Saggi
ISSN 1722-8360
di particolare interesse in questo fascicolo Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
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Diritto della banca e del mercato finanziario
• La rimozione degli amministratori di sim, sgr, sicav e sicaf • La protezione degli investitori nella Mifid II • Procedimenti sanzionatori di Banca d’Italia e Consob • Risoluzione delle “banche locali”
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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è coordinato dal prof. Vittorio Santoro. Nell’anno 2015, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Laura Ammannati, Marta Bozina, Mario P. Chiti, Aldo A. Dolmetta, Paolo Giudici, Emanuele Lucchini Guastalla, Marco Miletti, Cinzia Motti, Stefano Pagliantini, Alessandro Palmieri, Andrea Perrone, Andrea Pisaneschi, Antonio Piras, Michele Sandulli, Lorenzo Stanghellini, Onofrio Troiano, Alberto Urbani.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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SOMMARIO 3/2016
PARTE PRIMA Saggi La rimozione degli esponenti aziendali di Sim, Sgr, Sicav e Sicaf, di Fabrizio Guerrera La disciplina in materia di protezione degli investitori nella MiFid II: dalla disclosure alla cura del cliente?, di Maria Elena Salerno L’espansione della competenza sanzionatoria di Agcm. Note sulla – dubbia – separazione delle prerogative di regolazione e sulla pretesa (sostanziale) marginalizzazione delle autorità di vigilanza dei mercati finanziari, di Gianluca Romagnoli
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Commenti Sanzioni della Banca d’Italia e principi del “giusto procedimento” – Cass., 10 marzo 2016, n. 4725; Cass., 24 febbraio 2016, n. 3656 Principi del giusto procedimento, procedure sanzionatorie di Consob e Banca d’Italia e giurisprudenza “riduzionista” della Cassazione, di Sandro Amorosino
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Rassegne Incidenza applicativa degli strumenti di ADR nei modelli regolamentari dei mercati settoriali: gli effetti “conformativi” degli orientamenti dell’Arbitro Bancario Finanziario in tema di servizi di pagamento, di Gennaro Rotondo
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PARTE SECONDA Legislazione Banche locali e risoluzione – D.l. 22 novembre 2015, n. 183; L. 28 dicembre 2015, n. 208: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016); Banca d’Italia: Comunicato del 23 novembre 2015 concernente l’avvio del procedimento di risoluzione della Banca delle Marche s.p.a.; Banca d’Italia: Provvedimento del 23 novembre 2015 concernente svalutazione di azioni e subordinati della Banca delle Marche s.p.a. Un decreto legge per la prima attuazione della direttiva n. 59 del 2014, di Filippo Fiordiponti Norme
redazionali
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PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
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La “rimozione” degli esponenti aziendali di Sim, Sgr, Sicav e Sicaf* Sommario: 1. La “rimozione” degli esponenti aziendali e dei componenti degli organi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria. – 2. Presupposti e finalità del potere di rimozione. – 3. La peculiarità della rimozione nel quadro degli interventi dell’autorità di vigilanza sugli intermediari. – 4. Rimozione e controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. – 5. Gli effetti della rimozione degli esponenti aziendali.
1. La rimozione degli esponenti aziendali e dei componenti degli organi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria. La recente novella al t.u.f., operata dal d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72 di attuazione della direttiva 2013/36/UE sull’accesso all’attività e la vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e le imprese d’investimento (“CRD IV”), ha attribuito alla Banca d’Italia il potere di “rimuovere” gli esponenti aziendali e gli organi sociali delle sim, sgr, sicav e sicaf. Si tratta di un potere discrezionale d’intervento dell’autorità di vigilanza, modulabile in funzione della situazione concreta dell’intermediario e della gravità del rischio derivante dalle anomalie riscontrate, che si inquadra nell’ambito dei compiti istituzionali stabiliti dall’art. 5, co. 2 e può assumere la configurazione di misura risolutiva sia “individuale”, sia “collettiva”. In particolare, Banca d’Italia può disporre la rimozione di uno o più esponenti aziendali di sim, sgr, sicav e sicaf «qualora la loro permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione del soggetto abilitato» (art. 7, co. 2-bis) e, parallelamente, può disporre la rimozione di «uno o più esponenti aziendali della capogruppo», in caso di pregiudizio per la sana e prudente gestione del gruppo finanziario (art.
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Relazione al seminario di Milano del 17-18 dicembre 2015 “Governo della SGR e competenza ‘dovuta’ dagli amministratori” organizzato da Assogestioni.
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12, com. 5-ter). Il provvedimento colpisce singoli “esponenti aziendali”, cioè, coloro che, secondo la definizione dell’art. 13, «svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo» nell’organizzazione societaria e aziendale dell’intermediario. Entrambe le disposizioni, peraltro, precisano che la rimozione “individuale” non viene disposta ove ricorrano gli estremi di una pronuncia di decadenza per inidoneità all’incarico ai sensi dell’art. 13 – vale a dire per assenza dei requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza o inosservanza dei criteri di competenza e di correttezza (per le Sim) –, «salvo che sussista urgenza di provvedere», così preservando, finché possibile, l’autonomia valutativa e decisionale degli organi sociali in materia. La Banca d’Italia, inoltre, secondo quanto previsto dal nuovo art. 56bis, può disporre la rimozione di tutti i componenti degli organi con funzione di amministrazione e di controllo delle sim, delle sgr, delle sicav (e delle relative società capogruppo), allorché ricorrano i presupposti di cui all’art. 56, co. 1, lett. a) in materia di “amministrazione straordinaria”, cioè «quando risultino gravi irregolarità nell’amministrazione ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che ne regolano l’attività». Questa rimozione è concepita come un intervento minore e alternativo al commissariamento dell’intermediario, giacché, in presenza di dette situazioni, l’art. 56 attribuisce alla Banca d’Italia il potere di disporre lo scioglimento degli organi con funzione di amministrazione e controllo e di assoggettarlo ad amministrazione straordinaria, «sempre che gli interventi indicati dagli articoli 55-quinquies [intervento precoce] o 56-bis [rimozione collettiva], ove applicabili, non siano sufficienti per porre rimedio alla situazione». Deve segnalarsi, poi, un ulteriore ambito applicativo del potere di “rimozione”, dovuto all’ultima novella al t.u.f. introdotta dal d.lgs. n. 181/2015 di recepimento della direttiva 2014/59/UE in materia di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese d’investimento (“BRRD”). Per le sim esercenti servizi di negoziazione per conto proprio, attività di sottoscrizione o collocamento con assunzione a fermo o di garanzia, gestione di sistemi multilaterali di negoziazione, sostanzialmente assimilate alle banche, gli artt. 55-bis e segg., prevedono delle particolari “misure di risanamento”. A queste sim non si applica l’art. 56-bis, ma, secondo l’art. 55-quinquies, «la Banca d’Italia può, sentita la Consob per i profili di competenza, disporre le misure indicate agli articoli 69-noviesdecies e 69-vicies-semel t.u.b.». Quest’ultimo articolo prevede – sempre nel segno della gradualità dell’intervento dell’autorità di vigilanza – che la Banca d’Italia possa disporre la rimozione e ordinare il rinnovo
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dei membri degli organi di amministrazione e controllo e degli alti dirigenti della banca e della società capogruppo, oltre che in caso di gravi irregolarità e di violazioni di norme legali, regolamentari e statutarie disciplinanti l’attività, «quando il deterioramento della situazione della banca sia particolarmente significativo» e non sia possibile porvi rimedio soltanto con l’attuazione di un piano di risanamento o con l’applicazione dei poteri d’intervento ex artt. 53-bis e 67-ter t.u.b. (che comprendono la “rimozione individuale” degli esponenti aziendali). Infine, deve rammentarsi che, secondo l’art. 60-bis (“Risoluzione e altre procedure di gestione delle crisi”), alle predette Sim si applicano, tra l’altro, i titoli IV e VI del d.lgs. n. 180/2015 di recepimento della direttiva 2014/59/UE (“BRRD”). Orbene, l’art. 60 (“Poteri generali di risoluzione”) prevede che, per dare attuazione alle misure disciplinate dal Capo II e dal Capo IV del suddetto decreto, la Banca d’Italia può esercitare, oltre ai vari poteri di ristrutturazione patrimoniale, finanziaria e societaria dell’ente sottoposto a risoluzione, il potere di «… m) disporre la rimozione o la sostituzione degli organi di amministrazione e controllo e dell’alta dirigenza …, nel caso in cui siano venute meno le condizioni della loro permanenza in carica».
2. Presupposti e finalità del potere di rimozione. Il potere autoritativo di rimozione, rescindendo il rapporto organico o dirigenziale dei destinatari del provvedimento, incide – se pure selettivamente e solo in negativo (nel senso di impedire l’attribuzione di poteri gestorii in capo ai soggetti rimossi) – sull’autonomia organizzativa del “soggetto abilitato” e del “gruppo finanziario”, concorrendo a definire lo statuto societario “speciale” degli intermediari finanziari, quali imprenditori operanti in un settore assoggettato alla vigilanza regolamentare, informativa e ispettiva, nonché alla vigilanza “di gruppo” della Banca d’Italia e della Consob, nell’ambito delle rispettive competenze. Il potere di rimozione appare sinergico ai compiti di vigilanza della Banca d’Italia, che riguardano, appunto, il contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari (art. 5, co. 2). Esso si coordina, da un verso (rimozione individuale), con il sistema degli “interventi sui soggetti abilitati” e dei “provvedimenti specifici” di cui all’art. 7, dall’altro (rimozione collettiva), con quello dei “provvedimenti ingiuntivi” e degli interventi cautelari, repressivi e sostitutivi previsti dagli artt. 51 e ss. in caso di “crisi” dell’intermediario (crisi di legalità, crisi economico-patrimoniali). È un potere
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graduabile in funzione della gravità delle violazioni e irregolarità dei soggetti responsabili o delle loro inottemperanze e delle conseguenze che ne derivano. Limitando qui il discorso ai provvedimenti di rimozione previsti dagli artt. 7 e 12 e dall’art. 56-bis, deve segnalarsi anzitutto che la definizione normativa dei presupposti per l’esercizio del potere di “rimozione” è alquanto generica e flessibile, sicché lascia ampio spazio alla discrezionalità tecnico-amministrativa dell’autorità di vigilanza nella valutazione dei medesimi e nell’applicazione delle relative norme. I fatti che legittimano la rimozione collettiva (gravi irregolarità nell’amministrazione; violazioni delle disposizioni legali, regolamentari e statutarie che regolano l’attività) – che peraltro implicano soggettivamente, anche sotto il profilo dell’inosservanza dei doveri di diligenza professionale e di correttezza, inadempimenti rilevanti ai fini della responsabilità civile dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo dell’intermediario – possono coincidere con i presupposti della rimozione individuale e anzi integrano di norma, al contempo, una deviazione da, un contrasto con e, quindi, un pregiudizio per la “sana e prudente gestione” dello stesso. Non si ravvisa perciò – almeno non necessariamente – una differenza sostanziale e fattuale dei presupposti delle due forme di rimozione. Certamente, possono ricorrere anomalie, irregolarità e violazioni che, per la loro natura eminentemente oggettiva e per il fatto di inerire alla competenza gestionale dell’organo amministrativo non possono rilevare che ai fini della “rimozione collettiva” dello stesso (art. 56-bis): si pensi, per es., all’inadeguatezza dell’assetto organizzativo o all’inidoneità del sistema informativo-contabile, alla mancanza di controlli interni e di relativi interventi, alle gravi carenze dell’organizzazione aziendale, all’inosservanza degli ordini dell’autorità, alla commissione di irregolarità, violazioni e scorrettezze nei rapporti con la clientela o all’assunzione di rischi incontrollati. Ma, d’altra parte, anche le condotte censurabili sul piano “individuale” e rimediabili con la rimozione ex artt. 7 e 12, perché di pregiudizio per la “sana e prudente gestione” (si pensi a condotte assenteistiche, negligenti o disinformate, all’inosservanza dell’obbligo di astensione in caso di conflitto d’interesse ai sensi del nuovo art. 6, co. 2-novies, all’estrazione di benefici privati, all’illecita influenza sul funzionamento dell’organo collegiale o all’assunzione di posizioni egemoniche al suo interno), possono facilmente configurare gravi irregolarità e violazioni rilevanti ai fini della “rimozione collettiva” – come pure della sospensione cautelare degli organi amministrativi (art. 53) o dello
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scioglimento degli organi di gestione e controllo, che è preordinato all’amministrazione straordinaria (art. 56) –, se si accompagnano a tolleranza, omesso controllo e illegalità dell’assetto organizzativo, nel suo “concreto funzionamento” (art. 2403 c.c.). Tutto ciò enfatizza la già cennata discrezionalità tecnico-amministrativa dell’autorità di vigilanza nella valutazione dei presupposti, nell’applicazione dei rimedi e, soprattutto, nella scelta della misura più appropriata. Per quanto riguarda il direttore generale e i dirigenti dell’intermediario, la rimozione non può che essere “individuale”, salvo il coinvolgimento degli organi sociali per la mancata o inadeguata supervisione sulla gestione aziendale. Per quanto riguarda i componenti degli organi di amministrazione e di controllo, la scelta della misura d’impatto più limitato sull’organizzazione, cioè la rimozione “individuale”, dovrebbe basarsi sulla possibilità di dar rilievo, differenziando le posizioni soggettive, a quei profili personali di incompatibilità o di colpevolezza degli esponenti aziendali che, nella rimozione “collettiva” ex art. 56-bis, restano assorbiti, invece, dalla valutazione funzionale negativa degli organi collegiali. Naturalmente, bisognerà tenere conto del modello di amministrazione e controllo adottato in concreto dall’intermediario, perché la “funzione di controllo” si atteggia evidentemente in maniera diversa nel sistema dualistico (sotto il profilo della sua commistione al potere d’indirizzo) e nel sistema monistico (sotto il profilo della sua internalizzazione alla funzione gestoria) rispetto a quello “tradizionale”. In ogni caso, se si guarda ai presupposti della “rimozione” degli esponenti aziendali nel quadro complessivo dei poteri e delle misure d’intervento (informativo, correttivo, repressivo, sostitutivo) nella gestione societaria e imprenditoriale dell’intermediario che il t.u.f. affida oggi alle autorità di vigilanza, ci si avvede facilmente che le varie fattispecie, sebbene denominate in maniera o con sfumature diverse (irregolarità, violazioni, violazioni gravi, violazioni di eccezionale gravità, pregiudizio per la sana e prudente gestione) sono caratterizzate da “atipicità” e da sostanziale “omogeneità”, ed anzi da una sorta di “continuità” in senso ascendente. Senza trascurare, ovviamente, la frequente e spesso inevitabile connessione degli inadempimenti ascrivibili agli esponenti aziendali o dell’incapacità funzionale degli organi con le situazioni di pericolo per i clienti e per i mercati oppure con le gravi (o eccezionali) perdite patrimoniali dell’intermediario.
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3. La peculiarità della rimozione nel quadro degli interventi dell’autorità di vigilanza sugli intermediari. La rimozione individuale degli esponenti aziendali (art. 7, co. 2-bis) si inquadra negli ampi e variegati poteri d’intervento, e più in generale d’“interazione” dell’autorità di vigilanza con l’autonoma gestione societaria e imprenditoriale degli intermediari, poteri che vanno utilizzati con la necessaria gradualità. L’art. 7, co. 1 assegna alla Banca d’Italia e alla Consob, nell’ambito delle rispettive competenze, poteri di convocazione degli amministratori, dei sindaci e del personale, nonché di formulazione dell’ordine del giorno e di convocazione, anche, diretta degli organi collegiali. Inoltre, la Banca d’Italia può adottare, a fini di stabilità, provvedimenti specifici con riferimento all’adeguatezza patrimoniale, al contenimento del rischio, all’informazione al pubblico, all’organizzazione interna e alle remunerazioni, nonché, sentita la Consob, provvedimenti restrittivi o limitativi concernenti i servizi, le attività, le operazioni, la distribuzione di utili o di elementi del patrimonio, il pagamento d’interessi e le remunerazioni (art. 7, co. 2). L’autorità di vigilanza può agire, cioè, con la sua moral suasion o con poteri d’indirizzo e d’intervento specificamente indirizzati alla risoluzione dei peculiari problemi rilevati. È ragionevole dedurne, allora, che la rimozione debba essere utilizzata per reprimere episodi d’inottemperanza o fronteggiare condotte non suscettibili di essere corrette o rimediate con interventi meno invasivi, che non tocchino, cioè, il rapporto fiduciario di preposizione alla carica degli esponenti aziendali. Ma anche la rimozione collettiva dei componenti degli organi di amministrazione e controllo degli intermediari finanziari o della capogruppo (art. 56-bis), basata sulle “gravi irregolarità e violazioni” di cui all’art. 56, co. 1, lett. a), necessita di essere coordinata con gli altri poteri d’intervento delle autorità di vigilanza. Cioè, da un verso, con i “provvedimenti ingiuntivi” di cui all’art. 51, potendo la Banca d’Italia e la Consob ordinare di porre termine alle irregolarità rilevate e vietare di intraprendere nuove operazioni, nonché imporre limitazioni riguardanti singole tipologie di operazioni, servizi o attività, anche in relazione a singole dipendenze dell’intermediario (nei casi di urgenza e di pregiudizio generalizzato); dall’altro, con i provvedimenti di sospensione cautelare degli organi amministrativi (art. 53) di amministrazione straordinaria (art. 56) e di liquidazione coatta amministrativa (art. 57), nonché, per le sim assimilate alle banche, con i piani di risanamento e con la risoluzione (artt. 55-bis e segg.; art. 60-bis e segg. introdotti dal d.lgs. n. 181/2015).
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Dal momento che la rimozione collettiva si basa sugli stessi presupposti di fatto della sospensione e dell’amministrazione straordinaria, essa si giustifica essenzialmente in base a una diversa valutazione di quei presupposti, sotto il profilo della reversibilità della situazione patologica dell’intermediario, cioè della possibilità di eliminare i fattori di crisi organizzativa e aziendale e proseguirne l’attività con le opportune correzioni. Il provvedimento di rimozione (individuale o collettiva) ha, infatti, lo stesso effetto estintivo di una revoca assembleare o giudiziale dalla carica, cioè quello di determinare la cessazione definitiva di alcuni o di tutti i membri degli organi di amministrazione e controllo (salvo sospensione o annullamento del giudice amministrativo). La sua peculiarità sta nella perdurante possibilità, ed anzi nella necessità di sostituire gli esponenti aziendali o i componenti “rimossi”, e quindi di scegliere i nuovi incaricati, da parte degli organi sociali competenti secondo le norme legali e statutarie. Il che implica la “fiducia” o, meglio, la ragionevole aspettativa dell’autorità di vigilanza in ordine alla capacità di auto-correzione del soggetto abilitato, che ne rende, appunto, superfluo o eccessivo il commissariamento. In conclusione, la “semplice” rimozione si attaglia alle ipotesi di relativamente minore gravità delle violazioni o irregolarità gestionali rilevate in sede informativa o ispettiva (soprattutto dal punto di vista delle conseguenze funzionali e patrimoniali) e, quindi, di rimediabilità della “crisi di legalità” attraverso misure societarie e aziendali endogene; o, per quanto concerne la rimozione individuale, alla caratterizzazione essenzialmente soggettiva e personale delle deviazioni. La previsione di questo peculiare rimedio consente, perciò, all’autorità di vigilanza di rispettare il “principio di proporzionalità” nell’esercizio del suo potere d’intervento autoritativo, correttivo e repressivo sugli intermediari abilitati.
4. Rimozione e controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. Da quanto sin qui esposto risultano chiaramente la specialità, l’organicità e, per così dire, l’autosufficienza del sistema di “controllo esterno” degli intermediari finanziari, nel quale il potere di rimozione si inquadra. Dal che sembra lecito desumere l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 2409 c.c., nonostante il mancato richiamo nell’art. 56, co. 3, in materia di amministrazione straordinaria, dell’art. 70, co. 7, t.u.b., che tale regola negativa detta espressamente per le banche. I poteri di vigilanza informativa, ispettiva e di gruppo delle autorità indipendenti e i provvedimenti d’indirizzo, intervento, controllo, so-
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spensione, rimozione, scioglimento, revoca, amministrazione sostitutiva, risoluzione e liquidazione coatta consentono, infatti, un’ingerenza graduabile, ma tendenzialmente pervasiva e totalizzante rispetto alla gestione e all’organizzazione dell’intermediario. Essi costituiscono, cioè, un sistema compiuto, che non sembra lasciare spazio alcuno al controllo giudiziario, sia perché le “gravi irregolarità” denunciabili da parte dei soci, dell’organo di controllo o del pubblico ministero ai sensi dell’art. 2409 c.c. – quand’anche si ricollegano a dissidi tra soci o investitori – coinvolgono la competenza della Banca d’Italia in punto di stabilità patrimoniale e di sana e prudente gestione, sia perché la nomina di un ispettore da parte del tribunale e, ancor più, di un amministratore giudiziario, soggetto alle direttive del tribunale, potrebbero essere d’intralcio all’espletamento dei compiti di vigilanza da parte delle autorità preposte. D’altra parte, però, sembra interessante – dal punto di vista conoscitivo e sistematico – soffermarsi pure sulle affinità e sulle differenze che i provvedimenti amministrativi di rimozione presentano rispetto ai provvedimenti adottabili da parte del tribunale secondo il diritto societario comune. La disciplina dell’art. 2409 c.c., come ridisegnata dalla riforma societaria del 2003, si connota strutturalmente per la “gradualità” dell’intervento giudiziale: essa contempla, infatti, la possibilità di sostituzione di amministratori e sindaci da parte dell’assemblea, finalizzata ad accertare ed eliminare le gravi irregolarità, mentre la revoca è prevista soltanto per i “casi più gravi”, che sono appunto quelli in cui i rimedi organizzativi interni e i relativi poteri di autotutela (revoca delle deleghe, revoca dalla carica, ecc.) non sono concretamente in grado di ripristinare la legalità e di proteggere la società dal danno ulteriore che le può derivare. Inoltre, il tribunale gode di un’ampia discrezionalità d’intervento correttivo, potendo adottare i “provvedimenti provvisori” nella specie più opportuni (non tipizzati dalla legge) e convocare l’assemblea per le conseguenti deliberazioni. C’è da dire, però, che la revoca prevista dall’art. 2409 c.c. colpisce giocoforza tutti gli amministratori (ed eventualmente i sindaci), ha effetto immediato ed è accompagnata dalla nomina di un amministratore giudiziario, ragion per cui si assimila – più che alla “rimozione”, che pure produce lo stesso effetto estintivo – allo “scioglimento” degli organi con funzione di amministrazione e di controllo previsto dall’art. 56, che è funzionale al provvedimento di “amministrazione straordinaria” e all’affidamento dei poteri di gestione societaria e imprenditoriale a uno o più commissari straordinari, secondo la richiamata disciplina degli artt. 71-75 t.u.b.
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Sotto altro punto di vista, quindi, in un’interpretazione mirante a valorizzare le refluenze del diritto speciale sul diritto societario comune, sembra ragionevole sostenere che il tribunale possa adottare, in forma di “provvedimento provvisorio”, la revoca “mirata” di singoli componenti degli organi di amministrazione e controllo – e ciò, a somiglianza proprio del potere di “rimozione” previsto dagli artt. 7 e 12 t.u.f. –, come pure una revoca collettiva a efficacia differita, degli stessi a somiglianza del rimedio di cui all’art. 56-bis, in funzione del loro rinnovo. Queste misure preluderebbero, infatti, alla tempestiva nomina dei nuovi amministratori e, se del caso, dei sindaci, da parte dell’assemblea, quando la compagine sociale appare in grado di selezionare e preporre alle relative cariche persone idonee, cioè capaci di rimediare alle irregolarità riscontrate e di eliminarne le conseguenza dannose per la società e per i suoi stakeholders, limitando così l’impatto dell’intervento autoritativo del giudice sulla gestione e organizzazione dell’impresa commerciale privata.
5. Gli effetti della rimozione degli esponenti aziendali. La rimozione (individuale) produce, con decorrenza immediata, un effetto estintivo, sia del rapporto di preposizione organica, sia del rapporto di collaborazione autonoma o di lavoro dipendente degli esponenti aziendali rimossi. Per quel che riguarda in particolare gli amministratori, il provvedimento di rimozione evoca la disciplina della loro “cessazione” (art. 2385 c.c.), che prevede implicitamente l’efficacia immediata della revoca deliberata dall’assemblea o disposta dal giudice, essendo l’operatività della prorogatio limitata ai soli casi di rinuncia all’incarico o di scadenza naturale, e che esige la tempestiva iscrizione di ogni causa di cessazione dall’incarico nel registro delle imprese, con efficacia dichiarativa. La rimozione di uno o più amministratori pone, inoltre, il problema delle sue conseguenze sulla permanenza in carica e sulla continuità di funzionamento dell’organo amministrativo collegiale. L’art. 2386 c.c. prevede, a questo proposito, l’alternativa tra la cooptazione di nuovi amministratori in luogo di quelli cessati, ove «la maggioranza sia sempre costituita da amministratori nominati dall’assemblea» (co. 1) e l’obbligo di convocare subito l’assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti, «se viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall’assemblea» (co. 2). Tuttavia, se lo statuto sociale contiene una clausola simul stabunt simul cadent, bisognerà verificare anche se essa preveda la decadenza
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immediata o differita degli altri amministratori, come conseguenza della cessazione di alcuni di essi, e se questa dipenda dalla cessazione per qualsiasi causa della maggioranza degli amministratori ovvero di singoli amministratori o di una minoranza di essi. Per quanto riguarda, invece, la rimozione collettiva degli organi di amministrazione e controllo, l’art. 56-bis, co. 2 prevede la fissazione, nello stesso provvedimento, della decorrenza – anche differita – dell’effetto estintivo sul modello dell’abrogato art. 70-bis t.u.b. Spetta, dunque, all’autorità di vigilanza di valutare discrezionalmente il pericolo e l’urgenza della situazione per stabilire i tempi appropriati della sostituzione; d’altra parte, ove ricorrano situazioni di pericolo per i clienti o per i mercati, è sempre possibile la sospensione cautelare degli amministratori e la nomina di un commissario ex art. 53 con provvedimento del Presidente della Consob, sentito il Governatore della Banca d’Italia. In ogni caso, quando viene adottato un provvedimento di rimozione collettiva, la stessa Banca d’Italia convoca l’assemblea della sim, della società di gestione del risparmio, della sicav o della società capogruppo, mettendo all’ordine del giorno il rinnovo degli organi con funzioni di amministrazione e controllo.
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La disciplina in materia di protezione degli investitori nella MiFID II: dalla disclosure alla cura del cliente?* Sommario: 1. Dalle Direttive Eurosim alla MiFID II: la progressiva diversificazione della tutela in relazione alle tipologie di clienti e di servizi – 2. Nuove misure in tema di prodotti finanziari (c.d. product regulation). – 2.1. Product governance e product life cycle. – 2.2. Prodotti complessi. – 2.3. Product intervention. – 3. Nuove misure in materia di consulenza finanziaria. – 3.1. Il servizio di consulenza su base indipendente. – 3.2. Fees e inducements. – 3.3. La gestione dei conflitti di interesse. – 4. Nuove norme sulla valutazione di adeguatezza e sugli obblighi di comunicazione alla clientela. – 4.1. Adeguatezza e appropriatezza: differenziazione delle regole di condotta degli intermediari in funzione delle tipologie di servizi e di clientela. – 4.3. Le regole di informazione al cliente. – 4.4. La regola della best execution. – 5. Osservazioni di insieme.
1. Dalle Direttive Eurosim alla MiFID II: la progressiva diversificazione della tutela in relazione alle tipologie di clienti e di servizi. L’esigenza di protezione degli investitori in strumenti finanziari, come conseguenza della situazione di asimmetria informativa tra intermediario (agente) e cliente (principale)1, assume dignità normativa a livello
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Il presente lavoro è stato elaborato nell’ambito del Progetto Prin 2010/2011 20107A8NC_001 dal titolo “La governance dei mercati dell’Unione Europea”, diretto dal prof. Santoro. 1 Sulla base della teoria delle asimmetrie informative (Akerlof, The Market for “Lemons”: Quality Uncertainty and the Market Mechanism, in The Quaterly Journal of Economics, 1970, LXXXXIV, p. 488 ss.), l’esigenza di tutela dell’investitore in strumenti finanziari nasce dal fatto che soprattutto gli investitori retail hanno una scarsa conoscenza del contenuto dei contratti di investimento proposti da un’impresa, specialmente se detti contratti sono stipulati per il tramite di un intermediario. Infatti, gli intermediari finanziari offrono ai propri clienti un’ampia gamma di servizi di investimento (esecuzione di ordini, gestione di portafoglio, consulenza finanziaria) che creano una relazione principale- agente di natura spesso fiduciaria. Di qui scaturisce la necessità di un intervento regolatorio
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europeo con l’emanazione della c.d. direttiva ISD (Investment Services Directive), la n. 93/22/CEE, relativa alla prestazione di servizi di investimento in valori mobiliari2. Il quadro disciplinare introdotto si preoccupa
volto a mitigare i problemi di agenzia connessi a tale tipologia di rapporti, attraverso la prescrizione di regole di condotta degli affari (doveri fiduciari) finalizzate a evitare che l’intermediario abusi della propria posizione di superiorità in termini di conoscenza e della fiducia che il cliente ha risposto in lui. Per approfondimenti in materia, si rinvia alla letteratura straniera: Easterbrook and Fischel, Contract and Fiduciary Duty, in 36 Journal of Law and Economics, 1993, p. 425 ss.; Cooter and Freedman, The Fiduciary Relationship: Its Economic Character and Legal Consequences, in 66 New York University Law Review, 1991, p. 1045 ss.; Köndgen, Rules of Conduct: Further Harmonisation?, in Ferrarini (ed.), European Securities Markets: Investment Services Directive and Beyond, London: Kluwer Law International, 1994, p. 118 ss.; Chiu, The Nature of a Financial Investments Intermediary’s Duty to his Client, in 28 Legal Studies, 2008, p. 254 ss. 2 La direttiva è recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (c.d. decreto Eurosim), emanato sulla base della legge delega 6 febbraio 1996, n. 52. Si occupa in modo specifico delle regole di condotta l’art. 17 del decreto. Alla normativa primaria si aggiunge il regolamento Consob 30 settembre 1997, n. 10943. Il riordino della disciplina in materia di imprese di investimento e mercati finanziari avviene in seguito ad opera del d.lgs. 24 febbraio 1998 (t.u.f.), cui segue il regolamento Consob n. 11522/1998. Per l’analisi della normativa interna in materia di regole di condotta degli intermediari finanziari, si vedano, tra gli altri: Santoro, Gli obblighi di comportamento degli intermediari mobiliari, in Riv. soc., 1994, p. 793 ss.; Lanotte, Sub articolo 6, in Il Testo Unico dell’intermediazione finanziaria, a cura di Rabitti Bedogni, 1998, Milano, p. 169 ss.; Rabitti Bedogni, Sub Articolo 21, ibidem, p. 170 ss.; Mazzini, Regole prudenziali e obblighi di comportamento, in Intermediari finanziari e società quotate, a cura di Patroni Griffi, Sandulli e Santoro, Milano, 1999, p. 128 ss.; Miola, Sub articolo 21, in Testo unico della finanza, a cura di Campobasso, I, 2002, Torino, p. 158 ss.; Sartori, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, 2004, Milano; Perrone, Servizi di investimento e violazione delle regole di condotta, in Riv. soc., 2005, 1012 ss.; Perrone, Obblighi di informazione, suitability e conflitti di interessi: un’analisi critica degli orientamenti giurisprudenziali e un confronto con la disciplina MiFID, in I soldi degli altri, servizi di investimento e regole di comportamento degli intermediari, a cura di Perrone, 2008, Milano, p. 1 ss.; Inzitari e Piccinini, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, 2008, Padova, p. 35 ss.; Mazzini, Le regole a tutela degli investitori, in Studi sul rapporto tra banca e cliente. Trasparenza, MIFID, Corporate Bond, a cura di G.L. Greco, Pisa, 2008, p. 99 ss.; Purpura, Strumenti finanziari e dovere di informazione degli intermediari: un “moderno” approccio giurisprudenziale a confronto con la normativa post-MiFID, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, p. 611 ss.; Irace e Nappini, Sub articolo 2, comma 2, lettera e), in L’attuazione della direttiva MiFID Decreto legislativo 17 settembre 2007, n. 164, a cura di Irace e Rispoli Farina, Torino, 2010, p. 58 ss; Lucantoni, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, in I contratti del mercato finanziario2, a cura di Gabrielli e Lener, tomo 1, in Tratt. dei contratti, diretto da Rescigno e Gabrielli, Torino, 2011, p. 239 ss.; Lucantoni, Le regole di condotta, in Il diritto del mercato finanziario. Saggi, a cura di Lener, Torino, 2011, p. 117 ss.; Lener e Lucantoni, Commento sub art.
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in primis di estendere al settore mobiliare i principi – previsti dall’Atto Unico Europeo del 1986 – del mutuo riconoscimento delle legislazioni nazionali, previa armonizzazione minima delle stesse. Analogamente a quanto accaduto per le imprese bancarie con la direttiva n. 89/646/ CEE, l’applicazione di questi principi in campo finanziario comporta l’armonizzazione essenziale delle regole concernenti l’accesso e l’esercizio dell’attività di intermediazione in valori mobiliari, realizzata la quale le imprese di investimento appartenenti a qualsivoglia stato membro possono usufruire del diritto di stabilimento e del diritto di prestazione dei servizi in tutto il territorio europeo, stante il reciproco riconoscimento delle autorizzazioni rilasciate e dei sistemi di vigilanza prudenziale adottati dalle autorità competenti dello stato membro di origine. Autorità queste ultime alle quali, in virtù del principio dell’home country control, spetta altresì la vigilanza sulle succursali stabilite in altri stati membri dalle imprese di investimento nazionali3. Con riferimento specifico al tema oggetto d’indagine, la “protezione degli investitori”, insieme alla “stabilità e al buon funzionamento del sistema”, è presa in considerazione dalla direttiva ISD quale finalità da perseguire nella determinazione ad opera degli stati membri delle “norme di comportamento” delle imprese di investimento (41° considerando). Quanto al contenuto minimo delle regole di conduct of business, la normativa europea, accanto alla richiesta di tener conto della “natura professionale” e delle “varie esigenze di tutela” degli investitori (32° considerando e art. 11) nonché di prevederne l’applicazione, in caso di
21. Criteri generali, in Commentario al Testo Unico della Finanza, a cura di Fratini e Gasparri, Torino, 2012, p. 375 ss.; Lucantoni, Commento sub art. 22. Separazione patrimoniale, ibidem, p. 394 ss.; Lener e Lucantoni, Commento sub art. 23. Contratti, ibidem, p. 400 ss.; Pellegrini, Le regole di condotta degli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento, in Manuale di diritto bancario e finanziario, a cura di Capriglione, Padova, 2015, p. 547 ss.; Id., Regole di comportamento e responsabilità degli intermediari, in I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione, in Istituti di Diritto Civile, collana diretta da Alpa, Milano, 2013, p. 187 ss. Per l’estensione delle regole di condotta previste dalla MiFID all’emissione di prodotti finanziari da parte di banche ed imprese di assicurazioni si veda, per tutti, Corvese, Sub Articolo 4, comma 6, in L’attuazione della direttiva MiFID Decreto legislativo 17 settembre 2007, n. 164, a cura di Irace e Rispoli Farina, cit., p. 174 ss., in part. p. 175 ss. 3 Per un esame della direttiva ISD si vedano, anche per i riferimenti alla letteratura straniera: Ferrarini, L’attuazione della direttiva sui servizi di investimento. Temi e problemi, in Riv. soc., 1995, p. 623 ss.; Annunziata, Commento alle direttive 93/22 e 93/6, in Corr. giur., 1994, p. 424 ss.; Wymeersch, Il recepimento delle Direttive europee sui servizi di investimento nell’ordinamento degli Stati membri, in Riv. soc., 1994, p. 400 ss.
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opportunità, anche alla prestazione di servizi accessori, abbozza (art. 11) una serie di principi che si sostanziano nella previsione, da una parte, di criteri generali di comportamento (lealtà, equità, competenza, impegno e diligenza, prevenzione dei conflitti di interesse) e, dall’altra, di obblighi informativi (dal cliente in merito alla sua situazione finanziaria, esperienza e obiettivi di investimento e al cliente attraverso la trasmissione dei dati inerenti alle contrattazioni che coinvolgono quest’ultimo). Siffatti principi sono sviluppati, integrati e dettagliati nella successiva disciplina europea in materia derivante dalla trasposizione nel contesto europeo, a partire dall’approvazione da parte della Commissione del Financial Services Actions Plan4, della c.d. suitability doctrine5 proveniente dall’esperienza anglosassone. L’ultimo atto d’implementazione di tale dottrina a livello comunitario è contenuto nelle direttive e standards tecnici di armonizzazione delle regolamentazioni dei servizi di investimento inclusi nel “pacchetto” normativo noto come MiFID (acronimo di Markets in Financial Instruments Directive)6. Il nuovo impianto regolatorio, peraltro, fissa le regole di accesso e di esercizio delle imprese di investimento in un’ottica di armonizzazione massima, o almeno piuttosto ampia, conseguita sulla base della c.d. procedura Lamfalussy7,
4 Adottato l’11 maggio 1999. V. COM (1999) 232 dell’11 maggio 1999. Sul punto cfr. Annunziata, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993; Blair, Financial Services: The New Core Rules, Londra, 1991. 5 Sull’argomento si rinvia per la letteratura straniera a Mundheim, Professional Responsibilities of Brokers-Dealers: the Suitability Doctrine, in 3 Duke Law Journal, 1965, p. 445 ss.; Poser, Liability of Broker-Dealers to Institutional Investors, in Bringham Young Law Review, 2001, p. 1493 ss.; Lowenfels e Bromberg, Suitability in Securities Transactions, in 54 Business Law, 1999, p. 1557 ss.; Seligman, Paredes, Loss, Fundamentals of Securities Regulation6, Wolters Kluwer Law & Business, United States, 2014. Per la letteratura interna, si vedano, ex multis: Costi e Enriques, Il mercato mobiliare, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, vol. VIII, Padova, 2004, p. 335 ss.; Antonucci, Declinazione della suitability rule e prospettive di mercato, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, p. 728 ss. 6 L’ordinamento italiano recepisce le direttive MiFID con il d.lgs. 19 settembre 2007, n. 164 e riscrive in parte il t.u.f., sez. II. Ad esso fa seguito, per la disciplina di dettaglio, il regolamento Consob 29 ottobre 2007, n. 16190. 7 La normativa MiFID è adottata in conformità a un processo che prevede tre livelli di armonizzazione: 1) la Direttiva 2004/39/CE, che detta le scelte di politica legislativa di fondo e i principi quadro della regolamentazione (livello 1); 2) la Direttiva 2006/73/CE, che contiene le misure di esecuzione dirette a disciplinare in dettaglio i principi generali in materia di organizzazione e condizioni di esercizio dell’attività delle imprese di investimento, e il Regolamento n. 1287/2006, recante modalità di esecuzione della disciplina generale dei mercati (livello 2); 3) standards tecnici del CERS (Committee of European Securities Regulators) e dell’ESC (European Securities Committee) volti a garantire l’uniforme
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sostanzialmente volta ad incrementare la concorrenza tra imprese operanti in area finanziaria, predisponendo per le stesse un levelled playing field il più esteso possibile. Va da sé che, nella creazione di un mercato finanziario integrato, tra le discipline oggetto di armonizzazione massima degli ordinamenti nazionali rientrano necessariamente le regole di condotta e gli obblighi informativi degli intermediari. Difatti, all’interno delle molteplici finalità perseguite dalla direttiva8 si inserisce quella di rafforzare gli strumenti di protezione del risparmiatore-investitore attraverso un impianto sistematico che sostituisce alle regole generali di cui alla direttiva ISD un complesso di obblighi di condotta e informativi in capo agli intermediari finanziari graduato in funzione sia della tipologia di clientela sia del tipo di servizio di investimento prestato9. Con riferimento al primo punto – differenziazione in relazione al tipo di clientela, la modularizzazione delle regole avviene sulla base della
applicazione delle regole comunitarie negli stati membri (livello di supervisory convergence). La discrezionalità degli ordinamenti nazionali (c.d. gold plating) risulta delimitata dal settimo considerando della Direttiva 2006/73/CE che recita: «Per assicurare l’applicazione uniforme delle varie disposizioni della direttiva 2004/39/CE, è necessario stabilire una serie di requisiti armonizzati in materia di organizzazione e di esercizio dell’attività delle imprese di investimento. Di conseguenza gli Stati membri e le autorità competenti non devono aggiungere regole vincolanti supplementari all’atto del recepimento e dell’applicazione delle disposizioni contenute nella presente direttiva, salvo qualora quest’ultima lo preveda espressamente». Per l’implementazione del pacchetto MiFID nel nostro ordinamento si vedano, fra gli altri, Rispoli farina, Rotondo, Il mercato finanziario. Intermediari finanziari, società quotate, assicurazioni, previdenza complementare, Milano, 2005, Parte I; Capriglione, Intermediari finanziari, investitori, mercati. Il recepimento della MiFID. Profili sistematici, Padova, 2008; Sangiovanni, La nuova disciplina dei contratti di investimento dopo l’attuazione della MiFID, in Contr., 2008, II, p. 173 ss.; G. L. Greco, a cura di, Studi sul rapporto, cit., p. 75 ss.; Frediani, Santoro, a cura di, L’attuazione della direttiva MiFID. Atti del Convegno (Montepulciano, 17-19 aprile 2008), Milano, 2009; Irace e Rispoli Farina, a cura di, L’attuazione, cit.; D’Apice, a cura di, L’attuazione della MiFID in Italia, Bologna, 2010; Costi, Il mercato mobiliare, Torino, 2014; Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2015. 8 Cfr. Nigro, La nuova regolamentazione dei mercati finanziari: i principi di fondo delle direttive e del regolamento Mifid, in Dir. banc., I, 2008, p. 3 ss. L’Autore individua sei principali obiettivi perseguiti dal legislatore comunitario con la MiFID: l’ampliamento dell’area sottoposta a regolamentazione; l’omogeneizzazione delle regole destinate a governare il settore; il potenziamento e il coordinamento della vigilanza; il rafforzamento in termini di competenza e solidità delle imprese di investimento; l’affinamento e l’articolazione degli strumenti di protezione del risparmiatore e l’innalzamento del grado di concorrenza. 9 Cfr. Morera, I rapporti tra banca-cliente nella normativa MiFID. Un primo commento, in Banc., 2008, n. 9, p. 40 ss.
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distinzione degli investitori nelle categorie dei clienti al dettaglio, professionali e qualificati (31° considerando della direttiva 2004/39/CE). I doveri di comportamento che incombono sugli intermediari trovano la loro massima applicazione nelle operazioni concluse o concordate con i clienti al dettaglio, mentre subiscono una contrazione con riferimento ai clienti professionali o addirittura la completa disapplicazione nel caso di controparti qualificate (40° e 41° considerando e art. 24 della direttiva 2004/39). La classificazione della clientela, tuttavia, non si basa più, come nel vigore della ISD, su dichiarazioni autoreferenziali10 bensì su precisi parametri, ancorati al livello di esperienza, competenza e conoscenza del cliente, fissati dal legislatore comunitario (sez. II, allegato 2, direttiva 2004/39/CE)11. Quanto al contenuto dei doveri di condotta e degli obblighi informativi, la finalità propria della suitability rule (i.e. il dovere dell’intermediario di proporre o consigliare contratti adeguati alle esigenze del contraente) è perseguita nella MiFID affiancando ai principi generali (già previsti nella direttiva ISD), validi cioè in modo indifferenziato per tutte le tipologie di servizi di investimento, una serie di regole di condotta specifiche, vale a dire differenziate in funzione del tipo di servizio prestato. Ciò rappresenta l’ulteriore elemento di novità della MiFID rispetto alla ISD in tema di misure di tutela dell’investitore. L’art. 19, § 1, 2, e 3 della direttiva 2004/39/CE contiene i principi generali dell’agire in modo “onesto, equo e professionale” nella prestazione dei servizi di investimento; principi che si estrinsecano in modo particolare, da una parte, nell’obbligo di “servire al meglio gli interessi dei clienti” e, dall’altra, nell’obbligo di fornire al cliente “informazioni appropriate” sull’impresa di investimento, sui prodotti finanziari, sulle sedi di esecuzioni, sui costi e gli oneri connessi, al fine di consentire una scelta di investimento consapevole. Chiude il sistema delle regole di condotta generali delineato a livello europeo il principio della best execution di cui all’art. 21 della direttiva 2004/39/CE, in base al quale si fissa in capo all’impresa di investimento “l’obbligo di eseguire gli ordini alle condizioni più favorevoli per il cliente.”
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Lucantoni, Le regole, cit., p. 249. Sulle diverse categorie di investitori previste dalla direttiva cfr.: Chionna, L’accertamento della natura di operatore qualificato del mercato finanziario rispetto ad una società, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, p. 53 ss.; Bruno, Rozzi, Il destino dell’operatore qualificato alla luce della MIFID, in Le società, 2007, p. 277 ss. 11
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La declinazione delle regole di condotta e degli obblighi informativi dell’intermediario finanziario e, specularmente, la graduazione delle misure normative a tutela dell’investitore s’imperniano sulle nozioni di “adeguatezza”, “appropriatezza” e “mera esecuzione” delle operazioni di investimento, nell’ambito delle quali il principio di conoscenza del cliente (c.d. know your customer rule) attraversa tre livelli di valutazione differenti in funzione della natura del servizio di investimento erogato12. Per i servizi di consulenza in materia di investimenti e di gestione di portafogli, la direttiva (art. 19, § 4) impone all’intermediario una “valutazione di adeguatezza”, ossia di verifica della compatibilità tra le caratteristiche del cliente e quelle del prodotto; valutazione incentrata sull’obbligo di conoscenza del cliente nella sua massima estensione, inclusivo cioè delle informazioni sul cliente in merito alle sue conoscenze ed esperienze in materia di investimenti finanziari, alla sua situazione finanziaria e ai suoi obiettivi di investimento. La valutazione di un’operazione o di un prodotto come inadeguato obbliga l’intermediario ad astenersi dal compiere l’operazione (c.d. “efficacia bloccante” dell’adeguatezza). Nei servizi diversi dalla consulenza finanziaria e dalla gestione di portafogli si richiede all’intermediario una “valutazione di appropriatezza” del prodotto al cliente, basata su una conoscenza di quest’ultimo ridotta giacché limitata alle informazioni inerenti alle sue conoscenze ed esperienze in campo finanziario. Nel caso in cui il prodotto sia giudicato non appropriato, sussiste l’obbligo per l’intermediario di comunicare tale circostanza al cliente, che potrà decidere di dare ugualmente esecuzione all’operazione (c.d. “consenso informato specifico” del cliente). Infine, per i servizi di mera esecuzione e/o ricezione e trasmissione di ordini del cliente, la normativa MiFID consente alle imprese di investimento l’esclusione di ogni valutazione della compatibilità del prodotto
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Sull’argomento si vedano: Sangiovanni, Operazione inadeguata dell’intermediario finanziario fra nullità del contratto e risarcimento del danno alla luce della direttiva MIFID, in Contr., 2007, p. 244 ss.; Id., Operazioni inadeguate e doveri informativi dell’intermediario finanziario, in Giur. comm., 2009, p. 557 ss.; Id., L’adeguatezza degli investimenti prima e dopo la Mifid, in Corr. giur., n. 10/2010, p. 1385 ss.; Frumento, La valutazione di adeguatezza e di appropriatezza delle operazioni di investimento nella Direttiva Mifid, in Contr., 2007, p. 583 ss.; Sartori, Le regole di adeguatezza e i contratti di borsa: tecniche normative, tutele e prospettive Mifid, in Riv. dir. priv., 2008, 1, p. 25 ss.; Serrao D’Aquino, Obblighi informativi e responsabilità dell’intermediario finanziario. Parte II: Valutazione di adeguatezza e di appropriatezza. Conflitti di interesse ante e post MiFID. Informazioni per i prodotti non negoziati nei mercati regolamentati. Obbligo di monitoraggio dei titoli acquistati dal cliente, in Giur. merito, 2012, p. 1745 ss.
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al cliente, ergo di qualsiasi obbligo di conoscenza delle caratteristiche e delle esigenze di investimento del cliente, purché ricorrano le seguenti condizioni: a) si tratti di servizi connessi a prodotti non complessi13; b) il servizio sia prestato su iniziativa del cliente; c) sia fornita al cliente un’informativa chiara in merito alla mancanza della valutazione di adeguatezza; d) il rispetto da parte dell’intermediario degli obblighi in materia di conflitto di interessi. Per l’ipotesi di potenziale pregiudizio dell’operazione per l’investitore, a carico dell’intermediario non sussiste né un obbligo di astensione né un onere d’informativa in merito all’operazione specifica. Tutto ciò che si richiede all’impresa che presta il servizio è di fornire al cliente in sede pre-contrattuale informazioni sulle misure assunte nella propria strategia di esecuzione in nome della best execution rule e sulla circostanza che istruzioni specifiche impartite dal medesimo cliente possano comprometterne la realizzazione nel migliore interesse del medesimo (c.d. “consenso informato generico” del cliente). Ricordiamo, per completezza, che, allo scopo di chiarire l’applicazione di determinati aspetti legati ai requisiti di adeguatezza della MiFID e al fine di garantire un’applicazione comune, uniforme e coerente dell’art. 19, § 4, della Direttiva 2004/39/CE e degli artt. 35 e 37 della Direttiva 2006/73/CE, in data 25 giugno 2012, l’ESMA pubblica i propri “Orientamenti su alcuni aspetti dei requisiti di adeguatezza della Direttiva MiFID”14.
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In proposito, ai sensi dell’art. 19, § 6, della direttiva 2004/39/CE, si considerano prodotti non complessi «[…] azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato, o in un mercato equivalente di un paese terzo, strumenti del mercato monetario, obbligazioni o altri titoli di credito (escluse le obbligazioni o titoli di credito che incorporano uno strumento derivato), OICVM ed altri strumenti finanziari non complessi». Tuttavia anche strumenti finanziari non espressamente considerati come prodotti non complessi dall’art. 19, § 6, della direttiva 2004/39/CE possono essere considerati tali qualora sussistano i requisiti previsti dall’art. 39 della Direttiva 2006/73/CE, ovvero lo stesso «[…] a) non deve rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 18), lettera c), né dell’allegato I, sezione C, punti da 4) a 10), della direttiva 2004/39/CE; b) devono esistere frequenti opportunità di cedere, riscattare o realizzare altrimenti tale strumento a prezzi che siano pubblicamente disponibili per i partecipanti al mercato e che siano i prezzi di mercato o i prezzi messi a disposizione, o convalidati, da sistemi di valutazione indipendenti dall’emittente; c) non deve implicare alcuna passività effettiva o potenziale per il cliente che vada oltre il costo di acquisizione dello strumento; d) devono essere pubblicamente disponibili informazioni sufficientemente complete e di agevole comprensione sulle sue caratteristiche, in modo tale che il cliente al dettaglio medio possa prendere una decisione informata in merito alla realizzazione o meno di un’operazione su tale strumento». 14 Si tratta delle Guidelines on certain aspects of the MiFID suitability requirements
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L’ulteriore recentissima riforma della disciplina europea delle imprese di investimento e dei mercati finanziari scaturisce dalla crisi finanziaria mondiale iniziata nel 2007, di cui ancora oggi si subiscono le conseguenze. Con riferimento specifico all’oggetto della nostra attenzione, la crisi porta alla luce tutte le debolezze e i limiti insiti nel modello di disciplina a tutela dell’investitore-risparmiatore orientato alla disclosure, quale quello adottato dal diritto europeo15. Dal 2010 si avvia il processo di revisione della MiFID con la Proposta della Commissione Europea del 20 ottobre 201116, cui segue una Proposta di modifica del Parlamento Europeo del 26 ottobre 201217. All’inizio del 2014 il Consiglio dell’Unione raggiunge un accordo di massima con il Parlamento Europeo sui testi della direttiva e del regolamento. Il recepimento e l’applicazione della nuova regolamentazione, costituita dalla Direttiva 2014/65/UE (c.d. direttiva MiFID II) e dal Regolamento n. 600/2014 (Regolamento MiFIR)18, originariamente previsti per il 3 gennaio 2017, sono stati di recente (il 10 febbraio 2016) posticipati di un anno (3 gennaio 2018) «per prendere in considerazione le eccezionali difficoltà di applicazione delle regole a cui devono fare fronte i regolatori, così come i partecipanti al mercato»19.
(ESMA/2012/387), consultabili al link http://www.esma.europa.eu/system/ files/2012-387_ it.pdf. In dottrina, cfr. Callegaro, Orientamenti su alcuni aspetti dei requisiti di adeguatezza della direttiva MiFID, in www.dirittobancario.it.; Pellegrini, Regole di comportamento e responsabilità degli intermediari, in I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione, cit., p. 213 ss. 15 Su tali limiti e inefficienze si veda diffusamente Perrone, Servizi di investimento e regole di comportamento. Dalla trasparenza alla fiducia, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, p. 31 ss. Individua nella normativa europea un modello orientato alla disclosure Moloney, How to protect investors. Lessons from the EC and the UK, Cambridge, 2010, p. 289 ss. 16 Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on markets in financial instruments repealing Directive 2004/39/EC of the European Parliament and of the Council, 20 ottobre 2011. 17 Per un’approfondita disamina del processo di revisione della MiFID e dei motivi alla base del medesimo, si rinvia a Ferrarini and Moloney, Reshaping Order Execution in the EU and The Role of Interest Group: from MiFID I to MiFID II, in 13 European Business Organization Law Review, 2012, p. 557 ss. 18 Entrambi emanati il 15 maggio 2014 e pubblicati sull’Official Journal il 12 giugno 2014. 19 Si vedano gli emendamenti alla direttiva e al regolamento del 10 febbraio 2016, reperibili al link http://ec.europa.eu/finance/securities/isd/mifid2/index_en.htm. Rimane invece invariata la scadenza per l’adozione delle misure di “livello 2” che la Commissione dovrà adottare sulla base e nei limiti delle previsioni di cui alla normativa di “livello 1”
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Intanto, l’ESMA, legittimata dalle numerose previsioni contenute nella direttiva e nel regolamento in ordineall’emanazione della “level 2 legislation” per la relativa approvazione, ha pubblicato e inviato alla Commissione due set di Draft Regulatory and Implementing Technical Standards20 in materia di best execution (informazioni riguardanti la qualità dell’esecuzione – per le sedi di esecuzione e le imprese di investimento – e le principali sedi di esecuzione utilizzate – per le imprese di investimento) e di aspetti operativi e di cooperazione tra Autorità (autorizzazione di imprese di investimento, registrazione di imprese di Paesi terzi, scambio di informazioni tra Autorità di vigilanza in attività di cooperazione). A questi si aggiunge il Final Report, pubblicato in data 19 dicembre 2014, contenente il Technical Advice (TA) per gli atti delegati della Commissione Europea (direttiva di livello 2) in tema di requisiti organizzativi (governance relativa agli strumenti finanziari, conflitti di interesse, funzione di compliance, reclami dei clienti, salvaguardia degli strumenti finanziari e dei fondi dei clienti, registrazioni telefoniche ed elettroniche), regole di condotta (consulenza, incentivi, informazioni e comunicazioni periodiche alla clientela, adeguatezza e appropriatezza, remunerazione) e poteri-intervento su prodotti, attività e prassi (fattori e criteri per determinare l’esistenza di minacce/preoccupazioni significative in materia di protezione degli investitori, ordinato funzionamento e integrità dei mercati finanziari e delle merci e stabilità del sistema finanziario)21. Inoltre, per ciò che concerne il “level 3 measures” l’ESMA ha finora pubblicato le linee guida in materia di crossselling (di competenza del Comitato congiunto)22, di requisiti di conoscen-
(MiFID II/MIFIR). Per un esame dell’iter normativo della nuova normativa, si rinvia a Scopelliti, La disciplina dei mercati: introduzione alla trasparenza, in Consob, Workshop sulle misure di Livello 2 della Mifid II / MiFIR, 22 luglio 2014; Id., La disciplina dei mercati, in Consob, Workshop sulle misure di Livello 2 della Mifid II / MiFIR 14 luglio 2014. 20 Si vedano il Final Report seguito dai Regulatory Technical and Implementing Standards – Annex I MiFID II/MiFIR (ESMA/2015/1464), pubblicati in data 28 settembre 2015, il Final Report (ESMA/2015/1858) dell’11 dicembre 2015 e il Final Report (ESMA/2015/1006), pubblicato il 29 giugno 2015. Essi sono reperibili al link https://www. esma.europa.eu/sites/default/files/library/2015/11/2015-esma-1464_-_final_report_-_ draft_rts_and_its_on_mifid_ii_and_mifir.pdf. 21 Il Final Report - ESMA’s Technical Advice to the Commission on MiFID II and MiFIR (ESMA/2015/1569) è disponibile al link https://www.esma.europa.eu/sites/ default/files/library/2015/11/2014-1569_final_report_-_esmas_technical_advice_to_the_ commission_on_mifid_ii_and_mifir.pdf. 22 Cfr. Final Report - Guidelines on crossing-selling practices (ESMA/2015/1861), disponibili su http://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/2015-1861_final_ report_on_guidelines_on_cross-selling_practices.pdf.
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za e competenza dello staff23 e di strumenti finanziari complessi24. Gli obiettivi generali della MiFID II sono sostanzialmente rinvenibili nel rafforzamento della fiducia degli investitori, nella riduzione dei rischi di turbolenze dei mercati e di problemi sistemici e nel miglioramento dell’efficienza dei mercati finanziari, riducendo al contempo i costi inutili per i partecipanti. Il perseguimento delle finalità di carattere generale richiede il raggiungimento dei seguenti obiettivi strategici: garantire ai partecipanti al mercato condizioni eque di concorrenza; aumentare la trasparenza per i partecipanti al mercato; garantire una maggiore trasparenza verso le autorità di regolamentazione; assegnare a queste ultime maggiori poteri e migliorarne il coordinamento a livello europeo; aumentare la protezione degli investitori; affrontare le lacune organizzative e le assunzioni di rischio eccessive o la mancanza di controllo da parte delle imprese di investimento e dei gestori del mercato. Tra le aree d’intervento modificativo interessate dalla riforma25, la no-
23 Guidelines for the assessment of knowledge and competence (ESMA/2015/1886), pubblicate il 22 marzo 2016, disponibili su https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/ library/2015-1886_-_final_report_on_guidelines_for_the_assessment_of_knowledge_ and_competence.pdf. 24 Guidelines on comlex debt instruments and structured deposits (ESMA /2015/1787), pubblicate il 4 febbraio 2016, consultabili al link https://www.esma.europa.eu/sites/ default/files/library/2015-1787_-_guidelines_on_complex_debt_instruments_and_ structured_deposits.pdf. 25 Oltre alla tutela degli investitori, la MiFID II riforma la disciplina precedente con riferimento a: - ambito di applicazione: introduzione di un nuovo servizio di investimento rappresentato dalla gestione di sistemi di negoziazioni organizzati (Organised Trading Facilities o OTF); introduzione di una nuova categoria di strumenti finanziari costituita dalle quote di emissione e contratti derivati aventi ad oggetto quote di emissione; modifica in senso restrittivo di alcuni regimi di esenzione applicabili a intermediari che negoziano materie prime e market makers (prestazione di servizi di negoziazione intragruppo, riformulazione di esenzioni riguardanti le commodity firms e soggetti che negoziano esclusivamente in conto proprio, market makers, soggetti che fanno ricorso a tecniche di negoziazione ad alta frequenza con utilizzo di algoritmi nonché soggetti che eseguono gli ordini della clientela); - disciplina dei mercati: rafforzamento degli strumenti diretti a favorire, quando non a imporre, lo svolgimento delle negoziazioni all’interno di sistemi di negoziazione regolamentati o internalizzatori sistematici; riformulazione della disciplina degli internalizzatori sistematici; estensione dei regimi di trasparenza pre e post-trading a una gamma più ampia di strumenti di capitale e di debito; rafforzamento degli strumenti volti a favorire l’accesso alle strutture di regolamento e ad aumentare la concorrenza tra controparti centrali e sedi di negoziazione;
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stra attenzione si concentrerà sulla rinnovata disciplina in tema di tutela degli investitori, che è costruita sostanzialmente intorno a tre momenti: - l’introduzione di misure specifiche in tema di prodotti finanziari, c.d. product regulation (disposizioni in materia di product governance, conoscenze e competenze adeguate del personale, divieto di politiche di remunerazione del personale volte ad incentivare la distribuzione di un particolare prodotto, riduzione della categoria di strumenti ammessi al regime di execution only, poteri di product intervention); - la definizione delle caratteristiche del servizio di consulenza indipendente (requisiti per la consulenza indipendente, disciplina di fees e inducements, gestione dei conflitti di interesse); - il rafforzamento della normativa sulla valutazione di adeguatezza e degli obblighi di comunicazione alla clientela (integrazione delle informazioni dal cliente, sulla raccomandazione di un pacchetto di prodotti o servizi, nuovi obblighi di informazione pre-contrattuale e di comunicazione su costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori). L’implementazione della nuova disciplina dovrebbe tendere al superamento delle inefficienze del modello di tutela dell’investitore orientato alla trasparenza verso l’adozione di strumenti di protezione del cliente più efficaci26. Le teorie della law on the books e della law in action formulate
- disciplina dei derivati sulle materie prime: revisione/rimozione delle esenzioni MiFID con riferimento alle “commodity firms”; maggiori poteri per i regolatori di mercato al fine di gestire e controllare in modo più rigoroso le transazioni in derivati sulle materie prime; position limit e reporting per i derivati su commodity e diritti di emissione; - rapporti con i paesi terzi: introduzione di un regime armonizzato per l’accesso ai mercati dell’Unione da parte di soggetti di paesi terzi basato su una valutazione di equivalenza dei paesi terzi svolta dalla Commissione; applicazione del nuovo regime unicamente alla prestazione di servizi e attività di investimento su base transfrontaliera nei confronti di investitori professionali e di controparti qualificate; per un periodo transitorio di tre anni e, successivamente, in pendenza delle valutazioni di equivalenza da parte della Commissione, applicazione delle disposizioni degli ordinamenti nazionali per l’accesso al mercato domestico da parte di intermediari di paesi terzi. Per una disamina delle novità introdotte dalla MiFID II si rinvia a Capriglione, Prime riflessioni sulla MiFID II, in Riv. trim. dir. econ., 2015, n. 2, I, p. 72 ss. Con riferimento specifico alle innovazioni apportate alla disciplina dei mercati v. Pace, I sistemi organizzati di negoziazione nella proposta di revisione della MiFID: un primo raffronto con le altre sedi di negoziazione, in Dir. banc. 2012, I, p. 485 ss. 26 «Le novità, in essi contenute, fanno compiere alla tutela dell’investitore l’accennato e consistente salto di qualità, per dirla con uno slogan, sembra si passi dalla trasparenza all’accudimento». Così si esprime Santoro, Crisi bancarie, ruolo dell’informazione e protezione del cliente, nell’articolo elaborato nell’ambito del Progetto Prin 2010/2011
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dalla Moloney27 si prestano alla valutazione prospettica della concreta portata delle rinnovate misure di difesa dell’investitore in strumenti finanziari.
2. Nuove misure in tema di prodotti finanziari (c.d. product regulation). 2.1. Product governance e product life cycle. Al fine di ridurre il rischio che i prodotti finanziari emessi e/o collocati non siano adeguati al cliente finale, la nuova disciplina in materia di product governance, contenuta negli artt. 16, § 3, e 24, § 2, della MiFID II, incide sulle tre fasi che caratterizzano il ciclo di vita di un prodotto finanziario: quella del concepimento e realizzazione, quella della distribuzione e commercializzazione e quella post-distribuzione. La normativa inerente alla prima fase (concepimento e realizzazione) è finalizzata a garantire “in anticipo” la coerenza tra le caratteristiche del prodotto finanziario realizzato e le esigenze di un determinato target di mercato. Si impone, infatti, alle imprese di investimento produttrici (product manufactures) l’innovativo compito di adottare, esercitare e controllare, prima della distribuzione o commercializzazione, per ogni strumento finanziario (o significativa modifica di quelli esistenti) un “processo di approvazione del prodotto” (product approval process) che precisi il target di clienti finali all’interno della specifica categoria di clientela (al dettaglio, professionale, qualificata) (c.d. target di mercato), garantisca che tutti i rischi rilevanti associati a tale target siano stati analizzati e assicuri la coerenza della prevista strategia distributiva con il mercato di riferimento individuato28. Non solo ma sulle fabbriche di
201078N8C_003, diretto dal prof. Santoro e presentato all’VIII Incontro ItaloSpagnolo di Diritto commerciale, Napoli 25 settembre 2015, “Crisi dell’impresa e ruolo dell’informazione”. 27 In merito alla rilevanza che, con riferimento al mercato al dettaglio, le tecniche di law in action assumono in uno con il law on the books ai fini di un intervento efficace ed effettivo, si rinvia a Moloney, How to protect investors. Lessons from the EC and the UK, cit. p. 29. 28 Più precisamente, la direttiva (art. 9, § 3) attribuisce la competenza in materia all’organo di gestione dell’impresa di investimento. In proposito, il Final Report dell’ESMA (ESMA/2014/1569 – ESMA’s Technical Advice to the Commission on MiFID II and MiFIR, 19 dicembre 2014) chiarisce (p. 98 s.) che l’organo di gestione deve avere un controllo effettivo sul processo, che le informazioni sui prodotti e sulla loro strategia
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prodotto ricade altresì l’obbligo di assumere tutte le misure necessarie affinché il prodotto ideato sia distribuito al target identificato (previsione della strategia distributiva). Le novità normative inerenti alla seconda fase (distribuzione) sono dirette ad assicurare che il prodotto sia “concretamente” distribuito al target individuato sulla base della verifica ex ante, vale a dire prima dell’acquisto del prodotto, dell’effettiva compatibilità dello stesso con le caratteristiche e le esigenze dello specifico cliente (suitability rule). Tale finalità è perseguita dalla direttiva attraverso la previsione di obblighi più stringenti rispetto alla precedente disciplina che ricadono sulle imprese di investimento distributrici. La nuova normativa impone ai distributori l’obbligo di conoscere le caratteristiche del prodotto e, tra queste, in particolare il target di mercato identificato dal produttore onde realizzare la propria strategia distributiva anche in funzione di questo elemento. Inoltre, si sancisce l’obbligo di adottare politiche retributive coerenti con le strategie distributive e volte a non incentivare il personale a distribuire prodotti inadeguati ovvero un prodotto invece di un altro che meglio soddisfi le esigenze del cliente (art. 24, § 10). Con riferimento specifico alle politiche di remunerazione, l’ESMA (Final Report on Technical Advice, p. 98 s.), sulla scia della previsione di cui all’art 9, § 3, della direttiva, raccomanda che ci siano precisi dispositivi di governance delle medesime, criteri generali per la pianificazione di tali politiche e limiti al coefficiente (dal fisso al variabile) della remunerazione. In aggiunta, le policies di remunerazione predisposte dall’organo di gestione dell’impresa di investimento dovrebbero essere approvate dalla funzione di compliance. Questi principi dovrebbero essere applicati in senso ampio, a tutte quelle persone che potrebbero avere un impatto sulla capacità dell’impresa di rispettare i suoi obblighi
di distribuzione devono essere incluse sistematicamente nei rapporti della funzione di compliance all’organo di gestione, tanto che viene stabilita una responsabilità specifica dell’organo di gestione. I rapporti della compliance divengono anche uno strumento per attuare la vigilanza da parte delle autorità nazionali competenti, perché devono essere alle stesse trasmessi ove richiesti. L’ESMA aggiunge che, nella fase di concepimento di un nuovo prodotto, questo deve essere esaminato al fine di evitare che la sua struttura possa generare un conflitto con gli interessi del cliente o possa avere un effetto sull’integrità del mercato (e.g. qualora l’impresa detenga in proprio il sottostante del prodotto e il nuovo prodotto permetta all’intermediario di mitigare o ridurre i propri rischi o esposizioni sul sottostante del prodotto). Pertanto, si sollecita implicitamente un’analisi dei conflitti di interesse che si possono generare tra le potenziali posizioni del cliente e dell’intermediario che agisce per proprio conto.
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di agire correttamente, onestamente e professionalmente in accordo con il miglior interesse del cliente (sia retail che non-retail). La normativa appena esaminata in materia di remunerazione del personale, chiaramente diretta ai distributori dei prodotti (ancor più se questi coincidono con i produttori), nasce dalla consapevolezza che molto spesso l’aspettativa di una remunerazione maggiore derivante dal piazzamento di un determinato prodotto piuttosto che di un altro più conforme all’interesse del cliente condiziona sensibilmente le politiche distributive. Essa è, quindi, finalizzata, come esplicitamente dichiarato nell’art. 9, § 3, della MiFID II, alla prevenzione dei conflitti di interesse nelle relazioni tra impresa di investimento e investitore, nell’ottica di garantire che l’offerta o la raccomandazione avvenga nel concreto solo se la stessa sia nell’interesse del cliente. Nella medesima direzione si muove altresì la richiesta da parte della direttiva che il personale incaricato di fornire la consulenza ovvero informazioni su prodotti/servizi sia in possesso di specifici requisiti di competenza e professionalità, onde addivenire all’effettiva e approfondita conoscenza dei prodotti offerti, rimettendo agli stati membri il compito di definire i criteri in base ai quali si ritengano soddisfatti i suddetti requisiti29. Contestualmente, alle imprese di investimento è richiesto di garantire e dimostrare alle Autorità vigilanti che il personale addetto alla prestazione dei servizi di investimento abbia conoscenze e competenze adeguate. Venendo, infine alla terza fase, quella post-distribuzione, la riforma della disciplina è volta a verificare regolarmente la coerenza nel tempo tra caratteristiche dello specifico prodotto finanziario ed esigenze del target di clientela a cui esso è destinato nonché il permanere dell’idoneità della prevista strategia distributiva, attraverso l’imposizione alle imprese distributrici dell’obbligo di riesaminare regolarmente i prodotti offerti o commercializzati, tenendo conto di qualsiasi evento che possa incidere sui rischi potenziali per il mercato target30.
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Sulla base delle linee guida eleaborate dall’ESMA in materia v. nt. 27. Le proposte dell’ESMA (Final Report on Techincal Advice, p. 55 ss.) in materia di product governance riguardano sia i produttori sia i distributori. Con riferimento ai produttori, l’ESMA raccomanda di: - adottare procedure e misure volte ad assicurare la corretta gestione dei conflitti di interesse quale parte del processo di progettazione, realizzazione e sviluppo del prodotto; - assicurare un’effettiva supervisione e controllo sul processo di progettazione e realizzazione del prodotto; - valutare il potenziale mercato di riferimento al fine di ridurre il rischio di vendita 30
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La nuova disciplina induce ad alcune osservazioni immediate. Non c’è dubbio che la stessa, anticipando la tutela del cliente al momento della realizzazione del prodotto31, risulti apprezzabile. La necessità di siffatta anticipazione della tutela scaturisce dalla percezione che la crescente complessità e sofisticazione dei prodotti creati dall’ingegneria finanziaria possa compromettere la capacità dell’investitore di assumere scelte di investimento consapevoli32, aumentandone dunque la vulne-
agli investitori di prodotti inadeguati; - mettere i distributori nelle condizioni di capire e vendere i prodotti correttamente; - rivedere e valutare i rischi di scarsi guadagni per gli investitori in relazione agli strumenti finanziari. L’ESMA raccomanda altresì l’introduzione del dovere per i product manufactures di dimostrare che gli strumenti finanziari prodotti funzionino come previsto. Per i distributori, l’Autorità di vigilanza europea propone di: - adottare procedure chiare di product governance per assicurare che strumenti finanziari e servizi adeguati siano offerti al corretto target di clientela; - procedere alla revisione periodica di tali procedure affinché queste rimangano idonee allo scopo; - fornire ai produttori informazioni sulla vendita al fine di contribuire al soddisfacimento delle loro responsabilità di governance del prodotto post-vendita; - coinvolgere la funzione di compliance e di gestione nello sviluppo e nella revisione dei prodotti e dei relativi meccanismi di governance. Qualora esista una catena di imprese nella distribuzione di uno strumento finanziario, le norme di livello 2 richiedono che ogni impresa di distribuzione intermedia debba garantire che le informazioni rilevanti sullo strumento finanziario passino dal produttore al distributore finale della catena. 31 Cfr. sul punto: Morlino, La Product Governance nel nuovo regime MiFID II, in www.dirittobancario.it; Id., La revisione della MiFID, regole di condotta a carico degli intermediari, intervento al convegno La revisione della MiFID, Milano, 28 ottobre 2014; Lener, Bonante, MiFID 2 / MiFIR: principali impatti sugli intermediari che prestano servizi di investimento, intervento al convegno La revisione della MiFID, Milano, 28 ottobre 2014; Lener e Lucantoni, Regole di condotta nella negoziazione degli strumenti finanziari complessi: disclosure in merito agli elementi strutturali o sterilizzazione, sul piano funzionale, del rischio come elemento tipologico e/o normativo?, in Banca, borsa, tit. cred., 4, 2012, p. 369 ss., per i quali il sistema tradizionale, basato sul principio della disclosure preventiva delle informazioni, si è dimostrato insoddisfacente in presenza di prodotti finanziari talmente complessi da non poter essere compresi non solo dal cliente medio ma dallo stesso offerente (promotore finanziario, dipendente bancario, operatore postale). Per tale motivo, la Consob e la giurisprudenza italiana, secondo gli Autori, hanno cercato di colmare le lacune di tutela con una difesa maggiormente paternalistica rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea. Tale fenomeno di gold plating, esplicito (quello della Consob) e implicito (della giurisprudenza), rischia però di allontanare la finanza italiana dalle altre piazze in termini concorrenziali. 32 Cfr. Capriglione, Prime riflessioni, cit., p. 92.
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rabilità. Il rovescio della medaglia è che nella pratica questa sorta di “valutazione di adeguatezza anticipata” si sostituisca alla “valutazione di adeguatezza finale” fatta dal distributore; cosa sicuramente inaccettabile per i seguenti motivi. Il fatto che la valutazione di adeguatezza eseguita dal distributore terrà conto di quella preventivamente attuata dall’ideatore non toglie che quest’ultima è pur sempre effettuata in astratto, avendo a riferimento non il singolo investitore e le sue concrete peculiarità ma classi omogenee (in termini di tolleranza al rischio, obiettivi di investimento e capacità finanziaria) di potenziali investitori. Se così non fosse, l’obbligo del distributore della valutazione di adeguatezza del prodotto in relazione allo specifico cliente non avrebbe alcuna ragion d’essere. Non solo ma l’eventuale sostituzione nella valutazione comporterebbe notevoli incertezze in termini di ripartizione di responsabilità tra produttore e distributore33, se non addirittura nella totale eliminazione della responsabilità di quest’ultimo. Lodevole in termini di controllo reciproco sulle rispettive product governance policies risulta l’intensità dei flussi informativi richiesta dalla direttiva tra produttori e distributori. Ciò naturalmente implicherà l’adozione di procedure da parte degli intermediari (produttori e distributori) per la trasmissione e la ricezione, da una parte (i.e. dal produttore al distributore), delle informazioni necessarie a comprendere le caratteristiche dei prodotti distribuiti e il relativo target di clientela e, dall’altra (i.e. dal distributore al produttore), delle informazioni sulle vendite al fine di supportare i produttori nell’attività di verifica periodica dei prodotti34. Il pericolo è che l’aggravio di costi derivanti da tale processo di revisione interna si riversi sull’investitore finale a cui l’intermediario sarà indotto a trasferire i relativi oneri, sotto forma di incremento delle commissioni. A ciò si aggiunga un’ulteriore questione connessa al potere di intervento ex post e di natura sanzionatoria (art. 69, § 2, lett. t) della MiFID II) riconosciuto alle Autorità di vigilanza nazionali sui processi di governo del prodotto realizzati dalle imprese di investimento (produttrici e distributrici), qualora questi non siano organizzati in maniera tale da promuo-
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Cfr. Capriglione, Prime riflessioni, cit., p. 93. Cfr. Capriglione, Prime riflessioni, cit., che sottolinea (p. 93) il «significativo coinvolgimento del management dell’intermediario nel predisporre “procedure amministrative e contabili sane…meccanismi di controllo interno… procedure efficaci per la valutazione del rischio” (art. 16, comma quinto, secondo alinea), vale a dire un apparato tecnico organizzativo coerente con le politiche commerciali e di business adottate, in modo da garantire il soddisfacimento dei bisogni degli investitori serviti». 34
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vere gli interessi dei clienti e l’integrità del mercato finanziario. Poiché il regime di governance del prodotto è in gran parte non sperimentato e non sufficientemente specificato, rimangono scarsamente definiti i confini della discrezionalità delle Autorità nell’intraprendere azioni di enforcement formali con l’applicazione di sanzioni pecuniarie o altre sanzioni amministrative previste dalla legge (art. 70, § 1). Tale preoccupazione aumenta quando si pensi che gli organismi di vigilanza nazionali ricorrono frequentemente all’uso di prassi di enforcement informali (e.g. confronto con le istituzioni finanziarie sugli scarsi risultati del prodotto) che non di rado si traducono nell’imposizione della visione che le Autorità hanno di ciò che costituisce un “buon prodotto finanziario”, con conseguente rischio di eccessiva ingerenza del controllore sulle policies aziendali interne degli intermediari finanziari35. 2.2. Prodotti complessi. Sempre in tema di prodotti, il potenziamento della tutela dell’investitore è perseguito dalla MiFID II (art. 24, § 4, lett. a))36 attraverso la contrazione rispetto alla precedente disciplina dell’insieme degli strumenti sui quali è possibile prestare il servizio di execution only (che implica la possibilità per i clienti di comprare e vendere strumenti finanziari senza l’applicazione dei principi di adeguatezza (suitability) e/o appropriatezza), ergo ampliando specularmente la categoria dei prodotti complessi. In particolare, si escludono dalla lista dei prodotti per i quali è applicabile la disciplina meno stringente dell’execution i fondi comuni strutturati e, in taluni casi, i depositi strutturati.
35 Cfr. Cherednychenko, Public and Private Enforcement of European Private Law in the Financial Services Sector, in European Review of Private Law, 4-2015, p. 621 ss., in part. p. 627 ss. 36 Sono considerati strumenti finanziari ammissibili al regime di execution only: le azioni ammesse alla negoziazione in RM o MTF o RM Equivalente di paese terzo (escluse azioni di OICR diversi da OICVM e azioni con componenti derivate); le obbligazioni e altre forme di debito cartolarizzate, ammesse alla negoziazione in RM EU o Equivalente O MTF (escluse quelle con componenti derivate ovvero con struttura che rende difficile per il cliente la comprensione del rischio associato); gli strumenti del mercato monetario (esclusi quelli con componenti derivate o con struttura che rende difficile la comprensione del rischio associato); le azioni o quote in OICRVM (esclusi gli OICVM strutturati con componente derivata dei proventi del fondo); i depositi strutturati (esclusi quelli con struttura che rende difficile la comprensione del rischio associato o uscire anticipatamente dal fondo); gli altri strumenti finanziari non complessi.
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In proposito, il rilievo da fare al legislatore comunitario della riforma concerne la sua rinuncia ancora una volta a fornire una definizione generale di “prodotti complessi”, lasciando, come la precedente normativa, alle Autorità nazionali competenti un’ampia discrezionalità in materia. Gli unici paletti che la direttiva pone all’uso di tale potere da parte degli stati membri sono ricavabili dalle norme concernenti il regime di execution only. Queste forniscono, da una parte, come già detto, un elenco, peraltro aperto, di prodotti non complessi, da cui ricavare per differenza quelli complessi, e, dall’altra, nel rimettere alle Autorità europee e nazionali competenti il compito di definire più precisamente i criteri di selezione degli strumenti finanziari non complessi, con alcune indicazioni di massima, ai fini della selezione, relative a talune peculiarità la cui presenza o assenza serve al minimo a qualificare un prodotto, rispettivamente, come complesso o non complesso. L’80° considerando della direttiva, infatti, impone che la categoria dei prodotti complessi comprenda quantomeno: - quelli che incorporano uno strumento derivato; - quelli con una struttura che rende difficile per il cliente comprendere il rischio associato; - azioni di organismi di investimento collettivo diversi dagli OICVM; - OICVM strutturati. Ci sembra che le indicazioni della direttiva siano troppo scarse per delimitare la discrezionalità degli ordinamenti nazionali e che l’ampliamento del gold plating in una materia così delicata non potrà non rivelarsi foriero di futuri arbitraggi normativi37. Si spera che le misure di
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Con riferimento specifico all’ordinamento nazionale, ricordiamo che nel vigore della MiFID, la Consob è intervenuta sul punto con la Comunicazione n. DIN/9019104 del 2 marzo 2009 8 disponibile su http://www.consob.it/documenti/bollettino2009/c9019104. pdf) concernete Il dovere dell’intermediario di comportarsi con correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi, che anticipa in parte il contenuto degli Orientamenti su alcuni aspetti dei requisiti di adeguatezza della direttiva MiFID elaborati dall’ESMA nel 2012 (disponibili al link http://www.esma.europa.eu/system/ files/2012-387_ it.pdf). Il documento dell’Autorità di vigilanza nazionale si articola sostanzialmente in due parti: la prima individua gli elementi essenziali dei prodotti finanziari illiquidi e la seconda le regole alla base della relativa commercializzazione. Per un’analisi approfondita del documento Consob si rinvia a Brozzetti, La negoziazione dei prodotti illiquidi, in I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione, cit., p. 305 ss. L’Autrice (p. 315 s.) apprezza il contenuto del documento di vigilanza «[...] sia per la ricerca nel contesto regolamentare dato di spazi di manovra tali da aumentare la “qualità” della regolamentazione del nostro paese, sia per la capacità di porsi come una sorta di laboratorio sperimentale in vista
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livello 3 recentemente emanate dall’ESMA in materia38 saranno in grado di promuovere effettivamente un’uniforme disciplina degli strumenti finanziari complessi tra gli stati membri. 2.3. Product intervention. All’ambito della disciplina in materia di product governance sono, infine, riconducibili i poteri di product intervention attribuiti alle Autorità finanziarie, nazionali ed europee. Gli artt. da 39 a 43 del Regolamento MiFIR conferiscono all’ESMA, all’EBA e alle Autorità nazionali i nuovi poteri di proibire temporaneamente o vietare (Autorità nazionali) ovvero limitare la commercializzazione, la distribuzione o la vendita di determinati strumenti finanziari o attività finanziarie (ESMA e Autorità nazionali) o determinati depositi strutturati (EBA e Autorità nazionali), qualora sussista un timore significativo in merito alla protezione degli investitori, o una minaccia all’ordinato funzionamento e all’integrità dei mercati finanziari o dei mercati delle merci, o alla stabilità dell’insieme o di una parte del sistema finanziario (dell’UE per ESMA e EBA; domestico per Autorità nazionali). Questi poteri sono esercitabili in via precauzionale, anche prima della commercializzazione dello strumento. Quando i poteri sono esercitati dalle Autorità nazionali, queste hanno l’obbligo di comunicazione preventiva alle altre Autorità competenti interessate e all’ESMA. Alla Commissione è attribuito il compito di adottare atti delegati al fine di specificare i criteri e i fattori che l’ESMA, l’EBA e le Autorità nazionali sono tenute a prendere in esame nel compiere la propria valutazione ai fini dell’intervento sul prodotto. In particolare, tali criteri e fattori includono: a) il grado di complessità di uno strumento finanziario e la relazione con il target di mercato cui esso è destinato; b) l’entità dell’emissione del medesimo; c) il grado di innovazione dello strumento; d) l’effetto leva dello stesso. L’ESMA propone (Finan Report on Technical Advice, p. 190 ss.) ulteriori dettagli in merito ai criteri e ai fattori che dovrebbero essere considerati ai fini dell’opportunità di un intervento sul prodotto da parte delle autorità competenti. In particolare, la flessibilità dovrà essere la chiave di valutazione, in quanto le autorità dovranno essere capaci di rispondere
dell’“esportazione” della medesima a livello europeo». 38 V. nt. 24.
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a un range di situazioni eccezionali, alcune delle quali correlate a nuovi strumenti finanziari che non rispondono ai criteri stabiliti. In sostanza, L’ESMA ritiene che non dovrebbero esserci limiti quantitativi specifici e che tali poteri dovrebbero essere usati con parsimonia. In aggiunta, l’Autorità di vigilanza europea rileva che i fattori e criteri indicati non devono applicarsi cumulativamente e che gli stessi non rappresentano un elenco esaustivo ma sono semplicemente elementi che dovrebbero essere presi in considerazione. Rispetto alla precedente disciplina39, sicuramente significativo ai fini della tutela dell’investitore è il potenziamento dei poteri di intervento sul prodotto delle Autorità di vigilanza nazionali e, in subordine40 e in via temporanea, europee; potenziamento conseguito soprattutto attraverso la traslazione, nel rectius l’affiancamento del controllo (peraltro alquanto inefficace) da un momento meramente ex post (peraltro alquanto inefficace) sulle transazioni, ancorato alla verifica della normativa, ad un stadio ex ante che conferisce al controllo natura proattiva, incardinando tale funzione sulla possibilità concreta di sospendere in via cautelativa e anticipata la commercializzazione di un prodotto o la prestazione di un servizio41. Cosa che oltretutto comporta, in via speculare, un aumento di responsabilità delle autorità42.
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Ricordiamo che l’art. 50 della MIFID limitava il perimetro dell’intervento sul prodotto da parte delle autorità di vigilanza a poteri di accesso a documenti e registrazioni, informativi, ispettivi, interdittivi di pratiche contrarie alle disposizioni della direttiva e dell’attività professionale, di sequestro, sospensivi delle negoziazioni e di ritiro di uno strumento finanziario dalla negoziazione, di rapporto all’autorità giudiziaria ai fini della promozione dell’azione penale, e in generale di adozione di qualunque tipo di misura per garantire che le imprese di investimento e i mercati regolamentati continuassero a rispettare gli obblighi di legge. Queste modalità di controllo ex post sul prodotto sono oggi riprodotte nell’art. 69 della MiFID II. 40 In realtà, come sostiene Capriglione, Prime riflessioni, cit., p. 94 s., l’attività delle Autorità di settore europee «presenta un’efficacia di carattere generale, destinata a prevalere sull’azione delle amministrazioni di controllo domestiche, pur configurandosi […] sussidiaria rispetto a questa ultima». 41 Finora gli unici strumenti a disposizione delle autorità nazionali per il controllo sulla distribuzione dei prodotti erano limitati all’esame preventivo dei bilanci e dei prospetti. La protezione dell’investitore da parte della vigilanza è stata assicurata sostanzialmente da un controllo sulla corretta formazione del prezzo di mercato, come tale circoscritta alle operazioni di sollecitazione e, quindi, di scarsa efficacia in un mercato al dettaglio. Sul punto, si veda Perrone, Sistema dei controlli e mercato dei capitali, in Riv. soc., 2011, p. 841 ss. 42 Attesa l’esiguità e l’astrattezza dei poteri di vigilanza ex ante ed ex post, scarse sono
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In virtù delle nuove disposizioni il potere delle autorità di vigilanza sulla product governance delle imprese si esplica, dunque, sin dalla fase di ideazione e realizzazione del prodotto, avendo le autorità la possibilità di conoscere in anticipo, attraverso la lettura dei rapporti di compliance dei product manufactures, l’adeguatezza seppure astratta dei prodotti e la correttezza delle strategie distributive previste, onde assumere decisioni di intervento tempestive43. Rimane da vedere come il potere sarà esercitato nella pratica e se saranno imposti limiti al suo utilizzo da parte dei tribunali. È del tutto evidente che le disposizioni in tema di product intervention sono suscettibili di tradursi in misure eccessive di “paternalismo autoritario”, in quanto strumento nelle mani delle autorità di vigilanza europee e nazionali d’ingerenza nelle policies d’impresa, cui peraltro si accompagnano misure di difesa limitate a favore dell’intermediario. E quando si pensi che, tra i presupposti per l’intervento sui prodotti, la direttiva considera la relativa complessità, siffatta preoccupazione diventa ancor più fondata, attesa la mancanza, come già rilevato, di una definizione normativa sufficientemente oggettiva di prodotti complessi che individui con precisione la disciplina più stringente in termini di obblighi di condotta e doveri informativi applicabile al servizio di investimento in cui s’inseriscono. A riprova di quanto abbiamo detto si pone, con riferimento all’ordinamento italiano, la Comunicazione Consob del 22 dicembre 2014
state le pronunce giurisprudenziali nazionali in tema di responsabilità della Consob e della Banca d’Italia per omessa vigilanza. Per approfondimenti in materia si rinvia a: Franzoni, La responsabilità civile delle Authorities per omissione di vigilanza, in Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, 2006, p. 278 ss.; G. Scognamiglio, La responsabilità civile della Consob, ibidem, p. 281 ss. In materia di responsabilità da prospetto, si veda Cass., 3 marzo 2001, n. 3132, in Foro it., I, 1139 ss., con nota di Palmieri; in Dir. banc., 2001, 525 ss., con nota di Niutta e Jovino, La responsabilità della Consob nell’ipotesi di omessa vigilanza su una sollecitazione del pubblico risparmio con emissione di titoli atipici; in Giur. comm., 2002, II, 5 ss., con nota di Scotti, Diffusione di informazioni inesatte tutela degli investitori, configurazione della responsabilità della Consob per omessa vigilanza; in Giur. it., 2001, I, 2269 ss., con nota di D’Auria, La responsabilità civile della Consob, profili civilistici. Sulla responsabilità della Banca d’Italia si veda Cass. S.U., 27 ottobre 1994, n. 8836, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, II, 525 ss., con nota di C. Scognamiglio, Responsabilità dell’organo di vigilanza bancaria e danno meramente patrimoniale. 43 Cfr. Adria, MiFID2: le proposte ESMA sulle regole di condotta degli intermediari, intervento al Forum annuale ABI, Banche servizi di investimento e clientela retail, Milano, 16 ottobre 2014.
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(divenuta operativa dal 1° luglio 2015) in materia di distribuzione di prodotti complessi alla clientela retail; comunicazione adottata appunto nel solco dei poteri di product intervention tracciati dal regolamento MiFIR. Tale documento solleva, oltre alle proteste degli operatori44, numerose perplessità in merito alla legittimità del suo contenuto45, di là dai dubbi sull’esistenza in tale ambito dei presupposti per l’adozione di misure di gold plating richiesti dalla direttiva (eccezionalità, giustificazione obiettiva, proporzionalità). Il documento della Consob si colloca a valle degli orientamenti dell’ESMA in materia di distribuzione di prodotti complessi e in materia di product governance dei prodotti strutturati diretti al retail46, dei quali si richiede il rispetto da parte degli intermediari nella definizione delle policies aziendali. Nel recepire le opinions dell’Autorità europea in merito alle cautele e ai presidi organizzativi di cui si raccomanda l’adozione da parte degli intermediari nelle fasi di ideazione, realizzazione, selezione e distribuzione di prodotti complessi, le disposizioni dell’Autorità nazionale apportano una serie di integrazioni, soprattutto con riferimento alla fase distributiva, che non sempre appaiono condivisibili e legittime. In particolare, la Consob si spinge nell’individuazione, a titolo esemplificativo, dei prodotti a complessità molto elevata e tra queste tipologie di strumenti ne individua cinque47 per le quali gli intermediari dovrebbero astenersi dal consigliarle e distribuirle agli investitori al dettaglio. Qualora l’intermediario, sotto la propria responsabilità, disattenda la predetta raccomandazione, esso sarà comunque chiamato ad adottare cautele e presidi organizzativi ulteriori e specifici rispetto a quelli richiesti in via generale (conformi alle indicazioni dell’ESMA), volti a contenere in maniera sostanziale l’innalzato rischio di non conformità. Tra questi requisiti la Consob
44 Cfr., ex multis, ABI, Risposta alla consultazione Consob sulla distribuzione di prodotti complessi ai client retail, 21 luglio 2014. 45 Cfr. Tofanelli, La comunicazione Consob sulla distribuzione di prodotti complessi, in FCHub, 10 aprile 2015. 46 Cfr. Opinion del 7 febbraio 2014 recante “MiFID practices for firms selling complex products” ed Opinion del 27 marzo 2014 recante “Structured Retail Products – Good practices for product governance arrangements”. 47 Trattasi di: i. prodotti finanziari derivanti da operazioni di cartolarizzazione; ii. prodotti finanziari per i quali sia prevista la conversione in azioni o la decurtazione del valore nominale; iii. prodotti finanziari credit linked; iv. strumenti finanziari derivati, non negoziati in trading venues, con finalità diverse da quelle di copertura; v. prodotti finanziari strutturati, non negoziati in trading venues, il cui pay-off non rende certa l’integrale restituzione a scadenza del capitale investito dal cliente.
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raccomanda, in particolare, il necessario abbinamento della commercializzazione del prodotto al servizio di consulenza, vel rectius di consulenza “evoluta”, e l’obbligo di informare il cliente della contrarietà dell’organo di vigilanza alla distribuzione dei prodotti indicati alla clientela retail. In prima battuta, appare opportuno rilevare la potenziale pericolosità insita nel correlare alla definizione di un elenco, peraltro aleatoria, l’applicazione di norme eccezionali rispetto al dettato comunitario (direttiva, regolamento e opinions dell’ESMA) che non contiene alcuna disposizione diretta a limitare la distribuzione di prodotti complessi a specifiche categorie di investitori. Analogamente, non esiste alcuna norma comunitaria che preveda l’affiancamento alla clientela al dettaglio di un consulente per la distribuzione di prodotti complessi. Non solo ma il riferimento ad una modalità di erogazione del servizio di consulenza c.d. “evoluta”, sebbene riscontrabile nella prassi degli intermediari finanziari, è sconosciuta all’ordinamento comunitario e anche nazionale, per cui mancano la certezza e l’oggettività dei requisiti che tale modello consulenziale dovrebbe avere per essere definito “evoluto” così da rispondere alla precisa condizione richiesta dalla Consob per la distribuzione, non ostante la raccomandazione contraria, di prodotti complessi ai clienti retail. Infine, ci chiediamo quanto possa essere efficace ai fini della protezione dell’investitore più sprovveduto, l’obbligo di informare quest’ultimo che l’organo di vigilanza ritiene il prodotto non adatto alle caratteristiche della sua categoria di appartenenza. In ogni caso, bisognerà aspettare la normativa comunitaria di dettaglio per trarre le giuste conclusioni in merito al se il documento della Consob in questione sia configurabile in termini di intervento anticipatorio rispetto al diritto europeo ovvero sia da mettere in discussione in considerazione del medesimo.
3. Nuove misure in materia di consulenza finanziaria. 3.1. Il servizio di consulenza su base indipendente. L’esigenza di disciplinare situazioni affatto diversificate nei rapporti tra intermediari e clienti, in grado di generare diverse modalità nella prestazione del servizio di consulenza, ha indotto il legislatore comunitario a predisporre tutele differenziate in funzione del diverso grado di fiducia e del diverso bisogno di protezione della clientela. In altre parole, con
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l’art. 24, § 7, della MiFID II si passa dalla tipizzazione “commerciale”48 alla tipizzazione normativa di una specifica modalità di erogazione del servizio di consulenza allo scopo di transitare da un modello di consulenza “orientato al prodotto” ad un modello “orientato al cliente”, in vista di una più ampia ed efficace tutela dell’investitore in strumenti finanziari. Partendo da una nozione di consulenza finanziaria unitaria mutuata dalla MiFID49, le norme contenute nella MiFID II e quelle di livello 2 proposte dall’ESMA (Final Report on Technical Advice, p. 147 ss.) disciplinano implicitamente tre tipi di consulenza in funzione dei quali si prevedono differenti livelli di tutela dell’investitore50. La normativa primaria contempla espressamente solo il servizio di consulenza su base indipendente. Tale servizio di investimento nella normativa di livello 2 è distinto dai servizi di consulenza “non indipendente” e di consulenza “ibrida” (indipendente e non indipendente insieme) che variano in funzione della complessità e della professionalità nella relativa prestazione. La direttiva introduce il concetto di “consulenza finanziaria su base indipendente”. Invero, la stessa non dà una definizione precisa di tale modello di consulenza ma indica due condizioni perché una consulenza possa definirsi tale. Ogni impresa di investimento che dichiara di
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I modelli di consulenza riscontrabili nella pratica sono il modello base, evoluto e top. Questi si caratterizzano per un diverso livello di complessità del servizio e di professionalità del consulente. 49 È consulenza in materia di investimenti la prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell’impresa di investimento, riguardo a una o più operazioni relative a strumenti finanziari (art. 4, § 1, n. 4, MiFID II). Sulla disciplina della consulenza in materia di investimenti finanziari contenuta nella MiFID si vedano, fra gli altri: Zitiello, La consulenza in materia di investimenti alla luce della Direttiva Mifid, in Studi sul rapporto tra banca e cliente, a cura di G.L. Greco, cit., p. 137 ss.; Amorosino, Profili pubblicistici della disciplina dell’attività di consulenza finanziaria, in AA.VV., Scritti in onore di Francesco Capriglione, Tomo I, Padova, 2010, p. 429 ss.; Sciarrone Alibrandi, Il servizio di “consulenza in materia di investimenti”: profili ricostruttivi di una nuova fattispecie”, ibidem, p. 597 ss. 50 In proposito alcuni Autori (Civale, Zitiello e Associati Studio legale, Consulenza e MiFID 2: il nuovo assetto a “geometria variabile”, in Diritto bancario, marzo 2015, disponibile su http://www.dirittobancario.it/approfondimenti/servizi-bancari-efinanziari/consulenza-e-mifid-2-il-nuovo-assetto-geometria-variabile) sottolineano l’avvio con la nuova disciplina comunitaria di un “processo di frantumazione” del servizio di consulenza in materia di investimenti che si articola secondo un muovo assetto a “geometria variabile” volto, da una parte, ad accrescere le tutele per gli investitori e, dall’altra e specularmente, gli spazi di autonomia e differenziazione degli intermediari che prestano il servizio.
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prestare un servizio di consulenza “su base indipendente” è obbligata a rispettare i due seguenti requisiti: - essa è obbligata a valutare una congrua gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato, sufficientemente diversificati per tipologia ed emittenti o fornitori, e non limitati agli strumenti emessi o forniti dall’impresa medesima ovvero da entità che con essa hanno stretti legami o rapporti legali o economici tali da compromettere l’indipendenza del servizio prestato; - essa non deve accettare o trattenere onorari, commissioni o altri benefici monetari o non monetari (inducements) pagati o forniti da terzi rispetto alla prestazione del servizio (quindi, fee only), ad eccezione di benefici non monetari di entità minima a certe condizioni. L’ESMA raccomanda che le imprese che offrono consulenza indipendente implementino un processo di selezione che consenta un confronto equo e appropriato all’interno un range adeguato di strumenti finanziari51. Il processo di selezione degli strumenti non deve essere influenzato da alcun interesse che l’impresa, entità collegate ovvero i suoi consulenti possano avere in relazione ad uno specifico strumento finanziario. Là dove non sia possibile alcun confronto di strumenti finanziari, l’impresa che eroga il servizio di investimento in esame non può dichiararsi indipendente. Il servizio di consulenza è, inoltre, presidiato (cfr. paragrafo 4.2) da disposizioni in materia di informativa pre-contrattuale prescritte dalla direttiva (art. 24, § 4). Le imprese di investimento devono comunicare il
51 Cfr., in particolare, ESMA, Final Report on Technical Advice, p. 147 s. L’Autorità di vigilanza europea pone l’accento sul processo di selezione degli strumenti finanziari oggetto della consulenza su base indipendente, processo che dovrà essere caratterizzato dai seguenti requisiti: - una selezione diversificata di strumenti finanziari per tipo, emittente o casa prodotto che non sia limitata agli strumenti finanziari emessi o distribuiti dallo stesso intermediario consulente o da soggetti che abbiano stretti legami o altri rilevanti legami economici o giuridici con l’intermediario; - il numero e la tipologia di strumenti finanziari considerati devono essere “proporzionati” al perimetro del servizio di consulenza offerto; - il numero e la tipologia di strumenti finanziari considerati devono essere “adeguatamente rappresentativi”, considerati gli strumenti finanziari disponibili sul mercato; - i criteri di comparazione dei diversi strumenti finanziari devono includere tutti gli aspetti rilevanti quali i rischi, i costi, la complessità e le caratteristiche della clientela target e devono assicurare che né la selezione degli strumenti finanziari che possono essere raccomandati né le raccomandazioni rivolte alla clientela siano non obiettive.
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costo del servizio, chiarire la base della consulenza che forniscono professionalmente e lo specifico tipo di consulenza che stanno prestando al cliente, la gamma di prodotti che offrono, la loro rischiosità, se i prodotti sono destinati alla clientela al dettaglio o professionale, se forniscono la valutazione periodica dell’adeguatezza dei prodotti raccomandati (e se la periodicità della comunicazione è regolare oppure connessa al verificarsi di determianti eventi), se la consulenza è basata su un’analisi del mercato ampia o più ristretta, se è limitata a strumenti finanziari emessi o forniti da entità in stretti legami o altro stretto rapporto legale o economico con il consulente52. In proposito, l’ESMA raccomanda di indicare al cliente anche la porzione specifica degli strumenti finanziari emessi da soggetti che non hanno stretti legami con il consulente. Agli obblighi di informativa inerenti alla fase pre-contrattuale si affiancano i doveri informativi che ricadono sull’intermediario nella fase di esecuzione del contratto. Le imprese di investimento devono specificare ai clienti, prima della transazione, il tipo di consulenza prestata e i motivi per cui questa corrisponda alle preferenze, agli obiettivi e alle altre caratteristiche del cliente al dettaglio (cfr. considerando 72 e art. 24, § 6, MiFID II). L’ESMA propone di prevedere la forma scritta del contratto di consulenza almeno allorché si sia in presenza di un rapporto di natura continuativa tra impresa e cliente. Ciò, da una parte, consentirebbe di distinguere una consulenza meramente spot da un rapporto continuativo di consulenza e, dall’altra, conferirebbe maggiore certezza al momento della definitiva conclusione del rapporto, a differenza della disciplina precedente che, diversamente dagli altri servizi principali, lasciava libertà di forma al contratto di consulenza53. In prima battuta, ciò che ci preme evidenziare in questa sede è l’esistenza di una potenziale incongruenza tra normativa di livello 1 e nor-
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L’ESMA (Final Report on Technical Advice) aggiunge che, qualora un’impresa presti contemporaneamente consulenza indipendente e non-indipendente (modello di consulenza “ibrido”), la stessa deve adottare specifiche cautele per evitare di ingenerare confusione nella clientela. In particolare, l’intermediario dovrà, in tempo utile e prima della prestazione del servizio, informare la clientela al dettaglio, su supporto duraturo, se la consulenza sarà su base indipendente o non indipendente, e non potrà presentarsi sul mercato come totalmente indipendente. Dovranno inoltre essere adottate specifiche procedure organizzative e di controllo volte ad assicurare che i due tipi di consulenza e il rispettivo personale addetto siano chiaramente separati. 53 Tale criticità con riferimento alla disciplina della consulenza contenuta nella MiFID è sottolineata da Zitiello, La consulenza, cit., p. 154.
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mativa di livello 2 in merito alla nozione stessa di consulenza e alle sue diverse sfaccettature. L’espressione utilizzata dall’ESMA, “independent” e “non-independent advice”, oltre che non conforme al dato normativo di livello 1, appare fuorviante giacché implicherebbe l’esistenza di una consulenza non indipendente54. Al contrario, la stessa MiFID II ci sembra che contempli un unico servizio di consulenza, che per definizione deve dare luogo a raccomandazioni55 sempre indipendenti, ossia formulate nell’esclusivo interesse del cliente, senza condizionamenti derivanti dall’eventuale ristrettezza degli strumenti finanziari raccomandati o dall’eventuale ricezione di commissioni dai produttori/emittenti56. Sarebbe, quindi, più corretto dire che la differenziazione di disciplina introdotta dalla MiFID II con riferimento al servizio di consulenza finanziaria riguardi non il servizio in sé (non si contemplano distinti servizi di consulenza) ma le modalità e i livelli di prestazione del medesimo (consulenza su base indipendente o meno, basata su una gamma ampia o limitata di strumenti finanziari, con o senza la valutazione periodica di adeguatezza)57. L’eventuale combinazione delle predette modalità di
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Cfr. Tofanelli, Come oscilla il pendolo della regolazione, in Financial Community Hub, 11 ottobre 2014, consultabile al link http://fchub.it/articoli-fchub/come-oscilla-ilpendolo-della-regolazione. 55 Sul concetto di raccomandazione che qualifica la consulenza e sulla sua distinzione da quello di informazione si rinvia a G.L. Greco, La consulenza nel mercato finanziario tra diritto speciale e diritto comune, Pisa, 2012, p. 58 ss. Sulla nozione di consulenza come raccomandazione personalizzata e specifica si vedano, ex multis, Carluccio Maria, L’attività di consulenza nel risparmio gestito: profili finanziari e normativi, in La nuova disciplina degli intermediari dopo le direttive MiFID: prime valutazioni e tendenze applicative, a cura di De Mari, Padova, 2009, p. 125 ss., in part. p. 147 s.; De Mari, La consulenza in materia di investimenti: prime valutazioni e problemi applicativi, in Dir. banc., 2008, I, p. 392 ss., in part. p. 405, nt 24; C. Comporti, La direttiva europea “MiFID”: le principali innovazioni, in Dir. banc., 2007, I, p. 57 ss., in part. 59; G.L. Greco, La consulenza, cit., p. 128. Zitiello, La consulenza, cit., p. 140 ss., individua quattro elementi caratterizzanti la raccomandazione oggetto della consulenza. Essi consistono nella personalizzazione, nell’indipendenza soggettiva, nell’indipendenza oggettiva e nella remunerazione adeguata. 56 Cfr. Parrella, Le prospettive di riforma della disciplina del servizio di consulenza in materia di investimenti, in La crisi dei mercati finanziari: analisi e prospettive, a cura di Santoro e Tonelli, vol. II, Milano, 2013, p. 147 ss., in part. 169. L’Autore afferma che «[…] l’indipendenza è un carattere indefettibile della consulenza, di ogni consulenza; tale carattere non potrebbe, quindi, essere riservato ad una particolare forma di consulenza contrapponibile, in ipotesi, ad una consulenza che allora dovrebbe essere ritenuta, contraddittoriamente, non indipendente». 57 Civale, Zitiello e Associati Studio legale, Consulenza, cit.
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prestazione del servizio di consulenza e il grado di separatezza delle stesse non possono che essere rimessi al prudente apprezzamento di ciascun intermediario, rientrando nelle decisioni riguardanti la sua organizzazione interna; anche perché la normativa primaria non richiede alcuna separatezza nella relazione cliente-intermediario per la prestazione di più servizi di investimento, pur se soggetti a differenti regimi giuridici (collocamento e consulenza, negoziazione e execution only, gestione e raccolta/esecuzione di ordini)58. In secondo luogo, potrebbe apparire quantomeno singolare la scelta del legislatore comunitario di non rendere obbligatori i due requisiti dell’ampiezza dell’area degli strumenti finanziari raccomandati (non limitati a quelli distribuiti dall’intermediario) e della provenienza del compenso esclusivamente dal cliente (fee only, con divieto di commissioni condizionanti percepite da emittenti o fornitori) per ogni forma di consulenza, circoscrivendone l’obbligatorietà legale ad una particolare modalità di prestazione del servizio, quella della consulenza in materia di investimenti “fornita su base indipendente”. Il permanere della legittimità in ambito comunitario della prestazione del servizio anche nella forma della “consulenza ristretta” e remunerata indirettamente, attraverso la retrocessione di parte delle commissioni corrisposte dall’investitore all’emittente o al fornitore dei prodotti raccomandati59, riduce in misura congrua la portata degli obiettivi perseguiti dalla riforma: quello di rimuovere alla radice la posizione naturale di conflitto di interessi in cui si trova il consulente per essere allo stesso tempo distributore dei prodotti raccomandati e quello di palesare all’investitore che una parte della commissione da questi pagata per l’investimento è destinata al distributore. Probabilmente la scelta del legislatore europeo è stata dettata dalla volontà, peraltro condivisibile60, di assumere una posizione neutrale in materia, non imponendo in modo autoritario, bensì favorendo, l’adozione di uno specifico modello imprenditoriale di prestazione del servizio di consulenza e lasciando all’autonomia organizzativa degli intermediari la decisione in merito. Ciò non toglie che i singoli stati membri, nei limiti della previsione di cui all’art. 24, § 12, della direttiva (che consente di disciplinare in modo più severo anche il servizio
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Cfr. Tofanelli, Come oscilla, cit. Parrella, Le prospettive, cit., p. 154, definisce questo modello di consulenza come “prosaico” in contrapposizione a quello “aulico” caratterizzato da un ampio ventaglio di strumenti finanziari e da un consulente privo di legami con emittenti e fornitori degli stessi. 60 Cfr., Parrella, Le prospettive, cit., p. 171 s. 59
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di consulenza61), rendano i suddetti caratteri come essenziali del servizio di consulenza tout court e non di una mera modalità di prestazione dello stesso, tracciando in tal modo la disciplina legale del servizio di consulenza e imponendo l’adozione di un’unica modalità di prestazione dello stesso, quella che oggi la direttiva definisce come “consulenza fornita su base indipendente” che, quindi, da species all’interno delle molteplici modalità di prestazione del servizio assurgerebbe al ruolo di genus, venendo a coincidere con il servizio medesimo. 3.2. Fees e inducements. Il riformato regime degli incentivi per la prestazione dei servizi di investimento è delineato dall’art. 24, § 7, 8 e 9, della direttiva. Le nuove norme incidono sui meccanismi di remunerazione dei servizi di investimento, segnatamente quello di consulenza indipendente e di gestione di portafogli, al fine di rafforzare la protezione degli investitori e di limitare i conflitti di interesse nella prestazione dei servizi. Alla riduzione della possibilità di ricevere o trattenere incentivi da terze parti si affianca la previsione in base alla quale gli operatori sono chiamati a verificare che la percezione degli incentivi, là dove ammessi, non sia in contrasto con il dovere di agire nel migliore interesse del cliente e con l’obiettivo di innalzare la qualità del servizio reso al cliente. La disclosure degli incentivi monetari e non monetari renderà maggiormente esplicito ai clienti il costo effettivamente pagato per i servizi ricevuti. Di tali costi sia cliente sia l’impresa di investimento dovranno necessariamente tener conto nella scelta tra modalità indipendente e non indipendente del servizio di consulenza in materia di investimenti62. Vediamo in dettaglio la nuova disciplina in materia. Per i servizi di consulenza su base indipendente e di gestione di portafogli è vietata la ricezione di onorari, commissioni o altri benefici monetari o non monetari (inducements) pagati o forniti da terzi o da
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L’art. 24, § 12, della MiFID II recita: «In casi eccezionali, gli Stati membri possono imporre alle imprese di investimento requisiti aggiuntivi rispetto a quanto disposto dal presente articolo. Tali requisiti devono essere obiettivamente giustificati e proporzionati vista la necessità di far fronte ai rischi specifici per la protezione degli investitori o l’integrità del mercato che presentano particolare rilevanza nel contesto della struttura di mercato dello Stato membro interessato». 62 Cfr. Scolari, Verso la MiFid2: la legittimità degli incentivi nei servizi di investimento, in Banc., 2015, n. 6, p. 54 ss., in part. p. 58.
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una persona che agisce per conto di terzi in relazione alla prestazione del servizio ai clienti. Fanno eccezione a tale divieto i benefici non monetari di entità minima alle seguenti condizioni: la chiara comunicazione al cliente dei medesimi; la necessità che gli stessi migliorino la qualità del servizio offerto e non creino, per la loro entità e natura, pregiudizio al rispetto del dovere di agire nel migliore interesse dei clienti. Nella prestazione degli altri servizi, si consente la ricezione di inducements da parte dell’impresa di investimento ma a determinate condizioni, quali la comunicazione chiara e il miglioramento della qualità del servizio offerto. Infine, tutti gli onorari, le commissioni e gli altri benefici monetari pagati o forniti da un terzo devono essere restituiti integralmente al cliente quanto prima, dopo il ricevimento dei pagamenti stessi da parte dell’impresa, e quest’ultima non può detrarre i pagamenti di terzi dalle commissioni che il cliente deve all’impresa. Nel Final Report su Technical Advice (p. 138 ss.) l’ESMA fornisce alcune indicazioni e criteri che contribuiscono a definire i concetti di “inammissibilità” e “ammissibilità” degli incentivi. L’ESMA individua le tre circostanze ciascuna delle quali rende inammissibile la ricezione degli incentivi. Si tratta delle ipotesi in cui: a) non sia fornito al cliente un servizio di qualità più elevata, proporzionale al valore degli incentivi ricevuti; b) gli incentivi siano un beneficio esclusivo per l’impresa di investimento, i suoi azionisti o i suoi dipendenti senza alcun tangibile beneficio per il cliente; c) gli incentivi continuativi non sono abbinati ad un servizio fornito su base continuativa. In aggiunta, l’Autorità europea propone (p. 141 s.) una lista non esaustiva che contribuisce a delimitare una delle condizioni di accettabilità degli incentivi, definendo la tipologia di “servizio caratterizzato da una maggiore qualità”. Il servizio di consulenza è considerato di “migliore qualità” allorché: dia accesso a un’ampia gamma di strumenti finanziari, adeguati al cliente, e forniti da società prodotto non collegate all’impresa di investimento, oppure offra meccanismi di investimento utili al cliente (ad esempio, servizi di informazione relativi agli strumenti finanziari, aggiornamento periodico dei prezzi, delle performance e dei costi degli strumenti detenuti in portafoglio); comprenda una valutazione periodica dell’adeguatezza degli strumenti detenuti oppure altri elementi di valore, come ad esempio la revisione periodica dell’allocazione ottimale di portafoglio63.
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Per quanto attiene alla disclosure degli incentivi, il documento di Technical Advice
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Ai fini dell’esclusione dal divieto (i.e. ammissibilità) di ricezione degli inducements, l’ESMA individua (p. 138 s.) come incentivi non monetari di “lieve entità” quelli che, per le proprie ridotte dimensioni quantitative, sono ragionevoli e proporzionati e, di conseguenza, tali da non influenzare il comportamento dell’impresa di investimento a detrimento degli interessi del cliente. L’Autorità europea propone alla Commissione di definire una lista esaustiva delle tipologie di incentivi non monetari di lieve entità che presenti il seguente contenuto: informazioni su singoli strumenti finanziari o servizi d’investimento, di tipo sia generico sia personalizzato; partecipazione a conferenze, seminari o altri eventi formativi sulle caratteristiche di specifici strumenti finanziari o servizi di investimento; ospitalità di ragionevole e minore entità, come cibi e bevande consumate nel corso di un evento di cui al punto precedente; altri benefici di lieve entità che risultino conformi alle prescrizioni generali64. Quella appena descritta costituisce in sostanza la nuova disciplina in tema di fees e inducements applicabile agli intermediari finanziari nella prestazione dei servizi di investimento. Riguardo al regime di fee only che deve caratterizzare il servizio di consulenza su base indipendente, il maggior rilievo mosso dalla dottrina65 al legislatore comunitario è che quest’ultimo abbia evitato di assu-
dell’ESMA specifica (p. 143) che l’impresa di investimento dovrà, prima dell’avvio del servizio, dare informazioni al cliente in modo chiaro, esaustivo, accurato e comprensibile in merito all’esistenza, alla natura e all’ammontare dei pagamenti di commissioni e dei benefici non monetari. I benefici non monetari di minore entità potranno essere indicati genericamente, mentre gli altri incentivi non monetari dovranno essere quantificati ed evidenziati separatamente. Nel caso in cui l’importo degli incentivi non sia determinabile ex ante, l’impresa di investimento, dopo aver evidenziato il relativo metodo di calcolo, dovrà fornire l’informazione ex post sull’effettivo valore degli incentivi percepiti. In particolare, nel caso di pagamenti di commissioni o benefici non monetari in maniera continuativa, l’impresa dovrà comunicare al cliente, almeno annualmente, l’effettivo valore degli incentivi percepiti. Nei casi di prestazione dei servizi di consulenza su base indipendente e di gestione di portafogli, le imprese di investimento dovranno accreditare ai singoli clienti le somme eventualmente ricevute da terze parti nell’ambito della prestazione del servizio, nel più breve periodo possibile, senza prescrivere un limite temporale definito. 64 Il giudizio di ammissibilità degli incentivi non può prescindere comunque dalla capacità dell’impresa di dimostrare che la ricezione degli incentivi non è tale da influenzare o distorcere la prestazione del servizio. Inoltre, l’impresa di investimento dovrà garantire la conservazione nel tempo della maggiore qualità del servizio. 65 Zitiello e Mocci, La consulenza finanziaria in materia di investimenti: profili giuridici, in Lettera Assiom Forex, suppl. marzo 2014, n. 3, p. 16 ss. Gli Autori (35)
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mere una posizione netta attraverso l’imposizione di un divieto secco e generalizzato (per ogni forma di consulenza) a ricevere remunerazioni da altri che non siano il cliente, segnatamente dalle società prodotto. Una scelta più drastica in materia avrebbe eliminato effettivamente i conflitti d’interesse, perché avrebbe favorito una sana competizione in termini di qualità ed efficienza sia fra intermediari nell’esercizio dell’attività di consulenza e dell’attività distributiva, sia tra le società prodotto che, non avendo più lo strumento dell’inducement, avrebbero dovuto fare affidamento esclusivamente sulla qualità dei propri prodotti per aumentare la propria capacità distributiva. In aggiunta, un simile divieto avrebbe sicuramente aumentato la percezione da parte del cliente dell’importanza, ai fini della propria tutela, del servizio di consulenza attraverso il pagamento di un corrispettivo ad hoc, di conseguenza trasparente e immune da potenziale conflitto di interessi. Invero, forse il compromesso operato dal legislatore comunitario (che, per la prestazione del servizio di consulenza tout court, consente la retrocessione al distributore di parte delle commissioni pagate dall’investitore nella prospettiva della “aumentata qualità del servizio”) potrebbe essere stato indotto dalla consapevolezza che il modello di consulenza fee only comporta sì i benefici descritti ma altresì dei costi e dei rischi. Tale regime potrebbe, infatti, rivelarsi altamente costoso per il cliente; cliente che a oggi appare poco propenso a pagare per il mero servizio di consulenza66, forse anche per la mancanza di una cultura finanziaria tale da capire la rilevanza di tale servizio di investimento. Di qui il rischio che la presenza di un siffatto onere per il cliente determini, come già accaduto in altri paesi europei67, un fenomeno di advice gap, ossia di riduzione
sottolineano: «non sembra che l’individuazione della tipologia della consulenza indipendente all’interno della più ampia gamma del servizio e la previsione di un regime più restrittivo degli inducements per quella sola tipologia sia la soluzione del problema. Sembrerebbe più opportuna una norma generale di divieto agli intermediari di riscuotere incentivi dalle case-prodotto nel caso in cui uniscano a servizi di negoziazione, raccolta ordini o collocamento quello della consulenza, indipendentemente dal grado di indipendenza della stessa. In tal modo infatti si potrebbe innescare un circolo virtuoso utile all’intero sistema». 66 Il servizio di consulenza per sua natura si traduce nella sola raccomandazione di investimento che troverà attuazione nell’attivazione di un ulteriore servizio di investimento. Attualmente il risparmiatore è solito pagare commissioni, quantomeno palesi, per i soli servizi attuativi. 67 Ci riferiamo, in particolare, al Regno Unito, dove la MiFID II è stata già quasi del tutto implementata. In tale Paese si è cercato di porre rimedio all’advice gap con
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dell’utilizzo del servizio da parte degli investitori, sia per la resistenza di buona parte degli utenti a pagare il trasparente fee consulenziale sia per la mancanza di convenienza per gli intermediari a erogare tale servizio a clienti con risorse limitate. L’alternativa per il cliente al pagamento dei fees per la prestazione del servizio potrebbe tradursi nella richiesta di un livello inferiore, ma meno costoso, di consulenza, non più indipendente, se non addirittura nella richiesta del servizio di mera esecuzione, ad alto rischio di conflitto di interessi e con riduzione considerevole delle misure di tutela informativa per l’investitore68. In quanto appena rilevato risiede probabilmente la ragione che ha indotto il legislatore europeo a sottrarre i benefici di natura non monetaria dall’obbligo di restituzione integrale al cliente degli inducements indebitamente ricevuti, con conseguente ulteriore mitigazione del divieto fissato dalla direttiva. 3.3. La gestione dei conflitti di interesse. Direttamente collegata alla disciplina di fees e inducements appena esaminata è una delle novità introdotta dalla MiFID II alla normativa in materia di conflitto di interessi69. I punti di riferimento normativo sono gli artt. 16, § 3, e 23 della MiFID II, ai sensi dei quali si richiede alle imprese di investimento di: - adottare misure ragionevoli idonee a identificare, prevenire e gestire i conflitti di interesse tra intermediario e cliente attraverso la predisposizione di presidi organizzativi e amministrativi; - informare i clienti, su supporto durevole e in modo chiaro e dettagliato in relazione alle caratteristiche del cliente, di ogni situazione di conflitto, qualora le misure adottate non siano sufficienti ad evitare in maniera assoluta il rischio di nuocere agli interessi dei clienti. Sono soggetti a tale norma anche i conflitti d’interesse determinati dall’ottenimento di indebiti incentivi da parte di terzi o dalla remunera-
specifiche misure contenute nel Care Act 2014 (la riforma del welfare inglese), tra cui la stipula di protocolli di intesa con enti no profit come money advice service, pension wise, ecc. e organizzazioni commerciali. 68 Cfr. Parrella, Le prospettive, cit., p. 149. 69 Sulla disciplina del conflitto di interessi nella prestazione dei servizi di investimento e sulla relativa evoluzione cfr. Restuccia, Il conflitto di interessi nei servizi di investimento tra categorie civilistiche e disciplina di settore, in Riv. trim. dir. econ., 2012, n. 3, suppl. n. 3. Critica la visione meramente strumentale della consulenza rispetto alla prestazione di un altro servizio di investimento Zitiello, La consulenza, cit., p. 149.
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zione e da piani di incentivazione della stessa impresa di investimento.70 Dall’uso dei verbi “prevenire” e “gestire”71 accanto al verbo “identificare” (il solo presente nella MiFID) sembrerebbe emergere la volontà del legislatore comunitario di passare o quantomeno di affiancare ad un sistema di rimedi ex post, volto a fronteggiare a valle (“gestire”) situazioni in grado di generare conflitti di interesse, un sistema di rimedi ex ante, destinato ad impedire a monte (“prevenire”) la creazione delle medesime72. In realtà, si tratta più di una suggestione derivante dell’illusione che qualcosa di veramente innovativo si stia introducendo in una materia tanto delicata quanto dibattuta73. Purtroppo sembra che le cose
70 In proposito, l’ESMA (Final Report on Technical Advice, p. 88 ss.) raccomanda di rafforzare le esistenti regole in materia al fine di: - non permettere di fare affidamento sull’obbligo di disclosure senza specificare il modo in cui il conflitto può essere gestito; - assicurare che l’informativa ai clienti sia sufficientemente dettagliata e significativa da rendere il cliente capace di prendere una decisione consapevole sul se procedere; - introdurre un obbligo per le imprese di valutare e rivedere periodicamente le proprie policies in materia di conflitti di interesse e adottare tutte le misure ragionevoli a colmare ogni lacuna. L’ESMA fornisce (p. 91 ss.) anche la raccomandazione tecnica sugli obblighi in materia di conflitti di interesse in relazione ai servizi di sottoscrizione e collocamento e propone obblighi supplementari in connessione con la prestazione del servizio di consulenza. 71 Sul significato da attribuire all’espressione “gestire il conflitto” si rinvia a Scotti Camuzzi, La normativa sul conflitto di interessi fra intermediari e clienti nella prestazione dei servizi di investimento (prima e dopo il “decreto EUROSIM” e prima e dopo la ricezione della MiFID, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, I, p. 287 ss. 72 Cfr., con riferimento alla disciplina nel vigore della MiFID, Enriques, L’intermediario in conflitto di interessi nella nuova disciplina comunitaria dei servizi di investimento, in Mercato finanziario e tutela del risparmio, a cura di Galgano e Visintini, in Tratt. dir. comm. dir. pubb. econ., diretto da Galgano, Padova, 2006, p. 183 ss., in part. p. 192. 73 Il tema dei conflitti di interesse, in tempi recenti, è stato sempre più oggetto di riflessione e dibattito da parte della dottrina che lo ha analizzato nell’ambito delle normative speciali: cfr., ex multis, Rescigno, Interessi, conflitto di interessi e tutela del risparmio: una disciplina in evoluzione, in AGE, 2006, p. 99 ss.; Antonucci e Paracampo, Conflitti di interesse e disciplina delle attività finanziarie: il titolo II della legge risparmio e le sue successive modifiche, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 285 ss.; Scotti Camuzzi, I conflitti di interessi tra intermediari e clienti nella direttiva Mifid, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 121 ss.; Mazzini, Legge sul risparmio: le nuove regole sui conflitti di interesse e sulle attività finanziarie, in Banca Finanza, 2007, p. 35 ss.; Lener, La gestione dei conflitti di interesse delle imprese di investimento fra il Tuf e la Mifid, in Banche, servizi di investimento e conflitti di interesse, a cura di Anolli, Banfi, Rescigno, Bologna, 2008, p. 42 ss.; Onado e Sabatini, I conflitti di interesse negli intermediari finanziari, ibidem, p. 11 ss.; Presti e Rescigno, Il conflitto di interessi nella prestazione dei servizi di investimento, ibidem, p. 5 ss; Perrone, I conflitti di interesse e le regole di organizzazione,
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non stiano così. A ben vedere, la prevenzione delle situazioni di conflitto, lungi dal tradursi in un divieto tassativo di porre in essere le stesse, si persegue ancora una volta sic et sempliciter attraverso un obbligo di disclosure verso il cliente potenzialmente leso, qualora le misure organizzative e amministrative adottate dall’impresa non siano in grado di azzerarne il rischio. Permangono, pertanto, i dubbi in merito all’efficacia di tale disciplina avanzati dalla dottrina74 con riguardo alla precedente normativa. Tali perplessità derivano: dal potere di valutazione sostanzialmente discrezionale di cui gode l’intermediario sulla ragionevolezza e sufficienza delle misure organizzative e amministrative adottate, attesa la mancata indicazione legislativa in ordine al contenuto di tali misure; dall’oggetto della comunicazione al cliente limitato alla natura generale del conflitto e non al contenuto specifico del medesimo; dai tempi dell’informativa ai clienti, che deve avvenire “prima di agire per loro conto”, ergo anche una tantum all’inizio del rapporto; dalla mancata individuazione delle modalità operative concrete che l’intermediario dovrà mettere in atto, qualora le procedure organizzative volte alla gestione del conflitto si rivelino insufficienti, permanendo dunque l’incertezza in merito al se,
ibidem, p. 42 ss.; Merusi, Il conflitto di interessi tra tutela del risparmio e normativa comunitaria, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, p. 183 ss.; Accettella, Il conflitto di interessi derivante da rapporti di gruppo nella prestazione dei servizi di investimento (nota a Trib. Milano, 7 luglio 2010), in Banca, borsa, tit. cred., 2010, II, p. 106 ss.; Antonucci, Regole di condotta e conflitti di interesse, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, I, p. 9 ss.; Maimeri, La tutela del cliente e la disciplina del conflitto di interessi, in Banche e banc., 2010, n. 2, p. 120 ss.; Inzitari e Piccinini, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari, a cura di Inzitari, Padova, 2008, p. 112 ss.; Luminoso, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in Riv. dir. civ., 2007, p. 739 ss.; Scotti Camuzzi, I conflitti di interessi fra intermediari finanziari e clienti nella direttiva MIFID, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 1 ss.; Lener, Il conflitto di interessi nella gestione di patrimoni, individuali e collettive, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 429 ss.; Maffeis, Contro l’interpretazione abrogante della disciplina preventiva del conflitto di interessi (e di altri pericoli) nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 71 ss.; Razzante, Servizi di investimento e conflitti di interesse tra lex specialis e norme civilistiche: un tentativo di ricostruzione della disciplina applicabile, in Riv. dir. comm., 2004, p. 59 ss.; Visentini, La disciplina del conflitto di interessi nel mercato mobiliare, in Nuova giur. civ. comm., 2002, p. 456 ss.; Sartori, Il conflitto di interessi tra intermediari e clienti nello svolgimento di servizi di investimento e accessori: un problema risolto?, in Riv. dir. civ., 2001, II, p. 208 ss. 74 Cfr. Enriques, L’intermediario in conflitto di interessi nella nuova disciplina comunitaria dei servizi di investimento, in Giur. comm., 2005, p. 844 ss.
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in questa ipotesi, sia necessaria un’espressa autorizzazione del cliente al compimento dell’operazione oppure se risulti sufficiente una semplice informativa sul punto75. Insomma, per dirla in termini bruschi, nella disciplina dei conflitti di interesse la tutela dell’investitore (più o meno ampia) sembra rimanere nelle mani dell’intermediario e nella sua capacità di definire il proprio assetto organizzativo in modo da azzerare il rischio che situazioni di conflitto possano nuocere agli interessi dei clienti. L’unico presidio per il cliente, introdotto dalla MiFID II e in grado di ridurre, seppure in misura non rilevante, il potere dell’impresa che presta il servizio, è rappresentato dalla specificazione delle modalità e del contenuto della comunicazione al medesimo. Questa deve essere data su supporto durevole, deve essere sufficientemente dettagliata in modo proporzionato alle caratteristiche del cliente (al dettaglio o professionale) e deve essere tale consentire a quest’ultimo di assumere decisioni di investimento consapevoli. Evidentemente conscia dei forti limiti di siffatta disciplina, l’ESMA (Final Report on Technical Advice, p. 82 s.) propone di: considerare la disclosure come last resort measure, dovendo così l’intermediario dimostrare di aver fatto ogni ragionevole sforzo per contenere il conflitto di interessi e prevenire possibili danni per i clienti; imporre un maggior dettaglio alla disclosure, attraverso l’indicazione specifica della situazione di conflitto, del tipo di rischio che grava sul cliente, delle misure adottate per mitigare il rischio stesso e del fatto che tali misure non siano sufficienti; prevedere l’obbligo di revisione periodica, almeno annuale, della policy adottata. Il suggerimento dell’ESMA avrebbe dunque una serie di meriti. Innanzitutto, invertirebbe l’onere della prova dal cliente all’intermediario. In secondo luogo, sottrarrebbe l’informativa alla generalizzazione. Infine, ma non per importanza, imporrebbe modalità di informazione più efficaci almeno nel linguaggio, così da consentire all’investitore, attesa la mancanza di rimedi a monte a fronte di situazioni potenzialmente lesive del suo interesse, di provvedere egli stesso alla propria tutela. Un apprezzamento per la rinnovata disciplina in materia va all’esplicita considerazione della situazione di conflitto di interesse derivante dalla ricezione da parte dell’intermediario “di indebiti incentivi da parte di terzi o dalla remunerazione e da piani di incentivazione della stessa
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Cfr. Restuccia, Il conflitto, cit., p. 15.
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impresa di investimento76.” Tuttavia, di là dagli inducements, per i quali sussiste per legge una presunzione assoluta dell’esistenza di una situazione di conflitto di interessi qualora non si rispettino le condizioni fissate per la relativa liceità, con riguardo alle remunerazioni e ai piani di incentivazione interni all’impresa ancora una volta si rimette all’efficacia dei dispositivi di governance adottati dall’intermediario il compito di evitare conflitti di interesse nelle relazioni con i clienti (art. 9, § 3, della MiFID II).
4. Nuove norme sulla valutazione di adeguatezza e sugli obblighi di comunicazione alla clientela. 4.1. Adeguatezza e appropriatezza: differenziazione delle regole di condotta degli intermediari in funzione delle tipologie di servizi e di clientela. Come nella precedente normativa, accanto ai principi di carattere generale di cui all’art. 24, § 1 (obbligo di agire in modo onesto equo e professionale nella prestazione dei servizi di investimento, al fine di servire al meglio gli interessi dei clienti77, anche la nuova disciplina declina gli obblighi di comportamento e i doveri informativi dell’intermediario finanziario in funzione della tipologia di servizio prestato (consulenza e gestione di portafogli, servizi diversi e mera esecuzione di ordini). Tale diversificazione è realizzata imponendo differenti livelli di valutazione della coerenza (adeguatezza, appropriatezza e nessuna valutazione) del prodotto consigliato o proposto alle esigenze del cliente, ancorati alla diversa ampiezza delle informazioni da richiedere al medesimo (conoscenza ed esperienza, situazione finanziaria e obiettivi di investimento per la valutazione di adeguatezza; solamente conoscenza ed esperienza per la valutazione di appropriatezza; nessuna informazione dal cliente per la mera esecuzione), ergo al diverso grado di conoscibilità del cliente. Ed è con riferimento alle regole di condotta e di informativa specifi-
76 Per un primo esame della relativa normativa v. Civale, Le novità in tema di pratiche di remunerazione, inducements e conflitti di interesse: il potenziale impatto per gli intermediari, intervento in 5° Forum Annuale ABI, Banche, servizi di investimento e clientela retail, Milano, 15 ottobre 2014. 77 Sui criteri generali di comportamento e sulla relativa attuazione nel nostro ordinamento nel vigore della MiFID, si vedano, anche per la bibliografia ivi riportata, Lucantoni, Le regole, cit.; Lener – Lucantoni, Commento sub art. 21, cit.
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che che l’art. 25 della MiFID II introduce rilevanti innovazioni volte ad ampliare la portata della tutela del risparmiatore-investitore78. Con riferimento alla valutazione di adeguatezza si segnalano: - l’esplicita richiesta di tener conto della tolleranza al rischio del cliente nella valutazione dei suoi obiettivi di investimento e della sua capacità di sopportare le perdite nella valutazione della sua situazione finanziaria; - l’obbligo di fornire al cliente al dettaglio, prima della transazione o immediatamente dopo79, una dichiarazione di adeguatezza in caso di consulenza sugli investimenti, specificando la consulenza prestata e le ragioni per cui la raccomandazione corrisponda alle preferenze, agli obiettivi e alle altre caratteristiche del cliente (rendiconto di adeguatezza); - la richiesta di una valutazione periodica di adeguatezza, obbligatoria in caso di gestione del portafoglio e possibile nel caso di consulenza se l’impresa ha informato il cliente che effettuerà periodicamente tale valutazione (relazione periodica sull’adeguatezza)80. Con riferimento alla valutazione di appropriatezza si evidenzia l’estensione della sua portata attraverso l’espansione della lista di prodotti finanziari complessi. La lista ora include, tra gli altri, fondi strutturati, azioni in fondi non strutturati, azioni che incorporano un derivato e depositi strutturati con una struttura che rende difficile per il cliente la comprensione del rischio di rendimento o del costo del disinvestimento prima del termine. Specularmente si riducono le ipotesi di assenza di
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Per un’analisi approfondita della disciplina in materia nel vigore della MiFID si veda, per tutti, Brescia Morra, Adeguatezza, appropriatezza e mera esecuzione di ordini, in L’attuazione della MiFID in Italia, a cura di D’Apice, cit., p. 517 ss. 79 Nel caso in cui l’accordo di acquisto sia concluso utilizzando un mezzo di comunicazione a distanza, purché ci sia il consenso del cliente al ritardo nella comunicazione e l’impresa di investimento abbia dato al cliente la possibilità di ritardare la transazione a un momento successivo alla dichiarazione di adeguatezza (at. 25, § 6). 80 L’ESMA raccomanda che le regole in materia di adeguatezza contenute originariamente nella MiFID siano estese al fine di incorporare le proprie linee guida sull’adeguatezza pubblicate nel luglio 2012 e che la valutazione periodica di adeguatezza venga fatta “almeno annualmente”. Nelle Guidelines on certain aspects of the MiFID suitability requirements del 2012, l’ESMA pone criticamente l’accento sulla tendenza dell’intermediario a sottrarsi alle proprie responsabilità attribuendo nella pratica al cliente il compito a decidere sull’adeguatezza dell’investimento attraverso un meccanismo di autovalutazione da parte di quest’ultimo. Sull’argomento si veda ampiamente Moloney, The investor Model Underlying the EU’s Investor Protection Regime: Consumers or Investors, in European Business Organization Law Review, June 2012, p. 169 ss., in part. p. 180.
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valutazione del cliente legittime per i servizi di esecuzione o ricezione e trasmissione di ordini (execution only)81. Qualora l’impresa proponga un pacchetto di prodotti o servizi (cross selling), la valutazione di adeguatezza/appropriatezza deve essere eseguita con riferimento all’intero pacchetto. In tale ipotesi, si aggiunge l’obbligo per l’impresa di investimento di informare il cliente dell’eventuale possibilità di acquistare le varie componenti separatamente, dei costi ed oneri di ciascuna componente, del modo in cui l’interazione tra le diverse componenti modifichi i rischi associati a ciascuna di esse separatamente (art. 24, § 11). Al riguardo, l’ESMA, in collaborazione con EBA ed EIOPA, ha pubblicato gli orientamenti per la valutazione e la vigilanza delle pratiche di vendita abbinata (in particolare, al fine di individuare i casi in cui queste non siano conformi all’obbligo di agire in modo onesto, equo e professionale per servire al meglio gli interessi dei clienti)82. Dall’analisi delle nuove norme si apprezza lo sforzo del legislatore comunitario di rafforzare la tutela dell’investitore attraverso il potenziamento della valutazione, ad opera dell’intermediario, sia del cliente, sia del prodotto, sia della coerenza tra cliente e prodotto. Per ciò che concerne il cliente, la valutazione delle sue caratteristiche (know your custumer rule) si basa su una più approfondita conoscenza del medesimo realizzata attraverso la valorizzazione delle informazioni ottenute dallo stesso. Il contenuto delle informazioni dalla clientela è potenziato sotto il profilo quantitativo e soprattutto qualitativo: alla capacità di comprensione/conoscenza del rischio (conoscenza ed esperienza) si aggiunge, nell’ambito delle informazioni sulla situazione finanziaria, la capacità di rischio (capacità di sopportare le perdite), e nell’ambito delle informazioni sugli obiettivi di investimento, non solo la preferenza/propensione verso il rischio in termini di combinazione rischio/rendimento (rischio oggettivo) ma anche l’attitudine (reazione emotiva) al rischio (rischio soggettivo) (risk tolerance).
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Al riguardo l’ESMA propone (Final Report on Technical Advice, p. 160) una più precisa definizione di strumenti finanziari non complessi al fine di assicurare che un minor numero di strumenti rientri in tale definizione, ergo rientri nell’ambito oggettivo di applicazione di una disciplina a tutela del cliente meno stringente per l’intermediario. In particolare, si raccomanda anche che ogni strumento finanziario indicato nell’art. 25, § 4, lett. a), della MiFID II che non rispetti le condizioni richieste per essere considerato “non complesso” sia incluso nella categoria degli strumenti “complessi”. 82 V. nt. 22.
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Con riguardo al prodotto, il rafforzamento della valutazione (know your merchandise rule) deriva da una maggiore imparzialità e indipendenza nelle modalità di selezione. L’imparzialità rispetto ai prodotti scaturisce dalla richiesta di selezione tra una gamma di strumenti finanziari sufficientemente ampia e diversificata per tipologia ed emittenti o fornitori (ambito oggettivo della selezione). L’indipendenza rispetto ai prodotti discende dalla circostanza che la selezione non dovrà limitarsi a strumenti finanziari emessi dall’impresa o da soggetti legati alla stessa da relazioni legali o commerciali (ambito soggettivo della selezione). Infine, con riguardo alla valutazione di coerenza tra clienti e prodotto (suitability rule)), il suo miglioramento deriva indirettamente dalla valorizzazione delle valutazioni delle due variabili di riferimento (cliente e prodotto) su cui essa si basa e, dall’altra, dalle novità normative che incidono direttamente sulla medesima. Innanzitutto, la valutazione di coerenza del prodotto con le esigenze dello specifico cliente dovrà essere compiuta nell’ambito di una market list di prodotti già individuati dagli ideatori come adeguati al target di mercato (cliente al dettaglio, qualificato e professionale) cui appartiene il cliente specifico. In pratica, la valutazione preventiva di adeguatezza avverrà a due livelli, quello del produttore e quello del distributore, da intendersi come complementari e non alternativi per le ragioni già indicate nel paragrafo sulla product governance. In secondo luogo, la valutazione di adeguatezza dovrà essere eseguita con riferimento all’intero portafoglio del cliente, tenendo conto tendenzialmente anche dei rapporti tra il cliente e altri intermediari. Infine, attraverso una maggiore disclosure verso il cliente, tale valutazione deve essere motivata per iscritto, prima dell’acquisto del prodotto, nel rendiconto di adeguatezza e deve essere riesaminata nel continuo con comunicazione per iscritto al cliente nella rendicontazione periodica. Chiaramente, tutto ciò non potrà che incidere sull’organizzazione interna degli intermediari e comporterà dei costi per gli investimenti necessari a predisporre meccanismi e procedure per l’informativa precontrattuale e la struttura degli strumenti di profilatura della clientela, per i contratti di consulenza, per la valutazione dell’adeguatezza e l’aggiornamento delle informazioni, per il monitoraggio periodico dell’adeguatezza dei portafogli dei clienti, per le informazioni su costi e oneri, per gli strumenti informatici, per la formazione del personale. Non solo ma ciò determinerà altresì degli oneri aggiuntivi per i clienti sui quali necessariamente dovrà ricadere un obbligo di comunicazione all’intermediario degli eventuali cambiamenti nelle condizioni patrimoniali e nelle esigenze di investimento che li riguardano, al fine di con-
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sentire all’intermediario un corretto adempimento dell’obbligo di garantire l’attualità della valutazione di adeguatezza (valutazione periodica). Apprezzabile dal punto di vista della tutela del cliente è la riduzione della lista di prodotti rientranti nel regime di execution only; regime che, tra l’altro, anche con riferimento alle ipotesi consentite, diventa vietato qualora lo stesso si associ al servizio accessorio di concessione di finanziamenti agli investitori (80° considerando della direttiva). Quest’ultima previsione è apparsa doverosa al legislatore comunitario nella consapevolezza che l’erogazione contestuale del servizio di investimento e della concessione di un prestito a ciò finalizzata aumenta i pericoli per l’investitore, aggiungendo al rischio proprio dell’investimento finanziario il rischio di non poter adempiere l’esposizione debitoria. A ciò si associa il pericolo che la commistione delle due attività (servizio finanziario e concessione di finanziamenti) nell’ambito del medesimo intermediario possa rivelarsi foriera di situazioni di conflitto di interessi tra le stesse con ripercussioni negative sull’investitore. 4.2. Le regole di informazione del cliente. L’art. 24, § 4 e 5, della nuova direttiva, nel ribadire i principi di carattere generale che governano gli obblighi informativi alla clientela (informazioni chiare, corrette e non fuorvianti, appropriate e tempestive), rinnova il contenuto della nozione di informazioni “appropriate e tempestive” da fornire al cliente, rafforzando gli obblighi informativi validi per la prestazione di tutti i servizi di investimento e introducendo obblighi informativi specifici correlati cioè al tipo di servizio prestato (oltre che alle tipologie di clientela)83.
83 Sulla finalità dell’informazione nei servizi di investimento si rinvia alla letteratura esistente in materia. Per l’evoluzione del pensiero dottrinale sul tema, si veda Romeo, Informazione e intermediazione finanziaria, in Nuove leggi civ., 2010, p. 647 ss.; Grisi, Informazione (obblighi di), in Enc. giur., vol. Agg., XIV, Roma, 2006; Scalisi, Dovere di informazione e attività di intermediazione mobiliare, in Riv. dir. civ., 1994, II, p. 167 ss.; Abbadessa, Diffusione dell’informazione e doveri di informazione dell’intermediario, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, I, p. 305 ss.; Id., Banca e responsabilità precontrattuale: doveri di informazione, in Jus, 1981, Milano, p. 152 ss.; Tanner, The role of information in Savings Decision, Institute for Fiscal Studies, London, 2000. Sulla nozione di “informazione finanziaria”, cfr.: Lemma, Informazione finanziaria e tutela dei risparmiatori, I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione, cit., p. 259 ss., in particolare p. 267 ss.; Zeno-Zenovich, Profili di uno statuto dell’informazione economica e finanziaria, in Mercato finanziario e tutela del risparmio, a cura di
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Nell’ambito della prima categoria (doveri informativi generali) rientrano le novità in materia di informativa sui costi e oneri connessi per il cliente e sugli strumenti finanziari offerti o negoziati. Le informazioni sui costi e oneri sono integrate in relazione a: - il tempo: le informazioni devono essere fornite con periodicità regolare (almeno annuale) durante il periodo dell’investimento; - l’oggetto: le informazioni devono riguardare sia il servizio di investimento sia i servizi accessori, il costo eventuale della consulenza (se rilevante), il costo dello strumento finanziario raccomandato o offerto e le modalità di pagamento; - le modalità: le informazioni devono essere date in forma aggregata in modo da permettere al cliente di conoscere il costo totale e il suo effetto complessivo sul rendimento degli investimenti ovvero in forma analitica se il cliente lo richiede84. Direttamente collegato al rafforzamento degli obblighi informativi generali è il disposto di cui all’art. 30 della MiFID II che, riducendo la differenziazione della tutela in funzione delle tipologie di clientela, opera un potenziamento della trasparenza nei confronti delle controparti qualificate. In particolare, tale norma estende l’applicazione a favore della categoria di clienti menzionata dei seguenti obblighi a carico dell’intermediario: - l’obbligo di agire in modo onesto, equo e professionale e comunicare in modo chiaro e non fuorviate; - l’obbligo di fornire un’informazione appropriata in merito all’impresa di investimento e ai servizi prestati, agli strumenti finanziari, alle sedi di esecuzione e a tutti i costi e gli oneri; - l’obbligo di comunicazione periodica85.
Galgano e Visintini, in Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, 2006, p. 157 ss., in part. p. 161 ss. 84 Ulteriori integrazioni al contenuto e alle modalità degli obblighi informativi generali sono proposte dall’ESMA (Final Report on Technical Advice, p. 103). In particolare, si raccomanda che l’informativa ai clienti al dettaglio sia costantemente presentata nella stessa lingua per tutto il materiale fornito a quel cliente. Inoltre, dovrebbe esserci una chiara ed evidente indicazione di tutti i rischi rilevanti e si richiede che l’informativa sia aggiornata e pertinente al metodo di comunicazione usato. Infine, l’informativa fornita non deve mascherare, minimizzare o oscurare notizie importanti. 85 Sul punto, L’ESMA (Final Report on Technical Advice, p. 103) propone che alcuni principi generali relativi agli obblighi informativi siano estesi alla clientela non retail, incluso il principio in base al quale l’informazione dovrebbe essere accurata e non riferirsi a nessun potenziale interesse. In aggiunta, con specifico riguardo all’informativa
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Per ciò che concerne l’informativa sugli strumenti finanziari, la direttiva ne specifica il contenuto che deve includere opportuni orientamenti e avvertenze sui rischi associati agli strumenti finanziari nonché una chiara indicazione in merito alla tipologia di clientela (al dettaglio, qualificata o professionale) a cui gli stessi sono destinati, tenendo conto del mercato di riferimento (individuato dal produttore), con un evidente collegamento con le nuove norme in materia di product governance86. Nella categoria degli obblighi specifici rientrano le novità in materia di informativa sul servizio prestato. In particolare, la nuova disciplina stabilisce, per la prestazione della consulenza in materia di investimenti, l’obbligo per l’impresa di specificare al cliente, prima della prestazione del servizio: a) se la consulenza è fornita su base indipendente o meno, b) se la stessa è basata su un’analisi ampia o più ristretta delle varie tipologie di strumenti finanziari disponibili sul mercato; c) se si fornirà ai clienti la valutazione periodica degli strumenti raccomandati87. Queste le novità normative in materia di doveri informativi. Apprezzabile risulta l’ampliamento dell’oggetto dell’informazione da fornire al cliente sugli strumenti finanziari, atteso il riferimento specifico ai dati elaborati dal produttore in merito al target di mercato dallo stesso individuato in relazione ai rischi connessi al prodotto. Analogamente appare condivisibile l’introduzione dell’obbligo di comunicare tutti i costi del servizio in forma aggregata; obbligo che, consentendo la valutazione del costo totale, è precipuamente finalizzato a
sui costi, l’ESMA (p. 121) ritiene che una maggiore trasparenza sui costi dovrebbe essere estesa a tutte le categorie di clienti, tra cui clienti non al dettaglio. In ogni caso, questi ultimi dovrebbero avere la possibilità di optare per tale informativa nel caso in cui non ricevano i servizi di consulenza e di gestione dei portafogli e gli strumenti finanziari in questione non incorporino un derivato. 86 Al riguardo, l’ESMA (Final Report on Technical Advice, p. 109 s.) propone che le imprese debbano fornire ai clienti informazioni riguardanti il funzionamento e le performance degli strumenti finanziari raccomandati o offerti in differenti condizioni di mercato, l’esistenza di eventuali limiti al disinvestimento, la natura giuridica degli strumenti finanziari composti da due o più strumenti finanziari diversi, gli strumenti che incorporano una garanzia o una protezione del capitale. 87 In proposito l’ESMA (Final Report on Technical Advice, p. 110) ritiene che, con l’inclusione delle categorie di consulenza “indipendente” e “non-indipendente”, le imprese devono adeguatamente spiegare lo scopo e le caratteristiche del servizio offerto. Sulle proposte dell’ESMA in materia di obblighi informativi, si veda Piatti, Cipolla, I nuovi doveri informativi nei confronti dei clienti in base alle proposte ESMA: il potenziale impatto per gli intermediari, intervento al 5° Forum Annuale ABI, Banche, servizi di investimento e clientela retail, Milano, 15 ottobre 2014.
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evitare il fenomeno dei costi occulti e a consentire la corretta comprensione del reale rendimento dell’investimento. Qualche perplessità suscita, invece, l’obbligo di un’informativa periodica espressamente prevista per i costi dei servizi che, stando alla lettera della legge, troverebbe applicazione per la prestazione di tutte le tipologie di servizi, anche non di durata (e.g. negoziazione, collocamento, ecc.). In realtà, tale obbligo trova la propria ratio nello speculare obbligo di revisione periodica delle valutazioni di adeguatezza richiesto dalla direttiva a potenziamento della tutela dell’investitore. Viceversa, l’estensione all’intera gamma dei servizi di investimento (anche quelle per le quali la valutazione di adeguatezza è esclusa) potrebbe rivelarsi eccessiva per l’aggravio dei costi per l’intermediario e per la clientela su cui sarebbero traslati88. Ci si aspetta, dunque, che, sulla base di tali considerazioni, la normativa di dettaglio, affidata alla Commissione europea, in merito al contenuto e al formato dell’informazione riguardante, tra l’altro, i costi e gli oneri (art. 24, § 13, lett. b)) introduca una qualche differenziazione nell’applicazione dei doveri di informazione periodica sui costi in funzione della tipologia di servizio. D’altro canto, una siffatta differenziazione risulterebbe affatto legittima sulla base della previsione di cui all’art. 24, § 14, lett. a) della direttiva che impone alla Commissione, nell’esercizio della delega, di prendere in considerazione «la natura dei servizi proposti o forniti al cliente o al potenziale cliente, tenuto conto del tipo, dell’oggetto, delle dimensioni e della frequenza delle operazioni». A considerazioni analoghe in termini di aggravio di costi e rallentamento dei tempi di distribuzione del prodotto potrebbe indurre l’estensione di una parte degli obblighi informativi (oltre che delle regole di condotta generali), segnatamente quelli su costi e oneri, alle controparti qualificate, attesa la presunta inutilità della norma per l’assenza delle asimmetrie informative che caratterizzano la relazione dell’intermediario con la clientela retail. In realtà, la disposizione in parola non appare del tutto priva di fondamento. Essa scaturisce dall’acquisita consapevolezza della sovente
88 Finora la giurisprudenza italiana dominante ha escluso che nella prestazione di questi servizi gli intermediari abbiano l’obbligo di informare l’investitore persino in epoca successiva alla stipula e, a maggior ragione, un obbligo di informativa continuata. Nel senso dell’esclusione di un obbligo di monitoraggio continuo dell’investimento, si vedano: Trib. Torino, 20 novembre 2012; Trib. Ravenna, 29 luglio 2011; Trib. Novara, 23 giugno 2011; contra Trib. Prato, 11 maggio 2007; Trib. Cosenza, 1° marzo 2006; Trib. Roma, 25 maggio 2005; tutte in www.ilcaso.it.
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non adeguata capacità, emersa con la crisi finanziaria, altresì dei clienti non al dettaglio di valutare il rischio dei propri investimenti89. La classificazione dei soggetti come operatori qualificati e ancor più professionali, di là dalle ipotesi di qualificazione automatica, è sinora avvenuta sulla base di valutazioni dei requisiti di esperienza e conoscenza approssimate e superficiali, che hanno accolto in maniera troppo semplicistica le richieste della clientela90. In tale inefficienza trova giustificazione l’intervento del legislatore comunitario che, da un lato, elimina la possibilità della qualificazione automatica degli enti locali come controparti qualificate, riducendo rispetto alla MiFID il novero dei soggetti rientranti per legge in tale categoria (art. 30, § 2), e, dall’altro, estende l’onere informativo degli intermediari a tale insieme di clienti. Appare, quindi, evidente che i potenziali benefici in termini di protezione dell’investitore derivanti dalle modifiche normative di cui sopra valgono i maggiori costi per l’impresa di investimento connessi alle medesime. Semmai, al fine di mitigare il potenziale incremento degli oneri per gli intermediari, si potrebbe ipotizzare di calibrare gli obblighi informativi in relazione alle diverse esigenze di tutela (correlate alla più o meno ampia competenza finanziaria) della clientela rientrante in ciascuna delle due categorie. Si tratterebbe, in altre parole, di creare delle sotto-categorie all’interno di ciascuna categoria di clienti (qualificata e professionale), in funzione delle quali differenziare gli strumenti di tutela previsti dalla legge. D’altro canto, nella direzione della modularizzazione degli obblighi informativi nei confronti delle controparti qualificate o professionali si muove la proposta dell’ESMA alla Commissione (Final Report su Technical Advice, p. 121 s.) di introdurre nella normativa di dettaglio la possibilità per gli intermediari che prestano servizi di investimento di accordarsi sulla limitazione o sull’esenzione dai relativi doveri informativi, purché
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Cfr. il 104° considerando della Mifid II. Sull’argomento si veda, M. Campobasso, Classificazione dell’investitore come “cliente professionale” e imputazione di conoscenza, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, I, p. 819 ss.; Tommasini, La dichiarazione “autoreferenziale” di essere un operatore qualificato e l’onere di verifica in capo all’intermediario destinatario, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 812 ss.; Claris Appiani, Valore probatorio della “dichiarazione di operatore qualificato” e doveri informativi passivi dell’intermediario, in Giur. comm., 2011, p. 276 ss.; Barillà, Lo status di operatore qualificato attribuito a società o persone giuridiche nei contratti di intermediazione di banca e borsa: nuova normativa e vecchio contenzioso, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, I, p. 281 ss.; F. Greco, L’autoqualificazione del cliente nell’intermediazione finanziaria: profili rimediali, in Dirittobancario.it, dicembre 2012. 90
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non si tratti della prestazione di servizi di consulenza o gestione di portafogli ovvero, a prescindere dal servizio prestato, della distribuzione di strumenti finanziari derivati su differenziali. Pertanto, nulla esclude che, con riguardo ai doveri informativi, nelle misure di secondo livello alla differenziazione in funzione della tipologia di servizio si affianchi la graduazione in funzione della tipologia di clienti, vel rectius della più o meno estesa competenza in materia finanziaria degli stessi; graduazione quest’ultima legittimata dalla previsione di cui all’art. 24, § 14, lett. b) (la Commissione nell’emanazione degli atti delegati in materia di doveri informativi deve prendere in considerazione “ la natura dei clienti (al dettaglio o professionali) o, nel caso dei paragrafi 4 e 5 [informativa su costi e oneri], la loro classificazione come controparti qualificate.”). In aggiunta, con riferimento specifico alle controparti qualificate, questa differenziazione degli obblighi informativi e di condotta nell’ambito della medesima categoria di clientela potrà essere introdotta dalla Commissione Europea nella specificazione dei requisiti adeguati in base ai quali un soggetto diverso da quelli elencati dalla legge possa configurarsi come controparte qualificata (art. 30, § 5, lett. c)). La graduazione potrebbe essere prevista, per esempio, tra soggetti per i quali la classificazione come controparte qualificata è automatica (perché effettuata dalla legge) e soggetti che, avendone richiesto il riconoscimento, sono sottoposti a una specifica valutazione volta ad accertarne la particolare competenza in materia finanziaria. Va da sé che i primi avrebbero bisogno di una tutela più ampia rispetto ai secondi. Infine, per ciò che concerne gli obblighi informativi di natura specifica, se ne sottolinea l’utilità in termini di maggiore protezione degli investitori. In particolare, l’obbligo legale di informazione in executivis sugli strumenti finanziari (valutazione periodica degli strumenti raccomandati e comunicazione periodica dell’adeguatezza ai sensi dell’art. 25), che ricade sull’intermediario che presta il servizio di consulenza o di gestione di portafogli, potrebbe consentire di limitare le perdite per il cliente e, specularmente, di migliorare il rapporto fiduciario con l’intermediario. Nella consapevolezza delle conseguenze negative che tale obbligo potrebbe determinare sul piano sistemico sembra condivisibile la decisione del legislatore comunitario di circoscriverne l’applicazione alla prestazione dei soli servizi caratterizzati da un elevato grado di affidamento del risparmiatore e, quindi, da un più intenso bisogno di
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protezione di quest’ultimo91. Viceversa, l’estensione del dovere di informativa periodica sugli strumenti finanziari alla prestazione di tutti i servizi di investimento potrebbe tradursi in un incremento insostenibile dei costi per il sistema nel suo insieme; costi connessi agli effetti negativi che la generalizzazione dell’obbligo avrebbe sia sull’emittente, per le potenziali vendite massicce derivanti dall’informazione resa al cliente, sia sul cliente medesimo, per il rischio che questi assuma decisioni di investimento affrettate e non adeguate poiché affette da over-confidence e per il probabile aumento dei costi transattivi destinati inevitabilmente a tradursi in incrementi dell’onere connesso alla prestazione del servizio di investimento92. 4.3. La regola della best execution. L’art. 27 della MiFID II introduce sia per le imprese di investimento sia per le sedi di esecuzione doveri informativi aggiuntivi concernenti l’obbligo di eseguire gli ordini alle condizioni più favorevoli (c.d. principio della best execution)93. Alle imprese di investimento si impone: - l’obbligo di pubblicare annualmente, per ciascuna classe di stru-
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Cfr. Grossule, Affidamento sull’intermediario e obblighi di informazione in executivis, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, II, p. 425 ss. L’Autore, in considerazione di tali effetti sistemici, esclude la possibile estensione dell’obbligo di informativa periodica sugli strumenti finanziari ai servizi di investimento diversi dalla consulenza e dalla gestione di portafogli, conformandosi all’orientamento giurisprudenziale prevalente. Sull’argomento si veda anche F. Greco, Il consumatore-risparmiatore e gli obblighi informativi “continuativi” tra fonte legale e fonte convenzionale, in Resp. civ. e prev., 2011, p. 1357 ss.; Id., Rileggere le regole dell’informazione nel rapporto tra intermediario e risparmiatore, in Resp. civ. e prev., 2014, p. 931 ss.; Lamponi, L’(incerta) esistenza di obblighi di informazione continuativa in capo all’intermediario: l’oscillazione del valore dei titoli e della giurisprudenza di merito, in Resp. civ. e prev., 2012, p. 2026 ss.; Picardi, Gli obblighi di rendiconto dell’intermediario nella gestione di portafogli, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, p. 479 ss.; Id., Obblighi di informazione, responsabilità dell’intermediario e danno risarcibile nella gestione di portafogli, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, p. 637 ss. 92 Per approfondimenti, si veda Moloney, How to protect investors. Lessons from the EC and the UK, cit., p. 45 ss. e p. 69 ss.; Romano, Empowering investors: A market approach to Securities Regulation, in 107 Yale Law Journal, 1998, p. 2381 ss.; Grossule, Affidamento, cit., p. 425 ss. 93 Sul criterio della best execution codificato dalla MiFID cfr. Moroni, La “best execution” degli ordini in mercati azionari frammentati, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 349 ss.; Mazzini, Le regole, cit., p. 129 ss.
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menti finanziari, le prime cinque sedi di esecuzione in termini di volume di contrattazioni concernenti esecuzioni di ordini di clienti nell’anno precedente e informazioni sulla qualità di esecuzione; - l’obbligo di informare il cliente in merito alla sede in cui l’ordine è stato eseguito; - il divieto di ricevere remunerazioni, sconti o benefici non monetari per la canalizzazione dell’ordine verso una particolare sede di negoziazione o di esecuzione. Una maggiore disclosure è richiesta anche alle trading venues (sede di esecuzione o internalizzatore sistematico) su ciascuna delle quali ricade l’obbligo di rendere disponibile al pubblico almeno annualmente, senza oneri, dati relativi alla qualità dell’esecuzione delle operazioni in tale sede. Le relazioni periodiche includono dati sul prezzo, sui costi, sulla velocità e sulla probabilità dell’esecuzione per i singoli strumenti finanziari94. Con riguardo specifico al contenuto delle policies di esecuzione, l’ESMA (Final Report on Technical Advice, p. 177 s.) raccomanda che in esse si stabilisca la strategia di esecuzione in modo da ottenere il miglior risultato possibile nell’esecuzione degli ordini dei clienti e si evidenzino i fattori che influenzano la scelta delle modalità di esecuzione e la rilevanza di ciascuno di questi su tale scelta. Le policies di esecuzione dovrebbero rilevare altresì i pagamenti da terze parti consentiti95. Le novità normative appena evidenziate sono chiaramente dirette a rendere più trasparente la scelta della sede di esecuzione e a prevenire situazioni in grado di generare conflitti di interesse tra intermediario e cliente. Va da sé che i nuovi obblighi informativi determineranno bene-
94 L’ESMA (Final Report on Technical Advice, p. 177 ss.) raccomanda gli specifici tipi di dati che le imprese di investimento e le sedi di negoziazione devono riportare al fine di rispettare i loro obblighi di pubblicazione delle informazioni sulla qualità dell’esecuzione e sul flusso di ordini. I dati forniti dalle sedi di esecuzione dovrebbero essere precisamente definiti, pubblicati in un format standardizzato e appropriati per le imprese che utilizzano la sede. I dati forniti dalle imprese dovrebbero assicurare la massima trasparenza in merito alle sedi scelte e dovrebbero essere facilmente comprensibili per i clienti. 95 Gli investitori al dettaglio hanno bisogno solamente di una sintesi della strategia di esecuzione. I clienti non dovrebbero essere indotti a scegliere la propria sede di esecuzione, ma se invitati a farlo, devono avere accesso a un’adeguata e trasparente informazione a supporto della propria scelta. L’ESMA, infine, fornisce ulteriori linee guida e chiarimenti sulle modifiche materiali che dovrebbero indurre revisioni delle strategie e degli accordi di esecuzione
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fici anche in termini di efficienza, avendo come probabile effetto l’aumento della concorrenza sia tra le imprese di investimento sia tra le sedi di esecuzione. Tuttavia, dubbi in merito alla reale portata delle novità in materia e alla concreta efficacia della regola della best execution permangono. Essi sono collegati alla circostanza che la migliore esecuzione possibile degli ordini avverrà pur sempre avendo come punto di riferimento una cerchia ristretta di sedi di esecuzione, peraltro individuata preventivamente dall’intermediario, e che la valutazione in merito spetta pur sempre a quest’ultimo. In altri termini, la reale portata della norma ai fini della tutela dell’investitore rimane nelle mani dell’impresa di investimento, vel rectius nella più o meno indipendenza, imparzialità e obiettività della stessa nella scelta delle sedi di esecuzione. A ciò si aggiunga la difficoltà per l’investitore di provare ex post il rispetto della regola da parte dell’intermediario.
5. Osservazioni di insieme. Di là dalle riflessioni finora svolte in merito alle specifiche novità normative, guardando al riformato impianto sistematico a tutela dell’investitore nel suo complesso, possiamo concludere che l’efficacia del medesimo nel garantire un potenziamento delle misure a difesa del cliente è significativamente minata dalla mancanza di un adeguato apparato sanzionatorio di tipo civilistico96 a presidio delle regole di condotta e
96 Come la precedente normativa, l’art. 70 della direttiva contiene esclusivamente un impianto sistematico di sanzioni di tipo amministrativo. Con riferimento alla disciplina contenuta nel precedente impianto normativo di cui alla MiFID, tale lacuna viene sottolineata, da ultimo, da: La Rocca, Il contratto di intermediazione mobiliare tra teoria economica e categorie civilistiche (prime riflessioni), in www.ilcaso.it, Sez. II, doc. n. 134/2009; Belleggia, “La massima armonizzazione”:un importante obiettivo della MiFID messo a rischio, in www.ilcaso.it, Sez. II, doc. n. 145/2009; Maffeis, Sostanza e rigore nella disciplina MiFID del conflitto di interessi, in www.ilcaso.it, Sez. II, 2009; Capriglione, La problematica relativa al recepimento della MiFID, in La nuova normativa MiFID, a cura di De Poli, Padova, 2009, p. 4 ss., che ripercorre il dibattito sull’applicazione dei rimedi più idonei in ipotesi di violazione di obblighi comportamentali da parte degli intermediari. Sull’apparato sanzionatorio amministrativo vigente in campo bancario e finanziario e sulla relativa evoluzione si rinvia a Bani, I poteri sanzionatori nella regolazione a tutela dei risparmiatori, in I contratti dei risparmiatori, cit., p. 507 ss.; Sartori, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione, (S.U.) 19 dicembre 2007, n. 26725, in Dir. fall., 2008, I, p. 1 ss.
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degli obblighi informativi97. Pertanto, l’enforcement della nuova disciplina in materia sarà ancora una volta affidato agli interventi di law in action sia della giurisprudenza civile98 dei singoli stati membri sia e soprattutto delle autorità di vigilanza nazionali ed europee i cui poteri di intervento sul prodotto sono stati a tal fine rafforzati dalla riforma in virtù del riconoscimento di forme di controllo ex ante e di natura proattiva99. Si aggiungono ai suddetti strumenti di enforcement i meccanismi extragiudiziali per i reclami dei
97 L’iniziale documento di consultazione conteneva la proposta della Commissione Europea di introdurre nella revisione della MiFID il principio di responsabilità civile per la violazione delle regole di condotta, mentre la MiFID II nella sua versione finale tace sul punto. Cfr. Commissione Europea, Public Consultation. Review of the Markets in Financial Instruments Directive (MiFID) (MiFID Review), 63, 7.2.6 (Liability of firms providing services). 98 Nell’ipotesi di violazione delle regole di condotta e degli obblighi informativi, l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale prevalenti nel nostro paese propendono verso l’utilizzo dei consueti rimedi civilistici derivanti dal combinato disposto di cui agli artt. 1176, co. 2, e 1218 o 1337 c.c., distinguendo il caso in cui la violazione delle regole di condotta avvenga in fase pre-contrattuale ovvero in corso di contratto. Nella prima ipotesi, si sancisce la responsabilità pre-contrattuale dell’intermediario con un termine di prescrizione quinquennale dell’azione. Nella seconda, il nostro ordinamento prevede come rimedi la risoluzione per inadempimento del contratto e/o la responsabilità dell’intermediario e conseguente obbligo di risarcimento dei danni con prescrizione decennale dell’azione. Ricade sul cliente l’onere di allegare l’inadempimento dell’intermediario, provare il danno subito, provare il nesso causale tra l’inadempimento e il danno (salvo in caso di violazione dell’obbligo di astensione, in cui il nesso causale è in re ipsa). Sugli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali materia di violazione delle regole di condotta si veda da ultimo, anche per i riferimenti riportati, Restuccia, Il conflitto, cit., p. 27 ss. 99 Sul punto si veda Moloney, The European Securities and Market Authority and Institutional Design for the EU Financial Market — A Tale of Two Competences: Part (2) Rules in Action, in European Business Organization Law Review, vol. 12, 2011, p. 177 ss. In una visione più ampia (non limitata al mercato mobiliare), cfr. Moloney, Supervision in the Wake of the Financial Crisis: Achieving Effective ‘Law in Action’ – A Challenge for the EU, in Financial Regulation and Supervision a post-crisis analysis, a cura di Wymeersch, Hopt, Ferrarini, Oxford, 2012, p. 71 ss.; Burke, Re-examining Investor Protection in Europe and the US, in EILF Journal of Law & Economics, vol. 1, 2009, p. 1 ss. Quest’ultimo Autore afferma che «Intensity of enforcement is the conditio sine qua non of effective investor protection» ed evidenzia, supportato da una serie di indagini empiriche (p. 19 ss.), che il sistema di enforcement europeo imperniato sulle pubbliche autorità è incapace di assicurare una effettiva applicazione della legge, mentre negli Stati Uniti, la maggiore intensità dell’enforcement da sola non è in grado di impedire la volatilità dei mercati e di garantire che le imprese seguano procedure di gestione del rischio appropriate (p. 34).
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consumatori, la cui istituzione da parte degli stati membri è peraltro divenuta obbligatoria (non più solo facoltativa come nalla MiFID100) ai sensi dell’art. 75 della MiFID II. Rimangono, dunque, tutte le perplessità in termini di incertezza delle conseguenze derivanti dalla violazione delle regole di condotta101, dovute alla mancanza di una disciplina uniforme a livello europeo alla base dell’intervento dei tribunali nonché della procedura alternativa di risolu-
100 La Mifid all’art. 53 si limitava a incoraggiare lo stabilimento di procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie. Un obbligo similare è previsto nella Direttiva sui Servizi di pagamento I (art. 80, direttiva n. 2007/64/EC), nella Direttiva sul Credito al consumo (art. 24, direttiva n. 2008/48/EC) e nella Direttiva sui Crediti ipotecari (art. 39, direttiva n. 2014/17/EU). Misure più specifiche sono previste nella direttiva 2013/11/EU on alternative dispute resolution for consumer disputes (Consumer ADR) e nel regolamento UE n. 524/2013 on online dispute resolution (Consumer ODR). Sulle ADR in campo bancario e finanziario si vedano, ex multis, Pellegrini, Le ADR (Alternative Dispute Resolution) in ambito bancario e finanziario, in Manuale di diritto bancario e finanziario, a cura di Capriglione, cit., p. 585 ss.; Rispoli Farina, Sistemi alternativi di soluzione delle controversie nel settore finanziario. Pluralità di modelli ed effettività della tutela, in Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dalla istituzione della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, a cura di Mollo, Roma, 2015, p. 299 ss.; Soldati, L’evoluzione della Consob nella risoluzione delle controversie finanziarie, in Riv. trim. dir. econ., n. 3 – suppl., p. 375 ss.; Luiso, La Direttiva 2013/11/UE, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 1299 ss.; Rossano, Mediazione ed altri sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie a tutela del risparmiatore, in I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione, cit., p. 579 ss.; Gioia, L’esperienza della risoluzione alternativa delle controversie consumeristiche (Cadr) nell’Unione europea. A proposito di un volume collettaneo, in Giust. civ., 2013, p. 841 ss.; Ardizzone e Vitali, Le ADRs nei mercati finanziari: spunti dal nuovo regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato presso la Consob, in Riv. soc., 2012, p. 998 ss.; Capriglione, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, p. 261 ss.; Deodato, Conciliazione e arbitrato, fra indicazioni europee ed iniziative nazionali, in Iustitia, 2008, p. 179 ss.; Pellegrini, Le controversie in materia bancaria e finanziaria, Padova, 2007; Fornelli, Sub Articolo 7, in L’attuazione della direttiva MiFID Decreto legislativo 17 settembre 2007, n. 164, a cura di Irace e Rispoli Farina, cit., p. 228 ss.; Sticchi Damiani, Sistemi alternativi alla giurisdizione, (ADR) nel diritto dell’Unione Europea, Milano, 2004. Per un’analisi comparata dei sistemi di ADR esistenti, si rinvia a: Boccuzzi, a cura di, I sistemi alternativi di risoluzione delle controversie nel settore bancario e finanziario: un’analisi comparata, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, 2010, n. 68; Antonucci, The Mandatory ADR in the Financial Services, in Riv. trim. dir. econ., I, 2011, n. 4, p. 284 ss.; Valsecchi, I sistemi di ADRS nel settore finanziario: l’esperienza dei maggiori ordinamenti europei, in AGE, 2011, p. 103 ss. 101 Per una rassegna delle diverse conseguenze imposte dalla giurisprudenza civile nei vari Stati Membri, si rinvia a Cherednychenko, Public, cit., p. 634 ss.
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zione delle controversie102. Così come permangono tutte le debolezze e i pericoli connessi a un modello di enforcement imperniato sic et sempliciter sulla supervisione pubblica103. Forse il legislatore avrebbe potuto introdurre procedure di enforcement più idonee a dare concretezza alle misure legali di protezione del cliente. In proposito merita un richiamo la soluzione adottata dal legislatore statunitense con riferimento alla tutela dei consumatori104. Oltre alla presenza, nel Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act del 21 luglio 2010, di svariate norme che rafforzano le misure di protezione dell’investitore, il governo Obama ha previsto la costituzione di un’apposita Agenzia (Consumer Financial Protection Bureau) a cui affidare la protezione degli interessi dei consumatori, conscio dei potenziali rischi e pericoli a cui la medesima tutela sarebbe esposta qualora affidata alle Autorità di settore a causa del c.d. fenomeno della cattura dei regolatori. In particolare, a tale Agenzia è attribuito il compito di qualificare come abusivi un atto o una pratica commerciale, qualora la stessa ritenga che l’atto o la pratica in questione ostacolino la capacità dell’investitore di comprendere le caratteristiche di un prodotto o servizio finanziario105.
102 Come sottolineato da Cherednychenko, Public, cit, p. 639 s., neppure la costituzione di ADR entities è immune da critiche. Essa conduce, infatti, a un’ulteriore stratificazione di regole nell’ambito di un già complesso quadro legale per i servizi finanziari, composto, da una parte da regole di supervisione finanziaria connesse al contratto di investimento e, dall’altra, dalle tradizionali regole di diritto privato. In aggiunta, tali entità utilizzano approcci contraddittori e divergenti nella risoluzione delle medesime controversie. 103 Per approfondimenti sul punto, si veda Cherednychenko, Public, p. cit. 623 ss.; Id., The Regulation of Retail Investment Services in the EU: Towards the Improvement of Investor Rights?, in Journal of Consumer Policy, vol. 33, No. 4, 2010, p. 403, in part. p. 409 ss. Il coinvolgimento delle Autorità amministrative nell’enforcement delle leggi europee, segnatamente nel settore dei servizi finanziari, è sottolineato, tra gli altri, da Cafaggi & Micklitz, Introduction, in New Frontiers of Consumer Protection: The Interplay between Private and Public Enforcement, Cafaggi & Micklitz (eds), Antwerp/Oxford/ Portland, 2009, p. 1 ss.; Micklitz, Administrative Enforcement of European Private Law, in The Foundations of European Private Law, Brownsword et al. (eds), Oxford, p. 563 ss. 104 Per un’analisi comparativa del sistema di protezione degli investitori statunitense ed europeo, si vedano, tra gli altri: Ravdin, One Step Forward, Two Steps Back: Arguing for a Transatlantic Investor Protection Regime, in Columbia Journal of Trasnational Law, vol. 50, 2012, p. 490 ss.; Burke, Re-examining, cit. 105 Sulla natura giuridica e sulle funzioni dell’Agenzia si vedano, tra gli altri: Jonston, Lywicky, The Consumer Financial Protection Burean’s Arbitration Study. A Summary and Critique, in Mercatus Working Paper, August 2015, p. 1 ss.; Levitin, The Consumer Financial Protection Burean: An Introduction, in Review of Banking and Financial Law,
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Si potrebbe pensare di estendere tale soluzione anche all’ordinamento europeo al fine di garantire una maggiore tutela del risparmiatoreinvestitore in strumenti finanziari. Infatti, le indagini e le valutazioni di un’eventuale Autorità specifica, pur non potendo tradursi in una tutela giudiziaria diretta a favore degli investitori, potrebbero costituire la base per azioni individuali e collettive dei privati contro gli intermediari106 e potrebbero facilitare, ridurre i costi e velocizzare i successivi giudizi da parte dei tribunali, i quali si limiterebbero ad una verifica della correttezza della valutazione in precedenza compiuta dall’Agenzia107. Invece, almeno per il momento, il modello di enforcement imperniato sulla combinazione di meccanismi di law in action di natura pubblica (autorità amministrative di vigilanza) e privata (tribunali civili e procedure di risoluzione alternative) è l’unico immaginato dal legislatore europeo per garantire l’applicazione concreta del nuovo impianto normativo (law on the books) a tutela dell’investitore in strumenti finanziari. Tale modello, come è noto, si basa su funzioni di enforcement da rendere complementari108: allo scopo di evitare conflitti e sovrapposizioni di competenze e responsabilità. Esso richiede un notevole sforzo di cooperazione tra “enforcers” pubblici e privati per assicurare il coordinamento delle rispettive funzioni, regolativa e orientata alla deterrenza quella amministrativa (pubblica), rimediale e compensativa quella giudiziale ed extragiudiziale (privata)109. È dall’esito di tale cooperazione e dalla ca-
vol. 31, n. 2, p. 321 ss. 106 Sugli strumenti di tutela individuale e collettiva esistenti in campo bancario e finanziario v. Antonucci, Gli strumenti di tutela meta-individuale e collettiva dell’utente finanziario, in I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione, cit., 519 ss.; AA.VV., Tutela collettiva dei risparmiatori. Aspetti comparatistici e fiscali, in Tratt. dir. comm. dir. pubb. econ., diretto da Galgano, Parte terza, Padova, 2006, p. 315 ss. 107 Cfr. Santoro, I limiti del mercato e il fallimento della regolamentazione, in Dir. banc., 2012, I, p. 11 ss., in part. p. 26 ss. 108 Cfr. Weber e Faure, The Interplay between Public and Private Enforcement in European Private Law: Law & Economics Perspective, in European Review of Private Law, vol. 23, n. 4/2015, p. 525 ss.; Bellantuono, Public and Private Enforcement of European Private Law in the Energy and Telecommunications Sectors, in European Review of Private Law, vol. 23, n. 4/2015, p. 649 ss. 109 Cfr. Cherednychenko, Public, cit, p. 640. In Europa, alcuni Stati, come Francia e Germania, hanno adottato un modello di enforcement complementare basato sulla separazione delle due funzioni affidate a due entità distinte. Il Regno Unito sta invece sperimentando un modello ibrido che prevede l’affidamento della funzione regolativa e deterrente e di quella rimediale a un’unica Autorità di supervisione finanziaria, la Financial Consumer Authority (FCA).
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pacità nello svolgimento di tali funzioni che nel diritto europeo dipende l’effettivo passaggio dal modello orientato alla trasparenza all’effettiva cura del cliente.
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L’espansione della competenza sanzionatoria di Agcm. Note sulla – dubbia – separazione delle prerogative di regolazione e sulla pretesa (sostanziale) marginalizzazione delle autorità di vigilanza dei mercati finanziari Sommario: 1. L’unità delle prerogative delle autorità dei mercati finanziari. – 2. La potestà sanzionatoria di Agcm nel codice del consumo e la soluzione giurisprudenziale. – 3. La ridefinizione delle competenze sanzionatorie operata dal d.lgs. n. 21/2014 a recepimento delle “indicazioni europee”. 4. – Esisteva veramente un dovere di adeguamento alle indicazioni europee? Una riflessione sulla portata e valore prescrittivo delle c.d. “lettere di messa in mora”. – 5. Il Governo poteva effettivamente novellare l’art. 27 cod. cons. incidendo sull’attribuzioni delle autorità di settore? Un dubbio sull’esistenza del potere normativo. – 6. Dubbi sulla compatibilità della soluzione normativa ed interpretativa relativa alla concentrazione del potere sanzionatorio in capo ad Agcm e sulla sua contrarietà alla normativa europea. – 7. La disciplina regolamentare di Agcm.
1. L’unità delle prerogative delle autorità dei mercati finanziari. Da tempo risalente la normativa domestica include tra le finalità dell’azione delle autorità dei mercati finanziari anche la tutela degli interlocutori delle imprese che operano nei singoli settori di competenza delle prime. Quindi, alle amministrazioni viene affidato il compito di orientare in via preventiva la condotta dei vigilati e di verificare, successivamente, il rispetto, da parte di quelli, delle regole e dei principi di trasparenza e correttezza come intesi o risultanti dalla propria attività di regolazione. Dunque, accanto al compito di presidiare la stabilità ed efficienza di ciascun comparto – con un’azione di vigilanza prudenziale - s’impone loro quello di garantire un equilibrato approccio negoziale delle imprese verso chi richiede ed utilizza i diversi servizi finanziari ampiamente intesi. In tal senso si pongono tanto il t.u.f. che il codice delle assicurazioni. L’art. 5, co. 1, lett. b, d.lgs., 24 febbraio 1998, n. 58, assegna a Consob e
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Banca d’Italia anche l’obbiettivo d’assicurare «la tutela degli investitori» mentre l’art. 3, co. 1, d.lgs., 7 settembre 2005, n. 209, attribuisce ad Ivass quello della tutela «degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative»1. Come per le altre finalità anche l’azione a tutela della “parte debole” si sviluppa tramite l’esercizio di un’articolata serie di prerogative che comprendono un’ampia potestà normativa, una d’orientamento e d’una conformativa ad incidenza puntuale, tutte “completate” da quella sanzionatoria. Interventi preventivi e successivi tra loro strettamente complementari; prima si regola, poi, si dispone ed, in fine, si interviene per ristabilire l’ordine violato, colpendo i trasgressori, dispiegando il potere punitivo che rappresenta il fattore “di chiusura”2 del sistema. Potestà questa che costituisce l’ultimo presidio di garanzia ed effettività delle altre prerogative conformative ampiamente intese3, tramite cui, in vario modo, si definiscono o chiariscono le regole di comportamento4.
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È, peraltro, da segnalare, come l’art. 3 cod. ass., nella versione modificata dal art. 1, co. 2, d.lgs., 12 maggio 2015, n. 74, attribuisca alla finalità di tutela degli assicurati e degli altri aventi diritto la qualifica di finalità principale, rompendo quella equiparazione tra obbiettivi conosciuta dalla precedente versione in cui quella era pari ordinata a quella di garantire la sana e prudente gestione delle imprese, la correttezza dei comportamenti di imprese ed intermediari. Il legislatore domestico, infatti, ha proceduto alla differenziazione, per adeguarsi alle indicazioni dell’art. 27, dir. 2009/138/CE del 25 novembre 2009, che prescrive agli stati membri di garantire alle autorità di vigilanza risorse e prerogative «(…) per raggiungere l’obbiettivo principale della vigilanza, ovvero, la tutela dei contraenti e dei beneficiari». Per una ricognizione degli interventi operati dal decreto di recepimento e delle loro ricadute, per tutti si vedano, Galanti – Rosatone, Il nuovo codice delle assicurazioni private e il futuro della vigilanza sulle assicurazioni, in Riv. trim. dir. econ., 2015, p. 125 ss. 2 Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2013, p. 172; Titomanlio, Funzione di regolazione e potestà sanzionatoria, Milano, 2007, p. 475, cui adde, Trimarchi, Funzione di regolazione e potere sanzionatorio delle Autorità indipendenti, in Il potere sanzionatorio delle Autorità amministrative indipendenti, a cura di Allena e Cimini, 2014 (in www.giustamm.it), p. 85 e p. 86. 3 Per ulteriori riferimenti bibliografici, mi sia consentito rinviare a Romagnoli, La potestà sanzionatoria amministrativa a presidio della disciplina dell’abbinamento di mutui immobiliari o contratti di credito al consumo a polizze vita (art. 28, d. l. 24 gennaio 2012, n. 1). Condotte punibili e modalità d’esercizio dell’azione pubblica (2014), in www.giustamm.it ed in Dir. banc., 2014, p. 613 ss. 4 Orientamento condiviso dalla giurisprudenza – Cons. St., sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 341, in www.giustizia-amministrativa.it – che dalla complementarietà delle funzioni, nel silenzio del legislatore, ricavava il corollario della spettanza di quella sanzionatoria al soggetto pubblico «nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione».
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L’unità delle funzioni regolatorie delle autorità dei mercati finanziari può essere considerata caratteristica naturale e trova conforto nel diritto positivo, da cui, in principio, è stata espunta ogni ipotesi di loro “frammentazione”. Con un’iniziativa legislativa “razionalizzatrice” (art. 26, l. 28 dicembre 2005, n. 262) si è, infatti, superato un risalente regime che prevedeva un procedimento sanzionatorio diviso in due fasi ove quella istruttoria – terminante con la proposta del provvedimento - spettava all’amministrazione di settore con riserva della fase decisoria al ministro competente, cui s’imputava l’atto finale d’archiviazione o d’applicazione della pena. Il legislatore, dunque, ha dato riconoscimento espresso al fatto che nel diritto dell’economia – ed in special modo in quello dei mercati finanziari – la competenza sanzionatoria assume rilievo non marginale o residuale, integrandosi profondamente con le potestà conformative e d’indirizzo5. Infatti, l’ampio ricorso alla tecnica legislativa dell’impiego delle clausole generali implica lo svolgimento d’una significativa opera di loro attuazione/materializzazione attraverso una serie di determinazioni, anche informali, delle autorità di vigilanza, i cui limiti di tolleranza e margini d’elasticità vengono definiti e corroborati anche in sede sanzionatoria ove, in concreto, vengono “testati” i margini di libertà concessi dai documenti normativi la cui portata non è preventivamente ed immediatamente individuabile in modo rigoroso. L’unità delle prerogative in cui si sostanzia l’azione di vigilanza – cioè lo stretto legame tra attribuzioni regolatorie conformative, ampiamente intese, e sanzionatorie – pare, ancora, porsi quale corollario dei principi di equità, proporzionalità e del dovere di non aggravamento, che obbligano il legislatore a contenere nei minimi termini le incertezze che conseguono al ricordato utilizzo di clausole generali o rinvio a standard. Le difficoltà che devono essere affrontate da chi è investito del potere normativo – conseguenti alla tecnicità d’una data materia od al suo alto tasso d’obsolescenza – non possono, infatti, essere “scaricate” interamente sui vigilati attraverso una progressiva – ed incontrollata – estensione del principio di autoresponsabilità. Dunque s’impone la necessità
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Cfr. Troise Mangoni, Il riparto di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette tra l’AGCM e le altre Autorità indipendenti preposte alla vigilanza di specifici settori economici, in I poteri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nei confronti delle P.A. e delle imprese, a cura di Domenichelli e Romagnoli, Napoli, 2015, p. 103.
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di riconoscere un immediato e determinante valore pratico al più ampio insieme di atti d’orientamento – anche se atipici od innominati – perché dotati di una loro autonoma forza affidante in quanto provenienti dal soggetto titolare del potere di regolazione. Da quella premessa deriva, quindi, che la verifica di correttezza di una data condotta “materiale” non può essere compiuta avendo esclusivo riguardo alla realizzazione più ampia e piena del bene/valore di cui si vuol garantire il rispetto ma anche considerando la posizione del soggetto passivo del precetto. In una prospettiva pratico/operativa, dunque, l’autorità già in sede di delibazione preistruttoria dei comportamenti sospetti dovrà svolgere un apprezzamento estremamente ampio e con il necessario abbandono di ogni posizione formalistica rigorosa. D’altronde la tutela dell’interesse pubblico, per una sostanziale esigenza di giustizia ed equità, non può essere coltivata prescindendo dalla più ampia considerazione della posizione del indagato. E ciò è reso possibile proprio dalla concentrazione nella prerogativa regolatoria di quella sanzionatoria che impone all’amministrazione procedente di non prescindere dall’esame di ogni indicazione emessa dalla stessa, quando questa si palesa dotata d’un minimo carattere affidante tale da indurre il vigilato a tenere la condotta oggetto di osservazione. In altri termini, dovrebbe essere evidente che solo la concentrazione delle competenze è ragionevolmente in grado di garantire quella pienezza ed immediatezza del giudizio che può considerarsi una delle tante facce del dovere di lealtà che grava su ogni pubblica amministrazione. La concentrazione, dunque, può essere considerata come uno strumento, tendenzialmente necessario, per garantire immediatezza ed effettività nell’adempimento di quel dovere di mantenere un atteggiamento collaborativo che polarizza l’azione della P.A. alla prevenzione delle situazioni potenzialmente pericolose o contrarie alle norme o principi di fondo che caratterizzano il settore regolato, con conseguente marginalizzazione della reazione sanzionatoria successiva. Pur prendendosi atto della rilevanza della “leva” punitiva a questa deve attribuirsi uno spazio residuale, in quanto strumento di reazione a quei comportamenti indubbiamente colpevoli alla cui realizzazione l’amministrazione non ha dato alcun impulso. E ciò in linea con le più recenti indicazioni del legislatore domestico ed, in specie, da quelle ritraibili dall’ art. 9, co. 1, del c.d. Statuto delle imprese (l. 11 novembre 2011, n. 180). L’arricchimento del catalogo dei principi ispiratori dell’azione amministrativa, con l’inclusione di quello di «buona fede» – posta a fianco dei tradizionali canoni di trasparenza, correttezza e proporzionalità – impone una considerazione quanto più piena e completa della posizione
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dell’indagato. E ciò implica, in una prospettiva pratica, che il suo affidamento non può essere tradito neppure se generato da un’azione informale – e non vincolante – della P.A. che lo ha indotto al compimento di atti od all’assunzione di condotte non rigorosamente “ortodosse”.
2. La potestà sanzionatoria di Agcm nel codice del consumo e la soluzione giurisprudenziale. Il principio dell’unità delle funzioni di vigilanza delle autorità dei mercati finanziari è sembrato messo in discussione delle previsioni del codice del consumo ed, in specie, dal suo art. 27 (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206). Questo, infatti, pareva genericamente affidare all’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato la potestà sanzionatoria relativa alla violazione della disciplina delle pratiche commerciali scorrette, intese come insieme di condotte in grado di alterare la libera determinazione negoziale del consumatore. La lettura dell’originario documento normativo orientava, quindi, Agcm, con in supporto di autorevoli studiosi, a reputarsi investita di un potere punitivo trasversale, non limitato dalla presenza di altre autorità investite della tutela delle controparti dell’impresa quali Consob ed Ivass6. L’impostazione dell’Autorità garante, però, non fu avallata dalla giurisprudenza amministrativa che, prima, in via consultiva e, poi, in sede contenziosa, escluse che alla prima spettasse la più ampia sfera d’azione nel caso in cui il comportamento dubbio fosse regolato da un plesso normativo speciale la cui osservanza è garantita da un’autorità di settore.
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Per una rassegna critica di opinioni favorevoli alla competenza generalista di Agcm, nonché per l’adesione alla tesi della specialità dell’azione con radicamento della competenza sanzionatoria, rispettivamente in capo a Consob ed ad Ivass, Tola, Pratiche commerciali scorrette e prodotti finanziari, in La tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette nei mercati del credito e delle assicurazioni, a cura di Meli e Marano, Torino, 2011, p. 105 ss e Romagnoli, La repressione delle pratiche commerciali scorrette tra poteri dell’Autorità garante per la concorrenza e del mercato e competenze di Isvap, ivi, p. 195 ss., nonché in Riv. dir. impr., 2011, p. 52 ss. Per una ricognizione delle assunte, rispettivamente, da dottrina e giurisprudenza, da ultimo si veda, Petti, Il riparto di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori regolati. Riflessioni sul decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 21, (2014), p. 6 ss., in www.federalismi.it.
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La prima sezione del Consiglio di Stato7, sollecitata a verificare l’esistenza di limiti alla «(…) competenza dell’Agcm ad intervenire al fine di accertare la scorrettezza degli operatori del settore e di irrogare le relative sanzioni», la negò in radice. La competenza, infatti, sarebbe stata esclusa dal rapporto di specialità corrente tra disciplina del codice del consumo e t.u.f. e da quello corrispondente tra attribuzioni delle autorità chiamate a presidiare l’osservanza dei rispettivi regimi sostanziali. Da li la conclusione per la concentrazione in capo alla Commissione nazionale per le società e la borsa di tutte le potestà finalizzate alla tutela dei consumatori di prodotti finanziari, quali sono i risparmiatori8. Esclusa la possibilità d’una concorrenza di due discipline – accumunate da aver come obbiettivo la soddisfazione di quel medesimo interesse generale alla corretta informazione del soggetto debole – doveva, quindi, darsi prevalenza a quella che meglio coglieva le peculiarità del mercato finanziario9 e la portata del bisogno di protezione. Di qui la conseguente preminenza del t.u.f. e della corrispondente amministrazione incaricata delle vigilanza su correttezza e trasparenza dei comportamenti degli intermediari (art. 5, co. 3, t.u.f.). La tesi della sezione consultiva fu poi condivisa dal giudice della nomofilachia amministrativa10. Questo, infatti, ribadì vigorosamente come la linea di confine tra competenze dell’Autorità garante e quella delle
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Parere, 3 dicembre 2008, n. 3999 in www.giustizia-amministrativa.it. La soluzione riferita, però incontrò rari consensi in dottrina, tra i pochi, si veda, Libertini, Le prime pronunce dei giudici amministrativi in materia di pratiche commerciali scorrette, in Giur. comm., 2009, II, p. 892. 9 Si noti che per la Sezione è la caratteristica specificità del settore finanziario ad identificare le ragioni della specialità. Al collegio «(…) non pare infatti dubitabile che il settore finanziario, rappresenti, per le sue caratteristiche, le sue pratiche, la sua ragione e le sue stesse norme un contesto di sistema, distinto rispetto al mercato generale (…)». 10 Cons. St., ad. plen., 11 maggio 2012, nn. 12, 13, 14, 15 e 16, in www.giustiziaamministrativa.it. Per un commento adesivo si vedano, per tutti, Torchia, Una questione di competenza: la tutela del consumatore fra disciplina generale e disciplina di settore, in Giorn. dir. amm., 2012, p. 953 ss. e Troise Mangoni, Il riparto, cit., p. 89 ss. Tutte le pronunzie, con l’eccezione della n. 14/2012, previa verifica della portata specializzante della disciplina di settore, accolgono dichiarano fondata la censura di incompetenza di Agcm ed affermando la spettanza del potere punitivo ad Ag.Com. Facendo applicazione dello stesso criterio, invece, l’Adunanza plenaria 14/2012, rilevata l’inesistenza in ambito bancario d’una normativa peculiare, ispirata alla medesima finalità di tutela del consumatore, respinge l’eccezione ritenendo spettare la funzione punitiva al garante della concorrenza e non già a Banca d’Italia. 8
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altre amministrazioni di settore doveva essere individuata facendo applicazione del principio di specialità. Di conseguenza la vigilanza sulla correttezza delle condotte delle imprese svolta dalla prima non poteva reputarsi estesa a quei settori in cui lo stesso compito è affidato ad altre amministrazioni indipendenti munite di idonei poteri di intervento a presidio del rispetto della disciplina sostanziale specifica11.
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Nell’esaminare le disposizioni contenute nel Codice del consumo, al fine d’individuare l’autorità competente, l’Adunanza plenaria n. 12/2012, cit., ha precisato che il primo «(…) detta una disciplina articolata proprio al fine di tutelare le esigenze e le aspettative del consumatore/utente in tutti i campi del commercio, senza prendere in considerazione le specificità di singoli settori quale, relativamente alla fattispecie in esame, quello delle comunicazioni elettroniche. A tal fine sovviene l’art. 19, comma 3, del Codice del consumo, ai sensi del quale, in caso di contrasto, prevalgono le norme che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette. In sostanza, la norma in esame si iscrive nell’ambito del principio di specialità (principio immanente e di portata generale sul piano sanzionatorio nel nostro ordinamento, come si evince dall’art. 15 del cod. pen. e dall’art. 9 della legge n. 689 del 1981), ai sensi del quale non si può fare contemporanea applicazione di due differenti disposizioni normative che disciplinano la stessa fattispecie, ove una delle due disposizioni presenti tutti gli elementi dell’altra e aggiunga un ulteriore elemento di specificità (o per aggiunta o per qualificazione). In altre parole, le due norme astrattamente applicabili potrebbero essere raffigurate come cerchi concentrici, di cui quello più grande è quello caratterizzato dalla specificità. Né all’applicazione del principio di specialità può opporsi che debba esistere una situazione di contrasto tra i due plessi normativi: difatti, ad una lettura più meditata, occorre ritenere che tale presupposto consista in una difformità di disciplina tale da rendere illogica la sovrapposizione delle due regole. Ed invero, al riguardo può concretamente soccorrere quanto previsto dal considerando 10 della dir. 2005/29/CE (testo normativo recepito nel nostro ordinamento nel d.lgs. n. 206 del 2005, ossia nel Codice del consumo), secondo cui la disciplina di carattere generale si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali; in pratica, essa offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una legislazione di settore. Alla luce di questa impostazione occorre leggere, pertanto, quanto previsto all’art. 3, comma 4, della medesima direttiva, trasfuso nell’art. 19, comma 3, del Codice del consumo, secondo cui prevale la disciplina specifica in caso di contrasto con quella generale: il presupposto dell’applicabilità della norma di settore non può essere individuato solo in una situazione di vera e propria antinomia normativa tra disciplina generale e speciale, poiché tale interpretazione in pratica vanificherebbe la portata del principio affermato nel considerando 10, confinandolo a situazioni eccezionali di incompatibilità tra discipline concorrenti. Occorre, invece, leggere il termine conflict (o conflit), usato nella direttiva nelle versioni in inglese (e francese) e tradotto nel testo italiano come contrasto, come diversità di disciplina, poiché la voluntas legis appare essere quella di evitare una sovrapposizione di discipline di diversa fonte e portata, a favore della disciplina che più presenti elementi di specificità rispetto alla fattispecie concreta. In altre parole, la disciplina generale va considerata quale livello minimo essenziale di tutela, cui la disciplina speciale offre elementi aggiuntivi e di specificazione».
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Come accadde per la precedente presa di posizione sfavorevole ad Agcm, anche la riaffermazione del principio da parte dell’adunanza plenaria non incontrò il plauso della dottrina, specialmente d’estrazione civilistica12. Quest’ultima ne criticò l’assunto sul presupposto della configurabilità di un rapporto di specialità solo tra specifici documenti normativi e non già tra plessi disciplinari, dimenticando l’insegnamento risalente13 secondo cui è possibile compiere una valutazione di specialità anche tra nuclei di norme quando quello eccentrico rispetto a quello che si assume di portata generale è retto da principi propri tali da individuare un microsistema.
3. La ridefinizione delle competenze sanzionatorie operata dal d.lgs. n. 21/2014 a recepimento delle “indicazioni europee”. La soluzione seguita dal Consiglio di Stato – e la conseguente limitazione della prerogativa sanzionatoria di Agcm – viene oggi superata, in modo apparentemente generalizzato, da un “tratto di penna del legislatore motivato dall’avvio, da parte della Commissione UE, di un procedimento di infrazione nei confronti dell’Italia. Così, impiegando lo strumento predisposto per il recepimento della dir. 2011/83/UE, s’è dato corso alla novellazione dell’art. 27
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Meli, Il Consiglio di Stato e l’applicabilità della disciplina delle pratiche commerciali scorrette al settore del credito, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, p. 576 ss. Analogamente, in modo critico, si esprimevano Palmieri – Pardolesi, Sull’interfaccia problematica fra regolazione economica e di concorrenza, in Foro it., 2012, II, c. 493. Questi, nel mettere in dubbio l’opportunità della conclusione del Consiglio di Stato ne evidenziavano la contrarietà con quella giurisprudenza di legittimità sugli illeciti amministrativi che ammette che uno stesso fatto materiale possa essere sottoposto a più norme repressive quando integra la violazione di diverse fattispecie astratte. Di recente, si allinea a tale posizione, richiamandosi ad un principio di specialità per singole disposizioni e non per settore, anche Martina, Le imprese di assicurazione sulla vita e i “mobili” confini delle competenze di Ivass, Consob, Covip e AGCM, in Disciplina della concorrenza in ambito assicurativo, a cura di Frigessi di Rattalma, Torino, 2015, p. 85 ss. 13 Irti, L’età della decodificazione3, Milano, 1989, p. 35 ss., 49 – 50 e 123 ss. Lo sforzo di Irti era diretto a dimostrare la residualità della disciplina del codice civile rispetto a quelle poste dai documenti normativi speciali, dunque, sviluppa un percorso che può essere seguito per dar ragione della residualità/recessività del codice del consumo – inteso come fonte d’una regolamentazione di carattere generale – rispetto a quelle specifiche che caratterizzano un singolo settore.
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cod. cons. e si è introdotto il co. 1-bis14 che attribuisce ad Agcm una (apparentemente) estesissima competenza sanzionatoria trasversale, transettoriale ed esclusiva, con conseguente relegazione delle altre amministrazioni indipendenti ad un ruolo subalterno15. Quasi a voler sgombrare qualunque dubbio, il documento normativo dispone che, anche nei settori oggetto di regolazione speciale rispetto a quelle codice del consumo (considerati dall’art. 19, co. 3, cod. cons.), «la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della legislazione vigente, spetta, in via esclusiva, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell’Autorità di regolazione competente». La competenza sanzionatoria di Agcm, dunque, nelle intenzioni del legislatore, non dovrebbe essere in alcun modo limitata neppure dall’operare di autorità di settore chiamate ad applicare normative speciali di derivazione europea perché questa sarebbe l’indicazione che si trarrebbe da un atto della stessa Unione. Sarebbe, invero, la stessa Commissione Ue a richiedere che il Garante della concorrenza sia investito, in modo solitario, del potere di reagire a tutte le violazioni – anche di norme di settore – che si prestano ad essere ricondotte nell’amplissimo insieme delle pratiche commerciali scorrette. L’indicata ragione dell’intervento risulta, peraltro, pianamente confermata dalle osservazioni dei nostri parlamentari, relativi alla proposta di novellazione16. Nei vari resoconti delle riunioni si legge che le modifiche all’art. 27 del codice del consumo, previsto dallo schema di decreto, contenevano le «(…) disposizioni necessarie per porre fine alla procedura d’infrazione n. 2013/2169, avviata dalla Commissione europea per
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Art. 67, co. 6, lett. a, cod. cons., come modificato dall’art. 1, d.lgs. 21 febbraio 2014,
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Negli stessi termini si esprime Troise Mangoni, Il riparto, cit., p. 107, secondo cui l’opzione normativa «(…)comporta inevitabilmente una paralisi dell’operatività delle autorità settoriali, la cui azione di enforcement appare subordinata alla previa valutazione del profilo della scorrettezza delle pratiche commerciali da parte dell’Agcm». Sembra, invece, porre in dubbio gli effetti della scelta pur immaginando che il ruolo delle altre autorità possa essere – in qualche modo – compensato dalla prescrizione procedimentale dell’obbligatoria acquisizione del parere, Petti, Il riparto, cit., p. 15 – 16. 16 14ª Commissione permanente - Resoconto sommario n. 38 del 14 gennaio 2014 – Osservazioni approvate sull’atto del Governo n. 59, in www.senato.it.
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violazione della dir. 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori». Con specifico riguardo alle proposizioni integrative la 14° commissione permanente del Senato sottolinea come quelle mirassero «(…) a risolvere la procedura di infrazione n. 2013/2169 (lettera di messa in mora del 18 ottobre 2013). La messa in mora fa rilevare come la normativa italiana in materia di poteri di vigilanza e controllo sulle pratiche commerciali sleali, alla luce anche dell’interpretazione datane dal Consiglio di Stato in alcune decisioni, rischia di creare dei vuoti di tutela in quanto si afferma il principio che i suddetti poteri possano essere esercitati, in maniera parcellizzata, dalle varie autorità amministrative competenti per ciascun settore specifico, escludendo o comunque depotenziando il potere esclusivo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato di verificare in generale l’osservanza della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. La formulazione dello schema di decreto assicura un tempestivo superamento della procedura di infrazione, prevedendo il potere di controllo sulle pratiche commerciali scorrette in via esclusiva all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ma contemperando tale esclusività con l’obbligatorietà del parere delle Autorità di settore e mantenendo fermi, in capo a queste ultime, i poteri di vigilanza e controllo in riferimento a fattispecie che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta»17.
17
La finalità dichiarata dal legislatore storico, è stata poi valorizzata da due recentissime sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., ad. plen., 9 febbraio 2016, n. 3 e 4, in www.giustizia-amministrativa.it), che hanno riformato le pronunzie di primo grado che riconoscevano ad Ag.com una competenza repressiva settoriale delle pratiche commerciali scorrette. Per il giudice della nomofilachia amministrativa l’art. 27, co. 1-bis, in considerazione del suo obbiettivo non sarebbe solo disposizione che opera una concentrazione della funzione punitiva in capo ad Agcm ma avrebbe anche natura di norma di interpretazione autentica, con conseguente superamento di ogni dubbio legato all’applicazione del criterio di specialità e quindi anche in merito all’individuazione dell’autorità competente. La presa di posizione dell’Adunanza plenaria però non risultava del tutto nuova poiché si riallaccia ad una, di poco precedente, posizione di una sezione dello stesso giudice. Infatti, nell’accogliere l’appello contro la sentenza che aveva escluso la competenza di Agcm, la VI sezione (Cons. St., sez. VI, 5 marzo 2015, n. 1104, in www.giustiziaamministrativa.it), sulla base della novellazione dell’art. 27 dichiarava l’improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse della censura d’incompetenza mossa dall’originario ricorrente ad Agcm poiché da quella deriverebbe che a quest’ultima sarebbe spettato il riesercizio del potere in caso di annullamento. Ora sembra possibile concludere nel senso indicato solo se ci si pone nell’ottica della valenza interpretativa, e quindi retroattiva, della norma sopravvenuta sia alla conclusione del procedimento che al primo grado di giudizio.
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Il pretesto dell’adempimento agli obblighi d’appartenenza all’Unione offre, quindi, l’occasione per “rompere” quell’unità funzionale della regolazione, separando definitivamente l’identità di chi è chiamato a disciplinare ed orientare in via preventiva le condotte dei destinatari degli atti conformativi da quella di chi, a posteriori, è chiamato a verificarne la correttezza18. In nome d’un asserito dovere di pieno e sostanziale recepimento d’atti d’armonizzazione, in altri termini, sembrerebbe volersi sottrarre – indistintamente – ad ogni artefice della regolazione la competenza punitiva e ciò indipendentemente dall’area in cui si intende verificare l’eventuale scorrettezza dei comportamenti. E ciò anche indipendentemente dalla esclusione di determinate aree od attività dalla disciplina consumeristica generale. Infatti, il legislatore ha operato una scelta che pare contrastare con altra dallo stesso compiuta e non minimamente “scalfita” dal decreto sulla tutela dei consumatori del 2014. Non è dato, infatti, trascurare che il codice del consumo, nella sua versione ammodernata, attraverso alcune esenzioni, sembra conservare il potere alle autorità di settore (art. 47, co. 1, lett., c) e dell’art. 66, co. 2, cod. cons.)19. Se, infatti, si postula che il potere punitivo di Agcm presuppone la soggezione del candidato responsabile alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette, quello escluso poiché la normativa generale, con disposizione espressa prevede che quest’ultima non si applica ai servizi finanziari, nella cui categoria l’art. 45, co. 1, lett. n, cod. cons. comprende «qualsiasi servizio di natura bancaria, creditizia, assicurativa, servizi pensionistici individuali, di investimento o di pagamento».
Altrimenti, non si giustificherebbe, se non con l’intento del giudice amministrativo, indicato come causa ultima del procedimento d’infrazione, di scrollarsi di dosso l’addebito di responsabilità. Sembra, infatti, indubbio che anche l’annullamento d’un provvedimento sanzionatorio, cui segue il “riesercizio” del potere da parte della medesima autorità prima incompetente, possa arrecare al ricorrente un duplice beneficio obbiettivo: un primo, dato dall’eliminazione di un provvedimento afflittivo immediatamente esecutivo; un secondo, rappresentato dalla possibilità di far valere, nuovamente, in sede procedimentale la propria posizione sviluppando la propria attività difensiva. 18 A prescindere dalle ombre molteplici ombre che si allungano su tale scelta è da porre in dubbio la sua effettiva rispondenza alle finalità dichiarate. Come è stato rilevato – Troise Mangoni, Il riparto, cit., p. 107 – la concentrazione in capo ad Agcm di ogni competenza di per se non garantisce l’applicazione generalizzata e corretta della disciplina consumeristica né l’adeguato impiego del principio specialità al fine dell’osservanza della normativa settoriale di derivazione europea, in luogo di quella generale. 19 Come modificati dall’art. 1, d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21.
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4. Esisteva veramente un dovere di adeguamento alle indicazioni europee? Una riflessione sulla portata e valore prescrittivo delle c.d. “lettere di messa in mora”. La drastica rottura dell’unità della funzione regolatoria, attuata con la novellazione dell’art. 27 cod. cons., induce a chiedersi se quella fosse una scelta realmente obbligata da una determinazione cogente della Commissione e se, quindi, da quell’atto scaturisse un dovere di adeguamento. Infatti, l’esistenza d’uno stato di soggezione o d’un imperativo di derivazione europea, in tesi, potrebbe rendere recessive quelle esigenze di efficienza, razionalità, proporzionalità e coerenza che ordinano l’azione amministrativa e risultano particolarmente rilevanti per l’azione delle autorità dei mercati finanziari. Alla domanda, credo, debba darsi una risposta negativa anche a prescindere dal contenuto della lettera di messa in mora che – per il suo carattere riservato – non ho potuto consultare. La nota che la Commissione invia agli Stati, in caso di dubbio in merito al rispetto del diritto dell’Unione, per la sua natura non vincolante – o se si vuole per la sua funzione esplorativo preliminare – non è, infatti, soggetta ad alcuna forma di pubblicità20. La missiva, invero, non genera alcun dovere in capo al suo destinatario per essere uno strumento destinato ad avviare un dialogo preliminare rispetto all’esercizio dei poteri spettanti alla stessa Commissione; confronto, si deve sottolineare, che, comunque, potrebbe concludersi con un chiarimento o con un intervento correttivo spontaneo dello Stato destinatario21. Ancora è da segnalare come un vero e proprio vincolo non sorge neppure nel caso in cui la Commissione non si persuada della compatibilità e sufficienza della disciplina domestica, come eventualmente modificata, e trasmetta al paese membro un parere motivato (art. 258 TFUE). Quando, cioè, la prima si determina a licenziare un atto formale,
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È da segnalare come la soluzione raggiunta dall’Adunanza plenaria nelle due decisioni 3 e 4 del 2016, non abbia preso in considerazione tale aspetto, postulando che dall’invio della nota derivi un vero e proprio obbligo d’adeguamento come si trae dai par. 4 e 5 della motivazione. 21 La più autorevole dottrina – Daniele, Diritto dell’Unione europea5, Milano, 2014, p. 325 – sottolinea come una delle funzioni della c.d. fase precontenziosa del procedimento di infrazione, che inizia con l’invio della nota di contestazione, sia quella di favorire una composizione amichevole delle controversie riguardanti il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati.
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da tutti conoscibile, in cui sviluppa compiutamente specifiche contestazioni ed espone le ragioni che la portano a ritenere insufficienti le spiegazioni offerte dal destinatario o gli interventi spontaneamente effettuati in esito al ricevimento della prima nota22. Un vero e proprio vincolo d’adeguamento dello Stato – se pur a carattere generico – sorge solo al termine della eventuale fase giudiziale, destinata a svolgersi innanzi alla Corte di giustizia, con l’accertamento da parte di questa della violazione del diritto dell’Unione. Infatti, in ipotesi di soccombenza di un paese membro la sentenza – dichiarativa – non contiene indicazioni delle misure necessarie per porre riparo all’inadempimento23 conservandosi al primo, se pur orientato dalle indicazioni della pronuncia, un’ampia discrezionalità in merito ai modi con cui raggiungere il risultato. Infatti, la verifica della sufficienza ed adeguatezza delle scelte conseguenti alla prima sentenza è riservata ad un eventuale e successivo giudizio della Corte di giustizia, destinato a concludersi, in caso negativo, con l’applicazione d’una sanzione pecuniaria (art. 260 TFUE)24.
22 Il procedimento d’infrazione europeo (art. 258 TFUE), infatti, prevede che il parere motivato in cui sono compiutamente indicate le censure sia preceduta dall’invio d’una nota di messa in mora, contenente una prima contestazione delle ipotesi di inosservanza del diritto dell’Unione che la Commissione imputa allo stato membro. Se la Commissione non si ritiene sufficienti le osservazioni che il destinatario ha l’onere di formulare, provvede alla trasmissione di un parere motivato nel quale sono specificate le infrazioni che si ritengono commesse nonché gli elementi di diritto e di fatto che sostengono la contestazione. La lettera di messa in mora e il parere motivato costituiscono – come sottolinea Tesauro, Diritto dell’Unione europea6, Padova, 2010, pp. 293-294 – i passaggi obbligati della procedura d’infrazione, in quanto valgono a definire l’oggetto della controversia e a soddisfare l’esigenza del contradittorio cui è ispirata la fase precontenziosa nonché di favorire per quanto possibile, attraverso un confronto, una soluzione non giudiziaria. Di qui la necessità che l’eventuale azione giudiziaria che la Commissione promuova per superare la perdurante infrazione riproponga - a pena di inammissibilità – i medesimi motivi di censura indicati in fase precontenziosa ed, in particolare, replicando gli argomenti di diritto enunciati nel parere motivato. Analogamente, Daniele, Diritto, cit., pp. 325 – 326 ss. e spec. p. 328 che sottolinea, peraltro, la natura non obbligatoria del parere e come dallo spirare del termine che lo stesso assegna al destinatario per porre fine alla situazione di inadempimento non discenda un obbligo per la Commissione d’adire la Corte di giustizia. 23 La sentenza che accoglie il ricorso ex art. 258 TFUE è, dunque, una pronuncia di mero accertamento – Daniele, Diritto, cit., pp. 329 – che non indica né le modalità né il termine entro cui lo stato soccombente deve attivarsi per ovviare al proprio inadempimento. Tra le tante – in una materia particolarmente delicata qual è quella fiscale – si veda, Cort. giust. CE, 8 marzo 2012, C – 524/10, in www.europa.eu. 24 Daniele, Diritto, cit., pp. 330 - 331.
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Dunque la lettera di messa in mora non era in grado di generare alcun effetto conformativo o generare obblighi di sorta, potendosi ricondurre la sua previsione – se se si volesse impiegare la terminologia domestica – ad un’espressione di “vigilanza informativa”25, diretta all’acquisizione di dati e notizie ed a stimolare un confronto il cui esito ultimo è rimesso alla valutazione del giudice dell’Unione. Esclusa l’esistenza d’un obbligo generato dalla lettera di contestazione, una qualche perplessità viene suscitata anche dal suo contenuto. Per – per quel che è dato sapere26 – la Commissione avrebbe messo in dubbio la compatibilità con il diritto Ue dell’applicazione del criterio della specialità come ricostruito dal Consiglio di Stato perché quel modo d’intendere comprometterebbe la piena applicazione della normativa delle pratiche commerciali scorrette al settore delle comunicazioni elettroniche. Dunque, le considerazioni critiche non sembrerebbero riguardare l’assetto normativo/amministrativo peculiare dei mercati finanziari. Sempre secondo quanto da altri riportato, seguendo una posizione rigorosa27, per la Commissione la disciplina generalista non si dovrebbe limitare a colmare le lacune lasciate da quella speciale ma si applicherebbe, simultaneamente alla seconda, imponendo al suo destinatario l’osservanza di un duplice regime e da qui l’esigenza della concentrazione della vigilanza sanzionatoria in capo ad Agcm. In tale prospettiva sarebbe “incongruo” e “discriminatorio” affidare la prerogativa punitiva a diverse autorità, con conseguente differenziazione del trattamento delle imprese in ragione della loro operatività, o meno, in un settore speciale28. Volendo sintetizzare quest’ultima indicazione della lettera di messa in mora, un’esigenza d’uniformità applicativa imporrebbe d’individuare nell’autorità generalista – e cioè in Agcm – la naturale destinataria del potere di reazione alle scorrettezze imputabili ad ogni professionista e ciò indipendentemente dal tipo di bene o servizio offerto. In sostanza la Commissione, muovendo da una premessa che poggia sulla portata generale del diritto sostanziale, giunge ad esprimere una preferenza in ordine all’allocazione della competenza e dunque sull’organizzazione della vigilanza domestica.
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La cui inosservanza non è soggetta ad alcuna specifica sanzione. Secondo quanto riportato da Nava, Il legislatore interviene nuovamente sul riparto di competenze tra Ag.com e Autorità di settore in merito all’applicazione delle pratiche commericali scorrette: la soluzione definitiva?, 2014, in www.dmt.it, pp. 1 – 2. 27 Cfr. rapporto di attuazione della dir. 2005/29/CE, COM(2013)0139, in www.europa.eu. 28 Cfr. Nava, op. loc. cit. 26
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Se non ci si inganna, però, il ragionamento della Commissione si palesa non meno eterodosso della pretesa a ricavare vincoli stringenti dal contenuto della lettera di infrazione. Anche il risultato della prima pare, infatti, collidere frontalmente con una serie di linee o limiti di sistema. Sia la premessa che la conclusione si pongono in contrasto con il c.d. principio della c.d. autonomia procedurale, ricavabile dalle disposizioni fondamentali del TFUE. Cioè collidono con quell’adagio o regola secondo cui l’ordinamento europeo si affida per la sua attuazione alle istituzioni giudiziarie ed amministrative degli stati membri29, in principio sottratti – nel silenzio delle fonti dell’Unione – a prescrizioni organizzative implicite. In altri termini, l’obbligo dello stato si sostanzia in quello d’attuazione del diritto dell’Unione, in assenza di poteri d’orientamento e d’imposizione della Commissione o di altre istituzioni in merito all’organizzazione e funzionamento delle strutture specificamente deputate30, a meno che le regole interne – od il loro modo d’intenderle – non possano compromettere l’effettiva applicazione del diritto europeo31. Si deve, poi, evidenziare come il principio dell’autonomia procedurale non è messo in discussione dalla normativa specifica concernente le pratiche commerciali scorrette32. Anche quella delinea obbiettivi da raggiungere, disinteressandosi delle modalità con cui verranno realizzati dai paesi membri. Sia la direttiva (art. 11, dir. 2005/29/CE) che il regolamento relativo alla collaborazione transfrontaliera (art. 4, par. 11, reg. n. 2006/2004/CE) si limitano ad individuare degli elementi qualitativi idonei a garantire un livello minimo di efficienza ed effettività delle prescrizioni sostanziali senza, però, mai prendere posizione in merito all’esigenza dell’adozione di un sistema di tutela amministrativa successiva concentrata in capo ad un’unica autorità. Anzi la direttiva – coerentemente con il principio dell’autonomia procedurale – espressamente riconosce la facoltà dei paesi membri di scegliere il rimedio più consono
29 Civitarrese Matteucci, Obbligo di interpretazione conforme al diritto UE e principio di autonomia procedurale in relazione al diritto amministrativo nazionale, in Riv. dir. pubbl. com., 2014, p. 1179 ss., cui si rinvia per una ricognizione della normativa rilevante. 30 Per l’esame del principio e per la sua applicazione al procedimento amministrativo, si veda, Galetta, L’autonomia procedimentale degli stati membri del’Unione europea: Paradise lost? Studio sulla autonomia procedurale ovvero sulla competenza procedurale funzionalizzata, Torino, 2009, p. 58 ss. 31 Per la una recente applicazione del principio e dei suoi limiti si veda, Cons. giust. UE, 12 febbraio 2015, C – 567/13, in www.europa.eu. 32 Romagnoli, La repressione, cit., p. 54.
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alla loro tradizione giuridica, considerando, sostanzialmente, la tutela amministrativa un’opzione eventuale (art. 11, par. 3, dir. 2005/29/CE)33. In fine, la soluzione della concentrazione in capo ad un’unica autorità generalista contrasta con quell’impostazione di fondo di garantire un’uniformità interpretativa ed applicativa della disciplina finanziaria ed assicurativa, realizzata con l’affidamento di tale compito ad un’autorità di vigilanza europea cui si riconosce una supremazia funzionale ed un potere nomofilattico vincolante34. A prescindere da tutto, poi, si pone l’ostacolo insormontabile costituito dal fatto che la soluzione criticata consegna i vigilati ad un insopportabile stato di incertezza. Questi, invero, si trovano esposti al dubbio dell’applicabilità “cumulativa” oppure, integrata, dell’uno o dell’altro regime35 e, non ultimo, all’incertezza in merito alla portata delle indicazioni preventivamente impartite dalle diverse autorità di vigilanza36. L’impostazione criticata poggia, infatti, sulla finzione di ritenere l’o-
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Romagnoli, La repressione, cit., p. 64. L’inesistenza d’una preferenza per la vigilanza unica – anche sotto il profilo sanzionatorio – per la tutela del consumatore si trae anche dal reg. 2006/2004/CE «sulla cooperazione tra le autorità di vigilanza nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori». Il regolamento – in ossequio al principio dell’autonomia organizzativa e procedurale – lascia aperta l’opzione per una articolazione e distribuzione delle competenze in materia di tutela del consumatore, riconoscendo allo Stato membro la più ampia libertà in merito alla designazione delle autorità competenti (art. 4, par. 1 – 2), fermo l’obbligo di indicazione dell’ufficio unico di collegamento con le autorità operanti negli altri paesi, onde evitare che la scelta organizzativa di ciascuno possa compromettere l’efficacie ed efficiente repressione delle condotte a rilevanza transfrontaliera od «intracomunitaria». Nello stesso senso, escludono che la disciplina europea ponga vincoli organizzative od esprima preferenza per taluni modelli di intervento, Troise Mangoni, Il riparto, cit., pp. 84 – 85 e R. Petti, Il riparto, cit., p. 24 – 25. 34 Vedi par. 6. 35 In omaggio ad un’aspirazione, di fondo, alla realizzazione di un “modello utopico” che non mira alla definizione non di misure di protezione del consumatore praticabili ma ad una «tutela completa ed ineccepibile, senza falle ne sbavature»,. Cintioli, Regolazione e regolatori nazionali nei settori del credito e dei mercati finanziari (2016), p. 4, in www.giustamm.it. Dunque, la retorica della tutela della parte debole porta a sostenere la necessità di forme di regolamentazione che rispondono, contemporaneamente, ad un doppio requisito: da un lato, sono in grado di saturare ogni margine di manovra dell’impresa sospetta di scorrettezza; dall’altro, sono suscettibili d’essere oggetto di una facile, meccanica applicazione, in grado di riempire in modo automatico eventuali vuoti, escludendo, teoricamente in assoluto, qualunque margine di discrezionalità od apprezzamento interpretativo del soggetto munito del potere di conformazione e reazione. 36 Vedi par. 1.
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perazione d’individuazione ed applicazione del diritto un’operazione meccanico-aritmetico, elementare che consente di isolare senza incertezze il confine della regola speciale e ritornare a quella generale e viceversa. Solo postulando una situazione – irrealistica – di chiari confini tra l’operatività e le finalità dei vari documenti normativi è, infatti, possibile evitare uno stato di inevitabile insostenibile incertezza che, per la sua intensità può essere considerato un non trascurabile indice di perplessità della novellazione dell’art. 27 cod. cons.
5. Il Governo poteva effettivamente novellare l’art. 27 cod. cons. incidendo sull’attribuzioni delle autorità di settore? Un dubbio sull’esistenza del potere normativo. L’osservanza di obblighi d’adeguamento alle indicazioni contenute nelle lettere d’infrazione, così come l’inesistenza di prescrizioni europee in merito alla concentrazione sanzionatoria in capo ad Agcm, non è indifferente ai fini della valutazione di legittimità del documento normativo che la prevede. La mancanza dell’uno e dell’altro fattore giustificativo, infatti, impediscono di individuare quella norma sulla normazione, indispensabile ai fini dell’esercizio del potere legislativo da parte dell’esecutivo (art. 76 Cost.). Il decreto legislativo, nella parte in cui incide sull’art. 27 cod. cons., non trova supporto né in un’espressa indicazione della legge delega né, indirettamente, in altra disposizione di pari natura37, pensata per dare attuazione agli obblighi che l’Italia ha assunto con l’adesione al trattato – di valenza costituzionale38 – qual’era quello di Roma, da cui poi è derivato l’attuale assetto istituzionale europeo. La lettura del preambolo del decreto non consente di rinvenire alcuna attribuzione al Governo d’un potere normativo né la fissazione dei necessari principi e criteri direttivi che costituiscono le condizioni per
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Si deve evidenziare come le due pronunzie dell’Adunanza plenaria n. 3 e 4 del 2016, non si sono fatte carico di verificare non solo l’esistenza ma anche la “portata e consistenza” della disposizione di delega, arrestandosi ad un primo – superficiale – riscontro formale, come si trae dal par. 6 della loro motivazione. 38 Cfr Chiti, Diritto amministrativo europeo2, Milano, 2004, p. 71.
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una valida delegazione legislativa39. La legge delegata40 richiama l’art. 1, co. 1, l. 6 agosto 2013, n. 96, che abilita l’esecutivo «(…) ad adottare i decreti legislativi per l’attuazione delle direttive elencate negli allegati A e B» della stessa, nel secondo dei quali è inclusa la dir. 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, modificativa delle dir. 93/13/CEE, della 1999/44/ CEE ed abrogatrice delle dir. 85/577/CEE e 97/7CE41. Ulteriormente, l’articolo concernente la delega alla modifica del codice del consumo – che nulla dice sulla concentrazione della competenza sanzionatoria - rinvia per l’individuazione dei criteri di delegazione e dei termini per l’esercizio del potere alla l. 24 dicembre 2012, n. 234, contenente «norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea». Anche l’esame dell’ultimo documento normativo, però, non consente d’individuare l’attribuzione al Governo del potere d’incidere sulle competenze delle autorità di vigilanza e tanto meno indica una preferenza per Agcm42. Il difetto d’attribuzione espressa, poi, non pare ovviabile sostenendo l’esistenza di una delega per relationem43 all’adozione degli atti normativi necessari per porre termine alle procedure d’infrazione; dunque,
39 Su cui, per tutti, si veda Sorrentino, Le fonti del diritto amministrativo, Padova, 2007, p. 127 ss; Bin, Pitruzzella, Le fonti del diritto2, Torino, 2012, p. 125 ss.; Ruggeri, Fonti, norme, criteri ordinatori, Torino, 2009, p. 154 ss. 40 Il terzo periodo del preambolo è così formulato: «Vista la legge 6 agosto 2013, n. 96, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2013, ed in particolare l’articolo 1 e l’allegato B». 41 Ulteriormente, il rinvio contenuto nella norma di delegazione all’attuazione della direttiva sulla tutela di consumatori non permette di recuperare principi e criteri “impliciti” di delega con un’opera d’interpretazione della legge attributiva, valorizzando la sua ratio, le scelte preesistenti dell’ordinamento ed il suo coerente sviluppo, Bin, Pitruzzella, Le fonti, cit., p. 129. La direttiva oggetto d’attuazione, infatti, si disinteressa dell’organizzazione della vigilanza ne è dato rinvenire scelte preesistenti, coerenti ed omogenee sul punto, tali da giustificare la concentrazione del potere sanzionatorio in capo ad Agcm. Dunque neppure facendo ricorso a tutta l’elasticità del modello costituzionale vigente – A. Ruggeri, Fonti, cit., p. 158 – risulta possibile sottrarsi al dubbio d’illegittimità costituzionale, nella parte di’interesse, del decreto legislativo. 42 Nessuna preferenza si rinviene neppure nel Rapporto di attuazione della direttiva 2005/29/CE, p. 28 ove si legge che la direttiva, ai sensi del proprio art. 11, lascia liberi gli stati membri «di scegliere i meccanismi che meglio si adattano alle loro tradizioni giuridiche, purché assicurino mezzi efficaci ed adeguati ad impedire le pratiche commerciali sleali». 43 Cfr. Sorrentino, Le fonti, cit., p. 132.
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facendo forza su d’una previsione contenuta nella c.d. legge comunitaria annuale, veicolo contenitore di prescrizioni normative di carattere eterogeneo44. Infatti, anche questo mezzo d’adempimento agli obblighi d’appartenenza all’Unione rispetta – sia pur tramite un rinvio esterno rispetta, il principio della tassatività dell’attribuzione del potere normativo e della necessaria coesistenza di principi che ne orientano l’esercizio. Invero, in questo caso non ci si distacca dalle prescrizioni costituzionali, risultando modificate le modalità con cui viene individuata la materia delegata ed i criteri di delegazione che sono, appunto, oggetto di eterointegrazione. Con una scelta politica, forse discutibile, il legislatore riempie i vuoti della delega generica, “agganciandola” agli atti formali di contestazione notificati allo stato sospetto di inesatto recepimento delle norme di armonizzazione. Significativamente, nel definire i contenuti della legge di delegazione europea, il parlamento (art. 30, co. 2, lett. b, l. 234/2012), prevede «(…) il conferimento al governo di delega legislativa diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità dell’ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all’Italia dalla Commissione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse dalla Corte di giustizia dell’Unione europea». Il potere delegato, orientato a soddisfare gli obblighi d’appartenenza all’Unione e dal principio di leale collaborazione, dunque, è guidato e trova i suoi limiti od in un atto d’accertamento di natura giurisdizionale o, quanto meno, in uno d’apprezzamento formale, qual è il parere della Commissione, che cristallizza in modo puntuale le ragioni della prima su ogni aspetto di quel confronto che normalmente segue alla lettera di messa in mora45. Anche postulando la completezza e sufficienza delle indicazioni della pronuncia della Corte UE o di quelle del parere motivato, sembra assolutamente escluso che una adeguata griglia di coordinate – tanto con riguardo alla necessità dell’intervento, quanto ai suoi criteri e limiti – possano essere tratte dalla lettera di contestazione. Come già eviden-
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Tesauro, Diritto, cit., p. 172. Parere motivato nel quale la Commissione, in principio, è tenuta a prendere posizione in merito agli argomenti ed osservazioni rappresentate con la lettera di risposta dallo stato destinatario della prima nota di messa in mora, Cort. giust. CE, 20 marzo 2003, C. 135/01, in www.europa.eu. 45
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ziato46, quest’ultima è nulla più che il veicolo di una prima valutazione, compiuta dall’organo dell’Unione sulla base di informazioni assolutamente provvisorie47 e suscettibili d’essere integrate dal confronto con il destinatario; contiene, cioè, apprezzamenti assolutamente incompleti o sommari perché elaborati prima dell’acquisizione delle ragioni e delle altre informazioni che hanno condotto a creare la situazione osservata e segnalata al paese membro con la stessa nota. In conclusione, la prescrizione che dispone la concentrazione in capo ad Agcm di tutte le prerogative sanzionatorie risulta colpita da un vizio di difetto di delega48 solo reso meno percepibile dal rinvio a “cascata” impiegato per dare una parvenza di legittimità alla misura criticata.
6. Dubbi sulla compatibilità della soluzione normativa ed interpretativa relativa alla concentrazione del potere sanzionatorio in capo ad Agcm e sulla sua contrarietà alla normativa europea. Come anticipato, la lettura che vuole trarre dalla novellazione dell’art. 27 cod. cons. – e dal suo comma 1-bis – una concentrazione delle competenza sanzionatoria in capo ad Agcm, con corrispondente erosione di quella di Consob ed Ivass, sembra contrastare con una linea evolutiva della regolazione dei mercati finanziari. Quindi, all’indice testuale relativo all’esclusione espressa dell’applicazione della disciplina concernente le pratiche commerciali scorrette49 ed ai “difetti” procedurali segnalati50, si affianca un’ulteriore e, forse, preminente ragione ostativa perché di derivazione europea, come tale vincolante per tutti Stati membri e da cui i loro organi amministrativi non possono prescindere anche se in contrasto con la propria legislazione domestica. La soluzione criticata collide, invero, con quella tendenza a garantire – a livello europeo – un’omogeneità operativa/applicativa delle regole dell’Unione da parte di tutte le amministrazioni specialistiche del mede-
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Vedi par. 5. Con cui vengono segnalati potenziali profili d’infrazione,Tesauro, Diritto, cit., p. 292. 48 Dunque, la prescrizione criticata può essere considerata, richiamando la più risalente giurisprudenza costituzionale – Ruggeri, Fonti, cit., p. 126 – un caso di “usurpazione del potere legislativo”. 49 Vedi par. 3. 50 Vedi par. 5. 47
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simo settore. Autorità che, per il raggiungimento di quell’obbiettivo pratico, dialogano ed operano non solo tramite l’inserimento in un sistema c.d. a rete ma, a loro volta, partecipano ad un’autorità terza – di livello “federale” – che orienta la loro azione individuale domestica51. L’unità della regolazione dei mercati finanziari, in altri termini, è affidata ad istituzioni “centrali” dotate di poteri di indirizzo e vincolanti, chiamate anche ad elaborare, tramite procedimenti di condivisione con le amministrazioni partecipanti, i principi che quest’ultime devono, poi, applicare. Infatti, per rendere quanto più effettivamente omogenee le condizioni in cui operano le imprese appartenenti ad un mercato “formalmente” unico – si mira a superare anche quelle differenze conseguenti alle non lievi diversità delle tradizioni culturali dei regolatori – assoggettando tutti gli attori locali ad un dovere di ossequio alle indicazioni dell’autorità “federale” chiamata ad elaborare e diffondere indicazioni vincolanti sul modo d’essere e d’intendere la vigilanza52. Modo
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L’azione di Consob, al pari di quella delle sue omologhe dei paesi membri dell’Unione, è condizionata dagli sviluppi di quella forma di organizzazione stabile – l’autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati - cui partecipa attraverso il suo presidente (art. 40, co. 1°, lett. b, reg. 1095/2010/UE). L’azione di Ivass, invece, risulta orientata dall’analoga autorità di vigilanza europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali cui partecipa con le medesime modalità (art. 40, par. 1, lett. b, reg. 1094/2010/ UE del 24 novembre 2010). 52 Per consentire la formazione di prassi uniformi ed efficienti di vigilanza l’autorità europea degli strumenti finanziari emana orientamenti e formula raccomandazioni cui le autorità domestiche sono tenute ad uniformarsi od ad indicare le ragioni per cui non intendono adeguarsi (art. 16, par. 1 - 3, reg. 1095/2010/UE). Ancora vigila sull’osservanza del diritto dell’Unione, attraverso il compimento d’indagini che possono concludersi con una raccomandazione contenente l’indicazione di misure «correttive» ritenute necessarie per l’allineamento al diritto dell’Unione (art. 17, par. 1 - 3, reg. 1095/2010/UE). Prescrizioni, si sottolinea, che, in principio, sono vincolanti per la destinataria ed in caso di mancata osservanza, possono portare all’adozione di un parere formale della Commissione UE in merito alla necessità da adottare determinate misure atte a garantire il rispetto del diritto dell’Unione (art. 17, par. 4, primo periodo, reg. 1095/2010/UE) con effetti diretti nei confronti di un partecipante al mercato finanziario, imponendo a quest’ultimo specifici obblighi di comportamento o la cessazione di ogni eventuale pratica non conforme al diritto europeo e, comunque, ferma la possibilità per l’esecutivo europeo di avviare una procedura d’infrazione (art. 258 TFUE) nei confronti dello stato cui appartiene l’autorità inadempiente (art. 17, par. 6, primo periodo, reg. 1095/2010/UE). Da ultimo, al fine, di promuovere la comune cultura della vigilanza, Esma è chiamata a stimolare il più efficacie scambio di informazioni ed a contribuire allo sviluppo di standard di vigilanza uniformi e d’elevata qualità, sviluppando ogni strumento utile a favorire la definizione «approcci e prassi comuni» (art. 29, reg. 1095/2010/UE), agendo come ente catalizzatore per il miglior coordinamento dell’azione delle autorità domestiche (art. 31, reg. 1095/2010/UE).
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d’essere e d’intendere che incide profondamente sulla stessa politica di vigilanza, orientando le preferenze, privilegiando alcuni tra i molteplici profili d’osservazione dei fenomeni economici, condizionando così profondamente – quanto inevitabilmente – quella autonomia di cui godono le amministrazioni incaricate di attuare e garantire valori generici quali correttezza, efficienza stabilità e concorrenza di un settore del mercato finanziario. Contemperando, ad esempio, interessi ed aspirazioni degli investitori alla massima tutela con quelle delle imprese ai minori vincoli ed alla maggior libertà d’azione in omaggio ad un’esigenza di massima competitività53.
Analoghe indicazioni si rinvengono nel regolamento istitutivo dell’autorità europea di vigilanza sulle assicurazioni, cui viene attribuito un «ruolo guida nella promozione della trasparenza, della semplicità e dell’equità nel mercato dei prodotti o servizi finanziari destinati ai consumatori in tutto il mercato interno» (art. 9, par. 1, reg. 1094/2010/UE). L’autorità assicurativa, dotata d’un potere d’orientamento e vincolante per l’azione di quelle nazionali – al dichiarato fine di rendere uniforme il livello di vigilanza, di ridurre gli arbitraggi regolamentari e d’attuare la protezione dei consumatori (art. 1, par. 6, lett. a – b – c, reg. 1094/2010/UE): contribuisce all’elaborazione di norme e principi comuni di regolamentazione e vigilanza di elevata qualità nonché all’applicazione uniforme degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione, anche per favorire la tutela degli assicurati e degli aderenti ai sistemi pensionistici (art. 8, par. 1, lett. a, b, h, reg. 1094/2010/UE); elabora standard informativi per l’industria, contribuisce allo sviluppo di norme comuni in materia di divulgazione (art. 9, par. 1, lett. c, d, reg. 1094/2010/UE); dispone di un potere di segnalazione di situazioni od attività finanziarie rischiose, potendo provvedere, in caso di pericolo, alla loro sospensione temporanea ed al divieto di quelle che possono «mettere a repentaglio il corretto funzionamento dei mercati finanziari, la loro integrità o stabilità anche parziale» (art. 9, par. 3 e 5, reg. 1094/2010/UE). 53 In termini, Troise Mangoni, Il riparto, cit., pp. 101 – 102, che sottolinea la necessità di considerare, nella sua globalità, la regolazione di settore (regolamenti, atti generali determinazioni d’indirizzo) ai fini del compimento della verifica della sua specialità. Solo, infatti, un esame complessivo degli atti conformativi ed applicativi consente di saggiare il livello di protezione offerto al contraente debole ed il modo con cui viene tutelato il suo interesse, anche in ragione delle peculiarità dell’attività o della natura del soggetto passivo dell’azione di vigilanza (assicurazione, banca, Sgr ecc.). Pur prestando piena adesione a questa posizione, devo segnalare come questa non sembra aver incontrato, almeno in un caso, il favore del giudice amministrativo, orientato ad assecondare, in ogni modo, la “bulimia sanzionatoria” di Agcm. Nell’occuparsi di competenza alla repressione delle scorrettezze poste in essere da chi opera nel campo delle comunicazioni elettroniche, il Consiglio di Stato (sez. VI, 1104/2015 -par. 4.1) ha escluso che la verifica di specialità debba essere effettuata avendo riguardo anche alla disciplina secondaria elaborata dall’autorità di settore. Dunque, in modo assolutamente dubbio, limita sensibilmente i dati da considerare. Il giudice d’appello, infatti, sembra ignorare almeno due significativi elementi. Quanto concerne il primo, trascura che l’Unione attribuisce agli stati membri la più ampia libertà di scelta nella individuazione degli strumenti da impiegare per il
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Ripetendo quanto affermato in precedenza, la stessa appartenenza al sistema europeo diviene condizione di legittimazione all’esercizio della vigilanza nel settore nazionale di competenza54, poiché permette di dare “continuità operativa” a quelle indicazioni elaborate, discusse ed approvate collegialmente a livello centrale, per superare i dubbi e tutte le ambiguità che sono coeve a non solo ad una normazione per principi ma, prima, ad una disciplina europea che per necessità non può che essere formulata tramite ampie proposizioni, dovendo porsi quale momento di conciliazione – praticabile – tra le peculiarità disciplinari dei singoli stati membri. E questo sembra tanto più vero se si considera che anche la funzione punitiva posta a presidio delle discipline tecnico finanziarie si caratterizza per la sua connotazione ampiamente discrezionale. La verifica della correttezza di una condotta non è il risultato di un confronto meccanico con un parametro rigido ma è il precipitato d’una scelta dei termini di riferimento che, se dotati di un carattere opinabile, una discutibile giurisprudenza reputa rimessi all’opera incensurabile dell’autorità55. Ed proprio perché anche la prerogativa punitiva presuppone ed implica il compimento di scelte non aventi carattere obbligato che si impone di riservarla all’autorità di settore a quella cioè che meglio di altre è in grado d’assolvere quella funzione di chiusura per essere parte del sistema europeo e nel contempo delegata a produrre la normativa sostanziale di riferimento. La valutazione discrezionale - anche in termini di opportunità, che è alla base dell’avvio della procedura sanzionatoria - rende evidente l’incompatibilità della soluzione domestica rispetto alle prescrizioni organizzative europee, rendendo pressoché certo quel disallineamento interpretativo conseguente all’affidamento del potere sanzionatorio ad un’amministrazione estranea al “circuito delle autorità di vigilanza dello specifico settore”.
recepimento di direttive e che, poi, che non è raro che pure l’operatività di regolamenti UE richieda l’emanazione di atti normativi applicativi interni. Quanto al secondo, dimentica che è ormai costante della disciplina dei mercati finanziari l’elaborazione da parte del legislatore di disposizioni primarie di principio, con delega alle amministrazioni indipendenti di un’ampia potestà normativa non meramente attuativa. Sul tema e sulle problematiche legate alla attribuzione alle autorità amministrative indipendenti di una estesissima potestà normativa, mi sia consentito rinviare a Romagnoli, Consob. Profili e attività, Torino, 2012, p. 49 ss, 104 ss e 201 ss. 54 Romagnoli, La repressione, cit., p. 67. 55 Follieri, Il sindacato della Cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato (2014), p. 2 ss, in www.giustamm.it.
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A prescindere dal superamento dell’impostazione tradizionale relativa alla doverosità dell’azione sanzionatoria, da tempo Agcm esplicita l’elasticità con cui si riserva di esercitare l’azione punitiva. In particolare la lettura delle sue relazioni annuali, nella parte dedicata alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette, evidenzia come l’amministrazione intenda l’attribuzione sanzionatoria come una prerogativa ampiamente discrezionale56; cioè come un potere il cui esercizio dipende, in buona parte, anche da una sua valutazione d’opportunità e non come adempimento ad un rigoroso obbligo. Infatti, Agcm spiega il proprio complesso di iniziative sanzionatorie in materia in termini di congrua risposta alla necessità d’ottimizzazione di risorse e mezzi necessariamente limitati, il cui corretto impiego rende indispensabile una selezione. Dunque, esclude d’essere tenuta ad una reazione nei confronti di ogni ipotetica infrazione – come vorrebbe il principio della doverosità dell’azione punitiva – reputando di poter soprassedere dal reagire a quelle notizie d’illecito che, per le loro caratteristiche, possono apparire minimali, ora per la contenuta capacità offensiva, ora per la limitatissima cerchia dei possibili danneggiati57.
56 Sulla natura discrezionale del potere amministrativo sanzionatorio, è d’obbligo il rinvio a Goisis, Discrezionalità ed autoritatività nelle sanzioni amministrative pecuniarie, tra tradizionali preoccupazioni di sistema e nuove prospettive di diritto europeo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2013, p. 79 ss; Id, Un’analisi critica delle tutele procedimentali e giurisdizionali avverso la potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, alla luce dei principi dell’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il caso delle sanzioni per pratiche commerciali scorrette, in Dir. proc. amm., 2013, p. 670 ss. In fine, per un per una considerazione d’insieme della posizione della controparte dell’amministrazione è d’obbligo rinviare ancora a, Goisis, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo2, Torino, 2015, passim. 57 Agcm, nell’illustrare le linee del proprio operato in materia - Relazione sull’attività svolta nel 2012, p. 172, in www.agcm.it - confrontando quello del 2012 con quello dell’anno precedente, conferma, invero, come quanto svolto deriva da una precisa scelta di politica di fondo, dichiarando d’aver preferito «(…) concentrare le risorse su un numero complessivo di procedimenti inferiore rispetto a quello dell’anno precedente ma di più significativo impatto in termini di gravità delle diverse pratiche commerciali, con riferimento al maggior pregiudizio arrecato al comportamento economico del consumatore, nonché al corretto funzionamento dei mercati, in termini di capacità della pratica di perturbare gli operatori e di determinare un forte discredito sul buon funzionamento del mercato o su forme più evolute di transazioni commerciali (come, ad esempio, nel caso del commercio elettronico)». Negli stessi termini si veda la successiva Relazione sull’attività svolta nel 2013, pp. 165 - 168, ivi, ove l’autorità sottolinea come la propria azione si sia concentrata nei settori “ritenuti prioritari”, tralasciando di impegnarsi
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Ulteriormente, la concentrazione della potestà punitiva in capo ad Agcm può essere vista come fonte d’un altro fattore d’incertezza nonché quale causa di una marginalizzazione non prevista del ruolo delle autorità di vigilanza specialistiche. Se si conviene in merito all’assimilazione dei procedimenti sanzionatori ai processi penali58, operata dalla giurisprudenza EDU, e si estende ai primi il principio del ne bis in idem, elaborato a protezione dell’imputato, si potrà ammettere l’esposizione dell’indagato ad un’unica iniziativa punitiva, consumata la quale non ne potranno seguire altre. Se però è vero che nessuno può essere sottoposto a più d’un procedimento afflittivo od ad una pena per uno stesso “fatto materiale”59 ne consegue che l’indagato può essere sottoposto – indifferentemente – al procedimento posto dalla disciplina speciale od a quello generale, rispettivamente, previsti ai fini dell’applicazione di diverse sanzioni edittali contemplate dal t.u.f., dal cod. ass. o dal codice del consumo60.
nell’indagare la correttezza di condotte isolate od il cui impatto, prima facie, appariva circoscritto e ciò anche in ragione della scarsità delle risorse, maggiormente avvertita in una fase di spending rewev. L’esistenza di una componente discrezionale del potere repressivo risulterebbe, peraltro, riconosciuto anche dalla stessa disciplina d’armonizzazione europea. Quella, infatti, non impegna gli stati membri in una lotta contro ogni singola condotta non conforme ai parametri della direttiva ma solo nei confronti di quelle pratiche idonee a «(…) falsare in misura rilevante il comportamento economico» in ragione o della loro capacità di condizionamento od in funzione delle caratteristiche del consumatore medio o del membro medio del gruppo che può subirla (art. 5, par. 1, lett. b, art. 2, lett. c), art. 5, par. 1, lett. b), Dir. 2005/29/CE), così, sia pur implicitamente, rimettendo al soggetto posto a presidio della bontà delle condotte commerciali un significativo margine di valutazione, indirettamente, bilanciato o limitato dal giudizio, a posteriori, di effettività delle misure predisposte dallo stato membro. 58 Cort. EDU, 4 marzo 2014, C. 18640/10 Grande Stevens c. Italia, in www.echr.coe. int. Per un esame delle ricadute della sentenza sul diritto interno, si rinvia a, Follieri, Sull’influenza della giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo sulla giustizia amministrativa, in Dir. proc. amm., 2014, p. 685 ss. 59 Cfr. Cintioli, La sovrapposizione di competenze delle autorità indipendenti nelle pratiche commerciali scorrette e le sue cause (2015), p. 2, in www.giustamm.it. 60 La marginalizzazione del ruolo delle autorità di vigilanza specialistica poi, potrebbe essere accentuato ulteriormente nel caso di concorso nell’illecito consumeristico di un soggetto sottoposto a vigilanza settoriale con uno ad essa sottratto. L’avvio di un procedimento sanzionatorio nei confronti di un produttore di beni o servizi (intermediario bancario) sottratto ad una puntuale normativa europea di tutela del consumatore, ha, invero, comportato la punizione dell’impresa di assicurazione che aveva predisposto le polizze offerte, unitamente al prodotto bancario, poiché la sanzione andrebbe applicata a tutti i professionisti che partecipano alla realizzazione di una pratica traendone uno
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Quindi tanto il procedimento applicabile quanto il suo risultato in ipotesi di accertamento della responsabilità risultano condizionati da un fattore assolutamente casuale e cioè dalla celerità con cui Agcm – per i profili di rilevanza generale – o le altre autorità - relativamente a quelli considerabili di carattere speciale – concludono la loro attività con un provvedimento suscettibile di divenire definitivo61. In altri termini, in carenza di criteri “forti” di coordinamento, la funzione conformativa risulta “aggiudicata” in base alla “celerità” dei tempi dell’azione delle diverse amministrazioni “concorrenti”. Le complicazioni derivanti dalla concentrazione però non possono dirsi ancora esaurite: all’incertezza in merito all’identità dell’ente procedente se ne affianca un’altra relativa all’individuazione del comportamento vietato, subito, seguita da una terza concernente il ruolo di Agcm e l’impatto della sua azione complessiva62.
specifico e diretto vantaggio commerciale, Tar Lazio, 8 gennaio 2013, n. 106, in www. giustizia-amministrativa.it. 61 A fronte di tale situazione si apre, dunque, un’ulteriore prospettiva d’incertezza poiché la stessa condotta materiale può essere esaminata da autorità che seguono distinte regole procedurali che offrono diversi spazi di interlocuzione all’indagato e che sono portate ad attribuire significato non coincidente alle regole di principio aventi il medesimo contenuto semantico pur se appartenenti a distinti documenti normativi. Dunque, sembra che la soluzione del “vince chi arriva prima” che si ricava da una generalizzazione dell’applicazione del ne bis in idem abbia conseguenze ben più ampie rispetto alla sola possibile sterilizzazione della sanzione penale in caso di preventiva applicazione della sanziona amministrativa – come rilevato da, Flick, Napoleoni, A un anno di distanza dall’affaire Grande Stevens: dal bis in idem all’e pluribus unum?, pp. 15 – 16 (2015), in www.aic.it – poiché diverse sono le regole d’azione delle autorità di vigilanza dei mercati così come lo sono le sanzioni comminate dai vari testi unici economici. È da segnalare, peraltro, come gli autori da ultimo richiamati, per contenere l’effetto della sterilizzazione della sanzione penale, che a loro dire deriverebbe da uno “scavalcamento a sinistra” dei principi affermati da Corte EDU, 4 marzo 2014 C. 18640/10 (nota anche come sentenza Grande Stevens) - Flick, Napoleoni, A un anno di distanza, cit., p. 5 - propongono la lettura limitativa degli effetti vincolanti delle sentenze del giudice di Strasburgo. Richiamandosi ad una successiva pronuncia della Corte costituzionale (Cort. cost., 26 marzo 2015, n. 49, in www.cortecostituzionale.it), affermano che solo le sentenze che esprimano un indirizzo consolidato – e non quelle che contengono una statuizione isolata – genererebbero un dovere di adeguamento ai sensi dell’art. 117, co. 1, Cost. Per una serrata e condivisibile critica alla posizione riduttiva della Consulta, si veda, Ruggeri, L’interpretazione conforme a CEDU: il lineamenti del modello costituzionale, i suoi più rilevanti scostamenti registrati nell’esperienza, gli auspicabili rimedi (2015), p. 17 ss., in www.federalismi.it., cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici. 62 Dunque da una serie di fattori rilevanti che evidenziano l’insoddisfazione per una lettura meramente formale del principio del ne bis in idem, quale quella fatta propria
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Quanto al primo sembra sufficiente evidenziare come gli illeciti amministrativi delineati dalla normativa finanziaria sono posti a presidio del rispetto di prescrizioni specifiche e strettamente connesse alle operazioni disciplinate. A garanzia, cioè, di comportamenti che, ragionevolmente, non lasciano spazio a sanzioni concepite per stigmatizzare condotte a carattere generico. Si pensi, ad esempio, alle modalità tramite cui deve essere resa di pubblica ragione la prima informazione precontrattuale. Gli intermediari finanziari devono mettere a disposizione dei potenziali clienti il prospetto informativo o gli strumenti tipici equiparati mentre gli assicuratori ed i loro intermediari devono consegnare al cliente un articolato documento per spiegare le caratteristiche della polizza e la distribuzione dei relativi diritti ed obblighi. Parimenti la pubblicità dei prodotti finanziari ed assicurativi deve avere carattere specifico, rinviando per una completa informazione ai relativi documenti illustrativi, confezionati in modo standardizzato, secondo le indicazioni di una norma o disposizioni delle autorità di vigilanza. Le une e le altre ordinano, dunque, condotte assolutamente diverse che escludono residui spazi per la punizione – come nel caso delle pratiche commerciali scorrette – di comportamenti che possono essere latamente indicativi d’un’intenzione a contrarre, come ad esempio, l’induzione del contraente, tramite la diffusione di notizie imprecise a compiere un’azione in qualche modo connessa od, in astratto, propedeutica all’atto d’acquisto63. Ancora l’attribuzione della competenza sanzionatoria ad Agcm risulta foriera di altro inconveniente che è la conseguenza del modo con cui l’autorità intende la sua funzione. Come è stato sottolineato64, l’autorità
dalle due sentenze dell’Adunanza plenaria n. 3 e 4 del 2016, secondo le quali l’art. 7 CEDU vieta solo l’instaurazione di un procedimento dopo l’esaurimento di un precedente ma non la contemporanea pendenza di due procedimenti anche per lo stesso fatto (par. 9 motivazione). 63 Cfr Cort. giust. UE, 19 dicembre 2013, C - 81/11, in www.europa.eu, che reputa scorretta la diffusione da parte di una catena di supermercati di un volantino pubblicitario indicativo di prodotti proposti a prezzi promozionali non reperibili presso i punti vendita poiché tale notizia era stata tale da indurre un consumatore a recarsi inutilmente presso il negozio attesa la non disponibilità del bene. 64 Così, Cintioli, La sovrapposizione, cit., pp. 3-4, secondo il quale l’operato di Agcm ha acquisito un inevitabile “caratura regolatoria”, finendo con fissare regole di comportamento che incidono in un determinato ambito di mercato, mirando ad individuare i comportamenti ripetitivi potenzialmente dannosi per i consumatori al fine di orientare e conformare in maniera diversa le scelte imprenditoriali di settore.
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garante s’è progressivamente disinteressata degli episodi aventi rilevanza individuale - cioè delle infrazioni a danno di uno od una ristretta cerchia di consumatori – concentrandosi sulle pratiche potenzialmente in grado d’aver effetti ad ampio raggio, privilegiando la funzione generale di prevenzione, mirando a correggere – sostanzialmente – le disfunzioni che derivano, in tesi, dall’inadeguatezza dell’organizzazione dell’impresa. Di fatto, però, se si considerano gli effetti sostanziali di tale modo di intendere la funzione ci si avvede di come la sua opera, in realtà, venga ad affiancarsi a quella di Ivass e Consob – amministrazioni tutte investite del potere di verificare l’adeguatezza dell’organizzazione delle imprese vigilate65. Dunque, in qualche modo, la concentrazione della potestà punitiva in capo ad Agcm, pone il rischio di legittimare un prassi di per sé dubbia e comunque un risultato pratico contrario a quell’indicazione diretta ad orientare l’attività legislativa di recepimento della disciplina europea66 se-
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Condizionamento che potrebbe realizzarsi sostanzialmente attraverso l’istituto degli impegni (art. 27, co. 7, cod. cons.), tramite cui l’impresa indagata si può sottrarre all’accertamento dell’illecito amministrativo proponendo all’autorità l’adozione di misure – anche di tipo organizzativo interno – idonee all’eliminazione della situazione reputata critica e che, se reputate congrue dall’autorità, diventano vincolanti con conseguente archiviazione del procedimento. Tra il momento della proposta e quello dell’esame dell’amministrazione che ne è destinataria, infatti, si prevede uno spazio in cui si sviluppa una negoziazione informale in esito alla quale la prima può sostanzialmente chiedere modifiche e correzioni migliorative alla soluzione che l’impresa indagata intende proporre. Agcm, sembra, dunque, replicare nell’ambito d’interesse quella dubbia tendenza manifestata nell’applicazione del diritto della concorrenza – Torchia, Il diritto antitrust di fronte al giudice amministrativo, in Mercato, conc. e reg., 2013, p. 510 ss. – a svolgere una funzione regolatoria che trascende la propria competenza specifica, tramite un condizionamento generale delle scelte dell’indagato, reso possibile dall’esistenza d’un alternativa alla conclusione del procedimento sanzionatorio. 66 L’impostazione seguita da Agcm, peraltro, non solo si sostanzia una dubbia attività conformativa di tipo generale ma si pone, anche, in contrasto con le indicazioni date dal giudice dell’Unione, in merito alla portata della condotta rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina d’interesse e, dunque, indirettamente, al modo con cui deve essere garantita l’effettiva osservanza dell’atto di armonizzazione e di quelli di recepimento. Per la corte del Lussemburgo, infatti, le amministrazioni poste a presidio della correttezza dei comportamenti devono monitorare ogni fatto anche a rilevanza meramente individuale, svolgendo un’opera ad ampio raggio, la cui ampiezza non è suscettibile di una modulazione discrezionale. Per chiarezza espositiva, di seguito, si trascrivono i passi d’’interesse della motivazione di Corte. giust. UE, 16 aprile 2015, C-388/13 (in www.europa.eu): «41. (…) è necessario precisare che la circostanza che la condotta del professionista coinvolto sia stata tenuta una sola volta e abbia interessato un solo consumatore è del tutto irrilevante in questo contesto. 42. Infatti, né le definizioni fornite agli articoli 2, lettere c) e d), 3, paragrafo 1, nonché
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condo cui i decreti delegati non devono comportare «l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (…)» (art. 32, co. 1, lett. c, l. 234/2012)67.
7. La disciplina regolamentare di Agcm. La marginalizzazione del ruolo delle autorità di vigilanza – voluto dal legislatore – trova coerente sviluppo nella disciplina regolamentare adottata per dar seguito alla novella.
6, paragrafo 1, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali né quest’ultima, considerata nel suo insieme, contengono indizi secondo cui l’azione o l’omissione da parte del professionista dovrebbe presentare carattere reiterato o riguardare più di un consumatore. 43. Orbene, alla luce della finalità di tutela del consumatore posta alla base della suddetta direttiva, queste disposizioni non possono essere interpretate nel senso che impongono condizioni di tal tipo, quando invece non le indicano in maniera esplicita (v., in tal senso, sentenza CHS Tour Services, C‑435/11, punto 41). 44. Peraltro, dalla tesi (…) secondo cui non può ritenersi che un comportamento isolato di un professionista, che abbia riguardato un solo consumatore, costituisca una «pratica» ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, potrebbero derivare seri inconvenienti. 45. In primo luogo, tale direttiva non fissa alcuna soglia, in termini di frequenza oppure di numero di consumatori, superata la quale un atto o un’omissione dovrebbero rientrare nella sfera di applicazione della direttiva medesima, ragion per cui la tesi difesa da (…) non è compatibile con il principio della certezza del diritto. 46. In secondo luogo, questa tesi implicherebbe l’onere in capo al consumatore di dimostrare che altri privati sono stati lesi dal medesimo operatore, sebbene, di fatto, tale prova sia estremamente difficile da fornire». 67 L’art. 32, co. 1, lett., c, l. 234/2012, per la definizione del limite del potere legislativo rinvia all’art. 14, co. 24-bis, 24-ter e 24-quater, l. 28 novembre 2005, n. 246, relativa alla semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005. Per il co. 24-ter «Costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie: a) l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l’attuazione delle direttive; b) l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari; c) l’introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l’attuazione delle direttive». Ulteriormente, il superamento della soglia normativa potrebbe essere ammessa in casi affatto peculiari oggetto di preventiva individuazione ed adeguata giustificazione. Per quel che può valere un limite procedurale posto da una legge ordinaria ad altro atto pari ordinato, il comma 24 quater, dispone che «(…) delle circostanze eccezionali, valutate nell’analisi d’impatto della regolamentazione, in relazione alle quali si rende necessario il superamento del livello minimo di regolazione comunitaria».
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Agcm, nel ordinare l’apposito procedimento (art. 27, co. 11, cod. cons.), ha riservato un contenutissimo spazio all’apporto delle altre amministrazioni indipendenti settoriali, riconoscendo al loro apprezzamento natura non vincolante, muovendo dal principio secondo cui laddove il parere previsto dalla legge non è altrimenti qualificato deve essere semplicemente inteso come obbligatorio68. L’Autorità garante, dunque – limitando la propria lettura alla previsione del codice del consumo – la intende come prescrittiva di quella forma più tenue «di coordinamento tra amministrazioni che curano interessi pubblici distinti ma con diversi ambiti di coincidenza»69. Dunque, postulando che la natura e portata del parere possa essere individuata esclusivamente in base ai documenti normativi domestici, la prima ha integrato il proprio regolamento sulle procedure in materia di pubblicità ingannevole e pratiche commerciali scorrette (art. 16, co. 4, reg. 25411/2015)70, estendendo all’apporto delle amministrazioni specialistiche – ed in specie anche di Consob ed Ivass – la previsione relativa all’acquisizione del parere dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, per la valutazione delle pratiche oggetto di diffusione tramite la stampa periodica, quotidiana, radiofonica, televisiva od altro mezzo di telecomunicazione (art. 27, co. 6, cod. cons.). Si conferma, dunque, la collocazione della richiesta di parere all’autorità di settore come incombente terminale dell’istruttoria, con conseguente ricomprensione della risposta tra i suoi elementi71. Si prevede, in-
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Cerulli Irelli, Lineamenti di diritto amministrativo3, Torino, 2012, p. 340. Come sottolineato in dottrina – Correale, voce Parere (diritto amministrativo), in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, p. 676 ss. – poiché il termine parere viene impiegato per indicare una molteplicità d’apporti al procedimento e quindi l’esame della sua specifica funzione ed effetti non può che trarsi dall’analisi del contesto normativo che regola l’azione della P.A. procedente, ancorché ordinariamente lo si possa collocare nell’ambito dell’istruttoria, quale mezzo d’acquisizione informativa. 69 Cfr. Clarich, Manuale, cit., p. 240. 70 L’Autorità garante ha dapprima modificato il proprio regolamento, con delibera Agcm n. 24955 del 20 luglio 2014, incidendo sul testo dell’art. 16, per poi mantenerne struttura e numerazione nella versione successiva – vigente – approvata con delibera Agcm n. 25411 del 1 aprile 2015. 71 La prescrizione del parere, invero, viene a vincolare l’attività istruttoria dell’amministrazione procedente, imponendole di attivarsi per l’acquisizione di un atto d’apprezzamento la cui acquisizione è – a livello normativo – reputata utile ai fini dell’assunzione di una determinata decisione. Dunque, se pur si può trattare d’una valutazione di determinati elementi dell’istruttoria da parte di un soggetto tecnico terzo anche quella è parte di quel materiale su cui si deve basare l’attività decisionale
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fatti, che il responsabile del procedimento, conclusa la fase prodromica alla decisione - prima di trasmettere gli atti al collegio - li invia all’altra amministrazione cui chiede d’esprimersi sulla base di quanto contenuto nel fascicolo. Dalla data della comunicazione della richiesta decorre, quindi, un termine breve di trenta giorni (art. 16, comma 3, reg. 25411/2015) entro cui la destinataria deve evadere la domanda. Alla scadenza di quello, peraltro, Agcm può decidere indipendentemente dalla circostanza di aver ricevuto il parere, a meno che l’amministrazione interpellata non abbia rappresentato l’esistenza di «esigenze istruttorie» che richiedono la disponibilità di altri dati od informazioni così provocando la «sospensione del procedimento stesso» (art. 16, co. 3, reg. 25411/2015)72. Con una scelta condivisa da alcune autorità di vigilanza – che hanno concluso con Agcm protocolli d’intesa concernenti le modalità con cui deve essere reso il parere73 – il Garante della concorrenza – con la stessa collocazione procedimentale dell’apporto altrui – gli attribuisce la minima forza di condizionamento. Infatti, la riconduzione del parere nell’ambito dell’istruttoria lo rende oggetto d’apprezzamento discrezionale da parte dell’amministrazione procedente74, al pari di qualunque altro elemento raccolto in tale fase75. In altri termini, la rilevanza della considerazioni svolte nell’atto d’apprezzamento ricevuto risulta subordinato a quello discrezionale di Agcm che, in armonia con la propria politica di vigilanza, potrebbe non condividere quella valutazione del fenomeno esaminato o l’apprezzamento positivo della condotta magari precedente
dell’amministrazione procedente, cfr TAR Lazio, 16 dicembre 2009, n. 13023, in www. giustizia-amministrativa.it. 72 Il secondo periodo del co. 4 dispone che «nel caso in cui l’autorità per le comunicazioni abbia rappresentato esigenze istruttorie, il termine di conclusione del procedimento è sospeso, per un periodo massimo di trenta giorni, dalla data della recezione, da parte dell’Autorità per la garanzia delle telecomunicazioni, delle notizie e dei documenti richiesti, sino alla data in cui pervenga il relativo parere». 73 Si veda, ad esempio, l’art. 3, del protocollo di intesa tra Ivass e Agcm del 14 ottobre 2014, in www.ivass.it e www.agcm.it, cui adde, Relazione sull’attività nel 2014, p. 54, in www.agcm.it. 74 La quale per una costante giurisprudenza, potrà disattenderne le conclusioni tramite una congrua quanto succinta o sommaria motivazione delle ragioni che la portano a concludere diversamente. Tra le tante, si veda, Cons. St., sez. VI, 20 marzo 2011, n. 2438, in Foro amm.- Cons. St., 2011, p. 1314; Cons. St., sez. VI, 16 ottobre 2002, n. 5640, in Foro it., 2003, III, c. 73. 75 Cerulli Irelli, Lineamenti, cit., p. 374.
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assentita dall’amministrazione specialistica, così allontanandosi dall’interpretazione del contesto di riferimento compiuta dalla seconda76. Il Garante della concorrenza, quindi, può disattendere apprezzamenti che magari sono corollari di atti o linee applicative elaborate dalle autorità europee dei mercati finanziari e perciò cogenti in quanto espressione o mezzo per la realizzazione di una politica e prassi operative comuni ai singoli paesi ed ai loro apparati di riferimento dei settori bancari, assicurativi e mobiliari77, cui invece Agcm è estranea. Se ben ci s’avvede, si può ammettere la correttezza della soluzione regolamentare solo rispetto agli apporti di quelle amministrazioni poste a presidio di relazioni od attività d’impresa che non implicano lo scambio di prestazioni a carattere complesso – e, dunque, diverse da quelle di natura finanziaria78. In altri termini, sembra doversi riconoscere altro
76 Evidenziano le criticità d’un possibile discostamento dalla posizione dell’autorità di settore, anche Cintioli, Regolazione, cit., p. 5 e Petti, Il riparto, cit., p. 19. L’attribuzione della competenza sanzionatoria ad Agcm – elevata a custode globale anche della correttezza delle condotte imputabili a chi è soggetto ad una disciplina speciale/settoriale – consente, probabilmente, di mitigare ulteriormente quella blanda rilevanza del quell’obbligo di motivazione rinforzata – Petti, Il riparto, cit., p. 19 – che dovrebbe essere assolto nel caso in cui ci si venga a discostare dal punto di vista dell’amministrazione specialistica. A prescindere dal dubbio in merito alla portata dell’aggravamento dell’onere di spiegazione, si deve rammentare la giurisprudenza del giudice amministrativo, formatasi sull’impugnazione dei provvedimenti antitrust, le cui considerazioni sono facilmente trasponibili nell’ambito d’interesse. Per Cons. St., sez. VI, 18 luglio 2014, n. 3849 (in www.giustizia-amministrativa.it), «le valutazioni dell’Autorità di settore assumono una valenza diversa a seconda che si riferiscano alla disciplina ed alle caratteristiche del settore regolato rispetto a quelle attinenti l’applicazione delle norme in materia di tutela della concorrenza. In entrambi i casi l’Autorità antitrust dovrà motivare il discostamento dal parere dell’autorità di settore, ma nella prima ipotesi la motivazione dovrà essere particolarmente esauriente a differenza della seconda, in cui le valutazioni attengono direttamente alle competenze attribuite al garante della concorrenza» (Cons. St., sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199 e Cons. St., sez. VI, 2 marzo 2001, n. 1187). A questo, s’aggiunga, che l’idea di reputa la tutela del consumatore strettamente complementare a quella della concorrenza, offre ulteriori argomenti retorici per ridurre nei minimi termini l’obbligo motivazionale; tale connessione tra materie, infatti, offre un utile argomento per superare l’obbiezione della spettanza del potere di regolamentazione sostanziale all’autorità di settore, il cui operato, potrebbe essere giudicato scorretto per non tener in adeguata considerazione la disciplina della concorrenza. Per una panoramica della prima, qui non condivisa posizione, si veda – da ultimo, Lorenzoni, Il riparto di competenze tra l’Autorità indipendenti nella repressione delle pratiche commerciali scorrette, in Riv. it. antitrust (2015), 1, p. 95 ss., in www.agcm.it. 77 Vedi par. 6. 78 Quali, segnatamente, l’Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico,
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rilievo agli apporti espressi da Consob ed Ivass e quindi una loro più incisivo effetto condizionante. Difformemente da quanto può concludersi per il rapporto corrente con l’Autorità per la garanzia nelle telecomunicazioni o con quello con l’Autorità dell’energia, non sembra esservi spazio per la degradazione dell’apporto consultivo di Consob ed Ivass per l’esistenza di una serie di fattori che orientano in senso contrario. Se non ci si inganna, infatti, esistono ragioni sufficienti per superare in via interpretativa – a prescindere da un eventuale intervento correttivo – quella situazione di disagio indotta dal legislatore con l’introduzione del co.1-bis nel corpo dell’art. 27 cod. cons. La supremazia del diritto dell’Unione, i cui obbiettivi sono condizionati dal raggiungimento di un elevato livello di omogeneità interpretativa ed applicativa da parte delle autorità operanti in un medesimo settore – previa osservanza di criteri e prassi vincolanti comuni – esclude lo “svilimento” del loro apporto alla stregua di un mero elemento istruttorio. È la stessa complessità della materia regolata – con la conseguente necessità d’affidare la funzione di vigilanza ad amministrazioni specialistiche – e l’inserirsi dell’attività sanzionatoria tra le funzioni di regolazione che impone di realizzare quella massima forma di coordinamento conseguente al riconoscimento d’un valore determinante e vincolante alla valutazione dell’amministrazione interpellata, con sostanziale devoluzione a quest’ultima del potere decisorio79. Di conseguenza, per necessità, deve riconoscersi ad Agcm la sola prerogativa d’avviare l’istruttoria e di concludere il procedimento con l’applicazione della pena unicamente nell’ipotesi in cui in tal senso si sia espressa l’autorità specialistica80. Le peculiarità delle materie ricomprese nella disciplina dei mercati finanziari, l’imbricazione normativa - conseguente ad un’integrazione continua di piani e d’interessi rilevanti che scorrono da quello generi-
quella per le garanzie nelle telecomunicazioni e quella di regolazione dei trasporti. 79 Conclusione in linea con la tendenziale coincidenza tra natura vincolata del parere e la natura tecnico giuridica del suo contenuto, evidenziata da Correale, Parere, cit. p. 676 e ss. Infatti, se il parere reso dall’autorità specialistica si sostanzia in un’attività interpretativa di norme o di concretizzazione di concetti giuridici indeterminati, a lei affidati in ragione della specifica competenza, sembra difficile immaginare che le sue conclusioni possano essere disattese dalla diversa valutazione dell’amministrazione generalista. 80 Coerentemente con la natura vincolante del parere ad Agcm dunque non può che residuare – in caso di apprezzamento positivo della condotta dell’indagato da parte di Consob o Ivass – il solo potere di rinunziare all’adozione del provvedimento finale. Cfr. Clarich, Manuale, cit., p. 240.
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co a quello specifico del consumatore di servizi finanziari (assicurato o investitore) –non lascia alternativa e, quindi, a prescindere da chi formalmente commina la sanzione, deve riconoscersi un incisivo e determinante potere decisionale, rispettivamente, in capo a Consob ed Ivass81. D’altronde quella trasparenza e correttezza dei comportamenti dei professionisti – che la disciplina delle pratiche commerciali scorrette vuol prevenire e reprimere – devono essere declinate in modo diverso, in ragione della distinta natura dei beni e servizi offerti nei settori speciali, le cui condotte sono rette da disposizioni rinforzate, rischiandosi, altrimenti di reprimere condotte inoffensive in nome di una sempre più intesa protezione del contraente debole. Da ultimo, si deve ricordare come quelle caratteristiche che portano ad attribuire il potere decisionale all’amministrazione consultata impediscono che eventuali accordi di collaborazione tra Agcm e le altre autorità possano costituire strumento di definizione delle competenze, cioè mezzo attraverso cui si consente, attraverso un vero e proprio atto dispositivo, di definire le rispettive sfere d’azione82. Tanto sembra escluso sia dallo stesso testo dell’art. 27, co. 1-bis, cod. cons. quanto dal limite alla cooperazione tra autorità che traspare dalla normativa finanziaria83. La prima disposizione richiamata auspica la conclusione tra Autorità garante e le altre amministrazioni di protocolli d’intesa attinenti ad «(…) aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle reciproche competenze».
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Dalla considerazione complessiva degli indici normativi europei sembra, infatti, desumersi la natura vincolante del parere e, di conseguenza, la sua natura decisoria, con conseguente riduzione del compito dell’autorità procedente a quello di mera esternazione, Cerulli Irelli, Lineamenti, cit., p. 341. 82 La valorizzazione dei protocolli d’intesa da altri auspicata – Cintioli, Regolazione, cit., p. 5; Circolare Assonime, n. 27/2014, cit., pp. 14-15 – non credo possa trascendere la loro funzione di collaborazione tra diverse autorità tramite forme predefinite di coordinamento ed assumere, invece, il ruolo di mezzo per la definizione concordata dei diversi ambiti d’azione. 83 Nel senso del testo, Troise Mangoni, Il riparto, cit., p. 108, nt. 54, esclude che gli accordi di collaborazione possano avere una “valenza” dispositiva della competenza. Per lo studioso questo è impedito da almeno due ordini di fattori. In primo luogo, la conclusione dei protocolli non è un obbligo ma è rimessa alla sensibilità di Agcm; in secondo luogo, l’accordo di collaborazione, riguardando funzioni di un soggetto pubblico non è obbiettivamente idoneo ad incidere sulle competenze attribuite alle singole autorità dal quadro normativo (legislativo). La conclusione dei protocolli non sia obbligatoria ma rimessa alla sensibilità dell’amministrazione.
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La disciplina specialistica, poi, pare ammettere accordi di collaborazione a raggio limitato, che non si traducono in spostamenti di competenze – temporanei o delegati – tramite la forma del avvalimento di attività, rendendo così molto più stringenti quei limiti che il diritto amministrativo generale pone, ammettendo eccezionalmente la delegazione intersoggettiva di funzioni84. La previsione della possibilità di delega di verifiche ispettive sugli intermediari finanziari, oggetto di vigilanza congiunta di Consob e Banca d’Italia per i profili di rispettiva competenza (art. 10, co. 2, t.u.f.), conferma la natura eccezionale di tale eventualità e dunque della possibilità dell’una di avvalersi dell’opera dell’altra. Conferma, dunque, come nel diritto dei mercati finanziari sia assolutamente compressa o ridotta nei minimi termini l’opzione operativa per cui un ente dotato di una certa competenza, previa valutazione dell’idoneità d’un altro, reputa di potersi giovare della sua struttura operativa al fine del compimento di talune attività materiali od ispettive85.
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Cerulli Irelli, Lineamenti, cit., pp. 93 – 95. In generale, sul limite della collaborazione tra amministrazioni si veda, TAR Lazio, 25 novembre 2004, n. 14062, in www.giustizia-amministrativa.it. 85
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COMMENTI
Sanzioni della Banca d’Italia e principi del “giusto procedimento” I
Corte di Cassazione, sezione seconda, sentenza 10 marzo 2016, n. 4725; Pres. Bucciante, Rel. Cosentino; M.C., R.G., B.R. (avv. Nigro) c. Banca d’Italia (avv. D’Ambrosio) Conferma App. Roma 21 luglio 2011 Sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia – Procedimento sanzionatorio – Commissione per l’esame delle irregolarità – Proposta conclusiva di sanzione – Omessa comunicazione all’incolpato – Lesione del diritto al pieno contradditorio – Violazione dell’art. 6 Convenzione EDU – Insussistenza (Convenzione EDU, art. 6; d.lgs.1 settembre 1993, n. 385, testo unico bancario, art. 145; l. 28 dicembre 2005, n. 262, disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, art. 24) Sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia – Provvedimento sanzionatorio del Direttorio – Motivazione per relationem alla proposta della Commissione per l’esame delle irregolarità – Legittimità (L. 7 agosto 1990, n. 241, nuove norme in materia di procedimento amministrativo, art. 3; l. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 24) Nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia, la mancata comunicazione all’incolpato della proposta conclusiva di sanzione formulata al Direttorio dalla Commissione per l’esame delle irregolarità non integra lesione del diritto del medesimo incolpato al pieno contraddittorio né violazione dei principi di cui all’art. 6 della Convenzione EDU. (1) Nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative ir-
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rogate dalla Banca d’Italia, è legittima la motivazione del provvedimento sanzionatorio adottato dal Direttorio per relationem alla proposta formulata dalla Commissione per l’esame delle irregolarità. (2) II
Corte di Cassazione, sezione seconda, sentenza 24 febbraio 2016, n. 3656; Pres. Bucciante, Rel. Matera; G.M. (avv. Cicconi, Carpinelli, Valensise) c. Banca d’Italia (avv. Coppotelli, De Giorgi) Conferma App. Roma 20 aprile 2012 Sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia – Procedimento sanzionatorio – Commissione per l’esame delle irregolarità - Proposta conclusiva di sanzione e parere dell’Avvocato Generale – Omessa comunicazione all’incolpato – Lesione del diritto al pieno contradditorio – Violazione dell’art. 6 Convenzione EDU – Violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – Insussistenza (Convenzione EDU, art. 6; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 41; d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, testo unico bancario, art. 145; l. 28 dicembre 2005, n. 262, disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, art. 24) Sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia – Provvedimento sanzionatorio del Direttorio – Motivazione per relationem alla proposta della Commissione per l’esame delle irregolarità – Legittimità (L. 28 dicembre 1990, n. 241, nuove norme in materia di procedimento amministrativo, art. 3; l. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 24) Nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia, la mancata comunicazione all’incolpato della proposta conclusiva di sanzione formulata al Direttorio dalla Commissione per l’esame delle irregolarità e del parere dell’Avvocato Generale non integra lesione del diritto del medesimo incolpato al pieno contraddittorio né violazione dei principi di cui all’art. 6 della Convenzione EDU. Ed all’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. (3) Nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia, è legittima la motivazione del provvedimento sanzionatorio adottato dal Direttorio per relationem alla proposta formulata dalla Commissione per l’esame delle irregolarità. (4)
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I (Omissis) Motivi della decisione. (Omissis) Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione della l. n. 262 del 2005, art. 24 in cui la Corte di appello sarebbe incorsa negando che il diritto dei ricorrenti al contraddittorio sia stato violato dalla mancata comunicazione ai medesimi della proposta conclusiva formulata al Direttorio dalla Commissione per l’esame delle irregolarità; secondo i ricorrenti la Corte di appello avrebbe errato nell’applicare anche in tema di contraddittorio nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia un principio – secondo cui, ai fini del rispetto del diritto al contraddittorio, sarebbe sufficiente che, prima dell’adozione della sanzione, venga effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato – elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte (SS.UU. 20935/09) con riguardo al procedimento per l’applicazione delle sanzioni irrogate dalla Consob e, peraltro, confermativo di un indirizzo formatosi in relazione a fattispecie anteriori alla l. n. 262 del 2005. Osserva il Collegio che la questione della compatibilità con il principio del contraddittorio della mancata comunicazione agli interessati della proposta conclusiva formulata al Direttorio della Banca d’Italia dalla Commissione per l’esame delle irregolarità è stata affrontata da questa Corte con la sentenza n. 27038/13, che ha negato che tale mancata comunicazione integrasse alcuna lesione del diritto al contraddittorio. A tale conclusione –
ancora di recente ribadita da questa Sezione con la sentenza n. 25141/15 ed alla quale la decisione della Corte territoriale risulta perfettamente allineata – la sentenza n. 27038/13 perviene valorizzando il già citato precedente delle Sezioni Unite n. 20935/09 (5.2, pag. 35), ove - in tema di sanzioni irrogate dalla Consob ai sensi dell’art. 187-septies t.u.f. (ma sulla scorta del precedente arresto n. 6307/03, reso in materia di sanzioni irrogate dal Ministero del Tesoro, in fattispecie anteriore alla l. n. 262 del 2005) – si è appunto affermato che, ai fini del rispetto del principio del contraddittorio, è sufficiente che venga effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato; con la precisazione che i precetti costituzionali riguardanti il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il giusto processo (art. 111 Cost.) riguardano espressamente e solo il giudizio, ossia il procedimento giurisdizionale che si svolge avanti al giudice e non il procedimento amministrativo, ancorché finalizzato all’emanazione di provvedimenti incidenti su diritti soggettivi; cosicché l’incompleta equiparazione del procedimento amministrativo a quello giurisdizionale non viola in alcun modo la Costituzione. Il Collegio ritiene – in conformità con la citata sentenza n. 25141/15, alla quale si intende dare seguito, che le suddette conclusioni siano da condividere e vadano mantenute ferme, nonostante le indicazioni offerte dalla Corte EDU con la sentenza 4.3.14, Grande Stevens c. Italia, con riferimento al procedimento dettato dall’art. 187-septies t.u.f. per la irrogazione delle sanzioni applicate dalla Consob. Con detta pronuncia, come
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è noto, la Corte EDU – premesso che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 187-ter, comma 1, t.u.f. deve considerarsi appartenente alla “materia penale”, con la conseguenza che il procedimento per la relativa irrogazione deve conformarsi al disposto dell’art. 6 della Convenzione EDU – ha affermato che il procedimento seguito dalla Consob per l’applicazione di tale sanzione ai ricorrenti contrastava con i principi fissati dal suddetto art. 6 della Convenzione “soprattutto per quanto riguarda la parità delle armi tra accusa difesa ed il mancato svolgimento di una udienza pubblica che permettesse un confronto orale” (punto 123); ciò in quanto, da un lato, il documento che conteneva le conclusioni dell’ufficio sanzioni, destinato a servire poi da base alla decisione della Commissione, non era stato comunicato ai ricorrenti (punto 117) e, d’altro lato, questi ultimi non avevano avuto la possibilità di partecipare all’unica riunione tenuta dalla Commissione, alla quale non erano ammessi (punto 118). Nella medesima sentenza tuttavia, sulla scorta della pregressa giurisprudenza della stessa Corte EDU, si precisa che le carenze di tutela del contraddittorio che caratterizzino un procedimento amministrativo sanzionatorio non consentono di ritenere violato l’art. 6 della Convenzione EDU quando il provvedimento sanzionatorio sia impugnabile davanti ad un giudice indipendente ed imparziale, che sia dotato di giurisdizione piena e che conosca dell’opposizione in un procedimento che garantisca il pieno dispiegamento del contraddittorio delle parti (punti 138 e 139). In sostanza, conformemente ad una opinione sostenuta in dottrina
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(e che trova riscontro nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, cfr. sent. n. 1596/15), deve affermarsi che – in materia di irrogazione di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano, alla stregua dei criteri elaborati dalla Corte EDU, natura sostanzialmente penale – gli Stati possono scegliere se realizzare le garanzie del giusto processo di cui all’art. 6 della Convenzione EDU già nella fase amministrativa (nel qual caso, nella logica di tale Convenzione, una fase giurisdizionale non sarebbe nemmeno necessaria) o mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio applicato dall’autorità amministrativa (all’esito di un procedimento non connotato da quelle garanzie) ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva, attuato attraverso un procedimento conforme alle prescrizioni dell’art. 6 della Convenzione. Nel secondo caso, non può ritenersi che il procedimento amministrativo sia illegittimo, in relazione ai parametri fissati dell’art. 6 della Convenzione, e che la successiva fase giurisdizionale determini una sorta di sanatoria di tale originaria illegittimità; al contrario, il procedimento amministrativo, pur non offrendo esso stesso le garanzie di cui all’art. 6 della Convenzione, risulta ab origine conforme alle prescrizioni di detto articolo, proprio perché è destinato a concludersi con un provvedimento suscettibile di un sindacato giurisdizionale pieno, nell’ambito di un giudizio che assicura le garanzie del giusto processo. Tanto premesso – impregiudicata la questione della riconducibilità delle sanzioni previste dal t.u.b. alla “materia penale”, secondo i parametri elaborati dalla Corte EDU con la
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sentenza Engel dell’8/6/76 – risulta preliminare ed assorbente il rilievo che le delibere sanzionatorie adottate dalla Banca d’Italia sono impugnabili davanti alla Corte di appello di Roma e che non è dubitabile che tale Corte debba essere considerata, alla stregua dei parametri indicati dalla stessa sentenza Grande Stevens (nonché, con specifico riferimento al profilo della “full jurisidiction”, dalla sentenza 27.9.11 Menarini Diagnostics c. Italia), un giudice indipendente ed imparziale, dotato di giurisdizione piena e davanti al quale, nonostante il rito camerale, è garantita la pienezza del contraddittorio. A quest’ultimo proposito va sottolineato, per un verso, che il diritto al contraddittorio è garantito dal disposto del comma 6 dell’art. 145 t.u.b. (nel testo introdotto dal d.lgs. n. 342 del 1999, art. 34), il quale, nel disciplinare il procedimento di opposizione alle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia, prevede la fissazione di termini “per presentazione di memorie e documenti”, nonché “per consentire l’audizione anche personale delle parti”: per altro verso, che la stessa Corte EDU ha chiarito che la prescrizione di pubblicità dell’udienza di cui all’art. 6 della Convenzione non è assoluta (cfr. sent. Grande Stevens, punto 119, in principio) e, che, comunque, nel mezzo di ricorso non si prospetta alcuna lesione del diritto di difesa ipoteticamente derivata alle parti private dalla mancanza di pubblicità dell’udienza davanti alla Corte d’appello. Alla stregua delle esposte considerazioni deve dunque escludersi che la lamentata mancanza di comunicazione agli interessati della proposta conclusiva formulata al Direttorio dalla
Commissione per l’esame delle irregolarità possa anche astrattamente costituire violazione dei principi di cui all’art. 6 della Convenzione EDU. Né, sotto altro aspetto, meritano adesione le considerazioni svolte nella memoria illustrativa dei ricorrenti secondo cui l’assunto della illegittimità del procedimento sanzionatorio della Banca d’Italia (e, conseguentemente, della delibera sanzionatoria emessa all’esito di tale procedimento e impugnata nel presente giudizio) risulterebbe confermato dalle affermazioni svolte nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1596/15, già sopra citata, in ordine alla illegittimità del procedimento sanzionatorio della consob in relazione al disposto dell’art. 187-septies t.u.f. Nella parte motiva di tale sentenza il Consiglio di Stato - dopo aver escluso che il procedimento sanzionatorio della Consob (nel testo anteriore alle modifiche al medesimo recate con la delibera della stessa Consob n. 29158 del 29.5.15 ed alle modifiche apportate all’art. 187-septies t.u.f. dal d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, art. 5) presentasse profili di illegittimità in riferimento all’art. 6 della Convenzione EDU ed agli artt. 24 e 111 Cost. – afferma che il medesimo procedimento risulterebbe tuttavia illegittimo con riguardo al disposto degli artt. 187-septies e 195 t.u.f., giacché esso non assicurerebbe il rispetto dei principi del contraddittorio e della piena conoscenza degli atti, in tali disposizioni espressamente menzionati. Osserva al riguardo il Collegio che – a prescindere da qualunque vaglio sulla intrinseca condivisibilità delle suddette valutazioni (peraltro non tradottesi in alcuna statuizione di annullamento del regolamento contenente la previgente
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disciplina del procedimento sanzionatorio Consob, giacché il decisum della sentenza CdS n. 1596/15 si risolve in una declaratoria di inammissibilità del ricorso delle parti private, per carenza di interesse) ed anche ritenendo che le stesse siano spendibili nell’analisi della legittimità del procedimento sanzionatorio applicato dalla Banca d’Italia, con riferimento al disposto della l. n. 262 del 2005, art. 24, comma 1, (il quale, anche per i procedimenti della Banca d’Italia, richiama espressamente il principio del contraddittorio, non menzionato dall’art. 145 t.u.b.) – risulta assorbente la considerazione che in questa sede non è impugnato il regolamento che disciplina il procedimento sanzionatorio della Banca d’Italia, ma è impugnato un provvedimento sanzionatorio e che nella impugnativa di tale provvedimento i ricorrenti non hanno dedotto alcuna concreta lesione che al loro diritto di difesa sarebbe derivato dalla mancata comunicazione della proposta conclusiva formulata al Direttorio dalla Commissione per l’esame delle irregolarità. A tal proposito va qui ribadito il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la più volte citata sentenza n. 20935/09 (in tema, si ripete, di contraddittorio nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni irrogate dalla Consob), che la doglianza relativa alla violazione del diritto al contraddittorio presuppone la deduzione di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa specificamente conculcato o compresso nel procedimento sanzionatorio. Detto principio, ripreso in tema di contraddittorio nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia dalla già menzionata sentenza n.
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27038/13, è condiviso dal Collegio e si colloca nella medesima prospettiva ermeneutica ancora di recente indicata dalle medesime Sezioni Unite con la sentenza n. 24823/15, ove, in tema di contraddittorio nel procedimento tributario, si è affermato che “la violazione del diritto al contraddittorio comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere”. Tale affermazione privilegia una lettura sostanzialistica (della tutela del) del diritto al contraddittorio, che il Collegio condivide perché richiama il pragmatico canone giuspubblicistico della strumentalità delle forme e risulta in piena sintonia con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con gli approdi della giurisprudenza elaborata dalla Corte di giustizia sull’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali (cfr. CGEU sentt. 3.7.2014, Kamino International Logistics, ove si afferma che la violazione dei diritti di difesa, in particolare del diritto ad essere sentiti prima dell’adozione di provvedimento lesivo, determina l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”; nello stesso senso, si veda anche la sentenza 26.9.2013, Texdata Software). La doglianza dei ricorrenti sulla violazione del loro diritto al contraddittorio risulta dunque insuscettibile di accoglimento, in mancanza di qualunque specificazione in ordine al concreto vulnus che tale lesione avrebbe arrecato alla possibilità di far valere le proprie ragioni nel procedimento sanzionatorio a loro carico.
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Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti – premesso che nel loro atto di opposizione avevano lamentato, da un lato, che il provvedimento sanzionatorio impugnato era motivato per relationem alla proposta della Commissione per l’esame delle irregolarità e, d’altro lato, che la motivazione di quest’ultima proposta era a propria volta carente – deducono che la Corte di appello, disattendendo entrambe tali doglianze, sarebbe incorsa nella violazione della l. n. 262 del 2005, art. 24 e nel vizio di omessa motivazione. In particolare, nel mezzo di ricorso si lamenta che il decreto gravato avrebbe ignorato la seconda doglianza e, quanto alla prima, avrebbe giudicato la motivazione per relationem legittima in base ad una giurisprudenza di legittimità relativa a fattispecie anteriori alla l. n. 262 del 2005. Osserva al riguardo il Collegio che la censura relativa al rigetto dell’eccezione di nullità della delibera sanzionatoria, perché motivata per relationem alla proposta della Commissione per l’esame delle irregolarità, è infondata, in quanto la Corte territoriale si è correttamente attenuta alla giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, che reiteratamente ha affermato la legittimità della motivazione per relationem delle delibere sanzionatorie della Banca d’Italia (sentt. nn. 53598/07 e 27038/13, quest’ultima resa su fattispecie posteriore alla l. n. 262 del 2005). D’altra parte, l’assunto dei ricorrenti secondo cui il terzo comma della l. n. 241 del 1990, art. 3 rappresenterebbe la fonte del principio della legittimità della motivazione per relationem degli atti amministrativi, cosicché il suo mancato richiamo nella l. n.
262 del 2005, art. 24 manifesterebbe la volontà del legislatore di escludere la possibilità di motivare per relationem i provvedimenti delle Autorità ivi menzionate, non è persuasivo. Al riguardo va in primo luogo osservato che la motivazione degli atti amministrativi per relationem era ritenuta generalmente legittima anche prima della legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990, cosicché deve ritenersi che l’art. 3, comma 3, di detta legge abbia codificato – precisandone i termini con l’esplicitazione del dovere della pubblica amministrazione di indicare e rendere disponibile l’atto di riferimento – principi già immanenti nell’ordinamento e riconosciuti dalla giurisprudenza amministrativa (si veda, ad esempio, CdS 24.5.89 n. 197: “l’atto amministrativo può essere motivato per relationem, con riferimento ad una motivazione contenuta in un parere, né è necessario che tale parere sia comunicato in allegato all’atto”; nonché, con riguardo, alla conoscenza o conoscibilità dell’atto di riferimento, CdS, 24.9.83 n. 690: “non è idonea ad integrare la motivazione per relationem del provvedimento impugnato l’enunciazione di considerazioni incidentali contenute in un atto anteriore, ad esso non connesso sul piano procedimentale e funzionale, né espressamente indicato, né facilmente individuabile o conoscibile dagli interessati”). In secondo luogo va evidenziato che proprio la portata di principio generale da riconoscere al disposto della l. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3, (cfr. CdS il. 1948/13: “La motivazione di un provvedimento è da ritenere sufficiente quando essa sia completa e logica in virtù degli elementi contenuti in altro
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atto che, in ragione del rinvio, diviene parte integrante del primo a termini della l. n. 241 del 1990, art. 3, norma di principio generale al riguardo”) impone di ritenere tale norma applicabile, senza necessità di un espresso richiamo, ai procedimenti amministrativi sanzionatori della Banca d’Italia disciplinati dall’art. 145 t.u.b. e l. n. 262 del 2005, art. 24, non essendo tale applicazione impedita da disposizioni espresse o da specifici profili di incompatibilità. Non può, in particolare, condividersi l’assunto dei ricorrenti secondo cui la motivazione per relationem sarebbe incompatibile con la distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie prevista dalla l. n. 262 del 2005, art. 24, comma 1, giacché il fatto che l’organo decidente faccia propria la motivazione della proposta formulata dall’organo istruttore non significa che il primo non formuli una propria valutazione autonoma, ma manifesta soltanto che tale autonoma valutazione si risolve nella condivisione delle motivazioni della proposta del primo. Del tutto inconferente, infine, è il richiamo della memoria dei ricorrenti alla sentenza del Consiglio di Stato n. 657/15, che, con riferimento alla procedura di scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche di cui all’art. 70 t.u.b., ha ritenuto illegittimo il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze che rinvii puramente e semplicemente agli atti ispettivi della Banca d’Italia, senza averne preliminarmente esaminato in modo analitico il contenuto; a prescindere dalle evidenti differenze tra il procedimento sanzionatorio oggetto del presente giudizio ed il procedimento ex art. 70 t.u.b., è sufficiente rilevare che anche in quest’ul-
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timo, secondo la stessa sentenza invocata dai ricorrenti, la necessità che il Ministro dell’Economia e delle Finanze operi una esplicita valutazione degli elementi posti a fondamento delle risultanze della Banca d’Italia non implica l’illegittimità della motivazione ob realtionem del decreto che dispone l’amministrazione straordinaria. Passando poi all’esame della censura con cui i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe ignorato la loro doglianza sulla dedotta carenza motivazionale dell’atto a cui si riferiva la motivazione dell’impugnata delibera sanzionatoria, ossia la proposta formulata al Direttorio dalla Commissione per l’esame delle irregolarità, è sufficiente rilevare tale doglianza (che in sostanza, deducendo la carenza motivazionale dell’atto di riferimento, si risolve nella deduzione di una insufficienza motivazionale dell’atto sanzionatorio impugnato) risulta implicitamente rigettata dalla Corte d’appello e tale rigetto è perfettamente in linea con il principio di diritto, più volte espresso da questa Corte (sent. SSUU n. 1786/2010, Sez. 2 n. 11280/10, nonché, con specifico riferimento ai provvedimenti sanzionatori emessi dalla Banca d’Italia, Sez. 1 n. 17799/14), che l’eventuale inadeguatezza motivazionale non è causa di nullità di un provvedimento sanzionatorio, in quanto l’oggetto dell’opposizione a tale provvedimento non è il provvedimento in sè considerato, bensì il rapporto sanzionatorio ad esso sotteso. Anche il terzo motivo risulta dunque infondato. (Omissis)
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II (Omissis) Motivi della decisione. Con il primo motivo il ricorrente denuncia: - l’illegittimità del decreto impugnato nella parte in cui non riconosce la natura istruttoria della proposta sanzionatoria della Commissione e del parere dell’Avvocato Generale e consente la motivazione per relationem della delibera; - la violazione della l. n. 262 del 2005, art. 24, commi 1 e 2, l. n. 689 del 1981 e della l. n. 241 del 1990; - la non corretta applicazione degli artt. 111 e 24 Cost.; la violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dell’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Deduce, in primo luogo, che nel procedimento sanzionatorio condotto dalla Banca d’Italia non è stato assicurato al G. il rispetto del principio del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori e del diritto di difesa, in quanto né la proposta sanzionatoria dell’organo che gestisce la fase istruttoria (la Commissione) formulata a conclusione di tale fase, né il parere dell’Avvocato Generale, sulla cui base l’organo decidente (il Direttorio) applica la sanzione, sono stati portati a conoscenza del ricorrente. Lamenta, conseguentemente, di non avere avuto modo di esprimere considerazioni e deduzioni in merito a tali atti. Sostiene che la deliberazione adottata dal Direttorio ha disatteso la l. n. 262 del 2005, art. 24, comma 1, che assoggetta i procedimenti sanzionatori ai principi di piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della
verbalizzazione, nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie. Deduce che il citato art. 24, ove interpretato nel senso di consentire sanzioni senza che il Direttorio venga direttamente a conoscenza delle difese svolte dall’incolpato e senza che quest’ultimo sia messo in condizione di svolgere le proprie difese dopo aver conosciuto il parere dell’Avvocato Generale e la proposta sanzionatoria della Commissione, risulterebbe in contrasto con il diritto comunitario e, in particolare, con l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché con l’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nella parte in cui sancisce il “diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”. In subordine, formula istanza di rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, affinché quest’ultima si esprima sulla compatibilità delle previsioni comunitarie con quanto previsto dalla normativa nazionale, in ordine alla interpretazione dell’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. In secondo luogo, il ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, la motivazione ad relationem contenuta nella delibera del Direttorio, esauritasi in un generico richiamo della proposta sanzionatoria, è da ritenere illegittima, ponendosi in contrasto con la l. n. 262 del 2005, art. 24, comma 2 che, ad ulteriore garanzia del principio del contraddittorio sancito dal primo comma, richiede che gli atti delle Au-
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torità nei procedimenti sanzionatori siano motivati e indichino le ragioni giuridiche e i presupposti di fatto che hanno determinato la decisione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria. Deduce, inoltre, che la Commissione, prima di formulare la proposta sanzionatoria al Direttorio, non ha esaminato tutti gli argomenti difensivi dell’interessato, con conseguente vizio della motivazione della proposta sanzionatoria e della successiva delibera, che a tale proposta si è riportata pedissequamente. Il motivo è infondato. 1a) la l. n. 262 del 2005, art. 24, comma 1 dispone che “i procedimenti sanzionatori sono (...) svolti nel rispetto dei principi (...) della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione”. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la norma in esame non prescrive che la proposta sanzionatoria della Commissione e il parere dell’Avvocato Generale debbano essere portati a conoscenza degli interessati affinché questi possano eventualmente controdedurre su di essi. Come è stato rilevato nel decreto impugnato, infatti, il parere dell’Avvocato Generale e la proposta della Commissione non costituiscono atti istruttori, in quanto con essi i predetti organi esprimono una valutazione sui medesimi “atti istruttori” noti anche all’incolpato, e in ordine ai quali anche quest’ultimo ha avuto modo di esprimere una valutazione, che resta nel fascicolo a disposizione del Direttorio. La mancata trasmissione dei predetti atti all’incolpato, pertanto,
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non comporta alcuna violazione del principio del contraddittorio in danno di tale soggetto, il cui diritto di difesa è garantito dalla comunicazione dell’inizio del procedimento, dalla contestazione degli addebiti, dalla indicazione degli elementi a carico, dalla facoltà di presentare le controdeduzioni, dall’audizione personale e dalla messa a disposizione delle fonti di prova raccolte in sede istruttoria. Questa Corte, d’altro canto, ha già avuto modo di affermare che, in tema di sanzioni amministrative previste dal d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 144 nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo di istituti bancari, il rispetto dei principi del contraddittorio e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie, previsti dalla l. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 24 non comporta la necessità che gli incolpati vengano ascoltati durante la discussione orale innanzi all’organo decidente (nella specie, Direttorio della Banca d’Italia), essendo sufficiente che a quest’ultimo siano rimesse le difese scritte degli incolpati ed i verbali delle dichiarazioni rilasciate, quando gli stessi chiedano di essere sentiti personalmente. (Cass. 3/12/2013 n. 27038). Deve aggiungersi che il ricorrente non ha nemmeno specificato quale ulteriore difesa avrebbe potuto espletare nel caso in cui avesse ricevuto la comunicazione della richiesta della Commissione e del parere dell’Avvocato Generale; sicché, anche sotto tale profilo, la doglianza è infondata. Né nella specie può essere invocata la diretta applicazione dei precetti costituzionali riguardanti il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il giusto pro-
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cesso (art. 111 Cost.), atteso che tali norme riguardano espressamente e solo il giudizio, ossia il procedimento giurisdizionale che si svolge avanti al giudice, e non il procedimento amministrativo, ancorché finalizzato all’emanazione di provvedimenti incidenti su diritti soggettivi (Cass. S.U. 30-9-2009 n. 20935; Cass. 14-6-2013 n. 15019, resa in altro giudizio in cui era parte l’attuale ricorrente; Cass. 4-92014 n. 18683). Allo stesso modo, non appaiono ravvisabili, in relazione al procedimento sanzionatorio condotto nella specie dalla Banca d’Italia, profili di contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, non partecipando tale procedimento della natura giurisdizionale del processo, che secondo la normativa citata è soltanto quello che si svolge davanti ad un giudice (cfr. Cass. Sez. Un. 25-22014 n. 4429). Le deduzioni svolte - in realtà in maniera assai generica - al riguardo dal ricorrente nel ricorso si sono arricchite di nuovi spunti nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., nella quale si è invocata l’applicazione dei principi affermati dalla Corte Europea dei Diritti Umani nella sentenza del 4-3-2014 (caso Grande Stevens ed altri c./Italia). Non sembra, tuttavia, che tale pronuncia si presti alle conclusioni auspicate dal ricorrente. La menzionata decisione, invero, è stata resa nell’ambito di una vicenda diversa rispetto a quella oggetto del presente giudizio, riguardando le sanzioni irrogate dalla Consob ai sensi dell’art. 187 ter t.u.f., in un caso di “manipolazione del mercato”. Nella citata sentenza la Corte di
Strasburgo ha richiamato la propria giurisprudenza, secondo cui, al fine di stabilire la sussistenza di una “accusa in materia penale”, occorre tener presenti (in via alternativa e non cumulativa) tre criteri: la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e il grado di severità della “sanzione”. Ciò posto, essa ha concentrato la sua attenzione sulla natura e sulla severità della sanzione che può essere inflitta ai ricorrenti, rilevando che la Consob può infliggere una sanzione pecuniaria fino a 5.000.000 euro, e questo massimo ordinario può, in alcune circostanze, essere triplicato o elevato fino a dieci volte il prodotto o il profitto ottenuto grazie al comportamento illecito; che l’inflizione delle sanzioni amministrative pecuniarie sopra menzionate comporta per i rappresentanti delle società coinvolte la perdita temporanea della loro onorabilità, e se tali società sono quotate in borsa, ai loro rappresentanti si applica l’incapacità temporanea ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell’ambito delle società quotate per una durata variabile da due mesi a tre anni; che la Consob può anche vietare alle società quotate, alle società di gestione e alle società di revisione di avvalersi della collaborazione dell’autore dell’illecito, per una durata massima di tre anni, e chiedere agli ordini professionali la sospensione temporanea dell’interessato dall’esercizio della sua attività professionale; che, infine, l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie importa la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. Alla luce di tali rilievi, la CEDU ha
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affermato il carattere sostanzialmente “penale” delle sanzioni pecuniarie previste dall’art. 187-ter t.u.f., con conseguente applicabilità delle garanzie previste per i processi penali dall’art. 6, par. 1, a mente del quale “ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta...”. Orbene, ad avviso di questa Corte, le conclusioni cui è pervenuta la CEDU nella citata pronuncia non appaiono estensibili alla materia oggetto del presente giudizio, inerente a sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 144 t.u.b. per “carenze nell’organizzazione e nei controlli interni da parte dei componenti il Consiglio di Amministrazione”. È sufficiente considerare, al riguardo, che il citato art. 144 – nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame –, prevede quale massimo edittale della sanzione pecuniaria irrogabile, la somma di Euro 129.110,00, assolutamente non comparabile con quella di Euro 5.000.000,00 (in alcune circostanze ulteriormente elevabile), prevista per le violazioni ex art. 187-ter t.u.f. Inoltre, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dall’art. 144 t.u.b. non si accompagnano sanzioni accessorie; laddove l’applicazione delle sanzioni pecuniarie di cui all’art. 187-ter t.u.f. comporta, per i rappresentanti delle società coinvolte, ai sensi dell’art. 187-quater, la sanzione accessoria della perdita tempora-
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nea (per una durata tra i due mesi e i tre anni) dei requisiti di onorabilità e, per gli esponenti aziendali di società quotate, l’incapacità temporanea ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell’ambito di società quotate e di società appartenenti al medesimo gruppo di società quotate. Né alle sanzioni previste dall’art. 144 t.u.b. si accompagna una disposizione analoga a quella prevista dall’art. 187-sexies t.u.f., secondo cui l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie importa sempre la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. Tali rilievi consentono di escludere che le sanzioni pecuniarie irrogate per le violazioni di cui all’art. 144 t.u.b., oggetto del presente giudizio, siano equiparabili, per tipologia, severità ed idoneità ad incidere sulla sfera patrimoniale e personale dei destinatari, a quelle previste nel caso esaminato dalla CEDU nella sentenza Grande-Stevens. Di conseguenza, alla stregua dei criteri enunciati dalla Corte di Strasburgo, non sembra possibile attribuire carattere penale a tali sanzioni; sicché, in considerazione della natura meramente amministrativa delle stesse, non si pone un problema di compatibilità del procedimento sanzionatorio previsto in materia con le garanzie riservate ai processi “penali” dall’art. 6 della Convenzione per i diritti dell’uomo. 1b) Non appare meritevole di accoglimento la richiesta del ricorrente di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea in ordine alla interpretazione dell’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
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Si rammenta, al riguardo, che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità (Cass. Sez. Un. 10- 9-2013 n. 20701). Tale rinvio, infatti, ha la funzione di verificare la legittimità di una legge nazionale rispetto al diritto dell’Unione Europea e se la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della persona, quali risultanti dall’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo e recepiti dal Trattato sull’Unione Europea; sicché il giudice, effettuato tale riscontro, non è obbligato a disporre il rinvio solo perché proveniente da istanza di parte (Cass. 21-6-2011, n. 13603). Pertanto, il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di rimettere alla Corte di Giustizia delle Comunità europee la questione di interpretazione di una norma comunitaria quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione o quando ritenga di essere in presenza di un “acte claire” che, in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte ovvero dell’evidenza dell’interpretazione, rende inutile (e non obbligato) il rinvio pregiudiziale (Cass., Sez. Un., 24-5-2007 n. 12067; Cass 2210-2007 n. 22103; Cass. 26-3-2012 n. 4776; Cass. 29-11-2013 n. 26924; Cass. 24-3-2014 n. 6862). Nella specie, il precetto dell’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che prevede “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confron-
ti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”, trova piena attuazione nella normativa nazionale che disciplina i procedimenti sanzionatori a cura della Banca d’Italia, il quale prevede la possibilità, per l’incolpato, di presentare le proprie deduzioni difensive. Il quesito che il ricorrente intenderebbe sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“se l’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea debba essere inteso nel senso di assicurare agli interessati un pieno diritto di partecipazione ai procedimenti amministrativi che li riguardano direttamente ed individualmente, ivi compresa l’obbligatorietà di una loro piena conoscenza tanto della contestazione inizialmente formulata a loro carico, quanto di ulteriori e diverse contestazioni assunte nei loro confronti dall’Amministrazione procedente”), inoltre, non riflette la specifica fattispecie dedotta in giudizio. Esso, infatti, muove dal presupposto che l’autorità procedente abbia proceduto a contestazioni “ulteriori e diverse” rispetto a quelle originarie, senza che il ricorrente abbia fornito, in concreto, alcuna indicazione riguardo al contenuto delle nuove contestazioni asseritamente mosse nei suoi confronti. 1c) Priva di fondamento è anche la doglianza relativa alla violazione, da parte del Direttorio, dell’obbligo di motivazione, per avere la delibera adottata richiamato “per relationem” la proposta della Commissione. Nel disattendere la relativa eccezione, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione del principio più volte enunciato da questa Corte, secondo cui al procedimento per l’irro-
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gazione di sanzioni amministrative in materia bancaria e creditizia è applicabile la l. n. 241 del 1990, art. 3 e, conseguentemente, il decreto che applica la sanzione può essere motivato “per relationem”, mediante il rinvio all’atto recante la proposta di irrogazione della sanzione, purché quest’ultimo sia richiamato nel provvedimento con la precisa indicazione dei suoi estremi e sia reso disponibile agli interessati, secondo le modalità che disciplinano il diritto di accesso ai documenti della pubblica amministrazione (Cass. 1112006 n. 389; v. anche Cass. 20-2-2004 n. 3396); circostanze, queste ultime, che nella specie non risultano poste in discussione. Il Direttorio, pertanto, ove condivida le argomentazioni illustrate nella proposta dalla Commissio-
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ne, non è tenuto a ripetere e ribadire le stesse argomentazioni (Cass. 3-122013 n. 27038). 1d) Le ulteriori deduzioni svolte con il motivo in esame, secondo cui la Commissione, prima di formulare la proposta sanzionatoria al Direttorio, non avrebbe esaminato tutti gli argomenti difensivi dell’interessato, con conseguente vizio di motivazione della proposta sanzionatoria alla quale la delibera si è riportata pedissequamente, sono formulate in termini del tutto generici, non indicando, in concreto, quali difese svolte dall’incolpato non siano state prese in considerazione nella proposta avanzata dalla Commissione e nella successiva delibera del Direttorio. (Omissis)
Sandro Amorosino
(1-4) Principi del giusto procedimento, procedure sanzionatorie di Consob e Banca d’Italia e giurisprudenza “riduzionista” della Cassazione. Sommario: 1. I presupposti, normativi e giurisprudenziali, delle modifiche dei procedimenti sanzionatori della Consob e della Banca d’Italia. – 2. Il disallineamento dei procedimenti sanzionatori delle autorità di vigilanza sui mercati finanziari rispetto ai principi del giusto procedimento. – 3. Le modifiche al “Regolamento sul procedimento sanzionatorio della Consob” adottate con delibere 29 maggio 2015, n. 1958 e 28 febbraio 2016, n. 19521. – 4. Le modifiche alle “Disposizioni in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa” di Banca d’Italia, approvate con provvedimento 3 maggio 2016. – 5. Le resistenze della Cassazione all’applicazione dei principi del giusto procedimento.
1. I presupposti, normativi e giurisprudenziali, delle modifiche dei procedimenti sanzionatori della Consob e della Banca d’Italia. Nello scenario della crisi finanziaria, generata da gravi irregolarità di banche e di intermediari finanziari e dalle disfunzioni dei sistemi di vigilanza pubblici, sono stati rimessi in discussione, tra l’altro, i sistemi di sanzioni da irrogare ai soggetti ed alle società operanti in campo bancario e finanziario che violano le regole di organizzazione e comportamento poste a tutela dei mercati e dei risparmiatori. In quest’ambito viene in rilievo anche la tematica dei procedimenti amministrativi ordinati all’accertamento delle violazioni ed alla irrogazione delle sanzioni. In proposito è da rilevare che sembra delinearsi, in Italia, una sorta di compensazione, di trade-off (per usare la terminologia degli economisti), tra due tendenze: - da un lato l’ampliamento del novero delle condotte sanzionabili e soprattutto l’aggravamento delle sanzioni amministrative irrogabili (assimilate, nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, a sanzioni “penali” proprio in ragione della loro forte afflittività); - dall’altro l’aumento delle garanzie procedimentali, volte ad assicurare che le sanzioni siano adottate all’esito di un giusto procedimento, nel corso del quale agli incolpati sia garantito pienamente e paritariamente il diritto di partecipazione e di difesa. Può essere utile qualche notazione preliminare di inquadramento. I) In una visione di teoria generale delle procedure contenziose pubbliche ad effetti precettivi – processi o procedimenti che siano – la (ac-
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cresciuta) severità dei sistemi sanzionatori dev’essere bilanciata da un rafforzamento della connotazione partecipativa e garantistica del procedimento (il quale è la forma1 dell’esercizio del potere sanzionatorio). Per riprendere il titolo di un libro di Irti2: un procedimento sanzionatorio conforme ai principi del giusto procedimento è il salvagente della forma che dovrebbe incanalare correttamente l’esercizio del potere discrezionale di decidere se, come e quanto sanzionare. II) All’orizzonte teorico e valoriale ora sommariamente richiamato, va aggiunto un dato oggettivo di diritto positivo. La modifica e l’incremento della severità e (si spera) dell’efficacia del sistema sanzionatorio si riflettono inevitabilmente sull’organizzazione e modulazione dei procedimenti sanzionatori (e viceversa). In altre parole: i mutamenti della funzione, e delle regole, dei sistemi sanzionatori comportano, in vario modo, adattamenti e revisioni delle sequenze delle procedure. III) Un altro dato comune ai procedimenti sanzionatori che riguardano i soggetti e le società che operano nei tre mercati finanziari – bancario, mobiliare ed assicurativo – è l’attribuzione della potestà sanzionatoria alle rispettive Autorità indipendenti di vigilanza, nazionali ed ora anche europea (per il settore bancario). IV) È, poi, da sottolineare l’analogia dei modelli di procedimento sanzionatorio adottati dalle Autorità di vigilanza “finanziarie” fino ad un recente passato, ed anche le analogie delle modifiche da ultimo apportate, o in corso, ai “regolamenti sanzioni” della Consob e della Banca d’Italia, ma non a quello dell’Ivass, ch’è rimasto invariato. V) I fattori all’origine delle più recenti modifiche dei “regolamenti sanzioni” della Consob e della Banca d’Italia sono stati in parte diversi. Nel caso della Banca d’Italia sono stati principalmente fattori istituzionali e normativi costituiti dalle fonti europee che hanno delineato il Single Supervisory Mechanism e dall’attribuzione alla BCE della supervisione in materia bancaria. Nel caso della Consob è stato invece un fattore giurisprudenziale, costituito da sentenze della Corte Europea e del Consiglio di Stato.
1 Secondo la classica formula di Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento e processo, in Rass. dir. pubbl., 1952, p. 118 ss. 2 Irti, Il salvagente della forma, Roma-Bari, 2007.
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2. Il disallineamento dei procedimenti sanzionatori delle autorità di vigilanza sui mercati finanziari rispetto ai principi del giusto procedimento. Le procedure sanzionatorie delle disfunzioni ed irregolarità riscontrate nell’esercizio delle attività bancarie e finanziarie costituiscono una specie della categoria più generale dei procedimenti amministrativi sanzionatori, all’esito dei quali un’amministrazione pubblica, avendo constatato una violazione delle regole che disciplinano un certo settore (ad esempio: un regolamento di igiene), irroga la sanzione prevista dalla normazione, primaria e secondaria, che disciplina il settore stesso. I procedimenti amministrativi sanzionatori3 si articolano solitamente nelle seguenti fasi: l’accertamento della violazione; la contestazione al presunto responsabile; il contestuale avviso della possibilità di pagare in misura ridotta la sanzione pecuniaria prevista, se il responsabile provvede in via conciliativa a versare l’ammontare entro un certo termine; nei procedimenti più complessi la contestazione è seguita da una fase istruttoria in quanto l’incolpato ha diritto di presentare le proprie deduzioni all’amministrazione che procede, la quale deve tenerne conto; la decisione sulla irrogazione della sanzione. I procedimenti sanzionatori di tutte le Autorità di vigilanza “finanziarie” italiane devono essere retti dai principi «della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie» (art. 24, co. 1, l. n. 262/2005 sulla “Tutela del risparmio”). Prosegue la disposizione: «Le autorità di cui al presente comma disciplinano le modalità organizzative per dare attuazione al principio della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione». In realtà le Autorità di vigilanza “finanziarie” hanno disciplinato, con propri regolamenti o “Disposizioni”, non solo i profili organizzatori della funzione, ma l’intera procedura sanzionatoria. Sino al 2015 tali procedimenti presentavano numerosi profili di disallineamento rispetto ai principi del giusto procedimento, che vengono in
3 V. per tutti, negli anni più recenti Cerbo, voce Sanzioni amministrative in Dizionario di diritto amministrativo, a cura di Clarich e Fonderico, Milano, 2007; M.A. Sandulli, Sanzioni amministrative e principio di specialità: riflessioni sull’unitarietà della funzione afflittiva in www.giust.amm.it.
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particolare rilievo allorché il provvedimento può incidere pesantemente sulla sfera del privato, com’è nel caso delle sanzioni in questione. I disallineamenti riguardavano [e in parte riguardano tuttora: v. infra]: a) la mancata distinzione (rectius: separazione) tra chi esercita la funzione istruttoria/requirente e chi esercita la funzione decidente; b) la denegata “parità delle armi” che rende il contraddittorio tra “accusa” e “difesa” effettivamente paritario. Tale disparità riguardava [ed in parte riguarda]: – il pieno accesso agli atti del procedimento sanzionatorio; – l’effettiva attuazione dell’art. 10 della l. 241/1990 – che disciplina l’attività amministrativa – giusta il quale l’amministrazione deve prendere in esame agli atti di partecipazione del privato al procedimento e controdedurre motivatamente; – la non conoscibilità della proposta sanzionatoria, formulata a conclusione dell’istruttoria, ciò che impediva al sanzionando di replicare presentando le proprie argomentazioni difensive “in limine decisionis”. Per intendere pienamente i profili critici suaccennati è utile un rapido inquadramento dei procedimenti sanzionatori delle Autorità indipendenti di regolazione nella teoria generale dei procedimenti contenziosi. L’attribuzione del potere sanzionatorio alle Autorità indipendenti di regolazione, e soprattutto le modalità di esercizio di tale potere, sono ispirati al modello dell’Administrative Procedure Act degli Stati Uniti (1946), che impone regole procedurali stringenti alle Autorità stesse. Tale modello è retto dal principio del giusto procedimento (due process of law), che si articola: nell’ampia partecipazione degli interessati; nel contraddittorio paritario, nell’ambito di una procedura contenziosa di tipo paragiurisdizionale (fair trial-type) e nella terzietà dell’organo “giudicante” (adjudicator) rispetto agli uffici istruttori e “requirenti” ed al soggetto sanzionando4. Si deve aggiungere che il giusto procedimento è uno dei pilastri del diritto amministrativo globale, in pur lenta configurazione5, in quanto è la forma giuridica della partecipazione e dell’aperto confronto di interessi (interest representation model), nei processi di formazione delle global policies, o anche – più semplicemente – delle decisioni dei numerosissimi organismi internazionali di settore che hanno poteri di adjudication
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Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2013, p. 232 ss. v. Cassese, Chi governa il mondo, Bologna, 2013, p. 42 ss.
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(ad esempio: l’Organizzazione Mondiale del Commercio, nelle controversie tra Stati o tra Stati e privati). Tali principi informano anche la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in particolare l’art. 66. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella sentenza 4 marzo 2014, ricorso n. 18640/2010, “Grande Stevens e altri c/o Italia”, ha affermato che la procedura sanzionatoria condotta da un’Autorità indipendente di regolazione di un mercato finanziario è qualificabile come “penale”, alla luce della giurisprudenza della stessa Corte, laddove “l’inflizione delle sanzioni amministrative pecuniarie comporta la perdita temporanea dell’onorabilità dei soggetti sanzionati” [paragrafo 17 della sentenza], ed “in relazione al grado di gravità della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata” [paragrafi 97, 98 e 101 della sentenza]. È indubbio che le sanzioni amministrative irrogate dalle Autorità di vigilanza “finanziarie” comportano un danno reputazionale rilevante, per il soggetto sanzionato (individuo o società), nell’ambito del mercato “di riferimento” e che le sanzioni pecuniarie, per la loro rilevante entità, sono fortemente afflittive. Sta di fatto che – nonostante l’art. 24 della legge n. 262/2005 – sino al 2015 nessuno dei principi del giusto procedimento sanzionatorio, benché esso sia qualificato dalla Corte EDU “penale” in ragione della sua forte afflittività, era stato recepito nella regolamentazione dei procedimenti sanzionatori della Banca d’Italia e della Consob e dell’Ivass.
In tema v., da ultimo, Goisis, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo2, Torino, 2015. Numerosi studiosi si sono occupati dei procedimenti sanzionatori delle autorità indipendenti e – per quanto qui interessa – di quelli delle Autorità di vigilanza sui mercati finanziari: quasi sempre in termini critici dei vigenti “regolamenti sanzioni”, adesivi agli acquis della Corte Europea e variamente “dialettici” rispetto alla giurisprudenza interna. Tra di essi vanno ricordati almeno: Allena, Art. 6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo, Napoli, 2012 e Interessi procedimentali e Convenzione europea dei diritti dell’uomo: verso un’autonomia di tutela?, in Giorn. dir. amm., 2015, p. 67 ss.; Cerbo, Le ragioni di una questione definitoria: la controversa nozione di sanzione amministrativa, in Giur. cost., 2014, p. 360 ss.; Follieri, Sulla possibile influenza della giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo sulla giustizia amministrativa, in Dir. proc. amm., 2014, p. 685 ss.; Raganelli, Sanzioni Consob e tutela del contraddittorio procedimentale, in Giorn. dir. amm., 2015, p. 511 ss.; Rordorf, Sanzioni amministrative e tutela dei diritti nei mercati finanziari, in Le società, 2010, p. 981 ss.; Travi, Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte costituzionale: alla ricerca di una nozione comune di “sanzione”, in Giur. cost., 2010, p. 2323 ss.; Villata, Osservazioni in tema di incidenza dell’ordinamento comunitario sul sistema di giustizia amministrativa, in Dir. proc. amm., 2006, p. 848 ss., ora, accresciuto in Id., Scritti di giustizia amministrativa, Milano, 2015, p. 1217 ss.. 6
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Non la separazione tra organo requirente e giudicante; non il pieno accesso agli atti del procedimento; non sempre lo specifico dovere dell’Autorità di vigilanza di controdedurre motivatamente alle specifiche deduzioni del soggetto sanzionando; non – infine – il diritto di conoscere la proposta sanzionatoria presentata all’organo decidente e di poter replicare ad essa in sede, per così dire, conclusionale. Tutto ciò aveva esposto i procedimenti sanzionatori in questione a varie censure da parte degli studiosi. Sotto il primo profilo – la mancata separazione tra organo istruttorio/ requirente ed organo giudicante – valeva indubbiamente per la Banca d’Italia e per l’Ivass quanto rilevato per la Consob dalla sopracitata sentenza della Cedu 4 marzo 2014. Anche nei procedimenti sanzionatori della Banca d’Italia e dell’Ivass, come in quello della Consob “l’ufficio sanzioni [in Banca d’Italia, attualmente, il Servizio Coordinamento e Rapporti con l’Esterno – Cre; nell’Ivass vari Servizi] e la Commissione [in Banca d’Italia: il Direttorio; nell’Ivass il Direttorio integrato] non sono che suddivisioni dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l’autorità e la supervisione di uno stesso presidente [della Consob; in Banca d’Italia: il Governatore; nell’Ivass: il Presidente, ch’è il Direttore Generale di Banca d’Italia]. Secondo la Corte [europea] ciò si esprime nel consecutivo esercizio di funzioni di indagine e di giudizio in seno ad una stessa istituzione” [paragrafo 137 della sentenza]. In altre parole: le contestazioni della Corte Europea «relative alla mancanza di imparzialità oggettiva della Consob e alla mancata conformità del procedimento davanti ad essa con il principio del processo equo …» [paragrafo 138 della sentenza] valevano, ed in parte valgono (come si dirà), anche per la Banca d’Italia e per l’Ivass, al di là dei diversi oggetti dei procedimenti sanzionatori. Per quanto riguarda specificamente la struttura del procedimento vengono in rilievo due importanti pronunce “gemelle” del Consiglio di Stato (Sez. VI, sentenze 26 marzo 2015, n. 1595 e n. 1596) le quali, hanno ritenuto – anche ma non solo alla stregua della giurisprudenza della Corte EDU – che la disciplina del procedimento sanzionatorio Consob [del tutto analoga a quelli di Banca d’Italia e dell’Ivass] contrastasse con il sopracitato art. 24, co. 1, l. n. 262/2005, sulla “tutela del risparmio”. Il caso esaminato dal Consiglio di Stato riguardava un procedimento sanzionatorio Consob, a proposito del quale il Giudice Amministrativo ha statuito che: «Non v’è dubbio infatti che la fase del procedimento sanzionatorio che si svolge davanti alla Consob presenti numerose criticità (che neanche il successivo regolamento del 2013 riesce a superare) sul piano del rispetto del c.d. fair trial. Nella fase istruttoria non
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viene infatti garantito un vero e proprio diritto di difesa, con contraddittorio pieno». Ciò in quanto «Non è previsto, che la relazione dell’Ufficio Sanzioni Consob [alias: la relazione e la proposta del Servizio CRE al Direttorio della Banca d’Italia; o quelle di vari Servizi al Direttorio integrato dell’Ivass] sia comunicata alle controparti e che su di essa si instauri quindi alcuna forma di contraddittorio, sia con l’Ufficio sanzioni, prima dell’invio della relazione conclusiva, sia davanti alla Commissione [per la Banca d’Italia: il Direttorio; per l’Ivass: il Direttorio integrato]. La relazione dell’Ufficio che svolge l’istruttoria non viene infatti inviata all’interessato, in violazione dei diritti di piena conoscenza degli atti istruttori e le [precedenti] controdeduzioni [del sanzionando] giungono alla Commissione [per la Banca d’Italia: al Direttorio; per l’Ivass al Direttorio integrato], titolare del potere di decisione finale, solo attraverso la relazione dell’ufficio istruttorio» [spesso – è da aggiungere – “filtrate” in modo riduttivo]. Prosegue la sentenza n. 1595/2015: «Manca quindi qualunque interlocuzione tra l’ufficio titolare del potere di decisione finale e il soggetto che quella decisione subirà. L’interessato si vede, in particolare, preclusa la possibilità di interloquire sulla relazione conclusiva dell’Ufficio Sanzioni [per la Banca d’Italia: sulla proposta dell’ufficio CRE; per l’IVASS sulla proposta dei Servizi competenti]. Questo iter procedimentale, così come disegnato dal regolamento determina allora una violazione del contraddittorio voluto dal legislatore», che deve «esplicarsi prima, durante e dopo il compimento dell’attività istruttoria». È da aggiungere che – ai fini della piena attuazione della disposizione dell’art. 24 l. n. 262/2005, la quale prescrive anche la distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie – non sembra sufficiente la mera distinzione formale ed organizzativa tra l’ufficio istruttorio/requirente e l’organo decidente, ma è indispensabile, una separazione sostanziale delle rispettive funzioni. Una vera separazione si realizza attribuendo a due figure soggettive diverse, o, quantomeno, a due organi distinti e tra loro indipendenti la funzione istruttoria e quella decisoria. Soltanto in tal modo può essere assicurata la terzietà del decidente. Viceversa, proprio a causa del fatto che l’organo decidente appartiene alla medesima istituzione dell’ufficio requirente, esso si limita spesso ad aderire passivamente, per relationem, alla proposta sanzionatoria che viene dai suoi stessi uffici, senza motivare la decisione all’esito di una propria autonoma valutazione. Senza addentrarsi nella disputa sull’efficacia delle sentenze della Cedu nei confronti delle norme interne si può ritenere che il citato acquis della Corte di Strasburgo (interpretativo della Convenzione EDU) costi-
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tuisca un parametro vincolante per il legislatore italiano e, nella specie, per le Autorità di vigilanza “finanziaria”, nell’esercizio dell’ampia potestà regolamentare loro attribuita in materia di procedimento sanzionatorio. Ciò in quanto: a) le decisioni della Corte Europea hanno efficacia di sistema nei confronti del Paese destinatario della decisione, che ha l’obbligo di integrare il quadro normativo interno con la regola enunciata dalla Corte EDU interpretando la Convenzione; b) nella specifica tematica del giusto procedimento amministrativo non sembrano ravvisabili motivi di potenziale contrasto tra la “giurisprudenza di Strasburgo” e la Costituzione, nell’interpretazione data alla questione dalla nostra Corte costituzionale7 (che in tema s’è pronunciata, nel tempo, in sensi via via più garantistici)8; c) l’applicazione diretta, nell’ordinamento italiano, dell’art. 6 Cedu, come interpretato dalla Corte europea, comporta che la “legge interna” (primaria e secondaria) deve essere applicata in modo conforme alla regola europea; d) di conseguenza il giudice nazionale deve verificare se sia possibile interpretare la norma interna in modo conforme all’art. 6 Cedu, nell’esegesi datane dalla citata sentenza della Corte di Strasburgo, la quale viene a costituire la norma convenzionale interposta. Se ciò è impossibile e la norma interna è di rango legislativo deve investire la Corte costituzionale della questione di legittimità rispetto al parametro di cui all’art. 117, co. 1, della Costituzione; se la norma interna è un regolamento deve disapplicarlo. Alla stregua dei criteri ora richiamati nel caso in esame: - mentre la fonte primaria (art. 24, l. 262/2005) appare immune da possibili censure di incostituzionalità in quanto si limita ad enunciare genericamente il principio di distinzione tra le due funzioni, lasciando impregiudicate le modalità della sua attuazione;
7 Ipotesi nella quale la Corte costituzionale potrebbe far valere il “predominio assiologico” della Costituzione repubblicana sull’interpretazione, che non sia “consolidata”, della Convenzione data dalla Corte di Strasburgo: C. Cost., 26 marzo 2015, n. 49, sulla quale v. Repetto, Vincolo al rispetto del diritto CEDU consolidato: una proposta di adeguamento interpretativo, in Giur. cost. n. 2/2015. 8 V. Manfredi, Giusto procedimento e interpretazione della Costituzione, in AA.VV., Procedura, procedimento, processo, Padova, 2010, p. 93 ss.; in termini più generali Zito, Il principio del giusto procedimento, in Studi sui principi del diritto amministrativo, a cura di Renna e Saitta, Milano, 2012, p. 509 ss.
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- viceversa, come si dirà, anche il nuovo “regolamento sanzioni” della Consob e lo schema di nuovo regolamento di Banca d’Italia non sembrano essersi pienamente conformati alla Convenzione europea. Con l’“aggravante” – nel caso della nuova disciplina di Banca d’Italia – di aver qualificato la formula organizzatoria scelta come rispettosa «del principio di separazione tra la fase istruttoria e la fase decisoria». Appare plausibile obiettare che – nonostante la “copertura lessicale” rappresentata dall’uso, nel nuovo schema di “regolamento sanzioni” di Banca d’Italia della locuzione “separazione” – la separazione stessa non attiene semplicemente a due fasi successive del medesimo procedimento, bensì a due funzioni ontologicamente diverse. Sempre a questo proposito il Consiglio di Stato, Sez. IV, con sentenza 9 febbraio 2015, n. 657, ha annullato il provvedimento con cui il Ministro dell’Economia e delle Finanze, nel disporre l’Amministrazione Straordinaria della Banca Popolare di Spoleto, si era limitato a rinviare per relationem alla proposta in tal senso formulata da Banca d’Italia. Il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittimo non tanto il rinvio per relationem in sé, quanto il fatto che l’adesione del Ministro fosse stata pedissequa e non fosse stata preceduta da alcun analitico riesame ed autonoma valutazione critica dell’istruttoria e, quindi, della proposta della Banca d’Italia9. E se il principio vincolante dell’autonoma valutazione vale quando il decidente – che nel caso della procedura di amministrazione straordinaria è il Ministero dell’Economia e delle Finanze – non appartiene al medesimo organismo di diritto pubblico del requirente (la Banca d’Italia), tanto più deve valere quando l’organo decidente (il Direttorio) fa parte del medesimo organismo amministrativo cui appartiene l’ufficio requirente.
3. Le modifiche al “Regolamento sul procedimento sanzionatorio della Consob” adottate con delibere 29 maggio 2015, n. 1958 e 24 febbraio 2016, n. 19521. A seguito delle sentenze del Consiglio di Stato nn. 01595/2015 e 01596/2015 la Consob, con delibera 29 maggio 2015, n. 19158, ha modificato il proprio “regolamento sanzioni” (che aveva approvato a fine
V. Amorosino, I principi del giusto procedimento ed i provvedimenti “di rigore” delle Autorità di vigilanza sui mercati finanziari, in Dir. banc., 2015, p. 489 ss. 9
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2013)10. Ulteriori modifiche, di minor rilievo per quanto qui interessa, sono stata apportate con la delibera 24 febbraio 2016, n. 19521. Le modifiche hanno ovviato ad alcune delle soprarichiamate censure della Corte di Strasburgo e del Consiglio di Stato in quanto hanno rafforzato i diritti di partecipazione al procedimento dei soggetti destinatari della contestazione degli addebiti. In concreto: I) alla già prevista facoltà del soggetto “incolpato” di presentare deduzioni avverso la contestazione si è aggiunta quella di chiedere l’audizione personale presso gli uffici della Consob (art. 5 del Regolamento); II) la relazione finale, recante la proposta sanzionatoria, è trasmessa ai destinatari della contestazione degli addebiti che abbiano in precedenza presentato deduzioni scritte (sulla contestazione), ovvero partecipato all’audizione; tali atti vengono però trasmessi «con l’omissione delle parti sottratte al diritto di accesso» (art. 8, co. 2); gli interessati possono presentare controdeduzioni alla Commissione. Da un confronto tra i principi formulati dalla Corte Europea e dal Consiglio di Stato ed il nuovo “regolamento sanzioni”, approvato nel maggio 2015, risulta che esso si è solo parzialmente conformato a tali principi. Più precisamente: a) se da un lato ha rafforzato il contraddittorio procedimentale, con la possibilità di chiedere l’audizione e di presentare controdeduzioni alla proposta sanzionatoria; b) dall’altro ha lasciato immutata la commistione tra funzione istruttoria/requirente e funzione decidente e non garantisce il pieno accesso del soggetto interessato a tutti gli atti e documenti comunque inerenti al procedimento amministrativo sanzionatorio che lo riguarda. Sub a) oltre all’art. 6 della Cedu, sotto il profilo della commistione tra organo requirente e decidente, appaiono violati gli artt. 24 e 111 Cost. in materia di giusto processo, in quanto – si ricorda – il procedimento sanzionatorio ha effetti “penali”. Tale commistione risulta particolarmente evidente alla luce dell’art. 10, co. 4, del “Regolamento organizzazione e funzionamento” della Consob, adottato con Deliberazione n. 8674 del 17 novembre 1994, e suc-
10 Sul quale v. Russo, La disciplina sanzionatoria in materia di mercati, intermediari finanziari e società quotate, in AA.VV. Manuale di diritto del mercato finanziario, a cura di S. Amorosino, Milano, 2014, p. 431 ss.
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cessive modifiche ed integrazioni, il quale dispone che «Il Segretario Generale ed il Direttore Generale assistono, di norma alle riunioni della Commissione» (con diritto di parola anche se non di voto). Ed ancora: «Il presidente può invitare il responsabile della divisione competente a riferire alla Commissione sulla istruttoria svolta». In altri termini, alla fase decisoria partecipano: – il Presidente, il quale, a norma dell’art. 5, co. 1, lett. b) del Regolamento di organizzazione, «sovraintende all’attività istruttoria e riferisce alla Commissione per le conseguenti delibere»; – il Direttore Generale, il quale è il capo dell’apparato amministrativo e specificamente (art. 27, co. 1, lett. f), reg. ult. cit.) «è responsabile del coordinamento delle proposte di deliberazione» e, a questo fine (art. 29), presiede il Comitato tecnico che «si riunisce almeno una volta alla settimana, prima della riunione della Commissione»; in pratica il D.G. “filtra” ed approva preventivamente tutte le proposte da sottoporre alla Commissione e ne diviene conseguentemente “sostenitore d’ufficio”; – ove invitato il dirigente della divisione che ha formulato la proposta, evidentemente per esporre e motivare la proposta stessa. Le disposizioni citate agevolano il formarsi, nella sede decisoria, di una sorta di fronte accusatorio (ed il correlato prosecutorial bias, pregiudizio dell’accusa), che può comprendere anche l’intervento del titolare dell’ufficio requirente della sanzione. Il soggetto “sanzionabile” è invece privo di voce, in senso letterale, nella discussione che si svolge nella Commissione, con palese violazione dei principi fondamentali del giusto procedimento: la “parità delle armi”, la pienezza del contraddittorio e la terzietà del decidente. Sub b) il nuovo “procedimento sanzionatorio Consob” viola altresì l’articolo 24, co. 7, della legge n. 241/1990 giusta il quale «Deve essere comunque garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici»11. È superfluo sottolineare l’indispensabilità dell’accesso illimitato agli atti del procedimento da parte di chi è sottoposto a procedimento sanzionatorio, al fine di poter esercitare pienamente il proprio diritto di partecipazione al procedimento e di instaurare un contraddittorio aperto e paritario (ambedue strumentali all’esercizio del diritto di difesa).
V. Alberti, I casi di esclusione dal diritto di accesso, in AA.VV., Codice dell’azione amministrativa, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2011. 11
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Sta di fatto che il già richiamato art. 8, co. 1 (Fase decisoria) del “Regolamento sul procedimento sanzionatorio della Consob”, nel testo sostituito con la delibera n. 19158 del 29 maggio 2015, dispone che l’Ufficio Sanzioni deve trasmettere la relazione finale, con la proposta sanzionatoria alla Commissione (in versione integrale) ed ai soggetti sanzionandi, ma «con l’omissione delle parti sottratte al diritto di accesso». Sono palesi l’asimmetria informativa e la violazione dell’art. 24, co. 7, della l. n. 241/1990 in quanto il diritto di accesso, e quindi di difesa, non può essere “dimezzato” a discrezione dell’Ufficio Sanzioni, il quale potrebbe – in denegata ipotesi – celare – senza che l’interessato possa neppure accorgersene – documenti in ipotesi favorevoli al sanzionando. La giurisprudenza amministrativa ha da tempo affermato la disapplicabilità dei regolamenti che limitano illegittimamente il diritto di accesso: «Il giudice amministrativo, in applicazione del principio di gerarchia delle fonti può valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra il provvedimento e la legge» (TAR Campania, Napoli – Sez. V, 3 marzo 2010, n. 1282). Ed ancora: «Il diritto alla riservatezza recede di fronte al diritto di difesa, sicché deve essere disapplicato [nota: il regolamento che disponga diversamente] in virtù del principio generale secondo il quale, nel conflitto fra due norme diverse occorre dare preminenza a quella legislativa rispetto alla norma regolamentare ogni volta che questa precluda l’esercizio di un diritto soggettivo» (TAR Sicilia – Palermo, Sez. III, 2 settembre 2009, n. 1467).
4. Le modifiche alle “Disposizioni in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa” di Banca d’Italia, approvate con provvedimento 3 maggio 2016. Anche la Banca d’Italia ha successivamente predisposto, posto in consultazione ed approvato uno schema di nuovo “regolamento sanzioni”. L’intento dichiarato è quello di «adattare le vigenti disposizioni alle importanti novità introdotte dalla direttiva 2013/36/UE (c.d. «CRDD») e per tenere conto dell’avvio del meccanismo di Vigilanza Unico»12. Le nuove Disposizioni hanno la finalità principale di adeguare il siste-
12 Cfr. il Documento per la consultazione – Sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa di Banca d’Italia, posto in consultazione telematica in data 17 settembre 2015, p. 2.
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ma sanzionatorio italiano alle novità della disciplina europea ed hanno riguardato, quindi13: - i destinatari delle sanzioni (persone fisiche, società, enti); - gli importi delle sanzioni pecuniarie (max 10% del fatturato per gli enti e 5 milioni per le persone fisiche); - la tipologia delle misure adottabili (oltre alle sanzioni pecuniarie quelle reputazionali ed interdittive); - le circostanze da valutare nel determinare la sanzione; - lo scambio di informazioni con l’Eba; - la pubblicazione delle sanzioni. Tutte le tematiche ora richiamate “per teste di capitolo” attengono – come si vede – al sistema sanzionatorio, dunque al diritto sostanziale. Tra di esse viene in assoluto rilievo l’aumento esponenziale delle sanzioni pecuniarie, ch’è di palese incidenza sulla forte afflittività delle sanzioni e, conseguentemente, sulla loro qualificazione come “penali”. L’unico accenno alla struttura del procedimento, nella “Sintesi delle modifiche proposte” contenuta nel “Documento per la consultazione”, è il seguente: «È stata inoltre introdotta una fase di contraddittorio ulteriore successiva alla formulazione al Direttorio della proposta di irrogazione della sanzione, tenendo conto della circostanza che nel nuovo regime sanzionatorio il significativo aumento degli importi delle sanzioni pecuniarie e la diversificazione degli strumenti a disposizione della Banca d’Italia rendono opportuno consentire ai soggetti interessati una più ampia articolazione delle loro difese anche nella fase finale del procedimento sanzionatorio»14. In realtà oltre ad una valutazione di opportunità – cioè di “bilanciamento” con l’aggravamento delle sanzioni, come s’è detto all’inizio – si è trattato anche di un necessario adeguamento agli acquis giurisprudenziali in materia di giusto procedimento. Entrando nel merito ed analizzando la nuova disciplina nell’ottica del giusto procedimento vengono in rilievo profili innovativi, ma anche talune permanenti criticità. La prima innovazione riguarda, come nel “regolamento sanzioni” della Consob, l’audizione, che può esser richiesta da chi ha ricevuto le contestazioni. Il nuovo schema, tuttavia, sembrerebbe sottendere un’interpretazio-
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Ibidem Così a p. 3 del Documento.
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ne riduttiva della funzione dell’audizione in quanto vi è il divieto, nel corso di essa, di produrre “materiale integrativo” delle controdeduzioni; dell’audizione stessa “viene redatto un sintetico verbale”. Potrebbe arguirsi che tale fase della procedura venga intesa essenzialmente come volta all’ascolto, da parte dei funzionari della Filiale di Banca d’Italia, delle argomentazioni dell’interessato, vale a dire come ricezione di interrogativi da questo posti in ordine ai criteri di individuazione delle violazioni e, in particolare, di negazione delle sue personali responsabilità. A tali interrogativi i funzionari presenti – i quali sono spesso diversi dagli autori del rapporto ispettivo da cui sono derivate le contestazioni – possono non essere in grado di rispondere, oppure possono opporre il vincolo di riservatezza ove siano in corso ulteriori accertamenti ordinati alla formulazione di contestazioni integrative o vi siano fonti informative riservate (ad esempio: rapporti della Guardia di Finanza)15. In sostanza l’audizione non sembra prefigurata come sede di una dialettica procedimentale aperta e paritaria (tanto più che l’interessato non può depositare neppure documenti riguardanti profili eventualmente emersi nel corso dell’audizione stessa). Anche la prescritta sinteticità del verbale appare funzionale più ad un adempimento burocratico che ad una fase di acquisizione piena di elementi al procedimento (e ciò sembra contrastare con il principio generale della massima acquisizione di elementi nel procedimento amministrativo)16. La seconda, più sostanziale, innovazione riguarda l’obbligo di comunicazione all’interessato della proposta sanzionatoria, presentata dal Servizio competente al Direttorio. L’interessato può, entro quindici giorni dal ricevimento, inviare “sintetiche osservazioni scritte” al Direttorio. La Banca d’Italia si è quindi uniformata alla Consob. La terza innovazione riguarda la fase decisoria. La nuova regolamentazione testualmente dispone «Nel rispetto del principio di separazione tra la fase istruttoria e la fase decisoria, il Direttorio della Banca d’Italia, esaminate le ulteriori osservazioni eventualmente presentate dagli interessati in merito alla proposta formulata dal
15 Amaturo, I rapporti di collaborazione tra le Autorità di vigilanza e la Guardia di Finanza, in Manuale di diritto del mercato finanziario, cit., p. 49 ss. 16 Giannini, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1993.
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Servizio CRE e acquisito il parere dell’Avvocato Generale… adotta un provvedimento motivato». Appare dunque sancito il principio della necessità di un’autonoma valutazione da parte del Direttorio, non foss’altro perché l’organo decidente è tenuto a porre a confronto la proposta sanzionatoria del Servizio competente e le osservazioni del soggetto sanzionando, che sono, ovviamente, oppositive rispetto alla proposta. Non è (o dovrebbe essere), quindi, più ammissibile il pedissequo rinvio adesivo “per relationem” alla proposta medesima. Le nuove disposizioni regolamentari, oltre a contenere le positive innovazioni accennate, lasciano irrisolte due questioni rilevanti ai fini della configurabilità del giusto procedimento sanzionatorio. La prima riguarda la già analizzata “distinzione/separazione” tra funzione istruttoria e decisoria, che non è distinzione di fasi ma separazione di funzioni. È da ribadire la divaricazione semantica – sotto il profilo giuridico – tra la locuzione “separazione” e quella “distinzione”, con riferimento alle funzioni. Come insegnano i semiologi il diverso significante (il nome) sottende una sostanziale differenza di significati. La seconda criticità è rappresentata dall’interpretazione restrittiva data, nella regolamentazione e nella prassi di Banca d’Italia, al diritto di accesso ai documenti dell’istruttoria sanzionatoria17. Dall’accesso è infatti esclusa, per prassi costante, la “Relazione riservata” (destinata agli uffici della Banca d’Italia), che viene redatta in parallelo alle contestazioni comunicate agli esponenti bancari ritenuti responsabili delle irregolarità riscontrate. Nei rari casi in cui tale questione è venuta in evidenza, nel corso di giudizi di opposizione a provvedimenti sanzionatori, la Banca d’Italia ha opposto un duplice ordine di argomentazioni alla sua conoscibilità: - sotto il profilo formale la ritenuta non ostensibilità di tale documento, perché atto interno, coperto dal segreto d’ufficio; - sotto il profilo sostanziale l’affermata estraneità di esso rispetto all’istruttoria del procedimento sanzionatorio, in quanto sarebbe ordinato a valutazioni ulteriori della Banca centrale. È agevole rilevare, in primo luogo, che non possono essere esclusi dal diritto di accesso atti e documenti che riguardano un procedimento
Analogo problema si pone per il procedimento sanzionatorio dell’AGCM: Cintioli, Giusto processo, CEDU e sanzioni antitrust, in Dir. proc. amm., n. 2/2015. 17
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potenzialmente pregiudizievole per l’interessato e che sicuramente rilevano ai fini della sua difesa. In secondo luogo appare infondata l’affermazione che il contenuto della Relazione riservata “interna” non abbia nulla a che fare con il procedimento sanzionatorio. È noto, infatti, che in essa sono contenute – suddivise in macrotematiche (ad esempio: il risk management), a loro volta articolate in subsettori – le valutazioni di merito relative alla riscontrata situazione della “banca sanzionanda”, espresse in voti, da uno a sei, in gradazione crescente di negatività. Più precisamente: dei voti attribuiti a ciascun subsettore viene fatta la media, non è dato sapere se semplice o ponderata, e la risultante è la valutazione attribuita al macrosettore di riferimento, espressa in numeri interi, approssimati per eccesso. Successivamente viene fatta la media, non è dato sapere se semplice o ponderata, dei “voti” relativi a tutti i macrosettori ed al risultato numerico, approssimato per eccesso (ad esempio: cinque), corrisponde un giudizio di sintesi relativo alla gravità delle disfunzioni complessivamente riscontrate. Da tale giudizio deriva, quasi meccanicamente, la gradazione delle sanzioni. Appare difficile, in conclusione, sostenere che un tale meccanismo sia estraneo al procedimento sanzionatorio e che il documento che ne dà conto non sia ostensibile.
5. Le resistenze della Cassazione all’applicazione dei principi del giusto procedimento. In netta controtendenza rispetto all’accennato quadro evolutivo – pur con i rilevati limiti – della disciplina precettiva dei procedimenti sanzionatori si pongono le due recenti sentenze della Sezione II della Corte di Cassazione sopra riportate (24 febbraio 2016, n. 3656 e 10 marzo 2016, n. 4725) riguardanti sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia. Tali sentenze sono visibilmente ispirate ad una visione “riduzionistica”, se non elusiva degli acquis giurisprudenziali garantistici della Corte Europea e del Consiglio di Stato. Le tecniche argomentative utilizzate per ridurre o escludere la portata applicativa dei principi del giusto procedimento sono sostanzialmente sei e si pongono in contraddizione con lo stesso schema della nuova disciplina del procedimento sanzionatorio di Banca d’Italia. In primo luogo l’affermazione (sentenza n. 3656/2016) che la propo-
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sta di sanzione ed il parere dell’Avvocato Generale non costituirebbero atti istruttori e conseguentemente non sarebbe violato il diritto di difesa, il quale postula la conoscenza degli atti istruttori. Tale affermazione contrasta con il riconoscimento – nello schema del nuovo “regolamento sanzioni” – della conoscibilità, da parte dell’incolpato, di tutti gli atti preparatori della decisione. Per ciò che concerne specificamente la natura giuridica della proposta la sentenza mostra una imperfetta conoscenza della teoria generale, ormai “classica” del procedimento amministrativo. Ciò in quanto ontologicamente la fase istruttoria si conclude con un atto nel quale sono riassunte e valutate le risultanze dell’istruttoria stessa e viene quindi formulata una proposta in vista della successiva fase di decisione18. Nei procedimenti sanzionatori di Banca d’Italia la proposta è la risultante degli accertamenti istruttori ed è obbligatoria, ma non vincolante, in quanto il Direttorio può discostarsi motivatamente da essa. Ciò premesso è del tutto inconferente l’affermazione (contenuta sempre nella sentenza n. 3656/2016) giusta la quale non è necessario – in tema di sanzioni ex art. 144 del t.u.b. – che gli incolpati vengano ascoltati durante la discussione orale innanzi all’organo decidente. Come s’è visto la questione sostanziale non è tanto l’audizione personale innanzi al Direttorio, quanto il diritto di replica, per iscritto, alla proposta sanzionatoria. La sentenza volutamente aggira il punctum dolens: la mancata conoscibilità della proposta sanzionatoria determina la violazione del diritto di presentare controdeduzioni difensive finali. In secondo luogo viene riproposto (sia nella sentenza n. 3656/2016 che nella sentenza n. 4785/2016) il tradizionale orientamento giusta il quale il pieno diritto di difesa (ex art. 24 e 111 Cost.) riguarderebbe solo l’eventuale successivo processo (nel caso di opposizione alla sanzione) e non il precedente procedimento amministrativo. È un’argomentazione, nota come “compensativa”, che ignora volutamente le statuizioni giurisprudenziali sull’autonoma rilevanza ed applicabilità dei principi del giusto procedimento e della “parità delle armi” già nella procedura amministrativa. Il terzo, e correlato, motivo di rigetto, in ambedue le sentenze in questione, è che il ricorrente non ha indicato quale concreta lesione
Giannini, Diritto amministrativo, cit., vol. II, p. 118; A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1989, p. 641. 18
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gli abbia provocato la mancata conoscenza della proposta formulata al Direttorio; o, in altri termini, quale ulteriore difesa avrebbe potuto espletare nel caso l’avesse conosciuta. È palese la distorsione, logico-giuridica e diacronica, sottesa a tale argomentazione: il fatto lesivo è costituito proprio dalla mancata possibilità di controdedurre anteriormente al “passaggio in decisione” della “pratica” in sede amministrativa. La lesione – non formale ma sostanziale – è che il Direttorio decida senza potere e dovere valutare nel merito le controdeduzioni dell’interessato alla proposta sanzionatoria e – conseguentemente – senza dover porre a confronto le opposte rappresentazioni “conclusionali” dei fatti e della loro qualificazione giuridica. È di tutta evidenza che tale fase valutativa della proposta e della replica deve essere sincronica e non può essere traslata “in avanti”, nella sede processuale, nella quale l’opponente – stando alla Cassazione – dovrebbe indicare al giudice in che cosa è stato specificamente leso il suo diritto di difesa dalla mancata conoscenza, e replicabilità, della proposta sanzionatoria. È innegabile, infatti, che la piena giurisdizione del giudice stesso non può surrogare, a posteriori, la mancata comparazione e ponderazione delle opposte tesi nella sede decisoria procedimentale. È palese la violazione della par condicio procedimentale, la quale non è sanabile facendo leva su una sorta di “egemonia” della (eventuale) fase processuale di queste fattispecie, negatoria dell’autonoma rilevanza, a fini garantistici, della struttura e dello svolgimento del procedimento amministrativo. L’artificio è svelato dalla successiva, e collegata, quarta argomentazione giusta la quale la tesi della (pretesa) necessità di dimostrare, innanzi al Giudice, la concreta lesione arrecata al sanzionato dalla mancata conoscenza della proposta sanzionatoria sarebbe avvalorata dal fatto che le sentenze del Consiglio di Stato n. 1595/2015 e n. 1596/2015 non hanno annullato il regolamento sanzioni della Consob. È un argomento specioso perché il mancato annullamento è stato determinato dalla inammissibilità degli appelli dovuta esclusivamente al fatto che, all’atto della loro proposizione, la Consob non aveva ancora irrogato la sanzione. Ciò evidentemente non priva di significato sostanziale e valenza generale le sovrariportate motivazioni del Consiglio di Stato relative alla violazione dei principi del giusto procedimento da parte del previgente “regolamento sanzioni” della Consob. Il quinto argomento ad excludendam l’applicabilità dei principi garantistici nel procedimento sanzionatorio di Banca d’Italia è incentrato sulla negazione della natura “penale” (nel senso più volte precisato
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dalla Corte di Strasburgo) delle sanzioni irrogate da Banca d’Italia e sulla diversità di oggetto del procedimento sanzionatorio Consob (stigmatizzato dalle sentenze del Consiglio di Stato n. 1595 e 1596/2015) rispetto al previgente procedimento sanzionatorio della Banca d’Italia (applicato nel contenzioso all’origine delle due sentenze della Cassazione). La linea argomentativa fondata sulla pretesa diversità è fondata su distinzioni “di specie”: le due fattispecie riguardanti sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia, giudicate dalla Cassazione, sarebbero ontologicamente diverse da quelle – relative a sanzioni Consob – oggetto, della “sentenza Grande Stevens” e delle due sentenze “gemelle” del Consiglio di Stato. Si sostiene, in particolare: a) che le sanzioni amministrative di Banca d’Italia non sarebbero qualificabili come “penali” (nel senso della Cedu), a differenza di quelle della Consob, non essendo raffrontabili a queste ultime, né quanto all’oggetto (cioè per tipologia di comportamenti sanzionati nelle rispettive fattispecie), né per severità ed incidenza delle sanzioni sulla sfera patrimoniale e personale (in quanto le sanzioni pecuniarie Consob sarebbero molto più onerose e ad esse si aggiunge la sanzione accessoria interdittiva); b) che, comunque, non sarebbe violato l’art. 41 della Convenzione Europea – il quale sancisce «il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento che gli rechi pregiudizio» – poiché il procedimento sanzionatorio di Banca d’Italia prevede la possibilità, per l’incolpato, di presentare le proprie deduzioni difensive (sentenza n. 3656/2016). Quest’ultima è una posizione retroversa, per non dire antigarantista, che contrasta il nuovo “regolamento sanzioni” di Banca d’Italia. Sul profilo sub a) è agevole replicare che la forte afflittività di un provvedimento sanzionatorio – assunta dalla Corte Europea come parametro per qualificare tale provvedimento come “penale” – va valutata in rapporto allo specifico contesto, o mercato, nel quale opera il sanzionato e nel quale la sanzione viene anche, per obbligo di legge, pubblicizzata. In quest’ottica è incontestabile, in primis, il grave danno reputazionale che un provvedimento sanzionatorio arreca, in modo del tutto analogo, a chi opera in uno dei tre mercati finanziari: bancario, degli intermediari o delle società quotate, o assicurativo. In secondo luogo anche nel caso di Banca d’Italia alla sanzione pecuniaria si può accompagnare, “in parallelo”, un provvedimento interdittivo. In terzo luogo con le recenti modifiche i massimali delle sanzioni pecuniarie “bancarie” sono stati enormemente elevati.
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Ne discende che in presenza di una stretta analogia della gravità degli effetti afflittivi a nulla rileva l’eventuale diversità dello specifico tipo di violazioni contestate. Il sesto argomento, infine, riguarda (in entrambe le sentenze) la legittimità della motivazione della decisione sanzionatoria per relationem alla proposta. Qui palesemente entrambe le sentenze non hanno voluto intendere il senso vero della sentenza n. 657/2015 del Consiglio di Stato: non è illegittima, in sé, una decisione motivata per relationem, ma lo è se essa non è preceduta da una autonoma ed esplicitata valutazione delle risultanze istruttorie, sulla quale si possa fondare una motivata adesione, nella sua interezza, alla proposta sanzionatoria. La provvisoria conclusione che si può trarre dai più recenti sviluppi regolamentari e giurisprudenziali sulla questione della piena applicazione dei principi del giusto procedimento nelle procedure sanzionatorie della Banca d’Italia, della Consob (ed anche – per stretta analogia – dell’Ivass) è, schematizzando al massimo, la seguente: i principi garantistici e partecipativi si fanno strada faticosamente, nella banchisa polare costituita da una pluridecennale giurisprudenza “legittimista”, sulla scia del rompighiaccio costituito dalle pronunce della Cedu, ma resta alto il rischio che il pack si richiuda alle spalle delle innovazioni garantiste.
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Incidenza applicativa degli strumenti di ADR nei modelli regolamentari dei mercati settoriali: gli effetti “conformativi” degli orientamenti dell’Arbitro Bancario Finanziario in tema di servizi di pagamento Sommario: 1. Premessa. La disciplina della prestazione di servizi di pagamento e sistemi di Alternative dispute resolution (adr). – 1.1. (Segue). Il ricorso a sistemi di adr nella disciplina dei servizi di pagamento. – 2. La prestazione di servizi di pagamento negli orientamenti dell’Arbitro Bancario Finanziario. – 3. (Segue). L’individuazione della disciplina di riferimento. – 4. Criteri di imputazione del rischio: responsabilità del prestatore e colpa grave dell’utilizzatore. – 5. Furto e smarrimento di carte bancomat. – 5.1. Furto, smarrimento e utilizzo fraudolento di carte di credito. – 6. Mancata o imprecisa erogazione di contante presso atm. – 7. Il disconoscimento di operazioni di pagamento online non autorizzate. – 7.1. (Segue). Distribuzione del rischio e onere della prova nelle operazioni contestate. – 8. Il fenomeno del phishing. – 9. Applicazione della franchigia ai rimborsi delle operazioni disconosciute dal cliente. – 10. Clonazione di strumenti di pagamento. – 11. La perizia sulle carte di debito per conto dei marchi “Bancomat” e “Pagobancomat”. – 12. Alcune notazioni conclusive.
1. Premessa. La disciplina della prestazione di servizi di pagamento e sistemi di alternative dispute resolution (adr). Il ricorso a strumenti di risoluzione stragiudiziale delle liti in Italia si è dimostrato particolarmente efficace, quantitativamente e qualitativamente, in alcuni ordinamenti settoriali anche contribuendo a definire, in qualche caso, gli assetti regolamentari dei relativi mercati di riferimento. È quanto avvenuto, ad esempio, nel settore bancario, dove l’esperienza dell’Arbitro Bancario Finanziario (da ora “ABF”) – al di là di alcune divergenze di ordine teorico su natura e funzioni dell’organismo1 – presenta
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Senza pretese di esaustività, in argomento v. Bossi, L’arbitro bancario finanziario,
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un bilancio decisamente positivo2. In alcune ipotesi, gli orientamenti dell’ABF hanno prodotto effetti sia, indirettamente, sul piano regolamentare (si pensi alla revisione della normativa sulla trasparenza bancaria a seguito dei primi anni di attività dell’Arbitro), sia a livello specificamente applicativo, fornendo sovente rilevanti indicazioni ermeneutiche ai giudici di merito e di legittimità anche su questioni dai profili di particolare tecnicismo e complessità. Un esempio di quanto appena affermato concerne l’implementazione, da parte dell’ABF, della disciplina in materia di servizi di pagamento che ha impegnato i Collegi territoriali e, in seconda battuta, il Collegio di coordinamento nell’analisi di un cospicuo flusso di ricorsi sui diversi aspetti concernenti questo ambito di attività. L’ABF, infatti, è riuscito non solo a definire in tempi relativamente rapidi un adeguato assetto interpretativo di norme appena inserite nell’ordinamento, ma altresì a produrre effetti “conformativi” – nelle modalità di cui si dirà nel prosieguo – sulle condotte di operatori e clienti (melius, prestatori e utilizzatori) fino a riportare a livelli fisiologici un rilevante contenzioso che ha connotato, fin da subito, l’entrata in vigore della normativa de qua. Va ricordato, anzitutto, che la principale fonte regolamentare in materia di servizi di pagamento è (rectius era) rappresentata dalla direttiva
in Il Civilista, 2010, p. 60; Bruschetta, Le controversie bancarie e finanziarie, in Contr., 2010, IV, p. 428; Capriglione, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari. La prospettiva dell’ADR, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, p. 272; Ruperto, L’«Arbitro Bancario Finanziario» in Banca, borsa, tit. cred. 2010, III, p. 325; Consolo, Stella, Il ruolo prognostico-deflattivo, irriducibile a quello dell’arbitro, del nuovo ABF “scrutatore” di torti e ragioni nelle liti in materia bancaria (commento a C. Cost., ord. 21 luglio 2011, n. 218), in Corr. giur., XII, 2011, p. 1653; Auletta, Arbitro Bancario Finanziario e sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie, in Le Società, 2011, p. 87; Consolo, Stella, Il funzionamento dell’ABF nel sistema delle ADR (Alternative Dispute Resolution), in An. giur. dell’econ., 2011, p. 121; Costantino, La istituzione dell’«Arbitrato Bancario Finanziario», in Studi offerti a Giovanni Verde, a cura di Auletta, Califano, Della Pietra, Rascio, Napoli 2010; De Carolis, L’Arbitro bancario finanziario come strumento di tutela della trasparenza, in Quaderni di Ricerca Giuridica, Banca d’Italia, LXX, Roma, 2011, p. 14; Quadri, L’arbitrato bancario e finanziario nel quadro sei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie, in Nuova giur. civ. comm., 2010, p. 318; Scarpa, Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie bancarie e finanziarie, in Contr. e impr., I, 2013, p. 137. 2 Espressamente, in tal senso, v. Corti e Trevisan, La responsabilità della banca nelle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario, in Resp. civ. e prev., 2014, 1, p. 60 ss.; Consolo e Stella, L’arbitro bancario finanziario e la sua giurisprudenza precognitrice, in Le società, 2013, p. 185 ss.
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2007/64/CE (Payment Services Directive - PSD, abrogata dalla direttiva UE 2015/2366)3, la quale “dichiara” tra i suoi principali obiettivi la realizzazione di un quadro giuridico efficace e coerente che garantisca parità di condizioni a tutte le imprese e consenta agli utenti (anche non consumatori) di orientare le proprie scelte, beneficiando dei vantaggi connessi al maggior livello di sicurezza ed efficacia garantito dalla normativa europea, rispetto agli standard esistenti negli ordinamenti nazionali4. La direttiva differenzia i clienti “consumatori” dagli altri apprestando per i primi una tutela più pregnante che si esprime nell’inderogabilità di alcune disposizioni5. Nella normativa italiana di attuazione della direttiva citata – il d.lgs. n. 11/20106 – il regime di speciale protezione e di favor probatorio per
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Si tratta della direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE. La direttiva (c.d. PSD2) dovrà essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 13 gennaio 2018, pertanto nel testo si farà riferimento, ove necessario, alle disposizioni della previgente direttiva 2007/64/CE e alle relative norme di attuazione nell’ordinamento italiano. 4 Cfr. considerando n. 4 della direttiva 2007/64/CE. Ulteriori obiettivi della disciplina sono: stimolare la concorrenza tra prestatori di servizi nonché tra i diversi prodotti e/o canali; tenere conto del continuo e rapido sviluppo tecnologico che caratterizza il settore. Con l’entrata in vigore della direttiva 2015/2366, si sono aggiunti ulteriori obiettivi da perseguire cercando, tuttavia, di limitare la discrezionalità dei singoli Stati membri nell’implementazione delle disposizioni europee, soprattutto restringendo al massimo le possibilità di deroghe in sede di recepimento. La direttiva PSD2, in sostanza, conferma l’assetto delle tutele già previste per l’utilizzatore, con una maggiore attenzione verso l’innovazione e la sicurezza dei servizi di pagamento elettronici, oltre alla previsione di modalità più flessibili di implementazione e aggiornamento degli standard tecnici (dell’EBA), proprio per fare fronte all’incessante innovazione ed evoluzione tecnologica che caratterizza i servizi di pagamento. 5 Su questi aspetti, v., tra gli altri, Rispoli Farina e Spena, La trasparenza delle condizioni e i requisiti informativi per i servizi di pagamento, in Armonizzazione europea dei servizi di pagamento e attuazione della direttiva 2007/64/CE, a cura di Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi, Troiano, Milano, 2010, p. 77 ss.; Sciarrone Alibrandi, Le regole contrattuali, in Armonizzazione, a cura di Rispoli Farina ed altri, cit., p. 95 ss.; Roppo, L’utenza dei servizi di pagamento: consumatori? Professionisti? Clienti?, Armonizzazione, a cura di Rispoli Farina ed altri, cit., p. 287 ss.; Pagliantini, Il nuovo regime della trasparenza nella direttiva sui servizi di pagamento, in Armonizzazione, a cura di Rispoli Farina ed altri, cit., p. 449; nonché il commento all’art. 126-bis, sub art. 34, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento. Commentario al d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, a cura di Mancini, Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi, Troiano, Torino, 2011, passim. 6 È il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, Attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE,
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gli utilizzatori di strumenti e servizi di pagamento, si ricava da diverse disposizioni. Ad esempio, va ricordato che: in caso di disconoscimento di un’operazione di pagamento, è onere del prestatore dei servizi di pagamento provare che essa è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che la sua patologia non si debba a malfunzionamenti delle procedure esecutive o ad altri inconvenienti del sistema (art. 10); ai sensi del principio generale stabilito dall’art. 1218 c.c. – e in base all’interpretazione della Suprema Corte7 – l’intermediario deve provare altresì di aver adempiuto agli obblighi di custodia e salvaguardia del denaro dei clienti con la “diligenza del buono ed accorto banchiere”8; l’apparentemente corretta autenticazione non è sufficiente a dimostrare la riconducibilità dell’operazione all’utilizzatore che la disconosca, in quanto la responsabilità di quest’ultimo resta circoscritta ai casi di comportamento fraudolento del medesimo ovvero al suo doloso o gravemente colposo inadempimento degli obblighi che l’art. 7 del decreto pone a suo carico e che si limitano all’utilizzazione dello strumento di pagamento in conformità alle condizioni contenute nell’accordo quadro che regola il servizio e alla tempestiva denuncia di furto, smarrimento, distruzione o altro uso non autorizzato dello strumento. Laddove una simile responsabilità non possa affermarsi (ed il correlato onere probatorio gravi sul prestatore del servizio), l’utilizzatore non sopporta le conseguenze dell’uso non autorizzato, dello strumento di pagamento, se non nei limiti, eventualmente stabiliti dall’intermediario, di una franchigia non superiore a 150 euro (art. 12, co. 1 e 3, d.lgs. n. 11/2010)9. Sui profili applicativi di queste norme ci si soffermerà, comunque, in dettaglio nell’esame degli orientamenti dei Collegi ABF. Ciò premesso, si procederà dapprima ad inquadrare (seppure in sintesi) il tema del rapporto tra disciplina dei servizi di pagamento e sistemi di adr, per poi esaminare i principali orientamenti dell’ABF in tema di servizi e stru-
2002/65/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, e che abroga la direttiva 97/5/CE (in G.U. 13 febbraio 2010, Suppl. ord., n. 29/L). 7 Cfr. Cass., 24 settembre 2009, n. 20543; Cass., 12 giugno 2007, n. 13777; interpretazione, come si specificherà nel prosieguo, recepita anche dai Collegi territoriali dell’ABF: v. ex multis, Coll. Roma, dec. n. 960/2012; Coll. Milano, dec. n. 2191/2012; n. 1725/2012. 8 Sul punto, si v. anche Coll. coordinamento, dec. n. 897/2014. 9 V. al riguardo Troiano, Cuocci e Pironti, Responsabilità del pagatore per l’utilizzo non autorizzato di strumenti o servizi di pagamento, in La nuova disciplina, a cura di Mancini ed altri, cit., p. 143 ss.
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menti di pagamento e, infine, chiarire i termini entro i quali l’impianto decisionale preso in considerazione abbia “determinato” le condotte dei soggetti coinvolti. 1.1. (Segue). Il ricorso a sistemi di adr nella disciplina dei servizi di pagamento. Nel quadro normativo di riferimento, il collegamento con il ricorso a strumenti di adr risiede precipuamente nel valore essenziale che assumono le norme volte a rafforzare la fiducia nel sistema dei servizi di pagamento – specie quelle dirette a garantire la trasparenza delle condizioni contrattuali e i requisiti informativi – norme concepite con modalità differenziate a seconda che si tratti o meno di consumatori e microimprese. Più specificamente, rileva in questa sede la disposizione in base alla quale gli Stati membri devono istituire procedure che consentano agli utenti dei servizi di pagamento e alle altre parti interessate – incluse le associazioni dei consumatori – di presentare reclami alle autorità competenti in relazione a presunte violazioni, da parte di prestatori di servizi di pagamento, delle norme di diritto interno attuative della PSD (art. 80)10. Il sistema di tutela così predisposto si articola in procedure di “reclamo” e di “ricorso” stragiudiziale che sono poste in connessione tra loro, almeno potenziale, attribuendo un ruolo centrale alla cura del singolo utente dei servizi di pagamento11.
10 Viene fatto salvo, però, il diritto di rivolgersi a un tribunale in conformità della legislazione nazionale in materia di procedure, mentre l’autorità competente deve informare il reclamante dell’esistenza di meccanismi di ricorso extragiudiziali, previsti ai sensi dell’art. 83 della direttiva; sul punto v. Rispoli Farina, Commento sub art. 40, in La nuova disciplina, a cura di Mancini ed altri, cit., p. 703. 11 La disciplina europea in tema di “reclami” ha un ampio spettro applicativo soggettivo ed oggettivo poiché legittima – oltre gli utenti – le altre parti interessate (in sostanza, tutti i soggetti coinvolti nella prestazione di servizi di pagamento) nonché le associazioni dei consumatori, ponendo il rimedio del reclamo in relazione a violazioni che concernono, potenzialmente, tutte le disposizioni nazionali attuative della PSD. La normativa precostituisce l’iter successivo al reclamo, lasciando spazio (se del caso) al legislatore nazionale, di stabilire se l’autorità addetta a ricevere il reclamo debba o meno comunicare l’esistenza delle procedure di ricorso extragiudiziale; così, Rispoli Farina, Commento sub art. 40, cit., p. 704; in argomento, v. anche Pagliantini, Il nuovo regime della trasparenza nella direttiva sui servizi di pagamento, in Armonizzazione, a cura di Rispoli Farina ed altri, cit., p. 449 ss.; Maimeri, sub art. 128-bis, in Testo unico bancario. Commentario, a cura di Porzio ed altri, cit., p. 1144 ss.
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Nel recepire la normativa europea, il legislatore italiano12 ha previsto che eventuali esposti (concetto assimilabile, ma non necessariamente coincidente, con quello di reclamo) di utilizzatori di servizi di pagamento, di loro associazioni o di altre parti interessate, siano presentati alla Banca d’Italia che viene quindi individuata quale autorità competente13. Sotto il profilo contenutistico gli esposti sono circoscritti a presunte violazioni concernenti la sola disciplina dei Titoli II e IV del d.lgs. n. 11/2010, mentre l’ambito di applicazione comprende tutti i soggetti che prestano servizi di pagamento14. Secondo la normativa, la Banca d’Italia è tenuta ad informare il proponente l’esposto, dell’esistenza dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie istituiti ai sensi dell’art. 128-bis t.u.b., ossia l’ABF. Resta salva, in ogni caso – come del resto previsto dalla disciplina europea – la possibilità di adire la competente autorità giudiziaria, così come la facoltà, per gli intermediari, di aderire a sistemi di adr analoghi, nei limiti previsti dalla legge15. Emerge, dunque, un evidente legame tra obiettivi di efficienza del sistema finanziario e necessità di rafforzare la fiducia degli utenti dei servizi, assicurando l’osservanza delle disposizioni di trasparenza delle operazioni bancarie e finanziarie, in un’accezione ampia che comprenda, appunto, anche i servizi di pagamento. Tra gli strumenti atti a perseguire tali obiettivi, il legislatore ha incluso un sistema stragiudiziale di soluzione delle controversie, rappresentato (non solo) dall’ABF e dalla relativa disciplina. Si è creata, dunque, una connessione istituzionale e
12 Si v. il testo dell’art. 39 del d.lgs. n. 11/2010, sul quale v. Pischedda, Esposti e ricorsi stragiudiziali, in La nuova disciplina, a cura di Mancini ed altri, cit., p. 684 ss.; Alpa, Commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori (commento a d.lgs. 19 agosto 2000, n. 190), in Contr., 2005, p. 1173; Mancini, I compiti affidati alla Banca d’Italia nel mutato scenario dei servizi e dei sistemi di pagamento, in Armonizzazione, a cura di Rispoli Farina ed altri, cit., p. 166. 13 È il caso solo di rammentare che la Banca d’Italia esercitava la funzione di esaminare gli esposti presentati da parte dei clienti delle banche e degli altri intermediari, anche in relazione ai servizi di pagamento, già prima della disciplina di cui all’art. 39 d.lgs. n. 11/2010, sulla base delle norme del t.u.b. 14 Così come elencati all’art. 1, co. 1, lett. g): istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento nonché, quando prestano servizi di pagamento, banche, Poste Italiane s.p.a., la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali, se non agiscono in veste di autorità monetarie, altre autorità pubbliche, le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali se non agiscono in veste di autorità pubbliche. 15 Cfr. Rispoli Farina, Commento sub art. 40, cit., p. 705.
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formalizzata in sede regolamentare, tra prestazione di servizi di pagamento e sistemi di adr. I motivi di questa scelta legislativa – peraltro in controtendenza rispetto alle sorti che vivono nell’ordinamento italiano i sistemi di adr – sono vari. In generale, si tratta, come si è accennato, di una normativa complessa, tecnica e con spiccati tratti consumeristici. Il regime di forte tutela dell’utilizzatore dei servizi di pagamento si esplicita, tra l’altro, in una inversione dell’onere della prova, nell’obbligo di restituzione a richiesta delle somme relative alle operazioni disconosciute dal cliente e nell’esenzione da responsabilità del prestatore solo previa dimostrazione del dolo o della colpa grave dell’utilizzatore. Parte della dottrina si è espressa, al riguardo, in termini di responsabilità per “rischio di impresa” ovvero di responsabilità “da status”, per fare riferimento, in sostanza, ad una modalità di imputazione delle condotte che, alla luce del dato letterale della norma, prevede un meccanismo “quasi automatico” di attivazione della responsabilità dell’intermediario16. Ed in effetti la complessità di definizione degli assetti sinallagmatici nell’ambito dei contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi di pagamento è emersa fin da subito, e con evidenza, sia in riferimento alla valutazione delle condotte dell’utilizzatore e dell’intermediario, sia alla verifica degli assetti organizzativi adottati da quest’ultimo a tutela della sicurezza delle transazioni. Tenuto conto del quadro normativo, qui sommariamente descritto, e considerando i tempi che la giurisprudenza ordinaria impiega per elaborare stabili orientamenti decisionali, si comprendono meglio le ragioni
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In tema di responsabilità dell’impresa, non si può che rinviare ad una minima parte della vastissima letteratura in materia (e alle ulteriori indicazioni dottrinali ivi riportate), v. Alpa, Responsabilità dell’impresa e tutela del consumatore, Milano, 1975; Id., La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, Milano, IV, 1999; Id., La responsabilità oggettiva, in Contr. impresa, 2005, p. 959 ss.; Angelici, Responsabilità sociale dell’impresa, codici etici e autodisciplina, in Giur. comm., 2011, II, p. 159 ss.; Bianca, Diritto civile, La responsabilità, V, Milano, 1994; Buonocore, Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto, del codice civile, in Giur. comm., 2006, I, p. 5 ss.; Calabresi, Some Thoughts on Risk Distribution and the Law of Torts, in Yale Law Journal, 1961, p. 499 ss.; Conte (a cura di), La responsabilità sociale dell’impresa, Bari-Roma, 2008; Gambino, La responsabilità dell’impresa e la gestione, in Aa.Vv., La responsabilità di impresa, Milano, 2006, p. 69 ss.; Libertini, Impresa e finalità sociali. Riflessioni sulla teoria della responsabilità sociale dell’impresa, in Riv. soc., 2009, p. 1 ss.; Perlingieri, Le funzioni della responsabilità civile, in Rass. dir. civ., 2011, 1, p. 115 ss.
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– almeno quelle prevalenti – del prospettato collegamento funzionale tra sistemi di adr e prestazione di servizi di pagamento. Ne è conferma, ad esempio, il fatto che – con specifico riguardo all’ordinamento italiano – l’ABF ha avuto il merito di delineare, in tempi relativamente brevi, importanti indicazioni applicative di una disciplina che si prospettava in qualche modo “bloccata” da una lettura interpretativa prevalentemente a vantaggio degli utilizzatori. Seppure – va riconosciuto – anche in ragione di una (iniziale) lacunosa predisposizione dei sistemi di sicurezza collegati alla prestazione di servizi di pagamento, più evidente specie con riguardo a quelli forniti a distanza.
2. La prestazione di servizi di pagamento negli orientamenti dell’Arbitro Bancario Finanziario. Procedendo ad analizzare il contributo che gli orientamenti dell’ABF hanno apportato in termini di riassetto dello spazio giuridico concernente alcuni profili applicativi delle norme in materia di prestazione di servizi di pagamento, occorre premettere che sono state sottoposte alla cognizione dell’organismo varie fattispecie, le cui rilevanti problematiche hanno indotto i Collegi territoriali dell’ABF ad adottare linee decisionali difformi, rispetto alle quali è poi intervenuto il Collegio di coordinamento. Tali aspetti hanno riguardato (tra l’altro): l’individuazione della portata degli obblighi di custodia di carta e codici, specie in rapporto alla possibilità che la conservazione del codice dispositivo unitamente alla carta, o comunque nel medesimo involucro in cui la stessa è contenuta, possa ritenersi comportamento tale da integrare il concetto di colpa grave, come definito dal decreto n. 11/2010, ai fini della ripartizione dei rischi conseguenti all’utilizzazione della carta; la possibilità di ricorrere o meno anche a presunzioni per provare le circostanze idonee a connotare la condotta dell’utilizzatore dello strumento di pagamento come gravemente colposa; la possibilità, per quanto desumibile dall’attuale stato della tecnica, di dedurre il codice pin direttamente dalla carta ovvero di considerare il breve arco temporale rispetto al momento del furto o dello smarrimento quale presunzione dell’immediata disponibilità del codice, da parte del soggetto terzo; determinare se l’obbligo di rimborso delle somme corrispondenti agli utilizzi fraudolenti debba qualificarsi come obbligazione di natura restitutoria ovvero risarcitoria, con le dovute conseguenze in ordine al calcolo degli interessi.
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3. (Segue). L’individuazione della disciplina di riferimento. I Collegi dell’ABF, in una fase iniziale, hanno provveduto alla delimitazione del quadro normativo riferibile alla prestazione di servizi e all’utilizzo di strumenti di pagamento. Nell’ambito della disciplina codicistica, tali norme sono, principalmente, gli artt. 1710 c.c. (diligenza del mandatario), 1176 (diligenza professionale) e 1856 c.c. (esecuzione di incarichi). Quanto al d.lgs. n. 11/2010, i Collegi ABF hanno messo in risalto che le disposizioni che impongono obblighi di custodia dello strumento di pagamento (in specie, i co. 1 e 2 dell’art. 7)17 devono essere interpretate nel senso che l’adozione delle misure idonee a garantire la sicurezza dei codici di accesso costituisce elemento necessario ed imprescindibile al fine di poter utilizzare lo strumento di pagamento in conformità alle prescrizioni contrattuali. Ne consegue che grava sull’utilizzatore un obbligo di custodia dello strumento di pagamento che dovrebbe essere ormai puntualmente regolato dalle disposizioni contrattuali in uso. Parallelamente, si configura un ulteriore dovere per l’utilizzatore di adozione delle misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi che consentono il regolare utilizzo dello strumento, intendendo per tale una vasta gamma di comportamenti che si distinguono sia sotto il profilo temporale sia contenutistico. Quanto al primo aspetto, infatti, gli obblighi si attivano sin dal ricevimento dello strumento. Al tempo stesso, però, pur nel silenzio della norma, deve ritenersi che essi permangano sin tanto che l’utilizzatore resti in possesso della carta, dal momento che tali impegni garantiscono il suo regolare utilizzo. Quanto al secondo aspetto, invece, è da ritenersi che sussistano sia obblighi di conservazione e di custodia dello strumento di pagamento, sia di memorizzazione dei codici, purché rientranti ragionevolmente nella sfera di controllo del cliente18.
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L’art. 7 stabilisce che l’utilizzatore è tenuto ad avvalersi dello strumento di pagamento nel rigoroso rispetto delle condizioni contrattuali che ne disciplinano l’emissione e l’uso (lett. a). La norma si presenta come più restrittiva rispetto a quella europea: «Ai fini di cui al comma 1, lettera a), l’utilizzatore, non appena riceve uno strumento di pagamento, adotta le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che ne consentono l’utilizzo». In argomento, v. Pironti, Obblighi a carico dell’utilizzatore dei servizi di pagamento in relazione agli strumenti di pagamento, in Mancini e al., La nuova disciplina, cit., p. 113 ss.; si v. anche Perassi, Mancini, Il nuovo quadro normativo comunitario dei servizi di pagamento. Prime riflessioni, in Quaderni ricerca giur. della Banca d’Italia, Roma, 2008, passim. 18 Cfr. Coll. coordinamento, dec. n. 6170/2013; dec. n. 5304/2013.
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Come si accennava, è previsto poi che, quando l’utilizzatore neghi di aver autorizzato «un’operazione di pagamento eseguita, l’utilizzo di uno strumento di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dall’utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave ad uno o più degli obblighi di cui all’articolo 7»19. Se ne ricava che l’utilizzo dello strumento di pagamento non è sufficiente a sostenere che l’operazione sia imputabile al cliente e, altresì, che non spetti a questi l’onere di provare che l’intermediario sia inadempiente agli obblighi di legge. Il prestatore infatti deve dimostrare che il cliente sia incorso in dolo o colpa grave rispetto agli obblighi di diligenza che le norme gli impongono, al fine di liberarsi dalla responsabilità sancita dal d.lgs. n. 11/2010 per le operazioni non autorizzate. A fronte del disconoscimento da parte del cliente, infatti, il «prestatore dei servizi di pagamento rimborsa immediatamente al pagatore l’importo dell’operazione medesima (…)»20.
4. Criteri di imputazione del rischio: responsabilità del prestatore e colpa grave dell’utilizzatore. Uno dei profili, di più complesso inquadramento, su cui l’attività dei Collegi ABF ha prodotto incisivi effetti in termini di riequilibrio applicativo del dato normativo è proprio quello degli obblighi incombenti sull’utilizzatore dello strumento di pagamento. Sul punto, il Collegio di coordinamento ABF ha affermato che la mancata adozione, valutata caso per caso, da parte del cliente delle idonee misure di sicurezza dei codici può integrare un comportamento doloso o gravemente colposo. In questa ipotesi, la responsabilità dell’utilizzatore si configura come illimitata, non potendo più essere contenuta nel limite della franchigia prevista dalla legge. Ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’utilizzatore, dunque, deve essere dimostrato che il suo comportamento non abbia
19 Cfr. art. 10, co. 2, d.lgs. n. 11/2010. In argomento, v. Troiano, Prova di autenticazione delle operazioni di pagamento, in Mancini e al., La nuova disciplina, cit., p. 131 ss. 20 Così, l’art. 11, co. 2, d.lgs. n. 11/2010, su cui v. Troiano e Cuocci, Responsabilità del prestatore di servizi di pagamento per le operazioni di pagamento non autorizzate, in Mancini e al., La nuova disciplina, cit., p. 137 ss. V., sul punto, anche i precedenti ABF: Collegio Napoli, dec. n. 204/2011; id., dec. n. 244/2011; id., dec. n. 1534/2010; Coll. Roma, dec. n. 1003/2010.
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concorso causalmente all’uso fraudolento dello strumento di pagamento, venendo in rilievo sotto questo aspetto non solo il dolo o la colpa grave nella conservazione della carta (ove presente), ma anche nella custodia dei codici identificativi. Nell’elaborazione dei loro orientamenti, i Collegi ABF (territoriali e di coordinamento) hanno fatto leva giocoforza sul parametro, utilizzato dalla normativa, che presentava più ampi margini di flessibilità ermeneutica – ossia la “colpa grave” – essendo il “dolo” categoria dai contorni certamente più netti21. Ebbene, una volta accertata la “rarità” di una condotta “dolosa” dell’utilizzatore ai fini dell’imputazione della responsabilità delle operazioni di pagamento disconosciute, occorreva determinare il perimetro della colpa grave ai fini dell’applicazione della relativa disciplina. In proposito, l’uniforme orientamento dei Collegi, coerente con la Corte di Cassazione, qualifica la colpa grave come «un comportamento consapevole dell’agente che, senza volontà di arrecare danno agli altri, operi con straordinaria e inescusabile imprudenza o negligenza, omettendo di osservare non solo la diligenza media del buon padre di famiglia, ma anche quel grado minimo ed elementare di diligenza generalmente osservato da tutti»22. Dunque, una condotta non soltanto contraria al livello di attenzione normalmente richiesto ad una persona che utilizzi strumenti di pagamento, bensì un comportamento abnorme e, in quanto tale, non scusabile23. Per altro verso, il Collegio di coordinamento ABF aderisce all’orienta-
21 In dottrina, v., ex multis, Iuliani, La fisionomia del danno e l’ampiezza del risarcimento nelle due specie di responsabilità, in Eur. e dir. priv., 2016, p. 137; De Vero, Dolo eventuale e colpa cosciente: un confine tuttora incerto, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, p. 77; Dolmetta e Malvagna, Vicinanza della prova e prodotti d’impresa del comparto finanziario, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, I, p. 659; Zito, Doveri informativi nella prestazione di servizi finanziari: l’intermediario non è responsabile per ciò che non era prevedibile, in Resp. civ. e prev., 2015, p. 243; Ronco, Riflessioni sulla struttura del dolo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, p. 589. 22 Cfr., in tema di gravità della colpa, Cass., 19 novembre 2001, n. 14456; e anche Coll. Milano, dec. n. 40/2012; n. 2310/2011; Coll. Roma, dec. n. 2157/2011; n. 712/2010. 23 Come si accennava, infatti, la disciplina sui servizi di pagamento riversa sul prestatore la prova (oltre che dell’adozione dei presidi di sicurezza di cui si è detto) della sussistenza di un elevato grado di negligenza in capo all’utilizzatore che abbia le caratteristiche appena richiamate e sia così tale da imputargli la responsabilità delle conseguenze di un utilizzo fraudolento dello strumento o del servizio di pagamento; cfr. Coll. coordinamento, dec. n. 6170/2013; dec. n. 5304/2013; Coll. Napoli, dec. n. 2166/2016; n. 2179/2016.
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mento giurisprudenziale che tende ad equiparare la colpa grave al c.d. “dolo eventuale”24. Accostamento che, lungi dal far ritenere coincidenti sotto il profilo funzionale le due fattispecie, si limita ad affermare l’equiparazione tra gli stessi sul mero piano degli effetti applicativi, con la conseguenza che possono essere addebitati anche i danni imprevedibili che siano causalmente riconducibili all’inadempimento gravemente colposo del debitore. Ne consegue ulteriormente che la «prova della colpa grave indica, più specificamente, la prova dei fatti che, in connessione tra loro, possono ragionevolmente condurre a ritenere gravemente negligente la condotta dell’utilizzatore. Questa prova può essere fornita pure per mezzo di presunzioni, purché esse siano gravi, precise e concordanti, com’è noto, secondo quanto disposto dall’art. 2729 c.c.»25. In tal modo, sul piano del riscontro probatorio cui è tenuto il prestatore, il Collegio ABF di coordinamento realizza un primo step di riequilibrio del sinallagma contrattuale, con riguardo al regime di imputazione delle condotte fraudolente. Occorre, infatti, valorizzare le singole e specifiche circostanze relative ai casi concreti sottoposti all’esame dell’organo giudicante, in ordine alle quali è necessario verificare se il comportamento dell’utilizzatore sia stato gravemente colposo26. Né rispetto a tale ricostruzione, si oppone il dettato dell’art. 10, co. 2, d.lgs. n. 11/201027, il quale appare vietare la presunzione relativa all’affermazione della colpa grave esclusivamente collegata all’utilizzo della carta, discendendone, a contrario, la sua am-
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Cfr. Cass., 16 maggio 2006, n. 11362 secondo cui «l’imputazione di colpa grave esclude un concetto di “normalità” della colpa e che, in tema di responsabilità contrattuale, le conseguenze giuridiche della colpa grave sono trattate allo stesso modo di quelle proprie della condotta dolosa, tant’è che si parla di equiparazione della colpa grave al c.d. “dolo eventuale”, la cui sussistenza deve essere provata in concreto». 25 V. Coll. Milano, dec. n. 1033/2012; la stessa Corte di Cassazione, a tale specifico riguardo, ritiene ammissibile la prova indiziaria della sussistenza della colpa grave, così Cass., 18 gennaio 2010, n. 654. 26 Ad esempio, aver lasciato incustoditi incautamente gli strumenti di pagamento, il ritardo nell’accorgersi o nel denunciare il furto e così via. In tal senso, v. Coll. coordinamento, dec. n. 6170/2013; v. anche, ex multis, Coll. Napoli, dec. 894/2016. 27 Nella parte in cui dispone che «Quando l’utilizzatore dei servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento eseguita, l’utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dall’utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all’articolo 7». Su questa norma v. O. Troiano, Prova di autenticazione, cit., p. 134 s.
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missibilità ove sussista una serie di elementi di fatto univoci e convergenti, tali da potersi ritenere che l’utilizzo fraudolento sia effettivamente riconducibile, sul piano causale, alla condotta dell’utilizzatore28. In quest’ottica, è evidente come generiche affermazioni dell’intermediario in ordine ai sistemi di sicurezza di cui la carta o il servizio sarebbero provvisti non possono ritenersi determinanti ove siano limitate alla mera descrizione delle caratteristiche tecniche, dalle quali si vorrebbe ricavare la prova dell’impossibilità materiale di ricostruzione del codice. Seppure si intendesse riconoscere rilievo autonomo a tali elementi, essi non paiono di per sé sufficienti a ritenere dimostrata la colpa grave in capo all’utilizzatore29. D’altra parte, come ammettono gli stessi Collegi ABF, la circostanza che il soggetto sul quale gravi l’onere della prova non sia in grado di indicare e dimostrare fatti che possano contribuire a fornire una presunzione semplice ai sensi dell’art. 2729 c.c., non implica – come sostenuto da alcuni – che questi sia gravato dall’onere di una probatio diabolica. È fuor di dubbio, infatti che l’onere della prova gravante ex lege sull’intermediario per invertire la distribuzione dei rischi connessi all’uso fraudolento di uno strumento di pagamento sia gravoso, ma esso trova una spiegazione nel carattere eccezionale della previsione30. Motivo per cui, l’ABF ha ribadito più volte che l’intermediario non è tenuto alla dimostrazione diretta della condotta gravemente colposa dell’utilizzatore, quanto piuttosto alla prova di una serie convergente e univoca di circostanze di fatto che, essendo note, possano ragionevolmente far presumere l’esistenza del fatto ignoto (nell’ipotesi che ci occupa, la colpa grave), ai sensi dell’art. 2729 c.c.31. Molto, dunque, si è giocato su una sorta di “dilatazione interpretativa” del concetto di colpa grave, finalizzata anche a soddisfare le diffuse esigenze di semplificazione – quanto meno in fase applicativa – di un dato normativo complesso, ridondante e, talora, di scadente fattura reda-
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D’altra parte, secondo il Collegio di coordinamento, le circostanze che la carta sia munita di microchip e che gli utilizzi siano avvenuti in stretta sequenza tra loro e in tempi ravvicinati rispetto al furto non consentono di dedurre la sussistenza di una grave violazione dell’obbligo di custodia del pin; cfr. Coll. coordinamento, dec. n. 6170/2013; dec. n. 5304/2013; ma v, anche Coll. Napoli, dec. n. 2166/2016. 29 Cfr. ex multis Coll. Milano, dec. n. 3412/2012; n. 2585/2012; n. 3332/2013. 30 Così il Coll. Milano, dec. n. 1033/2013, con riguardo al furto di uno strumento di pagamento elettronico. 31 Cfr. Coll. coordinamento, dec. 5304/2013; Coll. Napoli, dec. n. 2179/2016.
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zionale. Rispetto a tale approccio, tuttavia, occorre comunque procedere con le dovute cautele per non incorrere in forzature dell’assetto normativo che finirebbero per snaturare le finalità di protezione del contraente debole, proprie della disciplina sui servizi di pagamento, ovvero per alterare le già complesse dinamiche di interazione tra le fonti di regolazione dei mercati finanziari.
5. Furto e smarrimento di carte bancomat. Alla luce degli obblighi incombenti sull’utilizzatore, va verificata quale sia la condotta che viene in considerazione, al fine dell’imputazione della responsabilità in caso di furto della carta. In proposito, l’art. 12 del decreto italiano prevede un duplice livello di responsabilità: un ambito limitato, in caso di violazione degli obblighi di custodia e sicurezza non caratterizzata da frode, dolo o colpa grave, potendo l’utilizzatore sopportare le conseguenze delle operazioni fraudolente nel limite della franchigia di 150 € (previsto dalla norma al co. 3); un secondo ordine di responsabilità interviene, invece, se l’utilizzatore: a) abbia agito in modo fraudolento (co. 1); b) abbia agito con dolo o colpa grave, venendo meno agli obblighi di custodia sullo stesso gravanti; c) non abbia adottato le misure idonee di cui all’art. 7, co. 2 (art. 12, co. 4)32. In una prima fase, i Collegi ABF, discostandosi del tutto dalla giurisprudenza dell’Ombudsman33, sostengono che le operazioni fraudolente convalidate con la digitazione del pin non implicano necessariamente una responsabilità del titolare per negligenza nella conservazione dello stesso, potendosi in astratto configurare differenti situazioni in cui, con svariate tecniche più o meno complesse e sofisticate, un terzo sia riuscito ad appropriarsi del codice pur in assenza di una condotta del titolare causativa dell’evento. Tale ricostruzione era corroborata dalla direttiva europea che sostanzialmente è ispirata al principio del “rischio d’impresa”, secondo il quale è razionale far gravare i rischi statisticamente
32 Amplius, sulla norma richiamata, v. Troiano, Cuocci e Pironti, Responsabilità del pagatore, cit., passim. V., tra le altre, Coll. Napoli, dec. nn. 1593/2016; 2166/2016; 2179/2016. 33 Per la lettura delle decisioni dell’Ombudsman, si rinvia alla sezione del sito del Conciliatore Bancario ad esso dedicata: www.conciliatorebancario.it/index.php/ ombudsman/decisioni.
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prevedibili, legati ad attività oggettivamente pericolose e riguardanti un elevato numero di utenti, sull’impresa che è in grado, attraverso la determinazione dei prezzi di vendita dei beni o di fornitura dei servizi, di ribaltare sulla massa dei consumatori o utenti il costo dell’assicurazione di siffatti rischi. In sostanza, affinché le operazioni fraudolente fossero integralmente opponibili al titolare della carta, era necessario (secondo un più rigoroso orientamento dei Collegi ABF) che 1’intermediario riuscisse a provare le concrete modalità di acquisizione del pin da parte dell’utilizzatore abusivo34. Meno rigido nei confronti dell’intermediario appariva, invece, l’approccio (del Collegio di Milano) secondo cui la negligenza del titolare nella conservazione del pin, quand’anche non fosse stata specificatamente provata dalla banca, poteva comunque essere dedotta da talune circostanze di fatto come, ad esempio, il breve lasso di tempo intercorso tra il furto e la prima operazione fraudolenta, elemento che lascia infatti intendere che carta e pin fossero conservati unitamente o, comunque, che il secondo fosse facilmente individuabile35. Altra posizione invece, invece, era nel senso di ritenere che, a prescindere dalla corretta conservazione di carta e pin, il cliente rispondesse per intero delle operazioni fraudolente nel caso in cui avesse omesso di denunciare tempestivamente il furto o lo smarrimento della carta36 ovvero avesse sporto una denuncia poco circostanziata in ordine soprattutto alla data e al luogo in cui si era verificato l’evento37. La grave violazione dell’obbligo di comunicazione immediata del furto o dello smarrimento della carta, infatti, «disattiva il peculiare modello di riparti-
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V. Coll. Napoli, dec. n. 190/2010. Come più volte ribadito dall’ABF, è norma di comune esperienza che il codice pin sia necessario per il corretto impiego della carta. È altresì fatto noto che non possa imporsi all’utilizzatore la memorizzazione dello stesso, anche in ragione del fatto che gli strumenti della tecnica a disposizione delle persone sono sempre più connessi alla digitazione di codici identificativi, per cui è improponibile richiedere che vengano tenuti tutti a mente, senza la possibilità di poterli registrare su un supporto, purché non immediatamente associabile allo strumento di pagamento. In altri termini, non può considerarsi diligente esclusivamente colui che memorizzi tutti i codici di cui dispone, compreso quello per l’utilizzo della carta; mentre non appare “abnorme”, né tantomeno “inescusabile”, il comportamento di chi conserva il codice – con le opportune cautele – nello stesso contenitore della carta; cfr., per tutte, Coll. Milano, dec. n. 2118/2011; Coll. Milano, dec. n. 50/2010. 36 Cfr. Coll. di Milano, dec. n. 492/2010. 37 Così, Coll. di Milano, dec. n. 171/2010. 35
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zione del rischio da prelievi fraudolenti, delineato nel contratto»38. Il Collegio di coordinamento è intervenuto per chiarire quale sia la portata degli obblighi incombenti sull’utilizzatore di uno strumento di pagamento al fine di verificare l’eventuale violazione degli stessi e i conseguenti criteri di imputazione delle relative responsabilità. Nonostante il dato letterale della legge non fosse di ausilio sul punto, l’organismo decidente ha affermato che la mancata adozione delle idonee misure di sicurezza dei codici debba integrare anch’essa un comportamento doloso o gravemente colposo39. 5.1. Furto, smarrimento e utilizzo fraudolento di carte di credito. Nell’ipotesi di disconoscimento di operazioni a seguito di furto di una carta di credito, è consolidato l’orientamento dei Collegi secondo cui «i pagamenti con carta di credito sono opponibili al titolare solo se la firma apposta in calce ai relativi scontrini di spesa sia riconducibile al medesimo», avendo la firma «l’effetto di delegare l’emittente (delegato) a pagare una determinata somma all’esercente (delegatario)»40. In sostanza, «non essendo dimostrata la sussistenza del necessario iussum delegatorio per ogni operazione contestata, per essere la sottoscrizione in calce a ciascuna nota di spesa ictu oculi difforme da quella del titolare, l’addebito deve essere stornato per intero (...)», non potendo essere imputate al ricorrente le prestazioni di pagamento disconosciute. In alcuni casi, tuttavia, in considerazione della circostanza della tardiva richiesta di blocco della carta, è stato ritenuto che il ricorrente dovesse sopportare la perdita derivante dal furto dello strumento di pagamento in misura pari alla franchigia prevista (di € 150) essendo le operazioni state effettuate anteriormente al blocco della stessa (ai sensi dell’art. 12, co. 3, d.lgs. n. 11/2010)41. Con riferimento ad operazioni effettuate online e all’insieme degli obblighi che gravano su prestatore e utilizzatore al fine di stabilirne il relativo regime di responsabilità (in particolare, v. artt. 7 e 8 del d.lgs. n. 11/2010),
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Cfr. Nardi, a cura di, Carte di credito e carte di debito. Phishing, in II primo anno di attività dell’Associazione nell’ambito delle procedure di ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario, Conciliatore Bancario, Roma, 16 dicembre 2010, p. 24. V. anche Coll. Napoli, dec. n. 2166/2016; n. 2179/2016. 39 A conferma di questo orientamento, v. più di recente (tra le tante), Coll. Napoli, dec. nn. 1407/2016; 1584/2016; 1593/2016; 2179/2016. 40 Così, fra le altre, Coll. Milano, n. 4715/2014; Coll. Milano, n. 8636/2014. 41 Così, ad esempio, Coll. Napoli, n. 607/2016.
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la legge impone all’emittente di dimostrare che l’operazione oggetto di contestazione sia avvenuta e registrata in maniera regolare e senza anomalie (art. 10), posto che il mero utilizzo di uno strumento di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dal cliente (art. 11). Sulla base del dato normativo, dunque, non si ritiene sufficiente che l’intermediario si limiti ad asserire che l’operazione sia avvenuta mediante la digitazione delle credenziali di sicurezza previste. Più specificamente, «non appare sufficiente a ricondurre l’effettuazione delle transazioni al legittimo titolare della carta la circostanza che le stesse abbiano avuto luogo tramite il sistema “3D Secure”42», il quale impone all’utilizzatore di inserire, a seguito dei codici riportati sulla carta di pagamento, un’ulteriore password scelta dall’utente e periodicamente modificata. Tuttavia, tale password è “statica” ed il titolare della carta inoltre non sempre è obbligato a richiedere l’attivazione del sistema43. Pertanto, in assenza di ulteriori elementi fattuali o in diritto atti a dimostrare l’utilizzo indebito da parte del ricorrente, deve ritenersi che l’operazione sia da considerarsi fraudolenta, senza alcuna responsabilità dell’utilizzatore, con conseguente obbligo di restituzione del controvalore della stessa44 (v. infra sulle problematiche relative all’operatività online degli strumenti di pagamento). Infine, deve ritenersi che non sia configurabile alcuna responsabilità dell’utilizzatore a causa della mancata attivazione del servizio di SMS alert (seppure contrattualmente previsto). Sul punto, il Collegio di coordinamento ha affermato che siffatto servizio costituisce soltanto una tutela ex post che, come tale, non esonera l’intermediario dall’approntare i presidi di protezione più avanzati, atti a prevenire il compimento dell’operazione fraudolenta. Inoltre, l’efficienza del servizio di SMS alert dipende da una serie di variabili che possono sfuggire al controllo dell’utente, «in parte presupporrebbero una condotta talora obiettivamente inesigibile, ossia la costante e ininterrotta sorveglianza del proprio cellulare (si pensi al solo caso in cui l’utente, per libera scelta o per necessità, abbia il telefono spento nel momento in cui perviene il messaggio e non lo riaccenda se non in un momento successivo nel quale la segnalata operazione irregolare non potrebbe comunque più essere impedita) (...)»45.
42
Sono i noti protocolli SecureCodeMastercard e Verified by Visa. Tra le tante, v., Coll. Napoli, dec. n. 2687/2014; id., n. dec. n. 8006/2014. 44 Cfr. Coll. Napoli, dec. n. 174/2016. 45 Cfr. Coll. coordinamento, dec. n. 3498/2012; in termini, da ultimo, Coll. Napoli, dec. n. 174/2016. 43
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6. Mancata o imprecisa erogazione di contante presso ATM. In via generale, l’ABF ha ribadito più volte che sono opponibili al cliente le operazioni effettuate con la digitazione dei codici in suo possesso – indipendentemente da chi effettivamente le abbia disposte – poiché nell’utilizzo dei servizi telematici il cliente viene identificato esclusivamente mediante la verifica dei codici di sicurezza che gli sono stati assegnati. Con particolare riferimento ai dispositivi automatici di erogazione di banconote (ATM), nel caso di contestazioni relative all’importo effettivamente erogato, le risultanze informatiche delle registrazioni effettuate dalle apparecchiature presso le quali sono state eseguite le operazioni stesse sono opponibili al titolare della carta, qualora dal giornale di fondo non risulti alcuna anomalia e la prima quadratura di cassa eseguita sull’ATM non evidenzi eccedenze46. In relazione alle problematiche generali connesse al servizio e, in particolare, ad eventuali malfunzionamenti delle apparecchiature ATM, coesistono due diversi orientamenti. Da un lato, i Collegi di Milano e Napoli, conformandosi alla giurisprudenza Ombudsman, riconoscono al giornale di fondo dell’ATM piena efficacia probatoria nei confronti del cliente47. Dall’altro, il Collegio di Roma che limita la valenza probatoria di tali registrazioni relegandola alla stregua dei libri contabili nei rapporti tra imprenditori48.
7. Il disconoscimento di operazioni di pagamento online non autorizzate. Con riferimento alla cospicua casistica relativa alla prestazione di servizi di pagamento online, va detto, anzitutto, che secondo i Collegi ABF rilevano due tipologie di obblighi: a) quelli del cliente di diligenza e custodia dello strumento di pagamento che debbono estendersi a tutto ciò che rientri nella sua sfera di controllo per impedire fenomeni fraudolenti. In particolare, l’utilizzatore ha l’obbligo di diligente custodia della carta e dei codici identificati-
46 Cfr. Banca d’Italia, Sintesi dell’attività svolta dall’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) al 31 marzo 2010, p. 4. 47 V. Coll. Milano, dec. n. 155/2010. 48 Cfr. Nardi, Carte di credito, cit., p. 25.
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vi, dovendo anch’egli essere consapevole della delicatezza dei mezzi telematici e della possibilità che siano realizzate frodi di varia natura attraverso tale modalità di utilizzo dei servizi di pagamento49. Il cliente, in sostanza, deve sempre attuare le cautele necessarie nei confronti di tutte le richieste anomale di fornire o digitare i codici identificativi e dispositivi personali; b) d’altro canto, l’intermediario, nell’offrire servizi di pagamento, deve adempiere il proprio compito di custodia dei patrimoni dei clienti impiegando la diligenza “professionale e qualificata” richiesta dall’art. 1176, co. 2, c.c. predisponendo misure di protezione adeguate rispetto agli standard esistenti, anche sotto il profilo dei presidi tecnici adottati50 (v. artt. 10 ss. d.lgs. n. 11/2010). Secondo orientamenti consolidati della giurisprudenza ordinaria, la diligenza che l’intermediario deve impiegare nel consentire al cliente l’utilizzo di strumenti di pagamento online, deve avere riguardo non solo all’attività di esecuzione di contratti bancari in senso stretto, ma deve anche essere «in relazione ad ogni tipo di atto od operazione che sia comunque oggettivamente esplicato presso una struttura bancaria e soggettivamente svolto da un funzionario della stessa. Diligenza che va valutata, non alla stregua di criteri rigidi e predeterminati, ma tenendo conto delle cautele e degli accorgimenti che le circostanze del caso concreto suggeriscono»51. Vi sono, tuttavia, ipotesi in cui la violazione degli obblighi di diligenza da parte dell’intermediario non vale ad escludere la colpa concorrente del cliente, ex art. 1227 c.c.52. Laddove quest’ultimo non dimostri di avere custodito con la necessaria diligenza i codici di accesso al conto online, è ragionevole ritenere che una condotta più
49
Anche nella forma del c.d. phishing; v. artt. 7 ss. d.lgs. n. 11/2010. Sul punto v., anche Cass., 12 giugno 1996, n. 5409; Cass., 24 settembre 2009 n. 20543; sul consolidato orientamento dell’ABF, v. ex multis, Coll. Milano, dec. n. 87/2010; Coll. Napoli, dec. n. 688/10; Coll. Milano, dec. n. 1407/2010. I Collegi ABF hanno affermato la responsabilità dell’intermediario, ad esempio, per non avere predisposto sistemi automatici di blocco delle operazioni anomale realizzate tramite internet (sono da ritenersi anomale, tra l’altro, una serie di ricariche telefoniche su numeri diversi, per un importo elevato, nel giro di poche ore), ovvero nel caso in cui non era stato adottato un “terzo livello” di protezione come le serie numeriche casuali generate da dispositivi automatici, ovvero per non avere previsto l’invio di sms di avviso dell’esecuzione dell’ordine; in argomento, v. anche Banca d’Italia, Sintesi dell’attività, cit., p. 4 s. 51 V., per tutte, Cass., sez. I, 24 settembre 2009 n. 20543; ma anche Cass., sentenze nn. 13777/07, 11382/02, 6756/01. 52 Cfr. Coll. Milano, dec. n. 46/2010; n. 87/10; Coll. Roma, dec. n. 33/2010. 50
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accorta avrebbe impedito il verificarsi dell’evento dannoso. Circa la valutazione del sistema di sicurezza del prestatore, va fatto riferimento altresì agli standard indicati dalla Banca d’Italia nelle disposizioni attuative del d.lgs. n. 11/2010 (in particolare, del Titolo II). Come richiesto dal c.d. schema di “conformità estesa”, l’intermediario deve adottare per l’operatività online una metodologia a due fattori, scelti fra i seguenti tre: qualcosa che l’utente conosce (ad esempio, password/pin); qualcosa che l’utente possiede (es.: smart card, token, one time password, sim cellulare, ecc.); qualcosa che l’utente è (ad esempio, caratteristiche biometriche)53. Gli elementi di autenticazione, inoltre, devono essere tra loro indipendenti di modo che la compromissione dell’uno non pregiudichi anche l’altro fattore. Inoltre, a prescindere dagli accorgimenti tecnici di protezione, il documento prevede, altresì, che le transazioni siano continuativamente monitorate per riscontrare eventuali anomalie che possano essere indice di attività illecite di frode o riciclaggio. Per altro verso, la predisposizione da parte dell’intermediario di presidi di sicurezza “parziali”54 o “facoltativi” richiede anzitutto un’adeguata e riscontrabile informazione ai clienti. Sistemi non obbligatori, difatti, evitano di rendere cogente e operativo un livello di protezione che risulterebbe invece idoneo ad evitare accessi fraudolenti55. Sarebbe opportuno che gli intermediari, al fine di esonerarsi dalla responsabilità per eventuali operazioni non autorizzate, rendessero obbligatoria e gratuita l’adesione ai vari sistemi di preavviso connessi ai servizi di pagamento (quali sms alert, e-mail alert e simili). In sostanza, i Collegi ABF pongono l’accento sulla necessaria presenza di una componente “dinamica” del sistema di sicurezza, sollecitazione a cui alcuni intermediari hanno risposto aggiungendo talora meccanismi decontestualizzati dall’ambito informatico/digitale (quali, ad esempio, la conferma scritta per i bonifici online inviata mediante un “tradizionale” fax al termine della procedura in rete). 7.1. (Segue). Distribuzione del rischio e onere della prova nelle operazio-
53 Sebbene le modalità “non hardware” di generazione delle One Time Password siano riportate conclusivamente nella elencazione di cui al documento citato, va evidenziato come esse offrano, evidentemente, minori garanzie di sicurezza. 54 Ossia riguardanti solo determinate operazioni di pagamento quali, ad esempio, ricariche online, pagamento di utenze e così via. 55 Sul punto, v. Coll. Napoli, dec. del 29/11/2011; Coll. Milano, dec. n. 1411/2011.
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ni contestate. Una delle questioni più delicate ai fini della soluzione dei casi di utilizzo fraudolento di strumenti di pagamento attiene, come si è detto, alla distribuzione del rischio e all’onere della prova, anche nelle operazioni realizzate tramite un conto corrente con funzionalità online. Si rinvenivano sovente, nelle condizioni contrattuali degli intermediari, anacronistiche disposizioni relative alla prestazione del servizio di internet banking, secondo cui erano rimesse a carico del cliente le conseguenze dannose rivenienti dall’utilizzo illegittimo dei codici. È evidente come queste formulazioni negoziali non offrissero adeguata soluzione al problema della distribuzione del rischio tra i contraenti e delle responsabilità connesse agli eventuali utilizzi fraudolenti dello strumento di pagamento (come segnalato ampiamente anche dalla dottrina che si è occupata del tema)56. Tali disposizioni delineano, infatti, uno schema piuttosto articolato in cui il confine tra la responsabilità del cliente e quella della banca è segnato da due elementi: la tempestiva notifica all’emittente della perdita o del furto della carta e/o dei codici personali, oltre che di addebiti erronei, non autorizzati o di ogni altra irregolarità nella gestione del conto, da un lato; la “colpa” (di fatto, presunta) dell’utente nella custodia dei codici, dall’altro. Trattandosi, inoltre, di responsabilità contrattuale l’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento, ad avviso dei Collegi ABF, grava sull’intermediario che con il contratto ha assunto l’obbligo di garantire al proprio cliente il corretto svolgimento del servizio. Non sarebbe, infatti, di alcun ausilio in chiave di riscontro probatorio, come si è già detto, la mera affermazione che le operazioni eventualmente disconosciute siano avvenute previa corretta utilizzazione dei dati identificativi57. Tale circostanza, infatti, non autorizza a ritenere che la frode sia riconducibile ad un comportamento, commissivo od omissivo, del titolare dello strumento di pagamento e ad integrare quindi le ipotesi di dolo o colpa grave, di cui al d.lgs. n. 11/2010, necessarie per imputare al cliente le operazioni disconosciute58.
56
Si v. le indicazioni infra note 5 ss. Ossia user-id, password, numero e scadenza della carta, codice di sicurezza (CVV2). 58 Così, sul punto, Coll. Roma, dec. n. 561/2010. 57
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8. Il fenomeno del phishing. Si assommano sotto l’espressione “phishing” i variegati casi di furto di identità, realizzati attraverso l’appropriazione fraudolenta di codici o password identificativi del cliente in rete allo scopo di conseguirne indebiti vantaggi. Cruciale, in questa (sempre più invasiva e insidiosa) tipologia di frode, è stabilire se l’intermediario abbia adottato tutte le cautele e i presidi idonei, secondo la migliore tecnica disponibile, a garantire la massima sicurezza del servizio offerto59. Sulla scia dell’indirizzo consolidato secondo cui la diligenza richiesta all’intermediario ha natura tecnica e deve essere valutata secondo i rischi tipici della sfera professionale di riferimento, assumendo come parametro la figura dell’“accorto banchiere”60, i Collegi ABF hanno sancito la responsabilità dell’intermediario nei casi in cui, all’epoca del fatto, la tecnologia avesse già messo a disposizione misure di sicurezza più raffinate e affidabili, seppur costose, di quelle in concreto adottate, e capaci di offrire al cliente una protezione maggiore61. Le decisioni dell’ABF pur propendendo inizialmente per una soluzione delle liti improntata alla rigorosa applicazione dei principi in tema di onere della prova e diligenza del mandatario, al contempo, hanno ravvisato talora un concorso di colpa tra la parte ricorrente, per incauta custodia dei codici di accesso al proprio servizio di home banking, e l’intermediario, per non aver attivato strumenti di tutela idonei ad evitare l’uso fraudolento del servizio. Numerosi ricorsi, pertanto, si sono conclusi in senso favorevole al cliente, anche se talora con condanne della banca parziali e parametrate all’incidenza della relativa responsabilità in ordine agli accadimenti contestati62. Per altro verso, appellandosi all’art. 1856 c.c. che estende all’operato della banca le regole del mandato63, l’ABF ha ritenuto che, quand’anche
59 Amplius sul tema, v. Rispoli Farina, Responsabilità degli intermediari bancari e finanziari e sistemi di internet banking: aggressione informatica e protezione del cliente, in Innovazione e diritto (www.innovazionediritto.it), 2014, 6, p. 166 ss. 60 V. Cass., 12 giugno 2007, n. 13777; Cass., civ., 7 marzo 2003, n. 3389; Cass., 31 luglio 2002, n. 11382. 61 Tra le tante, v. Coll. Roma, dec. n. 33/2010; v. Consolo e Stella, L’“Arbitro Bancario Finanziario” e la sua “giurisprudenza precognitrice”, in Società, 2013, 2, p. 203 s. 62 V., per tutte, Coll. Milano, dec. n. 46/2010. 63 Più specificatamente, all’art. 1710 c.c. in tema di diligenza del mandatario e all’art. 1176 c.c. in tema di diligenza professionale.
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il cliente abbia ammesso di aver risposto incautamente ad una mail apparentemente proveniente dall’intermediario in cui gli venivano richieste le credenziali di accesso al conto online, la banca sia comunque tenuta a rifondere le somme sottrattegli, ove non abbia adempiuto con la diligenza richiesta dal proprio mandato64. Ciò implica, proprio in ragione della peculiarità del servizio offerto, l’adozione da parte della banca dei più avanzati presidi di sicurezza, tra quelli tecnologicamente disponibili, che garantiscano un’effettiva protezione del cliente65. Va evidenziato, altresì, l’ulteriore orientamento dei Collegi ABF secondo il quale nessuna responsabilità può essere imputata alla banca per eventuali operazioni fraudolente che si sarebbero potute evitare ove il cliente si fosse avvalso degli strumenti di maggior tutela offertigli, ancorché a pagamento66. Orientamento poi sostanzialmente abbandonato a seguito delle citate decisioni del Collegio di coordinamento67. Richiamando, invece, i principi in tema di onere della prova, l’ABF ha ritenuto che il rischio di frode informatica mediante phishing non possa essere posto a carico del cliente, a meno che la banca non dimostri che sia al medesimo imputabile un difetto di prudenza o di diligenza nella conservazione e custodia dei propri dati personali. Negligenza che, peraltro, non può essere dedotta dalla semplice constatazione che le operazioni fraudolente siano state disposte con l’utilizzo delle apposite credenziali. È necessario quindi che la banca dimostri un’effettiva condotta “gravemente” impropria dell’utilizzatore, controdeducendo anzitutto rispetto all’asserita adeguata protezione degli apparati informatici e all’assenza di qualsivoglia responsabilità circa la divulgazione dei suoi dati personali68.
64
Cfr. Nardi, Carte di credito, cit., p. 55. V. Coll. Roma, dec. n. 33/2010. 66 Quali, per esempio, il c.d. token ovvero il servizio di sms alert. Sul punto v. Coll. Napoli, dec. n. 277/2010; Coll. Milano, dec. n. 514/2010. Sempre appellandosi al principio della diligenza nell’esecuzione del mandato, l’ABF ha ritenuto inadempiente la banca che non aveva predisposto adeguati sistemi di alert per bloccare il conto in presenza di una serie di operazioni fraudolente che, per tipologia e tempistica, dovevano apparire come anomale, ovvero non aveva tempestivamente avvisato il cliente di eventuali irregolarità riscontrate nel sistema; v. Coll. Milano, dec. n. 178/2010; Coll. Roma, dec. n. 203/2010. 67 V. supra par. 5.1; cfr. Coll. coordinamento, dec. n. 3498/2012; Coll. Napoli, dec. n. 174/2016. 68 V. Coll. Roma, dec. n. 289/2010; sul punto, cfr. Nardi, Carte di credito, cit., p. 56. 65
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9. Applicazione della franchigia ai rimborsi delle operazioni disconosciute dal cliente. Al di là delle ipotesi in cui l’utilizzatore si renda autore di comportamenti contrari ai presidi di sicurezza espressamente stabiliti dall’art. 7 del decreto n. 11/2010, la sua responsabilità è oggettiva e circoscritta nei limiti della “franchigia” (art. 12, co. 3). Si tratta, dunque, di un criterio rigido che espone, in via ordinaria, l’utilizzatore a sopportare il danno conseguente all’utilizzo fraudolento di uno strumento di pagamento smarrito o sottratto, avvenuto prima della comunicazione all’intermediario, per un importo fisso di 150 €, salvo però che la sua condotta sia inficiata da dolo o colpa grave. Sull’applicazione di questa norma, i Collegi territoriali dell’ABF hanno assunto orientamenti sensibilmente divergenti con conseguente impatto diversificato sul grado di effettività dei rimedi predisposti dal d.lgs. n. 11/2010 in punto di tutela risarcitoria dell’utilizzatore. Il Collegio di Roma69 ha ritenuto che l’ammontare dell’importo previsto dalla norma dovesse essere determinato caso per caso sulla base dei seguenti criteri: la proporzione con l’entità della somma illecitamente sottratta (in particolare, su una somma esigua, di poche centinaia di euro, la franchigia da dedurre non dovrebbe comunque raggiungere la soglia massima); il grado di compartecipazione colposa dell’utilizzatore nella produzione del fatto illecito; il livello di negligenza dell’intermediario70. Più specificamente, premesso che l’utilizzatore di servizi di pagamento è tenuto ad effettuare un monitoraggio periodico dei propri conti, finalizzato ad accertare eventuali operazioni non autorizzate71, risulta determinante la tempestività con cui il cliente rilevi l’operazione contestata provvedendo a informare l’intermediario e a bloccare lo strumento di pagamento. Il Collegio di Roma ne ricava altresì che, valutando e contemperando i suddetti criteri, si può giungere ad escludere l’applicazione della franchigia, persino ove sia espressamente richiamata dalle disposizioni contrattuali72.
69
Cfr. Coll. Roma, dec. n. 1412/2012. Per una ulteriore esplicitazione dei criteri sopra indicati, con particolare riguardo alla possibilità di “graduare” l’importo della franchigia, v. ancora Coll. Roma, dec. n. 1412/2012. 71 V., fra le tante, Coll. Roma, dec. n. 2301/2012 e n. 214/2012. 72 Ne è un esempio il caso in cui il Coll. Roma ha ridotto a 75 € la franchigia a carico del cliente basandosi sulla considerazione della frequenza con cui l’intermediario 70
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Gli altri Collegi territoriali73, all’opposto, hanno sempre applicato la franchigia per l’intero importo, a meno che non fossero dimostrate violazioni dei doveri posti dalla legge o dal contratto a carico dell’intermediario. Tuttavia, in tali casi l’applicazione della norma finisce per sfumare nel più generale accertamento degli obblighi restitutori dell’intermediario derivante dall’esito positivo del ricorso per l’utilizzatore. Su questi profili di difformità decisionale è intervenuto il Collegio di coordinamento il quale ha precisato, anzitutto, che la struttura del procedimento dinanzi all’ABF non consente l’emersione di tutte le circostanze di fatto che permetterebbero una graduazione della franchigia secondo criteri oggettivi. Dal che deriverebbe la necessità – più che l’opportunità – di attenersi ad un importo fisso, eguale per tutti i ricorrenti, importo che non può che coincidere con quello indicato dalla legge74. Altro elemento che depone a favore della determinazione di un parametro in misura fissa è di natura testuale dato che, di regola, il concetto di “franchigia” non prevede graduazioni di sorta, individuando in termini patrimoniali la parte di danno che rimane a carico di uno dei contraenti75. V’è altresì un argomento teleologico riguardante la disciplina sui servizi di pagamento nel suo complesso. Se, per un verso, è chiaro che la normativa miri ad incentivare l’utilizzo degli strumenti di pagamento tra i consumatori, al tempo stesso impone loro l’uso di condotte diligenti che impediscano abusi ad opera di terzi; ne consegue che, fatte salve le ipotesi di dolo o colpa grave, la circostanza che essi rispondano del danno in via limitata e “predeterminata” (in 150 €) enfatizza lo scopo di “socializzazione del rischio” che la franchigia è destinata ad assolvere76.
convenuto è coinvolto in vertenze dello stesso genere (Coll. Roma, dec. n. 2141/2013). In altra decisione, invece, ha fissato la franchigia a 100 € tenendo conto del fatto che il cliente ha concorso, sia pure incorrendo inconsapevolmente in una frode informatica, alla causazione del danno, così, Coll. Roma, dec. n. 709/2013. 73 V., ex multis, Coll. Milano, dec. n. 1176/2013. 74 Cfr. Coll. coordinamento, dec. n. 6168/13; dec. n. 6170/13. 75 Sul significato del termine si v. Dizionario di Economia e Finanza Treccani, 2012 (www.treccani.it). In considerazione dei profili di analogia funzionale della fattispecie qui considerata con l’ambito assicurativo, si rinvia altresì alle considerazioni di Galanti, Assicurazione obbligatoria e self-insurance possono coesistere? Alcuni spunti da giurisprudenza e prassi, intervento al Convegno Cesifin-Aida Toscana “Autoassicurazione e gestione del rischio” Firenze, 30 gennaio 2015 (reperibile in www.cesifin.it), passim; e di Russo, Osservazioni in tema di franchigia aggregata, in Assicur., 2003, I, p. 17 ss. 76 Cfr. Coll. coordinamento, dec. n. 6170/2013; Coll. Napoli, dec. n. 2179/2016.
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Con riguardo all’addebito della franchigia, l’art. 12, co. 3, d.lgs. n. 10/2010 dispone espressamente che l’utilizzatore di uno strumento di pagamento può sopportare le conseguenze economiche dell’utilizzo indebito della propria carta avvenuto prima della comunicazione all’emittente circa l’uso non autorizzato, ai sensi del precedente art. 7, co. 1, lett. b). Mentre, casi in cui l’attivazione di servizi gratuiti di alert (dedotti in contratto) dispensi il cliente dalla detrazione della franchigia in caso di tempestiva comunicazione all’intermediario dell’operazione disconosciuta, la mancata attivazione degli stessi – alla luce dello schema normativo di ripartizione delle responsabilità e delle disposizioni contrattuali – «determina l’attribuzione del rischio in capo al ricorrente e la conseguente legittima applicazione della franchigia»77. Infine, il Collegio di coordinamento ha evidenziato che, nelle ipotesi in cui l’intermediario è tenuto a restituire le somme corrispondenti alle operazioni fraudolente, il rimborso deve qualificarsi come obbligazione pecuniaria avente natura meramente restitutoria – e non risarcitoria – con la conseguenza che il decorso degli interessi deve partire dal reclamo del ricorrente, inteso quale atto formale di messa in mora da parte del creditore della prestazione78.
10. Clonazione di strumenti di pagamento. Altra fattispecie problematica – e spesso invocata dagli utilizzatori quale elemento causale della frode subita – attiene alla “clonazione” degli strumenti di pagamento. Anche in questa tematica, l’intervento del Collegio di coordinamento – in ragione delle diverse soluzioni adottate nel tempo dai Collegi territoriali – può inquadrarsi in quell’ottica di riequilibrio delle posizioni contrattuali, reso opportuno dal marcato favor legislativo per l’utilizzatore, di cui si è detto. In linea generale, quanto alla richiesta risarcitoria fondata sulla presunta clonazione dello strumento di pagamento, l’ABF ritiene resti fermo il principio generale (ex art. 2697 c.c.) secondo cui chi vanta un diritto deve provare i fatti costitutivi posti a fondamento della sua pretesa, spettando dunque al cliente fornire, sia pure in via presuntiva, elementi
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Così, Coll. Napoli, dec. n. 174/2016. Cfr. Coll. coordinamento, dec. n. 6170/2013; dec. n. 5304/2013.
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atti a corroborare quanto sostenuto79. Ne deriva che non può ritenersi soddisfatto tale onere della prova nel caso in cui il cliente si limiti a dedurre l’avvenuta clonazione dello strumento di pagamento senza null’altro aggiungere o dimostrare. Del pari, anche agli intermediari è richiesta un’adeguata allegazione probatoria per confutare l’eventuale avvenuta clonazione non ritenendosi sufficiente, come più volte ribadito, la mera dichiarazione circa le caratteristiche tecniche dello strumento o l’avvenuto utilizzo dei codici dispositivi80. Ad avviso dei Collegi ABF, nell’imputazione dei profili di responsabilità, possono incidere anche eventuali condotte “negligenti” del cliente nella custodia della carta e dei codici, comportamenti che possono liberare l’intermediario dalla presunzione di responsabilità derivante dalla legge81. Sul punto, l’ABF ha escluso che i prelievi disconosciuti dal titolare della carta possano essere ricondotti a ipotesi di clonazione nel caso in cui siano intervallati o seguiti da operazioni non contestate. La ragione risiede nel fatto che il sistema di sicurezza assegna ad ogni prelievo un numero casuale la cui consequenzialità viene controllata ad ogni successivo prelevamento82. Va ricordato, infatti, che gli apparati di sicurezza prevedono l’aggiornamento di codici e massimali sulla carta ad ogni transazione effettuata, dati che vengono verificati dal sistema all’atto del prelievo immediatamente successivo, producendo il blocco automatico dello strumento in caso di non coincidenza delle informazioni. Quanto alle divergenze decisionali, il Collegio di Milano, ad esempio, ha ritenuto dirimente la circostanza che la carta fosse corredata di microchip di ultima generazione, elemento che renderebbe «tecnicamente e statisticamente remota e trascurabile la possibilità di clonazione», la cui prova deve pertanto essere fornita dal ricorrente83. Questo assunto è condiviso dal Collegio di Napoli, secondo cui l’adozione della tecno-
79
In tal senso, Coll. Napoli, dec. n. 1523/2011. V. anche Coll. Milano, dec. nn. 1158/2010; 633/2011; 1114/2011; 11/2013; Coll. Napoli, dec. nn. 1523/2011; 2098/2016. 81 V. fra le altre, Coll. Napoli, dec. n. 1523/2011. 82 V., per tutte, Coll. Napoli, dec. n. 314/10. 83 Così, Coll. Milano, dec. n. 561/2013; andando ad esaminare le caratteristiche delle operazioni oggetto di ricorso, lo stesso Coll. Milano ha ritenuto di poter escludere la clonazione della carta in caso di: prelievi effettuati presso ATM abitualmente utilizzati dal titolare della carta; prelievi di importo inferiore al plafond della carta; prelievi effettuati in una sequenza temporale riconducibile ad un normale utilizzo del servizio; assenza di tentativi di prelievo successivi al blocco: cfr. dec. n. 41/2010; e dec. n. 154/2010. 80
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logia a microchip, allo stato attuale delle conoscenze, esclude in radice ogni possibilità di clonazione84. Di diverso avviso (era) il Collegio di Roma, per il quale è l’intermediario a dover provare di aver adempiuto agli obblighi contrattuali di custodia e salvaguardia del denaro del cliente con la diligenza dell’accorto banchiere. L’onere, pertanto, non può considerarsi assolto dall’intermediario qualora questi si limiti ad escludere la clonabilità delle carte a microchip e a presumere la custodia negligente da parte del cliente. Il Collegio di Coordinamento85 – stavolta con un approccio meno tranchant rispetto a quanto avvenuto per la franchigia – ha affermato che anche nei casi di lamentata clonazione di una carta «la presenza di un comportamento gravemente colpevole dell’utente deve essere provata dal fornitore del servizio», sebbene la prova possa essere fornita anche in via presuntiva. Viene ripreso, in sostanza, lo stesso approccio ermeneutico utilizzato per determinare la colpa grave dell’utilizzatore. Dunque, l’impiego della tecnologia a microchip rende l’ipotesi della clonazione, se non di impossibile evenienza, almeno altamente improbabile, facendo ritenere che l’operazione disconosciuta non possa che essere ricondotta ad una conservazione “molto distratta” della carta e dei codici. Resta salva però la possibilità che l’utente fornisca la prova di circostanze tali da far ritenere quanto meno plausibile l’evenienza che la carta sia stata clonata. Come si può agevolmente notare, dunque, il decisum del Collegio di coordinamento sembra, per qualche verso, far “sopravvivere” ancora margini di discrezionalità decisionale per i Collegi territoriali. È evidente, anche in questo caso, che la portata dell’inversione dell’onere della prova a carico dell’intermediario all’atto del mero disconoscimento di operazioni da parte dell’utilizzatore subisce un netto ridimensionamento in ragione della circostanza che lo strumento di pagamento utilizzato possieda una determinata connotazione tecnica (il microchip) la quale, allo stato attuale delle conoscenze, pare rendere altamente improbabile il verificarsi di frodi per il tramite della clonazione dello strumento medesimo.
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Nardi, Carte di credito, cit., p. 23; in senso conforme a tale orientamento, v. Coll. Milano, dec. n. 3740/2012; n. 959/2011; n. 1114/2011; n. 368/2012; Coll. Napoli, dec. n. 255/2012. 85 Cfr. dec. n. 897/2014; 991/2014; 3947/2014; orientamento decisionale su cui v., più di recente, Coll. Napoli, dec. n. 1109/2016.
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11. La perizia sulle carte di debito per conto dei marchi “Bancomat” e “Pagobancomat”. Le conclusioni appena prospettate sono state in parte confermate da una perizia effettuata dal Politecnico di Torino per conto del gestore del circuito delle carte di debito86. I risultati dell’analisi possono essere così riassunti: data una carta Bancomat smarrita o rubata non risulta possibile – con risorse e tempi limitati – riuscire ad estrarne il pin contenuto nel chip. L’operazione è teoricamente possibile, ma richiede un laboratorio molto sofisticato (chimico ed elettronico) e, quindi, ha un costo considerevolmente elevato (centinaia di migliaia di euro) e richiede comunque tempi lunghi (parecchie ore o giorni), incompatibili col riuso della carta prima della denuncia di perdita del possesso da parte del titolare. Lo stesso tipo di laboratorio (e quindi analoghi tempi e costi) è necessario nel caso in cui si cerchi di clonare un qualsiasi altro strumento di pagamento con analoghe caratteristiche. Risulta, però, possibile conoscere il pin associato ad una carta manomettendo un terminale per “catturare” il codice durante la sua introduzione (ad esempio, tramite una sovra-tastiera, oppure osservando con una microtelecamera la digitazione del codice). È però poi necessario il furto della carta ed in ogni caso è possibile verificare l’effettiva manomissione dei terminali su cui è stato usato lo strumento prima di una transazione sospetta o disconosciuta. In letteratura sono noti, altresì, alcuni “attacchi” che permettono di usare una carta rubata senza conoscerne il pin oppure pre-generare una serie di codici autorizzativi durante un normale pagamento su un pos manomesso e, quindi, farli trasmettere da una carta falsificata. Tuttavia, tali ipotesi hanno una valenza più teorica che pratica e, pertanto, l’uso di una carta di debito dotata di tecnologia a microchip senza conoscerne il codice appare nella pratica, e allo stato delle attuali conoscenze tecniche, non realizzabile87.
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Cfr. Consorzio Bancomat, Circolare ABI n. 15/2013, 15 novembre 2013. In questi termini, le conclusioni di cui alla perizia Consorzio Bancomat, Circolare n. 15/2013, cit. 87
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12. Alcune notazioni conclusive. La capillare e approfondita attività decisionale dei Collegi ABF ha consentito, in definitiva, di superare alcune “rigidità” applicative legate al regime di attribuzione delle responsabilità di operazioni di pagamento non autorizzate introdotto dalla PSD e dalle normative nazionali di attuazione; regime che, soprattutto in una prima fase, veniva considerato vessatorio “a contrario” dagli intermediari che vedevano imputarsi qualsivoglia utilizzo fraudolento di strumenti e servizi di pagamento all’atto della mera contestazione da parte degli utilizzatori, risultando di estrema difficoltà la produzione della prova contraria. È evidente, pertanto, come gli orientamenti decisionali dell’ABF, ormai pacifici e consolidati, abbiano prodotto un effetto “conformativo” sul mercato dei sistemi di pagamento in una duplice ottica, applicativa e fattuale: a) sul piano specificamente applicativo, hanno fornito una chiave interpretativa delle norme in questione diretta ad attenuare i vincoli di un regime di imputazione delle condotte fraudolente che risultava forse (troppo) sbilanciato in favore della parte “debole” del rapporto negoziale; b) per altro verso, e soprattutto, il cospicuo flusso decisionale dei Collegi ABF ha di fatto “condizionato” le condotte soggettive delle parti coinvolte nella prestazione di servizi di pagamento, nel senso che ha indotto gli intermediari, da un canto, a dotarsi di sistemi di sicurezza adeguati e ad agire secondo i canoni della diligenza professionale. Risultato ottenuto attraverso il sistematico accoglimento di una prima serie di ricorsi a fronte della mera domanda di disconoscimento delle operazioni da parte degli utilizzatori, laddove non risultavano attivati presidi minimi di sicurezza delle transazioni. Per altro verso e in seconda battuta, a fronte dell’adeguamento tecnico richiesto ai prestatori, ha ripetutamente sollecitato (mediante ricorsi respinti e parziali accoglimenti) gli utilizzatori ad assumere condotte più accorte e diligenti nell’uso degli strumenti e servizi di pagamento, soprattutto quando prestati a distanza. Sul presupposto, infatti, che l’uso di tali modalità di pagamento richieda un supplemento di attenzione da parte del cliente in termini di consapevolezza del mezzo utilizzato, i Collegi ABF hanno via via richiesto ai clienti (ai fini dell’accoglimento della domanda) adempimenti quali una corretta manutenzione delle apparecchiature informatiche, l’adozione di misure di sicurezza minime atte ad evitare intrusioni di terzi nel proprio sistema, una più accurata informazione personale sulle possibili frodi, la diligente protezione dei dati personali e dei codici dispositivi, la verifica più frequente dei conti correnti (specie se operativi online), e così via. In tal modo, le decisioni dell’ABF sono riuscite, pur con fisiologiche
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divergenze tra i singoli Collegi, a configurare un efficiente equilibrio applicativo delle norme in materia di servizi di pagamento, laddove la giurisprudenza ordinaria, per alcuni versi, non è stata ancora in grado (almeno con la necessaria celerità) di elaborare orientamenti univoci. Risultati che, con buona probabilità, sono dovuti anche alle caratteristiche del “sistema” ABF: la rapidità e i costi contenuti della procedura ne consentono l’attivazione in un numero molto più elevato di casi rispetto alla giurisdizione ordinaria; la specializzazione e la competenza dei membri dei Collegi, resesi necessarie a fronte delle caratteristiche peculiari della materia; la presenza del Collegio di coordinamento che contribuisce a “smussare” le visioni eventualmente difformi dei Collegi territoriali, sono stati (e sono) tutti elementi assolutamente determinanti a questi fini. Quanto fin qui affermato, dimostra altresì come un sistema di risoluzione alternativa delle controversie (se efficacemente funzionante) possa anche contribuire a determinare efficienti equilibri di regolazione di fenomeni economici complessi, quale può essere la prestazione di servizi di pagamento – ma al pari dell’attività bancaria e finanziaria in generale – motivo per cui un modello dalle caratteristiche analoghe a quelle dell’ABF (pur nella consapevolezza della difficoltà di inquadrarlo nelle categorie proprie del genere adr) andrebbe esteso anche agli altri comparti del mercato finanziario, dove le istanze di tutela degli utenti sono numerose e di non poco momento e i corrispondenti strumenti di risoluzione stragiudiziale settoriali non sono stati ancora predisposti o non risultano funzionare in maniera efficace88.
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88 In proposito, ci si può limitare soltanto a sottolineare come la tendenza del sistema appaia essere nel senso sopra prospettato, a seguito dell’attuazione nell’ordinamento italiano della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (c.d. Direttiva sull’ADR per i consumatori, in G.U.U.E. L 165/63 del 18 giugno 2013), avvenuta con il decreto legislativo 6 agosto 2015, n. 130 (in G.U. Serie Generale n.191 del 19 agosto 2015). Gli effetti di questa disciplina si sono già prodotti con riguardo al sistema di ADR che faceva capo alla Consob (è conclusa la consultazione del regolamento del nuovo organismo), mentre tutte da definire sono ancora le implicazioni per il “modello” ABF. Sul punto si rinvia all’approfondita analisi dei sistemi di ADR nel settore finanziario contenuta in Rispoli Farina, Sistemi alternativi di soluzione delle controversie nel settore finanziario. Pluralità di modelli ed effettività della tutela, in Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, a cura di Mollo, Quaderni giuridici della Consob, n. 9, ottobre 2015, p. 267 ss.
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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni
LEGISLAZIONE
Banche “locali” e risoluzione Con riguardo alla ormai notissima vicenda della risoluzione – con il connesso burden sharing – delle quattro banche “locali” pubblichiamo: il d.l.22 novembre 2015, n. 183 (I), con cui erano stati disciplinati alcuni profili della vicenda (costituzione degli enti-ponte, ecc.); l’art. 1, co. 842-861, della l. 28 dicembre 2015, n. 208 (II), che ha abrogato il d.l. n. 183/2015, facendone però salvi gli effetti (co. 854) ed ha ridisciplinato la materia; il comunicato della Banca d’Italia del 23 novembre 2015 (III) concernente l’avvio della risoluzione (con riferimento alla Banca delle Marche; distinti comunicati di analogo tenore sono stati emanati con riferimento alle altre banche); il provvedimento della Banca d’Italia del 23 novembre 2015 (IV) con cui sono state “svalutate” le azioni e le obbligazioni subordinate (sempre con riferimento a Banca delle Marche: provvedimenti analoghi sono stati assunti per le altre banche). Pubblichiamo di seguito – a commento della vicenda – il saggio di Fiordiponti, Un decreto legge per la prima attuazione della direttiva n. 59 del 2014.
I D.l. 22 novembre 2015, n.183 – Disposizioni urgenti per il settore creditizio
Il Presidente
della
Repubblica
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione; Vista la direttiva 2014/59/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento; Vista la comunicazione della Commissione europea 2013/C-216/01 concernente l’applicazione dal 1 agosto 2013 delle regole in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria; Visto il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, che attua la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014;
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Legislazione
Visti il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 22 novembre 2015 di approvazione del provvedimento di avvio della risoluzione della Banca delle Marche S.p.A. in amministrazione straordinaria, di cui alla deliberazione n. 553/2015 in data 21 novembre 2015 della Banca d’Italia; il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 22 novembre 2015 di approvazione del provvedimento di avvio della risoluzione della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa in amministrazione straordinaria, di cui alla deliberazione n. 554/2015 in data 21 novembre 2015 della Banca d’Italia; il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 22 novembre 2015 di approvazione del provvedimento di avvio della risoluzione della Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A. in amministrazione straordinaria, di cui alla deliberazione n. 555/2015 in data 21 novembre 2015 della Banca d’Italia; il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 22 novembre 2015 di approvazione del provvedimento di avvio della risoluzione della Cassa di risparmio della provincia di Chieti S.p.A. in amministrazione straordinaria, di cui alla deliberazione n. 556/2015 del 21 novembre 2015 della Banca d’Italia (i “Provvedimenti di avvio della risoluzione”); Visto il provvedimento n. 1226609/15 del 18 novembre 2015 della Banca d’Italia con il quale è stato istituito presso il medesimo Istituto un fondo di risoluzione ai sensi dell’articolo 78 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 (di seguito il “Fondo di risoluzione nazionale”); Considerato che i provvedimenti di avvio della risoluzione sopra menzionati prevedono il ricorso al Fondo nazionale di risoluzione; Viste la decisione della Commissione europea del 22 novembre 2015, concernente la risoluzione della Banca delle Marche S.p.A. (SA 39543-2015/N), sulla conformità della procedura di risoluzione alla direttiva 2014/59/UE e sulla compatibilità dell’intervento del Fondo nazionale di risoluzione con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato; la decisione della Commissione europea del 22 novembre 2015, concernente la risoluzione della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa (SA 41134-2015/N), sulla conformità della procedura di risoluzione alla direttiva 2014/59/UE e sulla compatibilità dell’intervento del Fondo nazionale di risoluzione con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato; la decisione della Commissione europea del 22 novembre 2015, concernente la risoluzione della Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A. (SA 41925-2015/N), sulla conformità della procedura di risoluzione alla direttiva 2014/59/UE e sulla compatibilità dell’intervento del Fondo nazionale di risoluzione con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato; la decisione della Commissione europea del 22 novembre 2015, concernente la risoluzione della Cassa di risparmio della provincia di Chieti S.p.A. (SA 43547-2015/N), sulla conformità della procedura di risoluzione alla direttiva 2014/59/UE e sulla compatibilità dell’intervento del Fondo nazionale di risoluzione con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato. Considerato che i Provvedimenti di avvio della risoluzione prevedono la costituzione di enti-ponte ai sensi dell’articolo 42 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180;
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Considerata la straordinaria necessità e urgenza di adottare disposizioni volte a garantire la tempestiva costituzione degli enti-ponte, al fine della migliore tutela dei depositanti e degli investitori e al fine di evitare effetti negativi sulla stabilità finanziaria ed economica, in particolare nell’area di insediamento delle banche in questione; Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 22 novembre 2015; Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze; emana il seguente decreto-legge: Art. 1 Costituzione di enti-ponte ai sensi dell’articolo 42 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 1. Sono costituite, con effetto dalle ore 00,00 del giorno della pubblicazione del presente decreto-legge, quattro società per azioni, denominate Nuova Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., Nuova Banca delle Marche S.p.A., Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio S.p.A, Nuova Cassa di risparmio di Chieti S.p.A, (di seguito “le società”) tutte con sede in Roma, via Nazionale, 91, aventi per oggetto lo svolgimento dell’attività di ente-ponte ai sensi dell’articolo 42 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, con riguardo rispettivamente alla Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., alla Banca delle Marche S.p.A., alla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa e alla Cassa di risparmio di Chieti S.p.A, in risoluzione, con l’obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dalle medesime banche e, quando le condizioni di mercato sono adeguate, cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate, in conformità con le disposizioni del medesimo decreto legislativo. 2. Alle società di cui al comma 1 possono essere trasferiti azioni, partecipazioni, diritti, nonché attività e passività delle banche in risoluzione di cui al comma 1, ai sensi dell’articolo 43 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. 3. Il capitale sociale della Nuova Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A. è stabilito in euro 191.000.000 ed è ripartito in n. 10.000.000 (dieci milioni) di azioni; il capitale sociale della Nuova Banca delle Marche S.p.A. è stabilito in euro 1.041.000.000 ed è ripartito in n. 10.000.000 (dieci milioni) di azioni; il capitale sociale della Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio S.p.A, è stabilito in euro 442.000.000 ed è ripartito in n. 10.000.000 (dieci milioni) di azioni; il capitale sociale della Nuova Cassa di risparmio della provincia di Chieti S.p.A. è stabilito in euro 141.000.000 ed è ripartito in n. 10.000.000 (dieci milioni) di azioni. Le azioni sono interamente sottoscritte dal Fondo nazionale di risoluzione; nel
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rispetto dell’articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, il capitale di nuova emissione della società potrà essere sottoscritto anche da soggetti diversi dal Fondo nazionale di risoluzione. 4. La Banca d’Italia con proprio provvedimento adotta lo statuto, nomina i primi componenti degli organi di amministrazione e controllo e ne determina i compensi. Resta fermo, per la fase successiva alla costituzione, quanto stabilito dall’articolo 42, comma 3, del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. Se già adottati al momento di entrata in vigore del presente decreto, tali atti s’intendono convalidati 5. La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto tiene luogo di tutti gli adempimenti di legge richiesti per la costituzione delle società. Dalla medesima data per le obbligazioni sociali rispondono soltanto le società con il proprio patrimonio. 6. Fermo restando quanto disposto al comma 5, gli adempimenti societari saranno perfezionati dagli amministratori delle società nel più breve tempo possibile dall’atto del loro insediamento. Art. 2 Risorse da versare al Fondo nazionale di risoluzione dopo l’entrata in funzione del Meccanismo di risoluzione unico 1. Dopo l’avvio del Meccanismo di risoluzione unico ai sensi dell’articolo 99 del regolamento (UE) n. 806/2014, fermi restando gli obblighi di contribuzione al Fondo di risoluzione unico previsti dagli articoli 70 e 71 del regolamento (UE) n. 806/2014, le banche aventi sede legale in Italia e le succursali italiane di banche extracomunitarie, qualora i contributi ordinari e straordinari già versati al Fondo di risoluzione nazionale, al netto dei recuperi derivanti da operazioni di dismissione poste in essere dal Fondo, non siano sufficienti alla copertura delle obbligazioni, perdite, costi e altre spese a carico del Fondo di risoluzione nazionale in relazione alle misure previste dai Provvedimenti di avvio della risoluzione, versano contribuzioni addizionali al Fondo di risoluzione nazionale nella misura determinata dalla Banca d’Italia, comunque entro il limite complessivo, inclusivo delle contribuzioni versate al Fondo di risoluzione unico, previsto dagli articoli 70 e 71 del regolamento (UE) n. 806/2014. Solo per l’anno 2016, tale limite complessivo è incrementato di due volte l’importo annuale dei contributi determinati in conformità all’articolo 70 del regolamento (UE) n. 806/2014 e del regolamento di esecuzione (UE) n. 2015/81. 2. In caso di inadempimento dell’obbligo di versare al Fondo di risoluzione nazionale le risorse ai sensi del presente articolo, si applicano le sanzioni previste dall’articolo 96 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, per la violazione degli articoli 82 e 83 del medesimo decreto legislativo.
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Art. 3 Disposizioni fiscali 1. Nel caso in cui sono adottate azioni di risoluzione, come definite all’articolo 1, lettera f), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, la trasformazione in credito d’imposta delle attività per imposte anticipate relative ai componenti negativi di cui al comma 55 dell’articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, iscritte nella situazione contabile di riferimento dell’ente sottoposto a risoluzione decorre dalla data di avvio della risoluzione ed opera sulla base dei dati della medesima situazione contabile. Con decorrenza dal periodo d’imposta in corso alla data di avvio della risoluzione non sono deducibili i componenti negativi corrispondenti alle attività per imposte anticipate trasformate in credito d’imposta ai sensi del presente comma. 2. Il comma 1 si applica a decorrere dall’entrata in vigore del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. 3. Al comma 2 dell’articolo 16 del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1 della legge 6 agosto 2015, n. 132, le parole “in corso al 31 dicembre 2015” sono sostituite dalle seguenti: “successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014” 4 Ai fini delle imposte sui redditi, i versamenti effettuati dal Fondo di risoluzione all’ente-ponte non si considerano sopravvenienze attive. Art. 4 Entrata in vigore 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. (Omissis)
II L. 28 dicembre 2015, n. 208 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) Art. 1 (Omissis) 842. Sono costituite, con effetto dalle ore 00,00 del 23 novembre 2015, quattro società per azioni, denominate Nuova Cassa di risparmio di Ferrara Spa,
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Nuova Banca delle Marche Spa, Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio Spa, Nuova Cassa di risparmio di Chieti Spa, di seguito denominate «le società», tutte con sede in Roma, via Nazionale, 91, aventi per oggetto lo svolgimento dell’attività di ente-ponte ai sensi dell’articolo 42 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, con riguardo rispettivamente alla Cassa di risparmio di Ferrara Spa, alla Banca delle Marche Spa, alla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa e alla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa, in risoluzione, con l’obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dalle medesime banche e, quando le condizioni di mercato sono adeguate, cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate, in conformità con le disposizioni del medesimo decreto legislativo. 843. Alle società di cui al comma 842 possono essere trasferiti azioni, partecipazioni, diritti, nonché attività e passività delle banche sottoposte a risoluzione di cui al comma 842, ai sensi dell’articolo 43 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. 844. Il capitale sociale della Nuova Cassa di risparmio di Ferrara Spa è stabilito in euro 191.000.000 ed è ripartito in dieci milioni di azioni; il capitale sociale della Nuova Banca delle Marche Spa è stabilito in euro 1.041.000.000 ed è ripartito in dieci milioni di azioni; il capitale sociale della Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio Spa è stabilito in euro 442.000.000 ed è ripartito in dieci milioni di azioni; il capitale sociale della Nuova Cassa di risparmio di Chieti Spa è stabilito in euro 141.000.000 ed è ripartito in dieci milioni di azioni. Le azioni sono interamente sottoscritte dal Fondo di risoluzione nazionale; nel rispetto dell’articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, il capitale di nuova emissione della società potrà essere sottoscritto anche da soggetti diversi dal Fondo di risoluzione nazionale. 845. La Banca d’Italia con proprio provvedimento adotta lo statuto delle società, nomina i primi componenti degli organi di amministrazione e controllo e ne determina i compensi. Resta fermo, per la fase successiva alla costituzione, quanto stabilito dall’articolo 42, comma 3, del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. Se già adottati alla data di entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, tali atti si intendono convalidati. 846. La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, tiene luogo di tutti gli adempimenti di legge richiesti per la costituzione delle società. Dalla medesima data per le obbligazioni sociali rispondono soltanto le società con il proprio patrimonio. 847. Fermo restando quanto disposto dal comma 846, gli adempimenti societari sono perfezionati dagli amministratori delle società nel più breve tempo possibile dall’atto del loro insediamento. 848. Dopo l’avvio del Meccanismo di risoluzione unico ai sensi dell’articolo 99 del regolamento (UE) n. 806/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2014, fermi restando gli obblighi di contribuzione al Fondo di risoluzione unico previsti dagli articoli 70 e 71 del medesimo regolamento (UE) n. 806/2014, le banche aventi sede legale in Italia e le succursali italiane di
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banche extracomunitarie, qualora i contributi ordinari e straordinari già versati al Fondo di risoluzione nazionale, al netto dei recuperi derivanti da operazioni di dismissione poste in essere dal Fondo, non siano sufficienti alla copertura delle obbligazioni, perdite, costi e altre spese a carico del Fondo di risoluzione nazionale in relazione alle misure previste dai Provvedimenti di avvio della risoluzione, versano contribuzioni addizionali al Fondo di risoluzione nazionale nella misura determinata dalla Banca d’Italia, comunque entro il limite complessivo, inclusivo delle contribuzioni versate al Fondo di risoluzione unico, previsto dagli articoli 70 e 71 del regolamento (UE) n. 806/2014. Solo per l’anno 2016, tale limite complessivo è incrementato di due volte l’importo annuale dei contributi determinati in conformità all’articolo 70 del regolamento (UE) n. 806/2014 e al relativo regolamento di esecuzione (UE) n. 2015/81 del Consiglio, del 19 dicembre 2014. 849. In caso di inadempimento dell’obbligo di versare al Fondo di risoluzione nazionale le risorse ai sensi del comma 848, si applicano le sanzioni previste dall’articolo 96 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, per la violazione degli articoli 82 e 83 del medesimo decreto legislativo. 850. Nel caso in cui siano adottate azioni di risoluzione, come definite dall’articolo 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, la trasformazione in credito d’imposta delle attività per imposte anticipate relative ai componenti negativi di cui al comma 55 dell’articolo 2 del decretolegge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, iscritte nella situazione contabile di riferimento dell’ente sottoposto a risoluzione decorre dalla data di avvio della risoluzione e opera sulla base dei dati della medesima situazione contabile. Con decorrenza dal periodo d’imposta in corso alla data di avvio della risoluzione non sono deducibili i componenti negativi corrispondenti alle attività per imposte anticipate trasformate in credito d’imposta ai sensi del presente comma. 851. Il comma 850 si applica a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. 852. Al comma 2 dell’articolo 16 del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, le parole: «in corso al 31 dicembre 2015» sono sostituite dalle seguenti: «successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014». 853. Ai fini delle imposte sui redditi, i versamenti effettuati dal Fondo di risoluzione nazionale all’ente-ponte non si considerano sopravvenienze attive. 854. Il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, è abrogato. Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge n. 183 del 2015. 855. È istituito il Fondo di solidarietà per l’erogazione di prestazioni in favore degli investitori che alla data di entrata in vigore del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa. L’accesso alle prestazioni è riservato agli investitori che siano per-
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sone fisiche, imprenditori individuali, nonché’ imprenditori agricoli o coltivatori diretti. 856. Il Fondo di solidarietà è alimentato, sulla base delle esigenze finanziarie connesse alla corresponsione delle prestazioni dal Fondo interbancario di tutela dei depositi istituito ai sensi dell’articolo 96 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. 857. Con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti: a) le modalità di gestione del Fondo di solidarietà; b) le modalità e le condizioni di accesso al Fondo di solidarietà, ivi inclusi le modalità e i termini per la presentazione delle istanze di erogazione delle prestazioni; c) i criteri di quantificazione delle prestazioni, determinate in importi corrispondenti alla perdita subita, fino a un ammontare massimo; d) le procedure da esperire, che possono essere in tutto o in parte anche di natura arbitrale; e) le ulteriori disposizioni per l’attuazione dei commi da 855 a 858. 858. In caso di ricorso a procedura arbitrale, la corresponsione delle prestazioni è subordinata all’accertamento della responsabilità per violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione o al collocamento degli strumenti finanziari subordinati di cui al comma 855. 859. Nei casi di cui al comma 858, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentite le competenti Commissioni parlamentari, sono nominati gli arbitri, scelti tra persone di comprovata imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità, ovvero possono essere disciplinati i criteri e le modalità di nomina dei medesimi e sono disciplinate le modalità di funzionamento del collegio arbitrale, nonché’ quelle per il supporto organizzativo alle procedure arbitrali, che può essere prestato anche avvalendosi di organismi o camere arbitrali già esistenti, e per la copertura dei costi delle medesime procedure a carico del Fondo di solidarietà. 860. Resta salvo il diritto al risarcimento del danno. Il Fondo di solidarietà è surrogato nel diritto dell’investitore al risarcimento del danno, nel limite dell’ammontare della prestazione corrisposta. 861. La gestione del Fondo di solidarietà è attribuita al Fondo interbancario di tutela dei depositi istituito ai sensi dell’articolo 96 del testo unico di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385. Ai relativi oneri e spese di gestione si provvede esclusivamente con le risorse finanziarie del Fondo di solidarietà. (Omissis)
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III Banca d’Italia – Comunicato del 23 novembre 2015 concernente l’avvio del procedimento di risoluzione della Banca delle Marche S.p.A. Avvio della risoluzione La Banca d’Italia, con provvedimento del 21 novembre 2015, approvato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze con decreto del 22 novembre 2015, ha disposto, ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, l’avvio della risoluzione della Banca delle Marche S.p.A., in amministrazione straordinaria, con sede in Ancona1. Il provvedimento è stato adottato in presenza dei presupposti di cui all’art. 17 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, in quanto per la Banca delle Marche S.p.A., in amministrazione straordinaria: - è verificata la situazione di dissesto; - non sussistono misure alternative di vigilanza ovvero di mercato, attuabili in tempi adeguati, per superare tale situazione; - ricorre l’interesse pubblico, atteso che la risoluzione è necessaria e proporzionata al perseguimento dei relativi obiettivi e che la procedura di liquidazione coatta amministrativa è inidonea a conseguirli nella medesima misura. La risoluzione viene attuata sulla base di un programma di risoluzione mediante l’adozione delle misure di seguito indicate e di ogni altra misura volta a tal fine: • la sottoposizione della Banca delle Marche S.p.A., in amministrazione straordinaria, a risoluzione, ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, con conseguente chiusura della procedura di amministrazione straordinaria in essere e cessazione degli incarichi dei Commissari straordinari e del Comitato di sorveglianza; la disposizione della permanenza in carica presso la banca in risoluzione dell’alta dirigenza; • la nomina del Commissario speciale e dei membri del Comitato di sorveglianza della Banca delle Marche S.p.A., in risoluzione, ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, i cui atti tengono luogo di quelli dei competenti organi sociali degli azionisti e dei titolari di altre partecipazione, con conseguente sospensione dei diritti di voto in assemblea e degli altri diritti derivanti da partecipazioni che consentono di influire sulla banca; • la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni, anche non computate nel capitale regolamentare, e del valore nominale degli elementi di classe 2, computabili nei fondi propri, ai sensi e per gli effetti dell’art. 27, comma 1, lett. b), e dell’art. 52, comma 1, lett. a), punti i) e iii), richiamato dall’art. 28, comma 3 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, al fine di
1 Con provvedimento del 22 novembre 2015, la Banca d’Italia ha determinato, ai sensi dell’art. 32, comma 2, del d.lgs. 180/2015, la decorrenza degli effetti del provvedimento di avvio della risoluzione dalle ore 22 del 22 novembre 2015.
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assicurare la copertura di una parte delle perdite quantificate sulla base delle risultanze delle valutazioni provvisorie di cui all’art. 25 del medesimo decreto; • l’adozione dello statuto della banca ponte (ente ponte), con l’obiettivo di assicurare la continuità dei servizi creditizi e finanziari della banca in risoluzione e la sua collocazione sul mercato; l’approvazione della strategia e del profilo di rischio; la nomina dei componenti degli organi di amministrazione e controllo, l’approvazione dell’attribuzione delle deleghe e delle remunerazioni; l’individuazione delle eventuali restrizioni all’attività dell’ente ponte ai sensi dell’art. 42, comma 3, lett. c) del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180; • la cessione dell’azienda da parte di Banca delle Marche S.p.A., in risoluzione, all’ente ponte “Nuova Banca delle Marche S.p.A.”, ai sensi dell’art. 43, comma 1, lett. b) del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180; restano esclusi dalla cessione i debiti subordinati non computabili nei fondi propri emessi dalla banca in risoluzione; il capitale sociale dell’ente ponte è detenuto dalla Banca d’Italia a valere sul patrimonio autonomo del Fondo di Risoluzione; • la costituzione di una società veicolo per la gestione delle attività, ai sensi dell’art. 45 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, con capitale sociale detenuto dalla Banca d’Italia a valere sul patrimonio del Fondo di Risoluzione, l’approvazione dell’atto costitutivo e dello statuto della società, della strategia e del profilo di rischio; la nomina dei componenti degli organi di amministrazione e controllo della società nonché l’approvazione dell’attribuzione delle deleghe e delle remunerazioni; • la cessione della società veicolo per la gestione delle attività delle sofferenze detenute dall’ente ponte, ai sensi dell’art. 46 d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180; • la proposta di sottoposizione della Banca delle Marche, in risoluzione, a liquidazione coatta amministrativa. In tale contesto il Fondo di Risoluzione Nazionale, istituito dalla Banca d’Italia, con provvedimento del 18 novembre 2015, ai sensi dell’art. 78 d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, interviene per: a) sottoscrivere il capitale dell’ente ponte, assicurando il rispetto dei prescritti requisiti patrimoniali; b) fornire un contributo allo stesso ente ponte al fine di coprire il deficit di cessione; c) sottoscrivere il capitale della società veicolo per la gestione delle attività, assicurando il rispetto dei prescritti requisiti patrimoniali; d) fornire una garanzia per il credito vantato dall’ente ponte verso la società veicolo. IV Banca d’Italia – Provvedimento del 23 novembre 2015 concernente svalutazione di azioni e subordinati della Banca delle Marche S.p.A. (Omissis)
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Visto il d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180 recante attuazione della Direttiva 2014/59/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (di seguito, “d.lgs. 180/2015”); Visto il provvedimento della Banca d’Italia n. 1241013 del 21 novembre 2015, approvato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze in data 22 novembre 2015, che dispone l’avvio della risoluzione nei confronti della Banca delle Marche S.p.A., in amministrazione straordinaria e contiene il relativo programma di risoluzione; Visto il provvedimento della Banca d’Italia del 22 novembre 2015 che determina la decorrenza degli effetti del citato provvedimento di avvio della risoluzione; Visto il provvedimento del 22 novembre 2015 con il quale la Banca d’Italia ha disposto la nomina degli Organi della risoluzione della Banca delle Marche S.p.A., in risoluzione; Considerato che il programma di risoluzione contenuto nel citato provvedimento della Banca d’Italia del 21 novembre 2015, prevede la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni anche non computate nel capitale regolamentare, e del valore nominale degli elementi di classe 2 computabili nei fondi propri; Considerato che l’art. 27 comma 1, lett. b) del d.lgs. 180/2015 prevede che le azioni, le altre partecipazioni e gli strumenti di capitale siano ridotti o convertiti immediatamente prima o contestualmente all’applicazione delle misure previste del programma di risoluzione; si dispone che con riferimento alla Banca delle Marche S.p.A., in risoluzione, ai sensi del Titolo IV, Capo II, del d.lgs. 180/2015, la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni (n. 1.274.532.113 azioni per un valore nominale di euro 662.756.698,76), anche non computate nel capitale regolamentare, nonché del valore nominale degli elementi di classe 2, computabili nei fondi propri (anche per la parte non computata nel capitale regolamentare), con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali2.
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Titoli oggetto di riduzione ISIN IT0004743735 IT0004743727 IT0004744725 IT0003972996 IT0004939226 XS02572928328
EMITTENTE Banca delle Marche Banca delle Marche Banca delle Marche Banca delle Marche Banca delle Marche Banca delle Marche
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Il presente provvedimento ha efficacia dal momento di efficacia dell’avvio della risoluzione e sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana3.
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Tale momento è fissato, con separato provvedimento della Banca d’Italia, alle ore 22 del 22 novembre 2015.
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Un decreto legge per la prima attuazione della direttiva n. 59 del 2014 Sommario: 1. Una soluzione non replicabile. – 2. L’intervento di un sistema di garanzia dei depositi, quale indicatore di dissesto dell’ente creditizio. – 3. La misura della partecipazione alle perdite in rapporto al principio di concorrenza. – 4. Metodologie di salvataggio e percezione del rischio. – 5. Una valutazione a discrezionalità limitata.
1. Una soluzione non replicabile Il d.l. n. 183 del 2015, poi confluito nella legge di stabilità 2015, ha agito direttamente sulle modalità applicative delle regole di risanamento e risoluzione, nascenti dalla Direttiva n. 59 del 2014 UE (BRRD). Più difficile pensare che abbia fornito anche un contributo a quel «movimento legislativo», che sta disegnando «l’architettura finanziaria europea»1, piuttosto sembra presentarsi come una forma di adattamento, ideata per sfuggire al completo spiegamento degli effetti del rinnovato ordinamento sulle crisi bancarie. Di certo ha ottenuto il risultato perseguito, in termini di difesa di depositanti, investitori, dipendenti delle banche oggetto dell’intervento, con sacrificio addossato ad azionisti e ad un delimitato gruppo di creditori2, cui si è aggiunto il ponderoso intervento di soste-
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Il riferimento è all’efficace definizione coniata da Cassese, La nuova architettura finanziaria europea. Dal testo unico bancario all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione dei poteri, in Quad. giur. Banca d’Italia, marzo 2014, p. 19, che ancora aggiunge: «per dirla in termini proustiani gli spazi bianchi sono almeno altrettanto quanto quelli scritti». 2 Cfr. per tutti comunicato del Ministero Economia e Finanze, 11 dicembre 2015, in www.mef.gov.it, Banche: numeri ed effetti del salvataggio. Inoltre si legga il comunicato Banca d’Italia, 20 dicembre 2015, Decreto salva-banche: risposte alle 10 domande dei
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gno del Fondo nazionale di risoluzione. La nuova disciplina di risanamento e risoluzione delle crisi bancarie, dopo aver accumulato cospicuo ritardo nei tempi di recepimento, ha avuto così un esordio estremamente controverso, ha coinvolto azionisti ed alcune categorie di obbligazionisti nella copertura delle perdite, provocato una forte reazione nella pubblica opinione ed avuto grande risonanza mediatica, fino a richiedere nuove misure, volte a stabilire forme di sostegno solidaristico3, mentre l’acceso dibattito politico ha registrato il richiamo della massima istituzione della Repubblica ad attuare i principi e le finalità della Costituzione4. Il repentino utilizzo degli strumenti di risoluzione si è realizzato attraverso il descritto decreto, che ha seguito la pubblicazione dei dd.lgs. n. 180 e 181 del 16 novembre 2015, di attuazione della BRRD. Per le quattro banche interessate la Banca d’Italia, nella nuova veste di National resolution authority5, ha avviato il programma di risoluzione con provvedimenti del 21 novembre 20156. La Commissione europea ha dato a sua volta il via libera, non mancando di osservare che per l’Italia si è trattato del primo esempio di ricorso agli strumenti di risoluzione7. L’impostazione
risparmiatori, in www.bancaditalia.it, che descrive le motivazioni tecnico-giuridiche che hanno sostenuto la scelta degli strumenti di risoluzione utilizzati. 3 Cfr. art. 1, co. 855 e s., l. 28 dicembre 2015, n. 208. 4 Cfr. Intervento del Presidente della Repubblica alla cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i rappresentanti delle istituzioni, delle forze politiche e della società civile, Roma, 21 dicembre 2015, dove si può leggere: «La Repubblica è doverosamente impegnata ad attuare i principi e le finalità della Costituzione, e a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al pieno sviluppo della persona e delle formazioni sociali. A questo scopo ai poteri e alle istituzioni dello Stato si chiede non soltanto di svolgere con impegno il proprio servizio, ma anche di collaborare lealmente per il bene comune. La nostra democrazia è connotata dal pluralismo istituzionale e dal mutuo bilanciamento dei poteri. Ciascun potere opera in coordinamento con gli altri, dei quali è chiamato a riconoscere responsabilità e funzioni». 5 Banca d’Italia acquista la funzione di Autorità di risoluzione nazionale, in sostanziale continuità con prerogative già proprie nell’ambito delle funzioni di vigilanza, cfr. art. 3, d.lgs. n. 72 del 12 maggio 2015, e art. 1 d.lgs. n. 181 del 16 novembre 2015, che inserisce la lettera a-bis) all’art. 1 t.u.b. e cfr. deliberazione Consiglio Superiore Banca d’Italia 23 luglio 2015, Istituzione dell’Unità di risoluzione e Gestione delle crisi: procedimenti amministrativi e provvedimenti normativi, in www.bancaditalia.it, prot. n. 0994258/15, del 22 settembre 2015. 6 Cfr. Banca d’Italia, Informazioni sulla soluzione delle crisi di Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Carichieti e Cassa Risparmio Ferrara, 22 novembre 2015, in www.dt.mef.gov.it. 7 Sul punto interessanti sono le parole di Vestager, Commissaria europea alla Concorrenza: «[…] accolgo inoltre la decisione dell’Italia di usare gli strumenti di
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data alla vicenda viene in tal modo inquadrata nell’ambito della disciplina introdotta dalla BRRD e il consenso ottenuto in sede comunitaria è conseguente, sulla considerazione che l’intervento pubblico è ridotto al minimo, evitando effetti distorsivi della libertà di concorrenza. In altri termini c’è consenso, perché c’è risoluzione. Si è attesa quindi l’adozione dei decreti attuativi della BRRD, per utilizzare strumenti alternativi alla liquidazione coatta, altrimenti ritenuta unica via percorribile8, e chiudere procedure di amministrazione straordinaria, considerate prive di prospettiva9. Al contempo ci si è preoccupati di giocare d’anticipo sul completo decorso dei termini applicativi previsti per la medesima BRRD, così da evitarne le conseguenze10. Se però queste sono così temibili, lo sono ora e lo saranno anche in futuro, quando, secondo un comune criterio probabilistico, si proporranno altre situazioni di dissesto. Si finisce in tal modo per determinare un trattamento in capo ai soggetti coinvolti non replicabile per le prossime analoghe situazioni di crisi, quando, a legislazione invariata, il burden
risoluzione bancaria per la prima volta in Italia, in modo di far fronte alla situazione di queste banche dissestate preservando la stabilità finanziaria», comunicato stampa Commissione europea, Bruxelles 22 novembre 2015, ivi. 8 Per tutti in argomento A. Nigro, Commento all’art. 70, in Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Aa.Vv., Milano, p. 621, che, con riferimento alla previgente disciplina di settore, esclude un rapporto tendenziale di consecutività temporale tra amministrazione straordinaria e liquidazione coatta. 9 È l’art. 3, co. 3, d.lgs. n. 181 del 2015, a dettare i tempi di entrata in vigore del nuovo regime, rispetto alle procedure di amministrazione straordinaria in corso. In particolare, fatte salve le previsioni degli artt. 72 e 77-bis t.u.b. nuova versione, che riguardano gli organi straordinari e gli aumenti di capitale, è stabilito: «Per i rimanenti aspetti, alle medesime procedure si continuano ad applicare le disposizioni del titolo IV del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nel testo vigente prima dell’entrata in vigore del presente decreto [...]» Cfr. inoltre comunicato Banca d’Italia, 20 dicembre 2015, cit., p. 1: «Il punto che va ben compreso è il seguente: se nelle scorse settimane le banche in crisi non fossero state oggetto di risoluzione, l’unica alternativa consentita dalla legge sarebbe stata la liquidazione coatta amministrativa». 10 L’art. 130 BRRD, ha fissato come termine massimo di recepimento la data del 31 dicembre 2014, con applicabilità decorrente dal 1 gennaio 2015 e salva la possibilità di stabilirla «al più tardi» al 1° gennaio 2016 per le disposizioni relative allo strumento del bail in, certamente il più invasivo e complesso. I decreti attuativi sono stati invece pubblicati il 16 novembre 2015, di conseguenza il residuo margine temporale fino al 1° gennaio 2016, decorrenza confermata dall’art. 106, co. 2, d.lgs. n. 180 del 2015, ha perso la capacità di realizzare un’adeguata fase di transizione, consumata dal lungo ritardo cumulato nel recepimento.
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sharing potrà contare sulla pienezza di strumenti11. La scelta ha dato risposta alla volontà di contenere le conseguenze del dissesto, ma l’evidente strumentalità rispetto al caso concreto, fa pensare ad una via d’uscita obbligata, aprendo il campo ad obiettive perplessità in punto di adozione di regole, che hanno una diversa capacità d’incidere sulla sorte degli investimenti e dei depositi, in dipendenza dell’accurata sincronia con l’applicabilità della BRRD. Una produzione legislativa tagliata sul dato fattuale e che, secondo prassi piuttosto diffusa, dimentica quei requisiti di astrattezza, che rendono la norma capace di regolare la generalità di fattispecie analoghe12. L’abrogazione poi subita dal decreto, con la legge di stabilità del 28 dicembre 2015, ha fatto salvi gli atti, i provvedimenti, «gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti» nel frattempo13, mentre la sua integrale trasfusione nella medesima ha tenuto luogo della conversione. Si parla di banche che totalizzano meno dell’1% dei depositi del sistema bancario italiano14, perciò lungi da dimensioni significative. In
11 Il principio della condivisione delle perdite con azionisti e creditori trova affermazione sia nel nuovo ordinamento delle crisi bancarie, che nel quadro delle regole destinate a disciplinare gli aiuti di Stato, secondo gli orientamenti espressi dalla Commissione UE. 12 Il rinvio è all’insegnamento di Irti, Capitalismo e calcolabilità giuridica (letture e riflessioni), in Riv. soc., 2015, V, p. 801: «La lunga e dura lotta contro l’astrazione dà i propri frutti - dolci o tossici, secondo la visuale di ciascuno -, e schiaccia la decisione sulle caratteristiche dei singoli fatti (anche se nulla si dia più “astratto” di un “valore”, che scenda sulle cose terrene). Un diritto, impoverito o svuotato di astrattezza, cioè incapace di anticipare casi futuri (e dunque di ridurli a figure tipiche e schemi di probabilità), è un diritto incalcolabile, che sta fuori dalle aspettative di qualsiasi tipo di capitalismo. E questo da noi si registra, non già per fedeltà a un assetto economico, il quale è di per sé immerso nel divenire storico, ma per sincerità di analisi, e per segnalare al lavoro del giurista nuovi e ardui principia media». 13 L’abrogazione è statuita all’art. 1, co. 854, l. 28 dicembre 2015, n. 205 e non elimina l’efficacia dell’atto, che conserva gli effetti prodotti. Il testo del d.l. n. 183 del 2015 è replicato ai commi da 842 a 853 della legge medesima. 14 Cfr. Barbagallo, Camera dei Deputati, Sesta Commissione Finanze, Indagine conoscitiva sul sistema bancario italiano, audizione del Capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria Banca d’Italia, Roma, 9 dicembre, dove si legge: «L’interazione tra debolezze della governance, inefficienze nell’erogazione del credito e deterioramento della situazione tecnica ha caratterizzato le quattro banche per le quali il 22 novembre scorso la Banca d’Italia ha avviato la risoluzione, con l’approvazione del Ministro dell’economia e delle finanze. Si tratta di banche di dimensione piccola o media, prevalentemente operative su base territoriale, e quindi meno in grado di sfruttare i vantaggi della diversificazione dei rischi».
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proposito il considerando 47, Reg. n. 806 del 2014, nel ricordare la «natura potenzialmente sistemica di tutti gli enti», si sofferma sulla necessità di pianificare le operazioni di risoluzione per ognuno, insistendo però sulle attività che vanno riferite ai più significativi. Ancora le dimensioni sono tra le caratteristiche indicate all’art. 11 d.lgs. n. 180 del 2015, che consentono alla Banca d’Italia di stabilire «modalità semplificate», per adempiere agli obblighi di predisposizione dei piani di risoluzione, in considerazione delle limitate conseguenze in caso di dissesto della banca. Alla luce del vasto allarme sociale suscitato dall’intervento in discorso, si deve invece osservare che, malgrado le ridotte dimensioni, l’azzeramento del valore di azioni ed obbligazioni subordinate ha messo in discussione proprio quel rapporto di fiducia con il sistema bancario, che la riforma vuole riaffermare15. Nella circostanza la concreta applicazione delle nuove regole, compressa dalle dichiarate ragioni d’urgenza, ha prodotto effetti, che i regolatori si propongono invece di prevenire16.
2. L’intervento di un sistema di garanzia dei depositi, quale indicatore di dissesto dell’ente creditizio. Nell’ambito del quadro normativo, delineato dalla progressiva costruzione del nuovo ordinamento per il risanamento e la risoluzione degli enti creditizi17, il decreto n. 183 del 2015 assolve ad una funzione preci-
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Sul punto cfr. R. Lener, Profili problematici del bail in, intervento al Convegno del Fitd, 22 gennaio 2016, che sottolinea come l’«imprevedibilità» nella gestione da parte delle (diverse) autorità preposte può creare preoccupazione fra i depositanti e i creditori della banca. 16 Il comunicato a firma dei 5 Presidenti recita infatti: «completing the banking union». A single banking system is the mirror image of a single money. As the vast majority of money is bank deposits, money can only be truly single if confidence in the safety of bank deposits is the same irrespective of the Member State in which a bank operates. This requires single bank supervision, single bank resolution and single deposit insurance», Five Presidents’ Report, Completing Europe’s Economic and Monetary Union, 22 June 2015, mentre per un richiamo ai passaggi che hanno condotto alla definizione di un single resolution mechanism, Barbagallo, Senato della Repubblica, 14ª Commissione Permanente - Politiche dell’Unione Europea, Esame del disegno di legge di delegazione europea 2014 (a.s. 1758), audizione del Capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria Banca d’Italia, Roma, 18 marzo 2015. 17 Cfr. tra l’altro Raccomandazione EBA sull’elaborazione dei piani di ripresa, 23 gennaio 2013, ABE/REC/2013/02, che richiama sia le Conclusioni dei leaders del G20 al vertice di Pittsburgh nel 2009, sia le Conclusioni raggiunte dal Consiglio dell’Unione
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samente delimitata sotto il profilo soggettivo e straordinaria in rapporto alla disciplina dedicata. Nella relazione che accompagna il ddl di conversione18, superato dagli eventi, si spiega che la natura delle decisioni in materia richiede interventi ad horas, proprio per evitare instabilità ed assicurare la continuità dei servizi essenziali, ma anche per «dissipare talune», eventuali, «incertezze normative». L’azione diretta del legislatore nazionale sopravanza così le prerogative della funzione amministrativa, agendo sui tempi di realizzazione del programma di risoluzione individuato, ma con l’effetto di fornire anche un indirizzo nel merito, che deriva dalla stessa tempestività d’azione. I dichiarati presupposti di necessità ed urgenza, sono infatti connessi a fini sostitutivi del ricorso al Fondo Interbancario di tutela dei depositi, quindi un intervento necessario per tamponare l’imprevista inagibilità di altra soluzione19. È la stessa Autorità competente ad indicare come il
europea sulla prevenzione, la gestione e la risoluzione delle crisi del 18 maggio e del 7 dicembre 2010. Cfr. inoltre per un attento esame della disciplina in argomento Ciraolo, Il Single Resolution Mechanism (Regolamento UE n.806/2014). Lineamenti generali e problemi di fondo, in Dir. banc., 2015, p. 357. 18 Cfr. ddl Conversione in legge del d.l. 22 novembre 2015, n. 183, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, 23 novembre 2015: «[…] La necessità e urgenza di tali disposizioni risiede: (1) nel fatto che, al fine di evitare impatti per la stabilità finanziaria e rischi di contagio, le misure di risoluzione devono essere attuate ad horas; (2) nella circostanza che è necessario dissipare talune incertezze normative che potrebbero risultare in una dilatazione dei tempi di attuazione delle misure di risoluzione». 19 È noto che una quinta banca, la Tercas, acquisita nell’estate del 2014 dalla Banca Popolare di Bari, ha fruito del sostegno del Fondo Interbancario di tutela dei depositi, intervenuto a copertura del deficit patrimoniale, in forma alternativa rispetto al rimborso dei depositanti. La vicenda ha dato luogo all’intervento della Commissione, cfr. in merito la notifica di avvio dell’istruttoria del 27 febbraio 2015, C (2015) 1404 final, che ha assimilato l’intervento del Fitd ad aiuto di Stato, in sintesi per tre ordini di motivi: i contributi al Fondo sono obbligatori e la partecipazione è presupposto per l’esercizio dell’attività bancaria, quando interviene il Fondo ha finalità d’interesse generale ed i poteri di controllo e coordinamento attributi alla Banca d’Italia determinano la destinazione dell’intervento. L’esito dell’istruttoria si manifestava negativo e l’intervento del Fitd è stato sostituito attraverso un meccanismo volontario costituito ad hoc. Sul punto per un’analisi delle possibilità d’intervento dei sistemi di garanzia dei depositi e per una comparazione delle prassi operative in materia in sei dei principali Paesi europei, Moretti, De Lisa, De Cesare, Pluchino, La gestione delle crisi delle banche e i ruoli dei fondi di garanzia: casistica europea e inquadramento degli interventi di sostegno, Fondo Interbancario di tutela dei depositi, Working papers, 13 gennaio 2014. Dove si descrive la possibilità d’intervento diverso dal rimborso dei depositanti: «Oltre al rimborso dei depositi, i DGS possono prevedere “ulteriori casi e forme di intervento” (art. 96bis, comma 1). Nell’esercizio di tale facoltà, gli statuti hanno previsto sia interventi
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percorso sia stato forzato dalla valutazione della Commissione UE, che nell’intervento del Fitd riconosceva il presupposto per sottoporre a risoluzione gli enti creditizi20. Posizione assunta malgrado il progetto, inerente tre delle banche oggi in risoluzione, fosse sostenuto da misure di azzeramento del valore delle azioni e di conversione e riduzione delle obbligazioni subordinate, in attuazione del principio di condivisione delle perdite21. Operazione praticabile solo disponendo dei poteri previsti dalla BRRD in capo all’Autorità designata, che ne avrebbe usato senza ricorrere alla risoluzione, ritenendo idonee le misure individuate, per rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto. D’altronde il ricorso al Fitd avrebbe altrimenti incontrato le obiezioni già mosse per il caso Tercas e l’attesa di un’autonoma iniziativa di sostegno da parte del mercato, troppo
alternativi al rimborso diretto, sia interventi preventivi, ossia svincolati dalla formale apertura della l.c.a. e principalmente finalizzati alla prevenzione di crisi irreversibili. Appartiene al primo gruppo il finanziamento delle operazioni di cui all’art. 90, comma 2. Tale intervento è subordinato al verificarsi di due condizioni cumulative: 1. la sottoposizione della banca a l.c.a.; 2. un minor onere rispetto a quello derivante dal rimborso dei depositi. In sostanza, a parità di tutela del depositante, la possibilità di sostituire il rimborso diretto (intervento obbligatorio) è condizionata dall’esistenza di un presumibile risparmio per il DGS […]». 20 Cfr. in proposito Barbagallo, Audizione Camera dei Deputati, 9 dicembre 2015, cit., che dichiara: «È a questo punto emersa la disponibilità del Fondo Interbancario di tutela dei depositi a farsi carico di tale aspetto, assorbendo i rischi relativi ai crediti deteriorati. L’intervento del Fondo avrebbe consentito, congiuntamente alle risorse apportate da altre banche, di porre i presupposti per il superamento delle crisi senza alcun sacrificio per i creditori delle quattro banche. Ciò non è stato possibile per la preclusione manifestata da uffici della Commissione Europea, da noi non condivisa, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di Stato gli interventi del Fondo di tutela dei depositi». Nello stesso senso cfr. comunicato Banca d’Italia, 20 dicembre 2015, cit., p. 3: «L’intervento del FITD avrebbe consentito di porre i presupposti per il risanamento delle banche evitando la procedura di risoluzione. Ciò non è stato possibile per la preclusione manifestata dagli uffici della Commissione Europea, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di Stato gli interventi del Fondo di tutela dei depositi. Ciò ha reso impossibile ricorrere a questo meccanismo di salvataggio, a fronte del rapido deterioramento delle situazioni aziendali. L’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia ha pertanto dovuto attivare, non appena pubblicato in G.U. il decreto legislativo n. 180 del 2015 (il 16 novembre scorso), gli strumenti introdotti dal nuovo quadro normativo europeo in materia di gestione delle crisi». 21 Cfr. Ministero Economia e Finanza, Aiuti di Stato, risoluzioni bancarie e Fidt, 23 dicembre 2015, Interventi preventivi dei meccanismi di garanzia dei depositi nel nuovo quadro normativo dell’Unione europea – Interlocuzione con la Commissione europea, dossier che illustra il progetto di soluzione per Banca Marche, Carife e Banca Etruria e ripercorre l’interlocuzione avuta con la Commissione europea, tenendo conto anche dei casi precedenti di Banca Tercas e Sicilcassa, in www.mef.gov.it.
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incerta per tempi e contenuti. L’uso di un sistema di garanzia dei depositi in forma alternativa al rimborso dei depositanti, per evitare il fallimento dell’ente, è consentito dall’art. 11, par. 3, Direttiva n. 49 del 2014 UE, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (DSGD)22, nel rispetto di condizioni espressamente declinate e fuori dalla procedura di risoluzione. È però la qualificazione come aiuto di Stato del ricorso al Fitd a spingere verso la necessità di porre in risoluzione gli enti creditizi interessati23, integrando un caso di sostegno pubblico straordinario24. Situazione che per effetto dell’art. 32, par. 4, lett. d), BRRD, recepito attraverso l’art. 17, co. 2, lett. f), d.lgs. n. 180 del 2015, porta a considerarli «in dissesto o a rischio di dissesto» e, combinandosi, con l’assenza di un’alternativa di mercato e il maggior costo connesso alla liquidazione coatta, realizza tutti i presupposti, che rendono necessario il ricorso ad un programma di risoluzione. La possibilità per un sistema di garanzia dei depositi di operare in via alter-
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Il termine previsto per il recepimento di buona parte della Direttiva è scaduto il 3 luglio 2015, al 31 maggio 2016 è fissato il termine ultimo per alcune disposizioni inerenti i termini di rimborso ed il calcolo dei contributi. La Direttiva ha trovato attuazione con il d.lg. 15 febbraio 2016, n. 30. È utile ricordare il considerando (16) della DGSD: «Un SGD, ove consentito dal diritto nazionale, dovrebbe poter anche andare oltre la mera funzione di rimborso e utilizzare i mezzi finanziari disponibili per evitare il fallimento di un ente creditizio […] Tali misure dovrebbero tuttavia essere realizzate nell’ambito di un quadro chiaramente definito e dovrebbero in ogni caso rispettare le norme sugli aiuti di Stato […]». Ne consegue l’art. 11 della Direttiva, di cui si occupa la relazione accompagnatoria allo schema di d.lgs. di attuazione, che descrive così la nuova formulazione dell’art. 96-bis t.u.b.: «[…] riconosce espressamente che il sistema di garanzia possa effettuare interventi alternativi al rimborso dei depositanti. come già previsto nell’ ordinamento italiano vigente. L’art. 96-bis, t.u.b., conferma quindi la possibilità di effettuare detti interventi alternativi, individuandoli in maniera tassativa, nello specifico, si distinguono: i c.d. interventi preventivi, effettuati a sostegno di una banca in crisi per evitarne il dissesto; gli interventi a sostegno di cessioni effettuate nel corso di una liquidazione coatta amministrativa; i contributi da erogare nell’ambito di una risoluzione in luogo del sacrificio, che i depositi protetti avrebbero sopportato se essi fossero stati assoggettati a bail-in». 23 Cfr. lettera 19 novembre 2015, Commissione UE, inviata per chiarire «the Commission’s position concerning the use of deposit guarantee schemes», dove si afferma che se un Stato opta, a mente dell’art. 11, par. 3, DSGD, per l’uso di un SGD a fini di ricapitalizzazione, è la Comunicazione sul settore bancario (Banking Communication) a definire come sia soggetto alla normativa sugli aiuti di Stato. Nel qual caso è conseguente l’applicazione della BRRD, cioè l’avvio della risoluzione. 24 In questo senso le indicazioni del considerando 55 BRRD: «[…] A tale riguardo, è opportuno che il ricorso a un sostegno finanziario pubblico straordinario, a fondi di risoluzione o a sistemi di garanzia dei depositi a sostegno della risoluzione di enti in dissesto rispetti le pertinenti disposizioni in materia di aiuti di Stato».
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nativa, o meglio preventiva, a mente del ricordato art. 11, par. 3, DGSD, viene così delimitata all’ipotesi di scelta «esclusivamente privata», non rinvenibile nella fattispecie. La Commissione ha richiamato in proposito la propria Comunicazione sul settore bancario25 del luglio 2013, dove si afferma di non considerare aiuto di Stato l’intervento di un sistema di garanzia dei depositi, salvo che questo agisca su mandato pubblico, cioè secondo modalità, che è lo Stato ad indicare e determinare. Per ammettere un’azione alternativa al rimborso dei depositanti da parte di un sistema di garanzia dei depositi, non basta la provenienza privata dei fondi e nemmeno la condivisione delle perdite, ma è necessaria la volontarietà del concorso, decisa in autonomia dai partecipanti al sistema di garanzia, senza intromissione pubblica. In sostanza una scelta rimessa alle regole del mercato, per evitare che lo Stato possa determinare distorsioni al regime di libera concorrenza. È in questo ambito, che l’intervento preventivo disciplinato dalla DSGD esprime il suo effet utile, sostiene la Commissione nella lettera to clarify.
3. La misura della partecipazione alle perdita in rapporto al principio di concorrenza. Nella specie la proposta formulata dava sì applicazione al private burden sharing, coinvolgendo azionisti e detentori di obbligazioni subordinate, ma in proposito si dichiara che «[…] il sacrificio dei creditori subordinati sarebbe stato significativamente inferiore rispetto a quello
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Cfr. la Comunicazioni della Commissione UE sulle regole da applicare agli aiuti di Stato nelle misure di sostegno alle banche, 2013/C 216/01, applicabile dal 1° agosto 2013, che introduce il principio di condivisione degli oneri di ricapitalizzazione tra pubblico e privato e definisce una procedura ordinaria per l’applicazione di misure di ricapitalizzazione e/o sostegno. In merito al ricorso ai sistemi di garanzia cfr. par. 63: «Gli interventi dei fondi di garanzia dei depositi per rimborsare i titolari dei conti in conformità con gli obblighi degli Stati membri a norma della direttiva 94/19/CE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi non costituiscono aiuti di Stato. Il ricorso a tali fondi o a fondi simili per favorire la ristrutturazione degli enti creditizi può tuttavia costituire aiuto di Stato. Anche se i fondi in questione potrebbero provenire dal settore privato, essi possono costituire aiuti nella misura in cui sono soggetti al controllo dello Stato e la decisione relativa all’utilizzo dei fondi è imputabile allo Stato». Cfr. in argomento e per un esame dei contenuti innovativi della Comunicazione, Liberati, La crisi del settore bancario tra aiuti di Stato e meccanismo di risanamento e risoluzione, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014, VI, p. 1339.
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conseguente alle successive operazioni di risoluzione»26. Non sono quindi in discussione l’affermazione del principio di compartecipazione alla copertura delle perdite, né la natura di aiuto di Stato27 del sostegno del Fitd, bensì le conseguenze del suo intervento, che la lettura nazionale delle regole considerava ammissibile fuori da un programma di risoluzione, ponendo l’accento sul quantum del sacrificio richiesto ai detentori di obbligazioni subordinate. In sostanza, secondo questa tesi, l’apertura di un programma di risoluzione avrebbe provocato oneri maggiori a carico dei privati, mentre l’azione di un sistema di garanzia, malgrado eterodiretta dalla mano pubblica, non avrebbe innescato il dissesto delle banche interessate. Nei fatti la scelta posta in atto si è conformata alle cogenti indicazioni della Commissione28, adottando la via indicata, ma spingendo, a questo punto, sui tempi di attuazione. Non può sfuggire come la divergenza sul piano dell’interpretazione riveli una sostanziale disomogeneità nella gerarchia degli obiettivi. Da un parte sembra prevalere l’attenzione alla misura del sacrificio imposto a investitori e risparmiatori, per evidenti ragioni di loro tutela, per l’altra la preoccupazione di escludere un’ingerenza pubblica, capace di provocare distorsioni al regime di libera concorrenza. A ben vedere si tratta
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Cfr. memoria Mef, cit. sub nota 21. In rapporto all’ampiezza della definizione di aiuto cfr. C. Cost., 10 giugno 2011, n. 185, che, nel riferirsi alla giurisprudenza comunitaria in materia, ha precisato che: «La nozione di aiuto di Stato risulta ben più ampia di quella di sovvenzione, dato che essa vale a designare non soltanto le prestazioni positive del genere delle sovvenzioni stesse, ma anche interventi i quali, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa». Conf. C. Cost., 11 dicembre 2013, n. 299 e 7 novembre 2014, n. 249, entrambe dichiarano la illegittimità di leggi regionali Abruzzo ai sensi dell’art. 117 cost., perché in violazione delle disposizioni comunitarie sugli aiuti di Stato. Nella prima tra l’altro si legge: «[…] Gli aiuti di Stato incompatibili con il mercato interno, secondo la nozione ricavabile dall’art. 107 tfue (in precedenza art. 87, paragrafo 1, del Trattato della Comunità europea), consistono in agevolazioni di natura pubblica, rese in qualsiasi forma, in grado di favorire talune imprese o talune produzioni e di falsare o minacciare di falsare in tal modo la concorrenza, nella misura in cui incidono sugli scambi tra gli Stati membri […]». 28 Rilevante e incisivo l’intervento di Lamandini, Il diritto bancario dell’Unione, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, IV, p. 423, dove: «La variegata articolazione (che talora può apparire una disarticolazione) delle fonti del diritto bancario europeo mi sembra rappresenti, meglio che in ogni altro settore, non solo il profondo ripensamento dell’allocazione della sovranità e del potere di formazione, che i mercati impongono alle istituzioni, ma anche la molteplice graduazione dei poteri (pubblici e privati) di conformazione (vi sono qui tanti “toni di grigio”), che occorre per assicurare un’omogenea rule of law». 27
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però di finalità che trovano composizione nell’impianto regolatorio di settore, informato alla ricerca della migliore stabilità dei mercati, funzionale alla salvaguardia del buon andamento degli enti creditizi e, di conseguenza, alla tutela di ogni loro avente causa. Sembra utile osservare in proposito, che sin dai primi considerando della BRRD, si ricorda, una volta di più, come l’imponente processo di riforma costituisca reazione alle gravi conseguenze della crisi29. I Governi hanno fronteggiato la temibile epidemia con massici interventi di ricapitalizzazione del sistema bancario, con costi diretti e indiretti particolarmente gravosi30. La ricordata Comunicazione del luglio 2013 può considerarsi indicatore del superamento della fase di picco della crisi e, ad un tempo, affermazione di modalità operative, poi declinate con copiosa produzione normativa31,
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Cfr. i Considerando 1 e 2, BRRD, inoltre, tra tanti riferimenti in argomento, si v. la Relazione illustrativa del Governo al Senato delle Repubblica, 11 febbraio 2015, accompagnatoria dello schema di d.lgs. Recepimento della direttiva n. 36 del 2013 UE, inerente l’accesso all’attività creditizia e la vigilanza prudenziale: «La crisi finanziaria già nel 2009 ha evidenziato le carenze dell’architettura della vigilanza europea […]». 30 In argomento ancora Barbagallo, Audizione Camera dei Deputati, cit., dove, tra l’altro: «Non erano percorribili altre strade, in assenza di validi meccanismi per la soluzione delle crisi. Tuttavia, l’utilizzo di risorse pubbliche, oltre a comportare costi per l’erario, incoraggia comportamenti di azzardo morale da parte degli intermediari, del management e degli azionisti, incentivati ad assumere rischi eccessivi nell’assunto che, in caso di crisi, le relative conseguenze negative verranno attutite dall’intervento pubblico. L’implicita garanzia pubblica sulle passività distorce inoltre la concorrenza tra intermediari sistemici e non, con i primi che beneficiano di condizioni di raccolta più favorevoli». 31 In proposito Panetta, Senato della Repubblica, 6ª Commissione permanente (Finanze e tesoro), Indagine conoscitiva sul sistema bancario italiano nella prospettiva della vigilanza europea in riferimento all’esame degli Atti del Governo n. 208 e n. 209 relativi al risanamento e risoluzione degli enti creditizi e imprese di investimento, Audizione del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Roma, 29 ottobre 2015, p. 5: «[…] La BRRD introduce il principio in base al quale i costi della crisi dovranno ricadere in primo luogo su azionisti e creditori delle banche, secondo la gerarchia fallimentare. Solo al ricorrere di presupposti specifici sarà possibile l’intervento di un fondo di risoluzione finanziato dallo stesso sistema bancario, a integrazione delle risorse di azionisti e creditori. Il ruolo dell’intervento pubblico sarà residuale. Un tale principio persegue più obiettivi, impedendo di addossare i costi delle crisi sui contribuenti, esso mira a disincentivare l’assunzione di rischi eccessivi da parte degli amministratori e degli azionisti delle banche. Esso rimuove inoltre la garanzia statale implicita in favore degli intermediari sistemici, forzandoli a competere alla pari con gli altri intermediari nella raccolta di fondi. Queste misure contribuiranno a mitigare il legame tra debito sovrano e debito bancario». Cfr. l’autorevole esame su contenuti ed evoluzione del t.u.b. di Costi, Il Testo Unico Bancario oggi, in Quad. giur. Banca d’Italia, n. 75, 2014, p. 39
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che si propongono di evitare il ricorso reiterato e indiscriminato all’aiuto di Stato, introducendo, allo scopo, forme di condivisione delle perdite con azionisti e creditori. La ricerca di un nuovo punto di equilibrio nel concorso tra pubblico e privato al salvataggio degli enti in crisi si è tradotta in norma, conferendo nuovo vigore alle regole che applicano i principi in materia di concorrenza32. La nuova disciplina armonizzata di settore, nel perseguire l’obiettivo di conferire sicurezza a mercati, investitori e risparmiatori, ha incrementato in modo sensibile sia la quantità, che la qualità delle misure di vigilanza e prevenzione, potenziato funzioni e strumenti affidati a organismi di controllo, provocando una riduzione uguale e contraria degli spazi di autonomia contrattuale e statutaria dei soggetti interessati. Una spinta che, inevitabilmente, incide le libertà affermate nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea33 e sposta l’ago della bilancia in favore del perseguimento dell’interesse collettivo, attraverso una loro più accentuata limitazione. In particolare ne riceve una nuova lettura il diritto di proprietà. In definitiva si arriva a modificare il profilo di rischio, proprio degli strumenti finanziari acquisiti da azionisti e creditori, configurando la possibilità di un loro sostanziale esproprio forzoso, che elide
s., Dal Testo unico bancario all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione dei poteri, Atti del convegno Roma 16 settembre 2013, che osserva come le regole che già conosceva l’ordinamento nazionale e l’esperienza ottenuta nella gestione delle crisi bancarie, senza ricorso alla liquidazione, hanno certamente contribuito alla definizione dell’impianto comunitario. 32 È noto che la base giuridica adottata dalla Commissione, nella valutazione degli interventi a sostegno del sistema creditizio, è stata individuata nell’art. 107, par. 3, sub b), tfue. Cfr. poi sul principio di concorrenza, tra gli altri, Roberti, La dimensione europea della politica di concorrenza, in Riv. it. dir. unione europea, 8 febbraio 2012, p. 7: «[…] emerge come i principi, le norme e le politiche di concorrenza rappresentino un prisma di analisi di particolare interesse per la lettura dei rapporti fra ordinamento europeo e nazionale. Per un verso, la sostanziale adesione degli Stati membri al “valore” della concorrenza, iscritto nei trattati sin dall’origine dell’esperienza comunitaria, spiega l’intensa conformazione […] degli assetti nazionali a quelli delineati in sede europea. Per l’altro, la funzione cruciale che il “principio di concorrenza” assume – nella sua accezione di tutela della parità di chances nella competizione per il mercato e nel mercato – è all’origine di una rilevante evoluzione ed espansione dell’ordinamento europeo [...]». 33 Cfr. ancora Lamandini, Il diritto, cit., p. 421: «[…] Là dove il diritto fondamentale ha il proprio riconoscimento nella Carta ed è dunque fonte di rango massimo del diritto europeo, esso – a differenza di quanto avviene alla fonte CEDU – beneficia a pieno titolo del primato e dell’applicazione diretta senza necessità della mediazione della Corte costituzionale».
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i diritti incorporati, sia patrimoniali, che amministrativi. L’ottica che guida verso l’incremento delle dosi di responsabilità collettiva, collegate alla proprietà privata è però ben conosciuta dal nostro ordinamento interno, che anzi ne esalta la funzione sociale tra i propri principi costituenti34. Semmai è possibile considerare come sia la nozione di fonte comunitaria a ricevere un’impronta nuova, che segna l’affermazione di un’esplicita apertura alle istanze di sistema, attraverso il maggior sacrificio di libertà individuali35. La disciplina ricevuta dal settore creditizio attribuisce alla proprietà funzioni, che hanno indiscutibili riflessi sul piano sociale. Per altro verso il concorso dei privati nell’assorbimento delle perdite non è soltanto freno all’azzardo morale e incentivo all’investimento consapevole36, ma presidio della stessa libertà d’impresa, nel momento in cui diviene argine all’intervento pubblico. Certo, quest’ultimo non viene escluso, è bensì ricondotto a strumento di ultima istanza in situazioni di «grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro» o, al contrario, riconosciuto come elemento che, modifi-
34 Cfr. Lener, Profili, cit., p. 5: «Indubbiamente il nuovo sistema comporta, in primo luogo, una forte compressione del diritto di proprietà, tutelato tanto dalla Costituzione (cfr. art. 42 e 47 Cost.), quanto dalla CEDU (cfr. art. 1, protocollo 1, e art. 52). E trovare il corretto punto di equilibrio tra interesse pubblico e interesse privato è tutt’altro che agevole, anche a convenire sulla tendenziale prevalenza del primo». 35 Il riferimento è in particolare all’insegnamento di Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, p. 433, «la funzione sociale (è) […] la ragione stessa per la quale il diritto di proprietà è stato attribuito ad un determinato soggetto». Inoltre Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma, 2012, p. 108, che ricorda il programma politico della DC negli anni costituenti: «non tutti proletari, ma tutti proprietari». Cfr. inoltre Marella, La funzione sociale oltre la proprietà, in Riv. crit. dir. priv., 2013, IV, p. 557 e s., che ripercorre l’evoluzione interpretativa della definizione, con ampio richiamo alla giurisprudenza comunitaria sul punto. Cfr. protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, art. 1: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità […]». E art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, cap. Libertà: «il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge […] L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale». Inoltre art. 6 Tfue: «L’Unione riconosce i diritti, le libertà ed i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati». 36 Sul punto il considerando 67 BRRD recita: «[…] Lo strumento del bail-in darà pertanto agli azionisti e ai creditori degli enti un maggiore incentivo a vigilare sul buon funzionamento dell’ente in circostanze normali […]».
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cando l’equilibrio del mercato, conduce l’ente creditizio verso la risoluzione. È il libero regime di concorrenza ad assumere ancora centralità nell’espressione delle libertà fondamentali, funzionale all’efficienza dei mercati, entro i binari della rigorosa disciplina di settore. La possibilità di accesso al sostegno pubblico nelle situazioni di crisi dell’impresa bancaria, postula così la necessità di misurare il concreto effetto di ogni azione idonea a falsare la concorrenza o minacciare di farlo. A tal fine la BRRD va a disciplinare l’ordinata gestione dei processi di crisi, dettando tempi e modalità di attenta misurazione dell’adeguatezza e proporzionalità del ricorso a modalità di riduzione di valore degli strumenti finanziari, detenuti da azionisti e creditori. In altri termini è proprio attraverso l’adozione delle misure di risanamento e risoluzione, che sono attivate le previste valutazioni37, volte a pesare l’entità del concorso dei privati nell’assorbimento delle perdite, sotto il controllo dell’Autorità preposta. Aspetto ben presente nel corpo normativo di fonte comunitaria38, che ha cura di fornire adeguati metodi di scelta, così da farsi garante dell’attenta misurazione del sacrificio richiesto. L’apertura di un programma di risoluzione non comporta, di per sé, la conseguenza di un maggior onere imposto al privato, vuole anzi che la misura del sacrificio sia determinata secondo le modalità fissate ex lege, ferma restando la ricerca del massimo contenimento dell’intervento pubblico. In questo senso è esplicita la previsione del ripetuto art. 17, co. 2, d.lgs. cit., mentre non si dubita, che il Fitd sia sottoposto al controllo ed alla direzione dell’Organo di Vigilanza39.
37 Cfr. Capizzi e Cappiello, Prime considerazioni sullo strumento del bail in: la conversione forzosa di debito in capitale, V Convegno annuale dei professori di diritto commerciale, Roma 21-22 febbraio 2014, con focus su valutazione e modalità di conversione del debito. 38 Cfr. considerando 49 BRRD: «Le limitazioni dei diritti di azionisti e creditori dovrebbero essere conformi all’articolo 52 della Carta […]» ed ancora il successivo considerando 50: «L’interferenza nei diritti di proprietà non dovrebbe essere eccessiva […]». 39 Sul punto tra gli altri per l’opinione che sostiene la particolare rilevanza dei poteri riservati all’Autorità di Vigilanza, Vattermoli, Le cessioni aggregate nella liquidazione coatta amministrativa delle banche, Milano, 2001, p. 111. Nello stesso senso con riferimento al caso in esame, Polo, Aiuti di Stato, una scomoda sentinella, in www. lavoce.info, 22 gennaio 2016: «[…] la Commissione ha ritenuto che la natura obbligatoria dei contributi, unita alla governance del Fondo e al ruolo di autorizzazione della Banca d’Italia, configurassero un organismo finalizzato a perseguire obiettivi di natura pubblica e non guidato da logiche puramente private».
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La regolazione delle possibilità d’intervento dei sistemi di garanzia dei depositi trova ora fonte nella DSGD40, che ne delimita il ruolo in rapporto alla risoluzione dell’ente creditizio41 e detta la possibilità di agire in via alternativa, cioè con metodi, che la relazione allo schema di decreto legislativo di attuazione, ricorda: «[…] già ben conosciuti dal nostro ordinamento (la Direttiva si è ispirata alle soluzioni italiane) e costituiscono la modalità ordinaria dell’intervento dei sistemi di garanzia, poiché è meno costosa e ha impatti sistemici meno rilevanti». Un esplicito rinvio all’esperienza nazionale, sin qui vissuta, nella gestione delle crisi bancarie, che dà conto di una storia positivamente valutata sotto il profilo dei costi ed del contenimento degli effetti sul sistema. Peraltro la valutazione di convenienza del ricorso all’azione preventiva e/o alternativa, fondata sul minor costo, non può sottrarsi alla comparazione con gli eventuali effetti distorsivi per il mercato interno, che ne possono derivare42. La preferenza per un percorso esterno alla risoluzione, sembra invece intonarsi a schemi già collaudati, delineando una forma di sostegno, che appare però dissonante rispetto agli orientamenti descritti ed esposta al rischio di determinare il quantum di condivisione delle perdite, senza poter contare sui presidi e sulle responsabilità di valutazione ivi previsti
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Dichiara gli obiettivi perseguiti, tra gli altri, il considerando (6): «La direttiva 94/19/ CE si basa sul principio dell’armonizzazione minima. Di conseguenza, esiste attualmente nell’Unione una varietà di SGD con caratteristiche molto diverse. In conseguenza dei requisiti comuni previsti dalla presente direttiva, è opportuno garantire ai depositanti un livello di protezione uniforme in tutta l’Unione, al contempo assicurando lo stesso livello di stabilità degli SGD. Allo stesso tempo, tali requisiti comuni sono di estrema importanza al fine di eliminare le distorsioni di mercato. La presente direttiva contribuisce pertanto al completamento del mercato interno». 41 Cfr. in proposito Relazione al ddl di delegazione europea 2014, art. 5: «[…] La risoluzione non comporta infatti intervento del DGS, se non in quanto sia ad esso applicato lo strumento del bail-in; tale evenienza è comunque altamente, se non del tutto, improbabile, data la cd superdepositor preference accordata ai depositanti per effetto dell’articolo 108 della direttiva n. 59 del 2014 UE […], tale che tali crediti sono postergati a tutti gli altri nell’applicazione dello strumento del bail-in. In ogni caso poi il DGS non risponderebbe oltre quanto sarebbe chiamato a versare in caso di liquidazione della banca per il rimborso dei depositanti […]». 42 Si rinvia alle precedenti note 6 e 9, inoltre i riferimenti in argomento contenuti nella Relazione al bilancio 2014 del Fitd, p. 22, dove, tra l’altro: «Dovranno, altresì, essere valutati attentamente i profili relativi alla configurabilità quali aiuti di Stato degli interventi del Fondo effettuati in forme diverse dal rimborso dei depositanti, in base alla vigente disciplina comunitaria», richiamando espressamente la Comunicazione, luglio 2013, cit.
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4. Metodologie di salvataggio e percezione del rischio. Nel nostro Paese, nel vigore delle vecchie regole, l’esplicito ricorso agli aiuti di Stato è stato piuttosto limitato43, ma le operazioni di salvataggio di banche in difficoltà, definite con l’attivo concorso del sistema creditizio e, talvolta, l’intervento dei fondi di garanzia44, hanno salvaguardato i creditori e, in qualche misura, gli azionisti, ingenerando la diffusa opinione che, soprattutto i primi, non fossero esposti a perdite effettive. La soluzione trovata in numerose occasioni ha consentito di non gravare le finanze pubbliche ed ha avuto il merito di evitare l’epilogo liquidatorio, ma inevitabilmente ha finito per mascherare il contenuto di rischio degli investimenti45. L’uscita pilotata dal mercato dell’impresa
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Il mancato ricorso al diretto sostegno pubblico è stato sottolineato in numerose circostanze ad avvalorare la solidità del sistema creditizio nazionale e la migliore resistenza mostrata rispetto alle conseguenze della crisi, Cfr. da ultimo ancora Barbagallo, Audizione Senato della Repubblica, 14ª Commissione Permanente – Politiche dell’Unione Europea, Esame del disegno di legge di delegazione europea 2014 (A.S. 1758), 18 marzo 2015, p. 7: «Secondo i dati pubblicati dall’Eurostat, gli interventi di sostegno attuati da diversi Governi dell’area dell’euro ai sistemi finanziari dei rispettivi Paesi, misurati attraverso il loro effetto sul debito pubblico, alla fine del 2013 ammontavano a quasi 250 miliardi in Germania, quasi 60 in Spagna, circa 50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, poco più di 40 in Grecia. In Italia il sostegno pubblico è stato di circa 4 miliardi, 3 dei quali restituiti nel corso del 2014». 44 Cfr. relazione al bilancio 2014 del Fitd, p. 18: «Nel corso dei 27 anni di vita del FITD, sono stati disposti 41 provvedimenti di amministrazione straordinaria nei confronti di banche consorziate. Dette procedure hanno dato luogo a 11 interventi del FITD, pari al 26,8% del totale, per un esborso complessivo di poco superiore a 1,5 miliardi euro. Le restanti procedure di amministrazione straordinaria, per le quali non è stato richiesto l’intervento del FITD, si sono concluse con processi di concentrazione nel 29,3% dei casi, con il ritorno in bonis nel 24,4% e con liquidazioni volontarie nel 2,4%; Il residuo 17,1% riguarda procedure ancora in corso al 31 dicembre 2014». 45 Sul punto sembra utile richiamare qui il considerando 45 della direttiva BRRD: «Per evitare l’azzardo morale, un ente in dissesto dovrebbe essere in grado di uscire dal mercato, a prescindere dalle sue dimensioni e interconnessioni, senza provocare perturbazioni sistemiche. In linea di principio, un ente in dissesto dovrebbe essere liquidato con procedura ordinaria di insolvenza. Tale procedura, tuttavia, potrebbe compromettere la stabilità finanziaria, interrompere la prestazione di funzioni essenziali e pregiudicare la tutela dei depositanti. In tal caso, è altamente probabile che sarebbe di pubblico interesse sottoporre l’ente a risoluzione e applicare strumenti di risoluzione anziché avvalersi della procedura ordinaria di insolvenza, con l’obiettivo quindi di garantire la continuità delle funzioni essenziali, di evitare effetti negativi sulla stabilità finanziaria, di tutelare i fondi pubblici riducendo al minimo il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario per gli enti in dissesto e di tutelare i depositanti e gli investitori protetti, i fondi e le attività dei clienti».
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non efficiente ha anch’essa effetti modificativi del libero svolgersi della concorrenza ed è pratica, che ha concorso al consolidarsi di un’aspettativa sociale d’immunità. Sul piano fattuale è soluzione che ha condotto ad una gestione indolore delle crisi bancarie, peraltro in ambiti dimensionali delimitati, le cui negative conseguenze sono state in vario modo assorbite dal sistema creditizio. Nel sempre dinamico concorso tra esigenze di tutela della stabilità dei mercati e di salvaguardia della libertà di concorrenza46, le scelte operate hanno perseguito un difficile equilibrio, limitando i rischi di contagio, con effetti variamente invasivi, che comunque hanno tenuto fuori i creditori degli enti interessati dal rischio di perdita. La soglia di attenzione del risparmiatore, alla ricerca di un miglior rendimento, si è però inevitabilmente indebolita, coniugandosi con la richiesta del sistema di ottenere mezzi finanziari idonei al proprio rafforzamento patrimoniale. Non può sfuggire infatti come l’ampia diffusione di strumenti con caratteristiche idonee, per essere classificati tra i fondi propri della banca è conseguenza dei più stringenti requisiti patrimoniali, adottati allo scopo di conferire maggiore stabilità ai mercati e rafforzare la capacità degli enti creditizi di resistere anche a crisi sistemiche. Sotto questo profilo le disposizioni introdotte in materia, finalizzate ad ottenere una migliore tutela di investitori e risparmiatori, possono essere percepite come fonte di una loro maggiore esposizione al rischio. Oltretutto la stessa disciplina introdotta con la BRRD introduce un «requisito minimo di passività soggette al bail in», la cui determinazione è demandata all’Autorità competente, che impegna gli enti creditizi a dotarsi di mezzi di rafforzamento patrimoniale, che rispondano allo scopo. Non c’è dubbio però, che la solidità delle banche è il primo elemento di garanzia per gli stessi risparmiatori e investitori, capace di fare argine contro i rischi d’instabilità. La conseguente enfasi, che si è generata sul punto, non può quindi essere dissociata da una ancor più consapevole e libera scelta d’acquisto. Nulla di nuovo, se non l’evidenza, che alle regole di offerta degli strumenti finanziari è affidato il compito di garantire un’informazione piena, corretta ed efficace. Costituiscono il nodo più sensibile di connessione con gli investitori, da vigilare con estremo rigore47, a maggior ragione dove l’azione pub-
46 Cfr. in argomento, tra gli altri, Rotondo e Vattermoli, Gli aiuti di Stato alle imprese bancarie in difficoltà, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, II, p. 239. 47 Cfr. Barbagallo, Audizione 18 marzo 2015, cit.: «[…] La necessità di rendere più
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blica, anche senza diretto ricorso a fondi dello Stato, ha attenuato la percezione del rischio. Temi che non hanno mai cessato di essere al centro dell’attività dei regolatori e che, da ultimo, hanno portato all’adozione della Direttiva n. 65 del 2014 UE, ancora nei termini di recepimento48. Nella specie però l’evidenza è di un rifiuto sociale generalizzato degli effetti delle nuove regole, rivelatore quanto meno di una divaricazione tra percezione sociale e norma giuridica, ma che sottolinea la centralità di una migliore efficacia proprio dal lato della trasparenza informativa49.
stringente richiede che gli strumenti di debito emessi dalle banche siano sottoscritti da operatori in grado si selezionare correttamente i rischi. Gli strumenti soggetti a riduzione e/o conversione andranno considerati come particolarmente rischiosi […]». 48 Cfr. Press release, daily news, 12 giugno 2014, www.europa.eu, dove: «[…] It introduces a market structure which closes loopholes and ensures that trading, wherever appropriate, takes place on regulated platforms […]». Cfr. in www.anasf. it: «Nell’ambito dei lavori per la revisione della MiFID I, nell’ottobre 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta che ha poi portato all’adozione del nuova direttiva (direttiva 2014/65/UE, c.d. MiFID II), ufficialmente pubblicata lo scorso 12 giugno 2014. Il contenuto della MiFID I è ora in parte “rifuso” nella nuova direttiva MiFID II, in parte sostituito dal regolamento MiFIR (Regolamento UE 600/2014, che disciplina principalmente gli aspetti relativi alla negoziazione di strumenti finanziari). L’obiettivo della valutazione di adeguatezza è raccomandare all’investitore servizi e strumenti finanziari corrispondenti al suo profilo. A tal riguardo, rispetto alla MiFID I, la MiFID II richiede di porre un’attenzione specifica agli elementi legati alla tolleranza al rischio e alla capacità dell’investitore di sostenere eventuali perdite». 49 Con focus sui conflitti d’interesse e sulla protezione del risparmiatore mi permetto di rinviare a Fiordiponti, Tutela del risparmio: principi costituzionali e rimedi civilistici, Napoli, 2012, ove, tra l’altro, sulla disclosure dei conflitti, p. 96: «[…] La conseguenza ultima di questa scelta è che l’operatore che dichiara correttamente la situazione di conflitto, agisce con la conseguente diligenza, rispetta gli obblighi normativi […] Come dire che si opera un trasferimento degli effetti, anche dannosi, del conflitto dall’operatore professionale, che ha effettuato le sue scelte […], al risparmiatore, consumatore finale che acquista lo strumento finanziario». Autorevolmente in argomento Busnelli, La vendita porta a porta dei valori mobiliari, Milano, 1992, p. 4 s.; Mengoni, Costituzione e autonomia privata, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, p. 11; Luminoso, Il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza: principi generali del codice civile e disciplina speciale dei servizi di investimento, in Il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza, a cura di Granelli e Stella, Milano, 2007, p. 15; Lener, Il conflitto di interessi nella gestione di patrimoni individuali e collettivi, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, II, p. 489 s.
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5. Una valutazione a discrezionalità limitata. Il legislatore nazionale, con urgenza, ha agito prima della decorrenza del termine di applicabilità del bail in50, il già ricordato 1° gennaio 2016, data ultima consentita dalla direttiva51. In caso contrario è conseguente immaginare che si sarebbe fatto uso di questo strumento, visto che si dà applicazione al private burden sharing, si ricorre al sostegno pubblico ed è accertato il raggiungimento del punto d’insostenibilità economica degli enti interessati52. Si sarebbero realizzati così i presupposti per il prevedibile coinvolgimento di una più vasta platea di creditori, pur delimitata dalle dettagliate esclusioni indicate all’art. 49 d.lgs. cit., che riguardano principalmente i depositi protetti, ma consentono anche l’intervento selettivo dell’Autorità in rapporto alle specifiche esigenze del caso concreto. Il costo del dissesto avrebbe comunque gravato in primo luogo gli azionisti e gli stessi creditori53, secondo modalità individuate,
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Per un’analisi dell’istituto, tra gli altri, cfr. Lener, Profili, cit., Presti, Bail-in Crisi bancarie: il nuovo quadro giuridico e istituzionale, Intervento al convegno, Crisi bancarie: il nuovo quadro giuridico e istituzionale, Milano, 8 maggio 2015, Gardella, Il bail in e il finanziamento delle risoluzioni bancarie nel contesto del meccanismo unico di risoluzione, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, V, p. 587, dove tra l’altro: «Questo è lo strumento di risoluzione che meglio rappresenta la risposta politica ai salvataggi pubblici delle banche, essendo volto a minimizzare i costi sopportati dai contribuenti. Il bailin svolge un ruolo essenziale per raggiungere questo obiettivo ed è uno degli strumenti più potenti a disposizione dell’autorità di risoluzione. Tenuto conto delle complessità intrinseche di questo strumento, compresa l’interferenza con il diritto di proprietà, l’impatto sul mercato e sui costi di finanziamento delle banche, la Direttiva n. 59 del 2014 UE, che doveva essere trasposta negli ordinamenti nazionali entro il 31 dicembre 2014, ha concesso agli Stati Membri un termine più ampio per l’applicazione di questo strumento da parte delle autorità di risoluzione nazionali, consistente al più tardi nel 1º gennaio 2016». 51 Si deve ricordare che a questo proposito il considerando 82 BRRD così recita: «Per consentire risultati efficaci della risoluzione, dovrebbe essere possibile applicare lo strumento del bail-in prima del 1° gennaio 2016». 52 Si richiama il considerando 67, BRRD, prima parte: «Un regime di risoluzione efficace dovrebbe ridurre al minimo i costi della risoluzione di un ente in dissesto sostenuti dai contribuenti [...] Con lo strumento del bail-in si consegue tale obiettivo garantendo che gli azionisti e creditori dell’ente in dissesto sostengano perdite adeguate e si facciano carico di una quota adeguata dei costi derivanti dal dissesto dell’ente». Si ricorda inoltre che il considerando 81, BRRD individua «il punto di insostenibilità economica» con quello in cui «l’autorità competente stabilisce che l’ente soddisfa le condizioni per la risoluzione, ovvero […] stabilisce che l’ente cesserebbe di essere economicamente sostenibile se […] (gli) strumenti di capitale non fossero svalutati o convertiti […]». 53 Cfr. Onado, Il risparmio ha bisogno di trasparenza, in www.lavoce.it, 17 dicembre
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applicando un metro di valutazione di contenuto eminentemente tecnico. Il ricorso allo strumento del bail in è una delle possibilità, rimesse al giudizio dell’Autorità di risoluzione, che attraverso la valutazione «equa, prudente e realistica delle […] attività e passività»54, definita dagli artt. 23 e s. d.lgs. n. 180 del 2015, individua «le azioni di risoluzione più appropriate», anche in combinazione tra loro. Nel nostro caso l’urgenza ha circoscritto la scelta. Il decreto ha sollevato l’Autorità dal compito di considerare l’uso del bail in ed ha portato ad un’attuazione del principio di partecipazione alle perdite di azionisti e creditori, attuato nella misura possibile al momento. Il d.l. n. 183 del 2015 è frutto dell’indubbia necessità di agire rapidamente, ma, se esaurisse in questo il suo scopo, aprirebbe un ovvio interrogativo sulla capacità dei processi decisionali definiti in via ordinaria di garantire analoga prontezza. Il sistema ordinatorio appare invece predisposto allo scopo e con il meccanismo introdotto con il d.lgs. n. 180 del 2015, deroga con ampiezza alle regole comuni. Si preoccupa tra l’altro di indicare le funzioni dell’ente ponte e precisa che il capitale sarà detenuto «interamente o parzialmente» dal fondo di risoluzione o «da autorità pubbliche», affida poi alla Banca d’Italia il compito di approvare atto costitutivo e statuto. È invece all’art. 32, co. 1, sub 6) d.lgs. cit., che si attribuisce alla stessa Autorità il potere di indicare «le modalità di costituzione» dell’ente ponte. Si configura così un soggetto che assume veste di società per azioni, con percorso costitutivo, scopo e modalità di funzionamento, vincolati e determinati dall’Amministrazione deputata.
2013, che nel sottolineare come il bail in costituisca una forma di ristrutturazione del debito praticamente forzosa, osserva come: «Se dovesse scattare la tagliola del bail in (la prima linea di difesa, si badi, non più i fondi o le garanzie pubbliche finora utilizzate nel momento dell’emergenza) è difficile che si possa distinguere per tipologie di investitori e dunque tutti verrebbero trattati secondo la scala di priorità prevista dalle diverse tipologie di credito, esattamente come succede in una procedura concorsuale […] Dunque da oggi i risparmi che i privati cittadini affidano alle banche non sono tutti ugualmente sicuri», e pone l’accento sulla necessità di migliorare la trasparenza dell’offerta di prodotti finanziari: «gli sforzi delle autorità internazionali per coniugare semplicità ed efficacia dell’informazione fornita al cliente sono ancora ben lungi dall’aver raggiunto risultati accettabili» , rilevando che i risparmi delle famiglie italiane erano investiti in «[…] 347 miliardi di obbligazioni bancarie. Si badi che questo valore è quasi doppio dei titoli di Stato (166 miliardi) […]». 54 La formula adottata per qualificare l’attività di valutazione replica il dettato del considerando 63, Reg. n. 806 del 2014UE, cit.
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L’intervenuto del legislatore si è indirizzato sulle modalità costitutive degli enti ponte, per avere pienezza di effetti già con la pubblicazione del provvedimento. Il tutto si è risolto nel sostituirsi alle «formalità civilistiche […] e di iscrizione nel registro delle imprese», soluzione estemporanea, che non può sciogliere ipotetiche difficoltà applicative, ma appare destinata a rispondere alla specifica esigenza del momento. Nello stesso senso si orienta il passaggio relativo alle modalità di contribuzione al Fondo di risoluzione nazionale, con lo scopo di dotarlo dei mezzi necessari per fronteggiare gli «obblighi assunti […] prima dell’avvio del meccanismo di risoluzione unico» e che si riassume nel triplicare, «solo per l’anno 2016», l’ammontare annuo dei contributi. In sostanza un’anticipazione, che si valuta recuperabile almeno per la parte destinata a sostenere gli enti ponte, ma che intanto fornisce copertura ai programmi di risoluzione. Il Fondo è utilizzato per assorbire le perdite di queste banche, come si legge nel comunicato informativo redatto dall’Autorità di risoluzione, anche se i provvedimenti emanati assegnano il sostegno finanziario agli enti ponte55. Si integra così una fattispecie di «trasferimento al Fondo» in forma indiretta «di parte delle perdite» degli enti creditizi sottoposti a risoluzione, che l’art. 79, co. 2, d.lgs. n. 180 del 2015 lega al rispetto delle regole fissate in ipotesi di bail in dall’art. 49, cit., dove viene stabilita la misura del concorso nella copertura delle perdite da parte dei privati56. Ma, come si è detto, le disposizioni inerenti questo strumento si applicano solo dal 1° gennaio 2016. Uguale la decorrenza per l’applicazione del Reg. n. 806 del 2014 UE, almeno per le parti inerenti l’avvio del Fondo di risoluzione unico. Il
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Cfr. Banca d’Italia, Informazioni, cit., p. 3: «[…] L’impegno finanziario immediato del Fondo di Risoluzione è, complessivamente per le quattro banche, così suddiviso: circa 1,7 miliardi a copertura delle perdite delle banche originarie (recuperabili forse in piccola parte) […]». Ancora Banca d’Italia, avvio della risoluzione, 22 novembre 2015: «In tale contesto, il Fondo di Risoluzione Nazionale, istituito dalla Banca d’Italia con provvedimento del 18 novembre 2015, ai sensi dell’art. 78 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, interviene per: a) sottoscrivere il capitale dell’ente ponte, assicurando il rispetto dei prescritti requisiti patrimoniali; b) fornire un contributo allo stesso ente ponte al fine di coprire il deficit di cessione; c) sottoscrivere il capitale della società veicolo per la gestione delle attività, assicurando il rispetto dei prescritti requisiti patrimoniali; d) fornire una garanzia per il credito vantato dall’ente ponte verso la società veicolo». 56 Cfr. in proposito Gardella, Il bail in, cit., p. 593: «Si presta a interpretazioni contrastanti il requisito che richiede la riduzione o la conversione di strumenti di capitale o di passività ammissibili per un ammontare pari all’8% ai fini di poter fare ricorso al Fondo […]».
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decreto ha quindi avuto anche urgenza di fissare adeguata consistenza per gli oneri contributivi a carico del sistema creditizio, allo scopo di integrare il funding e consentire l’intervento del Fondo nazionale, prima di quella fatidica data. Il Fondo si configura come patrimonio autonomo, distinto da quello della Banca d’Italia, che è investita della responsabilità del suo utilizzo, entro i vincoli di destinazione dettati in modo analitico all’art. 79 cit., è formato con contribuzione obbligatoria ed il suo utilizzo costituisce sostegno di Stato. Certo è che con il d.l. n. 183 del 2015 se ne è fatto un utilizzo immediato, evidentemente legato al bisogno di integrare la copertura delle perdite degli enti in dissesto. L’intervento normativo si è saldato con i provvedimenti assunti dalla Banca d’Italia per disporre l’avvio dei rispettivi programmi, articolati sul contestuale ricorso a misure di risoluzione diverse dal bail in. L’Autorità di risoluzione ha individuato nella cessione dell’azienda alle bridge banks la possibilità di «mantenere la continuità delle funzioni essenziali» delle banche coinvolte, nella prospettiva di una futura cessione a terzi. Il programma di risoluzione si è avvalso dell’integrale riduzione di riserve e capitale, nonché degli «elementi di capitale di classe 2 computabili nei fondi propri»57, azzerandone il valore, senza però giungere alla integrale copertura delle perdite, come si apprende dalle indicazioni fornite dalla Banca d’Italia, che quantifica in 1,7 miliardi di euro il ricorso al Fondo di risoluzione, per ripianare le ulteriori perdite delle banche originarie. È la medesima Autorità ad effettuare direttamente la valutazione sugli effetti delle decisioni adottate, a mente dell’art. 25 d.lgs., cit., quindi in via provvisoria, per ragioni d’urgenza. L’esercizio della funzione valutativa è espressione di una discrezionalità di natura tecnica, dove l’urgenza ha il solo effetto di stringere i tempi, evitando il ricorso ad un «esperto indipendente», ma non modifica i caratteri dell’operazione. In questo senso si deve osservare che il potere attribuito alla funzione preposta non costituisce riconoscimento di una totale discrezionalità amministrativa, ma si sostanzia in attività fondata su metodologie di contenuto tecnico, estranea alla mera ponderazione degli interessi in gioco58. Perciò un potere di giudizio e intervento, che si
57 Regolamento n. 575 del 2013 UE, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento, dove al Capo 4, sez 1, è la definizione degli «Elementi e strumenti di capitale di classe 2» e l’indicazione dei caratteri dei prestiti subordinati ammissibili tra i fondi propri. 58 Si fa riferimento all’insegnamento di M.S. Giannini, in particolare si v. Moliterni, I pareri di Massimo Severo Giannini: la continuità con la scienza, in Riv. trim. dir.
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esprime attraverso il risultato di un’analisi, oggettivamente riscontrabile, delineata per fornire salvaguardia all’interesse pubblico ed a tutti i soggetti interessati. Le attività di valutazione, in questa prospettiva, assumono rilievo centrale59, perché deputate all’individuazione degli elementi, che portano alle decisioni, che indirizzano il programma di risoluzione, perciò a contestualizzare l’azione individuata nella situazione concreta, dando attuazione alle regole previste, secondo i criteri indicati dalla norma di riferimento. La stima ex ante, in particolare, è volta anche a considerare quale sarebbe il trattamento atteso per le «diverse categorie di azionisti e creditori» in ipotesi di liquidazione coatta, svolgendo così anche funzione di presidio del delicato rapporto con l’eventuale limitazione dei diritti, conseguente alla risoluzione60. Si deve aggiungere però che i parametri di riferimento individuati dal legislatore, per guidare il processo valutativo, sono determinati con il ricorso a concetti di tipo aperto come l’equità, la prudenza ed anche il realismo. Indicazioni di
pubbl., 2015, III, p. 925, dove: «[…] Giannini, in particolare, àncora la discrezionalità amministrativa ad un surplus valutativo derivante dalla ponderazione dei diversi interessi in gioco: tale prospettiva è funzionale anche a distinguere la discrezionalità da altri processi valutativi o cognitivi dell’amministrazione che, impropriamente, vengono ricondotti entro tale nozione». 59 In proposito Presti, Il Bail-in, cit.: «[…] Nel settore bancario l’immenso potere (near-dictatorial) della AR di disporre il bail-in deve essere limitato ex ante […]», Lener, Profili, cit.: «In questo modo l’autorità di risoluzione è investita di un potere enorme, […], tanto che lo stesso legislatore europeo ha cercato di comprimerlo delegando all’EBA sia l’emanazione di technical advice, sia la mediazione vincolante per il caso di disaccordo tra autorità nazionali nelle risoluzioni transfrontaliere». 60 Cfr. il considerando 13 della BRRD: «[…] Di conseguenza è opportuno che l’azione di risoluzione sia intrapresa soltanto se necessaria nel pubblico interesse e le eventuali interferenze con i diritti di azionisti e creditori derivanti da quest’azione siano compatibili con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea («Carta»). In particolare, qualora creditori della stessa categoria siano trattati in maniera diversa nel contesto di un’azione di risoluzione, le differenze dovrebbero essere giustificate dal pubblico interesse e proporzionate al rischio sostenuto e non dovrebbero comportare discriminazioni, dirette o indirette, per motivi di cittadinanza». Cfr. inoltre i considerando 60: «[...] ad esempio che azionisti e creditori sostengano una quota adeguata delle perdite, che la direzione sia in linea di massima sostituita, che i costi della risoluzione dell’ente siano ridotti il più possibile e che i creditori di pari rango siano trattati in modo equo […]», 61: «[…] È opportuno che le limitazioni dei diritti di azionisti e creditori siano conformi all’articolo 52 della Carta […]» e 62: «[…] L’interferenza nei diritti di proprietà non dovrebbe essere eccessiva. Di conseguenza, gli azionisti e creditori interessati non dovrebbero subire perdite superiori a quelle che avrebbero sostenuto se l’entità fosse stata liquidata nel momento in cui è stata decisa la risoluzione […]», del Reg. SRM.
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tono generale, che a loro volta chiedono criteri di traduzione in termini applicativi e lasciano alla funzione preposta il compito di integrarne il contenuto, attingendo alle best practices ed alla cospicua esperienza maturata, ma in ogni caso ad un’articolazione di valori e modalità operative esterni alla norma, che implicano una certa dose di autonomia decisoria. Senonché nella fattispecie è intervenuto il nostro d.l. n. 183 del 2015, che ha consentito di accelerare sui tempi di attuazione del programma adottato ed ha imposto l’immediato adeguamento delle risorse del Fondo di risoluzione. In tal modo è stata circoscritta la discrezionalità dell’Autorità di risoluzione, che nella valutazione degli strumenti individuati non ha potuto contare sul bail in. A prescindere dalla contingente compressione dei tempi d’intervento così ottenuta, desta perplessità proprio la riduzione dello spettro di scelta, che non discende tanto dal mancato ricorso al Fitd, quanto dall’obiettivo di frenare la partecipazione all’assorbimento delle perdite da parte di azionisti e creditori. La decisione assunta sembra così forzare i ripetuti criteri di equa, prudente e realistica valutazione, costretti a misurarsi con la temporanea, ridotta applicabilità del nuovo ordinamento, mentre sono al tempo stesso ben noti principi e regole che danno corpo alla sistematica disciplina di settore. In altre parole un’alterazione dei parametri di riferimento praticabili, che sembra ignorare la necessità di proporre soluzioni analoghe ad analoghe fattispecie, chiamati come sono a regolare la concreta attuazione del concorso tra i principi di stabilità dei mercati, di tutela di risparmiatori e investitori e di libertà di concorrenza, che presiedono allo svolgersi dell’intera regolazione di ogni rango. Sicché l’ormai famoso decreto legge è dirimente, nel senso che esprime la volontà del legislatore di realizzare una sostanziale deroga, sfruttando la richiamata sfasatura dei termini di applicabilità, e si costituisce limite obiettivo per l’espressione delle scelte dell’Autorità preposta.
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NORME REDAZIONALI
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …
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Norme redazionali
4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.
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legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)
l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.
2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.
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Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista della cooperazione Riv. coop. Rivista delle società Riv. soc. Rivista del diritto commerciale Riv. dir. comm. Rivista del notariato Riv. not. Rivista di diritto civile Riv. dir. civ. Rivista di diritto internazionale Riv. dir. internaz. Rivista di diritto privato Riv. dir. priv. Rivista di diritto processuale Riv. dir. proc. Rivista di diritto pubblico Riv. dir. pubbl. Rivista di diritto societario RDS Rivista giuridica sarda Riv. giur. sarda Rivista italiana del leasing Riv. it. leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Riv. trim. dir. proc. civ. Vita notarile Vita not.
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4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.
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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria Cedola di sottoscrizione - Abbonamento 2016 (4 fascicoli): € 110,00 Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................
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