Commerciale, L’impresa e il diritto commerciale: innovazione, creazione del valore e conservazione del valore nella crisi, tenutosi il 21-22 febbraio 2014 a Roma presso la Facoltà di Economia dell’Università Roma Tre.
425
Saggi
2. Rilievi preliminari: il fenomeno del controllo societario da credito. La plausibilità del problema qui posto richiede di soffermarsi preliminarmente su alcuni punti critici dell’attuale diritto commerciale. In estrema sintesi, può dirsi che l’esonero da postergazione legale dei crediti da “nuova finanza” erogata dal creditore che eserciti il controllo contrattuale sulla società in crisi – e a monte la stessa soggezione in principio dei finanziamenti erogati da tale creditore qualificato alla disciplina della postergazione legale – presuppongono la presa d’atto della importanza socio-economica e della potenziale meritevolezza giuridica del fenomeno del controllo creditorio veicolato da covenants. Trattandosi di assunti nient’affatto pacifici, è necessario dedicarvi alcune considerazioni, sia pure con la schematicità ed assertività che l’economia del presente scritto impone. Nella prospettiva di mettere in luce la rilevanza socio-economica del controllo creditorio veicolato da covenants, giova innanzitutto rilevare come il successo dei tentativi di salvataggio di un’impresa in crisi sia spesso condizionato dal coinvolgimento del principale creditore (o dei principali creditori) nella elaborazione e nella attuazione del piano di risanamento (o di gestione della crisi); nonché come in tali contesti il ruolo dei creditori sia tanto più rilevante là dove costoro assumano il controllo sull’impresa debitrice, esercitandolo effettivamente e in modo stabile: sicché il loro sostegno – anziché limitarsi (prevalentemente) al profilo patrimoniale e finanziario – coinvolge (con particolare vigore) anche il livello manageriale dell’impresa. Questo fenomeno è, notoriamente, assai diffuso nella prassi delle soluzioni stragiudiziali (o comunque non fallimentari) delle crisi d’impresa, soprattutto allorquando l’impresa in distress sia organizzata come società di capitali e presenti un passivo composto prevalentemente da debiti verso un solo creditore finanziario (o verso un numero ristretto di creditori finanziari), specie se di natura bancaria 1.
1 Cfr., Rimini, Il controllo contrattuale, Milano, 2002, p. 55 ss.; A. Mazzoni Capitale sociale, indebitamento e circolazione atipica del controllo, in La società per azioni oggi. Tradizione, attualità e prospettive, Atti del convegno internazionale di studi tenutosi a Venezia, 10-11 novembre 2006, a cura di Balzarini, Carcano e Ventoruzzo, II, Milano, 2007, p. 513 (da cui si riprende l’espressione “circolazione atipica del controllo” di seguito utilizzata nel testo); Baird and Rasmussen Private Debt and the Missing Lever of Corporate Governance, in Univ. of Penns. L. Rev., 154 (2006), pp. 1226 ss.
426
Paolo Cuomo
In tali contesti, il controllo 2 sull’impresa passa di fatto al principale creditore (o ai principali creditori), prima e a prescindere dall’eventuale acquisto da parte sua (o loro) di una partecipazione al capitale sociale della società debitrice: ciò per effetto della situazione di dipendenza nella quale l’impresa in crisi normalmente versa nei confronti del creditore (o dei creditori), quale fonte esclusiva o principale di finanziamento dell’attività. Accade sempre più spesso, peraltro, che il controllo creditorio si avvalga di particolari clausole (c.d. covenants), normalmente aggiunte al contratto di finanziamento allorquando, emersa la crisi, ne viene pattuita la continuazione, oppure inserite nel contratto sin da quando l’impresa versava in condizioni fisiologiche per essere poi, con il manifestarsi della crisi, irrigidite in modo da fare fronte al peggioramento della situazione dell’impresa (d’ora in avanti: “controllo societario da credito” 3). Non sarà inutile ricordare che i covenants costituiscono una variegata tipologia di clausole che pongono a carico della società (di capitali) debitrice obblighi di fare (affirmative covenants), di non fare (negative covenants) e/o di rispettare determinati parametri aziendali (financial covenants), al fine di prevenire o rimuovere l’insolvenza 4. La violazione di tali obblighi e parametri (event of default) determina l’applicabilità di “sanzioni” contrattuali, la più importante delle quali è costituita dal diritto del creditore alla cessazione anticipata del finanziamento. Dal punto di vista del creditore, tali clausole hanno in generale la funzione di prevenire – attraverso il vincolo contrattuale – comportamenti del debitore idonei a provocare o aggravare il rischio d’insolven-
2
Il termine è qui inteso nel senso empirico e pre-giuridico di potere di influenza determinante sulla gestione dell’impresa collettiva societaria: cfr., Stella Richter jr., “Trasferimento del controllo” e rapporti tra soci, Milano, 1996, pp. 87 ss. 3 Si richiama qui la locuzione proposta in Cuomo, Il controllo societario da credito, Milano, 2013, p. 1. 4 Tra gli obblighi di fare (che normalmente corrispondono ai covenants di contenuto più blando) si possono menzionare, ad es., gli obblighi di informazione periodica sulla situazione dell’impresa (compreso l’eventuale verificarsi di events of default) oppure di mantenerne integra l’efficienza organizzativa. Quanto ai (più invasivi) negative covenants, essi possono tradursi nel divieto – in assenza del consenso del creditore così garantito – di distribuire utili oltre una certa misura, di mutare l’attuale management e/o il gruppo di controllo, di alienare componenti rilevanti del complesso aziendale, ecc. I covenants finanziari, infine, vincolano normalmente la società finanziata al rispetto di parametri concernenti il livello dell’indebitamento, la misura del capitale minimo, ecc.
427
Saggi
za 5, nonché a precostituire delle opportunità di “uscita” anticipata dal finanziamento nel caso in cui il rischio d’insolvenza ciononostante si concretizzi 6. Nell’ambito dei finanziamenti bancari (loan covenants) – nei quali il creditore ha gli incentivi e i mezzi per assumere un ruolo attivo nella gestione del rapporto – tali clausole sono utilizzate dal creditore (non tanto allo scopo appena indicato, quanto) al fine di fissare contrattualmente dei campanelli d’allarme (tripwires) al risuonare dei quali le parti sono chiamate a valutare ex post i termini originari del finanziamento 7. Nel contesto particolare dei finanziamenti bancari alle società in crisi, poi, i covenants possono essere e sono spesso utilizzati dal creditore allo scopo di irrobustire il potere di controllo sulla impresa: di fatto, tali clausole attribuiscono alla banca la ragionevole certezza di potere incidere, in modo determinante, sui principali aspetti della gestione e/o della organizzazione della società debitrice 8, poiché questi aspetti vengono fatti oggetto di impegni contrattuali la cui violazione determina il rischio concreto della scadenza anticipata di un finanziamento essenziale per la sopravvivenza dell’impresa 9. In questo modo la banca può conseguire un potere di influenza di intensità equiparabile (o addirittura superiore) a quello che otterrebbe dall’acquisto di una partecipazione di controllo; con il rilevante vantag-
5 Si pensi, ad es., all’eccessiva distribuzione di utili, all’incremento del livello di indebitamento, all’effettuazione di investimenti altamente rischiosi. 6 Ed è questo, in effetti, l’utilizzo dei covenants nei finanziamenti obbligazionari (bond covenants). 7 In questa prospettiva, la violazione dei covenants dà luogo, di norma, non già alla cessazione anticipata del finanziamento, bensì alla rinegoziazione dei suoi termini alla luce dell’evoluzione della situazione dell’impresa finanziata; rinegoziazione che può comportare per l’impresa debitrice la concessione di una serie di vantaggi al creditore, quali condizioni per la prosecuzione del finanziamento. Ai fini del nostro discorso è importate notare che i vantaggi in questione possono comprendere non solo attribuzioni di natura patrimoniale (es. aumento del tasso d’interesse, concessione di nuove garanzie reali), ma eventualmente anche o solo l’adozione di scelte di gestione o di organizzazione imprenditoriale confacenti agli interessi del finanziatore. 8 Nomina e revoca degli amministratori; destinazione degli utili distribuibili; modifiche dell’atto costitutivo; alienazione dei principali beni aziendali; ecc. 9 Sulla struttura e sul funzionamento dei covenants in generale e nei finanziamenti bancari, v., tra i più recenti, Mozzarelli, I business covenants e il governo della società finanziata, Milano, 2013, pp. 1 ss.; Picardi, Il ruolo dei creditori fra monitoraggio e orientamento della gestione nella società per azioni, Milano, 2013, pp. 81 ss.; Cuomo, Il controllo, cit., pp. 8 ss.
428
Paolo Cuomo
gio di rimanere formalmente estranea al rischio d’impresa della società finanziata. A spiegare il diffondersi del fenomeno concorre, del resto, il fatto (ampiamente messo in luce dalle più recenti ricerche in materia di lender governance) che tale prassi produce normalmente effetti positivi anche per la impresa finanziata, in quanto le consente di ridurre i costi connessi ai problemi di agenzia del debito (agency costs of debt) e, più in generale, ai problemi di agenzia (agency problems) tipici della organizzazione societaria 10. Attraverso tali formule contrattuali e organizzative, infatti, la società debitrice può ottenere finanziamenti più facilmente e/o a condizioni più vantaggiose (sul piano economico), in quanto gli impegni assunti riducono la probabilità di inadempimento delle obbligazioni verso il finanziatore. In secondo luogo, tali strumenti favoriscono il migliore sfruttamento delle risorse imprenditoriali della società debitrice, in quanto la stretta sorveglianza su di essa posta in essere dal principale finanziatore può prevenire 11 i comportamenti opportunistici dei relativi soci di controllo e degli amministratori loro fiduciari a danno degli stakeholders e degli stessi soci di minoranza, spesso ricorrenti nelle grandi società per azioni, e soprattutto nelle situazioni di crisi dell’impresa. 2.1. Il problema di fondo del controllo societario da credito e la sua impostazione. Posta in evidenza la rilevanza socio-economica del “controllo societario da credito”, e volendo offrire qualche sommaria considerazione in merito al relativo problema giuridico, occorre rilevare come il trattamento normativo di questo fenomeno sia fortemente condizionato dalle premesse giuspolitiche e concettuali che si accolgano in merito al rapporto tra impresa e creditori. Tradizionalmente, tale problema è stato segnato dall’idea che, soprattutto in situazioni di crisi dell’impresa, rapporti di stretta integrazione tra questa e i creditori “forti” costituiscano un fenomeno (se non proprio illecito, quantomeno) anomalo, in quanto fonte di potenziali abusi da parte del creditore nel finanziamento e/o nell’ingerenza nella gestione dell’impresa del debitore, ai danni di quest’ultimo e/o dei creditori “de-
10
V., anche per riferimenti, gli AA. citt. supra, nt. prec. Meglio degli strumenti classici del diritto societario: come, in particolare, gli amministratori indipendenti e il mercato del controllo societario. 11
429
Saggi
boli”. Da qui – in assenza di una disciplina specifica – i diffusi sforzi degli interpreti di individuare titoli di responsabilità con i quali contrastare i temuti abusi creditori 12. Ragionando solo sulla base di tali premesse, il fenomeno del «controllo societario da credito» potrebbe meritare un trattamento non diverso da (se non peggiore rispetto a) quello (sostanzialmente repressivo) generalmente riservato all’azione del creditore “forte” nel rapporto con il debitore-imprenditore (individuale o collettivo) 13. Le più recenti indagini sul fenomeno segnano, peraltro, una netta inversione di rotta da questo punto di vista. In particolare, è sempre più diffusa la (condivisibile) convinzione che l’assunzione di un ruolo determinante, sul piano finanziario e manageriale, da parte del principale creditore (o dei principali creditori) dell’impresa – tipico delle situazioni di crisi – possa e debba essere (a certe condizioni) valutato positivamente. Ciò alla luce non solo dei risultati raggiunti dagli studi economici sul tema della lender governance 14, ma anche della evoluzione dell’ordinamento interno. Sotto quest’ultimo profilo, è significativa, per un verso, la apertura del diritto azionario riformato verso forme di finanziamento lato sensu ibride, anche sotto il profilo della imputazione di prerogative amministrative 15. Per altro verso, è indicativa la nuova disciplina delle procedure d’insolvenza, attualmente concepite come tecniche di organizzazione del controllo creditorio sull’impresa in crisi; e ciò sull’assunto che, in situazioni di indebitamento eccessivo, ragioni di efficienza spingano ad assegnare il controllo sull’impresa (anche o solo) ai creditori, quali soggetti effettivamente coinvolti nel rischio d’impresa 16. Alla luce
12
In tal senso, sono particolarmente significative le discussioni, per un verso, sul tema della responsabilità da concessione abusiva di credito e/o da rottura brutale del credito; per l’altro, sulla responsabilità del creditore per induzione all’inadempimento degli organi della società debitrice e/o da amministrazione di fatto. Su tali temi v., di recente, Nigro, La responsabilità delle banche nell’erogazione del credito alle imprese in “crisi”, in Giur. comm., 2011, I, pp. 305 ss. 13 Sull’approccio tradizionale al tema del rapporto tra impresa e creditori, e sull’impatto che tale approccio ha avuto sul problema del controllo creditorio da covenants, v. la ricostruzione offerta in Cuomo, Il controllo, cit., spec. pp. 52 ss., 189 ss. 14 Su tale aspetto v. soprattutto Mozzarelli, Business covenants, cit., cap. 2. 15 V., Cuomo, Il controllo, cit., spec. pp. 52 ss.; cfr., anche per riferimenti, Rimini, Il prestito mezzanino tra clausole di subordinazione, equity kickers e restrictive covenants, in Giur. comm., 2008, pp. 1066 ss. 16 V., Cuomo, Il controllo, cit., cap. 2, e spec. pp. 60 s., testo e nt. 30. Sull’inquadramento delle procedure concorsuali richiamato nel testo, cfr., Libonati,
430
Paolo Cuomo
di tali indicazioni, si è messo in luce come il fenomeno del controllo creditorio veicolato da covenants possa essere meritevole di tutela, da un lato, in quanto strumento di garanzia atipica dell’interesse creditorio del finanziatore; dall’altro, in quanto fattore funzionale alla efficienza della società finanziata come organizzazione imprenditoriale (sia sul piano del finanziamento sia sul piano della gestione) 17. Su tali basi il fenomeno del “controllo societario da credito” si vede riservata una posizione speciale all’interno del tema generale del rapporto tra impresa e creditori. Infatti, il fenomeno può essere dogmaticamente descritto come una fattispecie di eterodirezione societaria, in cui la società debitrice viene legittimamente organizzata in modo da attribuire ad uno o più creditori il potere di indirizzarne l’attività, ed è altrettanto legittimamente condotta in vista dell’obiettivo imprenditoriale di preservarne o recuperarne la solvibilità, anziché di massimizzare l’utile da distribuire ai soci 18. Viene così delineata una figura di eterodirezione societaria che, secondo l’orientamento preferibile, non è perfettamente assimilabile alle fattispecie di eterodirezione tipizzate dalla legge 19, in quanto l’azione imprenditoriale del finanziatore in posizione di controllo non è funzionale ad un rapporto societario né ad un rapporto associativo di gruppo, bensì ad un rapporto di scambio. Si è di fronte, quindi, ad una fattispecie legalmente atipica 20, ma ciononostante legittima.
Prospettive di riforma sulla crisi d’impresa, in Giur. comm., I, 2001, p. 332; Id., Crisi societarie e governo dei creditori, in Dir. e giur., 2007, p. 2; Stanghellini, Proprietà e controllo dell’impresa in crisi, in Riv. soc., 2004, p. 1031; Id., Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007, pp. 35 ss.; Sciuto, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi comparatistica), in Giur. comm., 2007, I, p. 571; Vigo, Un’occasione di confronto tra la riforma societaria e quella fallimentare. L’apologo del comitato dei creditori, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di Di Marzio e Macario, Milano, 2010, p. 529. 17 V., anche per riferimenti, Cuomo, Il controllo, cit., pp. 55 ss. 18 Cfr., Cuomo, Il controllo, cit., pp. 61 s.; Picardi, Il ruolo, cit., pp. 139 ss.; Pennisi, La responsabilità della banca nell’esercizio del controllo in forza di covenants finanziari, in RDS, 2009, III, pp. 629 ss. 19 Vale a dire, quella esercitata dal socio in quanto tale, parzialmente disciplinata nel contesto della s.r.l., agli artt. 2476, co. 7 e 2467 c.c.; quella esercitata dalla società o ente capogruppo, cui è dedicata la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento, agli artt. 2497 ss., e 2497-quinquies c.c. Sul problema della duplicità o meno dei modelli di disciplina dell’attività di eterodirezione v., anche per riferimenti, Cuomo, Il controllo, cit., pp. 169 ss. 20 Cfr., Mazzoni, Capitale, cit., p. 526 ss.; Cuomo, Il controllo, cit., passim; Picardi, Il ruolo, cit., passim; diversamente, Pennisi, La responsabilità, cit., pp. 633 ss.; e già Rimini,
431
Saggi
Tale opzione comporta un mutamento radicale sul piano degli obiettivi di fondo della disciplina del fenomeno. Così ragionando, infatti, il problema reale diviene quello di agevolarne lo svolgimento, sia pure nel rispetto delle esigenze di tutela degli interessi messi a rischio dallo stesso. Da qui – in assenza di una disciplina apposita – l’esigenza di ricostruire a livello interpretativo uno statuto organico del “controllo societario da credito” nel suo costituirsi e nel suo fisiologico svolgersi: il che significa, soprattutto, interrogarsi su quale situazione (di controllo, in specie contrattuale: art. 2359, co. 1, n. 3, c.c.) consenta di presumere la sussistenza di una virtuosa attività di eterodirezione da credito; per poi chiarire quali siano i «poteri» e i «doveri» del creditore nell’esercizio dell’attività di eterodirezione sulla società debitrice. Non diversamente da quanto (esplicitamente o implicitamente) previsto per le figure tipiche di eterodirezione societaria 21. Ora, non importa né sarebbe possibile approfondire in questa sede tali assunti 22. Ai fini del presente discorso è interessante, tuttavia, sottolineare come gli interpreti che condividono la suddetta ambizione giuspolitica siano poi divisi in merito alla strategia con la quale impostare la soluzione del problema. Con un certo grado di approssimazione, può dirsi che mentre alcuni propongono di legittimare il fenomeno utilizzando gli strumenti concettuali soggettivistici propri alla tradizione civilistica 23, altri impiegano schemi di carattere funzionalistico storicamente rivenienti dall’esperienza amministrativistica 24. In quest’ultima prospet-
Il prestito, cit., pp. 1093 s. 21 In tal senso, in termini generali, Cuomo, Il controllo, cit., pp. 51 ss.; analogo percorso problematico si rinviene, per un verso, in Mozzarelli, Business covenants, cit., passim, il quale pone e affronta il problema (più ampio) di individuare il discrimine fra esercizio delle prerogative contrattuali del creditore e inizio della eterodirezione (anche occasionale) sulla società debitrice; per l’altro, in Picardi, Il ruolo, cit., pp. 139 ss., che si sofferma sulle ricadute organizzative dell’esercizio dell’attività di eterodirezione creditoria sulla società finanziata. Autorevoli spunti a favore di un approccio “legittimante” al controllo creditorio da covenants già in Mazzoni, Capitale sociale, cit., pp. 326 s. 22 Per i quali si può rinviare ai contributi degli AA. citt. supra, nt. prec. 23 Come il contratto o quasi contratto; diritti e obblighi reciproci delle parti, compresi i doveri correttezza e buona fede nell’attuazione del rapporto; responsabilità aquiliana verso i terzi: cfr., pur con differenze sul piano delle soluzioni tecniche proposte, Mazzoni, Capitale, cit., pp. 526 s., 537, 540; Mozzarelli, Business covenants, cit., pp. 120 ss. 24 Il riferimento è a categorie come le seguenti: comportamento oggettivamente considerato; competenze; poteri e doveri attribuiti in vista di interessi esterni; obblighi di motivazione; vincoli di destinazione patrimoniale; ecc. (a favore dell’utilizzo di
432
Paolo Cuomo
tiva, la fattispecie di controllo rilevante e la disciplina dell’esercizio (a fini d’impresa 25) del «controllo societario da credito» vengono ricavate muovendo dall’assimilazione, quantomeno tendenziale, tra l’attività di eterodirezione creditoria e le figure legalmente tipiche di eterodirezione societaria (e, in concreto, richiamando prevalentemente, in via estensiva o analogica, la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento di società ex artt. 2497 ss. c.c.) 26. A nostro avviso 27, quest’ultima strategia si lascia preferire. Ciò non solo alla luce di una lettura in chiave oggettiva e funzionale del fenomeno societario, ma anche per il convincimento che tale orientamento consenta di pervenire a soluzioni adeguate ai problemi tipologici 28 e
tali categorie concettuali nel diritto delle società di capitali, v. di recente, Libertini, Scelte fondamentali di politica legislativa e indicazioni di principio nella riforma del diritto societario del 2003. Appunti per un corso di diritto commerciale, in RDS, 2008, pp. 201 ss.). 25 Sul diverso problema del controllo societario da credito esercitato a fini brutalmente egoistici o predatori, v. Cuomo, Il controllo, cit., pp. 267 ss. 26 Cfr., non senza differenze sul piano delle soluzioni concretamente proposte, Rimini, Il prestito, cit., pp. 1094 s.; Pennisi, La responsabilità, cit., pp. 633 ss.; Cuomo, Il controllo, cit., pp. 138 ss., 225 ss.; Picardi, Il ruolo, cit., pp. 139 ss. V., altresì, Abriani, La crisi dell’organizzazione societaria tra riforma delle società di capitali e riforma delle procedure concorsuali, in Il fallimento, 2010, pp. 392 ss.; Codazzi, L’ingerenza nella gestione delle società di capitali: tra “atti” e “attività”. Profili in tema di responsabilità, Milano, 2012, pp. 57 ss., 93 ss. 27 V., ancora, Cuomo, Il controllo, cit., pp. 93 ss. 28 Sul fronte della fattispecie, tale approccio consente di ancorare l’attivazione dello statuto in questione (con le sue gravi conseguenze e per la sovranità della società controllata e per l’autonomia del soggetto di controllo) ad una figura di controllo (sì contrattuale, ma) espressiva dell’iniziativa del creditore tesa ad alterare i meccanismi di funzionamento della sovranità della società debitrice, alla stregua di una valutazione oggettiva che metta al centro gli effetti sostanziali della fattispecie contrattuale. In questo modo (in concreto: mediante l’applicazione di una presunzione sostanzialmente simile a quella ex art. 2497-septies c.c.), si scongiurano arbitrii in sede di qualificazione ai danni del creditore o della società debitrice. Per l’applicazione di tale impostazione all’analisi della fattispecie di controllo (contrattuale) rilevante ai fini della disciplina della eterodirezione da credito, v. Cuomo, Il controllo, cit., pp. 138 ss.; cfr., di recente, l’interessante pronuncia Trib. Roma, 22 gennaio 2014 (inedita).
433
Saggi
normativi 29 sollevati dal fenomeno 30. Del resto, importanti indizi della evoluzione dell’ordinamento in tale direzione si ricavano, ancora una volta, soprattutto dal nuovo diritto dell’insolvenza, nella misura in cui la regolamentazione del fenomeno del controllo creditorio si ispira agli schemi di disciplina tipici della società per azioni 31.
29 Dal punto di vista della disciplina, l’impostazione indicata consente (attraverso l’applicazione, in via di analogia juris, della disciplina dell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento) al finanziatore di controllo di vedere strutturata giuridicamente, e quindi migliorata in termini di effettività, la propria posizione di potere nei confronti della società finanziata nel modo più efficace, perché si legittima il ruolo apicale del creditore sul piano dell’organizzazione interna della società finanziata (cfr., Angelici, Noterelle (quasi) metodologiche in materia di gruppi di società, in Riv. dir. comm., 2013, pp. 377 ss.). Parallelamente, si rende possibile colmare nel modo più pieno il deficit di tutela della società controllata rispetto alla eterodirezione creditoria, vincolando l’agire del finanziatore di controllo all’interesse sociale della eterodiretta (cfr., Angelici, La società per azioni. I. Principi e problemi, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni, e continuato da Schlesinger, Milano, 2012, 47, nt. 69). Inoltre, si ottiene il vantaggio di disporre di una disciplina organica del fenomeno; il che consente di evitare ambiguità e contraddizioni derivanti dall’applicazione concorrente di principi generali non pensati per la casistica in esame. Per l’applicazione di tale impostazione ai problemi di disciplina dell’esercizio del «controllo societario da credito», si rinvia soprattutto a Cuomo, Il controllo, cit., pp. 225 ss.; nonché a Picardi, Il ruolo, cit., pp. 139 ss. 30 Tale assimilazione (e, segnatamente, l’applicazione della disciplina dell’attività di direzione e coordinamento) non sembra poter essere piena. Certo, tale impostazione avrebbe il vantaggio della semplicità applicativa, e assicurerebbe in ampia misura le esigenze di tutela della società eterodiretta. Tuttavia, ci sembra preferibile un approccio al problema che – valorizzando adeguatamente le esigenze organizzative sottese al fenomeno, anche a costo di una minore agilità del percorso argomentativo – escluda interpretazioni che obliterino o sottovalutino la differenza causale (o di scopi finali) tra fattispecie di eterodirezione che (come quelle tipiche) si inseriscono all’interno di fenomeni associativi (tra controllata e controllante) e figure di eterodirezione che (come quella da credito) sono funzionali a fenomeni di scambio. A tal fine, del resto, non è necessario rinunciare alla impostazione societaria del problema per ritornare ai principi del diritto dei contratti. Si tratta, piuttosto, di puntare ad un’assimilazione tra i due fenomeni limitata a quegli aspetti della disciplina che si giustificano per l’impatto che il controllo e la eterodirezione hanno sul fenomeno, oggettivo e causalmente neutro, della impresa (collettiva) esercitata attraverso la struttura societaria controllata. Sui problemi di adattamento che la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento solleva con riferimento alla fattispecie del «controllo societario da credito», v., nt. 35, con specifico riferimento all’istituto della postergazione legale; nonché, in termini generali, Cuomo, Il controllo, cit., pp. 234 ss.; Picardi, Il ruolo, cit., pp. 178 ss. 31 V., Cuomo, Il controllo, cit., pp. 97 ss. Al riguardo, v. gli studi richiamati supra, nt. 16.
434
Paolo Cuomo
2.2. Controllo societario da credito e postergazione legale. Poste tali premesse generali (che non è il caso di sviluppare ulteriormente in questa sede), è possibile approssimarci al problema al centro del nostro intervento. Prima di procedere in tal senso, è però inevitabile rilevare come il problema dell’esonero da postergazione qui individuato in tanto può legittimamente porsi in quanto si ritenga a monte che i finanziamenti erogati nell’esercizio del “controllo societario da credito” siano soggetti, in principio, alla postergazione legale. L’interrogativo non è affatto banale, ancorché il problema dell’esercizio scorretto delle prerogative creditorie in danno della società finanziata si ponga oggettivamente anche nella fattispecie qui esaminata 32. Ciò non solo perché la postergazione legale è espressamente prevista per i soli crediti dei soci (peraltro limitatamente alla disciplina della s.r.l.: art. 2467 c.c.) e per i finanziamenti infragruppo (art. 2497-quinquies c.c.); ma anche perché è assai controverso quale sia il fondamento dell’istituto. Ne consegue che – anche ove si condivida quanto sopra rilevato in merito alla tendenziale assimilazione dell’eterodirezione da credito alle figure tipiche di attività di eterodirezione – ciò non vuol dire ancora che tale assimilazione possa estendersi al profilo della postergazione legale. È quindi indispensabile dedicare alcune (sommarie) considerazioni a questo problema. Non è possibile ripercorrere qui, nemmeno per sommi capi, l’intenso dibattito sul fondamento della postergazione legale 33. Rispetto a tale
32
V., Cuomo, Il controllo, cit., pp. 185 s. Basti rilevare che la possibilità di estendere interpretativamente la disciplina della postergazione legale alla fattispecie in esame troverebbe un ostacolo difficilmente superabile nella tesi tradizionale che collega, in un modo o nell’altro, l’istituto al tema dell’abuso della personalità giuridica (per tale inquadramento, v. già Pavone La Rosa, La teoria dell’“imprenditore occulto” nell’opera di Walter Bigiavi, in Riv. dir. civ., 1967, I, pp. 672 ss.; più di recente, tra gli altri, Portale, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, 1**, Torino, 2004, pp. 153 ss.; Id., I «finanziamenti» dei soci nelle società di capitali, in Banca, borsa e tit. cred., 2003, I, pp. 663 ss.; in senso analogo, Galgano, Diritto commerciale. Le società18, Bologna, 2012, pp. 133 s.): nel «controllo societario da credito» siffatto abuso è difficilmente ravvisabile, mancando per definizione un rapporto di partecipazione sociale tra il soggetto in posizione di controllo e la persona giuridica abusata. La dottrina prevalente, peraltro, ravvisa correttamente – già in base al riferimento letterale al concetto di postergazione (altro da quello di riqualificazione in conferimento) – la ratio dell’istituto in una particolare forma di abuso lato sensu gestorio 33
435
Saggi
questione, notoriamente controversa, ci limitiamo ad osservare – a sostegno della nostra preferenza per la lettura che coordina l’istituto della postergazione al tema della eterodirezione societaria – che tale orientamento è ampiamente accreditato sul piano internazionale e interno. Del resto, esso ben si coordina con la scelta legislativa di collocare le regole della postergazione all’interno della disciplina della società a responsabilità limitata e dell’attività di direzione e coordinamento, quali fattispecie tipicamente e/o tipologicamente connotate da fenomeni di eterodirezione societaria 34. Ove si condivida quanto appena osservato sulla ratio della postergazione, l’ipotesi che i finanziamenti effettuati nell’esercizio del “controllo societario da credito” siano soggetti alla postergazione legale, in applicazione estensiva o analogica degli artt. 2467 e/o 2497-quinquies c.c., può ritenersi coerente al sistema 35.
(in tal senso v., in luogo di molti, Abriani, Finanziamenti “anomali” dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a responsabilità limitata, in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze, Studi in onore di Zanarone, a cura di Benazzo, Cera e Patriarca, Torino, 2011, p. 325). In questa prospettiva, la questione fondamentale, ai fini che qui interessano, diventa comprendere se la disciplina in questione abbia essenzialmente ad oggetto un abuso gestorio mosso da interessi (partecipativi o comunque) lato sensu «proprietari» (così, Terranova Commento all’art. 2467 c.c., in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, III, Napoli, 2004, p. 1471; Maugeri, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005, p. 213; Id., Dalla struttura alla funzione della disciplina sui finanziamenti soci, in Riv. dir. comm., 2008, I, pp. 133 ss.) oppure se, invece, la scorrettezza nell’utilizzo delle prerogative creditorie rilevi qui come espressione di eterodirezione considerata in termini oggettivi, a prescindere quindi dagli scopi finali perseguiti dal creditore (Mazzoni, Capitale sociale, cit., p. 540; Tombari I gruppi di società, in Le nuove s.p.a., a cura di Cagnasso e Panzani, Bologna, 2010, pp. 1780 ss.; Id., Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010, 63 ss.; Abriani, Finanziamenti, cit., p. 350; analogamente prima della riforma, Miola, Le garanzie infragruppo, Torino, 1993, pp. 350 ss.; Libonati, Il gruppo insolvente, Firenze, 1981, p. 202). 34 Per una più analitica argomentazione di tale tesi, si rinvia a Cuomo, Il controllo, cit., 220 ss., nt. 131, 232 ss., nt. 155. 35 In verità, tale ipotesi è tutt’altro che esente da problemi. La obiezione più rilevante che può muoversi (e che è stata mossa) a tale tesi è di ordine sostanziale, e consiste nell’osservazione che l’estensione della postergazione al «controllo societario da credito» possa disincentivare il fenomeno e il suo effetto disciplinante nei confronti degli amministratori e degli azionisti della società in crisi, con conseguenze paradossalmente sfavorevoli per la generalità dei creditori e per l’efficienza dell’azione imprenditoriale della società finanziata (cfr., Balp, Commento all’art. 2497-quinquies, in Direzione e coordinamento di società. Artt. 2497 – 2497-septies, a cura di Sbisà, Milano, 2012, pp. 314 s.; Picardi, Il ruolo, cit., p. 181, nt. 69; e soprattutto Engert, Drohende
436
Paolo Cuomo
3. Il problema della estendibilità del Sanierungsprivileg alla nuova finanza erogata nell’esercizio del controllo societario da credito. Poste le superiori premesse, è ora possibile e doveroso venire al problema specifico di questo intervento. A tal fine, giova (ri-)partire dalla
Subordination als Schranke einer Unternehmenskontrolle durch Kreditgeber, in ZGR, 2012, pp. 835 ss.). L’obiezione è seria e grave. In effetti, la postergazione rischia di intaccare il meccanismo che garantisce effettività all’esercizio del “controllo societario da credito”: vietando il rimborso del finaziamento, tale disciplina toglie oggettivamente credibilità alla minaccia del creditore di cessare anticipatamente il finanziamento in caso di mancata cooperazione della società debitrice, minaccia che è alla base (in assenza di posizioni partecipative o di contratti di dominazione) della «persuasività» delle direttive o istruzioni creditorie. Tale conseguenza, del resto, rischia di essere endemica alla fattispecie del “controllo societario da credito” perché le condizioni (di tensione finanziaria e/o di sottocapitalizzazione della società debitrice) in cui tipicamente si manifesta tale fenomeno corrispondono, secondo un orientamento largamente accreditato (sulla questione, v., anche per i necessari riferimenti, Cuomo, Il controllo, cit., pp. 258 s., nt. 221), ai presupposti oggettivi di postergabilità dei crediti previsti agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. Tale obiezione, peraltro, può essere neutralizzata escludendo un’applicazione pedissequa (estensiva o in via di analogia legis) della disciplina legislativa della postergazione, senza per questo rinunciare alla estensione del principio – di correttezza nell’esercizio del potere di eterodirezione sulle risorse essenziali per l’equilibrio finanziario dell’impresa, erogate in forma creditoria – ad esse sotteso (in via di analogia juris); a condizione, però, che questo venga adattato alle peculiarità dell’attività di eterodirezione funzionale a fenomeni di scambio, come quella qui considerata. In concreto, si deve escludere che la postergazione del credito, una volta applicata a questi ultimi fenomeni, abbia lo stesso rigore che la connota nelle figure tipiche: in particolare, ritenendo (come a nostro avviso è corretto fare) che la postergazione, se da un lato vincola il credito del finanziatore di controllo alle esigenze di stabilità finanziaria della società debitrice, dall’altro non vieti il rimborso del credito ragionevolmente motivato da comportamenti della società debitrice che non siano coerenti con il programma imprenditoriale legittimamente perseguito dal creditore di controllo. Rinviando ad altra sede per un più compiuto sviluppo di tale argomentazione (Cuomo, Il controllo, cit., pp. 263 ss; accenna alla possibilità di un’estensione, con adattamenti, della postergazione legale alla fattispecie della lender governance, anche, Mozzarelli, Business covenants, cit., p. 33, nt. 206), rileviamo qui che, anche ammettendo tale temperamento, il vincolo di postergazione resta gravido di conseguenze per il finanziatore che assuma il controllo della società finanziata. Tale vincolo – come si metterà in luce tra breve (v. n. seg.) – è foriero di gravi conseguenze soprattutto rispetto ai crediti derivanti da apporti di «nuova finanza», essenziali per il buon esito degli accordi di salvataggio. Questa constatazione, però, non deve indurre a rimettere in discussione la soggezione in principio dei crediti del finanziatore di controllo alla disciplina della postergazione legale. Si tratta, piuttosto, di interrogarsi sulla estendibilità del c.d. Sanierungsprivileg previsto per i finanziamenti soci o infragruppo alla fattispecie qui esaminata.
437
Saggi
constatazione che, nelle situazioni di crisi dell’impresa finanziata, vi è spesso l’esigenza che il piano di salvataggio sia sostenuto (in fase di elaborazione e/o di attuazione) da apporti di “nuova finanza” del creditore in posizione di controllo contrattuale. Va da sé che tali apporti vengono effettuati nella misura in cui il creditore in posizione di controllo abbia la ragionevole certezza di ottenerne in seguito il rimborso. È intuitivo, peraltro, che l’eventuale postergazione legale di tali crediti (in applicazione estensiva o analogica degli artt. 2467 e/o 2497-quinquies c.c.) rappresenterebbe un forte disincentivo all’impegno del creditore: tale disciplina, infatti, aumenta l’entità delle perdite che il creditore rischia di subire in caso di fallimento dell’impresa in crisi, poiché si traduce in un sostanziale divieto di rimborso dei crediti in caso di insolvenza della società debitrice. Da qui l’esigenza pratica di stabilire se e in che termini sia possibile riconoscere un esonero da postergazione legale nel caso in esame. Del resto, tale problema non è privo di interesse anche da un punto di vista teorico, costituendo un importante banco di prova della possibilità di costruire un diritto societario della crisi, inteso come sistema autonomo rispetto al diritto societario generale 36. Infatti, il problema non è stato espressamente risolto dal legislatore. Una protezione della “nuova finanza” dalla postergazione legale è prevista con riferimento ai finanziamenti dei soci e ai finanziamenti infragruppo erogati in funzione o in attuazione di un concordato preventivo o di un accordo omologato (art. 182-quater, co. 3, prima parte, l. fall.); nonché ai finanziamenti erogati da soggetti che acquistino la qualità di soci in esecuzione di un accordo omologato o di un concordato preventivo (art. 182-quater, co. 3, seconda parte, l. fall.). Per tali finanziamenti si prevede che, in caso di insuccesso del piano, i relativi crediti vengano trattati come prededucibili 37; dal che si desume correttamente che i corrispondenti rimborsi siano legittimi 38 e non ripetibili (nemmeno in caso di fallimento 39), quand’anche effettuati in condizioni di oggettivo
36
Sul tema, da ultimo, Tombari, Principi e problemi di “diritto societario della crisi”, in Riv. soc., 2013, pp. 1138 ss. Sui problemi di “diritto societario della crisi” sollevati dal “controllo societario da credito”, v. in particolare, Cuomo, Il controllo, cit., capitolo 5. 37 Nella misura del 80% nel primo gruppo di casi, interamente nel secondo. 38 V., per tutti, Abriani, Finanziamenti, cit., p. 330, nt. 89. 39 In tal senso, si rileva che l’azione di restituzione prevista dagli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. non ha ragione di applicarsi in assenza di postergazione (M. Maugeri Sul regime concorsuale dei finanziamenti soci, in Giur. comm., 2010, I, p. 836,
438
Paolo Cuomo
rischio d’insolvenza o di insolvenza vera e propria. Nulla di simile è previsto, invece, con riferimento alla «nuova finanza» erogata dal creditore che eserciti l’eterodirezione contrattuale (che non sia titolare di partecipazioni nella società in crisi, né ne acquisti in attuazione del piano di risanamento). Del resto, l’esonero da postergazione espressamente previsto per la “nuova finanza” effettuata dai soci o dalla società o ente capogruppo non è agevolmente applicabile al caso in esame, perlomeno ove si condividano le superiori riflessioni sull’inquadramento della fattispecie come eterodirezione strumentale ad un rapporto di scambio 40. Il problema è stato particolarmente approfondito in Germania. In tale contesto, infatti, l’esonero dalla postergazione legale è espressamente previsto solo per i crediti (pregressi o successivi) di colui che acquisti (a titolo originario o derivativo) una partecipazione nella società in crisi nell’ambito del piano di risanamento (c.d. Sanierungsprivileg: § 39, Abs. 4, S. 2, InsO) 41. Nonostante il silenzio del legislatore sul punto, si
nt. 99). D’altra parte, la stessa soggezione di tali pagamenti a revocatoria fallimentare è «disinnescata» dall’art. 67, comma 3, lett. e), l. fall.: se non in forza di una vera e propria assimilazione tra la revocatoria fallimentare e l’azione di restituzione ex artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. (assimilazione assai dubbia: v., per tutti, Proto, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Il fallimento, 2006, p. 140), quantomeno in virtù della disapplicazione della postergazione legale ai rimborsi effettuati nell’ambito del concordato o dell’accordo ex art. 182-bis l. fall., e della conseguente riconducibilità di tali pagamenti al regime generale di cui all’art. 67, co. 3, lett. e), l. fall. (cfr., M. Maugeri, Sul regime, cit., pp. 822 s., nt. 57; M. Rossi, Postergazione e concordato, in Riv. dir. comm., 2011, pp. 18 s., testo e nt. 52). 40 Del resto, sarebbe semplicistico tentare di risolvere il problema riconducendo i finanziamenti del creditore che eserciti l’eterodirezione alla fattispecie generale degli apporti di “nuova finanza” prededucibili ex art. 182-quater, commi 1 e 2, l. fall. In primo luogo, tale approccio non risolverebbe il problema della «nuova finanza» erogata al di fuori degli accordi omologati e dei concordati preventivi. Anche nell’ambito delle soluzioni alla crisi con supervisione giudiziaria, poi, non potrebbe darsi per scontata l’estendibilità della regola al caso qui esaminato, là dove vengono in rilievo crediti in principio postergabili (v., n. 2.2). Del resto, se è vero che l’art. 182-quater, comma 3, seconda parte, l. fall. richiama proprio tale disciplina generale per il caso in cui l’acquisto della partecipazione sociale avvenga in esecuzione dell’accordo omologato o del concordato, non è affatto detto che tale scelta esprima un principio generale. Prematuro sarebbe inoltre sostenere, puramente e semplicemente, l’applicazione analogica dell’art. 182-quater, co. 3, prima parte, l. fall., non potendosi escludere – in assenza di un adeguato approfondimento sistematico – la eccezionalità di tale regola, come del resto parrebbe suggerire la lettera della legge (che al riguardo si esprime in termini di «deroga» alla disciplina societaria della postergazione). 41 Sul problema della estensione del Sanierungsprivileg al creditore che eserciti l’eterodirezione in forza di covenants, v., senza pretese di completezza, Eidenmüller,
439
Saggi
ritiene di poter estendere interpretativamente la disciplina in questione al creditore di controllo e, più precisamente, ai crediti (pregressi o successivi) vantati dal finanziatore che assuma l’eterodirezione della società in crisi senza divenirne socio. In tal senso, si è argomentato dalla ratio della esenzione che risiede nell’esigenza di promuovere il risanamento incentivando l’assunzione del controllo sulla società in crisi da parte di soggetti che introducano nuove strategie imprenditoriali. Rispetto a tale esigenza – si argomenta – l’acquisto della qualità di socio non è essenziale 42. Nella comparazione non vanno sottovalutate alcune importanti differenze rispetto alla situazione normativa italiana. Infatti, il Sanierungsprivileg tedesco è per certi versi più ampio, per altri versi più restrittivo del suo omologo italiano. In particolare, l’istituto tedesco non presuppone, almeno secondo parte degli interpreti, l’effettuazione di apporti di “nuova finanza” da parte del soggetto che assuma l’eterodirezione 43, ed è certo che esoneri dalla postergazione tutti i crediti vantati da costui (compresi, quindi, quelli pregressi) 44. D’altra parte, il Sanierungsprivileg tedesco non è applicabile a coloro che abbiano esercitato il controllo in una fase precedente l’emergere della crisi 45, e inoltre non affianca all’esonero da postergazione anche la prededucibilità del credito in caso di apertura delle procedure concorsuali 46. Detto ciò, non sembrano esservi ostacoli a pervenire anche nel diritto interno ad una equiparazione interpretativa del creditore che eserciti l’eterodirezione contrattuale al socio/imprenditore o alla capogruppo in punto di esonero dalla disciplina della postergazione nei termini in cui questo è ammesso dal diritto italiano. Al riguardo, giova rilevare che l’equiparazione tra le fattispecie tipiche
Unternehemenssanierung zwischen Markt und Gesetz, Köln, 1999, pp. 396 s.; Kästle, Rechtsfragen der Verwendung von Covenants in Kreditverträge, Berlin, 2003, pp. 194 ss.; Servatius, Gläubigereinfluß durch covenants, Tübingen, 2008, pp. 535 ss. 42 Così, limitatamente al caso che il creditore apporti nuova finanza, Kästle, Rechtsfragen, cit., pp. 196 s.; più ampiamente, Servatius, Gläubigereinfluß, cit., 535 ss. 43 Lutter u. Hommelhoff §§ 32 a/b, in GmbH-Gesetz. Kommentar, 16. Aufl., herausgegeben von Lutter und Hommelhoff, Köln, 2004, Rdn. 82, p. 541. 44 V., in luogo di molti, Schmidt, §§ 32 a, b, in Kommentar zum GmbH-Gesetz, herausgegeben von Scholz, 10. Aufl., I, Köln, 2006, Rdn. 218, p. 1727; Lutter u. Hommelhoff §§ 32 a/b, cit., Rdn. 85, 542. 45 V., in luogo di molti, Schmidt, §§ 32 a, b, cit., Rdn. 216, p. 1725; Lutter u. Hommelhoff, §§ 32 a/b, cit., Rdn. 80, p. 541. 46 Schmidt, §§ 32 a, b, cit., Rdn. 218, pp. 1726 s.
440
Paolo Cuomo
di finanziamenti “privilegiati” e le ipotesi di “nuova finanza” facente capo al controlling creditor sarebbe coerente, da un lato, con la tendenza del sistema (quale qui delineato) a trattare in modo omogeneo le due tipologie di eterodirezione societaria; dall’altro, con l’idea (per noi del tutto condivisibile) che le regole di diritto societario della crisi, in quanto parti di un sistema autonomo (in senso forte), siano dotate di capacità espansiva al di là dei confini legalmente previsti 47. Del resto, le esigenze che giustificano la protezione della “nuova finanza” nelle fattispecie tipizzate dal legislatore ricorrono anche nei casi qui esaminati: infatti, anche i finanziamenti del creditore che eserciti l’eterodirezione sono particolarmente utili al salvataggio dell’impresa e al ceto creditorio in quanto caratterizzati dalla maggiore rapidità e convenienza tipica dei finanziamenti degli insiders rispetto alla finanza esterna eventualmente disponibile. Né sembra che tale parallelo sia incoerente con le indicazioni ricavabili dal sistema. Non rappresenta certo un ostacolo insuperabile a tale esito interpretativo l’esplicito riferimento dell’art. 182-quater, co. 3, prima parte, l.fall. ai soli finanziamenti del socio o infragruppo. Non sarebbe plausibile, in particolare, un automatismo interpretativo che pretendesse di desumere da tale dato testuale una soluzione contraria per i finanziamenti del creditore non socio né capogruppo. Del resto, sembrano esservi sufficienti elementi a supporto di un’applicazione analogica della norma al caso qui considerato. Al riguardo, merita in primo luogo rilevare che la esenzione dalla postergazione prevista dalla norma citata – nonostante la contraria impressione che potrebbe trarsi da una prima lettura del suo testo (là dove questo discorre di “deroga” agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c.) – non è affatto in contraddizione con i principi 48. Al contrario, essa si giustifica poiché in questo caso l’esigenza di prevenzione del rischio di insolvenza alla base della postergazione legale in sostanza non ricorre, sicché la disapplicazione della postergazione potrebbe ammettersi anche in assenza della norma in questione in virtù di una riduzione teleologica della regola societaria. Giova ricordare che la disciplina della postergazione tende a preveni-
47 In questa sede, è sufficiente richiamare le argomentazioni sviluppate al riguardo da Tombari, Principi, cit., pp. 1114 ss. 48 Analogamente, G. Ferri jr., Insolvenza e crisi dell’impresa organizzata in forma societaria, in Riv. dir. comm., 2011, pp. 433 ss.; Maugeri, Sul regime, cit., pp. 834 ss.; Abriani, Finanziamenti, cit., p. 355; Briolini, Questioni irrisolte i tema di piani di risanamento e di accordi di ristrutturazione dei debiti. Appunti sugli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. e sull’art. 182-quater l. fall., in Banca, borsa, tit. cred., 2012, p. 535.
441
Saggi
re l’insolvenza o il rischio di insolvenza provocati o aggravati dalla restituzione di finanziamenti essenziali per l’equilibrio economico-finanziario dell’impresa. Ora, nel caso nella “nuova finanza” erogata a supporto di piani di risanamento, tale ratio non ricorre: il rimborso di tali crediti non è idoneo, cioè, a provocare o ad aggravare l’insolvenza o il rischio di insolvenza pur oggettivamente sussistenti. Infatti, i finanziamenti in questione sono successivi al verificarsi di tali stati e, soprattutto, servono a consentirne il superamento nell’interesse dell’intero ceto creditorio 49. Ed è appena il caso di rilevare che in tanto ci si può realisticamente attendere che tali finanziamenti vengano effettuati in quanto ne sia poi consentito il rimborso (in coerenza con il piano di risanamento) 50. Va poi osservato che la protezione dei crediti in questione dalla disciplina della postergazione legale nella fattispecie dei finanziamenti dei soci o infragruppo si giustifica non tanto in funzione della formale posizione partecipativa del finanziatore (che, infatti, può mancare nel finanziamento infragruppo 51), quanto piuttosto alla luce della meritevolezza dell’apporto di «nuova finanza» strumentale ad un piano di risanamento effettuato da chi eserciti il controllo sulla società. Circostanza che, ovviamente, sussiste anche nel caso del finanziamento erogato dal controlling creditor che eserciti l’attività di eterodirezione.
4. Problemi applicativi. Passando a precisare le conseguenze applicative di tale equiparazione, giova anzitutto sottolineare, sul piano della fattispecie, che il beneficio in esame presuppone la funzionalità del finanziamento ad un piano di risanamento: solo in tali casi, infatti, viene meno l’esigenza di tutela
49
Cfr., gli AA. citt. supra, nt. prec. Marchisio, I “finanziamenti anomali” tra postergazione e prededuzione, in Riv. not., 2012, I, pp. 1295 ss. 51 Nonostante il testuale riferimento dell’art. 182-quater, comma 3, l. fall. ai soli finanziamenti dei soci, l’orientamento quasi unanime è nel senso di estendere il privilegio (in via di interpretazione estensiva o di analogia legis o juris) al finanziamento infragruppo proveniente dal non socio: così, Stanghellini, Finanziamenti-ponte e finanziamenti alla ristrutturazione, in Fallimento, 2010, p. 1364; Abriani, Finanziamenti, cit., pp. 357 ss.; Tombari La prededucibilità dei finanziamenti soci e infragruppo dopo il decreto sviluppo, in www.cesifin.it, p. 6; Id., Principi, 1114 ss.; contra, Ambrosini, Accordi di ristrutturazione dei debiti e finanziamenti alle imprese in crisi. Dalla “miniriforma” del 2005 alla l. 7 agosto 20012, n. 134, Bologna, 2012, p. 154. 50
442
Paolo Cuomo
dei creditori sottesa alla postergazione. Affinché tale protezione non si presti ad abusi è peraltro indispensabile subordinare l’applicazione del Sanierungsprivileg al duplice presupposto della obiettiva risanabilità dell’impresa e della idoneità del finanziamento a far conseguire al piano di risanamento il suo obiettivo. Conferme in tal senso si traggono non solo dal diritto comparato 52, ma anche dal fatto che la deroga alla postergazione sia espressamente prevista in relazione ai finanziamenti legati a concordati o ad accordi omologati, vale a dire a contesti nei quali operano cautele procedimentali volte ad accertare la serietà del tentativo di risanamento. Tale requisito esprime senz’altro un presupposto del Sanierungsprivileg generalizzabile alla casistica qui in esame, giacché i pericoli posti dall’esonero da postergazione dei crediti del finanziatore/ imprenditore non sono minori rispetto a quelli legati al privilegio dei crediti del socio o della capogruppo. Tale nesso funzionale, peraltro, non deve intendersi nell’accezione “forte” secondo cui solo i finanziamenti attuativi di piani di risanamento già perfezionati godrebbero del privilegio: anche i finanziamenti effettuati nelle more della formazione di un possibile piano di risanamento ricadono nella disciplina in esame. Diversamente, infatti, l’incentivo all’impegno del finanziatore nel salvataggio dell’impresa vedrebbe ridotta la sua portata in misura eccessiva, considerata l’importanza e la particolare delicatezza dei finanziamenti-ponte. Che il sistema si orienti in tal senso è del resto indicato dalla evoluzione della disciplina dei finanziamenti soci che, se inizialmente circoscriveva il privilegio ai soli finanziamenti effettuati in esecuzione del piano, copre oggi anche i finanziamenti-ponte (art. 182-quater, co. 3, prima parte, l.fall.). Nonostante le contrarie interpretazioni proposte in dottrina 53, è da ritenere che tale soluzione non sia in contraddizione con i principi della postergazione legale (perlomeno ove la si intenda come sanzione contro gli abusi di eterodirezione nel finanziamento, visto come fenomeno in sé meritevole). Infatti, i finanziamenti interinali, pur esponendo i terzi a rischi superiori a quelli legati ai finanziamenti attuativi di un piano di risanamento già perfezionato, non sono certo meno meritevoli da un punto di vista imprenditoriale (a prescindere dalla loro provenienza
52
V., in luogo di molti, Lutter u. Hommelhoff §§ 32 a/b, cit., Rdn. 84, p. 542; cfr., peraltro, i rilievi critici di Schmidt, §§ 32 a, b, cit., Rdn. 217, p. 1727. 53 Contrari alla estensione del Sanierungsprivileg ai finanziamenti-ponte, Briolini, Questioni, cit., p. 535; Maugeri, Sul regime, cit., pp. 834 ss.
443
Saggi
soggettiva) nella misura in cui impediscono che, nel periodo di tempo (normalmente non breve) necessario per la preparazione di un piano di risanamento, l’impresa collassi per carenza di liquidità, rendendo di fatto inattuabile (o molto più costoso) il piano predisposto 54. Soddisfatti tali requisiti oggettivi, il finanziamento potrà beneficiare del regime di favore a prescindere dal fatto se provenga da un creditore che inizi ad esercitare l’eterodirezione contestualmente all’erogazione del finanziamento oppure da un creditore che abbia già esercitato il controllo sull’impresa in crisi in precedenza. Nonostante la contraria soluzione (che parte degli interpreti ritiene) adottata dal diritto tedesco 55, occorre tenere presente che la partecipazione alla gestione dell’impresa nel periodo precedente il manifestarsi della crisi, o comunque il suo aggravarsi al punto da rendere necessaria l’erogazione della “nuova finanza”, non è prova univoca di una responsabilità del creditore nella causazione o nell’aggravamento del dissesto; assunto che emerge nel nostro diritto positivo là dove si prevede l’estensione della protezione anche per i finanziamenti dei soci o infragruppo. Né vi è motivo per escludere il creditore che eserciti l’eterodirezione contrattuale da tale beneficio: in particolare, un atteggiamento «garantista» nei soli riguardi dei soci o della capogruppo non potrebbe giustificarsi alla luce di una ipotetica maggiore consapevolezza del finanziatore istituzionale nelle questioni legate alla prevenzione del rischio di insolvenza, in effetti difficilmente sostenibile rispetto ai contesti macro-imprenditoriali nei quali tipicamente si manifesta il “controllo societario da credito”. Sotto altro profilo, è da ritenere che il regime di privilegio varrà, con i dovuti adattamenti, anche per i crediti rivenienti da apporti effettuati nel contesto di tentativi di soluzione della crisi posti in essere nelle for-
54 L’esonero da postergazione legale deve riconoscersi rispetto ai finanziamentiponte concessi contestualmente alla presentazione della domanda di ammissione al concordato (anche in bianco) o di omologazione dell’accordo o di proposta di accordo (art. 182-quinquies, commi 1, 2 e 3, l. fall.), i quali hanno il vantaggio di poter essere protetti dal provvedimento del giudice a prescindere dal successivo esito della procedura (cfr., Tombari, La prededucibilità, cit., p. 8; Id., Principi, cit., 1114 ss.; contra, Briolini, Questioni, cit., p. 535). Nonostante il silenzio serbato dal legislatore con riferimento agli stessi finanziamenti soci o infragruppo, è da ritenere che anche tali crediti godano del favor previsto per tutti gli altri tipi di finanziamento dei soggetti che esercitino l’eterodirezione, per le ragioni esposte nel testo; e ciò quand’anche provengano dal creditore che eserciti l’eterodirezione contrattuale. 55 V. supra, n. 3.
444
Paolo Cuomo
me dei piani “attestati” 56 oppure delle soluzioni stragiudiziali atipiche. In particolare, mentre non si potrà estendere a tali crediti la qualifica di prededucibili, non sembrano esservi ostacoli alla estensione dell’esonero dalla postergazione legale. Sebbene la dottrina italiana sia divisa sul punto 57, spunti in tal senso si ricavano dall’esperienza tedesca, dove il Sanierungsprivileg opera anche rispetto ai salvataggi stragiudiziali. Del resto, a differenza della prededucibilità, la piena rimborsabilità del credito non deriva dall’imprimatur giudiziale, bensì dalla stessa disciplina sostanziale della postergazione. Infatti, secondo la ricostruzione qui proposta, tale esonero discende da una riduzione teleologica della disciplina societaria per gli apporti di “nuova finanza” finalizzati alla preparazione o alla attuazione di piani di risanamento seri. Sul piano della disciplina, l’esonero da postergazione riguarda solo il credito derivante dalla “nuova finanza”, e non tutti i crediti facenti capo al soggetto che eserciti l’eterodirezione. Infatti, i rimborsi relativi a crediti pregressi non possono presumersi nell’interesse del ceto creditorio, poiché tornano a vantaggio esclusivo del creditore/imprenditore, rappresentando il contesto tipico nel quale si pongono i problemi di prevenzione del rischio di insolvenza presidiati dalla disciplina della postergazione legale. Nella misura in cui beneficia del Sanierungsprivileg, il credito del finanziatore sarà liberamente rimborsabile 58 e ciò quand’anche sussista un oggettivo rischio di insolvenza, o addirittura un vero e proprio stato di insolvenza. Il rimborso sarà inoltre protetto anche in caso di insuccesso del risanamento: in particolare, in caso di fallimento i rimborsi effet-
56
Analogamente, per i finanziamenti attuativi del piano “attestato”, Maugeri, Sul regime, cit., p. 836, nt. 99; Balp, Commento all’art. 2467 c.c., in Società a responsabilità limitata, a cura di Bianchi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2008, pp. 297 s.; contra, M. Campobasso, La postergazione dei finanziamenti dei soci, in S.r.l. Commentario. Dedicato a Giuseppe B. Portale, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011, p. 250; Briolini, Questioni, cit., p. 540. 57 V., supra, nt. prec. 58 Tale diritto di rimborso coprirà il credito nella misura del 100%. Nonostante la legge riferisca testualmente la deroga agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. all’80% del credito, è da ritenere che tale riduzione del beneficio valga solo in ordine al profilo della prededuzione, non anche rispetto a quello dell’esonero da postergazione. Contrariamente all’aspetto della prededuzione, infatti, l’esonero da postergazione non discende dalla norma fallimentare, bensì da una riduzione teleologica della stessa norma di diritto societario generale (cfr., Maugeri, Sul regime, cit., p. 840; M. Campobasso, La postergazione, cit., p. 250).
445
Saggi
tuati in precedenza non saranno ripetibili e l’eventuale credito residuo potrà insinuarsi al passivo come credito non postergato 59. Paolo Cuomo
59
In proposito, si può porre il problema se il Sanierungsprivileg presupponga che, in caso di insuccesso del piano di risanamento, il creditore/imprenditore revochi tempestivamente il finanziamento nel momento esatto in cui tale insuccesso si verifica. Ciò al fine di evitare che, sotto l’usbergo della esenzione da postergazione legale, possano trovare spazio pratiche di finanziamento abusivo di imprese in crisi irreversibile. Il problema è stato affrontato in Germania, dove l’orientamento dominante è di segno negativo. In tal senso – con argomenti condivisibili anche per il nostro sistema – si è rilevato che un simile onere per il principale creditore farebbe venire meno il valore segnaletico del suo coinvolgimento nel risanamento per i terzi e, quindi, una delle funzioni del Sanierungsprivileg. Del resto, si è notato che l’esigenza di contrastare eventuali concessioni abusive di credito è adeguatamente soddisfatta sia dall’interesse del creditore di controllo ad attivarsi affinchè il piano di risanamento venga efficacemente implementato, sia dalla responsabilità gestoria per ritardo nella richiesta di apertura della procedura d’insolvenza (v., in particolare, Lutter u. Hommelhoff, §§ 32 a/b, cit., Rdn. 88, p. 543).
446
Le recenti modifiche alla disciplina di vigilanza in materia di partecipazioni detenibili dalle banche e dai gruppi bancari: un passo indietro nel processo di liberalizzazione delle regole* Sommario: 1. Premessa. – 2. Le disposizioni di vigilanza sulle partecipazioni detenibili dalle banche e dai gruppi bancari. – 2.1. Le nozioni di “partecipazione” e di “partecipazione qualificata”. – 2.2. Il limite generale agli investimenti in partecipazioni ed in immobili. – 2.3 Limiti alle partecipazioni detenibili in imprese non finanziarie. – 2.4. Partecipazioni temporanee. – 2.5. Partecipazioni in banche, in imprese finanziarie, in imprese assicurative ed in imprese strumentali. – 3. Osservazioni conclusive.
1. Premessa. La materia delle partecipazioni delle banche in altre imprese – finanziarie e non finanziarie – è stata oggetto di disciplina comunitaria a partire dalla direttiva n. 89/646/CEE 1. La natura di normativa di “armonizza-
*
Il contributo presenta una versione aggiornata del lavoro dedicato alla pubblicazione negli Atti del Convegno in ricordo di Franco Belli, Siena, 9 e 10 maggio 2013. 1 L’allora vigente disciplina comunitaria, successivamente riprodotta senza sostanziali modificazioni nella direttiva 2006/48/CE (artt. 120-122), lasciava libera l’acquisizione di interessenze in enti creditizi, in enti finanziari ed in enti che esercitano attività rappresentanti un’estensione diretta dell’attività bancaria ovvero attività ausiliarie della stessa, nonché, a discrezione dei singoli Stati membri, in imprese di assicurazione e di riassicurazione. Al contrario, con riferimento alle partecipazioni detenibili da enti creditizi in campo non finanziario (c.d. partecipazioni industriali) si stabiliva un limite globale (60%) – volto al contenimento del rischio di liquidità (c.d. limite complessivo) – ed un limite individuale (15%) – finalizzato alla prevenzione del rischio di concentrazione (c.d. limite di concentrazione) – alla relativa detenzione, assumendo come parametro di riferimento per la determinazione delle soglie partecipative, in entrambi i casi, i fondi propri dell’ente creditizio e la nozione di “partecipazione qualificata”. Non rientravano nell’ambito di applicazione della disciplina una serie di casi di esclusione e di esenzione, di natura obbligatoria o facoltativa; in particolare, si lasciava ai singoli ordinamenti la possibilità di derogare ai limiti suddetti a condizione che le eccedenze rispetto a questi fossero al 100% coperte dai fondi propri dell’ente e che questi fossero esclusi dal calcolo dell’adeguatezza patrimoniale. Nel caso di superamento di entrambi i limiti, complessivo e di concentrazione, l’ammontare da coprire con i fondi doveva essere pari all’eccedenza di importo più elevato. Per un esame della direttiva del 1989 e della sua attuazione nell’ordinamento nazionale, si vedano, ex multis, Santoro, I rapporti di partecipazione tra banca e industria, in Le direttive comunitarie in materia bancaria e l’ordinamento italiano, a cura di Brozzetti e Santoro, Milano, 1990, p. 149 ss.; Brozzetti,
447
Saggi
zione minima” di quest’ultima, tuttavia, consentiva ai legislatori nazionali di fissare regole più severe di quelle europee. E di questa opportunità, vuoi per ragioni storiche vuoi per una visione della gestione bancaria particolarmente cautelativa, ha approfittato anche il nostro legislatore, stabilendo una disciplina prudenziale al riguardo non solo più restrittiva di quella europea con riferimento alle soglie autorizzative ed ai limiti prudenziali volti al contenimento del rischio di concentrazione e del rischio di liquidità ma soprattutto ancorata al principio di separatezza tra il settore bancario ed il settore industriale 2, affatto inesistente nella disciplina comunitaria. Solo di recente, sulla scia dell’orientamento più liberista imposto a livello europeo, il nostro ordinamento non ha potuto che adeguarsi ai tempi; tempi in cui le esigenze di capitalizzazione delle imprese richiedono un ampliamento dei canali di finanziamento realizzabile anche attraverso apporti di capitale in forma partecipativa.
Linee evolutive della disciplina delle partecipazioni degli enti creditizi e negli enti creditizi (con particolare riferimento al rapporto banca-industria), in Prospettive di evoluzione del mercato finanziario, a cura del Banco di Roma, Roma, 1992; Antonucci, Le partecipazioni degli enti creditizi, in Banca, impresa, soc., 1992, p. 264 ss.; Loffredo, Le partecipazioni societarie delle banche: profili sistematici, in Riv. dir. civ., 1992, I, p. 65 ss.; Belli, Direttive CEE e riforma del credito. Il Decreto n. 481/92: prime riflessioni e materiali, Milano, 1993, p. 42 ss.; Lucarini Ortolani, Banche e partecipazioni, Milano, 1994; Campobasso, Le partecipazioni delle banche e dei gruppi bancari, in Banca, borsa, tit. cred., 3, 1995, p. 281 ss.; Troiano, Partecipazioni qualificate al di fuori del campo finanziario, in Diritto bancario comunitario, a cura di Alpa e Capriglione, Torino, 2002, p.305 ss.; Salerno, Vigilanza regolamentare, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli ed altri, vol. I, Bologna, 2003, 776 ss.; Brescia Morra - Morera, L’impresa bancaria: L’organizzazione e il contratto, Napoli, 2006, p. 278 ss.; Albamonte - Basso - Capone - Marangoni, La vigilanza regolamentare, in Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di Galanti, Padova, 2008, 551 ss.; Brescia Morra, La disciplina dei controlli pubblici sulla finanza, in L’ordinamento finanziario italiano2, a cura di Capriglione, Padova, 2010, p. 328 ss.; Costi, L’ordinamento bancario5, Bologna, 2012, p. 618 ss.; Antonucci, Diritto delle banche5, Milano, 2012, p. 267 ss. 2 Cfr. Costi, L’ordinamento, cit., p. 621. Sul principio di separatezza tra impresa bancaria ed impresa industriale si vedano, ex multis: Pellegrini, La separatezza banca-industria, in L’ordinamento finanziario italiano1, a cura di Capriglione, tomo II, Bologna, 2005, p. 425 ss.; Pepe, Riflessioni e confronti in tema di separatezza tra banca e industria, in Banca d’Italia, Temi di discussione del Servizio Studi, Roma, 1986, n. 76; Boggio, La partecipazione delle banche nelle imprese industriali: il tramonto del principio di separatezza, in Banca, borsa, tit. cred., 1, 2001, p. 30 ss.; Lucarini Ortolani, La separatezza fra industria e banca: il punto di vista di un giurista, in AGE, 1, 2004, p. 63 ss.
448
Maria Elena Salerno
Il presente contributo si propone di evidenziare come, non ostante l’evidente liberalizzazione che caratterizza la nuova disciplina nazionale in materia, questa – a prescindere dalla sua conformità all’ordinamento europeo – risulti ancora per certi aspetti, sebbene significativamente ridotti rispetto al passato, più stringente di quest’ultimo; anche se ciò, quantomeno con riferimento specifico alla potenziale commistione tra attività bancaria ed attività industriale, non è detto che si traduca necessariamente in uno svantaggio, permanendo la necessità di assicurare, attraverso la separazione dei ruoli tra due settori, la prevenzione dei conflitti di interesse ed un’efficiente allocazione del credito 3. Anzi, possiamo dire di più: il tendenziale rigore dell’organo di vigilanza nostrano in materia esce ulteriormente rinvigorito in seguito alle modifiche apportate di recente alla disciplina delle partecipazioni detenibili (cfr. Circ. Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 e 2° Aggiornamento del 21 maggio 2014) volte allineare la normativa nazionale alle prescrizioni contenute nel Regolamento UE n. 575/2013 relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (CRR) e nella Direttiva 2013/36 del 26 giugno 2013 sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (CRD IV) 4. Il Regolamento, come specificato nel considerando n. 13, si occupa di acquisizione e detenzione di partecipazioni sia nel settore finanziario che in quello non finanziario esclusivamente a fini relativi ai requisiti prudenziali, richiedendo esclusivamente alle autorità competenti o agli Stati membri l’imposizione di norme nazionali, purché queste siano coerenti con il medesimo regolamento. E quest’ultimo (artt. 89-91), modificando in maniera significativa la precedente disciplina comunitaria, con riferimento alla materia di nostro interesse ed ai fini del calcolo del requisito patrimoniale, da una parte conferma i limiti prudenziali del 15% e del 60% del capitale ammissibile della banca rispettivamente per la singola partecipazione qualificata e per l’importo totale delle
3
Sul conflitto di interesse nelle banche v. Enriques, La disciplina del conflitto d’interessi degli amministratori di S.p.a.: novità e raccordo con le disposizioni in tema di obbligazioni degli esponenti aziendali di banche, in Dir. banc., 2004, p. 423; Enriques, Il conflitto d’interesse nella gestione delle banche, in Il governo delle banche in Italia, a cura di Riolo e Masciandaro, Roma-Milano, 1999, p. 335 ss.; Cassella, Il conflitto di interesse nell’attività bancaria, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, p. 793. 4 Si tratta del nuovo pacchetto legislativo noto come “CRD IV”. Il pacchetto, entrato in vigore dal 1° gennaio del 2014, include sia il Regolamento CRR sia la direttiva CRD IV.
449
Saggi
partecipazioni qualificate nonché la possibilità di un superamento dei medesimi a condizioni analoghe alle precedenti (ai fini del calcolo del requisito patrimoniale, applicazione agli importi eccedenti di un coefficiente di ponderazione del rischio pari al 1250% ovvero detrazione delle medesime eccedenze dagli elementi del capitale primario di classe 1 5), ma dall’altra consente alle autorità competenti sempre a fini prudenziali di optare per la scelta più rigorosa di proibire in assoluto alle banche di detenere le partecipazioni qualificate in campo non finanziario (i.e. in enti diversi da soggetti del settore finanziario ovvero che, pur non essendo finanziari, svolgano un’attività che sia estensione diretta o ausiliaria all’attività bancaria ovvero un’attività di leasing, factoring, gestione dei fondi comuni d’investimento, gestione di servizi informatici o attività analoghe sulla base di criteri fissati dall’EBA) per un importo superiore alle percentuali di capitale ammissibile di cui sopra. E la Banca d’Italia, che nelle disposizioni del 2011 aveva assunto un atteggiamento più liberista consentendo il superamento delle soglie prudenziali a condizioni analoghe a quelle previste dalla precedente normativa comunitaria, nella Circolare del 2013 ritorna sui suoi passi specificando a chiare lettere che i limiti prudenziali alla detenzione di partecipazioni qualificate in campo non finanziario hanno carattere inderogabile (cfr. Parte III, Tit. V, Cap. 4, sez. I, par. 1 e sez. III, par. 1). Data la finalità del lavoro, nell’ambito della normativa contenuta nella delibera del Cicr n. 276 del 28 luglio 2008 e nella conforme disciplina in tema di partecipazioni detenibili dalle banche e dai gruppi bancari introdotta dalla Banca d’Italia il 12 dicembre 2011 (con l’inserimento, del Tit. V - Cap. 4 nelle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale 6) ed oggi contenuta con le successive modificazioni nella Parte III, Tit. V, Cap. 4, delle Disposizioni di vigilanza per le banche (Circ. n. 285 del 17 dicembre 2013 7), ci soffermeremo principalmente sull’esame delle nor-
5 Il che è come dire che a fronte dell’eccedenza delle partecipazioni qualificate le banche debbano detenere un requisito patrimoniale pari all’8% ovvero che tale eccedenza debba essere coperta al 100% con capitale primario di classe 1. 6 Queste sono contenute nella Circolare della Banca d’Italia n. 263 del 27 dicembre 2006, che recepisce le direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE ed il documento del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione (cd. “Basilea II”). 7 Si tratta della Circolare della Banca d’Italia che raccoglie e riordina in un unico fascicolo intitolato Disposizioni di vigilanza per le banche le disposizioni contenute in
450
Maria Elena Salerno
me strumentali alla medesima, anche se l’impostazione più intransigente dell’organo di vigilanza nostrano si rinviene all’interno della disciplina nel suo insieme. Al fine di conformare il più possibile la normativa nazionale al disposto comunitario, il provvedimento del Cicr del 2008 impone alla Banca d’Italia di regolare la materia: per ciò che concerne l’acquisizione di partecipazioni finanziarie, semplificando ed alleggerendo la procedura delle autorizzazioni 8; in tema di detenzione di partecipazioni non finanziarie, allineando la disciplina interna alla normativa europea 9. In aggiunta, però, il Comitato richiede, da una parte, di tener conto, nel determinare l’ambito di applicazione della disciplina, dell’evoluzione sia del contesto normativo in cui si muovono le banche sia dell’ampliamento dell’operatività di queste ultime e, dall’altra e soprattutto, data l’assenza di un’analoga previsione nella disciplina comunitaria di riferimento, attribuisce alla Banca d’Italia la facoltà di fissare un limite generale agli investimenti in immobili e partecipazioni in rapporto al patrimonio di vigilanza nonché di dettare particolari regole per le banche di credito cooperativo e le banche di garanzia collettiva dei fidi, in considerazione delle relative finalità mutualistiche e peculiarità operative.
una molteplicità di sedi, fra cui in particolare la Circ. n. 263 del 27 dicembre 2006 Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, la Circ. n. 229 del 21 aprile 1999 Istruzioni di Vigilanza per le banche, altre disposizioni rilevanti non incorporate in Circolari. 8 Le soglie autorizzative dovranno limitarsi alle sole ipotesi in cui l’entità dell’acquisizione potrebbe avere un impatto rilevante sul patrimonio dell’acquirente ovvero ai casi in cui l’acquisizione comporti il controllo o l’influenza notevole su soggetti insediati in Paesi extra Unione europea, qualora i relativi ordinamenti e sistemi di vigilanza ostacolino l’esercizio della vigilanza su base consolidata; arrivando a prospettare la possibilità di diniego dell’autorizzazione nei casi in cui siffatti ordinamenti e sistemi non siano equivalenti a quelli europei ovvero non si rispetti la condizione di reciprocità. 9 Secondo le indicazioni del Cicr, la maggiore libertà lasciata alle banche in quest’area deve essere accompagnata da disposizioni dell’organo di vigilanza finalizzate, da una parte, alla prevenzione dei conflitti di interesse insiti in questa particolare tipologia di investimento attraverso la predisposizione di adeguati presidi organizzativi e di governance e, dall’altra, alla previsione di cautele procedurali da seguire nel caso di acquisizione di interessenze in imprese in stato di difficoltà.
451
Saggi
2. Le disposizioni di vigilanza sulle partecipazioni detenibili dalle banche e dai gruppi bancari. Sebbene con un anno di ritardo rispetto alla deliberazione del Cicr, la Banca d’Italia nel dicembre 2009 avvia la consultazione per la nuova disciplina in materia di interessenze delle banche e dei gruppi bancari in altre imprese10, accompagnata da una relazione illustrativa e da una relazione preliminare sull’analisi (costi-benefici) d’impatto delle ipotesi regolamentari prospettate. Sulla base del resoconto della consultazione, le nuove disposizioni di vigilanza vengono definitivamente emanate nel dicembre 2011. L’impostazione più restrittiva della disciplina nazionale rispetto a quella comunitaria si rinviene in modo evidente in una serie di norme che attengono sostanzialmente ai seguenti profili: le nozioni di partecipazione e di partecipazione qualificata, la presenza del limite generale agli investimenti in immobili e partecipazioni, le soglie autorizzative a fronte degli investimenti partecipativi in campo finanziario ed i limiti prudenziali per l’acquisizione di interessenze di natura non finanziaria, le partecipazioni temporanee. La nostra analisi risulterà limitata, pertanto, alle menzionate aree di intervento regolamentare, mentre non ci occuperemo della disciplina in tema di: investimenti indiretti in equity, finalizzata ad evitare trattamenti discriminatori tra acquisizioni di partecipazioni in imprese non finanziarie a seconda che il relativo investimento avvenga direttamente ovvero per il tramite di soggetti interposti tra la banca e l’impresa oggetto dell’investimento finale; regole organizzative e di governo societario, diretta alla definizione dei presidi di carattere organizzativo e di governance che le banche dovranno adottare al fine di prevenire e gestire correttamente i potenziali conflitti d’interesse tra l’attività d’investimento in partecipazioni in imprese non finanziarie e la rimanente attività bancaria, segnatamente creditizia; banche di credito cooperativo e banche di garanzia collettiva, con la previsione in materia di vincoli più stringenti rispetto alle banche società per azioni ed alle banche popolari in ragione della loro matrice mutualistica11.
10
L’allora vigente disciplina secondaria della materia era costituita dal decreto del Ministro del tesoro, Presidente del CICR, n. 242632 del 22 giugno 1993 e dalle relative istruzioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia con Circolare n. 229 del 21 aprile 1999. 11 Per un esame della disciplina esclusa dal presente lavoro, mi si consenta di rinviare al mio Salerno, Il rapporto banca-industria nella nuova disciplina di vigilanza in
452
Maria Elena Salerno
2.1. Le nozioni di “partecipazione” e di “partecipazione qualificata”. Nell’ambito delle disposizioni di carattere generale concernenti le finalità, l’ambito di applicazione ed i destinatari della disciplina, sembra opportuno, dato l’obiettivo del lavoro, soffermarsi sulle nozioni di “partecipazione” e di “partecipazione qualificata”, assunte a base della disciplina de qua. Con riguardo alla prima, il documento di consultazione proponeva la scelta tra due soluzioni, entrambe compatibili con il quadro comunitario di riferimento. L’alternativa era tra una definizione di “partecipazione” basata sull’esistenza di un legame durevole tra impresa creditizia partecipante ed impresa partecipata derivante dal possesso di azioni o quote della prima nel capitale della seconda e destinata «a sviluppare l’attività del partecipante» ed una definizione, per così dire in negativo, basata sic et sempliciter su criteri di composizione del portafoglio e sulla temporaneità del possesso, in quanto costituita dall’insieme delle azioni o quote possedute nel capitale di un’altra impresa escluso dal portafoglio di negoziazione (c.d. banking book contenente cioè le transazioni bancarie a medio e lungo termine, in contrapposizione al trading book che include le transazioni a breve). Seguendo la preferenza espressa dalla Banca d’Italia e nei commenti ricevuti dalle parti coinvolte, il documento definitivo opta per la prima alternativa che, come è noto, riprende quanto previsto sul punto dalla quarta direttiva sui conti annuali delle società (la n. 78/660/CEE) 12. Alla base di tale scelta l’organo di vigilanza adduce una serie di giustificazioni, quali: la sua continuità con la normativa previgente, la maggiore coerenza con le finalità della disciplina diretta a ridurre il rischio di un eccessivo immobilizzo dell’attivo, il maggiore allineamento alle definizioni di partecipazione adottate ad altri fini nella disciplina prudenziale, segnatamente in quella per il calcolo del patrimonio di vigilanza. Non ostante la tendenziale condivisibilità di tale decisione, non c’è dubbio che la seconda definizione avrebbe lasciato minori margini di incertezza, includendo nella nozione di partecipazione tutti quei titoli
materia di partecipazioni detenibili dalle banche e dai gruppi bancari, in Ianus, 2013, n. 9, p. 294 ss 12 Ai sensi della normativa di vigilanza rientrano nella nozione di partecipazione le azioni e le quote che realizzano una situazione di legame durevole con la partecipata e sono destinate a sviluppare l’attività del partecipante, con la precisazione che il legame durevole sussiste in tutti i casi di controllo e di influenza notevole e che quest’ultima si presume quando la partecipazione sia pari o superiore al 20% del capitale o dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria.
453
Saggi
che, indipendentemente dalla realizzazione di una situazione di «legame durevole con la partecipata destinata a sviluppare l’attività del partecipante», si caratterizzino in virtù di un elemento oggettivo: la temporaneità del relativo possesso. Senza contare che il significato di “temporaneità” avrebbe trovato una specificazione implicita nelle stesse disposizioni in materia, là dove tra i casi inquadrabili nella nozione di partecipazione, a titolo esemplificativo, si fa riferimento a quelli caratterizzati da «un prolungato periodo di possesso dell’interessenza» fissato oltre i 12 mesi, con la conseguenza che la detenzione per periodo inferiore a questa soglia temporale avrebbe comportato l’inquadramento oggettivo dei titoli nel c.d. trading book e la speculare riduzione dello spazio di discrezionalità lasciato alle autorità di vigilanza nella relativa classificazione. Al contrario, l’assenza di oggettività nella valutazione degli strumenti finanziari legata all’uso del concetto di “legame durevole” ai fini della determinazione della nozione di partecipazione implica un significativo ampliamento della discrezionalità dell’organo di vigilanza. Non solo; ma, mancando attualmente una fattispecie armonizzata a livello comunitario di “legame durevole”, le singole autorità degli Stati membri potranno riempire la stessa di contenuti diversi, più o meno restrittivi, in relazione alle proprie esigenze e finalità; circostanza quest’ultima potenzialmente idonea a creare aree per possibili arbitraggi tra ordinamenti. Consapevole di ciò, la Banca d’Italia, come specifica nella relazione illustrativa, con riguardo all’espressione “legame durevole”, si allinea agli orientamenti interpretativi emersi nelle sedi comunitarie di armonizzazione delle regole di vigilanza 13, che inquadrano nella stessa non solo tutte le ipotesi di controllo e di “influenza notevole” ma un’ampia casistica caratterizzata da stabili relazioni strategiche, operative, organizzative e finanziarie, tra cui le ipotesi indicate a titolo esemplificativo nel documento in esame (i.e. esistenza di accordi, convenzioni, impegni ed altri legami commerciali nonché prolungamento dell’interessenza oltre i 12 mesi tra la banca partecipante ed il soggetto partecipato che consentono di sviluppare attività comuni). Ciò non toglie che altre fattispecie potranno, di volta in volta ed indipendentemente dalla durata della detenzione, essere inquadrate nella categoria dei “rapporti stabili” che l’organo di vigilanza ritenga, a propria
13
Cfr. Interim Working Committee on Financial Conglomerates (IWCFC), Recommendations to address the consequences of the differences in sectoral rules on the calculation of own funds of financial conglomerates, aprile 2008; Joint Committee on Financial Conglomerates ( JCFC), The review of the Financial Conglomerates Directive, maggio 2009.
454
Maria Elena Salerno
discrezione, rientranti nella definizione di “partecipazione” rilevante ai fini della disciplina in esame, rendendo quest’ultima potenzialmente più stringente. E quando si pensi che della nozione di partecipazione tout court si tiene conto ai fini del calcolo del limite generale si comprende bene come la stessa possa divenire di fatto uno strumento nelle mani dell’organo di vigilanza per limitare l’ampliamento dell’operatività delle banche realizzato attraverso l’acquisizione di partecipazioni finanziarie nonché per preservare di fatto, relativamente alle interessenze non finanziarie, se non il limite di separatezza tra banca ed industria, quantomeno la separatezza tra gestione bancaria e gestione industriale quale strumento per prevenire eventuali conflitti di interesse tra attività partecipativa ed attività creditizia. In aggiunta, dando attuazione alle linee guida del Cicr riguardo alla necessità di estendere la normativa alle forme innovative di investimento finanziario che comportano i medesimi effetti degli investimenti di natura partecipativa, la disciplina di vigilanza indica una serie di titoli finanziari inquadrabili nella nozione di partecipazione, contribuendo a definire l’ambito oggettivo di applicazione della stessa. Innanzitutto, si specifica che la partecipazione si realizza attraverso il possesso non solo di azioni o quote ma anche degli strumenti finanziari c.d. “partecipativi” introdotti dalla riforma del diritto societario, purché gli stessi si caratterizzino, in positivo, in virtù del riconoscimento di diritti patrimoniali, precisamente del diritto di partecipazione agli utili ed alla ripartizione del patrimonio netto di liquidazione o del patrimonio destinato ad uno specifico affare, ed, in negativo, in ragione dell’esclusione dell’obbligo di rimborso che, tenuto conto della disciplina amministrativa della raccolta non bancaria del risparmio (deliberazione Cicr 19 luglio 2005 e relative disposizioni di vigilanza), inquadrerebbe i medesimi tra i titoli di “debito” e non di “partecipazione”. In tal modo vengono inseriti nella nozione di partecipazione non solo gli strumenti finanziari che attribuiscano al detentore in maniera esplicita diritti amministrativi come richiesto dal tub (dall’art. 1, co. 2, lett. h-quater, del tub, che trova applicazione con riferimento al regime delle partecipazioni “a monte”), ma anche quelli che, pur non riconoscendo diritti amministrativi, attribuiscano esclusivamente diritti patrimoniali. In caso contrario, questi ultimi, stando alla lettera della legge, sarebbero stati esclusi dalla nozione in esame e, quindi, dall’applicazione delle regole in materia di partecipazioni detenibili, compromettendone significativamente il perseguimento delle finalità 14.
14
La ratio delle due diverse nozioni di “partecipazione” nella disciplina delle
455
Saggi
Gli altri casi di inquadramento nella categoria delle “partecipazioni” si giustificano sulla base del criterio della presenza di un legame durevole tra partecipata e partecipante: trattasi degli impegni – intesi, in linea con lo IAS 28, in termini di mera “facoltà” e non necessariamente di “obbligo incondizionato” (come invece richiesto da alcuni rispondenti alla consultazione) – di acquisto a termine di natura irrevocabile (put options, opzioni call, warrant azionari, obbligazioni convertibili, equity swaps) che, se esercitati, consentirebbero di svolgere il controllo o un’influenza notevole sulla partecipata (c.d. diritti di voto potenziali). Specularmente, sulla base del medesimo criterio, non rientrano nella fattispecie de qua tutti gli strumenti finanziari citati il cui possesso da parte della banca sia a carattere temporaneo. La nozione di “partecipazione qualificata” ricalca in parte il testo della direttiva. Conforme al dettato comunitario è la sua definizione in positivo individuata nel «possesso, diretto o indiretto15, di azioni o quote pari o superiori al 10 per cento del capitale sociale o dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria o altro organo equivalente di un’impresa oppure che comporta il controllo 16 o la possibilità di esercitare un’influenza notevole 17 sulla gestione dell’impresa stessa». Non perfettamente coincidente con la normativa europea è, invece, ciò che si esclude dal relativo calcolo, che il CRR (art. 91, par. 2) individua nelle azioni o quote detenute in via temporanea [… e ] non aventi il carattere d’immobilizzi finanziari (ai sen-
partecipazioni “a monte” ed in quella delle partecipazioni “a valle” è rinvenibile nelle differenti finalità delle due normative: quella delle partecipazioni nelle banche, che ha come punto di riferimento la banca partecipata ed è volta a dare trasparenza agli assetti proprietari, al fine di prevenire il rischio di conflitti di interesse derivante da un’eccessiva ingerenza del partecipante nella gestione della partecipata; ingerenza possibile solamente se alla partecipazione è connesso l’esercizio di diritti amministrativi; quella delle partecipazioni detenibili ha come punto di riferimento la banca partecipante ed è diretta, oltre che a gestire i potenziali conflitti di interesse derivanti da rapporti partecipativi, a contenere il rischio di un eccessivo immobilizzo dell’attivo ed il rischio di concentrazione; rischi che possono emergere qualunque natura assumano i diritti connessi alla partecipazione. Per approfondimenti sul punto, si rinvia a Salerno, Il rapporto, cit., p. 275 ss. 15 La definizione di “partecipazione indiretta” di cui al documento in esame prende a base quella contenuta nell’art. 22 del t.u.b. 16 La definizione di “controllo” fa riferimento alle fattispecie individuate dall’art. 23 del t.u.b. 17 La definizione di “influenza notevole” fa riferimento alla nozione valida a fini di bilancio, come individuata nel principio contabile internazionale IAS 28 relativo al trattamento di bilancio degli investimenti in società collegate (investments in affiliates).
456
Maria Elena Salerno
si della direttiva 86/635/CEE, relativa ai conti annuali e consolidati delle banche, in base alla quale financial fixed assets sono, nel caso degli enti creditizi, participating interests, shares in affiliated undertakings and securities intended for use on a continuing basis in the normal course of an undertaking’s activities), senza l’imposizione di alcun limite a tali esclusioni. Le disposizioni nostrane, invece, non includono nel computo della partecipazione qualificata le interessenze rientranti nel portafoglio di negoziazione a fini di vigilanza, però, allo stesso tempo, pongono una soglia massima a tale deduzione pari al 2% del capitale della partecipata. Questo significa che le partecipazioni superiori al 2% del capitale della partecipata sono, in ogni caso, indipendentemente dalla temporaneità della relativa acquisizione e dal loro carattere di immobilizzo finanziario, computate ai fini della determinazione della percentuale partecipativa in relazione alla quale vengono fissati i limiti massimi di detenzione per le partecipazioni qualificate in campo non finanziario. In altri termini, questa previsione si traduce senz’altro nell’applicazione di limiti prudenziali più stringenti di quelli previsti dalla normativa europea e potenzialmente nella conservazione di fatto della separatezza tra banca e industria. Se, poi, a ciò si aggiunge la presenza nel nostro ordinamento del limite generale alla detenzione di immobili e partecipazioni mancante nel quadro comunitario di riferimento la nostra conclusione appare tutt’altro che infondata. 2.2. Limite generale agli investimenti in partecipazioni ed in immobili. In linea con l’impostazione consolidata dell’ordinamento bancario e del sistema di vigilanza nazionali, finalizzata ad evitare un eccessivo rischio di immobilizzo dell’attivo, ed in attuazione della facoltà riconosciuta dal Cicr alla Banca d’Italia nella deliberazione del 2008, la nuova disciplina di vigilanza conferma la regola del limite generale agli investimenti in partecipazioni ed in immobili; limite rappresentato dal patrimonio di vigilanza. Alla riformulazione solo letterale della norma, che parametra l’ammontare massimo delle potenziali interessenze al margine disponibile (i.e. alla differenza tra patrimonio di vigilanza ed ammontare degli immobili e delle partecipazioni comunque detenuti), si accompagna una modifica più sostanziale concernente l’applicazione del limite generale nei confronti dei gruppi bancari solamente a livello consolidato e non anche a livello individuale. Quest’ultima previsione trova la propria ratio nella necessità di rendere siffatto onere meno gravoso per le banche italiane, atteso che la regola del limite generale non è presente nel quadro legislativo comunitario.
457
Saggi
La conservazione da parte dell’organo di vigilanza nell’ordinamento nazionale della soglia massima di detenzione deriva dall’analisi costibenefici connessi al suo mantenimento ovvero alla sua rimozione; valutazione effettuata dalla Banca d’Italia sulla base dell’esperienza passata e riportata nella relazione preliminare sull’analisi di impatto della nuova disciplina. In particolare, si evidenzia che i costi derivanti dall’applicazione del limite generale non sono stati particolarmente elevati per il sistema bancario italiano, in quanto, sulla base di dati risalenti al 2007, risulterebbe a disposizione di quest’ultimo un’elevata percentuale di margine disponibile per ulteriori investimenti in immobili e partecipazioni (cfr. p. 7 relazione impatto). Pertanto, la conclusione dell’organo di vigilanza è che una eventuale rimozione del limite generale avrebbe comportato benefici trascurabili sia per le banche sia per le imprese o, quanto meno, questi potenziali benefici non avrebbero uguagliato l’utilità del medesimo ai fini di contenimento dei rischi di trasformazione delle scadenze e di liquidità, soprattutto nella prospettiva di cambiamenti nei modelli di intermediazione potenzialmente idonei a determinare configurazioni dell’attivo eccessivamente rigide. Sotto l’ottica prudenziale il ragionamento della Banca d’Italia appare affatto convincente. Tuttavia, non bisogna trascurare il fatto che lo stesso è emerso dall’analisi di una realtà trascorsa e soprattutto collegata alla precedente normativa in materia. Occorrerà, pertanto, valutare nel prossimo futuro il concreto impatto che la conservazione del limite generale avrà sul sistema. In particolare, bisognerà vagliare se la nuova disciplina sia idonea ad assicurare alle banche un’adeguata percentuale di margine disponibile per un ampliamento degli investimenti partecipativi; percentuale che certamente si ridurrà rispetto al passato sia per il venir meno (quantomeno concettualmente, come tra breve vedremo) del limite di separatezza sia per la modifica nel loro contenuto degli elementi che rientrano nel calcolo del limite generale, ovvero delle nozioni di partecipazioni e di immobili. In particolare, con riferimento alla prima, oltre a quanto già detto, sulla base della disciplina in materia, ai fini del calcolo del limite in esame, vi rientrano altresì le partecipazioni nelle holding “finanziarie” e “non finanziarie” e nei veicoli costituiti sotto forma di società finanziaria e non finanziaria (non si considerano invece le quote di OICR mobiliari). Per ciò che concerne il contenuto della definizione di “immobili” ai fini del calcolo del margine disponibile, si sottolinea che questo, rispetto alla previgente normativa (inclusiva degli immobili di proprietà ed acquisiti in locazione finanziaria, al netto degli acquisiti con i fondi di previdenza del personale e quelli connessi ad operazioni di leasing finanziario), subisce un ampliamento attraverso l’assimilazio-
458
Maria Elena Salerno
ne a questa tipologia di investimento, a scopo anti elusivo, delle quote detenute in fondi immobiliari. Inoltre, vengono inclusi nel calcolo altresì gli immobili detenuti per recupero crediti non direttamente bensì tramite società veicolo (partecipate o non partecipate) la cui attività consista esclusivamente nel possesso di detti immobili e nell’assunzione del debito nei confronti della banca medesima nonché le partecipazioni in imprese in temporanea difficoltà e tutte le partecipazioni acquisite per recupero crediti. Ciò detto, non ci resta che aspettare per vedere se, nel prossimo futuro, le conclusioni della Banca d’Italia in merito all’utilità del limite generale rimangano valide, nell’auspicio che, in caso contrario – ovvero qualora questo dovesse diventare un elemento significativo di svantaggio competitivo dei nostri intermediari rispetto a quelli esteri – si proceda alla sua rimozione o quanto meno ad un suo ampliamento (magari anche solo attraverso l’inclusione nel calcolo del limite generale esclusivamente delle partecipazioni qualificate e non, come ora, di tutte le partecipazioni!), facendo affidamento, ai fini del contenimento di un eccessivo rischio di immobilizzo, onde mantenere la fiducia del pubblico nel sistema bancario, esclusivamente sui limiti prudenziali (complessivo e di concentrazione) di cui alla normativa europea, cui si accompagnano, in ogni caso, nella disciplina nazionale le misure di protezione connesse al sistema delle autorizzazioni previsto per le partecipazioni finanziarie ed ai principi in materia di organizzazione e governo societario. Infine, tornando alla normativa oggi in vigore, con riferimento all’eventuale superamento del limite generale, basti dire solo che le attuali disposizioni di vigilanza innovano rispetto alle precedenti nel senso della semplificazione, eliminando il preventivo nulla-osta della Banca d’Italia relativo al piano di riallineamento predisposto dagli organi competenti della banca. 2.3. Limiti alle partecipazioni detenibili in imprese non finanziarie. Come è noto, le vicende storiche, economiche, sociali ed istituzionali, susseguitesi a partire dagli anni Trenta, hanno fortemente condizionato la formazione del quadro normativo nazionale in materia di rapporti banca-industria; assetto normativo tradizionalmente volto ad evitare un eccessivo intreccio tra i due settori. Con riferimento specifico al tema oggetto di indagine, la normativa di vigilanza vigente fino al dicembre 2011 si inquadrava sì nel processo di adeguamento dell’ordinamento bancario nazionale alla regolamentazione comunitaria allora rappresentata dalla direttiva del 1989, ma,
459
Saggi
allo stesso tempo, essa rispecchiava la delicata fase di transizione che il sistema finanziario italiano stava attraversando per effetto del contestuale processo di privatizzazione delle banche nonché delle altre misure dirette ad eliminare le residue specializzazioni istituzionali, operative e temporali 18. Ecco perché, la precedente disciplina del 1993, da una parte, apriva alle banche maggiori spazi per gli investimenti partecipativi, ma, dall’altra, dettava sotto molteplici profili regole più restrittive di quelle comunitarie per l’acquisizione di partecipazioni sia in campo finanziario sia e soprattutto di natura non finanziaria. Innanzitutto, si prevedeva un regime differenziato in relazione al livello di patrimonializzazione, all’esperienza nel comparto, alla struttura delle scadenze del passivo delle banche partecipanti, distinguendo queste ultime in ordinarie, abilitate (aventi un patrimonio di vigilanza almeno pari a 1 miliardo di euro e un’adeguata esperienza nel comparto) e specializzate (aventi un patrimonio non inferiore a 1 miliardo di euro e una struttura del passivo caratterizzata da una raccolta prevalentemente a medio e lungo termine). In secondo luogo, i limiti prudenziali, complessivo e di concentrazione, stabiliti dalla direttiva in rapporto ai fondi propri dell’ente creditizio, risultavano più bassi. In terzo luogo, si fissava un limite di separatezza tra banca ed industria rapportato al capitale della partecipata non presente nella direttiva. Infine, per la determinazione delle soglie autorizzative e dei limiti di detenzione si faceva riferimento alla nozione di partecipazione tout court e non di partecipazione qualificata come nella normativa comunitaria 19.
18 Sulla disciplina del rapporto banca-impresa precedente al tub si vedano: Porzio, I rapporti banca-impresa nella normativa vigente, in Rass. econ., 1987, p. 917 ss.; Belli, Note a margine della nuova normativa di vigilanza sul rapporto banca industria, in Dir. banc., 1988, I, p. 472 ss.; Antonucci, Merchant banking, Bari, 1989, p. 155 ss. Bianchi, Le partecipazioni bancarie, in Banche e banchieri, 1981, p. 487; Costi, Le partecipazioni delle aziende di credito, in Giur. comm., 1982, I, p. 123 ss. 19 In sintesi, la normativa del 1993 prevedeva tre tipologie di limiti: un limite di complessivo stabilito per il complesso delle partecipazioni in rapporto al patrimonio di vigilanza della banca, pari al 15% per le banche ordinarie, al 50% per quelle abilitate ed al 60% per quelle specializzate (con riferimento a queste ultime si teneva conto delle sole partecipazioni qualificate); un limite individuale o di concentrazione per la singola partecipazione ed in rapporto al patrimonio di vigilanza della banca, pari al 3% per le banche ordinarie, al 6% per quelle abilitate ed al 15% per quelle specializzate (per queste ultime rientravano nel calcolo solo le partecipazioni qualificate); un limite di separatezza per ciascuna partecipazione e rapportato al capitale della partecipata, pari al 15%, con possibilità di superamento, purché sia l’entità della partecipazione sia la somma delle eccedenze partecipative rispetto al limite siano contenute entro una certa
460
Maria Elena Salerno
Questa disciplina, in particolare per ciò che riguarda la conservazione del limite di separatezza, chiaramente, dopo l’emanazione della deliberazione del Cicr del 2008, non appariva più compatibile con il nuovo quadro normativo, tendenzialmente orientato a favorire nel suo complesso (ci riferiamo anche alla disciplina delle partecipazioni a monte) 20 la costruzione di rapporti partecipativi più stretti tra soggetti finanziari e non finanziari e l’apertura alle banche italiane di possibilità operative sinora precluse con evidenti penalizzazioni rispetto ai concorrenti europei (Francia, Spagna, Regno Unito, Germania) 21. Le disposizioni della Banca d’Italia del 2011, come richiesto dall’organo di alta vigilanza, tendenzialmente si conformano a quanto prescritto dalla allora vigente direttiva europea. Un passo indietro nel processo di liberalizzazione delle regole lo si riscontra invece nelle modifiche apportate a quest’ultima normativa nel 2013 in quanto, nell’opera di allineamento alle prescrizioni contenute nel Regolamento UE (CRR), la Banca d’Italia, con riferimento alla disciplina dei limiti prudenziali all’acquisizione ed alla detenzione di partecipazioni qualificate al di fuori del settore finanziario, nella scelta consentita dal disposto comunitario tra
percentuale del patrimonio di vigilanza, pari all’1 % per le banche ordinarie ed al 2% per quelle abilitate e specializzate. Per approfondimenti si rinvia a Costi, L’ordinamento, cit., p. 625 ss. 20 Contenuta nella versione aggiornata dell’art. 19 del t.u.b. da ultimo ad opera del d.lgs n. 185/2008 in attuazione della direttiva n. 2007/44/CE concernente le regole procedurali ed i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario (in G.U.U.E., 21 settembre 2007, L 247). Sulla recente evoluzione della disciplina in materia, anche per i riferimenti bibliografici riportati, v. Brescia Morra, Banca e industria, fine di una separazione, 17.07.2007, in www.lavoce.info; Id., Banca e industria in Italia verso nuovi rapporti, 29 luglio 2008, in www.nelmerito.com; De Aldisio, Acquisizioni bancarie e regole comunitarie. Verso il tramonto della separatezza banca-industria, in Banca, impresa, soc., 2008, p. 3 ss.; Sciarrone Alibrandi, Nuove regole europee in materia di acquisizioni e concentrazioni nel settore finanziario, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, marzo-aprile, p. 246 ss.; Benocci, Rapporto banca-industria e tramonto della separatezza, in Dir. banc., 2010, I, p. 291 ss.; Amorosino, La fine della separazione tra banche e imprese, in Giornale dir. amm., 2009, p. 897 ss.; Lucarini Ortolani, Il tramonto della separatezza tra banca e industria, in Riv. dir. impresa, 2010, p. 401 ss.; Rotondo, Le partecipazioni nelle banche, Napoli-Roma, 2012, in part. p. 87 ss. 21 Per un’analisi di tipo comparato della disciplina del rapporto banca-industria e per i relativi riferimenti dottrinali si rinvia a Brescia Morra, Troppe regole in Italia sui rapporti tra industria e banca? Un’analisi comparata, in AGE, 2006, I, p. 91 ss.; Salerno, Il principio di separatezza banca-industria e la concorrenza tra ordinamenti giuridici, in Dir. banc., 2006, I, p. 627 ss.
461
Saggi
il criterio della ponderazione del rischio (o, in alternativa, della totale copertura delle eccedenze con il capitale ammissibile) e quello della proibizione delle partecipazioni qualificate oltre le soglie prefissate opta per il secondo, più prudente ma altresì più restrittivo. Pertanto, attualmente, riguardo alle soglie di detenzione volte al contenimento dei rischi di eccessivo immobilizzo (i.e. rischio di liquidità) e di concentrazione, la normativa prevede per tutte le banche (senza alcuna distinzione connessa alla situazione patrimoniale ed alle modalità della raccolta) limiti prudenziali, di concentrazione e complessivo, coincidenti con quelli comunitari sia per il riferimento alle sole partecipazioni qualificate sia per la relativa entità (rispettivamente, 15% e 60%). In aggiunta, in maniera più rigorosa rispetto alla disciplina del 2011, attraverso le modificazioni del 2013 le disposizioni chiariscono immediatamente che tali limiti hanno carattere inderogabile ed un loro superamento è consentito solo in casi eccezionali (si parla di superamento dei limiti «per cause indipendenti dalla volontà della banca o della capogruppo» quali, a titolo esemplificativo, ipotesi di riduzione del capitale per perdite, fusione tra soggetti partecipati, ecc.) ed in via temporanea e transitoria, specificando non solo che le partecipazioni detenute oltre le soglie prudenziali debbano essere ricondotte all’interno di queste ultime «nel più breve tempo possibile» ma altresì la tempistica del necessario rientro nei limiti (si prevede la predisposizione da parte della banca di un piano di rientro entro 45 giorni dal superamento del limite e la relativa trasmissione alla Banca d’Italia entro 20 giorni). La normativa del 2011, invece, sebbene più stringente rispetto alle corrispondenti norme comunitarie allora vigenti 22, mostrava una maggiore apertura verso l’ampliamento delle soglie di detenzione in quanto consentiva, seppure per cause indipendenti dalla volontà della banca o della capogruppo e fino a quando le partecipazioni detenute non fossero state ricondotte nei limiti (senza alcuna specificazione riguardo ai tempi del rientro), un loro superamento a condizione che le eccedenze fossero al 100% coperte dal patrimonio di vigilanza della banca attraverso la corrispondente deduzione per metà dal patrimonio di base e per l’altra metà dal patrimonio supplementare (chiaramente gli importi dedotti dal patrimonio, come richiesto dalla direttiva, non sarebbero rientrati nel calcolo dell’adeguatezza patrimoniale).
22 La transitorietà e l’eccezionalità del superamento dei limiti non erano condizioni poste nella direttiva.
462
Maria Elena Salerno
In ogni caso, al di là della evidenziata inversione di marcia nel processo di liberalizzazione delle regole, non c’è dubbio che, stante la vigente disciplina che – in conformità delle direttive contenute nella delibera del Cicr del 2008 – prevede esclusivamente un limite di concentrazione ed un limite complessivo, il limite di separatezza non trovi più alcuna legittimità normativa. Tuttavia, superamento della separatezza in termini di limite non significa superamento della stessa come principio ispiratore della disciplina e della sua effettiva applicazione. Anzi possiamo dire di più: anche con riferimento al limite riteniamo che la sua eliminazione concreta dipenderà dall’impatto che l’intera normativa, segnatamente la presenza di un limite generale per le partecipazioni tout court e di limiti prudenziali più stringenti per le partecipazioni qualificate, avrà sul sistema. Se dal punto di vista teorico, le opinioni risultano ancora discordanti in merito al se uno stretto rapporto tra banca e impresa sia da auspicare, per i benefici (in termini informativi nell’attività di screening e di monitoring delle banche sulle imprese partecipate, di ampliamento delle possibilità operative e di crescita competitiva per le banche nonché di sviluppo per le imprese grazie ad ulteriori apporti di capitale) che lo stesso comporta, ovvero da rinnegare per costi (in termini di incremento dei rischi di conflitti d’interesse, con conseguenti effetti distorsivi sull’allocazione del credito e di “spiazzamento” ai danni le imprese minoritarie) ad esso connessi 23, sotto il profilo concreto è ancora più complicato prevedere le conseguenze che avrà sul nostro sistema economico e finanziario la maggiore commistione tra banca ed impresa industriale. Ed è proprio sulla base di tali considerazioni che l’organo di vigilanza, a fronte dell’allentamento dei vincoli prudenziali e della possibilità per le banche di acquisire il controllo delle industrie, ha predisposto ulteriori misure di difesa contenute nelle regole organizzative e di governance di cui alla presente disciplina nonché nella normativa in materia di soggetti collegati; regole che potrebbero contri-
23 Tra i numerosi contributi della dottrina economica sul tema del rapporto bancaindustria si vedano: Ciocca, Su alcuni motivi che consigliano di mantenere la banca «separata» dall’industria, in Economia e politica industriale, 1987, 56, p. 93 ss. Ciocca - Frasca, I rapporti fra industria e finanza: problemi e prospettive, in Politica economica, n. 1, 1987, p. 29 ss.; De Cecco, Le imprese fra banca e finanza, in Industria, 1988, p. 5 ss.; Mori, Banca e impresa, Padova, 1988; Biffis, La banca universale italiana, in Risparmio, 1993, p. 1 ss.; Masera, Intermediari, mercati e finanza d’impresa, Roma-Bari, 1991, p. 45 ss.; Cesarini, Il rapporto banca-impresa: il punto di vista di un banchiere, in Economia italiana, 1, 1994. Messori, La separatezza tra industria e banca: il punto di vista di un economista, in AGE, 2006, p. 43 ss.
463
Saggi
buire a garantire maggiore indipendenza ed autonomia nelle decisioni di investimento e di finanziamento da parte della banca 24. Anzi, questi presidi potrebbero rivelarsi anche più efficaci del precedente limite di separatezza, la cui idoneità a contenere i conflitti di interesse e a discriminare situazioni potenzialmente pericolose per la stabilità dell’intermediario in taluni casi appare dubbia 25. In ogni modo, non è affatto improbabile che, stante la difficoltà di prevedere gli effetti dell’alleggerimento delle regole sul sistema e l’adeguatezza delle soluzioni organizzative e di governance adottate dalle banche, la Banca d’Italia, come si evince anche dalla relazione preliminare sull’analisi di impatto (p. 28), si serva dello strumento della moral suasion per indurre le banche ad adottare un approccio graduale che preveda nell’immediato un parziale allineamento alle soglie comunitarie, cui far seguire in futuro un adeguamento completo. L’approccio graduale basato sugli effetti reali della disciplina appare di grande utilità se sarà adeguatamente utilizzato dall’organo di vigilanza, persuadendo quest’ultimo a mantenere vincoli più stringenti di quelli europei qualora l’intreccio tra banca e industria consentito dall’ordinamento nella realtà si rivelasse eccessivo in termini di rischio di conflitto di interessi, ovvero, al contrario, a procedere ad una loro rimozione o allentamento qualora la presenza di regole più restrittive rispetto a quelle europee dovesse diventare un elemento significativo di svantaggio competitivo dei nostri intermediari rispetto a quelli esteri. 2.4. Partecipazioni temporanee. Secondo la tradizionale impostazione della normativa di vigilanza, nel genus “partecipazioni temporanee” si inquadrano tre species di par-
24
Sui conflitti di interesse che possono nascere tra la banca ed i propri azionisti rilevanti soprattutto di natura industriale si veda ampiamente Cera, Le banche e i loro azionisti nella nuova legge per la tutela del risparmio, in AGE, 1/2006, p. 65 ss. Sulla nuova disciplina di vigilanza in materia di operazioni con parti correlate v. Troisi, Le operazioni con parti correlate in ambito bancario e finanziario, in Banca, borsa, tit. cred., 5, 2011, n. 5, p. 649 ss.; Cecchetto, Operazioni con parti correlate e tecniche di regolamentazione: note critiche, in Riv. dir. banc., www.dirittobancario.it, 19, 2012. 25 Ci riferiamo all’ipotesi in cui la struttura dell’azionariato dell’impresa partecipata presenti un’elevata frammentazione, per cui partecipazioni di ordine molto inferiore al 15% potrebbero consentire alla banca di detenere saldamente il controllo dell’impresa o comunque di esercitare su di essa un’influenza notevole.
464
Maria Elena Salerno
tecipazioni: quelle acquisite nell’ambito dell’attività di collocamento e garanzia; quelle detenute in imprese in temporanea difficoltà e; quelle acquisite per recupero crediti. La disciplina ricalca quella precedente con poche novità sostanzialmente finalizzate ad allineare la normativa nazionale alle prescrizioni comunitarie nonché a quelle contenute in altre parti della disciplina di vigilanza. Conformemente al dettato comunitario, le partecipazioni detenute da una banca nell’ambito dell’attività di collocamento e garanzia vengono escluse dal calcolo dei limiti prudenziali previsti per le partecipazioni non finanziarie nonché dal calcolo del limite generale. Le novità introdotte riguardano sostanzialmente i seguenti punti: – la chiarificazione che l’esenzione dal computo vale sia nel caso in cui la predetta attività di collocamento e garanzia avvenga mediante la partecipazione della banca a consorzi sia nell’ipotesi in cui la stessa si svolga al di fuori della partecipazione ad un consorzio; – la riduzione del periodo massimo di esenzione da sette a cinque giorni dalla chiusura del collocamento essenzialmente al fine di allineare questo termine a quello previsto nella disciplina in materia di rischi di mercato (che contempla l’applicazione di un requisito patrimoniale pieno al quinto giorno lavorativo successivo a quello di chiusura del collocamento). In proposito, è opportuno sottolineare che, a differenza della direttiva del 2006 che non indicava un termine preciso riferendosi sic et simpliciter alla «normale durata della sottoscrizione» (art. 121), il CRR (art. 91, par. 1, lett. b) esclude dal calcolo dei limiti prudenziali la detenzione di quote che «costituisce una posizione in impegni irrevocabili detenuta per cinque giorni lavorativi o meno». Per ciò che concerne le partecipazioni in imprese in difficoltà finanziaria temporanea, il principale elemento di novità rispetto alle precedenti istruzioni riguarda il profilo della computabilità di tali interessenze tra le partecipazioni qualificate ai fini della determinazione dei limiti prudenziali, complessivo e di concentrazione: conformemente al dettato comunitario (e contrariamente alla previgente disciplina) queste partecipazioni vengono escluse dal calcolo dei suddetti limiti prudenziali, purché le stesse siano acquisite rispettando i criteri, le procedure e le cautele stabiliti nella relativa disciplina di vigilanza. Il riferimento specifico alla loro esclusione solamente dalla determinazione dell’ammontare delle partecipazioni qualificate ai fini del calcolo dei limiti prudenziali induce a ritenere che, al contrario, le stesse siano computate ai fini del
465
Saggi
calcolo del limite generale 26; cosa che rende ulteriormente più stringente la normativa nazionale rispetto a quella comunitaria. L’esclusione dal computo delle partecipazioni qualificate trova un limite temporale corrispondente al periodo massimo previsto per il conseguimento del riequilibrio economico e finanziario dell’impresa interessata pari a cinque anni. Tuttavia, come specificato dalla Banca d’Italia (resoconto della consultazione, p. 7), l’espressione “di norma” contenuta nella disposizione presume la possibilità di consentire l’innalzamento del limite temporale in casi specifici. Ricordiamo che, anche con riguardo alla fattispecie considerata, la corrispondente norma comunitaria non indica un termine preciso ma sottolinea esclusivamente il requisito di temporaneità della detenzione 27. Si inserisce in quest’ambito il problema, posto dai rispondenti alla consultazione, relativo alle modalità di computo delle partecipazioni acquisite in seguito ad accordi di ristrutturazione del debito introdotti dalla riforma del diritto fallimentare 28, la cui disciplina è stata di recente modificata dal c.d. “decreto sviluppo” 29. Dalla risposta fornita dalla Banca d’Italia si evince che siffatte partecipazioni risulterebbero escluse dal calcolo dei limiti prudenziali solamente qualora rispettino i vincoli previsti dalla disciplina
26 Tale conclusione deriva anche dalla considerazione che nella disciplina appena analizzata delle partecipazioni detenute nell’attività di collocamento e garanzia l’esenzione dal calcolo del limite generale è esplicitamente prevista. 27 In sintesi, le condizioni da osservare ai fini la conversione dei crediti verso l’impresa in partecipazioni riguardano: la sussistenza per la banca della convenienza economica dell’operazione; la necessaria temporaneità della crisi; la necessaria riconducibilità della crisi ad aspetti meramente finanziari e non di mercato; l’esistenza di ragionevoli prospettive di riequilibrio nel medio periodo. 28 L’istituto degli accordi di ristrutturazione è disciplinato nei suoi aspetti procedimentali nell’art. 182 bis l. fall. e con riferimento agli effetti che produce nell’art. 67, co. 3, lett. e), l. fall. Sull’argomento in dottrina, si vedano, tra gli ultimi: Balestra, Sul contenuto degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. comm., 2014, p. 283 ss.; NigroVattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2012, cap. XVIII; Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis legge fallim.: natura, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2012, I, p. 13 ss.; Fabiani, Gli accordi di ristrutturazione, in Id., Diritto fallimentare. Un profilo organico, Bologna, 2011, cap. XXIX, p. 683 ss.; Capobianco, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d’impresa. Profili funzionali e strutturali e conseguenze dell’inadempimento del debitore, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, p. 295 ss. 29 D.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella l., 7 agosto 2012, n. 134, da ultimo modificato ed integrato dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in l. 17 dicembre 21012, n. 221.
466
Maria Elena Salerno
in esame inerenti alla transitorietà ed alla natura della crisi dell’impresa oggetto di risanamento. La giustificazione dell’orientamento dell’organo di vigilanza si rinviene nella necessaria riconducibilità della crisi dell’impresa affidata ad aspetti meramente finanziari ai fini della detenzione di partecipazioni in imprese in temporanea difficoltà. Ciò rende siffatta procedura non completamente assimilabile a quella analoga che la riforma del diritto fallimentare include tra le modalità di risanamento dell’impresa in crisi nell’ambito delle soluzioni alternative (concordato preventivo, amministrazione straordinaria) a quelle liquidatorie; procedure recuperatorie che, come sottolinea l’organo di vigilanza, hanno come presupposto per la relativa applicazione lo “stato di crisi” dell’impresa; espressione quest’ultima non espressamente specificata, ma che si ritiene possa comprendere anche situazioni strutturali di deficit patrimoniale e debolezze economiche non puramente finanziarie fino, come addirittura chiarito dallo stesso legislatore della riforma fallimentare, allo stato di insolvenza (art. 160, co. 3, l. fall.). Pertanto, si esclude la possibilità di esonerare dal computo delle partecipazioni qualificate quelle interessenze acquisite sulla base di accordi di ristrutturazione che prevedano la conversione dei crediti in capitale di rischio per un periodo superiore a cinque anni e qualora la crisi dell’impresa interessata non sia meramente finanziaria; in caso contrario, le stesse saranno assoggettate alla normativa inerente alle partecipazioni detenute per recupero crediti che, come tra breve vedremo, rientrano sia nel computo delle soglie prudenziali sia nel calcolo del limite generale. Certo, non è affatto improbabile che siffatta impostazione restrittiva disincentivi le banche ad intervenire nel recupero delle imprese affidate conferendo all’accordo il contenuto concreto della trasformazione dei crediti in capitale di rischio, con conseguente significativa riduzione della reale portata di questo strumento ai fini del risanamento delle imprese ed il ricorso nell’accordo ad altre modalità operative, magari di minore efficacia per quella finalità specifica e di più elevata onerosità per l’impresa coinvolta in relazione alla situazione contingente. Ricordiamo che in proposito, i rispondenti alla consultazione avevano appunto richiesto l’esclusione in via permanente di dette partecipazioni dal calcolo dei limiti prudenziali 30.
30 Per ciò che concerne la procedura da seguire ai fini dell’esonero, questa si articola nei seguenti punti: la redazione di un piano di risanamento ad opera di un certo numero di banche che rappresentino una quota elevata dell’esposizione complessiva verso l’impresa; la prospettiva del raggiungimento del riequilibrio entro un termine di cinque anni; la necessaria acquisizione di azioni o altri strumenti finanziari di nuova emissione; l’individuazione di una banca capofila con la responsabilità dell’operazione nell’ipotesi
467
Saggi
Veniamo, infine, alla disciplina delle partecipazioni per recupero crediti. Questa viene riformulata in senso più restrittivo rispetto a quella previgente in ragione della necessità di allineamento al quadro comunitario di riferimento nonché di aderenza e conformità alla definizione di “partecipazione” rilevante ai fini della normativa in commento. Con riferimento al primo punto, il CRR, come già la direttiva del 2006, non contempla questa particolare tipologia di interessenze tra le esclusioni dal computo delle soglie prudenziali; esenzioni, come visto, limitate alle azioni o quote detenute in via temporanea ovvero non aventi carattere di immobilizzo finanziario. Per ciò che concerne la definizione di partecipazione, abbiamo visto che la stessa contempla tra le ipotesi di esclusione dalla relativa nozione quei titoli la cui detenzione abbia natura temporanea. Pertanto, la ratio delle esenzioni dal calcolo dei limiti prudenziali previste dalla direttiva è la medesima delle esclusioni dalla nozione di partecipazione previste dalla normativa nazionale, ovvero la temporaneità del possesso dei titoli finanziari. Rebus sic stantibus, la mancanza di transitorietà nella disponibilità delle partecipazioni per recupero crediti, o quanto meno l’impossibilità di prevederne la durata, giustifica il relativo inquadramento all’interno della categoria delle partecipazioni cui sono connessi i rischi che la disciplina in esame mira a contenere e, di conseguenza, l’eliminazione della possibilità, contenuta nella previgente disciplina, di esenzione dal computo delle partecipazioni qualificate per i limiti prudenziali nonché delle partecipazioni tout court per limite generale. Al di là di questa innovazione, come in precedenza, la normativa si sostanzia nella previsione di cautele procedurali (delibera dell’organo amministrativo sulla base di una valutazione di “convenienza economica”) e di obblighi di comunicazione alla Banca d’Italia (peraltro, notevolmente semplificati rispetto alle previsioni originarie). 2.5. Partecipazioni in banche, in imprese finanziarie, in imprese assicurative ed in imprese strumentali In attuazione della deliberazione del Cicr del 2008, la disciplina delle partecipazioni in campo finanziario viene rivisitata al fine di semplifica-
in cui questa coinvolga una pluralità di banche; l’approvazione del piano ad opera dell’organo con funzioni di gestione delle banche coinvolte e delle relative banche e società finanziarie capogruppo (nell’ipotesi in cui le prime facciano parte di gruppi bancari).
468
Maria Elena Salerno
re ed alleggerire il relativo regime delle autorizzazioni, sebbene non si arrivi alla completa liberalizzazione contemplata dalla normativa comunitaria di riferimento, rimanendo l’acquisizione di interessenze in campo finanziario assoggettata comunque al vaglio della Banca d’Italia. Le scelte normative in materia vengono assunte dall’organo di vigilanza sulla base delle linee guida fissate dal Cicr e dell’analisi costibenefici connessi a questa particolare tipologia di investimento. Con riferimento al primo punto, si rileva in particolare l’impossibilità di rapportare gli eventuali limiti autorizzativi al capitale del soggetto partecipato, diventati inammissibili ai sensi della deliberazione del Cicr. L’eliminazione di questo vincolo appare decisamente rilevante ai fini dell’espansione della capacità operativa delle banche sotto il profilo partecipativo, atteso che – non ostante la presenza del regime autorizzativo che di per sé costituisce un deterrente all’acquisizione nel timore di una possibile valutazione negativa da parte dell’organo di vigilanza – la maggior parte delle richieste di autorizzazione pervenute all’autorità di controllo nel vigore della precedente disciplina riguardavano il superamento delle soglie rapportate al capitale delle partecipate 31. Relativamente al secondo aspetto, la Banca d’Italia evidenzia che dalla rimozione totale delle soglie autorizzative potrebbero derivare vantaggi per gli intermediari, in termini di riduzione dei tempi delle operazioni e conseguente maggiore efficacia delle loro scelte strategiche, e per lo stesso organo di vigilanza, in termini di riduzione dei carichi di lavoro e dei costi connessi alle procedure amministrative di autorizzazione. Tuttavia, non bisogna sottovalutare i rischi derivanti dall’assenza totale di controllo su tali operazioni; rischi sia per la banca partecipante, che potrebbe effettuare investimenti non compatibili con la stabilità e la sana e prudente gestione, sia per il soggetto partecipato, che potrebbe ritrovarsi con un assetto proprietario inadeguato. Per queste ragioni, si ritiene opportuno – forse non a torto considerato il periodo storico contingente in cui la commistione interna tra attività bancaria ed altre attività finanziarie ha manifestato tutte le sue vulnerabilità 32 – il mantenimento di un controllo dell’organo di vigilanza volto
31 In particolare, nell’analisi di impatto, la Banca d’Italia evidenzia che nel 2008 l’unico caso di acquisizione superiore alla soglia del 10% del patrimonio di vigilanza del partecipante (su 81 richieste pervenute) è stato quello oramai tristemente noto alle cronache di MPS-Antonveneta. 32 La crisi finanziaria globale ha fatto emergere le criticità del modello della banca universale; cosa che sta inducendo ad un ripensamento in merito alla opportunità
469
Saggi
ad analizzare le conseguenze dell’acquisizione sul livello di patrimonializzazione della banca acquirente, dato che la complessità di alcune operazioni di acquisizione può avere effetti negativi sulla complessiva adeguatezza patrimoniale. Tale valutazione viene, comunque, limitata alle operazioni più rilevanti, là dove la rilevanza, secondo le indicazioni del Cicr, va stabilita solo in relazione al patrimonio di vigilanza del potenziale acquirente e non più alla quota di capitale sottoscritto ovvero all’eventuale controllo della partecipata. Secondo l’analisi della Banca d’Italia, il mantenimento del regime autorizzativo, sebbene limitato alle sole operazioni di ammontare rilevante, comporta sì minori benefici rispetto alla sua rimozione totale ma questa riduzione è in ogni caso inferiore all’aumento dei costi che deriverebbero dall’assenza totale del vaglio autorizzativo. Ciò detto, passiamo all’esame della normativa in materia. Una prima innovazione la si riscontra sotto il profilo dell’ambito di applicazione soggettivo: la disciplina, nelle precedenti istruzioni distinta a seconda della natura del soggetto partecipato, viene oggi unificata facendo riferimento indifferentemente alle partecipazioni acquisibili in banche, IMEL, società finanziarie e società assicurative; la sola eccezione rispetto alla generalità della disposizione concerne le interessenze detenibili in società strumentali. Con riferimento a tutte le categorie menzionate ad eccezione delle società strumentali le nuove disposizioni disciplinano il regime autorizzativo delle partecipazioni “a valle”, le cui modifiche più significative riguardano: – l’eliminazione delle autorizzazioni connesse al superamento di determinate soglie partecipative rapportate al capitale del soggetto partecipato (nella vigente disciplina: 10%, 20% e controllo); – la previsione di un’unica soglia autorizzativa rapportata al patrimonio di vigilanza della banca (pari al 10%);
di conservare tale modulo organizzativo. La necessità di separare l’attività bancaria tradizionale da quella di investimento emerge a livello europeo dal Rapporto Liikanen (Report of the European Commission’s High-level Expert Group on Bank Structural Reform) pubblicato il 2 ottobre 2012 nonché dal Rapporto Vickers del Regno Unito del 12 settembre 2011, mentre gli Stati Uniti hanno già approvato nel luglio 2012 la Volcker Rule recepita nel Dodd-Franck Act, la cui entrata in vigore è prevista entro il 2015. Per approfondimenti si rinvia, per tutti, a Vilňals, Pazabasioglu, Surti, Narain, Erbenova, Chow, Creating a Safer Financial System: Will the Volcker, Vickers, and Liikanen Structural Measures Help?, in IMF SDN/13/4, May 2013.
470
Maria Elena Salerno
– l’eliminazione delle previsioni in materia di partecipazioni nelle SICAV (prima soggette solo ad obblighi di comunicazione e non di autorizzazione), non più necessarie grazie all’impostazione generale adottata; – l’eliminazione, con riferimento alle partecipazioni in imprese di assicurazione 33, del limite complessivo alla relativa detenzione (40% del patrimonio di vigilanza e 60% per le banche appartenenti a un gruppo, fermo il limite del 40% a livello consolidato), volta ad allineare la disciplina in questione alla normativa comunitaria e nazionale in materia di concentrazione dei rischi 34. Al fine di evitare situazioni di opacità e di assicurare l’effettivo esercizio della funzione di vigilanza, in particolare consolidata, si conserva il regime più restrittivo per partecipazioni localizzate in Paesi extra comunitari diversi da Canada, Giappone, Svizzera e Stati Uniti d’America. Per queste partecipazioni, l’ambito di applicazione oggettivo del sistema autorizzativo non solo include la soglia partecipativa rapportata al patrimonio di vigilanza del partecipante ma tiene conto anche dell’entità della partecipazione in relazione al capitale del partecipato, in quanto si rende obbligatoria l’autorizzazione anche per le acquisizioni comportanti il controllo o l’influenza notevole sui soggetti partecipati. In queste ipotesi l’autorizzazione è negata qualora, anche in considerazione degli ordinamenti e dei sistemi di vigilanza degli Stati di insediamento, i soggetti partecipanti non assicurino livelli di trasparenza informativa idonei a consentire l’esercizio della vigilanza.
33
La Banca d’Italia assimila le imprese di assicurazione alle imprese finanziarie esercitando la facoltà concessa agli Stati membri dal dettato comunitario. Sui rapporti di partecipazione tra banche e assicurazioni si rinvia ai contributi contenuti in: Cesarini e Varaldo, a cura di, Banche e assicurazioni, Torino, 1992; Forestieri e Moro, a cura di, I rapporti fra assicurazioni e banche, Milano 1993; nonché, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, a: Corvese, L’attuazione delle III direttive CEE in materia di assicurazioni vita e danni, Padova, 1997; Cotterli, La raccolta del risparmio tra banche e assicurazioni: la nuova disciplina, in Banca, impresa, soc., 2006, p. 29 ss.; Brozzetti, Gruppo, partecipazioni e vigilanza nel codice delle assicurazioni del 2005. Prima lettura, anche alla luce della disciplina bancaria, in Dir. banc., 2006, I, p. 219 ss.; Corvese, I rapporti partecipativi fra banche e assicurazioni alla luce delle più recenti novità normative, in Dir. banc., 2010, I, p. 417 ss. 34 Le nuove disposizioni di vigilanza escludono dall’applicazione della disciplina autorizzativa le partecipazioni acquisite da imprese di assicurazioni controllate da banche in ragione del fatto che in tale ipotesi troveranno applicazione le disposizioni del codice delle assicurazioni in materia di partecipazioni detenibili da imprese di assicurazione e, là dove ricorrano le condizioni, quelle in materia di vigilanza supplementare sui conglomerati finanziari.
471
Saggi
Con riferimento specifico alle partecipazioni in imprese strumentali, la disciplina viene significativamente rivista per allinearla alle previsioni comunitarie ed alle prassi seguite negli altri maggiori Paesi europei, attraverso l’eliminazione della necessità di un preventivo controllo di vigilanza sulle acquisizioni della specie, salvo il caso in cui queste coinvolgano soggetti insediati in Paesi extra comunitari (diversi da Canada, Giappone, Svizzera e Stati Uniti d’America) che, per effetto della partecipazione, sarebbero assoggettati al controllo ovvero all’influenza notevole della banca partecipante 35. La finalità prudenziale della disciplina è suffragata dalla disposizione che, tra i casi di diniego dell’autorizzazione, include l’ipotesi di acquisizione che, per effetto della deduzione della partecipazione dal patrimonio di vigilanza, comporti l’inosservanza del requisito patrimoniale complessivo (patrimonio di vigilanza almeno pari alla somma dei requisiti patrimoniali prescritti a fronte dei rischi di credito, di controparte, di mercato ed operativo, nonché a fronte delle acquisizioni di immobili e altri requisiti). In proposito, occorre rilevare che l’aggiornamento delle disposizioni del 21 maggio 2014, modificando il secondo e il terzo capoverso del paragrafo 2 delle sez. V, apre le porte ad un ampliamento della discrezionalità valutativa dell’organo di vigilanza, sebbene le disposizioni medesime ne circoscrivano la portata. Si aggiunge, infatti, un altro criterio di autorizzazione ancorato al parametro della sana e prudente gestione della banca o del gruppo che non presenta sicuramente i caratteri di oggettività connessi al mancato rispetto del requisito patrimoniale complessivo (si prevede che «L’autorizzazione può essere negata, altresì, laddove l’operazione sia in contrasto con la sana e prudente gestione della banca o del gruppo bancario»), anche se la stessa normativa pone dei paletti nell’uso di tale criterio, specificando che l’incidenza dell’operazione sullo “stato di salute” della partecipante debba essere valutata esclusivamente con riferimento a due fattori, tra loro alternativi (si usa la congiunzione “o”): i rischi aggiuntivi derivanti dall’attività bancaria e non
35
Le precedenti istruzioni dettavano una disciplina differenziata delle partecipazioni in società strumentali in funzione o meno dell’acquisizione di una posizione di controllo o collegamento (20% del capitale della partecipata) del partecipante nella partecipata. Nel primo caso venivano assoggettate al regime delle partecipazioni finanziarie, nel secondo a quello delle partecipazioni industriali. Questa impostazione trovava la sua giustificazione nel fatto che le società strumentali non sono soggette alla vigilanza della Banca d’Italia, salvo il caso in cui siano controllate da una banca o ricomprese in gruppo bancario.
472
Maria Elena Salerno
bancaria della società partecipata ovvero la sostenibilità dell’acquisizione dal punto di vista finanziario, organizzativo e tecnico. La ratio di tale integrazione è probabilmente rinvenibile nella necessità di aumentare l’efficacia della disciplina a fini prudenziali, tenuto conto che in alcuni casi potrebbero risultare rilevanti per la stabilità della banca partecipante anche acquisizioni di importo inferiore rispetto alla soglia che, come tali, non sarebbero assoggettate al vaglio dell’organo di vigilanza. La medesima ratio è alla base anche degli obblighi di comunicazione che la normativa in esame affianca al sistema delle autorizzazioni. Trattasi di un obbligo di comunicazione, successivo al perfezionamento dell’operazione (entro 30 giorni), per quelle acquisizioni che, pur essendo irrilevanti a fini autorizzativi, determinano il superamento della soglia dell’1% del patrimonio di vigilanza del partecipante (a livello consolidato per i gruppi bancari, individuale per le banche non appartenenti a un gruppo) e di un obbligo di comunicazione, questa volta preventivo rispetto al perfezionamento dell’operazione (90 gg. prima contro i 30 previsti nelle disposizioni del 2011), inerente a quelle acquisizioni che, pur non soggette ad autorizzazione, comportino modifiche nella composizione del gruppo bancario. L’aggiornamento del 21 maggio del 2014 ha opportunamente inciso anche su questo punto, provvedendo a colmare una lacuna delle disposizioni del 2011 rappresentata dalla mancanza di poteri di intervento delle Banca d’Italia nei casi in cui l’acquisizione soggetta solo a comunicazione sia incompatibile con le strategie e la dimensione patrimoniale dell’ente creditizio 36. In tale ipotesi le modifiche introdotte conferiscono alla Banca d’Italia il potere di condizionare o vietare l’acquisizione oppure di ordinare, in qualsiasi momento anche successivo all’acquisto, la dismissione delle partecipazioni sulla base del medesimo criterio adottato per la valutazione delle richieste di autorizzazione; criterio che ha come punto di riferimento la sana e prudente gestione della banca o del gruppo bancario partecipante, valutata però con esclusivo riguardo ai rischi aggiuntivi derivanti dall’attività bancaria e non bancaria della società partecipata ovvero alla sostenibilità dell’acquisizione dal punto di vista finanziario, organizzativo e tecnico. La modificazione introdotta appare opportuna perché attribuisce all’obbligo di comunicazione (ex ante ma soprattutto ex post) una funzione non solo informativa, come lo era prima, in ordine all’inquadramento dell’acquisizione nelle strategie di espansione operativa e territoriale della banca
36
In proposito, si rinvia a Salerno, Il rapporto, cit., p. 296 ss.
473
Saggi
nonché al suo impatto sull’adeguatezza patrimoniale ed al margine disponibile ma anche di prevenzione del verificarsi di situazioni pericolose per la stabilità dell’intermediario partecipante. Le modifiche del 2013 in tema di criteri di autorizzazione e obblighi di comunicazione appaiono, dunque pienamente condivisibili purché un loro uso distorto o eccessivo da parte dell’organo di vigilanza non si traduca di fatto in un intralcio a quel processo di alleggerimento della disciplina richiesto dal CICR ed in un’eccessiva ingerenza nelle scelte interne alla banca in merito alla propria area di operatività. Altre disposizioni, infine, riguardano il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione che rimane invariato rispetto al passato: invio all’organo di vigilanza della richiesta di autorizzazione, corredata dal verbale dell’organo societario che ha deliberato l’operazione, dallo statuto e dagli ultimi due bilanci della potenziale partecipata nonché da altre informazioni in merito all’inquadramento dell’operazione nei piani di espansione operativa e territoriale della banca, al suo impatto sull’adeguatezza patrimoniale e prospettica e sul margine disponibile per gli investimenti in partecipazioni ed in immobili.
3. Osservazioni conclusive. Dall’esame della disciplina si evince che, non ostante il cambiamento di rotta in una direzione significativamente più liberista, la stessa sotto molteplici profili, amplificati dalle recentissime modificazioni normative, appare ancora oggi più stringente di ciò che consente l’ordinamento comunitario; il che potrebbe essere letto in negativo in termini di potenziale fonte di svantaggio competitivo dei nostri intermediari creditizi rispetto a quelli esteri ma anche in positivo nel senso che, quantomeno con riferimento al rapporto banca-industria, la predisposizione di misure cautelative più rigorose non è detto che sia un errore, attesa la necessità che tale rapporto non si traduca comunque in una commistione di ruoli e di funzioni tra i due settori. Ciò non toglie che il notevole alleggerimento della normativa in materia di partecipazioni detenibili, segnatamente con riferimento all’eliminazione del limite di separatezza, costituisca una svolta storica per il nostro ordinamento che porterà con sé certamente nuove opportunità per le banche e per le imprese, ma altresì un incremento dei rischi a cui le medesime saranno assoggettate in virtù sia dell’ampliamento operativo che ne scaturisce sia dal legame più intenso tra imprese di natura diversa. Peraltro, nella normativa di vigilanza non mancano misure di difesa a fronte di questi rischi; semmai si tratterà di verificare quan-
474
Maria Elena Salerno
to le stesse risultino concretamente efficaci ovvero quanto il relativo uso possa al contrario compromettere la portata riformista delle norme. Per ciò che concerne le partecipazioni detenibili in campo finanziario, il sistema delle autorizzazioni costituisce lo strumento di prevenzione dell’incremento – in senso quantitativo e qualitativo – dei rischi connessi al potenziale ampliamento dell’operatività delle banche, mentre, in materia di rapporti banca-industria, la normativa pone come contrappeso della maggiore possibilità di commistione tra i due settori sotto il profilo partecipativo regole tali da assicurare a valle la necessaria separatezza tra attività industriale ed attività bancaria all’interno di un rapporto creditizio e partecipativo insieme 37. Senza dimenticare l’uso che l’organo di vigilanza probabilmente farà della moral suasion, permettendo alle banche un’apertura graduale verso le nuove opportunità di espansione in altri settori produttivi offerte dalla disciplina in esame. A conclusione possiamo forse ritenere che la scelta adottata dal nostro ordinamento creditizio di rafforzare, a fronte del potenziale ampliamento dell’operatività delle banche in altri segmenti del mercato finanziario e soprattutto del potenziale conflitto di interessi derivante dal più intenso rapporto tra banca e industria, l’apparato dei controlli da parte dell’organo di vigilanza ed i rimedi normativi a valle potrà nel futuro prossimo rivelarsi quella vincente permettendo allo stesso tempo di beneficiare dei vantaggi (in termini informativi, di aumento delle sinergie tra imprese di natura diversa, di crescita competitiva e produttiva per le banche, di sviluppo per le imprese) e di contenere i costi (in termini di incremento di rischi connessi all’esercizio di altre attività finanziarie, di rischi di conflitti d’interesse, di distorsioni nella valutazione del merito creditizio, di spiazzamento delle imprese minori) connessi sia all’ampliamento operativo degli intermediari creditizi nell’area finanziaria sia alla maggiore commistione tra settore bancario e settore industriale consentiti dal corrispondente allentamento dei presidi a monte. Maria Elena Salerno
37 Ci riferiamo non solo ai presidi organizzativi e di governance contenuti nella disciplina di vigilanza sulle partecipazioni detenibili (ed in generale in materia di organizzazione e governo societario), ma anche ai limiti prudenziali (divenuti più stringenti) e soprattutto alle regole di governo societario previsti dalla disciplina di vigilanza in materia di attività di rischio e conflitti di interesse nei confronti dei soggetti collegati.
475
COMMENTI
Revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente. TRIBUNALE DI BERGAMO, sentenza 28 aprile 2014; G.U. Vitiello Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Rimesse su conto scoperto – Necessità (L. fall., art. 67, co. 3, lett. b) Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse su conto corrente bancario – Versamenti derivanti da anticipazioni concesse dalla banca – Atti solutori anormali – Esclusione (L. fall., art. 67, co. 1) Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Riduzione durevole dell’esposizione debitoria – Estremi – Fattispecie (L. fall., art. 67, co. 3, lett. b) Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Presupposti – Riduzione consistente dell’esposizione della banca – Estremi – Fattispecie (L. fall. art. 67, co. 3, lett. b), 70) Le rimesse su conto corrente bancario sono revocabili solo se affluite su conto scoperto. (1) Non sono revocabili come atti solutori anormali i versamenti sul conto effettuati in relazione ad anticipazioni su fatture o ricevute concesse dalla banca. (2) Ai fini della revocatoria, ha carattere durevole la rimessa il cui effetto solutorio presenti una apprezzabile stabilità nel tempo, da valutare anche con riguardo alla frequenza delle movimentazioni del conto (nella
Commenti
specie, si è precisato che qualche giorno di stabilità sarà sufficiente solo in presenza di un conto con rimesse e prelevamenti infragiornalieri, non nell’ipotesi in cui il conto sia caratterizzato da movimentazioni più rarefatte). (3) Ai fini della revocatoria la consistenza della rimessa va verificata alla luce sia dell’entità massima dell’esposizione debitoria sia dell’entità media delle rimesse e dei prelevamenti sul conto sia dell’ammontare del debito nel momento in cui essa è effettuata sia dell’importo massimo di cui possa essere chiesta la restituzione ai sensi dell’art. 70 (nella specie, è stata ritenuta consistente la riduzione conseguente ad una rimessa di importo superiore a quello risultante dall’applicazione del criterio di cui all’art. 70). (4)
(Omissis) Motivi della decisione – El. s.r.l. è stata dichiarata fallita con sentenza pubblicata in data 14.12.06. Il curatore del fallimento ha chiesto la dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 67, comma 2 l. fall., di due rimesse in conto corrente intervenute, rispettivamente, in data 1.9.06 e 19.9.06, per un importo complessivo pari ad euro 53.211,24. Ha inoltre chiesto una pronuncia di inefficacia, ai sensi dell’art. 67 comma 1, n. 2, l.fall. dei versamenti sul medesimo conto corrente per anticipazioni su ricevute bancarie o fatture accompagnate da cessioni del credito o da mandati all’incasso in rem propriam, versamenti intervenuti in data 29.12.05, 12.4.06, 14.4.06 e 19.9.06 per un totale di euro 405.880,00. Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a., convenuta in giudizio, si è costituita sollevando eccezione
478
di nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza di petitum e causa petendi e rilevando come, conseguentemente, fosse nel frattempo intervenuta la prescrizione dell’azione. L’eccezione, inerente alla sola domanda formulata dalla curatela ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, 1. fall., non è fondata. Il curatore ha infatti legittimamente individuato le rimesse interessate dalla domanda riferendosi alle anticipazioni su fatture intervenute nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento ed ai numeri dei conti intestati alla società poi dichiarata fallita (n. 43185315 il c/c ordinario; n. 43185416 il conto anticipi) ed allegando all’atto introduttivo documentazione inerente alle movimentazioni dei conti, movimentazioni comprensive degli accrediti poi più esattamente indicati quali revocabili il che, per giurisprudenza consolidata, è sufficiente ad individuare sia il
Tribunale di Bergamo
petitum sia la causa petendi dell’atto introduttivo (per tutte: Cass., 22.6.07, n. 14676). Ciò detto, va premesso che le due domande di revocatoria hanno distinti presupposti oggettivi ed un identico presupposto soggettivo, la conoscenza, all’epoca dei versamenti in discorso, da parte della banca accipiens Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a., dello stato d’insolvenza di El. s.r.l. L’identità del presupposto soggettivo si risolve nella diversità del soggetto processuale gravato dell’onere probatorio ad esso relativo. Come noto, infatti, quando la domanda è formulata ex art. 67 comma 2, l. fall. è l’attore il soggetto cui spetta l’onere di provare l’esistenza della scientia decoctionis del convenuto; quando la domanda è formulata ai sensi dell’art. 67 comma 1, l. fall. è invece il convenuto cui spetta provare l’insussistenza della conoscenza, da parte sua, dello stato di insolvenza, in presenza di una presunzione, iuris tantum, di esistenza del presupposto soggettivo della domanda. È quindi opportuno premettere le valutazioni relative all’elemento soggettivo delle due domande di revocatoria, nella consapevolezza che, sotto un profilo strettamente logico-sistematico, le valutazioni in questione dovrebbero conseguire alla disamina inerente ai distinti presupposti oggettivi delle domande stesse. Gli elementi dedotti dal fallimento El. s.r.l., per dimostrare che Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a. fosse a conoscenza dell’insolvenza della società poi dichiarata fallita, sono ampiamente sufficienti ed ido-
nei, il che ovviamente esclude che possa ritenersi esistente, con riguardo alla domanda ex art. 67, comma 1 l. fall., la prova della inscientia della banca. La considerazione è fatta sul presupposto che l’onere probatorio che incombe al fallimento, da riferire alla conoscenza concreta ed effettiva e non alla mera conoscibilità, possa essere assolto ricorrendo ad elementi meramente indiziari, se pure caratterizzati dai noti requisiti della gravità, precisione e concordanza. Va poi evidenziato come sia senza dubbio applicabile alla fattispecie il principio, da considerarsi consolidato in giurisprudenza, che riconosce agli indizi tipici della conoscenza dell’insolvenza una valenza rafforzata e maggiormente intensa, qualora l’accipiens sia un istituto di credito, in quanto tale dotato di tutti gli strumenti, privilegiati ed efficaci, diretti a garantirgli piena e tempestiva cognizione della situazione finanziaria del proprio cliente, tanto più nell’ipotesi in cui quest’ultimo, come è risultato essere nel caso in esame, sia assistito da un’apertura di credito o da un affidamento realizzato nella forma del cd. castelletto, con conseguente sua soggezione ad un costante monitoraggio da parte della banca. Se si tiene conto che le due rimesse di cui si sostiene la revocabilità risalgono all’1.9.06 (per euro 3.611,24) ed al 19.9.06 (per euro 49.600,00), devono ritenersi fortemente emblematici della scientia: - il fatto che a quelle date il bilancio di El. s.r.l. al 31.12.05 non fosse stato pubblicato;
479
Commenti
- la circostanza che a partire dal giorno 8 maggio 2005 fossero stati elevati nei confronti di El. s.r.l. ben venti protesti; - infine il fatto che in data 1.6.2006 la banca ebbe a recedere dai rapporti in essere, previa revoca dell’apertura di credito e dell’affidamento mobile concessi, e ad intimare il rientro immediato dall’esposizione debitoria. A ciò si aggiunga la ricezione, da parte della banca, in data 28.7.06, di un progetto di ristrutturazione del debito di El. s.r.l. elaborato da un professionista all’uopo incaricato da quest’ultima. Gli elementi dedotti dal fallimento attore sono pertanto univoci e coerenti nell’indicare che la banca fosse a conoscenza dell’insolvenza di El. s.r.l. all’epoca in cui intervennero le rimesse per cui è causa. Si consideri in particolare, quanto all’omessa pubblicazione del bilancio di esercizio, che le banche condizionano il mantenimento delle linee di credito in essere ad un accurato esame del bilancio di esercizio, esame che viene anticipato rispetto al momento della pubblicazione del bilancio stesso al registro delle imprese, essendo usuale la richiesta al cliente affidato di anticipare la trasmissione di una bozza dello stato patrimoniale e del conto economico. Né possa avere rilevo il fatto che l’iscrizione della posizione di El. s.r.l. a sofferenza sia avvenuta soltanto il 19.1.07, previo mantenimento, nei fatti, del rapporto di conto corrente sino al 31.12.06, dovendosi ritenere del tutto plausibile che l’attesa sia stata funzionale all’aspettativa che si verificasse un rientro.
480
In altri termini la banca, anziché adottare iniziative palesemente indicative della sua scientia decoctionis nei confronti di un cliente indebitato, protestato e non adempiente all’obbligo di legge di depositare il bilancio, scelse una strategia intesa ad evitare di creare i presupposti per una successiva revocabilità delle rimesse di rientro. Senza dubbio il comportamento tenuto dall’istituto di credito sta a significare che esso considerasse esistente l’insolvenza, e sulla base di tale consapevolezza volesse preservarsi dalle eventuali future e possibili iniziative del curatore fallimentare. Quanto esposto è compatibile con l’erogazione del credito intervenuta in occasione delle operazioni di anticipo accompagnate dalla cessione del credito vantato dalla cliente e induce pertanto a ritenere, quanto alla domanda formulata ex art. 67, comma 1, n. 2 l. fall., che la banca non abbia assolto all’onere di provare la sua mancanza di conoscenza dell’insolvenza della società poi dichiarata fallita. Le operazioni di anticipazione interessate da quest’ultima pretesa si collocano in un lasso temporale compreso tra il 29 dicembre 2005 e il 19 settembre 2006, in parte coincidente e in parte di poco antecedente con quello considerato per la revocatoria ai sensi dell’art. 67 comma 2 l. fall. Una volta stabilita la compatibilità con la conoscenza della decozione delle operazioni di anticipazione e della ritardata iscrizione della posizione di El. s.r.l. a sofferenza, a sostegno della tesi dell’inscientia v’è soltanto l’elemento integrato dagli
Tribunale di Bergamo
indici del bilancio al 31.12.04, elemento di per sé solo insufficiente a vincere la presunzione prevista dalla norma. Le domande del fallimento attore possono quindi essere esaminate con riguardo ai rispettivi presupposti oggettivi. Non è contestato che gli accrediti sul conto siano stati eseguiti per gli importi indicati dal fallimento attore e, quanto alla loro collocazione temporale, nell’anno che ha preceduto la dichiarazione di fallimento, quanto ai versamenti interessati dalla domanda ex art. 67, comma 1, n. 2 l. fall., nel semestre cd. sospetto quanto alle rimesse revocabili ex art. 67, comma 2 l.fall. Va poi stabilito se i vari accrediti siano qualificabili, rispettivamente, come atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con mezzi normali di pagamento (art. 67 comma 1, n. 2, l. fall.) e come pagamenti di debiti liquidi ed esigibili (art. 67, comma 2, l. fall.). Il tema merita risposte distinte. Cominciando con i versamenti corrispondenti ad anticipazioni dietro presentazione di ricevute bancarie o fatture su conto affidato, va escluso che essi integrino atti solutori anormali. L’accreditamento eseguito dalla banca sul conto corrente integra un ordinario atto di ripristino della provvista assicurata dall’affidamento, secondo una dinamica che risponde alla fisiologia dei rapporti tra la banca ed il suo cliente commerciale, ma soprattutto secondo lo schema contrattuale in essere tra banca e società affidata. Le anticipazioni sono prestiti ad
utilizzo ripetuto, in cui ad una pluralità di finanziamenti consegue una pluralità di estinzioni. Lo stesso c.t.u. ha verificato la coincidenza del versamento in parola con la seconda rimessa di cui il curatore ha chiesto l’inefficacia ex art. 67, comma 2, l. fall. Da quanto esposto discende pertanto che i primi tre versamenti, riconducibili ad anticipazioni, non sono revocabili, perché non integranti atti di pagamento anomali e perché, ove anche fossero considerati come atti solutori di precedenti anticipazioni rimaste insolute (circostanza come detto non dimostrata), essi non rientrerebbero nel periodo sospetto contemplato dall’art. 67, comma 2 l. fall. Venendo alle due rimesse sul conto corrente di cui viene chiesta declaratoria di inefficacia ex art. 67, comma 2 1. fall., va premesso che anche dopo la riforma della disciplina delle azioni revocatorie del 2005 mantiene rilievo la distinzione tra rimesse ripristinatorie della provvista e rimesse solutorie. La tesi contraria trova conforto soltanto nel riferimento di cui all’art. 67, comma 3 lett. b) l. fall., che come noto prevede un’ipotesi di non revocabilità, alle rimesse effettuate sul conto corrente bancario che non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria. La norma sembrerebbe riferirsi, quindi, ad una variazione contabile del conto corrente che prescinda dalla circostanza che la rimessa sia o meno intervenuta intra fido. Deve al contrario ritenersi che la natura solutoria della rimessa sia presupposto indispensabile della
481
Commenti
sua potenziale revocabilità, ulteriormente condizionata dalla consistenza e durevolezza della riduzione dell’esposizione debitoria. Le fattispecie di cui all’art. 67, comma 3 l. fall. non sono altro se non eccezioni al principio generale, da sempre esistente, della revocabilità dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, principio espresso dall’art. 67 comma 2, l. fall. Un corollario di quanto detto è che la rimessa non sia mai revocabile, anche qualora intervenga in assenza di linea di credito o oltre i limiti di disponibilità consentiti, quando sia accompagnata da una contestuale uscita per importo corrispondente che sia legata teleologicamente all’entrata (cd. rimessa bilanciata). La prima delle due rimesse di cui si chiede la revocatoria, eseguita in data 1.9.06 per l’importo di euro 3.611,24, è accompagnata dall’addebito, nella stessa data e per la stessa causale, dell’importo di euro 4.120,20. Deve pertanto concludersi nel senso della sua non revocabilità, sia che la si voglia considerare bilanciata, come sostiene la banca convenuta, sia che la si consideri, recependo le conclusioni della c.t.u., come “... componente algebrica di una medesima operazione, recante un accredito e un contestuale addebito”. Quanto invece alla seconda rimessa, intervenuta in data 19.09.06 per l’importo di euro 49.600,00, essendo successiva all’1.6.06, data in cui la banca ebbe a revocare formalmente gli affidamenti concessi a EL s.r.l. (vedi in proposito l’elaborato del c.t.u.), essa ha natura di atto
482
estintivo di debito liquido ed esigibile. In quanto tale la sua inefficacia è subordinata al fatto che abbia ridotto in misura consistente e durevole l’esposizione debitoria della fallita. Quanto alla durevolezza della diminuzione dell’esposizione debitoria del fallito, va premesso che non paiono sostenibili né la tesi che finisce per ravvisarlo nella sola ipotesi in cui la rimessa non sia più seguita da ulteriori operazioni di addebito in conto corrente, né quella che individua il requisito in negativo, rispetto all’ipotesi della rimessa cd. bilanciata. Infatti la prima interpretazione finirebbe per limitare la sfera di applicazione della norma al solo caso in cui il versamento rappresenti un (integrale o parziale) definitivo rientro. L’operazione ermeneutica non è autorizzata da alcun elemento normativo e non v’è dubbio che, se tale fosse stato l’intento del legislatore, l’esplicitazione della regola sarebbe stata doverosa. La seconda delle due viste tesi, a sua volta, non tiene conto che dalla previsione del requisito della durevolezza non possa che derivare la necessità di un quid pluris rispetto all’assenza del bilanciamento delle operazioni sul conto corrente. Se così non fosse, infatti, la conseguenza sarebbe l’inutilità dell’introduzione del requisito in parola. Tale elemento in più va quindi individuato nell’apprezzabile stabilità, nel tempo, dell’effetto solutorio. Nell’interpretazione del significato dell’aggettivo durevole, quindi, va cercato un punto di equilibrio tra le viste due impostazioni teoriche,
Tribunale di Bergamo
che sfocia nel concetto di stabilità nel tempo dell’effetto solutorio e si risolve nel ritenere che soltanto il versamento (con effetto riduttivo consistente) che non venga compensato da successivi prelevamenti (non necessariamente di importo corrispondente, ma anche superiore, o inferiore ma non tale da ridurre il ripianamento al di sotto dell’individuata soglia di “consistenza”), abbia l’effetto di determinare la durevole riduzione dell’esposizione debitoria. Nella determinazione del periodo successivo rilevante ai detti fini, deve essere fatto ricorso, necessariamente, ad un criterio relativo e non assoluto, dipendente dalla valutazione della frequenza delle movimentazioni del conto. È infatti innegabile che lo stesso periodo possa avere una rilevanza diversa se riferito ad un conto caratterizzato da un’intensa movimentazione o piuttosto ad un conto con movimentazioni occasionali. Ne deriva che qualche giorno di stabilità sarà sufficiente solo in presenza di un conto con rimesse e prelevamenti infra giornalieri, non nell’ipotesi in cui il conto sia caratterizzato da movimentazioni più rarefatte (così Trib. Milano, 27 marzo 2008, in Fall., n. 10/08, 1213). Ciò premesso in linea teorica, va per vero evidenziato come nel caso di specie nessun dubbio possa sussistere quanto alla durevolezza del rientro determinato dal versamento in questione, dal momento che quest’ultimo intervenne su un conto corrente ormai privo di operatività e lasciato acceso soltanto per consentire il rientro dal debito in essere (in proposito vedi anche gli accer-
tamenti del consulente tecnico d’ufficio). Delle diverse fattispecie in astratto prospettabili, pertanto, si è realizzata quella in cui la rimessa non sia stata seguita da ulteriori operazioni di addebito in conto corrente, ipotesi che nessuna tesi potrebbe mai escludere da quelle rientranti nella previsione di revocabilità. Meno scontata è la qualificazione della rimessa come consistente. Per stabilire quale sia la soglia oltre la quale la restituzione alla banca possa dirsi consistente, deve escludersi che sia possibile riferirsi ad un criterio quantitativo assoluto, che prescinda cioè dagli elementi caratterizzanti la fattispecie concreta. La premessa pare difficilmente contestabile, rispondendo ad una regola interpretativa imperniata sul buon senso e sulla considerazione, in apparenza convincente, secondo cui la revocabilità in concreto di un atto potenzialmente pregiudizievole per la massa dei creditori va necessariamente fatta dipendere dalla sua idoneità a ledere la par condicio in misura apprezzabile e non trascurabile. Tuttavia, se l’intento del legislatore fosse davvero soltanto quello di escludere dall’ambito di applicazione della norma di cui all’art. 67, comma 2 l. fall. quelle operazioni che non siano idonee, da un lato a depauperare il patrimonio del fallito in maniera significativa, dall’altra a compromettere in misura altrettanto significativa il diritto dei creditori concorsuali ad un soddisfacimento imparziale, la revocabilità potrebbe essere esclusa anche in presenza di rimesse per importi rilevanti, in
483
Commenti
ragione dell’entità complessiva del dissesto, ove quest’ultima sia tale da ridurre l’impatto pregiudizievole della rimessa sulla singola posizione creditoria concorsuale. In altri termini, l’entità del dissesto finirebbe per condizionare, dall’esterno, la revocabilità della rimessa, il che non pare accettabile, pur considerando l’indubbia indeterminatezza del criterio normativo. Più corretto deve quindi ritenersi che il legislatore abbia voluto tutelare la banca rispetto ad obblighi restitutori eccessivi, ed abbia espresso tale esigenza di contenimento sia con la previsione della necessaria consistenza (e durevolezza) della rimessa, sia con la norma di chiusura di cui all’art. 70, comma 3 l. fall., che limita l’obbligo restitutorio alla differenza tra la massima esposizione debitoria nel semestre sospetto e quella cristallizzata al momento di apertura del concorso dei creditori del correntista. Per escludere la revocabilità della rimessa è pertanto necessario riferirsi esclusivamente a parametri interni al rapporto (di conto corrente) in essere tra banca e correntista poi dichiarato fallito. Ne consegue un inevitabile ampio spettro di criteri utilizzabili dal giudice, la cui discrezionalità si rivela inevitabilmente ampia. Tali parametri possono essere integrati dall’entità massima dell’esposizione debitoria del conto corrente nel semestre antecedente al fallimento, dall’entità media delle rimesse (ed eventualmente anche dei prelevamenti) sul conto, nel periodo sospetto o nel periodo immediatamente antecedente al semestre,
484
dall’ammontare dell’esposizione debitoria nel momento in cui la rimessa della cui consistenza si tratta è stata effettuata, infine dall’importo massimo di cui possa essere chiesta la restituzione, così come individuato applicando il principio di cui all’art. 70, u. co. l. fall. Nel caso di specie deve ritenersi funzionale alla necessità di valutare la consistenza della rimessa di euro 49.600,00 sia il riferimento all’importo massimo revocabile ex art. 70, terzo comma l. fall., ammontante ad euro 48.622,05, sia il riferimento alla media delle rimesse intervenute sul conto nell’ultimo periodo di movimentazione fisiologica, prima che, in data 1.6.06, intervenisse la revoca degli affidamenti da parte della banca. Tale media è stata individuata dal c.t.u., con riguardo al periodo 1.12.05 - 31.5.06, nella somma di euro 31.340,43. Quale che sia il parametro utilizzato, deve pertanto ritenersi che la rimessa in questione sia, oltre che durevole, per le ragioni suesposte, anche certamente consistente. Dalla sua inefficacia, peraltro, discende un obbligo restitutorio della banca corrispondente alla somma di euro 48.622,05 (il consulente tecnico d’ufficio ha accertato che tale è la differenza tra il massimo scoperto di conto nel semestre antecedente al fallimento, pari ad euro 69.582,66 ed il saldo negativo del conto al momento dell’apertura del concorso, pari ad euro 20.960,61), previa necessaria applicazione alla fattispecie della norma di cui all’art. 70, comma terzo l. fall. Va in proposito precisato che la norma va considerata nella formu-
Tribunale di Bergamo
lazione antecedente al decreto legislativo n. 169/07, dal momento che il fallimento di El. s.r.1. risulta essere stato dichiarato anteriormente al 1° gennaio 2008, data a partire dalla quale sono applicabili le norme del cd. decreto correttivo. Peraltro, anche nel vigore della norma non ancora corretta (che si riferiva alla revoca di atti estintivi di rapporti continuativi o reiterati e non ancora, come dopo la correzione, alla revoca di atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario o comunque rapporti continuativi o reiterati) era considerata certa la vigenza del principio secondo cui il l’accipiens non potesse essere condannato a restituire una somma superiore all’entità del complessivo rientro verificatosi all’interno del periodo sospetto. L’integrazione della norma scaturita dal d.lgs. n. 169/07 va quindi considerata nulla più che una miglior esplicitazione, da parte del legislatore, del principio che esclude che la banca sia tenuta a restituire un importo che sia integrato dalla sommatoria delle singole rimesse di natura solutoria considerate revocabili, ove tale importo ecceda l’entità del complessivo rientro. Per le ragioni esposte devono essere rigettate la domanda formulata dal fallimento ex art. 67, comma 1, n. 2 l. fall. e quella ex art. 67, comma 2 l. fall. riferita alla rimessa di euro 3.611,24 (la quale tra l’altro, sulla base di quanto testè esposto, non avrebbe il requisito della consistenza). Deve invece essere dichiarata, con effetto costitutivo, l’inefficacia del pagamento integrato dalla
rimessa eseguita in data 19.9.06 per l’importo di euro 49.600,00 in favore di Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a., che deve essere conseguentemente condannata, in applicazione del principio di cui all’art. 70, u. co. l. fall., a restituire alla curatela del fallimento EL s.r.l. la complessiva somma di euro 48.622,05, maggiorata degli interessi al tasso legale, da calcolarsi dalla data della domanda sino al saldo, e non già della maggior somma ex art. 1224, comma 2 c.c., così come richiesto dal fallimento attore. È noto, infatti, che l’azione ex art. 67 l. fall. ha natura costitutiva e non dichiarativa, inerendo ad atti o negozi legittimi ed efficaci nel momento in cui vengono posti in essere o conclusi. Ne discende che il debito restitutorio conseguente all’accoglimento dell’azione ha natura di debito di valuta e non di debito valore, e che gli interessi da riconoscersi (nella misura legale) debbano decorrere dalla data di presentazione della domanda giudiziale. Quanto alle spese processuali, poiché la soccombenza della banca convenuta è limitata alla domanda di revocatoria ex art. 67, comma 2 l. fall. della seconda delle due rimesse indicate dal fallimento, esse vanno compensate nella misura di tre quarti e Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a. va condannata a rifondere il restante quarto al fallimento El. s.r.l., secondo quanto liquidato in dispositivo. Le spese della consulenza tecnica d’ufficio vanno invece poste definitivamente a carico di entrambe le parti in via solidale, stante la funzionalità degli accertamenti svolti sia alle
485
Commenti
domande attoree sia alle eccezioni della parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Bergamo, definitivamente pronunciando, rigettata e/o disattesa ogni diversa domanda o eccezione, così provvede: 1) dichiara l’inefficacia del pagamento integrato dalla rimessa eseguita in data 19.9.06 per l’importo complessivo di euro 49.600,00 in favore di Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a.; 2) conseguentemente, in applicazione della norma di cui all’art. 70, u. co. l. fall., condanna quest’ultima a restituire alla curatela del fallimen-
to El. s.r.l. la minor somma di euro 48.622,05, maggiorata degli interessi al tasso legale, da calcolarsi dalla data della domanda sino al saldo; 3) compensa le spese processuali nella misura dei tre quarti e condanna Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a. al pagamento, in favore del fallimento El. s.r.1., del restante quarto, liquidato in complessive euro 3.600,00 per compensi e spese, oltre a rimborso forfettario, IVA e c.p.a. come per legge. 4) pone definitivamente a carico di entrambe le parti, in via solidale, le spese della consulenza tecnica d’ufficio. (omissis).
(1-4) A. Continua a porsi in giurisprudenza il problema se sia tuttora operante, rispetto al nuovo art. 67, co. 3, l. fall. la tradizionale distinzione fra rimesse aventi carattere ripristinatorio, in quanto affluite su un conto corrente assistito da apertura di credito e semplicemente passivo, e quindi non revocabili, e rimesse aventi carattere solutorio, in quanto affluite su un conto non assistito da apertura di credito e scoperto, e quindi revocabili. La sentenza in rassegna ha risolto affermativamente il problema; e nello stesso senso si sono pronunziati, fra gli altri, Trib. Milano, 27 marzo 2008 (in Foro it., 2008, I, 1947; Fallimento, 2008, 1213, con nota di Arato, I primi orientamenti sulla revocatoria delle rimesse bancarie dopo la riforma della legge fallimentare; Dir. banc., 2009, I, 92, con nota di Nigro, La revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente fra insipienza del legislatore e fantasia dei giudici) e 21 luglio 2009 (in Dir. fall., 2010, II, 339, con nota di Rebecca e Sperotti), redatte entrambe dal medesimo estensore di quella qui pubblicata; Trib. Messina, 31 marzo 2011 (in Giur. merito, 2011, con nota di D’Orazio); Trib. Udine, 16 aprile 2012 (in Fallimento, 2012, 963, con nota di Guglielminucci, Revocatoria delle rimesse e scopertura del conto corrente), peraltro in obiter dictum. L’opinione dominante è, comunque, nel senso che la distinzione risulti del tutto superata e priva di rilievo nell’ambito della nuova disciplina. Così, fra gli altri, Trib. Milano, 25 maggio 2009 (in Dir. banc., 2009, I, 447), nonché, implicitamente, Trib. Monza, 3 settembre 2008 (in Dir.
486
Nota redazionale
banc., 2009, I, 91, con la nota di NIGRO sopra cit.); Trib. Udine, 24 settembre 2010 (in Giur. comm., 2012, II, 847, con nota di Prestipino, Presupposti e limiti della nuova revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario); Trib. Udine, 24 febbraio 2011 (in Fallimento, 2011, 688, con nota di Patti, Rimesse in conto corrente bancario: da una concezione atomistica ad una più realistica); Trib. Ferrara, 14 maggio 2012 [2 sentenze], in Dir. fall., 2012, II, 644, con nota di Sperotti, Revocatoria delle rimesse bancarie: due recenti sentenze del tribunale di Ferrara. In dottrina v. Nigro, La revocatoria, cit. e Arato, Primi orientamenti, cit., ove ulteriori riferimenti. B. Con riferimento alla seconda massima possiamo qui ricordare, da un lato, Cass., 13 febbraio 2013, n. 3507, in Foro it., Rep. 2013, voce Fallimento, n. 381, per la quale, qualora, tramite un’operazione di giroconto, la somma erogata in via di anticipazione da una banca su un conto corrente di corrispondenza, a fronte della rimessa di effetti salvo buon fine da parte del cliente, venga riaccreditata su altro conto corrente scoperto del medesimo cliente, l’operazione non assume natura puramente contabile, ma funzione satisfattoria, venendo l’accreditamento utilizzato ad estinzione dello scoperto, con la conseguenza che la rimessa è soggetta a revocatoria fallimentare; né rileva, in senso contrario, che le anticipazioni siano avvenute a fronte dello sconto di effetti non andati a buon fine, trattandosi, anche in questo caso, di somme erogate dalla banca su di un apposito conto, poi confluite sul conto corrente scoperto per ridurne l’esposizione. E, dall’altro, l’orientamento della giurisprudenza per il quale costituisce mezzo anormale di pagamento di debiti scaduti ed esigibili, e come tale revocabile ai sensi dell’art. 67, co. 1, n. 2 l. fall., il contratto di mutuo destinato al ripianamento di passività a breve nei confronti della stessa banca, con novazione dell’obbligazione non più chirografaria, ma assistita da ipoteca (in argomento v. Giur. banc., 18, Milano, 2005, p. 236).. C. Tra i profili maggiormente critici della nuova disciplina della revocatoria fallimentare delle rimesse vi è certamente quello della individuazione dei requisiti della “consistenza” e della “durevolezza” della riduzione della esposizione debitoria, dalla cui presenza dipende la revocabilità delle rimesse. La giurisprudenza sul tema continua, in mancanza di appigli normativi affidabili, a procedere letteralmente “a tentoni”, con risultati che lasciano a dir poco insoddisfatti. Questo è da dire per la pronunzia in rassegna. Essa – riproponendo sostanzialmente gli itinerari argomentativi seguiti nelle sentenze 27 marzo 2008 e 21 luglio 2009 del Tribunale di Milano, prima ricordate e dovu-
487
Commenti
te del resto, come si è già detto, al medesimo estensore – ha incentrato la decisione sulla considerazione del carattere relativo di entrambi i requisiti e sulla necessità di tenere conto, nel loro accertamento, di tutti gli elementi concreti della fattispecie, pervenendo alla conclusione che solo una delle rimesse di cui era stata chiesta la revoca possedesse entrambi i requisiti. Il fatto è che, da un lato, le premesse da cui ha preso le mosse il giudice milanese sono in sé discutibili (non si comprende perché non si possa fissare un parametro di “consistenza” o di “durevolezza” in termini assoluti; non si capisce perché debbano avere rilevanza elementi come, per esempio, la frequenza delle rimesse); e, dall’altro, è mancato ancora una volta qualsiasi approfondimento e precisazione convincenti dei criteri con i quali appunto si debba o si possa tener conto di quegli elementi concreti. Con esiti, allora, totalmente arbitrari. Ma lo stesso è da dire anche per le altre (non molte) sentenze che hanno affrontato il tema. Così per Trib. Milano, 25 maggio 2009, cit., il quale, in punto di “consistenza”, ha determinato l’importo medio delle rimesse ed il saldo medio del conto dopo le singole rimesse; ha stabilito, attraverso il rapporto fra quei due dati, l’incidenza media delle rimesse sul saldo; ha infine qualificato come “consistenti” le rimesse che di volta in volta avessero ridotto il saldo in misura superiore all’incidenza media. E, in punto di “durevolezza”, ha determinato la giacenza media delle rimesse senza successivi utilizzi e ha qualificato come rimesse (anche) “durevoli” quelle fra le rimesse consistenti che avessero fatto registrare una giacenza senza utilizzi per un periodo pari o superiore a quella media. Così, per Trib. Monza, 3 settembre 2008, cit., il quale, da un lato, ha escluso che, per verificare se la riduzione è “consistente” (da intendere, si precisa, come “rilevante”, “non trascurabile”), si possa adottare un parametro assoluto (ritenuto non ragionevole); ha affermato che la consistenza «non può che essere logicamente proporzionata alla esposizione esistente ed alla capacità percentuale di soddisfo che rappresenta sul totale del credito», aggiungendo essere «ragionevole, oltre che razionale, che tra i parametri da adottare vi debba e vi possa essere anche la precedente condotta delle parti in ordine all’entità delle rimesse effettuate, per cui anche il versamento di una somma più elevata di quelle che per singola operazione transitavano di regola sul conto, può apparire dotata di consistenza avendo quale riferimento relativo appunto il pregresso uso del conto»; ha ritenuto sussistente nel caso concreto il requisito della consistenza, posto in particolare che le rimesse (nella specie: rate di un piano di rientro) comportavano ogni volta «una riduzione del 7%, percentuale crescente». E, dall’altro, ha ritenuto che il termine durevole esprima «una
488
Nota redazionale
diversità evidente rispetto al termine permanente (con il quale si reputa che non possa coincidere se non eccezionalmente), ma presuppone il decorso di un apprezzabile periodo di tempo». Così, per Trib. Udine 24 settembre 2010, cit., che, da un lato, ha ritenuto “consistente” la riduzione conseguente alla rimessa oggetto nella specie della domanda del curatore in base al confronto della stessa con i movimenti del conto (si è affermato che essa superava «le normali oscillazioni del livello di utilizzazione del fido») e con la consistenza dell’affidamento; dall’altro, ha ritenuto sussistere il requisito della “durevolezza” in quanto alla rimessa non erano seguite normali operazioni di addebito ed accredito in favore di terzi, che ne avessero determinato il “riassorbimento”, bensì addebiti derivanti dalla contabilizzazione sul conto di crediti della banca di norma regolati su conti separati, nel quadro di un disegno complessivo di rientro da parte del correntista (in senso analogo anche Trib. Udine, 24 febbraio 2011, cit.). Così, per Trib. Ferrara, 14 maggio 2012 [2 sentenze], cit., il quale ha affermato che «il dato della diminuzione consistente e durevole dell’esposizione debitoria non può che ricavarsi dalla disamina della dinamica delle rimesse complessivamente considerate nel periodo di osservazione, avuto riguardo alla media dei saldi» e che tale criterio «pur scontando un imprescindibile apporto empirico reso necessario dalla mancata specificità del dato normativo…è idoneo a dar conto, in maniera soddisfacente e adeguatamente appagante, della visione complessiva del rapporto (e non atomistica delle singole rimesse) che l’espressione del legislatore pare evocare». D. Uno dei più rilevanti nodi problematici che la nuova disciplina della revocatoria delle rimesse in conto corrente prospetta concerne il coordinamento fra l’art. 67, co. 3, lett. b) e l’art. 70, co. 3. Nodo che si pone perché i due criteri da tali disposizioni previsti, ove valutati indipendentemente l’uno dall’altro, parrebbero rispondere a logiche diverse (basandosi quello dell’art. 70 su di una considerazione complessiva del rapporto in cui gli atti estintivi si inseriscono e quello dell’art. 67 su di una considerazione atomistica delle singole rimesse) e, ove applicati indipendentemente l’uno dall’altro, parrebbero poter portare ad esiti diversi. L’unica ricostruzione possibile del rapporto fra le due disposizioni parrebbe essere quella che attribuisce all’art. 70 la funzione di delimitare l’ambito di operatività dell’art. 67, lett. b), sul piano degli effetti, scindendo dunque il piano della pronuncia di revoca (che riguarderebbe tutte le rimesse che abbiano determinato una riduzione consistente e durevole dell’esposizione debitoria) e quello dell’obbligazione restitutoria
489
Commenti
(da circoscrivere entro il limite della differenza). E proprio questa ricostruzione – che solleva peraltro non poche perplessità: da un lato, essa comporta una forzatura del tenore letterale dell’art. 70, il quale pone sì un limite alla obbligazione restitutoria, ma un limite che è al tempo stesso massimo e minimo; dall’altro, introduce una scissione fra pronunzia di inefficacia e obbligazione restitutoria che non ha precedenti nel nostro sistema e che non sembra con esso compatibile – risulta accolta dalla sentenza in rassegna (ed era stata accolta anche da Trib. Milano, 27 marzo 2008, cit. e 21 luglio 2009, cit.; da Trib. Monza, 3 settembre 2008, cit.; da Trib. Udine, 24 settembre 2010, cit., e 24 febbraio 2011, cit.). [Nota redazionale]
490
Anticipazione su crediti, concordato preventivo e art. 169bis l. fall. I TRIBUNALE DI MILANO, decreto 18 maggio 2014; Pres. est. Lamanna; soc. X s.p.a. Concordato preventivo – Domanda di concordato “in bianco” – Contratti bancari in corso di esecuzione – Istanza di autorizzazione dello scioglimento – Inammissibilità – Istanza di autorizzazione della sospensione – Ammissibilità (L. fall., art. 169-bis) Concordato preventivo – Contratti in corso di esecuzione – Nozione (L. fall., art. 169-bis) Concordato preventivo – Contratti in corso di esecuzione – Anticipazione su crediti con mandato all’incasso e patto di compensazione – Autorizzazione alla sospensione del mandato all’incasso non ancora eseguito – Possibilità (L. fall., art. 169-bis) In sede di domanda di concordato “in bianco” è inammissibile l’stanza di autorizzazione dello scioglimento dei contratti in corso di esecuzione, mentre è ammissibile l’istanza di autorizzazione della sospensione di tali contratti. (1) Ai fini dell’applicazione dell’art. 169-bis l. fall. la nozione di contratti in corso di esecuzione corrisponde alla nozione di contratti pendenti estraibile dall’art. 72 della stessa legge. (2) Nel caso di anticipazione su crediti con mandato all’incasso e patto di compensazione può essere autorizzata, ai sensi dell’art. 169-bis l. fall., la sospensione del mandato all’incasso non ancora eseguito. (3)
491
Commenti
II CORTE D’APPELLO DI GENOVA, decreto 10 febbraio 2014; Pres. BoEst. Caiazzo; Banca Carige ed altri c. Meccanocar s.r.l.
navia,
Concordato preventivo – Domanda di concordato “in bianco” – Contratti bancari in corso di esecuzione – Istanza di autorizzazione dello scioglimento – Ammissibilità (L. fall., art. 169-bis) Concordato preventivo – Contratti in corso di esecuzione – Nozione (L. fall., art. 169-bis) Concordato preventivo – Contratti in corso di esecuzione – Anticipazione su crediti con mandato all’incasso e patto di compensazione – Autorizzazione dello scioglimento - Possibilità (L. fall., art. 169-bis) Concordato preventivo – Contratti in corso di esecuzione – Scioglimento – Autorizzazione - Decorrenza degli effetti (L. fall., art. 169-bis) In sede di domanda di concordato “in bianco” è ammissibile l’stanza di autorizzazione sia dello scioglimento sia della sospensione dei contratti in corso di esecuzione. (4) Ai fini dell’applicazione dell’art. 169-bis l. fall. la nozione di contratti in corso di esecuzione è più ampia di quella di contratti pendenti estraibile dall’art. 72 della stessa legge e quindi comprende anche l’ipotesi in cui una sola delle parti debba ancora adempiere integralmente. (5) Può essere autorizzato, ai sensi dell’art. 169-bis l. fall., lo scioglimento dell’anticipazione su crediti con mandato all’incasso e patto di compensazione. (6) Nel caso che venga autorizzato, ai sensi dell’art. 169-bis l. fall., lo scioglimento di un contratto in corso di esecuzione, gli effetti dello scioglimento decorrono dalla data della sua comunicazione alle controparti interessate. (7)
492
Tribunale di Milano
III CORTE D’APPELLO DI BRESCIA, decreto 19 giugno 2013; Pres. BiEst. Spina; Intesa San Paolo c. Bergamo Isolanti s.p.a.
tonte,
Concordato preventivo – Domanda di concordato “in bianco” – Contratti bancari in corso di esecuzione – Istanza di autorizzazione della sospensione – Inammissibilità (L. fall., art. 169-bis) Concordato preventivo – Anticipazione su crediti con mandato all’incasso e patto di compensazione - Prosecuzione del rapporto durante la procedura – Riscossione dei crediti – Diritto della banca di procedere alla compensazione – Sussiste (L. fall.. art. 167, 168, 169) In sede di domanda di concordato “in bianco” è inammissibile l’istanza di autorizzazione della sospensione dei contratti in corso di esecuzione. (8) Stipulata una convenzione di anticipazione su crediti contenente un mandato all’incasso ed il c.d. patto di compensazione, ove venga aperta nei confronti del cliente la procedura di concordato preventivo, la banca ha diritto di procedere alla compensazione del suo credito anteriore con le somme che riscuota successivamente in esecuzione del mandato. (9) I (Omissis) Il Tribunale, Visto il ricorso con cui la società XXX s.p.a. ha proposto domanda ex art. 161, comma 6, l.f., riservandosi di presentare entro un assegnando termine una proposta definitiva di concordato preventivo (con il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo di tale norma) o una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione dei debiti; Preso atto che la Cancelleria ha provveduto tempestivamente a chiedere la pubblicazione della domanda nel Registro delle imprese e l’ha tra-
smessa al P.M. in sede, e che la ricorrente ha prodotto i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi ed un’aggiornata visura camerale; Ritenuto – che da tale documentazione emerga la sussistenza del presupposto soggettivo di fallibilità e di quello oggettivo della ricorrenza di uno stato di crisi richiesti per l’accesso alle procedure di concordato preventivo e/o di omologa di accordi ristrutturazione dei debiti, nonché la competenza di questo Tribunale a decidere sulla domanda in ragione del Comune ove è ubicata la sede principale della ricorrente, essendo esso ricompreso nel circondario del Tribunale di Milano;
493
Commenti
- che sia stata altresì dimostrata la sussistenza dei poteri dell’organo amministrativo ai fini della proposizione della domanda; - che possa dunque accogliersi la richiesta di concessione di termine, da fissare in concreto, alla luce del tenore della domanda e di quanto emergente dalla documentazione allegata, come indicato in positivo; - che in base alla concreta situazione patrimoniale e finanziaria emergente dalla documentazione contabile prodotta (tenuto conto del fatto che l’azienda è stata affittata in data 24.04.2014 senza un adeguato diritto di ispezione, a dispetto della clausola 10.4), sia opportuno disporre sia la nomina di un commissario giudiziale ai sensi dell’art. 161, comma 6, come modificato dal d.l. n. 69/2013, con la conseguente fissazione di una cauzione per le spese di procedura; sia gli specifici obblighi informativi periodici di cui al comma 8 della citata disposizione, per brevità indicati direttamente in dispositivo; Vista l’istanza con cui la società XXX ha chiesto sospendersi ovvero sciogliersi da nove contratti bancari e precisamente: 1. contratto di finanziamento ipotecario con Mediocredito Lombardo s.p.a. anno 2000; 2. contratto di finanziamento ipotecario con Mediocredito Italiano s.p.a. anno 2010; 3. contratto di mutuo chirografario con Intesa Sanpaolo s.p.a. anno 2009; 4. contratto di finanziamento chirografario con BPM s.p.a. anno 2010; 5. contratto di finanziamento chirografario su fondi B.E.I. con BPM s.p.a. anno 2010; 6. contratto di finanziamento chi-
494
rografario con BPM s.p.a. anno 2000; 7. contratto di “concessione di fido”, qualificabile come anticipazione su presentazione di carta commerciale con BPM s.p.a. anno 2012; 8. contratto di apertura di credito con UBI BANCA s.p.a. anno 2012, che il ricorrente assume essere stato risolto in data 3.04.3014 (benché non sia in atti la comunicazione di revoca); 9. contratto di “apertura di credito”, ascrivibile anch’esso al tipo dell’anticipazione su presentazione di carta commerciale con Intesa Sanpaolo anno 2010; Considerato che l’istante ha dato notizia alle controparti contrattuali dell’istanza di sospensione/scioglimento, dando prova dell’intervenuta comunicazione della stessa e che nel termine concesso non sono pervenute osservazioni dalle medesime controparti contrattuali; Osserva quanto segue. 1. – Va osservato preliminarmente come l’istanza di scioglimento ex art. 169-bis l.f. di qualunque contratto, proposta in sede di domanda di concordato ex art. 161, comma 6, l.f., non è ammissibile, non essendo conciliabile la fluidità della domanda concordataria, reversibile e declinabile all’esito del termine concesso anche quale proposta di accordo di ristrutturazione, nonché non vincolante quanto alla sua formulazione (che, in sede di domanda di concordato, consiste in una mera prospettazione) con la stabilizzazione e l’irreversibilità degli effetti che lo scioglimento comporta nei confronti delle controparti contrattuali. 2. – Diversamente è ammissibile durante la fase cd. preconcordataria una domanda di sospensione dei contratti pendenti.
Tribunale di Milano
2.1. – Preliminare alla soluzione di tale questione è, peraltro, la questione se la nozione di contratti pendenti nel concordato preventivo è sovrapponibile a quella di contratti pendenti nel fallimento. Benché la questione sia, allo stato, controversa nella giurisprudenza di merito, questo ufficio ritiene che le due nozioni tendano a coincidere, ritenendosi pendenti i contratti (che, quindi, proseguono in sede concordataria) negli stessi termini in cui gli stessi sarebbero soggetti alla disciplina dei contratti pendenti ex art. 72 l.f. Non è difatti decisiva la circostanza secondo cui le due disposizioni (artt. 72 e 169-bis) hanno diversa formulazione letterale (l’art. 169-bis si riferisce ai “contratti in corso di esecuzione” e l’art. 72 ai contratti ineseguiti). La norma dell’art. 69-bis ha voluto fare applicazione della disciplina dei contratti pendenti, propria storicamente della sede fallimentare e disciplinata dagli artt. 72 e ss., alla materia concordataria. La differente operatività della disciplina dei contratti pendenti, tale come individuata nel fallimento, nel concordato rispetto al fallimento è data dalla prosecuzione dei contratti nel concordato (salvo che il debitore in c.p. ne chieda lo scioglimento/sospensione) diversamente che nel fallimento (dove i rapporti sono generalmente sospesi, salve le norme speciali previste nella legge fallimentare), posto che la prosecuzione del contratto è coessenziale allo stato di spossessamento attenuato dell’imprenditore concordatario. Alla conclusione secondo cui nel concordato i contratti pendenti sono tali negli stessi termini in cui lo sono nel fallimento induce, inoltre, il rinvio recettizio dell’art. 169-bis ad alcune specifiche norme previste in materia di
contratti pendenti nel fallimento. La conclusione che deve trarsi è, pertanto, che un contratto può essere pendente nel concordato se è pendente anche nel fallimento e, quindi, solo se si tratta di contratto a prestazioni corrispettive in cui le prestazioni siano ineseguite da entrambe le parti. Se, diversamente, il contratto è stato eseguito da una sola delle parti, lo stesso genera un debito (concorsuale), oppure un credito (della massa dei creditori). Sono, quindi, pendenti i contratti con riferimento alle prestazioni non ancora eseguite e da eseguire successivamente alla apertura della procedura concordataria, per cui può ritenersi che la sospensione opera per i contratti pendenti a termini dell’art. 72 l.f. con riferimento alle prestazioni di tali contratti che siano ancora “in corso di esecuzione” all’atto dell’apertura della procedura concordataria. 2.3. – Posta la questione in tali termini, deve ritenersi che non possono considerarsi pendenti i contratti a prestazioni unilaterali in cui una delle parti abbia già eseguito la propria prestazione e dal contratto residuino solo crediti o debiti, come nel caso dei contratti di mutuo – finanziamento sub nn. 1 – 6, in quanto ove tali contratti venissero considerati come pendenti si violerebbe la cristallizzazione dell’attivo concordatario e il divieto di compensazione tra crediti e debiti (artt. 169, 56 l.f.) che la proposizione della domanda di concordato impone. I contratti di finanziamento/mutuo devono, quindi, considerarsi fonte di debito concorsuale per la massa dei creditori scaduti ex art. 55, comma 2, l.f. con il rispettivo grado di privilegio (ove sussistente). 2.4. – Analogamente non possono
495
Commenti
considerarsi pendenti i contratti che siano risolti in epoca precedente la proposizione della domanda di concordato (con esclusione del contratto sub n. 8, asseritamente risolto prima dell’apertura del concordato), perché non si dubita, neanche in sede fallimentare, che i contratti risolti, ovvero oggetto di recesso unilaterale ovvero ancora di scioglimento per mutuo dissenso non possano considerarsi pendenti ove il vincolo contrattuale sia venuto meno prima dell’apertura del concorso, non potendo il provvedimento giudiziale avere effetto retroattivo rispetto a un momento precedente l’apertura del concorso. 2.5. – La domanda di sospensione può, quindi, essere esaminata per i contratti sub 7, 9. Tali contratti, come sommariamente tratteggiato, costituiscono – a dispetto del nomen iuris utilizzato dalla banca – contratti di anticipazione bancaria conseguenti alla disponibilità della banca di accreditare carta commerciale del cliente (castelletto). Il contratto corrente con BPM fa espresso riferimento all’accredito proporzionale all’apporto di crediti autoliquidanti (“in ragione (…) dell’importo di fatture emesse (…) mediante accredito in c/c dei relativi incassi e/o credito a valere su ricevute bancarie (…) presentate sbf”): così come il contratto con Intesa Sanpaolo, benché denominato apertura di credito, genera accrediti al ricorrente in base e proporzionalmente all’accredito di fatture, con gestione dell’incasso del relativo credito verso il terzo cliente. I suddetti contratti di anticipazione bancaria si configurano come sottospecie del contratto di apertura di credito, accompagnati dalla prestazione di una garanzia e, soprattutto, dal-
496
la proporzionalità della somma posta a disposizione dall’istituto di credito rispetto alla garanzia prestata (Cass., Sez. I, 14 giugno 2000, n. 8089; Cass., Sez. I, 15 giugno 1974, n. 1753), oltre che dalla decorrenza di interessi passivi per ogni somma accredita al cliente, secondo lo schema finanziario del mutuo. A questa operazione di anticipazione del credito si accompagna, previo impegno della banca ad accettare in castelletto la carta commerciale, un obbligo della banca di riscuotere i crediti del cliente, rientrante nella categoria del contratto di mandato, spesso anche nell’interesse del mandatario (come nel caso del contratto sub 9: punto 5.2.), cui accede solitamente una clausola di compensazione tra incasso del credito (come nel caso del contratto sub 9: punto 7.7) e preesistente debito del cliente. 2.6. – La sospensione del rapporto ai sensi dell’art. 169-bis l.f. non gioca negli stessi termini per le operazioni di accredito già effettuate, rispetto a quelle future. Per le operazioni di anticipazioni future deve rilevarsi una carenza di interesse del ricorrente a chiedere la sospensione del rapporto. Se, difatti, la sospensione ha l’effetto di impedire temporaneamente la produzione degli effetti del contratto di anticipazione bancaria, il ricorrente ben potrà ottenere tale effetto canalizzando la propria carta commerciale presso altri istituti di credito, essendo la sola banca obbligata ad accreditare gli effetti in castelletto, ma certamente non anche il ricorrente. 2.7. – Per le operazioni di anticipazioni già effettuate, devono distinguersi le singole operazioni di anticipazione in quanto tali, effettuate nell’ambito del fido accreditato dalla banca per ef-
Tribunale di Milano
fetto della presentazione delle singole distinte di accredito, dalle operazioni di riscossione del credito per effetto del mandato per l’incasso conferito. 2.7.1. – Con riferimento alle operazioni di anticipazione già effettuate in epoca precedente il deposito della domanda non può predicarsi alcuna sospensione, posto che la singola anticipazione genera solo un debito del cliente verso la banca e deve ritenersi operazione esaurita all’atto dell’erogazione dell’anticipazione non diversamente da un contratto di mutuo, per il quale la sospensione non è predicabile per quanto supra 2.3. La preoccupazione del ricorrente di ottenere la sospensione di tali anticipazioni deriva, evidentemente, dalla impostazione secondo cui la banca potrebbe fare applicazione anche in sede concordataria della clausola di compensazione (Cass., Sez. I, 1° settembre 2011, n. 17999), orientamento contrario a quello più risalente del giudice di legittimità (Cass., Sez. 1, 7 maggio 2009, n. 10548; Cass., Sez. 1, 28 agosto 1995, n. 9030; Cass., Sez. I, 23 luglio 1994, n. 6870), condiviso quest’ultimo da questo ufficio, che ha ritenuto tale prassi in contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 56 l.f.: nel quel caso – ove si seguisse tale seconda interpretazione – non vi sarebbe per il ricorrente alcun interesse a chiedere la (non consentita) sospensione per le anticipazioni già concesse. 2.7.2. – Diversamente la questione della sospensione si pone per i mandati all’incasso in corso di esecuzione, che andrebbero a chiudere l’operazione di anticipazione con la riscossione del credito. Per tali attività (mandato per l’incasso, anche nell’interesse del mandatario) può operare la sospen-
sione di cui all’art. 169-bis l.f. Nel quel caso la sospensione opererà non per una sola parte, né limitatamente ad alcune clausole del rapporto di mandato, ma integralmente, impedendo non solo l’applicazione della clausola di compensazione ma nel suo complesso l’esecuzione del mandato per l’incasso (la maturazione dell’interesse si ferma invece, per i crediti chirografari, all’atto della apertura della procedura). Valuterà il ricorrente se avvalersi concretamente di tale strumento. 2.8. – La sospensione, in ogni caso, non può operare retroattivamente dal deposito dell’istanza (nel caso di specie, dalla domanda di concordato), ma dal provvedimento giudiziale, posto che la sospensione si impone autoritativamente alla controparte in bonis. P.Q.M. Visto l’art. 161, commi 6 e 8, l.fall.; 1. concede alla società ricorrente termine fino al 2.09.2014 per la presentazione di una proposta definitiva di concordato preventivo (con il piano e la documentazione completa di cui ai commi secondo e terzo di tale norma) o di una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione dei debiti; 2. nomina un commissario giudiziale nella persona della dr.ssa …, la quale dovrà vigilare sull’attività che la società ricorrente andrà a compiere fino alla scadenza del suddetto termine, riferendo immediatamente al Tribunale ogni fatto costituente violazione degli obblighi di cui agli artt. 161 e 173 l. fall. E degli altri obblighi sottoindicati; 3. rigetta l’istanza di scioglimento dei contratti; rigetta l’istanza di sospensione dei contratti sub nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8; accoglie, nei limiti di cui al punto 2.7.2. l’istanza di sospensione
497
Commenti
relativamente ai contratti sub nn. 7, 9, con decorrenza del presente decreto; 4. dispone che la ricorrente: 4.1. entro il termine di quindici giorni dall’avvenuta comunicazione del presente decreto depositi la somma di €. 14.000,00 presumibilmente necessaria per effettuare il pagamento del compenso dovuto al commissario giudiziale e per sostenere le altre eventuali spese del procedimento, effettuando il relativo versamento su un conto corrente intestato alla procedura da aprire presso la Banca Nazionale del Lavoro, nell’agenzia che ha sede in questo Tribunale; 4.2. allo scadere del 23.06.2014, del 23.07.2008, del 23.08.2008, depositi in cancelleria una situazione finanziaria aggiornata dell’impresa (che la Cancelleria dovrà provvedere a pubblicare sul Registro delle Imprese entro il giorno successivo), trasmettendone una copia al commissario giudiziale, cui dovrà anche inviare una breve relazione informativa ed esplicativa, redatta dal suo legale, sullo stato di predisposizione della proposta definitiva, nonché sulla gestione corrente, anche finanziaria, allegandovi l’elenco delle più rilevanti operazioni compiute, sia di carattere negoziale, che gestionale, industriale, finanziario o solutorio, di valore comunque superiore ad Euro 5.000,00, con l’indicazione della giacenza di cassa e delle più rilevanti variazioni di magazzino; il commissario giudiziale, esaminata tale documentazione, ne riferirà con motivata e sintetica relazione scritta al Tribunale solo ove ravvisi la violazione ad uno degli obblighi sotto indicati. A tal riguardo deve segnalarsi alla ricorrente: a) che non possono essere com-
498
piuti fino alla scadenza del termine atti di straordinaria amministrazione, se non previa autorizzazione del Tribunale e solo se ne siano documentati e motivati adeguatamente i caratteri di urgenza ed utilità; b) che non possono essere effettuati pagamenti di crediti anteriori per nessun motivo; c) che occorre la specifica e previa autorizzazione del Tribunale anche per sospendere o sciogliere contratti pendenti ex art. 169-bis, e per contrarre eventuali finanziamenti, fatti salvi gli ulteriori requisiti previsti dall’art. 182-quinquies l. fall.; d) che non devono comunque compiersi atti da considerarsi vietati ai sensi degli artt. 161, 169-bis, 173 e 182-quinquies l.fall.; e) che in caso di violazione di uno qualunque di tali obblighi la domanda verrà dichiarata improcedibile; f) che il Tribunale disporrà l’immediata abbreviazione del termine nel caso in cui emerga che l’attività compiuta sia manifestatamente inidonea alla predisposizione della proposta e/o del piano; g) che verrà considerato elemento dimostrativo di tale inidoneità – tra l’altro – anche il mancato deposito in termini della cauzione fissata da questo Tribunale; 6. dispone che la Cancelleria provveda tempestivamente a restituire al G.rel. il fascicolo del procedimento, unitamente ad eventuali fascicoli prefallimentari, non appena la ricorrente avrà depositato la documentazione su cui verte la riserva di successiva presentazione, ovvero, in caso di omesso deposito, alla scadenza del termine di cui sopra; nonché nei caso in cui il commissario giudiziale riferisca circa
Corte d’appello di Genova
la violazione degli obblighi sopra indicati. 7. manda alla cancelleria per le comunicazioni e gli altri adempimenti di rito. (Omissis) II (Omissis) Con ricorso ai sensi dell’articolo 161, 6° comma, l. fall., depositato il 24 maggio 2013, Meccanocar s.r.l. ha presentato domanda di concordato con riserva di deposito della proposta, del piano, della documentazione entro 120 giorni e con riserva di presentare domanda ex articolo 182 bis primo comma l. fall. Nel ricorso Meccanocar ha chiesto, ai sensi dell’articolo 169 bis l. fall., l’autorizzazione allo scioglimento dci contratti in corso con gli istituti di credito, previa sospensione degli stessi, onde poter destinare gli importi delle rimesse, che sarebbero pervenute alle banche, al finanziamento della prosecuzione dell’attività di impresa, così da salvaguardare i posti di lavoro e il valore dell’azienda. Il Tribunale ha accolto la domanda di sospensione e successivamente, con decreto in data 17 ottobre 2013, ha autorizzato la ricorrente a sciogliersi, con effetto dalla proposizione della domanda, dai contratti bancari in corso. Il ‘Tribunale, dopo aver dato atto dell’esistenza di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla possibilità di disporre lo scioglimento dei contratti in corso in caso di domanda di concordato preventivo con riserva e sulla possibilità che siano soggetti a scioglimento anche i contratti nei quali una parte
abbia eseguito la propria prestazione, ha adottato in relazione ad entrambe le questioni l’interpretazione meno restrittiva. Sul primo punto ha evidenziato che l’articolo 169 bis fa riferimento all’articolo 161 senza distinguere tra primo e sesto comma e ha ritenuto ininfluente, ai fini interpretativi, la circostanza che l’art.182 quinquies richiami invece espressamente il sesto comma dell’articolo 161, potendosi spiegare la differenza con l’esigenza di evitare i possibili dubbi interpretativi derivanti dalla pluralità di procedure cui lo stesso articolo 182 quinquies fa riferimento; ha ritenuto inoltre che alla luce della finalità dello scioglimento dei contratti, che è quella di favorire il buon esito della domanda dì concordato, non vi sia ragione per differenziare le due situazioni; ha ritenuto infine che non fosse insuperabile la prospettata contraddittorietà tra gli effetti provvisori di una domanda di concordato con riserva e la definitività dello scioglimento dei contratti, evidenziando che anche nell’ipotesi di domanda di concordato senza riserva si possono verificare casi di modifica, reiezione, mancata approvazione o rifiuto di omologa della proposta, tutte eventualità che non incidono sulla definitività dello scioglimento dei contratti. Sul secondo punto il Tribunale, rilevato che gli ultimi due commi dell’articolo 169 bis individuano in modo specifico contratti i cui non si applica la norma, ne ha dedotto che tutte le categorie di contratti, ad eccezione di quelli espressamente esclusi, sono suscettibili di scioglimento, non trovando nessun supporto nella
499
Commenti
lettera della legge la tesi per la quale la norma troverebbe applicazione solo ai contratti con prestazioni non eseguite da entrambe le parti. A sostegno della propria decisione ha evidenziato altresì che l’articolo 169 bis non richiama l’articolo 72; che l’articolo 169 bis, facendo salvo il solo contratto di finanziamento per un unico affare, è per ciò solo applicabile a tutti gli altri contratti di finanziamento, ivi compresi lo sconto bancario e le varie forme di anticipazioni sul fatture; che la norma parla di “contratti in corso di esecuzione” definizione diversa da quella contenuta nell’articolo 72. Ciò premesso ha ritenuto che l’operatività della norma dovesse escludersi solo nell’ipotesi di cessione di credito già perfezionatasi con la notifica al debitore o nell’ipotesi di sconto di cambiali in cui con la girata si sia realizzata la cessione o di sconto di tratte documentate, mentre dovessero essere assoggettata a scioglimento le anticipazioni bancarie su fatture o su ricevute bancarie o su presentazione di un certo portafoglio di ordini. Avverso il decreto hanno proposto separati reclami banca Carige S.p.A., Banca Monte dei Paschi dì Siena S.p.A. e Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A. I procedimenti sono stati riuniti. I primi due istituti hanno contestato l’ammissibilità dello scioglimento dai contratti in corso nell’ipotesi di domanda di concordato preventivo con riserva per ragioni sistematiche ed esegetiche ampiamente illustrate nei rispettivi reclami con riferimento anche ad una parte della giurisprudenza di merito che si è in tal senso pronunciata; entrambi
500
hanno inoltre contestato che potessero essere soggetti a scioglimento anche i contratti nei quali una delle parti avesse già eseguito la propria prestazione. Tutti i reclamanti hanno poi censurato i l decreto impugnato nella parte in cui ha stabilito essere sottratti allo scioglimento soltanto i contratti espressamente esclusi dall’articolo 169 bis, senza considerare l’operatività della cessione dei crediti nell’ambito dei rapporti di anticipazioni bancarie, nonché l’operatività del patto dì compensazione stipulato tra banca e cliente, dal quale deriva il diritto della banca a incamerare le somme riscosse, oggetto di anticipazioni. La Cassa di Risparmio di Volterra ha inoltre sostenuto che l’imposizione alla banca della restituzione dei pagamenti ricevuti dai terzi realizzerebbe un irragionevole sperequazione e uno sproporzionato vantaggio a favore del debitore in concordato con violazione del principio della buona fede. In via subordinata ha sostenuto che gli effetti dello scioglimento del contratto di anticipazioni bancarie dovrebbero decorrere non dalla proposizione dell’istanza, bensì dalla notifica della medesima alla banca. Si è costituita nella fase di reclamo Maccanocar srl, la quale ha sostenuto la legittimità e le fondatezza nel merito del provvedimento reclamato, illustrando le ragioni per le quali a suo giudizio le soluzioni date dal primo giudice alle varie questioni sollevate debbano essere condivise. Ha chiesto quindi la reiezione dei reclami. Il pubblico ministero a sua volta ha chiesto la conferma del provvedimento reclamato. Ciò premesso, sulla questione
Corte d’appello di Genova
dell’applicabilità al concordato con riserva della disciplina dello scioglimento dei contratti, ritiene il Collegio che le argomentazioni dei reclamanti non siano idonee a contrastare le motivazioni poste a sostegno della decisione del Tribunale. Come evidenziato dal primo giudice, l’articolo 169 bis l. fall. prevede che la domanda di autorizzazione allo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione sia proposta “nel ricorso di cui all’articolo 161”, senza alcuna specificazione, per cui deve ritenersi, in ossequio al criterio di interpretazione letterale della norma, che la disposizione sia applicabile anche nell’ipotesi in cui il ricorrente si sia riservato la successiva presentazione del piano. I reclamanti, a sostegno della contraria tesi, hanno evidenziato che negli articoli 182 quinquies e 182 sexies il richiamo al sesto comma dell’articolo 161, che disciplina la richiesta di ammissione al concordato con riserva, è esplicito; ne hanno dedotto che la mancanza di un analogo richiamo nel testo dell’articolo 169 bis debba assumere il significato di una preclusione normativa. Per ritenere tale argomento fondato occorrerebbe ipotizzare che la formulazione degli articoli 182 quinquies e sexies costituisca, nell’ambito della legge fallimentare, espressione di una regola interpretativa generale per la quale il riferimento normativo al ricorso per l’ammissione al concordato preventivo non include l’ipotesi di cui al sesto comma dell’articolo 161 se tale disposizione non sia stata espressamente richiamata. Ritiene il Collegio che siffatta conclusione non sia legittima in quanto
l’argomento, per la sua debolezza, è inidoneo superare il dato testuale, al quale fanno riferimento prioritariamente le regole ermeneutiche; d’altronde alla precisazione contenuta negli articoli 182 quinquies e sexies può attribuirsi una diversa finalità ammesso che debba averne necessariamente una - come sottolineato dal Tribunale del decreto impugnato. Va altresì rilevato che non appare condivisibile la tesi della Banca Monte dei Paschi di Siena, secondo cui il riferimento dell’articolo 169 bis al solo “concordato pieno” troverebbe conferma nell’alternativa, ivi posta, fra Tribunale e giudice delegato, quale organo competente a decidere sullo scioglimento dei contratti; la tesi si basa infatti sul presupposto, di cui non si comprendono le ragioni, che detta alternativa non ricorrerebbe nell’ipotesi di cui al sesto comma dell’articolo 161. Infondata e anche la tesi per la quale lo scioglimento dei contratti, nell’ipotesi in esame, sarebbe in contrasto con la natura negoziale della procedura di concordato. Secondo banca Monte dei Paschi di Siena, in assenza del piano e della proposta contrattuale la disciplina dello scioglimento sarebbe inapplicabile in ragione del “dovere di garanzia del giudice nei confronti dei soggetti ipoteticamente dissenzienti”. L’argomentazione è piuttosto oscura; sul punto comunque si osserva che le modalità di formulazione della proposta sono ininfluenti in quanto anche nel caso di concordato senza riserva l’autorizzazione allo scioglimento dei contratti precede, di regola, il pronunciamento dei creditori e quindi prescinde dal loro possibile dissenso.
501
Commenti
Ritiene inoltre il Collegio che siano condivisibili le ulteriori argomentazioni del Tribunale di Genova a sostegno dell’applicabilità dell’istituto nell’ipotesi di concordato con riserva. In particolare va rilevato che l’articolo 161 non prevede due forme di concordato, anche se per brevità si parla in dottrina e giurisprudenza, con riferimento all’ipotesi di cui al sesto comma, di “concordato con riserva” o di “concordato in bianco”. La norma disciplina un solo tipo di concordato, caratterizzato da univoci presupposti, requisiti e finalità, consentendo unicamente, con la disposizione di cui al 6° comma, un differimento nella presentazione della proposta, del piano e dei documenti necessari; dopo lo scioglimento della riserva i l concordato proposto con le modalità di cui al 6° comma in nulla si differenzia da quello “ordinario”. Appare quindi incongruo, come sottolineato dal primo giudice, precludere definitivamente, nel primo caso, l’accesso alla facoltà disciplinata dall’articolo 169 bis in conseguenza, esclusivamente, di una diversa modalità della presentazione del ricorso; né il discrimine può essere individuato in una supposta maggiore stabilità della procedura introdotta in modo ordinario per i motivi già esposti dal Tribunale, che ha ricordato le varie ipotesi di revoca, modifica, mancata approvazione o rigetto della domanda così introdotta. La seconda questione posta dalle reclamanti riguarda l’applicabilità o meno dell’istituto ai rapporti negoziali nei quali una delle parti abbia eseguito la propria prestazione La reclamanti, facendo riferimento al disposto dell’articolo 72
502
l.fall., hanno sostenuto che anche nell’ambito del concordato preventivo debbano considerarsi pendenti isoli contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti; che dall’omesso richiamo del disposto dell’art. 72 da parte dell’art. 169 bis non può farsi derivare la conseguenza che può essere sciolto qualsiasi contratto; che applicandosi gli artt. 55 e 59 al concordato per il richiamo contenuto nell’art. 169, sarebbero esclusi dalla nozione di contratti pendenti “tutti i contratti unilaterali (ossia quelli con obbligazioni che residuano, dopo la stipula, solo a carico di una parte contraente, come ad esempio è a dirsi per la maggior parte dei contratti di credito bancario)”. Rileva la Corte che, come esattamente affermato nel provvedimento impugnato, il legislatore, con l’art.169 bis, ha disciplinato in modo autonomo lo scioglimento dei contratti in corso nell’ambito del concordato preventivo, laddove, se avesse inteso estendere al concordato la disciplina dell’art. 72 dettato in tema di fallimento, sarebbe bastato un espresso richiamo a detta norma. Significative sono le differenze testuali tra le due disposizioni, facendo l’art. 72 riferimento ai contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti e l’art. 169 bis ai contratti in corso di esecuzione, definizione che indubbiamente abbraccia anche l’ipotesi in cui una parte abbia eseguito la propria prestazione. Paradossale è il tentativo delle reclamanti di trarre argomenti a favore della propria tesi dalla circostanza che l’art. 169 richiama gli artt. 55 e
Corte d’appello di Genova
59; in realtà è proprio la mancanza dell’art. 72 tra le norme richiamate dall’art. 169, la cui rubrica è “norme applicabili” costituisce il più forte argomento a favore della sua inapplicabilità al concordato. Si intendono poi qui richiamate, in quanto condivise, le ulteriori argomentazioni poste dal primo giudice a sostegno del decreto reclamato, non censurate dalle reclamanti. Con il terzo motivo di reclamo Banca Carige ha lamentato “l’erronea considerazione del rapporto di anticipazione con cessione dei crediti e la mancata delibazione (rigetto) dell’eccezione di compensazione”; analoga censura ha proposto Banca Monte dei Paschi di Siena. Le reclamanti hanno argomentato circa presupposti i e la disciplina della prosecuzione, durante la procedura di concordato, dei rapporti contrattuali in corso, con particolare riguardo ai contratti bancari, ma si tratta di argomentazioni non pertinenti. Come esattamente rilevato dalla reclamata, nella fattispecie non si discute della sorte delle singole obbligazioni nell’ambito di rapporti che proseguono in pendenza della procedura, bensì dell’applicabilità della disciplina di cui all’art.169 bis c.p.c., alla cui operatività consegue la sospensione e/o lo scioglimento dei contratti in corso, e quindi la loro mancata prosecuzione. Per quanto riguarda le conseguenze della sospensione e dello scioglimento dei contratti, il Tribunale ha operato una distinzione tra cessione di credito perfezionata, sconto di cambiali e anticipazioni bancarie su fatture o su ricevute bancarie e su tali argomenti hanno
discusso le parti. Rileva il Collegio che la sorte dei singoli crediti sarà valutata nell’ambito della procedura di concordato ma non ha alcuna attinenza con l’applicazione del disposto dell’art. 169 bis l.fall. in quanto la natura delle obbligazioni e l’esistenza di un patto di compensazione non incidono sull’assoggettabilità dei singoli contratti al disposto della predetta norma ma solo sulla sorte delle obbligazioni non adempiute al momento dello scioglimento. La necessità, ipotizzata da Banca Carige, “di verificare per ogni singolo istituto di credito e per ogni tipologia di anticipazione, l’esistenza di atti di cessione dei crediti opponibili alla massa” non sussiste, in quanto il principio per il quale il concordato (così come il fallimento) non incide sul diritto della banca cessionaria a riscuotere il credito ceduto quando la cessione si sia perfezionata anteriormente all’inizio della procedura trova applicazione anche in caso di scioglimento del rapporto. La Cassa di Risparmio di Volterra, come già sopra ricordato, ha sostenuto che l’imposizione alla banca della restituzione dei pagamenti ricevuti dai terzi realizzerebbe un’ irragionevole sperequazione e uno sproporzionato vantaggio a favore del debitore in concordato con violazione del principio della buona fede. Rileva la Corte che lo scioglimento è consentito da una disposizione di legge, per cui il riferimento alla buona fede è infondato e il giudizio di irragionevolezza è inconferente se non si risolve in una censura di incostituzionalità. In via subordinata la reclamante ha sostenuto che gli effetti dello scioglimento del contratto di anticipazio-
503
Commenti
ni bancarie dovrebbero decorrere non dalla proposizione dell’istanza, bensì dalla notifica della medesima alla banca. La reclamata ha obbiettato che gli effetti della pronuncia del giudice retroagiscono, di regola, al momento della domanda e che tale momento, nell’ipotesi di procedimenti introdotti con ricorso, coincide con il deposito dello stesso, non la sua notificazione alla parte resistente. Ritiene la Corte che il principio della retroattività degli effetti del provvedimenti giurisdizionali non sia pertinente alla fattispecie. L’art. 169 bis l.fall. attribuisce al soggetto che presenta domanda di concordato la facoltà di chiedere, nel ricorso, che il Tribunale o il giudice delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso”. I provvedimenti autorizzativi, come è noto, hanno la sola funzione di rimuovere un ostacolo al compimento di un atto e la loro emissione su istanza dell’interessato fa seguito ad una valutazione discrezionale di opportunità o alla verifica di determinati presupposti previsti dalla legge. Le finalità perseguite dall’istante si realizzano non già per effetto della mera autorizzazione, che non incide immediatamente sui rapporti esistenti, bensì in conseguenza dell’atto autorizzato, che necessariamente segue il provvedimento autorizzativo. Nella legge fallimentare l’attività del curatore, del commissario giudiziale, del fallito o del debitore in concordato è sovente soggetta a provvedimenti autorizzativi del Tribunale, del giudice delegato o del comitato dei creditori; in tutti i casi previsti i l rilascio dell’autorizzazione costituisce i l presuppo-
504
sto per l’esercizio dell’attività, dalla quale, solamente, derivano gli effetti che la stessa è destinata a produrre. Il richiamo al principio di retroattività invocato dalla reclamata potrebbe ritenersi pertinente solo se si ammettesse che lo scioglimento dei contratti costituisse un effetto diretto del provvedimento del Tribunale o del giudice delegato; in altre parole se l’articolo in esame attribuisse al giudice la funzione non già di autorizzare, bensì di disporre direttamente lo scioglimento dei contratti in corso. Siffatta tesi appare tuttavia insostenibile, alla luce di una interpretazione testuale della norma, salvo affermare che il Legislatore ignori il significato dei termini usati. Occorre quindi, ai fini dello scioglimento dei contratti, che l’istante, ottenuta l’autorizzazione del giudice, manifesti alla controparte contrattuale la volontà di sciogliersi dal vincolo negoziale, anche implicitamente attraverso la comunicazione del provvedimento autorizzativo emesso in accoglimento della sua richiesta. In tale prospettiva deve essere apprezzata la strumentalità della sospensione prevista dall’art. 169 bis l.fall. la quale non è, come sostenuto dalla reclamata, un rimedio autonomo, indipendente dallo scioglimento e destinato a sopravvivere ad una ipotetica revoca di questo, bensì, come reso palese dal tenore della disposizione, una misura di natura in senso lato cautelare, che consente di congelare gli effetti del rapporto contrattuale in attesa delle definitiva decisione sullo scioglimento. In parziale riforma del provvedimento reclamato, gli effetti dello scioglimento vanno quindi fatti decorrere
Corte d’appello di Brescia
dalla sua comunicazione alle parti controinteressate, fatti comunque salvi gli effetti della sospensione. La novità delle questioni trattate e l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla loro soluzione giustificano la compensazione delle spese del procedimento. P.Q.M. la Corte, in parziale riforma del provvedimento reclamato, dispone che gli effetti dello scioglimento dei contratti ivi elencati decorrono dalla sua comunicazione alle parti controinteressate, fatti comunque salvi gli effetti della sospensione; dichiara compensate tra le parti le spese del procedimento. (Omissis) III (Omissis) Ritenuto in fatto – Che, con decreto in data 4-5 aprile 2013 il Tribunale di Bergamo, Sezione Fallimentare, a seguito della domanda di concordato ai sensi dell’art. 161, VI comma, l.f. depositata in data 18 marzo 2013 dalla Bergamo Isolanti s.p.a., ha autorizzato la sospensione dei contratti bancari per anticipazioni effetti s.b.f. in essere tra la ricorrente con vari istituti di credito, tra cui Intesa San Paolo s.p.a.; che in data 12 aprile 2013 Intesa San Paolo s.p.a. ha presentato reclamo ai sensi dell’art. 26 della l.f. avverso la suddetta decisione; che la Bergamo Isolanti s.p.a. si è costituita in giudizio con memoria depositata in data 24 maggio 2013, chiedendo il rigetto del reclamo, con vittoria di spese; che all’odierna udienza collegiale i procuratori delle parti hanno insistito
nelle loro rispettive richieste e la Corte ha trattenuto la causa in decisione. Considerato in diritto – Intesa San Paolo s.p.a. censura la decisione del Tribunale di Bergamo deducendo: a) che la domanda proposta dalla ricorrente Bergamo Isolanti ai sensi dell’art. 169 bis l.f. sarebbe inammissibile nell’ambito di una domanda di concordato con riserva; b) il decreto impugnato sarebbe “abnorme ed emesso al di fuori delle condizioni di ammissibilità” in quanto non finalizzato alla prosecuzione dell’attività di impresa della Società; c) la domanda proposta da Bergamo Isolanti sarebbe comunque infondata con riferimento al rapporto di anticipo in essere con Intesa non sussistendo alcun concreto pericolo per la par condicio creditorum in considerazione del patto di compensazione contenuto nel contratto in essere; d) in via subordinata, il provvedimento reclamato dovrebbe essere modificato escludendo dalla sospensione le operazioni di incasso s.b.f. e compensazione in relazione ai crediti già anticipati per portafogli presentati dalla società prima del deposito della domanda; e) qualora la Corte di Appello non aderisse alle tesi della Banca, si prospetterebbe una questione di legittimità costituzionale dell’art. 169 bis l.f. La Banca ha concluso chiedendo in via principale la revoca del provvedimento reclamato nella parte in cui autorizza la sospensione dei contratti bancari effetti s.b.f. in essere tra la società ricorrente e Intesa San Paolo, Bergamo sede e, comunque, la dichiarazione di inammissibilità, ovvero, comunque, il rigetto della correlativa domanda proposta da Bergamo Isolanti s.p.a. nei confronti di Intesa San Paolo
505
Commenti
s.p.a. con ogni consequenziale pronuncia; in via subordinata, in parziale modifica del provvedimento reclamato, ha chiesto dichiararsi che l’autorizzazione alla sospensione del contratto bancario di apertura di credito in conto corrente contro presentazione di portafoglio commerciale non opera con riguardo alle anticipazioni dietro prestazione di portafoglio s.b.f. effettuate antecedentemente all’emissione del provvedimento, nonché alle relative operazioni di incasso e compensazione; con vittoria di spese. La doglianza è fondata. Osserva la Corte che conformemente alle osservazioni critiche espresse dopo la introduzione della norma di cui all’art. 169 bis l.f. (art. 33 d.l.83/2012, conv. in l. 134/2012), sussistono dubbi circa l’applicazione della norma ai concordati con riserva fino alla loro ammissione, per vari motivi. In primo luogo, il testo dell’art. 169 bis non fa alcun riferimento alle domande presentate ai sensi del sesto comma dell’art. 161, come invece viene fatto nelle altre norme quando queste vanno applicate anche alla fattispecie del pre-concordato (v. art. 182 quinquies, comma quarto). Inoltre vi è una certa contraddizione tra gli effetti provvisori impliciti in una domanda di concordato con riserva – tesa a creare gli effetti protettivi per il patrimonio del debitore in attesa di formulare una adeguata proposta e un piano ai creditori – con stabilità e definitività che determina una decisione sulla sorte dei contratti pendenti. In ogni caso, nel merito si rileva che anche se non si volesse ritenere la necessità che sia previamente depositato il piano contenente la descrizione delle modalità e dei tempi di
506
attuazione della proposta (con l’analitica indicazione dei costi e dei ricavi, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura ex art. 186-bis l.f.), i provvedimenti ex art. 169-bis l.f. debbono comunque essere pronunciati in funzione della continuità aziendale (in capo allo stesso debitore o ad altro imprenditore), avuto riguardo alle concrete ed attuali esigenze della gestione dell’impresa, in relazione, ad esempio, a contratti superflui o relativi a beni o attività da liquidarsi, ovvero in qualche modo eccessivamente onerosi, alla salvaguardia dei livelli produttivi, ecc. Nel caso di specie, il provvedimento è stato emanato accogliendo la prospettazione della ricorrente dell’esigenza di “scongiurare l’applicazione della compensazione ex art. 56 l.f. che recherebbe pregiudizio ai creditori concordatari”. Ritiene il Collegio che il Tribunale ha erroneamente inteso che la compensazione, anche se effettuata in conformità al contratto ed alla legge, debba essere considerata di per sé contraria alla par condicio creditorum, ciò che evidentemente non è dato nel caso in esame. La reclamante potrebbe infatti ben procedere alla compensazione in maniera del tutto legittima ai sensi delle pattuizioni contrattuali e delle disposizioni di legge, nel caso in cui riceva dei pagamenti da terzi in relazione al portafoglio presentatole dalla debitrice ed oggetto di anticipazione, quindi nel caso in cui il credito anticipato al cliente sia anteriore alla ammissione del correntista alla procedura concorsuale e la riscossione del relativo debito sia invece posteriore (cfr. Cass. n. 17999/2011).
Corte d’appello di Brescia
Con l’accoglimento del reclamo deve essere disposta la revoca del provvedimento reclamato nella parte in cui autorizza la sospensione dei contratti bancari effetti s.b.f. in essere tra la società ricorrente e Intesa San Paolo, Bergamo, sede. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengo liquidate e come da dispositivo P.Q.M. la Corte d’appello di Brescia, Prima sezione civile, ogni contraria istan-
za disattesa, in riforma del decreto del Tribunale di Bergamo impugnato, revoca il provvedimento nella parte in cui autorizza la sospensione dei contratti bancari effetti s.b.f. in essere tra la società ricorrente e Intesa San Paolo, Bergamo sede. Condanna la reclamata al pagamento in favore del reclamante delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi €. 2.500,00, oltre oneri di legge. (Omissis)
(1-9) A. Il decreto della Corte d’appello di Genova (II), insieme con il decreto 4 novembre 2013 del Tribunale della stessa città, da quello confermato, è pubblicato anche in Fallimento, 2014, 793, con nota di Cederle, Concordato con riserva: applicabilità dell’art. 169 bis l. fall. ai contratti bancari autoliquidanti. B. La disciplina del concordato preventivo, sia nel regime originario della legge del 1942 sia nel regime conseguente alla riforma del 2005-2007, non prevedeva alcuna regolamentazione specifica degli effetti dell’apertura di tale procedura sui c.d. rapporti pendenti, né in via diretta né in via indiretta, attraverso il rinvio alle disposizioni dettate in materia di fallimento (l’art. 169 l. fall., infatti, non richiama gli art. 72 ss. della stessa legge). Di qui l’opinione comune secondo cui l’apertura del concordato preventivo non incidesse su tali rapporti, destinati ad essere eseguiti nel corso della procedura secondo le norme di diritto comune e fuori concorso, potendo e dovendo operare solo il divieto del pagamento dei crediti inerenti a quei rapporti sorti anteriormente all’apertura della procedura (in argomento, per tutti, Censoni, Gli effetti del concordato preventivo sui rapporti giuridici preesistenti, Milano, 1988; nonché, dopo la riforma della legge fallimentare, Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2009, p. 362; in giurisprudenza, tra le tante, Cass. 12 gennaio 2007, n. 578, in Foro it., 2007, I, 2466; Cass. 18 maggio 2005, n. 10429, in Rep. Foro it., 2005, voce Concordato preventivo). Alla regola della “neutralità” del concordato preventivo rispetto alle relazioni contrattuali non ancora eseguite è stata però apportata, di recente, una eccezione. Il d. l. 22 giugno 2012, n. 83 (conv., con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134) ha infatti introdotto un nuovo
507
Commenti
art. 169-bis, il quale consente al debitore di chiedere, nel ricorso per l’ammissione al concordato preventivo o anche dopo, che il tribunale o il giudice delegato autorizzi lo scioglimento o la sospensione (fino a 120 giorni) dei «contratti in corso di esecuzione» alla data del ricorso medesimo. Si tratta di un meccanismo che presenta molti lati oscuri (per esempio: non si sa in base a quali ragioni l’autorizzazione possa essere richiesta e, rispettivamente concessa; non si sa quale latitudine debba riconoscersi alle valutazioni del giudice, e così via; in argomento v. comunque ampiamente Fimmano’, Sub art. 169-bis, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, commento per articoli a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2014, part. p. 206 ss.) e prospetta, di conseguenza, non poche difficoltà sul piano ricostruttivo come su quello operativo. Tali difficoltà sono, ovviamente, destinate a moltiplicarsi quando si tratti di vagliarne l’applicabilità a figure contrattuali che sono già di per sé dense di profili critici, quale – per quanto qui specificamente interessa – quel particolare tipo di operazione bancaria che è correntemente denominata anticipazione su crediti (o su fatture o su ricevute) o anche anticipazione autoliquidante e la cui struttura può essere così rappresentata: la banca concede al cliente un finanziamento di importo commisurato a crediti non ancora scaduti che il medesimo ha verso terzi; il cliente conferisce alla banca il mandato ad incassare per suo conto i suddetti crediti alla scadenza; nella convenzione si attribuisce alla banca il diritto di “trattenere” le somme riscosse, per soddisfare il suo credito da finanziamento (il c.d. “patto di compensazione”), con il che si realizza, appunto, la c.d. autoliquidazione. Ed infatti, nel pur breve lasso di tempo intercorso dall’entrata in vigore del d.l. n. 83 del 2012, si è già formata sul tema una giurisprudenza tanto ricca quanto variegata (un quadro abbastanza completo delle cui linee è fornito ora da De Pra’, Concordato preventivo e contratti in corso di esecuzione (con uno sguardo ai contratti bancari), in Giur. comm., 2014, II, p. 52 ss., ove ampi riferimenti anche di dottrina). I tre decreti qui pubblicati ne forniscono un esauriente esempio. C. Le decisioni in rassegna hanno affrontato due delle questioni più controverse emerse nel dibattito giurisprudenziale in argomento: quella dell’utilizzabilità del meccanismo dell’art. 169-bis nell’ambito del c.d. preconcordato (o concordato in bianco, oppure con riserva, ecc.), di cui al co. 6 dell’art. 161; quella dell’ambito oggettivo di applicazione del suddetto meccanismo, sotto il profilo del significato da attribuire all’espressione «contratti in corso di esecuzione». a. Quanto alla prima questione, basterà qui ricordare che essa è risolta in senso affermativo dall’orientamento dominante, il quale valorizza
508
Vincenzo Caridi
soprattutto la formulazione della disposizione in oggetto, che, nel riferirsi al ricorso ex art. 161, non distinguerebbe fra la presentazione del ricorso “pieno” di cui al primo comma e la presentazione di una istanza “in bianco” ai sensi del sesto comma: si vedano, fra le altre, App. Venezia, 7 marzo 2014, in Ilfallimentarista.it; App. Venezia, 20 novembre 2013, in Dir. fall., 2014, II, 147, con nota di Benassi; App. Bari, 11 novembre 2013, in Ilfallimentarista.it; Trib. Terni, 27 novembre 2013, in Ilcaso.it; Trib. Roma, 18 febbraio 2013, in Dir. fall., 2014, II, 182, con nota di Garcea; Trib. Monza, 16 gennaio 2013, in Ilcaso.it; Trib. Salerno, 25 ottobre 2012, in Fallimento, 2013, 75. Ed a tale orientamento si è conformato il decreto della Corte d’appello di Genova (II). Secondo una opposta linea interpretativa, la questione sarebbe da risolvere in senso negativo, essendovi «una certa contraddizione tra gli effetti provvisori impliciti in una domanda di concordato con riserva – tesa a creare gli effetti protettivi per il patrimonio del debitore in attesa di formulare una adeguata proposta e un piano ai creditori – con la stabilità e definitività che determina una decisione sulla sorte dei contratti pendenti»: così il decreto della Corte d’appello di Brescia (III). Una soluzione intermedia, infine, è prospettata da altre pronunzie, per le quali – posta la incompatibilità fra la natura “provvisoria” della fase che si apre con la domanda “in bianco” e la definitività dello scioglimento di un rapporto – sarebbe ammissibile solo la (richiesta di) autorizzazione alla sospensione del rapporto: in tal senso v. il decreto del Tribunale di Milano (I), ma anche, in precedenza, Trib. Pistoia, 31 ottobre 2012, in Fallimento, 2013, 74, con nota di Vella e in Foro it., 2013, I, 1339, con nota di Fabiani; Trib. Ravenna, 24 dicembre 2012, sempre in Foro it., loc. cit.; Trib. Busto Arsizio, 11 febbraio 2013, in Ilcaso.it.; e, successivamente, Trib. Ravenna, 30 maggio 2014, ibidem. È il caso di sottolineare che – come è stato giustamente evidenziato (da Cederle, Concordato con riserva, cit., p. 804) – nella particolare fattispecie contrattuale che qui interessa la distinzione fra scioglimento e sospensione rischia di risultare puramente formale: la sospensione comunque blocca l’esecuzione del mandato all’incasso da parte della banca e consente al debitore di incassare direttamente le somme, con effetti allora potenzialmente definitivi. A parere di chi scrive, peraltro, la soluzione della questione posta non può prescindere dalla ratio sottesa alla norma in discorso, che è quella di consentire una deroga al diritto comune dei contratti se e nella misura in cui questa sia strumentale ad una soluzione concordata della crisi (e si v. Trib. Venezia, 27 marzo 2014, in ilcaso.it, che espressamente individua nella funzionalità e strumentalità del modulo concordatario
509
Commenti
prescelto dal debitore in crisi il criterio guida che deve ispirare il tribunale nell’esercizio del potere autorizzatorio assegnatogli dall’art. 169bis; nonché Trib. Modena, 7 aprile 2014, ivi, che parla espressamente di «conformità e funzionalità dell’atto [n.d.r.: della sospensione o dello scioglimento] alla proposta e al piano concordatario che il debitore si appresta a presentare (…) ovvero in concreto ha presentato»). Di talché, solo la possibilità di verificare tale strumentalità può giustificare la richiesta e la conseguente concessione della deroga in questione, si realizzi questa tramite lo scioglimento o tramite la sospensione. Il criterio da adottare per fornire risposta all’interrogativo posto non potrà allora essere un criterio di tipo meramente formale, come quello dell’applicabilità o meno – integrale o parziale – del disposto dell’art. 169-bis nell’ambito del c.d. preconcordato, ma dipenderà dalla verificabilità in concreto dell’esistenza di un vincolo funzionale tra la sospensione o lo scioglimento di un dato contratto e la specifica soluzione concordata che il debitore intende proporre. Il che, se non vuol dire subordinare l’applicabilità della norma in parola al deposito della proposta, del piano e della documentazione definitivi, potendo ammettersi, almeno in astratto, la presentazione di una istanza ex art. 169-bis anche nella fase di c.d. preconcordato, presuppone tuttavia che il debitore abbia già proceduto, o proceda contestualmente alla presentazione dell’istanza, ad una disclosure idonea, per un verso, a chiarire che la propria scelta è ormai caduta sull’opzione concordataria, unica opzione compatibile con la richiesta di autorizzazione ex art. 169-bis, con conseguente definitivo abbandono dell’ipotesi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, e, per altro verso, a rendere palesi i contenuti essenziali della proposta concordataria e del relativo piano che si intendono sottoporre ai creditori, dai quali dovranno comunque emergere le conseguenze della sospensione o dello scioglimento del vincolo contrattuale sulla soluzione concordataria che si intende perseguire e, dunque, in ultima analisi, sul ceto creditorio complessivamente considerato, il cui “migliore soddisfacimento” per il tramite del piano di concordato può ben essere considerato, anche in questo caso, il criterio sulla base del quale il tribunale deve operare la valutazione demandatagli dalla legge (e v., in argomento, i condivisibili rilievi di G. Scognamiglio, Concordato preventivo e scioglimento dei contratti in corso di esecuzione, in Organizzazione, finanziamento e crisi dell’impresa – Scritti in onore di Pietro Abbadessa, a cura di M. Campobasso, Cariello, Di Cataldo, Guerrera e Sciarrone Alibrandi, Torino, 2013). E ciò tanto più – come non si è mancato di sottolineare (Censoni, La continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in ilcaso.it, p. 15) – quando la strada prescelta è quella della
510
Vincenzo Caridi
“continuità aziendale”, che della prosecuzione dei rapporti contrattuali in corso in qualche modo si alimenta. Questa lettura, la quale ha già avuto un certo riconoscimento tanto dottrinale (e v. Censoni, op. cit., p. 15; Ambrosini, Il concordato preventivo, in Aa.Vv., Le altre procedure concorsuali, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso, Gabrielli, vol. IV, Torino, 2014, p. 290 s.), quanto – sebbene con diversi accenti – giurisprudenziale (e v. Trib. Venezia, 27 marzo 2014, cit.; Trib. Rovigo, 6 marzo 2014, in ilcaso.it; Trib. Vercelli, 20 settembre 2013, ivi; Trib. Catanzaro, 23 gennaio 2013, in Ilfallimentarista.it; Trib. Monza, 16 gennaio 2013, cit.; Trib. Ravenna, 24 dicembre 2012, cit.; Trib. La Spezia, 24 ottobre 2012 e Trib. La Spezia, 25 ottobre 2012, entrambe in Fallimento, 2013, 76, con nota di Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo “con riserva”), con particolare riferimento alla richiesta di autorizzazione allo scioglimento, è stata peraltro ulteriormente specificata, nella evidente prospettiva di evitare i possibili abusi dello strumento, subordinando l’autorizzazione anche al deposito di una relazione del professionista che attesti la veridicità e la fattibilità di quanto prospettato dal debitore (Trib. Roma, 30 gennaio 2013, in Ilfallimentarista.it). Soluzione quest’ultima che, attesa l’assenza nell’art. 169-bis del seppur minimo riferimento all’intervento di un professionista attestatore, rischia, però, di determinare un eccessivo allontanamento dal dato normativo (v. tuttavia Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo “con riserva”, cit., p. 97; nonché, Fabiani, Per una lettura costruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in ilcaso.it, p. 8, i quali, sebbene con diverso grado di sicurezza, ritengono possibile la richiesta di una relazione equivalente ad una attestazione) e che peraltro non è neppure necessaria, potendosi raggiungere un effetto disincentivante rispetto ad un utilizzo distorto della disciplina dei contratti in corso di esecuzione dettata dall’art. 169bis, più semplicemente, facendo discendere dalla scelta del debitore di avvalersi di questa disciplina nella fase di pre-concordato non solo un vincolo in ordine al tipo di strumento attraverso il quale comporre la crisi, ma anche una restrizione degli ambiti di movimento in punto di contenuto del piano concordatario definitivo, esigendo di quest’ultimo, in ogni caso, la compatibilità con la sospensione o con lo scioglimento del vincolo contrattuale che siano intervenuti, nella fase pre-concordataria, per effetto dell’attivazione del meccanismo autorizzatorio di cui alla norma in parola. Ciò con la conseguenza allora che il tribunale, in sede di verifica della proposta e del piano definitivi, potrebbe giungere a negare, ai sensi dell’art. 162, l’ammissione alla procedura tutte le volte
511
Commenti
che lo scioglimento o anche la sospensione di uno specifico contratto, che siano stati precedentemente richiesti e autorizzati sulla base della prospettazione di un certo contenuto (provvisorio) della proposta e del piano, risultino incoerenti con la versione definitiva di tali atti e/o con la fattibilità degli stessi (in argomento, Trib. Modena, 7 aprile 2014, cit., ove si fa espresso riferimento ad un tale esito). b. Quanto alla seconda questione. Anche qui si contrappongono due orientamenti. Da una parte, vi è chi ritiene che l’espressione «contratti in corso di esecuzione» debba essere interpretata in senso ampio e comprenda quindi anche l’ipotesi in cui una sola delle parti debba ancora adempiere integralmente: così il decreto della Corte d’appello di Genova (II) e il decreto 4 novembre 2013 del Tribunale di Genova, ricordato all’inizio (in dottrina, Inzitari, I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l’art. 160-bis l.fall., in Il diritto degli affari.it, p. 1; Fabiani, Per una lettura costruttiva, cit., p. 7). Dall’altra, vi è chi – e sembra questa l’opinione più corretta – sostiene che la nozione di contratti in corso di esecuzione corrisponda a quella posta dall’art. 72 e che, pertanto, il particolare meccanismo previsto dall’art. 169-bis possa trovare applicazione solo nei contratti a prestazioni corrispettive ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti alla data di apertura della procedura di concordato: così il decreto del Tribunale di Milano (I), ma anche, in precedenza, Trib. Vicenza, 25 giugno 2013, in ilcaso.it (in dottrina, Censoni, La continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti, cit., p. 2; Ambrosini, Il concordato preventivo, cit., p. 286; Scognamiglio, Concordato preventivo e scioglimento dei contratti in corso di esecuzione, cit., p. 14 s., la quale richiama, a conferma, anche il dato comparatistico, segnatamente, per il diritto tedesco, il § 103 InsolvenzOrdnung e, per il diritto statunitense, la Section 365 dell’US Code). C’è da sottolineare, anche qui, che con riguardo all’operazione bancaria di cui ci stiamo occupando la contrapposizione rischia talora di essere ancora una volta puramente formale: pur partendo, infatti, da premesse opposte sia i giudici genovesi sia quelli milanesi sono pervenuti allo stesso risultato, cioè quello di bloccare l’esecuzione dei mandati all’incasso conferiti alla banca e non ancora eseguiti al momento dell’apertura della procedura e quindi, conseguentemente, l’operatività della compensazione. D. Sembra di poter osservare, peraltro, che gli orientamenti sopra delineati (così come quelli formatisi sul tema generale degli effetti del concordato preventivo sull’operazione di anticipazione su fatture: orientamenti per un quadro dei quali v. Nigro, Anticipazione su crediti e concordato preventivo, in Dir. banc., 2013, I, p. 173 ss.) scontano tutti, pur
512
Vincenzo Caridi
nella loro diversità, un difetto di adeguata comprensione della essenza del congegno negoziale in cui si concreta l’anticipazione su fatture e della effettiva incidenza su di esso della procedura di concordato preventivo. Come è stato evidenziato di recente dalla dottrina (Nigro, op. cit., p. 176 s.): - il dato saliente dell’operazione in questione è rappresentato dalla funzione, e natura, solutoria del congegno negoziale mandato all’incasso/c.d. patto di compensazione, che si configura come mezzo di pagamento; - nell’ipotesi – che è quella che qui ne occupa – in cui l’apertura della procedura di concordato preventivo (che coincide – ricordiamo – con la presentazione del ricorso per l’ammissione) intervenga dopo la concessione del finanziamento da parte della banca, ma prima dell’esecuzione, da parte della stessa banca, del mandato all’incasso, il rapporto banca-cliente non può qualificarsi, in sé considerato, rapporto pendente ai sensi dell’art. 72 (e, oggi, dell’art. 169-bis), perché manca qualsiasi prestazione ancora da eseguire, in tutto o in parte, dal cliente; - in tale ipotesi, non si pone allora un problema di prosecuzione o meno del rapporto, ma, puramente e semplicemente, di soddisfacimento del credito della banca, che non può aver luogo per effetto del divieto di pagamento dei crediti sorti anteriormente all’apertura della procedura. Da questa impostazione deriva che, in realtà, non c’è spazio, nell’ipotesi in questione, per l’applicazione dell’art. 169-bis (così Trib. Vicenza, 25 giugno 2013, in ilcaso.it; Trib. Verona, 30 gennaio 2013, in Fallimento, 2013, 623). Non c’è spazio e non c’è neppure necessità, perché il blocco della “canalizzazione” degli incassi a favore della banca è da ritenersi prodotto automaticamente dall’apertura della procedura: il mandato può, al limite, resistere (sebbene la rilevata funzione solutoria, che lo stesso assolve in uno al c.d. patto di compensazione, ne dovrebbe a rigore determinare il venire meno), ma la banca è tenuta comunque a rimettere al cliente le somme incassate. Ciò, forse, con una unica eccezione, data dal caso in cui si tratti di un concordato con continuità aziendale e il debitore concordatario chieda al Tribunale, ai sensi dell’art. 182-quinquies, co. 4, di essere autorizzato a pagare la banca, essendosi dotato di una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3 in cui sia attestata l’essenzialità del rapporto bancario in parola rispetto alla prosecuzione dell’attività di impresa, nonché la funzionalità dello stesso al migliore soddisfacimento dei creditori. [Vincenzo Caridi]
513
fatti e problemi della pratica
Il diritto di recesso nei contratti di intermediazione finanziaria nella giurisprudenza e nei recenti interventi legislativi. Sommario: 1. Introduzione. – 2. Diritto di recesso. Evoluzione normativa e ricostruzione della fattispecie – 3. Le diverse posizioni della giurisprudenza e della dottrina. – 4. Il servizio di collocamento. – 5. L’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite. – 6. La ratio legis della decisione della S.C. – 7. Osservazioni all’impostazione della Cassazione. – 8. L’abuso del diritto, la condotta opportunistica e il principio di buona fede. – 9. L’omessa indicazione del diritto di recesso e la sanzione della nullità – 10. Il decreto del fare e la posizione della Cassazione.
1. Introduzione. Il presente scritto prende spunto da una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che ha stabilito che «il diritto di recesso accordato all’investitore dal sesto comma dell’art. 30 del t.u.f. e la previsione di nullità dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo settimo comma, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell’intermediario sia intervenuta nell’ambito di un servizio di collocamento prestato dall’intermediario medesimo in favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio diverso, ove ricorra la stessa esigenza di tutela» 1. Il tema affrontato dalla S.C. è di particolare rilevanza con riferimen-
1 Cass., S.U., 3 giugno 2013, n. 13905, in Contr., 2014, 42, con nota di Natoli, Contratti “di collocamento” e jus poenitendi dell’investitore; e in Corr. giur., 2014, 245 con nota di Cicchinelli, Il diritto di ripensamento tra tutela dell’investimento e funzione del mercato mobiliare e in Foro it., 2013, I, 3493, con nota di La Rocca, Il «collocamento» di prodotti finanziari tra Cassazione e legislazione «del fare»: brevi notazioni. Si veda anche Accettella, Il collocamento di strumenti finanziari, Milano, 2013, p. 119 ss.
Fatti e problemi della pratica
to ai rapporti contrattuali tra il risparmiatore e l’intermediario, poiché riguarda il c.d. diritto di ripensamento che rappresenta una clausola a tutela del contraente debole 2. Dottrina e giurisprudenza non hanno mai avuto sul tema affrontato dalla Corte una posizione univoca, ma hanno assunto spesso interpretazioni diametralmente opposte. Difatti, parte della giurisprudenza riteneva che la disciplina del recesso dettata dall’art. 30, co. 6, t.u.f. non fosse applicabile ai contratti di negoziazione di obbligazioni eseguiti in attuazione di un contratto quadro 3. Questo perché tali contratti non costituiscono un servizio di collocamento, ma si caratterizzano per l’esistenza di un accordo tra l’offerente e l’intermediario, finalizzato all’offerta ad un pubblico indeterminato di strumenti finanziari, emessi a condizioni di tempo e di prezzo predeterminate; inoltre, il legislatore, secondo detto orientamento, aveva introdotto lo jus poenitendi per proteggere gli investitori che concludevano l’investimento all’esterno dei luoghi di pertinenza del proponente, aumentando tale circostanza il rischio di assumere decisioni poco meditate. Va altresì precisato che nel momento in cui si richiama il contratto quadro si fa riferimento all’esistenza di un precedente rapporto intercorso fra le stesse parti, che risulta essere sostanzialmente assimilabile ad un contratto di mandato. Il fatto quindi che l’acquisto dei titoli non sia avvenuto per iniziativa dell’offerente, ma a seguito di un antecedente accordo di carattere generale fra l’investitore ed il soggetto delegato per la definizione negoziale comporta un’ipotesi di negoziazione, e non un’ipotesi di collocamento 4. La ratio dell’art. 30, co. 6, t.u.f. deve essere ricercata nella necessità di prestare una adeguata tutela al cliente dell’intermediario, il quale in caso di offerta fuori sede è potenzialmente esposto ad un effetto sorpresa 5. La distinzione tra gli investitori che ricevono un’offerta fuori sede e
2
Foschini, Il diritto del mercato finanziario, Milano, 2008, p. 33, il quale evidenzia la funzione di garanzia per l’investitore della clausola, in quanto gli consente di valutare con tranquillità (espressione utilizzata dall’autore) la convenienza dell’operazione conclusa. 3 Trib. Biella, 17 luglio 2008; Trib. Torino, 18 settembre 2007, in Ilcaso.it; Trib. Termini Imerese, 6 dicembre 2012, in Ilcaso.it; App. Brescia, 20 giugno 2007, in Ilcaso. it. Cfr. Di Brina, Contratti del risparmiatore. Negoziazione fuori dei locali commerciali. Collocamento e offerte fuori sede, in I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione, Milano, 2013, p. 365. 4 Cass., 14 febbraio 2012, n. 2065, in Banca, borsa, tit. cred., II, 2013, 137, con nota di Accettella, Ancora sui contratti di collocamento di strumenti finanziari conclusi fuori sede ex art. 30, comma 6°, t.u.f. 5 Parla di un «sovrappiù di tutela» Lobuono, La responsabilità degli intermediari
516
Gianfranco Liace
quelli che la ricevono presso la sede dell’intermediario è individuabile nel fatto che colui che si reca presso l’offerente con l’obiettivo di impegnare dei risparmi ha maturato una propria convinzione circa l’utilità dell’iniziativa adottata; determinazione e convinzione che non sempre esistono qualora l’iniziativa sia dell’intermediario, in quanto si “subisce” la condotta altrui. Da qui il rischio del c.d. effetto sorpresa che non rappresenta certamente una novità assoluta nel nostro ordinamento: l’art. 1195 c.c. prevede infatti che chi, avendo più debiti, accetta una quietanza nella quale il creditore ha dichiarato di imputare il pagamento a uno di essi, non può pretendere un’imputazione diversa, se non vi è stato dolo o sorpresa da parte del creditore 6. Ovviamente vi è una distinzione tra la “sorpresa” di cui al suddetto art. 1195 c.c. e l’effetto sorpresa menzionato nel t.u.f. Nel primo caso il fattore sorpresa viene richiamato con riferimento ad un equivoco in merito all’imputazione del pagamento; mentre nella legislazione speciale il fattore sorpresa appare come «un momento problematico … che costringe l’interprete a prendere coscienza della complessità del diritto contemporaneo» 7. Nel diritto dei mercati finanziari, ma anche nella contrattazione bancaria in generale, si intende per effetto sorpresa la circostanza che si verifica quando il potenziale investitore è colto alla sprovvista o ancora non è preparato ad un dato evento. Autorevole dottrina ha sostenuto che nel caso di specie potrebbe trovare applicazione l’art. 428 c.c., in quanto il contratto concluso per sorpresa è il contratto di un soggetto che in quel momento, relativamente all’operazione che pone in essere, non ha una totale capacità 8. La soluzione potrebbe essere rinvenuta nell’art. 1337 c.c. che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle
finanziari, Napoli, 1999, p. 248. L’effetto sorpresa non si configura quando l’offerta sia stata effettuata nei confronti di clienti professionali, in quanto non sono esposti al rischio di decisioni affrettate ed indotte dalle iniziative dell’altro contraente. 6 Per una ricostruzione della fattispecie si rimanda a Bigiavi, Dolo e sorpresa nell’interpretazione dei pagamenti, in Riv. dir. civ., 1970, I, p. 81 ss.. Si veda anche Pothier, Trattato delle obbligazioni, 2a ed. italiana, Livorno, 1841, p. 276. 7 Breccia, La contrattazione su valori mobiliari e il controllo della contrattazione «sorprendente», in La vendita “porta a porta” di valori mobiliari, a cura di Bessone e Busnelli, Milano, 1992, p. 19. Individua l’effetto sorpresa nella contrattazione bancaria Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, p. 98, nt. 41, ove vi sono alcuni richiami ai responsi dell’ABF. 8 Sacco, Considerazioni conclusive, in La vendita “porta a porta” di valori mobiliari, a cura di Bessone e Busnelli, Milano, 1992, p. 182.
517
Fatti e problemi della pratica
trattative e nella formazione del contratto. Ad esempio, con riferimento al diritto di ripensamento, è essenziale verificare le modalità con cui il cliente viene reso edotto dell’esistenza di questo suo diritto. Tra i doveri di informazione che gravano sull’intermediario vi è anche quello di comunicare al cliente che esiste la possibilità di recedere dal contratto, così come il contratto deve contenere, pena la nullità relativa dello stesso, la predetta clausola. L’investitore necessita di un délai de réflexion per valutare se effettivamente l’operazione che aveva concluso fosse o meno un’operazione vantaggiosa, quindi il diritto di ripensamento assolve alla funzione di correggere le eventuali distorsioni contrattuali derivanti dall’effetto sorpresa subito dall’acquirente. La S.C., nella decisione che forma oggetto della presente analisi, si è posta un problema di particolare importanza affermando che il diritto di recesso potrebbe essere utilizzato in modo distorto tramite comportamenti di tipo opportunistico, configurandosi quindi così un’ipotesi di abuso del diritto, tema sul quale ci soffermeremo nel corso della trattazione. Va da subito chiarito che l’offerta fuori sede ricorre nel caso di promozione e collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari e di servizi e attività di investimento in luoghi diversi dalle sedi proprie degli operatori proponenti intervenuti. Per sede o dipendenza deve intendersi, ai sensi dell’art. 2, lett. g) del Regolamento Intermediari, «una sede, diversa, dalla sede legale dell’intermediario autorizzato, costituita da una stabile organizzazione di mezzi e di persone, aperta al pubblico, dotata di autonomia tecnica e decisionale, che presta in via continuativa servizi o attività di investimento» 9. Questo
9 La Consob con la comunicazione n. DI/98068214 del 21 agosto 1998 ha precisato quali sono tutti gli elementi costitutivi della nozione di sede o dipendenza. In particolare, ha stabilito che deve intendersi: a) per «stabile organizzazione di mezzi e di persone, il capitale tecnologico ed umano, le strutture logistiche ed organizzative, e quant’altro necessario per svolgere in modo continuativo il servizio di investimento che si intende erogare presso la dipendenza»; b) per «autonomia tecnica e decisionale, la presenza di dotazioni tecnologiche, di figure professionali adeguate e di soggetti muniti delle responsabilità necessarie per consentire alla dipendenza di erogare il servizio di investimento in modo autonomo»; c) per «apertura al pubblico, la possibilità per la clientela effettiva e potenziale di accedere ai locali della dipendenza per ottenere informazioni, impartire disposizioni, etc.»; d) per «prestazione in via continuativa dei servizi di investimento, l’idoneità della sede ad offrire alla clientela un’efficace ed efficiente fruizione del servizio di investimento, senza che necessariamente l’intero
518
Gianfranco Liace
ci consente di ben individuare tutte le ipotesi in cui l’offerta è formulata fuori sede. L’aspetto che presenta maggiore criticità, e che ha dato vita al contrasto giurisprudenziale e dottrinale di cui sopra, è rappresentato dal mancato raccordo tra le definizioni contenute nel co. 1 e nel co. 6 dell’art. 30 t.u.f. L’attività di collocamento, così come delineata dall’art. 1, co. 5, lett. c) e c-bis) del t.u.f. può avere ad oggetto solo strumenti finanziari; mentre l’offerta fuori sede disciplinata dall’art. 30, co. 1, t.u.f. ha ad oggetto la promozione ed il collocamento di strumenti finanziari 10. La S.C. basa la propria decisione sull’ambiguità del testo normativo osservando che l’espressione “collocamento” contenuta nell’art. 30 t.u.f. è adoperata dal legislatore con un significato ampio e generico, quasi come sinonimo di qualsiasi operazione volta ad immettere sul mercato prodotti finanziari o servizi di investimento. Inoltre, secondo la S.C. vi è una profonda difficolta nel giustificare una disparità di trattamento tra l’ipotesi di offerta fuori sede di strumenti finanziari che sia fondata sulla diversa tipologia di servizi di investimento resi dall’intermediario, essendo analoga la situazione di vulnerabilità in cui viene a trovarsi il cliente in caso di offerta fuori sede.
processo produttivo del servizio offerto sia svolto dalla medesima sede». Sul punto si veda anche la comunicazione n. DI/98017959 del 12 marzo 1998. Cfr. A. Patroni Griffi, L’offerta fuori sede, in Intermediari finanziari mercati e società quotate, a cura di Patroni Griffi – Sandulli – Santoro, Torino, 1999, p. 235 ss.. Con la MIFID, l’art. 31 t.u.f. è stato modificato, al fine di chiarire le categorie di soggetti che, nell’offerta fuori sede, devono avvalersi di promotori finanziari, e al fine di recepire il disposto comunitario, che assimila i promotori finanziari – ai fini dell’applicazione delle regole di condotta – ad una succursale costituita nel territorio della Repubblica. In detti termini Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2010, p. 178. 10 L’art. 1, co. 5, t.u.f., nell’elencare i servizi (oggi anche attività) di investimento tra essi include anche «c) sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell›emittente; c-bis) collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente». L’art. 1. co 1, lett. t) specifica inoltre che il collocamento rientra tra le attività attraverso le quali può realizzarsi un’offerta al pubblico di strumenti finanziari. L’art. 25 bis estende l’applicazione degli artt. 21 e 23 t.u.f. «alla sottoscrizione e al collocamento di prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione». L’art. 93 bis, 1° co., lett. e) fornisce la definizione di responsabile del collocamento quale «il soggetto che organizza e costituisce il consorzio di collocamento, il coordinatore del collocamento o il collocatore unico». L’art. 100 bis, co. 2, stabilisce che «si realizza una offerta al pubblico anche qualora i prodotti finanziari che abbiano costituito oggetto in Italia o all’estero di un collocamento riservato a investitori qualificati siano, nei dodici mesi successivi, sistematicamente rivenduti a soggetti diversi da investitori qualificati e tale rivendita non ricada in alcuno dei casi di inapplicabilità previsti dall’art. 100».
519
Fatti e problemi della pratica
2. Diritto di recesso. Evoluzione normativa e ricostruzione della fattispecie. Nel diritto dei mercati finanziari il diritto di ripensamento trova la sua prima regolamentazione nella l. 7 giugno 1974, n. 216, e più precisamente nell’art. 18-ter, co. 2, ove era previsto che l’efficacia dei contratti stipulati mediante la vendita a domicilio rimaneva sospesa per i cinque giorni successivi alla data di sottoscrizione del contratto 11. Durante questo lasso di tempo l’acquirente aveva la facoltà di comunicare al venditore o al suo agente, procuratore o commissario, a mezzo telegramma, il proprio recesso senza nessun corrispettivo 12. Inoltre, il suddetto art. 18-ter, co. 2, doveva essere riprodotto nei contratti, pena la nullità dei medesimi. La scelta del legislatore era apparsa sicuramente innovativa, poiché riconosceva lo jus poenitendi per la vendita “porta a porta” dei valori mobiliari; però di detto sistema di tutela beneficiava anche l’intermediario, in quanto la l. n. 216/1974 non conteneva una limitazione dei soggetti legittimati ad esercitare l’azione di nullità, depotenziando così ab origine la portata della previsione legislativa. Uno degli aspetti maggiormente dibattuti dalla dottrina dell’epoca era quello della sospensione dell’efficacia del contratto. Il periodo di sospensione ed il termine per esercitare il recesso iniziavano a decorrere dalla data di sottoscrizione del contratto (quindi, la norma presupponeva che il contratto fosse concluso in forma scritta, che ne costituiva dunque un elemento essenziale) 13.
11
La vendita a domicilio di valori mobiliari in quanto sollecitazione al pubblico risparmio doveva essere intesa come «offerta al pubblico», ovvero formulata in incertam personam, di cui all’art. 1336 c.c., sia nei casi in cui valeva come proposta contrattuale sia nei casi in cui non era impegnativa come proposta. Sul punto si veda Alpa, Jus poenitendi e acquisto di valori mobiliari, in I valori mobiliari, a cura di Alpa, Padova, 1991, p. 418; Zitiello, L’offerta fuori sede e la promozione ed il collocamento a distanza, in Argomenti di diritto degli intermediari e dei mercati finanziari, a cura di Belli – Corvese – Mazzini, Torino, 2000, p. 199 ss.; Russo, Commento sub artt. 30 – 32, in Commentario TUF, a cura di Vella, Torino, p. 348 ss. 12 Secondo alcuni autori il diritto di pentimento non configurava un vero e proprio recesso da un contratto concluso, ma una legittima facoltà di revoca della proposta contrattuale possibile anche nel caso di eventuale immediata accettazione di controparte. Così La Villa, Il diritto dei valori mobiliari, Firenze, 1986, p. 66. 13 La precisazione che il contratto rimane sospeso è alquanto opportuna, perché chi investe in valori mobiliari ha convenienza a che l’operazione non produca effetti,
520
Gianfranco Liace
La disposizione risultava però essere in contrasto con la previsione contenuta nell’art. 1326 c.c.; di conseguenza, si sostenne che la l. n. 216/1974, così come le previsioni contenute nel Regolamento Consob del 10 luglio 1985, n. 1739 (art. 5, co. 4), avevano dato vita ad un nuovo tipo contrattuale, ossia il contratto di investimento, che seguiva, in ordine al momento della conclusione, delle regole difformi da quelle indicate dal suddetto art. 1326 c.c. 14. In merito appare opportuno segnalare che tale orientamento non era condiviso da altra parte della dottrina che riteneva, invece, che non si potesse parlare di una tipizzazione del contratto di vendita a domicilio, bensì di un regime particolare di conclusione del contratto 15. Successivamente, con l’approvazione della l. 2 gennaio 1991, n. 1, è stata introdotta una regolamentazione organica delle società di intermediazione mobiliare che conteneva anche una disposizione che si occupava del diritto di ripensamento: l’art. 8, co. 1, lett. c). Tale norma prevedeva il diritto di recesso nel solo caso di attività di gestione patrimoniale e non anche per gli altri contratti di intermediazione. Il legislatore aveva stabilito che il contratto non acquisiva efficacia se non dopo il quinto giorno lavorativo successivo a quello della sua sottoscrizione; entro lo stesso termine il cliente aveva la facoltà di recedere tramite comunicazione scritta, senza spese né corrispettivi. Il contratto, dunque, diveniva efficace una volta trascorso detto termine. Secondo parte della dottrina il cliente poteva comunque rinunciare al diritto di recesso mediante la sottoscrizione di un apposito atto separato dal relativo contratto 16. Si trattava però di una posizione non pienamente convincente dal momento che il co. 4 del suddetto art. 8 prevedeva la sanzione della nullità per i patti in deroga alle disposizioni contenute nella medesima norma. Va precisato, poi, da un lato, che tale disposizione non riguardava i soli contratti di gestione patrimoniale conclusi fuori sede, ma anche quelli conclusi in sede; dall’altro, che la l n.1/1991 non aveva abrogato l’art. 18-ter l. n. 216/1974.
altrimenti il recesso equivarrebbe al riscatto della quota o del certificato. 14 Roppo, Investimenti in valori mobiliari (contratto di), in Contr. e impr., 1986, p. 115 ss.. 15 Irti, Notazioni esegetiche sulla vendita a domicilio di valori mobiliari, in Sistema finanziario e controlli: dall’impresa al mercato, Milano, 1986, p. 108. 16 Coltro Campi, La nuova disciplina dell’intermediazione e dei mercati mobiliari, Torino, 1991, p. 49.
521
Fatti e problemi della pratica
La fattispecie ha successivamente ricevuto una ulteriore regolamentazione con l’art. 20 del d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, che, con riferimento ai contratti di gestione conclusi fuori sede o collocati a distanza, consentiva l’esercizio dello jus poenitendi al solo cliente e non anche all’intermediario. Per i predetti contratti la norma stabiliva la sospensione dell’efficacia per i sette giorni successivi alla data di sottoscrizione, termine entro cui il cliente poteva comunicare il recesso senza spese né corrispettivi. Anche in questo caso la norma non abrogò il diritto di recesso previsto per i contratti stipulati mediante la vendita a domicilio. La convivenza tra le due discipline appariva alquanto complessa in quanto il d.lgs. n. 415/1996 non qualificava più la sollecitazione fuori sede come autonoma categoria di attività di intermediazione ma la considerava come una mera modalità di collocamento, e più precisamente come la promozione e il collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari e di servizi di investimento. In dottrina si discuteva sul significato da attribuire al termine “sottoscrizione”, al fine di individuare il momento da cui far decorrere la sospensione di efficacia del contratto ed il termine per l’esercizio del diritto di recesso. Si discuteva, poi, sulle problematiche che potevano sorgere con riferimento alle proposte contrattuali sottoscritte dall’investitore e non accettate dall’intermediario. In tali casi, mancando la conclusione del contratto, sarebbe stato infatti difficile riconoscere l’esistenza di un diritto di recesso (che presuppone la presenza di un negozio). Secondo alcuni autori le proposte contrattuali sarebbero rimaste inefficaci per sette giorni dalla loro sottoscrizione e fino a tale momento l’investitore le avrebbe potute revocare, dovendosi pertanto ritenere incompatibili con tale previsione le clausole dirette a rendere irrevocabili le proposte 17. Sul punto era stato osservato che la prassi contrattuale in tema di collocamento di valori mobiliari a domicilio prevedeva eccezionalmente che il promotore finanziario formulasse una proposta contrattuale che veniva accettata dal cliente, con contestuale conclusione del contratto. Non essendo i promotori finanziari forniti di un potere di rappresentanza, ne derivava che il contratto doveva ritenersi concluso solo nel momento in cui l’intermediario o la banca avevano avuto conoscenza
17 Carbonetti, Lo jus poenitendi nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari, in Banca, Borsa, tit. cred., 2001, I, p. 780 ss..
522
Gianfranco Liace
dell’accettazione dell’altra parte 18. Il diritto di recesso, pertanto, poteva essere esercitato solo quando il contratto era stato concluso con la sottoscrizione del cliente, dovendosi negli altri casi ravvisarsi una revoca della proposta ai sensi e per gli effetti dell’art. 1328 c.c. 19. Alcuni autori sostenevano, poi, che il cliente avrebbe potuto esercitare il diritto di recesso a partire dalla conclusione del contratto, anche quando questa era successiva alla data di sottoscrizione 20. Secondo un’altra tesi la proposta dell’intermediario realizzava una sollecitazione del pubblico risparmio, quindi rivestiva il carattere di un’offerta al pubblico; mentre l’accettazione del cliente produceva l’immediata conclusione del contratto anche se il promotore finanziario era sprovvisto del potere di rappresentanza, essendo quest’ultimo un nuncius del proponente 21. La conclusione alla quale era giunta la dottrina era quella di far decorrere il termine per l’esercizio del diritto di ripensamento a partire dal momento della sottoscrizione del contratto; tant’è che lo stesso Regolamento Consob del 3 dicembre 1994, n. 8850, all’art. 28, prevedeva che il contratto doveva precisare il momento dal quale decorreva il termine per l’esercizio del diritto di recesso da parte dell’investitore, mettendo così in evidenza la non coincidenza tra il momento della conclusione con quello della sottoscrizione 22. Oggi il diritto di recesso trova la propria regolamentazione nell’art. 30 del t.u.f, che prevede la sospensione per sette giorni dell’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede. Il termine inizia a decorrere dal giorno in cui il contratto è sottoscritto dall’investitore. La norma è collocata, sotto un profilo sistematico, nel Capo IV, intitolato «offerte fuori sede» che ricomprende anche la «promozione e collocamento a distanza». Le due fattispecie sono contenute nel medesimo capo, in quanto entrambe le forme di promozione e collocamento nei confronti del pubblico sono attuate con modalità potenzialmente insi-
18
Miola, Commento sub art. 20, in L’Eurosim, a cura di G.F. Campobasso, Milano, 1997, p. 163. 19 Inzitari, La formazione del contratto nella vendita porta a porta di valori mobiliari (neutralità del modello codicistico e rispetto della tutela del consumatore), in Contr. e impr., 1992, p. 75 ss.. 20 Cfr. Tonelli, La vendita a domicilio di valori mobiliari, in Quadrimestre, 1984, p. 542. 21 Carbonetti, I contratti di intermediazione mobiliare, Milano, 1992, p. 93. 22 Salanitro, Società per azioni e mercati finanziari, Milano, 1996, p. 79.
523
Fatti e problemi della pratica
diose che giustificano la previsione di disposizioni normative a tutela del risparmiatore inesperto 23. L’offerta fuori sede e l’offerta a distanza anche se, come detto, collocate nel medesimo capo, non si trovano tra di loro in un rapporto di genere a specie, ma si pongono su due piani paralleli essendo sottoposte a discipline distinte 24. L’art. 30, co. 7., prevede infine la sanzione della nullità relativa qualora il contratto non contempli il diritto di recesso. La relativa azione può essere però proposta solo dall’investitore. Nonostante il legislatore del t.u.f. abbia puntualizzato diversi aspetti operativi, come ad esempio l’individuazione del momento da cui decorre il termine per esercitare il diritto di recesso, molti altri aspetti hanno dato vita ad un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale: si pensi, ad esempio, alla problematica relativa al fatto che la sottoscrizione dell’investitore non coincide necessariamente con la conclusione del contratto; e se non c’è conclusione non vi può essere recesso. Di conseguenza, ci troviamo innanzi ad un bivio, nel senso che o si tratta di revoca della proposta, ma in questo caso il testo si pone in evidente contrasto con la direttiva comunitaria, oppure si tratta di recesso, dunque il termine «sottoscrizione» deve essere sostituito con «conclusione» 25.
3. Le diverse posizioni della giurisprudenza e della dottrina. In giurisprudenza, così come in dottrina, si erano formati due orientamenti contrastanti sulla nozione di collocamento 26. Il primo orienta-
23
Sul punto si veda Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni, Milano, 1988, p. 79, il quale sosteneva che la disciplina contenuta nell’art. 18-ter, l. n. 246/1976, poteva essere applicata in via analogica anche ad altre ipotesi di vendite a domicilio, mediante una impostazione che posiamo definire rovesciata, ossia applicando la norma speciale alle fattispecie di diritto comune. 24 Parrella, Commento sub art. 30, in Il testo unico della finanza, a cura di Fratini e Gasparri, Torino, 2012, p. 489. L’autore precisa che la legge parla di “offerta fuori sede” e di “promozione e collocamento a distanza”, ma definisce “l’offerta fuori sede” come “promozione e collocamento”, cosicché il termine “offerta” può essere utilizzato nel presente contesto per identificare unitariamente sia la “promozione e collocamento”, sia le “offerte a distanza”. 25 Alpa - Gaggero, Profili della tutela del risparmiatore, in La riforma del mercato finanziario e delle società quotate, Milano,1998, p. 50. 26 Per una ricostruzione del dibattito Santosuosso, Jus poenitendi e servizi di
524
Gianfranco Liace
mento, che potremmo definire restrittivo, sosteneva che i termini “collocamento” e “collocamento di strumenti finanziari” dovevano, sotto un profilo sistematico, essere letti in modo organico, ovvero occorreva dare una lettura unitaria dell’art. 1 e dell’art. 30, co. 1 e 6, t.u.f., in quanto il diritto di ripensamento non era applicabile alle negoziazioni individuali effettuate fuori sede. Si sosteneva che il diritto di recesso era espressamente limitato dall’art. 30 t.u.f., trattandosi di un rapporto che individuava nei servizi di investimento offerti fuori sede il genus; mentre la species era rappresentata dal collocamento degli strumenti finanziari ed alla gestione di portafogli individuali. Il servizio di collocamento si contraddistingue per un aspetto peculiare, ossia per la presenza di un accordo tra l’emittente e l’intermediario collocatore in virtù del quale il medesimo intermediario offre al pubblico strumenti finanziari emessi a condizioni di prezzo e di tempo predeterminate. Ulteriore elemento posto a supporto della suddetta tesi era rappresentato dal fatto che l’art. 30, co. 8, t.u.f. escludeva il diritto di ripensamento per le operazioni caratterizzate da condizioni economiche standardizzate e da effettuarsi entro periodi di tempo determinati 27. L’orientamento estensivo, invece, sosteneva che il diritto di ripensamento – ex art. 30, co. 6, t.u.f. – relativo ai “contratti di collocamento di strumenti finanziari” doveva essere interpretato all’interno del contesto complessivo della norma in modo che l’interpretazione letterale coincidesse con quella sistematica, posto che nel mercato finanziario non si rinviene un significato univoco del termine collocamento. L’attribuire al termine “collocamento” un significato a-tecnico, quale sinonimo di vendita o generica offerta di un prodotto finanziario, non contraddice l’esigenza di celerità del mercato finanziario, essendo la
investimento: la tutela dell’investitore dall’ “effetto sorpresa”, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, p. 773. 27 Trib. Genova, 16 gennaio 2007, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, p. 758; Trib. Torino, 18 settembre 2007; App. Brescia, 20 giugno 2007; App. Milano, 24 marzo 2010 (inedita); Cass., 14 febbraio 2012, n. 2065, cit. In dottrina si vedano Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, p. 178; Amorosino – Rabitti Bedogni, a cura di, Manuale di diritto dei mercati finanziari, Milano, 2004, p. 147 ss.; Chieppa Maggi, Commento sub art. 30, in Testo unico della finanza, Commentario, diretto da G. F. Campobasso, Torino, 2003, pp. 138-139; Carbonetti, Lo jus poenitendi cit., p. 770.
525
Fatti e problemi della pratica
norma posta a tutela dell’investitore 28. La ratio del co. 8 dell’art. 30 t.u.f. deve essere ricercata nella più contenuta pericolosità dei titoli quotati, e nella necessità di impedire che l’esercizio del recesso possa mettere in pericolo, con la definitività del rapporto, il buon funzionamento del mercato e anche i rapporti di potere nell’ambito delle società quotate 29.
4. Il servizio di collocamento. Il servizio di collocamento viene definito come l’accordo tra l’emittente e l’intermediario collocatore destinato all’offerta al pubblico da parte di quest’ultimo di strumenti finanziari a condizioni di prezzo e di tempo predeterminate. La definizione testé riportata, formulata dalla Consob, presenta un forte limite, in quanto si adatta non al rapporto finale tra investitore non professionale e promotore, bensì al rapporto che lega l’emittente o l’offerente e il collocatore o l’intermediario. Tale definizione risulta essere poco idonea a definire l’ambito di applicazione dell’art. 30 t.u.f., dato che l’espressione contratto di collocamento si rinviene solo nel co. 6 della suddetta norma; mentre per le operazioni che rientrano nella definizione sopra riportata viene utilizzata l’espressione servizio di collocamento. Un effetto immediato e diretto che deriva da siffatta impostazione è l’applicabilità della locuzione “servizio di collocamento” ai soli investitori professionali. L’investitore/risparmiatore non può certamente essere
28 Trib. Bari, 26 febbraio 2007; Trib. Milano, 4 aprile 2007, in Banca, borsa e tit. cred., 2008, II, p. 758; Trib. Milano, 17 aprile 2007; Trib. Bologna, 17 aprile 2007, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, p. 758; Trib. Forlì, 13 gennaio 2009; Trib. Padova, 28 maggio 2009; Trib. Roma, 8 giugno 2009; Trib. Benevento, 26 ottobre 2005, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, p. 759; App. Milano, 22 gennaio 2010; App. Trento, 5 marzo 2009; Cass., 3 febbraio 2012, n. 1584, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, II, p. 138; Trib. Nocera Inferiore, 19 luglio 2013. Cfr. Liace, Diritto di recesso, contratti collegati e tutela del consumatore: la vicenda 4You, in Banca & Banchieri, n. 2/2012, p. 254 id. Collocamento e recesso nell’intermediazione finanziaria, in Treccani – Il Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014, p. 98. In dottrina si veda Salanitro, Società per azioni e mercati finanziari, Milano, 2000, p. 197. Per una posizione intermedia, che esclude il diritto di ripensamento nelle ipotesi di collocamento di servizi diversi dal contratto di gestione e di contratti promossi fuori sede ma comunque presso la sede o le dipendenze dell’offerente o dell’emittente cfr. Schiavelli, Il contratto di collocamento, in I contratti del mercato finanziario a cura di Gabrielli - Lener, Torino, 2004, II, p. 1025 ss. 29 Costi, Il mercato mobiliare, Torino, 2010, p. 112.
526
Gianfranco Liace
parte di un servizio di collocamento potendo egli essere, tutt’al più, mero sottoscrittore o acquirente di strumenti finanziari in fase di collocamento. Emerge, dunque, un sottile confine tra negoziazione e collocamento, in quanto il servizio di collocamento viene ad essere individuato come un’attività preliminare e strumentale alle singole operazioni d’investimento per le quali è sempre necessario un ordine del cliente. Va altresì evidenziato che gli intermediari utilizzano una modulistica standard per la sottoscrizione dei contratti da parte dei clienti, ma questo non trasforma il contratto finale in una proposta proveniente dal cliente con la conseguente inapplicabilità del diritto di ripensamento in virtù della presunzione della effettiva conoscenza dei rischi connessi all’operazione. La limitazione del diritto di ripensamento contenuta nell’art. 30, co. 6, t.u.f., rispetto al co. 1 della medesima norma, che invece offre una definizione molto più ampia e generale di offerta fuori sede, comporta che il diritto di recesso sussiste solo per i contratti che sono stati sottoscritti fuori della sede dell’intermediario, non essendo sufficiente la promozione o sollecitazione all’acquisto; pertanto il vincolo contrattuale deve essere perfezionato fuori sede. Il collocamento di strumenti finanziari deve, pertanto, essere inteso come un’attività diretta alla stipulazione dei contratti alla quale si indirizza l’attività di offerta. Ne consegue che lo jus poenitendi si applica solo ed esclusivamente ai contratti stipulati “fisicamente” fuori sede. Restano escluse dall’applicazione della presente disciplina le operazioni di trading on line che si basano su proposte ed ordini in rete 30. Va poi osservato che gli estremi della contrattazione “sorprendente” sussistono anche nel caso in cui l’intermediario si avvalga dell’attività di promotori finanziari per le operazioni di investimento in considerazione del ruolo attivo dell’offerente.
30
Il diritto di recesso così come disciplinato dall’art. 30 t.u.f. risulta essere inadeguato se si pensa che è nato in un contesto normativo ed operativo completamente diverso da quello attuale, tant’è che oggi non sembra rispondere alle effettive esigenze di celerità e di tutela dell’investitore ad esempio nei casi di contrattazione a distanza e di trading on line, modalità ampiamente diffuse a seguito dello sviluppo delle nuove tecnologie. Con il recepimento della Direttiva 2002/65/CE ad opera de d.lgs. 190/2005, le offerte a distanza sono soggette ad una disciplina speciale che si differenzia dal modello di tutela previsto per le offerte a distanza disciplinate dall’art. 30 t.u.f.
527
Fatti e problemi della pratica
5. L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite. . seguito dei contrasti giurisprudenziali la S.C. con ordinanza del 21 A giugno 2012, n. 1036 ha rimesso al Primo Presidente della Corte, per l’assegnazione alle Sezioni unite, la questione concernente l’ambito di applicazione del diritto di ripensamento in tema di contratti conclusi fuori sede ex art. 30 t.u.f. Parte della giurisprudenza riteneva che se si fosse consentito l’esercizio del diritto di recesso anche nel caso di una semplice negoziazione fuori sede l’investitore avrebbe goduto di tale diritto ad nutum. E, ad esempio, nell’ipotesi di mandato in favore dell’intermediario per la conclusione di negozi a condizioni più favorevoli, l’investitore avrebbe potuto esercitare il diritto di recesso anche solo per ragioni di natura economica, quali quelle determinate dalla possibilità di concludere acquisti di maggiore convenienza, per effetto di mutate situazioni di mercato 31. Il precedente Regolamento Consob n. 11522/1998, all’art. 35 disponeva che nella prestazione del servizio di collocamento gli intermediari autorizzati si dovevano attenere alle disposizioni dettate dall’offerente o dal soggetto che organizzava e costituiva il consorzio di collocamento al fine di assicurare l’uniformità delle procedure di offerta e di riparto. Ancora, la comunicazione Consob DAL/97006042 del 9 luglio 1997 precisava che il servizio di collocamento si caratterizza per essere un accordo tra l’emittente (o l’offerente) e l’intermediario collocatore, finalizzato all’offerta al pubblico da parte di quest’ultimo degli strumenti finanziari emessi, a condizioni di prezzo e di tempo predeterminate; mentre la negoziazione consiste nell’esecuzione di ordini di acquisto ricevuti dalla clientela medesima, a condizioni, quindi, diverse a seconda dell’acquirente e del momento dell’operazione. La disciplina MIFID, invece, garantisce una maggiore protezione per gli investitori. La stessa Direttiva n. 85/577 prevedeva il diritto di recesso del consumatore come amplificazione delle forme di tutela di quest’ultimo, anche perché l’omessa indicazione del diritto di ripensamento era vista con un certo disfavore, dato che era l’intermediario ad assumere l’iniziativa fuori dai locali commerciali e poteva giovarsi dell’effetto sorpresa, che poneva il consumatore nell’impossibilità di valutare scelte alternative. Provando a mutare la nostra visuale mediante un approccio diverso, ovvero attraverso la finanza comportamentale ci accorgiamo che le scel-
31
528
Cass., 20 marzo 2012, n. 4564, in Ilcaso.it.
Gianfranco Liace
te di investimento, anche dell’investitore più sofisticato, sono fortemente condizionate dal come, dal dove e dal quando viene presentato l’investimento; ecco perché il legislatore comunitario impone sempre di più agli intermediari di conformare il loro approccio al cliente al fine di “servire al meglio” gli interessi di quest’ultimo. Ne deriva che il termine collocamento ai fini dell’esercizio del diritto di recesso di cui all’art. 30 andrebbe inteso in senso ampio, riguardando ogni forma di vendita e quindi di negoziazione di titoli mobiliari, per l’attuazione di una più ampia tutela del risparmiatore al quale garantire la possibilità di ripensamento in ordine ad ogni forma di investimento 32. Il diritto di ripensamento non si attaglia al collocamento, che è attività prodromica al vero e proprio contratto, poiché l’art. 30, co. 6., t.u.f. si riferirebbe alle compravendite e quindi alle negoziazioni fuori sede, a tutela della posizione dei soggetti “avvicinati” fuori dalle sedi ordinariamente deputate a quest’attività. Nella giurisprudenza di merito si rinviene una posizione intermedia, che pur condividendo un’interpretazione ampia a tutela degli investitori, considera applicabile il periodo c.d. di moratoria anche agli acquisti e vendita di strumenti finanziari, e a tutte le possibili offerte che l’intermediario effettui fuori sede. Tuttavia tale orientamento ritiene che la disposizione relativa alla nullità ha una portata più ristretta, non comprendendo gli altri servizi di investimento 33.
6. La ratio legis della decisione. I giudici di legittimità, nella loro funzione nomofilattica, si sono discostati dalle argomentazioni testuali e dall’interpretazione sistematica della norma giungendo ad una soluzione basata su un’interpretazione di tipo finalistico della norma, fondata sulla ratio della legge, che si allontana anche dalle indicazioni della Consob. L’Autorità di Vigilanza nella Comunicazione n. DIN/12030993 del 19
32 La disposizione di cui all’art. 30, co. 6, t.u.f. relativa all’esercizio del diritto di recesso è applicabile tutte le volte che, a seguito di un’offerta fuori sede, venga concluso un contratto avente ad oggetto il collocamento di strumenti finanziari presso la clientela retail; il co. 7 dell’art. 30 stabilisce che è nullo il contratto in cui non sia espressamente menzionata la possibilità di esercitare il suddetto diritto di recesso ai sensi del suddetto co. 6. 33 Trib. Siena, 27.9.2006, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, p. 759.
529
Fatti e problemi della pratica
aprile 2012 aveva sostenuto che il diritto di ripensamento non potesse applicarsi ai contratti di raccolta e di esecuzione di ordini nonché alle operazioni compiute in esecuzione degli stessi, sia in ragione del tenore letterale del co. 6 dell’art. 30 t.u.f., sia in considerazione della ratio della suddetta norma, volta ad assicurare all’investitore il tempo necessario per meditare decisioni contrattuali che, per le relative peculiarità, necessitano di un adeguato spatium deliberandi. Nella conclusione di un contratto di gestione di portafogli individuali e di un collocamento di strumenti finanziari viene apprestata un’apposita tutela per garantire l’investitore, al fine di contenere l’effetto sorpresa 34. In tali casi, in difetto della sospensione di efficacia del contratto, lo stesso vincolerebbe il cliente con effetto immediato. Similmente, lo ius poenitendi opera in tutti quei casi in cui l’intermediario consigli la sottoscrizione o l’acquisto di un determinato strumento finanziario sulla base di una consulenza non indipendente in ragione di una remunerazione riconosciuta dall’emittente. La S.C. superando i precedenti contrasti giurisprudenziali ha sostenuto che il diritto di ripensamento è applicabile a tutti gli acquisti effettuati fuori sede, trattandosi di contratti in cui l’investitore è esposto ad una non attenta valutazione dei rischi e dei benefici. Vi è, dunque, un rafforzamento dell’ambito applicativo della norma che appare maggiormente conforme al dettato costituzionale. Risulterebbe infatti difficile giustificare una disparità di trattamento dell’offerta fuori sede di strumenti finanziari in ragione della diversa tipologia dei servizi d’investimento resi dall’intermediario, essendo analoga la situazione di vulnerabilità in cui viene a trovarsi il risparmiatore. Va considerato, poi, che l’art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE al fine di garantire un elevato grado di protezione dei consumatori, impone un’interpretazione delle norme ambigue nel senso più favorevole a quest’ultimo.
7. Osservazioni all’impostazione della Cassazione. La Cassazione ha solo apparentemente risolto la problematica relativa al diritto di ripensamento. La sentenza in commento non sembra infatti aver affermato un principio chiaro ed univoco.
34
530
Comunicazione Consob n. DAL/97007847 del 9 luglio 1997.
Gianfranco Liace
Uno dei primi rilevi attiene ad una presunta violazione dell’art. 3 Cost. 35. Si sostiene che non sia corretto utilizzare in modo promiscuo il termine “collocamento” attribuendogli una valenza atecnica, omettendo così una valutazione della reale ratio dell’art. 30 t.u.f. 36. Ne consegue che non sarebbe possibile ipotizzare l’esistenza di un principio generale che possa far ritenere che l’esecuzione di un ordine di negoziazione di uno strumento finanziario, concordato fuori dai locali dell’intermediario, mediante l’ausilio di un promotore finanziario, rientra tra quei negozi per i quali è necessario che il cliente abbia la possibilità di valutare ex post la convenienza dell’operazione medesima e possa dunque esercitare il riconoscimento del diritto di ripensamento. Questo anche perché si tratta di atti che incidono immediatamente sul suo patrimonio. Una siffatta valutazione che, ovviamente, supera il dato “tecnico”, non avrebbe nessun impatto sul contratto quadro (anche perché lo stesso non è produttivo, all’atto della sottoscrizione, di un immediato effetto economico) ma solo sui successivi ordini. L’art. 39 del Regolamento Intermediari del 29 ottobre 2007, n. 16190 stabilisce che l’investitore deve essere informato in modo compiuto sull’operazione e che gli intermediari che prestano servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafoglio devono ottenere dal cliente o potenziale cliente le informazioni necessarie in merito: a) alla conoscenza ed esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio; b) alla situazione finanziaria; c) agli obiettivi di investimento. Quando gli intermediari che forniscono il servizio di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafogli non ottengono adeguate informazioni devono astenersi dal prestare i servizi. Infine, gli intermediari non possono incoraggiare un cliente o potenziale cliente a non fornire le informazioni richieste 37. La suddetta norma ha una funzione ben diversa da quella che riconosce il diritto di recesso, poiché siamo innanzi ad una regola di comporta-
35
Cfr. C.A. Nigro, Le sezioni unite e la vis expansiva della disciplina dello jus poenitendi, in Nuova giur. civ. comm., I, 2014, p. 15. Diversamente orientato la rocca, L’ “offerta fuori sede di strumenti finanziari” in Cassazione e l’art. 56 quater del d.l. “del fare”, in www.ilcaso.it, 7 ottobre 2013, p. 8. 36 Della vecchia, Il diritto di recesso del cliente ex art. 30 del T.U.F.: l’interpretazione delle Sezioni Unite ed il successivo intervento legislativo, in Società, 2014, p. 49. 37 In tal senso Eroli, Lo ius poenitendi ed il contratto di intermediazione finanziaria, 24 maggio 2012 in www.diritto.it, p. 5.
531
Fatti e problemi della pratica
mento la cui violazione non incide sulla validità del contratto, nel senso che in caso di sua violazione non è ipotizzabile l’applicabilità della nullità del negozio. È diversa, invece, l’ipotesi di mancata indicazione del diritto di recesso; in questo caso opererebbe una nullità di protezione, che ha quale obiettivo primario quello di fornire una tutela al contraente più debole, ovvero all’investitore. Il diritto di ripensamento ha la funzione di sospendere temporaneamente l’efficacia del contratto la cui esecuzione viene ad essere quindi differita. Ebbene, si obietta che il servizio di ricezione e trasmissione degli ordini di negoziazione sul mercato, e non quindi per il collocamento, è una prestazione diversa dal servizio di collocamento o di gestione, poiché l’art. 49 Regolamento Intermediari dispone che gli intermediari che trattano ordini per conto dei clienti applicano misure che assicurino una trattazione rapida, corretta ed efficiente di tali ordini rispetto ad altri ordini di clienti e agli interessi di negoziazione dello stesso intermediario 38. In caso di ordini di clienti con limite di prezzo in relazione ad azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato che non siano eseguiti immediatamente alle condizioni prevalenti del mercato, gli intermediari autorizzati all’esecuzione degli ordini per conto dei clienti adottano misure volte a facilitare l’esecuzione più rapida possibile di tali ordini pubblicandoli immediatamente in un modo facilmente accessibile agli altri partecipanti al mercato, a meno che il cliente fornisca esplicitamente istruzioni diverse. A tal fine gli intermediari possono trasmettere gli ordini del cliente con limite di prezzo a un mercato regolamentato e/o a un sistema multilaterale di negoziazione. Sul punto va da subito precisato che l’art. 30, co. 8, t.u.f. sancisce la non applicabilità della sospensione dell’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede, alle offerte pubbliche di vendita o di sottoscrizione di azioni con diritto di voto o di altri strumenti finanziari che permettono di acquisire o sottoscrivere tali azioni, purché le azioni o gli strumenti finanziari siano negoziati in mercati regolamentati italiani o di paesi dell’UE 39. La stessa Consob ha precisato che la ratio che sottende all’esclusione dell’applicazione del diritto di ripensamento alle offerte pubbliche di vendita e sottoscrizione di titoli quotati è la stessa che giustifica l’e-
38
Eroli, Lo ius poenitendi, cit., p. 6. Pagnoni, Commento sub art. 30, in Commentario al TUF, a cura di Alpa e Capriglione, Padova, 1998, p. 329. 39
532
Gianfranco Liace
sclusione del suddetto diritto con riferimento alle operazioni aventi ad oggetto titoli per i quali sia già stata deliberata l’emissione, ancorché la negoziazione potrà avvenire solo al termine dell’offerta, una volta assegnati i titoli. Ciò risulta funzionale all’esigenza di mercato di effettuare tempestivamente le procedure di riparto e consentire l’inizio della negoziazione, al fine di ridurre al minimo il grey market, ovvero il periodo intercorrente tra il momento della chiusura dell’offerta ed il momento di inizio delle negoziazioni 40. È evidente che per determinate tipologie di operazioni di investimento è lo stesso legislatore ad escludere il diritto di ripensamento, in quanto l’esenzione non va ad incidere sull’esigenza di tutela dell’investitore, rilevato che egli riceve già una tutela dalla disciplina delle offerte pubbliche. L’esclusione del diritto di recesso è risultata necessaria al fine di assicurare il buon funzionamento di queste operazioni, le quali coinvolgono un numero indeterminato di investitori/risparmiatori e hanno tempi stringenti. L’esigenza di assegnare immediatamente i titoli offerti non consente di attendere la scadenza del termine per il diritto di ripensamento, stante il rischio che detto diritto possa essere esercitato contestualmente o dopo le operazioni di riparto. Infine, si potrebbe verificare anche una lesione della par condicio degli investitori, in quanto il diritto di ripensamento potrebeb essere esercitato solo da coloro che avevano ricevuto l’offerta fuori sede. Va poi osservato che la tesi che si fonda sul significato tecnico del termine collocamento, limita la previsione contenuta nell’art. 30 t.u.f. alle sole ipotesi di collocamento in senso proprio e di sottoscrizione dei contratti di gestione; di conseguenza contrasta con la finalità di tutela del consumatore, che giustifica il diritto di ripensamento con la posizione meno garantita dell’investitore che viene contattato fuori sede dal promotore finanziario e, presumibilmente, invogliato a sottoscrivere contratti nei quali riveste una posizione debole 41. Infine, viene paventata dalla S.C. la possibilità di un recesso opportunistico, motivato da eventuali oscillazioni dei valori dei prodotti finanziari
40
Bollettino settimanale Consob “Consob Informa”, del 22 giugno 1998, n. 25. Parte della dottrina ha precisato che il collocamento degli strumenti finanziari è «da intendersi in senso lato quale attività diretta alla (e comprendente la) stipulazione dei contratti, (di vendita, di sottoscrizione…) alla quale si indirizza l’attività di offerta». Cfr. Costi – Enriques, Il mercato mobiliare, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, 2004, p. 184. In giurisprudenza si vedano App. Brescia, 24 settembre 2007, in Ilcaso.it; Trib. Parma, 14 maggio 2007, in Ilcaso.it. 41
533
Fatti e problemi della pratica
acquistati fuori sede, ma la scelta di esercitare un diritto da parte dell’investitore non contrasta con l’intento del legislatore di tutelare il consumatore meno protetto quando acquista fuori dai locali del venditore, vincolando quest’ultimo a stringenti obblighi di protezione del cliente e gravandolo di tutte le possibili conseguenze negative della mancata tutela 42. In una valutazione dei costi e dei benefici dell’istituto del diritto di recesso, previsto dall’art. 30 t.u.f., emerge, secondo alcuni autori, una «sconfitta di detto istituto, poiché da un lato la sospensione per sette giorni dell’efficacia del contratto può in molti casi essere fonte di danno per l’investitore che dal ritardo nell’esecuzione dell’operazione può spesso subire un pregiudizio conseguente ad una flessione del valore dell’investimento» 43. Dall’altro, il diritto di recesso viene esercitato solo dagli investitori sofisticati, che sono in grado di valutare diligentemente l’opportunità di recedere nel termine di sette giorni. Per il piccolo risparmiatore resta la sanzione della nullità del contratto prevista per i casi in cui non venga indicato nei moduli o nei formulari la facoltà di ripensamento. Si tratta però di una tutela di tipo riparatorio e di carattere esclusivamente formale, che non risponde alle effettive esigenze di tutela della parte debole in presenza di un’attività contrattuale sorprendente, che non ha consentito una completa valutazione dei rischi e delle caratteristiche dell’operazione.
8. L’abuso del diritto, la condotta opportunistica e il principio di buona fede. Uno degli aspetti della decisione della S.C. che risulta essere poco condivisibile è quello relativo alla condotta opportunistica dell’investitore, in quanto si sostiene che il cliente/risparmiatore potrebbe assumere comportamenti opportunistici, ad esempio nel caso in cui durante il periodo di sospensione degli effetti del contratto, le condizioni del mercato dovessero mutare, l’investitore potrebbe decidere di far valere la nullità relativa, prevista dal co. 7 dell’art. 30 t.u.f. 44.
42
Trib. Padova, 20 maggio 2009. Carbonetti, Lo jus poenitendi nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari, p. 785, il quale rileva che «lo jus poenitendi risulta appartenere, per tornare alla classificazione ascarelliana, al novero degli istituti regressivi». 44 Maggiolo, Servizi ed attività d’investimento, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 2012, p. 314. 43
534
Gianfranco Liace
Esisterebbe un rischio concreto di un utilizzo non corretto da parte dell’investitore del diritto di recesso. Tale rischio potrebbe però essere neutralizzato applicando il principio di buona fede. Parte della giurisprudenza di merito, ad esempio, ha stabilito che la mancanza del contratto quadro integra una fattispecie di nullità relativa, che può essere oggetto di convalida da parte dell’investitore, in quanto quest’ultimo, nel momento in cui invoca la nullità delle sole operazioni che hanno generato una perdita, applicando un principio di nullità selettiva, manifesterebbe una volontà di non impugnare le altre operazioni, quindi la predetta condotta dovrebbe essere interpretata come convalida tacita della nullità del contratto quadro non sottoscritto 45. Questa impostazione non può condividersi, perché la nullità relativa deve essere intesa come una sanzione civile indiretta volta a tutelare il contraente debole e al contempo a disincentivare determinate condotte dell’intermediario. L’obbligo di buona fede oggettiva costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica 46. Una volta collocato nel quadro dei valori della Carta costituzionale, poi, il predetto principio deve essere inteso come una specificazione degli “inderogabili doveri di solidarietà sociale” imposti dall’art. 2 Cost.. Il dovere di solidarietà sociale impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce uno strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell’equilibrio e della proporzione. Il criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva è quello dell’abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto sono: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso
45 46
Trib. Verona, 23 marzo 2010, in Rass. dir. civ., 2011, 1276. Cass. 15 febbraio 2007, n. 3462, in banca dati DeJure.
535
Fatti e problemi della pratica
della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrificio cui è soggetta la controparte. L’abuso del diritto, quindi, delinea l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore. Come rimedio all’abuso del diritto, l’ordinamento pone una regola generale, ovvero quella di rifiutare la tutela di diritti ed interessi esercitati in violazione delle regole, poste in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. La giurisprudenza ritiene che la buona fede deve essere intesa come un presidio a tutela dell’intermediario a fronte di mutamenti del mercato 47. Sul punto è stato osservato che: «altro è dire che l’investitore è legittimato a far valere una causa di nullità, altro è dire che lo è, a condizione che l’esercizio sia conforme alla buona fede, il che vuol dire – qui, a detta delle stesse Sezioni Unite – che esso non sia opportunistico» 48. La condotta opportunistica, quindi, si tradurrebbe in un abuso del diritto, nel senso che l’investitore eserciterebbe il diritto di recesso per finalità diverse da quelle riconosciutegli dalla norma, ovvero per sottrarsi alle perdite 49. Nell’ipotesi di violazione del principio di buona fede oggettiva, l’intermediario potrà invocare il mantenimento del rapporto contrattuale o potrà chiedere il risarcimento del danno? Si opta, nel caso di specie per la tutela reale essendo possibile l’esecuzione in forma specifica. Appare non condivisibile la posizione di chi sostiene che siffatta forma di tutela debba essere riconosciuta solo per le operazioni con prezzi standardizzati, perché in questo caso l’investitore ha una piena consapevolezza del “prezzo” dell’operazione; mentre per le altre tipologie di operazioni aventi un “prezzo” oscillante l’investitore conclude l’investimento senza conoscerne il controvalore; per di più l’esecuzione avvie-
47
Maffeis, Investimenti fuori sede e difetto di indicazione della facoltà di recesso, in Riv. dir. banc., 15, 2013, p. 3; Dolmetta – Minneci – Malvagna, Lo ius poenitendi tra sorpresa e buona fede: a proposito di Cass. SS. UU. n. 13905/2013, in Riv. dir. banc., 16, 2013, p. 4. 48 Maffeis, Investimenti fuori sede e difetto di indicazione della facoltà di recesso, p. 3. 49 Cass., 20 marzo 2009, n. 6896, in Foro it. Rep., 2009, voce Contratti in genere, n. 437; Cass., 7 marzo 2007, n. 5273, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, II, 69. Entrambe sull’eccezione di dolo e frode nell’esercizio dell’azione.
536
Gianfranco Liace
ne al prezzo che lo strumento finanziario registrerà alla scadenza del termine della sospensiva 50. Ne consegue che la disciplina in questione non si attaglia alla negoziazione dei titoli del mercato secondario in cui il prezzo è caratterizzato da rapide e continue fluttuazioni. Va osservato, poi, che il diritto di ripensamento è stato concepito come una forma di tutela tout court dell’investitore dai rischi derivanti dall’effetto sorpresa, poiché gli si deve consentire di riflettere sull’operazione che ha sottoscritto a prescindere dal prezzo standard o fluttuante. In questo caso si realizzerebbe una parziale disapplicazione dell’art. 30, co. 6, t.u.f. in assenza di una specifica previsione normativa. Alla banca è attribuita una responsabilità da status, che mal si concilia, ad esempio, con un’offerta di strumenti finanziari che in breve lasso di tempo, meno di sette giorni, risultano non convenienti essendosi ridotto notevolmente il valore. Non si comprende, quindi, per quale ragione debba essere l’investitore a sopportare l’onere economico derivante dall’effetto sorpresa.
9. L’omessa indicazione del diritto di recesso e la sanzione della nullità. L’art. 30, co. 7, t.u.f. stabilisce che l’omessa menzione della facoltà di esercitare il diritto di recesso nei moduli e nei formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta valere solo dal cliente. Si tratta quindi di una nullità di protezione alla stregua di quelle contenute nel codice del consumo, invocabile a tutela di una sola parte (dall’investitore) in diretta attuazione del principio costituzionale di solidarietà. L’indicazione del diritto di recesso nei contratti non si riferisce al solo contratto quadro inizialmente sottoscritto dall’investitore, ma anche ai contratti di investimento successivamente sottoscritti, per i quali, altrimenti, il risparmiatore si troverebbe privo di una effettiva tutela. Inoltre, con la sottoscrizione del contratto quadro il cliente dell’intermediario non effettua nessuna operazione di investimento: pertanto, ci si troverebbe innanzi ad una forma di tutela non applicabile in concreto. Alcuni autori hanno sostenuto che la mancata indicazione del diritto di recesso all’atto della sottoscrizione impedisce di fatto di potersi avvalere del relativo diritto, in quanto viene meno la sostanza della tutela
50 Civale, Diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede di prodotti finanziari: dalle questioni semantiche all’eterogenesi dei fini, in Riv. dir. banc., 2013, p. 8.
537
Fatti e problemi della pratica
preventiva e non solo la prescrizione formale 51. Si tratta di una nullità concepita come rimedio verso un possibile pregiudizio a cui il cliente/risparmiatore è esposto, costituendo un presidio avverso la naturale asimmetria informativa che esiste tra i contraenti, tant’è che si potrebbe far riferimento al c.d. «formalismo di protezione» 52. Si potrebbe ipotizzare de jure condendo una riformulazione del diritto di recesso contenuto nel t.u.f. avvicinandolo alla disciplina sanzionatoria, prevista dal Codice del Consumo con riferimento alla commercializzazione a distanza dei servizi finanziari. L’art. 67. co. 4-septiesdecies del codice del consumo commina la sanzione della nullità, rilevabile solo dal cliente, in tre distinti casi: a) qualora il fornitore del servizio ostacoli il diritto di recesso da parte del contraente; b) in caso di mancato rimborso delle somme eventualmente pagate dal consumatore; c) in caso di violazione degli «obblighi di informativa precontrattuale in modo da alterare in modo significativo la rappresentazione delle sue caratteristiche». L’intento del legislatore è sicuramente quello di eliminare le asimmetrie informative tra il consumatore e il professionista/produttore, al fine di riequilibrare il rapporto contrattuale. Delle tre ipotesi sopra indicate solo la prima si inserisce nel solco già tracciato dall’art. 30 t.u.f. ampliando l’ambito di applicazione della san-
51 Dolmetta - Minneci - Malvagna, Lo ius poenitendi, cit., p. 7. La giurisprudenza di merito in relazione ad alcuni piani finanziari ha stabilito che: «il contratto denominato “My Way” è un contratto misto che ha come scopo principale l’acquisto di prodotti finanziari, posto che il soggetto finanziato non riceve nessuna somma di denaro della quale può disporre e che viene invece interamente utilizzata per l’acquisto di prodotti finanziari. A tale tipo di contratto deve quindi ritenersi applicabile la disciplina prevista per i contratti di collocamento si strumenti finanziari di cui all’art. 30, commi 6 e 7 del d. lgs. n. 58/1998 in base alla quale il contratto, ove concluso fuori sede, deve prevedere la facoltà di recesso a pena di nullità». Così Trib. Roma, 20 luglio 2006, n. 16408; Trib. Mantova, 17 ottobre 2006, entrambe in Ilcaso.it. Si veda anche Inzitari - Piccinini, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, Padova, 2008, p. 33. La clausola contrattuale di recesso contenuta nel piano finanziario 4YOU non è facilmente comprensibile dagli investitori inesperti, in quanto si compone di proposizioni criptiche e di una formula matematico finanziaria incomprensibile al pubblico non specialistico; si deve pertanto concludere per la sua vessatorietà e nullità. Da ciò discende la facoltà del cliente di recedere ad nutum dal piano finanziario con il conseguente diritto di vedersi restituite tutte le rate versate per il rimborso del finanziamento dalla stipula sino al momento dell’effettivo saldo. In tal senso si veda Trib. Firenze, 13 giugno 2013, in Ilcaso.it. 52 Pagliantini, Formazione del contratto, in Enc. giur., II, 2, Milano, 2008, p. 581, nt. 69; Semeghini, Forma ad substatiam ed exceptio doli nei servizi di investimento, Milano, 2010, p. 115.
538
Gianfranco Liace
zione, operante non solo in caso di mancata menzione della facoltà di recedere sui moduli o formulari utilizzati, ma in tutte le situazioni in cui «il fornitore ostacola il diritto di recesso». Il rimedio, quindi, è invocabile qualora il fornitore ponga in essere comportamenti tali da escludere lo jus poenitendi accordato al consumatore, sia nella fase precontrattuale, sia in quella successiva alla conclusione del contratto, o ancora qualora il fornitore del servizio induca il consumatore in errore, negando la facoltà di recedere. In questo caso si può certamente richiamare il principio di buona fede già invocato dalla S.C. L’ipotesi contraddistinta dalla lett. b) richiama, in linea di massima, il principio contenuto dal t.u.f. che consente all’investitore di recedere senza il pagamento di nessuna commissione. Il contratto è nullo anche se il fornitore non rimborsa le somme. La nullità in questo caso pare tuttavia dettata dalla finalità di evitare che, in caso di mancata restituzione di quanto ricevuto da parte del fornitore, il consumatore possa essere tenuto al pagamento del corrispettivo per il servizio fornito. Il caso contraddistinto dalla lett. c), invece, sembrerebbe essere maggiormente insidioso, posto che le Sezioni Unite hanno escluso che la violazione dei doveri di comportamento da parte degli intermediari possa determinare la nullità del contratto 53, ma nel caso di specie si tratterebbe di una nullità espressamente prevista dal dettato normativo e, quindi supererebbe lo “sbarramento” della nullità virtuale.
10. Il decreto del fare e la posizione della Cassazione. Il d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (art. 56-quater), convertito con l. 9 agosto 2013, n. 98, ha aggiunto all’art. 30, co. 6, t.u.f., dopo il secondo periodo, il seguente: «ferma restando l’applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all’articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d), per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche ai servizi di investimento di cui all’art. 1, comma 5, lettera a)». Dal dato normativo emerge che, per i contratti sottoscritti in data antecedente al 1° settembre 2013, il diritto di ripensamento riconosciuto al cliente nell’ambito dell’offerta
53 Cass., S. U., 19 dicembre 2007, n. 26725, in Banca, borsa, tit. cred., II, 143, con nota di Bove, Le violazioni delle regole di condotta degli intermediari finanziari al vaglio delle Sezioni unite.
539
Fatti e problemi della pratica
fuori sede risulta applicabile solo ai servizi di collocamento e gestione di portafogli; invece, per quelli conclusi successivamente a detta data, tale diritto viene ad essere esteso anche al servizio di negoziazione in conto proprio. Va, altresì, osservato che la disposizione in esame limita, in modo intenzionale, l’ambito dei rapporti per i quali risulta applicabile il diritto di ripensamento, ovvero ad una sfera più contenuta rispetto a quella delle offerte fuori sede. La Cassazione è intervenuta recentemente sul tema precisando che l’art. 56-quater non può essere qualificato come norma interpretativa 54 dal momento che nei lavori preparatori non vi è alcuna indicazione in tal senso. Sul punto è stato osservato che qualora il legislatore avesse prescritto che: «per contratti di collocamento, ai sensi dell’art. 30, comma 6, d. lgs. n. 58/98, si intendono i contratti relativi ai servizi di investimento di cui all’articolo 1, comma 5, lettere a), c), c-bis) e d)» sarebbe stata chiara la natura di interpretazione autentica della disposizione normativa 55. Invece, l’espressa previsione di un dies a quo per l’entrata in vigore della disposizione esclude che alla stessa possa riconoscersi natura di interpretazione autentica56. Il legislatore non ha espressamente escluso che il diritto di ripensamento possa applicarsi anche ai servizi di ricezione e trasmissione di ordini, lasciando così la questione ancora aperta. Una siffatta impostazione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 47, co. 1, Cost.; infatti, appare alquanto arduo giustificare una disparità di trattamento tra i risparmiatori a seconda della data in cui hanno sottoscritto il contratto, così come verrebbe meno la tutela del risparmio in tutte le sue forme. Il limite temporale individuato dal legislatore, più che rappresentare una scelta equilibrata 57, sembra assumere i connotati di una decisione salomonica. Forse sarebbe stato opportuno riformulare l’istituto del di-
54 Cass., 3 aprile 2014, n. 7776, in www.dirittobancario.it; la rocca, Jus poenitendi e servizi di investimento (a margine di Cass. 3 aprile 2014 n. 7776), in Riv. dir. banc., 2014; e in Riv. trim. dir. economia, 2014, con nota di Mirra, Lo jus poenitendi nell’offerta fuori sede: dubbi sull’applicabilità ai servizi ed alle attività di investimento; e in Banca, borsa e tit. cred., II, 2014, 524, con nota di Tucci, L’offerta fuori sede nella stagione del nichilismo giuridico. 55 Natoli, Lo jus poenitendi ex art. 30 T.U.F. dopo il d.l. n. 69/13 (c.d. decreto del fare), in Nuove leggi civ. comm., 2014, p. 236. Assume posizione contraria civale, La nuova disciplina del diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede dei prodotti finanziari, in Riv. dir. banc., 2013, p. 8. 56 Corte Cost., 17 novembre 1992, n. 455, in Giust. cost., 1992, p. 4192. 57 Civale, Il contenzioso bancario e finanziario, Roma, 2014, p. 293.
540
Gianfranco Liace
ritto di ripensamento nel senso sopra suggerito, anziché optare per una siffatta soluzione per di più assunta con decreto legge. Alla luce di tutte le considerazioni fin qui svolte, si può concludere che l’esercizio del diritto di recesso, nel caso di mutate condizioni del mercato, non si pone in contrasto con lo scopo per il quale lo stesso è riconosciuto e non pone certamente l’intermediario in una posizione più gravosa di quella in cui si troverebbe nel caso di recesso operato dall’investitore per motivi diversi. Gianfranco Liace
541
PARTE seconda Legislazione, documenti e informazioni
legislazione
La Raccomandazione della Commissione sul “nuovo” approccio al fallimento. Nel quadro del progetto europeo di armonizzazione delle discipline in materia di crisi di impresa, il 12 marzo 2014 è stata adottata la “Raccomandazione n. 2014/135/UE su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza”, che appresso si pubblica. Tale raccomandazione è, in ordine cronologico, l’ultimo passo importante del percorso, lungo e travagliato, di armonizzazione, seppure minima, delle discipline nazionali degli Stati membri in materia di diritto dell’insolvenza. Percorso che, com’è noto, fu avviato nel 1960, con l’elaborazione del primo progetto comunitario di convenzione per l’unificazione delle procedure concorsuali e perseguito, con perseveranza, fino al 1984, quando si decise di abbandonarlo per “virare” su modelli di compromesso. Con la “Convenzione su alcuni aspetti internazionali del fallimento”, elaborata dal Consiglio d’Europa e firmata ad Istanbul nel 1989, il legislatore europeo si è così indirizzato piuttosto a regolamentare le questioni, tipicamente internazional-privatistiche, scaturenti dall’insolvenza di soggetti ad operatività pluriordinamentale. A tal fine, due erano i modelli “puri” teoricamente adottabili: il modello dell’universalità, secondo il quale la procedura di insolvenza, aperta in uno Stato, estende la sua portata anche sui beni del debitore presenti in altro ordinamento; il modello della territorialità, secondo il quale, all’opposto, la procedura di insolvenza esplica i suoi effetti esclusivamente sui beni presenti nello Stato di apertura. La Convenzione di Istanbul ha adottato invece un modello ibrido, chiamato universalità limitata (o pluralità universale), secondo il quale la procedura di insolvenza, aperta nello Stato in cui l’impresa ha il centro degli interessi principali (fallimento principale), non preclude l’inizio, in altri Stati, di procedure secondarie, sebbene queste ultime con portata esclusivamente liquidatoria e con effetti limitati al territorio dello Stato in cui sono aperte. Seguendo la strada tracciata dalla Convenzione di Istanbul è stata poi stipulata la “Convenzione comunitaria sulle procedure di insolvenza”, firmata nel 1995 a Bruxelles, che ha rappresentato l’antecedente specifico del “Regolamento CE n. 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza”.
Legislazione
Tale Regolamento riprende pressoché integralmente la Convenzione di Bruxelles del 1995 e, com’è altrettanto noto, si fonda sulla regola dell’universalità limitata e sul riconoscimento automatico, in tutti gli stati dell’Unione, delle decisioni relative all’apertura di procedure concorsuali assunte in uno di essi. Il Regolamento non è riuscito, però, a risolvere tutti i problemi connessi alla crisi dell’impresa ad operatività comunitaria. Nel novembre del 2011, adottando la “Risoluzione sulle procedure d’insolvenza nel contesto del diritto societario dell’UE”, il Parlamento Europeo ha invero definito obsoleto il Regolamento CE n. 1346/2000, enfatizzando l’importanza e l’urgenza di procedure d’insolvenza indirizzate a promuovere il salvataggio delle società con strumenti alternativi alla liquidazione e mediante un regolamento idoneo a consentire all’imprenditore fallito di ricominciare lo svolgimento di un’attività economica. Nella stessa direzione si è poi posta, dapprima, la Commissione Europea, che con la comunicazione “L’Atto per il mercato unico II”, del 3 ottobre 2012, ha annunciato l’intenzione di esaminare le modalità attraverso cui rendere maggiormente efficiente il diritto concorsuale in Europa, ponendosi come obiettivi sia quello di facilitare la sopravvivenza delle imprese in crisi, sia quello di offrire una seconda opportunità all’imprenditore défaillant; e, in un momento immediatamente successivo, il Parlamento ed il Consiglio d’Europa, che con la proposta di modifica del Regolamento CE n. 1346/2000, del 12 dicembre 2012, hanno evidenziato la necessità di allargare il campo di applicazione del regolamento alle c.d. procedure di pre-insolvenza ed alle procedure ibride. Il 9 gennaio 2013, infine, la Commissione Europea, adottando “Il piano d’azione imprenditorialità 2020”, ha ribadito la necessità che gli ordinamenti degli Stati membri, per un verso, fissino ad un massimo di tre anni il termine, trascorso il quale l’imprenditore onesto ma sfortunato possa ottenere l’esdebitazione e, per altro verso, si dotino di strumenti idonei per la ristrutturazione delle imprese in crisi. *** Sulla base di tali premesse e del clima di generale insoddisfazione maturato intorno alla disciplina comunitaria dell’insolvenza (insoddisfazione acuitasi per effetto della profonda crisi che ha colpito l’economia degli Stati membri negli ultimi anni), la Commissione Europea ha dunque emanato, il 12 marzo 2014, la “Raccomandazione su un nuovo approccio al fallimento e all’insolvenza delle imprese”. La Raccomandazione – al pari del Regolamento n. 1346/2000 – esclude dal proprio campo di applicazione le imprese assicuratrici, gli enti creditizi, le imprese di investimento, gli organismi d’investimento collettivo, le controparti centrali, i depositari centrali di titoli e altri istituti finanziari, la cui crisi determina effetti del tutto peculiari (e, potenzialmente, assai gravi per le economie nazionali) che, a loro volta, consigliano l’adozione di misure di risanamento o liquidazione “speciali”, rispetto alla disciplina della crisi dell’impresa comune. L’organo comunitario esclude, poi, dal campo di applicazione anche
112
Marco Conforto
il sovraindebitamento del consumatore, anche se, nei considerando, lascia ai singoli ordinamenti la scelta in merito all’attuazione dei principi chiave della Raccomandazione in tale materia. Esplicitamente incluse nel campo di applicazione della raccomandazione sono invece le imprese che versano in difficoltà finanziaria e per le quali sussiste una probabilità di insolvenza. Gli obiettivi perseguiti dal legislatore comunitario, esplicitati sin dal primo considerando, sono: a) consentire alle imprese sane, ma in difficoltà finanziaria, di utilizzare strumenti volti al superamento della crisi, così da evitare l’insolvenza; b) dare una seconda opportunità all’imprenditore fallito, ma onesto. Per il raggiungimento di tali obiettivi, secondo la Commissione, occorre: 1) consentire al debitore di accedere a procedure di pre-insolvenza, al fine di affrontare la crisi in una fase precoce della stessa; 2) assicurare al debitore il controllo dell’impresa durante la procedura di pre-insolvenza; 3) legittimare il debitore a proporre istanza per la sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali; 4) riconoscere alla maggioranza dei creditori votanti il potere di imporsi sulla minoranza dissenziente, qualora il piano di ristrutturazione sia stato omologato dal giudice; 5) apprestare una speciale tutela ai crediti nascenti dai finanziamenti, funzionali alla ristrutturazione, i quali non debbono poter essere dichiarati invalidi ovvero inopponibili. *** Come anticipato, il primo obiettivo perseguito dalla Raccomandazione è la ristrutturazione preventiva delle imprese. In proposito va segnalato che la Commissione, per un verso, si rivolge al debitore “in crisi” e non in stato di insolvenza, proprio perché ritiene sia importante curare il dissesto in una fase precoce; e, per altro verso e conseguentemente, auspica l’adozione, da parte dei legislatori nazionali, di meccanismi (o procedure) che incoraggino l’emersione tempestiva della crisi e che prevedano un intervento limitato del giudice. Com’è noto, in Italia, con la riforma attuata nel 2005-2007 – e proseguita anche negli anni successivi – la strada intrapresa è stata quella di potenziare gli strumenti alternativi al fallimento (concordato preventivo; accordi di ristrutturazione dei debiti e piani attestati di risanamento), proprio al fine di incentivare il debitore ad affrontare la crisi prima che la stessa si trasformi in insolvenza irreversibile. Sul punto, sembra dunque corretto ritenere che le indicazioni contenute dalla Raccomandazione siano già state raccolte e fatte proprie dal legislatore domestico: ed in tal senso è sufficiente pensare alla progressiva “privatizzazione” che nel corso degli ultimi anni ha subito il concordato preventivo – con conseguente riduzione dello spazio di intervento dell’autorità giudiziaria –, dei cui effetti protettivi può oggi godere persino l’imprenditore che si limiti a presentare la semplice domanda di accesso alla procedura, senza necessità del
113
Legislazione
deposito contestuale della proposta e del piano (c.d. concordato in bianco: art. 161, co. 6 l.fall.) Nella Raccomandazione, poi, si evidenzia l’importanza che per il risanamento dell’impresa in crisi riveste il piano di ristrutturazione, il quale dovrebbe contenere una serie di elementi imprescindibili, ai fini dell’omologazione da parte del giudice, quali: la specifica identificazione dei creditori e degli effetti che il piano produrrà sui crediti da ciascuno vantati; le condizioni per i nuovi finanziamenti; la capacità del piano di evitare l’insolvenza dell’impresa. Con specifico riferimento alla posizione dei creditori, la raccomandazione sembra preferire la loro suddivisione in classi (nel qual caso il piano dovrebbe essere approvato anche dalla maggioranza delle classi), stabilendosi espressamente che: «sarebbe quanto meno opportuno distinguere tra classi di creditori titolari di una garanzia e di creditori privi di garanzia» (punto 17). Anche su tale aspetto, a ben vedere, la Raccomandazione e la normativa italiana paiono decisamente sovrapponibili. Non sempre però è così. La differenza più marcata, tra quanto auspicato dall’organo comunitario e quanto previsto nel nostro ordinamento, si registra con riferimento ai diritti da riconoscere ai creditori coinvolti nel piano di ristrutturazione. In particolare, secondo la Commissione, il giudice deve valutare che il piano non leda i diritti dei creditori dissenzienti: è necessario, quindi, che l’autorità giudiziaria proceda ad una valutazione di convenienza economica del piano rispetto all’ipotesi liquidatoria. Viene invero stabilito che per ottenere l’omologazione è necessario che «il piano di ristrutturazione non limita i diritti dei creditori dissenzienti in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere in assenza di ristrutturazione, se l’impresa del debitore fosse liquidata o venduta in regime di continuità aziendale, a seconda del caso» [punto 22, lett. c)]. Inoltre, e in perfetta continuità logica con il principio da ultimo esposto, la Commissione riconosce a tutti i creditori potenzialmente interessati dal piano il «diritto di opporsi e proporre ricorso contro il piano di ristrutturazione» (punto 24). In Italia, nonostante parte della dottrina (cfr., per tutti, Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Le procedure concorsuali3, Bologna, 2014, pp. 396-397) abbia sostenuto la necessità di riconoscere a ciascun creditore dissenziente il diritto di opporsi all’omologazione del concordato per motivi che attengono alla convenienza della proposta, il dato normativo non sembra lasciare dubbi: soltanto i creditori dissenzienti di una classe a sua volta dissenziente o, in difetto di classamento, i creditori che vantano crediti pari almeno al 20% del totale dei crediti ammessi al voto sono legittimati ad opporsi all’omologazione per motivi di convenienza (art. 180, co. 4). *** L’altro obiettivo perseguito dalla Raccomandazione è dare una seconda opportunità all’imprenditore défaillant, attraverso la liberazione (tempestiva) dai debiti pregressi. Beneficio, quello dell’esdebitazione, che deve essere alla portata, ovviamente, del solo imprenditore onesto.
114
Marco Conforto
La Raccomandazione prevede un termine massimo, trascorso il quale è possibile richiedere (e concedere) la liberazione dai debiti: tre anni, a decorrere, in caso di liquidazione, dalla data di fallimento e, in caso di procedura che preveda un piano di ammortamento dei debiti, dalla data in cui è iniziata l’attuazione di detto piano. Allo scadere di tale termine il debitore dovrebbe essere ammesso al beneficio della liberazione integrale dai debiti, senza peraltro che a tal fine risulti necessario l’intervento del giudice. In Italia, com’è noto, l’istituto dell’esdebitazione è stato introdotto dalla riforma del 2006. Il legislatore domestico ritiene che l’esdebitazione debba applicarsi solo al fallito che sia persona fisica: nella Raccomandazione, invece, non si rinviene alcuna limitazione in tal senso. Ora, se la ratio dell’istituto è da rintracciare nella volontà di recuperare al mercato il debitore che si sia ben comportato prima e durante la procedura fallimentare, allora nessun ostacolo dovrebbe frapporsi all’estensione del beneficio anche al soggetto persona giuridica. Altra differenza con quanto stabilito nel nostro ordinamento concerne il procedimento per giungere all’esdebitazione. L’art. 143 l.fall. stabilisce, invero, che l’esdebitazione è concessa dal tribunale «con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l’anno successivo». Dalla formulazione della norma sembrerebbe evincersi che il tribunale possa procedere d’ufficio per l’attribuzione del beneficio di liberazione integrale dei debiti: la dottrina dominante (cfr., per tutti, Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi, cit., pp. 279-280), però, ritiene che a tal fine sia sempre necessario il ricorso del fallito da presentarsi contemporaneamente all’istanza di chiusura, ex art. 119 l.fall., o entro l’anno successivo. *** L’organo europeo stabilisce una data (14 marzo 2015) entro la quale gli stati membri dovranno adattare le rispettive normative in materia di diritto della crisi di impresa alla Raccomandazione. In Italia, come si è avuto modo di osservare, le ultime riforme hanno reso il diritto fallimentare abbastanza in linea con quanto raccomandato dalla Commissione. Restano però da affrontare, ed anche questo si è osservato, alcuni temi importanti, rispetto ai quali gli auspici della Commissione e la strada intrapresa dal legislatore domestico divergono. Tra questi, spiccano il ruolo da riconoscere all’autorità giudiziaria e i diritti esercitabili dai creditori nell’ambito del giudizio di omologazione del piano concordatario. [Marco Conforto]
115
Legislazione
Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014 su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza (2014/135/EU). La Commissione Europea, visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare l’art. 292, considerando quanto segue: (1) Obiettivo della presente raccomandazione è garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell’Unione, l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale. Un altro obiettivo è dare una seconda opportunità in tutta l’Unione agli imprenditori onesti che falliscono. (2) Le norme nazionali in materia di insolvenza variano notevolmente quanto alla gamma di procedure di cui possono avvalersi i debitori in difficoltà finanziaria per ristrutturare la loro impresa. Alcuni Stati membri prevedono poche procedure e la ristrutturazione è possibile solo in una fase relativamente tardiva, nell’ambito della procedura formale d’insolvenza. Altri Stati membri invece permettono la ristrutturazione in una fase precoce ma le procedure a disposizione sono meno efficaci di quanto potrebbero oppure impongono adempimenti in misura variabile, specie per quanto riguarda l’uso di procedure stragiudiziali. (3) Analogamente, le norme nazionali che danno una seconda opportunità agli imprenditori, in particolare ammettendoli al beneficio della liberazione dai debiti contratti nel corso delle attività, variano quanto alla durata dei tempi di riabilitazione e alle condizioni del beneficio. (4) La disparità tra i quadri nazionali in materia di ristrutturazione e la diversità delle norme nazionali che danno una seconda opportunità agli imprenditori onesti sono causa di costi aggiuntivi e fonte di incertezza nella valutazione dei rischi connessi agli investimenti in un altro Stato membro; frammentano le condizioni di accesso al credito e danno luogo a tassi di recupero del credito diversi; impediscono ai gruppi transfrontalieri di imprese di elaborare e adottare piani di ristrutturazione coerenti. Più in generale, possono costituire un disincentivo per le imprese che intendono stabilirsi in Stati membri diversi. (5) Il regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio 1 disciplina esclusivamente questioni relative alla competenza, al riconoscimento, all’esecuzione, alla legge applicabile e alla cooperazione nelle procedure d’insolvenza transfrontaliere. La proposta di modifica del regolamento, presentata dalla Commissione 2,
1. Regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle precedure di insolvenza (GU L 160 del 30.6.2000, pag. 1). 2 COM(2012) 744 final.
116
Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014
estende il campo di applicazione del regolamento alle procedure di prevenzione che promuovono il salvataggio del debitore economicamente valido e danno una seconda opportunità agli imprenditori. Tuttavia, la modifica proposta non affronta le disparità esistenti tra le procedure nazionali di prevenzione. (6) Il 15 novembre 2011 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione 3 sulle procedure d’insolvenza, contenente raccomandazioni per l’armonizzazione di aspetti specifici delle legislazioni nazionali in materia di insolvenza, comprese le condizioni per l’elaborazione, l’impatto e i contenuti dei piani di risanamento. (7) Con la comunicazione «L’Atto per il mercato unico II» 4 del 3 ottobre 2012, la Commissione propone l’azione chiave volta a «modernizzare le norme UE in materia di insolvenza per facilitare la sopravvivenza delle imprese e offrire una seconda possibilità agli imprenditori», annunciando a tal fine che esaminerà le modalità per accrescere l’efficienza del diritto fallimentare nazionale, in modo da creare condizioni di parità per le imprese, gli imprenditori e i privati cittadini nell’ambito del mercato interno. (8) Nella comunicazione «Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all’insolvenza» 5 del 12 dicembre 2012, la Commissione evidenzia i settori in cui le divergenze tra diritti fallimentari nazionali rischiano di ostacolare la creazione di un quadro giuridico efficiente nel mercato interno, e osserva che, ponendo tutti i diritti fallimentari nazionali sullo stesso piano, crescerà la fiducia di società, imprenditori e privati negli ordinamenti degli altri Stati membri e migliorerà l’accesso al credito che a sua volta fungerà da incentivo agli investimenti. (9) Il 9 gennaio 2013 la Commissione ha adottato il piano d’azione imprenditorialità 2020 6 in cui, tra l’altro, invita gli Stati membri a ridurre nei limiti del possibile il tempo di riabilitazione e di estinzione del debito nel caso di un imprenditore onesto che ha fatto bancarotta, portandolo a un massimo di tre anni entro il 2013, e a offrire servizi di sostegno alle imprese in tema di ristrutturazione precoce, di consulenza per evitare i fallimenti e di sostegno alle PMI per ristrutturarsi e rilanciarsi. (10) Vari Stati membri stanno rivedendo il proprio diritto fallimentare per migliorare il quadro per il salvataggio delle imprese e la seconda opportunità per gli imprenditori. Pertanto è opportuno incentivare la coerenza di questa e di eventuali altre future iniziative nazionali così da rafforzare il funzionamento del mercato interno.
3. Risoluzione del Parlamento europeo del 15 novembre 2011 sulle raccomandazioni alla Commissione sulle procedure di insolvenza nel contesto del diritto societario dell’UE [p7_TA (2011) 0484]. 4 COM(2012) 573 final. 5 COM(2012) 742 final. 6 COM(2012) 795 final.
117
Legislazione
(11) È necessario incoraggiare una maggiore coerenza tra i quadri nazionali in materia di insolvenza onde ridurre le divergenze e le inefficienze che ostacolano la ristrutturazione precoce di imprese sane in difficoltà finanziaria e promuovere la possibilità per gli imprenditori onesti di ottenere una seconda opportunità, riducendo con ciò i costi di ristrutturazione a carico di debitori e creditori. Grazie a una maggiore coerenza ed efficienza delle norme fallimentari nazionali, si massimizzeranno i rendimenti per tutti i tipi di creditori e investitori, e si incoraggeranno gli investimenti transfrontalieri. Una maggiore coerenza faciliterà anche la ristrutturazione di gruppi di imprese, indipendentemente dal luogo dell’Unione in cui sono situate le imprese del gruppo. (12) Inoltre, eliminando gli ostacoli all’efficace ristrutturazione di imprese sane in difficoltà finanziaria si contribuisce alla salvaguardia dei posti di lavoro, con effetti positivi sull’economia in generale. Essendo più facile per gli imprenditori ottenere una seconda opportunità, aumenterà anche l’incidenza del lavoro autonomo negli Stati membri. Inoltre, la presenza di quadri efficaci in materia di insolvenza permetterà di valutare meglio i rischi connessi alle decisioni di concessione e assunzione di prestiti e favorirà l’adeguamento delle imprese eccessivamente indebitate, minimizzando i costi economici e sociali insiti nel processo di riduzione dell’indebitamento. (13) A trarre vantaggio da un approccio più coerente a livello dell’Unione saranno anche le piccole e medie imprese, che non dispongono delle risorse necessarie per sostenere gli alti costi di ristrutturazione e beneficiare delle procedure di ristrutturazione più efficienti di alcuni Stati membri. (14) Anche le autorità fiscali hanno interesse a che esista un quadro efficace in materia di ristrutturazione delle imprese sane. Nell’attuare la presente raccomandazione, gli Stati membri dovrebbero poter prendere misure adeguate per la raccolta e il recupero del gettito fiscale nel rispetto dei principi generali di equità fiscale, e adottare misure efficaci nei casi di frode, evasione o altro illecito. (15) È opportuno escludere dal campo di applicazione della presente raccomandazione le imprese assicuratrici, gli enti creditizi, le imprese di investimento, gli organismi d’investimento collettivo, le controparti centrali, i depositari centrali di titoli e altri istituti finanziari soggetti a quadri speciali di risanamento e risoluzione delle crisi in cui le autorità di vigilanza nazionali godono di ampi poteri di intervento. Sebbene la presente raccomandazione non includa nel suo campo di applicazione il sovraindebitamento dei consumatori e il loro fallimento, gli Stati membri sono invitati a valutare la possibilità di applicarne i principi anche ai consumatori, giacché alcuni possono essere rilevanti anche per i consumatori. (16) Un quadro di ristrutturazione dovrebbe permettere ai debitori di far fronte alle difficoltà finanziarie in una fase precoce, evitando così l’insolvenza e proseguendo le attività. Tuttavia, onde evitare potenziali rischi di abuso della procedura, è necessario che le difficoltà finanziarie del debitore comportino con tutta probabilità l’insolvenza del debitore e che il piano di ristrutturazione sia tale da impedire l’insolvenza e garantire la redditività dell’impresa. (17) Per promuovere l’efficienza e ridurre ritardi e costi, i quadri nazionali di ristrutturazione preventiva dovrebbero contemplare procedure flessibili che limitino
118
Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014
l’intervento del giudice ai casi in cui è necessario e proporzionato per tutelare gli interessi dei creditori e terzi eventuali. Ad esempio, per evitare costi inutili e rispecchiare l’intervento precoce della procedura, al debitore dovrebbe, in linea di principio, essere lasciato il controllo delle sue attività, e la nomina di un Mediatore o un supervisore non dovrebbe essere obbligatoria, bensì decisa caso per caso. (18) Il debitore dovrebbe poter chiedere al giudice di sospendere le azioni esecutive individuali e la procedura di insolvenza di cui i creditori abbiano chiesto l’avvio, nei casi in cui tali azioni possano ripercuotersi negativamente sui negoziati e ostacolare le prospettive di ristrutturazione della sua impresa. Tuttavia, per bilanciare i diritti del debitore con quelli dei creditori, e tenuto conto dell’esperienza maturata con le recenti riforme degli Stati membri, la sospensione dovrebbe essere disposta inizialmente per un periodo non superiore a quattro mesi. (19) L’omologazione giudiziaria del piano di ristrutturazione è necessaria per garantire che la limitazione dei diritti dei creditori sia proporzionata ai benefici della ristrutturazione e che i creditori abbiano accesso a un ricorso effettivo, in piena conformità con la libertà d’impresa e il diritto di proprietà sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Pertanto il giudice dovrebbe respingere il piano di ristrutturazione se è probabile che il tentativo di ristrutturazione limiti i diritti dei creditori dissenzienti in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere in assenza di ristrutturazione dell’impresa del debitore. (20) Gli effetti del fallimento, in particolare la stigmatizzazione sociale, le conseguenze giuridiche e l’incapacità di far fronte ai propri debiti sono un forte deterrente per gli imprenditori che intendono avviare un’attività o ottenere una seconda opportunità, anche se è dimostrato che gli imprenditori dichiarati falliti hanno maggiori probabilità di avere successo la seconda volta. È opportuno pertanto adoperarsi per ridurre gli effetti negativi del fallimento sugli imprenditori, prevedendo la completa liberazione dai debiti dopo un lasso di tempo massimo, Ha adottato la presente raccomandazione: I. Obiettivo ed oggetto. 1) La presente raccomandazione ha il duplice obiettivo di incoraggiare gli Stati membri a istituire un quadro giuridico che consenta la ristrutturazione efficace delle imprese sane in difficoltà finanziaria e di dare una seconda opportunità agli imprenditori onesti, promuovendo l’imprenditoria, gli investimenti e l’occupazione e contribuendo a ridurre gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno. 2) Riducendo tali ostacoli, la raccomandazione mira in particolare a: a) diminuire i costi della valutazione dei rischi connessi agli investimenti in un altro Stato membro; b) aumentare i tassi di recupero del credito; c) eliminare le difficoltà di ristrutturazione dei gruppi transfrontalieri di imprese. 3) La presente raccomandazione contempla norme minime in materia di:
119
Legislazione
a) quadri di ristrutturazione preventiva, e b) liberazione dai debiti degli imprenditori falliti. 4) Nell’attuare la presente raccomandazione, gli Stati membri dovrebbero poter prendere misure adeguate ed efficaci a garanzia del recupero delle imposte, in particolare nei casi di frode, evasione o altro illecito. II. DEFINIZIONI 5) Ai fini della presente raccomandazione, si intende per: a) «debitore», la persona fisica o giuridica che versa in difficoltà finanziaria e per la quale sussiste una probabilità di insolvenza; b) «ristrutturazione», la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore, o una combinazione di questi elementi, diretta a consentire la prosecuzione, in tutto o in parte, dell’attività del debitore; c) «sospensione delle azioni esecutive individuali», ordine con cui il giudice sospende il diritto di un creditore di far valere un credito nei confronti del debitore; d) «giudice», l’organo, anche non giurisdizionale, competente in materia di procedure di prevenzione cui gli Stati membri hanno conferito poteri giurisdizionali e le cui decisioni possono formare oggetto di ricorso o riesame dinnanzi ad un’autorità giudiziaria. III. QUADRO DI RISTRUTTURAZIONE PREVENTIVA A. Disponibilità di un quadro di ristrutturazione preventiva 6) Il debitore dovrebbe avere accesso a un quadro che gli consenta di ristrutturare la propria impresa al fine di evitare l’insolvenza. Tale quadro dovrebbe constare dei seguenti elementi: a) il debitore dovrebbe poter procedere alla ristrutturazione in una fase precoce, non appena sia evidente che sussiste probabilità di insolvenza; b) il debitore dovrebbe mantenere il controllo della gestione corrente dell’impresa; c) il debitore dovrebbe poter chiedere la sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali; d) il piano di ristrutturazione adottato dai creditori che rappresentano la maggioranza prescritta dal diritto nazionale dovrebbe essere vincolante per tutti i creditori, a condizione che sia stato omologato dal giudice; e) i nuovi finanziamenti necessari per attuare il piano di ristrutturazione non dovrebbero essere dichiarati nulli, annullabili o inopponibili in quanto atti pregiudizievoli per la massa dei creditori. 7) La procedura di ristrutturazione non dovrebbe essere lunga né costosa e dovrebbe essere flessibile in modo che se ne possano eseguire più fasi senza l’intervento del giudice. Il ricorso al giudice dovrebbe limitarsi ai casi in cui è necessario e proporzionato per tutelare i diritti dei creditori e terzi eventuali.
120
Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014
B. Agevolare i negoziati sui piani di ristrutturazione Nomina di un Mediatore o supervisore 8) Il debitore dovrebbe poter avviare il processo di ristrutturazione dell’impresa senza dover iniziare ufficialmente un’azione in giudizio. 9) Il giudice non dovrebbe nominare obbligatoriamente un Mediatore o un supervisore, bensì dovrebbe decidere di volta in volta se tale nomina è necessaria: a) nel caso del Mediatore, per assistere il debitore e i creditori nel condurre a buon fine i negoziati sul piano di ristrutturazione; b) nel caso del supervisore, per sorvegliare l’attività del debitore e dei creditori e prendere le misure necessarie per tutelare i legittimi interessi di uno o più creditori o terzi eventuali. Sospensione delle azioni esecutive individuali e della procedura di insolvenza 10) Il debitore dovrebbe avere il diritto di chiedere al giudice di disporre la sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali (di seguito «sospensione») proposte dai creditori, anche titolari di un privilegio o di una garanzia, che potrebbero altrimenti ostacolare il piano di ristrutturazione. La sospensione non dovrebbe interferire con l’esecuzione dei contratti in corso. 11) Negli Stati membri che subordinano la concessione della sospensione a determinate condizioni, il debitore dovrebbe poter ottenere la sospensione in ogni caso quando: a) i creditori che rappresentano una parte significativa dei crediti potenzialmente interessati dal piano di ristrutturazione sono favorevoli ai negoziati per l’adozione di un piano di ristrutturazione, e b) il piano di ristrutturazione ha ragionevoli prospettive di essere attuato e di impedire l’insolvenza del debitore. 12) Se previsti dal diritto nazionale, dovrebbero essere sospesi per la durata della sospensione anche l’obbligo del debitore di presentare istanza di fallimento e le domande dei creditori di aprire la procedura di insolvenza contro il debitore, presentate dopo la concessione della sospensione. 13) La durata della sospensione dovrebbe garantire un giusto equilibrio tra interessi del debitore e dei creditori, in particolare i creditori titolari di una garanzia. La durata della sospensione dovrebbe quindi essere stabilita in funzione della complessità delle misure di ristrutturazione previste e non dovrebbe essere superiore a quattro mesi. Gli Stati membri possono autorizzare il rinnovo del termine, purché siano dimostrati i progressi dei negoziati sul piano di ristrutturazione. La durata totale della sospensione non può essere superiore a 12 mesi.
121
Legislazione
14) Quando non è più necessaria per facilitare l’adozione del piano di ristrutturazione, la sospensione dovrebbe essere revocata. C. Piano di ristrutturazione Contenuto del piano di ristrutturazione 15) Gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché il giudice possa omologare il piano di ristrutturazione senza indugi e, in linea di principio, con procedura scritta. Essi dovrebbero stabilire disposizioni chiare e specifiche sul contenuto del piano di ristrutturazione. Il piano di ristrutturazione dovrebbe a sua volta contenere una descrizione dettagliata dei seguenti elementi: a) l’identificazione chiara e completa dei creditori che saranno interessati dal piano; b) gli effetti della ristrutturazione proposta su singoli crediti o categorie di crediti; c) la posizione dei creditori interessati in merito al piano di ristrutturazione; d) se del caso, le condizioni per i nuovi finanziamenti, e e) la capacità del piano di impedire l’insolvenza del debitore e garantire la redditività dell’impresa. Adozione del piano di ristrutturazione 16) Al fine di aumentare le prospettive di ristrutturazione e quindi il numero di imprese sane oggetto di salvataggio, i creditori interessati dovrebbero poter adottare il piano di ristrutturazione che siano titolari o meno di una garanzia. 17) Creditori con interessi diversi dovrebbero essere trattati in classi distinte in funzione di tali interessi. Sarebbe quanto meno opportuno distinguere tra classi di creditori titolari di una garanzia e di creditori privi di garanzia. 18) Ad adottare il piano di ristrutturazione dovrebbero essere i creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti di ciascuna classe, prescritta dal diritto nazionale. Qualora le classi di creditori siano più di due, gli Stati membri dovrebbero avere facoltà di mantenere o introdurre disposizioni che consentano al giudice di omologare il piano di ristrutturazione sostenuto dalla maggioranza di tali classi, tenuto conto in particolare della consistenza dei crediti di ciascuna. 19) I creditori dovrebbero godere di condizioni di parità indipendentemente dal luogo in cui si trovano. Pertanto, qualora il diritto nazionale imponga una procedura di voto formale, i creditori dovrebbero, in linea di principio, essere autorizzati a votare con mezzi di comunicazione a distanza, ad esempio con lettera raccomandata o tecnologie elettroniche sicure. 20) Per rendere più efficace l’adozione del piano di ristrutturazione, gli Stati membri dovrebbero inoltre garantire che possano adottarlo soltanto determinati creditori o determinati tipi o classi di creditori, a condizione che gli altri creditori non siano coinvolti.,
122
Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014
Omologazione del piano di ristrutturazione 21) Onde evitare che il piano di ristrutturazione abbia ripercussioni indebite sui diritti dei creditori, e nell’interesse della certezza del diritto, il piano di ristrutturazione che abbia ripercussioni sugli interessi dei creditori dissenzienti o preveda nuovi finanziamenti dovrebbe essere vincolante solo se omologato dal giudice. 22) Le condizioni di omologazione del piano di ristrutturazione dovrebbero essere chiaramente definite dal diritto degli Stati membri e comportare quanto meno le seguenti garanzie: a) il piano di ristrutturazione è stato adottato in condizioni che garantiscano la tutela dei legittimi interessi dei creditori; b) il piano di ristrutturazione è stato notificato a tutti i creditori potenzialmente coinvolti; c) il piano di ristrutturazione non limita i diritti dei creditori dissenzienti in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere in assenza di ristrutturazione, se l’impresa del debitore fosse liquidata o venduta in regime di continuità aziendale, a seconda del caso; d) qualsiasi nuovo finanziamento previsto dal piano di ristrutturazione è necessario per attuare il piano e non arreca indebito pregiudizio agli interessi dei creditori dissenzienti; 23) Gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché il giudice possa respingere il piano di ristrutturazione che manifestamente non ha nessuna prospettiva di impedire l’insolvenza del debitore né di garantire la redditività dell’impresa, ad esempio perché non prevede i nuovi finanziamenti necessari per proseguire le attività. Diritti dei creditori 24) Tutti i creditori potenzialmente interessati dal piano di ristrutturazione dovrebbero essere informati dei suoi contenuti e godere del diritto di opporsi e proporre ricorso contro il piano di ristrutturazione. Tuttavia, nell’interesse dei creditori favorevoli al piano, sarebbe opportuno che, in linea di principio, il ricorso non ne sospenda l’attuazione. Effetti del piano di ristrutturazione 25) Il piano di ristrutturazione adottato all’unanimità dei creditori interessati dovrebbe essere vincolante per la totalità di tali creditori. 26) Il piano di ristrutturazione omologato dal giudice dovrebbe essere vincolante per il singolo creditore interessato e identificato dal piano. D. Tutela dei nuovi finanziamenti
123
Legislazione
27) I nuovi finanziamenti, compresi i nuovi prestiti, la vendita di determinate attività a opera del debitore e la conversione in capitale dei debiti, concordati nel piano di ristrutturazione e approvati dal giudice non dovrebbero essere dichiarati nulli, annullabili o inopponibili in quanto atti pregiudizievoli per la massa dei creditori. 28) I contributori dei nuovi finanziamenti concordati nel piano di ristrutturazione omologato dovrebbero essere esonerati dalla responsabilità civile e penale relativa al processo di ristrutturazione. 29) Alle norme sulla tutela dei nuovi finanziamenti dovrebbe potersi derogare in caso di successivo accertamento di frode in relazione ai nuovi finanziamenti. IV. SECONDA OPPORTUNITà AGLI IMPRENDITORI Termini di riabilitazione 30) Sarebbe opportuno limitare gli effetti negativi del fallimento sull’imprenditore per dare a questi una seconda opportunità. L’imprenditore dovrebbe essere ammesso al beneficio della liberazione integrale dai debiti oggetto del fallimento dopo massimo tre anni a decorrere: a) nel caso di una procedura conclusasi con la liquidazione delle attività del debitore, dalla data in cui il giudice ha deciso sulla domanda di apertura della procedura di fallimento; b) nel caso di una procedura che comprenda un piano di ammortamento, dalla data in cui è iniziata l’attuazione di tale piano. 31) Alla scadenza del termine di riabilitazione, l’imprenditore dovrebbe essere liberato dai debiti senza che ciò comporti, in linea di principio, l’obbligo di rivolgersi nuovamente al giudice. 32) L’ammissione al beneficio della liberazione integrale dai debiti dopo poco tempo non è opportuna in tutti i casi. Gli Stati membri dovrebbero pertanto poter mantenere o introdurre disposizioni più rigorose se necessario per: a) dissuadere gli imprenditori che hanno agito in modo disonesto o in mala fede, prima o dopo l’apertura della procedura fallimentare; b) dissuadere gli imprenditori che non aderiscono al piano di ammortamento o ad altro obbligo giuridico a tutela degli interessi dei creditori, oppure c) tutelare i mezzi di sostentamento dell’imprenditore e della sua famiglia, consentendo all’imprenditore di conservare alcune attività. 33) Gli Stati membri possono escludere dalla liberazione alcune categorie specifiche di debiti, quali quelli derivanti da responsabilità extracontrattuale.
124
Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014
V. CONTROLLO E COMUNICAZIONI 34) Gli Stati membri sono invitati ad attuare i principi di cui alla presente raccomandazione entro il 14 marzo 2015. 35) Gli Stati membri sono invitati a raccogliere statistiche annuali affidabili sul numero di procedure di ristrutturazione preventiva aperte, sulla loro durata, sulle dimensioni dei debitori interessati e sull’esito delle procedure aperte, e a comunicare tali informazioni alla Commissione su base annuale, per la prima volta entro il 14 marzo 2015. 36) La Commissione valuterà l’attuazione della presente raccomandazione negli Stati membri entro il 14 settembre 2015. La Commissione ne valuterà l’impatto sul salvataggio delle imprese in difficoltà finanziaria e sulla seconda opportunità conferita agli imprenditori onesti; ne valuterà l’interazione con altre procedure d’insolvenza in altri settori, come i termini di riabilitazione delle persone fisiche che non esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e l’impatto sul funzionamento del mercato interno e sulle piccole e medie imprese e sulla competitività dell’economia dell’Unione. La Commissione valuterà inoltre se sia opportuno proporre ulteriori misure per consolidare e rafforzare l’approccio cui si informa la presente raccomandazione. Fatto a Bruxelles, il 12 marzo 2014 Per la Commissione Vicepresidente Viviane Reding
125
Norme redazionali
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. … 4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. …
127
Norme redazionali
6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall. legge cambiaria l.camb. testo unico t.u. testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) t.u.b. testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58) t.u.f.
2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale Corte di Cassazione Sezioni unite Consiglio di Stato Corte d’Appello
128
C. Cost. Cass. S. U. Cons. St. App.
Norme redazionali
Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR
3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Dig. disc. priv., sez. comm. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur. Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ.
129
Norme redazionali
Rassegna di diritto pubblico Rivista bancaria Rivista critica di diritto privato Rivista dei dottori commercialisti Rivista della cooperazione Rivista delle società Rivista del diritto commerciale Rivista del notariato Rivista di diritto civile Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista di diritto societario Rivista giuridica sarda Rivista italiana del leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile
Rass. dir. pubbl. Riv. banc. Riv. crit. dir. priv. Riv. dott. comm. Riv. coop. Riv. soc. Riv. dir. comm. Riv. not. Riv. dir. civ. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. RDS Riv. giur. sarda Riv. it. leasing Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.
4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, BolognaRoma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.
128
Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria Cedola di sottoscrizione - Abbonamento 2014 (4 fascicoli): € 110,00 Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................
Inviare il presente modulo all’Editore: Pacini Editore SpA via Gherardesca - 56121 Ospedaletto-Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • info@pacinieditore.it è possibile acquistare la rivista direttamente sul sito dell’Editore
Finito di stampare nel mese di Dicembre 2014 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. Via A. Gherardesca • 56121 Ospedaletto • Pisa Telefono 050 313011 • Telefax 050 3130300 www.pacinieditore.it