Diritto della banca e del mercato finanziario 3/2017

Page 1

Saggi

ISSN 1722-8360

di particolare interesse in questo fascicolo Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

3/2017

Diritto della banca e del mercato finanziario

• Banche di credito cooperativo • Strumenti di pagamento “cashless” • Nullità dei contratti di investimento • Liquidazione delle “banche venete”

Pacini

luglio-settembre

3/2017 anno xxxi

1



41923 DBMF 3/17_bz3.indb 1

06/11/17 17:41


41923 DBMF 3/17_bz3.indb 2

06/11/17 17:41


Pacini

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 3

luglio-settembre

3/2017 anno XXXI

06/11/17 17:41


Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2016, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Elisabetta Bani, Concetta Brescia Morra, Vincenzo Vito Chionna, Gian Domenico Comporti, Vincenzo De Stasio, Gianluca Guerrieri, Antonia Irace, Raffaele Lenzi, Stefano Pagliantini, Alessandro Palmieri, Andrea Perrone, Antonio Piras, Andrea Pisaneschi, Gaetano Presti, Vincent Ribas, Antonella Sciarrone Alibrandi, Pietro Sirena, Onofrio Troiano, Francesco Vella.

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 4

06/11/17 17:41


Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria

Comitato di direzione Carlo Angelici, Sido Bonfatti, Mario Bussoletti, Gino Cavalli, Salvatore Maccarone, Fabrizio Maimeri, Alessandro Nigro, Mario Porzio, Ángel Rojo, Vittorio Santoro, Luigi Carlo Ubertazzi, Daniele Vattermoli. Comitato di redazione Soraya Barati, Alessandro Benocci, Antonella Brozzetti, Mavie Cardi, Simone Cicchinelli, Marco Conforto, Ciro G. Corvese, Giovanni Falcone, Clarisa Ganigian, Gian Luca Greco, Luca Mandrioli, Francesco Mazzini, Filippo Parrella, Gennaro Rotondo, Maria Elena Salerno. Segreteria di redazione Vincenzo Caridi Direttore responsabile Alessandro Nigro La sede della rivista è presso la Segreteria del Ce.Di.B. Corso Vittorio Emanuele II, 173 - 00186 Roma L’amministrazione è presso: Pacini Editore Srl Via Gherardesca - 56121 Ospedaletto - Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it - info@pacinieditore.it

I dattiloscritti, i libri per recensione, bozze, ecc. dovranno essere inviati al Prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290 - 00198 Roma

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 5

06/11/17 17:41


Š Copyright 2017 Ce.Di.B. - Centro di studi di diritto e legislazione bancaria. Registrazione presso il Tribunale di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009 Direttore responsabile: Alessandro Nigro

Realizzazione editoriale e progetto grafico

Via A. Gherardesca 56121 Ospedaletto (Pisa) Fotolito e Stampa Industrie Grafiche Pacini Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail segreteria@aidro.org e sito web www.aidro.org

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 6

06/11/17 17:41


SOMMARIO 3/2017

PARTE PRIMA Saggi L’intricato rapporto tra utili, perdite, riserve e imposte nelle banche di credito cooperativo, di Emanuele Cusa pag. 437 La nuova disciplina UE dei limiti alle interchange fees e delle business rules in materia di “pagamenti basati su carte”, tra regolamentazione strutturale del mercato interno e promozione della concorrenza, di Simone Mezzacapo » 455 I rapporti pendenti nel concordato preventivo e i rapporti » 529 bancari così detti autoliquidanti, di Michele Onorato

Commenti La sottoscrizione dei contratti di servizi di investimento – Cass., 27 aprile 2017, n. 10447 La nullità del contratto quadro d’investimento per difetto di sottoscrizione dell’intermediario tra vestimentum negotii, “forma informativa” ed uso selettivo del rimedio di protezione. Aspettando le Sezioni Unite, di Giovanni Romano

» 553

» 563

PARTE SECONDA Legislazione La liquidazione delle “banche venete” – D.l. 25 giugno 2017, n. 99 (convertito con modificazioni nella l. 31 luglio 2017, n. 121): Disposizioni urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 7

06/11/17 17:41


ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e di Veneto Banca s.p.a. Una soluzione ad hoc per il dissesto di due banche venete, di Antonella Brozzetti

» 109

Norme

» 137

redazionali

» 119


PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 9

06/11/17 17:41


41923 DBMF 3/17_bz3.indb 10

06/11/17 17:41


SAGGI

L’intricato rapporto tra utili, perdite, riserve e imposte nelle banche di credito cooperativo Sommario: 1. La centralità dell’art. 12 l. n. 904/1977. – 2. Il rebus delle riserve delle cooperative. – 2.1. Una possibile classificazione. – 2.2. Riserve indivisibili, riserva legale e riserve promosse fiscalmente. – 3. La progressiva diminuzione della quota non tassabile degli utili imputati alla riserva legale. – 4. Le riserve e i fondi divisibili. – 4.1. La riserva per acquisto azioni proprie. – 4.2. La riserva sovrapprezzo azioni. – 4.3. Il fondo ristorni. – 5. La copertura delle perdite di esercizio mediante riserve e fondi. – 6. Integrazione obbligatoria delle riserve e dei fondi usati per coprire le perdite. – 6.1. Profili generali. – 6.2. Le riserve di cui all’art. 3, co. 1, l. n. 28/1999.

1. La centralità dell’art. 12 l. n. 904/1977. Questo studio ruota attorno all’art. 12, co. 2, l. 16 dicembre 1977, n. 904 e al suo impatto sulla disciplina civilistica e tributaristica delle banche di credito cooperativo (d’ora innanzi BCC)1. La disposizione in parola – da considerarsi non di natura agevolativa, come sostenuto da qualificati tributaristi2, traducendo essa il principio costi-

1 Per comodità del lettore, nelle note di questo primo paragrafo, sono riportati integralmente i testi della suddetta disposizione e di quelle che l’hanno indirettamente modificata. Art. 12, co. 2, l. n. 904/1977: «fermo restando quanto disposto nel titolo III del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e successive modificazioni ed integrazioni, non concorrono a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi le somme destinate alle riserve indivisibili, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che all’atto del suo scioglimento». 2 Come Marongiu, Il regime fiscale delle cooperative: profili costituzionali, in La società cooperativa: aspetti civilistici e tributari, a cura di Schiano di Pepe e Graziano, Padova, 1997, pp. 319 e 321, e Gallo, L’accumulazione indivisibile e l’art. 12 della legge n. 904 del 1977, ivi, p. 277 ss. Circa il rapporto tra la disposizione citata nel testo e la disciplina dell’Unione europea sugli aiuti di Stato cfr. Cusa, Le forme di impresa privata

437

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 437

06/11/17 17:41


Saggi

tuzionale secondo il quale la mancata disponibilità di un cespite reddituale comporta l’inattitudine del medesimo a contribuire alle pubbliche spese3 – ha subito almeno i seguenti cinque aggiustamenti nel corso degli anni, essenzialmente volti a ridurre progressivamente la portata della geniale (non certo in senso ironico) idea di incentivare la patrimonializzazione delle cooperative mediante la deducibilità fiscale degli utili che i soci decidevano (e decidono) di allocare in modo da non potersene più appropriare. Il primo aggiustamento corrisponde all’art. 3, co. 1, l. 18 febbraio 1999, n. 284, il quale, nel costituire una norma di interpretazione autentica dell’art. 12 l. n. 904/19775, attiene solo alla disciplina tributaria6 e non

diverse dalle società lucrative tra aiuti di Stato e Costituzioni economiche europee, Torino, 2013, pp. 107-108. 3 Risulta invece certamente agevolativa [come chiarisce l’art. 111-bis, co. 4, t.u.b.: «l’agevolazione di cui al presente articolo è riconosciuta nel rispetto dei limiti di cui al regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti “de minimis”»], la norma tributaria, a favore delle banche etiche italiane, contenuta nel nuovo (introdotto con l’art. 1, co. 51, l. 11 dicembre 2016, n. 232) art. 111-bis t.u.b., il cui co. 2 così recita: «non concorre a formare il reddito imponibile ai sensi dell’articolo 81 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, degli operatori bancari di finanza etica e sostenibile una quota pari al 75 per cento delle somme destinate a incremento del capitale proprio». In effetti, diversamente dall’art. 12, co. 1, l. n. 904/1977, quanto imputato a «capitale proprio» (probabilmente da intendersi come patrimonio netto) da parte di queste banche (per quanto risulta a chi scrive, solo la seguente banca italiana è in grado oggi di rispettare i requisiti per essere sussunta nella fattispecie di banca etica e sostenibile tratteggiata dall’art. 111-bis t.u.b.: la BANCA POPOLARE ETICA - Società cooperativa per azioni) può essere in un secondo tempo oggetto di appropriazione da parte dei soci delle banche etiche, mediante distribuzione (nel rispetto del diritto societario) di quanto precedentemente allocato a riserva o a capitale sociale. 4 Art. 3, co. 1, l. n. 28/1999: «la disposizione dell’articolo 12, primo co., della legge 16 dicembre 1977, n. 904, riguardante l’esclusione delle somme destinate a riserve indivisibili dal reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi, deve intendersi nel senso che l’utilizzazione delle riserve a copertura di perdite è consentita e non comporta la decadenza dai benefìci fiscali, sempre che non si dia luogo a distribuzione di utili ai soci cooperatori [la sottolineatura è di chi scrive e sta ad indicare le parole aggiunte al testo originale del citato art. 3 ad opera dell’art. 4, co. 12-ter, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, conv. con mod. in l. 23 giugno 2014, n. 89] fino a quando le riserve non siano state ricostituite». 5 Chiarendo le modalità che una cooperativa deve rispettare per non perdere le agevolazioni fiscali, qualora tale società copra le perdite di esercizio mediante l’utilizzo di proprie riserve. 6 Dello stesso avviso è l’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 216/E del 12 agosto 2009, ove si ribadisce l’attuale vigenza della norma in commento dopo l’entrata in vigore della riforma societaria del 2003.

438

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 438

06/11/17 17:41


Emanuele Cusa

anche a quella privatistica delle cooperative7. Il secondo aggiustamento corrisponde all’art. 6, co. 1 e 4, d.l. 15 aprile 2002, n. 63, convertito con l. 15 giugno 2002, n. 1128. Il terzo aggiustamento discende indirettamente dalla l. 3 ottobre 2001, n. 366, in attuazione della quale non solo l’art. 2514 c.c. sostituisce (pertanto abrogandolo tacitamente) l’art. 26 d.lgs.C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, ma si stabilisce anche che per essere agevolati fiscalmente occorre pure rispettare gli artt. 2512 e 2513 c.c. per le cooperative di diritto comune (stante l’art. 223-duodecies, co. 6, disp. trans., c.c.) e gli artt. 28, co. 2-bis e 35, co. 1, t.u.b. per le BCC9; sicché, il richiamo del d.P.R. n. 601/1973 contenuto nell’art. 12 l. n. 904/1977 è da intendersi per le BCC solamente all’art. 14 d.P.R. n. 601/197310; questa disposizione deve però essere interpretata sistematicamente non solo sostituendo il rinvio ivi contenuto all’art. 26 d.lgs.C.p.S. n. 1577/1947 con quello all’art. 2514 c.c., ma, più ampiamente, rammentando che «i requisiti della mutualità» evo-

7

Ciononostante, l’art. 3, co. 1, l. n. 28/1999, dopo la sua entrata in vigore, ha avuto un parziale recepimento sul piano civilistico attraverso l’art. 2545-ter, co. 2, c.c., il quale prevede la legittimità di usare le riserve indivisibili per coprire delle perdite d’esercizio, a condizione che nel raggiungere tale obiettivo si usino prima le riserve divisibili e dopo quelle indivisibili. Come giustamente rileva l’Agenzia delle entrate nella ricordata risoluzione n. 216/E del 12 agosto 2009, mentre l’art. 2545-ter, co. 2, c.c. «dispone quando è consentito utilizzare le riserve indivisibili a copertura di perdite», l’art. 3, co. 1, l. n. 28/1999 «si occupa del momento successivo a tale utilizzo, imponendo – in funzione dell’esigenza di ricostituzione di dette riserve – dei limiti alla successiva distribuzione degli utili». 8 Art. 6 d.l. n. 63/2002: «1. L’art. 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, si applica in ogni caso alla quota degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria. … 4. Per i due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2001 … l’articolo 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, salvo quanto previsto dal co. 1, si applica al 39 per cento della rimanente quota degli utili netti annuali destinati a riserva indivisibile». 9 Sul punto, da ultimo, Cusa, Il diritto delle banche di credito cooperativo tra legge e contratto, Torino, 2013, pp. 12-15. 10 Art. 14 d.P.R. n. 601/1973: «1. Le agevolazioni previste in questo titolo si applicano alle società cooperative, e loro consorzi, che siano disciplinate dai princìpi della mutualità previsti dalle leggi dello Stato e siano iscritti nei registri prefettizi o nello schedario generale della cooperazione. 2. I requisiti della mutualità si ritengono sussistenti quando negli statuti sono espressamente e inderogabilmente previste le condizioni indicate nell’art. 26 del d.lgs. 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, e tali condizioni sono state in fatto osservate nel periodo di imposta e nei cinque precedenti, ovvero nel minor periodo di tempo trascorso dall’approvazione degli statuti stessi. 3. I presupposti di applicabilità delle agevolazioni sono accertati dall’amministrazione finanziaria sentiti il Ministero del lavoro o gli altri organi di vigilanza».

439

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 439

06/11/17 17:41


Saggi

cati nel citato art. 14 corrispondono per le cooperative di diritto comune al rispetto degli artt. 2512-2514 c.c. e, per le BCC, al rispetto dell’art. 28, co. 2-bis, t.u.b. Il quarto aggiustamento corrisponde ai co. 460 e 466 dell’art. 1 della l. 30 dicembre 2004, n. 311 11, il quale è stato interpretato dall’Agenzia delle entrate, nel senso che «la quota [degli utili] assoggettata ad imposizione fiscale sarà pari al 27 per cento degli utili netti annuali» della BCC (circolare n. 34/E del 15 luglio 2005). Il quinto e ultimo aggiustamento corrisponde all’art. 2, co. 36-ter, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con l. 14 settembre 2011, n. 14812.

2. Il rebus delle riserve delle cooperative. 2.1. Una possibile classificazione. Tutte le riportate disposizioni modificative dell’art. 12 l. n. 904/1977, pur operando sul piano esclusivamente tributaristico, condizionano la vigente disciplina civilistica delle cooperative in almeno i seguenti due punti: (i) l’art. 2545-ter c.c. traccia la nozione generale di riserva indivisibile (corrispondente a quella solo tributaristica contenuta nell’art. 12 l. n. 904/1977), precisando che ‘indivisibilità’ significa non già ‘indisponibilità assoluta’, bensì solo ‘indistribuibilità tra i soci’ (come peraltro era già

11 I commi indicati nel testo stabiliscono, «a decorrere dai periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2003» che, «fermo restando quanto disposto dall’articolo 6, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, l’articolo 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, non si applica alle società cooperative e loro consorzi a mutualità prevalente di cui al libro V, titolo VI, capo I, sezione I, del codice civile, e alle relative disposizioni di attuazione e transitorie, e che sono iscritti all’Albo delle cooperative sezione cooperative a mutualità prevalente di cui all’articolo 223-sexiesdecies delle disposizioni di attuazione del codice civile … per la quota del 40 per cento degli utili netti annuali delle altre cooperative e loro consorzi». 12 Il suddetto art. 2, co. 36-ter – valevole «a decorrere dal secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della citata legge n. 148 del 2011» (art. 4, co. 5-quinquies, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con l. 26 aprile 2012, n. 44) – modifica l’art. 6, co. 1, d.l. n. 63/2002, in modo che il suo tenore diventa il seguente: «l’articolo 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, non si applica alla quota del 10 per cento degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria».

440

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 440

06/11/17 17:41


Emanuele Cusa

desumibile fiscalmente sulla base dell’art. 3 l. n. 28/1999); (ii) l’art. 2514, co. 1, lett. c) e d), c.c. impone a qualsiasi cooperativa a mutualità prevalente (e dunque a qualsiasi BCC, stante l’art. 28, co. 2-bis, t.u.b.)13 di avere (quasi esclusivamente, come si vedrà tra breve) riserve indivisibili, appunto ex lege, discendendo tale indivisibilità da una norma che bisogna osservare se si intende rimanere una cooperativa a mutualità prevalente e una BCC14. Per evitare possibili fraintendimenti sulle riserve nelle cooperative, spesso dovuti all’intreccio tra norme civilistiche e norme tributaristiche, è utile suddividerle nelle seguenti quattro classi: (i) le riserve indisponibili: inesistenti, per quanto mi consta, almeno secondo il diritto comune delle cooperative; (ii) le riserve disponibili, ma indivisibili: quelle presupposte nell’art. 2514, co. 1, lett. c), c.c. e definite nell’art. 2545-ter, co. 1, c.c.; (iii) le riserve disponibili e divisibili: quelle non sussumibili nelle riserve sub (ii)15; (iv) le cosiddette riserve di utili, per distinguerle dalle cosiddette riserve di capitale: quelle formate, rispettivamente, allocando (come nel caso della riserva legale) o non allocando (come nel caso della riserva, denominata per le BCC, «sovrapprezzi di emissione» 16) utili di esercizio; da precisare, tuttavia, che in una riserva da utili può essere allocato anche

13 Al 6 maggio 2017 nell’albo delle società cooperative sono iscritte 105.889 società cooperative a mutualità prevalente, di cui (stranamente solo) 344 BCC; tutte queste società devono osservare l’art. 2514 c.c. Si precisa tuttavia che, a determinate condizioni, l’art. 12 l. n. 904/1977 può applicarsi anche alle 5.610 società cooperative non a mutualità prevalente iscritte nel predetto albo in pari data, come ricordato, tra gli altri, da Marasà, L’odierno significato della mutualità prevalente nelle cooperative, in Giur. comm., 2013, I, pp. 858-860. 14 Benché non risulti mai verificatosi nella realtà, astrattamente potrebbe esservi una BCC che non sia una cooperativa a mutualità prevalente nell’ipotesi, comunque transitoria, ipotizzata nell’art. 17-bis, co. 3, d.l. 24 giugno 2014, n. 91, convertito con l. 11 agosto 2014, n. 116; in effetti, questa norma così recita: «le banche di credito cooperativo autorizzate dalla Banca d’Italia ad un periodo di operatività prevalente a favore di soggetti diversi dai soci, ai sensi dell’articolo 35 del testo unico di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, ai fini delle disposizioni fiscali di carattere agevolativo, sono considerate cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello nel corso del quale è trascorso un anno dall’inizio del periodo di autorizzazione, relativamente ai periodi d’imposta in cui non è ripristinata l’operatività prevalente a favore dei soci». 15 Sulla divisibilità o indivisibilità delle riserve v. infra, § 2.2. 16 Esaminata, funditus, nel § 4.2.

441

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 441

06/11/17 17:41


Saggi

ciò che è diverso dall’utile; il che accade, ad esempio, quando alla riserva legale si destini la somma, non riscossa dal socio receduto o escluso o dagli aventi causa del socio morto o estinto, corrispondente alla quota di liquidazione della sua partecipazione sociale17. 2.2. Riserve indivisibili, riserva legale e riserve promosse fiscalmente. Le riserve delle cooperative, una volta classificate, possono essere pienamente comprese dopo aver condiviso le seguenti quattro precisazioni che le riguardano. La prima. L’indivisibilità o la divisibilità di una riserva è da accertarsi rispetto ai soli soci della relativa cooperativa; ciò significa che una riserva è indivisibile se non può essere distribuita tra i soci in alcun modo, direttamente e/o indirettamente18, come emerge chiaramente confrontando gli artt. 2514, co. 1, lett. c) e 2545-ter, co. 1, c.c. Dunque, da un lato, riserva divisibile = riserva distribuibile tra i soci e, dall’altro lato, riserva indivisibile = riserva indistribuibile tra i soci. La seconda. La riserva legale – costituente nelle cooperative a mutualità prevalente l’ipotesi più rilevante tra le fattispecie sussumibili in quella tratteggiata dal co. 1 dell’art. 2545-ter c.c. – può essere usata soltanto per coprire le perdite di esercizio, poiché ciò discende dalle regole che governano la redazione del bilancio di esercizio; dunque, l’allocazione di cui all’art. 2545-ter, co. 2, c.c. costituisce nelle cooperative a mutualità prevalente l’unico utilizzo possibile della riserva legale, non potendo questa essere nemmeno in parte capitalizzata19.

17 Come è regolato legittimamente dall’art. 15, co. 4, statuto tipo delle BCC, il quale così recita: «le somme non riscosse entro cinque anni dal giorno in cui divengono esigibili restano devolute alla Società ed imputate alla riserva legale». Detto statuto tipo è periodicamente aggiornato dalla Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo-Casse Rurali ed Artigiane (di seguito Federcasse) e valutato positivamente dalla Banca d’Italia (da ultimo, con lettera del 25 maggio 2015, prot. n. 0579576/15). Melchiori e Scagliarini, La tassazione delle banche di credito cooperativo, in Acerbis e Catona, a cura di, La tassazione delle banche. Guida alla fiscalità diretta2, Milano, 2015, pp. 336-337, offrono altri esempi, ritenuti espressamente legittimi dall’amministrazione finanziaria. 18 Si immagini mediante sua capitalizzazione. 19 Tuttavia, nulla vieta che determinate operazioni (come l’acquisto di un immobile) realizzate dalla BCC, naturalmente strumentali al perseguimento degli scopi e dell’oggetto sociale della stessa banca, se comportano una correlata rappresentazione nel conto economico di un valore negativo [come un ammortamento relativo ad un’attività materiale, da indicare nella voce 170 del conto economico della BCC (come da circolare

442

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 442

06/11/17 17:41


Emanuele Cusa

La terza. La riserva legale è necessariamente una riserva indivisibile per le cooperative a mutualità prevalente, poiché queste società devono rispettare l’art. 2514, co. 1, lett. c), c.c.; lo stesso discorso vale per le BCC, le quali sono necessariamente cooperative a mutualità prevalente e sono tenute ad osservare la disposizione appena citata, ai sensi degli artt. 28, co. 2-bis e 150-bis, co. 1 e 4, t.u.b. La quarta e ultima. L’art. 12, co. 1, l. n. 904/1977 riguarda le sole riserve la cui formazione era (ed è) promossa fiscalmente mediante un abbattimento della base imponibile dell’imposta sul reddito delle società, calcolata partendo dall’utile o dalla perdita di esercizio risultante dal conto economico di una società (art. 83 t.u.i.r.); dunque, il citato art. 12 riguarda unicamente le riserve di utili, poiché sono le sole che possono essere incrementate usando ciò che determina il reddito imponibile delle società.

3. La progressiva diminuzione della quota non tassabile degli utili imputati alla riserva legale. Le disposizioni che nel corso degli anni hanno indirettamente mutato la portata normativa dell’art. 12 l. n. 904/1977 sono servite per diminuire progressivamente la quota non tassabile degli utili realizzati da una BCC. Una volta ricordato che qualsiasi BCC deve destinare a riserva legale almeno il 70% dell’utile netto annuale20, ai sensi dell’art. 37, co. 1, t.u.b., il seguente elenco (scandito dagli esercizi contabili delle BCC, di solito corrispondenti alla durata dell’anno solare) chiaramente dimostra il precedente assunto: (i) dall’esercizio 1977 all’esercizio 1991: se si destinava a riserva legale il 100% dell’utile netto annuale, era esente il 100% dell’utile netto annuale; dunque la quota degli utili netti annuali tassati poteva essere pari allo 0%;

della Banca d’Italia n. 262 del 22 dicembre 2005), rimanendo all’esempio dell’acquisto di un immobile], possano (da sole o con altre voci negative del conto economico) determinare una perdita di esercizio e, conseguentemente, una riduzione della riserva legale, essendo quest’ultima utilizzata, appunto, per coprire in tutto o in parte l’ipotizzata perdita. Nel prosieguo, quando ci si riferirà alle voci contabili del bilancio di una BCC, si utilizzeranno la numerazione e le denominazioni di dette voci contenute nella ricordata circolare n. 262 del 2005, da ultimo aggiornata il 15 dicembre 2015. 20 Per un esame complessivo della disciplina della riserva legale nelle BCC cfr. Cusa, Il diritto delle banche, cit., pp. 29 e 111-112.

443

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 443

06/11/17 17:41


Saggi

(ii) dall’esercizio 1992 all’esercizio 2001: se si destinava a riserva legale il 99,10% dell’utile netto annuale (dovendo destinare almeno lo 0,90% dell’utile netto annuale al fondo mutualistico ai sensi dell’art. 11, co. 4, l. 31 gennaio 1992, n. 59, anch’esso esente), era esente il 99,10% dell’utile netto annuale; dunque la quota degli utili netti annuali tassati poteva essere pari allo 0%; (iii) dall’esercizio 2002 all’esercizio 2003: se si destinava a riserva legale il 99,10% dell’utile netto annuale (dovendo destinare almeno lo 0,90% dell’utile netto annuale al fondo mutualistico, anch’esso esente), era esente l’82,25% dell’utile netto annuale, stante l’operare dell’art. 6, co. 4, d.l. n. 63/2002; in ogni caso, la quota degli utili netti annuali tassati era pari ad almeno il 17,75%; (iv) dall’esercizio 2004 all’esercizio 2012: se si destinava a riserva legale il 97% dell’utile netto annuale (dovendo destinare almeno il 3% dell’utile netto annuale al fondo mutualistico, ai sensi della modifica intervenuta all’art. 11, co. 4, l. n. 59/1992 ad opera dell’art. 1, co. 468, l. n. 311/2004; anche tale destinazione del 3% è esente), era esente il 70% dell’utile netto annuale, stante l’operare dell’art. 1, co. 460 e 466, l. n. 311/2004; in ogni caso, la quota degli utili netti annuali tassati era pari ad almeno il 27%; (v) dall’esercizio 2013 ad oggi: se si destina a riserva legale il 97% dell’utile netto annuale (dovendo destinare almeno il 3% dell’utile netto annuale al fondo mutualistico), è esente il 63% dell’utile netto annuale (cui si aggiunge in regime di esenzione il 3% degli utili netti annuali destinati al fondo mutualistico), stante la modifica dell’art. 6, co. 1, d.l. n. 63/2002, ad opera dell’art. 2, co. 36-ter d.l. n. 138/2011; in ogni caso, la quota degli utili netti annuali tassati è pari ad almeno il 34%. Dai dati appena illustrati risulta evidente che, a partire dall’esercizio 2002, una parte degli utili imputati a riserva legale sono stati tassati in percentuale crescente, benché tali utili diventassero per sempre inappropriabili per i soci della BCC. Ma ciò è in patente contrasto con il principio tributaristico ricordato all’inizio di questo scritto, secondo il quale la mancata disponibilità di un cespite reddituale impedirebbe di tassarlo. Sicché, le BCC, invece di essere promosse dalla Repubblica ai sensi dell’art. 45, co. 1, Cost. (appartenendo certamente al corrispondente paradigma costituzionale della «cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata»), sono state penalizzate rispetto alle altre banche. Al fine di non essere doppiamente penalizzate21, le BCC dovrebbero

21

Come sarà illustrato nel § 6.2.

444

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 444

06/11/17 17:41


Emanuele Cusa

indicare nei loro bilanci (o comunque calcolare dal 2002 in poi) l’importo dell’utile netto annuale imputato a riserva legale per il quale sia stata pagata la relativa imposta e l’importo dell’utile netto annuale (sempre imputato a riserva legale) per il quale non sia stata pagata alcuna imposta. Solo in questo modo, infatti, ciascuna BCC, quando occorrerà, sarà in grado di bipartire la propria riserva legale nel seguente modo: una parte costituita nel corso degli anni mediante l’allocazione di soli utili tassati; l’altra parte costituita nel corso degli anni mediante l’allocazione di soli utili non tassati.

4. Le riserve e i fondi divisibili. Una volta richiamata la distinzione tra riserve indivisibili e riserve divisibili e precisato che la riserva legale è certamente indivisibile nelle BCC, occorre accertare se in queste banche vi siano riserve divisibili. A mio parere, civilisticamente parlando, nelle BCC possono essere qualificate come riserve o fondi divisibili almeno le seguenti quattro voci contabili: (i) la riserva per l’acquisto azioni proprie22; (ii) la riserva sovrapprezzo azioni23, almeno in parte24;

22 Esaminata nel § 4.1. Per chi scrive non v’è violazione dell’art. 2514, 1 co., lett. c), c.c., in caso di utilizzo della riserva acquisto azioni proprie, quando il quantum pagato al socio per l’acquisto delle sue azioni sia stato previamente fissato nello statuto e corrisponda ad una cifra non superiore a quella che lo stesso avrebbe il diritto di ricevere in caso di sua esclusione o di suo recesso. Una situazione simile a quella appena prospettata accade per le BCC che abbiano adottato l’art. 21, co. 5 (opzionale), statuto tipo delle BCC, il quale così recita: «il consiglio di amministrazione può deliberare l’acquisto di azioni della Società, al loro valore nominale, nel limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato». Stranamente Melchiori e Scagliarini, La tassazione, cit., p. 335, qualificano come «indivisibile in capo ai soci ma disponibile per la società» la riserva per l’acquisto azioni proprie; di contro, proprio in ragione dello specifico scopo della riserva, i soci ricevono parte della riserva (pertanto divisibile tra soci), se la BCC, usando appunto tale riserva, acquista le azioni proprie possedute da uno o più dei propri soci. 23 Contra Bonfante, La disciplina civilistica delle perdite d’esercizio nelle Banche di Credito Cooperativo, in Coop. Cred., 205-206, maggio/agosto 2010, p. 77, per il quale la riserva sopra ricordata sarebbe da annoverare tra quelle indivisibili; nel senso del testo, invece, Brescia Morra, Patrimonio delle Banche di Credito Cooperativo e copertura delle perdite di esercizio nella prospettiva di vigilanza, ivi, p. 61. 24 Come sarà precisato nel § 4.2.

445

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 445

06/11/17 17:41


Saggi

(iii) il fondo ristorni25; (iv) il fondo formato per rivalutare le azioni ex art. 7 l. n. 59/9226, di solito costituito allo scopo di arrivare ad avere importi di utili distribuibili che consentano di emettere gratuitamente nuove azioni in favore di tutti i soci senza diminuire il valore nominale unitario delle azioni già in circolazione27. 4.1. La riserva per acquisto azioni proprie. La riserva per acquisto azioni proprie – rientrante tra le riserve di utili di cui alla voce 160 del passivo dello stato patrimoniale – è costituita dagli utili distribuibili che l’assemblea dei soci decide di destinare a tale riserva per successivi acquisti di azioni28; questa riserva è divisibile, poiché, a discrezione del consiglio di amministrazione della BCC, può essere usata per pagare il socio che vende alla propria banca azioni emesse dalla stessa banca29. 4.2. La riserva sovrapprezzo azioni. La riserva sovrapprezzo azioni – corrispondente alla voce 170 del passivo dello stato patrimoniale, denominata come «sovrapprezzi di emissione» – è costituita dalle «somme percepite dalla società per l’emissione di azioni ad un prezzo superiore al loro valore nominale» (art. 2431, co. 1, c.c.)30. Che la riserva sovrapprezzi di emissione sia divisibile per la BCC discende dal combinato disposto degli artt. 9 l. n. 59/1992 e 150-bis, co. 3, t.u.b.31. Tuttavia, questa riserva può avere la seguente parte che è da considerar-

25

Trattato nel § 4.3. Sulla rivalutazioni delle azioni nelle BCC cfr. Cusa, Il diritto delle banche, cit., pp. 112-113. 27 Così anche Melchiori e Scagliarini, La tassazione, cit., p. 334. 28 La suddetta riserva è evocata indirettamente nel già riportato testo dell’art. 21, co. 5 (opzionale), statuto tipo delle BCC. 29 Circa l’acquisto di azioni proprie nelle BCC e la suddetta riserva cfr. Cusa, Il diritto delle banche, cit., pp. 79, 80 e 113, nt. 7. 30 Il sovrapprezzo delle azioni nelle BCC è stato studiato da Cusa, Il sovrapprezzo delle azioni nelle banche di credito cooperativo tra statuto tipo e legge, in questa Rivista, 2009, p. 411 ss. 31 Stante la sua divisibilità, la riserva in parola può essere anche utilizzata, almeno parzialmente, per aumentare il capitale sociale della BCC, come illustrato da Cusa, Il diritto delle banche, cit., pp. 34-35. 26

446

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 446

06/11/17 17:41


Emanuele Cusa

si come indivisibile: quella eventualmente costituitasi prima dell’entrata in vigore della l. n. 59/1992; questa legge, infatti, introdusse nell’ordinamento delle banche di credito cooperativo gli artt. 7, 9, 11 e 21 l. n. 59/199232, prevedendo, appunto, la rimborsabilità ai soci del sovrapprezzo versato; ma, allora, il combinato disposto degli artt. 9 e 21 l. n. 59/1992 ha ridotto l’ambito di applicazione dell’art. 26, co. 1, lett. b), d.lgs.C.p.S. n. 1577/194733. 4.3. Il fondo ristorni. Il fondo ristorni – da imputarsi alla voce 120.b del passivo dello stato patrimoniale denominata «altri fondi»34 e dunque non facente parte del patrimonio netto o dei fondi propri di una BCC – è costituito dalla quota di utile che l’assemblea dei soci di una BCC ha sì deciso di distribuire a titolo di ristorno in uno o più esercizi, ma ha provvisoriamente imputato a patrimonio. Questa temporanea allocazione nel patrimonio sociale è solitamente necessaria in caso di distribuzione dei ristorni; in effetti, se almeno la metà dei ristorni deve essere liquidata mediante sua capitalizzazione in forza della nota di Banca d’Italia del 17 aprile 200235, se normalmente il ristorno riconosciuto ad un socio è diverso da quello riconosciuto ad un altro socio a causa del loro parametro di calcolo (corrispondente alla quantità e alla qualità degli scambi mutualistici intercorsi tra socio e BCC), se però le azioni in circolazione devono avere tutte lo stesso valore nominale unitario, allora la banca potrà essere costretta a destinare a patrimonio la parte dell’utile distribuito a titolo di ristorno che residua dalla distribuzione ai soci di importi corrispondenti al valore nominale unitario dell’azione della banca (o a suoi multipli)36.

32

Consentendo così a Federcasse di modificare lo statuto tipo delle BCC nel 1994, quando si introdusse il nuovo art. 14 (ora corrispondente all’art. 15 del vigente statuto tipo) relativo alla rimborsabilità del sovrapprezzo versato. 33 Così anche Bassi, La riforma delle società cooperative. Commento alla Legge 31 gennaio 1992, n. 59, a cura di Bassi, Milano, 1992, p. 165, circa le cooperative di diritto comune. 34 Si ritiene pertanto civilisticamente (e, di conseguenza, contabilmente) scorretta l’appostazione, a volte effettuata da alcune BCC, nella voce 160 del passivo dello stato patrimoniale denominata «riserve», degli utili distribuiti come ristorni ma temporaneamente allocati a patrimonio. 35 Più in generale, sulla distribuzione di ristorni nelle BCC cfr. Cusa, Il diritto delle banche, cit., pp. 115-119. 36 Che il fondo ristorni sia disponibile e la sua costituzione sia pienamente legittima si ricava indirettamente dall’art. 6, co. 3, regolamento tipo sui ristorni (elaborato da Federcasse e ritenuto informalmente legittimo dalla Banca d’Italia, avendone in più occasioni vagliato il contenuto), il quale così recita: «qualora il ristorno utilizzato per

447

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 447

06/11/17 17:41


Saggi

Il fondo ristorni, al pari della riserva sovrapprezzi di emissione, è un esempio tipico di fondo/riserva individualizzato, nel senso che ogni sua parte può essere riferita a uno specifico socio; sicché, esemplificando, se lo statuto della BCC consente il rimborso del sovrapprezzo, il socio ha un’aspettativa non sull’intera riserva sovrapprezzo azioni, bensì solo su una sua parte, corrispondente al valore della somma di denaro versata dal predetto socio al momento della sottoscrizione di nuove azioni.

5. La copertura delle perdite di esercizio mediante riserve e fondi. La BCC, come qualsiasi società, può chiudere il proprio bilancio con una perdita di esercizio (corrispondente al valore, se negativo, iscritto alla voce 290 del suo conto economico). Il che, purtroppo, negli ultimi anni non è più un’ipotesi di scuola per le BCC di qualsiasi Regione d’Italia, a causa, di regola, delle loro esposizioni deteriorate. La perdita di esercizio può essere riportata a nuovo, ovvero coperta; nel primo caso non sarà necessario un apposito punto all’ordine del giorno dell’assemblea dei soci chiamata a decidere sulla perdita di esercizio, mentre nel secondo caso occorrerà formularne uno specifico. L’assemblea, se ha approvato un bilancio da cui risulta un utile di esercizio, non è costretta a coprire, anche solo parzialmente, le perdite emerse negli esercizi precedenti, utilizzando detto utile. Il che può ricavarsi indirettamente dall’art. 2433, co. 3, c.c. (certamente valevole per le BCC, ai sensi dell’art. 2519, co. 2, c.c.), il quale preclude di distribuire l’utile tra i soci solo quando le precedenti perdite abbiano intaccato il capitale sociale. Sicché, se i soci possono distribuirsi l’utile netto in presenza di perdite, a maggior ragione possono decidere di riportare a

incrementare la partecipazione sociale sia di importo diverso dal corrente valore nominale dell’azione (o da un suo multiplo), la relativa differenza è imputata in un apposito fondo fino a che la quota di pertinenza del socio non raggiunga il predetto valore grazie ai successivi ristorni. Tale quota è destinata a fini di beneficenza o mutualità in caso di perdita della qualità di socio, non concorrendo a formare la quota di liquidazione». Da segnalare che il valore dei ristorni non distribuito a chi non sia più socio e imputato al fondo di beneficenza dovrà essere sottoposto a tassazione; ciò accade in ragione del fatto che il predetto valore dei ristorni corrisponde ad una quota di utile non tassato (essendo deducibili dal reddito della BCC gli utili distribuiti a titolo di ristorno), mentre detto fondo è costituito da utili tassati, concorrendo questi ultimi a formare la base imponibile della BCC.

448

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 448

06/11/17 17:41


Emanuele Cusa

nuovo tale utile, senza doverlo usare per coprire perdite pregresse. L’assemblea dei soci, se però decide di coprire le perdite pregresse con l’utile di esercizio risultante dal bilancio appena approvato, potrà farlo allocando a tal fine la sola parte dell’utile che residua una volta effettuate le destinazioni obbligatorie di cui al combinato disposto degli artt. 11, co. 4, l. 31 n. 59/199237 e 37, co. 1 e 2, t.u.b. Non ritengo infatti superabile il dettato di queste disposizioni, il quale impone di calcolare la quota dell’utile da destinare alla riserva legale e al fondo mutualistico al lordo della quota che l’assemblea eventualmente decidesse di usare a copertura di perdite pregresse38. L’assemblea dei soci della BCC, se delibera di coprire la perdita dell’ultimo esercizio e/o degli esercizi precedenti con le proprie riserve, deve farlo usando prima le riserve disponibili e divisibili – cioè distribuibili tra i soci, senza che si violi l’art. 2514, co. 1, lett. c), c.c. – e poi quelle disponibili ma indivisibili39. Naturalmente, se non fossero sufficienti neanche

37 Valevole per le BCC ai sensi dell’art. 21, co. 3, l. n. 59/1992. Alle BCC non si applica invece l’art. 2545-quater c.c. ai sensi dell’art. 150-bis, co. 1, t.u.b. 38 De iure condito, non è pertanto condivisibile la prassi di non computare nella base di calcolo della quota dell’utile da destinare al fondo mutualistico la quota di utile destinata a coprire le perdite relative a precedenti esercizi contabili. Ciononostante, la prassi appena ricordata è basata sulla circolare n. 96/98 del 22 luglio 1998 del Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale, seguita, dopo la riforma del diritto societario 2003, dal Ministero dello sviluppo economico (il quale, pur dovendo limitarsi ad applicare e non a creare la legge, sottrae dalla base di calcolo del 3% degli utili netti annuali da eterodestinare ex artt. 11 l. n. 59/1992 e 2545-quater, co. 2, c.c., una serie di voci contabili, tra cui la parte dell’utile che è andato direttamente a coprire perdite di esercizio pregresse, come risulta dal modello di verbale di revisione cooperativa allegato al d.m. del 23 febbraio 2015) e dalle cooperative [come si ricaverebbe leggendo la circolare di Confccoperative n. 5/2010 del 19 gennaio 2010, ove si trova scritto che «la cooperativa che, in sede di approvazione del bilancio, delibera di destinare l’utile (o una quota parte) al ripianamento delle perdite, non deve versare il contributo del 3 per cento per quella parte di utile destinato al ripianamento delle perdite stesse»]. In senso critico all’attuale posizione ministeriale appena descritta si era espresso già Bonfante, da ultimo in La società cooperativa, in Tratt. di dir. comm. diretto da Cottino, V, Padova, 2014, pp. 407-408. 39 In ragione di quanto scritto nel § 4, se si coprono le perdite con la riserva denominata sovrapprezzi di emissione, prima si dovrà decurtarne la parte divisibile (cioè quella costituitasi dopo il 1992, a condizione che lo statuto della BCC abbia stabilito dopo l’entrata in vigore della l. n. 59/1992 la ripartibilità della riserva in parola) e, una volta azzerate tutte le riserve divisibili, potrà intaccarsi anche la parte indivisibile [ai sensi dell’ormai abrogato art. 26 co. 1, lett. b), d.lgs.C.p.S. n. 1577/1947] della riserva sovrapprezzi di emissione (cioè quella formatasi prima che la BCC abbia recepito nel proprio statuto le novità introdotte dalla l. n. 59/1992).

449

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 449

06/11/17 17:41


Saggi

le riserve indivisibili, per coprire le perdite si utilizzerà in tutto o in parte la voce 180 del passivo dello stato patrimoniale, denominata «capitale». L’esposto ordine di utilizzo delle riserve e del capitale in caso di perdite discende dalla disciplina civilistica delle società (e, con riguardo alle cooperative, specificatamente dall’art. 2545-ter, co. 2, c.c.), da cui derivano (normalmente) coerenti regole tributaristiche40 o ragionieristiche41. Una volta azzerate le riserve disponibili e divisibili, la BCC può usare per ripianare la perdita qualsiasi riserva disponibile ma indivisibile, tra cui – rammento – la parte indivisibile della riserva sovrapprezzi di emissione42 e la riserva legale. Se si usa la riserva sovrapprezzi di emissione per coprire le perdite di esercizio, tale copertura intacca in proporzione tutti i soci che hanno versato sovrapprezzi43.

6. Integrazione obbligatoria delle riserve e dei fondi usati per coprire le perdite. 6.1. Profili generali. Una volta che le riserve siano state usate per coprire le perdite di esercizio, occorre ricostituirle, se si vuole successivamente distribuire utili tra i soci44. Questo obbligo di ricostruzione va osservato almeno quando ci si trova di fronte a queste tre tipologie di riserve: (i) le riserve di rivalutazioni di beni d’impresa (molto diffuse e consistenti nei bilanci delle BCC, specialmente quelle da rivalutazioni immobili), facenti parte della voce 130 del passivo dello stato patrimoniale, denominata «riserve da valutazione»; la ricostruzione di una riserva ricondu-

40

Cfr., infatti, il disposto dell’art. 3, co. 1, l. n. 28/1999. Circa i principi contabili nazionali è da leggere sul punto l’OIC 28, relativo al patrimonio netto. 42 Analizzata, funditus, nel § 4.2. 43 Esemplificando, se per la suddetta copertura, è necessario ridurre del 30% la riserva in parola, ogni socio che ha versato il sovrapprezzo vedrà ridotta del 30% la parte di tale riserva a lui riferibile; conseguentemente, quando maturerà il diritto al rimborso del sovrapprezzo versato, quest’ultimo sarà corrisposto diminuendo del 30% la somma a suo tempo versata a tale titolo. 44 In argomento cfr., da ultimo, Bonfante, La società cooperativa, cit., p. 384 ss. 41

450

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 450

06/11/17 17:41


Emanuele Cusa

cibile a questa categoria andrà realizzata in osservanza della specifica legge che ha previsto la costituzione della relativa riserva; (ii) la riserva cosiddetta da fair value ex art. 7 d.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38; (iii) le riserve indivisibili di cui all’art. 3, co. 1, l. n. 28/1999. Di fronte alle riserve di rivalutazione, di solito la relativa legge consente che non si debba ripristinarne il valore con successive allocazioni di utili una volta usate, a condizione che l’assemblea straordinaria della società interessata riduca o azzeri definitivamente tali riserve45. Una regola corrispondente a quella appena riportata si applica alla riserva da fair value ai sensi dell’art. 7, co. 6, terzo periodo, d.lgs. n. 38/2005. 6.2. Le riserve di cui all’art. 3, co. 1, l. n. 28/1999. Molto complessa e stringente è la disciplina delle riserve indivisibili ai sensi dell’art. 3, co. 1, l. n. 28/199946, poiché il legislatore non consente alla società, la quale ha usato queste riserve per coprire delle perdite, di ridurle o azzerarle definitamente. Certamente non è da ricostituire ex art. 3, co. 1, l. n. 28/1999 la riserva sovrapprezzi di emissione, poiché essa, una volta ridotta o azzerata per coprire le perdite (quand’anche fosse stata intaccata la sola parte indivisibile della stessa), non può, per la sua natura (di riserva di capitale e non di riserva di utili) essere ricostituita, allocandovi utili di esercizio. Detto altrimenti, la riserva sovrapprezzi di emissione, non potendo formarsi con elementi diversi da sovrapprezzi pagati dai soci, non può (né deve) mai essere incrementata con utili distribuibili. A sostegno della lettura appena prospettata segnalo altresì che l’art. 3, co. 1, l. n. 28/1999, richiamando l’art. 12, co. 1, l. n. 904/1977, può applicarsi alle sole riserve di utili, mentre la riserva sovrapprezzo azioni è, appunto, una riserva di capitale. Neanche sono da ricostituire ex art. 3, co. 1, l. n. 28/1999 le riserve da

45 Come esempio della legislazione sopra evocata, si rammenta l’art. 13, co. 2, secondo periodo, l. 21 novembre 2000, n. 342, il quale così recita: «in caso di utilizzazione della riserva a copertura di perdite, non si può fare luogo a distribuzione di utili fino a quando la riserva non è reintegrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria, non applicandosi le disposizioni dei co. secondo e terzo dell’articolo 2445 del codice civile». 46 Il dettato della suddetta disposizione è integralmente riportato supra, § 1, nt. 4.

451

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 451

06/11/17 17:41


Saggi

rivalutazioni di beni d’impresa, qualora, come dovrebbe accadere, non siano state costituite mediante utili esenti ex art. 12, co. 1, l. n. 904/1977. Di contro, deve essere ricostruita la riserva legale, la quale è, di regola, quella di maggior valore tra le voci del patrimonio netto dei bilanci delle BCC47 e, soprattutto, è quella ove nel corso degli anni sono stati allocati tutti gli utili (esenti e non esenti) non distribuiti tra i soci o non destinati a fini di beneficenza o di mutualità48. La ricostruzione della riserva legale (nei casi in cui ciò è imposta dall’art. 3, co. 1, l. n. 28/1999) avviene mediante un’apposita deliberazione dell’assemblea ordinaria, la quale può essere presa sia dopo aver approvato il progetto di bilancio di esercizio, sia in un altro momento. Rimane da verificare fino a quale importo deve essere ricostruita la riserva legale usata per ripianare le perdite, prima di poter distribuire gli utili ai soci cooperatori. Il dubbio appena esposto – ricorrente tra gli operatori – nasce osservando la normativa vigente al momento in cui furono approvati gli artt. 12, co. 1, l. n. 904/1977 e 3, co. 1, l. n. 28/1999, poiché tale normativa è radicalmente mutata dal 1977 ad oggi49. In effetti, fino al 2001, una BCC, se destinava a riserva legale il 99,10% dell’utile netto annuale (dovendo destinare almeno lo 0,90% al fondo mutualistico), aveva il 99,10% del proprio utile esente da imposta; detto altrimenti, tutto l’utile imputato a riserva legale era in grado di abbattere la base imponibile della relativa cooperativa. Così non accade oggi, poiché se si destina il 97% dell’utile netto annuale a riserva legale (dovendo destinare almeno il 3% al fondo mutualistico), è in esenzione di imposta solo il 63% di tale utile. Ribadisco poi che gli artt. 12, co. 1, l. n. 904/1977 e 3, co. 1, l. n. 28/1999 sono esclusivamente disposizioni di natura tributaria e sono tra loro intrinsecamente collegate, nel senso che la seconda è da ritenersi un’interpretazione autentica della prima. Dunque, l’obbligo di ripristino della riserva legale, prima di distribuire gli utili tra i soci, ai sensi del citato art. 3, riguarda solo gli utili usati

47

Per le relative ragioni cfr. Cusa, Il diritto delle banche, cit., p. 29. Sulle destinazioni da ultimo evocate nel testo, tutte qualificabili come negozi a titolo gratuito, cfr. Cusa, Le destinazioni a fini di beneficenza o mutualità nelle banche cooperative, in corso di pubblicazione in Banca, borsa, tit. cred. 49 Come è stato mostrato nel § 1, con la conseguente diminuzione nel corso degli anni della quota non tassabile degli utili realizzati dalle BCC, come indicato nel § 3. 48

452

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 452

06/11/17 17:41


Emanuele Cusa

per ridurre la base imponibile ai sensi del citato art. 12 50. In conclusione, una BCC, quando imputa gli utili a riserva legale, ha tutto l’interesse a tenere distinti quelli esenti da quelli non esenti, poiché la stessa, quando dovesse poi usare i propri utili per coprire delle perdite, dovrà successivamente ripristinarli, mediante destinazione di nuovi utili a riserva legale, prima di distribuire gli utili ai soci cooperatori; questo obbligo di ripristino, però, sarà soltanto pari all’importo corrispondente agli utili originariamente allocati a riserva legale in esenzione di imposta e poi usati per coprire le perdite di esercizio. Emanuele Cusa

50 Nella stessa direzione pare andare l’Agenzia delle entrate, quando afferma (con riguardo al reddito imponibile delle cooperative ai fini dell’imposta sul reddito delle società) che «la quota di utili che concorrerà alla determinazione del reddito imponibile, come chiarito nella relazione di accompagnamento [del disegno di legge che è poi diventato la legge finanziaria per il 2015], potrà essere liberamente utilizzata nel rispetto dei vincoli previsti dalla normativa civilistica in materia» (circolare n. 34/E del 15 luglio 2005).

453

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 453

06/11/17 17:41


Saggi

454

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 454

06/11/17 17:41


La nuova disciplina UE dei limiti alle interchange fees e delle business rules in materia di “pagamenti basati su carte”, tra regolamentazione strutturale del mercato interno e promozione della concorrenza Sommario: 1. Le caratteristiche del mercato degli strumenti di pagamento cashless “basati su carte” maggiormente rilevanti dal punto di vista delle relative implicazioni giuridiche. – 1.1. Segue: commissioni interbancarie e regolamentazione del “mercato interno” dei pagamenti al dettaglio. – 2. Ratio e obiettivi della nuova cornice regolamentare UE in materia commissioni interbancarie. – 3. Il contenuto del quadro regolatorio armonizzato definito dal Regolamento (UE) 2015/751: ambito di applicazione e principali fattispecie rilevanti. – 3.1. (Segue): il negative scope del Regolamento e lo specifico regulatory approach per gli schemi a “tre parti” in materia di commissioni e servizi di processing. – 4. I nuovi limiti all’autonomia contrattuale in materia di commissioni interbancarie per i pagamenti basati su carte alla luce del c.d. “Merchant Indifference Test”. – 4.1. (Segue): la maggiore flessibilità consentita tramite le opzioni nazionali per i pagamenti con carte di debito e i poteri di “vigilanza informativa” (i principi guida desumibili in materia nella Legge di stabilità 2016). – 4.2. (Segue): il trattamento regolamentare delle operazioni ibride basate su c.d. “carte universali” e la nozione allargata di “commissione interbancaria” per del “mercato interno”: (a) i limiti di ordine pubblico economico “di direzione” alle clausole di restrizione territoriale e (b) gli obblighi di separazione tra schemi e servizi di processing. – 6. Il complementare corpus di regole di condotta e contrattuali uniformi a tutela della libertà negoziale degli utenti: i diritti al co-badging e alla scelta dei marchi e delle applicazioni di pagamento. – 6.1. (Segue): gli obblighi di trasparenza e le altre norme a tutela della libertà di scelta degli strumenti di pagamento da parte dei “beneficiari”: l’obbligo di unblending delle commissioni; i limiti alle clausole Honour All Cards; gli obblighi di reporting e la libertà di steering. – 6.1.1. (Segue): la legittimità del surcharging e relative (nuove) limitazioni.

1. Le caratteristiche del mercato degli strumenti di pagamento cashless “basati su carte” maggiormente rilevanti dal punto di vista delle relative implicazioni giuridiche. Nonostante il sempre più rapido tasso d’innovazione e d’informatizzazione nella produzione e vendita di beni e servizi e il fatto che sono

455

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 455

06/11/17 17:41


Saggi

ormai alcuni secoli «since paper money became accepted as legal tender»1, è dato tuttavia osservare che il denaro contante continua a rimanere “in circolazione” indisturbato nella sua forma “tradizionale”, resistendo al processo di trasfigurazione in forma digitale subito invece da molti altri prodotti e servizi di uso quotidiano. Ad esempio, risulta che nell’Area dell’Euro il contante in circolazione sia aumentato in modo costante dall’introduzione dell’Euro nel 2002 fino al primo trimestre 2016 (sia in termini di valore che di numero di banconote e di monete in euro)2, inoltre, più in generale, sarebbero ancora regolate in contanti «about 85% of global consumer transactions»3. Solo di recente infatti sembra essersi effettivamente avviato un processo di trasformazione (ancora molto disomogeneo a livello globale) verso una “wider cashless society” in cui anche il denaro contante pare destinato ad essere sempre più sostituito dall’utilizzo di sue alternative digitali4. Ad esempio, dall’inizio del XXI secolo il volume dei pagamenti cashless è aumentato a ritmi sostenuti in tutta l’Area dell’Euro5, tra questi quelli basati sull’impiego di c.d. “carte

1   Chakravorti, Shankar Chaturvedi, Mazzotta, The Countries That Would Profit Most from a Cashless World, in Harvard Business Review, May 31, 2016. 2   In particolare risulta che il numero delle banconote in euro è aumentato del 138%, pari ad un aumento del 385% in termini di valore, per un valore totale di banconote in euro in circolazione al primo trimestre 2016 di più di mille miliardi, anche per le monete in euro si è registrato lo stesso trend, seppure ovviamente con intensità minore, Banca Centrale Europea, Banknotes and coins circulation, (www.ecb.europa.eu), 2016. 3   Thomas, Measuring progress toward a cashless society, in Exclusive insights from MasterCard Advisors, (http://www.mastercardadvisors.com). 4   In particolare, come osservato, «there are signs that cash is following the path of other “information goods,” such as printed photographs, cassette tapes, and DVDs in being replaced by digital alternatives. […] The migration to a cashless society is far from being either uniform or universal. Whereas most Swedes are embracing a cashless future, along with an unlikely peer group, that includes both Somaliland and South Korea, some of Sweden’s neighbors, in response to EU’s increasing regulations on restricting cash usage, are demanding a “constitutional right to pay in cash” fueled by concerns around negative interest rates and a perceived loss of privacy that comes with digital money. For some countries, the transition has been very rapid and at a scale that is without precedent. In 2009, over two-thirds of all ecommerce payments in China were cash on delivery. Thanks in no small part to the mobile wallet wars among the BAT – Baidu, Alibaba, and Tencent – mobile payments today account for over 70% of all e-commerce transactions in China», B. Chakravorti, R. Shankar Chaturvedi, Mazzotta, The countries, cit., 2016. 5   L’incremento è stato di circa il 10% nel periodo 2000 - 2009, Börestam e Schmiedel, Interchange fees in card payments, European Central Bank, Occasional Paper Series, No 131, September 2011, p. 8.

456

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 456

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

di pagamento” hanno registrato il maggior tasso di crescita, rendendo il settore dei pagamenti basati su carte «an increasingly important segment of the EU financial services market»6. Per effetto di tale evoluzione, le “carte” della specie sono diventate lo strumento di pagamento alternativo al contante più diffusamente utilizzato per i pagamenti al dettaglio, non solo nell’Area dell’Euro, ma anche nell’Unione Europea nel suo complesso, ferma restando tuttavia un’ancora significativa (rectius eccessiva) frammentazione del “mercato interno” dei pagamenti al dettaglio e disomogeneità nelle prassi negoziali e abitudini di pagamento tra i diversi Stati Membri7. Ad esempio, pur essendosi registrato anche in Italia un evidente incremento dei pagamenti basati su carte, tuttavia questo è stato ben minore, stante una strutturale propensione verso un maggiore utilizzo del contante8 che continua a essere impiegato nell’«83 per cento del totale dei pagamenti contro il 69 medio europeo»9.

6

European Banking Authority, Consultation Paper, Draft Regulatory Technical Standards on separation of payment card schemes and processing entities under Article 7 (6) of Regulation (EU) 2015/751, EBA/CP/2015/24, 8 December 2015, p. 22. 7   Cfr. Considerando n. (8) del Regolamento (UE) 2015/751, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29.4.2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta (in seguito, il Regolamento). In particolare risulta che «within the euro area, card payments were most frequently used in Finland, France, the Netherlands and Luxembourg. In Greece and Italy, card payments are made least frequently. In effect, Greece and Italy have experienced the smallest increases in the number of card payment transactions per capita over the years. The highest growth in the use of cards for payments has been made by Slovakia, closely followed by the Netherlands and Malta. It is worth noting that, apart from the Netherlands, countries that have adopted the euro more recently have recorded relatively high growth rates in payment card usage», Börestam e Schmiedel, Interchange, cit., p. 9. 8   Risulta in particolare che «lo strumento di pagamento di gran lunga più utilizzato in Italia per gli acquisti presso i punti vendita è il contante (quasi il 90 per cento dei pagamenti, per un importo per transazione nell’ordine di 17- 21 euro); seguono le carte di pagamento (debito e credito) che registrano importi medi tra i 50-100 euro. Nei pagamenti di importi più elevati (500-1.000 euro) o a distanza (c.d. remote payments) si collocano gli addebiti pre-autorizzati, i bonifici e gli assegni. Si rileva infine, come ci si attendeva, una correlazione negativa tra importo medio dell’operazione e quota dei pagamenti regolati in contante, a conferma dell’elevato utilizzo di questo strumento nelle transazioni di basso ammontare soprattutto presso alcuni settori merceologici (quali i prodotti alimentari e tabacchi)», Banca d’Italia, Il costo sociale degli strumenti di pagamento in Italia. I risultati delle indagini su imprese, banche, fornitori di servizi di pagamento, Tematiche istituzionali, Novembre 2012, p. 12. 9   Banca d’Italia, Il costo, cit., p. 16. Come ivi dicato (nota 15), il «dato per l’Italia differisce da quello richiamato in precedenza (90 per cento) perché quest’ultimo era riferito ai soli pagamenti presso il punto vendita».

457

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 457

06/11/17 17:41


Saggi

Questa persistente frammentazione a livello UE della disciplina normativa e contrattuale dei pagamenti basati su carte – specialmente con riguardo alla varietà e al livello delle commissioni (in primis di quelle c.d. “interbancarie” o di “interscambio”) tipicamente applicate in relazione a tali pagamenti e alle relative pratiche commerciali – è considerata dalle istituzioni dell’Unione di per sé di ostacolo l’affermarsi di un effettivo “mercato interno” anche per i servizi e gli strumenti di pagamento basati su carte, nonché allo sviluppo dell’innovazione e di nuovi modelli di business, «a scapito di potenziali economie di scala e di scopo e degli incrementi di efficienza che consentirebbero»10. È essenzialmente alla luce di queste considerazioni – e dello specifico intento di evitare «la frammentazione del mercato interno e distorsioni significative della concorrenza»11 in un comparto così rilevante del mercato UE dei servizi finanziari intesi in senso ampio – che deve essere interpretato l’intervento normativo realizzato con l’emanazione del Regolamento (UE) 2015/751, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29.4.2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta (in seguito, il Regolamento) e diretto segnatamente a stabilire apposite misure «per risolvere il problema dovuto a commissioni interbancarie elevate e divergenti, per consentire ai prestatori di servizi di pagamento di prestare i loro servizi su base transfrontaliera e ai consumatori e agli esercenti di utilizzare i servizi transfrontalieri»12. Anche la specifica base giuridica di tale Regolamento (costituita dall’art. 114 del TFUE) ne conferma la natura di misura di “ravvicinamento” in subjecta materia delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri avente appunto per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del “mercato interno”13. Ciò posto, ai fini dell’analisi dei profili giuridici del fenomeno oggetto delle norme del Regolamento, è fondamentale tener presente che l’effettuazione di operazioni di pagamento cashless con carte di debito o di credito presuppone, e si basa su, l’esistenza di appositi schemi con-

10

Considerando n. (11) del Regolamento. Considerando n. (13) del Regolamento. 12   Considerando n. (13) del Regolamento. 13   Sul contenuto, struttura e natura delle misure di “ravvicinamento” e sulle implicazioni dell’adozione di una misura ex art. 114 TFUE si rinvia all’analisi di Migliorini, Le tecniche di ravvicinamento delle legislazioni nazionali, in AA.VV., Osservatorio sulle fonti 2011-2012. Diritto dell’Unione europea e ravvicinamento delle legislazioni nazionali: effetti sul sistema interno delle fonti, a cura di Caretti, Torino, 2013, pp. 27 e ss. 11

458

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 458

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

trattuali che regolano l’utilizzo dello strumento di pagamento in questione (c.d. payment card schemes) e i complessi rapporti negoziali che a tal fine s’instaurano tra i diversi soggetti coinvolti nell’esecuzione della “operazione di pagamento” in questione14, che non si limitano in questo caso ai soli pagatore e beneficiario del pagamento, come invece in un tradizionale pagamento brevi manu in contanti. Tali rapporti e regole sono a loro volta influenzati dal fatto che il mercato delle carte di pagamento si caratterizza per avere una struttura c.d. “a due versanti” (c.d. two-sided market15) con forti esternalità di rete in entrambi i versanti16. In un tale contesto lo schema di carte di pagamento (ovvero il soggetto gestore dello stesso), nell’operare direttamente o indirettamente in entrambi i versanti del mercato dal lato dell’offerta, permette e regola l’interazione tra i differenti gruppi di utenti che costituiscono invece la domanda nei due diversi versanti del mercato: i) da una parte, i soggetti (cardholders) che vogliono utilizzare le carte per effettuare pagamenti; ii) dall’altra, i soggetti (merchants) che vogliono poter accettare pagamenti con carte. In una tale struttura di mercato, uno degli aspetti più importanti dal punto di vista regolamentare e antitrust è rappresentato dal fatto che le condizioni di offerta dei prodotti e dei servizi degli schemi di carte sono da questi necessariamente stabilite dovendo tenere conto simultaneamente delle caratteristiche della domanda nei due versanti del mercato, soprattutto con riguardo alla loro diversa elasticità, nonché alle forti esternalità e interdipendenze esistenti tra di loro. Aspetti questi che fanno sì che gli schemi di carte attuino tipicamente politiche d’imputazione dei costi e di prezzo asimmetriche tra i due versanti del mercato, dirette in particolare a generare la maggior parte dei loro profitti tramite i prezzi e le commissioni (in particolare le Interchange

14

Ai sensi dell’art. 2, par.1, n. 16), del Regolamento per “schema di carte di pagamento” s’intende un «insieme unico di norme, prassi, standard e/o linee guida di attuazione per l’esecuzione di operazioni di pagamento basate su carta, separato da qualsiasi infrastruttura o sistema di pagamento che ne sostenga le operazioni, che includa specifici organi decisionali, organizzazioni o entità responsabili del funzionamento dello schema» 15   Il principale contributo all’analisi dei two-sided market e delle relative implicazioni economiche e concorrenziali, che ha ispirato tutto filone di studi in argomento, è quello di Rochet e Tirole, Platform Competition in Two-Sided Markets, in Journal of the European Economic Association, Vol. 1, Issue 4, pp. 990–1029, June 2003. 16   Cfr. Börestam e Schmiedel, Interchange, cit., p. 11.

459

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 459

06/11/17 17:41


Saggi

fees) applicate nel versante dei merchants piuttosto che in quello dei cardholders. Non sono anzi infrequenti pratiche commerciali che prevedono addirittura l’applicazione di “prezzi negativi” o altri benefici non monetari a favore dei cardholders per incentivarli a dotarsi e utilizzare maggiormente determinate carte (e.g. assenza di spese o commissioni, sconti, premi, bonus, rimborsi, servizi a valore aggiunto quali assicurazioni sugli acquisti, etc.)17. Ciò deriva dal fatto che l’accettazione di determinate carte è per i merchant tanto più necessaria quanto più tali carte sono diffuse e utilizzate dai cardholders; in altre parole l’elasticità della domanda dei merchants verso l’affiliazione a determinati schemi di carte (e.g. quelli più utilizzati) è tipicamente più bassa, e quindi la domanda più rigida (i.e. meno dipendente da variazioni di prezzo), rispetto all’elasticità della domanda di utilizzo delle carte degli stessi schemi da parte dei cardholders18. Orbene le regole di funzionamento di tali schemi, in particolare di quelli con struttura c.d. “a quattro parti” (i.e. i cardholders, gli issuers, gli acquirers e i merchants)19, si caratterizzano sotto questo aspetto per

17

Cfr. considerando n. (32) del Regolamento. Come osservato infatti «the imbalance in the way card schemes allocate costs and obtain their income is caused by the lower price elasticity on the merchants’ side. […] In other words, card schemes can afford to raise the prices they charge to merchants in order to maximize the profit for their members. Low price elasticity is due mainly to the fact that accepting card payments has become a necessity for merchants in many business sectors, e.g. hotels, restaurants, petrol stations, supermarkets. […]. As the elasticity of demand for merchants in card payments is lower than that for cardholders, the prices for merchants are higher than the prices for cardholders», Börestam e Schmiedel, Interchange, cit., pp. 12 e 13. 19   Al riguardo risulta che i due principali modelli commerciali sulla base dei quali sono di norma eseguite le operazioni di pagamento basate su carte di pagamento sono appunto quello degli schemi c.d. “a tre parti” oppure c.d. “a quattro parti” (cfr. considerando n. (28) del Regolamento). In quest’ultimo caso, lo schema di carte si avvale, sulla base di appositi accordi contrattuali e di licenza, dell’attività di soggetti specializzati (tipicamente banche e istituti di pagamento) che forniscono appositi servizi di pagamento nei due versanti del mercato, ossia servizi di issuing a favore dei cardholders, da un lato, e servizi di acquiring a favore dei merchants, dall’altro (ovvero rispettivamente i servizi di “emissione di strumenti di pagamento” e di “convenzionamento di operazioni di pagamento” di cui all’Allegato 1, n. 5, della PSD 2, cfr anche art 1, co. 1, lett. b), n. 5), del d.lgs. 27.1.2010, n.11). In Europa questo è ad esempio il modello implementato da MasterCard® e Visa®. Di converso, in un modello “a tre parti” (quale è in Europa quello attuato da American Express® e Diner’s®) è lo stesso schema di carte a fornire i servizi di issuing e di acquiring a cardholders e merchants, operando quindi simultaneamente e direttamente su entrambi i versanti del mercato. 18

460

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 460

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

il fatto di prevedere di norma – ma non necessariamente20 – anche una variegata disciplina delle c.d. commissioni interbancarie21 (o più correttamente c.d. Interchange Fees)22 applicate, spesso sulla base di accordi di natura multilaterale (c.d. Multilateral Interchange Fees)23, nell’ambito dei rapporti contrattuali “a monte” tra i prestatori di servizi di pagamento (tipicamente banche, da cui il nome italiano di questo tipo commissione) che operano nei due diversi versanti del mercato in relazione all’esecuzione dei pagamenti basati sulle carte appartenenti a un determinato schema, ossia tra: (i) il soggetto c.d. acquirer che, di norma sulla base di apposito contratto di “convenzionamento” (anche se non necessariamente)24, presta al destinatario dei fondi oggetto del pagamento con carta (il c.d. beneficiario o merchant) i servizi necessari all’accettazione e al trattamento di “operazioni di pagamento basate su carta” e comprendenti una «catena di operazioni che vanno dall’ordine [… dell’operazione di pagamento …] al trasferimento dei fondi al conto di pagamento del beneficiario […, fermo restando che i …] servizi tecnici, quali il semplice trattamento e la semplice registrazione di dati o gestione di terminali, non costituiscono”»

20   Come emerso infatti «interchange fees are not intrinsic to the operation of card payment systems. Several national systems operate without an interchange fee mechanism, resulting in generally lower merchant fees», European Commission, Directorate-General for Competition, “Report on the retail banking sector inquiry”, Commission Staff Working Document accompanying the Communication from the Commission – Sector Inquiry under Art 17 of Regulation 1/2003 on retail banking (Final Report) [COM(2007) 33 final] SEC(2007) 106, 31.1.2007, p. 116. 21   Cfr. art. 2, par. 1, nn. 10) e 11), del Regolamento. 22   A livello internazionale si distinguono a loro volta «three types of interchange fees: national; intraregional; and inter-regional fees. National interchange fees apply to transactions in the same country in which the card is issued. Intra-regional interchange fees (hereafter referred to as cross-border interchange fees) apply to transactions made at a retailer outside the country but within the geographical region in which the card is issued. Inter-regional interchange fees apply to transactions between Europe and Asia or the US. […] Interchange fees may also differ according to the method of processing (e.g. on-line, offline, card present/not present etc.) and the type of card used (e.g. consumer or corporate cards; and magnetic stripe card or chip card)», European Commission, Directorate-General for Competition, “Report on the retail banking sector inquiry”, cit., p. 109. 23   Cfr. Considerando n. (28) del Regolamento. 24   Al riguardo ai sensi e per gli effetti dell’applicazione del Regolamento è stato considerato che gli “intermediari che forniscono parte dei servizi di convenzionamento ma senza relazione contrattuale diretta con i beneficiari dovrebbero rientrare comunque nella definizione di soggetto convenzionatore” (cfr. considerando n. (30) del Regolamento).

461

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 461

06/11/17 17:41


Saggi

di per sé attività di acquiring25; (ii) il soggetto c.d. issuer che, pure sulla base di apposito contratto, fornisce a chi effettua il pagamento (il c.d. pagatore che impartisce un “ordine di pagamento”26) lo strumento per disporre e trattare le operazioni di pagamento basate su carta e autorizza le operazioni stesse, senza però necessariamente detenere anche fondi o depositi per conto del pagatore. Ciò posto “la mera distribuzione di carte di pagamento o prestazione di servizi tecnici, quali il semplice trattamento e la semplice conservazione di dati, non costituisce” di per sé attività di issuing27. In questi casi, le Interchange Fees svolgono quindi tipicamente e principalmente la funzione di strumento per operare una redistribuzione dei costi, e quindi del surplus, da un versante all’altro del mercato. In altre parole, gli accordi in materia di Interchange Fees possono essere considerati come il principale strumento giuridico di natura contrattuale per la gestione delle esternalità esistenti tra le attività di issuing e di acquiring, e quindi che il «main economic role of the interchange fee is not to exploit the system’s market power; it is rather to shift costs between issuers and acquirers and thus to shift charges between merchants and consumers to enhance the value of the payment system as a whole to its owners»28; ciò secondo una dinamica che, nel modello di business prevalente, prevede che «some of the costs on the issuing side are covered by the acquiring side»29. Anche nell’ambito del “mercato interno” dell’UE risulta che la prassi più diffusa al riguardo nel caso di schemi a “quattro parti” è quella secondo cui è l’acquirer a corrispondere una Interchange Fee a favore dell’issuer in relazione alle operazioni di pagamento disposte attraverso le carte ai cui schemi questi sono associati30. Ne risulta così che di norma

25

Cfr. Considerando n. (30) del Regolamento. Ai nostri fini per “ordine di pagamento” s’intende ogni «istruzione del pagatore al suo prestatore di servizi di pagamento di eseguire un’operazione di pagamento» (cfr. art. 2, par. 1, n. 23), del Regolamento). 27   Cfr. Considerando n. (29) del Regolamento. 28   Schmalensee, Payment systems and interchange fees, in The Journal of Industrial Economics, Vol. L, June 2002, No. 2, p. 105. 29   Cfr. Börestam e Schmiedel, Interchange, cit., p. 11. 30   Sul punto ex multis cfr. Prager, Manuszak, Kiser, Borzekowski, Interchange Fees and Payment Card Networks: Economics, Industry Developments, and Policy Issues, in Finance and Economics Discussion Series (Divisions of Research & Statistics and Monetary Affairs, Federal Reserve Board, Washington, D.C.), n. 2009-23, May 13, 2009, pp. 6 e ss. 26

462

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 462

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

le Interchange Fees procedono in senso inverso rispetto a quello del trasferimento dei fondi disposto con la relativa operazione di pagamento, la cui esecuzione prevede infatti che l’issuer trasferisca (per conto del titolare della carta) i relativi fondi a favore dell’acquirer che provvede al loro incasso per conto del merchant con esso convenzionato31. Ciò non esclude tuttavia che esistano anche schemi in cui la Interchange Fee è corrisposta dall’issuer a favore dell’acquirer, così come anche schemi che non prevedono il pagamento di alcuna Interchange Fee32, sicché issuers e acquirers provvedono a coprire in via autonoma ciascuno i propri costi33, mancando appunto il meccanismo tipico di ridistribuzione dei costi tra i due versanti del mercato costituto dalle Interchange Fees34. Altre tipologie di commissioni tipicamente applicate nell’ambito di schemi “a quattro parti” includono: i) la c.d. merchant fee (o merchant service charge), corrisposta dai merchants ai rispettivi acquirers, la cui componente principale è a sua volta rappresentata, ove prevista, proprio dall’Interchange Fee35; ii) la c.d. cardholder fee, pagata dal titolare della carta all’issuer della carta stessa per il servizio di emissione e utilizzo della carta; iii) le c.d. scheme fees applicate dallo schema di carte ai re-

31   Ad esempio nel caso di Visa® e Mastercard® «[w]hen a consumer purchases a product with a payment card, the consumer pays the consumer’s bank, which transfers money to the merchant’s bank, which then pays the merchant. The merchant pays a fee to the merchant’s bank, which is typically less than 3 percent. Of great controversy is that the merchant’s bank must pay the consumer’s bank an “interchange fee,” a percent of each transaction. The merchant’s fee is set to reflect this cost and is usually only slightly higher than the interchange fee. The interchange fee is set by the card association, and in this sense is set cooperatively by the member banks. (Visa and Mastercard also extract a fee for each transaction, which is used to fund their operations, but this fee is relatively small and has been uncontroversial in credit cards to date)», Rysman, The Economics of TwoSided Markets, in Journal of Economic Perspectives, Vol. 23, No. 3, Summer 2009, p. 128. 32   Ad esempio, nel 2006 in ambito UE i seguenti schemi domestici non prevedevano Interchange fees per i pagamenti con le rispettive carte di debito: Pankkikortti (Finlandia); Bancomat (Lussemburgo); Dankort (Danimarca); PIN (Olanda). All’epoca anche lo schema norvegese BAX non prevedeva alcuna interchange fee, cfr. European Commission, Directorate-General for Competition, “Report on the retail banking sector inquiry”, cit., p. 112. 33   Cfr. Börestam e Schmiedel, Interchange, cit., pp. 6 e 10. 34   In pratica «the sign and magnitude of the value-maximizing interchange fee depend on the system’s objectives, on differences in costs and in demand elasticities of issuers and acquirers, differences in the intensity of competition on the two sides of the system and, in general, on differences in spillover effects between them», Schmalensee, Payment systems, cit., p. 105. 35   Cfr. considerando n. (10) del Regolamento.

463

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 463

06/11/17 17:41


Saggi

lativi issuers e acquirers quale corrispettivo per l’affiliazione allo schema medesimo. 1.1. (Segue): commissioni interbancarie e regolamentazione del “mercato interno” dei pagamenti al dettaglio. Da quanto sopra indicato, risulta che l’esistenza stessa di Interchange Fees in relazione ai pagamenti basati su carte, e le varietà delle forme tecniche e regole contrattuali riscontrabili in materia nel mercato, sono idonee ad influenzare sia il “costo sociale” sia il “costo privato” associato all’impiego di tali strumenti di pagamento, incidendo così sul sistema d’incentivi e sulla propensione dei singoli utenti al loro utilizzo, nonché più in generale sulla loro efficienza relativa rispetto ad altri strumenti di pagamento, incluso il contante. Anche l’utilizzo di quest’ultimo, contrariamente alla generale (errata) percezione della sua gratuità, presenta infatti significativi costi “sociali” e “privati” che, quando correttamente misurati e valutati, non sono necessariamente inferiori, anzi tutt’altro, rispetto a quelli associati all’utilizzo delle carte di pagamento che del contante sono considerate il più immediato sostituto36. Risulta ad esem-

36   Ad esempio è stato di recente stimato che in Italia il “costo privato” del contante sostenuto dagli esercenti ammonti a circa 4 miliardi di euro (ovvero allo 0,28% del PIL); inoltre, è emerso che «mentre il costo per singola transazione farebbe apparire il contante come lo strumento di pagamento più economico per l’esercente, il confronto in percentuale del valore delle transazioni (e dunque in rapporto al fatturato dell’impresa) ne rivela invece un livello elevato (1,07 per cento) secondo solo alle carte di credito (1,73 per cento) e doppio di quello delle carte di debito (0,54 per cento) […]. Nel caso del contante e degli assegni le principali componenti di costo sono quelle legate alla fase cd. di “back office” […]. Inoltre, una quota consistente di oneri (circa ¼) è attribuibile al trasporto e allo “stoccaggio” dei valori. Non appaiono invece rilevanti gli oneri commissionali espliciti applicati dalle banche su questi due strumenti e, in particolare, per il contante, la cui incidenza rispetto al costo privato dell’esercente non eccede il 10 per cento». Per quanto riguarda invece i “costi privati” sostenuti dal lato della offerta dei servizi di pagamento al dettaglio (che poi si riflettono sul livello dei prezzi e delle commissioni applicati dalle banche ai propri clienti) risulta che il «solo contante costa 3,7 miliardi di euro e rappresenta il 51 per cento del costo complessivo di offerta di tutti i servizi di pagamento […], laddove le carte di pagamento ne rappresentano invece solo il 19 per cento…]. Il confronto tra i costi unitari di offerta dei servizi di pagamento […] mostra che il contante e l’assegno sono gli strumenti più costosi». Per quanto riguarda il peso delle principali componenti del costo totale di produzione è risultato che nel «caso del contante, la sola attività di distribuzione e movimentazione (versamento e prelevamento) incide per oltre l’80 per cento del relativo costo totale. Con riferimento agli strumenti di pagamento elettronici, i costi di telecomunicazione, processing e clearing

464

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 464

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

pio che il c.d. “costo del contante” rappresenti circa «half of total retail payment social costs [… e per quanto riguarda l’Area dell’Euro …] has increased by 30% between 2002 and 2012. This cost was already high before the launch of the euro. As it is often imperfectly charged to actual users, cash may be cross-subsidised by other bank revenues, contributing to burdening the pricing of other banking services»37. Meglio si capisce così anche perchè «at a policy level and at an academic level, it has been argued that an increase in the use of electronic payment instruments would reduce the social costs of payments»38. Dal punto di vista della individuazione delle più opportune opzioni di policy in materia, rileva inoltre il fatto che la struttura e il livello delle Interchange Fees influiscono direttamente sulla ripartizione del surplus, e quindi sui comportamenti negoziali dei diversi soggetti coinvolti nell’effettuazione e ricezione di operazioni di pagamento basate su carte, da cui il crescente rilievo da ultimo assunto dal contenuto degli accordi e delle prassi in materia di Interchange Fees anche nell’ambito della regolamentazione armonizzata UE del sistema dei pagamenti e della disciplina del “mercato interno” in generale. Ciò dopo che la materia era stata invece tradizionalmente oggetto di scrutinio quasi esclusivamente dal diverso, benché complementare, punto di vista della compliance con i principii e le norme antitrust39, con risultati fra l’altro solo in parte soddisfacenti. In generale, la “public stance” dell’Eurosistema (i.e. l’Autorità monetaria unica dell’area dell’Euro40 che, al di là del suo obbiettivo prin-

incidono appena per il 20 per cento dei costi totali, la rimanente parte riguarda le attività di emissione dello strumento, gestione della clientela, sicurezza, amministrazione e controllo», Banca d’Italia, Il costo, cit., pp. 19-22. A livello europeo cfr. Schmiedel, Kostova e Ruttenberg, The social and private costs of retail payment instruments – A European perspective, ECB, Occasional Paper Series, n. 137/September 2012. 37   European Payment Council How to Improve the Cost-Efficiency of Cash in Europe: the EPC Publishes the Single Euro Cash Area Framework, EPC News, 23.06.2016. 38   Cfr. Börestam e Schmiedel, Interchange, cit., p. 17. 39   Sul punto si rinvia ex multis a: Trifilidis, Carte di pagamento e tutela della concorrenza: funzione ed effetti della commissione interbancaria multilaterale MIF, in Mercato concorrenza regole, n. 3/2004 pp. 559 e ss.; Freigang e Grün, The Assessment of Domestic Credit Card Interchange Fees under EC Competition Law, in European Business Law Review, n. 16 (2005), Issue 1, pp. 151-167. 40   In stretto punto di diritto, l’espressione Eurosistema non identifica una vera e propria entità giuridica distinta rispetto al Sistema Europeo di Banche Centrali (sul punto cfr. Zilioli - Selmayr, La Banca Centrale Europea, Milano, 2007, pp. 308 e ss.), essendo questa piuttosto un’espressione utilizzata nel TFUE (cfr. art. 282, TFUE e art. 1, del Protocollo (n. 4) sullo Statuto del SEBC e della BCE) per indicare l’insieme degli Stati

465

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 465

06/11/17 17:41


Saggi

cipale del mantenimento della stabilità dei prezzi, è anche deputata, ai sensi dell’art. 127, par. 2, del TFUE, a «promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento»)41 con riferimento alla materia delle Interchange Fee è in linea di principio informata alla neutralità. Ciò posto, benché la materia delle Interchange fees sollevi questioni che rientrano tipicamente e tradizionalmente tra le competenze della Commissione europea e delle Autorità antitrust, in ogni caso l’effettiva assenza di ostacoli – anche “solo” contrattuali, legali o tariffari – all’armonizzato utilizzo anche delle carte di pagamento per effettuare pagamenti in euro all’interno dell’Area dell’Euro è stata da ultimo considerata rientrare tra le condizioni essenziali per il raggiungimento di uno degli obiettivi ultimi della Single Euro Payments Area (SEPA)42: i.e. eliminare all’interno dell’Area dell’Euro ogni differenza tra pagamenti cashless in euro nazionali e cross-border anche nel mercato al dettaglio, ciò quale requisito essenziale, a sua volta, per il funzionamento di un vero “mercato interno” 43.

Membri che nell’ambito della III fase dell’UEM hanno assunto l’euro come moneta avente corso legale (cfr. Banca Centrale Europea, The Eurosystem and the European System of Central Banks (ESCB), Monthly Bulletin, January 1999, pp. 7 e ss.). 41   Il fatto che i sistemi di pagamento siano “safe and efficient” è considerato infatti «an important precondition for the Eurosystem’s ability to contribute to financial stability, to implement monetary policy and to maintain public confidence in the currency», allo specifico fine di promuove tali condizioni l’Eurosistema «takes an operational role, conducts oversight activities, and acts as catalyst. These approaches are not mutually exclusive, but complement each other», Banca Centrale Europea, Eurosystem oversight policy framework, September 2015, pp. 2 e 3. 42   In particolare, «the Eurosystem shares the view that it is crucial for the success of SEPA that cards can be used throughout the euro area to make euro payments without any geographical differentiation”, A. Börestam e H. Schmiedel, cit., p. 7. 43   Cfr. Joint statement from the European Commission and the European Central Bank, 4 May 2006. L’Eurosistema nel perseguire il suo mandato di “promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento” ha sostenuto infatti assiduamente, fin dal 2002, la creazione di una SEPA avente appunto l’obiettivo di «consentire ai privati cittadini, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni di effettuare pagamenti con strumenti alternativi al contante in tutta l’area dell’euro a partire da un singolo conto in un qualsiasi paese dell’area e utilizzando un’unica serie di strumenti con la stessa facilità, efficienza e sicurezza su cui possono contare attualmente nel contesto nazionale», rispondendo così «alle esigenze sia di integrazione dei pagamenti al dettaglio (eliminazione delle differenze tra pagamenti in euro nazionali e transfrontalieri) sia di innovazione ([…] ad esempio pagamenti per il commercio elettronico, pagamenti mobili, fatturazione elettronica ecc.)», Banca Centrale Europea, Settimo rapporto sui progressi compiuti nella realizzazione dell’area unica dei pagamenti in euro. Dalla teoria

466

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 466

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

La crescente attenzione verso le Interchange Fees anche dallo specifico punto di vista della regolazione economica, è da ascriversi altresì al fatto che il mantenimento di un adeguato grado di trasparenza in materia è ritenuto di per sé essenziale a consentire di avere effettiva contezza del “costo sociale” e del “costo privato” associato all’utilizzo di diversi strumenti e servizi di pagamento, consentendo così ai diversi stakeholders di orientare al meglio le rispettive scelte negoziali, nonché d’individuare le più adeguate policy options da implementare al fine della massimizzazione del benessere sociale e dell’efficienza del sistema dei pagamenti nel suo complesso. Per quanto riguarda poi i limiti all’autonomia negoziale in materia d’Interchange Fee, non mancano le posizioni volte a sostenere che questa debba risultare conforme a criteri di “equità”, “utilità sociale” e “ragionevolezza economica”, ossia essere tale da non ostacolare di per sé l’innovazione, la concorrenza oppure il maggior utilizzo di strumenti di pagamento più efficienti dal punto di vista del “costo sociale” complessivo44. Da un’analisi condotta sul punto si evince ad esempio «che nei paesi (come l’Italia) dove è maggiore l’incidenza del contante negli acquisti (percentuale di operazioni), il costo sociale complessivo (in rapporto al PIL) dei servizi di pagamento tende a essere più elevato. [… In …] Italia i costi del contante risultano 13 volte più elevati di quelli dei pagamenti con carte di debito e superiori di oltre 7 volte a quelli dei pagamenti con carte di credito. Gli stessi indicatori sono ridotti di oltre il 70 per cento nel caso di paesi come la Danimarca e la Svezia nei quali le analisi più recenti evidenziano un drastico spostamento verso le carte di pagamento negli acquisti al dettaglio»45. Ciò rappresenta un’ulteriore indicazione del fatto che un maggior utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, a scapito del contan-

alla pratica, ottobre 2010, pp. 9 e 13. Sul processo di armonizzazione nel settore dei pagamenti retail dell’UE cfr. Mancini, I sistemi di pagamento retail verso la Single Euro Payments Area (SEPA), in AA.VV., Il nuovo quadro normativo comunitario dei servizi di pagamento. Prime riflessioni, a cura di Mancini e Perassi, Banca d’Italia, Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale, N. 63 – dicembre 2008, pp. 241 e ss.; Bott, The Single Euro Payments Area. New Alliances Required to Tip the Market, in European Credit Research Institute (ECRI) Research Report No. 10/July 2009. Con specifico riguardo all’impatto della SEPA sul mercato italiano cfr. Banca d’Italia, La Sepa e i suoi riflessi sul sistema dei pagamenti italiano, Tematiche istituzionali, novembre 2013, pp. 5 e ss.. 44   Cfr. Börestam e Schmiedel, Interchange, cit., p. 7. 45   Banca d’Italia, Il costo, cit., p. 15.

467

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 467

06/11/17 17:41


Saggi

te, contribuisce in linea di principio alla riduzione del “costo sociale” associato all’esecuzione dei pagamenti e a guadagni di efficienza nel sistema dei pagamenti nel suo complesso. Da cui l’opportunità di coerenti interventi di policy idonei a conformare anche le prassi negoziali del sistema di pagamenti al fine di promuovere l’utilizzo degli strumenti, servizi e soluzioni di pagamento che di volta in volta si dimostrino più “safe and efficient”. Nel confronto tra contanti e carte di pagamento è emerso, ad esempio, che nell’uso «del contante prevalgono i costi variabili (64 per cento) […]. Per le carte di debito e di credito è invece prevalente la quota dei costi fissi […]. La differente composizione dei costi fra contante e carte di pagamento costituisce un elemento essenziale per la definizione di politiche volte a modificare i comportamenti di spesa a favore degli strumenti elettronici, che potenzialmente hanno caratteristiche di maggiore efficienza in connessione con la possibilità di sfruttare economie di scala»46. Risulta così possibile ritenere, per altro verso, che gli interventi in materia di Interchange Fee pure da tempo attuati in applicazione delle norme antitrust (in particolare di quelle in materia di intese restrittive sui prezzi, di cui all’art. 2 della legge 10.10.1990, n. 287 e all’art. 101 del TFUE)47 non risultino in effetti da soli sufficienti a fornire le necessarie

46

Banca d’Italia, Il costo, cit., p. 15. Per quanto riguarda l’esperienza italiana si rinvia ex multis al provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 3.11.2010, n. 21768 (I720 - Carte di credito) in cui la stessa Autorità ha tra l’altro deliberato: «a) che la società MasterCard Incorporated […] ha posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del TFUE, avente per oggetto la definizione di una commissione interbancaria multilaterale (MIF) per l’Italia, attraverso la deliberazione di una associazione di imprese […] senza alcuna giustificazione economica; b) che le società MasterCard Incorporated e le società licenziatarie […] hanno posto in essere un fascio di intese verticali in violazione dell’articolo 101 del TFUE, rappresentate dai contratti di licenza tra il circuito MasterCard e le singole banche, avente per oggetto il trasferimento della commissione interbancaria multilaterale sulle merchant fee, nonché l’applicazione di specifiche clausole che risultano ampliare la portata restrittiva di tale commissione nel mercato dell’acquiring» (sul punto cfr. Suardi, La tutela della concorrenza nel settore dell’intermediazione monetaria e finanziaria (2010-2011), in Concorrenza e Mercato 2012, pp. 207 e ss). Per l’esito del corposo contenzioso originato da tale decisione si veda la recente sentenza Cons. St., sez. VI , 24 febbraio 2016, n. 744, con la quale è stato tra l’altro confermato l’annullamento del suddetto provvedimento dell’AGCM del 3.11.2010 già disposto in primo grado dal TAR nel 2011 (per un primo commento cfr. Scoccini, Il Consiglio di Stato conferma l’annullamento della decisione dell’AGCM sul caso delle commissioni interbancarie MasterCard. Nota alla sentenza del Consiglio di 47

468

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 468

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

indicazioni in ordine ai limiti di legittimità (da valutarsi nel nostro ordinamento anche con riguardo al canone, di cui all’art.1322 c.c., della “meritevolezza” degli interessi perseguiti48) e al ruolo delle Interchange Fee nell’ambito del funzionamento e degli assetti negoziali degli schemi di carte di pagamento, e quindi in definitiva alla loro compatibilità con l’ordine giuridico del “mercato interno” dell’UE. Appare pertanto a tali fini giustificata e opportuna anche l’attuazione di un complementare intervento regolatorio funzionale a intervenire in materia con modalità e strumenti propri appunto della regolazione economica del mercato e per obiettivi di equità e utilità sociale, piuttosto che, e soprattutto anche a prescindere da, quelli del diritto antitrust in senso stretto , che sono ivece “limitati”, in linea di principio, alla “sola” tutela dell’efficienza e della competitività del mercato. Ne consegue che, in altre parole, anche laddove «there is no antitrust violation in setting interchange fees but the equilibrium outcome diverges from the social optimum (as in Rochet and Tirole, 2002), then price regulation may be a reasonable solution. Several countries have followed this approach. In Australia, legislation supports the direct determination of the interchange fee at bank associations (Visa and Mastercard) by the Reserve Bank of Australia»49. Un approccio questo da ultimo condiviso, almeno in linea di principio, anche da parte dell’Eurosistema, la cui posizione sul punto già nel 2010 era che vi fosse «room for increased guidance in this field and would, therefore, appreciate it if the European Commission could contribute to provide further clarity in this domain. As the ultima ratio, guidance in the form of a regulation, even in form of an interchange fee regulation, as was implemented in Australia, for example, could be considered»50. È proprio in questa logica e alla luce di tali obiettivi di policy che pare

Stato n. 744/2016, in www.dirittobancario.it/,Concorrenza e Antitrust, 02/03/2016). Con riguardo invece ai leading cases comunitari in materia che hanno riguardato MasterCard® e Visa® cfr. le successive note nn. 110 e 111. 48   È in questo articolo del codice civile che è posta infatti la grundnorm del nostro ordinamento sui limiti immanenti (i.e. legge e norme corporative) e i caratteri teleologici (i.e. realizzazione di “interessi meritevoli di tutela” secondo l’ordinamento giuridico stesso) dell’autonomia contrattuale, cfr. G.B. Ferri, Ordine Pubblico, Enciclopedia del diritto, cit., p. 1040. 49   Rysman, The Economics, cit., p. 141. 50   European Central Bank, Single Euro Payments Area. Seventh progress report. Beyond theory into practice, October 2010, p. 23.

469

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 469

06/11/17 17:41


Saggi

quindi doversi inquadrare e analizzare l’intervento regolatorio attuato, conformemente all’art. 114 del TFUE, con l’emanazione del Regolamento che reca appunto sia norme che stabiliscono in via autoritativa limiti armonizzati ad ogni “forma concordata di remunerazione” ascrivibile alla fattispecie delle Interchange Fee (Capo II), sia articolate e complementari regole contrattuali e di conduct of business (Capo III) in materia di operazioni di pagamento con carte, tutte soggette peraltro ad un meccanismo di applicazione scaglionata e differita rispetto alla data di decorrenza (l’8.6.2015) dell’applicazione del Regolamento nel suo complesso (cfr. art. 18 del Regolamento)51, così da assicurare la dovuta flessibilità e proporzionalità dell’intervento normativo. In ogni caso, in considerazione del fatto che l’obiettivo principale dell’azione intrapresa dall’UE con l’emanazione del Regolamento è quello di rafforzare l’integrazione e il completamento del “mercato interno”, anche per quanto riguarda la disciplina del settore delle carte di pagamento, deve riconoscersi che, allo stesso tempo e al medesimo fine, le norme del Regolamento realizzano innegabilmente anche un significativo effetto di promozione della concorrenza all’interno del mercato stesso, fermo restando però che la (diversa) attività di tutela della concorrenza rimane comunque affidata alle ordinarie norme e rimedi antitrust. Quello che interessa qui porre in evidenza è che l’intervento di armonizzazione massima così attuato a livello UE non deve essere erroneamente inteso come sostitutivo delle misure di enforcement antitrust che dovessero rendersi necessarie nel medesimo “mercato rilevante”. Considerato il tipo di strumento giuridico utilizzato (un Regolamento UE appunto) e in ossequio ai principi dell’ordinamento nazionale e dell’UE in materia antitrust, deve infatti tenersi presente che benché tra gli obiettivi di policy perseguiti dalle norme del Regolamento vi rientri appunto anche quello di promuovere una maggior concorrenzialità del mercato europeo delle carte di pagamento, tuttavia il (diverso, benché contiguo) compito della vera e propria tutela della concorrenza nello stesso mercato a fronte di possibili fenomeni di abuso di potere di mercato privato rimane pur sempre affidato agli ordinari istituti, autorità e strumenti tipici

51

In particolare, gli artt. 3, 4, 6 e 12 e i previsti limiti alle MIF e alle restrizioni territoriali nonché gli obblighi di trasparenza ex post in relazione ai pagamenti basati su carte di credito, di debito e prepagate si applicano dal 9.12.2015, mentre ampia parte delle regole commerciali e di trasparenza (i.e. quelle di cui agli artt. 7, 8, 9 e 10) si applicano a decorrere dal 9.2.2016.

470

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 470

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

del diritto antitrust, che continuano quindi a trovare piena e autonoma applicazione in materia52. Indicativo in tal senso è il fatto che, a complemento delle pur centrali disposizioni che fissano “d’autorità” il limite massimo delle Interchange Fees per i pagamenti basati su carte di credito, di debito o prepagate, gli artt. 6-12 del Regolamento introducono direttamente negli ordinamenti giuridici degli Stati Membri dell’UE anche un articolato corpus di regole di condotta, prescrizioni, limiti e divieti uniformi all’autonomia negoziale dei gestori degli schemi, degli issuers, degli acquirers e dei merchants che, da un lato, hanno la funzione di promuovere una maggiore contendibilità, armonizzazione e integrazione transfrontaliera del mercato (tramite la rimozione di ostacoli di natura legale o contrattuale e obblighi di maggiore trasparenza) e, dall’altro, servono allo scopo di garantire una maggiore sicurezza ed efficienza dei pagamenti elettronici al dettaglio, in una tipica ottica di tutela dei consumatori e degli esercenti (merchants) rispetto al rischio di non corretto o non trasparente, o comunque asimmetrico, esercizio del potere negoziale da parte di issuers, acquirers o degli stessi schemi di carte.

2. Ratio e obiettivi della nuova cornice regolamentare UE in materia commissioni interbancarie. Posto quanto sopra, uno dei principali motivi a supporto dell’opportunità della policy option attuata dalle istituzioni dell’UE in materia di Interchange Fees di affiancare agli strumenti di antitrust enforcement anche uno specifico intervento di tipo regolamentare è da individuarsi, anche ad avviso di chi scrive, nella ontologica e strutturale inadeguatezza delle sole norme antitrust per l’efficace soluzione di alcuni dei problemi tipici posti dall’esistenza delle Interchange Fees53, quali quello dell’equa ripartizione dei costi e del surplus tra i diversi stakeholders e, non ultimo, quello dei possibili ostacoli allo sviluppo di strumenti e

52   Cfr. Considerando n. (14) del Regolamento. Sui conflitti e sinergie tra diritto antirtust e regolamentazioni di settore, anche dal punto di vista del coordinamento dei poteri e degli strumenti d’intervento delle diverse Autorità preposte cfr. A. Pera e A. Pezza, Competition Law And Pro-Competitive Regulation: An Unsolved Conundrum?, in Rivista Italiana di Antirust / Italian Antitrust Review, Vol. 3, n. 1 (2006), pp. 36-69. 53   Cfr. anche quanto osservato nei considerando nn. (11) e (12) del Regolamento.

471

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 471

06/11/17 17:41


Saggi

servizi di pagamento innovativi ed effettivamente paneuropei. Il ricorso in subjecta materia al solo apparato normativo e istituzionale antitrust presenta, ad esempio, una marcata scarsa efficacia con riguardo agli interessi pubblici alla prevenzione (e tempestiva repressione) di prassi e assetti negoziali “non meritevoli di tutela” da parte dell’ordinamento, alla garanzia di un effettivo level playing field e alla rimozione della frammentazione del “mercato interno” dovuta a condotte (anche se virtualmente lecite) delle imprese e all’esercizio non coordinato dei poteri degli Stati Membri. L’insufficienza del solo enforcement antitrust deriva anche dal fatto che questo – a differenza degli strumenti giuridici di regolazione economica in senso stretto (che sono invece tipicamente forward-looking) – segue inoltre per sua natura un approccio retrospettivo poco idoneo a conformare i comportamenti futuri e si basa su procedimenti paragiurisdizionali dai tempi lunghi e dagli esiti incerti, aventi inoltre tipicamente effetti solo nei confronti dei loro specifici destinatari54. Un’armonizzazione dei limiti all’autonomia negoziale in materia di Interchange Fee disposta per via regolamentare si presenta, inoltre, ben più idonea a risolvere efficacemente un fondamentale problema di coordinamento (dal punto di vista degli interessi pubblici in materia) difficilmente gestibile in via autonoma e decentrata da “imprese” in concorrenza tra di loro, ossia il fatto che in questo peculiare mercato la concorrenza tende a spingere in alto i prezzi piuttosto che a ridurli. In particolare, nel mercato delle carte di pagamento esisterebbe un c.d. “reverse market mechanism”55 per effetto del quale la concorrenza per l’affiliazione del maggior numero possibile di issuers delle relative carte – nel far leva principalmente proprio sull’offerta agli stessi issuers di Interchange Fees più “attraenti” rispetto a quelle riconosciute per le carte o per gli schemi concorrenti – può determinare di per sé una pressione al rialzo, piuttosto che al ribasso, del livello delle Interchange Fees stesse, con conseguente incremento del costo sociale e del costo privato dei pagamenti con carte, ovvero in “contrasto con il normale effetto di disciplina dei prezzi che la concorrenza ha in un’economia di mercato”56.

54   In particolare, come osservato per sua natura il «competition enforcement is backwardlooking. It can punish past behaviour, but it cannot establish rules for the future», Commissione Europea, The Interchange Fees Regulation, in Competition policy brief, Issue 2015-3, June 2015, p. 5. 55   Cfr. Commissione Europea, The Interchange Fees Regulation, cit., p. 2. 56   Considerando n. (10) del Regolamento.

472

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 472

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

Proprio agli effetti di tale meccanismo è attribuita, ad esempio, in larga parte la causa della «disappearance of a number of national (normally cheaper) card schemes, which have been replaced with schemes offering higher fees to issuing banks (for example in the UK, the Netherlands, Austria, Finland and Ireland)»57. Laddove infatti uno schema intendesse ridurre o azzerare autonomamente le Interchange Fees sarebbe esposto al rischio di perdere quote di mercato, perché gli issuers sarebbero incentivati a privilegiare l’emissione e la commercializzazione delle carte che riconoscono invece loro Interchange Fees più remunerative. Un effetto questo che costituisce di per sé anche un forte ostacolo all’ingresso di nuovi operatori, allo sviluppo di un “mercato interno” veramente integrato e, in definitiva, all’innovazione58. In altre parole, anche se ridurre fortemente o eliminare le Interchange Fees fosse conveniente per tutti gli stakeholders (come in effetti la Commissione europea ha espressamente ipotizzato poter essere il caso, quanto meno per le carte di debito59), esiste tuttavia in questo settore un mar-

57

Cfr. Commissione Europea, The Interchange, cit., p. 2. Come considerato dalle Istituzioni UE gli «schemi nazionali esistenti che applicano commissioni interbancarie più basse o non applicano commissioni interbancarie possono essere costretti a uscire dal mercato, a causa della pressione esercitata dalle banche per ottenere ricavi più elevati dalle commissioni interbancarie. Di conseguenza, i consumatori e gli esercenti si trovano di fronte a una possibilità di scelta ristretta, a prezzi più elevati e a servizi di pagamento di minore qualità, e anche la loro capacità di utilizzare soluzioni di pagamento paneuropee è limitata» (considerando n. (11) del Regolamento). Inoltre per lo stesso motivo «new innovative or cheap payment solutions find it difficult to enter the market because of high interchange fees since banks prefer to co-operate with systems that maintain their existing revenues. Technology allowing payments with smartphones, on-line and in shops, with only one swipe, pay ‘person-to person’ with phones, or pay with a finger print is readily available. However, industry has so far not succeeded in making it widely available to EU consumers in part because of the uncertainty on permissible business models […]. The current legislation, enhancing the use of digital technologies and promoting the internal market is likely to facilitate growth and innovation based on competitive offers to those who chose to make use of the new services, not on hidden charges imposed on everyone», cfr. Commissione Europea, The Interchange Fees Regulation, cit., p. 6. 59   Anche se i risultati dell’analisi d’impatto circa le possibili opzioni regolamentari UE in materia di commissioni interbancarie per i pagamenti basati su carte hanno suggerito come approccio da preferirsi (per il momento) quello della “sola” imposizione di limiti armonizzati alle commissioni interbancarie (cfr. European Commission, Commission Staff Working Document, Impact Assessment, Accompanying the document Proposal for a directive of the European parliament and of the Council on payment services in the internal market and amending Directives 2002/65/EC, 2013/36/UE and 2009/110/ 58

473

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 473

06/11/17 17:41


Saggi

cato c.d. svantaggio della prima mossa che fa si che ciò sia praticabile solo attraverso una decisione etero diretta o imposta, oppure un forte coordinamento dei concorrenti attuali e potenziali60. Anche alla luce di tali considerazioni e del fatto che malgrado i numerosi procedimenti di enforcement antirust pure svoltisi (a livello UE e di singoli Stati Membri) in materia di Interchange Fees e le regolamentazioni pure adottate al riguardo in alcuni Stati Membri «the European cards market has remained fragmented and interchange fees vary widely […, la Commissione europea ha quindi ritenuto che il …] competition enforcement by itself would not create an EU-wide level playing field. Only regulation would enable the EU payments industry to move together from the old anti-competitive system to a new system that minimises the fragmentation between Member States, promotes competition and innovation, and allows consumers and merchants to benefit from the efficiencies created by card payments»61. In un tale contesto di mercato, una restrizione attuata anche per via regolamentare all’autonomia negoziale delle parti con riferimento agli accordi e alle condotte in materia d’Interchange Fees, come già fatto negli USA e in Australia62 (come pure sopra ricordato), si presenta in effetti come la policy option più idonea a produrre dei benefici diretti non solo per i merchants (ad esempio in termini di minori costi di accettazione dei pagamenti con carte e maggiore possibilità di scelta tra i servizi di acquirers in libera concorrenza), ma per la collettività in generale. Un intervento normativo di armonizzazione come quello attuato col Regolamento, oltre a favorire la possibilità di effettuare più diffusamente

EC and repealing Directive 2007/64/EC and Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on interchange fees for card-based payment transactions, SWD(2013) 288 final, Volume 1/2, Brussels, 24.7.2013, pp. 53 - 56), al tempo stesso hanno però chiaramente mostrato che un divieto tout court di commissioni interbancarie per i pagamenti con carta di debito sarebbe più «vantaggioso ai fini dell’accettazione della carta, del suo utilizzo e dello sviluppo del mercato unico e genererebbe maggiori benefici per gli esercenti e i consumatori rispetto alla fissazione di un massimale [.… Tale divieto assoluto eviterebbe inoltre gli effetti negativi che la previsione di soli massimali può avere per gli schemi nazionali che applicano commissioni interbancarie molto basse o nulle per le carte di debito e servirebbe …] anche a neutralizzare il rischio di trasferire il modello delle commissioni interbancarie a servizi di pagamento nuovi e innovativi come i sistemi tramite dispositivi mobili e i sistemi online» (cfr. Considerando n. (19) del Regolamento). 60   Sul punto cfr. European Commission, Commission, cit., p. 50. 61   Commissione Europea, The Interchange, cit., p. 5. 62   Cfr. Commissione Europea, The Interchange, cit., p. 5.

474

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 474

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

pagamenti con carte (o strumenti innovativi basati sulle stesse), può infatti promuovere, almeno in linea di principio, anche una generale riduzione, o contenimento, dei prezzi praticati dai merchants per i relativi beni e servizi (di magnitudine tanto maggiore quanto più elevato è passthrough sui prezzi del risparmio per i merchants sui costi dei servizi di acquiring derivante dalla riduzione delle Interchange Fees). Inoltre un siffatto intervento determina quanto meno una forte limitazione anche del sussidio implicito e occulto di fatto pagato dalla collettività a vantaggio dei soli titolari di quelle carte di pagamento cui sono associati particolari servizi a valore aggiunto (es. viaggi premio, assicurazioni gratuite, sconti, cash-back, promozioni, etc.) e quindi anche l’applicazione di Interchange Fees più elevate63, il cui importo, al pari di tutti i costi che gravano sui merchants, si riflette però poi sul livello dei prezzi praticati al pubblico dai merchants stessi per i loro beni e servizi (con l’eccezione della pratica del c.d. surcharge di cui si dirà appresso). Limiti armonizzati all’autonomia negoziale in materia di Interchange Fees associati poi, come pure opportunamente disposto col Regolamento, alla contestuale imposizione di regole di condotta e di trasparenza, contrattuali e precontrattuali, in materia di commercializzazione e accettazione delle carte di pagamento, possono così contribuire, in definitiva, a promuovere e agevolare un maggior utilizzo e accettazione delle carte stesse, nonché soprattutto lo sviluppo di altri più innovativi strumenti e servizi di pagamento alternativi al contante, con benefici dal punto di vista dell’interesse pubblico allo sviluppo della innovazione tecnologia, alla riduzione del “costo sociale” complessivo degli strumenti di pagamento in genere, allo sfruttamento dei vantaggi di un “mercato interno” efficiente e del commercio elettronico64, nonché al contrasto dell’evasione fiscale, del riciclaggio e dell’economia sommersa in generale65. Ad esempio in uno studio basato su un campione di banche spagnole nel decennio 1997-2007 è emerso che una riduzione delle Interchange Fees può incrementare il welfare per i merchants e per i loro clienti in quanto induce una maggiore accettazione delle carte di pagamento e quindi un loro maggior utilizzo in luogo del contante. Inoltre si deter-

63

Come osservato infatti «[t]he interchange fee presumably explains why banks can offer generous rewards programs to consumers for using their credit cards», Rysman, The Economics, cit., p. 128. 64   Cfr. considerando n. (9) del Regolamento. 65   Cfr. Commissione Europea, The Interchange, cit., p. 6.

475

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 475

06/11/17 17:41


Saggi

mina un tendenziale incremento dei ricavi anche per issuers e acquirers grazie al maggior numero di pagamenti effettuati con carte indotto proprio dalla riduzione delle Interchange Fees66. Tali conclusioni sono però valide solo ove si muova da una situazione di limitata accettazione delle carte, in caso invece di un già diffuso utilizzo e accettazione delle carte, una limitazione regolamentare delle Interchange Fees avrebbe per lo più un effetto meramente redistributivo dei profitti tra il versante dell’issuing e quello dell’acquiring67: i.e. alla tendenziale riduzione delle fees applicate dagli acquirers ai merchants corrisponderebbe un incremento delle fees applicate dagli issuers ai cardholders. Il che avrebbe in ogni caso di per sé dei benefici in termini di maggiore trasparenza del mercato. Più in generale, un’analisi dei dati nazionali sui pagamenti al dettaglio riferiti ai 27 Stati Membri nel periodo 1995-2009 ha evidenziato che la “migrazione” verso pagamenti al dettaglio elettronici stimola lo sviluppo economico, i consumi e il commercio; tale positivo impatto macroeconomico sarebbe inoltre più marcato proprio con riferimento ai pagamenti basati su carte68, è emerso altresì che «initiatives to integrate and harmonise retail payment markets foster trade and consumption and thereby have a beneficial effect for the whole economy. From a policy perspective, [… ciò …] supports the adoption of policies that encourage the usage and adoption of electronic retail payment instruments»69. In tale contesto, tra gli obiettivi di fondo perseguiti con l’emanazione del Regolamento sono dunque da ascrivere in primis quelli di level the playing field ed eliminazione delle dannose frammentazioni “nazionali” tutt’oggi riscontrabili nel “mercato interno” con riguardo agli approcci normativi, alle decisioni amministrative e alle prassi negoziali e contrattuali già adottati o in corso di adozione nei diversi Stati Membri, non

66   Carbó-Valverde, Chakravorti e Rodríguez Fernández, Regulating Two-Sided Markets An Empirical Investigation, European Central Bank, Working Paper Series No 1137 / December 2009, p. 29. 67   In particolare in questo caso una «interchange fee regulation would not necessarily improve social welfare. In this case, we are agnostic about the distribution of surplus among payment card market participants», Carbó-Valverde, Chakravorti e Rodríguez Fernández, Regulating, cit., p. 34. 68   Ad esempio è stato stimato che «if card payments increase by 1 million euro, which corresponds to an increase in the card penetration ratio of 1.2% in the EU, then the level of GDP would increase by 0.07% or about 6 million euro», Hasan, De Renzis e Schmiedel, Retail payments and the real economy, European Central Bank, Working Paper Series, n. 1572 / August 2013, p. 2. 69   Hasan, De Renzis e H. Schmiedel, Retail, cit., p. 21.

476

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 476

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

solo in materia di Interchange Fees, ma più in generale con riguardo all’accettazione e all’utilizzo delle carte di credito e di debito70. Se ne ricava un policy approach diretto all’eliminazione delle distinzioni tra pagamenti nazionali e pagamenti transfrontalieri e degli ostacoli indebiti alla concorrenza cross-border, così da promuovere lo sviluppo di servizi di pagamento e relativi modelli di business effettivamente paneuropei71 (soprattutto nel versante dell’acquiring e nel settore del processing) e quindi, in ultima istanza, un effettivo e più libero esercizio della “libertà di prestazione di servizi” anche nel settore dei pagamenti al dettaglio basati su carte, sia di tipo tradizionale che innovativo. È dato in particolare riscontrare che, oltre ad imporre d’autorità un cap alle Interchange Fees per le carte di debito e di credito più utilizzate nell’UE (i.e. per quelle appartenenti a schemi a “quattro parti”), mitigando già in questo modo gli effetti pratici della frammentazione normativa e contrattuale in subjecta materia, il Regolamento reca anche un articolato corpus di norme dirette anche a promuovere: (i) il c.d. cross-border acquiring, tramite il divieto delle principali pattuizioni contrattuali di ostacolo alla possibilità per i merchants, tipicamente di quelli di una certa dimensione o di loro associazioni, di avvalersi anche di acquirers di altri Stati Membri72; (ii) un mercato del processing effettivamente concorrenziale e paneuropeo, mediante obblighi di separazione funzionale, indipendenza, non discriminazione e interoperabilità a carico sia degli schemi sia dei soggetti incaricati del processing; (iii) la correttezza e la trasparenza (pre)contrattuale del mercato a beneficio sia dei merchants sia dei cardholders in generale73. Appaiono ad esempio da ricondursi, più direttamente, alla prima funzione di promuove la concorrenza cross-border e l’offerta paneuropea di servizi di issuing e acquiring, le norme di cui all’art. 6 del Regolamento che limitano l’autonomia contrattuale in materia di accordi di licenza e di regole contrattuali degli schemi di carte di pagamento (relativi alle

70

Cfr. Considerando n. (7) del Regolamento. Cfr. Considerando n. (1) del Regolamento. 72   Ci si attende in particolare che tale possibilità per i merchants di scegliere acquirers di altri Stati membri (c.d. “convenzionamento transfrontaliero”), favorita anche dai limiti armonizzati alle commissioni interbancarie nazionali e transfrontaliere e dal divieto di licenza territoriale, dovrebbe «assicurare la necessaria chiarezza giuridica ed evitare distorsioni della concorrenza tra i schemi di carte di pagamento» (considerando n. (15) del Regolamento). 73   Cfr. Considerando n. (13) del Regolamento. 71

477

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 477

06/11/17 17:41


Saggi

attività di issuing delle carte o di acquiring delle relative operazioni di pagamento), stabilendo il divieto di: (i) «restrizioni territoriali nell’Unione e regole aventi effetto equivalente», nonché di (ii) requisiti e obblighi specifici per paese «al fine di operare a livello transfrontaliero e le regole aventi effetto equivalente»74. Attengono invece all’intervento di regolamentazione strutturale del mercato che impone la “separazione” tra schemi di carte e soggetti incaricati del processing delle relative operazioni di pagamento le articolate disposizioni di cui all’art. 7 del Regolamento che prevedono altresì una delega di poteri all’EBA per l’elaborazione di un “progetto” di norme tecniche di regolamentazione in materia. Con riguardo infine ai profili di trasparenza e correttezza delle informazioni e delle pattuizioni contrattuali, rilevano ad esempio gli obblighi: (i) degli acquirers di fornire, salvo patto contrario, ai rispettivi merchants informazioni differenziate (ovvero unblended) sull’importo di determinate commissioni (i.e. merchant service charges, interchange fees e scheme fees) per ogni categoria e marchio di carte di pagamento trattate (cfr. art. 9, par. 2); (ii) degli issuers di rendere al beneficiario dettagliate informazioni in merito ad ogni operazione di pagamento basata su carta eseguita (cfr. art. 12); (iii) degli acquirers, con riguardo alle informazioni precontrattuali sull’applicazione della c.d. “Honour All Cards’ rule”, e degli issuers con riguardo, quanto meno, alla inequivocabile identificazione del marchio e della categoria di strumenti di pagamento basati su carta dagli stessi emessi (cfr.par. 4 e 5 dell’art. 10).

3. Il contenuto del quadro regolatorio armonizzato definito dal Regolamento (UE) 2015/751: ambito di applicazione e principali fattispecie rilevanti. Posto che il Regolamento reca norme, per loro natura, di diretta applicazione, e quindi di armonizzazione massima (fatte tuttavia salve alcune importanti opzioni regolamentari lasciate alla discrezionalità degli Stati Membri)75 in materia di utilizzo di “strumenti di pagamento basati su

74

Cfr. Considerando nn. (11) e (15) del Regolamento. Cfr. ad esempio quelle relative a: la temporanea esenzione dai limiti alle Interchange fees (per le sole operazioni nazionali) per gli schemi “a tre parti” assimilati tuttavia a fini regolamentaria a schemi “a quattro parti” (art. 1, par. 5); i massimali alle Interchange fees per le operazioni nazionali tramite carta di debito a uso dei consumatori 75

478

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 478

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

carta” e di gestione delle relative “operazioni di pagamento”, è d’uopo innanzitutto individuare l’effettivo ambito di applicazione di tali norme, e dei relativi diritti, obblighi e divieti, e quindi prima ancora gli elementi essenziali che definiscono le diverse fattispecie rilevanti. In base al disposto dell’art. 1 del Regolamento deve preliminarmente intendersi che le norme uniformi del Regolamento stesso si applicano solo alla particolare categoria delle “operazioni di pagamento” che risultino essere anche “basate su carte” (di debito, di credito o c.d. prepagate) ed eseguite nell’Unione Europea. Sotto il profilo soggettivo è a tal fine prescritto che sia l’issuer sia l’acquirer siano a loro volta “situati” nell’Unione. Tale delimitazione di principio dell’ambito di applicazione del Regolamento risulta a sua volta essenziale al fine di delimitare correttamente anche contenuto ed estensione delle fondamentali nozioni di “operazione di pagamento transfrontaliera” e di quella speculare di “operazione di pagamento nazionale”76. Può infatti così al riguardo ritenersi che, contrariamente a quanto prima facie il testo normativo potrebbe far intendere, le operazioni in cui issuers o acquirers siano “situati” in Paesi terzi non ricadono in nessuna di tali due categorie e non sono quindi neanche oggetto di armonizzazione da parte delle norme del Regolamento stesso. Ciò posto, non sono invece rintracciabili nel Regolamento puntuali indicazioni in ordine alla evidentemente centrale nozione di “operazione di pagamento” cui doversi fare riferimento, che è data quindi per presupposta. Al riguardo, si è dell’avviso che tale scelta normativa debba indurre, anche per esigenze di coerenza del quadro regolamentare, ad utilizzare anche a tal fine la nozione recata dalla Direttiva (UE) 2015/2366 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (c.d. Direttiva PSD 2)77 che, insieme al Regolamento, rappresenta l’altro fondamentale at-

(art. 3, par. 2 e 3); il massimale alle Interchange fees sulle operazioni nazionali tramite carta di credito (art. 4); la designazione delle Autorità nazionali di controllo competenti (art. 13, par. 1); la disciplina delle c.d. “carte universali” (art. 16, par. 2). 76   Ai sensi dell’art. 2, par. 1, nn. 8) e 9), del Regolamento per “operazione di pagamento transfrontaliera” s’intende infatti ogni «operazione di pagamento basata su carta in cui l’emittente e il soggetto convenzionatore sono situati in Stati membri diversi o in cui lo strumento di pagamento basato su carta è emesso da un emittente situato in uno Stato membro diverso da quello del punto vendita», mentre per «operazione di pagamento nazionale» s’intende «qualsiasi operazione di pagamento basata su carta che non è un’operazione di pagamento transfrontaliera». 77   Direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le

479

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 479

06/11/17 17:41


Saggi

to normativo di cui si compone il c.d. legislative package adottato il 24.7.2013 dalla Commissione Europea in materia di servizi di pagamento nell’UE78 e che codifica un parziale abbandono del precedente regime di favore verso la prevalente self-regulation del settore79. Una nozione questa invero già contenuta negli stessi termini nell’art. 4, par. 1, n. 5), della Direttiva 2007/64/CE (c.d. Direttiva PSD 1)80, ora sostituita dalla suddetta Direttiva PSD 2, e che nel nostro ordinamento è stata attuata col d.lgs. 27.1.2010, n. 1181, ai sensi del quale attualmente nel diritto interno per “operazione di pagamento” s’intende in punto di diritto la “attività, posta in essere dal pagatore o dal beneficiario, di versare, trasferire o prelevare

direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il Regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE (in G.U.U.E. L 337 del 23.12.2015). In particolare ai sensi del relativo art. 4, par. 1, n. 5, per «operazione di pagamento» s’intende «l’atto, disposto dal pagatore o per suo conto o dal beneficiario, di collocare, trasferire o ritirare fondi, indipendentemente da eventuali obblighi sottostanti tra il pagatore e il beneficiario». 78   Cfr. European Commission, New rules on Payment Services for the benefit of consumers and retailers, (Press release, IP/13/730), Brussels, 24 July 2013; Id., Payment Services Directive and Interchange fees Regulation: frequently asked questions (MEMO/13/719), Brussels, 24 July 2013. 79   Sull’evoluzione normativa e di policy approach culminata nell’adozione, da ultimo, di tali provvedimenti cfr. Falce, Dalla self regulation al payment package. Storia delle commissioni interbancarie, in Analisi giuridica dell’economia, n. 1/2015, pp. 4978. 80   Direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 novembre 2007 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/ 65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE, che abroga la direttiva 97/5/ CE (G.U.U.E. L 319/1 del 5.12.2007). Un direttiva questa che pone la prima disciplina organica e generale di fonte UE in materia di servizi di pagamento, e che «si inserisce nel quadro di un percorso – che taluno ha definito come vera e propria escalation […] – iniziato con la moneta unica e che la Commissione ha cercato di portare avanti, in attuazione dei principi e delle libertà del Trattato». In particolare, la «Direttiva si inquadra anche all’interno di un più ampio quadro di cooperazione tra la Commissione, la Banca Centrale Europea e lo European Payment Council (EPC) per la creazione della SEPA […, in cui …] l’EPC, associazione non riconosciuta di diritto privato […], si pone come regolatore, al fianco della Commissione, provvedendo alla adozione dei cd. rulebooks», Granieri, Le liberalizzazioni nel sistema dei servizi di pagamento e l’impatto della direttiva comunitaria sull’industria delle carte di credito. Alcune riflessioni preliminari, in AA.VV., Il nuovo quadro normativo comunitario dei servizi di pagamento. Prime riflessioni, a cura di Mancini e Perassi, Banca d’Italia, Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale, N. 63 – Dicembre 2008, pp. 101 e 105. 81   D.lgs. 27.1.2010, n. 11, di “Attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, e che abroga la direttiva 97/5/CE”.

480

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 480

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

fondi, indipendentemente da eventuali obblighi sottostanti tra pagatore e beneficiario” (cfr. art. 1, co. 1, lett. c)). Con rifermento invece allo specifico elemento qualificante la fattispecie costituito dal fatto che dette operazioni debbano essere “basate su carta”, la nozione recata dal Regolamento risulta incentrata sul riferimento alla necessaria esistenza di uno schema di carte, da intendersi quest’ultimo quale insieme organico di norme, prassi, standard e/o linee guida per l’esecuzione di operazioni di pagamento basate su carta, separato in quanto tale da qualsiasi infrastruttura o sistema di pagamento che ne sostenga le operazioni, che includa specifici organi decisionali, organizzazioni o entità responsabili del funzionamento dello schema stesso (cfr. art. 2, par. 1, n. 16)). Le operazioni di pagamento “basate su carta” sono quindi qualificate come un “servizio” (sic!) caratterizzato, in primis, per il fatto di essere basato sull’infrastruttura e sulle regole commerciali (leggasi “contrattuali”) di uno schema di carte di pagamento, e poi per il suo scopo di essere diretto all’effettuazione di una “operazione di pagamento” il cui risultato – indipendentemente dal medium concretamente utilizzato (e.g. carta, dispositivi di telecomunicazione, digitali o informatici o software) – deve inoltre essere necessariamente una “operazione tramite carta di debito” o “carta di credito”, con esclusione quindi è da intendersi delle operazioni di pagamento basate su altri tipi di “servizi di pagamento” (ossia, in punto di diritto, su una o più delle altre attività commerciali indicate nell’Allegato I della Direttiva PSD 2). Nell’assumere una qualificazione giuridica della fattispecie ispirata ad un principio di massima neutralità rispetto ai profili materiali e tecnologici, la nozione di operazioni di pagamento “basate su carta” risulta essere indipendente dalle modalità di concreta esecuzione delle operazioni della specie (es. in ambiente fisico o virtuale, in presenza o a distanza, etc.)82 ed è quindi idonea a ricomprendere servizi di pagamento innovativi quali, ad esempio, quelli «eseguiti mediante l’impiego di Mobile Wallet e Digital Wallet, a patto che il risultato sia un’operazione di pagamento tramite la carta in essi registrata […, nonché i …] pagamenti effettuati con carte contact-less e […] tutte le transazioni di Mobile Payment che prevedano l’impiego di una carta

82

È stato infatti considerato opportuno che «conformemente al principio della neutralità tecnologica sancito dall’agenda digitale europea [… il Regolamento si applichi alle operazioni in questione …] indipendentemente dall’ambiente in cui sono eseguite, ossia anche alle operazioni tramite strumenti e servizi di pagamento al dettaglio on line, offline o mobili» (cfr. considerando n. (26) del Regolamento).

481

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 481

06/11/17 17:41


Saggi

(Mobile Proximity Payment e Mobile Remote Payment)»83. In altre parole, la nozione in questione è suscettibile di ricomprendere tutti quei servizi di pagamento incentrati sull’utilizzo di “strumenti di pagamento basati su carta”, ossia di qualsiasi «dispositivo personalizzato e/o insieme di procedure concordate tra l’utente di servizi di pagamento e il prestatore di servizi di pagamento e utilizzate per disporre un “ordine di pagamento” […], compresi carte, telefoni cellulari, computer e ogni altro dispositivo tecnologico contenenti l’applicazione di pagamento adatta, che consente al pagatore di disporre un’operazione di pagamento basata su carta che non sia un bonifico o un addebito diretto come definito all’articolo 2 del regolamento (UE) n. 260/2012» (cfr. art. 2, par. 1, nn. 19, 20 e 21, del Regolamento).
 In definitiva, nel rilevare che la tecnica normativa utilizzata al riguardo è affetta da una certa circolarità della relativa semantica frasale e quindi anche del contenuto dispositivo delle norme, risulta che le “operazioni di pagamento” a cui si applicano, al ricorrere delle condizioni sopra indicate, le disposizioni uniformi stabilite dal Regolamento sono solo quelle “basate” su “carte di pagamento”84 in cui il relativo importo «è addebitato totalmente o in parte al pagatore a una data specifica del mese di calendario precedentemente concordata, in conformità a una linea di credito prestabilita, con o senza interesse» (c.d. “operazioni tramite carta di credito”), nonché quelle comunque basate su altre tipologie di “carte di pagamento”, ivi comprese quelle con le c.d. “carte prepagate”85 che non sono operazioni tramite “carte di credito” nell’accezione di cui sopra (e sono quindi c.d. “operazioni tramite carta di debito”). Ciò fermo restando che, per altro verso, le “carte di debito” sono intese nell’ambito e ai fini del Regolamento come una categoria di strumenti di pagamento che consente al pagatore di disporre un’operazione tramite carta di debito ad eccezione, però, di quelle con “carte prepagate” (cfr. art. 2, par. 1, n. 33, del Regolamento). Per quanto riguarda gli elementi dell’altra centrale fattispecie della “commissione interbancaria” o Interchange fee, dal combinato disposto

83

Garavaglia, Il nuovo Regolamento Europeo sulle Interchange Fee dei pagamenti con carta: capiamolo meglio, su PagamentiDigitali.it, 11 giugno 2015. 84   Cfr. Baessato, Le carte di credito e di pagamento, in AA.VV., La disciplina dei rapporti bancari, Normativa, giurisprudenza e prassi, a cura di Fiorucci, Padova, 2012, pp. 876 e ss. 85   Per tali s’intendono ai fini del Regolamento quella particolare categoria di “strumenti di pagamento” su cui è caricata “moneta elettronica”, quale definita a sua volta all’articolo 2, punto 2, della direttiva 2009/110/CE.

482

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 482

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

dell’art. 2, par. 1, n. 10 e 11, del Regolamento e del successivo art. 5, risulta che la nozione giuridicamente rilevante ai sensi e per gli effetti del Regolamento è volutamente over-inclusive, e con spazi invero anche d’indeterminatezza, presumibilmente per tenere conto dei multiformi assetti negoziali presenti nel mercato, non ostacolare l’innovazione al riguardo e, non da ultimo, per finalità antielusive86. In particolare sono sussunte in tale fattispecie tutte le “forme concordate di remunerazione” aventi “oggetto o effetto analogo” a quello di una «commissione applicata per ogni operazione direttamente o indirettamente, ad esempio mediante un terzo, tra l’emittente e il soggetto convenzionatore in relazione a un’operazione di pagamento basata su carta»; inclusa in ogni caso testualmente la c.d. “compensazione netta”, con cui si fa a tal fine riferimento a «l’importo totale netto dei pagamenti, degli sconti o degli incentivi che un emittente riceve da uno schema di carte di pagamento, dal soggetto convenzionatore o da qualsiasi altro intermediario in relazione a operazioni di pagamento basate su carta o ad attività correlate». 3.1. (Segue): il negative scope del Regolamento e lo specifico regulatory approach per gli schemi a “tre parti” in materia di commissioni e servizi di processing. Alla suddetta delimitazione in positivo dell’ambito di applicazione del Regolamento si affiancano poi altre disposizioni che intervengono a definire invece il c.d. negative scope del Regolamento nel suo complesso (cfr. art. 2, par. 2), delle sole norme di cui al Capo II sui limiti alle Interchange fees (cfr. par. 3) o di quelle di cui all’art. 7 in materia di “separazione” tra schemi di carte e soggetti incaricati del mero “trattamento” delle operazioni. Con riguardo all’unica ipotesi di esclusione integrale dell’applicazione del Regolamento, vale osservare che la fattispecie interessata è tra quelle espressamente escluse anche dall’applicazione della Direttiva PSD 2 (cfr. art. 3, par. 1, lett. k, di quest’ultima) e della Direttiva e-money

86   Al precipuo fine di evitare elusioni dei nuovi massimali armonizzati definiti in materia, l’art. 5 del Regolamento dispone che qualunque “remunerazione concordata” avente «oggetto o effetto analogo alla commissione interbancaria, che un emittente riceve dallo schema di carte di pagamento, da un soggetto convenzionatore o da qualunque altro intermediario in relazione alle operazioni di pagamento o ad attività correlate è considerata parte della commissione interbancaria» e da computare quindi nel calcolo del valore di quest’ultima.

483

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 483

06/11/17 17:41


Saggi

2 (cfr. art. 1, par. 4 e 5, della stessa)87, a conferma di un’impostazione di fondo secondo cui la regolamentazione dei servizi di pagamento, anche a livello UE, ha primariamente riguardo agli strumenti di pagamento “a spendibilità generalizzata”88 (ovvero non “a spendibilità limitata”89), ossia che possono essere considerati quali potenziali sostituti del contante o della “moneta bancaria”. In particolare, né il Regolamento, né la Direttiva PSD 2, si applicano infatti alle “operazioni di pagamento” basate su “strumenti di pagamento” caratterizzati da una “utilizzabilità” limitata (ad esempio le c.d. limited purpose cards), caratteristica questa che giuridicamente ricorre in tutti i casi di strumenti che: (i) permettono «di acquistare beni o servizi soltanto nella sede dell’emittente o nell’ambito di una rete limitata di prestatori di servizi in base ad un accordo commerciale diretto con un emittente professionale»; (ii) «possono essere utilizzati unicamente per acquistare una gamma molto limitata di beni o servizi»; (iii) «validi solo in un unico Stato membro forniti su richiesta di un’impresa o di un ente del settore pubblico e regolamentati da un’autorità pubblica nazionale o regionale per specifici scopi sociali o fiscali per l’acquisto di beni o servizi specifici da fornitori aventi un accordo commerciale con l’emittente» (cfr. art. 1, par. 2, del Regolamento). Ciò posto, appare però che il Regolamento non rechi chiari riferimenti ermeneutici in ordine ai criteri da utilizzare poi in concreto per valutare la “limitatezza” della rete di utilizzabilità delle carte in questione o della gamma di beni e servizi che con queste possono essere “pagati”. Anche al fine di preservare la coerenza del quadro regolatorio della materia, si ritiene pertanto che utili indicazioni debbano essere ricercate e ricavate, quanto meno in primis, dalle indicazioni offerte al riguardo nella Direttiva PSD 2 e nella Direttiva e-money 2 (cfr. considerando n. 5) che pure contemplano, come detto, analoga ipotesi di esenzione per la

87   Direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del consiglio del 16 settembre 2009 concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE. 88   Sul punto si rinvia alle tutt’ora valide considerazioni svolte in: Troiano, Gli istituti di moneta elettronica, Banca d’Italia, Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale, Numero 53 - Luglio 2001, pp. 12 e ss. e pp. 29 e ss. 89   Cfr. Provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 5.7.2011 recante “Attuazione del Titolo II del Decreto legislativo n. 11 del 27 gennaio 2010 relativo ai servizi di pagamento (Diritti ed obblighi delle parti)”, par 2.2.6.

484

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 484

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

medesima fattispecie90. Per quanto riguarda invece le ipotesi di sola esclusione parziale dall’ambito di applicazione del Regolamento, queste interessano principalmente le norme sui limiti alle commissioni interbancarie di cui al

90

Orbene, circa l’esclusione relativa alle reti limitate, può ricavarsene ad esempio che, anche al fine di contribuire a limitare i rischi di mancata protezione giuridica degli utenti di servizi di pagamento e gli svantaggi competitivi per gli operatori di mercato invece soggetti a regolamentazione, affinché uno strumento di pagamento possa essere effettivamente considerato a “spendibilità limitata” lo stesso non dovrebbe essere utilizzabile all’interno di più di una “rete limitata” o per l’acquisto di una “gamma illimitata” di beni e servizi. In particolare, si «dovrebbe considerare che uno strumento di pagamento è utilizzato nell’ambito di una tale rete limitata se può essere utilizzato soltanto nelle circostanze seguenti: primo, per l’acquisto di beni e di servizi da determinati rivenditori o determinate catene di rivenditori, qualora le entità coinvolte siano legate direttamente da un accordo commerciale che prevede, ad esempio, l’uso di un singolo marchio di pagamento e tale marchio di pagamento è utilizzato nei punti vendita e figura - ove possibile - sullo strumento di pagamento che può essere ivi utilizzato; secondo, per l’acquisto di una gamma molto limitata di beni o di servizi, ad esempio allorché l’ambito di utilizzo è effettivamente limitato a un numero chiuso di beni o servizi funzionalmente collegati indipendentemente dall’ubicazione geografica del punto vendita, e terzo, se lo strumento è regolamentato da un’autorità pubblica nazionale o regionale, per fini sociali o fiscali specifici allo scopo di acquistare beni o servizi specifici» (Considerando n. (13) della Direttiva PSD 2). Pertanto, gli strumenti di pagamento cui si applica «l’esclusione relativa alle reti limitate potrebbero annoverare tessere clienti, carte carburante, tessere di membro, tessere per i mezzi di trasporto pubblici, biglietti per il parcheggio, buoni pasto o buoni per servizi specifici, che talvolta sono oggetto di disposizioni specifiche di diritto fiscale o del lavoro volte a promuovere l’uso di tali strumenti per raggiungere gli obiettivi previsti dalla legislazione sociale» (Considerando n. (14) della Direttiva PSD 2). Di converso, non dovrebbero essere considerati a spendibilità limitata gli «strumenti che possono essere utilizzati per effettuare acquisti presso i punti vendita di commercianti registrati, atteso che tali strumenti di norma sono concepiti per una rete di prestatori di servizi in continua crescita» (Considerando n. (14) della Direttiva PSD 2 e in senso conforme considerando n. (5) della Direttiva e-money 2). Come infatti già da tempo specificato dalla Banca d’Italia – pur nel diverso, ma contiguo, ambito delle misure di attuazione delle disposizioni di cui al Titolo II del D.Lgs. n. 11 del 27.1.2010 (recante a sua volta attuazione della PSD 1) – va considerato che in linea di principio non sono suscettibili di essere considerati strumenti di pagamento ad utilizzabilità limitata quegli «strumenti spendibili presso una lista di esercenti convenzionati (si pensi al caso del convenzionamento di una pluralità di commercianti promosso dall’emittente e potenzialmente aperto alla libera adesione di chi abbia interesse), poiché in tal caso l’estensione soggettiva della rete di accettazione non è determinabile ex ante ed è quindi potenzialmente illimitata: rientrano in questa tipologia, ad esempio, strumenti come le “carte regalo” che possono essere spese presso più punti vendita di svariata natura, oppure le c.d. “city card”, genericamente aperte all’utilizzo presso più esercizi all’interno di una stessa città» (Provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 5.7.2011, cit., p. 19).

485

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 485

06/11/17 17:41


Saggi

relativo Capo II. Dal punto di vista oggettivo, la principale esclusione è quella stabilita per le operazioni basate su carte di pagamento emesse dagli schemi a “tre parti” (cfr. art. 1, par. 3, lett. c), del Regolamento), ossia da quei particolari schemi “in cui lo schema stesso fornisce servizi di convenzionamento e di emissione e le operazioni di pagamento basate su carta sono effettuate dal conto di pagamento del pagatore al conto di pagamento del beneficiario nell’ambito dello schema” (art. 2, par. 1, n. 18, del Regolamento). Tale esenzione è in ogni caso tutt’altro che assoluta e incondizionata come invece ictu oculi potrebbe sembrare. È fondamentale infatti tenere presente che anche il trattamento regolamentare differenziato stabilito in questa sede per gli schemi a “tre parti” soggiace comunque al principio di fondo che, al ricorrere di alcune condizioni, è stato ritenuto opportuno applicare una fictio iuris per effetto della quale gli schemi a “tre parti” sono considerati di diritto come schemi di carte di pagamento “a quattro parti” ai fini dell’applicazione del Regolamento, e quindi da sottoporre tout court alle medesime disposizioni, incluse quelle sui limiti alle commissioni interbancarie. In particolare, al fine di “riconoscere l’esistenza di commissioni interbancarie implicite”91, assicurare il level playing field e la coerenza del framework normativo, nonché prevenire comportamenti elusivi, sono da considerare iuris et de iure come uno schema “a quattro parti” ai fini dell’applicazione del Regolamento tutti quegli schemi “a tre parti” che (i) concedono a terzi, prestatori di servizi di pagamento, la licenza di issuing o di acquiring di strumenti di pagamento basati su carta, o entrambi, oppure (ii) provvedono all’issuing di strumenti di pagamento basati su carta attraverso un partner di carta multimarchio in co-branding o un agente (cfr. art. 1, par. 5, e art. 2, par. 1, n. 18, del Regolamento). Ciò posto, allo scopo di assicurare l’opportuna flessibilità e gradualità nel processo di armonizzazione e, non ultimo, uniformare le condizioni di concorrenza a vantaggio degli schemi più piccoli attraverso un meccanismo tipico delle misure di regolamentazione asimmetrica che tengono conto del diverso potere di mercato dei destinatari92, al ricorrere di

91

Considerando n. (28) del Regolamento. In estrema sintesi un approccio di regolamentazione asimmetrica implica che le imprese che operano nello stesso settore o esercitano la stessa attività siano tuttavia «subject to different levels of regulation, or differente forms of regulatory restraints», Decker, Modern Economic Regulation: An Introduction to Theory and Practice, Cambridge Universiry Press, 2015, pp. 54 e 55. Attraverso misure di regolamentazione asimmetrica l’intervento pubblico nell’economia tende a creare ex ante le condizioni 92

486

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 486

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

alcune tassative condizioni è contemplata comunque una facoltà per gli Stati Membri di esentare temporaneamente (i.e. solo fino al 9.12.2018) questi particolari schemi “a tre parti” dai limiti alle commissioni interbancarie di cui al Capo II del Regolamento (altrimenti agli stessi applicabili già dal 9.12.2015). In particolare, l’esenzione può essere concessa con riguardo alle sole “operazioni di pagamento nazionali” e solo a favore di quegli schemi che detengono una quota di mercato molto limitata rispetto ai loro competitors a livello domestico93. Ulteriore trattamento regolamentare asimmetrico per gli schemi di carte a “tre parti” è rinvenibile anche con riguardo ad una delle principali business rules stabilite in materia di servizi di c.d. processing, ossia di quei particolari servizi di “trattamento” delle “operazioni di pagamento” che ricomprendono tipicamente le attività e azioni necessarie per l’esecuzione di un “ordine di pagamento”, ossia per l’effettivo trasferimento dei fondi, nel segmento “interbancario” dei rapporti tra l’issuer e l’acquirer coinvolti nell’operazione in questione94.

per lo sviluppo di una piena concorrenza, tenendo conto delle diverse posizioni (di partenza) tra imprese incumbent e newcomers e delle differenze strutturali e/o normative nella posizione concorrenziale tra i competitors attuali e potenziali. Esempio tipico sono le norme adottate, soprattutto negli ultimi decenni, sia a livello nazionale sia a livello UE nel settore delle telecomunicazioni in materia d’interconnessione, diritto di accesso, separazione contabile e societaria, orientamento delle tariffe ai costi, trasparenza, finanziamento e fornitura del servizio universale. In materia cfr. Gambino, Dal monopolio alla liberalizzazione: regolamentazione normativa delle asimmetrie nel mercato delle telecomunicazioni, in Giur. comm., 1996, pp. 5 e ss.; Genovese e Fonderico, Concorrenza e regolamentazione asimmetrica nelle telecomunicazioni, in Europa e diritto privato, 1999, pp. 45 e ss.; Radicati di Brozolo, Simmetria e asimmetria nel diritto comunitario delle telecomunicazioni, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1997, pp. 502 e ss.; Haring, Implications of Asymmetric Regulation for Competition Policy Analysis, in Federal Communications Commission, OPP Working Paper 14, December 1, 1984. 93   A tal fine è richiesto che le operazioni «basate su carta effettuate in uno Stato membro nell’ambito di tale schema […] a tre parti non superino annualmente il 3 % del valore di tutte le operazioni di pagamento basate su carta effettuate in tale Stato membro» (art. 1, par. 5 del Regolamento). 94   Cfr. art. 2, par. 1, nn. 27) e 28), del Regolamento. In particolare, «[w]hen initiating a card payment, the payment transaction needs to be processed in order for: a. the transaction to be authorised by the payment service provider of the payer (issuer) and the amount to be deducted from the correct payment account of the payer; and b. the payment to arrive at the right payment account of the payee. For that purpose, the merchant (payee) makes use of the services of a processing provider. This provider manages the communication and IT processes needed to execute the payment transaction, whereas the card scheme is responsible for the commercial and contractual framework applying

487

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 487

06/11/17 17:41


Saggi

Agli schemi a “tre parti” non si applicano infatti (cfr. art. 1, par. 4) le prescrizioni e i divieti in materia di separazione – e.g. contabile, organizzativa e decisionale – tra schemi di carte e fornitori di servizi di processing, invece appositamente introdotti in via generale per tutti gli “altri” schemi di carte (cfr. art. 7 del Regolamento) affinché anche «tale parte della catena di valore sia aperta alla concorrenza effettiva»95, con gli auspicati benefici in termini di guadagni di efficienza e riduzione dei costi. Tuttavia sembra doversi ritenere che l’assimilazione iuris et de iure di alcuni schemi a “tre parti” ad uno schema a “quattro parti” in punto di obblighi regolamentari debba valere anche a questi fini, sicché tali particolari schemi a “tre parti” diventano soggetti, per effetto di tale assimilazione, al rispetto anche degli obblighi e delle prescrizioni in materia di separazione tra schemi e fornitori di servizi di processing di cui all’art. 7 del Regolamento, senza neanche la possibilità di beneficiare di alcuna esenzione temporanea a livello nazionale, a differenza di quanto invece consentito per gli schemi in questione con riguardo agli obblighi di cui al Capo II del Regolamento sui limiti alle Interchange fees. Altre ipotesi di esclusione parziale dall’ambito di applicazione del nuovo regime uniforme sui limiti alle Interchange fees di cui al Capo II del Regolamento stesso, sono infine stabilite con riguardo a (i) le operazioni effettuate tramite c.d. “carte aziendali” e (ii) alle operazioni di “prelievo di contanti” presso distributori automatici (ATM) o comunque presso gli “sportelli” di prestatori di servizi di pagamento. Per quanto riguarda le “carte aziendali” l’esclusione trova una delle sue principali giustificazioni nel fatto che in questo caso non emergono, quanto meno non direttamente, esigenze di tutela dei “consumatori”, ossia delle persone fisiche che nei contratti di servizi di pagamento contemplati dal Regolamento “agiscono per scopi estranei” alla loro (eventuale) attività commerciale o professionale (cfr. art. art. 2, par. 1, n. 3, del Regolamento). Ai fini dell’esenzione, le “carte aziendali” sono infatti intese come uno “strumento di pagamento” che, pur essendo “basato su carta”, deve caratterizzarsi tuttavia per il fatto che può essere utilizzato esclusivamente per le “spese aziendali” imputate direttamente al conto dell’impresa o dell’ente pubblico o del professionista indipendente a fa-

to the payment transaction, i.e. rules, practices and standards for the execution of card payments», European Banking Authority, Consultation Paper, Draft Regulatory Technical Standards, cit., p. 22. 95   Considerando n. (33) del Regolamento.

488

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 488

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

vore dei quali la carta è stata emessa96. Corollario di tale impostazione è che è quindi al tempo stesso prescritto che i prestatori di servizi di pagamento debbano costantemente assicurare una chiara distinzione, a livello tecnico e commerciale, tra le “carte aziendali” e le diverse “carte a uso dei consumatori”, ossia rispetto agli strumenti di pagamento che sono invece primario oggetto dell’intervento regolamentare in materia di Interchange fees, proprio perché quest’ultime, a differenza di quelle “aziendali”, sono “divenute un prodotto di massa e che gli esercenti hanno di norma difficoltà a rifiutare in ragione della loro ampia diffusione, sia in termini di emissione che di uso”97. Con riguardo a tale esigenza di distinzione e chiara identificazione, nell’ambito delle nuove nome sui limiti alle clausole c.d. “honour all card” per le carte di uno stesso schema, è stabilito che gli issuers debbono assicurare che i loro strumenti di pagamento siano costantemente identificabili in modo da consentire ai beneficiari del pagamento e ai rispettivi pagatori di individuare in maniera inequivocabile non solo il “marchio” ma anche la “categoria di carta prepagata, di debito, di carta di credito o di carta aziendale scelti dal pagatore” (art. 10, co. 5, del Regolamento). Tale policy approach in materia di “carte aziendali” è in ogni caso temporaneo e soggetto a revisione ai sensi della clausola generale di cui all’art. 17 del Regolamento, sulla base delle valutazioni quindi che dovranno essere formulate dalla Commissione europea in apposita relazione da rendere (entro il 9.6.2019) al Parlamento europeo e al Consiglio, con riferimento all’applicazione del Regolamento stesso e all’adeguatezza del relativo quadro regolamentare, ciò anche con specifico riguardo, appunto, agli “effetti sul mercato dell’esclusione delle carte aziendali dal capo II, mediante un confronto tra la situazione negli Stati membri in cui le maggiorazioni sono vietate e quelli in cui sono permesse” (art. 17, par. 1, lett. g), del Regolamento)98.

96

Cfr. considerando n. (38) e art. 2, par. 1, n. 6) del Regolamento. Cfr. considerando n. (32) del Regolamento. 98   Più in generale l’art. 17 del Regolamento prescrive che la relazione della Commissione dovrà valutare «l’adeguatezza dei livelli delle commissioni interbancarie e i meccanismi di orientamento, quali le spese, tenendo conto dell’uso e dei costi dei vari mezzi di pagamento e del livello di ingresso sul mercato di nuovi operatori, di nuove tecnologie e di modelli commerciali innovativi», dovendo inoltre esaminare tutta una serie di dettagliati aspetti pure ivi elencati e formulare, se del caso, anche una «proposta legislativa che può contenere una proposta di modifica del massimale sulle commissioni interbancarie». 97

489

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 489

06/11/17 17:41


Saggi

Con riguardo invece all’assorbimento nel negative scope delle norme sui limiti armonizzati alle Interchange fees anche delle operazioni di “prelievo di contanti” presso ATM o “sportelli” di prestatori di servizi di pagamento, la relativa ratio è da individuare per lo più nel fatto che tali prelievi, pur potendo integrare la fattispecie del “servizio di pagamento” (cfr. art. 4, punto 3) e Allegato I, punto 2) della PSD 2), sono però estranei, per lo meno in quanto tali, alla fattispecie dell’effettuazione di operazioni di pagamento appunto basate su carte. In materia vale osservare che anche la PSD 2 (come già la PSD 1) esclude dall’ambito di applicazione della relativa disciplina armonizzata sui “servizi di pagamento” le “operazioni di pagamento” effettuate in contante, rectius “effettuate esclusivamente in contante direttamente dal pagatore al beneficiario, senza alcuna intermediazione” (cfr. art. 3, lett. a) della PSD 2), ciò in considerazione del fatto che «per il contante esiste già un mercato unico dei pagamenti»99. Sono altresì esclusi dalla relativa cornice normativa anche i «servizi di prelievo di contante offerti da prestatori tramite ATM per conto di uno o più emittenti della carta che non siano parti del contratto quadro con il cliente che preleva denaro da un conto di pagamento, a condizione che detti prestatori non forniscano altri servizi di pagamento elencati nell’allegato I» della stessa PSD 2 (cfr. art. 3, lett. o), della PSD 2). Peraltro, la PSD 2 nel confermare l’opportunità di mantenere tale esclusione – anche in ragione del fatto che la stessa «ha stimolato la crescita di servizi ATM indipendenti in molti Stati membri, soprattutto nelle zone meno popolate»100 – interviene a modificare l’approccio più light adottato in materia nella PSD 1, stabilendo ora espressamente (cfr. art. 3, lett. o) che per i servizi di pagamento in questione deve essere in ogni caso rispettato un regime di trasparenza a favore dei clienti «in merito a qualsiasi commissione sui prelievi» di contanti (cfr. artt. 45, 48, 49 e 59 della PSD 2)101.

99

Cfr. considerando n. 23 della PSD 2 e considerando n. 19 della PSD 1. Cfr. considerando n. 18 della PSD 2. 101   L’applicazione di alcune disposizioni sulla trasparenza previste dalla PSD 2 anche ai servizi di prelievo di contante da ATM si fonda sulla considerazione che una loro completa esclusione dall’ambito di applicazione della PSD 2 potrebbe «creare confusione circa le commissioni sui prelievi. In situazioni transfrontaliere ciò potrebbe sfociare in un doppio addebito per lo stesso prelievo sia da parte del prestatore di servizi di pagamento di radicamento del conto che del gestore dell’ATM» (cfr. considerando n. 18 della PSD 2). 100

490

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 490

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

4. I nuovi limiti all’autonomia contrattuale in materia di commissioni interbancarie per i pagamenti basati su carte alla luce del c.d. “Merchant Indifference Test”. Come anticipato, le principali norme del Regolamento sono raggruppate in un primo insieme dedicato ad armonizzare per la prima volta102 la disciplina delle “commissioni interbancarie” nel mercato interno dell’UE (cfr. Capo II) e in un secondo insieme che reca invece “regole commerciali” (ma leggasi contrattuali e di conduct of business) in materia di pagamenti basati su carte di debito e di credito, definendo i nuovi limiti dell’agire lecito negoziale nei rapporti tra schemi, acquirer, issuer, merchant, pagatori e responsabili del c.d. processing (cfr. Capo III). Al di là di tale formale suddivisione, le diverse norme del Regolamento appaiono per altro verso utilmente classificabili in norme che, da un lato, realizzano una vera e propria regolamentazione strutturale del mercato e, dall’altro, stabiliscono invece regole di trasparenza e correttezza dei comportamenti a tutela dei clienti dei prestatori dei servizi di pagamento (siano essi i merchant o i soggetti pagatori). In quest’ottica, sarebbero da sussumere nel gruppo di disposizioni che incidono più direttamente sulla struttura del mercato le norme su: i) i limiti alle commissioni interbancarie per i pagamenti basati su carte di credito o di debito ad uso dei consumatori; ii) la promozione della concorrenza cross-border tramite la proibizione di clausole di restrizione territoriale; iii) gli obblighi di separazione tra schemi (a “quattro parti”, di fatto o di diritto) e prestatori di servizi di processing (cfr. rispettivamente artt. 3-5, art. 6, art. 7 del Regolamento). Al riguardo rileva innanzitutto che, al fine di realizzare un intervento di armonizzazione quanto più possibile proporzionale e soprattutto progressivo sulla struttura del mercato, lasciando così ai soggetti interessati un sufficiente lasso di tempo per provvedere ai necessari, e invasivi, adeguamenti organizzativi e strutturali, mentre le norme sui limiti alle Interchange fees e alle restrizioni territoriali si applicano dal 9.12.2015, per quelle sugli obblighi di separazione tra schemi e prestatori di servizi di processing è stata ritenuta più opportuna un’applicazione ulteriormente differita (i.e. a partire dal 9.6.2016). Per quanto riguarda poi il relativo contenuto sostanziale, vale in primis osservare che un’armonizzazione per via regolamentare a livello UE

102

Cfr. considerando n. (22) del Regolamento.

491

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 491

06/11/17 17:41


Saggi

dei limiti alle commissioni interbancarie è stata giustificata sulla base della valutazione che una “no policy change option” avrebbe continuato a demandare la risoluzione delle criticità riscontrate in subjecta materia alla “sola” attuazione di «competition enforcement actions, in particular on the basis of the MasterCard judgement. This is however unlikely to be efficient and effective»103. Il Regolamento reca inoltre una disciplina marcatamente diversa tra operazioni basate su carte di debito e quelle basate su carte di credito, ferma restando tuttavia l’adesione ad una policy di fondo secondo cui tutte le operazioni di pagamento della specie (quindi sia nazionali che transfrontaliere) «dovrebbero essere soggette a un massimale per le commissioni interbancarie»104, in quanto solo «if credit cards interchange fees are also covered by a cap, in addition to the debit cards cap, the impact on the current variability and level of interchange fees would be profound and direct, leading to a true Single Market for card-based payments»105. In particolare, al di là del differente massimale stabilito per le commissioni interbancarie (più alto, almeno in linea di principio, per i pagamenti con carte di credito), a livello di framework regolamentare complessivo la principale differenza è da individuarsi nella diversa estensione della discrezionalità lasciata agli Stati Membri nel modulare alcuni aspetti della disciplina, altrimenti uniforme, stabilita per la prima volta in materia dal Regolamento. Una discrezionalità questa che è riconosciuta appunto in modo ben più ampio e articolato per i pagamenti con carte di debito rispetto a quelli con carte di credito, fermo restando in ogni caso che la stessa può essere esercitata solo nell’ambito della disciplina delle operazioni di pagamento nazionali, ovvero puramente domestiche, ossia quelle in cui l’issuer, l’acquirer e il “punto vendita”106

103   European Commission, Commission Staff Working Document, Impact Assessment, cit., p. 50. Come infatti ivi indicato «[l]ong-term, comprehensive commitments from both Visa and MasterCard, in particular on fees charged for domestic transactions, are unlikely as neither of the schemes has the incentive to be a ‘first mover’ introducing lower fees. Competition proceedings by National Competition Authorities, in close cooperation with the Commission, are likely to lead to a long and fragmented process with uncertain results. This will not ensure a level-playing field, and may lead to further legal uncertainties and distortions on the card payments market». 104   Cfr. considerando n. (18) del Regolamento. 105   European Commission, Commission Staff Working Document, Impact Assessment, cit., p. 54. 106   Il “punto vendita” s’identifica in linea di principio con «l’indirizzo dei locali dell’esercente in cui l’operazione di pagamento è disposta. Tuttavia: a) nel caso di vendite

492

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 492

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

del merchant presso cui la carta è utilizzata sono tutti “stabiliti” nello stesso Stato Membro. Le operazioni di pagamento transfrontaliere107 basate su carte rimangono invece esclusivamente sottoposte alle norme del Regolamento senza possibilità di deroghe nazionali, così da preservare il massimo grado di armonizzazione a livello UE e consentire il funzionamento di un effettivo “mercato interno” anche in questo settore. Ciò posto, fatte salve appunto le deroghe consentite agli Stati Membri, per le operazioni basate su carte di debito la regola uniforme a livello UE è quella di un divieto per i prestatori di servizi di pagamento (i.e. issuers e acquirers) di offrire o richiedere per qualsiasi operazione di pagamento tramite carta di debito (ossia, è da intendere, sia per quelle transfrontaliere sia, in mancanza di deroga, per quelle nazionali) una commissione interbancaria per ogni singola operazione di pagamento superiore al limite massimo dello 0,2% del valore dell’operazione stessa (cfr. art. 3, par. 1, del Regolamento). Per le operazioni basate su carta di credito gli stessi soggetti sono invece tenuti ad astenersi dall’offrire o dal richiedere una commissione interbancaria per ogni singola operazione superiore allo 0,3 % del valore dell’operazione stessa, fatte salve anche in questo caso eventuali diverse disposizioni “domestiche” applicabili alle sole operazioni nazionali (cfr. art. 4 del Regolamento). Dal punto di vista dell’analisi di law & economics, giova osservare che tali massimali armonizzati sono stati stabiliti sulla base di un’apposita Analisi d’Impatto della Regolamentazione condotta dalla Commissione europea, nell’ambito della quale per questo specifico aspetto è stato

a distanza (ad esempio nel commercio elettronico), quali definite dall’articolo 2, punto 7, della direttiva 2011/83/UE, il punto vendita è l’indirizzo della sede commerciale fissa presso la quale l’esercente esercita la sua attività a prescindere dall’ubicazione del sito web o del server presso il quale l’operazione di pagamento è disposta; b) nel caso in cui l’esercente non disponga di una sede commerciale fissa, il punto vendita è l’indirizzo per il quale l’esercente detiene una licenza commerciale valida presso il quale l’operazione di pagamento è disposta; c) nel caso in cui l’esercente non disponga di una sede commerciale fissa né detenga una licenza commerciale valida, il punto vendita è l’indirizzo per la corrispondenza per il pagamento delle imposte relative alla sua attività di vendita presso il quale l’operazione di pagamento è disposta» (art. 2, par. 1, n. 29), del Regolamento). 107   Ai sensi e per gli effetti del Regolamento sono qualificate come transfrontaliere le operazioni di pagamento con carta per le quali ricorra una delle seguenti condizioni: i) l’issuer e l’acquirer della carta sono “situati” in Stati membri diversi; ii) lo strumento di pagamento basato su carta utilizzato è emesso da un issuer “situato” in uno Stato membro diverso da quello in cui si trova il “punto vendita” del merchant in cui l’operazione di pagamento è disposta (cfr. art. 2, par. 1, nn. 8) e 9), del Regolamento).

493

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 493

06/11/17 17:41


Saggi

applicato, non a caso, il c.d. “Merchant Indifference Test” (MIT) che implica essenzialmente il confronto tra il “costo privato” complessivo per il merchant dell’accettazione di un pagamento con carta oppure in contanti108. Il principale motivo alla base dell’utilizzo del MIT anche nella definizione delle policy regolamentari UE in materia è rappresentato dal fatto che questo è considerato lo strumento più idoneo a stimolare «l’uso di strumenti di pagamento efficienti mediante la promozione delle carte che offrono benefici commerciali più elevati, evitando allo stesso tempo che agli esercenti vengano applicate commissioni sproporzionate, con la conseguente imposizione di costi nascosti ad altri consumatori. Commissioni eccessive per gli esercenti potrebbero anche essere dovute agli accordi collettivi sulle commissioni interbancarie, perché gli esercenti sono riluttanti a rifiutare strumenti di pagamento costosi per timore di perdere un affare»109. Il MIT è stato inoltre già ampiamente utilizzato e “validato” a livello UE anche nel diverso ambito, e ai diversi fini, dell’antitrust enforcement in materia di commissioni interbancarie nei leading cases MasterCard®110

108

In particolare il Merchant Indifference Test «consente di determinare il livello delle commissioni che l’esercente sarebbe disposto a pagare se l’esercente stesso dovesse confrontare il costo che deve sostenere in caso di uso da parte dei consumatori di una carta di pagamento e il costo sostenuto in caso di pagamento (in contante) senza carta (tenendo conto della commissione per i servizi pagata alla banca convenzionatrice», i.e. la Merchant service charge e la Interchange fee (cfr. considerando n. (20) del Regolamento). 109   Considerando n. (20) del Regolamento. 110   Cfr. Decisione della Commissione del 19.12.2007, C (2007) 6474 def. (casi COMP/34.579 – MasterCard, COMP/36.518 – EuroCommerce, COMP/38.580 – Commercial Cards), con cui è stato stabilito che «la MIF istituita da MasterCard per le operazioni transfrontaliere effettuate con carte di debito e di credito al consumo MasterCard e Maestro nello Spazio economico europeo (SEE) non era conforme alle norme del trattato CE relative alle pratiche commerciali restrittive (articolo 81). La decisione, tuttavia, non escludeva la possibilità che una MIF fosse compatibile con le norme comunitarie antitrust qualora avesse effetti positivi in termini di innovazione ed efficienza e consentisse di trasferire ai consumatori una quota equa di questi benefici» (Commissione Europea IP/09/515, Bruxelles, 1.4.2009. Per un primo commento della decisione ex multis cfr. L. Ceccarelli, Commissione Europea vs MasterCard: l’analisi antitrust di un mercato bilaterale, in Mercato Concorrenza Regole, n. 3/2008 (dicembre), pp. 585-612). In seguito MasterCard®, pur impugnando la decisione della Commissione chiedendone l’annullamento, nell’aprile del 2009 ha comunque provveduto unilateralmente a fissare la sua MIF allo 0,2% per le carte di debito e allo 0,3% per quelle di credito, nonché a modificare altre regole contrattuali e commerciali. Con sentenza del 24.5.2012 (Causa T-111/08, MasterCard Inc. e altri contro Commissione europea) il Tribunale dell’Unione europea ha confermato la decisione della Commissione, ritenendo tra l’altro che la

494

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 494

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

e Visa®111, in cui la Commissione europea ha ritenuto, in estrema sintesi, che gli accordi multilaterali sulle commissioni interbancarie (ossia le c.d. Multilateral Interchange Fee – MIF) sono idonei per oggetto e per effetto a restringere la concorrenza112. Ciò costituisce un’ulteriore spiegazione del motivo per il quale la fissazione dei massimali armonizzati delle Interchange fees allo 0,2% o allo 0,3% del valore delle operazioni (rispettivamente per i pagamenti con carte di debito e di credito) sia stata ritenuta l’opzione regolamentare da preferire rispetto alle alternative pure a tal fine considerate113. Tali limiti dello 0,2% e dello 0,3% del valore delle operazioni di pagamento sono infatti anche quelli «propo-

Commissione aveva «legittimamente dichiarato che le [… commissioni interbancarie multilaterali (CMI) …] non presentavano un carattere obiettivamente necessario per il funzionamento del sistema MasterCard» e quindi non potevano neanche «essere considerate restrizioni accessorie». A seguito dell’ulteriore impugnazione presenta da MasterCard® alla Corte di Giustizia, quest’ultima con sentenza dell’11.9.2014 (Causa C382/12 P, MasterCard Inc. e altri contro Commissione europea) ha respinto sia l’impugnazione principale che le impugnazioni incidentali (cfr. Commissione europea MEMO/14/528, Bruxelles, 11.9.2014). 111   Cfr. Decisione della Commissione dell’8.12.2010, C(2010) 8760 final (caso COMP/39.398 - Visa MIF), con cui la Commissione «ha reso obbligatori per Visa Europe, per quattro anni, gli impegni» in materia di limiti alle commissioni interbancarie e altre modifiche alle regole dello schema di carte proposti dalla stessa Visa Europe per «ovviare alle preoccupazioni della Commissione riguardo alla concorrenza nel settore delle carte di debito ad addebito immediato» [Sintesi della decisione della Commissione, dell’8 dicembre 2010 (Caso COMP/39.398 – Le CMI applicate da VISA), notificata con il numero C(2010) 8760 definitivo, in GU C 79 del 12.3.2011, pp. 8 - 9], nonché la successiva decisione della Commissione del 26.2.2014, C(2014) 1199 final (caso AT.39398 – VISA MIF) che ha reso vincolanti per Visa Europe, per quattro anni, gli impegni da questa proposti «al fine di eliminare le riserve della Commissione relative alla concorrenza» espresse con riferimento a «la fissazione di commissioni interbancarie concordate a livello multilaterale (Multilateral Interchange Fees, in appresso «MIF») da parte di Visa Europe Limited («Visa Europe»)» per determinate operazioni POS (point of sale) «mediante carte di credito Visa e carte di addebito Visa ad uso dei consumatori, nonché le regole relative all’affiliazione transfrontaliera». In particolare, l’adeguatezza dei tetti alle MIF previsti negli impegni sono stati valutati proprio in base al Merchant Indifference Test (cfr. Sintesi della decisione della Commissione, del 26.2.2014, relativa a un procedimento a norma dell’art. 101 del TFUE e dell’art. 53 dell’accordo SEE (Caso AT.39398 Visa MIF) [notificata con il numero C(2014) 1199 final], in GU C 147 del 16.5.2014, pp. 7-10). 112   Sull’applicazione delle norme antitrust alle Multilateral Interchange Fees cfr. M. C. Malaguti e A. Guerrieri, Multilateral Interchange Fees: Competition and Regulation in light of Recent Legislative Developments, European Credit Research Institute (ECRI), Research Report No. 15 January 2014. pp. 12 e ss. 113   Cfr. European Commission, Commission Staff Working Document, Impact Assessment, cit., pp. 53-54.

495

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 495

06/11/17 17:41


Saggi

sed by card schemes in competition enforcement proceedings and accepted by the competition authorities as not raising competition concerns. They would therefore appear to be reasonable benchmarks for the card schemes and banks and would provide legal certainty, demanded by the sector»114. Pertanto, è anche alla luce delle risultanze dei suddetti procedimenti antitrust che i massimali alle commissioni interbancarie stabiliti dal Regolamento sono stati ritenuti idonei ad assicurare la dovuta proporzionalità dell’intervento regolamentare e la sua compatibilità con «il funzionamento degli schemi di carte di pagamento e dei prestatori di servizi di pagamento internazionali. Essi presentano anche benefici per gli esercenti e i consumatori e creano certezza del diritto»115. In ogni caso, vale osservare che tra le diverse opzioni regolamentari espressamente valutate in materia dalla Commissione europea c’è stata anche quella della proibizione tout court delle Interchange fees per i pagamenti con carte di debito e che questa, pur essendo stata giudicata in realtà come l’opzione in teoria migliore, è stata però infine scartata per “mere” ragioni di opportunità e in attesa di ulteriore analisi da parte della Commissione stessa sulla “maturità” del mercato UE delle carte di debito116. In particolare, ai sensi dell’art. 17, par. 1, lett. k), del Regolamento, l’adeguatezza del previsto massimale dello 0,2% del valore dell’operazione per i pagamenti basati su carte di debito, e segnatamente l’opportunità di una sua eventuale ulteriore riduzione anche fino allo 0,07% del valore dell’operazione, dovrà essere oggetto di specifica valutazione da parte della Commissione europea nell’ambito del generale

114   European Commission, Commission Staff Working Document, Impact Assessment, cit., p. 54. 115   Considerando n. (20) del Regolamento. 116   In particolare è stato considerato che una «prohibition or a low MIF for debit cards would […] go a long way to ensure a high card acceptance, in particular by small retailers and SMEs. Besides, if markets are mature and cards are used everywhere there is no need to incentivise their issuing. […] Banning entirely debit card MIF would allay fears that card market integration would result in higher IFs and costs structures for domestic debit schemes without a MIF or with a MIF lower than 0.2% (Belgium, the Netherlands, Denmark, Finland, Ireland, Luxembourg, Sweden and the UK). Conversely, fixing a cap instead of banning for debit cards could result in a situation where current domestic schemes that expand cross border or new entrants increase their fees to the level of the cap, as it happened with the Australian domestic scheme EFTPOS. However, the maturity of EU markets as regards debit cards issuance and usage would need to be carefully investigated if the proposal to entirely abolish interchange fees for debit cards is to be made. The Commission intends to address this issue in the future», European Commission, Commission Staff Working Document, Impact Assessment, cit., pp. 53 - 54.

496

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 496

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

riesame dell’adeguatezza «dei livelli delle commissioni interbancarie e i meccanismi di orientamento» che la Commissione deve effettuare entro il 9.6.2019 ai sensi della clausola generale di revisione di cui all’art. 17 del Regolamento117. 4.1. (Segue): la maggiore flessibilità consentita tramite le opzioni nazionali per i pagamenti con carte di debito e i poteri di “vigilanza informativa” (i principi guida desumibili in materia nella Legge di stabilità 2016). Al di là dell’applicazione prima facie di un approccio UE uniforme, almeno in linea di principio, tra operazioni con carte di debito e quelle con carte di credito in materia di limiti armonizzati alle Interchange fees, tuttavia da una più complessiva analisi del Regolamento risulta una cornice regolatoria che consente in realtà un adeguamento al nuovo regime UE delle prassi negoziali e regolamentari nazionali con una flessibilità e gradualità ben maggiore per le operazioni (nazionali) con carte di debito rispetto a quelle con carte di credito118. Per le operazioni basate su carte di credito gli Stati Membri hanno infatti facoltà – in ogni caso per le sole operazioni “nazionali” – di derogare al massimale dello 0,3% del valore dell’operazione unicamente in senso più restrittivo. Tale limite dello 0,3% basato sul MIT è quindi da considerarsi come l’attuale tetto massimo alle Interchange fees inderogabilmente vigente in tutta la UE per tutte le operazioni basate su carte di credito. Ben più ampie e articolate sono invece le opzioni regolamentari per gli Stati Membri in materia di Interchange fees per le operazioni di pagamento nazionali basate su carte di debito (quali ad esempio in Italia quelle effettuate con le carte del circuito PagoBancomat®)119. Ne risulta

117   In particolare, nella relazione da rendere al Parlamento europeo e al Consiglio sull’applicazione del Regolamento, la Commissione è tenuta ad esaminare specificamente anche «l’eventuale necessità, a seconda degli effetti dell’articolo 3, paragrafo 1, sul valore effettivo delle commissioni interbancarie per le operazioni tramite carta di debito di valore medio e alto, di rivedere detto paragrafo stabilendo che il massimale debba essere limitato all’importo inferiore tra 0,07 EUR e lo 0,2 % del valore dell’operazione» (art. 17, par. 1, lett. k), del Regolamento). 118   D’altronde, il Regolamento «intraprende per la prima volta l’armonizzazione delle commissioni interbancarie in un contesto in cui gli schemi di carte di debito e le commissione interbancarie presentano notevoli differenze» da cui la necessità e la legittimità di lasciare un’adeguata e differenziata flessibilità nel processo di adeguamento dei mercati e degli ordinamenti nazionali (cfr. considerando n. (23) del Regolamento). 119   Cfr. Baessato, Le carte di credito, cit., pp. 876 e ss.

497

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 497

06/11/17 17:41


Saggi

che per tali operazioni nazionali il livello massimo delle Interchange fees per singola operazione può variare da uno Stato Membro all’altro anche in modo ampio e significativo, potendo in alcuni casi risultare sensibilmente superiore al massimale armonizzato dello 0,2 % del valore della singola operazione che rimane quindi la soglia massima inderogabile delle Interchange fees vigente in tutta la UE “solo” per le operazioni della specie aventi natura “transfrontaliera”120. Anche a fronte di ciò è stato quindi stabilito che entro il 9.6.2019 la Commissione europea deve provvedere a (ri)esaminare specificamente «gli effetti sul mercato delle disposizioni speciali per le commissioni interbancarie sulle operazioni nazionali tramite carta di debito» recate dal Regolamento, proponendo se del caso le opportune modifiche (art. 17, par. 1, lett. h), del Regolamento). In particolare, al precipuo scopo di evitare impatti negativi sull’elevato grado di efficienza raggiunto in alcuni mercati nazionali delle carte di debito, in cui il livello delle Interchange fees risulta inferiore a quello di “indifferenza per l’esercente” stabilito in base al MIT121, agli Stati Membri è innanzitutto sempre consentito di stabilire per le operazioni “nazionali” con carta di debito un massimale per singola operazione alle Interchange fees inferiore a quello armonizzato dello 0,2%. A differenza però del caso delle carte di credito, è qui prevista espressamente anche la possibilità di stabilire tale massimale sotto forma di “importo massimo fisso di commissione” (cfr. art. 3 par. 2, lett. a), del Regolamento); ciò sia per tenere così meglio conto della diversa struttura dei mercati e delle prassi “domestiche”, sia per promuovere, ad esempio, l’uso delle carte di debito per effettuare “micropagamenti”122. In alternativa gli Stati Membri possono consentire ai prestatori di servizi di pagamento di applicare Interchange fees per singola operazione “nazionale” con carta di debito anche superiori alla soglia UE dello 0,2 % del valore dell’operazione, a condizione però che sia comunque garantito che l’importo complessivo (annuo) delle Interchange fees applicate

120

Variazioni molto marcate del livello delle Interchange fees per le operazioni nazionali con carte di debito sono, ad esempio, possibili soprattutto fino al 9.12.2020 laddove gli Stati Membri esercitino la facoltà prevista dall’art. 3, par. 3, del Regolamento, di consentire l’applicazione di un massimale alle Interchange fees riferito non al valore della singola operazione di pagamento, ma al «valore medio annuo» dei pagamenti della specie all’interno del relativo schema. 121   Considerando n. (21) del Regolamento. 122   Considerando n. (22) del Regolamento.

498

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 498

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

all’interno di un determinato schema di carte non superi lo 0,2 % del valore totale annuo delle operazioni “nazionali” effettuate tramite carta di debito all’interno dello stesso schema. In particolare, ai sensi dell’art. 3, par. 2, lett. b), del Regolamento, per le operazioni “nazionali” con carta di debito, gli Stati Membri possono consentire di applicare una Interchange fee fissa per singola operazione non superiore a 0,05 Euro123, che può essere combinata con un’ulteriore componente commissionale stabilita a percentuale (in ogni caso non superiore allo 0,2%, da intendersi verosimilmente riferito, pur nella imprecisione del testo normativo, al valore dell’operazione stessa), a condizione però che la somma delle Interchange fees del relativo schema di carte (in un determinato anno) non superi il limite dello 0,2 % del valore totale annuo124 delle operazioni “nazionali” tramite carta di debito all’interno dello stesso schema di carte. Infine, coerentemente con il suddetto policy approach di consentire in questo specifico ambito un processo di armonizzazione più flessibile e progressivo rispetto a quello stabilito per le carte di credito125, Interchange fees d’importo anche sensibilmente superiore al massimale UE dello 0,2% del valore della singola operazione di pagamento potrebbero, infatti, continuare ad essere applicate per le operazioni di pagamento nazionali con carta di debito laddove gli Stati Membri esercitino l’ulteriore opzione prevista dall’art. 3, par. 3, del Regolamento di consentire (in ogni caso solo fino al 9.12.2020) che le clausole dei relativi schemi stabiliscano l’applicazione a tali operazioni, ed esse soltanto, di una «commissione interbancaria media ponderata» soggetta ad un massimale riferito, non al valore della singola operazione di pagamento, quanto piuttosto al «valore medio annuo»126 di tutti i

123   Importo questo che per gli Stati membri la cui moneta non è l’euro deve essere ragguagliato al tasso di cambio con la relativa valuta nazionale vigente alla data dell’8.6.2015 e da rivedere poi ogni cinque anni oppure «ogniqualvolta vi sia una variazione significativa dei tassi di cambio». 124   Per quanto riguarda i termini e le modalità per il calcolo di tale valore annuo è da assumere che trovino applicazione le regole stabilite nel par. 4 dell’art. 3 del Regolamento, in cui però l’erroneo rinvio a un inesistente par. 1-bis dello stesso articolo pare doversi intendere, anche sulla base di quanto indicato nelle versioni in lingua inglese e francese del Regolamento, come in realtà effettuato al par. 2 dello stesso art. 3. 125   Cfr. considerando n. (23) del Regolamento. 126   Anche in questo caso si è dell’avviso che il rinvio nel par. 4, dell’art. 3, del Regolamento all’inesistente par. 1-ter stesso articolo debba essere inteso come effettuato al relativo par. 3, secondo quanto indicato supra alla nota n. 124.

499

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 499

06/11/17 17:41


Saggi

pagamenti della specie effettuati all’interno dello stesso schema127. Appare in questo modo consentita una ben più ampia possibilità di differenziazione dei massimali delle Interchange fees tra diverse categorie di pagamenti, utile ad esempio a promuovere l’utilizzo delle carte di debito per quelle categorie di pagamenti in cui prevale un elevato uso del contante (es. pagamenti di piccolo importo). Pur se non previsto in modo esplicito parrebbero ad esempio non in contrasto con la ratio e il contenuto del Regolamento, e quindi lecite, eventuali norme nazionali e clausole contrattuali che, fermo il rispetto del “massimale medio ponderato” di volta in volta applicabile, prevedano l’applicazione di una Interchange fees media ponderata sia in misura fissa che a percentuale, ovvero attraverso una combinazione delle due128. Per quanto riguarda l’Italia, alcuni principi di fondo relativi all’attuazione del Regolamento sono stati da ultimo definiti nel comma 900, dell’art. 1, della Legge di stabilità 2016129, il quale – nel modificare l’art. 15 del c.d. “decreto crescita 2.0”130 – ha disposto che con decreto inter-ministeriale131 devono essere stabilite le norme e le misure necessarie «ad assicurare la corretta e integrale applicazione [… del Regolamento, …] esercitando in particolare le opzioni di cui all’articolo 3 del regolamento stesso» e avendo riguardo al perseguimento del fine – espressamente codificato quindi in materia con le relative implicazioni in punto di finalizzazione dell’azione amministrativa nel rispetto del “principio di legalità”132 – di «promuovere l’effettuazione di operazioni

127

In particolare, fino al 9.12.2020 gli Stati membri rimangono liberi di consentire ai prestatori di servizi di pagamento di «applicare una commissione interbancaria media ponderata non superiore all’equivalente dello 0,2% del valore medio annuo di tutte le operazioni nazionali tramite carta di debito all’interno di ciascuno schema di carte di pagamento», nonché di stabilire eventualmente anche un “massimale medio ponderato” inferiore. 128   Cfr. considerando n. (23) del Regolamento. 129   Cfr. Legge 28 dicembre 2015, n. 208, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. 130   Cfr. Decreto-legge 18.10.2012, n. 179, recante «ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», convertito, con modificazioni, dalla legge 17.12.2012, n. 221. 131   In particolare, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto col Ministero dello sviluppo economico, sentita la Banca d’Italia. 132   Cfr. ex multis: Fois, Legalità (principio di), in Enciclopedia del diritto, Vol. XXIII, Milano, 1973, pp. 659-703; Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2011, pp. 59-60; Bartolini e Pioggia, La legalità dei principi di diritto amministrativo e il principio di legalità, in Studi sui principi del diritto amministrativo, a cura di Renna e Saitta, Milano, 2012, pp. 79-90; Cassese, Il diritto amministrativo e i suoi principi, in

500

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 500

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

di pagamento basate su carta di debito o di credito e in particolare per i pagamenti di importo contenuto, ovvero quelli di importo inferiore a 5 euro»133. Inoltre, è stato nell’occasione altresì disposto che i prestatori di servizi di pagamento, i gestori di schemi di carte e ogni altro soggetto che interviene nell’effettuazione di un pagamento mediante carta (inclusi quindi, è da assumere, anche i soggetti incaricati del processing e gli altri prestatori di servizi tecnici) sono tenuti ad applicare dal canto loro tutte «le regole e le misure, anche contrattuali, necessarie ad assicurare l’efficace traslazione degli effetti delle disposizioni del [… suddetto decreto inter-ministeriale …], tenuto conto della necessità di assicurare trasparenza, chiarezza ed efficienza della struttura delle commissioni e la loro stretta correlazione e proporzionalità ai costi effettivamente sostenuti dai prestatori di servizi di pagamento e dai gestori di circuiti e di schemi di pagamento, nonché di promuovere l’efficienza dei circuiti e degli schemi di riferimento delle carte nel rispetto delle regole di concorrenza e dell’autonomia contrattuale delle parti»134. A fronte di questi casi in cui è lasciata discrezionalità agli Stati Membri di stabilire un regime regolamentare alternativo delle Interchange fees per le operazioni nazionali tramite carta di debito, rispetto all’applicazione sic et sempliciter del solo massimale armonizzato per operazione dello 0,2% (come è invece obbligatorio per le operazioni transfrontaliere), per altro verso è contestualmente disposta un’armonizzazione del profilo istituzionale dei controlli sulla “corretta applicazione” delle disposizioni di cui ai parr. 3 e 4 dell’art. 3 del Regolamento. Ciò secondo quanto pare doversi intendere anche in base al confronto del testo in lingua inglese e francese del par. 5 dell’art. 3, del Regolamento, stante il rinvio nel testo italiano ad inesistenti parr. 1-bis e 1-ter.

Istituzioni di diritto amministrativo, a cura di Cassese, Milano, pp. 9-13; De Leonardis, I principi generali dell’azione amministrativa, in L’azione amministrativa, a cura di Romano, Torino, 2016, pp. 11 e ss.; Rossi, Principi di diritto amministrativo, Torino, 2015, pp. 87-90; D’Alberti, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2013, pp. 37-38; Tucci, L’amministrazione tra pubblico e privato e il principio di legalità dall’antichità ai giorni nostri. Aspetti ricostruttivi e prospettive di sviluppo, Milano 2008, passim; Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001, passim. 133   Cfr. art. 15, co. 4-bis del d.l. 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.12.2012, n. 221. 134   Cfr. art. 15, co. 4-ter del d.l. 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17.12.2012, n. 221.

501

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 501

06/11/17 17:41


Saggi

Nei casi di esercizio delle opzioni nazionali di cui ai parr. 2 e 3 dell’art. 3 del Regolamento, le Autorità nazionali che ai sensi dell’art. 13 del Regolamento devono essere incaricate da ciascuno Stato Membro di assicurare il rispetto delle disposizioni del Regolamento nel suo complesso sono infatti tenute (anche) ad esercitare direttamente nei confronti degli schemi di carte e dei relativi issuers e acquirers appositi poteri di “vigilanza informativa” sugli aspetti e secondo le modalità stabiliti però in via armonizzata al par. 5 dell’art. 3 del Regolamento135. Per ogni altra informazione ritenuta “utile” a consentire alle stesse Autorità di verificare più in generale il rispetto delle norme sulle Interchange fees di cui al Capo II del Regolamento, lo stesso art. 3, par. 5 stabilisce invece che la disciplina delle relative modalità di “vigilanza informativa” è rimessa alla discrezione delle medesime Autorità (salva però, sembrerebbe, la necessità che le richieste d’informazioni siano formulate sempre per iscritto). A tali Autorità è in ogni caso direttamente attribuito, ai sensi del Regolamento, anche il potere di esigere che “tali informazioni siano certificate da un revisore indipendente”. Una possibilità questa che trova la sua ratio nel fatto che le informazioni possono dover essere fornite anche da parte degli schemi di carte di pagamento che “in genere non sono prestatori di servizi di pagamento soggetti a vigilanza prudenziale” 136. Anche con riguardo a tale profilo istituzionale dei controlli, in Italia è stato da ultimo stabilito che ebba essere disposta «la designazione della Banca d’Italia quale autorità competente per lo svolgimento delle funzioni previste dal [… Regolamento ...] e dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato quale autorità competente a verificare il rispetto degli obblighi posti dal medesimo regolamento in materia di pratiche commerciali» (art. 1, co. 900, Legge di stabilità 2016).

135

Come espressamente considerato al riguardo (cfr. considerando n. (24) del Regolamento) è ritenuto opportuno che le Autorità nazionali abbiano il potere di «raccogliere informazioni concernenti il volume e il valore di tutte le operazioni tramite carta di debito nell’ambito di uno schema di carte di pagamento o delle operazioni tramite carta di debito relative a uno o più prestatori di servizi di pagamento». Inoltre, è considerato opportuno che le Autorità competenti abbiano anche il potere di disporre che le informazioni ad esse necessarie siano «raccolte attraverso lo schema di carte di pagamento», così da semplificare l’opera di raccolta e aggregazione delle informazioni. 136   Cfr. considerando n. (24) del Regolamento.

502

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 502

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

4.2. (Segue): il trattamento regolamentare delle operazioni ibride basate su c.d. “carte universali” e la nozione allargata di “commissione interbancaria” per finalità antielusive. Ciò posto, in concreto non è però sempre possibile distinguere quando certe operazioni di pagamento siano basate su carta di credito oppure su carta di debito. In particolare, per alcuni strumenti di pagamento nazionali basati su carte, quali ad esempio le c.d. “carte universali”, le scelte operate al riguardo dal soggetto pagatore al momento dell’effettuazione del pagamento possono non essere note né allo schema della carta utilizzata né al relativo acquirer. In questi casi la questione giuridica preliminare sotto il profilo regolamentare è rappresentata quindi dal fatto che «gli schemi di carte di pagamento non hanno la possibilità di applicare i diversi massimali imposti dal [… Regolamento …] per le operazioni tramite carta di debito e tramite carta di credito»137 (le quali rimangono nel caso distinguibili sulla “base dei tempi concordati per l’addebito delle operazioni di pagamento”)138. La scelta di policy effettuata a livello UE in ordine al trattamento regolamentare da doversi applicare alle operazioni di pagamento nazionali basate su tali “carte universali” è stata quindi quella di ritenere opportuno assoggettare iuris et de iure le operazioni delle specie alla stessa cornice normativa stabilita dal Regolamento per le carte di debito o le operazioni nazionali basate su carte di debito (art. 16, par. 1, del Regolamento)139. Tuttavia, per consentire anche in materia l’opportuna flessibilità e gradualità dell’intervento di armonizzazione, gli Stati membri possono temporaneamente stabilire (i.e. solo fino al 9.12.2016) che una quota, comunque non superiore al 30%, delle operazioni di pagamento nazionali basate su “carte universali” (dal punto di vista del relativo schema) siano considerate equivalenti, in punto di trattamento regolamentare, non alle operazioni con carte di debito, bensì a quelle tramite carta di credito cui si applica il massimale sulle Interchange fees stabilito all’art. 4 del Regolamento (cfr. art. 16, par. 2, del Regolamento). Questioni attinenti al corretto inquadramento giuridico di fattispecie

137

Cfr. considerando n. (25) del Regolamento. Cfr. considerando n. (25) del Regolamento. 139   Tale scelta è stata basata sulla necessità «di preservare la funzionalità dei modelli commerciali esistenti, evitando così costi di conformità giuridica ingiustificati o eccessivi e considerando al contempo l’importanza di garantire un’adeguata parità di condizioni tra le diverse categorie di carte di pagamento» (considerando n. (25) del Regolamento). 138

503

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 503

06/11/17 17:41


Saggi

ibride o atipiche sussistono anche con riguardo alla nozione stessa di “commissione interbancaria” cui dover fare riferimento al fine della corretta compliance con i limiti armonizzati alle commissioni della specie stabiliti ai sensi del Regolamento. In particolare, al primario scopo di evitare che tramite l’autonomia contrattuale delle parti possano essere attuate facili elusioni delle prescrizioni sui massimali alle “commissioni interbancarie” di cui agli artt. 3 e 4 del Regolamento, l’art. 5 del Regolamento opportunamente stabilisce – con disposizione da ritenersi tuttavia particolarmente opportuna e utile anche a evitare il rischio di creare ostacoli, distorsioni negli incentivi o comunque rigidità di tipo regolamentare allo sviluppo tecnologico o di modelli di business alternativi nel mercato dei pagamenti con carte – che allo specifico fine dell’applicazione dei suddetti massimali (e quindi con norma che pare non suscettibile di applicazione analogica al di fuori di tale ambito e scopo) qualunque forma e tipo di “remunerazione concordata” diretta o indiretta, inclusa anche la c.d. “compensazione netta” (quando non sia già da considerare come facente parte della “commissione interbancaria” ai sensi della sua già ampia nozione risultante dal disposto dell’art. 2, par. 1, nn. 10 e 11), del Regolamento), deve comunque essere considerata di diritto come parte della “commissione interbancaria” quando risulta che tale remunerazione, commissione, pagamento o incentivo (i) è corrisposto in favore di un issuer da parte di uno schema di carte di pagamento, da un acquirer o da terzi «in relazione [… a…] operazioni di pagamento o ad attività correlate» e inoltre (ii) ha «oggetto o effetto analogo» alla commissione interbancaria140.

140

In particolare, risulta che nel «calcolare la commissione interbancaria, al fine di stabilire se vi è stata elusione, si dovrebbe tener conto dell’importo totale dei pagamenti o degli incentivi ricevuti dall’ emittente da uno schema di carte di pagamento in relazione alle operazioni regolamentate meno la commissione pagata dal prestatore di servizi di pagamento emittente allo schema. I pagamenti, gli incentivi e le commissioni presi in considerazione possono essere diretti (ossia basati sul volume o specifici per ogni operazione) o indiretti (tra cui incentivi di marketing, bonus, sconti per determinati volumi di operazioni). Al momento di verificare se vi sia elusione delle disposizioni del […] regolamento, è opportuno tener conto in particolare degli utili realizzati dagli emittenti grazie a programmi speciali condotti congiuntamente da emittenti e schemi di carte di pagamento nonché del reddito che gli schemi di carte di pagamento traggono da servizi di trattamento, licenze e altri compensi. Ove opportuno e se confermato da ulteriori elementi oggettivi, al momento di valutare se vi sia stata elusione del presente regolamento, si potrebbe anche tenere conto dell’emissione di carte di pagamento in paesi terzi» (considerando n. (31) del Regolamento).

504

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 504

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

Un effetto quest’ultimo che, in mancanza di più precise indicazioni normative, può essere tipicamente individuato, sulla base di quanto sopra osservato, in quello di realizzare nell’ambito di un determinato schema di carte una redistribuzione dei costi, e quindi del surplus, tra i versanti dell’issuing e dell’acquiring, e quindi anche tra merchants e cardholders, allo specifico scopo di coprire i costi di emissione delle carte o comunque di remunerare gli issuers nella misura necessaria, almeno in linea di principio, a massimizzare il valore generato dallo schema nel suo complesso dal punto di vista dei membri dallo schema stesso141.

5. Gli altri principali elementi di regolamentazione “strutturale” del “mercato interno”: (a) i limiti di ordine pubblico economico “di direzione” alle clausole di restrizione territoriale e (b) gli obblighi di separazione tra schemi e servizi di processing. Altre disposizioni del Regolamento che intervengono a conformare la struttura del “mercato interno” dei pagamenti con carte sono quelle di cui al Capo II del Regolamento (sulle c.d. “regole commerciali”) relative, da un lato, alle restrizioni, agli obblighi e ai requisiti contrattuali per lo svolgimento delle attività di issuing o acquiring aventi carattere “territoriale” (cfr. art. 6) e, dall’altro, ai profili dell’indipendenza, autonomia, assenza di discriminazioni e accessibilità nella prestazione dei servizi di processing delle operazioni di pagamento basate su carte (art. 7). Con riferimento al primo aspetto, l’art. 6 del Regolamento stabilisce dei divieti, assoluti (i.e. senza eccezioni) e indisponibili dall’autonomia delle parti, di prevedere nelle regole degli schemi di carte e negli accordi di licenza per le relative attività di issuing o di acquiring pattuizioni che (i) determinano «restrizioni territoriali nell’Unione e regole aventi effetto equivalente», oppure che (ii) stabiliscono «requisiti e obblighi per l’ottenimento della licenza o dell’autorizzazione specifica per paese al fine di

141

Come osservato, infatti, tipicamente «the interchange fee in a four-party scheme is set by the card association, which is generally owned by the issuers and acquirers, both also being represented in the association’s board. The prices set to maximise total profits may not be the same as those that maximise the profits of the scheme’s individual members, i.e. the issuers and acquirers. […] When setting its interchange fees, the card scheme […] take into account the price elasticity of issuing banks. […] This elasticity can be very marked and may induce issuing banks to switch to another card provider with higher interchange fees», Börestam e Schmiedel, Interchange, cit., p. 12.

505

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 505

06/11/17 17:41


Saggi

operare a livello transfrontaliero e le regole aventi effetto equivalente», le quali nel nuovo ordine giuridico del mercato sembrano pertanto da ritenersi nulle ex art. 1418, co. 1, c.c.. Ne risulta così un sistema di divieti che assolve ad una funzione di “ordine pubblico” economico “di direzione”142 di promuovere una maggiore concorrenza cross-border nell’offerta di servizi di issuing e acquiring, stabilendo nello specifico le premesse (anche grazie all’effetto combinato dei nuovi limiti alle Interchange fee) per la nascita di un vero mercato interno del “convenzionamento transfrontaliero”, in cui i merchants possano effettivamente avvalersi anche di acquirers di altri Stati Membri e questi ultimi si facciano libera concorrenza tra di loro, proprio grazie all’assenza di indebite restrizioni contrattuali nella definizione delle condizioni alle quali prestare i servizi di acquiring nei “territori” dei diversi Stati Membri. Tra queste rilevano in primis proprio quelle clausole, fin ora invece diffusamente utilizzate, che impongono agli acquirers di applicare sempre la commissione interbancaria territorialmente riferita allo Stato Membro in cui è “localizzato” il “punto vendita”143 del merchant presso cui è effettuata l’operazione di pagamento con carta144. Funzioni e obiettivi questi che concorrono a far propendere anche

142

Sulla nozione di ordine pubblico economico di direzione e le differenze rispetto a quelle di ordine pubblico economico di protezione e di ordine pubblico in genere cfr. D’Amico, L’abuso di autonomia negoziale nei contratti dei consumatori, in Nullità per abuso ed integrazione del contratto, a cura di D’Amico e Pagliantini, Torino, 2013, pp. 36-38. Di Marzio, La nullità del contratto, Padova, 2008, p. 370; Gentili, Invalidità e regole dello scambio, in Le invalidità nel diritto privato, a cura di Bellavista e Plaia, Milano, 2011, pp. 123-124. La nozione di ordine pubblico economico di direzione è utilizzata in questa sede per porre l’enfasi sul fatto che mentre «l’ordine pubblico economico di protezione comprende tutte quelle misure atte a ristabilire tre la parti contraenti l’equilibrio tra i vantaggi e i sacrifici che non sarebbe altrimenti garantito in un sistema di piena libertà contrattuale, l’ordine pubblico economico di direzione include tutte le misure determinate dall’interesse generale, dall’interesse comune della collettività, da una migliore organizzazione dell’economia», Cataudella, Contratto di lavoro e nullità parziale, Milano, 2008, pp. 82-83. 143   Quale definito all’art. 2, par. 1, n. 29), del Regolamento. Cfr. supra nota n.102. 144   In particolare risulta che i merchants non sono stati fin ora in grado di superare le marcate differenze nelle Interchange fees applicate in ambito UE servendosi di acquirers di altri Stati membri, anche in quanto le regole degli schemi tipicamente «prescrivono l’applicazione della commissione interbancaria del «punto vendita» (paese dell’esercente) per ogni operazione di pagamento, [… impedendo così agli acquirers …] di offrire i loro servizi a livello transfrontaliero [… e …] agli esercenti di ridurre, a vantaggio dei consumatori, i costi sostenuti per i pagamenti» (Considerando n. (11) del Regolamento).

506

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 506

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

per il riconoscimento a tutti gli effetti della “natura imperativa”145 delle norme che enunciano i suddetti divieti, da cui la radicale nullità ex art. 1418, co. 1, c.c. delle clausole contrattuali con queste in contrasto, in quanto «gli effetti contrattuali vietati andrebbero a ledere direttamente gli interessi protetti»146 dalle norme stesse, tra cui appunto rileva innanzitutto quello dell’eliminazione di alcuni ostacoli contrattuali (giudicati impropri) all’effettivo sviluppo nell’UE di un’offerta di servizi di acquiring a livello transfrontaliero, da cui si attende in definitiva, attraverso la maggiore concorrenza così promossa, una riduzione del costo dei servizi di pagamento della specie e/o un incremento della loro qualità. In materia di disciplina dell’attività di processing dei pagamenti basati su carte, il principale obiettivo di policy perseguito col Regolamento è quello della realizzazione di un effettivo unbundling (almeno funzionale) tra gestione degli schemi di carte a “quattro parti” (inclusi quelli da considerarsi tali di diritto)147 e la diversa, benché strumentale, attività di prestazione di servizi di processing dei pagamenti basati sulle relative carte. Ciò al fine di promuovere, anche in questo ambito, lo sviluppo di un efficiente mercato paneuropeo dei servizi di processing, in cui operino prestatori di servizi indipendenti (in primis rispetto agli schemi di carte) tra loro in effettiva e leale concorrenza. L’imposizione di un obbligo di separazione tra schemi di carte e incaricati del processing delle relative operazioni secondo una logica di regolamentazione strutturale del mercato vale a “codificare” in quest’ambito quello che è un antitrust remedy tipicamente utilizzato anche a livello UE nei settori liberalizzati e/o regolamentati per assi-

145   Sulla questione della qualificazione come imperativa o no della natura di una norma si rinvia a ex multis, D’Amico, Nullità non testuale, in Enc. dir., Annali, Vol. 4, Milano, 2011, pp. 798 e ss.; De Nova, Il contratto. Dal contratto atipico al contatto alieno, Padova, 2011, pp.257 e ss.; Di Marzio, La nullità del contratto, Padova, 2008, pp. 324 e ss. (sulla natura imperativa delle norme “comunitarie” in particolare cfr. p. 430); Galgano, Tratt. dir. civ., II, Padova, 2009, pp. 315 e ss.; Russo, L’interpretazione dei testi normativi comunitari, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2008, pp. 161 e ss.; Rabitti, Commento sub art. 1418, in Commentario del Codice Civile, diretto da Gabrielli, Dei Contratti un generale, a cura di Navarretta e Orestano, Torino, 2912, pp. 540 e ss.; Mirello, La nullità virtuale, in Le monografie di Contratto e Impresa, n. 138, Padova, 2010, pp. 3 e ss. 146   Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2011, p. 701. 147   Cfr. art. 1, par. 5, e art. 2, par. 1, n. 18, del Regolamento.

507

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 507

06/11/17 17:41


Saggi

curare la neutralità dell’accesso a facilities essenziali, o in generale la separazione tra la gestione di infrastrutture e la prestazione di servizi che si basano su di esse (come nel caso dei settori delle utilities e di quelli basati sulla gestione di reti di vario tipo)148. In questo caso tale obbligo trae la sua ratio dalla considerazione che i costi del processing «rappresentano una quota significativa del costo totale di accettazione delle carte […, da cui la ritenuta fondamentale importanza a livello UE che anche … ] tale parte della catena di valore sia aperta alla concorrenza effettiva»149, con i conseguenti auspicati guadagni di efficienza. Attualmente invece la concorrenza è ritenuta falsata, dal fatto che gli schemi di carte offrono tipicamente anche propri servizi di processing per le rispettive carte che presentano il grande vantaggio di assicurare la interconnessione di tutti gli issuers e acquirers associati allo schema stresso (c.d. “default scheme processing infrastructure”)150. Ciò consente in pratica agli schemi di sfruttare una posizione di determinante vantaggio competitivo, o addirittura “dominante”, e di porre eventualmente in essere discriminazioni di vario tipo151 in danno di altre imprese intenzionate a prestare servizi di processing alternativi a quelli degli schemi, magari anche più efficienti o innovativi152. Coerentemente con tale ratio il Regolamento dispone quindi innanzitutto (art. 7, par. 1, lett. a)) che gli schemi di carte di pagamento e i soggetti incaricati del processing devono essere indipendenti tra loro “sotto i profili contabile, organizzativo e decisionale”, da cui è dato quindi intendere che questi sono obbligati ad attuare e mantenere “solo” mec-

148

Cfr. Cardi, Mercati e Istituzioni in Italia: Diritto pubblico dell’economia3, Torino, 2014, pp. 182 e ss.; Di Porto, La disciplina delle reti nel diritto dell’economia, Padova, 2008, pp. 99 e ss.; Aicardi, Energia, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da Chiti e Greco, Parte Speciale, Tomo I , Milano, 2007, pp. 1040 e ss. 149   Considerando n. (33) del Regolamento. 150   Cfr. European Banking Authority, Consultation Paper, Draft Regulatory Technical Standards, cit., p. 5. 151   Ad esempio una «possible form of discrimination is to put processing competitors at a disadvantage when pricing the access to the scheme infrastructures. Discrimination can also be non-pricing related, and takes the form for example of giving preference to the requirements of internal operations compared with those of processing competitors when establishing the conditions of access to the infrastructure» European Banking Authority, Consultation Paper, Draft Regulatory Technical Standards, cit., p. 5. 152   Cfr. European Banking Authority, Consultation Paper, Draft Regulatory Technical Standard, cit., pp. 22-23.

508

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 508

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

canismi e processi di separazione “funzionale”, e non necessariamente “strutturale”, tra le attività da essi svolte153. Fermo restando che ai sensi dell’art. 18, par. 2 del Regolamento tali obblighi di indipendenza si applicano comunque automaticamente a partire dal 9.6.2016, anche al fine di evitare applicazioni non omogenee, all’European Banking Autority (EBA) è stato demandato il compito di definire dei requisiti e condizioni minimi che gli schemi di carte e le “processing entities” devono rispettare al fine di assicurare la corretta, coerente e armonizzata attuazione di tale principio di indipendenza, provvedendo in particolare a elaborare apposite “Norme Tecniche di Regolamentazione” (NTR) da adottarsi però poi da parte della Commissione Europea (ai sensi degli artt. 10-14 del Regolamento (UE) n. 1093/2010)154, secondo uno schema di produzione normativa ormai ampiamente utilizzato a livello di regolamentazione finanziaria UE e giustificato essenzialmente dalla necessità di rispettare i limiti legali alla delega ad Agenzie UE di poteri di rule makling o comunque di decisioni strategiche o scelte politiche secondo la c.d. Meroni doctrine155.

153

Sulle relative differenze cfr. Congedo, Separazione funzionale o strutturale nelle industrie regolate? I vincitori non puniscono; possibilmente cooperano (e innovano), in Concorrenza e Mercato, n. 1672008, pp. 375 e ss. 154   Cfr. Regolamento (UE) n. 1093/2010 del Parlamento europeo e del consiglio del 24 novembre 2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/78/CE della Commissione. 155   Sul punto si veda ex multis: Busuioc, Rule-Making by the European Financial Supervisory Authorities: Walking a Tight Rope, in European Law Journal, Vol. 19, No. 1, January 2013, pp. 111-125; Napolitano, L’Agenzia dell’energia e l’integazione regolatoria europea, in La regolazione dei mercati di settore tra autorità indipendenti nazionali e organismi europei, a cura di Bilancia, Milano, 2012, pp. 167 e ss.; Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano, 2011, pp. 314-315; Chiti, Le agenzie europee: unità e decentramento nelle amministrazioni comunitarie, Padova, 2002, passim; Hofmann, Rowe, Türk, Administrative law and policy of the European Union, pp. 241 e ss.; Dehousse, Misfits: EU law and the transformation of European governance, Jean Monnet Working Paper 2/02, New York University School of Law, 2002, pp. 11 e ss.; Dehousse, The Politics Of Delegation In The European Union, in AA.VV., Independence and Legitimacy in the Institutional System of the European Union, edited by Ritleng, Oxford, 2016, pp. 69 e ss.; Lelieveldt e Princen, The Politics of the European Union, Cambridge, 2015, pp. 270-271; Hatzopoulos, From Hard to Soft: Governance in the EU Internal Market, in Cambridge Yearbook of European Legal Studies, Vol. 15 (2012-2013), edited by Barnard, Albors-Llorens, Gehring, Schütze, 2013, pp. 130 – 131; Kosta, Fundamental Rights in EU Internal Market Legislation, 2015, pp. 79 e ss.; Peterson – Shackletonp, The Institutions of the European Union, Oxford, 2012, p. 228; Schütze, European Constitutional Law, Cambridge, 2016, pp. 325-327.

509

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 509

06/11/17 17:41


Saggi

Rimangono invece estranei ai poteri e ai compiti dell’EBA la vigilanza sull’applicazione di tali NTR in quanto gli schemi di carte, i prestatori di servizi di processing e le relative Autorità di vigilanza non ricadono nell’ambito di applicazione dei poteri dell’EBA stessa. Ciò posto l’EBA ha da ultimo sottoposto a consultazione pubblica (chiusasi l’8.3.2016) un primo “progetto” di NTR in materia156 da cui risulta innanzitutto confermato che l’obbligo d’indipendenza di cui all’art. 7, par. 1, lett. a), del Regolamento deve essere inteso nel senso di prescrivere l’attuazione di una separazione “solo” funzionale tra l’attività core degli schemi (da individuarsi ai sensi dell’art. 2, par. 1, n. 16) del Regolamento) e quelle invece accessorie di processing, ossia che «[p]ayment card schemes and processing entities shall be, at a minimum, organised in two separate business units» (cfr. art. 7 delle NTR). Tale obbligo d’indipendenza non deve quindi essere inteso nel senso d’imporre financo una separazione legale e/o strutturale tra gli schemi e la propria «processing entity», ma neanche al tempo stesso d’impedire agli schemi di offrire servizi di processing attraverso un soggetto strutturalmente e/o legalmente distinto incaricato di assolvere alle funzioni di «default scheme processing infrastructure», fermo restando in ogni caso il divieto di riconoscere a quest’ultimo un qualsiasi trattamento preferenziale a scapito di fornitori alternativi di servizi di processing157. Utili indicazioni di dettaglio sono altresì fornite nelle NTR con riferimento alla specificazione dei diversi aspetti sotto cui tale indipendenza deve essere mantenuta: i.e. contabile, organizzativa e decisionale158.

156   Cfr. European Banking Authority, Consultation Paper, Draft Regulatory Technical Standards, cit. 157   Cfr. European Banking Authority, Consultation Paper, Draft Regulatory Technical Standards, cit., p. 10. 158   In estrema sintesi le NTR stabiliscono al riguardo che gli schemi e le “processing entities” debbano: rendere disponibili, almeno annualmente, alle Autorità di vigilanza le informazioni contabili e una nota integrativa, verificate da un revisore indipendente, sulla loro situazione contabile e patrimoniale (stabilendo altresì alcuni criteri di allocazione tra le due attività di costi e ricavi e di attività e passività, cfr. artt. 3-6 delle NTR); assicurare un’organizzazione delle rispettive attività quanto meno «in two different business units» (art. 7 delle NTR); separare gli ambienti di lavoro e assicurare l’indipendenza del senior management, degli organi di gestione e del personale, anche attraverso una coerente struttura delle retribuzioni e un’appropriata “mitigazione” dei possibili conflitti d’interessi (cfr. artt. 8-11 e art. 16 delle NTR). Le NTR definiscono inoltre requisiti per l’utilizzo di servizi e sistemi informativi condivisi (artt. 12-13), il trattamento delle informazioni che possano attribuire un vantaggio competitivo (art. 14), l’adozione di codici di condotta interni sul rispetto delle regole d’indipendenza nel caso in cui gli schemi e le relative

510

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 510

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

A rafforzamento di tale principio d’indipendenza tramite separazione funzionale, il Regolamento introduce anche un complementare corpus di regole di conduct of business, di chiara matrice pro-concorrenziale, funzionali ad assicurare un accesso aperto e a condizioni “eque” e “non discriminatorie” sia agli schemi sia ai servizi di processing, stabilendo in particolare: i) il divieto di offrire tariffe in forma aggregata; ii) il divieto di attuare sovvenzioni incrociate tra le due attività; iii) il divieto di discriminazioni, nelle condizioni di erogazione dei rispettivi servizi, tra le proprie controllate e/o azionisti e qualunque altra controparte contrattuale159; iv) il divieto in ogni caso di pratiche contrattuali quali le c.d. “pratiche leganti” o di tying con riguardo alla fornitura di qualsiasi servizio offerto, tipicamente valutate con netto disfavore anche ai sensi delle norme antitrust in senso stretto160 (cfr. art. 7, par. 1, lett. b) e c), del Regolamento). Al fine di stabilire le condizioni per favorire il più possibile la concorrenza, l’innovazione e l’interoperabilità nel mercato dei servizi di processing, il Regolamento prescrive inoltre che gli schemi devono (i) strutturare le proprie regole di funzionamento e gli accordi contrattuali con terzi nel senso di rendere nel caso possibile anche il processing separato e distinto dei messaggi di autorizzazione e di quelli di compensazione delle singole operazioni di pagamento (cfr. par. 3 dell’art. 7, del Regolamento), nonché (ii) astenersi dall’adottare o applicare regole commerciali che limitino l’interoperabilità tra soggetti incaricati del processing operanti nell’UE (cfr. par. 5 dell’art. 7, del Regolamento). Allo specifico scopo di

“processing entities” appartengano allo stesso gruppo o alla stessa società (art. 15) e la separazione dei “piani operativi” annuali (art. 17). 159   Tale divieto di discriminazioni implica ad esempio che gli schemi e i soggetti che si occupano del processing non debbano concedersi «reciprocamente un trattamento preferenziale o [… scambiarsi ...] informazioni privilegiate non disponibili ai concorrenti nel rispettivo segmento di mercato, [… imporre …] obblighi eccessivi in materia di informazione ai concorrenti nel rispettivo segmento di mercato, [… attuare …] sovvenzioni incrociate delle rispettive attività o [… concludere …] accordi di governance condivisa». Pratiche discriminatorie della specie contribuiscono infatti «alla frammentazione del mercato, hanno un impatto negativo sull’entrata nel mercato di nuovi operatori e ostacolano l’emergere di operatori paneuropei [...], a scapito degli esercenti, delle imprese e dei consumatori» (considerando n. (33) del Regolamento). 160   Sul punto cfr. Scaglione, Il diritto antitrust, in AA.VV., Diritto privato del mercato, a cura di Palazzo e Sassi, Monografie di Diritto e processo, a cura di Antonio Palazzo, Istituto per gli Studi Economici e Giuridici, “Gioacchino Scaduto”, Università degli Studi di Perugia, Perugia, 2007, pp. 422 e ss.

511

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 511

06/11/17 17:41


Saggi

promuovere poi lo sviluppo di un mercato del processing effettivamente transfrontaliero e di nuovi operatori e modelli di business paneuropei, è infine stabilito, da un lato, (i) il divieto espresso per gli schemi di applicare regole in materia di processing delle operazioni di pagamento effettuate con le relative carte idonee a determinare delle discriminazioni di natura “territoriale”, nonché (come detto) di limitare l’interoperabilità tra soggetti incaricati del processing operanti nell’UE (cfr. art. 7, parr. 4 e 5, del Regolamento), dall’altro, (ii) l’obbligo a carico invece dei soggetti incaricati del processing operanti nell’UE di conformarsi agli standard tecnici (sviluppati da organismi di standardizzazione internazionali o europei) necessari ad assicurare “l’interoperabilità tecnica” dei loro sistemi con quelli di altri soggetti incaricati del processing pure operanti nell’UE (cfr. art. 7, par. 5, del Regolamento).

6. Il complementare corpus di regole di condotta e contrattuali uniformi a tutela della libertà negoziale degli utenti: i diritti al co-badging e alla scelta dei marchi e delle applicazioni di pagamento. L’intervento di armonizzazione realizzato in materia con il Regolamento non si esaurisce, come detto, nella fissazione di limiti uniformi riguardo alle Interchange Fees per le operazioni di pagamento basate su carte ed “eseguite nell’Unione”, ma introduce negli ordinamenti giuridici degli Stati Membri anche un complementare e articolato insieme di divieti e obblighi in materia di contenuto dei contratti e regole di conduct of business che tutelano in via diretta la libertà negoziale dei soggetti pagatori (soprattutto se “consumatori”) e dei merchants da possibili pratiche commerciali e contrattuali scorrette o comunque poco trasparenti. Al riguardo vale tuttavia preliminarmente osservare che il Regolamento stabilisce in questo modo delle norme le cui primarie finalità rimangono in ogni caso quelle di promuovere la concorrenza e lo sviluppo del “mercato interno” e solo in subordine, ovvero strumentalmente a ciò, di prevenire squilibri “normativi” significativi nei rapporti contrattuali o indebiti condizionamenti del “comportamento economico” delle parti. Ciò risulta ad esempio suffragato anche dal fatto che le rilevanti disposizioni del Regolamento sembrano in larga parte “meramente” codificare i principi ricavabili dagli orientamenti assunti dalla Commissione europea con riguardo ai leading cases antitrust in materia di carte di pagamento, in cui specifico oggetto di scrutinio sono state infatti anche le business rules degli schemi, ciò soprattutto dal punto di vista della loro idoneità

512

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 512

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

a rinforzare gli effetti (restrittivi) sulla concorrenza delle clausole relative alle Interchange Fees. Circostanza questa che ha fatto si che nell’ambito di tali procedimenti antitrust sia MasterCard® sia Visa® abbiano assunto formali impegni verso la Commissione di modificare le rispettive business rules in senso funzionale a promuovere, appunto, una maggior concorrenza e trasparenza161. Tale ampliamento dell’intervento di armonizzazione anche alle business rules in senso stretto dei servizi di pagamento basati su carte ha inoltre degli importanti riflessi in punto di assetto istituzionale dei controlli e specificamente della corretta ottemperanza da parte degli Stati Membri all’obbligo, di cui all’art. 13 del Regolamento, di designare una o più autorità competenti «incaricate di assicurare il rispetto delle disposizioni del [… Regolamento stesso …], a cui siano attribuiti poteri di indagine e di controllo», prescrivendo altresì che queste «controllino efficacemente la conformità con il [… Regolamento …], anche per contrastare tentativi di elusione del [… Regolamento …] da parte dei prestatori di servizi di pagamento, e adottino tutte le misure necessarie per garantire tale conformità». Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, ciò ha indotto a stabilire che devono essere designate come Autorità a tal fine “competenti” non solo la Banca d’Italia «quale autorità competente per lo svolgimento delle funzioni previste dal regolamento» (ossia in linea di principio quale autorità di vigilanza sui prestatori di servizi di pagamento e sugli schemi), ma anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato «quale autorità competente a verificare il rispetto degli obblighi posti dal medesimo regolamento in materia di pratiche commerciali», ossia è da intendere quale autorità deputata in via generale alla repressione delle “pratiche commerciali scorrette” e delle altre violazioni alle norme del “Codice del Consumo”, di cui al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, in materia di “rapporto di consumo” derivanti dalla inosservanza

161   In particolare, «[u]nder the MasterCard Undertakings and Visa Commitments, the card schemes modified their business rules to promote competition and transparency: – Honour All Cards Rule (HACR) and unbundling. The card schemes would only apply the HACR within a brand and not across brands […]. – Non-discrimination. Merchants would not be prohibited from steering their customers to different payment means […]. – Unblending and publication. The acquiring banks would offer unblended prices (eg MIF + pricing) by default to merchants […]. The card schemes would publish all their MIF rates. – Commercial cards: The schemes would ensure that commercial cards issued in the EEA are visibly and electronically identifiable at POS terminals […]», European Commission, Commission Staff Working Document, Impact Assessment, cit., pp. 107-108.

513

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 513

06/11/17 17:41


Saggi

del Regolamento, con le conseguenti necessarie forme di coordinamento e collaborazione tra le stesse, soprattutto con riferimento alle fattispecie “miste” (art. 1, co. 900, Legge di stabilità 2016). Ciò posto, per assicurare la piena libertà dei soggetti pagatori e, in subordine, di quelli beneficiari di poter scegliere il “most efficient” o comunque “preferred payment type”162 basato su carta, senza che tale scelta sia invece «imposta dal mercato a monte (inclusi schemi di carte di pagamento, prestatori di servizi di pagamento o soggetti che si occupano del trattamento)»163, l’art. 8, par. 1, Regolamento riconosce innanzitutto un vero e proprio diritto incomprimibile degli issuers di emettere c.d. strumenti “multimarchio in co-badging”, ossia di poter includere due o più “marchi di pagamento”164 o due o più “applicazioni di pagamento”165 dello stesso marchio in un medesimo strumento di pagamento basato su carta (cfr. art. 2, par. 1, n. 31, del Regolamento)166, fermo tuttavia il rispetto di specifici obblighi precontrattuali a tutela dei “consumatori”. Laddove un prestatore di servizi di pagamento effettivamente offra il servizio di co-badging, ai “consumatori” (e solo ad essi) è inoltre specularmente riconosciuto il diritto di fruire, ove tecnicamente possibile, del co-badging stesso167 e di ottenere per di più informazioni precon-

162   Cfr. European Commission (Fact Sheet), Antitrust: Regulation on Interchange Fees, Brussels, 9 June 2016, MEMO/16/2162, p. 2. 163   Considerando n. (40) del Regolamento. 164   Ossia il «nome, termine, segno o combinazione di questi, in forma materiale o digitale, in grado di indicare lo schema di carte di pagamento nell’ambito del quale sono effettuate le operazioni di pagamento basate su carta» (cfr. art. 2, par. 1, n. 30), del Regolamento). 165   Intendendosi per tali il «software o equivalente caricato su un dispositivo che permette di disporre operazioni di pagamento basate su carta e che consente al pagatore di impartire ordini di pagamento» (cfr. art. 2, par. 1, n. 21), del Regolamento). 166   In particolare, l’art. 8, par. 1, del Regolamento, stabilisce, con norma che pare avere natura imperativa anche per gli effetti di cui all’art. 1418, co. 1, c.c., un divieto di regole, clausole contrattuali o altre “misure”, di qualsiasi tipo e natura (presumibilmente quindi anche normativo-regolamentari), il cui effetto sia quello di impedire, o anche solo ostacolare, la libertà degli issuers di carte di pagamento di riunire appunto in cobadging in uno stesso strumento di pagamento basato su carta “marchi di pagamento” o «applicazioni di pagamento dello stesso marchio». 167   Al riguardo ci si attende che «[t]he ability to choose the preferred payment type will become even more important going forward, since the Regulation [… n. 751/2015 …] gives consumers the right to require their bank to co-badge their device with all other brands offered as compatible apps (for a wallet) or other card products offered by the bank (for a card). The bank can, however, refuse to offer the customer a given card product (e.g. a premium card)» European Commission (Fact Sheet), Antitrust: Regulation on Interchange Fees, Brussels, 9 June 2016, MEMO/16/2162, p. 2.

514

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 514

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

trattuali “chiare e obiettive” su i marchi disponibili per il co-badging, i rispettivi costi, caratteristiche, funzionalità e livelli di sicurezza. Per altro verso, ogni eventuale diverso trattamento tra issuer e acquirers con riferimento alla possibilità di procedere al co-badging è consentito, e le relative regole degli schemi o clausole dei contratti di licenza considerate quindi legittime, solo a condizione che ciò possa essere “giustificato da ragioni oggettive e non discriminatorie” (art. 8, parr. 2 e 3, del Regolamento). Per assicurare infine che la libertà di scelta del metodo di pagamento garantita dal diritto di co-badging e la conseguente auspicata maggiore concorrenza non siano di fatto surrettiziamente ostacolate tramite pratiche commerciali, obblighi contrattuali, requisiti tecnici e di sicurezza o analoghi strumenti imposti “a monte” della filiera, nei parr. 3-6 dell’art. 8 del Regolamento sono stabiliti una serie di specifici divieti, obblighi e prescrizioni. Innanzitutto è fatto divieto agli schemi di “imporre” a issuers e acquirers (i.e. di prevedere come obbligo contrattuale) degli oneri pecuniari, oppure anche “solo” di reportistica o d’informazione, da applicarsi nei casi di operazioni di pagamento in cui lo schema in questione non è utilizzato pur se presente tra gli schemi co-badged nello strumento con cui tali operazioni sono effettuate. Inoltre è prescritto che tutti i “principi di indirizzamento”, e misure equivalenti, delle operazioni di pagamento “attraverso uno specifico canale o processo”, nonché “le norme e i requisiti tecnici e di sicurezza” relativi alla gestione di più marchi e applicazioni di pagamento su di uno strumento di pagamento basato su carta devono essere non discriminatori e applicati comunque in modo non discriminatorio. Infine, a tutta una serie di soggetti168 – esclusi i beneficiari dei pagamenti con carte – è fatto divieto assoluto d’inserire negli strumenti di pagamento, oppure nei relativi dispositivi di accettazione utilizzati presso i punti vendita dei merchants, qualunque meccanismo o apparecchio idoneo a limitare la possibilità di scelta da parte dei pagatori o dei beneficiari del marchio o dell’applicazione di pagamento presenti negli strumenti co-badged da essi utilizzati (pratica invece fin ora molto diffusa)169. I soli

168   Ossia agli schemi di carte di pagamento, agli issuers, agli acquirers, ai soggetti incaricati del processing delle operazioni e agli altri prestatori di servizi tecnici (cfr. art. 8, par. 6, del Regolamento). 169   Risulta infatti che «the preferred brand was typically selected by card issuing banks or card operating schemes, which have an interest in selecting the brand generating the highest interchange fee for them», Cfr. European Commission, Antitrust: Commission

515

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 515

06/11/17 17:41


Saggi

beneficiari conservano invece il diritto d’installare e utilizzare presso i propri punti vendita meccanismi di “preselezione automatica” del marchio o applicazione di pagamento da essi preferito, a condizione però che sia comunque mantenuta la facoltà per i pagatori di poter “avere l’ultima parola”, ovvero che non sia così impedito ai pagatori di modificare al momento del pagamento tale preselezione. 6.1. (Segue): gli obblighi di trasparenza e le altre norme a tutela della libertà di scelta degli strumenti di pagamento da parte dei “beneficiari”: l’obbligo di unblending delle commissioni; i limiti alle clausole Honour All Cards; gli obblighi di reporting e la libertà di steering. Le norme di cui al Capo III del Regolamento stabiliscono inoltre una serie di obblighi, divieti e limitazioni con riguardo ad alcune specifiche pratiche commerciali e clausole contrattuali tipicamente presenti nelle regole degli schemi, nei contratti relativi ai servizi di issuing e acquiring, ritenute particolarmente “insidiose” dal punto di vista degli interessi pubblici alla trasparenza e al corretto funzionamento del mercato interno delle carte di pagamento in quanto idonee (i) a limitare la possibilità per i beneficiari e i soggetti pagatori di conoscere le effettive differenze di commissioni applicate per l’accettazione o l’utilizzo di diverse categorie o marchi di carte di pagamento (impedendo quindi loro di operare scelte pienamente informate e consapevoli in materia), oppure (ii) addirittura a precludere del tutto agli stessi la possibilità di utilizzare (solo) gli strumenti di pagamento da essi preferiti (ad esempio perché più economici)170. Circa l’aspetto della trasparenza ex ante, l’art. 9 del Regolamento prescrive innanzitutto un generale obbligo di “differenziazione”, ovvero di c.d. unblending, delle Merchant Service Charges, ossia delle commissioni tipicamente applicate dagli acquirers ai beneficiari dei pagamenti con carte in relazione all’effettuazione dei pagamenti stessi e che includono tra i loro “elementi” principali, di norma, anche le Interchange fees171.

welcomes entry into force of new rules to boost card payment transparency, Brussels, 9.6.2016 (IP/16/2161), p. 1. 170   Cfr. Considerando nn. (32) e (34) del Regolamento. 171   Tipicamente la Merchant Service Charge comprende «le seguenti componenti: la Interchange Fee; una fee applicata dallo schema (payment scheme fee); una fee per il processing della transazione (in Italia, ad esempio, in tale compenso ricade anche il costo del Gestore Terminali); il margine dell’acquirer», Garavaglia, Le nuove commissioni

516

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 516

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

Ciascun acquirer è quindi tenuto, salvo patto contrario in forma scritta (da intendersi verosimilmente prescritta ad substantiam), a offrire e applicare ai beneficiari con esso convenzionati delle merchant service charges “individualmente specificate” (o unblended) per le diverse categorie e i diversi marchi di carte di pagamento (limitatamente, pare doversi intendere, a quelli trattati dall’acquirer stesso), laddove questi abbiano a loro volta livelli diversi di Interchange Fees. Nel caso dell’ordinamento italiano, vale osservare che un analogo, ma non uguale, obbligo di unblending è in vero già stabilito ai sensi dell’art. 3 del d.m.del 14.2.2014, n. 51 (c.d. Merchant Fee)172, fra l’altro senza possibilità di patti contrari, ma anche senza specifica sanzione in caso d’inosservanza173. Tuttavia le norme del DM Merchant Fee al riguardo sembrano da ritenersi ormai implicitamente abrogate per effetto della prevalente applicazione della specifica regolamentazione della materia dell’unblending ora stabilita dal Regolamento. A livello di trasparenza contrattuale in senso stretto, il par. 2 dello stesso art. 9 prescrive altresì che – salvi anche in questo caso patti contrari, necessariamente in forma scritta – gli acquirers devono includere negli accordi con i beneficiari relativi ai servizi di acquiring informazioni “individualmente specificate” sull’importo (i) delle Merchant Service Charges, (ii) delle Interchange Fees e (iii) delle Scheme Fees applicabili a ogni categoria e marchio di carte di pagamento. Una prescrizione questa che, a fronte della sua ambigua formulazione, pare doversi interpretare, onde evitare conseguenze sproporzionate, nel senso che l’obbligo

dei pagamenti con le carte: capiamole meglio, in PagamentiDigitali.it, 22 Agosto 2013. Ciò posto la componente principale delle Merchant Service Charges è in ogni caso tipicamente costituita, ove prevista, proprio dalle Interchange Fees (cfr. considerando n. (10) del Regolamento). 172   Cfr. Decreto del 14.2.2014, n. 51, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, recante «Regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, ai sensi dell’articolo 12, commi 9 e 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214». 173   In particolare, ai sensi dell’art. 3, co. 1, del d.m. gli «acquirer sono tenuti a distinguere le commissioni da applicare per ciascuna tipologia di carte di pagamento […] anche in relazione ai diversi circuiti di riferimento nonché a ulteriori eventuali specifiche caratteristiche funzionali delle carte medesime». Ai sensi del successivo co. 2, gli «acquirer differenziano l’importo delle commissioni applicate agli esercenti e le sottopongono a revisione […], tenendo anche conto delle economie di scala e di scopo collegate ai volumi delle transazioni eseguite con carta presso ciascun esercente ovvero presso gruppi di esercenti unitariamente convenzionati».

517

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 517

06/11/17 17:41


Saggi

di fornire tali “informazioni differenziate” riguardi solo le categorie e i marchi di carte cui il contratto di acquiring si riferisce e non invece ogni categoria e marchio trattati, di tempo in tempo, da ciascun acquirer o, peggio, comunque disponibili sul mercato (!). Tali obblighi di unblending e trasparenza in ordine alle principali componenti commissionali, nel costituire di certo un efficace strumento di tutela della posizione negoziale dei beneficiari e della trasparenza del mercato in generale, appaiono però in ogni caso da doversi considerare primariamente come strumenti necessari e propedeutici a consentire un’efficace attuazione dalle norme del Regolamento in materia di pratiche di steering nella scelta degli strumenti di pagamento. In altre parole, questi sembrano trovare la loro “giustificazione” prioritaria nell’essere strumentali a consentire un più consapevole ed efficace esercizio da parte dei beneficiari del loro diritto, ora “codificato” nell’art. 11 del Regolamento, di poter orientare liberamente, salvi eventuali limiti legali, «i pagatori verso l’uso di uno specifico strumento di pagamento, conformemente alla direttiva 2007/64/CE»174 (come da ultimo sostituta dalla PSD 2) e alla Direttiva 2011/83/UE175, secondo le preferenze appunto degli stessi beneficiari. Il combinato disposto degli artt. 9 e 10 del Regolamento in materia di obblighi di unblending e pratiche di steering concorre così a promuovere una generale maggiore trasparenza sulle differenze di commissioni tra diverse categorie o marchi di carte di pagamento a beneficio in definitiva anche dei soggetti pagatori. In particolare è dato osservare che, benché in realtà previsto al fine di garantire l’efficacia delle pratiche di steering, è stato da ultimo stabilito un divieto assoluto (i.e. senza eccezioni o possibilità di patti contrari) di prevedere regole o clausole contrattuali (ad esempio nelle licenze o nei contratti di acquiring) che impediscano ai beneficiari dei pagamenti con carte di “informare” i rispettivi pagatori sulle Merchant Service Charges e sulle Interchange Fees, codificando così, di converso, un vero e proprio diritto dei beneficiari di poter informare, compiutamente e liberamente, i rispettivi pagatori sulle principali commissioni associate all’utilizzo di diversi strumenti di pagamento basati su carte (cfr. art. 11, par. 2, del Regolamento).

174

Considerando n. (35) del Regolamento. Cfr. Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25.10.2011 sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. 175

518

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 518

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

Dal punto di vista invece della trasparenza ex post, l’art. 12 del Regolamento introduce inderogabili obblighi informativi armonizzati sulle informazioni minime da rendere da parte degli acquirers ai beneficiari in seguito all’effettuazione di ogni singola operazione di pagamento con carta; con riguardo al profilo delle eventuali “spese” applicate per l’effettuazione dell’operazione è segnatamente prescritto che sia fornito separato e distinto dettaglio di quelle applicate a titolo di Merchant Service Charges e di Interchange Fees (art. 12, par. 1, lett. c), del Regolamento)176. In tale ambito, gli unici spazi lasciati all’autonomia contrattuale delle parti consistono (i) nella facoltà degli acquirers (previo esplicito consenso del beneficiario) di fornire tali informazioni solo su base aggregata (ad esempio per marchio, applicazione o per categoria di strumento di pagamento e/o tasso di commissione interbancaria)177 e (ii) nella possibilità di convenire nei contratti di acquiring la periodicità (comunque almeno mensile) e le altre modalità con cui tali informazioni sono fornite o rese disponibili ai beneficiari178. Per quanto riguarda invece la rimozione delle restrizioni di natura contrattuale e/o commerciale, tipicamente imposte dalle regole degli schemi, dagli issuers o acquirers, alla libertà dei beneficiari di accettare solo alcuni strumenti di pagamento, oppure di attuare quanto meno pratiche di steering dei pagatori verso l’utilizzo di determinati strumenti, il Regolamento stabilisce: i) da un lato, dei limiti alla liceità degli obblighi del tipo “Honour All Cards” per un determinato schema, vietando in linea di principio quelli di cui alla categoria “Honour all Products”, che configurano di fatto una “pratica di tying” tra prodotti diversi, e continuando a riconoscere (anche agli effetti di cui all’art. 1322, co. 2, c.c.) la “meritevolezza” della tutela degli interessi alla cui realizzazione sono diretti invece gli obblighi della categoria “Honour all Issuers” (cfr. art. 10, par. 1-3, del Regolamento)179;

176

Ai sensi dell’art. 12, par. 1, lett. a) e b), del Regolamento, dopo l’esecuzione di ogni singola operazione di pagamento basata su carta, l’acquirer deve fornire al beneficiario anche: il riferimento che gli consente d’identificare l’operazione di pagamento; l’importo dell’operazione nella valuta in cui avviene l’accredito a favore del beneficiario. 177   Cfr. art. 2, par. 1, secondo alinea, del Regolamento. 178   Cfr. art. 2, par. 2, del Regolamento. 179   Come considerato l’obbligo «di onorare tutte le carte di uno schema [… c.d. “Honour all Cards’ rule” …] è un obbligo di natura duplice con cui gli emittenti e gli schemi di carte di pagamento impongono ai beneficiari di accettare tutte le carte aventi

519

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 519

06/11/17 17:41


Saggi

ii) dall’altro, il divieto di ogni vincolo al libero esercizio del diritto180 dei beneficiari di poter comunque orientare i consumatori verso l’utilizzo di determinati strumenti di pagamento e informare i pagatori sulle Interchange Fees e sulle Merchant Service Charges (art. 11 del Regolamento)181. In particolare, il par. 1 dell’art. 10 del Regolamento vieta innanzitutto, in linea di principio, agli schemi e ai prestatori di servizi di pagamento “di applicare” regole (a prescindere quindi dall’origine o fonte) da cui risulti un obbligo per i beneficiari che intendono accettare un determinato strumento di pagamento basato su carta di dover accettare necessariamente anche gli altri strumenti emessi nell’ambito del medesimo schema (i.e. obblighi “Honour all Products”). Scopo del divieto è di preservare la libertà di scelta dei beneficiari nell’accettare solo le tipologie di carte da essi preferite (e.g. perché con commissioni più basse), senza dover accettare obtorto collo anche altre carte dello stesso schema con diverse caratteristiche (e tipicamente più onerose). I beneficiari diventano quindi, ad esempio, liberi di accettare solo le carte di debito di un certo schema senza per questo poter essere obbligati ad accettare anche le carte di credito del medesimo schema, o viceversa. Dal punto di vista sistemico, la funzione principale di tale divieto di obblighi “Honour all Products” è che interviene a proibire espressamente accordi o pratiche che, a livello più generale, sono idonei a configurare una c.d. “vendita abbinata”, o pratica “legante” (o di tying)182, e quindi

lo stesso marchio […], a prescindere dalla differenza di costo delle carte [… c.d. “Honour all Products’ element” …] e a prescindere dalla banca emittente che ha emesso la carta» c.d. “Honour all Issuers’ element” (considerando n. (37) del Regolamento). 180   Cfr. ad esempio l’art. 62, paragrafo 5, della PSD 2. 181   Al riguardo risulta infatti che ai beneficiari siano imposte di solito numerose restrizioni «quali, ad esempio: restrizioni alla possibilità […] di rifiutare specifici strumenti di pagamento per importi modesti, restrizioni alla comunicazione di informazioni al pagatore sulle commissioni pagate dal beneficiario per specifici strumenti di pagamento o limitazioni imposte al beneficiario sul numero di casse presenti nel suo esercizio commerciale abilitate ad accettare specifici strumenti di pagamento» (considerando n. (35) del Regolamento). 182   La componente “Honour all Products” della più ampia “Honour all Cards’ rule” ha in particolare «l’effetto di legare l’accettazione di carte cui si applica una commissione bassa all’accettazione di carte con commissioni elevate. La soppressione della componente [… “Honour all Products” …] dell’obbligo di onorare tutte le carte di uno schema consentirebbe agli esercenti di limitare la scelta delle carte di pagamento da essi accettate alle sole carte con commissioni basse, il che, riducendo i costi a carico dell’esercente, andrebbe anche a vantaggio dei consumatori» (considerando n. (37) del Regolamento).

520

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 520

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

suscettibili d’integrare – ma solo al ricorrere dei necessari specifici requisiti – una delle violazioni più gravi (c.d. hardcore) tra quelle tipizzate nelle norme antitrust nazionali e dell’UE al divieto d’intese restrittive della concorrenza e di abuso di posizione dominante (cfr. art. 101, par. 1, lett. e), e art. 102, par. 1, lett. d), del TFUE; artt. 2, co. 2, lett. e), e art. 3, co. 1, lett. d), della legge 10.10.1990, n. 287)183. Ciò posto, al fine di assicurare anche l’idonea tutela dei consumatori (e.g. dal punto di vista della possibilità di utilizzare diffusamente le loro carte di pagamento senza indebite limitazioni o discriminazioni) e di promuovere una maggiore concorrenza nel settore delle carte non soggette ai limiti alle Interchange Fees di cui al Capo II dal Regolamento184, sono al contempo stabilite due importanti eccezioni a tale divieto, il quale in particolare ai sensi dei parr. 2 e 3, dell’art. 10, del Regolamento: i) da un lato, “non si applica” agli strumenti di pagamento basati su carta ad “uso dei consumatori” che appartengano allo stesso marchio e alla stessa categoria di carte (prepagate, di debito o di credito) già “volontariamente” accettati da un beneficiario, a condizione però che anche tali “ulteriori” carte siano comunque soggette a limiti alle Interchange Fees stabiliti ai sensi del Capo II del Regolamento, e sia quindi escluso in nuce il rischio di obblighi di accettazione di strumenti eccessivamente onerosi per i beneficiari. In questi casi quindi obblighi di accettazione delle carte di un certo schema del tipo o tutto o niente (c.d. “Honour all Products”) non sarebbero vietati. ii) dall’altro, “lascia impregiudicata” la possibilità per gli schemi e i prestatori di servizi di pagamento di stabilire obblighi del tipo “Honour all Issuers”, ossia di stabilire che le carte (laddove appartenenti ad uno stesso schema e della stessa categoria, come pare doversi intendere in via interpretativa) “non possano essere rifiutate” in funzione dell’identi-

183

Sul punto ex multis cfr. Comunicazione della Commissione europea “Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo 82 del trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti” (2009/C 45/02), parr. 47 - 62; C. Osti, Abuso di posizione dominante, in Enc. dir., Annali, Vol. V, Milano, 2012, pp. 44 e ss.; Libertini, Le intese illecite, in I contratti nella concorrenza, a cura di Catricalà e Gabrielli, Torino, 2011, pp. 122 e ss.; Jager, Illiceità dei c.d. tying contracts nel trattato istitutivo della comunità economica europea e nelle leggi americane antitrust, in Riv. dir. ind., 1958, I, pp. 474 - 489; Scaglione, Il mercato e le regole della correttezza, Padova, 2010, pp. 224 e ss.; H. Hovenkamp e E. Hovenkamp, Tying Arrangements, in The Oxford Handbook of International Antitrust Economics, Volume 2, edited by Blair and Sokol, Oxfor, 2014, pp. 329 - 350. 184   Cfr. Considerando n. (37) del Regolamento.

521

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 521

06/11/17 17:41


Saggi

tà dell’issuer della carta né del titolare della carta stessa, riconoscendo quindi, di converso, come legittimi eventuali divieti contrattuali per i beneficiari di operare discriminazioni tra diversi issuers o cardholders, a tutela in primis proprio di questi ultimi185. Stante la formulazione dell’art. 10 del Regolamento, sembrerebbe inoltre potersi ritenere in via interpretativa che non siano da considerare di per sé in contrasto con il suddetto divieto di obblighi “Honour All Cards” neanche quelle clausole o pratiche commerciali che, invece di configurare una “vendita abbinata” (o tying) in senso proprio di più carte di uno schema, integrino piuttosto una fattispecie di sola “vendita aggregata” (o bundling), ossia non determinino un obbligo di accettazione in senso stretto anche di altre carte di uno stesso schema, ma incentivino “solamente” l’accettazione di carte o gruppi di carte bundled186. A fronte della maggiore libertà così riconosciuta ai beneficiari di non accettare alcuni strumenti di pagamento di un determinato schema, il Regolamento prescrive innanzitutto che questi sono tenuti a informare “in modo chiaro e inequivocabile” i consumatori circa quali carte o altri strumenti di pagamento accettano e quali no, dovendo a tal fine esporre le relative informazioni “in bella vista all’ingresso del negozio e alla cassa”, oppure in caso di “vendite a distanza” comunicarle «in tempo utile al pagatore prima che quest’ultimo concluda un contratto di acquisto con il beneficiario» (art. 10, par. 4, del Regolamento). Per altro verso, gli issuers hanno l’obbligo di assicurare che gli strumenti di pagamento da

185

È stato infatti considerato nel primario «interesse del consumatore che per la stessa categoria di carte il beneficiario non possa operare discriminazioni tra gli emittenti o i titolari di carta, e che gli schemi di carte di pagamento e i prestatori di servizi di pagamento possano imporre un tale obbligo. Pertanto, [… la regola “Honour all Issuers”…] di uno schema è una regola giustificabile nell’ambito del sistema di carte di pagamento, perché impedisce che i beneficiari operino discriminazioni tra le singole banche che hanno emesso una carta» (considerando n. (37) del Regolamento). 186   Anche nell’applicazione delle norme antitrust si distingue, ad esempio, la fattispecie della “vendita abbinata” con cui «si intendono solitamente le situazioni in cui i clienti che acquistano un prodotto (il prodotto principale) devono acquistare anche un altro prodotto dall’impresa dominante (il prodotto abbinato) [… da quella della “vendita aggregata” con cui ci si riferisce invece …] solitamente al modo in cui i prodotti vengono offerti dall’impresa dominante e al modo in cui essa ne fissa il prezzo. In caso di vendita aggregata “pura” i prodotti vengono venduti soltanto assieme in proporzioni fisse. In caso di vendita aggregata “mista”, spesso definita anche sconto multiprodotto, i prodotti sono disponibili anche separatamente, ma la somma dei singoli prezzi di vendita è superiore al prezzo aggregato», Comunicazione della Commissione europea “Orientamenti sulle priorità della Commissione…”, cit., par. 48.

522

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 522

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

essi emessi consentano ai beneficiari e ai pagatori «di individuare in maniera inequivocabile il marchio e la categoria di carta [… prepagata, di debito, di credito o aziendale …] scelti dal pagatore» (art. 10, par. 5, del Regolamento). Con riferimento poi all’obiettivo di policy di garantire la possibilità per i beneficiari di orientare liberamente i consumatori verso l’utilizzo «di un qualsiasi strumento di pagamento preferito dal beneficiario» stesso (fatti salvi eventuali limiti di legge), nel par. 1 dell’art. 11 del Regolamento è stato codificato un divieto di stabilire (nelle regole degli schemi, nei contratti di licenza o negli accordi di acquiring) vincoli tecnici o contrattuali che possano impedire tali pratiche di steering (rectius anche solo ostacolarle o renderle comunque più gravose in assenza di un “giusto motivo”). Quale fattispecie tipizzata di regole vietate sono indicate, ad esempio, quelle che impediscano ai beneficiari «di riservare agli strumenti di pagamento basati su carta di un dato schema […] un trattamento più o meno favorevole rispetto ad altri», confermando così di converso la legittimità di pratiche quale il surchanging o l’applicazione di sconti per l’utilizzo di determinati strumenti di pagamento, ferma restando tuttavia l’applicazione a tali fattispecie anche di altre concorrenti norme UE in materia di meccanismi di steering (cfr. art. 11, parr. 1 e 3 del Regolamento). Ai sensi del successivo par. 2 dello stesso art. 11, sono inoltre parimenti vietate anche quelle clausole, regole o accordi che impediscano ai beneficiari d’informare liberamente i pagatori (anche se non consumatori quindi) sulle Interchange Fees e sulle Merchant Service Charges applicate in relazione, è da intendersi, all’uso di determinati strumenti di pagamento basati su carta. Ciò posto, i diritti di steering e d’informazione così riconosciuti ai beneficiari sono in ogni caso soggetti ad alcune limitazioni ed eccezioni. Innanzitutto, la legittimità delle pratiche di steering è da considerarsi esclusa nei casi in cui «un particolare strumento di pagamento sia imposto dalla legge per talune categorie di pagamenti o non possa essere rifiutato in ragione del suo valore legale»187. Inoltre, nei casi di steering verso l’utilizzo di un determinato strumento di pagamento è in ogni caso essenziale che i beneficiari non applichino nessuna spesa o pagamento aggiuntivo a carico dei pagatori laddove allo strumento di pagamento in questione siano associate Interchange Fees conformi ai limiti del Regola-

187

Considerando n. (35) del Regolamento.

523

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 523

06/11/17 17:41


Saggi

mento «perché in tal caso si ridurrebbero i vantaggi [… del surcharging …] e si accrescerebbe la complessità del mercato»188. Al riguardo, come accennato, il par. 3 dell’art. 11 del Regolamento dispone pertanto che la libertà di steering dei consumatori e d’informazione dei pagatori in genere, di cui ai parr. 1 e 2 dello stesso articolo, in ogni caso “lasciano impregiudicata” l’applicazione di altre norme UE «in materia di spese, riduzioni o altri meccanismi di orientamento» nell’utilizzo degli strumenti di pagamento, quali recate dalla PSD 1 (da ultimo tuttavia sostituta dalla PSD 2) e dalla Direttiva 2011/83/UE cui il Regolamento fa espresso, benché generico, riferimento. In particolare, in mancanza di più specifiche indicazioni, le norme più direttamente rilevanti in materia sembrano da individuare, in primis, in quelle sulle condizioni e i limiti di legittimità del c.d. surcharge o dell’applicazione di sconti per l’utilizzo di determinati strumenti di pagamento di cui all’art. 52, par. 3, della PSD 1 (da ultimo tuttavia abrogato e sostituito dall’art. 62, par. 3, della PSD 2) e all’art. 19 della Direttiva 2011/83/UE. 6.1.1. (Segue): la legittimità del surcharging e relative (nuove) limitazioni. Con riguardo a questo centrale e controverso tema nella regolamentazione della materia, già all’epoca della PSD 1 era stato considerato che al «fine di promuovere la trasparenza e la concorrenza»189 nella prestazione e nell’uso dei servizi di pagamento, in linea di principio i beneficiari debbano avere il diritto di orientare i pagatori verso l’utilizzo di determinati strumenti di pagamento. Ai sensi dell’art. 52, par. 3, della PSD 1 fu quindi stabilito che issuers e acquirers non potessero impedire al beneficiario di esercitare liberamente il diritto di «imporre una spesa o di proporre una riduzione al pagatore per l’utilizzo di un determinato strumento di pagamento»190. Tuttavia stante la delicatezza della questio-

188

Considerando n. (36) del Regolamento. Considerando n. (42) della PSD 1. 190   In particolare, il rilievo sistemico dell’aspetto del surcharging nel funzionamento del sistema dei pagamenti nel suo complesso deriva, in estrema sistesi, dal fatto che come osservato la capacità «of the merchant to impose a surcharge on card payments affects the price structure, and therefore the total demand of card payment services (Bolt et al., 2010). Rochet & Tirole (2002, 2003) have shown that the price structure and therefore also the interchange fee, becomes irrelevant if merchants charge different prices for cash and card payments. Consequently, from a theoretical perspective, the surcharge option neutralises the impact of interchange fees on end-user tariffs and it gives merchants a tool with which to influence their customers’ payment choice (Gans & King, 2003). This argument assumes, however, that all means of payment are surcharged, including cash», 189

524

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 524

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

ne, fu lasciata in ogni caso la dovuta discrezionalità in materia agli Stati membri, consentendo a ciascuno Stato nel caso anche di “vietare o limitare” il diritto di “imporre spese” ove tale scelta fosse giustificabile “in considerazione degli abusi in materia di prezzi o della fissazione di prezzi suscettibili di avere un impatto negativo sull’uso di un determinato strumento di pagamento tenendo conto della necessità di incoraggiare la concorrenza e l’uso efficiente degli strumenti di pagamento”191. L’art. 52, par. 3, della PSD 1 è stato da ultimo sostanzialmente “rifuso” nell’art. 62, parr. 3 e 5 della PSD 2; nell’occasione sono state però anche aggiunte delle importanti limitazioni alle pratiche di surcharging, stabilendo così un parziale policy change in materia proprio in virtù del fatto che ai sensi del Capo II del Regolamento sono stati ora stabiliti dei limiti armonizzati a livello UE alle Interchange Fees. In particolare, ai sensi del par. 3 dell’art. 63 della PSD 2 – nel confermare che il surcharging o l’applicazione di sconti sono da considerare a tutti gli effetti delle pratiche di steering – è stato da ultimo disposto che l’importo delle spese addebitabili a titolo di surcharging non può superare «i costi diretti sostenuti dal beneficiario per l’utilizzo dello specifico strumento di pagamento». Una prescrizione questa che, lungi da essere un mero fine-tuning, ha invero una determinante valenza sistemica, in quanto limita gli effetti concreti della marcata eterogeneità che tutt’ora permane nelle pratiche di surcharging tra i diversi Stati Membri e garantisce che il surcharging sia effettivamente utilizzato dai merchants “solo” come strumento di steering e non invece come fonte di extra guadagni192, a tutela così sia del corretto e ordinato funzionamento del “mercato interno” sia dei consumatori, soprattutto “nel settore del commercio elettronico e in un contesto transfrontaliero”193. Inoltre, è stato introdotto in materia quello che appare essere un vero e proprio divieto di surcharging per l’utilizzo di strumenti di pagamento cui si applichino Interchange Fees conformi ai limiti armonizzati di cui al Capo II del Regolamento. Infatti, ai sensi del par. 4 dell’art. 62, della PSD 2, è stabilito che in «ogni caso, gli Stati membri assicurano che il beneficiario non imponga spese per l’utilizzo di strumenti di pagamento le cui

Pyykkö, Review of the Payment Services Directive. The question of surcharges, European Credit Research Institute, Policy Brief No. 5, October 2011, p. 4. 191   Considerando n. (42) della PSD 1. 192   Cfr. European Commission, Commission Staff Working Document, Impact Assessment, cit., p. 60. 193   Considerando n. (66) della PSD 2.

525

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 525

06/11/17 17:41


Saggi

commissioni interbancarie sono oggetto del capo II del regolamento (UE) 2015/751 e per i servizi di pagamento cui si applica il regolamento (UE) n. 260/2012» il quale stabilisce invece i requisiti tecnici e commerciali per i bonifici e gli addebiti diretti in euro. La ratio del divieto si fonda sulla considerazione che il surcharging rappresenta una pratica di steering legittimamente utilizzata dai merchants per compensare tipicamente i costi aggiuntivi sostenuti per l’accettazione di pagamenti con determinate carte e che le Interchange Fees costituiscono la componente principale di tali costi. Avendo quindi il Regolamento stabilito, in genere riducendoli, dei massimali armonizzati alle Interchange Fees, la policy option più opportuna in materia è stata ritenuta appunto quella di continuare a consentire il surcharge solo per l’utilizzo di carte cui sono associate Interchange Fees non soggette ai nuovi limiti armonizzati UE194. Ciò non sembra influire tuttavia col diritto dei beneficiari di applicare in ogni caso altri meccanismi di steering, quali sconti o accettazione di carte subordinati a certe condizioni (e.g. spesa minima). Il generico riferimento operato invece alla Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori sembra dovere essere inteso essenzialmente all’art. 19 di quest’ultima (relativo alle “tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento”), il quale dispone che gli Stati membri sono tenuti a vietare ai professionisti di poter imporre ai consumatori, «in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento», commissioni, tariffe o spese che superino quelle a loro volta, direttamente (è da intendersi), sostenute dai professionisti in relazione all’uso dei medesimi strumenti di pagamento

194

Cfr. considerando n. (66) della PSD 2. In particolare nell’impact assessment condotto al riguardo è risultato che tale opzione «would ensure that the payment instruments for which interchange fees have been regulated (i.e. consumer debit and credit cards of four party schemes, including Visa and MasterCard […]) are not surcharged, as they can be accepted by merchants without the latter incurring high fees. Therefore, a logical link between the fees paid by merchant for accepting card payments and the corresponding fees paid by consumers at the cash desk for using the card (real or virtual) would be maintained (no IF or low IF for merchant – no surcharge for consumer). For payment instruments that continue to generate high costs for merchants, including commercial cards and cards issued by three party schemes (e.g. American Express, Diners), exempted from interchange regulation […], merchants would be able to surcharge. [… Pertanto, l’opzione «Ban surcharging for IF-regulated payment instruments and allow for nonregulated» è stata individuata come quella …] recommended to achieve the desired results, if combined with options addressing the interchange fees», European Commission, Commission Staff Working Document, Impact Assessment, cit., pp. 61 e 62.

526

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 526

06/11/17 17:41


Simone Mezzacapo

(un divieto questo in vero del tutto analogo a quello ora previsto anche all’art. 62, par. 3, PSD 2). A livello di disciplina nazionale, le norme che disciplinano specificamente la pratica del surcharge sono attualmente contenute nel d.lgs. 27.1.2010, n. 11 di attuazione della PSD 1 (e nel relativo Provvedimento della Banca d’Italia del 5.7.2011 di attuazione del Titolo II del d.lgs. 11/2010), nonché nel d.lgs. 21.2.2014, n. 21 di attuazione della direttiva 2011/83/UE. Tra le diverse opzioni consentite agli Stati Membri, la scelta di policy operata in Italia è stata quella di stabilire a livello legislativo in linea di principio un divieto di surcharge, fatta salva però la possibilità di prevedere in via regolamentare delle deroghe al divieto stesso, rimettendo le relative valutazioni alla Banca d’Italia, cui sono attributi anche i relativi poteri normativi. In particolare, ai sensi dell’art. 3, co. 3 e 4, del d.lgs. n. 11/2010, è disposto: i) da un lato, un obbligo per i prestatori di servizi di pagamento di consentire ai beneficiari di applicare ai pagatori «una riduzione del prezzo del bene venduto o del servizio prestato per l’utilizzo di un determinato strumento di pagamento compreso nell’ambito d’applicazione» dello stesso d.lgs. n. 11/2010; ii) dall’altro, un espresso divieto per i beneficiari di «applicare spese al pagatore per l’utilizzo di un determinato strumento di pagamento», fatta salva tuttavia la possibilità per la Banca d’Italia di stabilire, con proprio provvedimento, delle deroghe al divieto «tenendo conto dell’esigenza di promuovere l’utilizzo degli strumenti di pagamento più efficienti ed affidabili»195. Allo stato, nel prendere atto che la PSD 1 e il d.lgs. n. 11/2010 di recepimento «fissano alcuni principi di fondo che incidono sui modelli di pricing dei servizi di pagamento favorendo quelli più efficienti ed affidabili», tra i quali rileva appunto anche quello del «divieto per il beneficiario di applicare un sovrapprezzo per l’utilizzo di un determinato strumento di pagamento (cd. surcharge)»196, la Banca d’Italia nel citato

195   Al fine poi di assicurare l’opportuna trasparenza in materia, l’art. 126-quater, co. 3, lett. a), del d.lgs. n. 11/2010, prescrive che in ogni caso prima di disporre un’operazione di pagamento gli «utilizzatori di servizi di pagamento» (ossia, ai sensi dell’art. 1, co. 1, lett. h), del d.lgs. n. 11/2010, i soggetti che «utilizzano un servizio di pagamento in veste di pagatore o beneficiario o di entrambi») devono essere informati dal beneficiario, di eventuali spese imposte o riduzioni proposte per l’utilizzo di un determinato strumento di pagamento. 196   Provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 5.7.2011, cit., p. 25.

527

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 527

06/11/17 17:41


Saggi

Provvedimento in parola del 5.7.2011 non ha previsto alcuna deroga al divieto di surcharge stabilito a livello legislativo. Anzi per rafforzare l’effettività del divieto e la dovuta trasparenza contrattuale al riguardo, il Provvedimento dispone (al par. 2.4) che i prestatori di servizi di acquiring «di strumenti di pagamento sono tenuti a richiamare nel contratto di convenzionamento l’attenzione dei propri clienti sul divieto in questione anche attraverso una clausola che preveda la possibilità di risoluzione del contratto medesimo in caso di violazioni». Altre norme nazionali che disciplinano la fattispecie del surcharge, in ottica tuttavia prettamente consumeristica, sono state infine introdotte ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. 21.2.2014, n. 21 che, in attuazione della Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, ha apportato diffuse e significative modifiche al Codice del Consumo. In particolare, l’art. 62, co. 1, del Codice del Consumo dispone, con norma in vero in parte ridondante e non perfettamente coordinata con il quadro normativo già vigente in materia, che ai sensi dell’art. 3, co. 4, del d.lgs. n. 11/2010 «i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l’uso di detti strumenti, ovvero […, e qui è la principale innovazione ordinamentale, …] nei casi espressamente stabiliti, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista» per l’utilizzo, pare doversi intendere, dei medesimi strumenti di pagamento197. Tale disposizione, ai sensi dell’art. 2, co. 1 del d.lgs. n. 21/2014, si applica ai contratti conclusi dopo il 13.6.2014, inoltre (ai sensi dell’art. 67, co. 1, del Codice del Consumo) la stessa non esclude né limita «i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico di fonte comunitaria o adottate in conformità a norme comunitarie».

Simone Mezzacapo

197   A riguardo cfr. Mosca, Tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento, Commento sub art. 62, in AA.VV., I nuovi diritti dei consumatori. Commentario al d.lgs. n. 21/2014, a cura di A.M. Gambino e Nava, Torino, 2014, pp. 241 e ss.

528

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 528

06/11/17 17:41


I rapporti pendenti nel concordato preventivo e i rapporti bancari così detti autoliquidanti Sommario: 1. La conservazione dei rapporti giuridici nel concordato preventivo. – 2. La peculiarità dei rapporti bancari così detti auto-liquidanti. – 3. Una combinazione di effetti giuridici. – 4.1. I rapporti auto-liquidanti e l’art. 169-bis l.fall. – 4.2. Mantenimento in luogo di scioglimento. L’applicazione dell’art. 182-quinquies l.fall. – 4.3. L’obbligazione della banca. – 4.4. La cessione dei crediti. – 4.5. Il mandato all’incasso. – 5.1. L’accordo di compensazione. – 5.2. Critica alla veduta prevalente. – 5.3. Divieto di compensazione di crediti diacronici. – 5.4. Il mantenimento dell’accordo di compensazione.

1. La conservazione dei rapporti giuridici nel concordato preventivo. Nel designare gli effetti della procedura di concordato preventivo rispetto ai rapporti giuridici pendenti, si insegna comunemente che tali rapporti non sono estinti o sospesi. Il concordato non trae con sé, d’un tratto, la risoluzione o la quiescenza delle relazioni giuridiche stabilite dall’imprenditore. Esse permangono durante il corso della procedura e anche oltre questa, ossia anche dopo la chiusura del concordato1. La regola della prosecuzione è avvertita come coerente alla regola

1

Sin da Jorio, I rapporti giuridici pendenti nel concordato preventivo, Padova, 1973, pp. 12-13, si osserva che «questi rapporti debbono normalmente trovare esecuzione nell’ambio della procedura». Più recentemente, Fabiani, Per una lettura costruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in Ilcaso.it, Crisi d’Impresa e Fallimento, 11 marzo 2013, pp. 9 e ss. dell’estratto; Censoni, La continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in Ilcaso.it, Crisi d’Impresa e Fallimento, 11 marzo 2013, p. 12 dell’estratto; Scognamiglio, Concordato preventivo e scioglimento dei contratti in corso di esecuzione, in Judicium, 16 dicembre 2013, p. 7 dell’estratto; Trentini, Il concordato preventivo, Milano, 2014, p. 366.

529

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 529

06/11/17 17:41


Saggi

del così detto spossessamento attenuato2. Talvolta, l’una è addirittura ricavata dall’altra: siccome il concordato non priva il debitore della titolarità dei suoi beni né della titolarità dell’impresa, i rapporti giuridici continuano nonostante il concordato3. A ben vedere, più che essere il rovescio dello spossessamento attenuato, la continuazione dei rapporti sembra discendere dai principi fondamentali del diritto privato. Si pensi a quelli costituiti per contratto: rapporti che, di là del mutuo consenso, non possono essere sciolti se non nei casi previsti dalla legge ai sensi dell’art. 1372, co. 1, c.c.4. La legge del concordato non riconnette all’apertura della procedura (o alla sua prenotazione ex art. 161, co. 6, l.fall.), la estinzione dei rapporti in corso, né rinvia alle cause di estinzione contemplate per il fallimento. Essa semplicemente prevede che il ricorrente possa essere autorizzato allo scioglimento o alla sospensione di alcuni contratti ai sensi dell’art. 169-bis l.fall.5. Si direbbe quindi che l’art. 169 bis l.f. configuri una delle ipotesi normative in cui è dato al contraente di liberarsi unilateralmente dal vincolo negoziale6. Fuori dell’ipotesi di scioglimento indicate in tale disposizione, il regime dei rapporti rifluisce nello statuto generale dell’art. 1372 c.c. Le relazioni giuridiche, pendente il concordato preventivo, proseguono in base alla disciplina comune. Del resto, la conservazione dei rapporti in corso, lungi dall’essere incompatibile rispetto alla procedura7, può configurare un presuppo-

2

Gaeta, Effetti del concordato preventivo, in Aa. Vv., Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, 3, p. 1658; Inzitari, Speciale decreto Sviluppo – I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l’art. 169-bis l. fall., in il Fallimentarista. Focus del 3 agosto 2012, p. 2 dell’estratto; Cederle, La controversa applicazione dell’art. 169 bis l. fall. ai contratti bancari, in Il fallimento, 2016, 5, p. 590. 3 Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, XI, Padova, 2008, p. 99; Trib. Milano, sez. II, 28 maggio 2014. 4 Cfr. Ambrosini, Gli effetti dell’ammissione al concordato e i contratti in corso di esecuzione, in Fallimenti e Società.it. Osservatorio di diritto societario e fallimentare triveneto, 2014, p. 10 dell’estratto. 5 Donde l’idea che tale disposizione preveda, indirettamente, la continuazione dei rapporti pre-esistenti Nigro, Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali3, Bologna, 2014, p. 385; Censoni, Il concordato preventivo, in Tratt. proc. conc., a cura di Jorio e Sassani, IV, Milano, 2016, p. 230. 6 Trentini, Il concordato, cit., p. 374. In termini di specialità della disciplina fallimentare rispetto a quella comune Trib. Prato, 20 gennaio 2014. 7 Cfr. Fimmanò, Gli del concordato preventivo sui rapporti in corso di esecuzione, in Il fallimento, 2006, 9, p. 1051.

530

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 530

06/11/17 17:41


Michele Onorato

sto del concordato. Notazione che appare quasi superflua laddove si consideri quello in continuità, il quale non è pensabile in assenza della prosecuzione8. Ma l’istanza di conservazione sembra attraversare anche altre specie di concordato, le quali postulano allo stesso modo la permanenza dei rapporti. Ad esempio, il concordato liquidatorio che preveda la cessione dell’azienda non può prescindere dalla continuazione delle relazioni negoziali costituite dall’imprenditore, perché in assenza di esse proprio l’azienda sarebbe fatalmente disgregata e, con essa, preclusa in origine la cessione9. Per un verso, l’apertura della procedura non genera uno iato nei rapporti generati per l’esercizio dell’impresa; per altro verso, il concordato presuppone il mantenimento di tali relazioni10.

2. La peculiarità dei rapporti bancari così detti auto-liquidanti. Collocata su un piano generale, la regola della continuazione deve essere scrutinata con riferimento a una particolare specie di rapporti pendenti. Si tratta dei rapporti bancari così detti auto-liquidanti: i quali sono, nella prassi, forieri di problemi applicativi e, nella teoria, densi di nodi concettuali e sistematici. La peculiarità di tali rapporti finanziari è senza dubbio percepita dal legislatore, il quale rivolge ad essi una specifica disposizione. Il debitore che promuova domanda di concordato o di omologazione di accordo di ristrutturazione (oppure prenotativa di uno o di altro) può chiedere di essere autorizzato al «mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda» (art. 182-quinquies, co. 3, l.fall.).

8 Il nesso tra prosecuzione dell’impresa e conservazione dei rapporti è evidente anche in altre procedure concorsuali: così nel fallimento, laddove si prevede che, durante l’esercizio provvisorio, «i contratti pendenti proseguono» (art. 104, co. 8, l.fall.; così nell’amministrazione straordinaria, laddove si prevede che «fino a quando la facoltà di scioglimento non è esercitata, il contratto continua ad avere esecuzione» (art. 60, co. 2, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270). 9 Jorio, I rapporti, cit., pp. 172-173. 10 Più complessa la posizione di Censoni, Gli effetti del concordato preventivo sui rapporti giuridici preesistenti, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano, 1988, passim. Qui l’Autore indaga analiticamente la questione della prosecuzione dei rapporti pendenti e, in particolare, la questione della esecuzione di tali rapporti attraverso la disciplina dell’autorizzazione stabilita dall’art. 167 l.fall. per gli atti di straordinaria amministrazione.

531

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 531

06/11/17 17:41


Saggi

La singolarità di tale disciplina si nota subito nel testo dell’art. 182-quinquies l.fall. giacché l’autorizzazione, negli altri periodi riferita agli atti costitutivi di rapporti («contrarre finanziamenti» o «concedere pegno o ipoteca» o «cedere crediti») ovvero estintivi di questi («pagare crediti anteriori»), è qui collegata all’atto di mantenimento, ossia a una specie di atto che, semanticamente, si contrappone tanto a quelli costitutivi quanto a quelli estintivi. Allargando la visuale al contesto della complessiva disciplina del concordato preventivo, la peculiarità della disposizione in esame è confermata dalla circostanza che, mentre per i rapporti giuridici tout court è prevista l’autorizzazione del tribunale allo scioglimento (art. 169 bis l.fall.), per i rapporti giuridici auto-liquidanti è prevista l’autorizzazione del tribunale al mantenimento. Se la regola convoca il provvedimento autorizzativo ai fini della risoluzione, la deroga convoca il provvedimento autorizzativo ai fini della conservazione. Codesto peculiare statuto chiede di procedere gradualmente nell’indagine, muovendo da una sintetica illustrazione dei rapporti auto-liquidanti.

3. Una combinazione di effetti giuridici. Assai consueti nei traffici bancari, i rapporti auto-liquidanti sono volti a procurare il finanziamento dell’impresa per mezzo dei crediti commerciali. Le modalità sono assai disparate: dallo sconto di fatture o di titoli o di ricevute bancarie ai contratti aventi ad oggetto derivati; dalla apertura di credito alla cessione di questo; dal fido al castelletto. A guardare da una angolazione prettamente economica, si nota che in tale schiera di negozi vi è un tratto comune, il quale sta nell’utilizzare un credito non ancora esigibile al fine di ricavare un’immediata disponibilità finanziaria11.

11

Ancora attuale, al fine di illustrare la tipica efficacia dei rapporti di liquidità, la spiegazione dello sconto bancario fornita da Ferro Luzzi, Lo sconto bancario, in Riv. dir. comm., 1977, I, pp. 148-149, laddove osserva che «il cliente il bene futuro, cioè più esattamente il diritto ad ottenere il bene futuro, ce lo ha già, perché ha un credito; ciò che non ha è il bene presente, cioè la moneta attuale», sicché «la banca dà moneta attuale, la liquidità di cui è naturale depositaria, e riceve moneta futura, realizzando il proprio guadagno col riavere, successivamente, una maggiore quantità di moneta attuale, ripristinando così la sua liquidità», mentre «il cliente tende a convertire il bene

532

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 532

06/11/17 17:41


Michele Onorato

La somma messa a disposizione dalla banca è agevolmente recuperata con il pagamento eseguito dal debitore dell’impresa. Da ciò l’espressione auto-liquidante, a indicare la capacità che il finanziamento ha, per così dire, di ri-pagarsi autonomamente mediante l’incasso del credito commerciale. Credito che consente l’erogazione del prestito in favore dell’impresa e, al contempo, garantisce la restituzione dell’importo alla banca12. Eppure se, sotto il profilo economico, si può isolare una funzione unitaria13, appare meno facile, sotto il profilo giuridico, individuare un dato comune: non soltanto perché i negozi da cui discendono i rapporti auto-liquidanti sono differenti e irriducibili; soprattutto, perché tali rapporti recano spesso una combinazione di accordi e, con essa, un sofisticato intreccio di effetti14. Più che raccogliere in un insieme i negozi costitutivi dei rapporti auto-liquidanti, sembra giovare una indagine sui principali effetti che essi implicano. Giova scrutare all’interno di tali rapporti, prescindendo dalla classificazione dei negozi da cui derivano. In una simile prospettiva, potremmo individuare un primo caratteristico effetto dei rapporti auto-liquidanti, ossia l’obbligazione della banca di mettere a disposizione una certa somma per un certo periodo. Si tratti di una apertura di credito bancario o di un fido o di un castelletto, l’effetto che interessa al nostro studio è questo impegno della banca di offrire al cliente una disponibilità finanziaria: non l’obbligo di erogare una somma una tantum ma l’obbligo di procurare ciclicamente una risorsa sino all’ammontare stabilito. La somma messa a disposizione è oggetto di continui recuperi da parte della banca a cui seguono nuove disponibilità per l’impresa, secondo un meccanismo circolare e, appunto, autoliquidante in cui i recuperi della banca si realizzano con gli incassi dei crediti commerciali15. A questo originario rapporto – che designeremo a monte – posso-

futuro in bene presente». 12 Per l’idea di una categoria unitaria Cederle, La controversa applicazione, cit., p. 597. 13 Funzione che, secondo Caridi, Anticipazioni su credito e concordato preventivo, in Dir. banc., 2016, 1, p. 105, sarebbe proprio quella dell’impresa di procurarsi una somma di denaro mettendo a profitto i crediti commerciali futuri o non ancora esigibili. 14 Trib. Bolzano, 5 aprile 2016. Un’ampia descrizione di questi effetti si legge in Maccarone, I contratti bancari di liquidità, in Dir. banc., 1987, I, pp. 35 e ss. 15 Cavalli, L’apertura di credito bancario, in Cavalli e Callegari, Lezioni sui contratti bancari, Torino, 2012 (rist.), p. 134.

533

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 533

06/11/17 17:41


Saggi

no essere collegati altri due. Sacrificando la molteplicità di effetti e di sfumature restituiti dalla prassi, l’obbligazione della banca di procurare una risorsa finanziaria può essere connessa o alla cessione dei crediti commerciali oppure al mandato all’incasso di tali crediti con patto di compensazione16. Nella prima ipotesi, la disponibilità finanziaria offerta dalla banca è combinata al trasferimento dei crediti commerciali. Ad esempio, la banca si impegna ad acquisire la titolarità dei crediti dell’impresa sino ad un determinato ammontare, versando il corrispettivo convenuto; oppure mette a disposizione dell’impresa delle somme commisurate ai crediti trasferiti da questa. In ambedue i casi, come meglio vedremo in avanti, le somme procurate dalla banca non sembrano tanto l’oggetto di un finanziamento quanto, piuttosto, il prezzo di una cessione17. Nell’ipotesi in cui il rapporto auto-liquidante comprenda il mandato all’incasso con patto di compensazione, la banca offre una disponibilità finanziaria collegata ai crediti che l’impresa chiede di riscuotere per suo conto. La banca si impegna ad accettare dei titoli o delle ricevute bancarie sino a un determinato ammontare, procurando all’impresa una somma commisurata al valore dei titoli e delle ricevute bancarie di volta in volta accettate per l’incasso; oppure essa mette a disposizione un

16

Per questa essenziale dicotomia Inzitari, L’incasso di ricevute bancarie da parte della banca nel corso del concordato preventivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, I, p. 463; Frigeni, Linee di credito “autoliquidanti” e (pre)concordato preventivo, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, p. 550 (Id. in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, 3, Torino, 2014, p. 3057 e ss.). Avverte Nigro, Anticipazione su crediti e concordato preventivo, in Dir. banc., 2013, p. 173, come la distinzione tra mandato all’incasso e cessione del credito, ferma sul piano teorico, tenda a farsi assai sfumata nella prassi negoziale. 17 Da ciò il dubbio che rientrino nella serie dei contratti auto-liquidanti quelli che, ad esempio, replichino lo schema dello sconto e, pertanto, implichino il trasferimento del credito (si veda Romagno, Lo sconto di ricevute bancarie nel concordato preventivo, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, II, p. 564). Contigua all’ipotesi della cessione è quella del trasferimento del credito in garanzia. Ipotesi elaborata nella prassi negoziale e, tutt’ora sfuggente, nonostante essa sia riconosciuta nel decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170. Su di essa si sofferma recentemente Dolmetta, Cessione di credito in garanzia e prelazione, in Il fallimento, 2016, 8-9, pp. 931 e ss. Per le prime e ampie illustrazioni della peculiarità della figura si rimanda a Inzitari, La cessione del credito a scopo di garanzia: inefficacia ed inopponibilità ai creditori dell’incasso del cessionario nel fallimento, nel concordato e nell’amministrazione controllata, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, pp. 153 e ss., nonché a Dolmetta, Portale, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, pp. 100 e ss.

534

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 534

06/11/17 17:41


Michele Onorato

importo commisurato ai crediti che sono rappresentati dai titoli e dalle ricevute presentati dall’impresa in un dato momento18. In ambedue i casi, la banca provvede a recuperare la somma che ha procurato, dapprima, percependo i crediti oggetto del mandato conferito; e, di seguito, compensando il diritto dell’impresa verso la banca, per avere incassato le somme della mandante, e quello della banca verso l’impresa, per avere finanziato quest’ultima. La somma messa a disposizione dalla banca sembra essere l’oggetto di un finanziamento. Svolti questi cenni essenziali, occorre riflettere sui temi più problematici che si agitano intorno ai rapporti auto-liquidanti, cioè quelli dello scioglimento (o, meglio, del mantenimento) e della compensazione.

4.1. I rapporti auto-liquidanti e l’art. 169-bis l.fall. Si dà la nota questione della sospensione o dello scioglimento di tali rapporti. Ai sensi dell’art. 169-bis, co. 1, l.fall., sono suscettibili di sospensione o di scioglimento i «contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data di presentazione del ricorso». Secondo una prevalente opinione, i rapporti auto-liquidanti sfuggirebbero dall’ambito di applicazione della disposizione. Si osserva che l’art. 169-bis l.fall. avrebbe ad oggetto il medesimo perimetro di applicazione dell’art. 72 l.fall., il quale stabilisce l’effetto della sospensione in presenza di prestazioni non ancora eseguite «da entrambe le parti». Si dovrebbe reputare una piena coincidenza fenomenologica delle due discipline19, giacché «le due norme si riferiscono alla medesima fattispecie»20: al pari della norma posta per il fallimento, anche quella dedicata al concordato preventivo vorrebbe che nessuna delle parti abbia adempiuto all’obbligazione. Ove la prestazione di una parte sia stata integralmente eseguita, il contratto sarebbe insuscettibile di scioglimento, quantunque non sia stata ancora completata la prestazione dell’altra parte21.

18

Cfr. Inzitari, L’incasso, cit., p. 458. Nigro, Ancora su concordato preventivo e anticipazioni bancarie su crediti, in Fallimenti e Società.it, Osservatorio di diritto societario e fallimentare triveneto, 2016, p. 17 dell’estratto; Ambrosini, Gli effetti, cit., p. 19 dell’estratto. 20 Tarzia, Anticipazioni bancarie e art. 169-bis l. fall., in il Fallimentarista. Focus dell’8 giugno 2015, p. 3 dell’estratto. 21 L’idea della piena coincidenza delle due disposizioni è nettamente affermata da 19

535

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 535

06/11/17 17:41


Saggi

In questo quadro, è tratto il corollario che i rapporti auto-liquidanti non si potrebbero sospendere né sciogliere, se la banca abbia già messo a disposizione la somma e finanziato l’impresa. Adempiuta l’obbligazione di una delle parti, il rapporto sarebbe estraneo all’ambito di applicazione dell’art. 169-bis l.fall. il quale, allo stesso modo dell’art. 72 l.fall., presupporrebbe che nessuno dei contraenti abbia compiutamente eseguito la prestazione22. Sulla medesima linea si colloca l’ulteriore opinione in base a cui l’art. 169-bis l.fall. sarebbe applicabile anche laddove sia stata integralmente eseguita una sola delle prestazioni, sempre che l’altra ineseguita prestazione non consista del «pagamento da parte del debitore concordatario di un debito scaduto»23. Quando l’unica prestazione attesa si riduca nel debito dell’impresa ricorrente, non vi sarebbe lo stato di pendenza evocato nell’art. 169-bis l.fall. e, di conseguenza, non sarebbe possibile alcuna sospensione o scioglimento24. Infine, a pensare che, dopo l’erogazione del prestito, l’impresa possa riacquisire la legittimazione ad incassare il credito oggetto del rapporto auto-liquidante, vi sarebbe il rischio di una indebita locupletazione: «il debitore concordatario andrebbe ad incassare le medesime somme due

Censoni, Il concordato preventivo, in Trattato proc. conc., diretto da Jorio e Sassani, cit., pp. 224 e ss.; Caridi, Anticipazioni, cit., pp. 114-115; Lamanna, La nozione di “contratti pendenti” nel concordato preventivo, in il Fallimentarista. Focus del 7 novembre 2013, pp. 2 e 3 dell’estratto. In senso conforme Scognamiglio, Concordato preventivo, cit., p. 14 dell’estratto; Tarzia, Anticipazioni, cit., pp. 2 e 3 dell’estratto; Censoni, La continuazione, cit., p. 2 dell’estratto; de Pra, Concordato preventivo e contratti in corso, in Giur. comm., 2014, II, p. 52; Trentini, Il concordato, cit., p. 364, nell’affermare che quando «una delle due parti abbia integralmente eseguito la prestazione cui era tenuta, vi è unicamente un credito verso il fallito ovvero, se ad aver adempiuto è questi, verso il contraente in bonis»; Panzani, Concordato preventivo e contratti pendenti. Questioni applicative sull’art. 169-bis l. fall., in il Fallimentarista. Focus del 7 aprile 2014, p. 2 dell’estratto; Pagani, Preconcordato: regimi applicabili ai contratti esauriti, pendenti e da stipulare, in il Fallimentarista, Giurisprudenza commentata dell’11 novembre 2015, p. 7 dell’estratto; Carbone, Corciulo, Le novità della riforma estiva in tema di rapporti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari, in il Fallimentarista. Focus del 28 gennaio 2016, p. 2 dell’estratto; Cederle, La controversa, cit., p. 591. In giurisprudenza Trib. Vicenza, 25 giugno 2013; Trib. Milano, sez. II, 28 maggio 2014 e 4 novembre 2014; Trib. Pavia, 24 novembre 2014. 22 Cfr. App. Venezia, 26 novembre 2014. 23 Fabiani, Per una lettura, cit., p. 7 dell’estratto. Cfr. Caridi, Anticipazioni, cit., pp. 120-121; Tarzia, Anticipazioni, cit., p. 4 dell’estratto e, in giurisprudenza, Trib. Vicenza, 25 giugno 2013; Trib. Milano, sez. II, 4 novembre 2014; Trib. Bergamo, 11 marzo 2015. 24 Ambrosini, Gli effetti, cit., pp. 19-20 dell’estratto.

536

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 536

06/11/17 17:41


Michele Onorato

volte (una prima volta mediante l’anticipo erogato dalla banca prima dell’apertura della procedura concorsuale, e successivamente chiedendo l’incasso delle somme pagate alla banca dal terzo)»25. Non tutte le argomentazioni dirette ad espungere i rapporti autoliquidanti dall’area dell’art. 169-bis l.fall. riescono persuasive26; prima

25 Rebecca, Albè, Concordato preventivo e contratti bancari con patto di compensazione: sospensione, scioglimento e compensazione, in il Fallimentarista. Focus del 16 febbraio 2015, p. 9 dell’estratto. L’insidia della ipotetica duplicazione è segnalata anche da Tarzia, Anticipazioni, cit., p. 5 dell’estratto. 26 Anzitutto, genera qualche perplessità l’affermazione secondo cui il testo dell’art. 169-bis l.fall., quantunque differente dal testo dell’art. 72 l.fall., restituirebbe il medesimo contenuto. Pur essendo palese che tra le due disposizioni corre una diversità di enunciazione, si osserva frequentemente che l’argomento letterale sarebbe debole (così, ad esempio, Trib. Milano, 28 maggio 2014). A meditare il problema da una prospettiva rigorosamente positivistica, l’argomento letterale non sembra potersi reputare marginale, a meno di ipotizzare l’ammissibilità di interpretazioni meta o contro testuali, cioè sciolte o contrapposte alle parole della legge. Vero è, piuttosto, che le parole della legge potrebbero essere ambigue (Lamanna, La nozione, cit., p. 2 dell’estratto), sicché non si deve astrattamente escludere che, a dispetto della diversità di formulazione, gli artt. 169-bis e 72 l.fall. abbiano il medesimo significato (App. Venezia, 26 novembre 2014). Si tratta, però, di una conclusione che è tutta da dimostrare. Ora, sul piano logico-linguistico, sembra decisivo che l’art. 72, co. 1, l.fall. contiene una specificazione ulteriore: esso esige, ai fini dell’effetto sospensivo, che il contratto sia ineseguito o non compiutamente eseguito «da entrambe le parti», mentre l’art. 169-bis, co. 1, l.fall. esige, semplicemente, che il contratto sia ineseguito o non compiutamente eseguito alla data della presentazione del ricorso per concordato preventivo. L’assenza della locuzione «da entrambe le parti» non appare affatto neutrale e depone per un ambito di applicazione più esteso di quello relativo all’art. 72 l.fall.: se questo è certamente da escludere quando una delle prestazioni sia stata compiutamente eseguita (essendo necessario che le prestazioni di ambedue siano in tutto o in parte ineseguite), l’ambito di applicazione dell’art. 169-bis l.fall. è invece compatibile rispetto all’ipotesi in cui una sola delle parti abbia integralmente adempiuto alla propria obbligazione. Del resto, spostando l’indagine sul piano logico-sistematico, «il legislatore, con l’art. 169 bis, ha disciplinato in modo autonomo lo scioglimento dei contratti in corso nell’ambito del concordato preventivo, laddove, se avesse inteso estendere al concordato la disciplina dell’art. 72 dettato in tema di fallimento, sarebbe bastato un espresso richiamo a tale norma» (App. Genova, sez. I, 10 febbraio 2014). Inoltre, la motivazione secondo cui la sospensione o lo scioglimento dei contratti in corso avrebbero l’insidia di una indebita locupletazione, ossia il rischio che l’impresa incassi le somme per due volte, si mostra intrinsecamente fuorviante. Oltre che svolgere un evidente salto logico, essa trascura che, per effetto dello scioglimento, l’impresa incasserebbe un credito proprio (e non della banca), mentre permarrebbe la obbligazione restitutoria verso la banca la quale non si estingue col concordato, al pari di quelle derivanti da un semplice mutuo e, più in generale, al pari di ogni altro debito concorsuale rispetto ai quali quello dell’impresa verso la banca non presenta una diversità giuridicamente rilevante. È bensì da meditare

537

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 537

06/11/17 17:41


Saggi

ancora, non riesce convincente l’idea di considerare lo statuto di tali rapporti esclusivamente alla luce della disciplina dell’art. 169-bis l.fall. È affatto singolare che, nel meditare il tema in esame, la letteratura sembri trascurare l’art. 182-quinquies, co. 3, l.fall.27: l’unica disposizione ad utilizzare l’espressione «autoliquidanti», contemplando la autorizzazione per il mantenimento di tali «linee di credito»28.

4.2. Mantenimento in luogo di scioglimento. L’applicazione dell’art. 182-quinquies l.fall. Vi è una apparente contraddizione tra la disciplina contenuta nell’art. 182-quinquies, co. 3, l.fall. e quella contenuta nell’art. 169-bis l.fall.: l’una esige l’autorizzazione per conservare il rapporto giuridico; l’altra chiede l’autorizzazione per sospenderlo o estinguerlo. La contraddizione sembra tuttavia rimandare a una classica antinomia tra norme, da superare con i consueti criteri: ai rapporti in esame - quelli per i quali è posta una disciplina particolare - si applica l’art. 182-quinquies, co. 3, l.fall., secondo il principio lex specialis derogat generali. Non vi è una incompatibilità ma una semplice deroga: i rapporti auto-liquidanti possono essere soltanto mantenuti; essi sono incapaci di risoluzione, essendo bensì idonei alla conservazione. Il rapporto tra le due discipline fa sì che i nostri siano sottratti allo statuto dell’art. 169-bis l.fall. e sottoposti allo statuto dell’art. 182-quinquies, co. 3, l.fall. che è ad essi precipuamente rivolto29. Ancorché teoricamente piana, la soluzione deve essere ragionata a fondo, in quanto l’idea di applicare l’art. 182-quinquies l.fall. ai rapporti auto-liquidanti sembra esporsi al medesimo rilievo formulato per espel-

con attenzione l’obiezione che il rapporto auto-liquidante non potrebbe essere sciolto, essendo ormai compiutamente eseguita la prestazione della banca. Tale affermazione si offre alla replica che le obbligazioni imputabili alla banca in ragione di un rapporto autoliquidante non si risolvono nella erogazione di una somma, quasi si trattasse di un mutuo, ma implicano l’impegno a erogare, volta per volta, un certo finanziamento. 27 L’applicabilità di tale disposizione, a quanto risulta, è ragionata esclusivamente da Nigro, Ancora su concordato, cit., pp. 10-11 dell’estratto. 28 Per l’applicazione della disposizione si veda Trib. Bolzano, 5 aprile 2016. 29 Secondo Nigro, Ancora su concordato, cit., p. 11 dell’estratto, il conflitto tra il principio di neutralità del concordato preventivo rispetto ai rapporti pendenti e la previsione al mantenimento di quelli auto-liquidanti si spiegherebbe ipotizzando che l’art. 182-quinquies, co. 3, l.fall., non riguardi «gli accordi quadro, ma le specifiche operazioni di anticipazione su crediti».

538

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 538

06/11/17 17:41


Michele Onorato

lere tali rapporti dall’area di applicazione dell’art. 169-bis l.fall. Ricordiamo che, a seguire la opinione prevalente, i nostri non potrebbero essere sospesi o estinti giacché non riuscirebbero pendenti. Laddove la banca abbia erogato il finanziamento, non vi sarebbe un rapporto in corso di esecuzione ma, esclusivamente, un debito (quello restitutorio dell’impresa) da pagare. Accogliendo l’idea che i rapporti auto-liquidanti non si prestino allo scioglimento, è giocoforza concludere che essi nemmeno si prestino al mantenimento: ciò che non può essere sciolto, perché non più pendente, non può, a rigore, essere mantenuto. La conclusione, se pure coerente alla premessa da cui procede, urta palesemente contro il dato normativo il quale contempla espressamente il mantenimento di tali rapporti. La conclusione tradisce in realtà una confusione di piani e impone di seguire una linea rigorosamente analitica, scomponendo il contenuto dei rapporti auto-liquidanti. Essi parrebbero consistere di un fascio di effetti: alcuni sono propriamente pendenti e astrattamente suscettibili di mantenimento (o di scioglimento); altri, invece, non sono pendenti e, quindi, non sono suscettibili di scioglimento (né di mantenimento); altri, infine, risultano incompatibili rispetto ai principi del concorso.

4.3. L’obbligazione della banca. Pendente e idonea al mantenimento è, in primo luogo, l’obbligazione a monte, ossia quella della banca di mettere a disposizione una certa somma. Abbia titolo in un contratto di apertura di credito bancario ex artt. 1842 e ss. c.c. ovvero in un analogo congegno negoziale elaborato nei traffici30, questo caratteristico effetto dei rapporti auto-liquidanti implica non l’obbligo di versare una somma una tantum ma quello di tenere codesta somma a disposizione per un dato periodo31. Il rapporto si offre così a ripetuti e ciclici adempimenti da parte della banca; correlativamente, l’impresa può pretendere ripetutamente e

30 Una rassegna dei modelli censiti nei traffici si legge in Terenghi, Natura e revocabilità di rimesse in c/c bancario per anticipazioni dietro fattura, in il Fallimentarista. Giurisprudenza commentata del 2 dicembre 2014. 31 Questa è del resto la funzione che si riconosce comunemente all’apertura di credito bancario: cfr., di recente, Porcelli, L’apertura di credito bancario, in Aa. Vv., I contratti bancari, in Trattato dei contratti, diretto da Rescigno ed Gabrielli, Milano, 2016, p. 927.

539

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 539

06/11/17 17:41


Saggi

ciclicamente la erogazione della somma convenuta, trasferendo i crediti commerciali o domandando di incassarli per suo conto32. Che un simile rapporto non possa essere sciolto ma, esclusivamente, mantenuto appare conforme al dato positivo, il quale assegna alle linee auto-liquidanti la sorte del mantenimento anziché quella, evocata nell’art. 169-bis l.fall., dello scioglimento. Ad escludere lo scioglimento militano, peraltro, considerazioni di ordine razionale. Se lo scopo dell’art. 169-bis l.fall. è consentire al ricorrente di arrestare lo svolgimento di un rapporto non funzionale al concordato33, allora la disciplina posta da tale disposizione è superflua nel caso di un rapporto auto-liquidante. L’impresa può ottenere da sé il risultato postulato nell’art. 169-bis l.fall., astenendosi dal domandare o dall’utilizzare la disponibilità di somme ulteriori34. Il rapporto auto-liquidante implica anzitutto la obbligazione della banca di erogare una certa somma. Ove l’impresa non intenda dare corso a tale rapporto, le basta astenersi dall’esigere l’adempimento della banca. Da questo punto di vista, la norma contenuta nell’art. 169 bis l.f. non ha alcuna ragione di applicazione. Mentre è assente la necessità dello scioglimento, il rapporto sembra invece annunciare la tipica esigenza di tutela alla base dell’art. 182-quinquies, co. 3, l.fall. Se lo scopo di questa disposizione è consentire all’impresa ricorrente di ottenere dei finanziamenti capaci di generare delle obbligazioni pre-deducibili, allora essa non può non riguardare quei rapporti con i quali l’impresa, finanziandosi automaticamente per mezzo dei propri crediti commerciali, possa acquisire delle simili obbligazioni35.

4.4. La cessione dei crediti. Fermato questo risultato preliminare, occorre considerare adesso l’ipotesi in cui al rapporto in esame sia combinata la cessione dei crediti commerciali.

32

Cfr. Trib. Pavia, 24 novembre 2014. Fabiani, Per una lettura, cit., pp. 3-4. Per Panzani, Concordato, cit., p. 2 dell’estratto, si tratterebbe invece «di liberare l’imprenditore da onerosi vincoli contrattuali». 34 Per lo scioglimento Trib. Milano, sez. II, 28 maggio 2014. 35 Cfr. Caridi, Anticipazioni, cit., p. 127. 33

540

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 540

06/11/17 17:41


Michele Onorato

Bisogna distinguere e separare. Per le cessioni di credito già perfezionate non è pensabile il mantenimento o lo scioglimento poiché, prima ancora, non è pensabile uno stato di pendenza. Una volta ceduti, i crediti sono acquisiti nel patrimonio della banca; e, una volta pagato il corrispettivo della cessione, non vi sono più obbligazioni suscettibili di adempimento, di là della eventuale obbligazione dell’impresa per l’insolvenza del debitore ceduto ai sensi dell’art. 1267 c.c.36. Le cessioni perfezionate sono incapaci di mantenimento e sollevano esclusivamente un problema di opponibilità. L’autorizzazione al mantenimento è concepibile soltanto laddove il rapporto con la banca programmi una serie aperta di cessioni. Come osservato sopra, i rapporti auto-liquidanti possono prevedere il diritto dell’impresa di trasferire ciclicamente i crediti commerciali, in uno con l’obbligo della banca di acquisirli e pagare il corrispettivo convenuto. A ben vedere, in simili casi, autorizzazione non sembrerebbero essere sottoposte le singole cessioni di volta in volta compiute ma il complessivo rapporto finanziario, il quale attribuisce all’impresa la facoltà di alienare ciclicamente i propri crediti e percepire il versamento delle somme corrispondenti. Sono pensabili una pluralità di atti esecutivi del rapporto auto-liquidante, ossia una pluralità di erogazioni da parte della banca e una pluralità di cessioni da parte dell’impresa. Tali atti tutti procedono nel circuito della obbligazione a monte di mettere a disposizione una certa somma mediante l’acquisto dei crediti. Autorizzato tale rapporto, l’impresa può legittimamente cedere i diritti alla banca, nei limiti e con le modalità convenute, senza dovere domandare ulteriori autorizzazioni in occasione di ogni singolo atto di alienazione. La necessità di autorizzare l’obbligazione a monte sembra tuttavia eccentrica rispetto alla generale esigenza di tutela alla base dell’art. 182-quinquies, co. 3, l.fall. Come anticipato, le somme versate dalla banca come corrispettivo della cessione non sono, a rigore, oggetto di una prestazione di finanziamento. La disponibilità finanziaria erogata dalla banca in occasione della cessione del credito non implica una obbligazione restitutoria dell’impresa giacché, per effetto della cessione, da un lato, il credito è definitivamente attratto nel patrimonio della banca e, dall’altro, le somme sono definitivamente attratte nel patrimonio dell’im-

36

Cfr. Caridi, Anticipazioni, cit., pp. 117 e ss.

541

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 541

06/11/17 17:41


Saggi

presa. Gli importi erogati si riducono nel corrispettivo della alienazione, senza determinare la immediata nascita di obbligazioni pre-deducibili. La autorizzazione derivante dall’art. 182-quinquies, co. 3, l.fall. - autorizzazione espressamente prevista, nel comma successivo, per il caso della cessione dei crediti in garanzia - parrebbe obbedire a un’altra esigenza di tutela. La cessione del credito in pendenza di concordato integra un atto dispositivo del patrimonio dell’impresa ricorrente. Si tratta di un atto liquidatorio che, precedente alla omologazione, sarebbe compiuto al di fuori e in assenza dei criteri fissati dal tribunale per la liquidazione del patrimonio. Da ciò parrebbe derivare la necessità del provvedimento autorizzativo contemplato nella disposizione. 4.5. Il mandato all’incasso. Il rapporto auto-liquidante appare suscettibile di autorizzazione al mantenimento anche laddove combinato a un mandato all’incasso dei crediti commerciali, cioè quando la banca offra una disponibilità finanziaria commisurata ai crediti che l’impresa chieda di riscuotere per suo conto37. Isolando, per ora, il mandato all’incasso dal patto di compensazione ad esso normalmente connesso, non vi sono ragioni per escludere la prosecuzione di tale rapporto nel corso della procedura di concordato38. Il mandato riguarda una serie di attività, le quali si restringono nella mera prestazione di un servizio. Al punto che, stralciato dalla obbligazione della banca di mettere a disposizione una certa somma, il mandato all’incasso nemmeno sembrerebbe sottoposto ad autorizzazione ai sensi dell’art. 182-quinquies, co. 3, l.fall.39. La necessità dell’autorizzazione riguarda l’obbligazione finanziaria a cui è collegato, quella della banca di erogare delle somme corrispondenti ai crediti commerciali oggetto del mandato. L’esigenza di autorizzare tale obbligazione dipende dalla consueta idoneità a generare debiti pre-deducibili. Ad esigere l’applicazione dell’art. 182-quinquies, co. 3,

37 Nella prassi il mandato all’incasso si può accompagnare a una cessione di credito interna, ossia non notificata al debitore. L’ipotesi è analizzata già da Maccarone, I contratti, cit., pp. 41 e ss. 38 Nigro, Anticipazione, cit., p. 174; Cfr. Frigeni, Linee di credito, cit., p. 555. 39 In sé considerato, il rapporto di mandato sembrerebbe, a tutto concedere, capace di scioglimento ai sensi dell’art. 169 bis, più che di conservazione ai sensi dell’art. 182-quinquies, terzo comma, l.fall. Per lo scioglimento Trib. Milano, sez. II, 28 maggio 2014.

542

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 542

06/11/17 17:41


Michele Onorato

l.fall. non è tanto il mandato, quanto il diritto dell’impresa ricorrente di ricevere delle somme ulteriori e commisurate ai crediti che sono oggetto dell’incarico di incasso. Se queste considerazioni appaiono finanche banali, il discorso si fa problematico quando il mandato all’incasso tragga con sé un patto di compensazione: patto che preveda la reciproca estinzione tra la pretesa della banca, per avere erogato una certa somma all’impresa, e la pretesa dell’impresa, per avere la banca incassato in vece di quest’ultima. L’accordo di compensazione è tra i temi più controversi in materia di concordato e deve essere trattato distintamente. 5.1. L’accordo di compensazione. La veduta maggioritaria vuole che il patto di compensazione sia compatibile rispetto alla procedura di concordato preventivo. Questa opinione discende da un orientamento della Cassazione, a prima vista consolidato40, secondo cui «la clausola attributiva del diritto di “incamerare” le somme riscosse in favore della banca (c.d. “patto di compensazione” o, secondo altra definizione, patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto)» fa sì che «la banca ha diritto a “compensare” il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che detto credito sia anteriore alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore, poiché in siffatta ipotesi non può ritenersi operante il principio della “cristallizzazione dei crediti”»41. L’accordo di compensazione resisterebbe alla procedura di concordato con la conseguenza che sarebbe configurabile il diritto della banca mandataria di trattenere le somme riscosse per conto dell’impresa ricorrente. Così che la compensazione si potrebbe realizzare anche tra crediti sorti in fasi differenti: anche quando, ad esempio, quello della banca alla restituzione del finanziamento sia sorto prima della domanda di concordato e sia, dunque, propriamente concorsuale, mentre quello dell’impresa alla restituzione della somma versata dal cliente sia sorto dopo la domanda di concordato e non sia, pertanto, concorsuale42.

40

Tarzia, Riscossione di crediti “anticipati” dalla banca, ed efficacia del patto di compensazione nel concordato preventivo, in Il fallimento, 2012, 5, p. 592. 41 Cfr. Cass., 1 settembre 2011, n. 17999, la quale richiama le sentenze Cass., 23 marzo 2001, n. 4205 e 7 marzo 1998, n. 2539. 42 Per l’illustrazione di questa posizione si veda Fabiani, La Croce, L’istituto della

543

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 543

06/11/17 17:41


Saggi

Tale conclusione è argomentata col rilievo che «il patto, infatti, è connesso in modo essenziale al negozio di credito bancario strutturalmente collegato al potere attribuito alla banca (in forza di un mandato, o per effetto di una cessione di credito) di riscuotere il credito del correntista, nel senso che attenendo esso alla regolamentazione delle modalità di satisfazione del credito della banca, in sua carenza l’operazione non sarebbe stata posta in essere, sicché negozio e patto non possono che essere interdipendenti»43. Il negozio di credito bancario risulterebbe inseparabile dal patto di compensazione. Nemmeno il così detto principio di cristallizzazione varrebbe a impedire la compensazione, giacché codesta compensazione avrebbe titolo nella volontà delle parti «che inequivocabilmente hanno sin dall’inizio previsto e preordinato di comune accordo una particolare modalità satisfattiva (la compensazione) del credito della banca scaturente dalla stessa anticipazione, in guisa che, in mancanza di tale strumento, il contratto di finanziamento non sarebbe mai stato stipulato»44. In una simile prospettiva, il patto di compensazione sembra acquisire una natura «extraconcorsuale», in grado di derogare alle fondamentali regole del concorso45.

compensazione nel concordato preventivo: una operatività a 360 gradi, in Il fallimento, 2015, 6, pp. 638 e ss. 43 Cass., 7 marzo 1998, n. 2539; in termini analoghi Frigeni, Linee di credito, cit., p. 558, secondo cui «l’utilizzo da parte della banca delle somme incassate dai terzi al fine di “rientrare” dalla corrispondente esposizione va apprezzata in termini di attuazione del programma negoziale prefigurato dalle parti». 44 Cederle, La controversa applicazione dell’art. 169 bis l. fall. ai contratti bancari, cit., p. 592 (Id., Anticipazione di crediti e concordato preventivo: la banca mandataria tra obblighi restitutori e patto di compensazione, in il Fallimento, 2010, 11, 1305 e ss.). Per l’orientamento favorevole alla compensazione di fonte negoziale nel corso della procedura di concordato Trib. Reggio Emilia, 18 dicembre 2014; Trib. Monza, sez. III, 27 novembre 2013; Trib. Cuneo, 14 novembre 2013; Trib. Roma, sez. X, 21 aprile 2000. In dottrina, con varietà di accenti, Patti, Quale compensazione nella “consecuzione” del fallimento a proposta di concordato preventivo inammissibile, in Il fallimento, 2015, 7, pp. 820 e ss.; Ambrosini, Il concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso e Gabrielli, IV, Torino, 2014, pp. 298 e ss.; Ade Pra, Concordato, cit., pp. 52 e ss.; Frigeni, Linee di credito, cit., p. 557; Tarzia, Riscossione dei crediti “anticipati” dalla banca, ed efficacia del patto di compensazione nel concordato preventivo, in Il fallimento, 2012, 5, p. 592. Parrebbe invece contrario Apice, Compensazione e procedure concorsuali, in Il fallimento, 1997, 4, p. 340. 45 Patti, Quale compensazione, cit., p. 821.

544

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 544

06/11/17 17:41


Michele Onorato

5.2. Critica alla veduta prevalente. Sebbene largamente dominante46, l’opinione indicata nel paragrafo precedente genera alcune perplessità. Rammentiamo che, secondo un altro insegnamento, questo sì pressoché unanime, la compensazione postula l’anteriorità dei crediti alla domanda di concordato. La mutua estinzione dei diritti ai sensi dell’art. 56 l.fall. (disposizione a cui rinvia l’art. 169 l.fall.) non può prescindere dalla sincronia dei rispettivi fatti costitutivi, dall’essere ambedue tali fatti precedenti all’incardinarsi della procedura concorsuale47. In difetto di omogeneità cronologica, la compensazione non sembra ammissibile poiché essa si risolve in una violazione del concorso48. A

46

La compensabilità di crediti diacronici prevista dal patto di compensazione è registrata come un risultato «sicuro» da Casa, Sebastiano, I contratti in corso di esecuzione nel concordato preventivo, in Il fallimento, 2014, 5, p. 609. 47 «Nel concordato preventivo – si legge in Cass., 20 gennaio 2015, n. 825 –, la compensazione determina – a norma del combinato disposto degli artt. 56 e 169 l. fall. – una deroga alla regola del concorso ed è ammessa pure quando i presupposti di liquidità ed esigibilità, ex art. 1243 cod. civ., maturino dopo la data di presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, purché il fatto genetico delle rispettive obbligazioni sia sempre anteriore a domanda». Conformi Cass., 22 novembre 2015, n. 24046; Cass., 6 agosto 2010, n. 18437; Cass., 7 maggio 2009, n. 10548; Cass., 24 marzo 2000, n. 3519; Cass., S.U., 16 novembre 1999, n. 775. Nella giurisprudenza di merito Trib. Bologna, 11 marzo 2015; Trib. Lucca, 21 maggio 2013; Trib. Napoli, 4 dicembre 2012; Trib. Terni, 12 ottobre 2012; App. Torino, 18 maggio 2010; Trib. Milano, 6 luglio 2006; App. Milano, 2 marzo 2001. Per una lettura rigorosa del requisito della anteriorità si veda Guglielmucci, Diritto fallimentare7, Torino, 2015, pp. 196-197. Sul requisito della anteriorità del fatto genetico medita recentemente Cataldo, Regime della compensazione nei procedimenti concorsuali, par condicio e tutela dei diritti, in Il fallimento, 2016, 6, pp. 688 e ss., il quale parrebbe giungere alla conclusione che fatto costitutivo precedente sia ogni fatto inerente la precedente gestione dell’impresa insolvente. 48 Inzitari, L’incasso, cit., pp. 461-462; Jorio, Le crisi d’impresa. Il fallimento, in Tratt. dir. priv., a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2000, p. 394; Celentano, Gli effetti del fallimento per il fallito e per i creditori, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, 1, pp. 530 e ss.; Rosapepe, Gli effetti nei confronti dei creditori, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso e Gabrielli, IV, Torino, 2014, p. 103; Caiafa, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Roma, 2016, p. 171. Non sembra però che un ulteriore limite alla compensazione sia dato dalla circostanza che i reciproci crediti derivino da un unico rapporto, come tipicamente accade nel caso di rapporti auto-liquidanti. Tale limitazione, talvolta postulata nella giurisprudenza, è stata correttamente esclusa da Cass., S.U., 16 novembre 1999, n. 775, la quale ha, tra l’altro, osservato che «sembra legittima la conclusione che l’art. 1246 codice civile sia stato posto per prevedere la pluralità di titoli

545

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 545

06/11/17 17:41


Saggi

compensare un credito concorsuale e uno che l’impresa ricorrente abbia maturato dopo la domanda di concordato, si genera l’insidia di una sperequazione: il creditore che si vale della compensazione soddisfa per intero la sua pretesa, senza subire la falcidie concordataria alla quale sono esposti gli altri. Questa premessa, si badi, risulta pacifica anche nella letteratura, prima indicata, la quale ammette la compensazione negoziale nel corso della procedura di concordato preventivo. Secondo tale letteratura, la compensazione tra crediti diacronici – sorti l’uno prima e l’altro dopo la genesi della procedura - sarebbe in linea di principio preclusa ai sensi dell’art. 56 l.fall.; a meno che, si precisa, essa sia stata espressamente voluta dalle parti. Insomma, il divieto di compensazione non potrebbe essere superato se non attraverso un accordo49. Il vizio del ragionamento è però evidente. La compensazione configura una modalità di estinzione della obbligazione la quale si compie in presenza di debiti omogenei, liquidi ed esigibili (art. 1243, co. 1, c.c.). L’effetto estintivo è stabilito anzitutto dalla legge del codice civile, la quale costituisce l’eccezione di compensazione al ricorrere di certi presupposti50. A questo generale statuto segna una deroga la legge del fallimento che, nell’opinione prevalente, preclude l’eccezione di compensazione laddove i crediti non siano sincronici, poiché il diritto del fallito (o del ricorrente in concordato preventivo) sia sorto dopo la procedura. Ora, si mostra stravagante la tesi secondo cui il creditore non potrebbe far valere la compensazione legale, ossia l’eccezione di compensazione prevista dal codice civile, mentre potrebbe far valere la compensazione prevista in un patto negoziale. Se il principio di specialità spiega perché la disciplina contenuta nella legge fallimentare prevalga su quella codicistica, impedendo la compensazione da questa stabilita, non si comprende come la disciplina negoziale faccia a prevalere su quella della legge fallimentare, consentendo la compensazione stabilita con l’accordo.

(con le eccezioni stabilite), non già per escludere l’unicità del rapporto come fonte delle obbligazioni contrapposte». 49 Patti, Quale compensazione nella “consecuzione” del fallimento a proposta di concordato preventivo inammissibile, cit., pp. 820-821. 50 Si pensa alla compensazione come una eccezione e, segnatamente, come una eccezione processuale in senso stretto. Una delle costruzioni più rigorose di tale impianto concettuale si legge in E. Merlin, Compensazione e processo, I, Milano, 1991, passim.

546

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 546

06/11/17 17:41


Michele Onorato

La ipotizzata prevalenza del patto di compensazione rispetto all’art. 56 l.f. contraddice il nesso di sovra-ordinazione tra le fonti, presupponendo che una fonte autonoma di rango contrattuale si imponga a una eteronoma di rango legislativo51. La tesi deve essere respinta. A reputare che il concorso precluda di accogliere l’eccezione di compensazione legale tra crediti diacronici si deve, a maggior forza, reputare che il concorso precluda, rispetto a siffatti crediti, anche l’eccezione di compensazione convenzionale. 5.3. Divieto di compensazione di crediti diacronici. Le conclusioni sono ormai mature. Una volta che la domanda di concordato sia pubblicata nel registro delle imprese, parrebbe impedita la compensazione tra il credito della banca, sorto prima di tale momento, e il credito della ricorrente alla restituzione delle somme incassate successivamente per suo conto52. La preclusione vale sia nel caso in cui la compensazione abbia titolo nella disciplina generale del codice civile, sia nel caso in cui la compensazione abbia titolo nell’accordo tra le parti. In ambedue le ipotesi, il fatto costitutivo del diritto di credito della impresa, ossia del credito alla restituzione delle somme incassate dalla banca, si colloca dopo il concordato. Il fatto genetico non è infatti il mandato (stipulato prima del concordato), ma la esecuzione del mandato, ossia la percezione, da parte della banca mandataria, del pagamento indirizzato al cliente. Il divieto di compensazione di crediti diacronici è strettamente coerente al divieto di pagamento dei debiti anteriori, essendo entrambi volti a impedire la soddisfazione dei creditori all’esterno del concorso53.

51

Per Maffei Alberti, Gli effetti del fallimento sui contratti bancari, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 1989, I, p. 261, «anche la compensazione volontaria ha dei limiti precisi e non può valicare regole che sono disposte a tutela di interessi di terzi o di interessi collettivi». Cfr. Bontempi, I contratti bancari “autoliquidanti” nel concordato preventivo: tra scioglimento e retrocessione delle somme incassate dalla banca, in Nuova giur. civ., 2015, I, p. 285. 52 Con chiarezza Trib. Prato, 23 settembre 2015; Censoni, Gli effetti del concordato, cit., pp. 182 e ss.; Inzitari, L’incasso, cit., p. 462; Romagno, Lo sconto, cit., pp. 569 e ss.; Caridi, Anticipazioni, cit., pp. 121 e ss.; Bontempi, I contratti bancari, cit., p. 284. Rileva Maffei Alberti, Gli effetti, cit., p. 261, che «nel momento in cui si verifica la reciprocità dei rapporti di debito-credito, il credito anteriore è divenuto inesigibile per legge e quindi manca uno dei presupposti necessari della compensazione». 53 È noto l’orientamento espresso dalla Cass., 24 febbraio 2006, n. 4234, secondo cui «i debiti sorti prima dell’apertura della procedura di concordato preventivo, ai sensi dell’art. 168 l. fall., non sono mai estinguibili al di fuori del concorso». Equipara recentemente il

547

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 547

06/11/17 17:41


Saggi

Concorso deriva dal latino concúrrere, letteralmente correre insieme, e ha il suo opposto nel correre soli, nell’andare in solitudine. Calato nel discorso giuridico, concorso rimanda a un procedere corale dei creditori verso la realizzazione delle loro pretese54. Se la banca potesse compensare il suo debito restitutorio con il debito dell’impresa sorto prima del concordato, riuscirebbe fatalmente alterato il correre insieme dei creditori55, poiché uno parrebbe avvantaggiato rispetto agli altri56. Si direbbe quindi che non possano essere trattenuti gli importi percepiti nell’esercizio del mandato, in quanto tali importi devono rifluire nell’attivo concordatario57, nella massa destinata alla soddisfazione di tutti58.

pagamento di debiti anteriori e la compensazione con debiti anteriori App. Milano, 23 febbraio 2016; in dottrina Giorgetti, Anticipazioni bancarie e concordato preventivo, in il Fallimentarista. Focus del 19 giugno 2012, p. 5 dell’estratto. In questo ordine di idee sembra collocarsi anche Nigro, Ancora su concordato, cit., p. 9 dell’estratto, ove osserva che, aperta la procedura, non si darebbe più un rapporto pendente ma soltanto un credito della banca; credito che non potrebbe essere soddisfatto a causa del divieto di pagamento dei crediti sorti prima della procedura. 54 Certo, anche durante una esecuzione individuale si può innestare una nota concorsuale, potendo i creditori intervenire nel pignoramento individuale e così soddisfarsi assieme al creditore procedente. Ma è con la crisi dell’impresa che la presenza simultanea dei creditori si converte da mera possibilità a necessità. Ed è con la crisi che la possibilità di pagare i creditori secondo le preferenze del debitore si converte nella necessità di pagare secondo un certo ordine. Qui non si deve pagare fuori del concorso; né, fuori del concorso, si devono più esercitare le esecuzioni: per tutti, Satta, L’esecuzione forzata3, Torino, 1954, pp. 106 e ss. 55 Censoni, Gli effetti, cit., p. 182; Bontempi, I contratti bancari, cit., ivi; Trib. Busto Arsizio, sez. II, 11 febbraio 2013; Trib. Pavia, 24 novembre 2014. 56 Nota acutamente Apice, Compensazione, cit., p. 337 che l’automaticità della compensazione è tale per cui «il creditore che può usufruirne si viene a trovare in una posizione poziore anche rispetto al creditore in prededuzione». Nello stesso senso Nigro, Vattermoli, Diritto della crisi, cit., p. 147, i quali correttamente rilevano che la compensazione in sede fallimentare, lungi dall’assolvere a una esigenza di equità, «conduce, a ben vedere, ad una situazione tutt’altro che equa, in quanto genera una disuguaglianza che, a parere di chi scrive, non trova sufficiente giustificazione nella particolare condizione del soggetto avvantaggiato». 57 Nigro, Anticipazione, cit., p. 177. Non si dubita di questa soluzione nell’ipotesi di fallimento, in quanto «tutte le somme affluite sul conto dovrebbero essere “girate” dalla banca alla procedura – senza alcuna possibilità per la banca di trattenerle in compensazione del saldo passivo del conto o di altri crediti verso il fallito»: così Vattermoli, Conto corrente bancario e dichiarazione di fallimento, in Dir. banc., 2016, 1, p. 85. 58 Rimane da considerare quali conseguenze si verifichino ove la banca proceda a trattenere le somme incassate dopo il concordato a storno dei debiti pre-esistenti. L’ipotesi

548

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 548

06/11/17 17:41


Michele Onorato

Sembra cioè che non sia pensabile una posizione di privilegio, nem-

si mostra affatto diversa dall’ipotesi in cui sia l’impresa ricorrente, contro il divieto di pagamento dei debiti anteriori, a soddisfare uno o più creditori al di fuori del concorso. In questo caso, l’atto solutorio del debitore non è certo privo della immediata capacità estintiva della obbligazione. La circostanza che il ricorrente abbia tenuto un contegno difforme dal divieto di pagamento di debiti anteriori non incide immediatamente sull’atto ma, semplicemente, provoca il procedimento di revoca della ammissione alla procedura di concordato (l’orientamento che reputa necessaria l’apertura del procedimento di revoca nel caso di pagamento di debito anteriore si ricava, tra le molte sentenze, in Trib. Venezia, 18 settembre 2014; App. Ancona, 4 dicembre 2013; Trib. Pesaro, 26 luglio 2013; nelle più recenti sentenze della Cassazione si nota invece un orientamento più liberale il quale tende a indagare le ragioni e le conseguenze del pagamento non autorizzato come, ad esempio, in Cass., 19 febbraio 2016, n. 3324 e, precedentemente, in Trib. Modena, 13 luglio 2015; Trib. Rovigo, 26 maggio 2015). Nel caso in cui sia la banca a procedere alla elisione di poste diacroniche parrebbe invece che l’atto contabile risulti invalido o, addirittura, irrilevante. Laddove il rapporto auto-liquidante non sia collegato a un conto corrente di corrispondenza, l’estinzione del credito dell’impresa si potrebbe realizzare esclusivamente in conseguenza di una eccezione di compensazione da parte della banca convenuta in giudizio per il pagamento. Ma una simile eccezione non potrebbe essere accolta, ove si ipotizzi che il peculiare statuto della legge fallimentare impedisca la reciproca estinzione tra crediti diacronici. Risultanti analoghi sembrano darsi anche quando il rapporto auto-liquidante sia collegato a un conto corrente di corrispondenza, ipotesi largamente prevalente, se non esclusiva, sotto il profilo fenomenologico. Anche qui la banca, in presenza di crediti diacronici, non potrebbe profittare della compensazione stabilita in linea generale dal codice civile, a causa della prevalenza della legge fallimentare rispetto all’art. 1853 cod. civ., vale a dire rispetto alla disposizione che prevede la compensazione dei crediti inseriti nel conto (per l’automaticità della compensazione prevista in tale disposizione cfr. Ferri, voce Conto corrente di corrispondenza, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, p. 667 e, in giurisprudenza, Cass., 28 settembre 2005 n. 18947 e App. Roma, 27 luglio 1999; per una diversa soluzione si orienta recentemente ABF, Collegio di coordinamento, 17 marzo 2016, n. 2420, secondo cui «la compensazione legale prevista dall’art. 1853 c.c. presuppone la chiusura del conto corrente bancario»). Conviene ricordare, a tal proposito, come la disciplina generale del codice civile espressamente escluda dal conto «i crediti che non sono suscettibili di compensazione» (art. 1824, co. 1, c.c.). Se i crediti inidonei alla compensazione non devono rifluire nel conto, è giocoforza che essi non devono essere oggetto di elisione contabile. L’estratto conto che annoti la reciproca estinzione del credito restitutorio della banca, per avere incassato un credito dell’impresa dopo il concordato, e del credito dell’impresa, per il finanziamento ricevuto prima del concordato, appare quindi contrario alla disciplina normativa. Così che il trattenere le somme percepite nell’interesse dell’impresa, mettendole in conto a quelle ad essa erogate, finisce con l’essere un trattenere di mero fatto. Escluso un atipico e improbabile diritto di ritenzione delle somme incassate (non a caso si è ri-evocata in tema la categoria del secum pensare elaborata nel XIX secolo nella dottrina germanica: si veda Inzitari, La cessione, cit., pp. 179 e ss.), la banca parrebbe tenuta a versare quelle percepite per

549

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 549

06/11/17 17:41


Saggi

meno quando venga in rilievo un rapporto auto-liquidante. Anche in questo caso, il credito della banca non è diverso dagli altri crediti concorsuali59. La circostanza che essa abbia erogato delle somme prima del concordato non le attribuisce una preferenza poiché quelle somme, trasmesse all’impresa, sono definitivamente acquisite nel patrimonio della ricorrente. Come nel patrimonio della ricorrente sono definitivamente acquisiti i beni o, meglio, i diritti alienati dai fornitori o le prestazioni rese dai professionisti o dai lavoratori. La procedura concorsuale raduna tutti questi soggetti nella vasta e unitaria schiera dei creditori. I quali non hanno diritto alla restituzione della somma o alla retrocessione del diritto o della prestazione; essi sono meramente titolari di una obbligazione pecuniaria, di un credito, appunto, concorsuale, da pagare secondo la percentuale e le modalità fissate nella proposta concordataria. 5.4. Il mantenimento dell’accordo di compensazione. Ipotizzare che il concordato impedisca la compensazione tra crediti diacronici non equivale ad escludere il mantenimento del rapporto autoliquidante comprensivo del mandato all’incasso e del patto di compensazione. Tale rapporto appare ben suscettibile di autorizzazione ex art. 182 quinquies, co. 3, l.fall. L’autorizzazione appare conforme alla ratio della disposizione, nonché all’intrinseca vocazione del concordato preventivo il quale, abbiamo notato all’inizio, non esclude e, anzi, presuppone la prosecuzione delle relazioni negoziali. La conservazione di un rapporto auto-liquidante può consentire all’impresa di finanziare l’attività in corso, col vantaggio di preservare l’esercizio aziendale: vantaggio funzionale al piano di concordato non solo quando il progetto sia di pagare i creditori attraverso la continuità ma anche quando il progetto sia di ripartire tra i creditori il prezzo derivante dalla cessione dell’azienda. Autorizzato il rapporto ai sensi dell’art. 182-quinquies l.fall., si possono legittimamente elidere le somme percepite dopo l’incardinarsi della procedura con le somme che, sempre dopo il concordato, siano state messe a disposizione dell’impresa.

conto della impresa ricorrente, senza che alcuna operazione contabile o alcun accordo di compensazione possa surrettiziamente eludere lo statuto imperativo del concorso. 59 A parte le eventuali cause di prelazione di cui la banca sia titolare all’interno del concorso. Sui privilegi ipotizzabili per il caso in cui la banca abbia eseguito un rapporto di mandato, si veda Romagno, Lo sconto, cit., pp. 573 e ss.

550

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 550

06/11/17 17:41


Michele Onorato

Resta da meditare se una simile autorizzazione possa superare il divieto di compensazione più volte illustrato: se, autorizzato il rapporto auto-liquidante comprensivo di mandato all’incasso e patto di compensazione, si realizzi la reciproca estinzione tra il diritto della banca, sorto per avere erogato delle disponibilità finanziarie prima dell’incardinarsi della procedura, e il diritto dell’impresa, sorto per avere la banca incassato delle somme dopo l’incardinarsi della procedura60. Un effetto di questo tipo non sembra linguisticamente e logicamente deducibile dal testo dell’art. 182-quinquies, co. 3, l.fall. il quale, pur prevedendo il mantenimento di linee auto-liquidanti, non contempla alcuna deroga allo statuto del concorso. Una deroga al concorso è espressamente stabilita del quinto comma dell’art. 182-quinquies, l.fall. il quale, come noto, descrive l’autorizzazione al pagamento di debiti anteriori, laddove sia attestato che tali debiti abbiano titolo in rapporti di fornitura di beni o servizi strumentali alla migliore soddisfazione dei creditori: autorizzazione prevista esclusivamente per il concordato con continuità e soltanto per il caso che i rapporti di fornitura evocati riescano essenziali per la prosecuzione dell’esercizio aziendale. Sebbene la compensazione si mostri, sulle prime, come una modalità indiretta di pagamento e sebbene la compensazione tra crediti diacronici rechi una intuitiva somiglianza rispetto all’ipotesi del pagamento di crediti anteriori, la disciplina indicata nel quinto comma dell’art. 182-quinquies, l.fall. parrebbe insuscettibile di applicazione ai rapporti auto-liquidanti. L’applicazione di tale disciplina presupporrebbe il ricorso al procedimento analogico61 contro cui si agitano varie e razionali obiezioni: l’applicazione analogica avrebbe ad oggetto una norma la quale appare di

60

Sul punto non è ancora dato di isolare delle specifiche pronunce giurisprudenziali se non l’affermazione contenuta in Trib. Benevento, 4 febbraio 2016, secondo cui la autorizzazione al mantenimento di un rapporto auto-liquidante implicherebbe la prosecuzione dei contratti e, quindi, il diritto delle banche a riscuotere i crediti maturati per le anticipazioni fatte. Il provvedimento in esame non ha però precisato se, oltre che il diritto di riscuotere i crediti, l’autorizzazione al mantenimento implichi anche il diritto di trattenere le somme incassate. 61 In tema di analogia è ineludibile il rinvio a Bobbio, Teoria generale del diritto, Torino, 1993, pp. 265 e ss.; per l’applicazione analogica in materia fallimentare Alpa, L’incidenza del fallimento sui rapporti pendenti, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 1989, I, pp. 226-227.

551

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 551

06/11/17 17:41


Saggi

natura eccezionale; l’applicazione analogica presupporrebbe una lacuna difficilmente ravvisabile; soprattutto, il nostro caso sembra annunciare un’esigenza di tutela diversa e irriducibile da quella latente nel quinto comma dell’art. 182-quinquies, l.fall. L’autorizzazione alla compensazione di crediti diacronici potrebbe essere concessa se risultasse dimostrato che il mantenimento del rapporto auto-liquidante sia funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori come pure alla proficua continuazione dell’impresa. Quando, in altri termini, si attesti che il sacrificio del concorso determinato dalla compensazione tra crediti diacronici si converta in un vantaggio dei creditori concorsuali, potendo l’impresa procurarsi nuove disponibilità monetarie e così finanziare l’esercizio aziendale. Ma è proprio qui che emerge una specie di paradosso. Autorizzata la compensazione tra crediti diacronici, all’impresa che esigesse la disponibilità di nuove risorse la banca potrebbe opporre la restituzione dei finanziamenti eseguiti in precedenza. Difatti, i crediti dell’impresa alle ulteriori erogazioni sarebbero astrattamente suscettibili di elisione con i crediti della banca per le vecchie erogazioni. L’autorizzazione finirebbe col tradire il suo scopo, in quanto la banca potrebbe facilmente sottrarsi all’obbligo di procurare nuova liquidità, proprio eccependo la compensazione autorizzata dal tribunale. Le evidenti peculiarità del nostro caso sembrano rifiutare l’analogia e, assieme ad essa, escludere che l’autorizzazione di un rapporto autoliquidante possa comprendere anche la compensazione tra crediti sorti prima e dopo l’incardinarsi della procedura di concordato preventivo. Michele Onorato

552

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 552

06/11/17 17:41


COMMENTI

La sottoscrizione dei contratti di servizi di investimento Corte di Cassazione, Sezione I, ordinanza 27 aprile 2017, n. 10447; Pres. GianRel. Nazzicone; R.C.C., R.S.A., T.M. (avv. Prandi, Zoppis) e Corea (avv. Corea, Marini, Capelli) c. Banca Sella s.p.a. (avv. Barcellona, Giordano, Valentini) cola,

Intermediazione finanziaria – Contratto di prestazione di servizi di investimento – Requisito della forma scritta – Difetto di sottoscrizione dell’intermediario – Nullità – Questione di massima – di particolare importanza. (Cod. civ., artt. 1325, 1350, 1418; t.u.f. art. 23; c.p.c., art. 374, co. 2) È questione di massima di particolare importanza, tale da giustificare la rimessione della causa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, quella se, a norma dell’art. 23 t.u.f., il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, accanto a quella dell’investitore, anche la sottoscrizione ab substantiam dell’intermediario. (1)

(Omissis) Svolgimento del processo. La Corte d’appello di Torino con sentenza del 26 marzo 2013 ha confermato la decisione di primo grado, che aveva respinto tutte le domande proposte da R.C.C., R.S.A. e T.M., in proprio e quali eredi di R.M.R.P., volte all’accertamento della nullità, o, in subordine, all’annullamento o alla risoluzione per inadempimento, nonché alla condanna alle restituzioni sia del capitale inizialmente versato di Euro 2.652.186,81, sia del saldo negativo del rapporto di gestione patrimoniale di Euro 494.691,61 oltre accessori, con riguardo ai contratti di gestione patrimoniale, investimento e finanziamen-

to conclusi con Banca Sella s.p.a. sin dal 1997. La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: a) pur essendo stato il contratto-quadro di gestione, consulenza ed amministrazione di portafogli in data 20 aprile 1998 sottoscritto solo dai clienti, e non anche da un funzionario della banca, nondimeno non sussiste nullità per difetto di forma scritta: osservando, da un lato, che il contratto reca la dichiarazione espressa degli investitori circa la consegna di un esemplare del contratto “sottoscritto per accettazione dai soggetti abilitati a rappresentarvi”, ossia la banca, onde risulta che ogni parte abbia consegnato all’altra copia

553

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 553

06/11/17 17:41


Commenti

da essa sottoscritta; e, dall’altro lato, che né le fonti comunitarie, né il precedente storico di cui alla l. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6 postulano il requisito della forma scritta contrattuale, ma piuttosto il requisito sostanziale della idonea informazione, e che il requisito previsto dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23 è soddisfatto dalla firma dell’investitore, quale precetto di protezione del medesimo, volto essenzialmente a superare le asimmetrie informative; b) sebbene il predetto contratto-quadro sia intervenuto alcuni mesi dopo l’inizio del rapporto di gestione patrimoniale, le precedenti operazioni non sono state mai contestate dai clienti, né sono state individuate specificamente le operazioni anteriori al 20 aprile 1998, di cui si voglia far valere la nullità; c) detto contratto contiene tutti gli elementi prescritti dal legislatore, né i clienti hanno precisato di quali elementi essenziali difetterebbe; d) non sono nulli i singoli ordini di investimento, perché la loro materiale esecuzione rientrava nella gestione discrezionale della banca non presupponente una veste contrattuale formale, mentre le parti ebbero a pattuire non la forma scritta degli ordini, ma quella telefonica; e) nessuna operazione estranea al mandato ricevuto la banca ha posto in essere, né vi era necessità di una diversa fonte contrattuale sovraordinata al contratto di gestione; f) la banca ha provato di avere pienamente assolto ai propri obblighi informativi, in quanto i clienti hanno più volte ricevuto informazioni circa l’assenza di “alcuna garanzia di mantenere invariato il valore del patrimonio affidato in gestione” e “ciò in particolar modo nei casi in cui la leva finanziaria sia superiore all’uni-

tà”, prendendo atto “che il valore di mercato di tali investimenti è, per sua natura, soggetto a notevoli variazioni” con “elevati rischi perdite di dimensione anche eccedenti l’esborso originario”, e l’asimmetria informativa è stata colmata costantemente nel corso di aggiornamento del rapporto, anche in ordine alla propensione al rischio ed obiettivi di investimento; i clienti, del resto, hanno mantenuto un profilo di alta speculatività per ben otto anni, dimostrando in ogni occasione, anche mediante le numerose telefonate trascritte, una notevolissima competenza finanziaria e realizzando quindi sempre operazioni ad essi adeguate; non esisteva, infine, conflitto di interessi nelle negoziazioni in contropartita diretta, che non ebbero mai a traslare il rischio sui clienti ma, al contrario, furono poste in essere proprio per eseguire il mandato; i clienti furono posti in condizione di immediatamente rilevare le perdite, ricevendo ogni opportuna informazione; né infine, gli investitori hanno provato il nesso causale tra tutti i pretesi inadempimenti e le perdite da essi subite. Avverso questa sentenza propongono ricorso gli investitori, affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso la Banca Sella s.p.a., depositando altresì la memoria ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1. I motivi del ricorso censurano la sentenza impugnata per: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1325, 1350, 1418 c.c., d.lgs. n. 58 del 1998, art. 23 e art. 30 reg. Consob n. 11522 del 1998, avendo la corte del merito ritenuto irrilevante la mancata sottoscrizione del contratto-quadro di gestione da parte della banca, mentre non può ritenersi

554

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 554

06/11/17 17:41


Corte di Cassazione

applicabile il principio di equipollenza della produzione del documento in giudizio, questione peraltro non riproposta in appello; 2) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., d.lgs. n. 58 del 1998, artt. 23 e 24, e artt. 30, 32-37 ss., 47 reg. Consob n. 11522 del 1998, per avere la corte del merito ritenuto il contratto del 20 aprile 1998 come il contratto-quadro, mentre un simile contratto non fu mai concluso tra le parti; 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., d.lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e 23, artt. 29-29 reg. Consob n. 11522 del 1998, per avere la corte del merito ritenuto infondatamente provato l’adempimento, da parte della banca, dei propri obblighi informativi, fondandosi su documenti del 1997 e del 1998, che tuttavia erano all’uopo inidonei; 4) violazione e falsa applicazione degli artt. 1222 e 2697 c.c., d.lgs. n. 58 del 1998, art. 23 per non avere la corte del merito ritenuto che la prova del nesso eziologico tra gli inadempimenti della banca e il danno agli investitori fosse in re ipsa, avendo per forza di cose quegli inadempimenti agli obblighi informativi inciso sulla volontà dei clienti. 2. Il primo motivo del ricorso pone la questione se, a norma del d.lgs. n. 58 del 1998, art. 23 la sottoscrizione della banca sia necessaria ad substantiam anch’essa – accanto a quella dell’investitore – al fine della valida conclusione del contratto di gestione su base individualizzata di portafogli di investimento, che trova la sua fonte normativa nel d.lgs. n. 58 del 1998, art. 24 (ma identico dubbio interpretativo sorge in casi analoghi, ovvero in tutti

i contratti di prestazione di servizi di investimento, ai sensi dell’art. 23 cit., e nei contratti bancari, ai sensi del d.lgs. 24 settembre 1993, n. 385, art. 117). La questione sopra riassunta si pone in quanto, secondo la prassi del settore bancario, la conclusione del contratto-quadro si attua, al fine di rispettare i requisiti della forma e della consegna dello stesso al cliente, con la sottoscrizione di quest’ultimo del contratto, che resta in possesso della banca, seguita dalla consegna al cliente di un altro documento identico al primo, stavolta a firma dell’istituto di credito: in tal modo, allo scambio documentale segue la disponibilità, in capo a ciascuna parte, dell’originale sottoscritto dall’altra. 3. In ordine al quadro normativo di riferimento, il d.lgs. n. 58 del 1998, art. 23 prevede che “i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento (...) sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti (...) Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo”; aggiunge il terzo comma che “la nullità può essere fatta valere solo dal cliente”. La l. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6, lett. c), prevedeva già il medesimo requisito di forma per la stipulazione del contratto-quadro di investimento (al riguardo, cfr. Cass. 19 maggio 2005, n. 10598; 9 gennaio 2004, n. 111; 7 settembre2001, n. 11495). Dal suo canto, l’art. 30, comma 1 reg. Consob n. 11522 del 1998 prevedeva che gli intermediari non potessero “fornire i propri servizi se non sulla base di un apposito contratto scritto” e che “una copia di tale contratto è consegnata all’investitore”. Ora, l’art. 37 del reg. Consob n. 16190 del 2007, sostitutivo del prece-

555

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 555

06/11/17 17:41


Commenti

dente – che resta, peraltro, applicabile ratione temporis al caso in esame – a sua volta prevede che gli intermediari “forniscono a clienti al dettaglio i propri servizi di investimento, diversi dalla consulenza in materia di investimenti, sulla base di un apposito contratto scritto; una copia di tale contratto è consegnata al cliente”, nonché specifici requisiti di contenuto. 4. Per quanto riguarda la sottoscrizione del cliente, questa Corte ha già condivisibilmente affermato che la mancanza del “contratto d’investimento (c.d. contratto-quadro) sottoscritto (dai coniugi)” determina “la nullità delle operazioni d’investimento successivamente compiute dalla banca, stante la previsione dell’art. 23 tuf (d.lgs. n. 58 del 1998); e se tali operazioni sono da considerarsi nulle, per difetto di un indispensabile requisito di forma richiesto dalla legge a protezione dell’investitore, è evidentemente da escludere che se ne possa predicare la ratifica tacita. Quando il legislatore richiede la forma scritta per meglio tutelare una delle parti del contratto, sarebbe manifestamente contraddittorio ammettere che quel difetto di forma sia rimediabile mediante atti privi anch’essi di forma scritta” (così Cass. 22 marzo 2013, n. 7283, in motivazione, vicenda in cui i clienti avevano efficacemente disconosciuto le sottoscrizioni apposte in calce al contratto-quadro; nello stesso senso, Cass. 22 dicembre 2011, n. 28432). In relazione alla previsione in discorso, specificamente dettata per i contratti finanziari – laddove il comune regime codicistico dei contratti avrebbe lasciato libertà di forma – la menzionata decisione, come altre analoghe, ha dunque sottolineato che è in-

dispensabile la sottoscrizione ad opera del cliente al contratto-quadro, essendo il requisito di forma posto a protezione esclusiva del medesimo, e che la mancanza della sua sottoscrizione non può essere superata con l’omessa contestazione dei rendiconti periodici. Ancora, si è ribadito come il contratto-quadro, che disciplina lo svolgimento del rapporto volto alla prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari, va redatto per iscritto a pena di nullità, deducibile solo dal cliente, secondo la prescrizione del d.lgs. n. 58 del 1998, art. 28 (Cass. 31 dicembre 2013, n. 28810); che, parimenti, il contratto di gestione di portafoglio di investimento stipulato con un intermediario finanziario deve essere redatto per iscritto a pena di nullità, forma scritta prevista dalla legge a protezione dell’investitore, la quale non ammette equipollenti o ratifiche (Cass. 24 febbraio 2016, n. 3623), cosicché non è idonea ad integrare il requisito formale la sottoscrizione del documento sui rischi generali, di cui all’art. 28 reg. Consob n. 11522 del 1998, il quale assolve unicamente ad una funzione strumentale e propedeutica alla stipulazione del contratto di gestione e serve a rendere l’investitore più consapevole rispetto ai rischi dell’investimento e del mandato gestorio conferito all’intermediario (Cass. 19 febbraio 2014, n. 3889, fattispecie in cui la banca aveva consegnato al cliente un modulo contrattuale di gestione del patrimonio mobiliare affinché fosse sottoscritto e restituito, ma ciò non era avvenuto). 5. Quanto al profilo riguardante la sottoscrizione anche della banca, ovvero la questione specifica in esame, recenti decisioni di questa Sezione,

556

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 556

06/11/17 17:41


Corte di Cassazione

hanno affermato i seguenti principi di diritto: a) l’art. 23 cit. impone una forma bilaterale ad substantiam; b) la produzione in giudizio, da parte della banca, del contratto-quadro da essa non sottoscritto non è idoneo equipollente della sua sottoscrizione. Tanto si legge nelle più recenti decisioni della Corte (v. Cass. 24 marzo 2016, n. 5919 e 11 aprile 2016, n. 7068, assunte alle udienze del 9 e 10 febbraio 2016; nello stesso senso, anche Cass. 27 aprile 2016, n. 8395, 27 aprile 2016, n. 8396, 19 maggio 2016, n. 10331 e 3 gennaio 2017, n. 36). Orbene, si può senz’altro convenire, con le citate decisioni, su quest’ultima affermazione: ed invero, ove la norma richiedesse la forma scritta bilaterale ad substantiam, non sarebbe possibile ritenere soddisfatto il requisito per equipollente mediante la produzione del documento non firmato in giudizio, o mediante altri comportamenti concludenti posti in essere dalla banca e documentati per iscritto. Invero, questa tesi (affermata dalla meno recente Cass. 22 marzo 2012, n. 4564) non regge, perché il costante principio, secondo cui la mancata sottoscrizione di una scrittura privata è supplita dalla produzione in giudizio del documento stesso da parte del contraente non firmatario che ne intende avvalersene (fra le tante, Cass. 5 giugno 2014, n. 12711; 17 ottobre 2006, n. 22223; 5 giugno 2003, n. 8983) comporterebbe comunque – nelle vicende come quella in esame – il perfezionamento ex nunc del contrattoquadro: che, dunque, non varrebbe a rendere validi ordini di acquisto di strumenti finanziari precedentemente impartiti; né si dà convalida del contratto nullo, per l’art. 1423 c.c.).

Sotto questo profilo, dunque, le decisioni sopra ricordate vanno senz’altro condivise. 6. L’affermazione sub a), relativa alla necessità della sottoscrizione dell’intermediario, a fini di validità del contratto di investimento, richiede, invece, qualche ulteriore riflessione. La giurisprudenza di merito e la dottrina non risolvono, infatti, univocamente il punto controverso se, per la validità del contratto concluso con la banca, sia necessaria anche la sottoscrizione della medesima, pur quando comunque sussista la firma del cliente. Invero, accanto ad orientamenti conformi a quello di recente accolto dalla S.C., diverse sono le conclusioni di quella parte degli interpreti che movendo dalla ratio della norma, finalizzata alla protezione del contraente debole e alla valorizzazione delle esigenze di chiarezza e di trasparenza informativa – escludono, invece, per la validità del contratto la necessità della sottoscrizione della banca, laddove risulti la predisposizione da parte della stessa e la firma del cliente. 7. Da tempo, la dottrina ha convincentemente chiarito, nell’ambito della più generale teorica della forma, che non tutte le prescrizioni di forma sono uguali. Se la forma ad substantiam, nella sua solennità propria degli scambi immobiliari tipici dell’economia fondiaria, funge, nell’ambito dei rapporti paritari, da criterio d’imputazione della dichiarazione, oltre che servire a favorire – a tutela di entrambi contraenti – i “beni” della chiarezza nei contenuti, della ponderazione per l’impegno assunto e della serietà dell’accordo, nonché a distinguere le mere trattative dall’atto definitivo, occorre poi pur riflettere sul fatto che, invece, laddove

557

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 557

06/11/17 17:41


Commenti

le parti non si trovino su di un piano di parità perché si ravvisa una “parte debole” del rapporto, a scongiurare il rischio della insufficiente riflessione o dell’approfittamento ad opera dell’altro contraente interviene, allora, la forma, o formalità “di protezione”: il cui fine precipuo è proprio quello di proteggere lo specifico interesse del contraente “debole” a comprendere ed essere puntualmente e compiutamente informato su tutti gli aspetti della vicenda contrattuale. Onde si discorre di “forma informativa”, ponendosi l’accento sui caratteri che valgono piuttosto a differenziarla dalle regole tradizionali delle patologie civilistiche del negozio. Proprio con riferimento ai nuovi fenomeni contrattuali, derivanti dallo sviluppo dei mercati – nel trascorrere da un’economia rurale alle dinamiche del mercato finanziario e digitale – si parla, invero, di un ritorno al “formalismo negoziale”, o “neoformalismo”, cui sempre più il legislatore sembra far ricorso (e non solo per l’atto, ma più genericamente per l’attività): stavolta a tutela, tuttavia, non di entrambi i contraenti posti su di un piano di parità, ma specificamente di uno di essi, all’evidenza reputato “debole” (sebbene, poi, in una visione macroeconomica, non si possa trascurare che detta tutela, eliminando o riducendo le inefficienze derivate dagli abusi delle imprese, giovi ancora alla sicurezza dei traffici dei capitali e degli investimenti, la quale trae com’è noto benefici dal buon funzionamento del mercato finanziario e dalla prevedibilità delle condotte dei suoi operatori). Peraltro, il “ritorno al formalismo”, con i relativi costi transattivi, si giustifica solo ove il contratto sia davvero

“asimmetrico” e sussista l’esigenza di protezione in ragione della rischiosità del negozio stesso: onde, ad esempio, la forma scritta non è prevista per il contratto di mera consulenza finanziaria. La nullità che ne deriva, a sua volta, persegue prettamente finalità di protezione del contraente debole, nel cui interesse essa viene conformata come invalidità relativa (cfr. pure d.lgs. n. 385 del 1993, art. 117; d.lgs. n. 206 del 2005, art. 36). La nullità di protezione è, nel contempo, strumento di governo degli scambi e mezzo di tutela degli interessi di una delle parti del contratto rispetto a situazioni di “irrazionalità” – la quale, nei contratti di investimento o in generale del mercato finanziario, viene identificata con la disinformazione – che ne compromettono la libertà di scelta. Al fine di comprendere la realtà economica e giuridica descritta, la visuale del formalismo negoziale rigidamente “di struttura” è stata ritenuta inadeguata, lasciando il campo a quella “di funzione”. Se tale nullità, dunque, è funzionale in primis alla tutela della più ampia informazione dell’investitore (sebbene permanga il ricordato interesse generale all’efficienza del mercato del credito), tanto da presentare rilevanti differenze di disciplina rispetto alla nullità del codice civile, tutte le prescrizioni da essa presidiate vanno intese in tale logica: la quale deve guidare, dunque, anche la valutazione sul punto se il cliente sarebbe pregiudicato, nella sua completa e consapevole autodeterminazione, dalla mancanza di firma della banca sul contratto-quadro. Si noti che il contratto ben potrebbe contenere anche condizioni

558

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 558

06/11/17 17:41


Corte di Cassazione

individuali, concordate con il singolo cliente: così come sarà consentito che, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, sia richiesta dall’investitore all’intermediario una specifica approvazione scritta del contratto. 8. In particolare, la previsione formale del d.lgs. n. 58 del 1998, art. 23 è dettata a fini esclusivi di tutela dell’investitore: e ciò, invero, riconoscono anche tutte le recenti sentenze di questa Corte, sopra menzionate. Può parlarsi, in definitiva, di cd. forma di protezione: la quale, al pari della cd. nullità di protezione, cui la violazione della stessa conduce, è volta specificamente a portare all’attenzione dell’investitore – la parte “debole” del rapporto (non per ragioni socio-economiche, ma) in quanto sprovvisto delle informazioni professionali sul titolo e, più in generale, sugli andamenti del mercato finanziario – l’importanza del negozio che si accinge a compiere e tutte le clausole del medesimo. La prescrizione formale trova la sua ratio nel fine di assicurare la piena e corretta trasmissione delle informazioni al cliente, nell’obiettivo della raccolta di un consenso consapevole alla stipula del contratto (il consenso informato). Per tale ragione, la nullità di protezione può essere fatta valere solo dal cliente, oltre che rilevata d’ufficio dal giudice, sempre nell’esclusivo interesse e vantaggio del primo. Come la nullità di protezione palesa caratteri affatto speciali – sopra tutte, appunto, la facoltà di farla valere solo da parte del contraente a cui favore è dettata, con l’eventualità, quindi, di una sanatoria “di fatto” del negozio (come non ha mancato di rilevare già la Corte di giustizia dell’U-

nione europea, sent. 4 giugno 2009, C-243/08, Pannon, punti 31 e 32, secondo cui il giudice deve non applicare una clausola abusiva, salvo che il consumatore vi si opponga; nonché Corte di giustizia dell’Unione europea, 14 giugno 2012, C-618/10, Banco Espahol de Credito SA, punti 42 e 43; onde non convincono del tutto alcuni tentativi degli interpreti di ricondurre la categoria della nullità speciale ad unità con il regime generale) – allo stesso modo la forma ivi prevista non è la stessa prescritta dall’art. 1350 c.c. per i contratti immobiliari ad equilibrio simmetrico. Al riguardo, si è constatato come l’ordinamento europeo non mostri di ritenere rilevante una forma scritta per i contratti bancari e finanziari, sottintendendo che gli obiettivi della normativa di trasparenza – funzione preminente del vincolo formale in tale ambito – possano essere raggiunti anche con altri strumenti, quali i supporti cartacei o le bozze del documento. Si vedano, in tal senso, la direttiva 2007/64/CE sui servizi di pagamento nel mercato interno, attuata con il D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, che ha introdotto nel t.u.b. il Capo 2-bis sui “Servizi di pagamento” (art. 126-bis 126-octies) e la direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori, recepita dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, che ha modificato il capo 1 sulle disposizioni generali in tema di operazioni bancarie ed il capo 2 del t.u.b. sul “Credito ai consumatori”, dalle quali si traggono indicazioni piuttosto nel senso di una riduzione del peso assegnato al formalismo negoziale. 9. Secondo una prima tesi, dunque, potrebbe reputarsi adempiere al requisito della forma scritta, previ-

559

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 559

06/11/17 17:41


Commenti

sta a pena di nullità dall’art. 23 cit., la sottoscrizione, da parte del cliente, del modulo contrattuale contenente il contratto-quadro. La cd. forma informativa sarebbe quindi rispettata, perché soddisfatto è l’interesse alla conoscenza ed alla trasparenza, o scopo informativo, cui essa è preordinata. L’altra parte del rapporto, ovvero l’intermediario finanziario, è il soggetto predisponente le condizioni generali di contratto, cui l’investitore aderisce: intermediario per il quale nessuna di dette esigenze si rinviene. Di qui, il rilievo che la sottoscrizione della banca, a differenza di quella dell’investitore, non occorra, affinché il contratto sia perfetto: l’una volontà deve essere manifestata per iscritto ad substantiam, l’altra in ogni forma consentita dall’ordinamento. La predisposizione del modulo ad opera della banca potrebbe dirsi rendere non più necessaria, cioè, l’ulteriore formale approvazione del predisponente: considerato che l’adeguata ponderazione e la rispondenza dell’accordo ai propri interessi è stata già valutata con la redazione del documento medesimo, nonché la sua approvazione ad opera delle autorità indipendenti cui è demandata la vigilanza del settore; e, soprattutto, non è la banca il soggetto a cui tutela il requisito formale è posto. La sottoscrizione da parte del delegato dell’istituto di credito non sembra perseguire, infatti, i fini sottesi alla disposizione; anzi, esigere tale firma pare porsi in senso contrario al dinamismo nella conclusione dei contratti finanziari (tenuto conto che, di regola, il funzionario bancario che lo cura non ha poteri di rappresentanza), e, dunque, all’efficienza dei mercati, cui

in definitiva anche le nullità di protezione mirano. Né la carenza della sottoscrizione da parte dell’intermediario potrebbe reputarsi legittimare lo stesso a sottrarsi alle regole sancite dal negozio: perché la nullità di protezione può farsi valere solo dal cliente. Onde pure la forma di protezione solo la firma del medesimo esige. Il consenso della banca, pur necessario trattandosi di un contratto, potrebbe dunque rivestire anche altre forme di manifestazione della volontà: di cui talune – quali la predisposizione del testo contrattuale, la raccolta della sottoscrizione del cliente, la consegna del documento negoziale o l’esecuzione del contratto medesimo ex art. 1327 c.c. – a valere quali comportamenti concludenti, idonei a rivelare, anche in via presuntiva, l’esistenza dell’originario consenso. La firma (del funzionario) della banca non sarebbe dunque certo preclusa, ma resterebbe irrilevante per il perfezionamento e per l’efficacia del negozio; sarebbe parimenti irrilevante che il contratto fosse stato richiesto dal cliente, o provenisse direttamente dall’intermediario. 10. Occorre ancora considerare come la medesima esigenza di protezione sia sottesa alla distinta previsione, contenuta nel d.lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 1, dell’obbligo di consegnare una copia del contratto al cliente, o, come si esprime la disposizione, “un esemplare”: anche tale previsione va interpretata, dunque, in una prospettiva di tutela dell’investitore, il quale, ove non fosse in possesso di un modello del contratto da lui sottoscritto, potrebbe non riuscire a conoscere in pieno la sua posizione soggettiva verso la banca.

560

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 560

06/11/17 17:41


Corte di Cassazione

Fattispecie simili sono contemplate in altre disposizioni: oltre al d.lgs. n. 385 del 1993, art. 117 si ricorda il d.lgs. n. 206 del 2005, art. 35 secondo cui, quando alcune clausole del contratto siano proposte al consumatore per iscritto, esse “devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile”; per il d.lgs. n. 206 del 2005, art. 50 al consumatore vanno fornite le dovute informazioni “su supporto cartaceo o, se il consumatore è d’accordo, su un altro mezzo durevole. Dette informazioni devono essere leggibili e presentate in un linguaggio semplice e comprensibile”; sempre per il d.lgs. n. 206 del 2005, art. 50, comma 2, il professionista “fornisce al consumatore una copia del contratto firmato o la conferma del contratto su supporto cartaceo o, se il consumatore è d’accordo, su un altro mezzo durevole”; per il d.lgs. n. 206 del 2005, art. 67undecies nei contratti finanziari a distanza il fornitore comunica al consumatore tutte le condizioni contrattuali e le necessarie informazioni “su supporto cartaceo o su un altro supporto durevole, disponibile e accessibile per il consumatore in tempo utile”, prima della stipula; analoga disposizione, in tema di multiproprietà, reca il d.lgs. n. 206 cit., art. 71; parimenti, il d.lgs. n. 385 del 1993, art. 124 come modificato nel 2010, prevede tra gli obblighi precontrattuali che siano fornite informazioni sul contratto di credito “su supporto cartaceo o su altro supporto durevole attraverso il modulo contenente le “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori” e, su richiesta, “è fornita gratuitamente copia della bozza del contratto di credito”. Insomma, requisiti “formali” come strumento non solo di manifestazione

della volontà, ma di trasmissione di informazioni, dati e notizie sull’operazione. Peraltro, qui si esclude che si tratti di obbligo di forma in senso tecnico, trattandosi di mero supporto per l’immagazzinamento dei dati” e di comportamenti imposti relativi alla documentazione (che, nell’ultima ipotesi indicata, sono richiesti espressamente prima del formarsi del vincolo, secondo una ratio che potrebbe essere estesa anche al d.lgs. n. 58 del 1998, art. 23: ed, infatti, in entrambe le fattispecie si tratta di offrire informazioni e trasparenza al cliente, perché sia rispettata la sua libertà di autodeterminazione nelle scelte negoziali). Dalla previsione dell’obbligo di consegna di un esemplare del documento negoziale, di cui al d.lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 1, e art. 30 Reg. Consob n. 11522 del 1998 (ora, art. 37 del Reg. Consob n. 16190 del 2007), non è dato poi trarre elementi in contrario, con riguardo al tema in discorso, nel senso della necessaria sottoscrizione della banca: si apprezza, invero, al riguardo la differenza con le diverse indicazioni degli artt. 1742 e 1888 cod. civ. sulla forma scritta ad probationem nei contratti di agenzia e di assicurazione, ove ciascuna parte “ha diritto di ottenere dall’altra un documento dalla stessa sottoscritto” e l’assicuratore “è obbligato a rilasciare al contraente la polizza di assicurazione o altro documento da lui sottoscritto”. Si è parlato così di “pluralismo di formalismi”, in dipendenza delle diverse funzioni ad essi assegnate dall’ordinamento e delle conseguenze che ne derivano (solo in taluni limitati casi afferenti l’idoneità dell’atto di

561

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 561

06/11/17 17:41


Commenti

autonomia privata a produrre effetti), sovente di legislazione speciale o di provenienza comunitaria. 11. Secondo la tesi che si va esponendo, la conclusione della irrilevanza della firma della banca deriva pure dalla necessità, nel rispetto della ratio della norma, di evitare una lettura dell’art. 23 cit. affatto disfunzionale ed inefficiente per il mercato finanziario, anche a fini di prevenzione di un facile uso opportunistico dello strumento formale. Come potrebbe avvenire, alla stregua di quanto nella pratica non di rado è dato riscontrare, qualora il contratto sia, dapprima, a lungo e fruttuosamente eseguito con vantaggio per il cliente, il quale, a fronte di una perdita marginale successiva, si risolva ad impugnarlo per nullità, in ragione della mancata sottoscrizione della banca, senza che a quel punto ove si segua la tesi della natura ad substantiam della sottoscrizione dell’intermediario medesimo – possa rilevare l’avvenuta proficua esecuzione del contratto, ove pure protratta per molti anni con reciproca soddisfazione delle parti. Si offrirebbe, così, tutela a quel contraente che, maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge ad altri fini, deducesse la nullità del contratto pur eseguito senza contestazioni da entrambe le parti. Si aggiunga altresì che, qualora la banca avesse sottoscritto la sua copia e consegnato la stessa al cliente, conservando la copia firmata da quest’ultimo, sarebbe non difficile, per il cliente scorretto, non produrre comunque in giudizio detto esemplare in suo possesso e negare sia mai stato firmato: si apprezza qui la differenza

“sociologica” con la nullità della tradizione codicistica, tipica dei contratti aventi ad oggetto beni immobili, di cui all’art. 1350 c.c., dove la prassi appena descritta viene posta in essere nella realtà degli affari proprio sul presupposto – secondo l’id quod plerumque accidit – di un interesse dell’altro contraente a dedurre non la nullità, ma, al contrario, l’esistenza e la validità del contratto, chiedendone l’esecuzione. Per tali ragioni, non lascia soddisfatti l’esplicita affermazione dell’attribuzione all’investitore della facoltà di far valere la nullità del contratto-quadro solo rispetto ad alcuni ordini, in quanto l’investitore potrebbe selezionare il rilievo della nullità e rivolgerlo ai soli acquisti che desideri caducare, ma non ad altri, pur attuativi del medesimo contratto quadro (v. Cass. 27 aprile 2016, n. 8395): ossia, il cd. uso selettivo della nullità del contrattoquadro, in quanto rivolta esclusivamente a produrre effetti nei confronti di alcuni acquisti di prodotti finanziari, soluzione che potrebbe avallare senz’altro l’uso abusivo del diritto, da altre decisioni di questa S.C. tuttavia ampiamente stigmatizzato (e multis: Cass. 13 settembre 2016, n. 17968, sulle assenze dal lavoro; 5 aprile 2016, n. 6533, sull’iscrizione di ipoteca; 21 ottobre 2015, n. 21318, sull’azione risarcitoria extracontrattuale; 12 giugno 2015, n. 12263, sul contratto di fideiussione e mancato tempestivo adempimento imputabile; 15 ottobre 2012, n. 17642, ancora in tema di fideiussione; accanto a tutta la giurisprudenza tributaria in tema), o, se si vuole, la condotta contraria a buona fede, secolare portato di civiltà giuridica ex art. 1375 c.c.. 12. Per l’opposta ricostruzione, se-

562

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 562

06/11/17 17:41


Corte di Cassazione

condo cui anche la sottoscrizione della banca è requisito di forma ad substantiam, deve porsi la questione se, avendo la nullità effetti ex tunc, a sua volta la banca sia legittimata o no a ripetere quanto versato a favore del cliente; o se, a fronte di un uso “selettivo” della nullità, l’intermediario possa eccepire la violazione della buona fede contrattuale, e con quali conseguenze. Ancora, occorrerà domandarsi se sia ipotizzabile la convalida del contratto nullo, proprio per essere la nullità di tipo relativo, onde in ciò debba ravvisarsi uno di quei casi in cui la legge “dispone diversamente”, ai sensi dell’art. 1423 c.c. Secondo la tesi che reputa la forma scritta prevista ad substantiam anche quanto alla sottoscrizione del funzionario bancario, infatti, dovrebbe vagliarsi la possibilità giuridica se, così come l’investitore può opporsi alla declaratoria di nullità (come ribadito dalle citate Cass., sez. un.,

n. 26242 e n. 26243), specularmente egli possa già provvedere, consapevole di quella nullità, a convalidare il contratto mediante i comportamenti concretamente tenuti. 13. In conclusione, il Collegio reputa opportuno rimettere la causa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 3, costituendo questione di massima di particolare importanza se, a norma del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, accanto a quella dell’investitore, anche la sottoscrizione ab substantiam dell’intermediario. P.Q.M. La Corte rimette la causa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, in ordine alla questione or ora precisata in motivazione. (Omissis)

(1) La nullità del contratto quadro d’investimento per difetto di sottoscrizione dell’intermediario tra vestimentum negotii, “forma informativa” e uso selettivo del rimedio di protezione. Aspettando le Sezioni Unite Sommario: 1. L’ordinanza interlocutoria della prima Sezione della Cassazione. – 2. Neoformalismo negoziale, forma informativa e nullità di protezione nella disciplina dei contratti del mercato finanziario (cenni). – 3. L’azione di nullità ex art. 23 t.u.f. tra i molti argomenti teorici e un forte appeal pratico. – 4. Formazione, forma e prova del contratto-quadro d’investimento. – 5. La tesi favorevole alla nullità. – 6. La tesi contraria. – 7. Segue. Elementi critici. – 8. Segue. La reale ratio decidendi: forma ad substantiam vs. forma informativa. – 9. Alcuni “pezzi mancanti” nel variegato mosaico degli argomenti della giurisprudenza teorica e pratica. – 10. Segue. Regole dell’attività e disciplina del contratto nel diritto del mercato finanziario. – 11. Segue. Limiti dell’approccio teleologico alla funzione protettiva della forma scritta contrattuale. – 12. Il vero punctum dolens: uso e abuso (?) della nullità di protezione.

563

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 563

06/11/17 17:41


Commenti

1. L’ordinanza interlocutoria della prima Sezione della Cassazione. Chiamata a decidere sul ricorso presentato da alcuni investitori avverso una per loro sfavorevole decisione della Corte d’Appello di Torino1, la sez. I della Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria riportata sopra2, ha segnalato l’esigenza di un intervento delle S.U. sulla questione circa la possibilità di dire esistente, giusta l’art. 23, co. 1, t.u.f., la nullità per vizio di forma del contratto quadro per la prestazione di servizi d’investimento riportante la sola sottoscrizione del cliente e non anche quella dell’intermediario; nullità azionabile, in forza del successivo co. 3, dal cliente stesso, quale rimedio posto ad esclusiva protezione di costui. La sez. I, dando atto del contrasto esistente nella giurisprudenza di merito3

App. Torino, 26 marzo 2013, n. 678, inedita. Il provvedimento sarà di seguito indicato come l’“ordinanza” (o anche, in abbreviato, “ord.”). 3  Giurisprudenza che, per ragioni attinenti ad analoga configurazione della disciplina del t.u.b., si è trovata ad affrontare la medesima questione pure con riguardo ai contratti bancari. In relazione all’una e all’altra tipologia di contratti, v., a favore della nullità, Trib. Torino, 5 gennaio 2010, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 926, con commento di Maragno, La nullità del contratto di intermediazione di valori mobiliari per difetto di sottoscrizione dell’intermediario; Trib. Taranto, 8 gennaio 2008 e 16 maggio 2015; Trib. Modena, 15 giugno 2009; Trib. Mantova, 22 gennaio 2009, tutte in www.ilcaso. it; App. Bologna, 14 maggio 2015; Trib. Napoli, 22 gennaio 2015, entrambe in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, 16, con nota di R. Catalano, Contratti solenni, forma scritta ad substantiam in funzione protettiva ed equipollenti della sottoscrizione: note critiche; App. Bologna, 13 gennaio 2017, n. 89, in www.dirittobancario.it, con commento di E. Grippo e Belleggia, Difetto di sottoscrizione del contratto di investimento da parte della banca e limiti alla rilevabilità d’ufficio delle nullità c.d. “relative”; contra, Trib. Padova, 22 dicembre 2009, inedita; Trib. Venezia, 29 settembre 2008, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 499, con commento di Della Vedova, Perfezionamento e prova del contratto di prestazione dei servizi di investimento; Trib. Milano, 21 febbraio 2012, in www.ilcaso.it; Trib. Verona, 22 luglio 2010, in Le società, 2011, 675, con commento di Della Vecchia, Forma dei contratti, nullità relative di protezione e convalida del negozio nullo; Trib. Napoli, 24 febbraio 2015; Trib. Catania, 27 gennaio 2015, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, 16, anch’esse oggetto del commento di R. Catalano, Contratti solenni, cit.; Trib. Modena (ord.), 12 aprile 2017, in www.dirittobancario.it, con commento di De Santis, Difetto di sottoscrizione del contratto di conto corrente da parte della banca ed onere della prova; Trib. Alessandria, 27 febbraio 2017, n. 179; App. Napoli, 28 dicembre 2016, entrambe in www.ilcaso.it; Trib. Napoli, 13 febbraio 2017, n. 1924; Trib. Catania, 17 febbraio 2017, n. 790; Trib. Ascoli Piceno, 31 gennaio 2017, n. 87; Trib. Bergamo, 11 gennaio 2017, n. 26; App. Venezia, 3 novembre 2016, n. 2477; App. L’Aquila, 12 ottobre 2016, n. 1055; Trib. Padova (ord.), 14 novembre 2016, tutte in www.expartecreditoris.it. Per i contratti bancari, la questione è diverse volte giunta all’attenzione anche dell’ABF, 1  2

564

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 564

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

e nella dottrina4, mostra di volersi adesso allontanare da alcune pregresse decisioni con cui, dopo taluni altri precedenti di legittimità di segno contrario5, sembravano ormai destinati a trovare consolidamento gli affermati principi di diritto per cui: «a) l’art. 23 cit. impone una forma bilaterale ad substantiam; b) la produzione in giudizio, da parte della banca, del contratto-quadro da essa non sottoscritto non è idoneo equipollente della sua sottoscrizione»6. Il provvedimento è incentrato sulla constatazione per cui, a livello di ratio, la norma in tema di forma dei contratti di intermediazione finanziaria si giustificherebbe per evidenti finalità di protezione del contraente debole e di valorizzazione delle esigenze di chiarezza e trasparenza informativa, obiettivi alla luce dei quali, una volta che risulti la predisposizione da parte del prestatore del servizio e la firma del cliente, non si saprebbe trovare alcuna valida giustificazione alla tesi della necessaria sottoscrizione della banca. Più chiaramente, inquadrata la forma prescritta dall’art. 23 t.u.f. tra le ipotesi di “forma informativa”, diverrebbe possibile tracciare un perfetto parallelismo funzionale tra la sua natura di cd.

nella cui giurisprudenza v., nel senso della nullità, dec. 9 novembre 2012, n. 3723; in senso contrario, dec. 11 settembre 2015, n. 7009 (entrambe rese dal Collegio di Roma). 4  Cfr., indicativamente, Maggiolo, Servizi ed attività di investimento. Prestatori e prestazioni, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 2012, p. 466 ss.; Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, p. 96 s., testo e nt. 37; Bertolini, Risparmio tradito: una riflessione tra teoria generale del contratto e disciplina dei mercati, in Nuova giur. civ. comm., 2010, p. 337 ss., spec. p. 344 ss.; Tucci, Servizi di investimento e nullità del contratto, in Società, banche e crisi d’impresa, diretto da M. Campobasso ed altri, III, Torino, 2014, p. 2447 ss., spec. p. 2462 ss.; Gabrielli e R. Lener, Mercati, strumenti finanziari e contratti di investimento dopo la MIFID, in I contratti del mercato finanziario, a cura di Gabrielli e R. Lener, I, Torino, 2011, p. 36 s.; Pagliantini, L’incerto procedere del formalismo di protezione tra usi e abusi, in Contr. e impr., 2013, p. 303 ss.; Scoditti, Patologie, responsabilità e rimedi nella contrattazione bancaria, in Capobianco, a cura di, I contratti bancari, Torino, 2016, p. 643 s. 5  V. Cass., 22 marzo 2012, n. 4564, in www.ilcaso.it; (ord.) 7 settembre 2015, n. 17740, in www.expartecreditoris.it. 6  Cass., 24 marzo 2016, n. 5919; 11 aprile 2016, n. 7068; 27 aprile 2016, n. 8395, in Corr. giur., 2016, 1110, con commento di Tucci, Conclusione del contratto e formalismo di protezione nei servizi di investimento; in Contr., 2016, 1089, con commento di Giuliani, Nullità del contratto quadro di investimento per difetto di sottoscrizione dell’intermediario e abuso del diritto; in seguito, v., nello stesso senso, Cass., 19 maggio 2016, n. 10331, in www.sistemaiuridica.it; 3 gennaio 2017, n. 36, in www.assoctu.it; nonché, in relazione all’art. 117 t.u.b., Cass., 14 marzo 2017, n. 6559, in www.dirittobancario.it; in senso contrario si è pronunciata, invece, Cass. 24 agosto 2016, n. 17290, in www. expartecreditoris.it.

565

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 565

06/11/17 17:41


Commenti

forma di protezione e la cd. nullità di protezione che dalla sua violazione discenderebbe7, nel senso che, così come quest’ultima paleserebbe caratteri affatto speciali rispetto alla generale configurazione civilistica della più grave patologia dei contratti, allo stesso modo la prima non sarebbe forma in senso tecnico, come tale non paragonabile a quella prescritta dall’art. 1350 c.c. per i contratti ad equilibrio simmetrico8. La divisata prospettiva funzionale, inoltre, si imporrebbe per evitare un impiego distorto ed inefficiente dell’art. 23 t.u.f., laddove la concezione “bilaterale” della prescrizione di forma, oltre che d’ostacolo al “dinamismo” proprio della prassi di settore, troppo agevolmente permetterebbe al cliente di avvalersi di un opportunistico uso selettivo della nullità, onde domandare la caducazione delle sole operazioni di investimento risultate non profittevoli, senza verifica alcuna circa la riconducibilità dei risultati negativi a precisi inadempimenti della controparte, anziché al fisiologicamente incerto andamento dei mercati finanziari9. Esposti questi principali argomenti, il provvedimento, per l’ipotesi di accoglimento dell’opposta ricostruzione, sollecita le S.U. a risolvere le questioni, considerate consequenziali, circa la possibilità che l’intermediario sia detto intitolato a ripetere quanto a sua volta versato al cliente, ovvero ad eccepire, e con quali conseguenze, la violazione della buona fede contrattuale a cospetto di un eventuale impiego abusivo del congegno protettivo. In ultimo, viene parimenti richiesto di chiarire la configurabilità, se del caso riconducendola a quelle ipotesi di deroga di cui è parola nell’art. 1423 c.c., di una convalida del contratto relativamente nullo tramite il vaglio dei comportamenti concretamente tenuti dal cliente in costanza di rapporto10.

2. Neoformalismo negoziale, forma informativa e nullità di protezione nella disciplina dei contratti del mercato finanziario (cenni). Come ben è dato vedere, le questioni sollevate dall’ordinanza toccano argomenti cruciali nella ricostruzione sistematica del “neoformali-

7  Delinea molto chiaramente questa “sorta di corrispondenza funzionale” su cui si fonda l’orientamento in discorso, R. Catalano, Contratti solenni, cit., p. 21 ss., spec. p. 27 s.  8  V. par. 7-8 dell’ord., con notevole vicinanza ad alcune delle argomentazioni già sviluppate da Trib. Milano, 21 febbraio 2012, cit.  9  Ord., par. 11. 10  Ivi, par. 12.

566

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 566

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

smo” contrattuale11. Fenomeno certamente assai variegato nei suoi concreti momenti di emersione12, ma sostanzialmente definibile intorno al principale obiettivo di tutela della “parte debole” rispetto a contrattazioni strutturalmente asimmetriche13, come tali invocanti la veicolazione verso costei di date informazioni circa molteplici aspetti del costituendo rapporto, sì che tale asimmetria possa essere corretta14 o, se del caso, rimediata di modo che la scelta sulla sorte del negozio (ovvero di singole clausole di esso) operi ad esclusivo “vantaggio” della parte protetta15, senza che del vizio possa invece giovarsi la controparte professionale, cui il vizio stesso sarà normalmente rimproverabile16. Obiettivi, questi,

11  Sul quale cfr., indicativamente, Modica, Vincoli di forma e disciplina del contratto. Dal negozio solenne al nuovo formalismo, Milano, 2008, passim, spec. p. 119 ss.; Pagliantini, Neoformalismo contrattuale, in Enc. dir., Annali, III, Milano, 2011, p. 770 ss.; Favale, Il formalismo nel diritto dei consumatori, in Contr. e impr. – Europa, 2012, p. 582 ss. 12  Relativamente al diritto del mercato finanziario, v. Miriello, Contratti di intermediazione finanziaria: forma, nullità virtuale e dintorni. Alcuni punti fermi, in Contr. e impr., 2006, p. 1639 ss.; Sartori, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, p. 230 ss.; Pontiroli e Duvia, Il formalismo nei contratti dell’intermediazione finanziaria ed il recepimento della MiFID, in Giur. comm., 2008, I, p. 151 ss.; più di recente, Gaggero, Neoformalismo negoziale di “protezione” e struttura della fattispecie, in Contr. e impr., 2016, p. 1463 ss. 13  Cfr., in chiave generale, De Poli, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, Padova, 2002, passim; De Bona, Spunti di riflessione in tema di obblighi informativi (e neoformalismo) nei contratti asimmetrici, in Studi Urbinati, 2014, p. 229 ss. 14  Per il rilievo per cui le fonti europee presupporrebbero una visione del mercato implicante il necessario superamento degli strumenti codicistici, tipicamente rivolti ad assicurare l’equilibrio della singola transazione, a favore di regole in grado di fronteggiare lo squilibrio strutturale proprio della contrattazione di massa, cfr. Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Diritto privato europeo, a cura di Lipari, II, Padova, 1997, p. 489 ss., spec. p. 501 ss. Questa evoluzione trovasi ricostruita, tra gli altri, in Vettori, Libertà di contratto e disparità di potere, in Riv. dir. priv., 2005, p. 743 ss.; e Buonocore, Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 2000, passim e spec. p. 135 ss.; per ciò che riguarda lo specifico del bancario e finanziario, v., poi, Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 4 ss.; e La Rocca, Il contratto di intermediazione mobiliare tra teoria economica e categorie civilistiche, in Riv. crit. dir. priv., 2009, p. 107 ss. 15  Così, testualmente, gli artt. 36, co. 3, c.cons. e 127, co. 2, t.u.b. Al riguardo, cfr., in termini generali, le notazioni di Sacco e De Nova, Il contratto4, Torino, 2016, p. 876; e v., poi, le rilevantissime implicazioni sistematiche che dalla formula ricava Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 9, 39 ss. 16  Cfr. Fauceglia, La forma dei contratti relativi ad operazioni e servizi bancari e finanziari, in Riv. dir. comm., 1994, I, p. 417 ss., spec. p. 423 ss.; De Poli, Art. 117 t.u.b., in Commentario breve al diritto dei consumatori, a cura di De Crstofaro e Zaccaria,

567

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 567

06/11/17 17:41


Commenti

che vengono normalmente perseguiti tramite prescrizioni che conducono la “forma” (recte, la prescrizione di “formalità” di vario tipo17) a fungere da strumento della detta veicolazione – onde la sua qualificazione come “forma informativa”18 – e, talvolta, la nullità il rimedio con cui apprestare tutela alla parte il cui interesse è risultato disatteso – onde la sua qualificazione come “nullità di protezione”19. Tanto l’una, la forma informativa, quanto l’altra, la nullità di protezione, vivono di un regime giuridico assai peculiare, il quale, pur lasciando sullo sfondo ogni confronto col tradizionale (ma, come noto, discusso) principio di libertà delle forme20, conduce a configurarne i rapporti con le generali previsioni codicistiche nei termini problematici che la dottrina ha da tempo evidenziato21, e che, con l’ordinanza in commento, tornano a galla per quanto specificamente concerne i contratti del mercato finanziario.

3. L’azione di nullità ex art. 23 t.u.f. tra i molti argomenti teorici e un forte appeal pratico. Ma se molti – ed assai complessi – sono i nodi teorici che avvolgono la questione principale da cui il provvedimento trae origine – in sinte-

Padova, 2013, p. 1614 ss.; Scoditti, Patologie, cit., p. 629; in termini parzialmente diversi, Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1471, nt. 31. 17  V. le considerazioni di Breccia, La forma, in Tratt. del contratto, a cura di Granelli, diretto da Roppo, I, Milano, 2006, p. 480 ss.; e Modica, Vincoli di forma, cit., p. 127 ss.; nonché infra, par. 8. 18  V., per il momento, Pasa, Forma informativa, in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg.*****, Torino, 2010, p. 651 ss. 19  Cfr., indicativamente, Roppo, Il contratto, in Tratt. dir. priv., a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2001, 753 s.; Fauceglia, La forma, cit., p. 425 ss.; Gentili, La “nullità di protezione”, in Eur. e dir. priv., 2011, p. 77 ss., ove v., poi, p. 88 ss. per ciò che in particolare riguarda la configurabilità, ex art. 1418, co. 1, c.c., di ipotesi di nullità formali virtuali, atipiche perché non di struttura, quale conseguenza dell’inosservanza di prescrizioni di “forma informativa” che, scaturenti da norme senz’altro imperative, ciò nonostante risultino mancanti di un apparato rimediale ad hoc; sul tema, praecipue, Pagliantini, Neoformalismo, cit., p. 778 ss; Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 299 ss.; nonché, da ultimo, Pisani Massamormile, Nullità di protezione e nullità virtuali, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, I, p. 31 ss. 20  D’obbligo il richiamo, quantomeno, a Irti, Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985; per ulteriori fondamentali riferimenti, v. Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1468 s., nt. 23-24. 21  V., per una trattazione generale di questi problemi, Passagnoli, Nullità speciali, Milano, 1995, passim, spec. p. 173 ss.; Gentili, La “nullità di protezione”, cit., p. 104 ss.

568

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 568

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

si, se della forma ex art. 23 t.u.f.22 debba mantenersi ferma la nozione tecnica di vestimentum negotii23, di talché la sottoscrizione di ambo le parti seguiterebbe a costituire elemento necessario della scrittura privata tra esse formata (artt. 1325, n. 4, 1350, 2702, 2725 c.c.)24, ovvero se non abbia, nella fattispecie in discorso, la funzione informativa una pregnanza tale da “dimidiare” il requisito tecnico della forma25, l’appo-

22  La quale, secondo tesi maggioritaria, riguarderebbe il solo contratto-quadro, mentre nessuna prescrizione formale varrebbe per i singoli ordini di borsa (e v. art. 37, co. 2, lett. c), Reg. int.; Comunicazione Consob, n. DIS 5055217 del 3 agosto 2005). Sul sistema dell’art. 23 t.u.f. – e relative eccezioni – cfr., tra i tanti, R. Lener e Lucantoni, Art. 23, in Il Testo unico della finanza, a cura di Fratini e Gasparri, I, Torino, 2012, p. 403 ss.; Tucci, Servizi di investimento, cit., passim. Inoltre, a differenza di quanto accade nel sistema del t.u.b., ove è la fonte primaria a definire direttamente il contenuto minimo del contratto, in quest’ambito sono piuttosto gli artt. 37 e 38 Reg. int. ad indicare ciò che il contratto deve specificare. Il che ha posto l’ulteriore problema, che ha per lo più trovato risposta positiva, se la prescrizione di forma ad opera della norma primaria si estenda sino a coprire anche le previsioni di fonte secondaria, sì che invalidità relativa del contratto si avrà anche in caso di mancata indicazione di quei contenuti: cfr. De Nova, La forma dei contratti finanziari, in I servizi del mercato finanziario. In ricordo di Gerardo Santini, Milano, 2009, p. 90 ss.; ulteriori riferimenti in Maggiolo, Servizi ed attività, cit., p. 479, 484. 23  V. Cass., 19 febbraio 2014, n. 3889, in www.dejure.it, ove la S.C. ha nettamente distinto il profilo dei doveri informativi, dettati in funzione protettiva, da quello degli oneri formali del negozio, piano su cui la forma scritta, pur imposta per finalità di salvaguardia del contraente debole, conserverebbe pienamente la sua natura di requisito strutturale dell’atto. Adde, per la giurisprudenza di merito, Trib. Napoli, 22 gennaio 2015, cit. 24  Laddove, se “forma” del contratto è modalità in cui si struttura o da cui è accompagnata la manifestazione sociale della volontà (Giorgianni, Forma degli atti (dir. priv.), in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, p. 988 ss.), “scrittura privata” è dichiarazione redatta per iscritto e sottoscritta dal dichiarante (Sacco e De Nova, Il contratto4, cit., p. 725), e quindi composta, secondo tradizionale costruzione, da “la res su cui vengono tracciati i segni grafici; il testo della scrittura formata dall’insieme dei segni grafici; la sottoscrizione” (Patti, Documento, in Dig. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 9 ss.). Quest’ultima «è dunque elemento essenziale affinché il documento privato [sia] idoneo ad acquistare rilevanza giuridica, in quanto la mancanza di sottoscrizione è da intendere come rifiuto di assumere la paternità del documento e quindi della dichiarazione» (Carpino, Scrittura privata, in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, p. 805), avendo, nel tempo, preso il posto di altre, più impaccianti tecniche di assolvimento della funzione dichiarativa del documento stesso (Carnelutti, Studi sulla sottoscrizione, in Riv. dir. comm., 1929, I, p. 512 ss.). 25  Così Gaggero, Dalla nullità relativa alla forma dimidiata?, in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 1220 ss., in relazione ad opinioni quale quella, ad es., di Semeghini, Forma ad substantiam ed exceptio doli nei servizi di investimento, Milano, 2010, p. 112 ss., spec. p. 114.

569

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 569

06/11/17 17:41


Commenti

sizione del tratto autografo ad opera del delegato bancario riducendosi, allora, ad un “formalismo vacuo ed inutile”26 – molto semplici risultano, per contro, le ragioni pratiche che rendono quella della domanda di accertamento della nullità del contratto monofirma strategia processuale sempre più “in voga” negli ultimi anni. Come ben si ricorderà, uno degli aspetti della disciplina di settore sin da subito apparsi problematici, fu proprio quello relativo al “silenzio” sui rimedi27. Tanto che, con sin troppo facile profezia, i primi commentatori ebbero modo di prefigurarsi «un grande fumare di cervelli, un grande fiorire di contributi tesi ad indovinare come si sanzionerà il comportamento dell’intermediario che opera contro [le] regole»28. Come noto, ad intervenire al fine di rimuovere le incertezze, sono state due sentenze “gemelle” delle S.U.29, le quali, pur senza negare natura imperativa alle

26  Trib. Milano, 21 febbraio 2012, cit.; adde, App. Venezia, 3 novembre 2016, n. 2477, cit.; in dottrina, Modica, Vincoli di forma, cit., p. 195 s., per la quale «la forza dei fatti sempre più spesso suggeri[rebbe] l’inattualità della sottoscrizione quale carattere strutturale della scrittura privata»; elemento che diverrebbe così «superfluo, o comunque non indispensabile, tutte le volte in cui ciò che rileva davvero è la circostanza che il contratto contenga e diffonda nel mercato una serie predeterminata di informazioni». 27  L’art. 6, co. 1, lett. c), l. Sim (n. 1/91), sebbene chiamasse gli intermediari a «stabilire i rapporti con i clienti stipulando un contratto scritto», aveva omesso di stabilire la sanzione valevole per il caso di sua violazione; pertanto, anche in merito a questo aspetto dottrina e giurisprudenza dibatterono circa la riconducibilità della previsione a regole di condotta del prestatore ovvero a regole di validità dell’atto (v., a favore della nullità ex art. 1418, co. 1, c.c., R. Lener, Forma contrattuale e tutela del contraente “non qualificato nel mercato finanziario, Milano, 1996, p. 168 ss., spec. p. 172 ss.; contra, Coltro Campi, La nuova disciplina dell’intermediazione e dei mercati mobiliari, Torino, 1991, p. 37 ss.). Il decreto Eurosim (d.lgs. n. 415/96) avrebbe poi chiarito che la forma scritta era richiesta a pena di nullità, mancando tuttavia di specificare la natura assoluta o relativa di essa (cfr. Inzitari e Piccinini, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, Padova, 2008, p. 5 ss.; in giurisprudenza, tra le altre, Cass., 7 settembre 2001, n. 11495, in Foro it., 2003, I, 612, con nota di G. Catalano, Ancora sugli strumenti finanziari derivati, tra forma dei contratti ed ingiustificati arricchimenti), e, già allora, parte della dottrina ebbe a sottolineare il rischio di una trasformazione del rimedio da “necessario strumento di tutela del contraente debole a distorto meccanismo di rivendicazione pretestuosa” (Girino, Forma “ad substantiam” per i contratti sim, in Contr., 1997, p. 401). 28  Roppo, Le varie tipologie di conflitto di interessi e i rimedi, in Rappresentanza e gestione, a cura di Visintini, Padova, 1992, p. 197. 29  Sentenze del 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, commentate, tra gli altri, da Galgano, Il contratto di intermediazione finanziaria davanti alle Sezioni unite della Cassazione, in Contr. e impr., 2008, p. 1 ss.; Roppo, Nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf, in Danno e resp., 2008, p. 536 ss.; Maffeis, Discipline preventive nei

570

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 570

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

regole di settore, hanno ricondotto le norme disciplinanti l’attività degli intermediari di mercato mobiliare alla categoria delle regole di condotta, per ciò escludendo, per il caso di loro violazione, la configurabilità di altrettante nullità virtuali, e affermando, per contro, la soluzione favorevole alla responsabilità – precontrattuale o contrattuale, a seconda dei casi – a fini risarcitori30. In tale scenario, a fronte delle ben più elevate difficoltà probatorie per far valere eventuali violazioni di altri precetti da parte dell’intermediario (prova dell’illecito commesso e del danno subito, nesso di causalità tra quello e questo), ben si comprende come quella diretta a far valere la nullità – qui testuale – per difetto di forma del contratto-quadro, risulti azione processuale dotata di un forte appeal, giusta la possibilità di accedere alla tutela restitutoria ex art. 2033 c.c. in conseguenza della invalidità derivata delle singole operazioni di investimento eseguite a valle31.

4. Formazione, forma e prova del contratto-quadro d’investimento. Sempre sul piano pratico, il problema sorge – e la stessa ordinanza lo ricorda32 – in ragione delle peculiari modalità di conclusione dei contratti-quadro d’investimento osservabili nella prassi. Il procedimento di formazione di questi contratti, in effetti, è aspetto che il t.u.f. sembrerebbe non disciplinare in alcun modo33, molto spesso risultandone il

servizi di investimento: le Sezioni Unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, in Contr., 2008, p. 403 ss. 30  V. la recente ricognizione di Rende, Violazione di regole informative e rimedi a dieci anni dalle sentenze Rordorf, in Contr., 2017, p. 201 ss.; ma cfr. pure Berardicurti, I contratti di investimento e l’efficacia adesiva delle “Sentenze Rordorf”, in Giur. it., 2014, p. 2165 ss.; e Bertolini, Risparmio tradito, cit., passim. 31  Altrettanto difficoltose si presenterebbero, in effetti, pure le altre vie in astratto idonee a condurre ad analoghi esiti restitutori (annullamento per vizio del consenso; risoluzione), vuoi sul piano probatorio, vuoi su quello dell’adattamento delle previsioni codicistiche alle peculiarità della fattispecie, ove rilievo determinante finirebbero altresì per assumere le diverse possibili ricostruzioni della sequenza strutturale e funzionale tra il contratto normativo di base e i singoli atti d’investimento (v. Maggiolo, Servizi ed attività, cit., p. 492 ss.; Rende, Violazione, cit., passim; Bertolini, Risparmio tradito, cit., p. 350 ss.). 32  Ivi, par. 2. 33  Cfr. Tucci, Servizi di investimento, cit., p. 2463, nt. 49; Maggiolo, Servizi ed attività, cit., p. 466 ss.

571

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 571

06/11/17 17:41


Commenti

fenomeno per cui, onde sia possibile beneficiare di talune agevolazioni in punto di registrazione e bollo34, essi vengono normalmente predisposti dagli intermediari (facendo tuttavia risultare il cliente nella veste di

V. art. 1, co. 1, lett. a), Tariffa, parte II, allegata al d.P.R. n. 131/1986, che indica quegli atti e contratti che, se “formati mediante corrispondenza”, sono oggetto di registrazione solo “in caso d’uso” (cfr. Nastri, L’imposta di registro e le relative agevolazioni, Milano, 1993, p. 14 ss., 632 ss.; Arnao, Manuale dell’imposta di registro, Milano, 1993, p. 21 ss., 481 ss.). V’è tuttavia da segnalare come le norme fiscali escludano dall’applicazione di tale regola i contratti per i quali il c.c. richiede forma scritta a pena di nullità, i quali, pertanto, quand’anche formati per corrispondenza, andrebbero comunque registrati in “termine fisso”. Tuttavia, a mettere al bando la plausibilità di interpretazioni che, facendo leva sull’art. 1418, co. 3, c.c., pretendessero di ricondurre le ipotesi di forma scritta ad essentiam previste in leggi speciali pur sempre a generali previsioni codicistiche, soccorre la nt. 1 (aggiunta all’art. 1 cit. dall’art. 21, co. 21, l. n. 449/97), che espressamente estende la regola di registrazione per il solo caso d’uso ai contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari e finanziari. Analoga disciplina vale per il bollo (v. l’art. 42, Tariffa, parte II, allegata al d.P.R. n. 642/1972, in relazione agli atti soggetti ad imposta solo in caso d’uso; e, quanto alla misura dell’imposizione, la nt. 2-bis all’art. 2 della Tariffa, parte I, ove, a seguito delle modifiche di cui all’art. 3, co. 1, l. n. 28/1997, per i contratti relativi alle operazioni e servizi bancari e finanziari previsti dal t.u.b., e per quelli relativi ai servizi di investimento delle SIM e degli altri soggetti abilitati, essa è stabilita in misura fissa per ogni contratto, indipendentemente dal numero di esemplari o copie). Preme osservare come il qui rilevante concetto di “corrispondenza” non si estenda sino ad esigere l’effettivo utilizzo del mezzo postale; ciò nondimeno, dovrà trattarsi di uno “scambio epistolare”, ossia di una materiale trasmissione del carteggio da un soggetto all’altro, la quale dovrebbe allora poter avere alternativamente ad oggetto: i) il medesimo documento, vale a dire la proposta sottoscritta dal mittente, inviata al destinatario e poi da questi rispedita al primo dopo esser stata firmata in segno d’accettazione; ii) due distinti documenti, ossia, da un lato, la proposta sottoscritta dal mittente e spedita al destinatario, dall’altro, l’accettazione, normalmente riproducente il testo della proposta e recante la sottoscrizione dell’accettante, da spedire al mittente della proposta. Naturalmente, al fine di evitare contestazioni circa il fatto che lo scambio di corrispondenza non sia altro che un’artificiosa costruzione tendente a celare la formazione in verità simultanea del contratto, la soluzione della duplicità dei documenti appare la strada più sicura e perciò maggiormente praticata, specie di fronte a quei più restrittivi indirizzi secondo cui per “corrispondenza” dovrebbe intendersi la sola vicenda d’incontro della volontà delle parti attraverso duplice e autonoma rappresentazione documentale, mentre non scambio epistolare, bensì vera e propria scrittura privata, si avrebbe qualora da un unico documento, ancorché redatto in forma epistolare, fosse possibile desumere tutti gli elementi essenziali del contratto e, in particolare, le sottoscrizioni dei due contraenti (cfr., per ogni riferimento, Busani, Imposta di registro e formazione dell’atto mediante corrispondenza, estratto da Id., L’imposta di registro, Milano, 2009, p. 121 ss., e reperibile in www.notaio-busani.it; Acciari ed altri, Contratti di finanziamento bancario, di investimento, assicurativi e derivati, Milano, 2012, passim). 34

572

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 572

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

parte proponente) sotto forma di lettera-contratto35. Mediante tali lettere commerciali, le parti si scambiano proposta ed accettazione per iscritto, sicché il proponente avrà conoscenza dell’accettazione della controparte mediante atto riproduttivo della propria proposta e recante la sola sottoscrizione dell’oblato. In altri termini, l’intermediario è (dovrebbe essere) in possesso della copia del contratto che reca la sola firma del cliente-proponente, laddove questi è (dovrebbe essere) in possesso di analoga copia sottoscritta da soggetto abilitato a rappresentare la bancaaccettante. Così stando le cose, diviene altresì evidente la scomoda posizione della banca convenuta, laddove, per un verso, la copia da essa (se del caso) firmata e inviata al cliente, non sarà, con ogni probabilità, prodotta in giudizio36, mentre, per altro verso, muovendo dall’assunto su cui si fonda l’orientamento più rigoroso, ossia che quello di cui all’art. 23 t.u.f. integri un requisito di forma scritta ad substantiam, la teoria e la disciplina delle prove civili farebbero risultare oltremodo complicato supplire altrimenti alla carenza documentale37.

35  Cfr. ancora Maragno, La nullità, cit., p. 933, 937, il quale sottolinea la confusione che può talvolta sorgere in merito all’effettivo procedimento seguito per la conclusione del contratto. Questo perché, spesso, i moduli contrattuali predisposti dall’intermediario, pur atteggiandosi, come detto, a lettera-contratto, recano comunque in evidenza lo spazio affinché anche la copia a firma del cliente, che rimane nella disponibilità dell’intermediario, contenga la sottoscrizione di un rappresentante di quest’ultimo per accettazione della proposta del primo. Sul punto cfr. anche Giuliani, Nullità, cit., p. 1097 ss.; e Tucci, Conclusione del contratto, cit., p. 1121, nt. 15, il quale pure osserva come la prassi evidenzi la tendenza a “simulare”, mediante la predisposizione dei moduli contrattuali, lo scambio di corrispondenza anche nel caso di conclusione del contratto inter praesentes (le ragioni sembrano essere quelle già chiarite alla nt. precedente; in merito alle conseguenze che la S.C. ha talvolta tratto da ciò, v. infra, spec. nt. 41-42 e testo corrispondente). 36  Come osserva Maragno, La nullità, cit., p. 933, può ben darsi, secondo la casistica, che il documento non venga affatto prodotto in giudizio perché il contratto non è mai stato concluso, o perché il documento è andato perduto da entrambe le parti; tuttavia, nei casi più ricorrenti, l’unico documento allegato in atti sarà la copia del contratto in possesso dell’intermediario, mancante della sua sottoscrizione. E non può certo escludersi, in questi casi, il comportamento del cliente, improntato ad “astuzia” processuale, di non produrre in giudizio la copia in suo possesso, che dovrebbe invece recare la sottoscrizione della banca (v. il par. 11 dell’ord., nonché infra nt. 172). 37  Per un approfondimento dei problemi riconducibili a tale modalità di conclusione del contratto, v. Della Vedova, Perfezionamento, cit., p. 505 ss.; più in generale, D’Angelo, Proposta e accettazione, in Formazione, cit., a cura di Granelli, p. 140 ss.

573

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 573

06/11/17 17:41


Commenti

5. La tesi favorevole alla nullità. Infatti, sebbene la giurisprudenza, in relazione ai negozi solenni, non giunga a sostenere la necessità di contestuale sottoscrizione di un medesimo documento38, l’onere formale in discorso seguiterebbe a doversi comunque considerare strumento insostituibile per la valida manifestazione della volontà di ciascun contraente39, con la conseguenza che la prova del contratto dovrà essere data, giusta l’art. 2725 c.c., mediante documento sottoscritto da entrambe le parti40. Né vi sarebbe salvezza

Ciò che, prima facie, sembrerebbe non rendere incompatibile, né con i princìpi del c.c., né con la norma settoriale del t.u.f., la prassi dello scambio di due documenti, di identico tenore, ciascuno sottoscritto dall’altro contraente, nella misura in cui comunque risulti “il collegamento inscindibile del secondo documento al primo, sì da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo” (così Cass. 13 febbraio 2007, n. 3088, in Mass. Giust. civ., 2007; in dottrina, per tutti, Sacco e De Nova, Il contratto4, cit., p. 211 ss., 731). Tuttavia, a diverse conclusioni giungono quegli Autori che, valorizzando la previsione dell’obbligo di consegna al cliente di un esemplare del contratto, da essa ricavano la necessità di redazione ab origine di un unico documento in doppio originale, uno dei quali appunto da consegnare al cliente, con la conseguenza che la consegna non solo, ad es., di una semplice copia chimica, ma anche di un documento privo della sottoscrizione di entrambe le parti costituirebbe inadempimento alla detta obbligazione. Così De Poli, Art. 117, cit., p. 1619, per il quale l’esigenza di imporre alla banca la consegna di un esemplare del contratto testimonierebbe «che il legislatore ha immaginato che il contratto non si perfezioni attraverso lo scambio di proposta e accettazione (diversamente, il cliente avrebbe già in mano l’esemplare firmato dalla banca e non occorrerebbe imporne la consegna)»; aderisce parzialmente Della Vedova, Perfezionamento, cit., p. 507; su posizioni rigorose anche Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 102 ss.; diversi, invece, i dubbi di Pagliantini, L’incerto procedere, cit., p. 304; ulteriori riferimenti in Maggiolo, Servizi ed attività, cit., p. 467, testo e nt. 10, 478, nt. 45, 481, nt. 57; per la giurisprudenza, v. infra, nt. 47. 39  V. Trib. Torino, 5 gennaio 2010, cit., rifacendosi a quella giurisprudenza di legittimità che argomenta nel senso della necessità dell’atto scritto come stumento di “estrinsecazione diretta della volontà contrattuale” delle parti di un negozio a forma solenne (Cass., 7 giugno 1966, n. 1495, in Giust. civ., 1966, I, 2220). 40  Dai princìpi affermati dalla giurisprudenza cit., «consegue che vertendosi in tema di forma scritta sotto pena di nullità, in caso di formazione dell’accordo mediante lo scambio di distinte scritture inscindibilmente collegate, il requisito della forma scritta ad substantiam in tanto è soddisfatto, in quanto entrambe le scritture, e le corrispondenti dichiarazioni negoziali [...] siano formalizzate [“in un unico contesto ovvero anche in tempi e contesti diversi”]. E, insorta controversia, vale la regola generale secondo cui, con riguardo ai contratti per i quali legge prescrive la forma scritta a pena di nullità, la loro esistenza richiede la produzione in giudizio della relativa [“o delle relative”] scrittura [“scritture”]» (Cass., 27 aprile 2016, n. 8395, cit.; 11 aprile 2016, n. 7068, cit.; 24 marzo 2016, n. 5919, cit.). 38

574

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 574

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

della prova testimoniale per aver il contraente perduto senza sua colpa il documento che gli forniva la prova (art. 2724, n. 3, c.c.)41, in quanto si tratterebbe, piuttosto, di un’ipotesi d’impossibilità a procurarsela (art. 2724, n. 2, c.c.)42. Con l’ulteriore conseguenza di non potersi accedere allo strumento dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. per far acquisire in giudizio la copia sottoscritta e consegnata al cliente, mancando la prova dell’effettiva esistenza di essa43. Inammissibile sarebbe, del pari, il ricorso a presunzioni (art. 2729 c.c.), al giuramento (art. 2739 c.c.) ed alla confessione44, così come, più in generale, la mancata sottoscrizione non potrebbe essere efficacemente supplita da equipollenti quali il concreto comportamento delle parti45, altra dichiarazione in forma scritta da cui possa dirsi desumibile la volontà del contraente non firmatario di avvalersi del contratto (ad es.: la sottoscrizione del documento sui rischi generali46, la formazione e l’invio di documentazione contabile in co-

V. Cass., 14 marzo 2017, n. 6559, cit. «Consolidata giurisprudenza di questa Corte esclude l’equiparazione alla ‘perdita’ [incolpevole], di cui parla l’art. 2724 c.c., della consegna del documento alla controparte contrattuale [...] tanto più in un caso come quello in discorso in cui non è agevole comprendere cosa abbia mai potuto impedire alla banca, che ha predisposto la modulistica [...], di redigere il ‘contratto quadro’ in doppio originale sottoscritto da entrambi i contraenti» (Cass., 27 aprile 2016, n. 8395, cit., ove, come osserva Tucci, Conclusione del contratto, cit., p. 1121, nt. 15, la S.C., giunge dunque ad imputare all’organizzazione d’impresa della banca l’eventuale lacuna documentale). 43  Così sempre le sent. di Cass. ultt. citt., richiamandosi, tra gli altri precedenti conformi, a Cass., 23 dicembre 2011, n. 28639, in Mass. Giust. civ., 2011, ove si è ritenuto che l’esclusione della prova testimoniale operi anche al fine della preliminare dimostrazione dell’esistenza del documento, necessaria per ottenere l’ordine di esibizione. 44  Cass., 2 gennaio 1997, n. 2, in Mass. Giust. civ., 1997; 7 giugno 1985, n. 3435, in Giust. civ., 1986, I, 1961, con nota di Fornaciari, Spunti in tema di prova del negozio solenne; 7 ottobre 1982, n. 5148, in Giur. it., 1983, I, 1699, con commento di Cirillo, Sulla prova del negozio formale attraverso successiva scrittura confessoria. 45  Difesa spesso tentata dagli intermediari è quella diretta ad invocare il comportamento del cliente che, dopo essersi per anni avvalso del rapporto, agisca per contestare giudizialmente la validità di singole operazioni d’investimento. Argomento spesso rigettato dalle corti (v., ad es., Trib. Torino, 5 gennaio 2010, cit.) in ragione dell’insanabilità del contratto nullo, non potendo «nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto, [...] evidenziare una formazione del consenso al di fuori dello scritto» (Cass., 27 aprile 2016, n. 8395, cit.; 11 aprile 2016, n. 7068, cit.; 24 marzo 2016, n. 5919, cit.). 46  V. Cass., 19 febbraio 2014, n. 3889, cit., ove a tale “informativa doverosa” è stata riconosciuta mera funzione strumentale e propedeutica alla stipulazione del contratto di gestione ai fini di una migliore comprensione preliminare da parte del cliente dei 41  42

575

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 575

06/11/17 17:41


Commenti

stanza di rapporto, quand’anche non contestata dal cliente47), e neppure da dichiarazioni unilaterali ricognitive del fatto da provare ad opera di controparte48. Inutile sarebbe, infine, la produzione in giudizio della scrittura privata ad opera della parte che non l’ha sottoscritta ai fini della formazione del consensus in idem placitum49: o perché la produzione avverrebbe in un momento successivo a quello in cui, con l’invocazione della nullità, l’altra parte ha manifestato la volontà di revocare il proprio consenso50, oppure perché, pur laddove si ritenesse di accedere all’opposto orientamento51, il perfezionamento del contratto non potrebbe che realizzarsi

rischi associabili al mandato gestorio conferito all’intermediario, come tale inidonea ad “integrare la forma scritta del contratto”. 47  V. Cass., 27 aprile 2016, n. 8395, cit.; 11 aprile 2016, n. 7068, cit.; 24 marzo 2016, n. 5919, cit.; nonché 14 marzo 2017, n. 6559, cit., ove, in materia di contratti bancari, si è ritenuto doversi altresì rilevare come la pretesa sufficienza di una mera dichiarazione di volontà di avvalersi del contratto (nel caso di specie si trattava di un atto di precetto successivamente notificato al cliente da parte della banca creditrice) comprometterebbe del tutto il dovere di consegna di un «‘esemplare’ del contratto al cliente – in quanto tale, propriamente sottoscritto in originale dalla banca –, che pure la norma dell’art. 117 TUB pone esplicitamente in capo alla banca medesima» (su quest’ultimo punto, v. supra, nt. 38). 48  Ciò che varrebbe allora a sterilizzare, per l’intermediario che volesse efficacemente contrastare l’avversa domanda di nullità, la possibilità di cautelarsi – come le banche in effetti tentano di fare – inserendo nel modulo destinato a figurare quale proposta, la dichiarazione del cliente circa l’avvenuta ricezione di copia del contratto sottoscritto per accettazione da un rappresentante della controparte. Su questo terreno, v’è tuttavia da segnalare l’opinione di chi rileva come i limiti alla prova testimoniale e per presunzione operino con esclusivo riguardo alla prova della dichiarazione altrui, non anche della propria, né, tanto meno, rispetto al fatto storico della ricezione o cognizione di questa da parte del destinatario (D’Angelo, Proposta e accettazione, cit., p. 142 ss.; Pagliantini, L’incerto procedere, cit., p. 307 s.). 49  Su tale princìpio giurisprudenziale, e sui relativi limiti, v., tra le molte altre, Cass. 7 maggio, 1997, n. 3970, in Mass. Giust. civ., 1997; 17 ottobre 2006, ivi, 2006; 25 febbraio 2004, n. 3810, ivi, 2004; 5 giugno 2014, n. 12711, ivi, 2014. 50  V. Trib. Torino 5 gennaio 2010, cit., richiamando, tra le altre, Cass., 12 giugno 2006, n. 13548, in Mass. Giust. civ., 2006; e 25 febbraio 2004, n. 3810, ivi, 2004. 51  Per il quale «il principio, secondo cui la produzione in giudizio della scrittura privata contenente un contratto per il quale la forma scritta sia richiesta ‘ad substantiam’ da parte di chi non l’ha sottoscritta, sopperisce a detta carenza, non soffre deroga per il fatto che la nullità del negozio sia stata dedotta dalla controparte prima della produzione, giacché mediante tale attività processuale si determina l’incontro delle volontà dei contraenti nella forma prescritta» (Cass., 7 agosto 1992, n. 9374, in Mass. Giust. civ., 1992; nella giurisprudenza di merito, nello specifico ambito che qui interessa, Trib. Torino, 23 maggio 2009, in www.ilcaso.it).

576

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 576

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

con efficacia solamente ex nunc (dal momento della produzione)52, ciò che allora impedirebbe di ritenere retroattivamente sussistente ed efficace un contratto scritto sin dal momento dell’inoltro della proposta53, dovendosi perciò continuare a ritenere derivativamente nulle le operazioni d’investimento medio tempore eseguite54.

6. La tesi contraria. Come si accennava, i princìpi affermati da questa giurisprudenza non hanno trovato pieno consolidamento. Diverse sentenze di merito, ed alcune altre di legittimità, continuano, come per il passato, a discostarsene, forti anche delle riflessioni di parte della dottrina. Spesse volte, la reiezione della domanda di nullità viene argomentata proprio sul piano della formazione del consenso contrattuale tramite equipollenti della sottoscrizione mancante, al di fuori o all’interno del processo, e/o su quello della prova55. Alcune sentenze valorizzano la produzione in giudizio da parte della banca della copia del contratto firmata dal cliente56, considerando la domanda (o l’eccezione) di nullità

52  Aspetto presupposto in tutti i precedenti cit. in nt. 49; sembrerebbe costituire isolata eccezione Cass., 29 aprile 1982, n. 2707, in Mass. Giust. civ., 1982. 53  Cass., 14 marzo 2017, n. 6559, cit. 54  Cass., 27 aprile 2016, n. 8395, cit.; 11 aprile 2016, n. 7068, cit.; 24 marzo 2016, n. 5919, cit., ove pure si osserva come «[d’]altro canto, far discendere la validità dell’ordine di acquisto dal perfezionamento soltanto successivo del ‘contratto quadro’, non è pensabile stante il princìpio dell’inammissibilità della convalida del contratto nullo ex art. 1423 c.c.». Assunto, questo, che permette alla S.C. di non dover ulteriormente indagare circa la possibilità, invero non pacifica (v. infra, par. 7), di ritenere la produzione documentale da parte della banca capace di perfezionare, sia pure ex nunc, il contratto in presenza di avversa domanda volta alla declaratoria di nullità, tenuto conto «che tale domanda è di mero accertamento e, a differenza di quelle costitutive, quali quelle di annullamento o di risoluzione, non presuppone l’avvenuta conclusione del contratto» (ibid.), né la parte che la propone in alcun modo presuppone l’esistenza di un rapporto efficace (cfr. Maragno, La nullità, cit., p. 934 s.). 55  Si tratta, per la gran parte dei casi, di decisioni che valorizzano l’elemento della non necessaria contestualità, né temporale, né materiale, di proposta ed accettazione, e, dunque, delle sottoscrizioni, per ricavarne argomenti di segno esattamente contrario rispetto a quelli affermati dalla S.C. nelle sentenze richiamate nel par. precedente (cfr. Trib. Padova (ord.), 14 novembre 2016, cit.; Trib. Modena (ord.), 12 aprile 2017, cit.; Trib. Bergamo, 11 gennaio 2017, cit.; App. L’Aquila, 12 ottobre 2016, n. 1055; cit.; Trib. Catania, 17 febbraio 2017, n. 790, cit.). 56  Cass., 22 marzo 2012, n. 4564, cit.; Trib. Catania, 27 gennaio 2015, cit.

577

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 577

06/11/17 17:41


Commenti

inidonea a valere revoca del consenso57 e sostenendo l’efficacia retroagente di tale modalità di equipollente perfezionamento del contratto58. Altre volte, ad essere valorizzata è qualsiasi manifestazione di volontà del contraente non firmatario, risultante da uno scritto diretto a controparte da cui emerga l’intento di avvalersi del contratto59, ovvero la predisposizione del contratto ad opera dell’intermediario, mediante propria modulistica, unitamente alla sottoscrizione del cliente ed alla successiva esecuzione del rapporto60. Si assumono rilevanti, infine, le unilaterali dichiarazioni ricognitive contenute nella copia sottoscritta dal cliente61, ritenendosi raggiunta la prova dell’avvenuta conclusione in forma scritta per presunzioni62, ovvero per confessione63. Tuttavia, per le ragioni che si chiariranno, quel che più rileva è osservare come, sul piano sostanziale, ad essere messa in dubbio sia, innanzitutto, la fondatezza stessa della prescrizione di forma solenne alla luce delle fonti di disciplina della materia64. Ciò che talvolta avviene nel senso della ritenuta incompatibilità della norma interna con le disposizioni comunitarie di settore, talaltra sulla base di un’analisi letterale della stessa norma nazionale. Sotto il primo profilo, si evidenzia una deviazione dalle previsioni dell’art. 19, par. 7, MiFID, da cui non sarebbe in alcun modo evincibile la necessità di redazione per iscritto del contratto, bensì solamente quella di documentazione, nelle scritture dell’impresa prestatrice del servizio, degli accordi intercorsi con la clientela, laddove, poi, l’art. 39 della direttiva di secondo livello, nel suo far riferimento ad “un accordo di ba-

57  Trib. Torino, 23 maggio 2009, cit., ove l’argomentazione è nel senso che l’investitore, nel corso del rapporto, avrebbe manifestato la volontà di dar esecuzione al contratto. 58  Trib. Padova, 22 dicembre 2009, cit. 59  Prima che sia intervenuta revoca del consenso: Cass., 22 marzo 2012, n. 4564, cit.; Trib. Napoli, 24 febbraio 2015, cit.; App. Napoli, 28 dicembre 2016, cit.; App. Napoli, 13 febbraio 2017, n. 1924, cit.; Cass., 7 settembre 2016, n. 17740, cit. 60  V. Trib. Milano, 21 febbraio 2012, cit.; Trib. Ascoli Piceno, 31 gennaio 2017, n. 87, cit.; Trib. Roma (ord.), 4 maggio 2017, n. 1384, in www.ilcaso.it; Trib. Bergamo, 11 gennaio 2017, n. 26, cit.; Trib. Padova (ord.), 14 novembre 2016, cit. 61  Cass., 22 marzo 2012, n. 4564, cit.; 14 agosto 2016, n. 17290, cit.; 13 settembre 2016, n. 17943, in www.iusletter.com; Trib. Alessandria, 27 febbraio 2017, n. 179, cit.; Trib. Padova (ord.), 14 novembre 2016, cit. 62  Cass., 22 marzo 2012, n. 4564, cit.; Trib. Venezia, 29 settembre 2008, cit. 63  Trib. Milano, 21 febbraio 2012, cit.; Trib. Modena (ord.), 12 aprile 2017, cit. 64  È il caso, innanzitutto, di App. Torino, 26 marzo 2013, cit., da cui trae origine il ricorso in Cass. sfociato nell’ord., secondo quanto si desume dalla lettura dei fatti di causa ivi riportati; ma v. già Trib. Milano, 21 febbraio 2012, cit.

578

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 578

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

se scritto” avrebbe introdotto un aggravio non previsto dalla norma di primo livello65. Sotto il secondo profilo, si fa leva, invece, sulla diversa formulazione dell’art. 23 t.u.f. (“I contratti [...] sono redatti per iscritto”) a cospetto di quella di cui all’art. 1350 c.c. (“Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata ...”) per sostenere che la “redazione” indicherebbe la semplice stesura del testo contrattuale e non anche la stipulazione, intesa nel suo più specifico significato tecnico di assunzione del vincolo negoziale, in forma solenne66. L’ordinanza si accosta adesso a questi argomenti, osservando come «l’ordinamento europeo non mostri di ritenere rilevante una forma scritta per i contratti bancari e finanziari, sottintendendo che gli obiettivi di trasparenza – funzione preminente del vincolo formale – possano essere raggiunti anche con altri strumenti, quali i supporti cartacei o le bozze del documento»67. E, una volta rilevato come, in molteplici casi, si abbia a che fare con «requisiti ‘formali’ come strumento non solo» – e non tanto – «di manifestazione della volontà, ma di trasmissione di informazioni, dati e notizie sull’operazione»68, ed escluso, dunque, «che si tratti di obbligo di forma in senso tecnico»69, il provvedimento ritiene di poter

65  È la tesi di Pontiroli e Duvia, Il formalismo, cit., pp. 158 e 165 ss., da cui gli Autori avevano ricavato il convincimento circa l’esigenza di doversi le citate disposizioni interpretare nel più liberale senso di un semplice obbligo di documentazione interna, “escluso ogni requisito di forma contrattuale”, profilando, in vista dell’allora imminente recepimento della MiFID, la necessità per il legislatore italiano di intervenire sull’art. 23 t.u.f., specie in considerazione dell’obiettivo di armonizzazione massima perseguito dal provvedimento europeo. Sul tema, cfr., in seguito, Antico, I contratti di esecuzione di ordini, di ricezione e trasmissione di ordini e di collocamento con il cliente - I contratti di gestione individuale con il cliente, in Zitiello, a cura di, MIFID. La nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, Torino, 2009, p. 301 ss.; Sangiovanni, La nuova disciplina dei contratti di investimento dopo l’attuazione della MIFID, in Contr., 2008, p. 177 ss. 66  Questa argomentazione, pur sempre rivolta, in ultima analisi, a ritenere sufficiente la mera documentazione del rapporto nelle scritture dell’impresa, trovasi sviluppata in Trib. Milano, 21 febbraio 2012, cit.; e riproposta, di recente, da E. Grippo e Belleggia, Difetto di sottoscrizione, cit., p. 7. Ne dà atto, avversandola, pure La Rocca, Sottoscrizione e “forma informativa” nei contratti del mercato finanziario, in Rivista di diritto bancario, estratto dal n. 6/2017, in www.dirittobancario.it, p. 7, nt. 16. 67  Ord., par. 8, all’uopo richiamando le dir. 2007/64/CE (servizi di pagamento) e 2008/48/CE (credito al consumo), dalle quali si trarrebbero “indicazioni nel senso di una riduzione del peso assegnato al formalismo negoziale”. 68  Cioè, “di comportamenti imposti relativi alla documentazione” (ivi, par. 10, ove si richiamano gli artt. 35, 50, 67-undecies e 71 c. cons.; 117 e 124 t.u.b.). 69  Essendo tali comportamenti talvolta “richiesti espressamente prima del formarsi del vincolo” (ibid).

579

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 579

06/11/17 17:41


Commenti

individuare «una [comune] ratio che potrebbe essere estesa anche all’art. 23 [t.u.f.]»70.

7. Segue. Elementi critici. Gli argomenti della tesi avversa alla nullità, investono una molteplicità di temi, ognuno dei quali, per vero, richiederebbe un approfondimento ben diverso rispetto a quanto qui possibile. Pur con questo limite, occorre tuttavia dire come nessuno di essi appaia ricevibile, almeno non de plano. Discutibile – ed in effetti da sempre discusso71 – è, innanzitutto, se gli atti processuali della parte che, supponendone l’efficacia, chieda l’adempimento del contratto, in quanto atti rivolti al giudice e non alla controparte, creati in una sede istituzionalmente deputata ad accertare e far valere diritti già sorti (e solo eccezionalmente a costituirne di nuovi: art. 2908 c.c.), possano dirsi idonei72 a produrre effetti sul piano sostanziale, tanto più quando si tratti della conclusione di un negozio solenne, per il quale il requisito della forma scritta, oltre che necessario ai fini della sua esistenza, vale anche a darne prova in giudizio73.

Ibid. Cfr. Carpino, Scrittura privata, cit., p. 809 s.; Barbero, Sulla produzione in giudizio di scrittura privata non sottoscritta, in Foro pad., 1951, I, col. 1251 ss.; Bianca, In tema di forma del negozio solenne, in Riv. dir. civ., 1955, II, p. 473 ss.; Colesanti, Sulla formazione giudiziale dei contratti solenni, in Riv. dir. proc., 1964, p. 633 ss.; A. Lener, Forma scritta costitutiva e conclusione del contratto (La giurisprudenza degli equipollenti della sottoscrizione), in Foro it., 1964, I, col. 1780 ss.; Mandrioli, Diritto processuale civile18, II, Torino, 2006, p. 218, nt. 30; Sacco e De Nova, Il contratto4, cit., p. 731 ss.; Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1482 s. 72  Specialmente tramite il “medio logico della sottoscrizione della procura al difensore” (Gaggero, op. loc. ult. cit.). 73  La costruzione in discorso, in effetti, sembrerebbe introdurre elementi di indebita contaminazione a doppio senso, delineando una visione dei rapporti fra diritto e processo tutt’altro che ortodossa. Da un lato, come si accennava, essa non pare consona alla stessa funzione giurisdizionale ed al relativo carattere pubblico; dall’altro, il fatto di ritenere la sottoscrizione supplibile “funzionalmente” – nonostante la sua mancanza, in princìpio rilevante sul piano fomale-costitutivo, non ponga invero un problema di “funzionalità”, bensì il dilemma amletico dell’“essere o non essere” (Barbero, Sulla produzione, cit., col. 1252) –, parrebbe condurre oltre confine talune disposizioni (art. 156 c.p.c.) di dubbia valenza sul piano sostanziale (La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 16). Con l’ulteriore inconveniente, per il diritto sostanziale, di un aperto contrasto con l’art. 1326 c.c. nella 70  71

580

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 580

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

Parimenti dicasi, al di fuori e prima del processo, per gli scritti rivolti a controparte in esecuzione del contratto solenne non firmato. Qui, affinché le varie costruzioni pretorie dirette, con un evidente temperamento del formalismo negoziale, ad estendere a modi di “appropriazione” dello scritto diversi dalla sottoscrizione l’efficacia propria di quest’ultima, non sfocino nell’arbitrio74, occorre senz’altro evitare di giungere ad affermare una piena fungibilità fra il requisito formale mancante75 e la volontà comunque manifestata, «quasi che la sottoscrizione non sia essa stessa requisito formale, bensì mera espressione del riferirsi della volontà ad un testo, che il dichiarante potrebbe far proprio anche con qualsivoglia altro mezzo idoneo»76. Molte delle sentenze di merito sopra richiamate e, adesso, la stessa ordinanza, sembrerebbero, almeno in alcuni frangenti, approdare proprio a conclusioni di questo tipo77, così confinando, sul piano strutturale,

misura in cui la possibilità di perfezionamento del contratto mediante equipollenti processuali, fintantoché non consti una revoca della parte che ha già sottoscritto il documento, varrebbe a qualificare la prima dichiarazione di volontà come proposta revocabile che la parte non firmataria potrebbe accettare anche dopo molto tempo, mentre la disciplina del codice lascia intendere che la proposta resta in vita per il tempo necessario a rispondere, né può durare per anni, anche se non revocata espressamente (cfr. Sacco e De Nova, Il contratto4, cit., p. 735; R. Catalano, Contratti solenni, cit., p. 23 s.). 74  Di arbitrarietà pretoria discorre espressamente, in relazione ad alcune soluzioni praticate dalla giurisprudenza, Sacco, Art. 1350, in Comm. Cod. civ. Artt. 1343-1469-bis, a cura di Cendon, Milano, 2010, p. 92. 75  V. la dottrina cit. supra, in nt. 24; in giurisprudenza, ancora di recente, Trib. Savona, 23 giugno 2006, in www.dejure.it: «La sottoscrizione […] è l’espressione grafica della paternità ed impegnatività della dichiarazione che la precede, la quale in mancanza non comporta la conclusione definitiva di un negozio giuridico allorché la forma scritta sia richiesta ‘ad substantiam’». 76  In terminis, Di Giovanni, La forma, in I contratti in generale, a cura di Gabrielli, II, Torino, 1999, p. 771; ma v. pure Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1482, nt. 59, il quale, citando conforme giurisprudenza di legittimità, osserva come sia necessario, ai fini dell’equipollenza, «che il documento sia stato creato al fine specifico di manifestare per iscritto la volontà di contrarre»; adde Sacco, Art. 1350, cit., p. 102. 77  V. ord., par. 9. Nella più recente giurisprudenza di merito, cfr. App. Napoli, 28 dicembre 2016, cit., secondo cui, «ragionando su un caso limite» (peraltro espressamente riconosciuto come «del tutto improbabile nella prassi bancaria»), occorrerebbe chiedersi «quale regime applicare al contratto per il quale la legge richieda la forma scritta ad substantiam, che […] venga scritto di pugno da una parte e sottoscritto solo dall’altra parte». A questo rilievo (e a quelli della dottrina che vi si richiamano: v. De Santis, Difetto di sottoscrizione, cit., p. 7), sembra però agevole replicare con il fermo orientamento secondo cui, anche in questo caso, la sottoscrizione rimarrebbe indispensabile, mancando altrimenti «la prova documentale che il documento contenga una volontà negoziale, e

581

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 581

06/11/17 17:41


Commenti

la questione ad un mero accertamento circa l’imputabilità del documento all’intermediario per tramite di una volontà da questi comunque manifestata78, donde, talvolta, il ripiego su schemi pacificamente incompatibili con i negozi solenni, quale quello dell’art. 1327 c.c.79, atteso che l’inclusione tra gli “equipollenti” (anche) degli atti esecutivi finirebbe per delineare un procedimento di formazione dell’accordo palesemente inidoneo a soddisfare il requisito di forma solenne80.

non una semplice minuta” (Sacco e De Nova, Il contratto4, cit., p. 726, citando costante giurisprudenza di legittimità). 78  Il rilievo è svolto (ed approfonditamente sviluppato) da La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 5 ss., muovendo dalle contrarie osservazioni di Maggiolo, Servizi ed attività, cit., p. 472, per il quale, se «la forma è [...] il modo esteriore, o la tecnica di comunicazione, per esprimere la volontà; [...] la sottoscrizione è altro dalla volontà espressa, essendo invece lo strumento tecnico di imputazione di una volontà manifestata in una certa forma». 79  Cfr. Roppo, Il contratto, cit., p. 122; e, sia pur con qualche spunto critico, Sacco e De Nova, Il contratto4, cit., p. 309 s. 80  Cfr. R. Catalano, Contratti solenni, cit., p. 26; nonché, per rilievi ulteriori, La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 5, 13 s.; conforme, limitatamente a tale aspetto, Bertolini, Risparmio tradito, cit., p. 345, sottolineando come la natura delle prestazioni dedotte nel contratto-quadro d’investimento non presuppongano un immediato principio d’esecuzione. Convincenti si dimostrano, poi, le critiche (di La Rocca, op. ult. cit., p. 24 s.; Maragno, La nullità, cit., p. 936 s.; e Tucci, Conclusione del contratto, cit., p. 1122 s.) alla tesi (di Maggiolo, Servizi ed attività, cit., p. 467 ss.) che vorrebbe (in uno con le considerazioni già riportate in nt. 78) ricavare dall’art. 1341 c.c. argomenti per sostenere che la tecnica di conclusione del contratto de quo, vedendo il cliente, in realtà “aderente” alle condizioni unilateralmente predisposte dall’intermediario, nella formale veste di “proponente”, renderebbe fuorviante il riferimento allo schema ex art. 1326 c.c., atteso che non occorrerebbe alcuna ulteriore accettazione da parte di colui al quale, per esserne il predisponente, il documento dovrebbe già considerarsi imputabile. Anche a prescindere dai dubbi che da sempre pervadono la dottrina circa la riconducibilità sistematica dell’art. 1341 c.c. tra le regole di formazione ovvero di integrazione del contratto, così come pure da ogni indagine circa possibili limiti a siffatti fenomeni di artificiosa “inversione di ruoli” tra le parti, la tesi sembra invero provare troppo, laddove la disposizione codicistica, se certamente consente l’ingresso in contratto di condizioni standard non conosciute, ma ordinariamente conoscibili da parte del cliente dell’impresa, non può certo valere ad escludere che laddove la legge imponga, come nell’art. 23 t.u.f., la forma scritta ad validitatem, gli elementi essenziali dell’accordo debbano risultare, onde sia sanzionata la nascita del vincolo particolare, da un documento sottoscritto da entrambe le parti, senza, per il resto, che rimanga preclusa la relatio “ad altri documenti o testi giuridici” (art. 39, par. 2, dir. 2006/73/CE). Si osserva, peraltro, come non possa certo escludersi che, pur in presenza di condizioni generali per le quali sia a valere l’art. 1341, le parti, nell’esercizio della loro autonomia procedimentale, vogliano comunque esigere per la conclusione del contratto anche uno scambio di proposta ed accettazione tra loro conformi (il rilievo è dello stesso Maggiolo, Servizi, cit., p. 470 s., in nt. 22; e v.

582

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 582

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

È evidente, infatti, come, in questo modo, si giunga sostanzialmente ad obliterare il precetto dell’art. 23 t.u.f., laddove la lettera della disposizione (art. 12 disp. prel. c.c.) non permette di porre in dubbio il fatto che, per questi contratti, la forma scritta sia elemento costitutivo del negozio (art. 1325, n. 4, c.c.)81 al tempo dell’atto82, oltre a divenire, per questa medesima via, più che concreto il rischio di un surrettizio aggiramento del divieto di convalida del negozio nullo83. Si è invero consci di muoversi qui su di un terreno alquanto acci-

anche quanto trovasi affermato nell’ord., par. 7); solo che, per questi casi, non sembra corretto liquidare la questione affermando che si tratterebbe di un semplice problema di “denominazione” degli atti tramite cui la formazione del contratto deve avvenire, sì che il tutto rimarrebbe pur sempre intieramente assorbito dallo schema di conclusione per condizioni generali (v. Trib. Torino, 5 gennaio 2010, cit., che ha escluso la natura di contratto per adesione proprio sulla base “della difforme formulazione del modulo in oggetto strutturato come una vera e propria (sia pur standardizzata) proposta”). Infine, dal momento che nei casi di specie, più che d’un fenomeno di utilizzo di supporti esterni, sembrerebbe doversi semmai parlare (perché v. poi l’art. 37, co. 2, lett. h), Reg. int.) di incorporazione delle condizioni generali nei moduli utilizzati come documenti contrattuali, a venire in rilievo sarebbe pure l’art. 1342 c.c., il cui incipit non lascia dubbi in merito al ruolo che la sottoscrizione delle parti seguiterebbe ad assolvere. 81  V. Sangiovanni, La nuova disciplina, cit., p. 182; e, in relazione all’art. 117 t.u.b., in modo netto, già Fauceglia, La forma, cit., p. 423. 82  V. Giorgianni, Forma degli atti, cit., p. 993; Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1467; e cfr., d’altro canto, i rilievi già svolti da Cottino, La responsabilità degli intermediari finanziari. Un quadro ben delineato: con qualche novità e corollario, in Giur. it., 2010, p. 608, rimproverando alla giurisprudenza di «trascura[re] il fatto che il fine informativo che l’obbligo di redazione per iscritto doveva ab origine soddisfare si realizzerebbe ex post con il deposito del fascicolo della parte convenuta in causa». 83  Pur volendo lasciare da parte certi ambiti settoriali in cui il tema dell’invalidità dell’atto inevitabilmente risente della logica dell’attività, finendo, anzi, per essere profondamente condizionato dalle esigenze ruotanti attorno all’organizzazione produttiva precipuamente costituita (il riferimento è, naturaliter, a ciò che vale per il diritto societario secondo gli artt. 2332, 2379-bis, 2379-ter c.c.; da ultimo, anche per riferimenti, Pisani Massamormile, Nullità di protezione, cit., p. 36, testo e nt. 22), nel nostro sistema sembrerebbe doversi osservare come, in accordo alla stessa previsione fondativa del tale rapporto in termini di regola-eccezione (art. 1423 c.c.), le fughe dal divieto debbano trovarsi – ed in effetti normalmente si ritrovano – espressamente formulate (artt. 590, 799 c.c.), venendo talvolta altresì fondate sulla specifica ed obiettiva indicazione legislativa del comportamento o dell’atto ritenuto capace di produrre l’effetto recuperativo (cfr. Roppo, Il contratto, cit., p. 855 s.; e v., extra codicem, le ipotesi richiamate da Pagliantini, Art. 1350, in Comm. cod. civ.: dei contratti in generale, a cura di Navarretta e Orestano, Torino, 2011, p. 44 s., il quale vorrebbe però trarne le conseguenze avversate infra, testo e note).

583

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 583

06/11/17 17:41


Commenti

dentato84, in cui, il legislatore – fors’anche perché condizionato, prima, dall’imperfezione del sistema mutuato dal Code Napoléon, e, poi, dall’astoricità della fortunata concezione pandettistica di una generale Ungültigkeit al cui interno rigidamente contrapporre Nichtigkeit e Anfechtbarkeit – «ha sempre distribuito la nullità e il potere di annullamento con un ritmo un po’ casuale»85. Tuttavia, forti della stessa autorevolezza di chi, senza remore di sorta, ha decostruito criticamente il sistema dei dogmi di derivazione novecentesca che ancora condizionano il discorso dottrinario sulla materia, parrebbe doversi comunque tener fermo l’assunto per cui «[l]e norme […] contenute negli artt. 1441 ss. c.c. it., paiono speciali, e applicabili solo là dove lo dice espressamente il codice»; mentre «[t]utte le altre figure di invalidità sfuggono all’applicazione di questi articoli»86. Tra queste, che non è proibito continuare a chiamare “nullità”, rientrano senz’altro quelle “relative”, ove uno dei contraenti «soffre di una […] collocazione socioeconomica che fa di lui il soggetto […] debole o non abile»87. Anche in questi casi88, ferma rimanendo la prescrittibilità dell’azione di ripetizione dell’indebito, il negozio permarrà in una condizione di perenne caducità89, sinché un qualche interessato non ritenga di far valere il vizio sì gravemente invalidante. Ora, il fatto che qui la nullità possa essere pronunziata solo per iniziativa o, comunque, nell’interesse del soggetto legittimato, non può automaticamente equivalere a dire che questi, col proprio contegno, possa sanare il rapporto90.

Cfr., in generale, i rilievi di Breccia, La forma, cit., p. 541. Sacco e De Nova, Il contratto4, cit., p. 1488. 86  Ivi, p. 1506. 87  Ivi, p. 1504. 88  E soprattutto in questi casi, laddove la posizione “seriale” o “di massa” dell’interesse immediatamente riferibile alla parte protetta, se vale, sul piano concettuale, a renderne possibile un apprezzamento quale riflesso finale di un interesse generale, giustifica, sul piano pratico, l’esclusione di quegli elementi del regime dell’annullabilità che sarebbero indesiderabili alla luce dello stesso interesse che si vuole proteggere. Il che vale “soprattutto per la convalida, specie tacita” (Roppo, Il contratto, cit., p. 842; adde Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 305; e v. già Passagnoli, Nullità speciali, cit., p. 201). 89  Siccome inutile, oltre che la convalida, ne risulterebbero pure la ripetizione (Roppo, Il contratto, cit., p. 250) e l’accertamento, potendo le parti unicamente rinnovarlo (ossia rifarlo ex novo) nella forma prescritta (Giorgianni, Forma degli atti, cit., p. 993). 90  Il tema, inevitabilmente, finisce per ricollegarsi a quello circa la rilevabilità officiosa delle nullità di protezione, il quale, dopo le decisioni di Cass., S.U., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243, lungi dal veder ogni contrasto sopito, agita ancora di molto il discorso della civilistica, e non solo (v., tra gli altri, C. Scognamiglio, Il pragmatismo dei principi: le Sezioni Unite ed il rilievo officioso delle nullità, in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 197 84  85

584

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 584

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

A tutto voler concedere – e cioè, pur ritenendo la chiusa eccettuativa dell’art. 1423 c.c. fondativa di una riserva di carattere atipico e aperto, tale che, una volta che si sia appurata una spiccata sintonia tra atto o

ss.; Pagliantini, Spigolando a margine di Cass. 26242 e 26243: le nullità tra sanzione e protezione nel prisma delle prime precompensioni interpretative, in Persona e Mercato, 2014, p. 213 ss.; Malvagna, Le Sezioni Unite e la nullità di protezione ex art. 127 TUB, in Rivista di diritto bancario, estratto dal n. 2/2015, in www.dirittobancario.it; Pisani Massamormile, Nullità di protezione, cit., p. 43 ss.; Scoditti, Patologie, cit., p. 649; Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 302 ss.; Sacco e De Nova, Il contratto4, cit., p. 1530). Il discorso, molto complesso, può in questa sede limitarsi ad un aspetto in particolare. Nel nostro ordinamento, avendo in più d’una occasione il legislatore assunto espressa posizione (art. 1469-quinquies, co. 3, c.c.; artt. 36, co. 3, 67-octiesdecies, co. 1 e 134, co. 1, c.cons; art. 127, co. 2, t.u.b.), i dubbi non hanno tanto investito il tema della sussitenza del potere in discorso in capo al giudice, quanto, piuttosto, il modo in cui rendere l’esercizio di esso conciliabile con le finalità proprie di un rimedio a legittimazione riservata; ed il criterio risolutivo è risultato essere quello del “vantaggio” della parte debole (implicante una valutazione di compatibilità del rilievo officioso con il petitum del contraente protetto, ancorché per causa petendi diversa da quella dedotta: cfr. Roppo, Il contratto, cit., p. 845). Solo che, prendendo le mosse da un cospicuo numero di decisioni della CGUE – che, più volte investita della questione, ha ritenuto che il giudice abbia il potere-dovere di non applicare una clausola abusiva, salvo che il consumatore vi si opponga –, il discorso si è presto orientato intorno alla possibilità di inferire dalla regola eurogiurisprudenziale la sanabilità della nullità disposta a fini protettivi, nel senso che, se questo tipo di nullità può farsi valere solo dal cliente dell’impresa, si rivelerebbe allora «alquanto plausibile» non solo «l’avviso [di una] rilevabilità officiosa […] solo allorché sia nell’interesse del cliente», ma anche «l’idea (conseguente) che l’eventuale esecuzione di un contratto formale sottenda o comunque importi surrettiziamente una species di sanatoria» (Pagliantini, Art. 1350, cit., p. 45; di cui v. anche La nullità di protezione tra rilevabilità d’ufficio e convalida, in Persona e Mercato, 2009, p. 20 ss.). Sennonché, pare a chi scrive (sulla scorta di Valle, La nullità delle clausole vessatorie: le pronunce della Corte di giustizia dell’Unione Europea e il confronto con le altre nullità di protezione, in Contr. e impr., 2011, p. 1366 ss., spec. p. 1392 ss.) che un argomento risolutivo in senso contrario sia questo: che non è invero possibile porre sullo stesso piano e trattare allo stesso modo ipotesi in cui l’autonomia privata, ancorché protetta contro i rischi di un suo esercizio abusivo, abbia comunque modo di esplicitare le proprie scelte (ed è quanto vale per le clausole vessatorie, che, per l’art. 34, co. 4, c.cons., tali non sono a considerarsi laddove oggetto di trattativa individuale), potendosene allora ammettere anche un “esercizio” a posteriori (vale a dire, una conferma in executivis), ed ipotesi in cui, viceversa, tale spazio per l’autonomia privata non sussiste per aver il legislatore predisposto meccanismi di più intensa protezione (art. 36, co. 2, c.cons.), ovvero previamente selezionato l’assetto di interessi da perseguire in relazione alla struttura ed al contenuto del contratto (art. 23, co. 1, t.u.f.). Forse che qualcuno giunga a sostenere, per quanto ciò sembrerebbe logicamente giustificabile alla luce delle premesse, che potrebbe il cliente al dettaglio rendere preventiva dichiarazione, ovvero accordarsi con l’intermediario per rinunciare alla forma scritta contrattuale?

585

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 585

06/11/17 17:41


Commenti

comportamento di convalida e scopo della disposizione violata, diverrebbe possibile, pur in assenza di una norma ad hoc, escludere ex interpretatione l’inconvalidabilità del contratto91 –, al fine della verifica d’esistenza di una tale coerenza, occorrerebbe non solo la certezza circa la coscienza della “parte debole” di poter in alternativa ottenere la dichiarazione di nullità, ma, soprattutto, quella circa il fatto che il comportamento asseritamente sanante possa dirsi non più condizionato da quella medesima posizione di debolezza che giustifica tanto la predisposizione legislativa del rimedio, quanto la conformazione del relativo regime di disponibilità92. La delicatezza dell’assunto si coglie non appena si consi-

91  Così Pagliantini, Art. 1350, cit., p. 45 s.; del quale v., amplius, Autonomia privata e divieto di convalida del contratto nullo, Torino, 2007. 92  Cfr. Gentili, La “nullità di protezione”, cit., p. 116 s. Il vero è che la proposta ricostruzione si rivela, innanzitutto, scarsamente coerente con la natura del rapporto di cui trattasi (si pensi alla diversa scelta legislativa, anch’essa di carattere espresso, in merito all’esecuzione del contratto di lavoro nullo per motivi diversi dall’illiceità dell’oggetto o della causa: art. 2126 c.c.). La sua ripetuta “esecuzione” in luogo di un’attivazione, più o meno celere, del rimedio da parte del cliente-investitore al dettaglio molto difficilmente potrebbe considerarsi equivalere a “sanatoria ‘di fatto’ del negozio” (così l’ord., par. 8, 12), atteso che tanto la posizione asimmetrica delle parti, quanto il contenuto delle prestazioni a loro carico, fanno apparire del tutto normale la circostanza per cui il vizio di forma verrà invocato in un momento in cui l’esecuzione del rapporto palesi un andamento tale da indurre razionalmente il cliente a decidere di sobbarcarsi gli oneri necessari ad andare in causa con l’intermediario. Il tutto in coerenza con l’autorevole ricostruzione secondo cui, già presente nel sistema delle nullità di derivazione codicistica, la combinazione tra fine di “protezione” (dell’interesse individuale) e di “sanzione” (a tutela di interessi generali) si presenterebbe nella nullità relativa conformato a quegli obiettivi di politica economica “di direzione del mercato” che vogliono il privato arbitro della sorte del patto «solo se la dichiarazione di nullità può pregiudicarlo più del contratto»; ciò che a sua volta risponde ad una logica di costruzione di un ordine giuridico del mercato in cui «il perseguimento di un’utilità generale [passa] attraverso un sistema di scelte individuali razionali»: «[t]alora l’irrazionalità è certa, altre volte è solo presumibile. In taluni casi concreti il pregiudizio per la parte protetta è tale che giustifica senz’altro che sia liberata dal patto, in altri essa può avere tutto sommato più interesse a mantenerlo in piedi piuttosto che tornare sul mercato. […] Di qui una disciplina delle nullità di protezione necessariamente variegata. In cui tutto dipende dalla possibilità nelle circostanze del caso concreto di realizzare l’interesse pubblico senza pregiudizio del concreto interesse del privato protetto» (ivi, p. 110 ss., spec. 113 ss.; ma v. pure Valle, La nullità, cit., p. 1398 ss.). Lo si condivida oppure no, la combinazione tra la legittimazione ristretta e le altre usuali regole della nullità, allora, è ciò che propriamente funge da meccanismo atto a consentire il perseguimento delle finalità delle discipline settoriali, assecondando ponderazioni improntate a valutazioni di utilità individuale, peraltro con un’indiretta – ma nient’affatto marginale – funzione “disciplinante” del comportamento della controparte professionale (cfr. Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 49, 302 ss.).

586

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 586

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

deri come, nel contesto di rapporti il cui squilibrio non deriva, in fatto, da una vicenda occasionale o singolarmente patologica, presentando piuttosto carattere strutturale, questo lavorìo di scalpello dell’interprete, per quanto ponderato, attento, prudente, rischi di mutilare definitivamente il modello normativo di riferimento, tanto più che, in piena coerenza con la previsione primaria, le fonti secondarie chiariscono che i soggetti abilitati forniscono ai clienti al dettaglio i propri servizi di investimento di natura non meramente consulenziale «sulla base di un apposito contratto scritto» (art. 37, co. 1, Reg. int.), inducendo a discorrere di un vero e proprio divieto di agire93 la cui intelligibilità non potrebbe, in tutta evidenza, esaurirsi in una dimensione che pretendesse di confinare quel giudizio di “sintonia” in una dimensione puramente subiettiva dell’“interesse alla forma”94: prima di un (ipotetico) divieto di venire contra factum proprium per il cliente (ammesso che di ciò si tratti)95, c’è un (sicuro) obbligo di non agere contra legem dell’intermediario96. Intorno a questi temi, inoltre, parrebbe doversi pure constatare come, trattandosi di ipotizzare deviazioni da prescrizioni d’evidente carattere imperativo, ubi lex voluit, dixit; ubi nolit, tacuit. Ci si vuole riferire, da un lato, all’art. 2 l. n. 192/98, ove il legislatore, pur imponendo la forma scritta del contratto di subfornitura a pena di nullità, ne ha poi consentito la conclusione anche quando, rivolta dal committente proposta scritta al subfornitore, quest’ultimo abbia iniziato la fornitura o le lavorazioni richieste senza accettazione per iscritto97, e, dall’altro lato, con attinen-

Tucci, Conclusione del contratto, cit., p. 1122; Maragno, La nullità, cit., p. 935. V. ancora Pagliantini, Art. 1350, cit., p. 45. 95  Rileva puntualmente Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 39 s., testo e nt. 1, 48 ss., come la regola di protezione, dando vita, in risposta alla posizione di “contraente dispari” (id est, non pari) dell’impresa bancaria e finanziaria, ad una forma di tutela volutamente sbilanciata verso il concreto interesse (“vantaggio”) del cliente, non possa che giungere “a mettere in discussione sostanziale (per la materia de qua e per il lato del cliente) la stessa regola del divieto di venire contra factum proprium”. 96  V. diffusamente infra, par. 10-11. Il risultato sarebbe tanto più difficile da giustificare laddove il contegno sanante dovesse scorgersi nel fatto che il cliente, selezionando soltanto alcune delle operazioni di investimento contro cui rivolgere il rimedio invalidatorio, finirebbe così per manifestare l’intenzione di avvalersi del contratto-quadro in relazione a tutte le operazioni non contestate, con produzione di un effetto in definitiva convalidante l’intera operazione (v., in tal senso, la giurisprudenza richiamata infra, nt. 113). 97  Cfr. La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 12 ss.; e R. Catalano, Contratti solenni, cit., p. 28, la quale per giunta osserva come, nella fattispecie in discorso, «è il committente e non il subfornitore a dover necessariamente rendere per iscritto il suo consenso. Sicché, 93  94

587

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 587

06/11/17 17:41


Commenti

za ben maggiore, all’art. 100-ter, co. 2-quater, t.u.f., ove l’investimento in strumenti finanziari tramite portali per la raccolta di capitali (cd. crowdfunding) può, in alcuni indicati casi, prescindere dalla “stipulazione di un contratto scritto a norma dell’articolo 23, comma 1”98. Ora, proprio il riferimento testuale alla (deroga alla) stipulazione in forma scritta secondo la generale previsione di settore, lascia ben emergere, innanzitutto, quanto labile sia il fondamento dell’accennato argomento circa la pretesa possibilità di distinguere tra “conclusione” e “redazione” del contratto per iscritto99. Né convince, d’altro canto, la proposta lettura delle regole MiFID, perché, se è vero che quel riferimento ad una «registrazione che comprende il documento o i documenti concordati [...] in cui sono precisati diritti ed obblighi delle parti nonché le altre condizioni», «lascia nello sconforto più totale» ove «[l]etta da di-

a differenza di quanto sostiene [la giurisprudenza per i contratti d’intermediazione finanziaria], secondo il legislatore del 1998 la tutela della parte debole del rapporto (cioè del subfornitore) risulta attuata quando è appunto questa parte ad essere messa in condizione di tenere presso di sé il testo predisposto e firmato dalla controparte». Sottolinea come l’ordinamento pretorio che si accontenta di alternative modalità di conclusione del contratto rischi di tradursi, con profonda deviazione dallo spirito della legge, in un rafforzamento della posizione negoziale degli intermediari, Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 97, nt. 37; cui adde, adesso, Panzarini, Un’ordinanza passatista (sulla forma dei contratti del mercato finanziario), in Rivista di diritto bancario, estratto dal n. 5/2017, in www.dirittobancario.it, p. 2. Favorevole a ricavare soluzioni generalizzanti muovendo dallo schema conclusivo ex art. 2 l. n. 192/98, invece, Bertolini, Risparmio tradito, cit., p. 349 s. 98  Mentre la finalità informativa in merito agli aspetti concernenti «[o]gni corrispettivo, spesa o onere gravante» sull’investitore viene realizzata tramite la prescrizione dell’obbligo di indicazione «nel portale dell’offerta, con separata e chiara evidenziazione delle condizioni praticate da ciascuno degli intermediari coinvolti, nonché in apposita sezione del sito internet di ciascun intermediario». Per un generale inquadramento del fenomeno entro cui si collocano queste particolari disposizioni, v. De Luca, Furnari e Gentile, Equity crowdfunding, in Dig. disc. priv., sez. comm., Agg.********, Torino, 2017, p. 159 ss., spec. p. 168 s.; De Luca, Crowdfunding e quote “dematerializzate” di s.r.l.? Prime considerazioni, in Nuove leggi civ., 2016, p. 1 ss., spec. p. 8. 99  Specie laddove ci si rifaccia al tradizionale insegnamento per cui «‘forma scritta’ e ‘redazione per iscritto’ convergono sullo stesso significato di ‘attività dello scrivere’», ossia, appunto, «il farsi per iscritto dell’art. 1350 c.c. come risultato dell’esprimersi mediante tracce grafiche» (La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 7, nt. 16, richiamando, tra gli altri, Carnelutti, Studi, cit., p. 510, nt. 3, del quale è l’osservazione per cui «chi scrive esercita due funzioni diverse: manifesta il pensiero e forma una cosa, una res nova, che è la carta scritta. Noi chiamiamo ‘scrittura’ il risultato di queste due funzioni diverse: così ‘lo scrivere’ come ‘lo scritto’»).

588

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 588

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

scendenti dei Romani»100, è anche vero, però, che, già nella stessa direttiva di I livello, di tali elementi si fa pur sempre espressa menzione in relazione ad un contratto da formalizzarsi tra l’impresa d’investimento e il cliente101.

8. Segue. La reale ratio decidendi: forma ad substantiam vs. forma informativa. Non è il caso di indugiare oltre sui temi rassegnati nel paragrafo precedente. Non solo perché alcuni di essi involgono questioni invero dogmaticamente molto complesse102, ma soprattutto perché, sebbene spesso apparentemente determinanti nel discorso di giudici ed interpreti, molti di quegli argomenti servono, in un altrettanto cospicuo numero di casi, a dar sostegno ad una comune ratio decidendi, che è quella di valorizzare un approccio “teleologico” alla nullità relativa per vizio di forma che possa, come tale, permettere di tener conto del sostanziale assetto di interessi concretamente riferibile alle parti coinvolte nei rapporti contrattuali di specie103.

Antico, I contratti, cit., p. 303. V. La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 6 s., nt. 15; ma cfr. pure R. Lener e Lucantoni, Art. 23, cit., p. 404; nonché Perrone, Il diritto del mercato dei capitali, Milano, 2016, p. 204, il quale, nel ricordare come la disposizione abbia trovato conferma nell’art. 25, par. 5, dir. 2014/65/UE (c.d. MiFID 2, in attuazione delle cui previsioni v. adesso l’art. 58 del Reg. del. della Commissione n. 2017/565), pur criticando, per le ragioni che si diranno, la scelta rimediale compiuta dal legislatore interno, non mette in alcun modo in dubbio il requisito della forma scritta per il contratto-quadro relativo alla prestazione del servizio, dando così seguito al rilievo, già in precedenza svolto dall’A., circa l’irricevibilità, de jure condito, della proposta interpretativa delle regole MiFID formulata dalla dottrina richiamata supra, nt. 65 (Perrone, Regole di comportamento e tutele degli investitori. Less is more, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, p. 542, nt. 10). 102  Prima fra tutte, al fondo del contrasto giurisprudenziale circa la possibilità di supplire altrimenti la mancata sottoscrizione della scrittura privata, quella attinente al contenuto minimo della formale manifestazione di volontà perché questa possa dirsi idonea a determinare la conclusione del negozio solenne (la quale viene a sua volta a confinare col problema di distinguere tra “forma scritta” e “forma espressa”: cfr. i richiami di R. Catalano, Contratti solenni, cit., p. 25, testo e nt. 15; ma v. pure Sacco, Art. 1350, cit., p. 203 s.; Pagliantini, Art. 1350, cit., p. 58 ss.; Di Giovanni, La forma, cit., p. 769), e, insieme a questa, molte altre ancora (le si v. elegantemente esposte e riccamente documentate in Gaggero, Neoformalismo, cit., passim). 103  Particolarmente emblematiche, in questo senso, le modalità con cui si sviluppano le motivazioni di Trib. Catania, 27 gennaio 2015, cit.; App. Napoli, 28 dicembre 2016, cit.; 100  101

589

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 589

06/11/17 17:41


Commenti

Ed è proprio questo approccio, appunto costellato di molti argomenti nella giurisprudenza di merito, a trovarsi adesso formulato expressis verbis nell’ord., secondo cui, nella “realtà economica e giuridica descritta, la visuale del formalismo negoziale rigidamente ‘di struttura’ [sarebbe] stata ritenuta inadeguata, lasciando il campo a quella di ‘funzione’”104. Cosicché, depurata dei suoi molti orpelli, la vera questione non sarebbe né quella dell’imputabilità, in qualunque “forma”, del documento contrattuale ai fini del consenso negoziale105, né quella nascente dalla possibile distinzione tra una visione “classica” della forma solenne106 e quella in cui la sottoscrizione, in quanto componente documentale distinta107, possa essere supplita per equipollenza108; bensì quella – radicale secondo alcuni109; puramente e semplicemente eversiva secondo altri110 – di una netta contrapposizione tra forma ad substantiam e forma informativa, capace di fondare un ragionamento di tipo dicotomico111 che, a ben vedere, finisce per condizionare non solo, appunto, il tema della esteriorizzazione della volontà contrattuale112, ma financo la stessa ricostruzione sistematica dell’istituto della nullità relativa113, nonché l’inter-

Trib. Napoli, 13 febbraio 2017, n. 1924, cit.; Trib. Ascoli Piceno, 31 gennaio 2017, n. 87, cit.; Trib. Alessandria, 26 febbraio 2017, n. 179, cit.; Trib. Padova, 14 novembre 2016, cit.; App. L’Aquila, 12 ottobre 2016, n. 1055, cit. 104  Così l’ord., par. 7. 105  V. ivi, par. 9. 106  Cfr. Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1466. 107  Cfr. Pagliantini, Art. 1350, cit., p. 99; nonché i rilievi della dottrina cit. supra, in fondo a nt. 78; in giurisprudenza, v., ad es., quanto affermato da App. Napoli, 28 dicembre 2016, cit. (“appare indimostrato [il presupposto] della coincidenza tra forma scritta del contratto e sua sottoscrizione da parte dei due contraenti. […] [L]a sottoscrizione non è un elemento essenziale dell’atto scritto in quanto tale”), cui pienamente aderisce Trib. Napoli, 13 febbraio 2017, n. 1924, cit. 108  In accordo, allora, a quel più generale indirizzo, già traciato dalla stessa giurisprudenza di legittimità, che avrebbe così “introdotto significativi ‘vulnera’ al ‘totem’ della sottoscrizione” (Trib. Milano, 21 febbraio 2012, cit.). 109  Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1485 s. 110  La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 3. 111  Tenendo conto della tradizionale distinzione tra forma ad probationem e forma ad essentiam, si tratterebbe, in verità, di un “terzo tipo” di “forma”: v. ivi, p. 6, ove riferimenti; ma cfr. pure quanto già osservava Cottino, La responsabilità, cit., p. 608; il punto è trattato subito infra, nel testo. 112  Laddove l’una volontà – quella del cliente – «deve essere manifestata per iscritto ad substantiam», mentre l’altra – quella dell’intermediario – potrebbe esserlo «in ogni forma consentita dall’ordinamento» (così l’ord., par. 9). 113  Vanno qui richiamate quelle pronunzie (Trib. Verona, 1 ottobre 2009, in

590

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 590

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

pretazione delle disposizioni in tema di prova, anch’esse da adattare al privilegiato approccio di tipo funzionalistico114. Sennonché, il passo che l’ord. intenderebbe compiere pare decisamente più lungo della gamba, e, nonostante lo strenuo tentativo di non cadere in contraddizione, l’equivoco che il provvedimento cela diviene d’immediato evidente a cospetto del carattere – concettualmente e sistematicamente, oltre che de jure condito – forzato delle giustapposizioni tra le eterogenee fattispecie normative richiamate a sostegno dell’argomentazione115. Perché, a meno di non voler accreditare una concezione che, indotta “dalla semplice somiglianza dei nomina”116 all’interno del fitto catalogo, scorga nella “forma” un “lemma [dal] valore meramente descrittivo”, vero è, tutto all’opposto, che quelle previsioni, lungi dal giustificare un tale processo di indiscriminata assimilazione, testimoniano bene dell’impossibilità, in relazione al variegato fenomeno del neoformalismo contrattuale, di fare di tutta l’erba un fascio, cioè, più chiaramente, di configurare “un terzo tipo di forma solenne, dai tratti spuri, che rompe col modello di vestimentum del codice vigente”, presentandosi come “nuova forma, non più di struttura bensì multifunzionale, che oltrepassa la fattispecie e polivalente”117. Piuttosto, riguardo ai contratti asimmetrici, ciò a cui realmente si

Assicurazioni, 2010, 581 ss., con nota di Riva; 23 marzo 2010, in www.ilcaso.it) che, ricostruendo la nullità relativa alla stregua di una specie di annullabilità “renforcée”, di fronte alla decisione del cliente di azionare la questione formale a distanza di molto tempo, ed in relazione ad alcune soltanto delle operazioni di investimento, finiscono per ammettere la convalida del contratto, anche facta concludentia, in accordo all’art. 1444 c.c. (al riguardo, v. supra, par. 7). 114  Cosicché, più che «dell’adempimento della forma scritta» per la formazione dell’atto, ci si accontenta della prova «del fatto che è stato tenuto quello specifico comportamento [di consegna di copia del contratto redatto per iscritto, e, quindi, di corretta informazione del cliente] previsto dalla norma, comportamento ben più importante dell’apposizione della firma autografa da parte del delegato dell’intermediario» (Trib. Milano, 21 febbraio 2012, cit.). 115  V. supra, in fondo al par. 6. 116  E, talvolta, delle stesse rubriche normative: v., ad es., quelle degli artt. 35 e 50 c. cons. 117  Così Pagliantini, Neoformalismo, cit., passim, da dove sono tratte tutte le citazioni; altrove, l’A. pure ha osservato che la tesi «regge soltanto se si incista il proprium della forma protettiva in un tratto informativo assorbente tutto il resto. Che significa, con tutta evidenza, declinare la forma di protezione sempre in termini differenziali rispetto a quella codicistica mutando semplicemente l’angolo visuale di osservazione del fenomeno» (Id., L’incerto procedere, cit., p. 305 s.).

591

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 591

06/11/17 17:41


Commenti

assiste è l’affermarsi di un “formalismo a ventaglio”118, dandosi ipotesi in cui – secondo un meccanismo che procede semmai per addizione, giammai per sottrazione119 – al rilievo strutturale della forma scritta ad substantiam actus viene a sommarsi la funzione protettiva della parte debole (“forma-contenuto”)120, ed altre in cui la “formalizzazione” del comportamento trasparente del professionista121, è e rimane obbligazione ben distinta dal “farsi” del contratto122, imponendo una documentalità che investe l’informazione come tale all’interno di una visione “procedimentalizzata”123 del vincolo negoziale in divenire124. Di guisa

Id., Neoformalismo, cit., p. 774. Cfr. Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1489; De Poli, Art. 117, cit., p. 1618; Pasa, Forma informativa, cit., p. 678 ss. 120  Ad es., artt. 23 t.u.f. e 37, co. 1, Reg. int.; artt. 117, 125-bis e 126-quinquies t.u.b., ove tale plus teleologico ed assiologico (che non implica affatto un minus strutturale, trattandosi bensì di uno strumento di protezione seriale della parte socio-economicamente più esposta al rischio del contratto, ma che pur sempre) si «materializza [in] una forma ad substantiam» funzionalizzata solamente con riguardo allo «specifico disciplinare […] che l’assiste quoad effectum», mercé «[l]a previsione di una nullità a legittimazione relativa» (Pagliantini, Neoformalismo, cit., p. 774). 121  La “forma dell’informazione”, coerentemente, è fenomeno che risale sino a momenti invero ben antecedenti le modalità espressive della dichiarazione di volontà contrattuale, per occuparsi sin del “modo di comunicare le informazioni, le dichiarazioni di scienza, le attestazioni e le asserzioni relative alle operazioni e ai dettagli economici implicate nella contrattazione” (Pasa, Forma informativa, cit., p. 678). E così, ad es., negli artt. 35 e 50 c.cons. il riferimento all’obbligo di redazione delle clausole contrattuali in modo “chiaro”, “semplice”, “comprensibile” non implica, all’evidenza, imposizione di un determinato mezzo formale per il perfezionamento dell’atto, ma solamente un certo grado di adeguatezza delle modalità comunicative rispetto all’esigenza pratica di assicurare l’effettività del consenso (cfr. Di Giovanni, La forma, cit., p. 770, testo e nt. 8; Pagliantini, Neoformalismo, cit., p. 781), tenendo anche conto, naturalmente, delle modalità da impiegarsi per la conclusione del contratto (ad es., art. 67-undecies c.cons.), in ogni caso in modo tale “da assicurare la consapevolezza del consumatore” (art. 3, co. 3, c.cons.). 122  Il quale potrà appunto essere scritto ovvero amorfo (ad es., art. 100-ter, co. 2-quater, t.u.f., su cui v. supra, nt. 98 e testo corrispondente). Osserva Pasa, Forma informativa, cit., p. 659, come occorra invero «distinguere le informazioni che incidono […] direttamente sul contenuto minimo del regolamento contrattuale, [da quelle da rendere] nella forma testuale, scritta o su supporto durevole, che solo in alcuni casi eccezionali ‘si trasmetterà’, strutturandolo, al contratto tout court». 123  Cfr., praecipue, Pasa, Forma informativa, cit., pp. 659 ss.; Pagliantini, Neoformalismo, cit., p. 775 s. 124  E, talvolta, anche in relazione a quello già in essere (ad es., art. 51, co. 7, c.cons.; art. 126-quinquies, co. 2, t.u.b.). In argomento, v., assai utilmente, la compiuta ricognizione di Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 77 ss., 104 ss. 118  119

592

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 592

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

che, avendo tale realità documentale ad oggetto “altro” dal contratto (“forma modulo” o “textform”)125, non si porrà qui, con lo stesso significato e rilevanza, la questione circa l’esistenza della res signata quale mezzo solenne, ad un tempo, di esteriorizzazione e documentazione dell’accordo126. La distinzione è nettissima, ad es., nella sequenza degli artt. 70 e 71 c.cons. (multiproprietà), 124 e 125-bis (credito ai consumatori), 126-quater e quinquies (servizi di pagamento) t.u.b., e certamente non lo è meno in quella degli artt. 27-36 e 37-38 Reg. int., in relazione agli artt. 21 e 2324 t.u.f. Il diritto comunitario, del resto, nel suo inarrestabile procedere verso la riconduzione di sempre più specifiche tipologie di transazioni asimmetriche entro i confini di procedure che si vogliono razionalmente controllabili, continua ad offrire vividi esempi della distinzione di piani su cui rispettivamente si pongono il corredo documentale del contratto, entro cui riversare il set di regole informative predisposto ad trasparentiam, ed il documento contrattuale definitivamente vincolante, ça va sans dire, secondo le regole di struttura sue proprie127. Ciò in quanto,

Pagliantini, Neoformalismo, cit., p. 776, ricordando il nomen iuris specifico che tale variegato insieme si vede attribuito nel § 126b BGB. 126  Ma, semmai, quella di una sufficiente adeguatezza dell’informazione richiesta ad protectionem (cfr. ivi, p. 781), mentre il tema circa la provenienza e, lato sensu, l’imputabilità a fini rimediali dell’informazione a colui che è tenuto a predisporla, ben potrà essere risolto mercé il medio della sottoscrizione del modulo, ovvero aliunde (diffusamente, La Rocca, Sottoscrizione, cit., passim, spec. p. 2 ss., 9 ss.). A darne emblematica testimonianza è anche la norma tedesca cit. alla nt. che precede («Ist durch Gesetz Textform vorgeschrieben, so muss eine lesbare Erklärung, in der die Person des Erklärenden genannt ist, auf einem dauerhaften Datenträger abgegeben werden. Ein dauerhafter Datenträger ist jedes Medium, das … [etc.]»), a cospetto del precedente § 126, ove invece si tratta della Schriftform («Ist durch Gesetz schriftliche Form vorgeschrieben, so muss die Urkunde von dem Aussteller eigenhändig durch Namensunterschrift oder mittels notariell beglaubigten Handzeichens unterzeichnet werden»). 127  Si pensi, tra disciplinari di più recente generazione, al cd. Kid rispetto al “documento contrattuale vincolante” nell’art. 6 Reg. UE n. 1286/2014 per quanto riguarda l’investimento in cd. PRIIPS (sul tema, Santoro, La tutela dell’investitore in strumenti finanziari in prodotti di investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (PRIIPS), in Mancini ed altri, a cura di, Regole e mercato, I, Torino, 2016, p. 525 ss.); oppure al cd. Pies rispetto alla “proposta di qualsiasi offerta vincolante” nell’art. 14 dir. 2014/17/UE (e adesso, rispettivamente, negli artt. 120-novies e noviesdecies t.u.b.) in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali (sul tema, Pagliantini, Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE, in Sirena, a cura di, I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 2014/17/UE, Milano, 2016, p. 27 ss.), distinzione da suggellare, poi, con la “firma del 125

593

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 593

06/11/17 17:41


Commenti

ad onta delle contrarie asserzioni dell’ord., è assunto consolidato quello secondo cui la “forma informativa” non modifica affatto le tradizionali funzioni della forma contrattuale riconosciuta dai codici nazionali, «sulle quali l’acquis comunitario si esprime proprio affinché rimangano regolate dalle regole nazionali», eccezion fatta per taluni contratti, ove «anche il diritto comunitario sembra richiedere un requisito formale più stringente»128, tra i quali, secondo l’interpretazione che qui s’è preferita, anche quelli relativi alla prestazione dei servizi d’investimento in accordo alle regole MiFID129. Quel che rimane certo, comunque, è che «non esist[e] alcuna nuova tassonomia europea della forma” che possa giustificare “una riscrittura della tassonomia legale [domestica]»130.

9. Alcuni “pezzi mancanti” nel variegato mosaico degli argomenti della giurisprudenza teorica e pratica. Chiarite così le ragioni per cui “forma informativa” non è “forma” del contratto, ed assunto, soprattutto, che quando la forma-vestimentum actus si trovi già predeterminata in relazione alla fattispecie, la chiara e costante valenza strutturale di questa non può essere intorbidita da discorsi incentrati sulla variabilità funzionale di quella131, occorre peraltro

contratto”, anche da parte del creditore (v. La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 31 s., in relazione ai considerando 45 e 58 della direttiva). 128  Così Pasa, Forma informativa, cit., p. 678, testo e nt. 174, ove si osserva come la forma sembri svolgere una funzione “costitutiva” nell’art. 4, par. 2, lett. a) e b), dir. 90/314/ CEE sui pacchetti di viaggio tutto compreso; nell’art. 4 dir. 94/47/CE sulla multiproprietà, ora sostituito dall’art. 5, par. 1, dir. 2008/122/CE; nonché negli artt. 4, par. 1, dir. 87/102/ CEE e 10 della nuova dir. 2008/48/CE per i contratti di credito ai consumatori. 129  V. il par. precedente. 130  Pagliantini, Neoformalismo, cit., p. 777, 781. 131  Condivisibile quanto osserva Tucci, Conclusione del contratto, cit., p. 1121, rilevando come, «per tal via, si perv[errebbe] ad uno svuotamento della portata precettiva e del contenuto dell’obbligo di conclusione di un contratto quadro, [che verrebbe] sostanzialmente assimilato a quello della consegna di un documento informativo». Al punto che ci si potrebbe persino domandare perché l’orientamento che fa leva sulla possibilità di ritenere il contratto perfezionato tramite equipollenti della forma scritta non giunga, in un estremo, ma coerente sviluppo del ragionamento di fondo, ad ammettere la loro idoneità a manifestare la volontà contrattuale sempre, e non soltanto quando il contratto risulti già sottoscritto da almeno una parte e lo scritto equipollente provenga dall’oblato (cfr., per questo ed altri rilievi ancora, R. Catalano, Negozi solenni, cit., p. 26).

594

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 594

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

puntualizzare come tutto ciò non equivalga a disconoscere la pregnanza propria (di alcuni) degli argomenti dei “funzionalisti”, ma solamente a prendere atto dei limiti alla realizzabilità dell’opzione per via interpretativa; limiti che, ad avviso di chi scrive, rimangono insuperabili a sistema giuridico invariato, lo sforzo degli interpreti potendosi semmai apprezzare in una prospettiva de lege ferenda132. Posto, infatti, che non è certo nuova la generale constatazione circa gli effetti controproducenti che possono in concreto conseguire al formalismo di protezione e ai rimedi che l’accompagnano133, il constatare: i) che, sul piano funzionale, i ridotti benefici marginali di tipo informativo realmente ricollegabili alla forma scritta non valgono a compensare i relativi costi transattivi134; ii) che assicurare al cliente una sì tanto agevole via per traslare le perdite da investimenti sfortunati sull’intermediario135, non può che tradursi in maggiori commissioni, a detrimento della generalità degli utenti136; e, ancor più radicalmente, iii) che l’art. 23 t.u.f., in uno con le regole Consob, assai male avrebbe fatto ad elevare un obbligo di comportamento trasparente del prestatore a requisito di validità dell’atto, applicando la regola codicistica della forma ad substantiam

132  Così, infatti, Perrone, Il diritto del mercato, cit., p. 205 s.; Id., Regole di comportamento, cit., p. 540 ss., spec. p. 542 s., proponendo la sostituzione della sanzione invalidante con un rimedio di tipo obbligatorio, in uno con un riequilibrio dell’asimmetria tra le parti in punto di “costi di produzione della prova”, mediante previsione, in mancanza di un regolare contratto-quadro anteriore all’operazione contestata, di una presunzione iuris tantum in tal senso a favore dell’investitore. Va peraltro osservato come, in relazione ad un possibile proficuo dialogo tra formanti, la decisione delle S. U., con ogni probabiltà, giungerà tardi, atteso che la scelta a favore della forma scritta presidiata da nullità relativa pare destinata a trovare conferma nella versione che dell’art. 23 t.u.f. dovrebbe a breve venir fuori dal prossimo recepimento della MiFID 2 (v. art. 2, co. 19, lett. a), della bozza di d.lgs. del 28 aprile 2017). 133  Cfr., ad es., Breccia, La forma, cit., p. 541 s.; Pagliantini, Neoformalismo, cit., p. 795 s. 134  Sartori, Le regole, cit., p. 235 ss.; Perrone, Regole di comportamento, cit., p. 541 s., testo e nt. 10; Bertolini, Risparmio tradito, cit., p. 359 s.; e v., adesso, la stessa ord., par. 7. 135  Ricavandone, per quanto modesto, addirittura un rendimento, rappresentato dagli interessi legali sulle somme oggetto della conseguente tutela restitutoria, decorrenti dalla data dell’investimento, giusta la mala fede ex latere accipientis (cfr., per richiami di giurisprudenza in tal senso, Pontiroli e Duvia, Il formalismo, cit., p. 171, testo e nt. 81), ovvero, in mancanza della prova di essa, dalla data della domanda (così Trib. Torino, 5 gennaio 2010, cit.; Trib. Milano, 29 aprile 2015, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, 282, con nota di Berti de Marinis, Nullità relativa, protezione del cliente ed interessi meritevoli di tutela). 136  Perrone, Regole di comportamento, cit., p. 541.

595

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 595

06/11/17 17:41


Commenti

per rispondere ad esigenze del tutto diverse da quelle tradizionalmente ricollegabili all’espressione del consenso per iscritto137; il constatare tutto questo, si diceva, non può certo valere ad elidere il chiaro comando del legislatore138. Ma, soprattutto, se di questi argomenti si vuole discutere con piena cognizione di causa, occorrere tracciare un quadro completo degli interessi in gioco, e perciò domandarsi – dando così sèguito ad alcuni rilievi della dottrina139 e della stessa giurisprudenza140 – se e quale significato possa ancora rivestire la sottoscrizione dell’intermediario in relazione alla forma solenne imposta per i contratti bancari e finanziari. Invero, su questo punto, non è difficile scorgere una frequente contraddizione – o meglio, un “salto” – nelle parti motive delle sentenze, le quali, pur dichiarando di non disconoscere le ragioni d’interesse generale che la disciplina di settore è diretta a soddisfare, finiscono per risolvere il problema secondo valutazioni confinate in una dimensione puramente individuale, concernente la tutela del singolo cliente quale parte debole nel contesto della singola transazione141. In questo modo,

Perrone, Il diritto del mercato, cit., p. 205 s., ove anche la notazione secondo cui, giustificabile nella materia bancaria, ove il contratto regola, nella sostanza, il costo del credito per il cliente, una simile strategia normativa perderebbe di senso una volta trasposta sul terreno dell’intermediazione finanziaria, ove a rilevare è per lo più la comprensione dei rischi e delle prospettive di rendimento degli investimenti da realizzare per tramite dell’intermediario. 138  Conformi Tucci, Conclusione del contratto, cit., p. 1124; e Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1487 s. 139  V., ad es., Pagliantini, L’incerto procedere, cit., p. 306, il quale osserva che nell’un e nell’altro caso «il rischio della petizione di princìpio è percepibile come nitidamente in agguato», perché, se «il difetto di un’impostazione funzionalistica è di trasformare un documento contrattuale unilateralmente sottoscritto in uno perfetto per ottenere l’effetto obliquo di impedire un uso distorto della forma», «il limite della prima lettura» sarebbe, invece, «quello di porre troppa enfasi sulla valenza di tutela che dovrebbe veicolare una sottoscrizione congiunta». 140  Come quelli di Trib. Milano, 21 febbraio 2012, cit., secondo cui «il senso comune [...] pretenderebbe [...] che la forma esprima necessariamente una sostanza», la quale sarebbe difficile da scorgere per i contratti relativi alla prestazione dei servizi d’investimento, ove il precetto relativo alla forma «non risponderebbe ad alcuna delle esigenze né tradizionali né di più recente insorgenza». In termini non dissimili si esprime adesso l’ord. (par. 7), negando che la “forma informativa”, accanto alla finalità protettiva sua propria, possa replicare quella funzione di assicurare “i ‘beni’ della chiarezza nei contenuti, nella ponderazione per l’impegno assunto e della serietà dell’accordo” propria della forma solenne riconducibile agli scambi tipici dell’economia fondiaria. 141  Tra le tante, basti leggere, per averne conferma, App. Napoli, 28 dicembre 2016, 137

596

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 596

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

perdendo di vista il quadro d’insieme, ci si ritiene legittimati ad operare una “fuga” dal dato legislativo (che, francamente, non sembra giustificabile) in virtù della (mera ed apoditticamente formulata) negazione della validità delle costruzioni tradizionali, di derivazione codicistica, allorquando applicate ai contratti del mercato finanziario142. A tal riguardo, sembra invece più corretto in apicibus osservare, da un lato, come sia la stessa alterazione in senso relativo del rimedio invalidatorio a modellarne la concreta operatività sul fine di protezione dell’interesse sostanziale di una delle parti143, senza che perciò la funzione informativa perseguita tramite la prescrizione di requisiti di forma-contenuto possa implicare, giustificandolo ex se, un automatico passaggio da una forma di efficacia a una forma di protezione che obliteri l’esigenza di completezza strutturale del negozio144; e, dall’altro lato, che le costruzioni pretorie, oltre ad offrire soluzioni che non paiono atte a garantire quel minimo, necessario grado di certezza giuridica, omettono ogni verifica circa l’attuale possibile significanza, anche nel contesto del mercato finanziario, della finalità di favorire la ponderazione dei contraenti tradizionalmente riconducibile allo scritto145.

cit.; e App. Venezia, 3 novembre 2016, n. 2477, cit. Stessa sensazione esprime Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1486 e 1488, discorrendo di una tendenza alla «riduzione dell’articolazione (o complessità) delle funzioni della forma vincolata», che viene risolta, più che nella prevalenza, «nell’esclusività del fine di protezione d’una delle parti del rapporto negoziale [...] nonostante il (trascurato) più ampio catalogo positivamente esplicitato degli interessi in vista della cui tutela sono poste le discipline speciali». 142  Cfr. ancora Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1486 s.; ma, tra i primi ad evidenziare il fenomeno, fondato sulla pretesa autonomia e completezza della disciplina di settore, v. quanto già ebbe occasione di rilevare, più in generale, Santoro, Gli obblighi di comportamento degli intermediari mobiliari, in Riv. soc., 1994, p. 791 ss. 143  Ciò che, peraltro, non equivale ad un automatico e categorico impedimento alla rilevabilità officiosa della nullità, una volta che anche questo aspetto operi in modo tale da non contraddire le finalità – mediate e immediate – della norma (v. supra, nt. 90; nonché i richiami giurisprudenziali ed i rilievi di Tucci, Conclusione del contratto, cit., p. 1118, 1124, nt. 4 e 30). 144  Così, nuovamente, Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1488 ss.; per la notazione circa la tendenza delle norme settoriali a prescrivere l’inserimento in contratto di elementi che, secondo la sistematica del codice, non sarebbero per contro essenziali a fini di validità, cfr., in generale, Roppo, Il contratto, cit., p. 213 s. 145  Cfr. R. Catalano, Negozi solenni, cit., p. 25 s.

597

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 597

06/11/17 17:41


Commenti

10. Segue. Regole dell’attività e disciplina del contratto nel diritto del mercato finanziario. Quello da ultimo segnalato appare l’aspetto più rilevante, in quanto in grado di ricongiungere, come sopra si accennava, il discorso sulla forma dell’atto a quello degli interessi rilevanti sul piano dell’attività146. A tal riguardo, basti qui rammentare, innanzitutto, l’indubbia – ed anzi cruciale – rilevanza delle regole sui contratti delle imprese operanti nei mercati finanziari per l’assicurazione degli obiettivi finali delle discipline insistenti sui medesimi; obiettivi esplicitati dal legislatore secondo catalogazioni non certo casuali, bensì esprimenti una necessaria articolazione di tipo gerarchico-strumentale che può giustificarsi alla luce delle medesime ragioni che fondano una vigilanza pubblica di settore147. Al punto che, in quanto espressione di una necessaria sintesi tra interessi generali ed individuali, la quale esige che le regole del contratto divengano regole operative di uno statuto d’impresa che assume peculiarissimo valore in una dimensione di sistema148, tale collegamento tra “atto” e

Cfr., ex plurimis, Bessone, Strumenti finanziari, servizi di investimento, contratti con il risparmiatore. L’ordinamento delle attività e le regole della pubblica vigilanza, in Amministrazione in cammino, 2002, in www.amministrazioneincammino.luiss.it; Id., Servizi di investimento e disciplina del contratto. Il principio di separazione patrimoniale, “sana e prudente” gestione di portafoglio, conflitto di interessi, in Giur. merito, 2002, IV, p. 1411 ss.; Carriero, Statuto dell’impresa di investimento e disciplina del contratto nella riforma del mercato finanziario, Milano, 1997; da ultimo, funditus, Sartori, Disciplina dell’impresa e statuto contrattuale: il criterio della “sana e prudente gestione”, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, I, p. 131 ss. 147  V. Brescia Morra, Le forme della vigilanza, in L’ordinamento finanziario italiano, a cura di Capriglione, I, Padova, 2010, p. 347 s.; Carriero, Statuto, cit., p. 125 ss., che, mutatis mutandis, riprende adesso queste considerazioni in Id., Vigilanza bancaria e tutela del consumatore: obiettivi e strumenti, in Dir. banc., 2013, I, p. 577 ss.; ed in Art. 3, in Candian e Carriero, a cura di, Codice delle assicurazioni private, Napoli, 2014, p. 15 ss. 148  V. Sartori, Disciplina, cit., p. 134 ss., 149 s., il quale osserva come, nelle discipline di settore, il binomio “impresa-contratto” sia tanto intenso da far sì che «[l]’esercizio dell’autodeterminazione negoziale e il contratto-atto diveng[a]no tasselli di un puzzle [in cui le] regole del contratto diventano regole del mercato che presiedono interessi generali, non solo delle parti»; così «[l]’impresa dona l’anima al contratto e ne determina la disciplina», mentre, a sua volta, «[l]a regolazione del contratto diviene strumento di regolazione del mercato». Intorno a questi temi, e, dunque, sul nesso tra finalità di tutela della “parte debole” (consumatore-risparmiatore-investitore) e finalità conformativa dell’attività d’impresa, cfr., più in generale, già Jannarelli, La disciplina, cit., p. 521 ss.; e Vettori, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, p. 41 ss., ove, tuttavia, l’accento è soprattutto posto sul profilo della concorrenza; nello stesso senso, da 146

598

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 598

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

“attività”, ancor quando non immediatamente esplicitato149, non per ciò diviene meno certo. Non è dubbio, infatti, che i criteri generali che debbono presiedere allo svolgimento dei servizi di investimento da parte dei soggetti abilitati siano pur sempre espressione di quella “basic rule”150 che, al proprio vertice, pone l’obiettivo di «salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario» (art. 5, co. 1, lett. a), t.u.f.)151, in ragione del quale allora si spiega, con pari collocazione di vertice, la finalizzazione prima dell’attività del prestatore del servizio, vale a dire quell’obbligo di comportarsi «per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati» (art. 21, co. 1, lett. a), t.u.f.), che è la cifra propria specifica del diritto privato del mercato finanziario152. Alla luce di ciò, assai convincenti risultano gli argomenti di chi rileva come, se la sottoscrizione del contratto, nei negozi solenni a potere simmetrico del codice civile, è atto con cui ciascuna parte, non solo attribuisce a sé stessa la paternità del documento153, ma altresì segnala il

ultimo, Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1489 ss. Naturalmente, per le imprese operanti nei mercati finanziari, il nesso “impresa-contratto”, nelle varie significanti sfumature che si sono accennate, assume una sua specifica rilevanza, per dir così, di carattere anche “empirico”; ciò in quanto il loro “output”, i “prodotti” da esse collocati sul mercato non sono beni fisici, ma, appunto, contratti (v. La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 34; Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 7; nonché, in più ampia prospettiva, Di Gaspare, Teoria e critica della globalizzazione finanziaria. Dinamiche del potere finanziario e crisi sistemiche, Padova, 2011, p. 163 s., sottolineando la funzione simbolica del dare “sostanza e corpo ad un’inesistente materialità” assolta dalle ossimoriche espressioni “prodotto finanziario” et similia). 149  V. il richiamo che, nel t.u.b., l’art. 127, co. 01, fa all’art. 5. 150  Così la definisce, cogliendo il pieno significato del nesso in discorso, Bessone, Strumenti finanziari, cit., s.p. (ma p. 11); Id., Servizi di investimento, cit., p. 1416 s. 151  Neanche a dirlo, fondamentale obiettivo di public policy poiché la fiducia è “bene fondamentale per il regolare funzionamento dei mercati finanziari e, soprattutto, per il loro sviluppo” (Brescia Morra, Le forme, cit., p. 348). 152  Il quale, intanto può tollerare riserve d’attività a favore di taluni operatori, in quanto il relativo agere imprenditoriale permanga caratterizzato – e concretamente rispettoso – di vincoli funzionali agli interessi globalmente perseguiti: cfr. Sartori, Disciplina, cit., p. 134; La Rocca, Il contratto, cit., p. 112 ss.; Id., Sezione prima vs. sezioni unite: differenti visioni del diritto del mercato finanziario in Cassazione?, in Foro it., 2009, I, col. 1851 ss.; R. Lener e Lucantoni, Art. 23, cit., p. 402 ss.; Bessone, Strumenti finanziari, cit., s.p. (ma p. 11 s.); Maffeis, La natura e la struttura dei contratti di investimento, in Riv. dir. priv., 2009, p. 63 ss. 153  Tema da cui “[t]utta la teoria del documento è dominata” (Carnelutti, Studi, cit., p. 509; e v. anche Patti, Documento, cit., p. 4 ss.)

599

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 599

06/11/17 17:41


Commenti

completamento di quel “lavorìo preparatorio” durante il quale i propri interessi vengono valutati a cospetto del divisando assetto contrattuale, apprezzandone la convenienza rispetto ai propri bisogni ed aspettative, assumendo definitivamente vincoli e responsabilità relativi al contratto espresso nel documento stesso154, nei contratti del mercato finanziario tale attività preparatoria non possa che assumere una rilevanza notevolmente più pregnante155. In quest’ambito, infatti, per quanto poco più sopra s’è osservato, il procedimento formativo-ponderativo del contenuto del negozio non può che risultare condizionato dalla specialità propria della disciplina di settore, la quale, avulsa dalla logica squisitamente sinallagmatica della parità delle parti e della conseguente insindacabilità della discrezionalità delle stesse nell’apprezzamento dei propri interessi, fa sì che le obbligazioni nascenti dalle clausole di correttezza e buona fede di matrice civilistica, le quali comunemente si accontentano di una salvaguardia dell’interesse della controparte non oltre il limite segnato dal sacrificio dell’interesse proprio156, vengano informate al princìpio, diametralmente opposto, che vuole l’intermediario tenuto non già ad un generico dovere di protezione, bensì a svolgere le valutazioni necessarie onde siano garantiti gli obiettivi generali indicati dal legislatore157. Sicché la sottoscrizione del contratto ad opera del rappresentante dell’intermediario avrebbe il senso, tutt’altro che banale, di segnalare il positivo completamento delle rilevanti procedure preliminari, assumendo significanza pure ai fini delle conseguenti responsabilità158. L’aspetto è massimamente evidente per i contratti bancari, e ben lo si intende non appena si consideri che qui la posizione del cliente, prenditore di fondi altrui, è la fonte stessa di quel rischio il cui governo, in tutte le dimensioni e fasi che lo caratterizzano, spiega, nell’interesse della banca e del sistema, quella “sana e prudente gestione” che deve appunto

In questi termini La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 27 (richiamandosi a Carrara, La formazione dei contratti, Milano, 1915, p. 1 ss.); Gaggero, Neoformalismo, cit., p. 1481. 155  La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 29 ss. 156  Cass., 11 febbraio 2005, n. 2855, in www.dejure.it. 157  V., oltre ai rilievi che a suo tempo già aveva sviluppato Carriero, Statuto, cit., p. 44 ss., la dottrina cit. in nt. 152, anche sulla scorta degli argomenti di Cass., 25 giugno 2008, n. 17340 e 17341, in Foro it., 2009, I, 1851, con nota di La Rocca, Sezione prima, cit.; tende a svalutare questo profilo, invece, Maggiolo, Servizi ed attività, cit., p. 347 ss., spec. p. 352 ss. 158  Se del caso, anche nei confronti delle autorità di vigilanza: v. La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 32 s.; Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 293 ss. 154

600

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 600

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

conformare non solo gli assetti organizzativi, ma anche l’attività del prestatore159. Non si deve credere, tuttavia, che meno importanti risultino le valutazioni preparatorie dell’intermediario di mercato mobiliare da suggellare, poi, nel contratto da formalizzare col cliente-investitore al fine di regolare lo svolgimento del rapporto tra le parti nel tempo. È bensì vero che qui il cliente, più che fonte immediata, è il soggetto esposto al rischio dei mercati cui vuole accedere mercé l’opera della controparte professionale, ma, altrettanto certo è che, nella percezione del legislatore, la verifica delle caratteristiche ed esigenze dell’investitore, ai fini della miglior cura dell’interesse di questi, così come la valutazione circa la coerenza tra i servizi richiesti e gli assetti organizzativi e il modello operativo dell’impresa prestatrice del servizio160, vengono pur sempre finalisticamente ricondotte ad esigenze di svolgimento “sano e prudente”, oltre che “efficiente”, dell’attività globalmente intesa (art. 21, co. 1, lett d), e co. 1-bis, lett. c), t.u.f)161. È di piena evidenza come tali risultati non potrebbero conseguirsi tramite prestazioni che prescindessero da un’effettiva misurazione dell’at-

Ci si vuole naturalmente riferire a tutti quei precetti giuridici che, direttamente o indirettamente e con tecniche molteplici, tutelano quella cruciale fase ponderativa, linguisticamente sintetizzabile, secondo il gergo della tecnica bancaria, nella cd. istruttoria di fido, diretta alla valutazione del merito creditizio del potenziale debitore. Senza che occorra qui attardarsi in elencazioni o dimostrazioni che, oltre che necessariamente parziali, risulterebbero pure superflue, si rinvia, ex plurimis, ai recenti contributi di Scoditti, Patologie, cit., p. 627 ss.; De Poli, I contratti bancari nel diritto comunitario e internazionale, in Capobianco, a cura di, I contratti bancari, cit., p. 53 ss., spec. p. 69 ss.; Sirena e Farace, I contratti bancari del consumatore, ivi, p. 226 ss., spec. p. 229 ss.; Sirena, Autonomia privata e vigilanza bancaria nel diritto europeo dei contratti di finanziamento, in Id., a cura di, I mutui ipotecari, cit., p. 3 ss.; Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 133 ss. In relazione al tema che qui interessa, v. poi La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 28 ss. 160  V., almeno, considerando 71 e artt. 19, 22 e 25 MiFID 1; considerando 54 e artt. 9, 16, 24, 25 e 28 MiFID 2. 161  Né ciò può sorprendere laddove si tenga sempre ben a mente l’intimo collegamento tra credito, risparmio e investimenti, che, anche in questo caso, si riannoda alla stessa ragion d’essere economica degli intermediari di mercato mobiliare, giustificando la rafforzata funzione protettiva dell’interesse degli investitori al fine dell’efficiente allocazione delle risorse nella realizzazione del collegamento tra i bisogni di soggetti con opposto fabbisogno finanziario. Su questi temi, per tutti, Onado, Credito, in Enc. sc. soc., II, Roma, 1992, p. 575 ss., spec. p. 580 ss.; mentre, con riguardo al modo in cui il criterio della “sana e prudente gestione”, mostrando nel tempo notevolissima vis expansiva, è divenuto non solo fine generale della vigilanza, ma criterio cardine di tutto il sistema del diritto dell’economia, v. le efficaci ricostruzioni di Porzio, La sana e prudente gestione, in Dir. banc., 2008, I, p. 385 ss.; e Sartori, Disciplina, cit., passim. 159

601

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 601

06/11/17 17:41


Commenti

tività di cura degli interessi dei clienti onde sia prevenuto il rischio che fallimenti in punto di osservanza delle regole contrattuali si traducano in altrettanti fallimenti del sistema finanziario (art. 5, co. 1, t.u.f.). In questa prospettiva, diviene massimamente chiaro, allora, come l’opera di formalizzazione dei diritti ed obblighi essenziali delle parti all’interno dell’“accordo di base scritto”, e, a questo fine, la specificazione dei servizi forniti, del contenuto delle prestazioni dovute, della tipologia di strumenti finanziari interessati, etc. (art. 37, co. 1, Reg. int.), non possano ridursi ad essere il risultato di una mera gestione burocratica del “complesso carteggio” contenente lo scambio di flussi informativi tra intermediario e cliente162, dovendo viceversa rappresentare l’approdo finale di ponderazioni che la parte professionale è chiamata a svolgere nel rispetto sostanziale – da intendere quale risultato di una intelligente, imparziale e corretta rappresentazione del significato – di regole per l’appunto esprimenti il punto di congiunzione tra fini generali e tutela immediata dell’interesse del singolo cliente-investitore163.

11. Segue. Limiti dell’approccio teleologico alla funzione protettiva della forma scritta contrattuale. Giunti a questo stadio, sembra possibile osservare come il punto debole della “tesi funzionalistica” sia da identificarsi in un evidente paradosso cui essa rischia di dar seguito. Ad onta del suo preteso valore aggiunto, che per l’appunto deriverebbe dal sottostante approccio di tipo sostanzial-teleologico, essa, a ben vedere, finisce per accontentarsi di una tecnica di tutela del cliente di tipo superficialmente formale, che passa, cioè, per il semplice medio della sottoscrizione, da parte sua, del modulo contrattuale di fatto predisposto dalla banca, senza in alcun modo preoccuparsi di verificare se il contenuto informativo del

162  L’espressione è di R. Lener, La gestione dei conflitti di interesse delle imprese di investimento tra il Tuf e la Mifid, in Anolli ed altri, a cura di, Banche, servizi di investimento e conflitti di interesse, Bologna, 2007, p. 50. 163  Tant’è che, come noto, si discorre anche qui, efficacemente, di una “know your customer rule” e di una “know your merchandise rule”, sul significato delle quali, nella cornice delle clausole generali di tutela dell’integrità dei mercati e di miglior servizio dell’interesse degli investitori, cfr., diffusamente, Maffeis, Forme informative, cura dell’interesse ed organizzazione dell’attività nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv. dir. priv., 2005, p. 575 ss.; Id., La natura e la struttura, cit., passim.

602

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 602

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

documento possa dirsi aver effettivamente soddisfatto gli obiettivi che il legislatore si prefiggeva. Obiettivi, come visto, che non si accontentano della semplice predisposizione di un “durable medium” in quanto tale, bensì richiedono che l’informazione finalmente trasmessa al cliente da parte dell’intermediario risponda a corrette valutazioni di questi circa gli interessi, le caratteristiche e le esigenze di quello164.

164  Si è puntualmente osservato come, per sé considerata, la reale funzione informativoprotettiva ricollegabile ai requisiti di forma-contenuto di cui al comb. disp. artt. 23 t.u.f. e 37, co. 1, lett. a), Reg. int., sarebbe invero ben poca cosa laddove, a cospetto della complessità dei “prodotti” alla cui acquisizione finalisticamente mira l’esecuzione del rapporto da normarsi nel contratto-quadro, il documento si limitasse ad una generica illustrazione al cliente al dettaglio delle caratteristiche di tutti i servizi d’investimento in ipotesi erogabili dalla controparte, magari a seguito di un’astratta “profilatura” realizzata mediante un algoritmo correlato alla apposizione di “crocette” su di un questionario (La Rocca, Sottoscrizione, cit., p. 18 ss., 24; cui adde Cusumano, Nullità del contratto quadro privo della sottoscrizione della banca: rimessa la questione alle Sezioni Unite, in www. dirittobancario.it, p. 5). La corretta rappresentazione delle caratteristiche, del profilo di rischio e delle propensioni del cliente richiederebbe, invero, ben altro, così che, ai fini di un’effettiva tutela di questi, il contratto possa in concreto indicare e descrivere i soli servizi concordati e gli strumenti finanziari selezionati, così come pure specificare, per ciò che concerne il contenuto essenziale delle prestazioni dovute, l’impegno dell’intermediario di agire, in sede esecutiva, in modo tale da verificare la conformità delle singole operazioni di investimento a quelle valutazioni calibrate sulla specificità del cliente, in accordo alla regola di condotta di volta in volta applicabile. Potrebbe dirsi, in certo senso, che il precetto di cui all’art. 23 t.u.f. mira a fare del contratto il luogo di cristallizzazione sintetico-documentale di un contenuto negoziale da apprezzare quale risultato di quegli obblighi di correttezza e trasparenza che l’intermediario è tenuto ad osservare sin dalla fase precontrattuale, e che, come visto, si spingono sino ad imporre allo stesso la verifica circa la piena rispondenza delle realizzande operazioni d’investimento all’interesse di controparte (cfr., per la ricostruzione di questa sequenza, che nel “contratto informato” trova il fondamentale punto di snodo tra gli obblighi informativi precontrattuali e le regole poi deputate a governare l’attuazione del rapporto, Sartori, Le regole, cit., p. 179 ss.; ma v. pure, con riguardo al bancario, Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 97 ss.). Si riesce così a dare concreto significato ad alcune intuizioni con cui parte della dottrina (Fauceglia, La forma, cit., p. 423), già da tempo, aveva colto il collegamento, di primo acchito alquanto “eterodosso” (v., ad es., i rilievi di Mirone, Art. 117, in Costa, a cura di, Commento al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, II, Torino, 2013, p. 1309 s.), tra le regole di forma dell’atto e gli obblighi di condotta nello svolgimento dell’attività in settori tanto delicati (e v., adesso, per la definitiva acquisizione dell’assunto, tra gli altri, Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare6, Torino, 2012, p. 149 s.; Scoditti, Patologie, cit., p. 644). Sicché parrebbe potersi concludere che, ad onta delle asserzioni circa la loro irrilevanza in relazione alle dinamiche del mercato finanziario (v. supra, nt. 140), la ponderatezza del consenso delle parti circa il contenuto del negozio, al pari della necessità di una corretta rappresentazione di ciò che ciascuna di esse può e deve legittimamente attendersi in termini di diritti e responsabilità nascenti

603

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 603

06/11/17 17:41


Commenti

L’elisione di questo aspetto è questo un risultato implicito, ma cruciale in alcuni passaggi dell’ord. che, seppure forse meno appariscenti di altri, solo in base ad un’analisi poco attenta potrebbero considerarsi marginali. Difatti, quella secondo cui la «sottoscrizione da parte del delegato dell’istituto di credito», non solo «non persegu[irebbe] i fini sottesi alla disposizione», ma, anzi, si porrebbe «in senso contrario al dinamismo nella conclusione dei contratti finanziari», dal momento che la banca, predisponendo il documento relativo al contratto già avrebbe svolto un’«adeguata ponderazione» e verifica circa «la rispondenza dell’accordo ai propri interessi»165, è affermazione – non v’è chi non veda – che, oltre a porsi in evidente frizione con i princìpi informatori della disciplina di settore, rischia di legittimare prassi negoziali distorte e disfunzionali (purtroppo non ignote alla realtà), a loro volta capaci di alimentare processi di degenerazione di fisiologici aspetti dell’impersonale contrattazione d’impresa in patologici fenomeni di imponderata distribuzione di massa. Ed è a cospetto delle considerazioni sopra svolte che, ad avviso di chi scrive, la comparazione con i rispettabilissimi argomenti dei “funzionalisti” dovrebbe esser condotta166, non trattandosi, come pure ha cercato di argomentare ad abundantiam certa parte della giurisprudenza, solamente di una questione attinente a valori di “solidarietà sociale”167, bensì di dar sostanza a princìpi di vertice, d’ordine pubblico economico, i quali affondano le proprie radici in disposizioni cardine della Costi-

dal contratto, continuino a giustificare la severità della sanzione cui, dolorosamente, soggiace l’imprudente mancata formalizzazione degli accordi. 165  Ord., par. 9; enfasi aggiunta. 166  V. supra, par. 9. 167  Cfr. i rilievi di Malvagna, Le Sezioni Unite, cit., p. 1; ma, per alcuni assai convincenti rilievi circa l’esigenza di non abbandonare lo sforzo interpretativo a meri richiami a valori indeterminati, cfr. Denozza, Norme, principi e clausole generali nel diritto commerciale: un’analisi funzionale, in Riv. crit. dir. priv., 2011, p. 379 ss., ove si sottolinea il rischio che l’introduzione nel discorso giuridico di concetti «spesso, in realtà, molto mal definiti», che esibiscono «una debolezza teorica profonda» (e come tali destinati «ad avere un’incidenza pratica molto limitata»), produca esiti fortemente indesiderabili, atteso che, «in assenza di quei valori organicamente condivisi che sono propri di società più tradizionali», è ben probabile che «il vuoto venga tendenzialmente riempito dalle compatte concezioni tecnocratiche piuttosto che dalle sfrangiate concezioni moralistiche», potendo condurre, in definitiva, la giurisprudenza teorica e pratica a «condividere lo stesso difetto fondamentale che affligge l’analisi economica del diritto», ossia la scarsa «trasparenza delle valutazioni e degli interessi coinvolti nelle valutazioni».

604

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 604

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

tuzione (art. 47)168, che vuole il risparmio tutelato e i mercati vigilati ai fini di un’efficienza allocativo-distributiva che non può per certo risolutivamente identificarsi nell’intolleranza dell’industria verso i costi di precetti riposanti su di una ratio, condivisibile o no, ma che senz’altro non merita di essere considerata – né tantomeno è lecito che lo sia in sede applicativa – fonte di un formalismo “vacuo e inutile”169.

12. Il vero punctum dolens: uso e abuso (?) della nullità di protezione. Osservato quanto sopra, e tornando, così come impone la grande messe di cause instaurate davanti ai nostri tribunali, sul piano delle attuali concretezze, va conclusivamente rilevato come ciò che, anche a sistema invariato, può essere invece senz’altro contrastato, è l’eventuale

Che la norma cit. sia il referente costituzionale capace di giustificare il maggior rigore degli obblighi di protezione gravanti sugli intermediari finanziari nella loro veste di “custodi” dell’integrità dei mercati, è affermazione che si ritrova, tra gli altri, in La Rocca, Il contratto, cit., p. 116; e Calvo, Il risparmiatore informato tra poteri forti e tutele deboli, in Ambrosini e Demarchi, a cura di, Banche, consumatori e tutela del risparmio, Milano, 2009, p. 65; in giurisprudenza, cfr. Trib. Marsala, 12 luglio 2005, in www.ilcaso.it. 169  E si può qui forse aggiungere l’ulteriore constatazione di come vi siano altri ambiti in cui la giurisprudenza appare fermissima nel rifiutare deroghe alla forma scritta quale solenne vestimentum del consenso delle parti, rigettando ogni possibile apertura di stampo “funzionalistico”. Ci si vuole riferire all’obbligo di forma scritta dei contratti conclusi iure privatorum dalla P.A. (artt. 16 e 17 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, nel cui sistema, peraltro, la conclusione tramite scambio di distinti documenti è tecnica solo eccezionalmente ammessa), in relazione ai quali la S.C. è costante nel non ammettere equipollenti della sottoscrizione del funzionario rappresentante, né convalidanti comportamenti esecutivi, lasciando intendere come dette modalità di perfezionamento dell’atto non permetterebbero di dire assicurati i principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità (art. 97 Cost.), ostacolando i controlli circa il regolare svolgimento delle ponderazioni amministrative da svolgersi a monte (v. Cass., 6 giugno 2002, n. 8192; 30 maggio 2002, n. 7913, entrambe in Nuova giur. civ. comm., 2003, p. 185, con nota di Passalalpi, Forma e formazione dei contratti della p.a.; 18 aprile 2006, n. 8950, in Foro amm. C.d.S., 2006, p. 2442; al riguardo, osservano Sacco e De Nova, Il contratto4, cit., p. 310, come il favor verso la soluzione estesamente formalistica valga a meglio tutelare la P.A. «dall’improvvisazione dei suoi organi»). Non si tratta, certo, di equare, sic et simpliciter, quella che è un’attività per definizione direttamente funzionalizzata alla cura di interessi pubblici e quella, d’impresa privata, propria degli intermediari finanziari, ma solamente di tenere ben a mente quella «connessione tra comportamento degli intermediari e integrità dei mercati» che vale a «chiari[re] la valenza anche pubblicistica della disciplina» (Perrone, Il diritto del mercato, cit., p. 201). 168

605

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 605

06/11/17 17:41


Commenti

utilizzo abusivo del congegno protettivo da parte del cliente che intenda rifarsi degli investimenti non remunerativi, deducendo in relazione ad essi soltanto la nullità per vizio di forma del contratto-quadro, e pretendendo, per contro, di lasciare impregiudicate le operazioni andate a buon fine170. V’è infatti da constatare come il vero “movente” del descritto processo di riconsiderazione ermeneutica della funzione della forma dei contratti del mercato finanziario risiederebbe, a sua volta, in ragioni di “giustizia sostanziale”171, di cui non potrebbe non tenersi conto al fine ultimo di prevenire, o in qualche modo reprimere, possibili abusi della nullità di protezione da parte di clienti insoddisfatti, ancorché adeguatamente informati172. La dottrina ha al riguardo formulato proposte diverse (abuso del diritto e/o del processo; exceptio doli generalis; divieto del venire contra factum proprium; ricorso alla buona fede quale somma regola di condotta capace di paralizzare impieghi strumentali della regola di validità; etc.)173, così come non sempre coincidenti sono risultate le prese di po-

Di avviso esattamente opposto, ma, per quanto già detto, irricevibile a parere di chi scrive, Trib. Milano, 21 febbraio 2012, cit., il quale, dopo aver osservato come le costruzioni pretorie dirette a paralizzare il vizio invalidatorio «con sovrastrutture (buona fede, interesse ad agire, exceptio doli generalis), che con la nullità negoziale non hanno molto da spartire», ha sostenuto che «invece molto più piana è la strada di una rimeditazione proprio del concreto atteggiarsi della struttura formale nel caso di specie», la cui preminente funzione informativa consentirebbe di «ritenere che le finalità di responsabilizzazione del consenso e protezione del cliente s[iano] pienamente realizzate laddove l’investitore ha sottoscritto il contratto quadro e ha dichiarato di aver ricevuto copia del contratto». 171  Concetto sui cui fa espresso ripiego Trib. Venezia, 29 settembre 2008, cit. 172  V. Tucci, Conclusione del contratto, cit., p. 1121. Cosicché sembrerebbero essere pur sempre dette ragioni di “giustizia sostanziale” a togliere, spesse volte, i giudici dall’imbarazzo, che a più riprese trapela dalla lettura delle sentenze, di dover altrimenti risolvere il percepito contrasto tra ius strictum e naturalis aequitas in senso sfavorevole all’intermediario, specie allorquando venga fiutata la possibile condotta opportunistica del cliente in relazione all’esistenza del documento debitamente sottoscritto dall’intermediario, ma non prodotto in giudizio (cfr., al riguardo, i rilievi di Pagliantini, L’incerto procedere, cit., p. 306 s.), spiegando alcune prese di posizione chiaramente dirette a forzare il tradizionale significato di talune disposizioni di legge collateralmente rilevanti nei casi di specie (v., tra i più recenti arresti, le soluzioni escogitate, soprattutto sul piano della prova, da Trib. Modena, 12 aprile 2017, cit.; e App. Napoli, 28 dicembre 2016, cit.). 173  Cfr., variamente, Pagliantini, L’incerto procedere, cit., p. 305 ss.; Berti de Marinis, Nullità relativa, cit., p. 283 ss.; Id., Uso e abuso dell’esercizio selettivo della nullità relativa, 170

606

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 606

06/11/17 17:41


Giovanni Romano

sizioni delle corti di merito174, mentre in alcuni precedenti di legittimità si è per vero recisamente escluso che l’impiego selettivo della nullità relativa possa integrare comportamento in qualche modo abusivo, atteso che l’investitore si avvarrebbe del rimedio «proprio al fine per cui ess[o] è previsto»175. Pare a chi scrive che il contrasto sul punto, costituente il vero nervo scoperto di tutta la questione, possa essere agevolmente ricomposto sulla scorta delle condivisibili osservazioni di chi, avvertendo di come non si debba invero confondere disponibilità del rimedio e disponibilità degli effetti, ha assunto come fisiologico, all’interno della contrappositiva dialettica processuale e del principio della domanda su cui essa si fonda, il fatto che il cliente faccia valere la nullità in relazione ad alcune operazioni d’investimento soltanto, ma che, proprio per ciò, ben potrebbe, dal suo canto, l’intermediario formulare domanda riconvenzionale cui tramite chiedere le restituzioni relative agli investimenti non resi oggetto della domanda attorea176. Il che, oltre a non sembrare contraddire l’“inconveniente”, in tutto e per tutto voluto dal legislatore, relativo al difetto di legittimazione dell’intermediario177, basterebbe a responsabilizzare le iniziative proces-

in Banca, borsa, tit. cred., 2014, II, p. 612 ss.; Bertolini, Risparmio tradito, cit., p. 346 ss.; Giuliani, Nullità, cit., p. 1100 ss.; nonché, per una compiuta analisi circa la percorribilità delle varie soluzioni, Semeghini, Forma ad substantiam, cit., passim. 174  V., tra le tante, Trib. Torino, 21 gennaio 2011, n. 741, in Corr. merito, 2011, 699, con nota di D’Auria, Forma “ad substantiam” e uso selettivo della nullità nei contratti di investimento (abuso del processo); 7 marzo 2011, n. 1506, in www.ilcaso.it (idem); Trib. Bergamo, 11 gennaio 2017, n. 26, cit. (violazione della buona fede contrattuale); Trib. Padova, 22 dicembre 2009, cit. (divieto di trarre vantaggio dal fatto proprio contraddittorio). 175  Così, seppur obiter dictum, Cass., 24 marzo 2016, n. 5919, cit.; ma, nel senso che il regime ex art. 23 t.u.f. permetterebbe al cliente di rivolgere la nullità verso i soli negozi d’acquisto, attuativi del viziato contratto-quadro, che ritenga pregiudizievoli, v. poi la sent. 27 aprile 2016, n. 8395, cit. Nella giurisprudenza di merito ha escluso che sia qualificabile come abusiva la condotta del cliente che limiti l’oggetto dell’azione solamente ad alcuni degli ordini di borsa, Trib. Milano, 29 aprile 2015, cit. Per la dottrina, cfr. gli opposti rilievi di Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 48, nt. 21; e Semeghini, Forma ad substantiam, cit., p. 135. 176  Tucci, Conclusione del contratto, cit., p. 1124; Id., Servizi di investimento, cit., p. 2464 s.; Perrone, Regole di comportamento, cit., p. 540 s., testo e nt. 8. 177  Contra, sulla base dell’argomento per cui la domanda riconvenzionale presupporrebbe un contenuto suscettibile di formare oggetto di domanda autonoma, qui però impedita dal carattere relativo della legittimazione a far valere il vizio formale, Berti de Marinis, Nullità relativa, cit., p. 293 s.; Id., Uso e abuso, cit., p. 618 ss. In giurisprudenza hanno accolto la riconvenzionale formulata dagli intermediari, Trib. Padova, 21 gennaio

607

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 607

06/11/17 17:41


Commenti

suali degli investitori178, ponendoli di fronte all’alternativa tra una integrale conservazione/caducazione del rapporto, ovvero, se del caso, alla rinuncia a far valere il difetto formale, onde viceversa impegnarsi nell’allegazione – e prova – dell’eventuale, specifico inadempimento di controparte179.

Giovanni Romano

2013, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, II, 610, annotata dallo stesso Berti de Marinis, Nullità, cit.; Trib. Milano, 29 aprile 2015, cit.; Trib. Torino, 5 gennaio 2010, cit.; non mancano, tuttavia, pronunzie di segno contrario (Trib. Torino, 12 febbraio 2007, in www. ilcaso.it; Trib. Brescia, 29 aprile 2010, ivi). Al riguardo v., per notazioni di diverso tipo ancora, Semeghini, Forma ad substantiam, cit., p. 33 ss. 178  Cfr. i rilievi di Perrone, Regole di comportamento, cit., p. 540 s. 179  Specie quando il “saldo” tra investimenti in bonis ed investimenti in perdita sia di segno positivo (cfr. le considerazioni di Semeghini, Forma ad substantiam, cit., p. 39).

608

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 608

06/11/17 17:41


PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 609

06/11/17 17:41


41923 DBMF 3/17_bz3.indb 610

06/11/17 17:41


LEGISLAZIONE

La liquidazione delle “banche venete” La vicenda, ma verrebbe da dire: l’agonia, delle due banche venete ha avuto definitiva soluzione con il d.l. n. 99 del 25 giugno 2017, contenente «Disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A», emanato sulla scorta della disponibilità di Intesa Sanpaolo a farsi carico di un dissesto che le autorità europee hanno ritenuto irreversibile. Il decreto è stato convertito con modificazioni (ed in forza della fiducia posta dal Governo) dalla l. 31 luglio 2017, n. 121, legge in cui è statoaltresì rifuso il testo del d.l. n. 89 del 16 giugno 2017, contenente «Interventi urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio». Pubblichiamo il d.l. 25 giugno 2017, n. 99 come modificato in sede di conversione (le modifiche sono rimaste in corsivo) e di seguito un saggio, con un commento a caldo, di Brozzetti, Una soluzione ad hoc per il dissesto di due banche venete. [nota redazionale] D.l. 25 giugno 2017, n. 99 (convertito con modificazioni nella 31 luglio 2017, n. 121) – Disposizioni urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e di Veneto Banca s.p.a. Art. 01 Modifiche al decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2017, n. 15 1. Al decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2017, n. 15, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 19, comma 2, alinea, le parole: «Entro sessanta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «Entro centoventi giorni»; b) all’articolo 22, dopo il comma 2 -bis è inserito il seguente: «2-ter. Al fine di assicurare la parità di trattamento nella ripartizione degli oneri, qualora l’Emittente abbia presentato o abbia formalmente comunicato l’intenzione di presentare, a seguito dell’accertamento dei requisiti di accesso, la richiesta di intervento dello Stato ai sensi dell’articolo 15, il termine di sca-

109

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 109

06/11/17 17:41


Legislazione

denza delle passività di cui al comma 2 del presente articolo dallo stesso emesse che ricada nei sei mesi successivi alla presentazione dell’istanza o della formale comunicazione dell’intenzione di presentarla è prorogato fino al termine dello stesso periodo di sei mesi. La proroga non comporta inadempimento ai sensi di legge o di clausole contrattuali, ivi comprese quelle relative ad altri rapporti di cui è parte l’Emittente o una componente del gruppo bancario di cui esso è parte. Alla proroga si applica, in quanto compatibile, il comma 10 del presente articolo. Durante la proroga le passività producono interessi secondo le previsioni contrattuali applicabili». Art. 1 Ambito di applicazione 1. Il presente decreto disciplina l’avvio e lo svolgimento della liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A. (ciascuna singolarmente, la «Banca» o, collettivamente, le «Banche») nonché le modalità e le condizioni delle misure a sostegno di queste ultime in conformità con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato. Ai fini del presente decreto per «soggetti sottoposti a liquidazione» si intendono le Banche poste in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’articolo 2. 2. Le misure previste dal presente decreto che costituiscano un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sono adottate a seguito della positiva decisione della Commissione europea sulla loro compatibilità con la disciplina dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato. 3. Il Ministero dell’economia e delle finanze («Ministero»), sulla base degli elementi forniti dalla Banca d’Italia, presenta alla Commissione europea, sino al termine della procedura, una relazione annuale contenente informazioni dettagliate riguardo agli interventi dello Stato effettuati ai sensi del presente decreto. Art. 2 Liquidazione coatta amministrativa 1. A seguito dell’adozione della positiva decisione della Commissione europea di cui all’articolo 1, comma 2, il Ministro dell’economia e delle finanze con uno o più decreti, adottati su proposta della Banca d’Italia, dispone: a) la liquidazione coatta amministrativa delle Banche; b) la continuazione, ove necessario, dell’esercizio dell’impresa o di determinati rami di attività per il tempo tecnico necessario ad attuare le cessioni previste ai sensi del presente decreto; in deroga all’articolo 90, comma 3, del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385 e s.m. (Testo unico bancario) la continuazione è disposta senza necessità di acquisire autorizzazioni o pareri della Banca d’Italia o del comitato di sorveglianza; c) che i commissari liquidatori procedano alla cessione di cui all’articolo 3 in conformità all’offerta vincolante formulata dal cessionario individuato ai sensi

110

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 110

06/11/17 17:41


D.l. 25 giugno 2017, n. 99

dell’articolo 3, comma 3. Con l’offerta il cessionario assume gli impegni ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato, identificati nell’offerta stessa; d) gli interventi indicati all’articolo 4 a sostegno della cessione di cui all’articolo 3, in conformità all’offerta vincolante di cui alla lettera c). 2. Dopo l’adozione dei decreti di cui al comma 1, l’accertamento del passivo dei soggetti in liquidazione ai sensi dell’articolo 86 del Testo unico bancario è condotto con riferimento ai soli crediti non ceduti ai sensi dell’articolo 3, retrocessi ai sensi dell’articolo 4 o sorti dopo l’avvio della procedura. 3. L’efficacia dei decreti adottati ai sensi del comma 1 decorre, relativamente a quanto previsto in base alle lettere b), c) e d) del medesimo comma, secondo quanto previsto all’articolo 83, comma 1, del Testo unico bancario. Per ogni aspetto non disciplinato dal presente decreto, alle liquidazioni coatte amministrative di cui al comma 1 si applica la disciplina contenuta nel Testo unico bancario e nelle disposizioni da esso richiamate. Art. 3 Cessioni 1. I commissari liquidatori, in conformità con quanto previsto dal decreto adottato ai sensi dell’articolo 2, comma 1, provvedono a cedere ad un soggetto, individuato ai sensi del comma 3, l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi. Alla cessione non si applica quanto previsto ai sensi degli articoli 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, salvo per quanto espressamente richiamato nel presente decreto, e 90, comma 2, del Testo unico bancario. Restano in ogni caso esclusi dalla cessione anche in deroga all’articolo 2741 del codice civile: a) le passività indicate all’articolo 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180; b) i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse; c) le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività. 2. Le disposizioni del contratto di cessione hanno efficacia verso i terzi a seguito della pubblicazione da parte della Banca d’Italia nel proprio sito internet della notizia della cessione, senza necessità di svolgere altri adempimenti previsti dalla legge, anche a fini costitutivi, di pubblicità notizia o dichiarativa, ivi inclusi quelli previsti dagli articoli 1264, 2022, 2355, 2470, 2525, 2556 e 2559, primo comma, del codice civile e dall’articolo 58, comma 2, del Testo unico bancario. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 58, comma 3, del Testo

111

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 111

06/11/17 17:41


Legislazione

unico bancario, il cessionario effettua gli adempimenti eventualmente richiesti a fini costitutivi, di pubblicità notizia o dichiarativa, così come l’indicazione di dati catastali e confini per gli immobili trasferiti, entro 180 giorni dalla pubblicazione nel sito internet. Restano fermi gli obblighi di comunicazione previsti dall’articolo 120 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Nei confronti dei debitori ceduti la pubblicazione nel sito internet produce gli effetti indicati dall’articolo 1264 del codice civile. Non si applicano i termini previsti dall’articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428. Il cessionario risponde solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione ai sensi del comma 1. Il cessionario non è obbligato solidalmente con il cedente ai sensi dell’articolo 33 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. Al cessionario si applica l’articolo 47, comma 9, del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. Quando la cessione ha ad oggetto beni culturali ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, ai fini dell’esercizio della prelazione, la denuncia prevista dall’articolo 59 del medesimo decreto legislativo è effettuata dal cessionario entro trenta giorni dalla conclusione del contratto di cessione; la condizione sospensiva prevista dall’articolo 61, comma 4, del medesimo decreto legislativo si applica alla sola clausola del contratto di cessione relativa al trasferimento dei beni culturali; non si applica il comma 6 del medesimo articolo. Al contratto di cessione nella parte in cui esso ha ad oggetto il trasferimento di beni immobili, fermo restando che il cessionario subentra nella medesima situazione giuridica del cedente: a) non si applicano l’articolo 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192; l’articolo 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52; l’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica, 6 giugno 2001, n. 380; l’articolo 36, nella parte in cui prevede il diritto del locatore ceduto di opporsi alla cessione del contratto di locazione da parte del conduttore, per il caso in cui gli immobili siano parte di un’azienda, e l’articolo 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392; b) non si applicano le ipotesi di nullità di cui agli articoli 46 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e 40, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Quando l’immobile ceduto si trova nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, il cessionario presenta domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla conclusione del contratto di cessione; c) non si applicano le altre ipotesi di nullità previste dalla vigente disciplina in materia urbanistica, ambientale o relativa ai beni culturali e qualsiasi altra normativa nazionale o regionale, comprese le regole dei piani regolatori o del governo del territorio degli enti locali e le pianificazioni di altri enti pubblici che possano incidere sulla conformità dell’immobile alla disciplina in materia urbanistica, edilizia e di tutela dei beni storici e architettonici. 3. Il cessionario è individuato, anche sulla base di trattative a livello individuale, nell’ambito di una procedura, anche se svolta prima dell’entrata in vigore del presente decreto, aperta, concorrenziale, non discriminatoria di selezione dell’offerta di acquisto più conveniente, nonché avendo riguardo agli impegni che esso dovrà assumersi ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti

112

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 112

06/11/17 17:41


D.l. 25 giugno 2017, n. 99

di Stato. Le spese per la procedura selettiva, incluse quelle per la consulenza di esperti in materia finanziaria, contabile, legale, sono a carico del soggetto in liquidazione e possono essere anticipate dal Ministero, il cui credito è prededucibile ai sensi dell’articolo 111, primo comma, numero 1), e dell’articolo 111-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e s.m. (legge fallimentare). Tali spese possono essere anticipate a valere sulle somme di cui all’articolo 9, comma 1 e sono restituite dal soggetto in liquidazione mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato. 4. Se la concentrazione che deriva dalla cessione non è disciplinata dal regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio del 20 gennaio 2004, essa si intende autorizzata in deroga alle procedure previste dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, per rilevanti interessi generali dell’economia nazionale. 5. Se la cessione include titoli assistiti da garanzia dello Stato ai sensi del decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, convertito dalla legge 17 febbraio 2017, n. 15, il corrispettivo della garanzia è riconsiderato e, se necessario, rivisto in applicazione dei criteri indicati dall’articolo 6 del citato decreto per tener conto della rischiosità del soggetto garantito. Il cessionario può altresì rinunciare, in tutto o in parte, alla garanzia dello Stato per i titoli da esso acquistati; in questo caso, la garanzia si estingue e, in relazione alla rinuncia, non è dovuto alcun corrispettivo. Art. 4 Interventi dello Stato 1. Il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi e per gli effetti di quanto stabilito con il decreto o i decreti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d), anche in deroga alle norme di contabilità di Stato, con uno o più decreti: a) concede la garanzia dello Stato, autonoma e a prima richiesta, sull’adempimento, da parte del soggetto in liquidazione: i. degli obblighi derivanti dal finanziamento erogato dal cessionario o da società che, al momento dell’avvio della liquidazione coatta amministrativa, appartenevano al gruppo bancario di una delle Banche a copertura dello sbilancio di cessione, definito in esito alla due diligence di cui al comma 4 e alle retrocessioni di cui al comma 5, lettera a) ; la garanzia può essere concessa per un importo massimo di euro 5.351 milioni elevabile fino a euro 6.351 milioni a seguito della predetta due diligence; ii. degli obblighi di riacquisto dei crediti indicati dal comma 5, lettera b), per un importo massimo di euro 4.000 milioni; b) fornisce un supporto finanziario al cessionario di cui all’articolo 3, a fronte del fabbisogno di capitale generato dall’operazione di cessione, per un importo massimo di euro 3.500 milioni; c) concede la garanzia dello Stato, autonoma e a prima richiesta, sull’adempimento degli obblighi a carico del soggetto in liquidazione derivanti da impegni, dichiarazioni e garanzie concesse dal soggetto in liquidazione nel contratto di cessione, per un importo massimo pari alla somma tra euro 1.500 milioni e

113

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 113

06/11/17 17:41


Legislazione

il risultato della differenza tra il valore dei contenziosi pregressi dei soggetti in liquidazione, come indicato negli atti di causa, e il relativo accantonamento a fondo rischi, per un importo massimo di euro 491 milioni; d) dispone l’erogazione al cessionario di cui all’articolo 3 di risorse a sostegno di misure di ristrutturazione aziendale in conformità agli impegni assunti dal cessionario necessari ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato, per un importo massimo di euro 1.285 milioni. 2. Il decreto di cui all’articolo 2, comma 1 stabilisce che il contratto di cessione preveda che il cessionario anticipi al commissario liquidatore le spese necessarie per il funzionamento della procedura di liquidazione coatta amministrativa, incluse le indennità spettanti agli organi liquidatori; in questo caso, il decreto prevede altresì che il Ministero rimborsi al cessionario quanto anticipato. Il Ministero acquisisce un credito nei confronti del soggetto sottoposto a liquidazione coatta amministrativa per il rimborso. Il credito derivante dall’anticipo concesso dal cessionario o dal rimborso effettuato dal Ministero è prededucibile ai sensi dell’articolo 111, primo comma, numero 1), e dell’articolo 111-bis della legge fallimentare. 3. Il credito del cessionario derivante dal finanziamento di cui al comma 1, lettera a), punto i., nella misura garantita dallo Stato, e il relativo credito di regresso dello Stato derivante dall’escussione della garanzia sono pagati dopo i crediti prededucibili ai sensi dell’articolo 111, primo comma, numero 1), e dell’articolo 111-bis della legge fallimentare e prima di ogni altro credito. Per i pagamenti effettuati ai sensi del comma 1, lettera a), punto ii., e lettere b), c) e d), il Ministero acquisisce un credito nei confronti del soggetto sottoposto a liquidazione coatta amministrativa; il medesimo credito del Ministero e il credito del cessionario di cui all’articolo 3 derivante da violazione, inadempimento o non conformità degli impegni, dichiarazioni e garanzie concesse dal soggetto in liquidazione e garantiti dallo Stato ai sensi del comma 1, lettera c), sono pagati con preferenza rispetto ai crediti chirografari e dopo i crediti indicati al comma 1, lettera a), punto i.; il medesimo trattamento è riservato alla parte non garantita del credito del cessionario derivante dal finanziamento di cui al comma 1, lettera a), punto i. 4. Entro il termine previsto dal contratto di cessione un collegio di esperti indipendenti effettua una due diligence sul compendio ceduto, secondo quanto previsto nel contratto di cessione e applicando i criteri di valutazione ivi previsti, anche ai sensi dell’articolo 1349, primo comma, del codice civile. Il collegio è composto da tre componenti, di cui uno nominato dal Ministero, uno dal cessionario di cui all’articolo 3 ed il terzo, con funzione di Presidente, designato di comune accordo dagli esperti nominati dalle parti o, in mancanza di accordo, dal Presidente del Tribunale di Roma. Gli esperti possiedono i requisiti indicati dall’articolo 15, comma 3, del decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, convertito con legge 17 febbraio 2017, n. 15. Ad esito della due diligence: a) il Ministro dell’economia e delle finanze dispone con decreto, se del caso, l’adeguamento dell’importo dell’intervento nei limiti del comma 1, lettera b); b) il cessionario di cui all’articolo 3 può restituire o retrocedere al soggetto in

114

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 114

06/11/17 17:41


D.l. 25 giugno 2017, n. 99

liquidazione attività, passività o rapporti dei soggetti in liquidazione o di società appartenenti ai gruppi bancari delle Banche, entro il termine e alle condizioni definiti dal decreto di cui all’articolo 2, comma 1. Si applica la lettera a). 5. Il contratto di cessione può prevedere che il cessionario possa, secondo le modalità e i criteri indicati nel contratto medesimo, retrocedere al soggetto in liquidazione: a) partecipazioni detenute da società che, all’avvio della liquidazione coatta amministrativa, erano controllate da una delle Banche, nonché i crediti di dette società classificati come attività deteriorate; b) crediti ad alto rischio non classificati come attività deteriorate, entro tre anni dalla cessione. 6. Alle restituzioni e retrocessioni di cui ai commi 4 e 5 si applica l’articolo 3, comma 2. 7. Nel caso di restituzioni e retrocessioni di cui al comma 4, così come nel caso di restituzioni al soggetto in liquidazione in forza di condizioni risolutive della cessione pattuite nel contratto, il soggetto in liquidazione risponde dei debiti e delle passività restituiti o retrocessi, con piena liberazione del cessionario retrocedente anche nei confronti dei creditori e dei terzi. Art. 5 Cessione di crediti deteriorati 1. Il Ministro dell’economia e delle finanze con proprio decreto prevede che i commissari liquidatori procedano alla cessione alla Società per la Gestione di Attività -S.G.A. S.p.A. (di seguito anche “SGA”) di crediti deteriorati e altri attivi non ceduti ai sensi dell’articolo 3 o retrocessi ai sensi dell’articolo 4, unitamente ad eventuali altri beni, contratti e rapporti giuridici accessori o connessi ai crediti ceduti alla SGA. Alla cessione non si applica quanto previsto dagli articoli 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, salvo per quanto espressamente richiamato nel presente decreto, e 90, comma 2, del Testo unico bancario. Si applica l’articolo 3, comma 2. 2. Il corrispettivo è rappresentato da un credito della liquidazione coatta amministrativa nei confronti della SGA, pari al valore di iscrizione contabile dei beni e dei rapporti giuridici ceduti nel bilancio della SGA, periodicamente adeguato al minore o maggiore valore di realizzo. 3. La SGA amministra i crediti e gli altri beni e rapporti giuridici acquistati ai sensi del comma 1 con l’obiettivo di massimizzarne il valore, anche in deroga alle disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto l’adeguatezza patrimoniale di cui all’articolo 108 del Testo unico bancario. 4. La SGA può costituire, con deliberazione dell’organo di amministrazione, uno o più patrimoni destinati esclusivamente all’esercizio dell’attività indicata al comma 3. I patrimoni destinati possono essere costituiti per un valore anche superiore al 10 per cento del patrimonio netto della società. La deliberazione dell’organo di amministrazione determina i beni e i rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinato. La deliberazione è depositata e iscritta ai sensi

115

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 115

06/11/17 17:41


Legislazione

dell’articolo 2436 del codice civile. Si applica il secondo comma dell’articolo 2447-quater del codice civile. Decorso il termine di cui al secondo comma dell’articolo 2447-quater del codice civile ovvero dopo l’iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento del tribunale ivi previsto, i beni e i rapporti giuridici individuati sono destinati esclusivamente al soddisfacimento del credito indicato al comma 2 e costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della SGA e dagli altri patrimoni destinati eventualmente costituiti. Salvo che la deliberazione dell’organo di amministrazione non disponga diversamente, per le obbligazioni contratte in relazione al patrimonio destinato la SGA risponde nei limiti del patrimonio stesso. Si applicano il secondo, terzo e quarto comma dell’articolo 2447-quinquies del codice civile. I beni e i rapporti compresi nel patrimonio destinato sono distintamente indicati nello stato patrimoniale della società. Si applica l’articolo 2447-septies, commi secondo, terzo e quarto, del codice civile. Il rendiconto separato è redatto in conformità ai princìpi contabili internazionali. Per quanto non diversamente disposto nel presente articolo, ai patrimoni destinati si applicano le disposizioni del codice civile qui espressamente richiamate. 5. La costituzione dei patrimoni destinati di cui al comma 4 può essere disposta anche con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato per estratto e per notizia nella Gazzetta Ufficiale. In tal caso, la costituzione ha efficacia dal giorno della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale o, se precedente, da quello della pubblicazione effettuata ai sensi dell’articolo 3, comma 2, primo periodo, come richiamato dal comma 1 e non si applicano gli articoli 2447-quater, secondo comma, e 2447-quinquies, commi primo e secondo, del codice civile. I patrimoni destinati costituiti con decreto possono essere modificati con deliberazione dell’organo di amministrazione della SGA in conformità a quanto previsto al comma 4. 6. Alla società S.G.A. s.p.a. si applicano le disposizioni di cui agli ultimi due periodi dell’articolo 23-quinquies, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. Art. 6 Misure di ristoro 1. Gli investitori che siano persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti o i loro successori mortis causa che, al momento dell’avvio della liquidazione coatta amministrativa di cui al presente decreto, detenevano strumenti finanziari di debito subordinato emessi dalle Banche e acquistati nell’ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime Banche emittenti, possono accedere alle prestazioni del Fondo di solidarietà previsto dall’articolo 1, comma 855, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, secondo quanto stabilito dall’articolo 1, commi 856, 857, 858, 859, 860 e 861, e successive modificazioni, della medesima legge. Ai fini di cui al periodo precedente si intendono per investitori anche il coniuge, il convivente more uxorio e i parenti entro il secondo grado in possesso dei predetti strumenti finanziari

116

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 116

06/11/17 17:41


D.l. 25 giugno 2017, n. 99

a seguito di trasferimento con atto tra vivi. Il presente comma si applica solo quando gli strumenti finanziari di debito subordinato sono stati sottoscritti o acquistati entro la data del 12 giugno 2014; in caso di acquisto a titolo gratuito si fa riferimento al momento in cui lo strumento è stato acquistato dal dante causa. 2. Agli investitori di cui al comma 1 si applicano le disposizioni in materia di accesso al Fondo di solidarietà con erogazione diretta di cui all’articolo 9 del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni dalla legge 30 giugno 2016, n. 119. L’istanza di erogazione dell’indennizzo forfettario di cui al comma 6 del citato articolo 9 deve essere presentata, a pena di decadenza, entro il 30 settembre 2017. Art. 7 Disposizioni fiscali 1. Nelle cessioni di cui all’articolo 3 i crediti d’imposta di cui ai commi 55, 56, 56-bis, 56-bis.1 e 56-ter dell’articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, sono ceduti dal soggetto cedente al soggetto cessionario. Con riferimento all’utilizzo dei predetti crediti d’imposta il soggetto cessionario subentra nei medesimi diritti che spettavano al soggetto cedente. 2. Le cessioni di cui all’articolo 3 si considerano cessione di rami di azienda ai fini del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633. Agli atti aventi a oggetto le cessioni di cui al periodo precedente, nonché le retrocessioni e le restituzioni, le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano, ove dovute, nella misura fissa di 200 euro ciascuna. 3. Nelle cessioni di cui all’articolo 3, al soggetto cessionario e al soggetto cedente si applicano le disposizioni previste, rispettivamente, per l’ente-ponte e per l’ente sottoposto a risoluzione dall’articolo 15 del decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 2016, n. 49. 4. I componenti positivi derivanti dagli interventi a sostegno delle cessioni di cui all’articolo 4, ivi inclusi quelli indicati al comma 1, lettera d) del medesimo articolo, non concorrono, in quanto esclusi, alla formazione del reddito complessivo ai fini delle imposte sul reddito e alla determinazione del valore della produzione netta del cessionario.Le spese sostenute dal cessionario nell’ambito delle misure di ristrutturazione aziendale sovvenzionate con i contributi di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), sono comunque deducibili dal reddito complessivo ai fini delle imposte sul reddito e dal valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive. 5. Al soggetto cessionario e al soggetto cedente si applicano le disposizioni previste, rispettivamente, per la società beneficiaria e la società scissa dai commi 8 e 9 dell’articolo 11 del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119.

117

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 117

06/11/17 17:41


Legislazione

Art. 8 Disposizioni di attuazione 1. Il Ministro dell’economia e delle finanze può dettare misure tecniche di attuazione del presente decreto con uno o più decreti di natura non regolamentare. Art. 9 Disposizioni finanziarie 1. Le misure di cui al presente decreto sono adottate a valere e nei limiti delle disponibilità del Fondo di cui all’articolo 24, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2017, n. 15. 2. Alla compensazione degli eventuali effetti finanziari derivanti dall’esito della due diligence di cui all’articolo 4, comma 4, e dalla retrocessione al soggetto in liquidazione di ulteriori attività, passività o rapporti ai sensi dell’articolo 4, comma 5, lettera a), si provvede nel limite massimo di 300 milioni di euro per l’anno 2018, mediante corrispondente utilizzo del Fondo per le esigenze indifferibili di cui all’articolo 1, comma 200 della legge 23 dicembre 2014, n. 190. Al fine della determinazione dello sbilancio di cessione, i commissari liquidatori forniscono al Ministero una situazione patrimoniale in esito alla due diligence di cui all’articolo 4, comma 4, successivamente aggiornata al 31 dicembre di ogni anno. 3. Ai fini dell’immediata attuazione delle disposizioni recate dal presente decreto, il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Ove necessario, previa richiesta dell’amministrazione competente, il Ministero dell’economia e delle finanze può disporre il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui regolarizzazione avviene tempestivamente con l’emissione di ordini di pagamento sui pertinenti capitoli di spesa. Art. 10 Entrata in vigore 1.Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

118

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 118

06/11/17 17:41


Antonella Brozzetti

Una soluzione ad hoc per il dissesto di due banche venete Sommario: 1. Un cenno al contesto generale. – 2. Il d.l. 99/2017: l’antefatto. – 3. I contenuti del Decreto ripresi dalla legge di conversione n. 121/2017. – 4. Un’ultima considerazione sui profili di tutela del risparmio.

1. Un cenno al contesto generale. Il decreto legge n. 99 del 25 giugno 2017 (in breve Decreto), contenente Disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca s.p.a.1,convertito con modificazioni (ed in forza della fiducia posta dal Governo) dalla l. 31 luglio 2017, n. 121, legge in cui è stato altresì rifuso il testo del d.l. n. 89 del 16 giugno 2017, contenente Interventi urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio2, arricchisce di contenuti quella che si presenta come la questione bancaria italiana per via delle crisi3 che hanno interessato il nostro Paese dopo: – l’avvio dell’Unione bancaria con i suoi primi due pilastri (i) del Meccanismo unico di vigilanza (MVU), di cui al regolamento (UE) 1024/2013, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea (BCE) compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi, nonché (ii) del Meccanismo di risoluzione unico (MRU), di cui al regolamento (UE) n. 806/2014, del 15 luglio 2014, che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento; – e il recepimento (tra il 2015 e il 2016) della direttiva n. 2014/59/ UE, del 15 maggio 2014 (oramai nota con l’acronimo inglese BRRD), che

1

Pubblicato in GU, serie generale, n. 146 del 25 giugno 2017, edizione straordinaria. La legge n. 121/2017, recante Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge 25 giugno 2017, n. 99, recante disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p., è stata pubblicata in GU, serie generale, n. 184 dell’8 agosto 2017, p. 1 s.; ivi in allegato, a p. 66 ss., si può vedere il testo del Decreto coordinato con la legge di conversione, che anche qui si pubblica. 3  Per un efficace quadro d’assieme si veda da ultimo Capriglione, La nuova gestione delle crisi bancarie tra complessità normativa e logiche di mercato, in Riv. trim. dir. ec., 2017, n. 2, I, p. 102 ss., ove diffusi riferimenti bibliografici cui si rinvia. 2

119

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 119

06/11/17 17:41


Legislazione

istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento, recepita nel nostro ordinamento (i) con il d.lgs. n. 180 del 16 novembre 2015, recante la disciplina della nuova misura della risoluzione, nonché (ii) mediante il d.lgs. n. 181 del 16 novembre 2015, che apporta modifiche al t.u.b. e al t.u.f. conseguenti sia all’introduzione dei nuovi istituti previsti dalla stessa BRRD (piani di risanamento, misure di intervento precoce, forme di sostegno all’interno dei gruppi bancari) sia alla necessità di revisione delle procedure nostrane dell’amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa4. La questione bancaria italiana può dirsi che esplode con la risoluzione applicata dal d.l. 22 novembre 2015, n. 183, c.d. “decreto salva banche”, contenente Disposizioni urgenti per il settore creditizio [decreto poi confluito nell’art. 1, co. 842-861 della l. 28 dicembre 2015, n. 208, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)], alle quattro piccole banche di provincia già in amministrazione straordinaria (Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Banca Marche, CariChieti e Cassa di Risparmio di Ferrara)5. Sul piano normativo detta questione si è poi sviluppata: – con il d.l. 3 maggio 2016, n. 59, recante Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione, convertito con modificazioni nella l. 3 maggio 2016, n. 596, una sorta di appendice al decreto “salva banche” in quanto sono stati previsti indennizzi forfettari per gli investitori delle quattro banche in risoluzione;

4

Da ultimo per una visione generale (e per gli ulteriori riferimenti bibliografici) si vedano i saggi contenuti in Chiti e Santoro, a cura di, L’Unione bancaria europea, Pisa, 2016; D’Ambrosio, a cura di, Scritti sull’Unione Bancaria, n. 81 dei Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, 14 settembre 2016; cui adde per una visione d’assieme, Capriglione, Unione monetaria e ruolo della Bce. Unione bancaria europea, SSM, SRM, in Corso di diritto pubblico dell’economia, a cura di M. Pellegrini, Padova, 2016, p. 534 ss.; nonché Lamandini e Muños, Eu Financial Law. An Introduction, Milano, 2016, in part. p. 183 ss. 5  Il d.l. 22 novembre 2015, n. 183, lo stralcio (art. 1, co. 842-861) della l. n. 208/2015, nonché alcuni provvedimenti della Banca d’Italia riferiti alla risoluzione della Banca delle Marche S.p.A, sono stati pubblicati in Dir. banc., 2016, II, p. 59 ss. con commento di Fiordiponti, Un decreto legge per la prima attuazione della direttiva n. 59 del 2014, ivi, p. 71 ss. 6  Anche tale provvedimento è stato pubblicato in Dir. banc., 2017, II, p. 3 ss., con presentazione, a p. 10 ss., di A. Nigro, Note minime su pegno mobiliare non possessorio e patto marciano nel quadro delle procedure concorsuali.

120

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 120

06/11/17 17:41


Antonella Brozzetti

– con il c.d. decreto “salva risparmio” di cui al d.l. 23 dicembre 2016, n. 237, contenente Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio, convertito con modificazioni con la l. 17 febbraio 2017, n. 15 che interviene sulla liquidità e sul patrimonio delle banche, consentendo al Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) di erogare un sostegno pubblico a banche, in forme compatibili con le regole europee sugli aiuti di stato e in conseguenza degli esiti delle prove di stress basate su uno scenario avverso effettuate a livello nazionale da parte dell’UE e del MVU, nonché di concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche e sui finanziamenti erogati dalla Banca d’Italia nel quadro dell’ELA-emergency liquidity assistance (il focus in questo caso è andato in particolare sulla vicenda del Monte dei Paschi di Siena arrivata poi al definitivo accordo sulla ricapitalizzazione precauzionale)7; - con la l. 12 luglio 2017, n. 107, recante l’Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario del nostro paese, messo appunto a dura prova dalle crisi verificatesi8. Il d.l. 99/2017 contribuisce a meglio definire, nel nuovo scenario anzidetto, il quadro giuridico di riferimento per le crisi bancarie, disciplinando quella delle banche venete con modalità che tengono presenti la specificità del caso ma che si appoggiano anche sull’esperienza e sui rimedi acquisiti attraverso i provvedimenti richiamati. Nonostante ogni crisi abbia fatto storia a sé, le soluzioni predisposte sul piano giuridico possono delineare un quadro d’assieme. La vicenda considerata dal d.l. 99/2017 ha la caratteristica di mixare sul piano dei metodi e degli obiettivi quelli della risoluzione e quelli della liquidazione. Di seguito si propone una lettura dei contenuti del Decreto, arricchita con alcune osservazioni a margine.

7  Per un commento si rinvia da ultimo a Mecatti, Il decreto salva risparmio, in Rivista di diritto bancario, 8, 2017, p. 1 ss. (reperibile su www.dirittobancario.it); Motroni, Brevi note in tema di garanzie statali su passività di nuova emissione nel DL/237/2016, in Riv. trim. dir. ec., 2017, n. 2, I, p. 284 ss.; P. Rossi, La disciplina “emergenziale” delle crisi bancarie in Italia: dal decreto “salva banche” al decreto “salva risparmio”. Quale protezione per i risparmiatori?, in Amministrazione in cammino, 30 maggio 2017 (reperibile al link http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/app/uploads/2017/06/ Rossi.pdf); si vedano anche i diffusi riferimenti bibliografici presenti in tali lavori. 8  Per un primo commento si vedano Lungarella e Vella, Banche, la commissione d’inchiesta deve correre, in www.lavoce.info, 27 giugno 2017.

121

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 121

06/11/17 17:41


Legislazione

2. Il d.l. 99/2017: l’antefatto. Dal 1° gennaio 2016 a seguito dell’attuazione della direttiva 2014/59/ UE la liquidazione di una banca diviene la misura più appropriata nel caso in cui non si realizzino i presupposti della risoluzione, una differenza fondamentale è che in tal caso non corre l’obbligo di applicazione dello strumento del bail-in. La procedura liquidativa disciplinata dal d.l. 99/20179 ha il connotato dell’urgenza, in apparenza stridente con la durata pluriennale della crisi che ha investito le due banche venete, ma che in realtà trova la propria giustificazione nella provvidenziale disponibilità di Intesa Sanpaolo a farsi carico della stessa, minimizzando i costi di un dissesto non più rimediabile. Tale disponibilità condiziona ed informa iter e contenuto del Decreto. L’impegno di Intesa risulta infatti formalizzato già il 21 giugno10 e dà il “la” per la soluzione della crisi delle banche venete, ormai avvitata su se stessa e ritenuta irreversibile dalle autorità europee. Va ricordato, infatti, che nella decisione della BCE del 23 giugno 2017 si afferma che fin dalla valutazione approfondita (meglio nota con il termine comprehensive assessment) del 2014, precedente all’avvio dell’accentramento della vigilanza a Francoforte, Veneto Banca e Popolare di Vicenza venivano poste sotto monitoraggio della BCE per le carenze patrimoniali emerse11. La criticità della situazione patrimoniale degenererà

9

Per un primo commento si vedano i lavori apparsi su www.lavoce.info di Baglioni, Se Intesa davvero risolve il pasticcio delle banche venete, 23 giugno 2017; Merler, Vizi antichi nella vicenda delle banche venete, 27 giugno 2017; Ricciardiello, Liquidazione o bail-in? Regole per le crisi bancarie, 30 giugno 2017; Baglioni e Hamaui, Se non cambia, sarà ancora “un’Europa delle banche”, 7 luglio 2017; Zorzi, Banche venete: questa volta i penalizzati sono gli azionisti, 11 luglio 2017; C. Russo, Soluzioni su misura per le banche in difficoltà, 28 luglio 2017; Lungarella e Vella, C’era una volta l’istituto di credito del territorio, 2 agosto 2017. Si veda altresì l’editoriale di Erzegovesi, Il Decreto di salvataggio delle banche venete: una via d’uscita dal labirinto della BRRD, giugno 2017, in www. dirittobancario.it. 10  È il giorno in cui sono stati resi noti gli esiti dell’asta, cui hanno partecipato 5 gruppi bancari italiani ed esteri ed un gruppo assicurativo: cfr. Banca d’Italia, Informazioni sulla soluzione della crisi di Veneto Banca S.p.A. e Banca Popolare di Vicenza S.p.A. Memoria per la VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati, 4 luglio 2017, al link http:// www.bancaditalia.it/media/notizie/2017/Nota-Venetobanca-e-BPV.pdf, p. 2. 11  Cfr. BCE, La BCE ha considerato Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza in dissesto o a rischio di dissesto, Comunicato stampa del 23 giugno 2017, reperibile al link https://www.bankingsupervision.europa.eu/press/pr/date/2017/html/ssm.pr170623. it.htm.

122

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 122

06/11/17 17:41


Antonella Brozzetti

ulteriormente sia per la presenza di «elevati livelli di crediti deteriorati» sia per le «difficoltà di fondo dei loro modelli di business», e nonostante l’intervento nel 2016 del Fondo Atlante (che ha “investito” nelle due banche 3,5 miliardi di euro)12. L’aumento nel 2017 delle difficoltà sul piano economico unito alla debolezza dei piani industriali presentati dalle banche venete per una ricapitalizzazione precauzionale, che assicurasse il rispetto dei requisiti patrimoniali [piani ritenuti «non (..) credibili per il futuro» dall’autorità di supervisione europea], ha fatto quindi da base alla motivazione: «carenze di capitale», presente nella decisione de qua. La BCE ha dichiarato così, ai sensi dell’art. 18, par. 1, lett. a), e par. 4, lett. a) del regolamento sul MRU, lo stato di “dissesto o a rischio di dissesto” per la Popolare di Vicenza e Veneto Banca a seguito della «ripetuta violazione dei requisiti patrimoniali di vigilanza»13. Detto stato ha rappresentato il presupposto formale per investire il Comitato di risoluzione unico (SRB-Single resolution board) della scelta delle misure da adottare. Il 23 giugno la BCE ha dato quindi immediata comunicazione della propria valutazione al SRB affinché verificasse la sussistenza delle altre condizioni alla base della risoluzione oppure della liquidazione con procedura ordinaria di insolvenza. Lo stesso giorno il Comitato, con le decisioni n. SRB/EES/2017/11 e n. SRB/EES/2017/12: i)ha confermato il giudizio della BCE e accertato la mancanza di soluzioni alternative idonee a superare in tempi ragionevoli la situazione di “failing or likely to fail” (art. 18, par. 1, lett. a e b, regolamento sul MRU); ii) ha ritenuto non soddisfatta la condizione della necessaria presenza dell’interesse

12  Come si legge in Banca d’Italia, La crisi di Veneto Banca S.p.A. e Banca Popolare di Vicenza S.p.A.: Domande e Risposte,12 luglio 2017, al link https://www.bancaditalia.it/media/notizie/2017/crisi-banche-venete/20170811_QA_venete.pdf, il Fondo Atlante ha sottoscritto aumenti di capitale per 2,5 miliardi di euro, rilevando la proprietà delle due banche venete e rinnovandone la governance, a fine 2016 ha poi aggiunto ulteriori versamenti per 938 milioni, cfr. p. 4. Sul Fondo si vedano in particolare le considerazioni critiche di Capriglione, Una cura inadeguata per i mali del sistema bancario italiano: il Fondo Atlante, 3 maggio 2016, editoriale su www.dirittobancario.it.; ivi dello stesso Autore si veda anche, Luci ed ombre nel salvataggio di quattro banche in crisi. Scritto per il Convegno «Salvataggio bancario e tutela del risparmio», in Rivista di Diritto Bancario, 10, 2016. 13  Tanto si legge nel comunicato stampa già citato della BCE. Per una ricostruzione dettagliata della vicenda delle due banche si rinvia a Banca d’Italia, Nota tecnica trasmessa dalla Banca d’Italia alla Commissione d’inchiesta del Consiglio Regionale del Veneto, 15 aprile 2016, https://www.bancaditalia.it/media/approfondimenti/2016/letteracommissione-veneto/index.html. I passaggi che hanno scandito la soluzione della crisi sono indicati in Id., Informazioni sulla soluzione della crisi,cit.

123

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 123

06/11/17 17:41


Legislazione

pubblico per un programma di risoluzione (art. 18, par. 1, lett. c, e 5, regolamento sul MRU); iii) ha rinviato alle procedure di insolvenza italiane la gestione della crisi delle due banche venete14. La disponibilità di Intesa Sanpaolo, soggetta alle condizioni ed ai limiti rappresentati nel comunicato stampa del 21 giugno15, si è poi concretizzata il lunedì 26 (giorno successivo all’entrata in vigore del

14

Si veda The SRB will not take resolution action in relation to Banca Popolare di Vicenza and Veneto Banca, Brussels, 23 June 2017, al link https://srb.europa.eu/en/ node/341 (ivi i collegamenti alle decisioni richiamate e riguardanti le due banche venete). Nel documento si legge: «In particular, neither of these banks provides critical functions, and their failure is not expected to have significant adverse impact on financial stability. As a result, the banks will be wound up under normal Italian insolvency proceedings». Si segnala che la decisione è stata assunta alle 21:15, solo poche ore dopo quella della BCE, il ruolo di preminenza della stessa appare in tutta evidenza (sul punto si veda in particolare Capriglione, Regolazione europea post-crisi e prospettive di ricerca del ’diritto dell’economia’: il difficile equilibrio tra politica e finanza, in Riv. trim. dir. ec, 2016, 1, p. 1 ss., in part. p. 16). 15  Significativo anche il titolo dello stesso (reperibile al link http://www.group. intesasanpaolo.com/scriptIsir0/si09/contentData/view/content-ref?id=CNT-0500000004DDBF4) che esplicita la portata dell’intervento: “Intesa Sanpaolo è disponibile ad acquistare a determinate condizioni certe attività e passività di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca”, Torino, Milano, 21 giugno 2017. Per comodità del Lettore se ne riporta il contenuto, di interesse in quanto (lo si è detto) ha condizionato sia il testo del Decreto sia il processo di conversione: «Il Consiglio di Amministrazione di Intesa Sanpaolo riunitosi oggi ha deliberato con voto unanime la disponibilità all’acquisto di certe attività e passività e certi rapporti giuridici facenti capo a Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, purché a condizioni e termini che garantiscano, anche sul piano normativo e regolamentare, la totale neutralità dell’operazione rispetto al Common Equity Tier 1 ratio e alla dividend policy del Gruppo Intesa Sanpaolo. La disponibilità di Intesa Sanpaolo all’operazione esclude pertanto aumenti di capitale. La disponibilità di Intesa Sanpaolo riguarda l’acquisizione di un perimetro segregato che esclude i crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili e esposizioni scadute), i crediti in bonis ad alto rischio e le obbligazioni subordinate emesse, nonché partecipazioni e altri rapporti giuridici considerati non funzionali all’acquisizione. In particolare, Intesa Sanpaolo considera necessaria per la conclusione e l’efficacia dell’operazione una cornice legislativa, approvata e definitiva, che, fra l’altro, assicuri le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi della totale neutralità dell’operazione rispetto al Common Equity Tier 1 ratio e alla dividend policy del Gruppo, la copertura degli oneri di integrazione e razionalizzazione connessi all’acquisizione e la sterilizzazione di rischi, obblighi e impegni comunque avanzati nei confronti di Intesa Sanpaolo per fatti antecedenti la cessione o relativi a cespiti e rapporti non compresi nelle attività e passività trasferite. L’operazione è subordinata all’incondizionato placet di ogni Autorità competente anche con riferimento alla relativa cornice legislativa e regolamentare. Il trasferimento delle attività e passività, ove perfezionato, avverrà a fronte di un corrispettivo simbolico».

124

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 124

06/11/17 17:41


Antonella Brozzetti

Decreto) con la firma del contratto con i commissari liquidatori per l’acquisto di «alcune attività e passività, nonché di alcuni rapporti giuridici» delle due banche venete, ad un euro. Questo il prezzo della parte “buona” di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza, inglobata nella struttura di Intesa Sanpaolo, che riceverà (come vedremo) anche risorse economiche dallo Stato al fine di non compromettere la propria situazione patrimoniale16. In definitiva, solo “un soldo”17 per le due banche a lungo ritenute fiore all’occhiello del ricco nord-est. Sembra anche che la storia in forme diverse e con minori esborsi pubblici (e quindi in parte) si ripeta: nella sostanza la soluzione non riporta la mente al c.d. decreto Sindona? Con la cognizione che la preventiva definizione della cessione abbia fatto da anticamera alla liquidazione delle due banche venete, passiamo ora a delineare i contenuti del d.l. 99/2017.

3. I contenuti del Decreto ripresi dalla legge di conversione n. 121/2017. Il d.l.99/2017 è composto da 10 articoli ed è entrato in vigore – lo si è accennato – il 25 giugno, giorno di pubblicazione sulla GU (ex art. 10). In sede di conversione con la l. n. 121/2017 non ha subito modifiche sostanziali, ma solo alcuni ritocchi18, si è però arricchito di un art. 01 recante Modifiche al decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2017, n. 15. La disposizione riproduce il contenuto del già citato d.l. n. 89/2017, volto a rivedere la disciplina dell’intervento dello Stato nelle procedure di risanamento e ricapitalizzazione delle banche prevista appunto dal c.d. “decreto salva risparmio”, con specifico riguardo alla necessità di salvaguardare la pari-

16  Il prezzo pagato si evince dal comunicato stampa con cui l’Istituto dà notizia della stipulazione del contratto: si veda Intesa Sanpaolo firma il contratto per l’acquisto di certe attività e passività di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, comunicato stampa, Torino, Milano, 26 giugno al link2017 http://www.group.intesasanpaolo.com/ scriptIsir0/si09/contentData/view/content-ref?id=CNT-05-00000004DDFAB. 17  Così può dirsi parafrasando il commento di Onado, Tre banche un soldo, in www. lavoce.info, 13 gennaio 2017, alla vicenda del dissesto di Banca Etruria, Banca Marche e Cassa di risparmio di Chieti, poi acquisite ad un prezzo simbolico da UBI Banca. 18  Le modifiche sono evidenziate con il carattere corsivo nel testo del decreto coordinato con la legge di conversione che qui si pubblica.

125

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 125

06/11/17 17:41


Legislazione

tà di trattamento dei creditori nel contesto appunto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio. In particolare, con tale norma sono state riviste le disposizioni: – sul riparto degli oneri di risanamento degli istituti bancari (c.d. burden sharing) tra azionisti e creditori subordinati (mediante la riduzione forzosa del capitale o del debito subordinato, e/o nella sua conversione in azioni), con la proroga di alcune delle scadenze originariamente indicate (rispetto in particolare alle obbligazioni subordinate); – sulle misure di ricapitalizzazioni, da parte del MEF, con acquisto di azioni o altri strumenti rappresentativi del capitale; anche in questo caso trattasi di un allungamento del periodo a disposizione del MEF per dar corso all’operazione di acquisto di azioni delle banche risanate, assoggettate alle anzidette misure di riparto degli oneri. I 10 articoli che in origine componevano il d.l 99/2017 seguono l’art. 01. Nell’insieme si è di fronte ad un testo molto complesso per la materia trattata ed i numerosi rinvii normativi; di seguito se ne passano in sintetica rassegna quei contenuti di maggior rilievo per comprenderne la portata. a) L’ambito di applicazione del Decreto si ricava dall’art. 1, ed è costituito: – dall’avvio e dallo svolgimento della l.c.a. di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A. (d’ora in poi Banche) e dalla definizione delle modalità e delle condizioni delle misure di sostegno riferite alle stesse in conformità alla disciplina europea in tema di aiuti di stato (co.1). Il rispetto dell’art. 107 TFUE19 e la positiva decisione della Commissione europea (CE) sul tema degli aiuti pubblici20 costituisce

19  L’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’Ue indica gli aiuti compatibili con il mercato interno che gli stati membri possono concedere; in particolare il par. 3, lett. b), permette l’effettuazione di interventi pubblici in tale forma allorquando questi consentano di porre rimedio ad un grave turbamento dell’economia di uno stato membro. 20  In argomento rileva il testo della Comunicazione della Commissione relativa all’applicazione, dal 1o agosto 2013, delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria («La comunicazione sul settore bancario»), (Testo rilevante ai fini del SEE) (2013/C 216/01), reperibile al link http://www. europarl.europa.eu/meetdocs/2009_2014/documents/com/com_com(2013)0520_/com_ com(2013)0520_it.pdf. Si ricorda che in tale documento la compatibilità dell’intervento pubblico in presenza di banche in liquidazione viene sottoposta alle seguenti condizioni: 1) costi della liquidazione ridotti al minimo necessario, 2) limitate distorsioni alla concorrenza, 3) previsione di misure di condivisione degli oneri a carico di azionisti e creditori subordinati, 4) in caso di acquisizione del compendio aziendale da parte di un

126

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 126

06/11/17 17:41


Antonella Brozzetti

infatti il presupposto di tutte le misure del decreto della specie (co. 2), condizionandone quindi nei fatti anche l’attuazione21; – dalla necessità di presentare da parte del MEF, con il supporto della Banca d’Italia, una relazione annuale alla CE con informazioni dettagliate relative a tutti gli interventi pubblici effettuati durante la durata della procedura (co. 3). b) L’art. 2 definisce confini e aspetti procedurali del provvedimento di l.c.a. delle due banche. Ribadita la necessità dell’acquisizione dell’anzidetto giudizio positivo della CE e fatta salva la preventiva proposta della Banca d’Italia, il co. 1 attribuisce al MEF le redini della situazione, potendo, con uno o più decreti, disporre: 1) la liquidazione coatta amministrativa delle Banche (sin qui nulla quaestio, la disposizione è in linea con l’art. 80 t.u.b.) così come regolata dal d.l. 99/2017, che tuttavia attribuisce al t.u.b. un ruolo di riserva in quanto può subentrare solo per gli aspetti non disciplinati dal Decreto medesimo (co.1, lett. a, e 3); 2) l’eventuale continuazione dell’esercizio dell’impresa o di determinati rami di attività e solo «per il tempo tecnico necessario ad attuare le cessioni previste» (co. 1, lett. b; in questo caso si deroga all’art. 90, co. 3, t.u.b. poiché non devono essere acquisiti i pareri e le autorizzazioni ivi previsti);

soggetto terzo, l’operazione non deve pregiudicare la capacità di quest’ultimo di operare sul mercato. Va inoltre tenuto presente che il sostegno pubblico alle banche è previsto anche dall’art. 32, par. 4, della BRRD, il quale nella presenza dello stato dissesto facente da presupposto alla risoluzione include anche la necessità di un sostegno finanziario pubblico. Sul tema si veda ampiamente da ultimo, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, Marcucci, Aiuti di stato e stabilità finanziaria. Il ruolo della Commissione europea nel quadro normativo europeo sulla gestione delle crisi bancarie, in L’Unione bancaria europea, a cura di Chiti e Santoro, cit., p. 291 ss., in part. p. 296 ss. 21  Va segnalato che un primo vaglio della CE sulle modalità di sistemazione della crisi delle banche venite c’è stato prima dell’emanazione del decreto. Il 24 giugno l’Italia ha infatti notificato alla Commissione il piano di aiuti necessario per facilitare la liquidazione delle medesime secondo le modalità che poi troveranno spazio nel decreto; il giorno successivo – verificata la presenza sia del burden sharing, sia del rispetto delle condizioni per selezionare l’acquirente nel caso in cui la liquidazione preveda la cessione in blocco di attività e passività – è poi arrivata l’approvazione: il documento dell’European Commission, State aid: Commission approves aid for market exit of Banca Popolare di Vicenza and Veneto Banca under Italian insolvency law, involving sale of some parts to Intesa Sanpaolo, Press release, Brussels, 25 June 2017, si può vedere al link http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-1791_en.htm.

127

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 127

06/11/17 17:41


Legislazione

3) la cessione da parte dei commissari liquidatori e in conformità dell’offerta vincolante del cessionario (aspetti regolati nel successivo art. 3), cui è richiesto l’impegno di rispettare la disciplina europea sugli aiuti di stato (co. 1, lett. c). c) misure di intervento pubblico a sostegno della cessione (co. 1, lett. d). Dettagli vengono poi forniti in merito all’accertamento del passivo, da riferire solo ai crediti non ceduti, a quelli retrocessi o sorti dopo l’avvio della procedura (co. 2), nonché all’efficacia dei decreti emanati per la quale si rinvia all’art. 83 t.u.b. (co. 3)22. c) La disciplina delle cessioni necessarie a risolvere la crisi delle Banche e del connesso sostegno pubblico, si ricava dagli artt. 3, 4 e 5. Va tenuto presente che essa dà contenuto, si affianca e fa da base alla liquidazione. La prima norma regola le cessioni sul piano: dei poteri dei commissari liquidatori nominati dalla Banca d’Italia; dell’oggetto del contratto di cessione (beni inclusi ed esclusi: co. 1); degli effetti di questa sul piano civilistico (co. 2) e in relazione alle procedure della l. 287/1990, c.d. antitrust (co 4); dell’individuazione del cessionario (co. 3).L’art. 4, invece, individua gli impegni che lo Stato può assumere in riferimento alle operazioni connesse alle cessioni collegate alla liquidazione delle Banche, mentre l’art. 5 dà sistemazione ai “crediti deteriorati”. Le disposizioni successive si interessano invece delle “misure di ristoro” riconosciute a vantaggio di alcune categorie di investitori (art. 6), degli aspetti fiscali delle cessioni (art. 7), dei profili di finanza pubblica necessari per dar corso agli interventi previsti dal Decreto (art. 9), delle disposizioni di attuazione (art. 8) e dell’entrata in vigore del decreto (art.10, di cui si è già detto). c.1) Accenniamo in primo luogo all’individuazione del cessionario (uno dei fulcri del decreto), ai perimetri delle cessioni e al supporto pubblico.

22

Per un inquadramento generale della liquidazione coatta amministrativa nel nuovo contesto normativo si rinvia da ultimo a Porzio, La banca insolvente, in L’Unione bancaria europea, , a cura di Chiti e Santoro, cit., p. 406 ss., in part. p. 410 ss., e Capolino, Risanamento e risoluzione delle banche: riparto delle funzioni, compiti e responsabilità, in Regole e mercato, a cura di Mancini, Paciello, Santoro e Valensise, t. 1, Torino, 2016, p. 623 ss., ove ulteriori riferimenti bibliografici; da leggere anche le considerazioni di Lener, Bail-in e depositi bancari fra procedure concorsuali e regole di collocamento degli strumenti finanziari, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, I, p. 287 ss.

128

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 128

06/11/17 17:41


Antonella Brozzetti

– Il co. 3 dell’art. 3 prevede che il cessionario sia individuato «anche sulla base di trattative a livello individuale, nell’ambito di una procedura, anche se svolta prima dell’entrata in vigore del presente decreto, aperta, concorrenziale, non discriminatoria di selezione dell’offerta di acquisto più conveniente, nonché avendo riguardo agli impegni che esso dovrà assumersi ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato». La disposizione avalla ex post quanto verificatosi già prima dell’emanazione del Decreto e costituito dalla presenza quale cessionario di Intesa Sanpaolo la cui disponibilità a farsi carico della soluzione della crisi delle banche venete è anteriore a tutti i passaggi formali che hanno portato all’emanazione del Decreto. Dal comunicato stampa diramato invece da Intesa il giorno successivo all’entrata in vigore del Decreto (già richiamato) si ha la notizia della firma del contratto con i commissari liquidatori23 per l’acquisto ad un euro di “alcune attività e passività, nonché di alcuni rapporti giuridici” delle due banche venete, cessione che costituisce uno dei passi integranti il processo di liquidazione. – Con la consapevolezza dello svolgimento dei fatti torniamo al testo del decreto e, in particolare, all’oggetto del contratto di cessione. L’art. 3 attribuisce ai commissari liquidatori il compito di cedere «l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse» (co. 1). Restano invece esclusi dalla cessione un insieme di diritti riferiti agli azionisti ed ai creditori subordinati, anche derivanti da commercializzazione delle azioni o delle obbligazioni subordinate (dettagli alle lett. a e b del co.1), nonché tutte le controversie, passate e future, con le relative passività (co. 1, lett. c). Trattasi di un primo perimetro di esclusione cui se ne aggiunge un altro definito dall’art. 5. Rimangono infatti fuori dalla cessione ad Intesa Sanpaolo, poiché da trasferire alla Società per la Gestione di AttivitàS.G.A. S.p.A., c.d. SGA, i crediti deteriorati, gli altri attivi rimasti fuori dalla cessione di cui all’art. 3, quelli che il cessionario potrà retrocedere ex art. 4, nonché «eventuali altri beni, contratti e rapporti giuridici accessori o connessi a crediti ceduti alla SGA». Anche questa operazione di cessione, così come definita nei vari elementi dall’art. 5, verrà effettuata dai commissari liquidatori, sulla base di un decreto del MEF (co. 1). Nel-

23

Dei nomi dei commissari liquidatori la Banca d’Italia fa menzione nel documento La crisi di Veneto Banca S.P.A., ecc., cit., p. 6.

129

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 129

06/11/17 17:41


Legislazione

la sostanza la norma sfrutta una soluzione che ha già dato buona prova di sé nell’opera di gestione delle sofferenze bancarie. Infatti la SGA, una sorta di bad bank pubblica nata nel 1997 in occasione del salvataggio del Banco di Napoli24, è controllata dal MEF ed è specializzata nel recupero dei crediti deteriorati (in una prospettiva temporale di ampio respiro), massimizzandone il valore con la propria gestione. Il corrispettivo della cessione costituisce un credito delle Banche in liquidazione nei confronti della SGA – definito dal valore di iscrizione a bilancio, da adeguare periodicamente al minore o maggiore valore di realizzo (co. 2) – e verrà onorato con i proventi derivanti dall’attività di recupero crediti. La norma fornisce dettagli sulla possibilità di costituire patrimoni destinati (co. 4 e 5). Da quanto detto, si comprende che la procedura di l.c.a. risulta costruita in maniera tale da far sopportare il costo della crisi in primis agli azionisti (ormai costituiti dal Fondo Atlante e quindi da alcuni dei principali protagonisti del sistema finanziario: una sorta di “socializzazione delle perdite” interna al medesimo) ed ai creditori subordinati, i diritti dei quali risultano condizionati al preventivo soddisfacimento dello Stato per il supporto finanziario fornito e poi degli altri creditori. La scelta deriva dall’applicazione (obbligata) delle regole europee sugli aiuti di stato e risponde all’obiettivo di arginare l’azzardo morale, che contraddistingue l’operatività delle banche, perseguito con le riforme europee. – Il supporto pubblico per realizzare un’uscita ordinata delle Banche dal mercato, concordato come già visto con la CE, è stato parte essenziale della soluzione della crisi delle banche venete poiché ha consentito l’intervento di Intesa Sanpaolo indispensabile per poter salvaguardare la continuità operativa delle stesse25. L’obiettivo delle autorità italiane è stato quello di evitare una liquidazione tout court disgregante del complesso aziendale che avrebbe avuto effetti devastanti per imprese e famiglie, creditori delle due banche (si pensi solo alle conseguenze della chiusura dei conti correnti), nonché per i meccanismi di tutele previsti per i depositanti26.

24  Sulla SGA si veda l’intervento di Rispoli Farina, Le sofferenze del Montepaschi e la lezione della Sga, pubblicate sul Corriere Economia, del 16 settembre 2017, al link http://www.corriere.it/economia/16_settembre_07/sofferenze-montepaschi-lezione-sgad939c586-74df-11e6-86af-b14a891b9d65.shtm.l 25  Si veda supra, sub a). Sul punto cfr. anche Camera dei Deputati, Disegno di legge n. A.C. 4565, seduta del 25 giugno, p. 2. 26  Il tema degli effetti negativi di una liquidazione “atomistica” viene sviluppato dalla

130

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 130

06/11/17 17:41


Antonella Brozzetti

Il profilo è importante e trova ampio spazio nel preambolo del d.l. 99/2017, ove si fa presente che, «in assenza di misure pubbliche di sostegno», la sottoposizione delle due banche a l.c.a. «comporterebbe la distruzione di valore delle aziende bancarie coinvolte, con conseguenti gravi perdite per i creditori non professionali chirografari, che non sono protetti né preferiti, e imporrebbe una improvvisa cessazione dei rapporti di affidamento creditizio per imprese e famiglie, con conseguenti forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo e di carattere sociale, nonché occupazionali, e che, pertanto, vi è la straordinaria necessità e urgenza di adottare disposizioni volte a consentire l’ordinato svolgimento delle operazioni di fuoriuscita dal mercato delle banche ed evitare un grave turbamento dell’economia nell’area di operatività delle banche in questione». L’art. 4 del decreto definisce gli ambiti ed i limiti dell’intervento statale. Con uno o più decreti, anche in deroga alle norme di contabilità pubblica, il MEF, in sintesi, può: 1) concedere la garanzia dello Stato (autonoma e a prima richiesta) sull’adempimento del soggetto in liquidazione per coprire lo sbilancio di cessione; 2) erogare un supporto finanziario a vantaggio del cessionario per ricostituire i requisiti di patrimonializzazione, compromessi dalle ponderazioni delle nuove attività acquisite (per la copertura del fabbisogno di capitale sono previsti 3,5 miliardi); 3) rilasciare la garanzia per l’adempimento di determinati obblighi gravanti sulle Banche in liquidazione (impegni, dichiarazioni e garanzie assunti); 4) erogare risorse al cessionario per sostenere particolari misure di ristrutturazione aziendale (ad esempio, 1,3 miliardi verranno utilizzati da Intesa per rispettare gli obblighi assunti in forza della disciplina europea sugli aiuti di stato). In definitiva, l’impegno finanziario sul piano della liquidità fornita è nel complesso pari a 4,8 miliardi di euro mentre per la concessione di garanzie l’ammontare massimo viene fissato a 12 miliardi (co. 1)27. Sulla

Banca d’Italia, Informazioni sulla soluzione della crisi, ecc., cit., in part. p. 2; altresì in Id., La crisi di Veneto Banca, cit. p. 8 ss. 27  Cfr. ampiamente il dossier predisposto dal servizio studi per i lavori della Camera e del Senato, Disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A. D.L. 99/2017 / A.S. 2879, 13 luglio 2017, in part. p. 14.

131

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 131

06/11/17 17:41


Legislazione

base delle previsioni fatte, lo Stato dovrebbe recuperare il “denaro investito”, rendendo nell’insieme l’operazione più conveniente rispetto a quella di risoluzione28. Il cessionario ha l’onere di anticipare ai commissari liquidatori le spese per il funzionamento della procedura, le quali saranno rimborsate dal MEF che così acquisirà un credito nei confronti della liquidazione (co. 2 e 3).” L’art. 4 contiene poi ulteriori disposizioni che ruotano intorno al contratto di cessione. Si prevede, fra l’altro, che sul “compendio” ceduto venga svolta (da notare l’adozione di tecnicismi inglesi) una “due diligence” da parte di esperti indipendenti (operazione tipica delle operazioni di acquisizione, consistente in un’attenta verifica dei valori che ne stanno alla base), ammettendo la possibilità che alcune attività, passività o rapporti oggetto di cessione siano anche restituiti o retrocessi al cedente (co. 4 e 7). La retrocessione alle Banche in liquidazione può riguardare anche i crediti ad alto rischio non classificati come attività deteriorate, in tal caso il co. 5, lett. b), fissa il termine a tre anni. Le Banche rispondono anche delle restituzioni conseguenti a condizioni risolutive della cessione pattuite nel contratto, con piena liberazione del cessionario retrocedente (co. 7). In definitiva, al gruppo Intesa Sanpaolo si consente di raggiungere l’obiettivo di essere garantito dai rischi connessi all’operazione di pseudo “salvataggio” delle due banche, la cui parte migliore in tale Istituto sopravvive. Con riferimento agli esborsi fatti, anche a seguito della possibile escussione delle garanzie prestate, lo Stato acquisisce un credito nei confronti delle Banche in liquidazione recuperabile in via preferenziale, rispetto agli altri creditori, con le somme risultanti dalla procedura liquidativa (co. 3) c.2) Il Decreto all’art. 6 introduce delle misure “di ristoro” a vantaggio di investitori costituiti da persone fisiche, imprenditori individuali o coltivatori diretti (ricomprendendo anche i loro successori mortis causa). L’intento di tutelare il risparmio ha mosso (lo si è accennato) le autorità italiane. Oltre che con il fatto che correntisti e depositanti restino immuni dalla crisi insieme agli obbligazionisti senior, rimborsati alla scadenza dei titoli sottoscritti (rapporti questi oggetto di cessione ad Intesa), la tutela si realizza con la previsione a vantaggio dei piccoli investitori

28

Cfr. Banca d’Italia, Informazioni sulla soluzione della crisi, ecc., cit., p. 4 (mio il corsivo).

132

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 132

06/11/17 17:41


Antonella Brozzetti

anzidetti, che abbiano invece acquistato le, e siano ancora titolari delle, obbligazioni subordinate della categoria più rischiosa (le “junior”) direttamente dalle Banche e prima del 12 giugno 2014 (giorno di pubblicazione della BRRD), di un rimborso a carico del Fondo interbancario di garanzia dei depositi. Il meccanismo è analogo a quello applicato per la crisi del 2015 delle “4 banche” finite in risoluzione (non sarà quindi necessario l’accordo transattivo preventivo richiesto invece dal d.l. 237/2016 tra banca ed investitore); l’art. 6 prevede infatti la possibilità per i soggetti interessati di aderire ad una procedura arbitrale oppure ad un meccanismo di indennizzo forfettario29. Gli azionisti e gli altri debitori subordinati possono invece contare solo su quanto resterà alla liquidazione dopo la soddisfazione dello Stato che (lo si detto) si inserisce in via prioritaria nella stessa con gli esborsi fatti e le garanzie rilasciate ad Intesa. c.3) Resta infine di dar conto, brevemente, degli aspetti fiscali e di natura finanziaria. I primi sono affrontati nell’art. 7 relativamente alle cessioni, in merito ai crediti d’imposta ed al loro utilizzo (co. 1), all’applicazione delle imposte di registro, ipotecarie e castali (stabilite in misura fissa a 200 euro ciascuna; co. 2), ai benefici fiscali riconosciuti al cessionario (co. 4). Al cessionario e al cedente vengono inoltre applicate le disposizioni che, rispettivamente: (i) l’art. 15 del d.l. 18/2016, convertito con la l. 49/2016, applica all’ente-ponte ed a quello sottoposto a risoluzione (co. 3); (ii) i co. 8 e 9 dell’art. 11, d.l. n. 59/2016 convertito con la l. n. 119/2016, prevedono per la società beneficiaria e quella scissa (co.5). Sul piano dell’impegno finanziario dello Stato l’art. 9, al co.1, richiama le disponibilità del Fondo istituito nello stato di previsione del MEF dall’art. 24 del d.l. “salva risparmio” n. 237/2016, il quale prevede per il 2017 una rete di sicurezza pubblica di 20 miliardi, da reperibile con emissione di titoli del debito pubblico. Sul punto va segnalata la presenza nel preambolo del Decreto del riferimento alle risoluzioni del Senato e della Camera del 21 dicembre 2016 aventi ad oggetto la relazione al Parlamento (predisposta ai sensi dell’articolo 6, co. 6, l. n. 243/2012), con cui si autorizzava il Governo a discostarsi dagli obiettivi programmati-

29

Per i dettagli sulla procedura di “ristoro” si veda anche: Fondo Interbancario di Tutela Depositi, Regolamento del Fondo di Solidarietà Procedura per l’indennizzo forfettario Ai sensi del decreto legge n. 99 del 25 giugno 2017 convertito con modificazioni nella legge n. 121 del 31 luglio 2017, 10 agosto 2017 (al link http://www.fitd.it/Content/fds/ VEN_Regolamento.pdf). dei

133

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 133

06/11/17 17:41


Legislazione

ci di finanza pubblica in caso di eventi eccezionali30. Il timore andava allora sugli esiti negativi degli stress test europei sulle banche, con il decreto “salva risparmio” le risorse del Fondo venivano quindi destinate alla copertura degli oneri derivanti dalle operazioni di sottoscrizione e acquisto di azioni effettuate per il rafforzamento patrimoniale e dalle garanzie concesse dallo Stato su passività di nuova emissione e sull’erogazione di liquidità di emergenza a favore delle banche e dei gruppi bancari italiani. L’art. 9 rimanda altresì al Fondo per le esigenze indifferibili (di cui alla l. n. 190/2014) per il sostenimento di possibili oneri derivanti dalle operazioni di cessione (co. 2); autorizza poi il MEF ad effettuare variazioni di bilancio in relazione ai provvedimenti di immediata attuazione del Decreto, nonché a richiedere anticipazioni di tesoreria (co. 3). c.4) In buona sostanza, dai sintetici richiami sin qui svolti delle disposizioni del Decreto, traspare un ruolo centrale per il MEF, autorizzato, ai sensi dell’art. 8, anche a dettare misure tecniche di attuazione, con uno o più decreti di natura non regolamentare. d) Rispetto al contenuto del Decreto va infine sottolineato un tratto comune che contraddistingue buona parte delle disposizioni in esso contenute: quello delle deroghe, parziali o totali, ruotanti intorno alle operazioni di cessione. Posto che il quadro normativo di riferimento è correlato alla complessità della vicenda, in sintesi può dirsi che le deroghe riguardano: – il diritto comune; come ad esempio le norme del codice civile in materia di pubblicità, di nullità e di efficacia della cessione nei confronti dei terzi: art. 3, co. 2; – il diritto dell’ordinamento bancario/finanziario; il co. 1 dell’art. 3 richiama gli artt. 58 e 90 del t.u.b., mentre il co. 4, fa riferimento alle procedure previste dalla l. antitrust; lo stesso Decreto costituisce una deroga al t.u.b. che (lo si è accennato) può intervenire solo per gli aspetti non espressamente disciplinati dal medesimo; – normative particolari; l’art. 3, co. 2, considera la disciplina urbanistica, ambientale e dei beni culturali; l’art. 4, co. 1, riguarda invece le norme sulla contabilità dello stato.

30

Si segnala che al link http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/999908.pdf è disponibile la risoluzione del Senato.

134

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 134

06/11/17 17:41


Antonella Brozzetti

4. Un’ultima considerazione sui profili di tutela del risparmio. La previsione da parte del Decreto delle numerose eccezioni richiamate si giustifica in larga parte con la necessità di raggiungere l’obiettivo di consentire l’immediata efficacia delle cessioni nei riguardi dei terzi, salvaguardando così la continuità nell’esercizio dell’impresa. È su questo punto che in effetti può realizzarsi quel mix, cui facevamo cenno all’inizio di questo lavoro, tra liquidazione e risoluzione, che trova nella salvaguardia della continuità delle “funzioni essenziali” uno dei suoi obiettivi prioritari. La mancata interruzione dei rapporti per la cessione ad Intesa Sanpaolo (ma anche alla stessa SGA) risponde all’obiettivo di ridurre al minimo l’impatto del dissesto delle due banche venete sull’economia, e quindi sulla stabilità, di una determinata zona geografica (lo si visto in particolare nel precedente paragrafo sub c.1 e c.2). In sede di primo commento alle disposizioni tese a risolvere la crisi delle due banche venete, l’attenzione si è anche concentrata sui possibili profili di illegittimità costituzionale in particolare di quelle norme che introducono disparità di trattamento31. Può dirsi che di queste ultime pare aver avuto consapevolezza anche il Governo, tanto da prendere alcune precauzioni. Qualche segnale lo induce in effetti a pensare. Di interesse il fatto che nel preambolo al Decreto si attui un richiamo diretto all’art. 47 Cost, posto quasi in pole position e con una notazione particolare: “e considerata l’esigenza di assicurarne la finalità”, ciò a differenza degli altri provvedimenti emanati per dare soluzione agli stati di crisi esplosi negli ultimi anni nel nostro paese: d.l. 183/2015; d.l. 59/2016; d.l. 237/2016, quest’ultimo (peraltro) intitolato proprio alla tutela del risparmio. Il punto è stato invece lasciato sullo sfondo nel parere favorevole arrivato alla Camera dei Deputati da parte della Commissione permanente Affari costituzionali, motivato con il fatto che le materie trattate dal decreto rientrassero nella competenza esclusiva dello Stato ex art. 117 Cost., norma chechiama in causa “moneta, tutela del risparmio

31

A tal proposito si rinvia agli autorevoli interventi (critici, ma anche propositivi), a commento delle disposizioni del Decreto, apparsi su www.dirittobancario.it di Dolmetta e Malvagna, «Banche venete» e problemi civilistici di lettura costituzionale del decreto legge n. 99/2017, in Rivista di diritto bancario, 15, 2017, nonché di Minneci, Sull’art. 3, comma 1 lett. c del d.l. n. 99/2017: una soluzione pro banca costituzionalmente fragile, ivi, 19, 2017. Problemi di costituzionalità sono stati anche sollevati dalla stampa specialistica, si veda in particolare Borzi, «Salvabanche», le falle nel decreto, in PLUS24, inserto de Il Sole-24 Ore, 07/2017, p. 10; Id, Il “salvataggio” non salva tutti i risparmiatori, ivi, p. 4 s.

135

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 135

06/11/17 17:41


Legislazione

e mercati finanziari”, materie in stretto collegamento con l’art. 47 Cost. La “novità” denota un segnale importante a testimonianza del peso e della “gravità” della situazione. Un altro indice in tale direzione lo si ritrova nella motivazione prevista dall’art. 3 del Decreto ove si prevede l’autorizzazione ex ante ad Intesa San Paolo, in deroga alla procedura fissata nella l. antitrust, alla possibile concentrazione derivante dall’operazione di cessione (e al di fuori dell’orbita del regolamento CE n. 139/2004): si fa riferimento ai “rilevanti interessi generali dell’economia nazionale”. Trattasi nel complesso di espressioni interpretabili come messaggi diretti a chi volesse mettere in discussione le scelte normative fatte e giustificate da un interesse pubblico che si vuole far prevalere su tutti gli altri; probabilmente anche un appunto per le autorità creditizie europee, con cui i rapporti sono stati piuttosto dialettici, volto a ribadire il rilievo della presenza delle due banche venete (declassate da significant a less significant) per il tessuto produttivo italiano32. Se le disposizioni terranno, di fronte ad un contenzioso non escludibile, anche con riferimento ai profili di costituzionalità il d.l. 99 del 2017 potrà dare forza a quei pilastri che sostengono il quadro della sperimentazione delle norme europee sulla gestione delle crisi bancarie nel nostro paese, nella fase di transizione verso il completamento dell’Unione bancaria.

Antonella Brozzetti

32

Del resto che le stesse regole europee siano di difficile conciliazione con la nostra tradizione giuridica è un fatto ampiamente discusso ed evidenziato da numerosi Autori: da ultimo si possono vedere i saggi ricchi di riferimenti bibliografici, per i profili ora in esame, di Salmoni, Crisi bancarie e incostituzionalità del bail-in, in Percorsi costituzionali, 2017, 1, p. 285 ss. e di Vattermoli, Il bail-in, in L’Unione bancaria europea, a cura di Chiti e Santoro, cit., p. 517 ss. (sia anche consentito il rinvio, per una visione d’assieme, a Brozzetti, I nuovi standard per i colossi finanziari di un mercato globale: quali strumenti per fronteggiarne la crisi?, lavoro apparso in Dir. Banc., 2017, I, p. 203 ss., in part. p. 223 ss.).

136

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 136

06/11/17 17:41


NORME REDAZIONALI

I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)

II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …

137

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 137

06/11/17 17:41


Norme redazionali

4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).

III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.

138

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 138

06/11/17 17:41


Norme redazionali

legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)

l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.

2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.

139

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 139

06/11/17 17:41


Norme redazionali

Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista della cooperazione Riv. coop. Rivista delle società Riv. soc. Rivista del diritto commerciale Riv. dir. comm. Rivista del notariato Riv. not. Rivista di diritto civile Riv. dir. civ. Rivista di diritto internazionale Riv. dir. internaz. Rivista di diritto privato Riv. dir. priv. Rivista di diritto processuale Riv. dir. proc. Rivista di diritto pubblico Riv. dir. pubbl. Rivista di diritto societario RDS Rivista giuridica sarda Riv. giur. sarda Rivista italiana del leasing Riv. it. leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Riv. trim. dir. proc. civ. Vita notarile Vita not.

140

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 140

06/11/17 17:41


Norme redazionali

4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesin­ger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cu­ra di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, To­rino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Tori­no, Tratt. soc. per az., diretto da Co­lombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume

IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.

141

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 141

06/11/17 17:41


41923 DBMF 3/17_bz3.indb 142

06/11/17 17:41


Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria

L’abbonamento alla rivista decorre dal 1° gennaio di ogni anno e dà diritto a tutti i numeri relativi all’annata, compresi quelli già pubblicati. L’abbonamento si intende rinnovato in assenza di disdetta da comunicarsi almeno 60 giorni prima della data di scadenza a mezzo lettera raccomandata a.r. da inviare a Pacini Editore S.r.l. Cedola di sottoscrizione - Abbonamento Italia 2017 (4 fascicoli): € 120,00 - Abbonamento Estero 2017 (4 fascicoli): € 170,00 - Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................

Inviare il presente modulo all’Editore: Pacini Editore Srl via Gherardesca - 56121 Ospedaletto-Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • info@pacinieditore.it è possibile acquistare la rivista direttamente sul sito dell’Editore

41923 DBMF 3/17_bz3.indb 143

06/11/17 17:41


41923 DBMF 3/17_bz3.indb 144

06/11/17 17:41






Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.