Diritto della banca e del mercato finanziario 4/2009

Page 1

Saggi

Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

4/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario ISSN 1722-8360

di particolare interesse in questo fascicolo

• Crisi finanziaria e autorità di controllo • Credito al consumo e prospettive di riforma • Sanzioni agli intermediari finanziari e legittimazione all’opposizione

• Sintesi di giurisprudenza

ottobre-dicembre

Pacini Editore

4/2009 anno xxiii





Diritto della banca e del mercato finanziario

ottobre-dicembre

Pacini Editore

4/2009 anno XXIII



Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria

Comitato di direzione Carlo Angelici, Franco Belli, Mario Bussoletti, Gino Cavalli, Salvatore Maccarone, Fabrizio Maimeri, Alessandro Nigro, Mario Porzio, Niccolò Salanitro, Vittorio Santoro, Luigi Carlo Ubertazzi. Comitato di redazione Sido Bonfatti, Antonella Brozzetti, Vincenzo Caridi, Ciro G. Corvese, Giovanni Falcone, Elisabetta Massone, Francesco Mazzini, Filippo Parrella, Gennaro Rotondo. Segreteria di redazione Daniele Vattermoli Direttore responsabile Alessandro Nigro La sede della rivista è presso la Segreteria del Ce.Di.B. Via dei Crociferi, 44 - 00187 Roma L’amministrazione è presso: Pacini Editore SpA Via Gherardesca - 56121 Ospedaletto - Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it - info@pacinieditore.it

I dattiloscritti, i libri per recensione, bozze, ecc. dovranno essere inviati al Prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290 - 00198 Roma


Š Copyright 2009 Ce.Di.B. - Centro di studi di diritto e legislazione bancaria. Registrazione presso il Tribunale di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009 Direttore responsabile: Alessandro Nigro

Realizzazione editoriale e progetto grafico

Via A. Gherardesca 56121 Ospedaletto (Pisa) Fotolito e Stampa Industrie Grafiche Pacini Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail segreteria@aidro.org e sito web www.aidro.org


Sommario 4/2009

PARTE PRIMA Saggi Crisi finanziarie e autorità di controllo, di Matteo Mattei Gentili

pag. 513

Gli Istituti di pagamento, di Vittorio Santoro

» 521

Risparmio gestito e sistemi alternativi di amministrazione e controllo, di Andrea Guaccero

» 547

Credito ai consumatori e prospettive di riforma, di Giuseppe Carriero

» 567

» 589

Commenti Sanzioni in materia di intermediazione finanziaria e legittimazione all’opposizione – Cass., SS. UU., 30 settembre 2009, n. 20929 Le Sezioni Unite e la legittimazione all’opposizione dei destinatari delle sanzioni ex art. 195 t.u.f., di Alessandro Nigro

Fatti e problemi della pratica

La compliance nelle attività e nei servizi bancari: i problemi aperti, di Gian Luca Greco

» 624

» 633


Rassegne Sintesi di giurisprudenza (IV trimestre 2008) Autori Indici dell’annata – Parte prima

pag. 667 » 694 » 695

PARTE SECONDA Documenti e informazioni Banca d’Italia – Provvedimento del Governatore del 21 maggio 2009, concernente il recepimento della Direttiva 2007/44/CE in materia di acquisto di partecipazioni qualificate in banche, assicurazioni e imprese di investimento La nuova disciplina delle partecipazioni “non finanziarie” al capitale delle banche: ovvero “prove” di recepimento della direttiva 2007/44/CE, di Gennaro Rotondo

» 199

» 217

Indici dell’annata – Parte seconda

» 231

Norme

» 233

redazionali


PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, rassegne, miti e realtĂ



saggi

Crisi finanziarie e autorità di controllo

La recente crisi finanziaria si è sviluppata in un contesto caratterizzato da sentimenti di sorpresa generale, quasi di incredulità, prima ancora che di preoccupazione. Questo nonostante fenomeni generalizzati di insolvenza abbiano caratterizzato da sempre i diversi sistemi bancari e costituiscano in definitiva una circostanza ricorrente. Nel caso di specie, questa reazione probabilmente è dovuta al fatto che l’evento ha avuto il proprio epicentro fra le maggiori istituzioni del paese universalmente considerato l’indiscusso riferimento in materia di industria finanziaria, quindi il garante della stabilità e il naturale supporto per i sistemi periferici, comunemente ritenuti più vulnerabili. Gli eventi hanno fatto rapidamente giustizia di una serie di luoghi comuni che, soprattutto in anni recenti, si sono propagati ovunque generando una sorta di “pensiero unico”. Fra i fondamenti di questo, il mito della dimensione, condizione necessaria e sufficiente per assicurare efficienza ed efficacia all’attività degli intermediari e quindi per garantire sicurezze a tutti, azionisti e creditori, clienti, dipendenti e organi di controllo. Soprattutto si è consolidata l’assoluta convinzione nella capacità del mercato, specializzato in mille segmenti, ma sostanzialmente globalizzato, di autoregolarsi e di fornire una risposta rapida e corretta a qualunque necessità operativa, assicurando a tutti i meritevoli risorse adeguate nelle modalità, nei tempi e nelle condizioni. Un’ulteriore credenza diffusa è quella che siano da considerarsi sostanzialmente superati gli storici canoni di prudenza operativa grazie al venir meno degli elementi di incertezza e imprevedibilità per i progressi nelle applicazioni dei metodi quantitativi ai problemi gestionali. In particolare, il tradizionale tema dei rischi viene considerato sotto pieno controllo, grazie alla acquisita capacità di censirli, misurarli, disaggregarli e allocarli con la precisione tipica degli strumenti matematici.

513


Saggi

Il mondo anglosassone viene assunto come riferimento indiscusso. È per definizione il luogo della best practice, dove la sofisticazione e l’ampiezza dei mercati, la dimensione degli intermediari e l’applicazione rigorosa dei modelli garantisce le condizioni ottimali per lo sviluppo dell’industria finanziaria. Tale presunzione di eccellenza si estende ovviamente ai sistemi e alle autorità di controllo, essendo indiscusso il prestigio della Securities Exchange Commission e della Federal Reserve. Opinione talmente scontata da evitare critiche persino al mantenimento della vigilanza sulle banche d’investimento in capo alla SEC e delle banche commerciali alla FED, secondo tradizione, nonostante l’abolizione del Glass Steagall act, ed essendo evidenti da anni i macroscopici effetti omologanti di tale provvedimento sul portafoglio di attività degli intermediari. La generale adesione al “pensiero unico” e quindi la completa fiducia nella solidità dell’industria finanziaria e nel suo inarrestabile progresso ha indotto a dimenticare come le situazioni di crisi non costituiscano un evento raro, ma un rischio endemico. In particolare, le aziende di credito, fin dalle origini, hanno assunto impegni in misura e qualità superiori alla capacità di onorarli. Per questa ragione questi istituti, che il grande pubblico ritiene sinonimo di sicurezza, si caratterizzano per la delicatezza degli equilibri e la gravità dei rischi. L’incapacità di onorare tutti gli impegni e quindi la prospettiva di un possibile dissesto costituisce da sempre una condizione naturale, non una possibilità teorica. La caratteristica di operare disponendo solo di una frazione delle risorse necessarie per fronteggiare gli obblighi assunti è una costante operativa per le banche. Questo deficit caratterizzava già l’attività degli istituti di emissione. Come è noto, la più significativa tipologia originaria delle aziende di credito si impegnava a cambiare a vista le banconote con l’equivalente in metallo prezioso, pur detenendo riserve in misura largamente inferiore ai biglietti in circolazione. Le banche contemporanee garantiscono ai correntisti il diritto di ritirare a vista i propri fondi, ai depositanti e agli obbligazionisti il rimborso a scadenza, agli affidati la possibilità di trarre a loro piacimento nei limiti dell’accordato, e magari anche oltre, a tutti i clienti l’esecuzione dei vari mandati. Dalle origini della loro storia a oggi le aziende di credito hanno assunto impegni di varia natura, paradossalmente l’unica costante è l’incapacità strutturale della banca di rispettare simultaneamente tutte le obbligazioni, quindi la precarietà del suo equilibrio. I dissesti bancari traggono origine da una differenza insopprimibile fra obblighi verso le controparti e risorse disponibili. Tale divario non deriva da comportamenti non ortodossi, questi possono eventualmente

514


Matteo Mattei Gentili

amplificarlo, ma è connaturato all’attività svolta, cioè alle funzioni tipiche, alla ragione d’essere di questa particolare azienda. La banca, oltre alla funzione monetaria, svolge quella creditizia che le impone di assumersi il rischio di credito e quello di liquidità derivante dall’attività di trasformazione delle scadenze. Quest’ultimo è reso inevitabile dalla necessità di conciliare esigenze opposte, quelle dei risparmiatori che desiderano avere disponibilità liquide e quelle delle imprese e degli altri prenditori di fondi che devono disporre di finanziamenti a scadenza non breve. La banca si inserisce fra le parti ponendosi come debitore dei risparmiatori, quindi impegnandosi a rimborsarli a vista o a breve termine e finanziando i prenditori a condizioni di scadenza non brevi. In questo modo essa si accolla oltre al rischio di credito anche quello di liquidità, cioè di non essere in grado di rimborsare i creditori che ne fanno richiesta, poiché i finanziati, anche se solvibili, renderanno i fondi solo a scadenze più protratte. (27,8 mesi di differenza fra scadenza media dell’attivo e del passivo al 31.12.08 nel sistema bancario italiano). Questa funzione di “trasformazione delle scadenze” consente di evitare che mezzi dei risparmiatori restino inutilizzati perché i detentori intendono privarsene solo per tempi brevi o, se ignorano quando ne avranno bisogno, desiderano mantenere la possibilità di disporne a loro piacimento “a vista”. Assumendosi il rischio di liquidità, l’intermediario raccoglie quindi fondi che diversamente non sarebbero disponibili, pertanto è in grado di finanziare i prenditori per importi assai più elevati di quelli possibili se operasse “pareggiando le scadenze”. A fronte di questo determinante contributo all’economia, gli intermediari si espongono a un rischio catastrofico, quello di insolvenza. Questo evento si concretizza quando contemporaneamente gran parte dei creditori, specie i depositanti, richiedono gli importi dovuti, senza confermare la loro fiducia alla banca rinnovando obbligazioni e depositi scaduti o mantenendo in essere quelli a vista. Tali comportamenti si manifestano solo quando sussistono dubbi sulla capacità dell’intermediario di onorare gli impegni, mai in condizioni normali. La banca è consapevole per esperienza storica che la permanenza effettiva dei fondi versati dai risparmiatori è assai superiore alla scadenza formale dei contratti, per la diffusa consuetudine al rinnovo degli stessi a scadenza. Tale consueto comportamento si modifica radicalmente solo quando viene meno la fiducia nell’azienda di credito. L’instabilità degli equilibri finanziari, derivante dall’ampiezza della trasformazione delle scadenze, è quindi legata alla reputazione. La fiducia delle controparti è la condizione essenziale affinché non si determini la crisi di liquidità e quindi

515


Saggi

il dissesto dell’istituto. La conclusione che ne deriva, apparentemente paradossale, è che tutte le banche sono in grado di onorare i propri impegni se il pubblico non ha incertezze in proposito, ma nessuna è in grado di farlo sino in fondo se si diffondono dubbi sulla sua solidità. Il funzionamento dell’industria finanziaria e dell’intera economia monetaria si regge sull’assunto della solvibilità delle banche, se questo convincimento viene meno l’intero sistema cade in crisi. Nel tempo le aziende di credito, assistite dai pubblici poteri, hanno fatto il possibile per diffondere nel mercato la certezza della loro solvibilità, fino a divenire nella comune opinione sinonimo di sicurezza. Questa reputazione costituisce per la singola azienda come per il sistema, la condizione necessaria per la sopravvivenza. La stabilità dell’industria finanziaria costituisce una condizione irrinunciabile, poiché il suo venir meno riporterebbe l’economia a un sistema di pagamenti fondato sulla moneta legale, se non sul baratto. Per queste ragioni il controllo esercitato in varie forme dai pubblici poteri costituisce una componente essenziale di tutti i sistemi finanziari. All’epoca del gold standard le autorità stabilivano l’obbligo di un rapporto minimo fra riserve auree e biglietti, norme che costituiscono una sorta di antecedente storico rispetto alle regole di vigilanza prudenziale e a Basilea 2. Nel tempo, in tutti i paesi, i sistemi di controllo sull’industria finanziaria sono stati affinati allo scopo di contenere i rischi che questa si assume, ma soprattutto di evitare che eventuali dissesti provochino danni alle controparti dell’istituto coinvolto, determinando una perdita di reputazione del sistema presso il pubblico. La crisi di un singolo istituto, se si manifesta in forme tali da arrecare problemi alla clientela, mina la fiducia e quindi crea i presupposti perché il dissesto si estenda ad altri intermediari. In altri settori l’uscita dal mercato di un’impresa favorisce i competitori liberando spazi di mercato e riducendo la concorrenza. Nell’industria finanziaria invece, il venir meno della fiducia per effetto dell’insolvenza di una banca espone gli altri intermediari al rischio di dissesto. Per queste ragioni, il sistema è strutturalmente esposto al rischio di contagio e la rottura dell’anello più debole della catena frequentemente determina la caduta di altri istituti, non necessariamente quelli maggiormente esposti al rischio, secondo un meccanismo efficacemente definito “effetto domino”. Il dispiegarsi di una crisi finanziaria costituisce un rischio sistemico, potenzialmente catastrofico, non solo per l’industria in questione, ma per tutta l’economia. Per questo motivo ovunque è elevata l’attenzione a evitare crisi, o quantomeno a ridurne l’entità e a circoscriverne gli effetti.

516


Matteo Mattei Gentili

I sistemi di controllo e le procedure di vigilanza mirano quindi a prevenire e contenere i dissesti, ma soprattutto a evitare che si propaghino ad altri istituti. Per evitare il contagio, la soluzione più efficace è il mantenimento in attività dell’istituto in difficoltà mediante il supporto di altri intermediari. Nelle situazioni più gravi, la prassi prevede interventi dei pubblici poteri finalizzati a evitare danni alla clientela degli intermediari in difficoltà. In anni recenti si è manifestata una corrente di pensiero fortemente critica sull’ipotesi di salvataggio di aziende di credito attraverso il sostegno finanziario dei pubblici poteri. La motivazione principale di questa ostilità è la convinzione che solo la sanzione del mercato, e quindi il rischio di fallimento, possa contrastare i comportamenti di azzardo morale. Gli interventi dei pubblici poteri quindi, eliminando la sanzione del mercato, costituirebbero un incentivo di fatto all’assunzione di rischi eccessivi e forse anche a comportamenti poco ortodossi. Certamente un efficace sistema sanzionatorio costituisce un serio deterrente a politiche di moral hazard, ma è possibile salvaguardare la stabilità del sistema finanziario e quindi la fiducia del pubblico negli intermediari senza per questo rinunciare a sanzionare adeguatamente i responsabili di una cattiva gestione e gli azionisti che l’hanno consentita. Per evitare crisi di credibilità è necessario che le controparti dell’intermediario in difficoltà non subiscano perdite. Questo risultato è possibile mantenendo in vita l’istituto e facilitandone l’acquisizione da parte di entità più solide. Oppure anche attraverso interventi che prevedono la liquidazione della banca, e quindi la sanzione palese dei vertici e degli azionisti, e il subentro di altri istituti nelle relazioni attive e passive dell’azienda dissestata. Perché permanga intatta l’opinione che le banche siano sinonimo di sicurezza è necessario che le eventuali crisi non determinino problemi alla clientela e quindi che vengano rispettati puntualmente gli impegni nei confronti dei creditori e delle altre controparti. Non è rilevante che essi siano assolti da parte dell’istituto stesso, a opera di altri intermediari o di un nuovo istituto sorto sulle ceneri del vecchio. Gli interventi delle autorità di controllo nelle situazioni di crisi non hanno l’obiettivo di “salvare” l’azienda di credito, ma quello di evitare danni alle sue controparti, difendendo in questo modo la credibilità del sistema e quindi la stabilità finanziaria. Ovviamente la via più semplice per ottenere questo risultato è quella di facilitare il riequilibrio della banca in difficoltà. Non è un caso che una delle funzioni istitutive attribuite fin dalle origini alle banche centrali sia

517


Saggi

stata quella di “banca delle banche”. Nei casi più gravi il rapporto costi/benefici giustifica anche forme di intervento dei pubblici poteri che comportino oneri per l’erario, in ragione di un “pubblico interesse” che è necessario tutelare. Il mancato intervento del Tesoro per evitare l’insolvenza di Lehman resta un clamoroso esempio negativo in tema di comportamento delle autorità in una situazione di crisi, destinato a rimanere a lungo nella letteratura specialistica, oltre che foriero di gravi e immediate conseguenze nella vita economica. Il panico generato sui mercati da questa decisione ha rapidamente determinato situazioni di dissesto “per contagio” di altri importanti intermediari costringendo le autorità a un subitaneo mutamento di indirizzo e quindi ad assicurare in varie modalità un sostegno pubblico di straordinarie dimensioni all’industria finanziaria. La decisione di abbandonare Lehman alla “sanzione del mercato” è stata elogiata dagli ideologi del liberismo finanziario. Per convincere i dubbiosi sono giunti a proporre un calcolo di quanto il Tesoro americano avrebbe risparmiato rinunciando a intervenire. Ex post, sarebbe interessante stimare, i dati sono ormai disponibili, quanto è costato al pubblico erario il mancato intervento e confrontare i valori. Desta comunque sorpresa il peso dell’ideologia su decisioni di questa portata e il verificare come questa possa prevalere sull’evidenza delle circostanze. Prevedere gli effetti sui mercati, in una situazione prossima al panico, del dissesto di uno dei maggiori e più reputati intermediari del mondo non sembra un esercizio particolarmente difficile. Eppure è stato necessario verificarne le conseguenze, come se potessero esserci dubbi sugli effetti derivanti dal versamento di combustibile su di un incendio in formazione. È impossibile, a proposito di gestione dei dissesti bancari, evitare il confronto con quanto è accaduto nel nostro Paese, ove situazioni di crisi si sono manifestate in varie circostanze, anche in forma particolarmente clamorosa. Le autorità monetarie hanno sempre operato senza pregiudizi, ma con grande attenzione ai risultati dei loro interventi. In particolare, la Banca d’Italia ha gestito con piena efficacia, e oneri minimi per il contribuente, una vasta casistica di dissesti, alcuni conclamati, come nel caso del Banco Ambrosiano e del Banco di Napoli, altri noti solo nell’ambito del ceto bancario. Alla metà degli anni Novanta ha affrontato con successo la crisi di quasi tutte le maggiori banche del Meridione senza che questa vicenda generasse particolare emozione nel pubblico. Attraverso una varietà di soluzioni tecniche, tutti gli impegni delle aziende in difficoltà sono stati onorati. I clienti degli istituti coinvolti hanno preso atto senza particolare preoccupazione di qualche cambiamento nelle ragioni sociali o nelle insegne.

518


Matteo Mattei Gentili

Il vero obiettivo delle autorità è la difesa della stabilità dell’industria finanziaria e questa è legata alla reputazione degli intermediari che riposa sul mantenimento degli impegni. Se il pubblico mantiene salda la fiducia nella stabilità delle aziende di credito, esse potranno efficacemente svolgere la loro funzione di assunzione del rischio di credito di quello di liquidità anche in congiunture difficili. Nonostante le esperienze consolidate, nello sconcerto generato dalla recente crisi, si è persino giunti a proporre l’abolizione dei sistemi di controllo, per l’evidente inefficacia di quelli in essere, sostenendo che la naturale tendenza dell’industria a eluderli ne determina la sostanziale inutilità. La proposta riflette chiaramente lo sgomento di fronte al precipitare degli eventi. Le motivazioni addotte sono evidentemente inconsistenti. La tendenza all’elusione è problema comune a tutte le regolamentazioni, non solo a quelle di carattere finanziario. Se l’argomentazione fosse ritenuta valida dovremmo per coerenza, procedere all’abolizione di tutti i codici. Questa drammatica esperienza ha ribadito l’assoluta necessità di efficaci sistemi di controllo sull’industria finanziaria, per la fragilità degli intermediari a seguito dei rischi tipici che si accollano, la cui manifestazione futura nessun modello matematico potrà mai stimare con precisione. Inoltre, è ormai del tutto evidente come la stabilità finanziaria costituisca un indispensabile bene collettivo, dato che il collasso del settore per l’effetto domino determinato dai meccanismi di contagio, conduce alla crisi dell’intera economia. In particolare, le recenti vicende hanno confermato la necessità di una continua manutenzione delle regole in parallelo ai mutamenti delle modalità operative. Negli ultimi anni, a uno sviluppo dell’innovazione finanziaria di eccezionale intensità (cartolarizzazioni, derivati, strumenti finanziari complessi…) non ha corrisposto un equivalente adeguamento delle regole. Resta esemplare il caso del clamoroso sviluppo di quello che è stato poi definito “sistema bancario ombra” nel Paese che costituisce l’indiscusso riferimento dell’industria finanziaria, senza che le autorità procedessero ad adeguare le regole e l’azione di vigilanza. Allo stesso modo, colpisce la sostanziale trascuratezza nella normativa di Basilea 2 in merito al rischio di liquidità. È stata necessaria l’esperienza della crisi perché venisse riscoperta la rilevanza di uno dei problemi cardine dell’attività bancaria (tale veniva ancora considerato nei primi studi del comitato di Basilea). Evidentemente nel tempo si è consolidata la fiducia nell’efficienza dei mercati generando la convinzione che questi sarebbero stati comunque in grado di assicurare agli intermediari le risorse necessarie

519


Saggi

per coprire eventuali squilibri fra entrate e uscite finanziarie anche se provocati da processi di trasformazione delle scadenze di inusitata ampiezza. Nel panorama di generale inadeguatezza svelato dalla crisi finanziaria, il sistema bancario italiano si è segnalato per una capacità di resistenza superiore a quella di altri paesi più reputati. La maggiore stabilità dei nostri intermediari è stata curiosamente attribuita “alla scarsa conoscenza dell’inglese”, cioè alla ridotta consuetudine con le modalità operative diffuse nel mondo anglosassone. In realtà, tale circostanza riconferma il peso determinante dei sistemi di controllo e della loro concreta applicazione. In particolare, la specifica declinazione delle norme generali in materia di cartolarizzazioni nella nostra realtà ha drasticamente ridotto l’entità del fenomeno rispetto a quanto è accaduto in paesi ove è prevalsa un’interpretazione meno severa delle regole. Una normativa più incisiva e una attenta attività di vigilanza da parte di Bankitalia hanno consentito alla nostra industria finanziaria di attraversare la crisi senza che si manifestassero le situazioni drammatiche verificatesi altrove. In conclusione, le recenti vicende hanno fatto giustizia di luoghi comuni e false sicurezze riproponendo il tema della fisiologica fragilità degli intermediari in un’epoca in cui la complessità e la variabilità degli strumenti finanziari hanno aumentato a dismisura le tipologie di rischi e le modalità di manifestazione dei medesimi, tanto da essere difficilmente valutabili dagli stessi emittenti. La constatazione di una situazione di generale inadeguatezza ripropone l’efficacia del sistema di controllo come condizione indispensabile alla sopravvivenza dell’industria. È del tutto evidente la necessità di una profonda revisione delle regole e di un loro continuo adeguamento al mutare delle modalità operative. Allo stesso modo le vicende recenti hanno confermato la naturale tendenza degli intermediari a sviluppare l’attività di “arbitraggio regolamentare”, che nel settore finanziario trova agevole svolgimento grazie all’immaterialità dei prodotti e alla pluralità degli ordinamenti. È quindi necessario che i sistemi di controllo evolvano rapidamente verso il modello del regolatore unico, con efficaci meccanismi di integrazione internazionale fra le autorità preposte alle diverse aree monetarie. Infatti, l’obiettivo da perseguire è quello di assicurare la capacità dell’industria finanziaria, di tutta l’industria finanziaria, non solo delle banche commerciali, di fronteggiare i propri impegni.

Matteo Mattei Gentili

520


Gli Istituti di pagamento* Sommario: 1. Premessa. – 2. Distinzione fra attività bancaria e prestazione di servizi di pagamento. – 3. Rischiosità dell’attività delle nonbanks e esigenze di regolazione. – 4. Competenze di vigilanza sugli Istituti di pagamento. – 5. L’attività di clearing e settlement. – 6. Istituti di pagamento e intermediari ex artt. 106 -107 t.u.b. – 7. Il capitale minimo e i fondi propri degli Istituti di pagamento. – 8. La segregazione patrimoniale. – 9. Apertura di credito e conti di pagamento.

1. Premessa. Fra gli obiettivi primari della direttiva 2007/64/CE (c.d. direttiva PSD) vi è quello di introdurre un maggior grado di competizione nel mercato dei pagamenti; a tal fine si disciplina, fra l’altro, una nuova categoria di soggetti, vale a dire gli Istituti di pagamento , destinati ad accedere al mercato senza discriminazioni rispetto alle banche e agli altri operatori tradizionali (Poste, Istituti di moneta elettronica, gestori di carte) . Si

*

Destinato agli Studi in onore di Umberto Belviso Come ricorda Mavromati, The Law of Payment Services in the Eu, Kluwer, The Netherlands, 2008, p. 153, il termine compare la prima volta nel contesto della legislazione europea nel Regolamento 2560/2001 in tema di pagamenti transfrontalieri in euro. In un contesto internazionale è frequente incontrare, piuttosto, l’espressione “nonbanks”: cfr., ex multis, Bradford, Davies, Weiner, Nonbanks in the Payments System, in Federal Riserve Bank of Kansas City, 2003; Sullivan, Wang, Nonbanks in the Payments System: Innovation, Competition, and Risk – A Conference Summary, in Econ. Rew., III, 2007, p. 83 ss. Sugli Istituti di pagamento cfr. il mio, I conti di pagamento degli istituti di pagamento, in Giur. Comm., 2008, I, p. 855 ss. Nel considerando (10) della direttiva 2007/64/CE, infatti, si legge: «per eliminare gli ostacoli giuridici all’ingresso al mercato, è necessario istituire un’autorizzazione unica […]. È pertanto opportuno introdurre una nuova categoria di prestatori di servizi di pagamento, denominata di seguito “istituti di pagamento”, autorizzando persone giuridiche che non rientrino nelle categorie esistenti a prestare servizi di pagamento in tutta la Comunità, previo il rispetto di una serie di condizioni rigorose e ad ampio raggio. In

521


Saggi

argomenta che la chiusura del mercato alle sole banche (o poco più) impedirebbe l’introduzione dell’innovazione e, in conseguenza, anche l’abbattimento dei costi di transazione, in ragione della posizione oligopolistica degli operatori tradizionali. Sotto tale profilo l’atteggiamento favorevole alla concorrenza del legislatore comunitario è esplicitato nel considerando 16 della direttiva, nel quale si legge: «occorre prevedere che gli istituti di pagamento e gli enti creditizi autorizzati non siano discriminati in modo che qualsiasi prestatore di servizi di pagamento operante nel mercato interno sia in grado di utilizzare i servizi delle infrastrutture tecniche di tali sistemi di pagamento alle stesse condizioni» . Al fine di introdurre la predetta novità, il legislatore comunitario ha preliminarmente sciolto in senso negativo il quesito se i servizi di pagamento siano attività bancaria. La questione non è di poco momento, tanto che alcuni legislatori nazionali ancora oppongono serie resistenze nel considerare i servizi di pagamento fuori dalla tradizionale attività bancaria e, d’altra parte, le norme della direttiva non mancano di ambiguità, come vedremo oltre, e soprattutto non si preoccupano di quali siano gli effetti della distinzione tra attività di pagamento e attività bancaria sui tradizionali istituti civilistici, la cui rivisitazione è, come ovvio, lasciata alla competenza dei legislatori nazionali. Sotto il primo profilo, significativo è l’esempio della Francia, ove si ripropone una nuova distinzione tra messa a disposizione e gestione dei fondi della clientela, da un lato, e servizi di pagamento dall’altro .

questo modo, tali servizi sarebbero soggetti alle stesse condizioni in tutta la Comunità». Riferimenti a tali esigenze erano già presenti nei lavori preparatori della direttiva v. le indicazioni in Priesemann, Proposal for a Directive on Payment Services in the Internal Market. Overview and Initial Comments, in Euredia, 2006, p. 22 s.; Gimigliano, L’assetto della concorrenza dei servizi di pagamento al dettaglio: continuità e discontinuità della direttiva 2007/64/CE, in BIS, 2009, p. 269 ss. Adde Granieri, Le liberalizzazioni nel sistema dei servizi di pagamento e l’impatto della direttiva comunitaria sull’industria delle carte di credito. Alcune riflessioni preliminari, in Il nuovo quadro normativo comunitario dei servizi di pagamento: prime riflessioni a cura di Mancini e Perassi, Quad. ric. Giur. della Banca d’Italia, Roma, dicembre 2008, p. 99 ss. e p. 109 ss.; Seyad, A Critical Assessment of the Payment Services Directive, in JIBLR, 2008, 23(4), p. 225; BouthinonDumas, La directive sur le services de paiement et la concurrence entre les établissements de paiement et le banques, in RTDcom., 2009, p. 61 ss. V. Ministère de l’économie de l’Industrie et de l’Emploi, La directive sur les services de paiement, Septembre 2008, p. 17. ove si legge: «la definition des opérations de banque

522


Vittorio Santoro

Sotto il secondo profilo si deve notare che benché le norme che regolano le obbligazioni pecuniarie siano ancora rimesse ai legislatori nazionali, le regole monetarie sono, ormai, di competenza comunitaria; sicché le direttive tendono sempre più a travalicare l’ambito dell’implementazione del mercato unico per sortire effetti, diretti e indiretti, in ordine alle disposizioni riguardanti i rapporti giuridici privati .

2. Distinzione fra attività bancaria e prestazione di servizi di pagamento. Ci si può chiedere come sia stato possibile che la funzione di intermediario di pagamento sia stata sottratta al monopolio delle banche. In verità occorre tenere conto del fatto che già da tempo la letteratura economica – ma solo più recentemente quella giuridica – si è posta il quesito se i servizi di pagamento siano attività bancaria. Senza pretesa di approfondire il dibattito economico occorre ricordare che alcuni economisti hanno sostenuto che è stato semplicemente lo sviluppo storico della banca a condurla a svolgere una funzione d’intermediazione nei servizi di pagamento, funzione che a parere di tale dottrina non solo non è necessaria, ma sarebbe bene affidare ai fondi di investimento (sic!) al fine di sterilizzare il sistema dei pagamenti dai rischi inerenti al credito . Sull’altro piatto della bilancia, sta l’osservazione che gli intermediari non bancari non hanno la capacità di creare moneta attraverso i prestiti, come è invece tipico delle banche . Cosicché un numero elevato di intermediari non bancari potrebbe diminuire l’efficacia

est modifiée. Il s’agit maintenant de la réception de fonds du public, des opérations de credit et de la mise à disposition de la clientèle ou la gestion de moyens de paiement, à l’exception des services de paiement». V. anche Bouthinon-Dumas, La directive sur le services de paiement, cit, p. 66 ss. Cfr. Vardi, Reflections on Trends and Evolution in the Law of Monetary Obligations In European Private Law, in EBLR, 2007, 466. Un cenno anche in Sciarrone Alibrandi, La sorveglianza sui sistemi di pagamento: evoluzione morfologica, strumenti, limiti, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, I, p. 455 ss. Goodhart, L’evoluzione delle banche centrali, p. 75 ss. Riferimenti in Pittaluga, “Istituzioni contrattuali” e “istituzioni a tutela dei diritti di proprietà” nell’evoluzione del sistema dei pagamenti, in Il diritto dei sistemi di pagamento a cura di Santoro, Milano, 2007, p. 29 ss. Cfr. Tobin, Commercial Banks as Creators of “Money”, in Readings in Money, National Income and Stabilization Policy, a cura di Smith, Teigen, Illinois, 1965, p. 156 ss.

523


Saggi

della politica monetaria delle banche centrali, fino al punto che potrebbe essere necessario per le autorità monetarie adottare gli strumenti di politica monetaria in misura più drastica . Sulla base delle osservazioni di Goodhart anche parte della dottrina giuridica afferma che alcuni fondi di investimento hanno la capacità di trasferire mezzi di pagamento e sostituire in pieno le banche nella funzione monetaria, per altro, «with potentially no costs» . Gli sviluppi più recenti, mi sembra, da un lato, abbiano superato l’idea che la funzione monetaria possa essere affidata a fondi comuni o intermediari simili; d’altro lato, abbiano progressivamente consentito l’ingresso di soggetti non bancari nel mercato dei pagamenti 10. La spinta più forte all’ingresso di nuovi operatori viene dall’innovazione tecnologica: è stato notato, infatti, che negli anni recenti le maggiori innovazioni di processo e di prodotto, nell’industria dei pagamenti, sono state introdotte da non banche, a partire dal mercato americano 11, e l’esempio più significativo certamente è l’introduzione dell’informatica nei c.d. pagamenti elettronici. Le stesse banche, d’altra parte, in funzione di acquisizione di alcune tecnologie hanno esternalizzato parte del processo produttivo relativo all’industria dei pagamenti rivolgendosi a società che possedevano la tecnologia adeguata 12, mi riferisco in particolare al servizio di trasmissione dei dati relativi ai pagamenti, benché in tale caso più che di servizio di pagamento si dovrebbe parlare di attività accessoria allo stesso 13. Le principali attività delle non banche nel servizio di pagamento sono, oltre che come già detto nell’ambito delle carte di credito, in quello delle carte di debito, check truncation, trasferimenti di debiti e crediti,

Pierce, Shaw, Monetary Economics: Theories, Evidence and Policy, London, 1974, p. 169 ss. Cfr. Malaguti, The Payments System in the European Union, London, Dublin, Hong Kong, 1997, p. 96 e Mavromati, The Law of Payment, cit., p. 150 ss. 10 Già da tempo ciò vale per alcuni operatori quali i gestori delle carte di credito, che se in alcuni casi sono ancora di proprietà delle banche, è il caso di Visa e Mastercard, in altri non lo sono, è il caso di American Express. 11 Cfr. Sullivan, Wang, Nonbanks, cit., p. 86 ss. Adde, Mancini, Il sistema dei pagamenti e la banca centrale, in Diritto delle banche e degli intermediari finanziari a cura di E. Galanti, in Tratt. dir. dell’economia diretto da Picozza e Gabrielli, V, Padova, 2008, p. 1120. 12 Cfr. Bradford, Hayashi, Hung, Rosati, Sullivan, Wang e Weiner, Nonbanks and Risk in Retail Payments: EU and U.S., in http://ssrn.com/abstract=1201882, p. 9. 13 Conf. Mavromati, The Law of Payment, cit., p. 151.

524


Vittorio Santoro

moneta elettronica, carte prepagate, oltre all’attività di servizio relative alla compensazione e liquidazione multilaterale 14. Significativo è il caso Paypal 15 che ha consentito la massima rapidità nelle transazioni tra compratori e venditori che non si conoscono tra di loro, utilizzando meccanismi idonei a conseguire un sufficiente grado di fiducia nella gestione dei rischi dei pagamenti in linea, ma allo stesso tempo un veloce e economicamente conveniente accesso ai fondi 16.

3. Rischiosità dell’attività delle nonbanks e esigenze di regolazione. La presenza di tali nuovi operatori ha richiesto un bilanciamento tra esigenze della concorrenza, soddisfatte con l’apertura al mercato dei servizi di pagamento agli Istituti di pagamento, ed esigenze della regolazione al fine di non creare uno svantaggio competitivo ai danni delle

14 Non mi riferisco all’esperienza specifica di nessun paese, ma il più ampio spettro di attività delle non banche mi sembra sin qui praticato certamente negli Stati Uniti. 15 Nello stesso mercato di Paypal (definito quale person-to-person (P2P) operano anche Western Union e MoneyZap in collaborazione tra loro. 16 Cfr. Sullivan, Wang, Nonbanks, cit., p. 87 ss.; Bradford, Davies, Weiner, Nonbanks in the Payments System, cit., p. 51 ss. Credo sia utile osservare come tecnicamente opera Paypal per i trasferimenti delle somme. Un consumatore che utilizza tale sistema per effettuare pagamenti accede al servizio via internet fornendo, a seconda delle proprie preferenze, informazioni sul proprio conto corrente o sulla propria carta di credito o anche su uno specifico conto Paypal (il quale a sua volta può essere gestito dalla medesima società o da una banca ad essa collegata). A questo punto Paypal invia un messaggio criptato alla propria banca. La richiesta del consumatore viene processata avvalendosi del sistema bancario nei primi due casi, mentre nell’ultimo caso semplicemente spostando i fondi da un conto Paypal ad un altro. A questo punto il beneficiario riceve la comunicazione che è stato effettuato un pagamento a suo favore, e, a sua volta, informa Paypal di come intende ricevere i fondi, tale informazione è trasmessa alla banca per l’esecuzione. Qualora il beneficiario detiene a sua volta un conto Paypal, può anche utilizzare le somme accreditate per i propri e successivi pagamenti. In Europa, Paypal nel 2007 (quindi prima dell’implementazione della direttiva PSD) ha dovuto chiedere l’autorizzazione a operare quale istituzione creditizia e lo ha fatto nell’ordinamento lussemburghese. Mentre negli US, secondo una notizia diffusa nel 2002, la Federal Deposit Insurence Corporation (FDIC) ha stabilito che Paypal non è una banca, poiché ai sensi della legislazione federale degli US essa non accetta depositi secondo la definizione dell’ordinamento US. La FIDC ha scritto: «Paypal does not physically handle or hold funds placed into the Paypal service». Nonostante ciò, a livello di singoli Stati, si è ritenuto che Paypal agisca quale banca non autorizzata, in particolare la Louisiana ha chiesto a Paypal di cessare di offrire servizi ai propri residenti.

525


Saggi

banche, completamente regolate, e a vantaggio di chi offre servizi di pagamento, fino a ieri libero da qualsiasi controllo pubblico 17. Si è dovuto vincere la resistenza di coloro che affermavano che la self-regulation è adeguata a risolvere i problemi di vigilanza sui prestatori, non bancari, di servizi di pagamento. La direttiva PSD si iscrive in un nuovo corso in ordine al quale il legislatore europeo privilegia un mix di regole autoritative e di self restraint 18. L’intervento regolatorio è necessario non solo a implementare il rispetto delle regole concorrenziali, ma anche a garantire che il prestatore di ultima istanza intervenga in un quadro che assicuri la stabilità, oltre ad assicurare il rispetto della legislazione antiriciclaggio, antiterrorismo e di tutela della privacy. A tale punto di equilibrio si è giunti dopo un serrato dibattito. Infatti, durante i lavori preparatori della direttiva PSD, la Banca centrale europea aveva manifestato preoccupazioni in ordine ai pericoli derivanti dall’insolvenza degli Istituti di pagamento in termini di contagio per la stabilità finanziaria dell’intero sistema e, puntando il dito su tale problema, aveva allo stesso tempo allegato le “ampie competenze” in materia del SEBC 19. Invece, il legislatore comunitario, accogliendo solo in piccola parte gli emendamenti proposti dalla BCE, ha ritenuto che i rischi indotti sul sistema dei pagamenti dagli Istituti di pagamento siano «molto più ristretti e facili da monitorare e controllare di quelli derivanti dalla più ampia gamma di attività degli enti creditizi»; sicché per essi sono necessari requisiti proporzionati all’inferiore rischiosità (considerando 11). Uno studio economico, condotto da studiosi appartenenti a Banche centrali, ha posto in evidenza che i rischi maggiori per le “nonbanks”

17

Bouthinon-Dumas, La directive, cit, p. 69, osserva che si è trattato di introdurre meccanismi di concorrenza in un settore, tuttavia, regolato. 18 Un riferimento in Falce, Il mercato integrato dei sistemi di pagamento al dettaglio tra cooperazione e concorrenza (Primi appunti ricostruttivi), in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, p. 565; Cfr. Lastra, Legal Foundations of International Monetary Stability, Oxford, 2006, p. 145; Bradford, Hayashi, Hung, Rosati, Sullivan, Wang e Weiner, Nonbanks and Risk in Retail Payments: EU and U.S., in http://ssrn.com/abstract=1201882, p. 40; più in generale, Brescia Morra, Le fonti del diritto finanziario e il ruolo dell’autoregolamentazione, Quad. ricerca giur., Ente Einaudi, 2003. 19 V. Banca Centrale Europea, Parere del 26 aprile 2006, riguardo a una proposta di direttiva relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, BCE/2006/21, par. 3.2., ove, più estesamente si legge: «La modificazione di un concetto fondamentale dell’attività bancaria richiede un’attenta valutazione nell’ottica della politica monetaria, della solidità e della stabilità dei sistemi di pagamento, della stabilità finanziaria e della statistica, che costituiscono ambiti nei quali il SEBC ha ampie competenze».

526


Vittorio Santoro

sono relativi al malfunzionamento, alla sicurezza dei dati e più in generale alle frodi che la criminalità può perpetrare introducendosi nei sistemi che, nel caso si adoprino nuove tecnologie – come è tipico delle non banche –, sono anche più facili da violare; per altro in parte le stesse banche soffrono problemi analoghi in ragione della sempre maggiore complessità delle tecnologie adoperate 20. Nello stesso studio si mostra come in altri casi le non banche contribuiscono a diminuire i rischi del sistema, ad esempio consentendo, in caso di malfunzionamento di una rete di trasferimento, di utilizzare immediatamente una rete alternativa 21. All’opposto, si sostiene che il rischio sistemico è ben controllato nei sistemi di pagamento al dettaglio e, parimenti, lo è il rischio di regolamento 22. Tali risultati conforterebbero le scelte operate dal legislatore comunitario. Tuttavia, non bisogna dimenticare che le crisi degli intermediari finanziari – di cui a questo punto fanno parte anche gli Istituti di pagamento – esplodono e si diffondono proprio nel sistema dei pagamenti; quando ciò avviene, la Banca centrale deve necessariamente intervenire quale prestatore di ultima istanza fornendo la liquidità necessaria 23.

4. Competenze di vigilanza sugli Istituti di pagamento. L’intervento regolatorio è necessario non solo a implementare il rispetto delle regole concorrenziali, ma anche a garantire che il prestatore di ultima istanza intervenga in un quadro che assicuri la stabilità 24.

20

Cfr. Bradford, Hayashi, Hung, Rosati, Sullivan, Wang e Weiner, Nonbanks, cit., p. 32 ss. 21 Ibidem, p. 36 s. In termini generali sulla rischiosità nei sistemi di pagamento, v. i saggi contenuti in Effros, a cura di, Payment System of the World, New York, 1994, passim e Geva, Bank Collections and Payment Transactions. A Comparative Legal Analysis, Oxford, 2001, p. 3 ss. 22 Cfr. Bradford, Hayashi, Hung, Rosati, Sullivan, Wang e Weiner, Nonbanks, cit., p. 24. 23 Cfr. Giannini, L’età delle banche centrali, Bologna, 2004, p. 418 s. e De Tomasi, Sistema dei pagamenti e credito di ultima istanza, in Il diritto dei sistemi di pagamento, a cura di Carriero e Santoro, Milano, 2005, p. 375 ss. 24 Occorre precisare che avvertita dottrina distingue tra “vigilanza” volta a “assicurare la stabilità, l’efficienza e la sana e prudente gestione dei soggetti controllati”, da un lato, e la “sorveglianza” “indirizzata nei confronti di tutti i soggetti, persone fisiche e giuridiche, che operino nei sistemi di pagamento a prescindere dalla loro qualificazione giuridica”, dall’altro lato: così Mancini, Il sistema dei pagamenti, cit., p. 1204). È indubbio, tuttavia

527


Saggi

Posto che una vigilanza è necessaria occorre stabilire a chi spetta (sul punto la direttiva lascia l’iniziativa agli ordinamenti nazionali). L’art. 10, par. 1, difatti, si limita a stabilire che «Gli Stati membri richiedono agli istituti diversi […] un’autorizzazione ad operare in qualità di istituto di pagamento prima di iniziare a prestare servizi di pagamento. L’autorizzazione è concessa unicamente ad una persona giuridica stabilita nello Stato membro». In particolare, l’autorità competente potrebbe non essere la Banca centrale o altra autorità competente per le autorizzazioni bancarie del paese, tant’è che il successivo par. 2 aggiunge che «prima di concedere un’autorizzazione le autorità competenti possono consultare, se del caso, la banca centrale nazionale o altre autorità pubbliche competenti». La soluzione che si prospetta per l’Italia è quella di attribuire le competenze alla Banca d’Italia, in conformità, per altro, con l’art. 146 t.u.b., che attribuisce alla Banca d’Italia la generale competenza a «promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento». La dottrina ha, difatti, precisato che la Banca d’Italia ha una competenza esclusiva in tema di sorveglianza sul sistema dei pagamenti e che tale competenza altro non è che la conseguenza delle analoghe attribuzioni che il Trattato europeo (art. 105) e lo statuto del SEBC e della BCE (artt. 3 e 22) attribuiscono, appunto, al Sistema e alla Banca centrale 26. Più precisamente le lett. f) e g) dell’art. 32, l. 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008), nello stabilire che l’autorità competente in Italia sarà la Banca d’Italia, dispongono che la stessa autorizzi e vigili sugli Istituti di pagamento e, inoltre, che disciplini l’accesso ai sistemi, in modo non discriminatorio «assicurando condizioni di parità concorrenziale tra le diverse categorie di prestatori di servizi di pagamento» 27. 25

che la direttiva PSD è volta a estendere anche la vigilanza in senso proprio nei confronti di soggetti in tutto o in parte precedentemente non controllati, nei modi che si accenneranno infra nel testo, v., in particolare, art. 21 direttiva 2007/64/CE. 25 Sul tema la dottrina si è già espressa in passato, cfr. soprattutto, Sciarrone Alibrandi, La sorveglianza, cit., p. 460 ss. 26 Cfr. Zilioli e Selmayr, La banca centrale, cit., p. 381 ss.; Carriero, sub art. 146, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio, Santoro, Bologna-Roma, 2003, II, p. 2353 ss.; Sciarrone Alibrandi, La sorveglianza, cit., p. 439 ss.; Doria, Fucile e Tarola La sorveglianza sul sistema dei pagamenti, in Il diritto dei sistemi di pagamento, cit., p. 184; Perassi, Il diritto comunitario dei pagamenti, ibidem, p. 164 ss.; Mancini, Il sistema dei pagamenti, cit., p. 1132 ss. 27 Le disposizioni contenute nelle due lettere citate nel testo recitano, rispettivamente: lett. g) «individuare nella Banca d’Italia l’autorità competente ad autorizzare l’avvio del-

528


Vittorio Santoro

Tuttavia, di fronte a scelte legislative diversamente articolate in altri paesi comunitari, sul punto è opportuno proporre un breve approfondimento, con riferimento al caso del Regno Unito. In tale Paese le competenze sono state ripartite tra l’Office of Fair Trade (OFT) (che ha competenza generale in tema di concorrenza) e la Financial Services Authority (che ha competenza generale su soggetti e mercati finanziari). Le nuove norme sono state inserite nella Payment Services Regulation 2009, la quale, infatti, dispone che l’OFT abbia il potere di condurre indagini in ordine alle regole e alle prassi che governano l’accesso o la partecipazione al sistema di pagamento 28 (art. 98). La soluzione inglese, mi sembra fortemente coerente con gli obiettivi di fondo della direttiva PSD intesi a creare un unico mercato dei servizi di pagamento tra banche (e altri operatori “tradizionali”) e Istituti di pagamento. Le scelte del legislatore italiano, invece, s’inseriscono in un quadro normativo negli ultimi anni ondivago. Si deve rammentare, infatti, che con la c.d. legge sul risparmio del 2006, la Banca d’Italia ha perso la competenza in ordine alla concorrenza bancaria a favore dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato (art. 19, co. 11, l. 28 dicembre 2005, n. 262 29). In parte tale competenza è stata recuperata con il d.lgs. 303/2006 (art. 2, co. 1), in particolare la Banca d’Italia ha il potere di iniziativa in ordine alle richieste di deroghe al divieto delle intese, qualora queste ultime siano funzionali al sistema dei pagamenti; si tratta, all’evidenza, di un aspetto rilevante per l’operatività in rete, modalità tipica dei sistemi di pagamento 30.

l’esercizio dell’attività e a esercitare il controllo sugli Istituti di pagamento abilitati, nonché a verificare il rispetto delle condizioni previste dalla direttiva per l’esecuzione delle operazioni di pagamento»; lett. f): «individuare nella Banca d’Italia l’autorità competente a specificare le regole che disciplinano l’accesso ai sistemi di pagamento, assicurando condizioni di parità concorrenziale tra le diverse categorie di prestatori di servizi di pagamento». 28 Infatti, The Payment Services Regulations 2009, nel disciplinare il “Power of OFT to investigate”, dispone: «98-(1) The OFT may conduct an investigation where there are reasonable grounds for suspecting that any rule or condition governing access to, or participation in, a payment system contravenes regulation 97(1) or (3). (2) Where the investigation relates to a possible breach of regulation 97(1)(b)(ii), the OFT must consult the Bank of England and the Authority». 29 La disposizione abroga «i commi 2,3 e 6 dell’articolo 20 della legge 10 ottobre 1990, n. 287». Cfr. Merusi, Diritto contro economia. Resistenze all’innovazione nella legge sulla tutela del risparmio, in Banca, Impresa, soc., 2006, p. 3 ss.; Porzio, sub art. 19, in La tutela del risparmio a cura di Nigro e Santoro, Torino, 2007, p. 412. 30 Granieri, Le liberalizzazioni, cit., p. 112 ss.; Gimigliano, L’assetto della concorrenza, cit., p. 272.

529


Saggi

Con la legge delega, per l’attuazione della direttiva PSD, la Banca d’Italia sembra recuperare una competenza piena anche in ordine alle decisioni ultime. Infatti, alla Banca d’Italia competerà di assicurare “condizioni di parità concorrenziale tra le diverse categorie di prestatori di servizi di pagamento” (art. 32. lett. g, l. 88/2009). Al di là degli ondeggiamenti del legislatore, il nuovo riconoscimento di competenze è conforme al dettato dell’art. 146 t.u.b. 31. Tuttavia, in termini di opportunità politico-amministrativa, mi sembra auspicabile che il potere della Banca d’Italia sia esercitato in coordinamento con l’Autorità antitrust. La collaborazione già praticata dalle due Autorità mi lascia fiducioso su tale prospettiva. D’altra parte, è bene ricordare che la stessa BCE gode di una competenza piena in ordine ai sistemi di pagamento e, ciononostante, non manca non solo di confrontarsi con la Commissione europea, in quanto autorità antitrust, ma persino di contenere l’esercizio delle proprie competenze quando incontrino il limite dei profili concorrenziali 32.

5. L’attività di clearing e settlement. La rischiosità indotta dalla presenza degli Istituti di pagamento sarebbe, invero, significativa se agli stessi fosse consentito di partecipare al cuore del sistema, vale a dire alle attività di clearing e settlement per i pagamenti di grosso taglio 33 (RTGS/Target2). In punto di fatto si deve notare che, benché le non banche stiano fortemente incrementando la loro presenza nella maggior parte dei paesi europei della zona euro, tuttavia, è ancora vero che la presenza delle banche è assolutamente predominante nel settore in argomento 34.

31

Sulle prospettive di riforma dell’art. 146 v. Mancini, Il sistema dei pagamenti, cit., p. 1238 ss.; e Id., I compiti affidati alla Banca d’Italia nel mutato scenario dei servizi e dei sistemi di pagamento, in corso di stampa; adde Sciarrone Alibrandi, sub art. 146, in Commentario al Testo unico bancario e creditizio a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina e Santoro, Milano, 2010. 32 Ciò è ben evidente proprio nel parere reso sul progetto di direttiva PSD, v. Banca Centrale Europea, Parere del 26 aprile 2006, cit. 33 De Tomasi, Sistema dei pagamenti, cit., p. 383 osserva: «L’integrità e l’affidabilità del sistema dei pagamenti dipende in modo primario dalla qualità dei partecipanti, che attraverso l’esercizio delle vigilanza prudenziale è possibile verificare». 34 Cfr. Lastra, Legal Foundations, cit., p. 144.

530


Vittorio Santoro

È in questo ambito, d’altra parte, che la Banca Centrale europea, per il tramite delle Banche centrali nazionali, svolge le funzioni più delicate di rifinanziamento del sistema per garantirne la fluidità, attraverso operazioni che vanno dal finanziamento infragiornaliero 35 all’approvvigionamento di liquidità in situazioni straordinarie, legate alla difficoltà di una banca o a condizioni di mercato 36. Orbene, proprio su tale piano la direttiva PSD si muove con maggiore cautela. Da un lato, sembra che non vi sia dubbio che le attività di clearing e settlement possano essere svolte dagli Istituti di pagamento; infatti, in tale senso, l’art. 16, par. 1, lett. b), dir. 2007/64/CE, precisa che gli Istituti di pagamento possono gestire sistemi di pagamento. Ma, allo stesso tempo, la medesima disposizione rinvia al successivo art. 28, che a sua volta, pur ribadendo che l’accesso ai sistemi di pagamento è libero e non discriminatorio (par. 1), tuttavia, stabilisce alcune deroghe, fra le quali qui interessa segnalare quella relativa ai c.d. sistemi di pagamento designati ai sensi della direttiva n. 98/26/CE (par. 2, lett. a) 37. Questi ultimi sono i sistemi notificati da ciascuno Stato comunitario alla Commissione europea e di cui lo Stato abbia “accertato la conformità alle regole”, si intende più rigorose (art. 2, lett. a, terzo trattino, dir. 98/26/CE) 38. Si tratta del cuore del sistema, infatti, i sistemi designati sono una componente di TARGET2 (art. 3, par. 2, indirizzo BCE/2007/2 39). I par-

35

V. Indirizzo della Banca Centrale europea, 26 aprile 2007, art. 7 e Allegato II, art. 1. Per credito infragiornaliero s’intende “il credito accordato per un tempo inferiore alla durata di una giornata lavorativa”; per finanziamento marginale, invece, s’intendono “le operazioni di rifinanziamento marginale a disposizione delle controparti dell’Eurosistema per ricevere credito overnight da una BC dell’Eurosistema a un predeterminato tasso di rifinanziamento marginale”. In dottrina, cfr. Antonucci, Il credito di ultima istanza nell’età dell’euro, Bari, 2003, p. 169 ss.; Lastra, Legal Foundations, cit., p. 304 s. 36 Cfr. Antonucci, Il credito di ultima istanza, cit., p. 175 ss.; De Tomasi, Sistema dei pagamenti, cit., pp. 388 ss. e 403 ss. 37 Cfr. Gimigliano, L’assetto della concorrenza, cit., p. 285. 38 In ottemperanza alla direttiva 26/98/CE, il Governatore della Banca d’Italia, con suo provvedimento del 18 giugno 2004, ha revocato la designazione della Liquidazione dei titoli, e l’ha sostituita con Express II; ha, inoltre, designato il servizio di trasferimento di titoli svincolato dal trasferimento del contante (cosiddetti franco pagamento) effettuato dalla Monte Titoli nell’ambito del servizio di gestione accentrata. 39 Gli indirizzi della BCE sono emanati in conformità dell’art. 14.3 del relativo Statuto e sono vincolanti per le Banche centrali nazionali, cfr. Zilioli e Selmayr, La banca centrale europea, Milano, 2007, p. 199 ss.

531


Saggi

tecipanti a TARGET2/BC (del paese) 40 sono solo le banche centrali comunitarie e le banche comunitarie europee (e quelle extraeuropee a condizione di avere una succursale comunitaria) (v. art. 4, Allegato II). Inoltre, a discrezione della banca centrale competente, possono essere partecipanti: 1) i dipartimenti del Tesoro; 2) gli enti del settore pubblico; 3) le imprese d’investimento; 4) gli organismi che offrono servizi di compensazione e regolamento; 5) banche e altri enti insediati in uno stato con il quale la Comunità abbia concluso un accordo in ordine all’accesso ai rispettivi servizi di pagamento. Il successivo par. 3 dell’art. 4 stabilisce, invece, esplicitamente che gli Istituti di moneta elettronica non possono essere partecipanti diretti 41. In definitiva, agli Istituti di pagamento, anche quelli che offrono servizi di compensazione e regolamento, potrebbe essere preclusa la partecipazione diretta ai sistemi RTGS/Target2 42. È probabile che le ragioni del diverso regime stabilito nell’art. 28, par. 2, dir. PSD (che per altro trovano riscontro nel citato indirizzo della BCE) siano da ricondursi alla sterilizzazione del rischio per il sistema della partecipazione di tale categoria di partecipanti e, correlativamente, alla volontà di non farli accedere, direttamente, al rifinanziamento delle banche centrali. Accanto al comparto delle transazioni all’ingrosso, ove transitano i pagamenti d’importo più elevato, funziona un comparto delle transazioni al dettaglio per i pagamenti d’importo ridotto. In questo campo, la Banca centrale europea non ha assunto un’iniziativa diretta 43, ma piuttosto ha incentivato il mercato attraverso l’European Payment Council (EPC) (organismo di natura privata costituito dalle associazioni bancarie europee) affinché sviluppi regole e infrastrutture di supporto idonee a realizzare la Single euro payments area (SEPA) 44.

40 Per l’Italia il sistema di regolamento lordo è denominato BIREL: le Regole di funzionamento (Roma – novembre 2007) possono essere reperite nel sito della Banca d’Italia. 41 Il quadro regolamentare degli Imel, tuttavia, è in evoluzione; infatti, è in preparazione una nuova direttiva volta a dare una seconda chance a tali Istituti rimuovendo barriere sproporzionate al loro ingresso nel mercato, ad es. riducendo il capitale iniziale da un milione a € 350.000 (v. IP/09/637 del 24 aprile 2009). 42 Così Mancini, I sistemi di pagamento retail verso la Single Euro Payment Area, in Il nuovo quadro normativo comunitario, p. 248 s., in nota, osserva che potrebbe essere loro «preclusa tout court la partecipazione»; v. anche Id., Il sistema dei pagamenti, cit., p. 1167. 43 Mancini, I sistemi di pagamento, cit., p. 249 ss. precisa che¸ mentre nel comparto all’ingrosso, le banche centrali offrono un servizio pubblico in relazione all’elevata rischiosità sistemica, nel comparto al dettaglio si lascia mano più libera al mercato. 44 Come è noto, la SEPA è, in primo luogo, un obiettivo; infatti, un autorevole mem-

532


Vittorio Santoro

A tale scopo l’EPC, a sua volta, ha promosso la costituzione delle c.d. Pan European automated clearing House (PE-ACH), vale a dire infrastrutture pienamente compliant con la SEPA, ma altresì aperte all’interoperabilità con i cc.dd. Clearing and Settlement Mechanisms (CSM). Ai fini del nostro discorso, interessa comprendere se le Payment Institutions possano essere partecipanti di una PE-ACH. A tal proposito il Framework dell’EPC, da un lato, dichiara di essere “neutral as to the business and technical architecture and components of individual CSMs” 45, dall’altro, stabilisce che un utilizzatore, diretto o indiretto, di una PE-ACH deve essere un partecipante a uno Schema SEPA (quello per i bonifici o per gli addebiti diretti ovvero di entrambi). Il documento EPC 18 dicembre 2008, dopo avere specificato che l’adesione alla piattaforma può essere subordinata solo a “criteri oggettivi, proporzionati trasparenti”, indica alcuni limiti. Chi chiede l’adesione deve: 1) svolgere “un’attività congruente”; 2) essere sottoposto a vigilanza; 3) non essere insolvente; 4) avere una liquidità e un rating adeguati; 5) rispettare le regole antiriciclaggio e antiterrorismo; 6) essere o poter essere membro di un CSM (Clearing and Settlement Mechanisms). Nonostante l’ambiguità dell’ultimo requisito, che sembra lasciare la possibilità di soluzioni diverse, a me sembra che gli Istituti di pagamento, o meglio quegli Istituti di pagamento che svolgeranno attività di compensazione e regolamento, possano diventare membri di una PE-ACH; per altro possono o, a seconda dei casi, devono rispettare tutti gli altri requisiti sopra elencati 46.

bro della BCE ha affermato: «a real SEPA is achieved when people can make payments throughout the whole euro area from one bank account, or by using one card, as easily and safely as a national payment is conducted today. For the customer in the euro area, the choice of bank or location of account should make no difference. The citizen’s perspective of SEPA accords with the Eurosystem’s vision, which is that all euro area payments should become domestic, and reach a level of safety and efficiency at least comparable with the best-performing national payment systems today», (Così Tumpel-Gugerell, Time to act: clear objectives and a convincing roadmap for the Single Euro Payments Area, discorso svolto allo Strategy off-site meeting of the Co-ordination Committee of the European Payments Council, Durbuy, 6 Settembre 2004). Tuttavia, l’obiettivo necessita, per essere realizzato di una piattaforma aperta a tutti gli operatori. Adde, Van Empel, Retail Payments – The Lisbon Agenda and Sepa, in Euredia, 2006, p. 58 ss. 45 V. European Payment Council, PE-ACH/CSM Framework, 24 giugno 2008, p. 10. 46 Nel considerando 16) della direttiva 2007/64/CE, infatti, si legge: «Per qualsiasi prestatore di servizi di pagamento è essenziale essere in grado di accedere ai servizi delle infrastrutture tecniche dei sistemi di pagamento. Tale accesso dovrebbe essere, tuttavia, soggetto a opportuni requisiti al fine di garantire l’integrità e la stabilità di tali sistemi.

533


Saggi

Per quanto riguarda più specificamente il caso italiano, in ambito ABI si è favorito il Piano nazionale di migrazione, e, con particolare riguardo alle infrastrutture dei servizi di pagamento l’ABI “ha promosso un accordo d’interoperabilità tra i CM a livello nazionale, al fine di favorire il mantenimento della circolarità nel contesto italiano nello scambio interbancario dei bonifici basati sullo Schema SEPA Credit transfer EPC”. Il documento tiene a sottolineare che “l’accordo è aperto alla futura partecipazione di altri operatori che intendessero offrire servizi di scambio degli strumenti SEPA” si tratta di un’apertura alle future Istituzioni di pagamento 47. Tuttavia, per il momento è poco più di un pro-memoria o, se si vuole, di un ossequio formale alle scelte della direttiva PSD. Basti considerare, da un lato, il fatto che il processo di migrazione è partito il 29 gennaio 2008 con l’adesione di 629 banche e con quella delle Poste italiane 48; dall’altro, al fatto che quando il documento ABI parla della c.d. piena raggiungibilità, in concreto la fa consistere “nel mantenimento della piena circolarità dei bonifici scambiati dalle banche italiane” 49.

6. Istituti di pagamento e intermediari ex artt. 106 -107 t.u.b. Nel paragrafo precedente mi sono occupato solo di una delle attività che possono svolgere gli Istituti di pagamento, precisamente “la gestione dei sistemi di pagamento” quale elencata all’art. 16, par. 1, lett. b), della direttiva PSD. Occorre ora aggiungere – riprendendo il punto di vista che in termini fattuali già svolgevo supra al paragrafo 2 – che gli Istituti di pagamento possono svolgere un complesso di servizi piuttosto variegato e articolato che, da un lato, sono elencati nell’Allegato alla direttiva PSD 50, ma che, d’altro lato, comprendono anche le attività accessorie e

Ciascun prestatore di servizi di pagamento che chieda di partecipare a un sistema di pagamento dovrebbe fornire ai partecipanti di tale sistema la prova che le sue disposizioni interne sono sufficientemente solide per affrontare qualsiasi tipo di rischio». 47 V. Comitato Nazionale di Migrazione – Progetto SEPA, Il piano nazionale di migrazione, dicembre 2007, p. 5. 48 V. Comitato Nazionale di Migrazione – Progetto SEPA, op. cit., p. 7; ivi si specifica che la Banca d’Italia ha comunicato direttamente all’EPC la propria partecipazione allo Schema SEPA. 49 V. Comitato Nazionale di Migrazione – Progetto SEPA, op. cit., p. 11. 50 L’elenco completo delle attività comprese nell’allegato è il seguente: 1. Servizi che permettono di depositare il contante su un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento;

534


Vittorio Santoro

attività commerciali del tutto estranee ai servizi di pagamento (art. 16, par. 1, rispettivamente lett. a) e lett. c 51). Essi, tuttavia non possono raccogliere depositi ai sensi della direttiva banche. A mio giudizio, tuttavia, il divieto è poco più che una formula di stile che dovrebbe indurre a un ripensamento della stessa qualificazione soggettiva di istituzione creditizia 52. In verità nel nostro ordinamento da tempo sono disciplinati intermediari che possono prestare servizi di pagamento, mi riferisco ai soggetti disciplinati dagli artt. 106 e 107 t.u.b., a proposito dei quali il recente d. m. 17 febbraio 2009, n. 29, all’art. 5, co. 1, ha puntualizzato cosa debba intendersi per “prestazione dei servizi di pagamento”53. Sarà, dunque,

2. Servizi che permettono prelievi in contante da un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento; 3. Esecuzione di ordini di pagamento, incluso il trasferimento di fondi, su un conto di pagamento presso il prestatore di servizi di pagamento dell’utente o presso un altro prestatore di servizi di pagamento: — esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum; — esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o dispositivi analoghi; — esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti; 4. Esecuzione di operazioni di pagamento quando i fondi rientrano in una linea di credito accordata a un utente di servizi di pagamento: — esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum; — esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o dispositivi analoghi; — esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti; 5. Emissione e/o acquisizione di strumenti di pagamento; 6. Rimessa di denaro; 7. Esecuzione di operazioni di pagamento ove il consenso del pagatore a eseguire l’operazione di pagamento sia dato mediante un dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico e il pagamento sia effettuato all’operatore del sistema o della rete di telecomunicazioni o digitale o informatica che agisce esclusivamente come intermediario tra l’utente di servizi di pagamento e il fornitore di beni e servizi. 51 Per la precisione la citata lett. a) recita: “prestazione di servizi operativi e servizi accessori strettamente connessi, come garanzia dell’esecuzione di operazioni di pagamento, servizi di cambio, attività di custodia e registrazione e trattamento di dati”; mentre, la lett c) recita: “attività commerciali diverse dalla prestazione di servizi di pagamento, tenuto conto delle disposizioni nazionali e comunitarie applicabili”. 52 Rinvio alle mie osservazione nel I conti di pagamento, cit., p. 859 ss. V. anche Priesemann, Proposal, cit., p. 31. 53 Per comodità del lettore si riporta la disposizione dell’art. 5 del d.m. citato nel testo: “Per prestazione di servizi di pagamento si intende l’attività di: a) incasso e trasferimento di fondi;

535


Saggi

necessario mettere a confronto le due categorie 54. Orbene, dal mero raffronto delle due elencazioni emerge che, al di là di una maggiore puntualità dell’elenco contenuto nell’allegato alla direttiva, le due liste sono ampiamente convergenti. Salvo che è necessario denotare, con riferimento al contenuto delle prime due alinea dell’Allegato alla direttiva, che ai clienti degli Istituti di pagamento è consentito di operare tramite depositi e prelievi sui c.d. conti di pagamento, purché strettamente funzionali alle esigenze di pagamento della stessa clientela. Tale attività è preclusa agli attuali intermediari e, d’altra parte, è proprio quella più prossima alla tradizionale attività bancaria 55. Un ulteriore salto di qualità, degli Istituti di pagamento rispetto agli intermediari degli artt. 106-107 t.u.b., consiste nel fatto che l’oggetto sociale dei primi non è esclusivamente concentrato nei servizi di pagamento. Infatti, gli Istituti di pagamento sono autorizzati a esercitare

b) trasmissione o esecuzione di ordini di pagamento, anche tramite addebiti o accrediti, effettuati con qualunque modalità; c) compensazione di debiti e crediti; d) emissione o gestione di carte di credito, di debito o di altri mezzi di pagamento, nel rispetto del divieto di raccolta del risparmio tra il pubblico previsto dall’articolo 11 del Testo unico”. La medesima disposizione al comma successivo, però, precisa che “2. Non rientrano nella prestazione di servizi di pagamento le attività di: a) recupero crediti; b) trasporto e consegna di valori; c) emissione o gestione, da parte di un fornitore di beni o servizi, di carte prepagate utilizzabili esclusivamente presso lo stesso o, in base a un accordo commerciale con l’emittente, all’interno di una rete limitata di prestatori di tali beni o servizi; d) emissione o gestione, da parte di un fornitore di beni o servizi, di carte di credito e di debito utilizzabili esclusivamente presso lo stesso o, in base a un accordo commerciale con l’emittente, all’interno di una rete limitata di prestatori di tali beni o servizi; e) mera distribuzione di carte di credito e di debito; f) trasferimento di fondi, svolto in via strumentale alla propria attività principale, a condizione che il soggetto che effettua tali operazioni non possa disporre per proprio conto dei fondi medesimi”. In dottrina vi è ampia letteratura, per brevità, ci si limita a uno scritto recentissimo, ove si troveranno i riferimenti: Rotondo, sub artt. 106114, in Commentario al Testo unico bancario e creditizio, cit. 54 Mi sia consentito fornire anche un dato quantitativo: gli intermediari che prestano servizi di pagamento ai sensi dell’art. 107 t.u.b. sono 15, essi sono essenzialmente gestori di carte di pagamento. Gli intermediari che prestano servizi di pagamento ai sensi dell’art. 106 t.u.b. sono, invece, 503, molti di questi ultimi svolgono la loro attività all’interno di gruppi di società. 55 Cfr. Santoro, I conti di pagamento, cit., p. 859 ss.

536


Vittorio Santoro

“attività commerciali diverse dalla prestazione di servizi di pagamento tenuto conto delle disposizioni nazionali e comunitarie applicabili” (art. 16, par. 1, lett. c, direttiva 2007/64/CE). Le ragioni di tale “apertura” risiedono, come per altro già notavo nel paragrafo 1, nell’esigenza di ampliare il mercato agli operatori di altri comparti economici in quanto possibili portatori di innovazioni e/o di maggiore efficienza 56; si tratta di obiettivi intermedi in funzione dell’esigenza di accentuazione della concorrenza e di progresso in termini di costi per i consumatori. Tuttavia tale scelta pone gravi problemi di tutela della stabilità, in quanto: 1) in primo luogo, le perdite o, comunque, situazioni di crisi relative al comparto commerciale non inerente ai servizi di pagamento potrebbero contagiare quest’ultimo e, in ogni caso, destabilizzare l’Istituto di pagamento; 2) in secondo luogo, come si è già rilevato con particolare riguardo a quegli Istituti di pagamento che si occupano del core business nell’ambito dei sistemi di pagamento, la crisi del singolo ente potrebbe destabilizzare altri intermediari che si trovino ad avere nei suoi confronti crediti rilevanti (effetto domino); 3) in terzo luogo, gli Istituti di pagamento detengono somme della clientela in vista di effettuare operazioni di pagamento per conto della stessa, la loro crisi potrebbe mettere a repentaglio la capacità di restituzione delle suddette somme 57. D’altra parte, proprio in ragione di tali rischi il legislatore comunitario ha introdotto alcuni “correttivi” alla libertà di esercizio di tali peculiari attività di impresa, fino al punto che la disciplina delle non banche sarà più severa, soprattutto in quei Paesi in cui la loro attività era assolutamente libera. La disciplina continuerà, tuttavia, a essere distante da quella bancaria con particolare riguardo a quegli Istituti di pagamento che non esercitino attività imprenditoriali ulteriori rispetto ai servizi di pagamento. In ogni caso, l’art. 21 della direttiva 2007/64/CE, prevede a carico degli Istituti obblighi informativi, soggezione a ispezioni e a vigi-

56 Una possibilità di maggiore efficienza potrebbe consistere nello sfruttamento di reti distributive già attive in ragione dello svolgimento dell’attività diversa. Non a caso nel considerando 7) della direttiva si osserva: «Le rimesse di denaro sono un semplice servizio di pagamento generalmente basato su contante fornito da un pagatore a un prestatore di servizi di pagamento, che trasferisce l’importo corrispondente, per esempio tramite una rete di comunicazione, a un beneficiario o a un altro prestatore di servizi di pagamento che agisce per conto del suddetto beneficiario. In alcuni Stati membri supermercati, commercianti e altri dettaglianti forniscono al pubblico un servizio corrispondente che consente di pagare le utenze domestiche e altre fatture periodiche». 57 Sul punto si tornerà infra nel paragrafo 8.

537


Saggi

lanza regolamentare, secondo un modello sostanzialmente prossimo a quello della vigilanza creditizia.

7. Il capitale minimo e i fondi propri degli Istituti di pagamento. Di particolare rilievo nel contesto di vigilanza è la regola relativa al capitale minimo per iniziare un’attività nell’ambito dei servizi di pagamento. La direttiva PSD prevede tre livelli a seconda del tipo di attività che si intenda svolgere, in particolare: euro 20.000 per la sola attività di rimessa 58; euro 50.000 per i trasferimenti digitali e, infine, euro 125.000 per i servizi complessivamente indicati nell’allegato. Balza subito in evidenza, nel contesto italiano, la differenza con gli intermediari di cui all’art. 106 t.u.b., i quali sono obbligati ad avere un capitale iniziale di quattro volte il minimo del capitale di una S.p.A., dunque attualmente un capitale almeno pari a 480.000 euro. La scelta è volta ad abbassare le barriere all’ingresso di nuovi operatori e renderà necessario mutare la norma nazionale appena citata, ovviamente con riguardo a quei soggetti già operanti in Italia che rientrino nella nuova fattispecie di Istituti di pagamento. L’agevolazione è, parzialmente, corretta dalla disciplina dei fondi propri. Infatti, l’art. 8 della direttiva stabilisce che, fatti salvi i requisiti patrimoniali iniziali (art. 6) gli Istituti di pagamento devono “detenere in qualsiasi momento fondi propri” che, a loro volta, possono essere calcolati secondo tre metodi alternativi, ovvero fondi propri almeno pari: A) al 10% delle spese fisse generali dell’anno precedente 59; B) a una percentuale decrescente del valore dei pagamenti diviso per dodici e moltiplicato per un fattore da 0,5 a 1 in funzione delle rimesse 60; C) alla

58 La rimessa, ai sensi dell’art. 4, n. 13, direttiva 2007/64/CE, altro non è che «un servizio di pagamento in cui i fondi sono consegnati da un pagatore senza che siano stati aperti conti di pagamento intestati al pagatore o al beneficiario». 59 Nell’art. 8, più precisamente, si legge: «Metodo A – L’ammontare dei fondi propri degli istituti di pagamento è pari almeno al 10% delle spese fisse generali dell’anno precedente. Le autorità competenti hanno facoltà di adattare tale obbligo in caso di modifica sostanziale dell’attività di un’impresa rispetto all’anno precedente. Quando, alla data del calcolo, il precedente periodo di attività dell’istituto di pagamento è inferiore a un anno intero, tale copertura è pari al 10% delle corrispondenti spese fisse generali del piano aziendale preventivo, salvo eventuale adattamento prescritto dalle autorità competenti». 60 Il Metodo B, invece, è il seguente: «L’ammontare dei fondi propri degli istituti

538


Vittorio Santoro

somma algebrica di interessi, più spese, più commissioni, più altre provvigioni per un moltiplicatore decrescente (dal 10% al 1,5% in funzione crescente dei guadagni) 61. Non vi è dubbio, invece, che i requisiti di capitale minimo così come la disciplina dei fondi propri sia ben lontana da quella ben più rigorosa delle banche. Tanto che queste ultime potrebbero essere indotte a ritenere conveniente creare propri Istituti di pagamento, partecipati o collegati all’ente creditizio 62.

di pagamento è almeno pari alla somma degli elementi seguenti moltiplicata per un fattore di graduazione k, definito al paragrafo 2, dove il volume dei pagamenti (VP) rappresenta un dodicesimo dell’importo complessivo delle operazioni di pagamento eseguite dall’istituto di pagamento nell’anno precedente: a) 4% della quota di VP fino a 5 milioni di EUR; più b) 2,5% della quota di VP al di sopra di 5 milioni di EUR e fino a 10 milioni di EUR; più c) 1% della quota di VP al di sopra di 10 milioni di EUR e fino a 100 milioni di EUR; più d) 0,5% della quota di VP al di sopra di 100 milioni di EUR e fino a 250 milioni di EUR; più e) 0,25% della quota di VP al di sopra di 250 milioni di EUR». 61 Il Metodo C, invece, è il seguente: «L’ammontare dei fondi propri degli istituti di pagamento è pari almeno al prodotto dell’indicatore rilevante di cui alla lettera a) per il fattore di moltiplicazione di cui alla lettera b), successivamente moltiplicato per il fattore di graduazione k di cui al paragrafo 2 in appresso: a) L’indicatore rilevante è la somma dei seguenti elementi: – proventi da interessi, – spese per interessi, – proventi per commissioni e provvigioni, e – altri proventi di gestione. Ogni elemento sarà incluso nella somma con il proprio segno positivo o negativo. I proventi da voci straordinarie o irregolari non possono essere utilizzati nel calcolo dell’indicatore rilevante. Le spese relative all’esternalizzazione di servizi resi da terzi possono ridurre l’indicatore rilevante se sono sostenute da un’impresa sottoposta a vigilanza ai sensi della presente direttiva. L’indicatore rilevante è calcolato sulla base dell’ultima osservazione su base annuale effettuata alla fine dell’esercizio precedente. L’indicatore rilevante è calcolato sul precedente esercizio. Tuttavia i fondi propri calcolati in base al metodo C non possono essere inferiori all’80% del valore medio dell’indicatore rilevante relativo ai tre esercizi precedenti. Se non sono disponibili dati sottoposti a revisione contabile, possono essere utilizzate stime aziendali. b) Il fattore di moltiplicazione è pari al: 1) 10% della quota dell’indicatore rilevante fino a 2,5 milioni di EUR; 2) 8% della quota dell’indicatore rilevante compresa tra 2,5 milioni di EUR e 5 milioni di EUR; 3) 6% della quota dell’indicatore rilevante compresa tra 5 milioni di EUR e 25 milioni di EUR; 4) 3% della quota dell’indicatore rilevante compresa tra 25 milioni di EUR e 50 milioni di EUR; 5) 1,5% al di sopra di 50 milioni di EUR». 62 Conf. Bouthinon-Dumas, La directive, cit, p. 79.

539


Saggi

8. La segregazione patrimoniale. In una logica di pesi e contrappesi e, dunque, di temperamento del vantaggio concorrenziale di cui si è appena discorso, il legislatore comunitario richiede agli Istituti di pagamento di segregare i fondi raccolti dalla clientela in funzione dello svolgimento del servizio di pagamento. L’obbligo di segregazione è in primo luogo previsto per il caso in cui accanto al servizio di pagamento, l’Istituto svolga anche un’attività commerciale del tutto estranea (art. 9 direttiva 2007/64/CE): si pensi, a titolo di esempio, a una società telefonica, a una società che gestisca una rete di distribuzione commerciale. In tali casi, la preoccupazione alla base della norma è quella di evitare che un dissesto, una crisi di liquidità inerente all’attività commerciale diversa possa trasmettersi anche al servizio di pagamento 63, minacciando il buon funzionamento e, quindi, la credibilità e la fiducia che deve circondare il sistema dei pagamenti. Ritengo, tuttavia, opportuno che il principio di segregazione acceda anche agli Istituti di pagamento che svolgano, per scelta, esclusivamente servizi di pagamento 64, e che anche in tale caso implichi la separazione dei fondi ricevuti dalla clientela in funzione del servizio rispetto ai fondi propri dell’Istituto 65. A tale fine, in un mio precedente scritto, ho già avu-

63 Significativo in proposito è l’art. 10, par. 5, direttiva PSD: «se le attività diverse dai servizi di pagamento dell’istituto di pagamento danneggiano o rischiano di danneggiare la solidità finanziaria di quest’ultimo o la capacità delle autorità competenti di controllare l’osservanza da parte dell’istituto di pagamento di tutti gli obblighi stabiliti dalla presente direttiva». Sul punto v. Priesemann, Proposal for a Directive on Payment Services, cit., p. 37 ss. 64 La direttiva lascia in proposito un certo grado di libertà ai legislatori nazionali; infatti, l’art. 9, § 3, recita: «Gli Stati membri o le autorità competenti possono richiedere il rispetto dei requisiti in materia di tutela di cui al paragrafo 1 del presente articolo [il riferimento è alle tecniche di segregazione] anche agli istituti di pagamento che non esercitano altre attività commerciali di cui all’articolo 16, paragrafo 1, lettera c) [vale a dire quelli che svolgono il servizio di pagamento in esclusiva». 65 Mi si consenta un rinvio al mio, I conti di pagamento, cit., p. 863 ss., ove ho osservato: «L’esigenza di separare le somme del cliente dalle disponibilità degli IP non scompaiono nel caso di svolgimento di un’attività in esclusiva. Infatti, l’esigenza di segregare o garantire che i fondi destinati al servizio di pagamento siano salvaguardati riemerge con chiarezza in considerazione dell’art. 16, § 3, lett. c), direttiva 2007/64/CE, secondo la quale gli IP non possono concedere credito “utilizzando fondi ricevuti e detenuti ai fini dell’esecuzione di un’operazione di pagamento”; affinché ciò sia possibile vi deve essere, in ogni momento, la possibilità di individuare distintamente i fondi di pertinenza di

540


Vittorio Santoro

to modo di auspicare di prendere a modello l’art. 22 t.u.f. e di disporre che “che le somme di denaro dei singoli utenti dei servizi di pagamento, a qualunque titolo detenuti dall’IP, costituisc[a]no patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti. Su tale patrimonio non [dovrebbero essere] ammesse azioni dei creditori dell’IP. Le azioni dei creditori dei singoli utenti [dovrebbero essere] ammesse nei limiti del patrimonio di proprietà di questi ultimi” 66. La ragione sistematica della soluzione sta nella necessità di tutela della clientela la quale, al contrario di quella bancaria, non trova protezione nei sistemi di garanzia dei depositi. La giustificazione letterale sta nel fatto che i conti di pagamento degli Istituti di pagamento sono funzionali “esclusivamente” al servizio di pagamento 67. Non mancheranno certo al legislatore nazionale gli strumenti per ottenere il risultato della segregazione, eventualmente, lasciando ai singoli operatori la scelta del metodo. Gli Istituti di pagamento potrebbero essere obbligati ad assicurare i fondi dei clienti, oppure, a depositarli presso un ente diverso (banche, o istituti specificamente autorizzati a detenere depositi di denaro in custodia); o ancora a costituire su base volontaria fondi di garanzia. Ci si può chiedere se si possa consentire di ricorrere all’istituto del patrimonio destinato, proprio della società per azioni dopo la riforma. Darei al quesito una risposta affermativa, in quanto il patrimonio destinato si configura come separato, con specifica evidenza contabile (art. 2447-septies c.c.), da quello della società; inoltre, resta a tutela dei creditori del patrimonio stesso (artt. 2447-quinquies 2447-novies c.c.) in particolare in caso di insolvenza (artt. 155 e 156 l. fall.) 68. Le regole sommariamente ricordate, soddisfano, dal punto di vista della direttiva PSD, le esigenze di “non confusione” e di “isolamento” dei fondi degli utenti quali indicate alle lettere a) e b) dell’art. 9, par. 1. Va da sé che creditori del patrimonio destinato, nel nostro caso, altri non dovrebbero essere che gli utenti del servizio di pagamento.

ciascun cliente rispetto a quelli propri dell’IP e rispetto a quelli degli altri utenti; occorre prevedere una segregazione contabile e giuridica tale che si assicuri che anche in caso di fallimento dell’IP le somme siano integralmente restituibili alla clientela». 66 Cfr. Santoro, op. cit., p. 865. 67 Argomenti più ampi in Santoro, op. cit., p. 863 ss. 68 Cfr., per tutti, Pavone La Rosa, L’insolvenza della società per azioni con patrimoni “separati”, in Il nuovo diritto delle società a cura di Abbadessa e Portale, 1, Torino, 2006, p. 921.

541


Saggi

Si deve, tuttavia, aggiungere che la fattispecie potrebbe non essere utile al bisogno degli Istituti di pagamento che non svolgano attività commerciali diverse dal servizio di pagamento in ragione del limite imposto dall’art. 2447-bis, ult. co., c.c., secondo il quale i patrimoni non si possono costituire per un valore superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società. La medesima disposizione, tuttavia, lascia la facoltà al legislatore di superare detto limite nella legislazione speciale, in tale sede occorrerà contemperare l’esigenza di ampliare le possibilità operative degli Istituti di pagamento con quella del controllo della rischiosità.

9. Apertura di credito e conti di pagamento. Infine, l’attitudine pro-concorrenziale dell’attività consentita agli Istituti di pagamento potrebbe comportare il rischio di destrutturazione del nostro contratto di apertura di credito se si dovesse concludere che i conti di pagamento 69 sono anche il veicolo dei finanziamenti a favore della clientela degli Istituti di pagamento. Il dubbio nasce dalla lettura dell’art. 16, par. 3, che consente agli Istituti di pagamento di concedere credito; la facoltà è ribadita nel punto 4 dell’Allegato ove si precisa che tali Istituti possono eseguire “operazioni di pagamento quando i fondi rientrano in una linea di credito accordata a un utente”. Consentitemi di sgombrare immediatamente il campo da un indirizzo di politica legislativa che è possibile immaginare per tenere distinto il contratto di apertura di credito dalla “linea di credito” concessa da un Istituto di pagamento, avvalendosi del concetto di segregazione di cui si è discorso nel precedente paragrafo. Si può, in altri termini, affermare che anche i fondi necessari al finanziamento degli utenti del servizio di pagamento devono essere segregati, al pari di quelli forniti dall’utente medesimo? Si potrebbe, ad esempio, disporre che debbano essere depositati su un vero e proprio conto bancario oppure assistiti da una polizza fedeiussoria? A me sembra che la risposta in questo caso non possa che essere negativa per la ragione assorbente che non sono messe a rischio

69

In altra sede mi sono, già, occupato delle analogie e di qualche differenza tra conto corrente bancario e conto di pagamento ai sensi della direttiva PSD, cfr. I conti di pagamento, cit., p. 855 ss. Un cenno in tale senso, con riferimento all’ordinamento francese, in Bouthinon-Dumas, La directive, cit, p. 74.

542


Vittorio Santoro

somme di denaro di pertinenza del cliente. Vero è che la funzionalità del sistema dei pagamenti ne soffrirebbe anche in questo caso, in quanto il servizio promesso non potrebbe essere eseguito in caso di default dell’Istituto di pagamento, ma questo è al pari vero anche per il servizio fornito dalle banche in connessione con un’apertura di credito 70. Se così stanno le cose, occorre chiedersi se nel nostro ordinamento – noto per essere caratterizzato da una risalente tipicità dei contratti bancari – vi sia ancora spazio per un contratto di apertura di credito che abbia quale elemento tipizzante che una delle parti del contratto sia necessariamente una banca. La risposta richiede la comprensione delle ragioni alla base della scelta operata dal legislatore comunitario, a proposito delle quali è utile partire dalle osservazioni di una giovane studiosa. Questa ha collegato la scelta del legislatore europeo di creare la nuova categoria degli Istituti di pagamento e di consentire loro, entro certi limiti, di aprire una linea di credito a favore dei clienti alla volontà di contrastare le c.d. pratiche di tying delle banche, vale a dire quelle politiche gestionali intese a condizionare la vendita di un prodotto a quella di un altro, senza che sia possibile acquistare il prodotto richiesto separatamente 71. Le banche, avvalendosi della possibilità di fornire esse stesse la provvista necessaria al cliente per potere dare ordini di pagamento, avrebbero un vantaggio concorrenziale qualora altri operatori potessero eseguire gli ordini di pagamento a valere esclusivamente sulla provvista fornita dal cliente medesimo 72.

70

I rimedi in questo caso sono altri e consistono nella stabilizzazione dei pagamenti che transitano nei sistemi di compensazione e regolamento in virtù della regola dell’art. 70 l. fall. A una estensione della quale anche per gli Istituti di pagamento sarà pertanto, opportuno pensare. 71 Mi riferisco a Gimigliano, L’assetto della concorrenza, cit., p. 296, la quale afferma: «l’assetto giuridico della concorrenza dei sistemi di pagamento è influenzato da una variabile diversa dal prezzo o dal prodotto, sicché un impulso alla competitività del mercato rilevante può essere impresso da un intermediario, diverso dagli enti creditizi, che sia abilitato a prestare professionalmente servizi di pagamento al dettaglio, anche in conto corrente, e a concedere una linea di credito per regolare i saldi in conto […] ragionando in termini di network industries, il conto corrente bancario amplifica gli effetti connessi alle esternalità positive di rete, rafforzando le barriere di accesso al mercato dei servizi di pagamento al dettaglio». 72 Gimigliano, op. cit., p. 298, prosegue: «La Direttiva ha così il pregio di porre all’attenzione dei legislatori nazionali un prezzo occulto della concorrenza sul mercato dei servizi di pagamento al dettaglio, un aspetto che sfugge al quadro armonizzato dei servizi di pagamento e, allo stesso tempo, alle autorità antitrust perché non è riconducibile nel solco della commissione interbancaria e delle clausole di accesso alla rete».

543


Saggi

La suggestione deriva dalle osservazioni contenute nel c.d. Cruickshank Report ove si legge: “in practice in the UK, the supply of overdrafts and bank loans is tied to the supply of money transmission services. In the case of overdrafts, this comes with current account” 73. Anche l’Autorità antitrust italiana, nella sua Indagine conoscitiva IC-32 ha rilevato che “L’indagine condotta e le analisi svolte dall’Autorità nell’ambito di procedimenti istruttori ha, in primo luogo, rilevato un chiaro dato di fatto, ossia l’utilizzo del conto corrente da parte delle banche quale strumento strategico per la creazione di un rapporto con il correntista basato su un complesso di numerosi altri servizi. Le argomentazioni addotte all’esistenza del legame non appaiono basate su impedimenti tecnici all’offerta non abbinata tra c/c e altri servizi quanto, piuttosto, su vantaggi per la banca ad avere pieno controllo circa il profilo del correntista e certezza dei flussi di entrata sul c/c” 74. L’indagine ha, inoltre, stabilito che l’incidenza del tying di servizi bancari e finanziari per il servizio prestiti (nel cui ambito rientra appunto l’apertura di credito) in collegamento con il conto corrente bancario è pari al 42,4% delle banche del campione considerato e al 43,6% dei correntisti 75. Tuttavia, il legislatore comunitario non ha inteso vietare alle banche quella specifica pratica di tying consistente nell’offrire credito alla clientela in funzione di facilitare i pagamenti, quel credito che è talvolta definito di cortesia. Egli, infatti, ha ritenuto che tale finanziamento sia funzionale alla fiducia nel buon funzionamento del sistema dei pagamenti, bene primario da tutelare. Si pensi al caso del cliente che sia in attesa di ricevere un accreditamento e, nello stesso tempo, debba effettuare pagamenti in scadenza. Il legislatore comunitario ha perseguito, invece, il medesimo obiettivo consentendo anche agli Istituti di pagamento di abbinare al conto di pagamento una linea di credito strettamente funzionale al servizio. Se un legame tra i prodotti vi deve essere che vi sia per tutti gli operatori su un piede di parità.

73

Cfr. Cruickshank Report, 2000 in www.hm-treasury.gov.ac.uk, par. 5.25, p. 147. Sul concetto di overdraft – sostanzialmente prossimo alla fattispecie di apertura di credito nell’ordinamento italiano – cfr. Wadsley e Penn, The Law Relating to Domestic Banking**, London, 2000, p. 255 s.; Ellinger, Lomnicka e Hooley, Modern banking law, Oxford, 2002, p. 635 ss. 74 V. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Indagine conoscitiva riguardante i prezzi alla clientela dei servizi bancari, IC-32, p. 97. 75 V., ibidem, p. 92.

544


Vittorio Santoro

Nonostante ciò credo di potere ribadire il mio convincimento teso a tenere distinta la fattispecie apertura di credito rispetto al “finanziamento accordato” dagli Istituti di pagamento. Ciò in quanto la direttiva dispone che quest’ultimo «sia accessorio e concesso esclusivamente in relazione all’esecuzione di un’operazione di pagamento [sicché tale condizione] impedisce che l’Istituto di pagamento si obblighi a tenere a disposizione dell’utente una somma di denaro; infatti, diversamente che nell’apertura di credito, la concessione di credito è “accessoria” ad uno o più pagamenti, comunque, predeterminati. In conseguenza, qualora l’operazione di pagamento non si voglia o non si possa più fare, cessa l’obbligo dell’Istituto di pagamento di concedere il finanziamento; laddove, all’opposto, nell’apertura di credito l’obbligo di tenere le somme a disposizione del cliente permane indipendentemente dall’utilizzazione che ad essa voglia imprimere il correntista e, persino, se la disponibilità rimanga inutilizzata». In conclusione, così come il conto corrente bancario, in prospettiva, sarà una specificazione del conto di pagamento 76 ugualmente potrebbe esserci un contratto di apertura di credito quale specificazione di una più ampia fattispecie di concessione temporanea di credito. Ove il primo sarebbe funzionale a concedere la disponibilità al cliente sia per prelevamenti per cassa sia per fare provvista per effettuare pagamenti 77; il secondo sarebbe funzionale solo a quest’ultimo obiettivo, cioè al servizio di pagamento. Va da sé che una nuova sistemazione delle fattispecie di contratto bancario, integrate con nuove fattispecie suggerite dalla direttiva, sarebbe utile e starei per dire necessaria.

Vittorio Santoro

76

Cfr. Santoro, op. cit., p. 865 ss. Sulle modalità di utilizzazione del credito concesso con l’apertura di credito, cfr., fra gli altri, Fauceglia, I contratti bancari, in Tratt. dir. comm. diretto da Buonocore, Torino, 2005, p. 338; Porzio, La concessione del credito, in I contratti delle banche, Torino, 2002, p. 108 ss. 77

545



Risparmio gestito e sistemi alternativi di amministrazione e controllo* Sommario: 1. Modelli alternativi di governance e intermediari finanziari. – 2. L’adozione di un modello alternativo di governance. Le fonti normative primarie. – 3. Le funzioni organiche nella normazione secondaria. – 4. La funzione di supervisione strategica nel sistema dualistico … – 5. … e in quello monistico. – 6. La funzione di controllo nei sistemi alternativi. – 7. Modelli alternativi di governance e procedure di crisi di SGR e Sicav.

1. Modelli alternativi di governance e intermediari finanziari. Che tra i sistemi alternativi di amministrazione e controllo quello dualistico promettesse di risolvere specifici problemi di governance – soprattutto di ripartizione del potere societario tra diverse fasce di managers e soci: managers professionali o di stretta fiducia proprietaria; soci e gestori di prima o di seconda generazione – era stato rilevato sin dal principio, da quando cioè il modello era stato introdotto con la riforma del 2003 .

* Questo saggio è destinato al volume D’Apice (a cura di), L’attuazione della MiFID in Italia, Bologna, Il Mulino, 2009. Si ringrazia la Curatrice e l’Editore per il consenso alla pubblicazione in questa sede. Per un’esemplificazione di alcune delle possibili funzioni, nel senso di composizioni di interessi, v. Montalenti, Il sistema dualistico: il consiglio di sorveglianza tra funzioni di controllo e funzioni di alta amministrazione, in AGE, 2007, p. 270 s. Constatazione alquanto diffusa sin dall’inizio è quella della vocazione del sistema dualistico alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in particolare quelle quotate; tra gli altri, v.: Montalenti, La riforma del diritto societario: profili generali, in La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, a cura di Ambrosini, Torino, 2003, p. 14; Bonelli, L’amministrazione delle spa nella riforma, in Giur. comm., 2003, I, p. 702 s.; Salanitro,

547


Saggi

In fin dei conti, era questo anche l’obiettivo dichiarato nella Relazione ministeriale, che a tale riguardo parlava di modello “che più realizza la dissociazione tra proprietà (dei soci) e potere (degli organi sociali)” . Ma che poi le imprese l’avrebbero fatto proprio, assimilando una non marginale alterazione in consolidate architetture di governo societario era previsione tutt’altro che agevole . Tanto più era prevedibile una certa inerzia nell’adozione del modello quanto maggiore era l’esposizione al pubblico dell’impresa societaria ovvero il suo assoggettamento a ordinamenti settoriali non adattati contestualmente alla importante innovazione attuata con l’introduzione dei modelli alternativi di amministrazione e controllo. In altre parole, i settori delle imprese sottoposte a vigilanza (banche, intermediari finanziari, assicurazioni) e delle società quotate, pur rappresentando terreno di impiego potenzialmente fertile dei sistemi alternativi – quello dualistico, in particolare – andavano incontro a un non facile adattamento in caso di abbandono del tradizionale modello fondato su consiglio di amministrazione e collegio sindacale. Quasi fatalmente, la facile previsione iniziale ha trovato riscontro pratico, nel senso che, al di là di qualche caso iniziale pur alquanto pubblicizzato e in prevalenza relativo al sistema dualistico, le principali imprese societarie e in particolare quelle soggette a vigilanza non hanno dimostrato nei fatti grande interesse per l’alternativa fornita dall’art. 2380, co. 2, c.c., particolarmente per la governance monistica. I sistemi di amministrazione delle società azionarie, in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, a cura di Cian, Padova, 2004, p. 183; Cariello, Il sistema dualistico. Vincoli tipologici e autonomia statutaria, Milano, 2007, p. 9 ss. Ma se ne prospetta, come si accenna nel testo, anche una funzionalità al passaggio generazionale in imprese familiari (Weigmann, Sistemi alternativi di amministrazione e controllo, in Le grandi opzioni, cit., p. 220; Cariello, Il sistema dualistico, cit., p. 19 ss.) ovvero, genericamente, a situazioni in cui la proprietà sia inidonea alla funzione dirigente (Galgano, Il nuovo diritto societario2, Padova, 2004, p. 311 s., ove si segnala il rischio anche di scelte opportunistiche da parte della maggioranza). Sulla non univocità del criterio dimensionale nella determinazione della propensione delle imprese all’adozione del modello dualistico, Schiuma, Il sistema dualistico. I poteri del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 2, Torino, 2006, p. 686. Relazione ministeriale, § 6.I, in Riv. soc., 2003, p. 126. Sull’incertezza conseguente al primo intervento riformatore in materia di sistemi alternativi di amministrazione e controllo v. le osservazioni di Weigmann, Sistemi alternativi, cit., p. 220 s.

548


Andrea Guaccero

È stato piuttosto il verificarsi di situazioni esogene rispetto alla mera evoluzione della governance interna delle singole società a determinare la tendenza a significativi cambiamenti nei rispettivi sistemi di amministrazione e controllo. In particolare, in occasione di una decisa virata del mercato bancario verso le aggregazioni imprenditoriali di vaste dimensioni, si è manifestato un netto interesse per il sistema amministrativo dualistico (Banco Popolare, Intesa Sanpaolo, UBI Banca). In altri casi, il ricorso al sistema dualistico nel settore bancario e finanziario prometteva la soluzione soddisfacente a esigenze di governance anche in assenza di aggregazioni aziendali (Mediobanca, Management e Capitali, MID Industry Capital). Il successivo abbandono dell’opzione dualistica, talora registrato, appare invece come una decisione motivata da fattori endogeni all’amministrazione della società e si è riscontrato con riguardo a imprese che non avevano subito processi aggregativi e quindi avevano adottato il modello alternativo nel convincimento di una sua maggiore idoneità a organizzare una governance efficiente (è il caso di Mediobanca e Management e Capitali). Ancora diversa è stata la storia del sistema monistico, che ha da sempre riscosso meno che tiepidi consensi nell’ambito dei settori soggetti a vigilanza pubblica. Quando l’adozione di uno dei due modelli alternativi di amministrazione e controllo riguarda un intermediario per la gestione del risparmio collettivo – quindi, SGR e Sicav – l’impatto sulla governance deve essere valutato alla luce delle peculiarità non soltanto del modello gestorio ma anche e soprattutto della specialità dell’impresa esercitata e dunque degli interessi il cui perseguimento è demandato alle regole di amministrazione della società e di gestione dell’impresa . In questo lavoro si procede dapprima a individuare il tessuto normativo di rango primario da cui ricavare elementi utili a definire il collocamento dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo nella governance di SGR e Sicav (§ 2). Si esamina poi l’approccio adottato dalle autorità di vigilanza nella regolamentazione dei profili organizzativi degli intermediari finanziari, in particolare di quelli abilitati al servizio

M. Stella Richter, La governance delle società di gestione del risparmio, Quaderno Assogestioni, 2009, p. 7 ss., nonché in de Mari, a cura di, La nuova disciplina degli intermediari dopo le direttive MiFID: prime valutazioni e tendenze applicative, Padova, 2009, p. 47 ss.

549


Saggi

di gestione collettiva del risparmio, regolamentazione attuata attraverso la nuova metodologia della disciplina per funzioni anziché per organi (§ 3). Si considerano quindi le funzioni che connotano le differenze più accentuate tra sistemi di governance: quella di supervisione strategica, verificandone il posizionamento all’interno del sistema dualistico (§ 4) e di quello monistico (§ 5), e quella di controllo. In relazione a quest’ultima si osserva come il diritto “speciale” degli intermediari finanziari plasma in maniera spiccatamente autonoma le peculiarità dei sistemi alternativi di governance, introdotte dal diritto comune, in chiave di strumentalità della funzione di controllo agli obiettivi di vigilanza (§ 6). Si esamina infine la questione dell’eventuale influenza della scelta statutaria in ordine alla governance rispetto alla procedura di amministrazione straordinaria della SGR o della Sicav (§ 7).

2. L’adozione di un modello alternativo di governance. Le fonti normative primarie. Avviando l’indagine sui dati normativi rilevanti per l’interazione tra servizio di gestione del risparmio (cioè, il piano dell’esercizio dell’impresa) e l’adozione di un sistema alternativo di amministrazione e controllo (il piano dell’organizzazione societaria), è necessario partire dal dato normativo primario. La prima constatazione è che non vi è alcuna disposizione di legge che facoltizzi espressamente una SGR o una Sicav all’adozione del modello dualistico o monistico di governance. Invero, manca anche qualsiasi disposizione di rango legislativo che espressamente contempli il compimento di tale scelta, salve le sole disposizioni definitorie di carattere generale che traspongono, rispettivamente, al consiglio di gestione i richiami “al consiglio di amministrazione, all’organo amministrativo ed agli amministratori” (art. 1, co. 6-ter, t.u.f.) e al consiglio di sorveglianza e al comitato per il controllo sulla gestione i riferimenti “al collegio sindacale, ai sindaci e all’organo che svolge la funzione di controllo” (art. 1, co. 6-quater, t.u.f.). Cionondimeno, l’assenza di una deroga espressa alla facoltà generale conferita dall’art. 2380, co. 2, c.c., alle società per azioni – quali necessariamente sono SGR e Sicav (artt. 34, co. 1, lett. a), e 43, co. 1, lett. a), t.u.f.) – unitamente, come si vedrà, all’assenza di altri impedimenti impliciti alla compatibilità con i requisiti organizzativi imprescin-

550


Andrea Guaccero

dibili per gli intermediari, induce a ritenere che la possibilità di adottare un modello alternativo di governance vada riconosciuta ai soggetti abilitati, incluse SGR e Sicav. Ciò è d’altra parte confermato, come si dirà, dalla normazione secondaria emanata in materia di organizzazione societaria dei soggetti abilitati al servizio di gestione collettiva del risparmio. Alcuni elementi nella normazione primaria assumono comunque rilievo nel contesto dell’adottabilità di un modello alternativo di amministrazione e controllo. Tra questi, in primo luogo la disposizione che, dopo avere conferito all’organo di controllo (per quanto qui rileva: consiglio di sorveglianza e comitato per il controllo sulla gestione) il potere-dovere di segnalare alle autorità di vigilanza le irregolarità riscontrate, richiede allo statuto, tra le altre, di SGR e Sicav di assegnare i relativi compiti e poteri all’organo, “indipendentemente dal sistema di amministrazione e controllo adottato” (art. 8, co. 3, t.u.f.). Vi sono poi le disposizioni che, in generale, subordinano la concessione dell’autorizzazione da parte della Banca d’Italia allo svolgimento del servizio di gestione collettiva del risparmio da parte della SGR e alla costituzione della Sicav, rispettivamente, all’adeguatezza dello statuto in funzione dell’obiettivo perseguito della sana e prudente gestione (art. 34, co. 1, lett. g), e co. 2, t.u.f.) e alla sua conformità rispetto alle prescrizioni normative primarie e regolamentari (art. 43, co. 1, lett. f-ter), e co. 3, t.u.f.). Si aggiunga infine, tra le disposizioni relative allo svolgimento del servizio di gestione collettiva del risparmio, quella che stabilisce che il regolamento del fondo comune di investimento indichi “gli organi competenti per la scelta degli investimenti e i criteri di ripartizione degli investimenti medesimi” (art. 39, co. 2, lett. c), t.u.f.), ciò che può mutare secondo il modello prescelto in concreto dal gestore.

3. Le funzioni organiche nella normazione secondaria. Nell’esercizio delle attribuzioni di vigilanza regolamentare di cui all’art. 6, co. 2-bis, t.u.f., Banca d’Italia e Consob sono investite del potere di disciplinare gli obblighi dei soggetti abilitati, incluse SGR e Sicav, in materia di organizzazione amministrativa e di funzioni di controllo. Tale potere è stato esercitato con il regolamento congiunto Banca d’Italia-

551


Saggi

Consob in materia di organizzazione e procedure del 29 ottobre 2007 , che ha in particolare sostituito la parte corrispondente del regolamento Banca d’Italia sulla gestione collettiva del risparmio del 14 aprile 2005 . Quest’ultimo, tra l’altro, non considerava specificamente l’ipotesi dell’adozione di un modello alternativo di governance da parte di SGR e Sicav, se non per la generica clausola di estensione dei riferimenti all’organo amministrativo e di controllo contenuta nel Tit. I, par. 1, nn. 22-23. Il regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob, in materia di ripartizione delle funzioni organiche all’interno della struttura di governo societario dell’intermediario e segnatamente di SGR e Sicav, condivide innanzitutto diversi elementi dell’impianto sistematico con l’appena successivo provvedimento Banca d’Italia del 4 marzo 2008 in materia di organizzazione e governo societario delle banche , adottando in particolare l’approccio della regolamentazione per funzioni anziché per organi . Viene quindi tracciata una distinzione tra funzioni organiche interne alla SGR o alla Sicav: supervisione strategica, gestione, controllo. La prima funzione consiste nell’“indirizzo della gestione dell’impresa, mediante, tra l’altro, esame e delibera in ordine ai piani industriali o finanziari ovvero alle operazioni strategiche” (art. 2, co. 1, lett. k), reg. congiunto Banca d’Italia-Consob). Tale funzione, quando la SGR o la Sicav sono collocate in un gruppo bancario, finisce per interagire con la definizione degli obiettivi consolidati da parte della capogruppo, tenuto conto dei “rischi strategici, reputazionali e operativi” connessi all’attività di gestione del risparmio, come recentemente previsto dalla Banca d’Italia nel proprio provvedimento del 23 ottobre 2009 su Poteri di direzione

Su cui v. in particolare Scognamiglio, Gli assetti organizzativi degli intermediari finanziari, in La nuova disciplina degli intermediari, a cura di de Mari, cit., p. 4 ss. Si tratta in particolare del Tit. IV, Cap. III (ad eccezione della Sez. III, par. 1), abrogata dall’art. 45, co. 3, reg. congiunto Banca d’Italia-Consob. Su cui v., in particolare: Costi, Governo delle banche e potere normativo della Banca d’Italia, in Giur. comm., 2008, I, p. 1270 ss.; Vella, Il nuovo governo societario delle banche nelle disposizioni di vigilanza: spunti di riflessione, ivi, p. 1276 ss. Vella, Il nuovo governo, cit., p. 1285 ss. Per alcune cautele al riguardo, v. Cera-Presti, Commento breve al Documento di Banca d’Italia “Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche”, in AGE, 2007, p. 606.

552


Andrea Guaccero

e coordinamento nell’ambito di un gruppo bancario nei confronti delle società di gestione del risparmio. La funzione di gestione si compendia nella “gestione corrente, intesa come attuazione degli indirizzi deliberati nell’esercizio della funzione di supervisione strategica” (art. 2, co. 1, lett. l), reg. congiunto Banca d’Italia-Consob). La funzione di controllo è infine individuata con riferimento alle attribuzioni, rispettivamente, di collegio sindacale, consiglio di sorveglianza e comitato per il controllo sulla gestione, a seconda del modello di governance prescelto in concreto dalla SGR o dalla Sicav (art. 2, co. 1, lett. m), reg. congiunto Banca d’Italia-Consob) 10. Viene inoltre disposto che la funzione di supervisione strategica appartenga fisiologicamente alla gestione dell’impresa e quindi sia cumulata con quella di gestione, salvo che nei sistemi dualistico e monistico, per i quali, “in conformità delle previsioni legislative, l’organo con funzione di controllo può svolgere anche quella di supervisione strategica” (art. 2, co. 1, lett. n), reg. congiunto Banca d’Italia-Consob). I profili appena delineati sollecitano alcune riflessioni. La prima riguarda il cumulo delle funzioni organiche. L’assunto di partenza è che vi sono due funzioni “di base” che hanno una collocazione sicura: quella di gestione, in capo al consiglio di amministrazione nel sistema tradizionale e monistico e al consiglio di gestione nel sistema dualistico; quella di controllo, attribuita al collegio sindacale nel sistema tradizionale, al consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico e al comitato per il controllo sulla gestione nel sistema monistico. Tali attribuzioni non sono modificabili, appartenendo all’essenza stessa del modello società per azioni. La funzione che non ha collocazione rigida è quella di supervisione strategica, che però di norma si incardina laddove è la gestione, quindi in capo all’organo amministrativo. È questo infatti ordinariamente competente a determinare l’“indirizzo della gestione dell’impresa” e a esaminare e deliberare “in ordine ai piani industriali o finanziari ovvero alle operazioni strategiche” (art. 2, co. 1, lett. k), reg. congiunto Banca d’Italia-Consob). Questo è vero in particolare per il sistema tradizionale di governance e, va ritenuto, anche per quello monistico, nonostante la diversa in-

Laddove il provv. Banca d’Italia 4 marzo 2008 descrive la funzione di controllo come quella di “verifica della regolarità dell’attività di amministrazione e dell’adeguatezza degli assetti organizzativi e contabili” (Premessa, par. 3). 10

553


Saggi

dicazione contenuta nel regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob. L’art. 2, co. 1, lett. n), infatti, afferma che non solo nel modello dualistico ma anche in quello monistico la funzione di controllo può essere cumulata con quella di supervisione strategica, mentre è da escludere che il comitato per il controllo sulla gestione possa avere competenza in materia di definizione dell’indirizzo gestionale o di esame e deliberazione sui piani industriali e finanziari e sulle operazioni strategiche. Compito del comitato è infatti lo svolgimento di una (attenuata) funzione di controllo, ai sensi dell’art. 2409-octiesdecies, co. 5, lett. b), c.c., in presenza di componenti che non possono avere deleghe amministrative, generali, speciali o in via di mero fatto (co. 2), il che porta a escludere che il comitato possa occuparsi di alta amministrazione della società. Né vi si potrebbe arrivare immaginando che tale funzione rientri tra quelle attribuibili al comitato residualmente ai sensi dell’art. 2409-octiesdecies, co. 5, lett. c), c.c., dato che tali attribuzioni dovrebbero rimanere nell’alveo della funzionalità all’attività di controllo propria del comitato 11. È da ritenersi quindi che sia nel sistema tradizionale sia in quello monistico le funzioni di supervisione strategica e di gestione sono necessariamente congiunte in capo all’organo amministrativo. Non a caso, nel provvedimento del 4 marzo 2008 Banca d’Italia esemplifica il cumulo della funzione di supervisione strategica con quella di gestione in capo al consiglio d’amministrazione (quindi, riferendosi non solo al modello tradizionale ma anche a quello monistico) e considera il sistema dualistico quale unico esempio del cumulo con la funzione di controllo. Quest’ultimo, infatti, è il solo in cui la supervisione strategica può associarsi alla funzione di controllo. Ciò avviene tipicamente in presenza dell’opzione statutaria per un consiglio di sorveglianza “forte”, cioè dotato dei poteri di cui all’art. 2409-terdecies, co. 1, lett. f-bis), c.c., tanto che il provvedimento Banca d’Italia del 4 marzo 2008, a proposito delle

La funzionalità all’attività di controllo, in questo caso ex ante, dovrebbe essere infatti il criterio per riempire di contenuto la categoria delle attribuzioni atipiche di cui all’art. 2409-octiesdecies, co. 5, lett. c), c.c. (v. qualche considerazione nel mio commento sub artt. 2409-sexiesdecies–2409-noviesdecies, in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, p. 921 s.; mi sembrano orientati nel medesimo senso anche (Ghezzi-) Rigotti, in Sistemi alternativi di amministrazione e controllo, a cura di Ghezzi, in Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2005, p. 294 s.). 11

554


Andrea Guaccero

banche rette dal sistema dualistico, presume – a soli fini di vigilanza – che l’organo con funzione di supervisione strategica sia il consiglio di sorveglianza quando esso è dotato di tali poteri statutari 12.

4. La funzione di supervisione strategica nel sistema dualistico… Nel caso in cui l’opzione della SGR o della Sicav sia a favore del sistema dualistico, essa va incontro a due possibili regimi in ordine all’attribuzione interna della funzione di supervisione strategica: il regime di base, che concentra tale funzione con quella di gestione; quello opzionale, derivante dalla scelta statutaria, a monte, di attribuire al consiglio di sorveglianza il potere di indirizzo strategico di cui all’art. 2409-terdecies, co. 1, lett. f-bis), c.c. Per comprendere le implicazioni dell’opzione per l’uno o l’altro regime all’interno della SGR o della Sicav a modello dualistico, è necessario individuare l’effettivo contenuto della funzione societaria classificata quale supervisione strategica e giustamente ridefinita, per coerenza con il vero nucleo di essa, quale indirizzo strategico 13. Essa è individuata in linea generale nelle “funzioni di indirizzo della gestione dell’impresa, mediante, tra l’altro, esame e delibera in ordine ai piani industriali o finanziari ovvero alle operazioni strategiche” (art. 2, co. 1, lett. k), reg. congiunto BdI-Consob) ed è poi così meglio specificata, tenuto conto delle peculiarità dell’attività di gestione del risparmio: – determinazione di obiettivi, strategie, profilo e livelli di rischio, politiche aziendali, sistema di gestione del rischio e verifica periodica (art. 8, lett. a), reg. congiunto BdI-Consob), nonché definizione delle politiche di investimento in relazione al rapporto rischiorendimento e del sistema di gestione dei rischi cui sono esposti i patrimoni gestiti (art. 31, lett. a, c); – approvazione dei processi per la prestazione dei servizi, in particolare i processi di investimento, e verifica periodica (artt. 8, lett. b, e 31, lett. b); – verifica dell’assetto delle funzioni di controllo in rapporto ai principi di proporzionalità e adeguatezza e in relazione agli indirizzi strategici (art. 8, lett. c);

12 13

V. Premessa, par. 3. Scognamiglio, Gli assetti organizzativi, cit., p. 22.

555


Saggi

– approvazione e verifica periodica della struttura organizzativa (art. 8, lett. d); – verifica del sistema di flussi informativi (art. 8, lett. e); – verifica della struttura retributiva e di incentivazione in relazione all’obiettivo di non accrescere i rischi aziendali e alla coerenza con le strategie di lungo periodo (art. 8, lett. f); – approvazione dei criteri di scelta della banca depositaria e della società di revisione degli OICR in gestione (art. 31, lett. d). L’elenco appena fornito delle attività che rientrano nell’ampia nozione della supervisione strategica porta quindi a imputare in capo all’organo cui è attribuita tale funzione la responsabilità di almeno una parte delle attività strumentali a realizzare i requisiti generali dell’organizzazione societaria della SGR o della Sicav, dettagliatamente elencati nell’art. 5 del regolamento congiunto. Così è in particolare per l’attuazione della struttura organizzativa e del sistema di gestione dei rischi, nonché per i flussi informativi (art. 5, co. 2, lett. a, b, f). A chi competono le altre attività funzionali alla istituzione di una “organizzazione volta ad assicurare la sana e prudente gestione, il contenimento del rischio e la stabilità patrimoniale” (art. 5, co. 1, reg. congiunto Banca d’Italia-Consob)? La realizzazione di una struttura organizzativa è e resta competenza gestoria, sicché, non appartenendo direttamente e originariamente alla sfera della funzione di supervisione/indirizzo strategico, rimane in capo all’organo cui compete la funzione di gestione, cioè, nel sistema dualistico, il consiglio di gestione. Quest’ultimo è poi competente con riguardo alle residue attività di impianto organizzativo che appartengono alla supervisione strategica, quando manca l’opzione statutaria ex art. 2409terdecies, co. 1, lett. f-bis), c.c. Nell’ipotesi, invece, di consiglio di sorveglianza “forte”, il potere di indirizzo, con attenzione specifica alle competenze attinenti alla politica dei rischi della SGR e della Sicav, spetta al consiglio di sorveglianza, sul quale grava quindi l’obbligo di definire, come si è detto, almeno alcuni dei presidi organizzativi funzionali a garantire sana e prudente gestione, contenimento del rischio e stabilità patrimoniale, ai sensi dell’art. 5 del regolamento congiunto. In questo caso il consiglio di gestione rimane ancora competente innanzitutto per le attribuzioni di cui all’art. 5, co. 2, che non rientrano fra quelle di supervisione/indirizzo strategico: si pensi ai profili più strettamente attinenti all’organizzazione della struttura aziendale. Il consiglio di gestione resta poi competente per la formulazione delle proposte organizzative sulle materie strategiche sopra enucleate, che devono essere sottoposte al consiglio di sorveglianza,

556


Andrea Guaccero

quando a quest’ultimo spetta la funzione di supervisione strategica. In questo senso è chiaro sia il disposto della lett. f-bis) 14, sia il provvedimento Banca d’Italia del 4 marzo 2008, che lascia “fermo … il potere di proposta” del consiglio di gestione 15. Ciò che costituisce senza dubbio il nucleo portante dell’intera funzione di supervisione/indirizzo strategico in una SGR e in una Sicav è costituito quindi dalla definizione delle politiche di rischio e di investimento. Tale nucleo di competenze spetta all’organo incaricato della funzione societaria di supervisione strategica (su proposta, se diverso, del consiglio di gestione), l’individuazione del quale discende da una precisa scelta di autonomia privata in sede di costituzione della SGR o della Sicav o in occasione dell’adozione del modello dualistico. Nello strutturare tale sistema organizzativo societario, devono essere infine rispettati i principi generali sottostanti alla regolamentazione congiunta di Banca d’Italia e Consob, tra cui quello di proporzionalità delle misure organizzative adottate rispetto “alla natura, alla dimensione e alla complessità dell’attività svolta nonché alla tipologia e alla gamma dei servizi prestati” (art. 4, co. 2, reg. congiunto Banca d’Italia-Consob) e l’equilibrata e definita ripartizione dei compiti tra gli organi, con particolare riguardo all’ipotesi del cumulo (inevitabile, a prescindere dal sistema di governance prescelto) di più funzioni societarie in capo allo stesso organo (art. 7, co. 1) 16.

È discusso se il potere di proposta del consiglio di gestione sia esclusivo del potere del consiglio di sorveglianza di procedere di propria iniziativa. Nel senso di tale esclusione, v.: Cariello, Il sistema dualistico, cit., p. 82, anche nt. 177; Abbadessa, Il sistema dualistico in Italia: l’evoluzione del modello, in Sistema dualistico e governance bancaria, a cura di Abbadessa e Cesarini, Torino, 2009, p. 12; Portale, Il sistema dualistico: dall’Allgemeines Deutsches Handelsgesetzbuch (1861) alla riforma italiana della società per azioni, ivi, p. 30; Magnani, in Sistemi alternativi, a cura di Ghezzi, cit., p. 164. Contra, nel senso della possibilità statutaria di consentire al consiglio di sorveglianza di procedere direttamente all’adozione di deliberazioni strategiche anche in assenza di proposta del consiglio di gestione, Montalenti, Il sistema dualistico, cit., p. 275 ss. Per un’analisi della prassi statutaria al riguardo, relativa alle banche quotate, Marchetti, Controllo e gestione nel sistema dualistico, in Sistema dualistico e governance bancaria, a cura di Abbadessa e Cesarini, cit., p. 165. 15 Par. 2.1. Ma il consiglio di sorveglianza ha comunque un onere di sollecitare le proposte dal consiglio di gestione; v. Vella, Il nuovo governo, cit., p. 1289. 16 In tema v.: Scognamiglio, Gli assetti organizzativi, cit., p. 9 ss.; Mosco, Fun14

557


Saggi

5. … e in quello monistico. Quando la SGR o la Sicav abbiano optato per il sistema monistico di amministrazione e controllo, la ripartizione dei poteri interni all’organizzazione societaria è senz’altro semplificata, nel senso di prevedere una ipotesi standard di cumulo delle funzioni di gestione e di supervisione strategica in capo al consiglio di amministrazione nella composizione plenaria. In tale caso la strutturazione dell’intera organizzazione societaria (oltre che aziendale) è posta in essere dall’organo amministrativo, il che solleva quanto meno il tema – comune, peraltro, alla governance tradizionale – della composizione interna del consiglio di amministrazione e in particolare del contributo che dovrebbe essere fornito dai consiglieri indipendenti. Vale la pena di richiamare in proposito il Protocollo di autonomia predisposto da Assogestioni 17, che conferisce agli amministratori indipendenti, tra l’altro, un ruolo 18 nella definizione di alcune deliberazionichiave nella politica del gestore, tra cui la definizione dei criteri generali per la scelta delle controparti, per la redazione delle convenzioni tra SGR promotrice e gestore, per gli investimenti aventi a oggetto strumenti finanziari riconducibili al gruppo di appartenenza della SGR. Tali ipotesi possono farsi rientrare tra le decisioni in cui si concreta la funzione di supervisione strategica ai sensi degli artt. 8 e 31 reg. congiunto Banca d’Italia-Consob, sicché devono essere assunte dal consiglio di amministrazione nell’esercizio di tale funzione. Se il suggerimento di Assogestioni, formulato in linea generale e senza riferimento alla governance monistica, è quindi nel senso della valorizzazione al riguardo del ruolo dei consiglieri indipendenti, vale la pena di chiedersi se questi consiglieri possano essere quegli stessi consiglieri indipendenti scelti dal plenum dell’organo amministrativo a comporre il comitato per il control-

zioni aziendali di controllo, principio di proporzionalità e ruolo degli organi sociali nella MiFID, in La nuova disciplina degli intermediari, a cura di de Mari, cit., p. 31 ss. 17 Protocollo di autonomia per le società di gestione del risparmio, reperibile all’indirizzo http://www.assogestioni.it/index.cfm/3,139,493/statuto_2007.pdf, p. 25 ss. 18 Consultivo, ma con obbligo del consiglio di amministrazione di motivare il dissenso.

558


Andrea Guaccero

lo sulla gestione. In altre parole, se una parte, anche se solo consultiva, della supervisione strategica possa essere devoluta ai soggetti incaricati, sia pure dall’interno dell’organo amministrativo, della funzione di controllo; se cioè si possa in qualche misura, per quanto decisamente attenuata, replicare il modello già visto nel sistema dualistico a consiglio di sorveglianza “forte”. In questo caso la risposta mi sembra possa essere positiva. A differenza di quanto prima osservato in merito alla non attribuibilità della funzione di supervisione strategica in toto al comitato per il controllo sulla gestione, qui si prospetta il coinvolgimento del comitato, per la sua posizione di indipendenza, nella fornitura di un parere – consultivo ma non trascurabile per il consiglio di amministrazione – nell’assunzione di alcune decisioni significative nella conformazione organizzativa della SGR o della Sicav 19. La funzione, in quanto esplicazione di una forma di controllo ex ante sui profili organizzativi dell’intermediario, potrebbe quindi farsi rientrare tra quelle atipiche residuate nell’art. 2409-octiesdecies, 5° comma, lett. c), c.c.

6. La funzione di controllo nei sistemi alternativi. Dove, almeno in base al diritto comune, maggiormente differiscono tra loro le opzioni statutarie che abbandonano il sistema tradizionale di governance è nella strutturazione della funzione di controllo. È bensì vero che, data la strumentalità di tale funzione rispetto all’esercizio della vigilanza, è la normativa a livello primario che stabilisce che a qualsiasi organo di controllo devono essere attribuiti in statuto “compiti e poteri” per informare senza indugio Banca d’Italia e Consob di irregolarità gestionali o violazioni normative (art. 8, co. 3, t.u.f.). Ma, a parte questo comune sostrato, nell’impostazione di diritto comune la scelta di optare per il sistema dualistico o per quello monistico conduce ad assetti organizzativi profondamente diversi quanto all’esplicazione della funzione di controllo. Solo per il sistema dualistico, infatti, il consiglio di sorveglianza è gravato di doveri di controllo uguali a quelli del collegio sindacale di

In senso favorevole: (Ghezzi-)Rigotti, in, Sistemi alternativi, a cura di Ghezzi, cit., p. 294 s.; Mosca, I principi di funzionamento del sistema monistico. I poteri del comitato di controllo, in Il nuovo diritto delle società, cit., p. 757 ss. 19

559


Saggi

cui all’art. 2403, co. 1, c.c. (art. 2409-terdecies, co. 1, lett. c), cioè della vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto e sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo e sul relativo funzionamento in concreto. Nel sistema monistico, il controllo è limitato alla sola adeguatezza dell’organizzazione (art. 2409, co. 5, lett. b), senza alcuna vigilanza (se non entro tali limiti) sull’osservanza della legge e dello statuto 20. Ci si deve allora preliminarmente domandare se la formulazione dell’art. 8, co. 3, t.u.f., dettata “indipendentemente dal sistema di amministrazione e controllo adottato”, comporti una sorta di equiparazione delle funzioni di controllo, strumentali alla vigilanza pubblica, tra modello tradizionale e dualistico, da un lato, e modello monistico, dall’altro. Benché ciò significhi di fatto una profonda modificazione nella struttura della governance monistica, l’unica soluzione che pare adottabile è nel senso che, per legge, il diritto comune delle società che hanno optato per il sistema monistico è alterato, per gli intermediari finanziari (incluse SGR e Sicav) che lo adottano, in favore di uno statuto delle funzioni di controllo sostanzialmente comune – per ragioni di vigilanza – ai tre sistemi. Tale statuto prevede un nucleo unitario, secondo cui tutti gli organi dotati di funzioni di controllo sono chiamati a vigilare sulle eventuali irregolarità nella gestione o sulle violazioni delle norme che disciplinano l’attività propria degli intermediari. In questo senso, quindi, mentre ciò non implica un ampliamento delle funzioni di controllo né nel sistema tradizionale né in quello dualistico, essendo collegio sindacale e consiglio di sorveglianza istituzionalmente preposti a tale genere di vigilanza, comporta un considerevole ampliamento delle funzioni del comitato per il controllo sulla gestione nel sistema monistico. Il mero controllo di adeguatezza strutturale, infatti, non porta istituzionalmente a rilevare irregolarità gestionali e violazioni della normativa che presiede all’attività d’impresa della SGR o della Sicav. Sicché la sola conclusione che renda conto della novità normativa di cui all’art. 8, co. 3, t.u.f. è quella che attribuisce anche al comitato per il controllo sulla gestione poteri di vigilanza sull’osservanza della legge che travalicano il mero controllo di adeguatezza strutturale 21.

Per considerazioni al riguardo e riff., sia consentito il rinvio al mio commento sub artt. 2409-sexiesdecies–2409-noviesdecies, cit., p. 921 s. 21 Nell’ottica di un ampliamento delle funzioni di controllo demandate al comitato, accogliendo le indicazioni del provv. Banca d’Italia 4 marzo 2008, v. 20

560


Andrea Guaccero

Tale soluzione è d’altra parte omogenea rispetto a quanto, sempre nel suo provvedimento del 4 marzo 2008 22, la Banca d’Italia prescrive per le banche che adottano il sistema monistico, cioè che, sulla base dell’analogo precetto dell’art. 52, co. 1, t.u.b., i relativi statuti attribuiscano al comitato per il controllo sulla gestione “il compito di vigilare sull’osservanza delle norme di legge, regolamentari e statutarie” 23. D’altra parte, tale previsione nella normativa secondaria è la fedele attuazione di quella primaria, sicché neppure sembrano porsi i problemi di copertura legislativa della soluzione adottata dall’autorità di vigilanza, come nel caso della previsione, sempre contenuta nel provvedimento Banca d’Italia del 4 marzo 2008, che richiede agli statuti delle banche a governance monistica di “attribuire all’assemblea il compito di nominare e revocare i componenti del comitato per il controllo sulla gestione”, così rendendo obbligatorio ciò che è una facoltà per l’art. 2409-octiesdecies, co. 1, c.c. Quest’ultima previsione regolamentare è stata ritenuta legittima in quanto funzionale “a rafforzare il potere e l’indipendenza del controllo sulla gestione della società” 24, mentre un’analoga disposizione non si rinviene nel regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob per gli intermediari finanziari, segnatamente SGR e Sicav. Ciò significa che la scelta di spostare in capo all’assemblea il potere di nomina del comitato per il controllo sulla gestione resta rimessa all’autonomia statutaria ma non pare possa essere considerata elemento selettivo per la valutazione dell’idoneità della struttura organizzativa in sede di autorizzazione ex artt. 34 e 43 t.u.f. Più complessa è una ulteriore questione, anch’essa correlata al ruolo di trait d’union tra intermediario e autorità di vigilanza assegnato all’organo di controllo dall’art. 8, co. 3, t.u.f. Il fatto che lo statuto debba necessariamente attribuire i corrispondenti compiti e poteri all’organo, a prescindere dalla governance prescelta, richiede anche un’omogenea attribuzione per tutti i sistemi dei poteri di ispezione e controllo? Il tema si pone sia per il sistema dualistico sia per quello monistico. In entrambi manca infatti l’attribuzione di prerogative analoghe a quelle di cui all’art. 2403-bis, co. 1, c.c. E per entrambi nel provvedimento Ban-

Mosco, Funzioni aziendali di controllo, cit., p. 45. 22 Par. 2.2, sia nei “Principi generali” sia nelle “Linee applicative” (lett. l). 23 Par. 2.2, “Linee applicative” (lett. l). 24 Costi, Governo delle banche, cit., p. 1274.

561


Saggi

ca d’Italia del 4 marzo 2008 (ma non nel regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob) si dispone che gli statuti (bancari) debbano prevedere che, rispettivamente, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo sulla gestione possano “procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione o controllo” 25. Quanto al sistema dualistico, la previsione dell’art. 2403-bis, co. 1, c.c., è testualmente esclusa dal sistema dei richiami di cui all’art. 2409quaterdecies, co. 1, c.c., per le società non quotate, mentre una previsione di identico contenuto si rinviene, per le società quotate, nell’art. 151bis, co. 4, t.u.f. All’indomani dell’entrata in vigore della riforma si è assistito ad una tendenziale presa di posizione nel senso della carenza di tale potere in capo al consiglio di sorveglianza 26, il che però finisce per generare un’asimmetria. Mentre, infatti, a seguito della riforma del diritto societario il collegio sindacale veniva dotato degli stessi poteri di intervento sia nelle società quotate sia in quelle non quotate (poteri collegiali e individuali di ispezione e controllo: cfr. artt. 2403-bis, co. 1, c.c., e 151, co. 1, t.u.f.) e si affermava così l’assenza di ragioni che giustificassero una diversa attribuzione di poteri all’organo di controllo per il solo fatto della quotazione su un mercato regolamentato, in caso di adozione del sistema dualistico si realizzerebbe un’aporia tra consiglio di sorveglianza di società quotata e di società non quotata. Il primo, infatti, investito di poteri collegiali (ma non individuali) di ispezione e controllo (art. 151bis, co. 4, t.u.f.), il secondo privo di qualsiasi potere al riguardo 27. Il che significherebbe che la quotazione produce effetti diversi sui poteri dell’organo di controllo – dotato, però, dei medesimi doveri di controllo rispetto al collegio sindacale di società quotata/non quotata – secondo

Par. 2.2, “Linee applicative” (lett. h e m). V., in particolare: Cariello, La disciplina “per derivazione” del sistema di amministrazione e controllo dualistico (disposizioni di richiamo e di rinvio nel nuovo diritto delle società per azioni non quotate), in Riv. soc., 2005, p. 103 ss., ove ulteriori riff.; Magnani, Sistemi alternativi, a cura di Ghezzi, cit., p. 165; Abbadessa, Il sistema dualistico in Italia, cit., p. 5; Porzio, Controlli interni e controlli esterni nell’esercizio dell’impresa bancaria a sistema dualistico, in Sistema dualistico e governance bancaria, a cura di Abbadessa e Cesarini, cit., p. 172. 27 Qualche osservazione in questo senso nel mio commento sub artt. 2409octies–2409-quinquiesdecies, in Società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, cit., p. 897. 25 26

562


Andrea Guaccero

che la società abbia prescelto il sistema tradizionale o quello dualistico. Con la conseguenza, quindi, di accentuare il rischio dell’arbitraggio normativo tra quotazione e non quotazione e in relazione all’incisività del controllo per modello di governance. Con riguardo a SGR e Sicav (come, d’altronde, per le banche), il quesito da cui si è partiti sembra trovare comunque soluzione nel dettato dell’art. 8, co. 3, t.u.f. (per le banche, l’art. 52, co. 1, t.u.b.), dove si prevede che gli statuti assegnano non solo i “compiti” ma anche i “poteri” in funzione del dovere dell’organo di controllo di (rilevare e) segnalare irregolarità gestorie e violazioni normative. I poteri d’ispezione e controllo sono da intendersi in relazione di stretta funzionalità rispetto a tale dovere di rilevazione e successiva segnalazione, sicché la disposizione statutaria di una SGR o Sicav non quotata che nel sistema dualistico assegni al consiglio di sorveglianza – in composizione collegiale – poteri d’ispezione e controllo è non solo pienamente legittima ma in certo senso attuazione necessitata della legge, in quanto funzionale all’effettività dell’attribuzione dei doveri di controllo sulla regolarità gestionale e sull’osservanza della normativa, anche se non espressamente contemplata nel regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob 28. Identica conclusione vale nel sistema monistico, una volta attribuiti al comitato per il controllo sulla gestione i doveri di vigilanza sulla regolarità gestionale e sull’osservanza delle norme applicabili. Con riguardo ancora al sistema dualistico, nel regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob non si parla neppure dell’istituzione di un comitato per il controllo interno nell’ambito del consiglio di sorveglianza, quando questo sia composto da un numero di membri consistente (nelle banche, superiore a sei) o sia comunque incaricato della funzione di supervisione strategica, come previsto nel provvedimento Banca d’Italia del 4 marzo 2008 29. Anche in questo caso la legittimità della previsione regolamentare è stata riscontrata nella sua strumentalità al migliore espletamento della funzione di controllo 30, analogamente all’altra disposizione che richiede agli statuti di escludere la partecipazione alle riunioni del consiglio di gestione di componenti del consiglio di sorve-

Con riguardo all’analoga disciplina delle società bancarie, Santoni, I flussi informativi tra comitato di gestione e consiglio di sorveglianza, in Sistema dualistico, cit., p. 48 s., nt. 35. 29 Par. 2.2, “Linee applicative” (lett. h) e par. 3, “Linee applicative” (lett. g). 30 Costi, Governo delle banche, cit., p. 1275. 28

563


Saggi

glianza diversi dai componenti del comitato per il controllo interno 31. Pur mancando una previsione in tale senso nel regolamento congiunto e non potendosene quindi arguire l’imperatività per SGR e Sicav, la sua legittimità (ed opportunità) poggia sulle medesime argomentazioni – qui centrate sull’autonomia statutaria – che portano a ritenere legittime le scelte regolamentari operate dalla Banca d’Italia per le banche.

7. Modelli alternativi di governance e procedure di crisi di SGR e Sicav. Qualche riflessione deve essere infine dedicata alle eventuali ricadute che l’adozione del sistema dualistico o di quello monistico potrebbe avere in caso di crisi della SGR o della Sicav, specificamente per l’ipotesi che venga disposta l’amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 56, co. 1, t.u.f. La domanda cui dare risposta è, in prospettiva generale, se il regime di amministrazione e controllo disposto con il provvedimento di amministrazione straordinaria sia una sorta di regime aggiuntivo rispetto a quelli tipici (tradizionale, dualistico, monistico) e quindi prescinda dalle prescrizioni al riguardo contenute nello statuto dell’intermediario commissariato. Calata nel sistema dualistico, la questione si sostanzia nell’indagine se l’interazione tra consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza per le operazioni strategiche o i piani industriali e finanziari – entrambe evenienze più che possibili in una procedura di crisi volta a rimuovere le irregolarità e a promuovere soluzioni utili nell’interesse degli investitori – si trasferisca anche sul piano degli organi straordinari. Nel sistema monistico, poi, riguarderebbe l’essenza stessa della separazione tra commissari straordinari e comitato di sorveglianza. La questione non è nuova, sia perché si pone in termini identici per le banche, atteso che la procedura per SGR e Sicav è mutuata da quella bancaria (art. 56, co. 3, t.u.f.) sia perché si può riproporre, anche se in diversa prospettiva, per la governance tradizionale e per i relativi limiti statutari ai poteri gestori. Rispetto al passato, però, dopo il d.lgs. n. 37/2004 trova una risposta diversa. Disponeva, infatti, il vecchio testo dell’art. 72, co. 1 e co. 2, t.u.b. (richiamato dall’art. 56, co. 3, t.u.f.), che, rispettivamente, “I commissari

31

564

Par. 2.2, “Linee applicative” (lett. j).


Andrea Guaccero

esercitano le funzioni e i poteri dei disciolti organi amministrativi” e “Il comitato di sorveglianza sostituisce in tutte le funzioni i disciolti organi di controllo”. Da qui, la conseguenza che “i poteri dei commissari sono dunque determinati per relationem, nel senso che competono loro […] tutti e solo i poteri gestori che spettavano agli organi amministrativi sciolti” con “i limiti che lo statuto poneva alle funzioni dell’organo o degli organi amministrativi” 32. È solo in occasione dei provvedimenti integrativi della riforma del diritto societario che la prospettiva legislativa cambia: dall’assunzione delle funzioni degli organi sciolti per via dell’amministrazione straordinaria all’assunzione delle “funzioni” e dei “poteri di amministrazione” (art. 72, co. 1) e delle “funzioni di controllo” (co. 2), rispettivamente per i commissari straordinari e il comitato di sorveglianza. Alla luce del mutamento legislativo, occasionato dall’incremento nella varietà dei modelli di amministrazione e controllo disponibili alle banche (nonché a SGR e Sicav), la conclusione pare necessitata nel senso di affermare oggi l’irrilevanza, per l’amministrazione straordinaria, delle opzioni effettuate dallo statuto in relazione alla governance. Sicché, anche qualora sia stato prescelto il modello dualistico o quello monistico in una SGR o Sicav poi posta in amministrazione straordinaria, doveri e poteri degli organi della procedura non saranno funzione del modello di governance adottato in concreto e andranno piuttosto a configurare un nuovo regime di amministrazione e controllo interamente definito dalla legge. Il che non solo è una novità rispetto al passato ma comporta altresì la sterilizzazione dell’impatto delle scelte statutarie in presenza di una procedura di crisi. In concreto, anche se lo statuto ha optato per un modello alternativo, le funzioni di amministrazione e supervisione/indirizzo strategico competono ai commissari straordinari e quella di controllo al comitato di sorveglianza.

Andrea Guaccero

Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001, p. 717. In L’ordinamento bancario4, Bologna, 2007, p. 779 s., l’A., nel commentare il mutamento normativo nel frattempo intervenuto, osserva infatti che il criterio di determinazione dei poteri del commissario per relationem “è stato eliminato”. 32

565



Credito ai consumatori e prospettive di riforma ∗ Sommario: 1. Qualificazione della fattispecie ed evoluzione legislativa. – 2. Ambito di applicazione della disciplina. Suoi principali contenuti. – 3. La nuova direttiva sul credito ai consumatori. – 4. (segue) Gli obiettivi originari. – 5. (segue) Caratteristiche e limiti. – 6. La crisi finanziaria. – 7. L’art. 33 della delega legislativa. – 8. Il perimetro di riferimento. – 9. I principali criteri di delega. – 10. Considerazioni conclusive: quale tutela?

1. Qualificazione della fattispecie ed evoluzione legislativa. Il credito al consumo si qualifica, sotto il versante economico, come un importante canale di finanziamento attraverso il quale la domanda di beni (segnatamente di beni cosiddetti “durevoli”) e di servizi può essere soddisfatta oltre il limite di reddito del richiedente mediante differimento temporale dei pagamenti. Sotto quello giuridico, la più laconica (perché formale) definizione offerta dal legislatore italiano insiste sulla “concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria” (art. 121 d.lgs. n. 385/1993, testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, d’ora in avanti anche t.u.b.). L’atto d’autonomia originariamente volto a regolare rapporti della specie era rappresentato dalla più elementare vendita a rate, la nota vendita con riserva di proprietà. La ripartizione del rischio e i profili di imputazione della responsabilità seguivano i consueti canoni formalizzati dalle corrispondenti norme civilistiche. Venivano così in evidenza, da un lato, i rimedi sanciti dagli artt. 1525 e 1526, c.c., in tema di importanza dell’inadempimento del compratore ai fini della risoluzione del contratto

∗ Testo dell’audizione resa avanti alla Commissione VI della Camera dei Deputati (Commissione Finanze) nella seduta dell’8 ottobre 2009 dedicata ad “Attività conoscitiva sul credito al consumo”.

567


Saggi

e del beneficio del termine (mancato pagamento di una rata superiore all’ottava parte del prezzo); dall’altro gli effetti della risoluzione in punto di restituzione delle rate riscosse al compratore inadempiente. Questo lineare e semplice scenario muta allorché, a seguito della crescita dei consumi per effetto di una più elevata propensione all’indebitamento, il fenomeno inizia ad assumere dimensioni sempre più vaste. Muta, di conseguenza, anche la struttura del rapporto in quanto il credito, lungi dall’essere concesso direttamente dal venditore, viene fornito da un terzo nell’ambito della sua peculiare attività d’impresa (banche, istituti finanziari). L’intervento dell’intermediario, teso a realizzare un maggior volume di operazioni di prestito a elevato rendimento, risponde a una duplice importante funzione: da un lato procurare al consumatore il finanziamento a lui indispensabile per l’acquisto dei beni o dei servizi; dall’altro, fornire al circuito della distribuzione i capitali necessari, garantendo al tempo stesso agli esercizi un incremento delle vendite e del volume di affari. La scomposizione dei negozi giuridici a fronte della persistente unitarietà dell’operazione economica è la logica conseguenza derivante, sul piano formale, nel passaggio dalla bilateralità alla triangolazione dei rapporti. I relativi contratti assumono perciò (o, a seconda dei casi, accentuano) contenuti e caratteristiche della contrattazione d’impresa tramite l’uso di condizioni generali spesso inserite in moduli o formulari. Ciò determina, quale principale conseguenza, l’inopponibilità al finanziatore delle eccezioni inerenti al contratto di compravendita e l’aggiramento della disciplina sulla vendita con riserva della proprietà dettata per accordi destinati a realizzare, sul piano della causa negoziale, la stessa funzione economico-sociale. Il pur possibile ricorso alla teoria del collegamento negoziale per superare la formale frammentazione della unitaria fattispecie economica in due contratti solo apparentemente autonomi si è manifestato pieno di insidie anche in ragione dei dubbi sottesi alla compatibilità del controllo giudiziale sullo scopo del contratto fuori dai limiti tracciati dalle tradizionali ipotesi di nullità dell’atto di autonomia per illiceità della causa, dei motivi, dell’oggetto o del suo contenuto. È grazie alla crescente influenza che il diritto privato europeo spiega anche sull’evoluzione degli assetti regolamentari domestici che, nel nostro Paese, si sono introdotte regole specifiche relative a questa operazione economica altrove da tempo sottoposta a penetranti discipline tanto negoziali quanto di mercato. La direttiva Cee n. 102 del 22 dicembre 1986 colma così la lacuna attraverso prescrizioni di trasparenza informativa (principalmente incentrate sia sulla forma e sui principali contenuti del contratto sia sull’indicatore di prezzo espresso dal tasso

568


Giuseppe Carriero

annuo effettivo globale, d’ora in avanti anche TAEG) come di ripartizione del rischio. Il primo insieme disciplinare è, in verità, prevalente, essendosi il legislatore di Bruxelles limitato a prevedere – nell’ipotesi di inadempimento del consumatore – il limite dell’ingiustificato arricchimento del finanziatore ai fini dell’esperimento della relativa azione quanto a rate riscosse o da riscuotere. Formula questa che poco sembra aggiungere al rimedio generale assicurato dall’art. 2041 c.c., esperibile proprio ogni qual volta il danneggiato non abbia altra azione idonea a “farsi indennizzare del pregiudizio subito” (art. 2042 c.c.). Laddove invece l’inadempimento fosse risultato imputabile al venditore l’unica tutela offerta dalla direttiva consisteva nella possibilità di agire nei confronti del finanziatore solo a seguito di azione inutilmente intentata dal consumatore nei confronti del fornitore. La direttiva è stata attuata nel 1992, con la legge n. 142 del 19 febbraio (artt. 18-24), meglio nota come legge comunitaria per il 1991 e, successivamente, con il testo unico bancario attraverso l’accorpamento nel Titolo VI delle relative disposizioni.

2. Ambito di applicazione della disciplina. Suoi principali contenuti. A differenza dalla disciplina di trasparenza bancaria, che è a soggetto indifferente, quella sul credito al consumo circoscrive il suo ambito soggettivo di applicazione a favore del solo consumatore, e cioè della “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” (art. 121). La matrice comunitaria della legge italiana e la conseguente sua rispondenza alla linea di politica del diritto tesa a limitare le tutele legali al solo fruitore del bene o del servizio nell’ambito dei c.d. “mercati finali del prodotto” rappresenta la più attendibile giustificazione di tale scostamento. Sul piano dei contenuti, essa consta di norme d’informazione obbligatoria, tese ad agevolare la formazione di una volontà consapevole del cliente, e di norme di protezione o di (ri)equilibrio eteronomo del rapporto, che impattano sulla negoziabilità dei contenuti del contratto, vietando al “professionista”, a pena di nullità relativa, l’impiego di determinate clausole o condizioni, estendendo a questi rapporti disposizioni del codice civile relative a particolari tipi contrattuali, o integrandole, o facendo a tali disposizioni deroga. Muovendo dalle prime, mette conto preliminarmente avvertire della stretta interrelazione tra questa disciplina e quella contenuta nel prece-

569


Saggi

dente Capo sulla trasparenza bancaria. Il rapporto, che non è biunivoco, consiste nell’estensione delle disposizioni sulla trasparenza bancaria al credito al consumo “per gli aspetti non diversamente disciplinati” (art. 115, co. 3). La prima delle due discipline diventa così formalmente integrativa della seconda. Si applicheranno perciò alle operazioni di credito al consumo le norme in materia di pubblicità (art. 116 t.u.b.), quelle sulle comunicazioni periodiche alla clientela (art. 119) e quelle sulle prescrizioni contrattuali obbligatorie (art. 124, co. 2 e 3). Il finanziatore dovrà conseguentemente provvedere ad esporre “in ciascun locale aperto al pubblico” le condizioni del credito come da art. 116, attenersi alle prescrizioni del Comitato del credito (d’ora in avanti anche CICR), indicare il tasso annuo effettivo globale e il relativo periodo di validità. La disciplina del TAEG è stata parzialmente integrata dal d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 63, attuativo della direttiva n. 98/7/Cee di modifica della direttiva n. 87/102/Cee. L’impatto di tale direttiva (e della precedente n. 90/88/Cee) ha fondamentalmente riguardato due versanti: 1) la prescrizione di un unico metodo di calcolo del TAEG all’interno dell’Unione europea; 2) l’indicazione del TAEG attraverso un esempio tipico. Disposizioni di rilievo nel processo di formazione della volontà consapevole del consumatore consistono nell’applicazione, anche per il credito al consumo, del requisito della forma scritta del contratto, con consegna di un esemplare al cliente (art. 117, co. 1) e nella sanzione di nullità del contratto a fronte dell’inosservanza del prescritto requisito formale (art. 117, co. 3). La norma, mutuataria dell’omologa prescrizione di diritto comunitario (v. art. 4 dir. n. 87/102), s’iscrive tra le tecniche giuridiche derogatorie del principio di libertà delle forme nella conclusione dell’atto di autonomia. La parte finale dell’art. 124 del t.u.b. contempla infine norme imperative (o di protezione) che incidono sull’autonomia negoziale dell’impresa, escludendo la possibilità di pervenire alla conclusione del contratto in maniera difforme da quella espressamente stabilita. È il caso della preclusione all’impiego di clausole di rinvio agli usi come di quello dell’integrazione automatica del contratto nelle fattispecie indicate al quinto comma. In entrambe le circostanze la nullità comminata è parziale. Le clausole si considerano perciò, a seconda dei casi, come non apposte o vengono sostituite di diritto. Le fattispecie di nullità possono “essere fatte valere solo dal cliente” (nullità relativa). Ciò rimette di fatto al consumatore il giudizio sulla prosecuzione o no del rapporto contrattuale privo degli elementi indicati.

570


Giuseppe Carriero

Il nocciolo duro delle norme di protezione ideate a tutela del consumatore è tuttavia costituito prevalentemente dall’art. 125. La prima, non solo in ordine numerico, è la disposizione che prevede l’estensione dell’art. 1525 c.c. anche a tutti i contratti di credito al consumo a fronte dei quali sia stato concesso un diritto reale di garanzia sul bene acquistato con il denaro ricevuto in prestito. La norma finalmente consente di ovviare ai segnalati problemi derivanti dalla scomposizione della fattispecie in due rapporti formalmente autonomi. E tuttavia, in tale consapevolezza, non può omettersi di considerare che mentre nella dinamica della vendita con patto di riservato dominio è chiaro che l’ottava parte del prezzo va riferita al bene oggetto della vendita a rate, non lo è altrettanto con riguardo al diverso contratto di finanziamento. In questo caso occorre infatti chiedersi se l’ottava parte del prezzo abbia quale termine di riferimento il valore del bene o il totale del finanziamento, comprensivo di quota capitale e interessi. La dottrina maggioritaria ritiene quest’ultima soluzione maggiormente appagante anche perché il riferimento al prezzo del bene se ha un senso nei rapporti tra compratore e venditore non pare averne alcuno nel diverso contratto di finanziamento. Il successivo secondo comma dell’art. 125 regola invece “le facoltà di adempiere in via anticipata o di recedere dal contratto senza penalità”, conferendole unicamente al consumatore senza possibilità di patto contrario e demanda al CICR la fissazione delle modalità tese ad attuare il diritto del consumatore a un’equa riduzione del costo complessivo del credito nel caso di esercizio della prima delle facoltà sopra richiamate. Delle altre disposizioni, mette conto far menzione dell’ampiezza della prerogativa assegnata dal terzo comma al consumatore, titolare di un’illimitata facoltà di opporre al cessionario del credito “tutte le eccezioni che poteva far valere nei confronti del cedente, ivi compresa la compensazione, anche in deroga al disposto dell’art. 1248 c.c.”. Funzione della norma è quella di fare in modo che la cessione non migliori né peggiori la situazione del debitore ceduto. Da ultimo, i previgenti quarto e quinto comma della norma in rassegna sono rifluiti, senza alcuna modifica, nell’art. 42 del codice del consumo il quale prescrive – nella sua prima parte – che “nei casi di inadempimento del fornitore di beni e servizi, il consumatore che abbia effettuato inutilmente la costituzione in mora ha diritto di agire contro il finanziatore nei limiti del credito concesso, a condizione che vi sia un accordo che attribuisce al finanziatore l’esclusiva per la concessione del credito ai clienti del fornitore”. Tesa a risolvere il noto problema che, attraverso la duplicazione del rapporto, il consumatore possa restare

571


Saggi

sprovvisto di qualsiasi tutela a fronte dell’inadempimento del fornitore, la norma introduce quale requisito all’esperimento dell’azione nei confronti del finanziatore l’esistenza di un accordo preventivo tra venditore e creditore con il quale il primo concede al secondo l’esclusiva per il finanziamento della propria clientela. È questo un limite consistente all’operatività della norma. Basterà infatti escludere espressamente l’esistenza di accordi della specie per sottrarre il finanziatore al descritto regime di responsabilità sussidiaria. Aggiungasi la difficoltà per il consumatore di fornire le prove dell’eventuale esistenza di un siffatto non dichiarato accordo di esclusiva. La disciplina legislativa del testo unico bancario è opportunamente integrata da fonti secondarie, con specifico riguardo alle regole sulla pubblicità. Su queste non è qui possibile intrattenersi.

3. La nuova direttiva sul credito ai consumatori. L’evoluzione del diritto privato europeo ha recentemente condotto all’approvazione della nuova direttiva sul credito ai consumatori 2008/48/ Ce del 23 aprile 2008. Lo scenario economico che ha caratterizzato i lavori di revisione della pregressa disciplina era rappresentativo di una consistente e duratura crescita dei volumi di attività del credito al consumo all’interno dell’Unione in termini tanto assoluti quanto percentuali. Tra il 1990 e il 2000 all’interno dell’area UE si registrava un incremento del tasso di crescita del credito al consumo di circa il 6,64 per cento . Tale andamento si consolidava negli anni successivi. Emblematicamente in Italia corrispondeva, quanto a volume complessivo dei finanziamenti, al 2,8% del PIL del 2004: valore in sé elevato ancorché notevolmente inferiore a quello di altri paesi dell’area dell’euro (nella media pari al 6,8%) . Nel corso del 2005 – 2006 la tendenza alla crescita veniva confermata. Nel 2007 il credito al consumo erogato da banche e da società finanziarie vigilate, sebbene in rallentamento rispetto al 2006, aumentava ancora in misura

Guerrieri, Lorizio e Stramaglia, Le determinanti economiche del credito al consumo in Italia, in Credito al consumo e sovrindebitamento del consumatore, a cura di Lobuono e Lorizio, Torino, 2007. Banca d’Italia, Relazione all’assemblea dei partecipanti del 31 maggio 2005, Bozze di stampa, Roma, p. 285.

572


Giuseppe Carriero

considerevole . Di guisa che la Commissione, prendendo spunto da dati congiunturali di tipo macroeconomico, registrava: 1) che “le operazioni transfrontaliere rappresentano soltanto una piccola parte di tale mercato”; 2) “che le dimensioni complessive nascondono una grande diversità tra i vari mercati nazionali, nei quali i livelli del credito ai consumatori variano considerevolmente”. Tra le cause delle diversità, specifico rilievo veniva ascritto alla dimensione giuridica del fenomeno, attesi gli scostamenti in essere nelle discipline dei singoli stati, solo parzialmente attenuate dai principi comuni e dagli istituti introdotti dalla direttiva 87/102 del 22 dicembre 1986. Si riteneva che queste divergenze producessero tutele diseguali, regimi giuridici asimmetrici privi di adeguata e condivisibile motivazione a norma del Trattato, sostanziale ineffettività – in parte qua – dei sottostanti principi di protezione del consumatore, segnatamente in punto di competitività e di conseguente riduzione dei tassi d’interesse che regolano le operazioni in discorso. Ciò traspare in maniera evidente nel preambolo della direttiva, che non casualmente ricorda come “lo stato di fatto e di diritto risultante da tale disparità limita le possibilità per i consumatori di beneficiare direttamente della crescente disponibilità di credito transfrontaliero” (v. il quarto “considerando” della direttiva). Donde l’avocazione da parte del legislatore sovranazionale del potere di intervento teso a realizzare un ambiente giuridico strutturato e, soprattutto, a rimuovere le principali differenze tra i diversi ordinamenti. Queste, in sintesi estrema, le ragioni sottese alle originarie linee d’indirizzo che hanno caratterizzato l’iniziativa della Commissione e si sono, nella sostanza, tradotte nel testo definitivamente approvato. Esse confermano la centralità del mercato nella definizione dei tempi, delle forme e delle modalità dell’azione comunitaria. La tutela del consumatore, almeno nella sua accezione di tutela di status (sul piano soggettivo) che sottende interventi tesi a migliorare la qualità del contratto (su quello oggettivo), rimane infatti sullo sfondo ove solo si consideri che l’esistenza di tutele più dettagliate, specifiche, severe rispetto alla direttiva poi definitivamente approvata non solo non confliggerebbero con i principi ispiratori del diritto dell’Unione, ma verrebbero anzi direttamente legittimate dalla Grundnorm dedicata alla protezione dei consumatori (cfr. art. 153, co. 5, del Trattato). È perciò esattamente la facilitazione e l’incentivo alla conclusione di contratti cross border di credito al consumo a rappresentare la più credibile (e dichiarata) causa prossima del

Id., Relazione del 31 maggio 2008, p. 167.

573


Saggi

nuovo intervento del legislatore di Bruxelles. Valga significativamente considerare che, sul piano positivo, la base giuridica della direttiva risiede nell’articolo 95 del Trattato, e cioè nella norma che regola interventi comunitari che contribuiscono alla realizzazione di obiettivi di tutela del consumatore per il tramite di misure di armonizzazione adottate nel quadro della realizzazione del mercato interno. In siffatta guisa, la funzionalizzazione dell’autonomia privata, la sua strumentalità al circuito dell’economia dei consumi, traspaiono in maniera ancora più evidente rispetto al passato dalle stesse tecniche prescelte per il perseguimento dei menzionati obiettivi. Queste risiedono nella massima armonizzazione delle discipline attraverso rigida prescrittività, imperatività, cogenza delle disposizioni contemplate dalla direttiva o, almeno, della gran parte di esse. L’intervento dei legislatori nazionali è circoscritto ad aspetti ritenuti non essenziali. Questa politica legislativa è pertanto prioritariamente volta a fare in modo che i creditori (scilicet, le imprese finanziarie) possano concepire forme di credito ai consumatori valide per tutta l’U.E, non dovendosi necessariamente conformarsi a ventisette differenti normative nazionali.

4. (segue) Gli obiettivi originari. Nell’ambito della delineata cornice finalistica, la preliminare proposta di direttiva era tesa a porre rimedio a due importanti lacune riscontrate nell’applicazione del diritto comunitario: l’esclusione dalla sua sfera di riferimento dei contratti di fideiussione del consumatore; la mancanza di strumenti tesi a ovviare (o, almeno, a mitigare) il problema del c.d. sovra-indebitamento del consumatore. Conseguentemente estendeva, sotto il primo versante, l’ambito della tutela alle garanzie personali fornite dal consumatore indipendentemente dal fatto che il contratto di credito stipulato dal debitore principale fosse o no relativo all’esercizio di un’attività professionale. Tale indirizzo risentiva l’influenza del procedimento concluso con la sentenza della Corte di giustizia del 23 marzo 2000, causa C – 208/98. Quella decisione aveva avuto infatti a oggetto proprio una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione della direttiva 87/102 in punto di riconduzione o no alla nozione di “contratto di credito” di una fideiussione del consumatore tesa a garantire il rimborso di un debito contratto con riferimento al rapporto principale. A fronte delle differenti posizioni espresse, da un lato, dai governi tedesco, belga e finlandese, che concludevano per l’inapplicabilità della direttiva e, dall’altro, dei governi francese e spagnolo, che invece consideravano

574


Giuseppe Carriero

il contratto di fideiussione astrattamente riconducibile alla sfera di operatività della direttiva, la Corte correttamente concludeva per l’estraneità della garanzia alla categoria dei contratti di credito. Sotto il secondo versante, la proposta di direttiva mirava a regolare o comunque a contenere in limiti fisiologici il fenomeno del c.d. sovra-indebitamento del consumatore. Ordinamenti giuridici di importanti paesi europei, segnatamente quello francese, hanno particolarmente a cuore l’interesse a disciplinare il ricorso al credito per finalità genericamente di consumo da parte di persone fisiche che, per le ragioni più varie (ma nella gran parte dei casi dipendenti da eventi traumatici quali la perdita dell’impiego, conflitti familiari, danni gravi alla salute etc.), potrebbero verosimilmente non essere in grado di far fronte ai propri impegni debitori, con grave pregiudizio per sé stessi, per le proprie famiglie, per i creditori, per l’intero sistema finanziario. Negli indicati termini, le finalità sociali dell’intervento pubblico sono evidenti in quanto, per un verso si vuole rendere meno gravosa per il debitore la situazione in cui è coinvolto senza pregiudicare eccessivamente gli interessi dei creditori; per altro verso, si vuole prevenire il fenomeno mediante l’acquisizione di dati, l’informazione sui potenziali debitori, il controllo degli istituti di credito e di finanziamento. In tal guisa, gli istituti introdotti a partire dalla loi n. 89 – 1010 del 31 dicembre 1989 dedicata alla prevenzione e alla disciplina delle difficoltà connesse al sovra-indebitamento dei privati e delle famiglie abbracciano tanto il versante in senso lato concorsuale quanto misure di prevenzione delle situazioni d’indebitamento, segnatamente attraverso la istituzione di un archivio nazionale ove sono raccolte le informazioni relative agli inadempimenti sui pagamenti delle persone fisiche dovuti alla soddisfazione di bisogni “non professionali”, con obbligo per gli intermediari di avvalersene prima della conclusione del contratto di credito. La eco di questi istituti (naturalmente non solo europei. V. i Chapter 7 e 13 dello U.S. Bankruptcy Code) nel sistema della proposta di direttiva era di tutta evidenza sia con riferimento alla disciplina del “prestito rimborsabile”, sia alla istituzione della “banca dati centralizzata”. Alla realizzazione del primo istituto erano deputati oneri di diligenza posti in capo al finanziatore, consistenti nel valutare con ogni mezzo l’effettiva capacità del sovvenuto di rimborsare il credito accordatogli. Al secondo l’istituzione, da parte degli stati membri, di una banca dati centralizzata avente per finalità la registrazione dei consumatori e dei fideiussori dello stato membro che hanno avuto problemi di rimborso di un debito (c.d. banche dati centralizzate di tipo “negativo”). La forte divaricazione nelle posizioni degli stati in ordine all’ampliamento della tutela alle fideiussioni; il rilievo che un controllo quasi qua-

575


Saggi

litativo del credito a fini di tutela del consumatore e il conseguente automatismo della decisione che consegue alla consultazione della banca dati possa configgere con il carattere imprenditoriale dell’attività bancaria e finanziaria hanno infine prevalso nella decisione di espungere dal testo della proposta parte consistente degli indicati strumenti tesi alla definizione di questi importanti problemi. Né, quanto al sovrindebitamento, è stato possibile far ricorso, per l’evidente estraneità dell’oggetto alla sfera di riferimento del credito al consumo, ai rimedi in qualche modo riconducibili al c.d. “fallimento civile” del consumatore.

5. (segue) Caratteristiche e limiti. Mette conto, nei limiti della sommaria disamina delle linee d’indirizzo comunitarie, muovere dai destinatari delle prescrizioni della direttiva. A tale riguardo, la sfera soggettiva sembra ad una prima lettura sostanzialmente coincidere con quella dell’art. 121 t.u.b., atteso che l’ampliamento della definizione di creditore alle persone fisiche non potrà – nel nostro ordinamento – non risolversi nella vigente possibilità della concessione da parte di soggetti autorizzati di credito al consumo nella sola forma della dilazione del pagamento del prezzo. Risulterebbe invero quanto meno singolare estendere i confini dell’armonizzazione massima alle riserve di attività che sottendono la protezione di beni costituzionalmente protetti. Precisato questo, appare tuttavia singolare, diversamente dalla vigente disciplina di diritto interno che prevede – nel limite della compatibilità – l’estensione della stessa (nonché del Capo relativo ai controlli) “ai soggetti che s’interpongono nell’attività di credito al consumo” (art. 121, cit., co. 3), che la direttiva escluda (o, quanto meno, non contempli espressamente) l’applicabilità agli intermediari che si siano interposti nella erogazione del credito degli obblighi informativi e delle regole di comportamento che gravano in capo al “creditore”. In capo a quanti operino nella catena distributiva dei contratti di finanziamento al consumo con uno statuto imprenditoriale diverso da quello di intermediario creditizio (che è esclusivo e riservato), la direttiva impone infatti i soli obblighi: a) di informare preventivamente il consumatore in ordine all’ampiezza dei poteri rappresentativi; b) di rendergli noto che per lo svolgimento di tali servizi (che vanno dalla mera offerta alla conclusione del contratto di finanziamento) è previsto un compenso, specificandone l’ammontare e i parametri di riferimento; c) di comunicare tale compenso al “creditore” ai fini del calcolo del tasso annuo effettivo globale.

576


Giuseppe Carriero

Sul punto, tuttavia, la direttiva “disciplina solo taluni obblighi degli intermediari del credito nei confronti dei consumatori” e pertanto “gli stati membri dovrebbero conservare la facoltà di mantenere o introdurre obblighi supplementari” (v. 17° “considerando”). Sul piano dei contenuti, la direttiva prevede informazioni pubblicitarie dalla portata più ampia e, soprattutto, quantitativamente più minuziosa della vigente disciplina italiana di trasparenza bancaria (applicabile alle operazioni di credito al consumo) che opportunamente (e doverosamente, sulla scorta di quanto disposto dall’art. 116) distingue tra annunci pubblicitari e attività di promozione o di collocamento, fondamentalmente basata sull’attualità dell’intento negoziale. L’estensione di un coacervo di dati e indicazioni sul contenuto del contratto anche alle informazioni pubblicizzate corre il rischio di perpetrare confusioni e asimmetrie informative per eccesso, ove solo si considerino la scarsa significatività e la dubbia utilità pratica di comunicazioni così dettagliate soprattutto quando esse debbano propalarsi attraverso messaggi televisivi o radiofonici. Salva ovviamente l’ipotesi che l’obbligo di fornire tali più specifiche informazioni (che dovrebbero tuttavia essere debitamente standardizzate) sia teso a evitare fenomeni di pubblicità ingannevole. In questo caso è peraltro lecito avanzare dubbi sull’idoneità della sedes materiae prescelta ai fini indicati. Ma è soprattutto in punto di responsabilità del finanziatore per fattispecie di inadempimento del fornitore che la direttiva evidenzia consistenti limiti rispetto al diritto interno. L’art. 15 fa invero discendere la possibilità di agire nei confronti del “creditore” (previo inutile esperimento dell’azione nei confronti del fornitore) al presupposto della sussistenza di un “contratto di credito collegato”. Ora, stando alla relativa “definizione” contemplata dalla lett. n) sub art. 3, la ricorrenza della fattispecie è subordinata alla cumulativa ricorrenza dei due requisiti consistenti, rispettivamente, nell’essere il credito destinato “esclusivamente a finanziare un contratto relativo alla fornitura di merci specifiche o alla prestazione di servizi specifici” e nel costituire i due contratti “oggettivamente un’unica operazione commerciale”. Fortunatamente, anche in questo caso non dovrebbe operare la preclusione sottesa all’armonizzazione massima, visto che – a norma del nono “considerando” – “gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni nazionali sulla responsabilità solidale del venditore o prestatore di servizi e del creditore”. Il successivo decimo “considerando” espressamente inoltre conferisce agli Stati membri la facoltà di applicare le disposizioni in rassegna anche a fattispecie di “crediti collegati” non coincidenti con la riferita definizione.

577


Saggi

Con l’approssimazione del caso, sembra perciò non azzardato potersi affermare che, in punto di tutela del consumatore, il reale e tangibile valore aggiunto della direttiva rispetto alla vigente disciplina di diritto interno risiede sostanzialmente nel diritto di recesso, strutturato in termini non dissimili rispetto a quelli peraltro già previsti dall’art. 67 – duodecies del codice del consumo, attuativo della direttiva 2002/65 sulla commercializzazione a distanza dei servizi finanziari.

6. La crisi finanziaria. I tumultuosi eventi recenti, sviluppatisi con grande rapidità e intensità, disegnano un contesto economico diverso e quasi giustapposto a quello preso a riferimento dal legislatore comunitario. Le cause della crisi finanziaria sono molteplici, non tutte chiare – fatta naturalmente eccezione per quella scatenante, rappresentata dalla cartolarizzazione dei famigerati mutui subprime – soprattutto ancora non tutte note. Gli effetti, certi nella loro drammaticità anche sociale, restano di difficile quantificazione e identificazione. Non è definitivamente escluso che estensioni progressive dello tsunami possano ulteriormente interessare i fruitori, nelle diverse forme, di credito al consumo per l’acquisto di beni durevoli. Importanti segnali non mancano. Sul versante dei salvataggi bancari quanto, più in generale, dell’offerta, la gamma dei possibili rimedi macroeconomici, in atto e in prospettiva, è amplissima, inedita o, all’incontro, già sperimentata in epoche remote. Va dalle ricapitalizzazioni alle nazionalizzazioni degli intermediari bancari e finanziari in crisi; dall’istituzione di bad banks nelle quali sterilizzare i c.d. “titoli tossici” alla definizione di nuove regole per la finanza mondiale; dall’enfasi su un’ancora generica e indefinita “etica degli affari” alla revisione degli assetti di vigilanza. Il problema riguarda tuttavia anche la domanda, segnatamente gli incentivi atti a sostenerla e a rinvigorirla. Riguarda cioè tanto il “credito” quanto il “consumo”. Va incidentalmente rammentato che, nel corso del 2008, il tasso di crescita del credito al consumo si è in Italia significativamente ridotto. A dicembre “era di poco inferiore al 10 per cento rispetto a un’espansione prossima al 15 per cento di fine 2007” (4). Non può prescindere, con riferimento a tale segmento, dall’introduzione di

578

Id., Relazione del 31 maggio 2009, p. 175.


Giuseppe Carriero

nuove, più incisive e soprattutto più effettive regole di tutela del consumatore, idonee a ricostruire la cornice giuridica sottesa ad assetti fiduciari incrinatisi considerevolmente. Ciò, con ragionamento circolare, porta a prevedere che in tempi non lunghi il legislatore di Bruxelles possa essere indotto a rimeditare sulle linee di policy e sulle scelte fondamentali della direttiva in rassegna che, muovendo da un assetto economico e sociale non più esistente, nasce in realtà (almeno in parte) obsoleta e perciò forse non in grado di soddisfare bisogni attuali. Occorre intanto, entro il 12 maggio 2010, provvedere all’attuazione della direttiva stessa. Non potendo, vista l’urgenza, il legislatore domestico – anche prima di nuovi segnali provenienti da Bruxelles – omettere di confrontarsi con queste nuove, inattese e traumatiche variabili economiche, occorrerà governare al meglio l’unico strumento consentito: quello delle scelte opzionali nel ristretto ambito delle materie (o dei segmenti di materie) non coperte da armonizzazione massima.

7. L’art. 33 della delega legislativa. All’attuazione della direttiva è dedicato l’art. 33 della legge 7 luglio 2009, n. 88, legge comunitaria per il 2008. Mette conto anticipare che i contenuti della legge di delega sono, per taluni aspetti, generici; per altri di difficile lettura. Si proverà, nel seguito, a suggerirne un’interpretazione per quanto possibile razionale e coerente con i principi ispiratori della materia, italiani quanto europei. Intanto, per completezza d’analisi, non inutile può rivelarsi, sul piano della comparazione, il riferimento a omologhi lavori in corso all’interno di altri importanti paesi europei, alle prese con problemi non dissimili da quelli oggetto del lavori di codesta Commissione. L’esempio più significativo è, al momento, rappresentato dal rapporto della Commissione speciale deputata a valutare le proposte di legge francesi sul credito ai consumatori, prodotto al senato nello scorso mese di luglio. Trattasi di un interessante, ricco e quantitativamente ponderoso lavoro (circa 450 pagine) che fornisce esecuzione al mandato governativo di procedere non già al pedissequo recepimento della disciplina europea in linea con l’armonizzazione massima che – come si è visto – ne costituisce la cifra più significativa, quanto piuttosto a larghe modifiche della sezione del Code de la consommation nella quale è rubricata la materia in rassegna. Ciò nella dichiarata consapevolezza che, a fronte degli effetti della crisi economica, la confiance des consommateurs doit etre préservée pour continuer à soutenir l’activité e,

579


Saggi

per questa via, attuare l’obiettivo riassunto, a mò di slogan, dall’adagio plus d’accès, moin d’excès. La sottesa opzione di politica economica è di manifesta evidenza: a fronte del crescente debito pubblico indotto dalle misure di salvataggio degli intermediari finanziari, spazi e risorse tradizionalmente destinati a favorire importanti prestazioni sociali si assottigliano notevolmente. In tale mutato contesto, ben può una più efficiente disciplina dell’istituto favorire il soddisfacimento di bisogni primari (tra gli altri, quelli della salute – in specie delle cure sanitarie – e dell’istruzione) altrimenti destinati (soprattutto per le fasce economiche più esposte) a rimanere inevasi. È appena il caso di osservare come tale impostazione sapientemente e con grande equilibrio concili due essenziali funzioni del diritto solo apparentemente (e superficialmente) valutabili quali antitetiche: quella promozionale sul piano sociale e dei valori fondativi (se si vuole, in sintesi, la funzione equitativa) e quella dinamica in punto di efficienza e di crescita economica. Piuttosto, sotto quest’ultimo versante è interessante constatare il salto di qualità del credito al consumo che, da sempre relegato alla dimensione microeconomica, si candida così ad assumere una funzione strategica nella diversa descritta prospettiva macroeconomica. Onde realizzare tali obiettivi, lo strumentario giuridico a favore del consumatore (ma anche dell’impresa finanziaria per rendere il credito anche bilateralmente “responsabile”) viene arricchito attraverso l’introduzione di tecniche che vanno da banche dati obbligatorie a regimi di solidarietà contrattuale; da forme di “microcredito” personale a procedure di riabilitazione conseguenti all’insolvenza civile; da nuove regole relative al tasso d’usura all’ampliamento della sfera d’operatività dell’istituto. I limiti di questa audizione non consentono una dettagliata disamina di tali tecniche giuridiche. Basti averne fatta menzione.

8. Il perimetro di riferimento. La delega non ha solo a oggetto l’attuazione della nuova direttiva sul credito al consumo ma anche le modifiche ed integrazioni alla disciplina relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario di cui al testo unico bancario, ai mediatori creditizi ed agli agenti in attività finanziaria. Quest’ultima parte è anzi, per un verso, quantitativamente prevalente rispetto alla prima; i relativi criteri sono, per altro verso, caratterizzati da specificità, analiticità e compiutezza. Sul piano generale e sistematico, ciò non può non sollecitare una immediata (quanto forse ingenua)

580


Giuseppe Carriero

reazione di stupore da parte dell’interprete, atteso che siffatto segmento disciplinare – ignoto alla fonte di diritto europeo – difficilmente giustifica il suo inserimento nell’ambito di una legge (non a caso qualificata come “comunitaria”) strutturalmente estranea alla realizzazione di obiettivi autoctoni. Fatta doverosa menzione di ciò, osservo – in chiave funzionale e di opportunità – che la scelta appare peraltro supportata da almeno tre non inconsistenti ragioni. Una prima risiede nell’elementare rilievo che quello dell’intermediazione finanziaria non bancaria è un importante settore d’attività tuttavia regolato da una risalente e per molti aspetti contorta e lacunosa disciplina normativa (portata dal d.l. 3 maggio 1991, n. 143, convertito dalla l. 5 luglio 1991, n. 197) che, nonostante le successive variazioni legislative, risente del vizio d’origine di essere ispirata, più che al controllo dei soggetti che operano in tale mercato, all’originario specifico oggetto della lotta al riciclaggio (non a caso la rubrica del decreto è eloquentemente rivolta alla prevenzione della “utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio”), rispetto a quello ontologicamente e manifestamente diverso. Nonostante il successivo alternativo e complementare suo impiego anche (e prevalentemente) a fini di vigilanza, le modificazioni e le integrazioni legislative sopravvenute scontano la difficoltà di dover soddisfare entrambi gli obiettivi, non sempre tra loro coerenti e sovrapponibili. È appena il caso di ricordare che il sistema è recentemente evoluto nel senso, da un lato, della devoluzione dei compiti di vigilanza innanzi conferiti all’Ufficio italiano dei cambi (U.I.C.) direttamente alla Banca d’Italia (con conseguente soppressione di questo ente pubblico) e, dall’altro, nella creazione – pure all’interno della Banca centrale – di un organismo indipendente (l’Unità di informazione finanziaria – U.I.F.) che assolve all’esclusivo compito dello svolgimento delle funzioni di analisi finanziaria per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo internazionale. E ciò, in punto di coerenza dell’ordinamento, rappresenta un secondo importante argomento a favore della scelta effettuata. Infine, con riguardo a considerazioni maggiormente prossime alla materia principale oggetto della delega, non può essere omesso di segnalare che più efficaci e stringenti controlli sulla fase distributiva dei contratti di credito al consumo rappresentano – come si è ricordato – uno snodo di tutto rilievo a fini di tutela del consumatore – risparmiatore. Una rivisitazione della disciplina degli intermediari era non occasionalmente già contemplata in uno schema di disegno di legge governativo approvato, nella trascorsa legislatura, dal Consiglio dei ministri del 9 luglio 2007.

581


Saggi

9. I principali criteri di delega. Avaro di principi e criteri direttivi in ordine all’attuazione della direttiva europea sul credito ai consumatori, l’art. 33 è, per contro, netto e univoco nella scelta sulla fin qui discussa collocazione della futura regolamentazione. Essa dovrà consistere nell’apportare le necessarie modifiche e integrazioni al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, abbandonando perciò il vigente assetto binario e – a fortiori – ogni ambizione di far rifluire l’intera disciplina della materia all’interno del codice del consumo. L’opzione è chiara ma tutt’altro che pacifica o scontata. Consistente (e forse maggioritaria) parte della dottrina italiana ritiene infatti impropria, segnatamente sotto il profilo sistematico, la scelta a suo tempo effettuata (e ora reiterata) di collocare la disciplina del credito al consumo all’interno del testo unico bancario piuttosto che nel codice del consumo. Ciò anche rammentando la diversa esperienza francese. La mia posizione è, per contro, dichiaratamente adesiva rispetto alla scelta compiuta dal legislatore delegante. Fin da tempi non sospetti ho invero più volte ribadito in diverse sedi di ritenere preferibile la collocazione dell’intera disciplina nell’ambito del testo unico bancario sia per motivazioni di ordine culturale (tra le quali segnatamente la sollecitazione della autorità di supervisione settoriale a perseguire anche finalità di tutela del consumatore-risparmiatore, obiettivo che forma ora – dopo la crisi finanziaria – uno specifico orientamento di policy legislativa maturato oltreoceano) sia per il valore aggiunto riveniente, per il consumatore, dalla possibilità di godere del maggiore enforcement rappresentato dai controlli di vigilanza sul rispetto della relativa disciplina, che non sostituiscono ma si sommano ai consueti rimedi in sede contenziosa. Peraltro la comparazione offre sul punto un dato di sicuro interesse: con l’unica eccezione della Francia, tutti gli altri paesi UE che hanno codificato il diritto dei consumi in testi variamente denominati, hanno tuttavia scelto di lasciar fuori da questi codici la materia del credito al consumo, affidandone la relativa disciplina a specifiche leggi. La sensazione è perciò che ovunque venga percepita la peculiarità dei problemi posti da queste fattispecie e la conseguente difficoltà di collocare le relative regole giuridiche nel contesto di provvedimenti omnibus dedicati ai contratti dei consumatori. Ciò premesso, non posso tuttavia omettere di considerare, sul piano più propriamente tecnico, come la chiarezza di questa scelta venga offuscata da una serie di complementari principi di delega di dubbia comprensione e di difficile applicazione. Mi riferisco, in particolare: 1)

582


Giuseppe Carriero

alla lett. c) del primo comma, che prevede il coordinamento del Titolo VI del testo unico con le c.d. “leggi Bersani e Bersani bis” oltre che con la più recente l. n. 2/2009 contenente misure urgenti anti crisi (che riterrei principalmente circoscritto alla nullità delle clausole relative alla commissione di massimo scoperto), riguardo alle quali è difficile immaginare un’inerenza con la materia del credito ai consumatori (o anche solo della disciplina di trasparenza bancaria), incidendo invece, più in generale, su taluni istituti e/o su talune clausole in uso nell’ambito di particolari contratti bancari; 2) alla lett. f) dello stesso primo comma che impone di “coordinare il testo unico e le altre disposizioni legislative aventi come oggetto la tutela del consumatore, definendo le informazioni che devono essere fornite al cliente…”. A parte l’identità tra le nozioni di “consumatore” e di “cliente” che invece scontano una notoria diversa ampiezza applicativa, non è chiaro: 1) se l’idea sottostante sia di traslare nel testo unico bancario disposizioni o frammenti di disposizioni di leggi speciali che, a vario titolo, riguardano il consumatore o non piuttosto il risparmiatore. La differenza non è di poco conto, potendo avere a oggetto – a seconda dei casi – poche leggi ovvero la enorme congerie di provvedimenti nell’uno o nell’altro modo relativi ai contratti dei consumatori (dalla disciplina delle clausole vessatorie alle vendite a distanza dei servizi finanziari; dai contratti conclusi fuori dai locali commerciali alle pratiche commerciali scorrette solo per citarne alcuni); 2) se il coordinamento riguardi la sola informazione obbligatoria e la trasparenza o anche le regole di comportamento e quelle d’invalidità; 3) come si concili il ruolo della Banca d’Italia con quello attualmente svolto da altre autorità (penso principalmente, quanto ad es. alle pratiche commerciali scorrette, all’autorità garante della concorrenza ma anche, dopo il parere del Consiglio di Stato del 3 dicembre 2008, n. 3999/2008, alla Consob e all’Isvap). Ancora più complessa e difficile risulta la comprensione della lett. a) dello stesso co. 1. Trattasi di disposizione sul piano semantico davvero singolare, il cui senso letterale “fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” confligge apertamente con “l’intenzione del legislatore”. Nel prevedere testualmente l’estensione, “in tutto o in parte, (de)gli strumenti di protezione del contraente debole previsti dalla direttiva 2008/48/Cee ad altre tipologie di finanziamento a favore dei consumatori, qualora ricorrano analoghe esigenze di tutela alla luce delle caratteristiche ovvero delle finalità del finanziamento”, la norma inverte manifestamente i termini della questione. Riferisce cioè gli strumenti di protezione del contraente debole alla direttiva (che ha invece a oggetto i contratti di credito ai consumatori) prevedendo

583


Saggi

l’estensione di tali tecniche di tutela ad altre tipologie di finanziamento diverse dal credito al consumo, ove la parte “debole” molto spesso non riveste la qualifica soggettiva di consumatore (che è invece il secondo termine di riferimento della disposizione in rassegna). Va letta pertanto all’incontrario, muovendo dal consumatore ed estendendo le relative norme di protezione contemplate dalla direttiva a colui che riveste la qualità soggettiva di “contraente debole” nell’ambito di altre tipologie di finanziamento. Ma anche così i problemi non mancano. Per la prima volta (almeno a mia memoria) è nel linguaggio legislativo adoperata, onde qualificare il destinatario delle norme di protezione, l’espressione (in voga soprattutto negli anni Settanta) “contraente debole”, che è rappresentativa di una categoria soggettiva indefinita e incerta. Espressione finora in uso nel solo ambito semantico dottrinale (successivamente trasmigrata anche nel lessico gergale) ma solo in guisa di sintesi verbale rappresentativa degli interessi di volta in volta contrapposti all’impresa. Trattasi perciò di categoria semmai sociologica, di difficile identificazione giuridica, dai confini mobili e incerti, che sconta l’assenza di parametri oggettivi (o solo di indicatori) atti a qualificare unità di misura della “debolezza” contrattuale. Sono peraltro ben noti gli sforzi e le difficoltà della dottrina (e della giurisprudenza) di estendere le norme di protezione del consumatore ad altre figure contrattuali. Di passare dalla disciplina dei contratti del consumatore, c.d. business to consumer (b2c) a quella dei contratti c.d. b2b unsophisticated. Recenti studi sul c.d. “terzo contratto” testimoniano tangibilmente gli ostacoli che si frappongono, sul piano scientifico, all’enucleazione di principi teorici in grado di giustificare un terzo modello disciplinare (che si aggiunge al contratto tra uguali e a quello del consumatore) del quale sono parti due imprenditori, l’uno in condizioni di dipendenza economica dell’altro. A fronte di tale ancora incompiuta e incerta evoluzione con riguardo a famiglie di soggetti predefinite o almeno predefinibili, la disinvoltura del legislatore delegante può creare problemi applicativi. Né aiuta la successiva precisazione che subordina l’estensione alla ricorrenza di “analoghe esigenze di tutela alla luce delle caratteristiche ovvero delle finalità del finanziamento” visto che, ove in ipotesi controparte dell’intermediario finanziario sia l’impresa, difficilmente le finalità del finanziamento potrebbero coincidere o solo essere assimilabili a quelle del soddisfacimento della domanda di beni durevoli, da un lato; dall’altro che la stessa analogia delle esigenze di tutela risulta quanto meno dubbia ove si rifletta sulla circostanza che la disciplina speciale del credito al consumo sul piano genetico ed evolutivo si giustifica per l’esistenza di un rapporto trilatero che priva o comunque affievolisce le tutele dell’acquirente normalmente previste nel

584


Giuseppe Carriero

rapporto bilaterale, mentre ciò non ha normalmente a oggetto contratti di finanziamento che prescindono dalla funzione del consumo. L’ulteriore (e ultimo) principio di delega relativo alla materia in oggetto, contemplato dalla lett. b) della norma, non si sottrae a similari rilievi sul piano del lessico adoperato. “Assicurare un’adeguata reazione” senza precisare da parte di chi e perché; o anche evocare “comportamenti scorretti” senza precisare cosa debba intendersi per scorrettezza (è la stessa nozione di scorrettezza adoperata nell’ambito del codice del consumo in punto di pratiche commerciali così definite?) impongono, di nuovo, massima attenzione da parte del legislatore delegato. Ciò posto, mi sembra tuttavia che l’interpretazione della norma possa risultare, in questo caso, più agevole. È infatti disposto di “rafforzare ed estendere” i poteri amministrativi inibitori previsti dal testo unico bancario. Seppure non chiarissimo, penso che il riferimento abbia a oggetto la sospensione dell’attività attualmente contemplata dall’art. 128, co. 5, t.u.b., solo con riguardo alle violazioni concernenti gli obblighi di pubblicità, risultando del resto questo l’unico potere inibitorio relativo all’intero Titolo VI. Del pari, si prevede di “rafforzare ed estendere” l’applicazione delle sanzioni amministrative (comminate, dopo la legge sulla tutela del risparmio, dalla Banca d’Italia) attualmente stabilite con riferimento ai soli profili di violazione degli obblighi pubblicitari o di ostacolo alle funzioni di controllo nella misura indicata nell’ultima parte della disposizione.

10. Considerazioni conclusive: quale tutela? Quanto esposto evidenzia la mancanza di specifici criteri di delega relativi alle complesse questioni prima segnalate in punto di tutela del consumatore, riguardo alle quali pure la direttiva comunitaria consente margini di libertà e di autonomia ai legislatori nazionali. Mette conto, tra queste, nuovamente evocare quella sulla responsabilità del finanziatore a fronte di fattispecie di inadempimento del fornitore che, per la sua importanza, è rappresentativa della concreta linea di policy che si intende perseguire. A tale riguardo – come si è visto – la nuova direttiva subordina la possibilità di agire nei confronti del “creditore” (previo inutile esperimento dell’azione nei confronti del “fornitore”) a presupposti molto restrittivi. Ove si consideri che il corrispondente art. 11 della precedente direttiva 87/102/Cee come interpretato dalla Corte di giustizia (sentenza 4 ottobre 2007, in Foro it., 2007, IV, con mia nota Credito al consumo e inadempimento del venditore) era ritenuto applicabile non ai soli contratti di credito conclusi per finanziare specifiche operazioni

585


Saggi

ma anche alla diverse ipotesi nelle quali il negozio di finanziamento non riportasse menzione del bene al cui acquisto il credito era strutturalmente preordinato (nel caso sottoposto al giudice di Lussemburgo veniva in considerazione addirittura un’apertura di credito), la ribadita necessità di contemplare l’indicazione del bene o del servizio quale elemento costitutivo dell’azione sussidiaria di responsabilità del finanziatore sembrerebbe escludere, per il futuro, la proponibilità di siffatta opzione interpretativa, dimidiando così irrimediabilmente la tutela del consumatore. Del pari, la previgente disposizione ha, ancora più di recente, consentito sempre alla Corte di giustizia di statuire che, nel caso di inadempimento del fornitore, l’inesistenza del vincolo di esclusiva nell’accordo tra il fornitore e il creditore non è un presupposto necessario per ottenere da parte del consumatore la risoluzione del contratto di finanziamento (sentenza 23 aprile 2009). È perciò del tutto evidente che le modalità di attuazione di questa disposizione rivestono un ruolo strategico nelle tecniche di protezione del consumatore. In siffatta guisa, una parola del legislatore delegante sul punto sarebbe risultata fondamentale nelle scelte che si dovranno compiere con riferimento alle eventuali modifiche dell’art. 42 del codice del consumo ai fini della conferma del vigente regime di responsabilità sussidiaria del finanziatore per l’inadempimento del fornitore, ovvero al passaggio di una vera e propria responsabilità solidale attraverso il venir meno del requisito dell’esclusiva. La questione certo non è nuova. Ricordo solo che, nell’ambito dei lavori relativi al codice del consumo, una prima versione della norma ora richiamata aveva espunto l’intero inciso afferente all’accordo di esclusiva, sulla scorta anche del favorevole avviso espresso sul punto da parte del Consiglio di Stato (parere 20 dicembre 2004, n. 11602/04). Tale innovazione aveva tuttavia formato oggetto di specifici rilievi critici, segnatamente da parte dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI), in quanto la nuova disposizione non avrebbe operato un equo contemperamento degli interessi del consumatore con quelli del finanziatore. È stato inoltre sostenuto che la sua introduzione avrebbe potuto comportare restrizioni importanti nell’accesso al credito da parte del consumatore. Queste considerazioni, unite a valutazioni più generali concernenti il possibile incremento del prezzo del contratto derivante dalla necessità per il finanziatore di ricorrere a coperture assicurative, non sono risultate ininfluenti per la definitiva scelta della commissione di recedere dall’intento riformatore.

586


Giuseppe Carriero

Preso doverosamente atto di ciò, non mi sembra tuttavia più possibile – atteso il ricordato diverso contesto di riferimento – sottrarsi dal fornire una soluzione a questo decisivo problema di allocazione del rischio contrattuale. Tra i due estremi, rispettivamente rappresentati dall’inazione e dal riconoscimento a tutto tondo della responsabilità solidale del finanziatore nell’ambito di negozi collegati, esistono momenti intermedi di più coerente e razionale bilanciamento degli interessi economico – patrimoniali contrapposti. La fantasia giuridica nell’individuazione delle relative tecniche e decisiva. Al solo fine di addurre primi spunti di riflessione, osservo – sulla scorta degli orientamenti della Corte di Lussemburgo – che modificare la norma prevedendo che l’estensione dell’eccezione di inadempimento al finanziatore non risulti preclusa dalla sussistenza della clausola d’esclusiva (rilevante invece ai soli fini del risarcimento del danno) e introducendo l’inversione dell’onere della prova in ordine alla ricorrenza o no del ricordato accordo di esclusiva potrebbe produrre una più equilibrata ripartizione del rischio contrattuale senza incidere in maniera consistente sul prezzo dell’operazione. Non può peraltro omettersi incidentalmente di ricordare che, anche con riguardo alla materia in rassegna, la via maestra per il perseguimento del divisato obiettivo di un più ridotto costo del denaro (strutturalmente connesso all’abbattimento di rendite di posizione e di extra profitti) risiede in una maggiore concorrenza dinamica tra gli operatori del settore. In ogni caso, tutto è ora rimesso al legislatore delegato, attraverso una vera e propria delega “quasi in bianco” (De Cristofaro). L’auspicio è che il governo sappia fare buon uso di così ampia discrezionalità attraverso una compiuta analisi del fenomeno sotto i diversi profili economico, sociale e – soprattutto – giuridico. I lavori di codesta Commissione potranno a tale scopo risultare preziosi. Mette solo conto, in conclusione, ribadire l’importanza per un razionale riassetto sistematico della materia della complementare proposta di legge n. 2364 (approvata dal Senato della Repubblica il trascorso 1° aprile e ora all’esame della Camera), il cui Capo II introduce una specifica (e indispensabile) disciplina relativa al procedimento per la composizione delle crisi da sovra-indebitamento.

Giuseppe Carriero

587


Saggi

Bibliografia essenziale Commentario alle norme d’attuazione di direttive comunitarie in tema di credito al consumo, in Nuove leggi civ., 1994. Credito responsabile: dal credito all’impresa al credito al consumo, Le Società, 2007. Il terzo contratto, a cura di Gitti e Villa, Bologna, 2008. La nuova disciplina europea del credito al consumo, a cura di De Cristofaro, Torino, 2009. Carriero, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo, Torino, 2007. Carriero, La crisi dei mercati finanziari: disorganici appunti di un giurista, in Dir. banc., 2009, p. 197 ss. Gorgoni, Il credito al consumo, Milano, 1994. Piepoli, Il credito al consumo, Napoli, 1976.

588


CoMMENTI

Sanzioni in materia di intermediazione finanziaria e legittimazione all’opposizione CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezioni Unite Civili, sentenza 30 settembre 2009, n. 20929; Pres. Carbone, Rel. Travaglino, P.M. Martone (concl. diff.); Ministero dell’Economia e delle Finanze e Consob (Avv. Stato) c. San Paolo Imi Asset Management Gestione Risparmio S.p.A. ed altri (avv. Carbonetti, Pedretti, Lombardi), F.M. (avv. Ristuccia), Gr. Vi. (avv. Riscossa, Di Toro) (Cassa con rinvio App. Milano, 26 novembre 2005) Intermediazione finanziaria – Sanzioni amministrative ex art. 195 t.u.f. – Destinatari delle sanzioni non ingiunti del pagamento – Opposizione – Legittimazione – Sussiste (D. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, testo unico della finanza, art. 195)

Avverso il provvedimento che abbia comminato sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 195 t.u.f. sono legittimati a proporre opposizione, tanto in via autonoma quanto con intervento litisconsortile nel giudizio eventualmente promosso dall’ente di appartenenza, le persone fisiche destinatarie delle sanzioni medesime, anche se non sia stato loro ingiunto il pagamento. (1) (Omissis) Svolgimento del processo - Motivi della decisione 1. – Il giudizio di opposizione dinanzi alla Corte d’Appello. Con ricorso proposto dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, la Sanpaolo IMI Asset Management SGR s.p.a., undici suoi esponenti aziendali e, separatamente, Gr.Vi. e F.M., proposero opposizione, chiedendone l’annullamento, contro il D.M. 24 di-

cembre 2002, n. 35709, con il quale era stato ingiunto alla Sanpaolo IMI Asset Management SGR s.p.a. il pagamento di sanzioni pecuniarie determinate con riferimento alle condotte degli autori materiali delle contestate violazioni, con obbligo di regresso nei confronti di ciascuno di essi. Il decreto ministeriale sanzionatorio era stato emanato all’esito di accertamenti ispettivi disposti dalla

589


Commenti

Consob – aventi ad oggetto l’attività della società nel servizio di gestione collettiva del risparmio nel periodo fra il dicembre del 2000 e il dicembre del 2001 – che avevano condotto alla contestazione di violazioni di legge e di regolamento rilevate durante l’ispezione con note 11.4.2002. La predetta autorità di controllo, esaminate le controdeduzioni degli interessati inviate il 17.5.2002, avrebbe poi trasmesso al Ministero dell’economia, in data 16 ottobre 2002, la sua proposta di sanzione, cui era seguito il decreto ministeriale poco sopra ricordato. Nel costituirsi dinanzi alla Corte d’Appello, il Ministero e la Consob eccepirono, in limine, l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva delle singole persone fisiche opponenti, chiedendo poi il rigetto nel merito dell’opposizione. La Sanpaolo IMI Asset Management SGR s.p.a. intervenirne volontariamente nei giudizi proposti da Gr.Vi. e F.M. Su conclusioni conformi del P.G. del 27 giugno 2005, la Corte d’Appello di Milano, previa riunione dei tre procedimenti, con decreto depositato il 26 novembre 2002, accolse le opposizioni, dichiarando l’illegittimità del decreto impugnato. Il giudice di merito, riconosciuta un’autonoma legitimatio ad opponendum in capo a ciascuna delle persone fisiche destinatarie delle sanzioni, e dichiarata preliminarmente superata la questione del litisconsorzio necessario tra tutti gli opponenti all’esito della disposta riunione dei giudizi per connessione oggettiva e (parzialmente) soggettiva, ritenne, nel merito, non rispettato il termine di conclusione del procedimento amministrativo sanzionatorio dinanzi alla Consob ai sensi della l. n. 241

590

del 1990, artt. 2 e 3, in combinato disposto con il Regolamento Consob 2 agosto 2000, n. 12697, avendo l’autorità di vigilanza inviato la proposta sanzionatoria al Ministero oltre il termine massimo di 180 giorni previsto dal detto regolamento attuativo della richiamata legge generale. La corte milanese pose, a fondamento del proprio decisum, la generale considerazione secondo cui principio generale regolatore dei procedimenti amministrativi (posto in diretta attuazione del fine del “buon andamento” della P.A. sancito dall’art. 97 Cost.), come desumibile dalla l. n. 241 del 1990, art. 2, primi tre commi, dovesse ritenersi quello per cui ogni procedimento andava concluso entro un termine predeterminato dalla legge o da un atto normativo secondario (ovvero ancora, in mancanza di autodeterminazione da parte dell’amministrazione interessata, entro quello, generale, di trenta giorni dall’inizio del procedimento). 2. – Il ricorso per cassazione. Avverso l’anzidetto decreto hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Consob, ai sensi dell’art. 111 Cost., e art. 360 c.p.c., comma 4, sulla base di tre motivi. Con il primo motivo, i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 100 c.p.c., l. n. 689 del 1981, artt. 6 e 22, d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, e dei principi generali in tema sia di legitimatio ad causam che ad processum, per avere la corte d’appello ravvisato la legittimazione ad agire anche in capo agli esponenti aziendali non ingiunti del pagamento della sanzione e il litisconsorzio necessario di essi con la società.


Corte Suprema di Cassazione

Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno censurato la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost., l. n. 241 del 1990, art. 2, l. n. 689 del 1981, art. 28, e d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, con violazione del principio lex specialis derogat legi generali e dei principi generali in tema di procedimento amministrativo. Hanno sostenuto, in particolare, che, nella specie, i termini previsti per le sanzioni sono meramente acceleratori e che nessun valore può avere il termine eventualmente autoassegnatosi dalla P.A.; che la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere il provvedimento sanzionatorio illegittimo perché emesso oltre il termine di 180 giorni per la trasmissione della proposta al Ministero di cui al Regolamento Consob 2 agosto 2000, n. 12697 e nel ritenere che il dies a quo della decorrenza del termine stesso fosse, per ciascun destinatario, il giorno del ricevimento della contestazione anziché, per tutti, dall’ultima di esse; che altrettanto erroneamente la Corte d’Appello aveva ritenuto applicabile alla fattispecie il termine di 120 giorni per l’emissione del decreto ministeriale sanzionatorio, previsto dal D.M. n. 304 del 1992 (modif. con il D.M. n. 325 del 1997) con riguardo alla diversa ipotesi delle sanzioni pecuniarie alle società di gestione di fondi comuni d’investimento ex l. n. 77 del 1983, inapplicabili al procedimento in questione, cui si applicano invece i termini di cui alla l. n. 689 del 1981, artt. 14 e 28, nel caso di specie rispettati, con la conseguente salvezza almeno dell’ingiunzione di pagamento verso la società, attesa l’autonomia delle posizioni dei coobbligati in solido. Con il terzo motivo, i ricorrenti hanno denunciato la

violazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost., d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, l. n. 689 del 1981, art. 28, e l. n. 241 del 1990, art. 2, con la violazione del principio lex specialis derogat legi generali e dei principi generali in tema di procedimento amministrativo, in quanto, per la legittimità del provvedimento amministrativo, è sufficiente che sia rispettato il termine finale del procedimento, nel caso di specie quello di 300 giorni (laddove, nel caso di specie, il decreto sanzionatorio sarebbe stato notificato entro 287 giorni dalle contestazioni, avvenute il 12 aprile 2002). Hanno, dunque, chiesto la cassazione del decreto impugnato. 3. – I controricorsi Sanpaolo Imi Asset Management SGR S.p.A. (ed altri), il controricorso Gr. e F. I controricorrenti hanno resistito eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso, perché preceduto dalla notifica, in data 9 aprile 2004, di altro ricorso non iscritto a ruolo e non rinunciato, che ha consumato il diritto all’impugnazione (Gr.) e tardivo, essendo stato il decreto impugnato notificato al Ministero il 26 novembre 2003 e il ricorso per cassazione il 17 maggio 2004 (la società e altri); mancante dell’esposizione dei fatti di causa (la società e altri); contenente, sub specie di violazione di legge, censure attinenti in realtà alla motivazione del decreto, non consentite nei ricorsi proponibili ex art. 111 Cost., (la società ed altri). Nel merito, è stata poi dedotta l’inammissibilità o l’infondatezza dei motivi, in quanto: – la questione del difetto di legittimazione attiva dei dipendenti persone fisiche era stata sollevata la prima volta in sede di legittimità (ricorso F.);

591


Commenti

– la specialità del sistema di cui al d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, che non richiama la disciplina di cui alla l. n. 689 del 1981, e prevede l’obbligo di regresso della società verso gli autori materiali, comportava la necessaria partecipazione di questi al giudizio di opposizione (tutti i ricorrenti); – con la relazione illustrativa al regolamento n. 12697 del 2000, la Consob aveva confermato l’assoggettamento del subprocedimento di formulazione della sua proposta alla l. n. 241 del 1990, art. 2, stabilendo il termine di cui al d.lgs. n. 58 del 1998, art. 190, in 180 giorni decorrenti dalla contestazione degli addebiti a ciascun incolpato; – quanto alla posizione del Ministero, il termine era invece quello di 120 giorni di cui alle tabelle allegate al D.M. n. 304 del 1992, coincidendo le S.G.R. con le società di gestione dei fondi comuni di investimento del periodo anteriore, così che il decorso del termine rendeva il decreto sanzionatorio illegittimo. 4. – L’ordinanza della 2^ Sezione civile n. 2731 del 2009 di trasmissione al Primo Presidente per la rimessione alle Sezioni Unite. Con ordinanza depositata il 4 febbraio 2009, n. 2731, la Sezione 2^ ha rimesso gli atti del procedimento a queste sezioni unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 3, sia per la particolare rilevanza della questione e sia per l’esistenza di un contrasto, con riguardo: 1) alla questione oggetto del primo motivo, in ordine alla quale l’ordinanza rileva come la Corte si sia più volte pronunciata, a sezioni semplici, nel senso di ritenere legittimato all’opposizione il solo soggetto in concreto ingiunto del pagamento della sanzione;

592

2) alla questione oggetto del secondo motivo, sulla quale la Corte si è difformemente pronunciata, ritenendo ora che nel procedimento d.lgs. n. 58 del 1998, ex art. 195, il termine di centottanta giorni, previsto dal regolamento n. 12697 del 2000 emanato dalla Consob in attuazione della l. n. 241 del 1990, artt. 2 e 4, abbia natura perentoria, e ora che, invece, la l. n. 241 del 1990, art. 2, comma 3, sia incompatibile con i procedimenti regolati dalla l. n. 689 del 1981, né rilevi che la Consob abbia emesso il regolamento predetto, nell’erroneo convincimento di esservi tenuta, non potendo un regolamento modificare le norme procedimentali della l. n. 689 del 1981. Nell’ordinanza si rileva come tanto la negazione della legittimazione attiva della persona fisica non ingiunta del pagamento quanto il contrasto giurisprudenziale sul termine, derivino “dal disconoscimento di una significativa specialità del relativo procedimento e dalle incertezze sull’esistenza e individuazione di particolari limiti all’applicabilità, sia alla sua fase amministrativa che a quella di opposizione, della generale disciplina dettata dalla l. n. 689 del 1981”, evidenziando, quindi, alcuni indici di differenza, consistenti nel fatto che: a) il decreto sanzionatorio venga pubblicato sul bollettino della Consob e possa ricevere ulteriori forme di pubblicità; b) il regresso della società sia obbligatorio; c) il giudizio di opposizione si svolga in un unico grado; d) il decreto sia impugnabile con il ricorso straordinario ex art. 111 Cost., nel caso di specie con le limitazioni anteriori alla modifica dell’art. 360 c.p.c.. Con ricorso proposto dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, la Sanpaolo IMI Asset Ma-


Corte Suprema di Cassazione

nagement SGR S.p.A. e undici propri esponenti aziendali, e, separatamente anche fra di loro, Gr.Vi. e F.M., hanno proposto opposizione, chiedendone l’annullamento, contro il D.M. 24 dicembre 2002, n. 35709, con il quale era stato ingiunto alla Sanpaolo IMI Asset Management SGR s.p.a. il pagamento di sanzioni pecuniarie, determinate per ciascun autore materiale della violazione, e con obbligo di regresso nei confronti dei medesimi. 5. – Le questioni processuali sollevate dai resistenti. Le eccezioni di inammissibilità del ricorso principale sono destituite di fondamento. I fatti risultano sia pur assai sinteticamente, esposti nell’incipit dell’atto di impugnazione così come integrato dalla lettura dei motivi, mentre, dall’esame della relazione di notificazione allegata al ricorso stesso, difatti, si evince che questa risulta compiuta in data 16 aprile 2004, onde, da un canto, la tempestività dell’impugnazione così come proposta dinanzi a questa corte, dall’altro, l’effetto di rinuncia implicita al primo ricorso, legittimamente conseguita alla suddetta notificazione 6) Le questioni rimesse alle S.U. 6.1) La legitimatio ad causam delle persone fisiche. 6.1.a) La procedura sanzionatoria prevista dal d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195. L’esercizio dell’attività bancaria e di intermediazione finanziaria riveste un preminente interesse pubblico ed è presidiata, a tutela degli interessi generali del mercato, da numerosi precetti di condotta, dal cui inadempimento derivano sanzioni di ordine penale e amministrativo in capo agli

organi sociali e agli altri esponenti aziendali. La parte 5^ del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, dopo avere delineato talune fattispecie penali (Titolo 1^, artt. 166 e 179), contempla sanzioni penali e amministrative con riguardo all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (Titolo 1 bis, introdotto dalla l. 18 aprile 2005, n. 62, artt. 180 e 187 quaterdecies) e, infine, prevede, con riguardo ad altre condotte, soltanto sanzioni amministrative (Titolo 2, artt. 187 quinquiesdecies e 196). Per queste ultime, il d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, sotto la rubrica “Procedura, sanzionatoria”, detta alcune regole generali del procedimento di opposizione avverso il provvedimento amministrativo sanzionatorio. La norma è formulata nel solco del preesistente d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 145, che (unica disposizione del Capo 5^ del Titolo 8^, dedicato alle sanzioni), è parimenti rubricato “Procedura sanzionatoria”. La procedura disciplinata dall’art. 145 cit. rappresenta, difatti, il modello di riferimento nella disciplina sanzionatoria dell’ordinamento finanziario, modello che oggi si applica ai soggetti che compiono attività di intermediazione, bancaria o non. Il d.lgs. n. 385 del 1993, art. 145, e il d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, prevedono, in particolare, una particolare procedura sia per l’irrogazione della sanzione, sia per l’impugnazione del relativo provvedimento, dettando disposizioni aventi carattere di specialità rispetto a quelle generali in materia di illeciti amministrativi, contemplate dalla l. 24 novembre 1981, n. 689, (i due articoli sono stati sostituiti poi

593


Commenti

dalla l. 18 aprile 2005, n. 62, art. 9, comma 2, lett. c), in attuazione di una disposizione comunitaria del 2004. In particolare, la l. n. 62 del 2005, art. 9, comma 7, prevede che le disposizioni recate dall’art. 195 del testo unico di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, come sostituito dal comma 2, lett. c), del presente articolo, si applicano ai procedimenti sanzionatori avviati con lettere di contestazione inoltrate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge. Le disposizioni del citato art. 195 nel testo vigente alla data di entrata in vigore della presente legge continuano a essere applicate ai procedimenti sanzionatori avviati prima della suddetta data, e alcuni commi sono stati ancora modificati dal d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164). Alla vicenda processuale sottoposta all’esame di questa corte, pertanto, si applicano le disposizioni del d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, nel testo anteriore alle citate modificazioni, essendo stato così disposto con riguardo a tutti i procedimenti sanzionatori che, come nella specie, siano stati avviati con lettere di contestazione inoltrate prima del 12 maggio 2005. Il quadro normativo offerto dal d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, si compone come segue: a) le sanzioni (oggi applicate dalla Banca d’Italia o dalla Consob, avendo il regime attuale rafforzato i poteri delle autorità tecniche di vigilanza) sono irrogate dal ministero dell’Economia e delle Finanze, con decreto motivato, su proposta della Banca d’Italia o della Consob, secondo le rispettive competenze. Il procedimento, formalmente introdotto con la contestazione degli addebiti, prevede(va) la sola valuta-

594

zione delle deduzioni degli interessati, presentate entro trenta giorni (oggi la legge richiede la contestazione entro centottanta giorni dall’accertamento – ovvero entro trecentosessanta giorni se l’interessato risiede o ha la sede all’estero –, valutate le deduzioni dallo stesso presentate nei successivi trenta giorni: all’esito, la Consob o la Banca d’Italia emettono un provvedimento motivato e, secondo la norma in vigore dal 12 maggio 2005, il procedimento amministrativo sanzionatorio è retto dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione, della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie); b) il provvedimento sanzionatorio è pubblicato, per estratto, sul Bollettino della Banca d’Italia o della Consob (tuttavia, mentre il testo originario prevedeva solo il possibile rafforzamento della pubblicità – stabilendo che il Ministero, su richiesta dell’autorità proponente, tenuto conto della natura della violazione e degli interessi coinvolti, potesse stabilire modalità pubblicitarie ulteriori, ponendo le relative spese a carico dell’autore della violazione –, la norma attuale – completando la possibilità di modulare la pubblicità secondo gli eventi concreti – ha disposto che la Banca d’Italia o la Consob, tenuto conto della natura della violazione e degli interessi coinvolti, possano escludere la pubblicità del provvedimento, quando la stessa sia suscettibile di mettere gravemente a rischio i mercati finanziari o di arrecare un danno sproporzionato alle parti; c) contro “il provvedimento di applicazione delle sanzioni è ammessa opposizione” innanzi alla Corte d’Ap-


Corte Suprema di Cassazione

pello del luogo in cui ha sede la persona giuridica cui appartiene l’autore della violazione, e, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, nel luogo in cui la violazione sia stata commessa (competenza precisata per le persone fisiche, nel 2007, in quella della Corte d’Appello del luogo di domicilio dell’autore della violazione); d) l’opposizione non sospende l’esecuzione del provvedimento, ma la Corte d’Appello, se ricorrono gravi motivi, può disporne la sospensione con decreto motivato (comma 5); e) la Corte d’Appello, su istanza delle parti, può fissare termini per la presentazione di memorie e documenti, nonché consentire l’audizione anche personale delle parti (comma 6); f) essa decide sull’opposizione in Camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, con decreto motivato (comma 7); g) copia del decreto della Corte d’Appello è trasmessa a cura della cancelleria ai fini delle pubblicazione, per estratto, nel Bollettino della Consob (comma 8); h) “la società e gli enti ai quali appartengono gli autori delle violazioni rispondono, in solido con questi, del pagamento della sanzione e delle spese di pubblicità previste dal secondo periodo del comma 3 e sono tenuti a esercitare il diritto di regresso verso i responsabili” (identica disposizione è contenuta al d.lgs. n. 385 del 1993, art. 145, comma 10). Con riguardo alla questione sottoposta a queste Sezioni Unite, le modificazioni normative intervenute medio tempore non ne hanno, peraltro, significativamente modificato termini e contenuto.

In premessa, va rilevato come, in forza delle menzionate disposizioni, il procedimento di opposizione di cui alla l. n. 58 del 1998, art. 195, tragga linfa da due distinti modelli normativi: l’opposizione a sanzioni amministrative prevista in generale dalla l. n. 689 del 1981, e il rito camerale disciplinato dall’art. 737 c.p.c. e ss. Nel contempo, non avendo il legislatore inteso rinviare ad alcun altro schema (come testualmente disposto, per converso, dal d.lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies, comma 6, a mente del quale “il giudizio di opposizione si svolge nelle forme previste dalla l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, in quanto compatibili”), esso si caratterizza in termini di modello procedimentale autonomo, i cui caratteri di specialità devono essere pertanto ricostruiti dall’interprete. 6.1.b) La legittimazione ad opponendum – Premesse normative e metodologiche. Il problema della legittimazione attiva nel procedimento di cui al d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, già sollevato dinanzi alla Corte territoriale da parte della Consob, si pone con riguardo alla persona fisica autrice della violazione, sanzionata ma non direttamente ingiunta, attesa la prassi (diffusa non solo nel settore finanziario, ma anche in quello previdenziale, ambientale, ecc, e dunque anche laddove si applicano le norme comuni sulle sanzioni amministrative di cui alla l. n. 689 del 1981) secondo cui la P.A., pur svolgendo l’intero procedimento amministrativo (anche) nei confronti degli autori materiali delle violazioni, emette poi, all’esito degli accertamenti, un decreto sanzionatorio unico a struttura complessa, il quale contiene,

595


Commenti

da un lato, l’accertamento della violazione commessa da ciascuna persona fisica e la sanzione alla medesima comminata, e, dall’altro, l’ingiunzione di pagamento rivolta soltanto alla persona giuridica, quale obbligata in solido, per l’intero importo sanzionato. Il decreto viene, peraltro, notificato a tutti i soggetti “interessati”, e (va sottolineato) pubblicato – nell’ambito del settore bancario e finanziario – sul bollettino della Banca d’Italia o della Consob. La delicata questione della legitimatio ad opponendum sorge, pertanto, in conseguenza di tale, peculiare vicenda procedimentale, all’esito della quale l’autorità ingiunge il pagamento unicamente alla persona giuridica, così che si è fortemente dubitato e si dubita se solo quest’ultima possa proporre opposizione al decreto – incardinando un giudizio al quale, in caso di rigetto dell’opposizione, seguiranno, secondo una scansione diacronica degli effetti, il pagamento da parte dell’ente, l’azione di rivalsa verso i singoli responsabili, il relativo pagamento di regresso – o se, invece, anche i singoli responsabili dell’illecito siano legittimati a opporsi al decreto sanzionatorio onde rappresentare, in quel giudizio, le loro ragioni. La questione (che, attenendo al limite della potestas iudicandi del giudice adito, avrebbe potuto essere oggetto anche di esame officioso: per tutte, Cass., sez. 2^, 11 febbraio 2009, n. 3401), è stata sollevata espressamente, dinanzi a questa Corte, in sede di ricorso la parte della difesa della Consob che ha (pur se implicitamente) altresì sollevato l’interrogativo preliminare volto a stabilire quali ripercussioni abbiano, sul pia-

596

no del processo, i particolari modelli sostanziali previsti dalla legge di settore, attese le irredimibili divergenze esistenti fra la disciplina comune e quella dettata in materia bancaria e finanziaria. Mentre la l. n. 689 del 1981, art. 22, prevede, di fatti, che, contro l’ordinanza – ingiunzione di pagamento “gli interessati possono proporre opposizione”, né il d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, (ove si legge che “contro il provvedimento di applicazione delle sanzioni è ammessa opposizione…”, nel testo applicabile al caso di specie), n il d.lgs. n. 385 del 1993, art. 145, (“contro il provvedimento che applica la sanzione è ammessa opposizione…) menzionano il soggetto legittimato all’opposizione stessa. La diversa formulazione delle norme non pare, peraltro, destinata a incidere significativamente sui termini del problema, essendo del tutto ovvio che, secondo i principi che regolano i procedimenti civili, per introdurre un giudizio occorra avervi “interesse” (art. 100 c.p.c.) ed esservi legittimati. Più approfonditi spunti di riflessione inducono ancora, a giudizio di questa corte, altre disposizioni normative, pur sopra ricordate. Da una parte, infatti, il provvedimento sanzionatorio è reso noto, nel mercato degli operatori e degli investitori, attraverso la pubblicazione per estratto sul Bollettino della Banca d’Italia o della Consob (art. 195, comma 3, e art. 145, comma 3, cit., il quale ultimo, a sua volta, dispone, per talune particolari sanzioni, la pubblicazione su almeno due quotidiani a diffusione nazionale, di cui uno economico) mentre sul medesimo Bollettino va pubblicato anche il decreto della Corte d’Appello che decide l’opposizione (art. 195,


Corte Suprema di Cassazione

comma 8, e art. 145, comma 8, cit.) – la pubblicazione del provvedimento sanzionatorio (che viene disposta immediatamente e anche in pendenza del ricorso in opposizione) costituisce, in particolare, misura indubitabilmente afflittiva, sol che si consideri l’ambito bancario-finanziario di riferimento (tanto che in dottrina se ne è da più parti predicata la natura di sanzione accessoria a finalità punitiva). Dall’altra parte, lo stesso d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, (allo stesso modo del d.lgs. n. 385 del 1993, art. 145) si chiude con due rilevanti disposizioni sostanziali, secondo cui “la società e gli enti ai quali appartengono gli autori delle violazioni rispondono, in solido con questi, del pagamento della sanzione e delle spese di pubblicità previste dal secondo periodo del comma 3”, mentre le stesse “sono tenuti ad esercitare il diritto di regresso verso i responsabili”. La regola della solidarietà fra l’obbligazione gravante sull’autore materiale del fatto e quella posta a carico della persona giuridica – sancita dal d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, u.c., – risulta già prevista, nell’ambito della disciplina generale in tema di sanzioni amministrative, dalla l. n. 689 del 1981, art. 6, (il quale, prevede, al secondo comma, che “se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l’ente o l’imprenditore è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta”, e, al comma 4, che “nei casi previsti dai commi precedenti chi

ha pagato ha diritto di regresso per l’intero nei confronti dell’autore della violazione”): ma non pare senza rilievo che, se le norme dei menzionati artt. 6, 145 e 195 introducono tutte la responsabilità solidale della persona giuridica, soltanto in quelle concernenti il settore finanziario e bancario impongono di agire in regresso contro l’autore della violazione. Il testo unico bancario e il testo unico della finanza si sono, pertanto, discostati dalla disciplina generale nel sostituire al “diritto” di regresso un vero e proprio “obbligo” di agire onde ottenere dall’autore dell’illecito il rimborso della somma pagata (tali indici di specialità sono stati puntualmente individuati dall’ordinanza della Seconda Sezione civile di questa Corte del 4 febbraio 2009, n. 2731, la quale, nel trasmettere gli atti al Primo Presidente per la conseguente rimessione alle Sezioni Unite in ordine alla questione che ne occupa, non ha mancato di osservare come l’affermazione della carenza di legittimazione degli esponenti aziendali o dipendenti a impugnare il decreto di applicazione delle sanzioni emesso ai sensi del d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, nel caso in cui non ne sia stato loro ingiunto il pagamento, deriva dal disconoscimento di una significativa specialità del relativo procedimento, nonostante che: a) il decreto di applicazione delle sanzioni debba essere pubblicato per estratto sul bollettino della Consob e dalla pubblicazione derivino all’esponente aziendale e al dipendente sanzionato, indipendentemente dall’ingiunzione del pagamento, effetti per lui direttamente e immediatamente pregiudizievoli; b) il regresso della società-intermediario destinataria dell’ingiunzione

597


Commenti

nei confronti dei dipendenti sanzionati sia obbligatorio e non facoltativo; c) il giudizio di opposizione si svolga in unico grado; d) il decreto sia impugnabile con il ricorso straordinario previsto dall’art. 111 Cost.”). Queste sezioni unite sono pertanto chiamate a dare preliminare risposta al quesito se tali previsioni – e, in particolare, quella afferente all’obbligo di regresso – siano indice di una portata sistematica più pregnante che all’apparenza e se esse siano conseguentemente idonee a spiegare influenza sulla soluzione della questione della legitimatio ad oppenendum delle singole persone fisiche. Le soluzioni astrattamente predicabili, al riguardo, risultano: 1) Esclusione tout court della legitimatio ad opponendum delle singole persone fisiche, cui andrebbe conseguentemente riconosciuta la speculare facoltà di difendersi in sede di giudizio di regresso: a tale soluzione consegue l’ulteriore questione dei limiti entro cui tali difese risulterebbero legittimamente proponibili (dei limiti, cioè, della eventuale opponibilità del giudicato formatosi nel procedimento di opposizione introdotto dall’ente sanzionato); 2) Riconoscimento di una legittimazione ad agire autonoma secondo il modello del litisconsorzio facoltativo c.d. originario (art. 103 c.p.c.), e/o 3) Riconoscimento di una legittimazione ad intervenire personalmente nel giudizio di opposizione introdotto dalla società sempre secondo un modello litisconsortile facoltativo c.d. successivo (art. 105 c.p.c.); 3) Riconoscimento di una posizione sostanziale inscindibilmente connessa tra l’autore della violazione

598

e l’ente sanzionato, tale da generare una fattispecie di litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.). è convincimento di queste sezioni unite, da un canto, che la legitimatio ad opponendum della persona fisica non sia seriamente contestabile, quanto alla sua stessa esistenza, in seno al procedimento di opposizione dinanzi al giudice civile; dall’altro, che il regime processuale nella specie applicabile, con riguardo alla persona fisica sanzionata/non ingiunta, sia quello del litisconsorzio soltanto facoltativo. A tale soluzione è lecito, peraltro, pervenire, soltanto all’esito di una (inevitabilmente incompleta) analisi della fattispecie sotto il più generale profilo dell’interesse ad agire, dell’efficacia (eventualmente riflessa) del giudicato, del tipo di litisconsorzio predicabile nell’ipotesi di obbligazione solidale tanto “classica” quanto “atipica” (come quella di specie, astrattamente assimilabile, sia pur soltanto in parte qua, all’obbligo tributario), avuto riguardo alle posizioni assunte sia dalla giurisprudenza di questa corte sia dalla dottrina processualcivilistica occupatasi ex professo dell’argomento. 6.1.c/1) Gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità – La tesi restrittiva. Secondo l’orientamento più restrittivo, ormai prevalente anche fra i giudici di merito (benché disatteso dalla corte territoriale nel caso di specie) e pressoché unanime nella giurisprudenza di questa Corte, la legittimazione all’opposizione apparterebbe esclusivamente alla persona giuridica, in quanto unica concreta destinataria del provvedimento ingiuntivo di pagamento.


Corte Suprema di Cassazione

La tesi è seguita sia con riguardo al generale procedimento di opposizione all’ordinanza/ingiunzione a sanzioni amministrative previsto dalla l. n. 689 del 1981, art. 22, (Cass. sez. 1^, 14 aprile 2006, n. 8818; Cass. sez. 2^, 28 febbraio 2006, n. 4506; Cass. sez. 1^, 2 dicembre 2003, n. 18389; Cass. sez. lav., 19 settembre 2001, n. 11819; Cass. sez. 3^, 27 gennaio 2001, n. 587; Cass., sez. lav. 4 febbraio 1998, n. 1144; Cass. sez. 1^, 22 luglio 1996, n. 6573; nella giurisprudenza di merito, App. Brescia, sez. 1^, decr. 12 giugno 2008, P. Consob), sia con più specifico riferimento al procedimento di opposizione alle sanzioni amministrative pecuniarie in materia di attività bancaria e di intermediazione finanziaria di cui (al d.lgs. n. 385 del 1993, art. 145, e) al d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, (Cass. sez. 2^, 11 febbraio 2009, nn. 3401 e 3402; 16 febbraio 2009, n. 3752; Cass. sez. 2^, 4 luglio 2008, n. 18517; Cass. sez. 2^, 23 maggio 2008, n. 13393; Cass. sez. 2^, 29 aprile 2008, n. 10835; Cass. sez. 2^, 6 marzo 2007, n. 5139; Cass. sez. 2^, 15 dicembre 2006, n. 26944; Cass. sez. 1^, 22 dicembre 2004, n. 23783; per la giurisprudenza di merito, App. Roma 21 luglio 2004). Essa si fonda sui seguenti passaggi logico-argomentativi: a) l’autorità pubblica ha piena discrezionalità di agire contro uno qualunque dei coobbligati, in quanto la legge pone una responsabilità solidale tra la persona giuridica e i soggetti autori materiali delle violazioni, e, perciò, i destinatari del decreto di applicazione delle sanzioni possono essere, congiuntamente o disgiuntamente, le persone giuridiche solidalmente obbligate con gli autori delle

violazioni e gli autori stessi, secondo la scelta dell’autorità, che può agire contro entrambi i coobbligati o contro uno o l’altro di questi, in virtù del vincolo intercorrente tra l’autore materiale della violazione e la persona giuridica; b) le posizioni dei coobbligati solidali sono autonome nei confronti del creditore; c) non sussiste alcun litisconsorzio necessario tra coobbligati solidali; d) sebbene l’oggetto del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa sia l’accertamento negativo della pretesa dell’amministrazione espressa mediante l’ingiunzione, il procedimento è pur sempre strutturato come impugnatorio dell’atto amministrativo; e) la legittimazione all’opposizione non discende dal mero interesse c.d. procedimentale: la legge legittima all’opposizione il soggetto “interessato” e tale è non chi astrattamente abbia ricevuto la contestazione o alla cui condotta sia conseguita la sanzione, ma soltanto il soggetto colpito dall’ingiunzione; f) la legittimazione a proporre opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio può derivare soltanto dall’interesse giuridico all’annullamento del provvedimento di cui il soggetto sia diretto destinatario, ossia a rimuovere il pregiudizio, derivante dall’essere il coobbligato l’immediato destinatario del provvedimento e la persona direttamente assoggettata, in forza di esso, al pagamento della sanzione in favore dell’autorità emittente, mentre chi non è destinatario dell’ingiunzione non ha nessun interesse a domandarne l’annullamento; nel caso in cui la società paghi, senza opposi-

599


Commenti

zione, si afferma che, parimenti, non può ravvisarsi un interesse giuridico della persona fisica a proporre l’opposizione; g) la legittimazione a proporre opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio non può derivare da un interesse di fatto di uno dei coobbligati alla rimozione di esso; h) il condebitore non ingiunto potrà contestare il proprio obbligo di rispondere delle sanzioni e la sussistenza stessa della violazione nel giudizio di regresso promosso nei suoi confronti dalla società, venendo in tal modo tutelato il suo diritto di difesa; e ciò perché: i) l’efficacia riflessa del giudicato non si estende ai terzi che siano titolari, non già di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo, ma di un diritto autonomo rispetto al rapporto giuridico definito con il giudicato stesso; j) nessun particolare rilievo riveste la specifica previsione dell’obbligo di regresso del coobbligato nei confronti dell’autore della violazione, in ragione dell’inefficacia nei confronti di quest’ultimo del decreto di applicazione della sanzione emesso nei confronti del primo, inefficacia la quale esclude che nel relativo giudizio, sia esso facoltativo o obbligatorio, possa fare stato l’accertamento del debito nei riguardi del coobbligato e che in esso il convenuto trovi un qualsiasi limite alla possibilità di proporre tutte le eccezioni idonee a paralizzare la pretesa dell’attore, sia quanto al fondamento del provvedimento, sia quanto ai contenuti eventualmente emersi nel procedimento di opposizione, al quale egli non sia stato chiamato a partecipare.

600

6.1. c/2 – La tesi estensiva. Del tutto minoritario risulta, per converso, l’orientamento secondo il quale, in materia di sanzioni amministrative pecuniarie, la legittimazione a proporre l’opposizione sussiste anche in capo agli esponenti aziendali, tutti ritenuti titolari di un interesse effettivo e attuale – oltre che giuridicamente rilevante – a opporsi al decreto sanzionatorio sebbene non ingiunti del pagamento, essendo state le loro condotte puntualmente valutate dall’ente onde infliggere poi la sanzione per ciascuna condotta comminata. Una isolata pronuncia di questa Corte Cass. sez. lav., 17 gennaio 1998, n. 415) ha, difatti, predicato il principio di diritto secondo il quale, in tema di violazioni soggette a sanzioni pecuniarie amministrative (nella specie, l’assunzione di un dipendente non per il tramite dell’ufficio provinciale del lavoro) il carattere solidale della responsabilità della persona giuridica in ordine alla somma dovuta dal suo rappresentante, autore dell’illecito, comporta non solo che sia l’una che l’altro devono considerarsi “interessati”, ai sensi della l. n. 689 del 1981, art. 22, comma 1, a contestare la legittimità della sanzione e quindi legittimati a proporre opposizione contro l’ordinanza-ingiunzione, ma anche che è configurabile un litisconsorzio necessario – attivo e passivo – tra la persona giuridica e il responsabile dell’illecito, che rende procedibile l’opposizione solo se a entrambi sia assicurata la possibilità di partecipare al giudizio”. Si legge, a quest’ultimo proposito, in motivazione, che allorquando l’opposizione a ordinanza-ingiunzione è proposta dal solo trasgressore o, come


Corte Suprema di Cassazione

nella specie, dal solo responsabile solidale (a ciascuno dei quali sia stata eseguita la dovuta contestazione), sorge il problema se sia da configurare il necessario litisconsorzio dell’altro soggetto interessato”, e la risposta negativa non è stata ritenuta convincente da quel collegio, sia per il rischio di un possibile contrasto di giudicati, sia per la tutela del diritto di difesa (un cenno alla problematica del litisconsorzio necessario è altresì contenuto nella pronuncia di cui a Cass. sez. 1^, 19 aprile 2000, n. 5085, che lo risolve a sua volta in senso affermativo, ricorrendo, peraltro, alla fattispecie del litisconsorzio processuale). Mette ancora conto di rammentare, onde rendere l’actio finium regundorum della specifica materia il più possibile completa, che la dottrina – benché non particolarmente appassionata alla specifica questione della legittimazione attiva della persona fisica non ingiunta – appare a sua volta divisa: se alcuni autori concordano nell’escluderla tout court, con riguardo al procedimento generale di cui alla l. n. 689 del 1981, non manca chi, con dovizia di argomentazioni, ha con forza sostenuto la tesi opposta, in quanto, pur nella astratta condivisibilità dell’orientamento negativo enunciato in linea generale, questo non si attaglierebbe al peculiare procedimento in esame, in ragione della non automatica trasferibilità delle soluzioni imposte dalla l. n. 689 del 1981, art. 6, al procedimento di cui al d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, attesane la specialità rispetto alla disciplina generale delle sanzioni amministrative. 6.1.d) La ricostruzione sistematica della fattispecie alla luce dell’obbligo di regresso.

La ricostruzione in termini logico-sistematici della questione della legitimatio ad opponendum non può prescindere, a giudizio di queste sezioni unite, dal rilievo che va attribuito alla peculiare previsione normativa dell’obbligo di regresso di cui al d.lgs. n. 385 del 1993, art. 145, comma 10, e d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9. Nella pur astratta condivisibilità dell’affermazione secondo cui, a parti invertite, la società non sarebbe legittimata a opporsi al provvedimento sanzionatorio emesso a carico della persona fisica autrice della violazione, non sembra potersi dire per ciò solo appagante la soluzione che nega legittimazione alla persona fisica nello speculare caso di ingiunzione emessa a carico della sola società, come pure sostenuto sino a oggi dalla pressoché unanime giurisprudenza di questa corte di legittimità. A dissonante soluzione pare lecito pervenire prendendo le mosse dal principio, costantemente affermato dalla Corte medesima, secondo il quale la legittimazione ad agire, o legitimatio ad causam, attiene alla verifica, alla stregua della prospettazione offerta dall’attore, della regolarità processuale del contraddittorio – e la sua mancanza è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio –, mentre l’accertamento dell’effettiva titolarità, attiva e passiva, del rapporto, riguardando il merito della controversia, è questione soggetta all’ordinaria disciplina dell’onere probatorio (in dottrina si discorre sovente di titolarità dell’azione, requisito che condiziona l’attitudine del processo a pervenire a una pronuncia sul merito, e la parte processuale legittimata è anche detta giusta parte o legittimo contraddittore).

601


Commenti

La legittimazione ad agire, dunque, è basata sull’esistenza, in capo al soggetto, di un interesse personale, qualificato e differenziato, che consente al medesimo di agire laddove ad altri non sia permesso e anche se altri, ove pure legittimati, non intendano farlo: la legittimazione (nella specie, all’opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio), pertanto, può derivare soltanto da un interesse giuridico. Occorre, peraltro, considerare se sia tale non soltanto l’interesse esistente in capo all’obbligato “immediato al pagamento della sanzione in favore dell’autorità emittente, ma anche quello di cui risulti titolare l’obbligato mediato” per via dell’azione di regresso, azione, si badi, obbligatoria (e a esito obbligato), contrariamente a quanto disposto in via generale in tema di solidarietà passiva. Appare quantomeno dubbio, sulla base di tali premesse, che l’interesse del coobbligato/persona fisica alla rimozione del provvedimento (id est, così all’intervento come alla stessa opposizione autonoma), possa legittimamente relegarsi entro la (inaccettabilmente riduttiva) dimensione del mero interesse di fatto a sottrarsi all’esperimento dell’azione di regresso, perché altrettanto dubbia si appalesa la pur ricorrente affermazione secondo cui il condebitore non ingiunto potrebbe contestare tout court il proprio obbligo di rispondere delle sanzioni nel giudizio di regresso, eventualmente promosso nei suoi confronti dal condebitore ingiunto. Affermazione che, se appare del tutto legittima con riferimento al giudizio di regresso eventuale (ai sensi della l. n. 689 del 1981, art. 6, comma 4), risulta viceversa impredicabile

602

se trasposta acriticamente in seno al procedimento di regresso obbligatorio, ex lege di cui alla l. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9. L’analisi va pertanto proseguita con riguardo all’oggetto del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il procedimento di opposizione – sebbene costruito formalmente come giudizio di impugnazione dell’atto – è pur sempre volto all’accertamento negativo della pretesa dell’amministrazione, di talché l’atto è il veicolo di accesso al giudizio di merito, al quale si perviene per il tramite dell’impugnazione dell’atto, (come è lecito ricavare dal disposto dell’art. 23, comma 2, sull’ordine alla pubblica amministrazione di depositare copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonché dalla contestazione o notificazione della violazione, non giustificabili ove il giudizio fosse limitato all’atto), così che, dal punto di vista procedimentale, l’opposizione si configura come atto introduttivo di un processo civile, le cui regole generali – in difetto di espressa contraria disposizione – non possono non applicarsi… nell’ambito di un giudizio su un rapporto giuridico obbligatorio che vede come creditore lo Stato-amministrazione (così, in motivazione, Cass., sez. un., 19 aprile 1990, n. 3271, con riguardo alla questione, risolta in senso affermativo, se nel giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione il giudice debba decidere in base alla domanda e ai fatti e alle ragioni specificamente e ritualmente dedotti, sicché incorre nella violazione dell’art. 112 c.p.c., ove accolga l’opposizione per una causa petendi diversa


Corte Suprema di Cassazione

da quella originariamente prospettata, quando essa comporti un vero e proprio mutamento degli elementi di fatto posti a base della pretesa stessa; nello stesso senso, di recente, Cass. sez. lav., 24 luglio 2008, n. 20375, a mente della quale il decorso del termine per proporre opposizione preclude ogni accertamento giudiziale, appunto, dell’inesistenza del credito dell’amministrazione per la sanzione. In tale prospettiva, sempre secondo queste SS.UU., la devoluzione al giudice amministrativo di talune controversie – analoghe, nei contenuti, a quelle degli artt. 145 e 195 cit. rimesse al giudice ordinario – non lede la Costituzione, perché anche ivi il giudice ha pieni poteri di accertamento, a tutela delle posizioni giuridiche lese. Difatti, con riferimento alla l. n. 57 del 2001, art. 6, che postula, la giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie concernenti i provvedimenti con cui il ministro irroga le sanzioni pecuniarie e disciplinari previsti dalle norme che disciplinano l’esercizio delle assicurazioni private, alla luce della giurisprudenza del giudice delle leggi, stante l’inscindibile intreccio tra diritti soggettivi e interessi legittimi in una materia delimitata e particolare come quella suddetta, la piena terzietà del giudice amministrativo e la pienezza dei poteri a esso riconosciuti a tutela delle situazioni giuridiche lese, senza che, inoltre, possa configurarsi un procedimento amministrativo – quale quello che si snoda con modalità bifasica attraverso l’attribuzione dell’istruttoria all’Isvap e della valutazione definitiva ai fini dell’irrogazione della sanzione all’autorità ministeriale – che, sulla base della pretesa minore garanzia assicurata, renda necessa-

ria l’attribuzione delle controversie al giudice ordinario sul modello di discipline di materie solo in parte similari – tra le altre, quella bancaria –, è manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 102, 103, 111 e 113 Cost.: così, Cass., sez. un., 29 novembre 2007, n. 24816). La stessa giurisprudenza amministrativa, con riguardo al giudizio di opposizione alle sanzioni applicate in base alla disciplina della concorrenza e del mercato di competenza del G.A. in base alla l. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 33, ha dal suo canto opinato (Cons. Stato, sez. 6^, 16 marzo 2006, n. 1397) che il sindacato del giudice amministrativo sulle sanzioni pecuniarie irrogate dall’autorità garante della concorrenza e del mercato è pieno e può giungere sino alla sostituzione della sanzione irrogata a conclusione di un giudizio di merito sulla congruità del provvedimento sanzionatorio. Sul piano morfologico, pertanto, il giudizio di opposizione si struttura non solo come accertamento negativo della pretesa di pagamento dell’autorità, ma, più in generale, come verifica della correttezza della comminatoria della sanzione quale accertamento dell’esistenza dell’illecito secondo l’autorità medesima. Sul piano funzionale, scopo dell’opposizione è poi quello, più ampio, di accertare la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito e della pretesa sanzionatoria dell’autorità irrogante – e, dunque, non della sola ingiunzione. Così ricostruito il piano strutturale ed effettuale del giudizio, appare sempre meno condivisibile una soluzione che neghi il potere di c.d. impugna-

603


Commenti

zione a chi abbia interesse a quell’accertamento. Né pare legittima l’obiezione secondo cui il procedimento di opposizione e quello di regresso sarebbero tra sé del tutto eterogenei – in quanto il primo avrebbe a oggetto l’annullamento o la riforma dell’atto amministrativo, il secondo l’accertamento della responsabilità del fatto illecito –, tali affermazioni peccando l’una per difetto, l’altra per eccesso: il giudizio di opposizione, difatti, non si limita a sindacare la regolarità dell’atto, ma accerta i presupposti sostanziali dell’illecito e della sanzione; il giudizio di regresso, dal suo canto, nel caso in esame, non può estendersi ad accertare ex novo i presupposti di applicazione della sanzione al fatto illecito, non risultando oggi seriamente sostenibile, anche alla luce dei nuovi principi costituzionali sul giusto processo, che il responsabile, convenuto in rivalsa obbligatoria, possa porre nuovamente e interamente in discussione (sia pur con riferimento alla, propria posizione processuale) gli accertamenti del primo procedimento. L’analisi della fattispecie si sposta, inevitabilmente, sulla struttura e sugli effetti dell’obbligazione solidale rispetto al processo di opposizione. Non vi è dubbio che sia la legge a prevedere la solidarietà fra le obbligazioni della persona giuridica e dei soggetti autori delle violazioni, i quali possono, dunque, essere indifferentemente astretti all’adempimento dal creditore (pur non mancando, in dottrina, chi ha dubitato anche di tale affermazione, ritenendo che dall’obbligo di regresso derivi la corrispondente limitazione della discrezionalità dell’autorità di ingiungere il paga-

604

mento solo all’ente, dovendo ritenersi sempre obbligata anche a chiedere il pagamento direttamente agli autori materiali). Né par lecito dubitare della legittimità dell’irrogazione di una sanzione non congiunta a ingiunzione di pagamento nei confronti della persona fisica responsabile dell’illecito, poiché, come opportunamente osservato funditus anche da una recente giurisprudenza di merito, ben può il provvedimento sanzionatorio contemplare il mero accertamento (e non anche l’ingiunzione di pagamento) della sanzione nei confronti del responsabile della violazione (senza che, in difetto, possa assumersene la invalidità per violazione di legge), prevedendo anzi la stessa disposizione normativa (art. 195, u.c.) che il regresso sia esercitato dall’istituto di credito di appartenenza del funzionario responsabile della violazione dopo il pagamento della stessa sanzione da parte della banca. In virtù del generale meccanismo delle obbligazioni solidali, il creditore può richiedere l’intero a un condebitore e il pagamento ha effetto liberatorio per tutti i condebitori (art. 1292 c.c.), anche se il vincolo che lega i condebitori non si atteggia in tutti i casi allo stesso modo: in particolare, nelle obbligazioni solidali ad interesse unisoggettivo (o solidali improprie o imperfette o disuguali), pur sussistendo i requisiti della pluralità dei soggetti e dell’unicità della prestazione, manca l’eadem causa obligandi, onde la funzione esclusiva della solidarietà è costituita dalla garanzia del creditore (per lo più disposta dalla legge) e postula un nesso di pregiudizialità-dipendenza fra le obbligazioni, in quanto l’obbligo del soggetto vincolato in


Corte Suprema di Cassazione

via principale si atteggia come fatto costitutivo dell’altro. Così, se il meccanismo dell’art. 1292 c.c., disegna, nei rapporti esterni, una architettura autonoma del vincolo di ciascun coobbligato verso il creditore – il quale può soddisfarsi chiedendo il pagamento dell’intero indifferentemente all’uno o all’altro dei condebitori, con conseguente liberazione degli altri –, nondimeno nei rapporti interni possono rinvenirsi situazioni soggettive condebitorie caratterizzate da un diverso grado di dipendenza. Un indiscutibile vincolo di dipendenza fra obbligazioni sorge – nel caso del d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9, – in ragione della previsione (affatto peculiare) dell’obbligo di regresso, che ne esclude ipso facto ogni autonomia sostanziale. Nella fattispecie contemplata dalla norma in parola, difatti, la posizione dell’autore materiale/condebitore sembra destinata a restare inevitabilmente e definitivamente pregiudicata dal provvedimento sanzionatorio, ingiunto, peraltro, nei confronti della (sola) persona giuridica, la quale, dal suo canto, nei rapporti interni, è obbligata per legge a non lasciare a carico del proprio patrimonio la sanzione pecuniaria e a chiedere il rimborso al suo dipendente (o organo) che il decreto sanzionatorio abbia ormai individuato come responsabile di una condotta applicando una conseguente sanzione; in capo alla persona giuridica nasce, dunque, un’obbligazione accessoria ex lege, che presuppone quella principale ma che, all’esito dell’accertamento, deve gravare per intero sul singolo responsabile. Non sembra azzardato ipotizzare, dunque, che tale, peculiare mecca-

nismo strutturale instauri, sia pur ai limitati fini della legitimatio ad opponendum, un legame funzionale fra le due obbligazioni di natura non del tutto omogenea a quello proprio delle obbligazioni solidali tipiche (in particolare quelle c.d. “ad interesse comune”), per le quali è prevista la semplice facoltà (e non l’obbligo) di regresso pro quota in capo al condebitore che abbia pagato l’intero. È proprio dall’analisi delle caratteristiche dell’azione di regresso “ordinaria”, così come ricostruita in dottrina e in giurisprudenza, che la questione pare avviarsi a soddisfacente soluzione. Soluzione cui non può, peraltro, non precedere una preliminare ricostruzione, in tema di obbligazioni solidali ordinarie, del c.d. “effetto da giudicato”. La questione, come noto, è tutt’altro che pacifica in dottrina (parte della quale, sul tema dell’efficacia riflessa, ricorda che l’art. 2909 c.c., riguarda l’autorità del giudicato e non l’efficacia della sentenza, tanto da non rappresentare alcun ostacolo all’estensione ai terzi dell’efficacia della pronuncia; evidenzia l’estraneità al tema del giudicato del riconoscimento alla sentenza del valore di fatto storico, diversi essendo valore storico ed efficacia giuridica della decisione; specifica ancora come l’efficacia diretta riguardi i terzi titolari del rapporto deciso e l’efficacia riflessa i terzi titolari di un rapporto diverso ma collegato, di talché “i limiti soggettivi del giudicato sono un riflesso dei limiti oggettivi”), mentre la stessa giurisprudenza di questa corte appare oscillante, non avendo mancato di ammettere, da un canto, la legittimità dei c.d. effetti riflessi (Cass. 6 settembre 2007, n. 18725,

605


Commenti

predicativa dell’efficacia riflessa del giudicato verso il terzo in un giudizio di tema di risarcimento dei danni derivanti dalla falsità di una fideiussione, accertata in altro giudizio cui il terzo era rimasto estraneo; Cass. 3 settembre 1999, n. 9294, secondo cui il giudicato di annullamento del trasferimento a titolo oneroso dell’immobile, pronunciato nel giudizio instaurato dal locatore nei confronti dell’acquirente, produce i suoi effetti riflessi nei confronti del conduttore; Cass. 1 marzo 2007, n. 4864, a mente della quale il giudicato “oltre ad avere, ai sensi dell’art. 2909 c.c., una efficacia diretta nei confronti delle parti – nonché dei loro eredi o aventi causa –, è dotato di un’efficacia riflessa nel senso che la sentenza, come affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche anche nei confronti di soggetti terzi, rimasti cioè estranei al processo in cui è stata emessa, allorquando tali soggetti siano titolari di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo o comunque di un diritto subordinato a tale situazione, sicché, nel caso in cui tale situazione si determini, il terzo ben può far valere l’ingiustizia di una siffatta decisione ove questa sia nei suoi confronti produttiva di danno”), salvo, dall’altro, a escluderla (Cass. sez. un., 12 marzo 2008, n. 6523, specificamente in tema di rapporti fra giudizio di opposizione a sanzione amministrativa pecuniaria per indebita percezione di aiuti comunitari e giudizio per la restituzione degli aiuti stessi, secondo la quale “soltanto il collegamento di pregiudizialità – dipendenza in senso giuridico legittima l’efficacia riflessa del giudicato nei confronti di soggetti eventualmente estranei al relativo giu-

606

dizio, ma detta categoria giuridica è riscontrabile, per opinione unanime anche della dottrina, solo allorché un rapporto giuridico – pregiudiziale o condizionante – rientri nella fattispecie di altro rapporto giuridico-condizionato, dipendente –, sicché ogni qual volta non possa riscontrarsi una tale coincidenza, sia pure parziale, ma emergano solo nessi di fatto o logici tra i due rapporti dedotti in giudizio, non vi sono i presupposti perché si determini detta efficacia riflessa”; Cass. 18 febbraio 2008, n. 3960, secondo cui il giudicato può spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale quando esso contenga un’affermazione obiettiva di verità che non ammette la possibilità di un diverso accertamento, ma tali effetti riflessi, oltre che dagli ordinari limiti soggettivi, sono impediti tutte le volte in cui il terzo vanti un proprio diritto autonomo rispetto al rapporto in ordine al quale il giudicato è intervenuto, non essendo ammissibile che egli ne possa ricevere un pregiudizio giuridico” – la fattispecie verteva in tema di diritti dello stipulante e del beneficiario di contratto a favore di terzi). Tanto premesso (e rammentato ancora come il regresso previsto dall’art. 1299 c.c., sia costruito dalla prevalente dottrina in termini di diritto autonomo, che si aggiunge alla surroga, da essa peraltro differenziandosene, anche se non mancano voci tese a ricostruirne i rapporti in termini di mere modalità di atteggiarsi dello stesso diritto, ovvero a negare la surrogazione al condebitore che abbia pagato perché egli avrebbe solo il diritto di regresso, o, infine, ad affermare che la surrogazione spetti sol-


Corte Suprema di Cassazione

tanto nei rapporti di garanzia), appare necessario indagare la più specifica questione se, fra i presupposti necessari per l’accoglimento dell’azione di regresso da parte del giudice adito si collochi, oltre alla prova dell’avvenuto pagamento (nonché la valutazione della percentuale del debito gravante sul convenuto, peraltro ininfluente nel caso di specie), altresì la prova di avere “pagato bene”, questione alla cui soluzione si ricollega quella in ordine alla ammissibilità della rivisitazione tout court di tutti gli accertamenti già compiuti innanzi al primo giudice (in ipotesi, attraverso la proposizione di una exceptio litis malae gestae). La questione vede attestate su fronti di pensiero non omogenei tanto la dottrina, quanto la giurisprudenza di questa corte. Quanto agli effetti della sentenza nel giudizio di regresso, pur non sembrando, a rigore, rilevare direttamente il disposto dell’art. 1306 c.c., (predicativo del principio dell’inefficacia del giudicato nel caso di nuovo giudizio intrapreso dal creditore contro un altro debitore, e non del giudizio di regresso fra condebitori: sulla base della lettera della norma, i limiti del giudicato in subiecta. materia non potrebbero che essere ricercati, dunque, nella disposizione generale dell’art. 2909 c.c.), questa giurisprudenza di legittimità è parsa sovente orientata a interpretare in senso ampio la norma de qua, opinando che i condebitori solidali non partecipi del giudizio conclusosi con la condanna di uno di essi assumano, rispetto al giudicato formatosi in quella sede, veste di terzi rispetto al creditore non meno che nei confronti del coobbligato che agisca in via di regresso, e, come terzi,

sia nel primo che nel secondo caso, non debbano subire gli effetti propri della cosa giudicata (Cass. sez. 3^, 21 settembre 2007, n. 19492 con la ulteriore specificazione, peraltro, secondo la quale, intervenuta l’accettazione da parte di tutti i condebitori in solido del giudicato formatosi tra uno di loro e il creditore, non è poi applicabile, nel giudizio di regresso instaurato dal condebitore soccombente, il principio dell’inopponibilità del giudicato stesso; così ancora Cass., sez. 1^, 19 febbraio 2003, n. 2469; Cass. 26 ottobre 1982, n. 5591 e cospicua parte della dottrina processualcivilistica). In senso opposto, altra parte della dottrina non ha mancato di osservare, più pensosamente, che il giudicato formatosi fra il creditore e il coobbligato ingiunto possa far stato, per taluni accertamenti, anche con riguardo al coobbligato non ingiunto, attesa la discutibilità del principio dell’assoluta indifferenza e inefficacia della sentenza pronunciata fra creditore e condebitore rispetto al giudizio di regresso da quest’ultimo intrapreso verso altro condebitore, e della (pretesa) assenza di limiti alle eccezioni che il condebitore convenuto in regresso potrebbe opporre, alla stregua dell’interpretazione degli artt. 1299, 1306 e 2909 c.c., (si è così ricordato che, nel vigore del codice del 1865, la dottrina, in assenza di una norma analoga all’attuale art. 1306 c.c., era manifestamente orientata per la non estensione del giudicato verso il creditore o debitore solidale non in giudizio, mentre il nuovo art. 1306 c.c., pur negando l’estensione contro il terzo, ammette purtuttavia quest’ultimo a giovarsene: così risolta dal codice la questione nel rapporto con il creditore – si aggiunge

607


Commenti

–, il problema dell’efficacia della sentenza si ripresenta nel giudizio di regresso, senza che la norma introdotta nel 1942 possa fornire utili indicazioni a riguardo). Argomento “forte” adotto a fondamento dell’opponibilità in parte qua del giudicato nel successivo giudizio di regresso, la considerazione per cui il principio della solidarietà non trova come suo correttivo equitativo che quello del regresso, poiché, accolto il criterio secondo cui il debitore adempiente può vedere, in sede di regresso, disconosciuta la sentenza da parte dei condebitori per il solo fatto di esser res inter alios, ne deriverebbe un formidabile incentivo alla chiamata in causa – così che, in sede di cognizione, si priverebbe di contenuto positivo il principio della solidarietà che consente l’azione “unidirezionale”. Di conseguenza, in sede di regresso, il convenuto potrà solo opporre eccezioni derivanti da rapporti interni (quale la compensazione) tra condebitori. Alla predicabilità del (più convincente) principio dell’efficacia riflessa della sentenza di condanna del condebitore consegue (l’altrettanto determinante effetto) che, a quest’ultimo, non possa più essere disconosciuto un interesse (giuridicamente rilevante) all’intervento adesivo (perché la vittoria della lite genererebbe il favorevole effetto di evitare l’azione di regresso), in una dimensione processuale, attesa la sedes materiae (l’obbligazione solidale), di legittimato ad agire e difendere un proprio diritto in qualità di un interveniente litisconsortile (non diversamente, altra parte di una non meno attenta dottrina ha sostenuto che i condebitori convenuti in regresso non possano opporre all’at-

608

tore tutte le eccezioni che avrebbero potuto opporre al creditore, ossia le eccezioni che incidono sulla fattispecie costitutiva del diritto; mentre, ancora di recente, è stata nuovamente colta l’insufficienza di una soluzione che non ponga limite alcuno alle eccezioni opponibili nel giudizio di regresso fra condebitori, sulla premessa per cui, alle eccezioni personali, si contrappongono quelle comunemente definite “reali”, in quanto inerenti al rapporto soggettivamente complesso, così che, passata in giudicato la sentenza di condanna pronunziata nei confronti di uno dei condebitori, non potrebbe essere trascurata l’esigenza, fondamentale, di prevenire un contrasto fra provvedimenti giurisdizionali relativamente a un fatto unitario quel è l’obbligazione soggettivamente complessa, destinato a insorgere qualora il condebitore convenuto in regresso pretenda di rimettere in discussione l’esistenza o l’ammontare del debito comune eccependone fatti limitativi o estintivi, il che si risolverebbe nel riaprire, in sede di regresso, un nuovo giudizio di cognizione sul rapporto soggettivamente complesso per nulla influenzato, sul piano formale, da quello già svoltosi e suscettibile, pertanto, di sfociare in un esito radicalmente diverso sia in punto di fatto che in punto di diritto – onde, per evitare tale, inappagante conclusione, non resterebbe che rivedere la tradizionale interpretazione dell’art. 1306 c.c., in stretta coordinazione sistematica con l’art. 1297 c.c.: ciò che ha costituito oggetto di accertamento con efficacia di giudicato non potrà essere rimesso in discussione dal coobbligato convenuto nel giudizio di regresso se non esperendo, nei confronti di quel-


Corte Suprema di Cassazione

la sentenza, opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c.). In definitiva, già nelle ordinarie obbligazioni solidali, nutrito è il numero degli interpreti che pongono limiti alla regola dell’irrilevanza della sentenza e del giudicato per il condebitore convenuto in regresso. La questione merita un ulteriore approfondimento, da svolgersi, peraltro, all’esito della soluzione del connesso quesito del tipo di intervento litisconsortile (o di legittimazione litisconsortile) riconosciuto alla persona fisica destinataria della sanzione ma non dell’ingiunzione di pagamento. L’indagine ermeneutica si sposta allora sulla connessa e non meno rilevante problematica del litisconsorzio tra coobbligati. 6.1.e) La ricostruzione sistematica della, fattispecie alla luce dei principi sul litisconsorzio. Si rammenterà come sia in uso discorrere di litisconsorzio facoltativo allorché, nonostante la plurisoggettività del rapporto, la pronuncia su di esso possa utilmente regolare i rapporti fra alcuni di quei soggetti lasciando impregiudicata la posizione degli altri, come nel caso, appunto, del creditore nei confronti di due debitori solidali, vicenda in cui la condanna di uno solo di essi non sarebbe inutiliter data, perciò solo il litisconsorzio risultando, in tal caso, non necessario: la legge consente, senza imporlo, che più soggetti agiscano o siano convenuti nello stesso processo per ragioni che non possono avere altro fondamento che quello della connessione (naturalmente oggettiva) tra le due azioni. Di tale fattispecie costituisce poi figura “speciale” il litisconsorzio c.d.

unitario, nel quale, pur nella sua morfologica facoltatività, la legge impone, una volta volontariamente iniziato il giudizio da parte di più soggetti a legittimazione concorrente, la trattazione unitaria della causa, destinata ad essere decisa con unica sentenza (come accade nell’ipotesi prevista dall’art. 2378 c.c., comma 5, in tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari, ove si realizza una fattispecie di litisconsorzio necessario quanto alla decisione, benché volontario quanto alla realizzazione). Di converso, criterio idoneo a identificare con sufficiente certezza la speculare fattispecie del litisconsorzio necessario può a tutt’oggi ritenersi quello (proposto da nutrita e qualificata dottrina) secondo il quale, per stabilire se la decisione non possa pronunciarsi che nei confronti di più parti, deve farsi riferimento agli interessi come astrattamente considerati dal legislatore, attesa la ormai riconosciuta e predicata (di recente, anche dalla giurisprudenza di queste SS.UU. con la sentenza 4 giugno 2008, n. 14815) natura di norma in bianco dell’art. 102 c.p.c., destinata a essere modellata dall’interprete sulla base delle esplicite disposizioni di legge che, non esaurendo la materia, diano indicazioni sulle relative, diverse rationes, onde estendere il litisconsorzio necessario ai casi omogenei. Si sono, così, andate delineando tre categorie generali, per le quali il legislatore prevede il litisconsorzio necessario expressis verbis –, a) per avere attribuito un’eccezionale legittimazione processuale sostitutiva; b) per semplice opportunità; c) per ragioni di diritto sostanziale, in quanto

609


Commenti

la sentenza sarà destinata a produrre effetti per i titolari di un rapporto plurisoggettivo. Mentre le prime due risultano, per definizione, non estensibili secondo identità di logica, l’ultima è quella che più direttamente investe la fattispecie delle obbligazioni solidali. Ed è orientamento costante di questa giurisprudenza di legittimità quello volto a escludere il litisconsorzio necessario in relazione a tale tipologia di obbligazioni (senza alcuna pretesa di completezza, Cass. 11 febbraio 2009, n. 3338, che afferma altresì la scindibilità delle cause in appello; Cass. 10 novembre 2008, n. 26888, in tema di pluralità di danneggianti a causa dell’accertamento della simulazione di una locazione; Cass. 31 luglio 2008, n. 20891, con riguardo all’obbligazione solidale in capo al socio di società di persone; Cass. 25 luglio 2008, n. 20476, in tema di responsabilità solidale fra amministratori e sindaci ex artt. 2393 e 2394 c.c.; Cass. 14 febbraio 2008, n. 3533 e 10 gennaio 2008, n. 239, entrambe in tema di fatto dannoso imputabile a più persone. Specifica funditus Cass. 27 giugno 2007, n. 14844 che, nelle ipotesi di solidarietà sia attiva che passiva dell’obbligazione, pur nella sussistenza di più soggetti creditori o debitori della stessa somma o della medesima prestazione, non si verifica un’ipotesi di litisconsorzio necessario in quanto la struttura del rapporto è congegnata in modo tale che ogni creditore può esigere e ogni debitore è tenuto a corrispondere l’intero, salvo l’esercizio del diritto di rivalsa nei confronti degli altri concreditori o condebitori: Cass. 16 agosto 2005, n. 16957 preciserà, a sua volta, con riguardo alla responsabilità civile per il reato di bancarotta prefe-

610

renziale posto in essere dai membri dei consigli di amministrazione di una società, che la sussistenza di una responsabilità solidale nei confronti del danneggiato tra gli autori materiali del fatto illecito – anche nell’ipotesi in cui questo costituisca reato – e il responsabile civile non determina un’ipotesi di litisconsorzio necessario, potendo il creditore agire nei confronti di uno qualsiasi dei debitori tenuti in solido, né tale litisconsorzio potrebbe essere ravvisato per il fatto che l’accertamento della responsabilità del soggetto obbligato in solido con detto autore materiale – secondo il titolo che nelle diverse ipotesi configura la responsabilità civile – presuppone necessariamente l’accertamento del fatto-reato delle persone di cui il primo debba rispondere, atteso che, facendosi luogo a tale accertamento incidenter tantum nel giudizio civile, non si rende necessaria, in tale giudizio, la presenza delle suddette persone autore/i dell’illecito). Tale, consolidato principio si ritiene, peraltro, derogabile, nell’ambito di sottosistemi normativi “speciali”, laddove vi siano nessi di stretta connessione fra le varie responsabilità, quando, cioè, le posizioni dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro strutturale subordinazione anche sul piano del diritto sostanziale. Entro tale dimensione di ius singolare, assume peculiare connotazione la materia tributaria, in seno alla quale queste stesse Sezioni Unite – con specifico riguardo all’imposta sui redditi e all’accertamento posto alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone di cui al D.P.R. 22 dicembre, n. 917, art. 5, e


Corte Suprema di Cassazione

dei soci delle stesse – hanno affermato che l’accertamento in rettifica compiuto dall’amministrazione, con un unico atto, e con riferimento ai maggiori redditi di una società di persone, interessa nel contempo sia la società ai fini Ilor, sia i soci ai fini Irpef, in guisa che, al processo introdotto dal ricorso contro tale accertamento, tutti devono partecipare, in quanto l’“oggetto del ricorso” riguarda inscindibilmente società e soci (norma sostanziale di riferimento essendo stata ritenuta, nella specie, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40). L’astratta rilevanza del principio così affermato non sembra seriamente revocabile in dubbio – senza che possa, peraltro, omettere di considerare come la vicenda dianzi riferita non abbia riguardo a obbligazioni solidali in senso proprio e risulti altresì enunciato in presenza della particolare disposizione che regola il litisconsorzio nei processi tributari –, attesane l’afferenza a un giudizio parimenti volto all’annullamento tanto di un atto dell’amministrazione quanto dell’accertamento in esso contenuto. Non sembra, per altro verso, seriamente contestabile che il litisconsorzio tributario ripeta una sua disciplina autonoma da esplicite disposizioni di legge, quanto all’ipotesi che l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, giusta disposto del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14, (a mente del quale: 1. Se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi. 2. Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i

soggetti indicati nel comma 1, è ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza. 3. Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso. 4. Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle forme prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili. 5. I soggetti indicati nei commi 1 e 3, intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente. 6. Le parti chiamate in causa o intervenute volontariamente non possono impugnare autonomamente l’atto se per esse al momento della costituzione è già decorso il termine di decadenza”), disposizione che, secondo la giurisprudenza di questa stessa Corte, non costituisce (a differenza dell’art. 102 c.p.c.) “norma in bianco”, ma indica positivamente il presupposto della inscindibilità della causa come dipendente, appunto, dall’oggetto del ricorso (in particolare, secondo Cass., sez. un. 18 gennaio 2007, n. 1052, resa in un caso di imposta di registro su bene del quale i comproprietari avevano proceduto a divisione, in una siffatta prospettiva, “appare chiara una dimensione esclusivamente processuale del litisconsorzio”, perché la realizzazione dell’ipotesi litisconsortile è connessa, strutturalmente e intimamente, alla domanda introdotta nel giudizio: “è la domanda, infatti, a determinare l’oggetto del processo e, quindi, a costituire, in ultima analisi, il parametro per valutare la inscindibilità della cau-

611


Commenti

sa tra più soggetti, non senza, peraltro, disconoscersi” – si legge ancora in motivazione – “un profilo sostanziale, secondo cui vi è litisconsorzio necessario quando l’atto autoritativo presenti elementi comuni a una pluralità di soggetti e siano proprio tali elementi a esser posti a fondamento della impugnazione proposta da uno dei soggetti obbligati”, ciò che rende palese come la disposizione di cui al d.lgs. 546 del 1992, art. 14, comma 1, si muova in una prospettiva diversa da quella nella quale si collocano le regole relative all’obbligazione solidale, “la cui (eventuale) sussistenza non realizza un presupposto per l’applicazione della norma in questione” – così ribadendosi che non è la mera solidarietà comune a fondare il litisconsorzio necessario. Non si manca, ancora, di precisare che non sussiste litisconsorzio necessario quando il contribuente svolga una difesa solo sulla base di eccezioni personali). L’interrogativo che si pone alla corte, a questo punto della disamina della fattispecie, è quello se le pronunce che hanno così complessivamente ricostruito i caratteri del giudizio tributario possano offrire utili parametri di riferimento anche per il caso in esame ai fini della corretta individuazione della tipologia di litisconsorzio legittimamente applicabile al procedimento di opposizione a sanzione irrogata nella materia finanziaria, ricordando ancora che gli obiettivi del litisconsorzio tributario sono, in definitiva, quelli di impedire la parcellizzazione delle controversie e di perseguire una giusta, imposizione, risultato, invero, potenzialmente ostacolato dal formarsi di giudicati tra loro contrastanti in separati giudizi nei quali pur si dibatta

612

una posizione comune a una pluralità di soggetti obbligati, così che, di quest’esito patologico, il litisconsorzio necessario è la profilassi (Cass., sez. un., 18 gennaio 2007, n. 1052), mentre l’obiezione secondo la quale tale tipo di litisconsorzio necessario andrebbe considerato un ostacolo alla ragionevole durata del processo va comunque calibrata alla luce della considerazione per cui quest’ultima è un valore solo nella misura in cui sia funzionale all’effettività della tutela giurisdizionale, che non può risolversi esclusivamente nella celerità del giudizio, ma richiede l’operatività di strumenti processuali capaci di garantire la realizzazione di una omogenea disciplina sostanziale dei rapporti giuridici: in questi casi, il giudice dovrà disporre la riunione dei giudizi proposti, oppure, se non ancora proposti, l’integrazione del contraddittorio (Cass., sez. un., 4 giugno 2008, n. 14815). 6.1. f) La fattispecie dell’obbligo solidale di cui al d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9. La fattispecie in parola (insieme con quella d.lgs. n. 385 del 1993, ex art. 145, comma 10) potrebbe a prima vista ritenersi astrattamente idonea a integrare una delle prospettate ipotesi di rapporto di obiettiva interrelazione tra le posizioni dei diversi condebitori, sotto il duplice, concorrente aspetto dell’obbligo di regresso e del vincolo di dipendenza fra le obbligazioni che giustifica la legittimazione e l’intervento di tutti i responsabili. Pur vero, difatti, che la disciplina litisconsortile nel processo tributario risponde a regole non omogenee a quelle che presidiano la disciplina avente lo stesso oggetto nel processo ordinario, nondimeno, proprio in


Corte Suprema di Cassazione

virtù dell’obbligo di regresso, parrebbe che alcune delle considerazioni poc’anzi riportate possano essere non infondatamente svolte anche con riguardo al giudizio di opposizione a sanzione amministrativa previsto dal d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195: si pensi, accanto alla domanda così come individuata da causa petendi e petitum e all’oggetto sì come vertente sull’intero rapporto, alla stessa finalità dissuasiva delle sanzioni previste nel testo unico della finanza a tutela del risparmio e del mercato (art. 47 Cost.), la quale verrebbe frustrata ove si lasciasse, alfine, permanere il peso della sanzione sulla persona giuridica, in luogo che sui responsabili, evento che ben potrebbe ipoteticamente verificarsi in ipotesi di giudicati contrastanti resi nei separati giudizi (di opposizione e di regresso) nei quali pur si discuta degli identici presupposti di applicazione della sanzione. È peraltro fermo convincimento di queste sezioni unite che, indiscussa la legitimatio ad opponendum in capo alla persona fisica sanzionata ma non direttamente ingiunta, a quest’ultima vada peraltro riconosciuta la posizione processuale del litisconsorte facoltativo (ovvero dell’interveniente in causa in qualità di litisconsorte facoltativo). Nonostante le indiscutibili analogie con il processo tributario, difatti, non va dimenticato (né pare seriamente revocabile in dubbio) come l’obbligazione oggetto dell’ingiunzione abbia (pur se nelle sue indiscutibili peculiarità) struttura e natura solidale, e come il procedimento di opposizione, pur nella sua altrettanto indiscutibile specialità, vada pur sempre ricondotto alla disciplina generale di cui alla l. n. 689 del 1981.

Ne consegue che, non ravvisandosi a tutt’oggi valide e convincenti ragioni per incamminarsi sulla via di un radicale revirement di giurisprudenza in ordine alla natura meramente facoltativa del litisconsorzio tra co-obbligati legati da un vincolo obbligatorio di natura solidale, per quanto questo possa porsi in rapporto di species a genus rispetto alla solidarietà “classica”, deve escludersi tout court, nel caso di specie, la predicabilità di un rapporto litisconsortile necessario tra l’ente destinatario dell’ingiunzione di pagamento e le persone fisiche raggiunte dalla sanzione amministrativa (con conseguente esclusione della necessità di integrazione del contraddittorio tra tutti i soggetti destinatari delle sanzioni irrogate dal Ministero in relazione alla complessa vicenda che occupa la Corte). Tale esclusione trova fondamento tanto sotto il profilo strutturale quanto sotto quello funzionale del rapporto processuale: come segnalato dalla più avvertita dottrina, difatti, le conseguenze processuali che l’ordinamento ricollega al litisconsorzio necessario – tra tutte, la rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., commi 1 e 2, e art. 383 c.p.c., comma 3, ove il rilievo del vizio avvenga in sede di impugnazione, ovvero la sostanziale “inefficienza” di un processo con decine e decine di parti necessarie –, sono talmente gravi da indurre a fare ricorso a tale istituto in modo estremamente oculato (del pari, non è seriamente contestabile la impredicabilità di un litisconsorzio necessario nella ipotesi del giudizio di opposizione intrapreso da un altro obbligato autore della violazione, per la sanzione a lui direttamente commi-

613


Commenti

nata, ossia fra i coautori dell’illecito, e ciò perché ciascuna sanzione è personale, senza solidarietà alcuna fra le persone fisiche: nel caso di più persone concorrenti nell’illecito – come in quello in cui ciascuno abbia commesso violazioni autonome –, tutte vengono sanzionate dalla Consob, a seconda della gravità della colpa, ma non vi è vincolo alcuno di solidarietà ex art. 2055 c.c., perché si tratta delle conseguenze affittivo-sanzionatorie di un illecito – e dunque, sotto tale profilo, le analogie vanno operate piuttosto con il diritto penale). Deve allora più proficuamente discorrersi di legittimazione a partecipare al giudizio di opposizione (in via originaria, mediante la proposizione di autonoma opposizione da parte della persona fisica; in una fase successiva, mediante l’intervento in causa) da parte dell’autore materiale dell’illecito sanzionato secondo le regole proprie del litisconsorzio (sia esso originario o successivo), non necessario bensì soltanto facoltativo. 6.1.g) – L’interesse ad agire. Dalle considerazioni sinora esposte ne deriva, sul piano tanto sostanziale quanto procedimentale: – Che il tipo di interesse riconducibile alla persona fisica non può in alcun modo definirsi “di mero fatto”, attesane, da un canto, la qualità di destinataria diretta della sanzione pecuniaria, dall’altro, la immediata sottoposizione alla sanzione accessoria della pubblicazione della sanzione stessa nei modi e nelle forme di legge; – Che l’interesse di cui il soggetto risulta portatore è, viceversa, interesse effettivo e attuale, giuridicamente rilevante, all’accertamento negativo dei presupposti degli illeciti a lui ad-

614

debitati nell’ambito procedimentale sanzionatorio che precede il giudizio di opposizione: tale interesse ne legittima tanto un’autonoma e originaria facoltà di proporre opposizione, quanto un successivo intervento in giudizio – ove l’opposizione stessa sia stata già proposta dalla persona giuridica (giusta la correlazione funzionale fra litisconsorzio originario ex art. 103 c.p.c., e litisconsorzio successivo ex artt. 105, 106 e 107 c.p.c.); – Che la persona fisica ha diritto a opporsi al provvedimento sanzionatorio dell’autorità senza che ciò implichi l’esigenza o l’opportunità del litisconsorzio necessario – come invece ritenuto da una isolata e già citata pronuncia di questa corte nonché, incidenter tantum, da una recente giurisprudenza di merito (App. Milano 26.11.03, in relazione ai medesimi fatti oggetto del presente procedimento), potendosi riconoscere il diritto di impugnazione e di intervento a tutti gli interessati senza per questo giungere alla necessità dell’integrazione del contraddittorio, soluzione che, sul piano funzionale, apparirebbe, oltretutto, in aperto contrasto sia con la stessa ratio legis del Decreto n. 58 del 1998 (che postula, di converso, un’ineludibile celerità di definizione della vicenda sanzionatoria), sia con i principi generali in tema di obbligazioni solidali (nei confronti di tutti gli esponenti aziendali che non abbiano utilizzato tali facoltà); – Che la fattispecie del litisconsorzio facoltativo è del tutto compatibile con il riconoscimento della legittimazione attiva anche degli autori materiali dell’illecito. L’esigenza – peraltro, meramente teorica – di assicurare una corretta informazione agli esponenti aziendali in ordine all’esistenza di


Corte Suprema di Cassazione

una procedura amministrativa a loro carico e di un eventuale giudizio di opposizione intrapreso dalla società è sufficientemente garantita ex lege quanto al suo primo aspetto – poiché detti autori materiali sono chiamati a partecipare al procedimento amministrativo di accertamento che ha inizio con “la contestazione degli addebiti agli interessati” (d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195 comma 2), in seno al quale hanno il diritto di intervenire ed esercitare il diritto di difesa previo accesso agli atti –, ed è assai facilmente raggiungibile, quanto al secondo profilo, attraverso l’esplicazione di una elementare attività di informazione da parte degli interessati presso gli organi sociali competenti a introdurre la lite. In particolare, quanto all’ipotesi di intervento successivo, è noto che la norma che regola la fattispecie è l’art. 105 c.p.c., il quale, al comma 1, ammette l’intervento del terzo per far valere, nei confronti di tutte le parti o anche nei confronti solo di talune di esse, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo; a seconda che si proponga contro tutte le parti o solo contro una di esse, si parla di intervento principale ovvero intervento c.d. litisconsortile o adesivo autonomo (ai fini dell’intervento principale o litisconsortile, l’art. 105 c.p.c., esige che il diritto vantato dall’interventore non si limiti ad avere una generica comunanza di riferimento al bene materiale, in relazione al quale si fanno valere le contrapposte richieste delle parti, essendo peraltro sufficiente che la domanda dell’interventore presenti una connessione o un collegamento con quella delle altre parti, tali

da giustificare il simultaneus processus: Cass. 27 giugno 2007, n. 14844.; 12 giugno 2006, n. 13557; 3 novembre 2004, n. 21060; 15 maggio 2002, n. 7055, la quale precisa che la domanda debba essere “connessa e collegata” a quella oggetto del giudizio, in quanto il soggetto sia “titolare di un rapporto giuridico dipendente da quello oggetto del giudizio, mentre il secondo comma contempla l’intervento adesivo c.d. dipendente, al quale il terzo può ricorrere per sostenere le ragioni di una delle parti quando vi abbia un proprio interesse inteso in senso sostanziale e non processuale, ai sensi dell’art. 100 c.p.c.: il terzo non fa valere un proprio autonomo diritto, si limita a sostenere le ragioni della parte adiuvata, e il rapporto giuridicamente dipendente del terzo agisce da sola situazione legittimante all’intervento, ma il terzo non propone alcuna domanda relativa al suo diritto e non allarga l’ambito oggettivo del processo originario, unico con pluralità di parti, nel quale la pronuncia che lo definisce è la medesima rispetto alle parti principali e all’interveniente, i cui poteri sono limitati all’espletamento di un’attività accessoria e subordinata a quella svolta dalla parte adiuvata, potendo egli sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni esclusivamente nell’ambito delle domande ed eccezioni proposte da detta parte. L’interveniente adesivo dipendente fa pertanto valere un mero interesse, vale a dire una posizione soggettiva più attenuata del diritto soggettivo, giacché la sua attività processuale tende a provocare un giudicato che, seppure possa riuscirgli utile in via mediata, ha per oggetto immediato l’attuazione della volontà della legge a favore di una delle

615


Commenti

parti, mediante l’attribuzione a essa del bene della vita che l’altra gli contende, secondo Cass. 9 maggio 2007, n. 10545 e 16 febbraio 2009, n. 3734, affermative di principi non condivisi, peraltro, da una attenta dottrina, che opina, in senso contrario, come – tutte le volte in cui l’interventore adesivo sia soggetto all’efficacia riflessa della cosa giudicata tra le parti originarie – non gli si possa impedire di compiere atti di impulso o dispositivi e abbia poteri di autonoma impugnazione, perlomeno quando sia soggetto a taluni effetti riflessi della sentenza resa fra le parti originarie). La giurisprudenza di questa Corte in tema di intervento del terzo ai sensi degli artt. 105 e 106 c.p.c., in seno al procedimento di opposizione a sanzione amministrativa appare invero oscillante: in linea generale, si è sostenuto (Cass., sez. 1^, 14 gennaio 1991, n. 286) l’inammissibilità dell’intervento, sia autonomo che ad adiuvandum (in considerazione del fatto che il procedimento di opposizione ha oggetto circoscritto all’accertamento della legittimità della pretesa sanzionatoria dell’amministrazione nei confronti dell’autore dell’illecito amministrativo o dell’obbligato in solido e che esso è strutturato in unico grado sulla base di regole che non sono compatibili né con l’introduzione di istanze volte ad affiancare le ragioni dell’una o dell’altra parte, né con l’inserimento di distinte domande, che restano pur sempre proponibili in separata sede dal terzo estraneo al giudizio di opposizione onde, nel caso di concorso di persone nella violazione amministrativa, posto che ciascuna di esse soggiace alla sanzione disposta per la violazione stessa,

616

pur verificatasi l’ipotesi che siano state opposte dai singoli coautori le distinte ordinanze-ingiunzioni emesse nei confronti di ciascuno di essi, a seconda delle circostanze processuali e sostanziali, potranno soccorrere, ove concretamente applicabili, gli istituti della continenza, della connessione o della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, che preservano l’autonomia di ciascuna causa e, quindi, di ciascun procedimento di opposizione: nel caso di ordinanza-ingiunzione emessa nei confronti dell’obbligato in solido al pagamento della sanzione pecuniaria amministrativa, l’azione di regresso attribuita al responsabile solidale che ha pagato la sanzione medesima, presupponendo, appunto, sia l’accertamento della responsabilità a tal titolo sia il pagamento, potrà essere esercitata in separato giudizio): ma ciò, in verità, è accaduto ora con riguardo alla proposizione di autonome domande contro un terzo diverso dal responsabile dell’illecito, ora in ordine ad altre domande (quali quelle risarcitorie) del tutto distinte, ora in relazione alla domanda di regresso proposta direttamente nel giudizio di opposizione. Tutte pretese, dunque, aventi oggetto diverso da quello tipico del giudizio di opposizione, che resta l’accertamento della legittimità della pretesa sanzionatoria. In casi meno dissonanti rispetto a quello di specie, invece, l’intervento è stato ammesso (Cass. 30 agosto 1995, n. 9152), affermandosi che, nel procedimento di opposizione all’ordinanza-ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative, mentre legittimata a resistere all’opposizione è l’autorità che ha emesso il detto provvedimento, il soggetto destinatario dei


Corte Suprema di Cassazione

proventi delle sanzioni pecuniarie, se diverso dall’autorità competente ad applicare tali sanzioni, è legittimato a intervenire nel giudizio di opposizione, e a proporre impugnazione anche nell’inerzia della parte principale, in quanto titolare del credito per il pagamento della sanzione stessa, atteso che nel giudizio suddetto, attraverso l’indagine sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio, il giudice pronunzia anche sul diritto di credito del soggetto destinatario del provento, e ancora (Cass., sez. 1^, 27 aprile 1990, n. 3545) che, se anche la l. n. 689 del 1981, non prevede espressamente la possibilità dell’intervento volontario o coatto di altri soggetti nel procedimento (ex) pretorile di opposizione al provvedimento di applicazione di sanzioni amministrative, nulla si oppone a tale possibilità, in assenza di una norma che introduca preclusioni del tipo di quelle previste dall’art. 419 c.p.c.; ritenuta l’astratta ammissibilità dell’intervento, anche in mancanza di un’espressa previsione, i suoi tempi e le sue forme, anche nel giudizio di opposizione all’ordinanza-ingiunzione disciplinata dalla ricordata l. n. 689 del 1981, non possono che ricavarsi dalle norme generali del codice di procedura civile. In senso ancora affermativo, va altresì ricordata la sentenza 24 luglio 1995, n. 363 della Corte Costituzionale, la quale – premesso che anche alle società di intermediazione mobiliare di cui alla l. 2 gennaio 1991, n. 1, pur in mancanza di espressa previsione in proposito, si applica il principio stabilito dalla l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 6, secondo cui le società per azioni e i loro amministratori sono solidalmente responsabili, con diritto di regresso

reciproco, del pagamento delle sanzioni amministrative, con la conseguenza che l’accennata mancanza di previsione del principio nella legge di settore non contrasta con l’art. 3 Cost. – in motivazione contiene un significativo cenno al fatto che l’ente, in sede di giudizio sull’applicazione della sanzione, ben potrebbe chiamare in causa l’autore materiale: l’azione di regresso può essere esercitata solo se consentita dalla legge: per cui nel giudizio riguardante il pagamento della sanzione amministrativa, la società ha interesse a sapere che l’obbligo si estende solidalmente ai suoi amministratori, al fine di porsi eventualmente nella condizione di chiamarli in giudizio per rivalsa. Anche nell’ambito della giustizia amministrativa, infine, il Consiglio di Stato ha ammesso l’intervento di terzi portatori di meri interessi procedimentali e diffusi, sia pure non legittimandoli all’opposizione (Cons. Stato, sezione 6^, 30 dicembre 1996, n. 1792). Premessa e condivisa, dunque, l’ammissibilità dell’intervento, è convincimento di queste sezioni unite che, con riferimento alla peculiare fattispecie di cui del d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, ne sia legittimamente predicabile il primo tipo, e cioè l’intervento litisconsortile (autonomo), piuttosto che quello volto al mero sostegno delle ragioni della persona giuridica (adesivo dipendente) contro l’autorità che ha emesso l’ordinanza ingiunzione per un comportamento che, invero, è dello stesso interveniente, il quale fa valere un diritto soggettivo e non un mero interesse (senza che assuma, in proposito, rilievo assorbente la circostanza per cui, poiché l’oggetto del-

617


Commenti

l’accertamento richiesto al giudice è lo stesso di quello che già appartiene al processo in seguito all’opposizione proposta dalla persona giuridica, non può dirsi che si ampli l’oggetto stesso, ciò in analogia, piuttosto, con quanto si afferma comunemente per l’intervento adesivo dipendente). 6.1.h.) Gli effetti del giudicato. Resta, infine, da esaminare il tema degli effetti del giudicato formatosi tra l’autorità amministrativa e la società ingiunta – nell’ipotesi in cui la persona fisica non abbia né proposto autonomamente opposizione, né abbia spiegato intervento litisconsortile facoltativo in seno al giudizio di opposizione introdotto dalla persona giuridica destinataria dell’ingiunzione di pagamento che abbia visto respinta la propria opposizione –, alla luce di quello che può dirsi principio costante dell’ordinamento processualcivilistico, e cioè la diretta correlazione tra effetto di giudicato e facoltà di interloquire e difendersi nel giudizio da cui quel giudicato discenda. L’estensione dell’efficacia del giudicato a soggetti diversi dalle parti del giudizio in cui esso si è formato non può prescindere, infatti, dalla possibilità di svolgimento del processo nel contraddittorio delle parti in condizioni di parità, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., e dell’art. 111 Cost., comma 2, nonché dal rispetto del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., Specularmente rilevanti, per la questione in esame (come di recente osservato da una attenta dottrina), appaiono peraltro i principi di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, – il quale si collega a quello del giudicato postulando che gli accertamenti compiuti dal giudice ac-

618

quistino, nel regolare una data situazione concreta, stabilità entro tempi ragionevoli, onde non poter essere costantemente ridiscussi – e di tutela effettiva dell’attore, parimenti rinvenibile nell’art. 24 Cost., comma 1, (attore inteso in senso sostanziale in seno al processo, laddove, invece, il principio del contraddittorio specificamente rileva per il convenuto e il terzo). La motivata possibilità di estensione a terzi degli effetti di un provvedimento giurisdizionale deve, pertanto, ritenersi del tutto conforme a Costituzione, laddove essa trovi fondamento su altri e prevalenti interessi protetti di rilevanza generale o collettiva, ovvero derivi dagli stessi connotati strutturali della situazione sostanziale del terzo: in tali casi, peraltro, come ancora rileva di recente una pensosa dottrina, è sempre necessario tutelare efficacemente il diritto di difesa del terzo ai sensi dell’art. 24 Cost.. Vere tali premesse, va preliminarmente considerato che, laddove non vi sia obbligo, ma mero diritto di regresso (come nella disciplina comune in tema di solidarietà nelle sanzioni amministrative di cui alla l. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3) o laddove, del regresso medesimo, non vi sia né diritto né tanto meno obbligo (come nell’ipotesi in cui sanzionato sia lo stesso autore materiale, ma non l’ente), pare tuttora corretta e condivisibile la soluzione che vede legittimato attivo all’opposizione soltanto il soggetto ingiunto: nel primo caso, può essere legittimamente predicata l’irrilevanza della sentenza resa inter alios (sebbene non manchino, in dottrina, voci discordi anche in tal caso); nel secondo, l’ente non versa in situazione di minorata difesa, essendo l’obbligazione solidale soltanto “unila-


Corte Suprema di Cassazione

terale” (come implicitamente rilevano Cass. 3 novembre 2008, n. 26387 e 21 gennaio 2008, n. 1193 in tema di opposizione l. n. 689 del 1981, ex art. 6, a mente delle le quali l’estinzione dell’obbligazione dell’autore materiale dell’infrazione estingue anche quella dell’ente, obbligato in via solidale), cosicché la persona fisica non solo non è obbligata al regresso, ma neppure ne ha diritto, e, dunque, l’ente non può essere pregiudicato da un suo qualsivoglia comportamento successivo, e ha comunque l’autonomo potere di impugnare il provvedimento sanzionatorio, qualora fosse, poi, direttamente ingiunto dall’autorità. Pertanto, mentre la previsione del diritto di regresso contenuta nella l. n. 689 del 1981, art. 6, u.c., può dirsi nella sostanza “superflua” o, comunque, meramente esplicativa, avendo ribadito il disposto del codice civile sul meccanismo del regresso per l’intero nelle obbligazioni solidali a interesse unisoggettivo di cui all’art. 1298 c.c. (Cass. 21 gennaio 2008, n. 1193), di ben diversa portata sistematica appare la disposizione di cui all’ultimo comma, delle due norme contenute nel testo unico bancario e nel testo unico della finanza. Come più volte sottolineato in precedenza, in modo affatto singolare per il nostro ordinamento, il diritto di regresso, situazione soggettiva di vantaggio, viene affiancato a una posizione soggettiva di svantaggio, qualificabile in senso tecnico come obbligo di regresso, di fonte legale. Quale sia la sanzione per la violazione di tale obbligo, la legge non dice. Così, se, nei rapporti esterni, può opinarsi che l’autorità di vigilanza possa “valutare” l’inadempimento all’obbligo di regres-

so onde adottare eventuali, successivi provvedimenti, nei rapporti interni tra l’ente sanzionato e la persona fisica societari non sembra azzardato immaginare l’applicazione delle ordinarie regole societarie circa le conseguenze dell’inadempimento di specifici doveri da parte dell’organo amministrativo (ossia quello che, in virtù del rapporto di immedesimazione organica, agisce per l’ente): inadempimento che potrà costituire il presupposto per i rimedi previsti dal codice (artt. 2383, 2393 c.c. e ss., art. 2409 c.c.), tutti interni alla società (salvo la residua iniziativa del p.m. ai sensi dell’art. 2409 c.c., u.c., per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, e, ancora, l’indiretto potere di denuncia posto in capo alla Consob, ai sensi del d.lgs. n. 58 del 1998, art. 152, nei confronti dell’organo di controllo che non si sia attivato a fronte dell’inadempimento all’obbligo di regresso da parte degli amministratori). La legge non detta neppure – per quanto qui maggiormente interessa – alcuna particolare disposizione con riguardo alle conseguenze di tale (facoltà) obbligo sulla posizione dei condebitori solidali quanto alle eccezioni personali opponibili al condebitore ingiunto e al valore nei loro confronti dell’accertamento sanzionatorio contenuto nel provvedimento amministrativo, nonché, all’esito del giudizio di opposizione, dell’accertamento compiuto dal giudice: in una parola, alle caratteristiche concrete della loro obbligazione di rimborso. Come si è avuto modo di rilevare in precedenza, nell’ambito del meccanismo comune delle obbligazioni solidali di cui all’art. 1292 c.c. e ss., l’orientamento tuttora prevalente è nel

619


Commenti

senso che il condebitore, convenuto con l’azione di regresso, potrà opporre le sue eccezioni personali, mentre la sentenza pronunciata fra creditore e condebitore non ha effetto per gli altri condebitori, salvo che siano essi stessi a volerla opporre al creditore e purché non sia fondata su eccezioni personali al condebitore escusso (art. 1306 c.c.). È convincimento di queste sezioni unite che tale meccanismo non appaia legittimamente esportabile alla fattispecie d.lgs. n. 58 del 1998, ex art. 195. Ritiene la corte che, comminata la sanzione ai soggetti ritenuti autori delle violazioni, e però ingiunto il pagamento soltanto alla persona giuridica solidalmente responsabile con essi, allorché questa, esaurite le proprie difese nel corso del procedimento amministrativo e poi del giudizio di opposizione, abbia pagato la sanzione (ovvero abbia deciso addirittura di pagare senza opporsi), all’autore materiale del fatto non resterà che pagare in rimborso l’intero (salve limitate eccezioni personali che abbia da opporre alla società, ad esempio di compensazione), senza che egli possa più far valere alcun argomento circa l’illegittimità della sanzione nel corso del giudizio che lo veda convenuto dall’ente con l’azione di regresso. La conclusione appare coerente con la poc’anzi riconosciuta (e definitivamente affermata) legitimatio ad opponendum in capo alla persona fisica (sia sotto il profilo dell’opposizione proposta in via principale, sia sotto quello dell’intervento litisconsortile nel procedimento instaurato dall’ente destinatario dell’ingiunzione di pagamento, entrambi entro la non nego-

620

ziabile dimensione del litisconsorzio soltanto facoltativo). Contrariamente opinando, invero, si toglierebbe qualsiasi significato alla disposizione che impone all’ente il regresso e lo considera soltanto come l’“autore materiale” del pagamento (quasi in guisa di delegato ex lege ad anticipare la somma pecuniaria alla p.a.), fermo restando il suo obbligo non derogabile a rivalersi sulle persone fisiche autrici della violazione. Superata nei sensi sopra indicati la precedente e pressoché unanime giurisprudenza di questa Corte in tema di legitimatio ad opponendum (a mente della quale nessuna influenza, al fine di negare la legittimazione all’opposizione degli autori materiali non ingiunti, era da annettersi all’obbligatorietà dell’azione obbligatoria di regresso, tanto da sostenere – per tutte, Cass. n. 26944 del 2006 – che, nel giudizio di regresso ai sensi del d.lgs. n. 58 del 1998, art. 195, il condebitore solidale può rimettere in discussione “l’accertamento del debito”, “il fondamento del provvedimento” e tutto “quanto eventualmente emerso nel giudizio di opposizione”, in tal modo applicando assai estensivamente la regola dell’art. 1306 c.c.), deve viceversa ritenersi che la previsione dell’obbligo di regresso abbia, nella specie, un significato assai più pregnante di quanto appaia a prima vista: se la società è obbligata al regresso, l’accertamento compiuto in sede (amministrativa e, poi) giurisdizionale è destinato a spiegare legittimo effetto (nei sensi di cui all’art. 2909 c.c.) nei confronti del responsabile convenuto con l’azione di regresso che abbia assunto una posizione del tutto agnostica nel pri-


Corte Suprema di Cassazione

mo giudizio di opposizione (che non abbia, cioè, né proposto autonoma opposizione, né spiegato intervento litisconsortile nel corso di quel procedimento). Militano sul fronte di tale interpretazione: – La ratio della norma ex art. 195 c.c., che pone a fondamento della responsabilità solidale dell’ente nel sistema delle sanzioni in materia finanziaria un obbligo non per fatto proprio, nemmeno a titolo di colpa in eligendo o in vigilando (Cass. 15 dicembre 2006, n. 26944), ma per un fatto altrui, quale titolare di una posizione passiva di garanzia volta ad assicurare il pagamento della somma (anche allo scopo di agevolare l’individuazione dell’autore della violazione), tale da evocare, ancor più che la fattispecie della fideiussione ex lege, l’istituto del Garantievertrag, salava la connessa e inscindibile tutela legale del patrimonio dell’azienda, mera responsabile del pagamento; – La conseguente incongruità di una soluzione che consentisse invece di far gravare il peso finale della sanzione restasse a carico dell’ente, qualora il materiale responsabile potesse nuovamente porre in discussione il fondamento della sanzione; – L’attribuzione, in ultima battuta, alla persona fisica – ossia l’autore dell’illecito cui è imputabile la violazione – del carico sanzionatorio, in connessione con il ruolo determinante rivestito in questa materia dal momento afflittivo-repressivo, finalità realizzata proprio attraverso l’obbligo di regresso nei rapporti interni onde assicurare l’effettività del principio di responsabilità patrimoniale personale dell’autore della violazione commisurato alle

competenze effettivamente esercitate dal medesimo a tutela del risparmio e degli investimenti ex art. 47 Cost., – mentre la previsione dell’obbligatorietà dell’azione di regresso sarebbe vanificata consentendosi all’autore materiale qualsiasi difesa e contestazione nel giudizio di regresso, così potenzialmente “scardinando” il meccanismo predisposto dal legislatore e strutturato (qualora l’autorità scelga di ingiungere solo la persona giuridica, come di regola) secondo un ben definito iter procedimentale (articolato secondo una scansione di: accertamento dell’illecito della persona fisica/irrogazione della sanzione alla persona stessa/ingiunzione del pagamento all’ente/giudizio (eventuale) di opposizione /regresso obbligatorio verso il responsabile effettivo carico sanzionatorio gravante in capo all’effettivo responsabile della violazione), potendo essere posto nuovamente in discussione proprio tale ultimo, fondamentale passaggio in caso di accoglimento della tesi della res inter alios acta rispetto alla persona fisica estranea non opponente. L’esigenza di riconoscere in concreto il significato e l’effetto innovativo della previsione legale dell’obbligo di regresso, che, altrimenti, risulterebbe superflua: anche in mancanza della previsione de qua, ben si sarebbe potuto predicare l’esistenza dell’obbligo stesso in capo agli amministratori dell’ente, non essendo, per legge, l’ente il destinatario finale della sanzione (e, dunque, rientrando nel dovere di diligenza dei suoi amministratori provvedere alla rivalsa di quanto l’ente abbia pagato). Le garanzie offerte dal profilo processuale della complessiva vi-

621


Commenti

cenda sanzionatoria, atteso che il relativo decreto accerta gli elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo, dell’illecito in capo alle persone fisiche, uniche responsabili, imputando loro la violazione di una data norma e fissa la sanzione pecuniaria per ciascuno di essi, destinata a gravare – alfine – esclusivamente sul loro patrimonio; esso, dunque, contiene sia un accertamento, sia una sanzione, sia un’ingiunzione, sotto forma di ordine di pagamento: l’opposizione degli autori materiali non ingiunti si appunta sull’accertamento e sulla sanzione, che essi mirano a far dichiarare illegittimi (determinando essi un immediato pregiudizio, quantomeno con riferimento alla pubblicazione sul Bollettino). Il procedimento amministrativo, dunque, non solo si svolge (il che, per quanto sinora detto, sarebbe probabilmente irrilevante), ma si conclude con l’emissione del provvedimento finale nei confronti delle persone fisiche, cui soltanto l’ingiunzione non è materialmente rivolta, nel senso che l’ente sanzionante non suole loro richiedere il pagamento diretto. Ma il fatto che la P.A., come è suo potere, richieda il pagamento soltanto alla banca non significa che la prima non accerti e pretenda il pagamento della sanzione anche da parte degli autori materiali delle condotte: vi è solo la scelta di esigerlo dalla garante (più sicuramente solvibile) e lasciare che sia questa, poi, a ottenerne il rimborso dalle persone fisiche (spesso di numero elevato), così evitando l’autorità pubblica di disperdere la pretesa in innumerevoli rivoli processuali, e concentrando il tutto in un unico pagamento.

622

L’autore materiale convenuto in regresso che non si sia attivato nel giudizio di opposizione potrà, pertanto, opporre alla società soltanto le eccezioni personali. Diversa appare l’ipotesi in cui la società stessa paghi senza opposizione. In tal caso, l’evidente mancanza di un giudicato sostanziale sui fatti oggetto dell’imputazione, coniugata con il già predicato principio della natura meramente facoltativa del litisconsorzio da instaurarsi in ipotesi dinanzi al giudice ordinario, induce a ritenere, anche alla luce del dettato costituzionale sul diritto di difesa, che, nella causa di regresso intrapresa dalla società contro l’autore materiale dell’illecito, questi sia legittimato a far valere qualsiasi eccezione a sostegno dell’insussistenza di tutti i fatti costitutivi dell’obbligazione (mentre non può ritenersi legittima la eventuale domanda riconvenzionale spiegata, ancora, confronti della società che non abbia adeguatamente provveduto alla difesa – anche – della relativa posizione soggettiva, attesa la riconosciuta facoltà di proposizione di un’autonoma opposizione). Un’indiretta conferma della legittimità di tale soluzione pare, infine, potersi ricavare dall’analisi di una fattispecie non del tutto disomogenea rispetto a quella oggetto del presente giudizio. Nel caso in cui un’impresa assicuratrice sia posta in liquidazione coatta amministrativa nel corso del giudizio risarcitorio intrapreso dal danneggiato, difatti, l’impresa designata, da un lato, è soggetta al giudicato, ma, dall’altro, poteva intervenire nel processo e proporre tutte le sue difese (ex l. n. 990 del 1969, mentre, dopo la riforma del 2005, il processo


Corte Suprema di Cassazione

prosegue direttamente anche nei confronti dell’impresa designata). Questa corte di legittimità, fondando il decisum sulla sussistenza di un obbligo di fonte legale in capo all’impresa designata, ha più volte affermato che l’impresa stessa, obbligata per legge “per ragioni di solidarietà sociale e di equità”, non subisce il giudicato formatosi nella causa promossa dal danneggiato nei confronti del conducente e del proprietario dell’auto investitrice – applicandosi invece l’art. 1306 c.c., quanto alla sussistenza dell’obbligo risarcitorio del danneggiato e del correlativo debito – perché essa non aveva partecipato al giudizio: così Cass. 30 ottobre 2007, n. 22881. Pur avendo così radicalmente mutato la propria, precedente giurisprudenza (ex multis Cass. 12 maggio 2005, n. 10017, secondo cui la sentenza emessa nei confronti del conducente o del proprietario del veicolo investitore convenuti in giudizio dal danneggiato ai sensi dell’art. 2054 c.c., senza la partecipazione, neppure successiva, dell’assicuratore, spiegava invece efficacia riflessa nei confronti dell’assicuratore medesimo, nel senso che essa faceva stato quanto alla sussistenza dell’obbligo risarcitorio del danneggiante e del correlativo debito, non disconoscibili come affermazione oggettiva di verità), il nuovo orientamento del 2007 pare fondato comunque sull’indissolubilità del binomio costituito dagli effetti riflessi del giudicato e dalla possibilità di difesa dell’obbligato, sistema “operazionale” che la soluzione complessivamente adottata nella specie ampiamente garantisce.

Deve pertanto concludersi la disamina che precede nei sensi che seguono: a) Alla persona fisica destinataria della sanzione, ma non ingiunta del pagamento, va riconosciuta un’autonoma legitimatio ad opponendum, concretantesi tanto nella facoltà di proporre autonoma opposizione quanto nel diritto di spiegare intervento litisconsortile nel giudizio instaurato dalla società; b) Il rapporto processuale che s’instaura tra la società e le persone fisiche intervenute nel giudizio di opposizione è di tipo litisconsortile facoltativo, sub specie dell’intervento adesivo autonomo; c) Nell’ipotesi di proposizione di diverse opposizioni, in via autonoma, tanto da parte della società quanto da parte della persona fisica, soccorrono, al fine di evitare ipotetici contrasti tra giudicati, le ordinarie regole processuali in tema di connessione e riunione di procedimenti; d) Nell’ipotesi di inerzia da parte della persona fisica rispetto al giudizio di opposizione intentato dalla società, il giudicato formatosi in quel processo spiega effetti nel successivo giudizio di regresso quanto ai fatti accertati (con conseguente preclusione delle eccezioni c.d. “reali”), salva l’opponibilità di eccezioni personali; e) Nell’ipotesi di mancata opposizione da parte della società (e di pagamento della sanzione inflitta), nessuna preclusione si verifica, di converso, in seno al giudizio di regresso, ove la persona fisica potrà spiegare tutte le opportune difese (anche) sul merito della sanzione. (Omissis)

623


Commenti

(1) Le Sezioni Unite e la legittimazione all’opposizione dei destinatari delle sanzioni ex art. 195 t.u.f.

1. La materia delle sanzioni amministrative nel settore lato sensu finanziario trova, come è noto, la propria regolamentazione nelle discipline specifiche dettate rispettivamente, per le banche, dal t.u.b. del 1993 (essenzialmente: art. 144 e 145), per gli intermediari finanziari, dal t.u.f. del 1998 (art. 18715-195) e, per le imprese di assicurazione, dal codice delle assicurazioni del 2005 (art. 305-328), integrate dall’art. 24 della l. n. 262 del 2005. Si tratta di discipline che – oltre a essere disomogenee fra di loro – si presentano (soprattutto quelle contenute nel t.u.b. e nel t.u.f.) con caratteri di notevole sommarietà e prospettano, anche in relazione a questo, non pochi e non irrilevanti nodi problematici . Per citarne, a titolo di esempio, alcuni: il rapporto fra le discipline specifiche di cui si è appena detto e la disciplina generale fornita dalla l. n. 689 del 1981 in materia di illeciti amministrativi ; la rispondenza delle fattispecie sanzionatorie previste nelle disposizioni di settore ai principi di legalità e tassatività ; la

Basta considerare, per esempio, la diversa competenza a conoscere dell’opposizione avverso i provvedimenti sanzionatori che, per quelli assunti ai sensi del t.u.b., è attribuita alla Corte d’Appello di Roma, per quelli assunti ai sensi del t.u.f., è attribuita alle corti d’appello territoriali e infine, per quelli concernenti l’attività assicurativa, è attribuita ai tar territoriali. La letteratura su queste discipline speciali non è particolarmente nutrita: qui, oltre ai contributi nei commentari sul t.u.f., sul t.u.b. e sul codice delle assicurazioni, si possono ricordare, fra gli altri, Brunetti, La procedura sanzionatoria Consob ai sensi dei nuovi art. 187 bis e 195 t.u.f. e l’opposizione alle sanzioni avanti il giudice ordinario ex art. 195 e 196, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 195 ss.; De Biasi, Persuasione e castigo – Le sanzioni amministrative nel tub e nel tuf; Mattarella, Le sanzioni amministrative nel nuovo ordinamento bancario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, p. 679 ss.; Clarich, Le sanzioni amministrative nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia: profili sostanziali e processuali, in Banca, impresa, soc., 1995, p. 59 ss. Interessanti sono le rassegne di Condemi, Le sanzioni amministrative bancarie e la giurisprudenza della Corte d’Appello di Roma, Roma, 1991 e di Tiscione, Le sanzioni amministrative nella giurisprudenza, in Analisi giuridica dell’economia, 1/2006, p. 157 ss. Sul tema v., in generale, Mattarella, Art. 23-24, in Nigro e Santoro, a cura di, La tutela del risparmio, Torino, 2007, p. 448. Il problema si pone perché molte delle disposizioni del t.u.b. e del t.u.f. il cui rispetto è presidiato da sanzioni amministrative sono in effetti disposizioni “in bianco”, destinate a essere “riempite” con la normativa secondaria. È il caso di precisare che la

624


Alessandro Nigro

piena rispondenza delle regole procedimentali fissate nelle normative secondarie o in concreto seguite al principio del giusto procedimento e ai relativi corollari , tra cui quello della “parità delle armi” ; la sindacabilità da parte del giudice dell’opposizione degli accertamenti e delle valutazioni tecniche su cui si fondano le sanzioni ; e così via.

giurisprudenza tende a risolvere positivamente tale problema: se ne trae conferma dalle sentenze coeve a quella qui pubblicata (le n. 20930, 20931, 20932, 20934), in cui, in particolare, si è esclusa la violazione del principio di tassatività, rilevando, da un lato, che la genericità della disposizione normativa asseritamene violata risulterebbe colmata dalla motivazione del provvedimento sanzionatorio e, dall’altro, che il principio di tassatività opererebbe con minor rigore con riferimento ai procedimenti amministrativi rispetto ai procedimenti penali. In base all’art. 24, co. 3, della l. n. 205 del 2005 compete alle c.d. autorità indipendenti disciplinare, con propri regolamenti, l’applicazione dei principi fissati in quell’articolo anche e proprio con riguardo ai procedimenti e provvedimenti sanzionatori (v. anche la nota successiva). È il caso di sottolineare che l’art. 24, co. 1, della l. n. 205 del 2005, là dove – dopo aver sancito in generale l’applicabilità ai procedimenti delle c.d. autorità indipendenti dei principi sulla partecipazione al procedimento e sul diritto all’accesso recati dalla l. n. 241 del 1990, nei limiti della compatibilità – stabilisce che i procedimenti sanzionatori speciali di cui stiamo trattando sono svolti “nel rispetto dei principi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie”, risponde proprio all’esigenza di assicurare il pieno adeguamento di tali procedimenti al principio del giusto procedimento. Mattarella, Art. 23-24, cit., p. 448 rileva che queste previsioni evidenziano una tendenza alla “giurisdizionalizzazione” di queste forme di esercizio del potere sanzionatorio amministrativo: se questo rilievo fosse esatto – e ad avviso di chi scrive certamente lo è – dovrebbe forse cominciarsi a parlare, con riferimento al nostro tema, di (necessità di assicurare il pieno rispetto del) principio del giusto processo (nel senso di cui all’art. 111 Cost.) con tutto quello che, allora, ne deriverebbe. Merita di essere segnalato, su questo tema, il decreto 21 febbraio 2008 della Corte d’Appello di Genova (in Le società, 2008, 860, con nota di Grossi, Il procedimento sanzionatorio della Consob al vaglio delle corti di merito), che ha dichiarato nullo un provvedimento sanzionatorio della Consob, perché non era stato assicurato il rispetto del contraddittorio nei due “snodi” dell’istruttoria quali previsti dalla regolamentazione della stessa Consob. Nella sentenza qui pubblicata si sottolinea con particolare enfasi che il giudizio di opposizione (pur strutturato come processo di impugnazione) ha come oggetto la verifica della sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito e della pretesa sanzionatoria, che in tale giudizio il sindacato del giudice è pieno e può giungere fino alla sostituzione della sanzione irrogata a conclusione della verifica della congruità del provvedimento sanzionatorio. Questo è in principio esatto. Nella realtà applicativa, almeno per quanto riguarda i procedimenti sanzionatori che qui interessano, accade però che il giudice di merito assai spesso si “trinceri” dietro quelli che vengono definiti come “gli accurati accertamenti effettuati dall’organo di vigilanza”, rifiutandosi a priori di vagliarne l’atten-

625


Commenti

Questo panorama si è trovato a essere “arricchito” in tempi recenti da un ulteriore – inaspettato e inutile – nodo problematico derivato da indirizzi giurisprudenziali, decisamente singolari, concernenti il profilo della legittimazione a proporre opposizione avverso i provvedimenti sanzionatori. Il problema è nato in relazione, da un lato, alla espressa previsione (e v. art. 195 co. 9 t.u.f.; art. 145, co. 10, t.u.b.) a carico dell’ente al quale appartenga la persona fisica autrice della violazione di una responsabilità solidale per il pagamento della sanzione, con l’altrettanto espressa previsione dell’obbligo per l’ente, ove abbia effettuato il pagamento, di esercitare il regresso contro la suddetta persona fisica. E, dall’altro, in relazione alla prassi, seguita in particolare in materia di sanzioni ex art. 195 t.u.f., secondo la quale, all’esito del procedimento sanzionatorio, viene emesso un provvedimento (un tempo del ministro del Tesoro, poi ministro dell’Economia ; oggi della Consob) che accerta la violazione perpetrata dalla o dalle persone fisiche e determina le relative sanzioni, ma ingiunge il pagamento delle medesime soltanto all’ente cui l’autore o gli autori delle violazioni appartengano. La giurisprudenza si era da tempo orientata, con riferimento al procedimento di opposizione all’ordinanza-ingiunzione concernente sanzioni amministrative regolato in generale dall’art. 22 della l. n. 689 del 1981, nel senso che la legittimazione a tale opposizione competesse esclusivamente al soggetto destinatario dell’ingiunzione e non anche all’autore della violazione ove non destinatario dell’ingiunzione 10. Da un certo momento in poi si è cominciato a ritenere che analoga “regola” dovesse

dibilità, completezza, congruenza, ecc. e pervenendo al rigetto dell’opposizione con motivazioni sovente solo apparenti; e che la Cassazione, a sua volta, si rifiuti di sindacare questo modo di decidere, “trincerandosi” dietro la non attaccabilità delle sentenze di merito per motivi riconducibili all’art. 360, n. 5, c.p.c., trattandosi di ricorso straordinario ex art. 111 Cost. (peraltro, questa linea è destinata ormai a cadere, in relazione alla modifica apportata dal d. lgs. n. 40/2006 all’art. 360 c.p.c., con la completa equiparazione del ricorso straordinario al ricorso ordinario quanto a motivi deducibili). Nella vicenda su cui si è pronunziata la sentenza qui pubblicata si trattava, appunto, di un decreto sanzionatorio emesso (nel 2002) dal ministro dell’Economia. 10 Fra le tante, v. Cass., sez. I, 22 luglio 1996, n. 6573, in Foro it., Rep. 1996, voce Sanzioni amministrative e depenalizzazione, n. 150; Cass., sez. I, 30 giugno 1997, n. 5833, id., Rep. 1997, voce cit., n. 157; Cass., sez. I, 11 dicembre 1997, n. 12515, ibidem, n. 155; Cass., sez. lav., 19 settembre 2001, n. 11819, id., Rep. 2004, voce cit., n. 160; Cass., sez. I, 3 ottobre 2005, n. 19284, id., Rep. 2005, voce cit., n. 166. Da ultimo, v. Cass., sez. lav., 16-10-2007, n. 21604, in Mass. giur. lav., 2008, 99.

626


Alessandro Nigro

valere anche con riferimento ai procedimenti sanzionatori regolati dal t.u.b. e dal t.u.f. e conseguentemente che laddove, come nella prassi riferita, l’autorità procedente avesse sì comminato le sanzioni alle persone fisiche autrici delle violazioni, ma ingiunto il pagamento solo all’ente cui tali persone appartenessero, la legittimazione all’opposizione sarebbe spettata solo a quell’ente. Si trattava di una linea che – pur se aveva conquistato rapidamente consensi nella giurisprudenza delle corti d’appello 11 e, da ultimo, l’adesione della Cassazione 12 – da un lato poggiava su autentici fraintendimenti, dall’altro sottovalutava le differenze fra il procedimento sanzionatorio disciplinato dalla normativa generale del 1981 e i procedimenti sanzionatori speciali del t.u.f. e del t.u.b., dall’altro ancora provocava una serie di effetti “perversi” certamente inaccettabili 13. Poggiava su autentici fraintendimenti, perché qualificava come interesse di mero fatto quello dell’autore della violazione (non ingiunto) alla rimozione della sanzione, travisando il senso vuoi della partecipazione necessaria di tale soggetto al procedimento sanzionatorio, la quale porta a qualificare l’interesse del medesimo a non ricevere (e quindi anche eventualmente a rimuovere) la sanzione come interesse giuridicamente rilevante; vuoi del giudizio di opposizione, il cui oggetto è quello dell’accertamento della sussistenza o meno dei presupposti della pretesa dell’autorità procedente, rispetto al che l’esservi o no l’ingiunzione è circostanza assolutamente accessoria (sarebbe come se un debitore fosse legittimato a contestare il credito vantato nei suoi confronti solo quando il creditore abbia concretamente iniziato ad azionare la pretesa). Sottovalutava, poi, le differenze fra il procedimento sanzionatorio “generale” e i procedimenti sanzionatori “specifici”, perché, fra l’altro, non considerava che la carica afflittiva delle sanzioni di cui alle discipline speciali non si esaurisce nel pagamento della sanzione pecuniaria, ma va oltre, comprendendo anche la pubblicazione di essa 14, che si configura come

11 V., fra le tante, App. Roma, 21 luglio 2004, in Dir. e pratica società, 2004, fasc. 24, 80, con nota di Ciccone; App. Brescia, 12 gennaio 2005, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, II, 726, con nota di Amato, Responsabilità solidale nelle sanzioni amministrative pecuniarie previste dagli artt. 195 e 196 TUF. 12 V. fra le altre Cass., sez. I, 22 dicembre 2004, n. 23783, in Foro it., Rep. 2005, voce Sanzioni amministrative e depenalizzazione, n. 167; Cass., sez. II, 15 dicembre 2006, n. 26944, id., Rep. 2007, voce Intermediazione finanziaria, n. 183. Da ultimo, Cass., sez. II, 11 febbraio 2009, n. 3401, inedita. 13 Per valutazioni critiche v. anche Amato, Responsabilità solidale, cit., p. 732 ss. 14 E v. art. 195, co. 3, t.u.f.

627


Commenti

una sanzione accessoria, la quale prescinde completamente dall’ingiunzione e può avere conseguenze rilevantissime sul piano della immagine professionale e morale del soggetto sanzionato. Produceva effetti “perversi”, perché, per un verso, rendeva inevitabile il completo distacco fra il giudizio di opposizione e il giudizio di regresso (nel quale soltanto, secondo quell’orientamento, la persona fisica responsabile della violazione, ma non ingiunta, avrebbe potuto tutelare il proprio diritto, con la conseguente necessità allora di assicurare all’interessato in quella sede la più completa difesa anche e proprio in chiave di contestazione dei presupposti della pretesa sanzionatoria), con il rischio, allora, di giudicati contrastanti e quello, consequenziale, che alla fine l’onere patrimoniale della sanzione restasse integralmente a carico dell’ente, contro l’esplicita volontà della legge. E perché, per altro verso, obbligava l’ente a proporre comunque l’opposizione e a coltivarla, al fine di evitare che, in sede di necessitato regresso, i destinatari della sanzione potessero sollevare nei confronti del medesimo quella che, nella sentenza qui commentata, si definisce come exceptio litis malae gestae, facendo quindi assumere all’ente il ruolo – certamente improprio ed estraneo al sistema della legge – di contraddittore necessario della pretesa sanzionatoria e imponendo al medesimo ente – anche qui impropriamente – un obbligo di protezione (degli interessi) dei destinatari della sanzione. 2. C’è stata, fortunatamente, una vera e propria resipiscenza, sul tema, da parte della Suprema Corte. Dapprima, la II sezione della Corte, con l’ordinanza 4 febbraio 2009, n. 2731, ha ritenuto che la costante affermazione della carenza di legittimazione dei destinatari delle sanzioni ex art. 195 t.u.f. ove non sia stato loro ingiunto il pagamento derivasse dal disconoscimento di una “significativa specialità “ del relativo procedimento e dalle incertezze sull’esistenza e individuazione di particolari limiti all’applicabilità della disciplina generale dettata dalla l. n. 689 del 1981, e, constatata la particolare rilevanza della questione, la ha rimessa alle SS.UU. A breve distanza di tempo, poi, le Sezioni Unite, con la sentenza qui pubblicata (e con altre quattro di pari data 15), hanno completamente ribaltato il precedente consolidato orientamento, affermando essere convincimento

15 Si tratta delle sentenze n. 20930, 20931, 20932, 20934 del 2009 (alle quali si è già accennato retro, nt. 4), tutte, per la parte che qui interessa, di tenore identico a quella qui pubblicata.

628


Alessandro Nigro

delle medesime sezioni unite che la legitimatio ad opponendum della persona fisica destinataria delle sanzioni ma non dell’ingiunzione “non sia seriamente contestabile, quanto alla sua stessa esistenza, in seno al procedimento di opposizione dinanzi al giudice civile”. La Suprema Corte, per la verità, perviene a questo esito attraverso un itinerario, oltre che lungo, anche perché arricchito da molte divagazioni, decisamente “contorto” (il che può trovare forse spiegazione nell’intento di evitare di rimettere in discussione anche l’indirizzo formatosi con riferimento al procedimento di opposizione disciplinato dalla l. n. 689 del 1981, che anzi viene nell’occasione espressamente confermato). La sentenza muove, infatti, dalla previsione dell’obbligo di regresso imposto all’ente di appartenenza dell’autore della violazione – che costituisce, in effetti, uno dei principali elementi di differenziazione fra il procedimento speciale disciplinato dal t.u.f. e quello generale disciplinato dalla l. del 1981 – per derivarne, attraverso una serie di passaggi non sempre lineari, la “insostenibilità” della tesi della eterogeneità fra giudizio di opposizione e giudizio di regresso, la “insostenibilità” della tesi che attribuisce al condebitore non ingiunto la possibilità di contestare la pretesa sanzionatoria nel giudizio di regresso, la “insostenibilità” della soluzione che neghi il potere di impugnare direttamente la sanzione a chi abbia interesse all’accertamento dei presupposti della medesima. Quello che conta, comunque, è che si sia posto termine – si spera definitivamente – a un indirizzo giurisprudenziale francamente assurdo ed inaccettabile. 3. Pienamente condivisibile là dove ha riconosciuto la piena legittimazione dei destinatari delle sanzioni ex art. 195 t.u.f. a proporre in via autonoma opposizione avverso le medesime indipendentemente dall’ingiunzione, la sentenza qui commentata (come, ovviamente, le altre coeve) solleva invece molte perplessità quanto alle ulteriori conclusioni cui è pervenuta. Nella parte finale della sentenza si afferma che: “a) alla persona fisica destinataria della sanzione, ma non ingiunta del pagamento, va riconosciuta un’autonoma legitimatio ad opponendum, concretatesi tanto nella facoltà di proporre autonoma opposizione, quanto nel diritto di spiegare intervento litisconsortile nel giudizio instaurato dalla società; b) il rapporto processuale che s’instaura tra la società e le persone fisiche intervenute nel giudizio di opposizione è di tipo litisconsortile facoltativo, sub specie dell’intervento adesivo autonomo; …

629


Commenti

d) nell’ipotesi d’inerzia da parte della persona fisica rispetto al giudizio di opposizione intentato dalla società, il giudicato formatosi in quel processo spiega effetti nel successivo giudizio di regresso quanto ai fatti accertati (con conseguente preclusione delle eccezioni c.d. “reali”), salva l’opponibilità di eccezioni personali; e) nell’ipotesi di mancata opposizione da parte della società (e di pagamento della sanzione inflitta), nessuna preclusione si verifica, di converso, in seno al giudizio di regresso, ove la persona fisica potrà spiegare tutte le opportune difese (anche) sul merito della sanzione”. La ragione delle perplessità su queste conclusioni (eccezion fatta, naturalmente, per quella concernente la legittimazione del destinatario della sanzione alla proposizione di opposizione autonoma) è molto semplice e si connette alla natura e struttura della opposizione, che la Suprema Corte – a sommesso avviso di chi scrive – non sembra aver esattamente colto in tutte le loro implicazioni. Il giudizio di opposizione ha sì un oggetto di accertamento (accertamento negativo della pretesa di pagamento dell’autorità e, più in generale, accertamento della sussistenza o meno degli elementi costitutivi dell’illecito), ma – come la stessa Cassazione riconosce – ha una struttura di impugnazione, e di impugnazione soggetta a un ristretto termine di decadenza. Da questo direttamente discende che il destinatario della sanzione non ingiunto del pagamento, una volta che gli venga riconosciuta la legitimatio ad opponendum, come portatore di un interesse giuridicamente rilevante all’accertamento di cui sopra, ha non solo la facoltà, ma anche l’onere di proporre opposizione nel termine se vuole evitare che il provvedimento sanzionatorio divenga definitivo nei suoi confronti. E discende, ulteriormente, che – contrariamente a quanto ritenuto dalla Suprema Corte – a quel soggetto non può riconoscersi alcun “diritto di spiegare intervento litisconsortile nel giudizio instaurato dalla società” di appartenenza. È principio sicuro che nei giudizi di tipo impugnatorio il soggetto titolare di un interesse all’impugnazione, e quindi legittimato, non può far valere questo interesse attraverso l’intervento, tantomeno attraverso intervento adesivo autonomo, nel giudizio proposto da altri legittimati. È principio sicuro con riferimento ai giudizi amministrativi (appunto di impugnazione): la giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum spiegato nel processo amministrativo da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l’interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all’impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che può farsi valere solo mediante proposizione

630


Alessandro Nigro

di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali 16. Deve considerarsi sicuro anche con riguardo ai giudizi civili: del resto, è alla luce di quel principio che, in materia di impugnazione delle deliberazioni assembleari delle società per azioni ex art. 2377 c.c., la migliore dottrina ritiene ammissibile l’intervento litisconsortile del socio nel giudizio proposto da altri soci solo a condizione che l’intervento avvenga entro il termine di decadenza fissato dalla legge per l’impugnazione, cioè si configuri sostanzialmente come impugnazione autonoma 17. Non solo. Alla luce di quanto precede deve ritenersi che il destinatario della sanzione, ove non abbia proposto opposizione nel prescritto termine, non possa più contestare successivamente, in sede di regresso da parte dell’ente di appartenenza che abbia provveduto al pagamento della sanzione, la fondatezza del provvedimento sanzionatorio, che è ormai divenuto definitivo nei suoi confronti. Non lo possa più in alcun caso: vale a dire sia – come ha ritenuto anche la Cassazione, ma all’esito di un itinerario diverso e, a mio avviso, del tutto inutile e fuorviante 18 – quando tale ente abbia proposto esso opposizione e tale opposizione sia stata respinta, sia – e qui la linea prospettata in questa sede e la linea seguita dalla Cassazione divergono radicalmente – quando tale ente non abbia proposto opposizione e abbia puramente e semplicemente pagato. 4. In conclusione. Le Sezioni Unite, con il riconoscimento della legittimazione all’opposizione in capo al destinatario delle sanzioni ex art. 195

16 V. fra le tante C. Stato, sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3928, in Cons. Stato, 2000, I, 1747; T.a.r. Puglia, sez. I, 10 ottobre 2007, n. 2486, in Foro amm.-Tar, 2007, 3215, con nota di Guzzardo. In dottrina v., per tutti, Casetta, Manuale di diritto amministrativo10, Milano, 2008, p. 777. 17 V., per tutti, Zanarone, L’invalidità delle deliberazioni assembleari, in Tratt. s.p.a, diretto da Colombo e Portale, 3**, Torino, 1993, p. 401 s., il quale rileva giustamente che, ove si consentisse l’intervento oltre il termine, l’intervento stesso “si risolverebbe di fatto in un comodo espediente per impugnare una delibera assembleare al di fuori dei rigorosi termini di decadenza cui l’impugnativa originaria, per motivi di ordine pubblico, è sottoposta” (considerazione che, naturalmente, vale anche per la fattispecie che stiamo considerando). 18 La Suprema Corte ha infatti impostato il problema in chiave di efficacia riflessa sul giudizio di regresso del giudicato formatosi sul giudizio di opposizione, che è tema totalmente irrilevante nella prospettiva seguita nel testo (ciò naturalmente non significa che un problema di efficacia riflessa di quel giudicato non si ponga mai: esso si pone, ma nell’ipotesi opposta a quella qui considerata, cioè nell’ipotesi che l’opposizione proposta dall’ente sia accolta, e va ovviamente risolto in senso affermativo).

631


Commenti

t.u.f., hanno compiuto un primo, fondamentale passo nella direzione di un assetto del giudizio di opposizione che sia – come deve essere – rispettoso delle posizioni sostanziali effettive delle parti coinvolte (la stessa Suprema Corte sottolinea che il rapporto fra le obbligazioni rispettivamente dell’autore della violazione e dell’ente di appartenenza è di tipo funzionale e non omogeneo a quello proprio delle obbligazioni solidali; che in capo all’ente nasce un’obbligazione accessoria ex lege, la quale presuppone quella principale; che, all’esito di tutto, il peso della sanzione deve gravare integralmente sul singolo responsabile). Altri passi però vanno compiuti perché tale obiettivo si possa dire pienamente conseguito.

Alessandro Nigro

632


fatti e problemi della pratica

La compliance nelle attività e nei servizi bancari: i problemi aperti Sommario: 1. Introduzione. – 2. La compliance delle banche nella regolamentazione sovranazionale. – 3. L’evoluzione della compliance nell’ordinamento bancario italiano. – 4. Le disposizioni della Banca d’Italia in materia di compliance. – 4.1. La disciplina transitoria. – 4.2. Funzione di compliance, principle based regulation e proporzionalità. – 4.3. Il perimetro di riferimento della funzione di compliance. – 4.4. L’organizzazione della compliance. – 4.5. L’indipendenza della compliance.

1. Introduzione. Il lavoro affronta il tema dell’introduzione della funzione di conformità alle norme (compliance) nelle banche in Italia, con particolare riferimento alla gestione del rischio di compliance nelle attività e nei servizi tipicamente bancari. Per contenere la dimensione dell’intervento non sarà oggetto del presente lavoro la disciplina della conformità nel settore dei servizi di investimento, per quanto la quasi totalità delle banche siano abilitate a operare anche in tale settore e debbano quindi rispondere alle relative regole . A distanza di oltre due anni dall’introduzione della regolamentazione della compliance nelle banche in Italia e tenuto conto degli ormai numerosi interventi della dottrina e delle Autorità , il lavoro evita di riper-

In dottrina v., da ultimo, Alberici, La compliance nell’attuazione della direttiva Mifid, in L’attuazione della direttiva Mifid, a cura di Frediani e Santoro, Giuffré, 2009, pp. 181-198. Oltre ai contributi più avanti citati si ricordano Alberici, Dalle disposizioni per la tutela del risparmio alla funzione della compliance, in Tutela del risparmio, Authorities, governo societario, Milano, 2008, p. 193 ss.; Carosio, La funzione di compliance tra

633


Fatti e problemi della pratica

correre in modo descrittivo la disciplina della funzione di compliance. Dopo alcuni cenni alla genesi in sede internazionale e domestica e un richiamo al contesto storico e istituzionale, vengono discussi quattro temi di particolare importanza tuttora non completamente risolti sotto il profilo normativo e operativo, quali: la declinazione pratica dei principi di principle based regulation e di proporzionalità; la definizione del perimetro di riferimento della funzione di compliance; le possibili soluzioni organizzative percorribili a livello di banca e di gruppo bancario, con i relativi pro e contro; le condizioni per l’indipendenza della funzione di conformità.

2. La compliance delle banche nella regolamentazione sovranazionale. Dal punto di vista regolamentare, il primo, concreto punto di partenza può essere individuato nel documento Compliance e la funzione di compliance nelle banche, pubblicato dal Comitato di Basilea nell’aprile del 2005 . Per quanto si tratti di disposizioni che, pur autorevoli, non hanno diretta forza cogente nel nostro ordinamento , le indicazioni del Comitato di Basilea mettono in luce, con grande forza, la necessità per le banche di dotarsi di un’efficace e permanente funzione di compliance, assegnando tale responsabilità direttamente al consiglio di amministrazione . Per il Comitato di Basilea, infatti, la compliance “parte dal vertice”, essendo più efficace in una cultura aziendale che enfatizza l’onestà e l’integrità della condotta e dove il vertice aziendale e il top management

Basilea II e MiFID, in Atti del III Incontro Compliance AICOM-Dexia Crediop, Roma, 21 settembre 2007; Draghi, Banche, crisi finanziaria e gestione del risparmio, in Banc., n. 7-8, 2008, pp. 10-17. Sul tema della cultura della compliance v. Carretta, Compliance e cultura bancaria, in L’attuazione, cit., pp. 199-202. Basel Committee on Banking Supervision, Compliance and the compliance function in banks, Bank for International Settlements, April 2005, in www.bis.org. Sul punto v. Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2007, pp. 554-555. Come evidenziato nel Principle 1, il consiglio di amministrazione della banca: è responsabile sulla supervisione della gestione del rischio di compliance nella banca; è tenuto ad approvare una policy di compliance, nell’ambito della quale sia formalmente prevista la costituzione di una funzione di compliance; deve valutare almeno annualmente l’adeguatezza del sistema di gestione del rischio di compliance.

634


Gian Luca Greco

guidano con l’esempio. La compliance in banca riguarda tutti e va vista come parte integrante dell’attività bancaria, che deve essere ordinata al rispetto dello spirito oltre che della lettera della legge . Per quanto l’istituzione di una funzione di compliance renda la gestione del rischio di compliance più agevole ed efficace, il Comitato di Basilea rafforza il precedente concetto affermando ancora che la compliance è componente essenziale della cultura aziendale e non una mera responsabilità degli addetti della funzione interna di compliance . Il documento di Basilea non sarà in questa sede oggetto di specifica trattazione: se ne parlerà semmai in occasione del commento all’attuale regolamentazione italiana, sia in funzione interpretativa che comparatistica, trattandosi di principi che hanno necessariamente influenzato gli sviluppi della compliance nelle banche dei paesi maggiormente industrializzati. Basti qui dire che il paper è strutturato come un vero e proprio decalogo di macro principi sulla compliance, che vanno dalle responsabilità del consiglio di amministrazione e del top management alle caratteristiche, risorse e responsabilità della funzione, dalle relazioni con le altre funzioni aziendali alla strutturazione nei gruppi internazionali e infine alle ipotesi di outsourcing. Il tema della compliance è ripreso dal Comitato di Basilea, seppure nell’ambito di un ragionamento più ampio, appena un anno più tardi, in occasione della rivisitazione dei principi fondamentali per un’efficace supervisione delle banche . Dopo dieci anni dalla prima stesura, i principi sono stati aggiornati per tener conto dell’evoluzione bancaria e finanziaria e dei nuovi indirizzi in materia di vigilanza, sulla scia dei lavori che hanno condotto al nuovo accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali (c.d. Accordo di Basilea 2) .

Basel Committee, Compliance, cit., p. 7. «Compliance starts at the top. It will be most effective in a corporate culture that emphasises standards of honesty and integrity and in which the board of directors and senior management lead by example. It concerns everyone within the bank and should be viewed as an integral part of the bank’s business activities. A bank should hold itself to high standards when carrying on business, and at all times strive to observe the spirit as well as the letter of the law». Basel Committee, op. cit. «Compliance should be part of the culture of the organisation; it is not just the responsibility of specialist compliance staff. Nevertheless, a bank will be able to manage its compliance risk more effectively if it has a compliance function». Basel Committee on Banking Supervision, Core principles for effective banking supervision, October 2006, in www.bis.org. Per una panoramica sulle novità v. Godano, I nuovi principi di Basilea per un’efficace vigilanza bancaria, in Banc., n. 2, 2008, pp. 79-89.

635


Fatti e problemi della pratica

Per quel che ci interessa, nel Principio 17 si afferma che le autorità di vigilanza devono poter accertare che le banche dispongano di controlli adeguati alle dimensioni e alla complessità delle loro attività 10. In particolare, i controlli interni devono prevedere la verifica di conformità dei processi nonché funzioni che accertino l’osservanza delle regole e della normativa pertinente. Infine, il Comitato di Basilea, a distanza di circa tre anni dal primo paper dedicato alla compliance, ha pubblicato i risultati di una ricerca effettuata nel corso del 2007 sullo stato d’implementazione della funzione negli ordinamenti bancari di ventuno paesi 11. Come afferma lo stesso Comitato, si tratta di un vero e proprio follow-up degli effetti del documento del 2005, sia sotto il profilo regolamentativo – ossia in ordine all’emanazione di norme in materia di compliance – che operativo – con riferimento cioè a eventi accaduti nei vari paesi che hanno messo in luce carenze di compliance. I risultati della ricerca mostrano che le banche della grande maggioranza degli ordinamenti sentiti gestiscono e presidiano la funzione di compliance come un’importante funzione di controllo dei rischi, in linea, a vario livello, con le indicazioni del documento del 2005. L’emanazione di tale documento è stata in generale ritenuta fondamentale per favorire miglioramenti sul fronte della compliance, anche laddove non vi sono stati eventi negativi. Infine, la ricerca rivela che i macro principi a suo tempo suggeriti rimangono attuali e sono oggetto di attenzione nei paesi dove il processo di regolamentazione della compliance non è ancora terminato.

3. L’evoluzione della compliance nell’ordinamento bancario italiano. Come è stato autorevolmente affermato, la verifica del rispetto delle disposizioni applicabili alla banca costituisce da tempo una delle finalità principali del sistema dei controlli interni (di seguito anche SCI) 12. In

10

Si tratta dell’esplicitazione del principio di “proporzionalità” delle misure, che più avanti sarà abbondantemente ripreso. 11 Basel Committee on Banking Supervision, Implementation of the compliance principles. A survey, August 2008, in www.bis.org. 12 Tarantola, La funzione di compliance nei sistemi di governo e controllo delle imprese bancarie e finanziarie, intervento al workshop Il ruolo del sistema dei controlli nella gestione del rischio di conformità negli istituti finanziari, Cetif – Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 4 ottobre 2007, p. 7.

636


Gian Luca Greco

coerenza con quanto stabilito dall’art. 5 del d.lgs. n. 385 del 1° settembre 1993 (di seguito anche t.u.b.), le Istruzioni della Banca d’Italia da oltre dieci anni prevedono tra gli obiettivi del SCI la conformità alle norme e il presidio dei rischi, ivi compresi quelli di natura operativa, legale e reputazionale 13. Quanto appena detto non deve affatto sorprendere. Se tutte le imprese non possono fare a meno di un sistema di controllo e di governo dei rischi al fine di perseguire gli obiettivi aziendali e preservare il valore per gli azionisti, per le banche questa necessità assume da sempre ancora maggiore rilievo, tenuto conto delle caratteristiche dell’attività svolta (che coinvolge interessi pubblici quali la tutela del risparmio e degli investitori) e dell’importanza della componente fiduciaria e reputazionale 14. Il compito di assicurare la conformità dei comportamenti alle norme è però negli ultimi anni divenuto più complesso, in conseguenza di uno sviluppo particolarmente importante dell’industria dei servizi finanziari e dell’incremento della concorrenza all’interno di essa, che ha portato alla diversificazione di attività, prodotti e modelli operativi. In Italia, dopo decenni di “calma piatta” (o quasi), dalla fine degli anni Ottanta il sistema finanziario è stato oggetto di profondi cambiamenti.

13 Banca d’Italia, Istruzioni di vigilanza per le banche, Circolare n. 229 del 21 aprile 1999, Tit. IV, Cap. 11. «La nuova funzione si trova ad avviare la propria attività in realtà aziendali che hanno sviluppato modelli e presidi di controllo sulla scorta della regolamentazione preesistente; questa richiedeva già agli intermediari di dotarsi di sistemi finalizzati ad assicurare la conformità alle norme. La crescente sensibilità per le problematiche di compliance ha indotto diversi operatori ad attivare all’interno delle strutture di Internal Audit unità specialistiche addette in via sistematica alla valutazione dei presidi volti a prevenire i rischi di non conformità. Il processo di consultazione pubblica sulla nuova disciplina della compliance ha dato impulso all’evoluzione dei modelli aziendali di presidio della conformità secondo i nuovi e più avanzati principi. È stata avviata la separazione della compliance dall’Internal Audit, richiesta dalla nuova regolamentazione con criteri di gradualità» (Tarantola, La funzione, cit., pp. 13-14). Sul punto v. anche Boccuzzi, La funzione di compliance: il presidio dei rischi aziendali e l’evoluzione della normativa Basilea 2 e Mifid, in Banc., n. 2, 2008, p. 34. 14 «Carenze nella governance degli intermediari o nel sistema dei controlli possono, nei casi più gravi, compromettere la stabilità dell’intermediario (con costi elevati per i sistemi di garanzia dei depositanti e con possibili ripercussioni macroeconomiche) e in ogni caso possono condizionare negativamente la fiducia del mercato e della clientela sia nei confronti della singola banca che, con effetto domino, sul sistema bancario nel suo complesso» (Tarantola, La funzione, cit., p. 4).

637


Fatti e problemi della pratica

Sul fronte della concorrenza “esterna”, la prima direttiva comunitaria n. 77/780/CE ha reso oggettivi i requisiti per l’accesso delle imprese al mercato bancario e, successivamente, la seconda direttiva n. 89/686/CE ha introdotto il principio dell’home country control e il mutuo riconoscimento delle autorizzazioni, rendendo pienamente contendibile il mercato da parte delle banche comunitarie. Sul fronte della concorrenza “interna”, la legge Amato n. 218/1990 e i successivi decreti delegati del 1991 hanno permesso la privatizzazione delle banche pubbliche (che fino ad allora costituivano gli attori più rappresentativi del mercato) e, con essa, una rafforzata, se non inedita, attenzione alla creazione di valore per gli azionisti e alla redditività dell’impresa. Negli anni Novanta si è poi assistito alla nascita di nuovi intermediari non bancari (come le SIM e le SICAV) e allo svilupparsi di alcuni già esistenti (quali le SGR e gli intermediari in cambi, sistemi di pagamento e creditizi), che nel decennio successivo hanno poi assunto rilievo crescente e spinto le banche all’innovazione per non perdere quote di mercato. Questo fenomeno, che non è stato solo proprio del nostro paese ma ha interessato, in misura e con modalità variegate, anche i sistemi finanziari degli altri paesi più avanzati, ha portato con sé una stratificazione di norme comunitarie e nazionali, primarie e secondarie, tese a disciplinare attività e prodotti contraddistinti da sempre maggiore complessità e, talvolta, opacità 15. In un contesto fortemente concorrenziale e attento alla remunerazione del capitale investito, il successo si gioca in gran parte sulla capacità di innovare, spesso approfittando delle opportunità offerte da attività caratterizzate da una regolamentazione meno attenta se non, talvolta, decisamente carente. Questa continua rincorsa tra prodotto e regole, insita nella natura del mercato libero ma particolarmente stressata nei momenti di forte discontinuità istituzionale, si è estesa anche ai modelli operativi ed organizzativi delle banche, che hanno visto l’affermarsi del modello originate to distribute contro il più tradizionale buy and hold, ossia l’assunzione di posizioni di rischio che, anziché detenute fino a scadenza, sono state sistematicamente distribuite su altri operatori con tecniche di securitization, con l’utilizzo di strumenti finanziari derivati non quotati e con l’intervento di intermediari non uniformemente regolamentati come gli hedge funds 16.

15 16

638

In questo senso v. anche Boccuzzi, La funzione, cit., p. 34. Sul punto v. ancora Boccuzzi, La funzione, cit., p. 34.


Gian Luca Greco

Mutano dunque gli scenari di rischio, i cui contorni sono meno definiti a causa di un incremento della complessità operativa. La pressione competitiva e la ricerca del profitto possono allentare l’attenzione sulla corretta valutazione del rischio, anche di conformità alle regole, e stimolare il ricorso a comportamenti di azzardo morale non improntati alla prudenza del buon banchiere 17. Negli ultimi anni le Autorità di vigilanza hanno quindi ritenuto necessario rafforzare i presidi organizzativi e gestionali degli operatori rispetto ai rischi legali e di reputazione, con la finalità di tutelare il risparmiatore, migliorarne il rapporto fiduciario con gli intermediari e contenere l’esposizione di questi ultimi a sanzioni e risarcimenti, potenzialmente in grado di comprometterne la sana e prudente gestione e, con effetto domino, la stabilità del sistema. Ciò significa abbandonare un approccio secondo il quale il presidio sulla conformità dell’operatività bancaria alle norme è una finalità tra le tante del sistema dei controlli interni e pretendere una maggiore responsabilizzazione dell’intermediario, con l’innalzamento a valenza strategica di «strutture organizzative articolate e ben proporzionate alla rispettiva realtà operativa, sistemi di gestione dei rischi organici e completi, procedure operative costruite nella consapevolezza del livello di rischio di violazioni insite nella specifica attività» 18. Nell’agosto 2006 la Banca d’Italia ha messo in pubblica consultazione nuove istruzioni di vigilanza in materia di “conformità alle norme (compliance)”, che riprendono in larga parte i lavori del Comitato di Basilea del 2005. La consultazione sulle Istruzioni si è chiusa a fine settembre 2006 ma solo poco meno di un anno più tardi, nel luglio 2007, forse anche grazie allo stimolo dell’azione di follow-up del Comitato di Basilea, sono state emanate le disposizioni di vigilanza tuttora vigenti (di seguito anche “Istruzioni sulla compliance”) 19. Esse saranno oggetto di commento nelle pagine che seguono, in particolare per quanto riguarda i temi che fino a oggi sono stati maggiormente dibattuti o sono risultati di più incerta applicazione. Occorre peraltro ricordare che a fine ottobre 2007 Banca d’Italia e Consob hanno congiuntamente emanato un Regolamento che, in attuazione dell’art. 6, co. 2-bis, del d.lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998 (di

17

In questo senso Tarantola, La funzione, cit., p. 3. Tarantola, La funzione, cit., p. 4 19 Banca d’Italia, La funzione di conformità (compliance), Disposizioni di vigilanza n. 688006 del 10 luglio 2007. 18

639


Fatti e problemi della pratica

seguito anche t.u.f.), come rivisto a seguito del recepimento della MIFID, ha tra l’altro introdotto regole sul sistema organizzativo degli intermediari abilitati a prestare servizi di investimento. L’art. 16 del Regolamento congiunto, in particolare, dispone che gli intermediari abilitati, tra cui le banche, adottino procedure di compliance e attribuiscano alla funzione di conformità una serie di responsabilità di controllo, di consulenza e assistenza e di informazione periodica agli organi aziendali. Delle disposizioni introdotte dal Regolamento congiunto non ne viene qui dato conto, in considerazione del fatto che il presente scritto tratta della compliance sui servizi e sulle attività bancarie in senso stretto. Nel marzo 2008 la Banca d’Italia ha emanato disposizioni in materia di corporate governance delle banche e delle capogruppo dei gruppi bancari 20, nell’ambito delle quali viene toccato, seppur incidentalmente, il tema della compliance. In particolare, dopo aver ricordato, in linea con quanto previsto dalle Istruzioni sulla compliance, che la nomina del responsabile della conformità è di competenza dell’organo di supervisione strategica (consiglio di amministrazione o consiglio di gestione) e che a tal fine debba essere acquisito il parere dell’organo di controllo (collegio sindacale o consiglio di sorveglianza) 21, le disposizioni sulla corporate governance introducono alcune novità di rilievo in materia di compliance che, per quanto non esplicitamente affermato, si deve ritenere vadano integrando i contenuti delle Istruzioni del luglio 2007. In primo luogo le disposizioni sulla corporate governance individuano la necessità che le componenti retributive e incentivanti del responsabile della compliance siano «di livello adeguato alle significative responsabilità e all’impegno connessi al ruolo», evitando, «salvo valide e comprovate ragioni, bonus collegati ai risultati economici» 22, al fine di non comprometterne l’indipendenza e l’obiettività di giudizio.

20

Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche, n. 264010 del 4 marzo 2008. Le banche hanno dovuto adeguarsi alle prescrizioni suddette entro il 30 giugno 2009. Sull’impatto della disciplina di corporate governance sulla compliance v. Galmarini e Lamandini, Il valore aziendale della compliance alle regole e la funzione di controllo di conformità alle norme, in Strumenti finanziari e regole mifid, a cura di Del Bene, Milano, 2009, pp. 484-486. 21 Banca d’Italia, La funzione di conformità, cit., p. 7 e Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza, cit., p. 6 e p. 8, le quali ultime aggiungono che sulla nomina della funzione di conformità debbano essere sentiti anche i componenti non esecutivi dell’organo di supervisione strategica (p. 13). 22 Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza, cit., p. 15.

640


Gian Luca Greco

In secondo luogo, viene previsto che «l’organo di controllo si avvale delle strutture e delle funzioni di controllo interne all’azienda (tra cui la compliance) per lo svolgimento delle verifiche e degli accertamenti necessari e riceve da queste adeguati flussi informativi periodici o relativi a specifiche situazioni o andamenti aziendali» 23: a tal proposito l’organo di controllo deve essere uno dei diretti destinatari delle relazioni della funzione di conformità 24.

4. Le disposizioni della Banca d’Italia in materia di compliance. 4.1. La disciplina transitoria. In primo luogo occorre soffermarsi sul momento di passaggio tra la vecchia e la nuova gestione del rischio di compliance. Sulla scorta delle Istruzioni di vigilanza del 1999, le attività di presidio del rischio di non conformità alle norme sono allocate nell’ambito del SCI e, in particolare, nella funzione di revisione interna 25: conseguentemente, è previsto in via transitoria che le banche che hanno collocato i compiti di conformità nell’ambito della revisione interna potranno adeguarsi in modo graduale alle Istruzioni sulla compliance, fermo restando che entro luglio 2008 (un anno dalla pubblicazione delle Istruzioni) la funzione di compliance e quella di revisione interna dovranno essere rese organizzativamente e operativamente indipendenti, onde assicurare la possibilità della seconda di verificare la funzionalità della prima (in un rapporto di terzo vs. secondo livello di controllo). Si è soliti ritenere che il periodo transitorio di dodici mesi sia stato concesso non solo per la separazione della funzione di conformità dalla revisione interna ma, in generale, per adeguarsi ai contenuti delle nuove disposizioni, che innovano pesantemente rispetto alle scarne regole fino ad allora previste in materia di gestione del rischio di compliance.

23

Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza, cit., p. 8. Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza, cit., p. 9. 25 Banca d’Italia, Istruzioni di vigilanza per le banche, Circolare n. 229 del 21 aprile 1999, Tit. IV, Cap. 11, p. 4. «Il sistema dei controlli interni è costituito dall’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative che mirano ad assicurare il rispetto delle strategie aziendali e il conseguimento delle seguenti finalità: (omissis) – conformità delle operazioni con la legge, la normativa di vigilanza nonché con le politiche, i piani, i regolamenti e le procedure interne». 24

641


Fatti e problemi della pratica

Quest’opinione è condivisibile, vuoi per il tenore letterale delle Istruzioni, che, in modo generico, prevedono che «le banche che si sono già dotate di strutture incaricate della conformità, collocando organizzativamente i relativi compiti nella funzione di revisione interna, potranno adeguarsi alle presenti disposizioni in modo graduale», vuoi soprattutto in ragione della difficoltà che le banche non possono non aver incontrato (e, forse, incontrano tuttora) per modificare una struttura organizzativa rodata da circa un decennio, quale la revisione interna, distaccando risorse ivi collocate o individuandone di nuove al fine dell’istituzione della funzione di compliance e, nondimeno, per stabilire e, soprattutto, implementare le nuove procedure e metodologie di gestione del rischio di compliance introdotte dalle Istruzioni del 2007. In realtà, il processo di adeguamento non si è probabilmente completato neanche a metà 2008, e di ciò ne paiono consapevoli, pur informalmente, tanto le Autorità europee 26 quanto quelle nazionali 27. D’altra parte, è stata rimarcata più volte la necessità, tanto importante quanto complessa a livello operativo, che i progetti di attivazione della funzione di compliance declinino la disciplina regolamentare in coerenza con la specificità aziendale, integrandosi efficacemente in essa e secondo un criterio di proporzionalità, tanto sotto il profilo dell’articolazione organizzativa quanto sotto quello del perimetro di riferimento, ossia dei “corpi di regole” presidiati 28.

26 Nel documento del Comitato di Basilea del 2008 (Basel Committee, Implementation, cit., p. 8) si osserva che «The implementation of the high-level principles is still under way in many jurisdictions: one jurisdiction noted a new framework that had recently been implemented and eight mentioned additional requirements to enter into force by the beginning of 2008». 27 In vari interventi da parte di esponenti della Banca d’Italia, pur talvolta a titolo personale, si deduce la consapevolezza di un processo non breve di passaggio al nuovo modello di gestione del rischio di non conformità, che comporterà «la revisione dei meccanismi di funzionamento e degli snodi operativi tra le diverse funzioni di controllo, al fine di eliminare possibili duplicazioni e ottimizzare l’impiego delle risorse disponibili. […] A tal fine, avendo presente le finalità assegnate dalla regolamentazione ai diversi attori del sistema dei controlli interni e il contributo atteso da ciascuno nell’ambito del processo di compliance, occorrerà definire i confini operativi, i flussi informativi, i modelli di collaborazione» (Tarantola, La funzione, cit., p. 14). «In un arco di tempo di medio periodo sono auspicabili avanzamenti anche nelle metodologie quantitative per il calcolo dell’esposizione ai rischi legali e reputazionali, in modo da determinare stime più puntuali del relativo assorbimento patrimoniale» (Boccuzzi, La funzione, cit., p. 40). 28 Tarantola, La funzione, cit., p. 12.

642


Gian Luca Greco

4.2. Funzione di compliance, principle based regulation e proporzionalità. Il tema della proporzionalità degli adeguamenti organizzativi va affrontato ricordando preliminarmente che, ai sensi dell’art. 5, t.u.b., le finalità dell’azione di vigilanza sono, in ottica microeconomica, la sana e prudente gestione dei predetti soggetti e, sul piano macroeconomico, la stabilità complessiva, l’efficienza e la competitività del sistema finanziario 29. Per quanto la norma ora ricordata dichiari che tra le finalità rientra anche l’osservanza delle disposizioni in materia creditizia e che le autorità creditizie esercitano altresì gli altri poteri a esse attribuiti dalla legge (come quelli, ereditati dalla legge bancaria del 1936, richiamati dal successivo art. 147: massimale sugli impieghi, riserva obbligatoria, vincolo di portafoglio), non vi è dubbio che il cuore dell’art. 5 sia costituito dall’enunciazione delle finalità perseguibili dalla vigilanza, ove convivono esigenze particolari (del singolo intermediario) e generali (del sistema finanziario), a loro volta in apparente contraddizione tra stabilità e concorrenza. Il passaggio, in particolare, a una legge bancaria che abbandona la stabilità quale unico motore dell’azione delle autorità creditizie a favore di un sistema teleologico complesso segna l’avvento di un periodo di concorrenza via via più intensa e trasversale (tra le varie categorie di intermediari), che, come è noto, negli ultimi anni non ha mancato di far sentire conseguenze anche negative sul piano della tutela del risparmio (non v’è chi non ricordi, al proposito, l’omonima legge del 2005 e i recentissimi interventi legislativi a garanzia delle passività delle banche). La gestione del trade-off tra stabilità ed efficienza impone oggi alle autorità amministrative di settore (Banca d’Italia, Consob, Isvap, Covip) una vera e propria valutazione d’impatto della normativa, come emerge dalla nuova disciplina sulla Banca d’Italia introdotta dall’art. 23 della legge 262/2005, che prevede, per i provvedimenti di natura regolamentare o di contenuto generale, l’illustrazione della motivazione e delle conseguenze sulla regolamentazione, sull’attività delle imprese e degli operatori e sugli interessi di investitori e risparmiatori, nonché la necessità di tener conto del principio di proporzionalità, intesa come criterio di

29 Sull’art. 5 t.u.b. v. anche Greco, Commento sub art. 5, in Commentario al testo unico delle leggi in materia creditizia, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio e Santoro, Bologna, 2003, pp. 41-51.

643


Fatti e problemi della pratica

esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minore sacrificio degli interessi dei destinatari dei provvedimenti 30. In risposta a tale esigenza la normativa più recente (si ricordano, al proposito, i provvedimenti di recepimento della MIFID e di Basilea 2) è passata da un’articolazione “per precetti” a un’articolazione “per principï”, consentendo agli intermediari di scegliere le soluzioni organizzative più opportune nel rispetto dei “paletti” eretti dalla legge e dai regolamenti attuativi, e alle autorità di settore di valutare la conformità di modelli alternativi adottati dagli operatori, con evidenti riflessi sulla competitività e stabilità del sistema bancario, finanziario e assicurativo 31. Gli interventi normativi si ispirano dunque ai principi e alle logiche della better regulation, essendo preceduti: da una fase di consultazione e confronto con gli intermediari; da un’analisi di impatto, volta a misurarne costi e benefici; da un’indicazione della motivazione alla base delle scelte effettuate 32. È opinione comune tra gli esponenti delle Autorità che il passaggio alla principle based regulation e alla logica della proporzionalità minimizzi i costi di adeguamento degli operatori alle novità normative e favorisca l’azione della vigilanza 33. In un contesto di mercato molto dinamico, caratterizzato da forte innovazione e competitività, il modello di regolamentazione principle based appare premiante, in linea di massima, sia per il regulator, che evita la rincorsa affannosa delle regole di dettaglio sul fenomeno economico, che per l’intermediario, che può rita-

30

Sul fronte della disciplina dei servizi di investimenti si ricorda che anche l’art. 6 del t.u.f., come rivisto dal d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164 di recepimento della direttiva europea MIFID, esprime la medesima esigenza imponendo, nell’emanazione della normativa secondaria, il rispetto dei principi di valorizzazione dell’autonomia decisionale degli intermediari e, soprattutto, di proporzionalità (nel senso anzi detto). Sul principio di proporzionalità v., in generale, tra gli altri, Falcone, La “compliance” nell’attività bancaria e nei servizi di investimento, in Dir. Banc., 2008, pp. 227-228; Tarantola, La funzione, cit., p. 6; Boccuzzi, La funzione, cit., p. 38; Mattarella, Commento sub artt. 23-24, in La tutela del risparmio, a cura di A. Nigro e Santoro, Torino, 207, p. 445. 31 In sede internazionale il dibattito tra rules based regulation e principles based regulation mette sovente a confronto rispettivamente la posizione delle autorità statunitensi, per un verso, e inglesi, per l’altro, anche con riferimento alle conseguenze dei diversi approcci di regolamentazione sul grado di competitività di mercati finanziari concorrenti. Sul punto v. Saccomanni, Il ruolo delle autorità nella regolazione della finanza, Quaderno n. 236, Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, 2007, p. 35 e Onado, ibidem, pp. 11-12. 32 Tarantola, La funzione, cit., p. 6, e Saccomanni, Il ruolo, cit., p. 38 ss. 33 Boccuzzi, La funzione, cit., p. 40; Saccomanni, Il ruolo, cit., p. 37.

644


Gian Luca Greco

gliare la norma di comportamento sulle proprie caratteristiche, evitando vincoli eccessivi quando le scelte in termini di attività e prodotto non li rendono necessari. Per quanto concerne l’adeguamento alla nuova disciplina della compliance, che manifestamente non vuole porre regole di dettaglio in omaggio al principio della proporzionalità 34, si è sostenuto che l’attivazione della funzione secondo criteri di efficienza e proporzionalità evita il rischio di una proliferazione eccessiva delle strutture di controllo, permettendo agli intermediari di adottare soluzioni calibrate, coerenti con le proprie dimensioni e caratteristiche di complessità. Alla Banca d’Italia spetterà il compito di verificare l’adeguatezza della funzione di compliance nell’ambito del processo di revisione e valutazione prudenziale prevista dal secondo pilastro di Basilea 2 con riferimento alla situazione patrimoniale e organizzativa degli intermediari 35. In realtà, per quanto molto declamati, i vantaggi della principle based regulation e della proporzionalità non sono di immediata percezione e, soprattutto, di facile ottenimento: come è stato notato anche da esponenti delle Autorità, un approccio basato sulle regole pone i soggetti vigilati di fronte ad obblighi relativamente chiari, rispetto ai quali essi sono nella gran parte dei casi capaci di valutare il grado di compliance. Anche il ruolo delle Autorità appare più lineare e definibile, trattandosi di verificare il rispetto delle regole – stabilite ex ante e rese pubbliche – da parte dei soggetti vigilati 36. Al contrario, nella regolamentazione per principi i soggetti vigilati sono tenuti, appunto, a rispettare il “principio”, senza chiare regole da seguire ma usufruendo di “libertà controllata” di organizzazione con il vincolo del raggiungimento dell’obiettivo stabilito dalla regolamentazione: va da sé che la percezione del grado di compliance raggiunto con la soluzione adottata è connotato da soggettività e incertezza, tanto più forte quanto più generici sono i principï stabiliti e difficili gli obiettivi da raggiungere. Parallelamente, il compito dell’Autorità è caratterizzato da

34

«Le presenti disposizioni dettano principi di carattere generale, volti a individuare le finalità e i principali compiti della funzione di conformità, riconoscendo nel contempo alle banche piena discrezionalità nella scelta delle soluzioni organizzative più idonee ed efficaci per realizzarli. Esse si applicano alle banche e ai gruppi bancari secondo il principio di proporzionalità, in coerenza quindi con le specifiche caratteristiche dimensionali e operative» (Banca d’Italia, La funzione di conformità, cit., p. 1). 35 Tarantola, La funzione, cit., pp. 9-10. 36 Saccomanni, Il ruolo, cit., p. 36.

645


Fatti e problemi della pratica

una maggiore discrezionalità di giudizio, poiché si tratta di valutare se la soluzione in concreto adottata dal singolo intermediario, in termini di assetto organizzativo e controlli interni, è effettivamente tale da configurare il sostanziale rispetto del principio stabilito dalle norme 37. Per contemperare l’aumento di discrezionalità dell’Autorità con le esigenze di certezza del diritto auspicate dagli operatori il modello principle based regulation prevede, nella fase di produzione normativa, la ricerca della chiarezza e della semplicità delle regole, nonché un allineamento delle stesse sulle best practices degli intermediari, mediante fasi di consultazione, analisi di costi e impatti delle norme, trasparenza nelle motivazioni delle scelte. Nella successiva fase di verifica degli adeguamenti e di enforcement il modello non può prescindere, anche al fine di limitare fenomeni di moral hazard da parte dei soggetti vigilati, da un’elevata trasparenza delle valutazioni dell’Autorità sul rispetto dei principi da parte degli intermediari nei singoli casi concreti sottoposti a verifica. Non vi è dubbio quindi che l’aver improntato le nuove Istruzioni sulla compliance a criteri di principle based regulation e proporzionalità costituisce una sfida non facile per Banca d’Italia 38, che è chiamata a reimpostare le proprie relazioni con il sistema bancario spostandosi sempre

37

V. ancora Saccomanni, Il ruolo, cit., pp. 36-37, e Falcone, La “compliance”, cit., p. 228, che osserva: «La rinuncia, da parte del regulator, alla specificazione dei processi interni comporta di certo da un lato, una maggiore autonomia organizzativa in capo all’intermediario: ma lo lascia, al contempo, sostanzialmente privo di “replica” rispetto alla valutazione di adeguatezza successivamente operata dal’autorità di vigilanza, il che si traduce, in ultima analisi, in un sostanziale aumento dell’area di discrezionalità facente capo a quest’ultima». Nello stesso senso anche Galmarini e Lamandini, Il valore aziendale, cit., p. 508, che affermano che «questo più flessibile approccio – nel mentre diminuisce la certezza del diritto e aumenta i rischi di “involontaria” inosservanza della banca, dovuta ad una attuazione nello specifico caso del principio generale che ex post possa risultare non conforme a quanto atteso dall’Autorità di vigilanza o prescelto dal giudice (in sede di eventuale valutazione contenziosa) – favorisce l’affermarsi di regole di protezione dell’investitore e del cliente bancario ispirate alla prevalenza della sostanza (l’effettivo conseguimento dell’obiettivo di protezione perseguito) sulla forma (il formale ossequio a regole procedurali date)». 38 «Diminuire il costo e la pervasività della regolamentazione, aumentandone nel contempo l’efficacia, è la sfida che le Autorità devono a loro volta affrontare e vincere. Anche per meglio raggiungere tale obiettivo, la Banca d’Italia ha avviato un profondo riassetto delle strutture organizzative dell’Area della vigilanza, prevedendo anche una specifica unità preposta ai rapporti tra intermediari e clientela» (Tarantola, La funzione, cit., p. 16).

646


Gian Luca Greco

più dalla verifica del rispetto formale della norma alla codificazione di best practices 39. A quasi due anni di distanza dall’emanazione delle Istruzioni sulla compliance si ha però l’impressione che, sul tema di cui si discute, gli obiettivi prefissati non siano stati ancora completamente raggiunti. Nella fase di produzione normativa la consultazione non è stata assistita da una compiuta analisi dei costi e valutazione d’impatto, e, soprattutto, la fase di verifica degli adeguamenti in atto non ha ancora fatto emergere best practices valutate da Banca d’Italia alle quali gli intermediari possano scegliere di conformarsi 40. Ci si riferisce, in particolare, a varie questioni particolarmente delicate, quali le condizioni di indipendenza e autonomia della funzione, le metodologie operative, i rapporti con le altre funzioni aziendali, il regime di responsabilità, per citarne alcune, sulle quali regole generali non consentono di assumere decisioni condivise a livello di intermediario e di sistema nel suo complesso, con potenziale nocumento dell’efficienza ed efficacia della funzione e, conseguentemente, della capacità di valutare correttamente il rischio da presidiarsi. 4.3. Il perimetro di riferimento della funzione di compliance. La funzione di conformità di una banca ha responsabilità in ordine alla gestione del rischio di non conformità alle norme. Detto rischio costituisce la prima “cartina di tornasole” attraverso la quale apprezzare il perimetro di competenza della funzione, ed è definito dalla normativa, italiana ed internazionale, come il «rischio di incorrere in sanzioni giudiziarie o amministrative, perdite finanziarie rilevanti o danni di reputazione in conseguenza di violazioni di norme imperative (di legge o di regolamenti) ovvero di autoregolamentazione (es. statuti, codici di condotta, codici di autodisciplina)» 41.

39 Saccomanni, Il ruolo, cit., p. 38. Sul punto v. ampiamente Alberici, Le condizioni di efficienza per l’attività di compliance nelle banche: l’importanza dell’autonomia e dell’indipendenza, in Banc., n. 2, 2008, pp. 24-25, che ha sostenuto la necessità della Banca d’Italia di porsi come «certificatore di prassi e di modelli di comportamento condivisi con gli intermediari sulla scorta di principi universalmente accettati». 40 Anche il Libro Bianco sulla compliance, edito nel 2008 a cura dell’ABI, non ha risolto tutti i dubbi posti dagli operatori ma, soprattutto, non ha fatto emergere scelte e modelli che vedono la condivisione da parte delle autorità competenti, Banca d’Italia e Consob. 41 Banca d’Italia, La funzione di conformità, cit., p. 2. Nel documento del Comitato

647


Fatti e problemi della pratica

Il rischio di non conformità è dunque, nella tassonomia dei rischi scaturiti dagli Accordi di Basilea 2, un rischio “trasversale”, in quanto comprendente i rischi legali (che sono anche una componente dei rischi operativi) e quelli reputazionali. Il rischio legale è infatti definito come il «rischio di perdite derivanti da violazioni di leggi o regolamenti, da responsabilità contrattuale o extra-contrattuale ovvero da altre controversie», mentre il rischio operativo ha un perimetro più ampio, trattandosi del «rischio di perdite derivanti dalla inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni; è compreso il rischio legale» 42. Fermo restando che nel rischio operativo non è ricompreso quindi il rischio di reputazione né quello strategico 43 (che è estraneo anche al rischio di non conformità), va da sé che la gestione del rischio di non conformità ha effetti (pur parziali, dal punto di vista quantitativo) anche sulla gestione del rischio operativo, tenuto conto del tratto di connessione costituito, appunto, dal rischio legale 44. Il rischio reputazionale, definito come «il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da una percezione negativa dell’immagine della banca da parte di clienti, controparti, azionisti della banca, investitori o autorità di vigilanza» 45, deve quindi essere presidiato (anche, ma non solo) dalla funzione di compliance.

di Basilea del 2005, la definizione è analoga, parlandosi di «risk of legal or regulatory sanctions, material financial loss, or loss to reputation a bank may suffer as a result of its failure to comply with laws, regulations, rules, related self-regulatory organisation standards, and codes of conduct applicable to its banking activities» (Basel Committee, Compliance, cit., p. 7). 42 Banca d’Italia, Nuove disposizioni di vigilanza per le banche, Tit. II, Cap. 5, dicembre 2006, pp. 5-6. 43 Si definisce come rischio strategico «il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da cambiamenti del contesto operativo o da decisioni aziendali errate, attuazione inadeguata di decisioni, scarsa reattività a variazioni del contesto competitivo» (Banca d’Italia, Nuove disposizioni, cit., Tit. III, Cap. 1, All. A, p. 20). 44 «Le banche prestano attenzione ai nessi esistenti tra le diverse tipologie di rischio, individuando le possibili ricadute in termini di rischi operativi. Un puntuale rispetto delle disposizioni in tema di conformità alle norme (compliance) assume rilievo anche per la prevenzione e il contenimento dei rischi operativi» (Banca d’Italia, Nuove disposizioni, cit., Tit. II, Cap. 5, p. 5). Sul punto v. anche Falcone, La “compliance”, cit., p. 225. 45 Banca d’Italia, Nuove disposizioni, cit., Tit. III, Cap. 1, All. A, p. 20. Sul rischio reputazionale v. Gabbi, Definizione, misurazione e gestione del rischio reputazionale degli intermediari bancari, Milano, 2003.

648


Gian Luca Greco

A ben vedere, infatti, la compliance è competente per i rischi reputazionali che derivano da violazioni di carattere normativo, tanto “esterne” (leggi e regolamenti) quanto “interne” (statuti, codici di condotta, ecc.), mentre non può affatto escludersi che la percezione negativa dell’immagine della banca derivi da circostanze diverse rispetto alla violazione, effettiva o ipotizzata, di norme. A complicare la questione non può sottacersi la circostanza che il rischio reputazionale è allo stato attuale non facilmente quantificabile 46, ma tutt’altro che trascurabile per le sorti dell’intermediario, vista l’influenza che la reputazione esercita sulla fiducia del pubblico e quindi sulla stabilità della banca e, in taluni casi particolarmente delicati per qualità e/o dimensioni, del sistema nel suo complesso. Quanto appena detto rafforza l’opinione, se ve ne fosse bisogno, circa la necessità che la compliance sia fortemente integrata nel SCI della banca e, in particolare, nell’ambito della complessiva azione di risk management aziendale, ove l’identificazione, la misurazione e la gestione dei rischi sono collegati al perseguimento degli obiettivi strategici e di creazione del valore d’impresa, secondo misure di redditività corrette per il rischio al fine di un’ottimale gestione del capitale 47. Presidiando la correttezza dei comportamenti aziendali, la compliance contribuisce infatti all’identificazione dei rischi che scaturiscono dalla non conformità e alla minimizzazione delle loro conseguenze, sia finanziarie che reputazionali, sugli obiettivi strategici della banca. Tale funzione assume quindi un ruolo centrale nel sistema di risk management della banca, contribuendo a garantirne la solidità 48. Il richiamo al presidio del rischio reputazionale può aiutare poi a comprendere perché il rischio di compliance non attenga esclusivamente alle norme imperative ma anche a quelle di autodisciplina.

46

Falcone, La “compliance”, cit., p. 225. Tarantola, La funzione, cit., p. 11. 48 Tarantola, La funzione, cit., p. 11. Con riguardo al sistema di analisi aziendale previsto in ambito ICAAP, Banca d’Italia sostiene che «[…], con riferimento agli altri rischi di natura non facilmente quantificabili allo stadio attuale (rischi strategico, di reputazione, rischi residuali), l’analisi si fonda sulle informazioni relative ai presidi organizzativi predisposti dalle banche, apprezzabili prevalentemente attraverso controlli ispettivi. L’analisi della redditività, soprattutto per quanto attiene ai profili di sostenibilità e variabilità delle varie componenti dei flussi reddituali, concorre anche a fornire utili indicazioni in merito all’esposizione della banca ai rischi strategici e reputazionali» (Banca d’Italia, Nuove disposizioni, cit., Tit. III, Cap. 1, p. 33). 47

649


Fatti e problemi della pratica

La mission della funzione di conformità consiste, appunto, nel presidio e nel controllo della conformità dei comportamenti. La finalità dell’azione è quella di creare valore aziendale, rafforzando e preservando il buon nome della banca e la fiducia del pubblico nella sua correttezza operativa e gestionale 49. In questo senso non rileva il rispetto delle sole norme di tipo giuridico-formale, ma anche di quelle regole di comportamento, pure di natura etica, che gli intermediari declinano nella propria normativa interna, dando un contenuto concreto alle modalità del rapporto tra banca e cliente e, conseguentemente, alla diligenza che deve essere tenuta 50. Anche la violazione di tali regole di comportamento può infatti mettere in pericolo la fiducia della clientela e del mercato, compromettendo la reputazione della banca. Per quanto concerne le norme imperative il cui rispetto è presidiato dalla funzione di conformità della banca, le Istruzioni sulla compliance affermano che, «in via generale, le norme più rilevanti ai fini del rischio di non conformità sono quelle che riguardano l’esercizio dell’attività di intermediazione, la gestione dei conflitti di interesse, la trasparenza nei confronti del cliente e, più in generale, la disciplina posta a tutela del consumatore» 51. Con riferimento alla prestazione dei servizi di investimento in strumenti finanziari occorre anche ricordare che l’art. 16 del Regolamento congiunto prevede la competenza della funzione di conformità sugli obblighi posti dalle disposizioni di recepimento della direttiva 2004/39/CE e delle relative misure di esecuzione. Occorre però notare che le Istruzioni sulla compliance: a. nella definizione di rischio di non conformità parlano in generale di norme imperative (leggi e regolamenti) o di autoregolamentazione, senza ulteriori specificazioni in merito alla materia trattata;

49

Tarantola, La funzione, cit., p. 7. L’Autore sostiene inoltre (ibidem, p. 15) che «nella prospettiva delle Autorità di Vigilanza, la gestione del rischio di non conformità non è solo un mezzo per impedire il verificarsi di eventi pregiudizievoli, ma anche un importante strumento per la creazione del valore degli intermediari in quanto contribuisce a garantirne la redditività nel lungo periodo e a rafforzare la fiducia del pubblico». 50 In questo senso, ci sembra, anche Visentini, L’etica degli affari è strumento di autoregolamentazione?, in Visentini, Etica e affari, Roma, 2005, p. 52. Si è sostenuto (Tarantola, La funzione, cit., p. 15), a tal proposito, che «la compliance deve rappresentare la “coscienza” dell’impresa bancaria». Critica il richiamo all’autoregolamentazione, laddove essa si riferisce a codici o norme etiche, Falcone, La “compliance”, cit., p. 233. 51 Banca d’Italia, La funzione di conformità, cit., p. 2.

650


Gian Luca Greco

b. tra i compiti della funzione di conformità individuano «l’identificazione nel continuo delle norme applicabili e la misurazione/valutazione del loro impatto su processi e procedure aziendali» 52, ancora una volta senza ulteriori specificazioni; c. tra i compiti della funzione di conformità evidenziano inoltre «la consulenza e assistenza nei confronti degli organi di vertice della banca in tutte le materie in cui assume rilievo il rischio di non conformità» 53, richiamando implicitamente la definizione ampia di cui alla precedente lettera a). Dalle Istruzioni quindi si deduce un ambito normativo presidiato dalla funzione di compliance particolarmente ampio, teoricamente esteso a qualsiasi norma di etero o autoregolamentazione applicabile alla banca, indipendentemente dalla circostanza che sia relativa all’attività tipica della banca 54. Dunque, senza pretesa di essere esaustivi, oltre alle materie di maggior rilevanza individuate da Banca d’Italia, la compliance dovrebbe interessarsi di ogni altra tematica disciplinata dal t.u.b., di antiriciclaggio e lotta al finanziamento del terrorismo 55, market abuse, antiusura, diritto delle assicurazioni (almeno per quanto attinente all’operatività esercitata), in quanto discipline specifiche dell’operatività bancaria. Al pari di ogni altra società commerciale alla banca si applicano però anche le normative sulla sicurezza sul lavoro, responsabilità amministrativa degli enti, diritto di autore, tutela dei dati personali, per citarne alcune, e anche su di esse la compliance dovrebbe esercitare il proprio ruolo 56.

52

Ibid., p. 4. Ibid., p. 5. 54 Così anche Falcone, La “compliance”, cit., p. 234. 55 Queste materie sono citate anche dal Comitato di Basilea (Basel Committee, Compliance, cit., p. 7), assieme al market abuse, alla consulenza al cliente e alla normativa fiscale, quando rilevante con riferimento alla struttura del prodotto ed alla consulenza al cliente. 56 Per Galmarini e Lamandini, Il valore aziendale, cit., pp. 508-509, il perimetro di competenza della funzione di compliance è deve essere distinto in un ambito minimo o “core”, rappresentato dalla verifica della corretta applicazione delle regole in materia bancaria e in materia di prestazione dei servizi di investimento, e da un ambito facoltativo, rappresentato dalla verifica dell’attuazione di regole che, per quanto doverose per ogni imprenditore, non presentano alcuna inerenza specifica con l’attività bancaria e i suoi rischi operativi e reputazionali. Ciò non significa che tali regole (tra cui gli Autori ricordano la disciplina fiscale o sugli infortuni) non debbano essere presidiate, ma che la 53

651


Fatti e problemi della pratica

Non vi sono dubbi che escludere in radice alcune norme da un vaglio di conformità avrebbe poco senso. Sarebbe come dire che la banca deve prestare particolare cura alla trasparenza del proprio comportamento, ma può disinteressarsi del fatto che i dati personali dei clienti siano trattati senza alcuna cautela. In realtà, occorre tener conto che la compliance è nata meno di due anni fa e che la facile tentazione di dire che essa “deve occuparsi di tutto e subito” è un bel manifesto ma rischia di far disperdere le energie e gli sforzi organizzativi su di un ambito talmente ampio da rendere l’azione della compliance poco concreta ed efficace 57. A nostro parere è necessario invece che il perimetro di competenza della funzione di conformità sia individuato da ciascuna banca avendo a riguardo il trade-off tra principio di proporzionalità e adeguatezza/completezza del presidio, ponderato secondo valutazioni di impatto sulla reputazione e sulla stabilità dell’intermediario. In altre parole, la banca deve scegliere una soluzione organizzativa e, nello specifico, definire il perimetro della funzione avendo preliminarmente valutato gli ambiti nei quali è prioritario che la funzione sia coinvolta. La valutazione è agevolata dalle indicazioni specifiche delle Istruzioni, il cui scopo è quello di ricordare all’intermediario quali materie abbiano, in linea generale, maggiore impatto sul rischio di non conformità, ma deve essere condotta considerando i settori e le aree di operatività della banca, le strategie perseguite, il modello di business, l’offerta commerciale, la tipologia di clientela, i rischi rilevati nell’operatività 58. Individuati tali ambiti prioritari, dovrà essere definito il modello organizzativo della funzione, in coerenza con le risorse umane disponibili (per numero e competenza), con il modello esistente di gestione dei rischi, con l’articolazione societaria, operativa e geografica dell’intermediario. Come vedremo, potranno adottarsi modelli accentrati o varia-

banca potrebbe individuare responsabili diversi dal responsabile della funzione di compliance, con esclusione di ogni interferenza della stessa rispetto a tali materie. Ne conseguirebbe l’esclusione di qualsivoglia responsabilità del responsabile della compliance in caso di eventuale inosservanza di regole estranee al perimetro oggettivo minimo e non affidate per scelta di auto-organizzazione dalla banca alla sua competenza. 57 «In materia di compliance, la normativa di vigilanza richiede soluzioni in grado di realizzare un effettivo miglioramento dei processi aziendali, un vaglio attento dei rischi in fase di introduzione di nuovi prodotti, attività e sistemi rilevanti, in particolare quelle poste a tutela dei risparmiatori e degli investitori» (Boccuzzi, La funzione, cit., p 40). 58 In questo senso v. Tarantola, La funzione, cit., p. 12.

652


Gian Luca Greco

mente decentrati, purché in una prospettiva di allargamento progressivo del perimetro di competenza comunque idoneo a consentire il presidio del rischio di non conformità in ogni settore dell’intermediario 59. 4.4. L’organizzazione della compliance. Un tema particolarmente delicato risulta essere quello dell’organizzazione della funzione di conformità. Le Istruzioni sulla compliance prevedono innanzi tutto che debba essere istituita un’apposita funzione, che è parte integrante del sistema dei controlli interni delle banche 60. In particolare, la funzione di conformità si inserisce nell’ambito delle funzioni di controllo sulla gestione dei rischi, esercitando controlli di secondo livello e distinguendosi nettamente, per questo motivo, dalla funzione di revisione interna, che è incaricata di controlli di terzo livello 61. In secondo luogo le Istruzioni aggiungono quali ulteriori requisiti: l’indipendenza della funzione di conformità; la dotazione di risorse, umane ed economiche, qualitativamente e quantitativamente adeguate ai compiti da svolgere; la possibilità di accedere a tutte le attività della banca nonché a qualsiasi informazione rilevante per lo svolgimento dei propri compiti 62. Andando per ordine, la necessità che sia istituita un’apposita funzione rende impercorribile, in generale, la mera assegnazione dei compiti di conformità a strutture preesistenti. In ragione del principio di proporzionalità, per le banche di dimensioni contenute o caratterizzate da una limitata complessità operativa, le Istruzioni prevedono la possibilità che la funzione di conformità sia affidata alle strutture incaricate della gestione dei rischi o a soggetti terzi (quali altre banche o organismi associativi di categoria), purché dotati di

59 È stato osservato (Tarantola, La funzione, cit., p. 13) che «le soluzioni organizzative e operative, alquanto diversificate, risultano in alcuni casi ancora non definitive, in relazione alla natura innovativa della funzione e all’esigenza di un’evoluzione progressiva del suo raggio di azione». 60 Banca d’Italia, La funzione di conformità, cit., p. 4. 61 Ibid., p. 8. La distinzione tra funzione di conformità e funzione di revisione interna è nettamente delineata dalle Istruzioni sulla compliance, che prevedono, tra l’altro, la necessità che la seconda esegua verifiche periodiche sull’adeguatezza ed efficacia della prima. 62 Ibid., pp. 5-6.

653


Fatti e problemi della pratica

requisiti idonei in termini di professionalità e indipendenza. Nel caso di affidamento a soggetti terzi è comunque necessario che sia nominato un responsabile della funzione all’interno della banca, dotato di analoghi requisiti in termini di professionalità e indipendenza, che opererà da referente del soggetto terzo incaricato della conformità e si occuperà altresì della complessiva supervisione della gestione del rischio di non conformità, della cui correttezza la banca mantiene comunque la responsabilità anche in ipotesi di esternalizzazione 63. Per quanto riguarda la definizione dei soggetti che possono evitare di istituire un’apposita funzione di compliance, il principio di proporzionalità porta inevitabilmente con sé un sostanzioso bagaglio di discrezionalità, tanto nella banca quanto, soprattutto, nel giudizio successivo del regulator. Tenuto conto delle indicazioni recentemente fornite dalla Banca d’Italia in occasione delle Istruzioni di corporate governance, si può ragionevolmente ritenere che le banche di credito cooperativo (fatta eccezione per quelle impegnate in servizi di investimento complessi) rientrino generalmente tra i soggetti per i quali è ammissibile l’affidamento della funzione di compliance al risk controller o alla Federazione di appartenenza, quale organismo associativo di categoria 64. Ciò non

63 Ibid., p. 6. Le Istruzioni (ibidem), con riferimento all’ipotesi di esternalizzazione, prevedono altresì che essa «deve essere formalizzata in un accordo, che definisca quanto meno i seguenti aspetti: – gli obiettivi della funzione; – la frequenza minima dei flussi informativi nei confronti del responsabile interno all’azienda e degli organi di vertice aziendali, fermo restando l’obbligo di corrispondere tempestivamente a qualsiasi richiesta di informazioni e consulenza da parte di questi ultimi; – gli obblighi di riservatezza delle informazioni acquisite nell’esercizio della funzione; – la possibilità di rivedere le condizioni del servizio al verificarsi di modifiche nell’operatività e nell’organizzazione della banca». 64 Con lettera del 19 febbraio 2009, la Banca d’Italia ha diramato una Nota di chiarimenti alle Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche del 4 marzo 2008. Al Par. 8 della lettera, intitolato Criterio di proporzionalità, Banca d’Italia ha individuato i profili che concorrono a definire il grado di complessità delle banche. Tra di essi ricordiamo: la dimensione degli attivi (in particolare, le banche di “classe 3” sono da considerarsi tra quelle di minore complessità e complessità operativa/organizzativa); la tipologia di attività svolta (ad esempio, le banche operanti in determinati settori di attività, come quello della gestione del risparmio o della negoziazione per conto proprio o in conto terzi, potrebbero configurare ipotesi di complessità operativa/organizzativa); la struttura proprietaria dell’intermediario (il controllo totalitario da parte di un intermediario estero potrebbe, in talune circostanze, configurare condizioni

654


Gian Luca Greco

esclude ovviamente che banche diverse da quelle di credito cooperativo possano accedere a modelli di esternalizzazione della funzione di compliance, una volta accertato, anche ricorrendo agli indici presuntivi suggeriti da Banca d’Italia, che le proprie dimensioni o la propria complessità operativa siano adeguatamente contenute. In ogni caso si ricorda la necessità di individuare un referente interno che comunque dovrà essere caratterizzato da requisiti di professionalità e indipendenza, assumendo specifiche responsabilità nei confronti dell’azienda di appartenenza e dell’Autorità di vigilanza. Proprio il richiamo ai requisiti personali del referente induce infatti a ritenere che non possa trattarsi di un mero “passacarte”; semmai potrà parlarsi di un “ufficiale di collegamento”, capace di comprendere e, se del caso rielaborare le evidenze del fornitore esterno del servizio, trasmetterle alle funzioni aziendali e agli organi di vertice, integrarle nell’ambito del complessivo sistema di rischi dell’intermediario. L’utilizzo del termine “referente” non deve quindi indurre a pensare ad un soggetto “irresponsabile”, tanto è vero che nel parlare dei requisiti minimi dell’accordo con l’outsourcer le Istruzioni sulla compliance parlano più propriamente di “responsabile interno” dell’azienda. L’evidenza sul fatto che la responsabilità sulla gestione del rischio di non conformità permane sulla banca pone infine l’accento sulla necessità che essa valuti con estrema serietà e attenzione il modello esternalizzato, della cui funzionalità gli organi di supervisione strategica, di gestione e di controllo risponderanno senza distinguo nei confronti della Banca d’Italia (oltre che degli azionisti). Semmai, potrà discutersi sulla sussistenza o meno, nei confronti della Banca d’Italia, in particolare, di una corresponsabilità dell’outsourcer, laddove questi avesse contrattualmente assunto un impegno esplicito di responsabilità della funzione

di limitata complessità operativa/organizzativa; strutture proprietarie caratterizzate dalla presenza di rilevanti interessi di minoranza potrebbero, invece, richiedere l’adozione di assetti di governance complessi dal punto di vista operativo/organizzativo); la quotazione su mercati regolamentati (la quotazione di strumenti finanziari emessi, avuto presente il vaglio esercitato dagli investitori, potrebbe rendere necessaria l’adozione di assetti di governance tali da configurare condizioni di complessità operativa/organizzativa); l’appartenenza a un gruppo bancario (banche facenti parte di gruppi, operative in comparti finanziari tradizionali e che ricorrono ai servizi offerti dalla capogruppo o da altre componenti il gruppo, potrebbero essere caratterizzate da un limitato grado di complessità operativa/organizzativa); l’appartenenza a un network operativo (l’utilizzo di servizi e infrastrutture offerte da organismi di categoria potrebbe configurare condizioni di limitata complessità operativa/organizzativa).

655


Fatti e problemi della pratica

piuttosto che di assistenza al responsabile interno. Di corresponsabilità è più opportuno parlare, infatti, e non di assegnazione all’esterno di responsabilità, in quanto Banca d’Italia afferma, proprio parlando di outsourcing, che «la responsabilità per la corretta gestione del rischio di non conformità resta in capo alla banca» 65. Ciò al fine di evitare, evidentemente, che l’esternalizzazione, magari a soggetti qualificabili come “teste di legno”, abbia il fine, prevalente o addirittura esclusivo, di privare la banca dell’azione di una funzione di controllo evitando le relative sanzioni sugli organi interni deputati all’istituzione, alla gestione e alla verifica della funzionalità della stessa (in primis, il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale). Un’ulteriore alternativa alla costituzione di una vera e propria funzione di compliance è prevista per le banche appartenenti a gruppi bancari. Alle soluzioni organizzative per la funzione di conformità nelle strutture di gruppo è dedicato un intero paragrafo delle Istruzioni sulla compliance 66, nell’ambito del quale si individuano i ruoli e le responsabilità della capogruppo e delle componenti del gruppo, le ipotesi di accentramento della funzione, le caratteristiche della compliance nei gruppi con operatività internazionale. In primo luogo le Istruzioni dispongono che agli organi aziendali della capogruppo è rimesso il compito di assumere le decisioni strategiche a livello di gruppo in materia di gestione del rischio di non conformità. Riprendendo quanto previsto nei paragrafi introduttivi 67, si ritiene che tali decisioni debbano riguardare: l’individuazione e la distinzione dei ruoli e delle responsabilità ai diversi livelli dell’organizzazione della banca (quindi almeno: responsabile della compliance, direttore generale/amministratore delegato, consiglio di amministrazione, collegio sindacale); la predisposizione di un documento interno (policy) che indichi responsabilità, compiti, modalità operative, flussi informativi, programmazione e risultati dell’attività svolta dalla funzione di compliance. Gli organi aziendali delle banche del gruppo devono attuare nell’ambito della propria realtà aziendale le strategie e le politiche decise a livello di capogruppo, previo coinvolgimento e partecipazione al processo di definizione delle stesse. A tal proposito le Istruzioni non prevedono

65

Banca d’Italia, La funzione di conformità, cit., p. 6. Ibid., pp. 8-9. 67 Ibid., p. 2. 66

656


Gian Luca Greco

particolari semplificazioni organizzative per la funzione di conformità delle banche del gruppo, per la quale – ferma restando la necessità di conformarsi agli indirizzi della capogruppo (come peraltro previsto dall’art. 61 t.u.b.) – sono applicabili integralmente le prescrizioni di carattere generale delle Istruzioni (istituzione della funzione, nomina del responsabile ecc.). Le Istruzioni prevedono altresì che in un gruppo bancario, per conseguire economie di scala, le attività relative alla funzione di conformità possano essere accentrate attraverso la costituzione di unità specializzate all’interno del gruppo medesimo, purché in ciascuna banca del gruppo sia individuato un referente, che svolga attività di supporto al responsabile di gruppo della conformità, con particolare riferimento all’applicazione alla banca delle politiche di gestione delineate a livello di gruppo 68. In primo luogo osserviamo che non necessariamente l’unità di gruppo della conformità deve essere individuata nella capogruppo: in tale caso a quest’ultima permarrà il compito di assumere le decisioni strategiche in materia di rischio di non conformità, rapportandosi con l’unità specializzata e con i referenti all’interno delle singole banche. Di più difficile definizione sono i compiti e le responsabilità dei referenti del responsabile di gruppo della conformità. Circa i compiti, l’azione del referente è rivolta alla declinazione delle politiche di gestione di gruppo alla realtà aziendale di appartenenza. In tale ambito il referente non si muove però in totale autonomia ma in una logica di supporto rispetto al responsabile di gruppo, tanto è vero che a differenza di quanto previsto per il “referente” interno dell’outsourcer esterno 69 per tale figura non sono previsti esplicitamente particolari requisiti di professionalità e indipendenza.

68

Secondo Galmarini e Lamandini, Il valore aziendale, cit., p. 501, si prospettano due modelli organizzativi della compliance di gruppo: un modello funzionale, nel quale i responsabili della compliance delle società del gruppo riportano in linea diretta alla direzione generale delle rispettive società e solo in linea indiretta, funzionale, alla funzione compliance di gruppo; un modello centralizzato, nel quale tutto lo staff di compliance riporta in linea gerarchica diretta alla struttura compliance di capogruppo che, con un contratto di outsourcing, svolge per conto delle diverse società l’attività di compliance, divenendone la relativa funzione. In questo secondo modello, che si sostiene consenta una maggiore indipendenza dal mercato e dalle linee di business, le diverse società istituiscono la figura del cosiddetto “referente”. 69 Banca d’Italia, La funzione di conformità, cit., p. 6.

657


Fatti e problemi della pratica

Per quanto riguarda le responsabilità, ci si chiede se il referente di ciascuna banca assuma nei confronti delle Autorità preposte le responsabilità tipiche delle funzioni di controllo interno 70. Dal punto di vista formale, un indice in senso negativo è costituito dal fatto che alla Banca d’Italia non sia stato comunicato, quale responsabile della conformità della banca, il nominativo del referente bensì quello del responsabile di gruppo, dietro formale accettazione di quest’ultimo dell’incarico conferitogli di attendere alla gestione del rischio di conformità di ciascuna componente del gruppo. Dal punto di vista sostanziale, fermo restando che, al pari di quanto previsto per l’outsourcing esterno, ogni banca del gruppo sarà responsabile nei confronti delle Autorità per quel che concerne la corretta gestione del rischio di non conformità anche in ipotesi di sola nomina del referente, si ritiene che la responsabilità “esterna” del referente possa essere esclusa quando venga definita con chiarezza, in un apposito “mansionario” del referente, la dipendenza funzionale dello stesso nei confronti del responsabile di gruppo, al quale il consiglio di amministrazione della banca del gruppo deve concedere pieno potere di gestione del referente e flussi informativi dedicati e separati, al fine di permetterne un’azione effettiva ed indipendente. Per le banche che decidono di dotarsi di una vera e propria funzione interna di compliance – opzione che riteniamo debba considerarsi obbligata per le banche di dimensione non contenuta e/o caratterizzate da una certa complessità operativa – le Istruzioni sulla compliance prevedono che essa possa avvalersi, per l’adempimento dei compiti di propria competenza, dell’azione di altri servizi, strutture organizzative o aree operative, che dir si voglia, della banca, vuoi affidando loro una o più fasi del processo di compliance, vuoi utilizzando personale ivi inserito, vuoi infine collaborando con esse. Le diverse modalità anzi sinteticamente richiamate si caratterizzano per un “accentramento” crescente della funzione di compliance, ossia per una sempre maggiore autonomia della funzione di conformità alle norme, a cui fisiologicamente dovrebbe corrispondere una maggiore consistenza quali-quantitativa delle risorse, umane e non. Nella prima ipotesi le fasi del processo di conformità 71 possono esse-

70

Sul punto v. in particolare l’art. 144 t.u.b. Le Istruzioni sulla compliance individuano tali fasi come segue: presidio normativo e analisi di impatto, proposta di modifiche organizzative e procedurali, flussi informa71

658


Gian Luca Greco

re affidate a strutture organizzative diverse già presenti in banca, quali, ad esempio, i servizi organizzazione, legale, risk management, a condizione che sia nominato un responsabile della compliance che coordini e sovrintenda alle diverse attività per assicurare l’unitarietà della gestione del rischio e dell’operatività della funzione, anche attraverso la predisposizione di un apposito programma di attività 72. Nella seconda ipotesi le fasi del processo di conformità sono affidate alla funzione di compliance, che si avvale, oltre ovvero in alternativa a risorse assegnate alla funzione stessa, di altre risorse integrate in aree operative diverse (che potrebbero anche essere inserite nei servizi ricordati al punto precedente) 73. In questo caso tali risorse devono riferire direttamente al responsabile della compliance quando svolgono compiti di conformità, salvo il caso in cui esse appartengano a strutture indipendenti della banca, quali, secondo la Banca d’Italia, il legale ed il risk management 74. Infine, nella terza ipotesi si prevede che la funzione di compliance collabori con le altre funzioni aziendali al fine di sviluppare metodologie di gestione del rischio coerenti con le strategie e l’operatività aziendale, disegnando processi conformi alla normativa e prestando un supporto consultivo laddove necessario. È evidente che questa ipotesi non è alternativa alle altre, ma costituisce il presupposto necessario affinché la funzione di compliance sia un’unità integrata nell’organizzazione aziendale e, in particolare, nel SCI. Teoricamente ciò dovrebbe essere più facile qualora sia adottata una compliance decentrata (per fasi o per risorse), a patto che le altre unità operative abbiano già sviluppato omogenei ed efficienti flussi informativi, metodologie, policies. In realtà, il decentramento più o meno intenso della funzione richiede, per funzionare bene, organizzazioni particolarmente coese e stabili; in caso contrario, accentrare fasi di attività e risorse in una nuova funzione consente di evitare sfilacciamenti operativi, incertezze nelle responsabilità, carenze di indipendenza.

tivi, verifica dell’efficacia degli adeguamenti organizzativi. La funzione di conformità è deputata inoltre a svolgere altre attività, quali la valutazione dei progetti innovativi della banca, la consulenza in materia di prevenzione e gestione dei conflitti d’interesse, di coerenza del sistema premiante aziendale nonché su ogni tema in cui assume rilievo il rischio di non conformità. La funzione di compliance deve infine collaborare nell’attività di formazione del personale al fine di diffondere una cultura aziendale coerente con principi di onestà, correttezza e rispetto dello spirito e della lettera delle norme. 72 Banca d’Italia, La funzione di conformità, cit., p. 5. 73 Ibid., p. 6. 74 Ibid., p. 7.

659


Fatti e problemi della pratica

4.5. L’indipendenza della compliance. I possibili modelli organizzativi della funzione di compliance (in outsourcing, di gruppo, con fasi operative decentrate, con risorse decentrate, accentrata) incidono anche, in varia misura, sui presidi necessari per assicurare l’indipendenza di azione della funzione. Il tema dell’indipendenza è particolarmente sentito, tanto da costituire per il Comitato di Basilea il primo principio fondamentale di organizzazione della funzione. Vari passaggi rilevano al fine di assicurare l’indipendenza della compliance: alla funzione deve essere riconosciuto uno status formale all’interno della banca; deve essere nominato un responsabile della compliance della banca o del gruppo a cui è affidata la responsabilità di coordinare la gestione del rischio di compliance; lo staff della compliance e in particolare il responsabile della stessa non devono essere posti in strutture organizzative ove vi possa essere un conflitto di interessi tra le responsabilità di conformità alle norme e le altre responsabilità loro attribuite; la funzione di compliance deve avere accesso alle informazioni e alle funzioni aziendali, a qualsiasi livello debba ritenersi necessario per esercitare le proprie responsabilità 75. Le Istruzioni sulla compliance riprendono i principi di Basilea, soffermandosi tanto sulla figura del responsabile della compliance quanto su quella dello staff, sia a livello organizzativo che sostanziale 76. Per quanto riguarda il responsabile, si prevede in primo luogo che la nomina e la revoca dello stesso siano un atto di alta amministrazione, essendo di competenza esclusiva e non delegabile del consiglio di amministrazione (o del consiglio di gestione), sentito il collegio sindacale (o consiglio di sorveglianza), e che siano comunicate senza indugio alla Banca d’Italia. Circa il ruolo del responsabile, questi può essere un membro del consiglio di amministrazione, purché sprovvisto di deleghe ovvero un dipendente della banca, in assenza di responsabilità dirette di aree operative o di dipendenza gerarchica da soggetti responsabili di tali aree. Per quanto riguarda i componenti della funzione di compliance, qualora essi siano inseriti in aree operative dovrà prevedersi che riferiscano direttamente al responsabile della compliance per le questioni attinenti ai compiti di conformità loro attribuiti, salvo il caso in cui essi apparten-

75 76

660

Basel Committee, Compliance, cit., p. 10. Alberici, Le condizioni di efficienza, cit., p. 25.


Gian Luca Greco

gano a strutture indipendenti della banca quali il servizio legale o il risk management. Dal punto di vista organizzativo, le Istruzioni sulla compliance si soffermano sull’importanza che siano definiti in modo formale status e mandato della funzione di compliance, che sia nominato un responsabile indipendente, che siano previsti adeguati presidi per prevenire i conflitti di interesse, in particolare attraverso flussi informativi separati e dedicati. Proprio il tema dei conflitti di interesse rappresenta uno dei principali problemi aperti per assicurare l’indipendenza della compliance e, in generale, delle funzioni di controllo. Il punto di partenza è rappresentato dal fatto che lo staff della compliance e, sovente, il responsabile della stessa, sono dipendenti, a vari livelli, della banca che sono tenuti a controllare e quindi fanno parte di un sistema di relazioni gerarchiche, organizzative, economiche che ne possono sostanzialmente influenzare l’operato. L’indipendenza della funzione poggia infatti sui comportamenti dei suoi addetti nell’esercizio delle loro prerogative 77. Si pensi al caso, molto frequente, in cui il responsabile della compliance è un manager della banca. In quanto tale egli fa parte dell’esecutivo ed è situato in una catena gerarchico-funzionale alla testa della quale è presente il direttore generale, quale capo dell’esecutivo. Le Istruzioni sulla compliance si limitano a disporre che il responsabile della funzione di conformità non deve avere responsabilità dirette di aree operative (per non trovarsi nella spiacevole e difficile situazione di controllare quanto ha fatto) né deve essere gerarchicamente dipendente da soggetti responsabili di aree operative (per esempio, non può rispondere al responsabile della direzione commerciale o finanza o crediti). Nulla dice però sulla circostanza, come abbiamo visto pressoché scontata, che il responsabile della funzione dipenda dal direttore generale, che tipicamente ha (anche) responsabilità manageriali su aree operative (per esempio, in quanto titolare di poteri deliberativi sugli affidamenti creditizi). Anzi, nel disegnare i compiti degli organi delegati e del direttore generale in materia di compliance, le Istruzioni della Banca d’Italia prevedono che, almeno per taluni di tali compiti, vi provvedano «con la collaborazione della funzione di conformità», così confermando un rapporto che, se non di subalternità, sicuramente resta difficile in-

77

Ibid., p. 27.

661


Fatti e problemi della pratica

quadrare in una logica controllante (compliance) / controllato (direttore generale). Si è detto a tal proposito dell’importanza che i conflitti di interesse siano presidiati attraverso flussi informativi separati e dedicati 78. La dottrina più attenta ha precisato che, in una logica di tutela dell’indipendenza delle funzioni di controllo (tra cui la compliance), deve considerarsi, in primo luogo, l’opportunità che i responsabili di esse abbiano come referenti diretti l’organo strategico o un eventuale Comitato consiliare per la compliance, se istituito, e che il direttore generale prenda visione dell’attività delle funzioni e dei suoi risultati in tali sedi 79. L’aspetto di maggior criticità, inevitabile finché si parla di funzioni di controllo interne, continua però ad essere rappresentato dal nesso di dipendenza economica che intercorre tra gli addetti al controllo e il soggetto controllato, costituito, nel caso in cui si tratti di dipendenti, dal rapporto di lavoro. Tale nesso, che talvolta può influenzare i comportamenti anche nell’ambito di rapporti di collaborazione professionale (si pensi ai sindaci) e con soggetti esterni (si pensi alle società di revisione e di rating), non può essere evidentemente annullato, in quanto fisiologico, ma è possibile tentare di prevenirne gli effetti negativi in primo luogo con meccanismi di gestione interna della banca, vuoi di carattere organizzativo, quali la dipendenza della funzione dall’organo strategico per qualsiasi aspetto di funzionamento della stessa, compresi quelli retributivi e incentivanti e il reporting diretto all’organo di controllo (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza), vuoi di carattere “lavoristico” (status adeguato alle mansioni e alle responsabilità; invariabilità della retribuzione o netta preponderanza della componente fissa; componente variabile della retribuzione e avanzamenti di carriera predeterminati a fronte di obiettivi strettamente coerenti con le prerogative di legge).

78

Banca d’Italia, La funzione di conformità, cit., p. 6. Alberici, Le condizioni di efficienza, cit., p. 30. L’Autore indica inoltre altri principi “desiderabili” di indipendenza, che vanno dal collocamento del direttore generale in staff alla funzione di compliance, al controllo e certificazione dell’attività di compliance da parte di enti esterni incaricati dall’organo strategico, alla presa in carico delle responsabilità e dei riferimenti gerarchici delle risorse della compliance da parte dell’organo strategico o di un amministratore a ciò delegato, alla facoltà del responsabile della funzione di compliance di proporre ogni atto di valutazione dello staff, tra cui avanzamenti di carriera e riconoscimenti economici, sui quali l’organo strategico avrebbe comunque la responsabilità ultima. 79

662


Gian Luca Greco

Ulteriori fattori di rafforzamento dell’indipendenza sostanziale delle funzioni di controllo possono essere introdotti in sede legislativa e regolamentare. A quelli già ricordati nelle pagine precedenti occorre aggiungere la presenza, da tempo, di meccanismi coercitivi o sanzionatori, il più importante dei quali è rappresentato dalla previsione di pesanti sanzioni amministrative pecuniarie sulle funzioni di controllo, anche interne, assistite dall’obbligo di regresso da parte della banca qualora, come di prassi, esse siano state da essa pagate quale responsabile in solido 80. L’efficacia di tali meccanismi è però discutibile, sia perché intervengono in una logica punitiva piuttosto che preventiva, sia perché gli impatti, meramente economici, sui soggetti colpiti potrebbero essere temperati da meccanismi retributivi variabili “a compensazione”, qualora previsti nell’ambito del rapporto di lavoro. Potrebbe pensarsi, allora, all’introduzione di misure che operano anche su altri piani: quello economico, con l’obbligatorietà di piani retributivi e incentivanti non discrezionali o a discrezionalità limitata, sottoposti preventivamente al vaglio dell’Autorità di vigilanza competente; quello “reputazionale”, con la perdita, temporanea e, nei casi più gravi, definitiva, dei requisiti di “professionalità” necessari per ricoprire il ruolo di responsabile di una funzione di controllo in ipotesi di sanzioni connesse al ruolo; quello organizzativo, con la previsione di incontri periodici obbligatori del responsabile della compliance con le Autorità di vigilanza e di obblighi di rendicontazione diretta ed estemporanea al ricorrere di situazioni di criticità particolarmente rilevanti sotto il profilo della conformità alle norme. Le osservazioni proposte sul fronte dell’indipendenza della compliance conservano la loro validità a prescindere dall’inquadramento del soggetto chiamato a ricoprire il ruolo e dalla soluzione organizzativa adottata, per quanto non possa negarsi che la diversa configurazione di tali aspetti abbia impatti, anche sostanziali, sull’importanza delle criticità riscontrabili. In merito al ruolo del responsabile, si osserva che l’ipotesi di nomina di un consigliere di amministrazione non esecutivo è in linea di principio preferibile rispetto a quella di un manager, grazie alla minore possibilità di opportunismo manageriale 81, per quanto non sia affatto semplice reperire in un membro di consiglio quelle caratteristiche di alta

80 81

Cfr. art. 144 t.u.b. Alberici, Le condizioni di efficienza, cit., p. 28.

663


Fatti e problemi della pratica

professionalità che devono caratterizzare il ruolo del responsabile della compliance e che, in fin dei conti, quando carenti, non possono non minarne autorevolezza e indipendenza 82. Con riferimento ai membri della funzione di conformità, oltre a riproporsi, seppure in scala minore, i punti di attenzione di carattere “lavoristico” anzi ricordati, devono aggiungersi ulteriori criticità connesse alla formula organizzativa adottata per la strutturazione della funzione di compliance. In particolare, laddove la funzione si avvalesse di risorse dislocate presso aree operative, come le Istruzioni di Banca d’Italia consentono, si ritiene che la previsione di flussi informativi separati e diretti sul responsabile della compliance non siano sufficienti a garantire l’indipendenza sostanziale delle risorse, che di regola rispondono gerarchicamente al capo dell’area di appartenenza sulla quale talvolta (o, in certe soluzioni, sistematicamente) sono chiamate a esercitare il controllo di conformità 83. In queste situazioni sarebbe almeno auspicabile rafforzare i presidi di indipendenza di tali risorse sul piano premiante e degli avanzamenti economici, attribuendo un ruolo sostanziale al responsabile della compliance piuttosto che, come avviene di norma, al responsabile gerarchico. Ancora in relazione alle soluzioni organizzative adottate, si rileva che anche l’eventuale decentramento di fasi del processo di conformità a funzioni aziendali diverse dalla compliance risente di possibili condizionamenti dell’azione di tali funzioni sul fronte dell’indipendenza, in quanto le Istruzioni della Banca d’Italia non prevedono che esse, per svolgere ruoli di conformità, debbano rispondere, a livello di responsabile e/o di risorse, a requisiti simili a quelli previsti per la funzione di conformità stessa. Al proposito si ritiene che la logica dei flussi informativi separati e dedicati sia di per sé insufficiente, così come scarsamente realistica l’ipotesi secondo la quale la predisposizione di un programma di attività e la nomina di un responsabile della compliance che ricondu-

82 Ancora Alberici (Ibid., p. 28) osserva che «raramente […] il processo di selezione di un amministratore indipendente è governato a priori secondo profili di competenza codificati dalla società. Gli amministratori indipendenti, infatti, sono spesso semplicemente non esecutivi, formati in industrie diverse da quella bancaria. Si noti poi che i requisiti di professionalità richiesti agli amministratori bancari dalla normativa vigente non appaiono tali da garantire le necessarie specifiche competenze e la conoscenza della normativa, primaria e soprattutto secondaria, richieste sia dal ruolo sia dal presidio di una funzione come quella della compliance». 83 Così anche Alberici, Le condizioni di efficienza, cit., p. 29.

664


Gian Luca Greco

ca a unità il processo di conformità e presidi la gestione complessiva del relativo rischio risolverebbe eventuali conflitti di interesse presenti nello svolgimento “decentrato” delle singole fasi del processo. Osservazioni analoghe, infine, possono avanzarsi per l’ipotesi di accentramento della compliance a livello di gruppo, in particolare per quel che riguarda il ruolo del referente presso le banche del gruppo. Ammesso che tale figura operi in una logica di supporto e di dipendenza funzionale rispetto al responsabile della compliance di gruppo, l’assenza di previsioni normative circa requisiti personali di professionalità, autorevolezza e indipendenza, sulla falsariga di quelli previsti per il responsabile, e la dipendenza gerarchica dalla struttura esecutiva chiamata a controllare sono suscettibili di condizionare l’effettiva indipendenza di azione della compliance sulla banca del gruppo, che vede un ruolo comunque non secondario del referente per l’applicazione delle politiche di gestione del rischio elaborate a livello di gruppo. Anche in questo caso occorrerebbe agire tanto a livello di politiche di remunerazione, incentivazione e avanzamento di carriera del referente, che dovrebbero dipendere in larghissima parte dalla valutazione del responsabile della compliance di gruppo, quanto a livello organizzativo, prevedendo un rapporto funzionale diretto con il responsabile della compliance di gruppo e una relazione gerarchica diretta con il consiglio di amministrazione o con un consigliere non esecutivo appositamente delegato.

Gian Luca Greco

665



RASSEGNE

Sintesi di giurisprudenza * (IV trimestre 2008)

Indice delle materie: I. Assicurazioni: A) Intermediazione assicurativa; B) Contratto di assicurazione in genere; C) Assicurazione contro i danni; D) Assicurazione obbligatoria R.C. Auto. II. Banca: A) L’impresa bancaria: profili generali; B) Depositi bancari; C) Le cassette di sicurezza; D) Titoli di credito bancari; E) Crediti speciali

I. ASSICURAZIONI Sommario: A) Intermediazione assicurativa. – 1. Impresa di assicurazione. Intese restrittive della concorrenza e del mercato. Azione risarcitoria del consumatore. – 2. Agente di assicurazione. Regime previdenziale. – 3. Impresa di assicurazione. Manleva del datore di lavoro assicurato. Art. 2043 c.c. – B) Contratto di assicurazione in genere. – 4. Contratto di assicurazione. Art. 1920 c.c. Diritti del terzo beneficiario. Eccezioni opponibili al beneficiario. – 5. Contratto di assicurazione. Reticenza dell’assicurato. Annullamento del contratto. Art. 1391 c.c. – 6. Contratto di assicurazione. Art. 1341

* Sessantanovesima puntata (le precedenti sono pubblicate in Dir. banc., 1990, I, pp. 350 e 551; 1991, I, pp. 160, 459 e 597; 1992, I, pp. 111, 253, 397 e 581; 1993, I, pp. 112, 264, 471 e 594; 1994, I, pp. 125, 255, 383 e 506; 1995, I, pp. 157, 286, 443 e 601; 1996, I, pp. 109, 265, 403 e 554; 1997, I, pp. 129, 318, 478 e 645; 1998, I, pp. 91, 277 e 637; 1999, I, pp. 171, 290, 411 e 545; 2000, I, pp. 143, 331 516 e 671; 2001, I, pp. 89, 229 e 383; 2002, I, pp. 145, 327 e 629; 2003, I, pp. 141, 315 e 471; 2004, I, pp. 321, 447 e 657; 2005, I, pp. 109 e 301; 2006, I, pp. 169 e 533; 2007, I, pp. 163, 343 e 583; 2008, I, pp. 153; 363; 549 e 745; 2009, I, pp. 111; 333; 481). Questa sintesi intende offrire una prima informazione sulle sentenze relative alle materia di interesse della rivista, depositate o edite nel periodo di riferimento. Hanno collaborato: Ranieri Razzante (§§ 1-19); Alessandro Benocci (§§ 20-21); Gennaro Rotondo (§§ 22-25); Filippo Parrella (26-27); Dario Martorano (§§ 28-31); Stefano Boatto (§§ 32-33).

667


Rassegne

c.c. Clausole limitative della responsabilità. – 7. Contratto di assicurazione. Garanzia assicurativa. Obbligo dell’assicuratore di corrispondere l’indennizzo. – 8. Contratto di assicurazione. Prescrizione ex art. 2952, comma 2 c.c. danno patrimoniale. – 9. Contratto di assicurazione. Art. 1919, comma 2 c.c. Morte del terzo. – 10. Contratto di assicurazione. Clausola limitante l’importo massimo assicurato rispetto al rischio dell’assicuratore. Natura vessatoria. – B.1) Assicurazioni sociali. – 11. Assicurazioni sociali. Assicurazione contro le malattie. Art. 6, par. 1 CEDU. – 12. Assicurazioni contro le malattie. Obbligo di versamento dei contributi. Ripetibilità. – 13. Assicurazioni sociali. Rapporto di lavoro giornalistico. Pensione di vecchiaia. Anzianità contributiva – C) Assicurazione contro i danni. – 14. Assicurazione contro i danni. Esigibilità dell’indennizzo. Avvio di un procedimento penale. – 15. Assicurazione contro gli infortuni. Previsione della perizia contrattuale. Rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti. – 16. Assicurazione della responsabilità civile. Assicuratore del responsabile del danno. Esecuzione della prestazione indennitaria. – D) Assicurazione obbligatoria R.C. Auto. – 17. Risarcimento dei danni da sinistro stradale. Clausole imitatrici della responsabilità dell’assicuratore. Art. 1341 c.c. – 18. Risarcimento dei danni da circolazione stradale. Obbligazione dell’assicuratore. Solidarietà tra assicurato ed assicuratore. – 19. Risarcimento dei danni da circolazione stradale. Vittime di sinistri stradali. Impresa designata per conto del fondo di garanzia vittime della strada.

A) INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVA 1. Impresa di assicurazione. Intese restrittive della concorrenza e del mercato. Azione risarcitoria del consumatore. App. Napoli, 27 ottobre 2008 (Massima redazionale 2008) ha ritenuto che l’azione risarcitoria esperita dal consumatore avverso l’impresa assicurativa che abbia partecipato a intese restrittive della concorrenza e del mercato, presenta carattere autonomo rispetto agli accertamenti e provvedimenti dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato. Detti accertamenti non hanno carattere pregiudiziale rispetto all’esercizio dell’azione di nullità e risarcimento dei danni, tale che la loro mancanza non costituisce impedimento di diritto all’esercizio dell’azione di risarcimento dei danni, rendendo solo più oneroso e difficile per il singolo consumatore l’accertamento dell’esistenza dei suoi effetti sull’andamento del mercato, il che però costituisce solo una difficoltà o impedimento di fatto, irrilevante ai fini del decorso del termine di prescrizione, mentre gli impedimenti soggettivi o difficoltà di mero fatto non assumono tale rilievo. 2. Agente di assicurazione. Regime previdenziale. Cass., 14 novembre 2008, n. 27163 (in Mass., 2008, 1561) ha affermato che l’art. 9 bis d.l. n. 942/77, convertito nella legge n. 41/78, equipara per il regime previdenziale, gli agenti di assicurazione agli ausiliari di commercio, e li assoggetta al regime contributivo generale per assicurazione ivs e per assicurazione malattia; ne consegue che l’assicurazione per le stesse

668


Sintesi di giurisprudenza

prestazioni, esistente presso la cassa pensioni e previdenza degli agenti di assicurazione, ha carattere integrativo e non sostitutivo. 3. Impresa di assicurazione. Manleva del datore di lavoro assicurato. Art. 2043 c.c. Per Cass., 5 dicembre 2008, n. 28834 (in Danno e Resp., 2009, 2, 227) l’impresa di assicurazione non è tenuta a indennizzare le richieste di manleva del datore di lavoro assicurato relative alle voci del danno biologico e morale conseguenti ad infortuni sul lavoro a fronte di polizza assicurativa modellata sul sistema dell’assicurazione obbligatoria ex artt. 10 e 11, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124. La concentrazione del rischio operata da una polizza così formulata esclude l’obbligo dell’assicuratore a far fronte a quelle domande avanzate nei confronti del contraente sulla base del generale principio di cui all’art. 2043 c.c. B) CONTRATTO DI ASSICURAZIONE IN GENERE 4. Contratto di assicurazione. Art. 1920 c.c. Diritti del terzo beneficiario. Eccezioni opponibili al beneficiario. App. Roma, 2 ottobre 2008 (Massima redazionale) ha stabilito che la norma di cui all’art. 1920 c.c. deve intendersi nel senso che il diritto all’indennità nasce in suo favore dal contratto, sicché egli può rivolgersi direttamente all’assicuratore per ottenere la prestazione, e non già nel senso che il diritto del terzo beneficiario sia del tutto svincolato dalle clausole e dalle pattuizioni contenute nel contratto di assicurazione. Conseguentemente, l’assicuratore ben può opporre al beneficiario eccezioni ed eventuali clausole limitative previste dal contratto, quale l’eccezione di prescrizione del diritto del terzo alla indennità, diritto che, ai sensi dell’art. 2952, co. 2 c.c., si prescrive in un anno dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui esso si fonda e non già nell’ordinario termine decennale. Né costituisce fatto idoneo a sospendere il decorso del termine prescrizionale la semplice contestazione dell’assicuratore in ordine all’operatività della polizza, circostanza, che al contrario, dovrebbe far determinare l’assicurato a proporre tempestivamente le opportune domande. 5. Contratto di assicurazione. Reticenza dell’assicurato. Annullamento del contratto. Art. 1391 c.c. Cass., 10 ottobre 2008, n. 25011 (in CED Cassazione 2009; Mass., 2008, 1424) ha stabilito la conoscenza da parte dell’impresa assicuratrice della reticenza dell’assicurato o dell’inesattezza delle sue dichiarazioni, rilevante ai fini dell’annullamento del contratto di assicurazione, non può essere confusa con quella dei soggetti che

669


Rassegne

non hanno il potere di rappresentarla, il cui stato soggettivo è irrilevante ai sensi dell’art. 1391 c.c. Nondimeno, non può escludersi che, anche in assenza del potere rappresentativo (come nel caso di espletamento della relativa attività da parte di procacciatore d’affari o agente privo di rappresentanza), possa verificarsi un trasferimento di conoscenze acquisite in relazione al rischio assicurato dall’incaricato alla compagnia di assicurazioni, sua mandante, ma, ai fini del recesso, è necessario che tale trasmissione di conoscenze sia concretamente provata dall’assicurato, anche mediante presunzioni. 6. Contratto di assicurazione. Art. 1341 c.c. Clausole limitative della responsabilità. Trib. Roma, 30 ottobre 2008 (Massima redazionale 2008), ha ritenuto che nel contratto di assicurazione le clausole limitative della responsabilità, ex art. 1341 c.c., sono quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre le clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito attengono all’oggetto del contratto. 7. Contratto di assicurazione. Garanzia assicurativa. Obbligo dell’assicuratore di corrispondere l’indennizzo. App. Roma, 4 novembre 2008 (Massima redazionale 2008) ha stabilito, con riferimento al contratto di assicurazione, che qualora le parti abbiano espressamente subordinato l’operatività della garanzia assicurativa all’adozione, da parte dell’assicurato di determinate misure di sicurezza, il giudice non può sindacare la loro concreta idoneità ad evitare l’evento dannoso e la loro inosservanza non fa sorgere l’obbligo dell’assicuratore di corrispondere l’indennizzo, ove l’evento si verifichi indipendentemente da tale inosservanza, e ciò perché non si è realizzato l’oggetto stesso del contratto di assicurazioni. 8. Contratto di assicurazione. Prescrizione ex art. 2952, comma 2 c.c. danno patrimoniale. App. Roma, 17 novembre 2008 (Massima redazionale 2009) ha stabilito che la prescrizione annuale ex art. 2952, co. 2 c.c., è applicabile nell’ipotesi in cui venga proposta un’azione tesa a tutelare un diritto nascente da un contratto di assicurazione e non anche allorquando l’attore lamenti la commissione di un illecito che gli ha cagionato, secondo la prospettazione avanzata, un danno patrimoniale. 9. Contratto di assicurazione. Art. 1919, comma 2 c.c. Morte del terzo. App. Roma, 9 dicembre 2008 (Massima redazionale 2008) ha stabilito che l’art. 1919, co. 2 c.c. nel subordinare la validità dell’assicurazione

670


Sintesi di giurisprudenza

sulla vita, contratta per il caso di morte di un terzo, al consenso scritto del medesimo, si riferisce all’ipotesi in cui quest’ultimo si venga a trovare nella posizione di mero portatore del rischio, mentre i benefici del contratto assicurativo spettino esclusivamente allo stipulante o a persona da questa designata. 10. Contratto di assicurazione. Clausola limitante l’importo massimo assicurato rispetto al rischio dell’assicuratore. Natura vessatoria. Cass., 19 dicembre 2008, n. 29899 (in CED Cassazione 2008; Mass. Giur. It. 2008), ha stabilito che in tema di clausole vessatorie, con riferimento a un contratto di assicurazione concluso anteriormente all’entrata in vigore della disciplina, introdotta dalla l. 6 febbraio 1996, n. 52, degli articoli 1469 bis e ss. c.c., non era da qualificare vessatoria la clausola che limitava l’importo massimo assicurato rispetto al rischio assunto dall’assicuratore, che, perciò, non necessitava della specifica approvazione scritta di cui agli articoli 1341 e 1342 c.c., poiché essa atteneva alla determinazione di elementi essenziali nel regolamento di interessi che era proprio del contratto di assicurazione e che dava luogo allo stesso. B.1) ASSICURAZIONI SOCIALI 11. Assicurazioni sociali. Assicurazione contro le malattie. Art. 6, par 1 CEDU. Per Cass., 13 ottobre 2008, n. 25047 (in CED Cassazione 2008; Mass., 2008, 1428) l’art. 20, co. 1, del d.l. n. 112/08, convertito nella l. n. 133/08, ha stabilito che l’art. 6, co. 2, della legge n. 138/43 va inteso nel senso che quando il trattamento di malattia venga corrisposto, per legge o per contratto collettivo, direttamente dal datore di lavoro – con conseguente esonero dell’INPS dall’erogazione dell’indennità – il medesimo non è tenuto al versamento della relativa contribuzione all’istituto. Né può ritenersi che la disposizione si ponga in contrasto con il principio costituzionale di ragionevolezza e con l’art. 117, co. 1, Cost. e, per suo tramite, con l’art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti del’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), trovando la diversa distribuzione degli oneri di contribuzione tra datore di lavoro e istituto previdenziale giustificazione nel principio di solidarietà, la cui attuazione costituisce motivo imperioso di interesse generale ed è idonea, nella materia civile, ad abilitare, secondo la stessa giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo anche interventi retroattivi, tanto più ove l’ingerenza della norma investa processi pendenti contro soggetti diversi dallo Stato, imponendone un esito favorevole per la parte privata.

671


Rassegne

12. Assicurazioni contro le malattie. Obbligo di versamento dei contributi. Ripetibilità. Cass., 14 novembre 2008, n. 27162 (in CED Cassazione 2008; Mass., 2008, 1560) ha ritenuto che la norma di cui all’art. 20, co. 1, del d.l. n. 112/08, convertito nella l. n. 133/08, il quale esclude l’obbligo di versamento dei contributi da parte del datore, che abbia corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’INPS dall’erogazione della predetta indennità, prevedendo, tuttavia, che restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori alla data del 1° gennaio 2009, ha portata retroattiva quanto all’obbligo datoriale, mentre non si applica alle contribuzioni già versate, che restano irripetibili, per effetto della seconda parte della citata norma. 13. Assicurazioni sociali. Rapporto di lavoro giornalistico. Pensione di vecchiaia. Anzianità contributiva. Per Cass., 1 dicembre 2008, n. 28529 (in CED Cassazione 2008; Mass., 2008, 1643) in materia di lavoro giornalistico, la disciplina della contrattazione collettiva nazionale di categoria e il regolamento dell’INPGI, prevede una forma di pensionamento anticipato, in base ai requisiti dell’età anagrafica di 57 anni e di contribuzione di 360 contributi mensili. Detta fonte, costituendo fonte regolatrice del rapporto inidonea a derogare alla regola generale posta dalla legge (artt. 6 del d.l. n. 791/81, convertito, con modificazioni, nella legge n. 534/82, e 6 della legge n. 407/90) non può escludere, però, la possibilità per il giornalista di avvalersi della pensione di vecchiaia e del consequenziale diritto, di fonte legale, alla continuazione del rapporto lavorativo sino al compimento dei 65 anni di età, pur se abbia raggiunto la massima anzianità contributiva prevista dal proprio ordinamento di categoria, a condizione che abbia rispetto il termine decadenziale di sei mesi per comunicare all’ente previdenziale la volontà di continuare il rapporto di lavoro. C) ASSICURAZIONE CONTRO I DANNI 14. Assicurazione contro i danni. Esigibilità dell’indennizzo. Avvio di un procedimento penale. Per Cass., 10 ottobre 2008, n. 25014 (in CED Cassazione 2009; Mass., 2008, 1424) in materia di assicurazione contro gli infortuni comprensiva dell’evento morte, quando il pagamento dell’indennizzo al beneficiario presupponga l’accertamento di fatti (nella specie, le cause della morte) già all’esame del giudice penale, è facoltà

672


Sintesi di giurisprudenza

delle parti procrastinare consensualmente l’esigibilità del diritto all’indennizzo sino alla definizione del processo penale, con la conseguenza che prima di tale momento non decorre la prescrizione del suddetto diritto. 15. Assicurazione contro gli infortuni. Previsione della perizia contrattuale. Rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti. Trib. Rovigo, 23 ottobre 2008 (Massima redazionale 2008) ha ritenuto che nella clausola di un contratto di assicurazione contro gli infortuni, che preveda una perizia contrattuale è insita la temporanea rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto contrattuale, nel senso che, prima e durante il corso della procedura contrattualmente prevista, le parti stesse non possono proporre davanti al giudice le azioni derivanti dal suddetto rapporto. 16. Assicurazione della responsabilità civile. Assicuratore del responsabile del danno. Esecuzione della prestazione indennitaria. Cass., 5 dicembre 2008, n. 28834 (in CED Cassazione 2008; Mass. Giur. It., 2008) ha affermato che in materia di assicurazione della responsabilità civile, il danneggiato non può agire direttamente nei confronti dell’assicuratore del responsabile del danno considerato che egli è estraneo al rapporto tra il danneggiante e l’assicuratore dello stesso, né può trarre alcun utile vantaggio da una pronuncia che estenda all’assicuratore gli effetti della sentenza di accertamento della responsabilità, anche quando l’assicurato chieda all’assicuratore di pagare direttamente l’indennizzo al danneggiato, attenendo detta richiesta alla modalità di esecuzione della prestazione indennitaria. D) ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA RC AUTO 17. Risarcimento dei danni da sinistro stradale. Clausole imitatrici della responsabilità dell’assicuratore. Art. 1341 c.c. Trib. Torino, 1° ottobre 2008 (in Contratti, 2009, 2, 176) ha ritenuto che la clausola del contratto di assicurazione con la quale si stabilisce entro quali limiti l’assicuratore deve tenere indenne l’assicurato dal danno derivatogli da un sinistro stradale, siccome intesa a precisare l’oggetto del contratto, non rientra tra quelle limitatrici della responsabilità dell’assicuratore, e in quanto tale, non richiede per la sua efficacia la specifica approvazione per iscritto del contraente per adesione ai sensi degli art. 1341 c.c.

673


Rassegne

18. Risarcimento dei danni da circolazione stradale. Obbligazione dell’assicuratore. Solidarietà tra assicurato ed assicuratore. Cass., 7 ottobre 2008, n. 24752 (in CED Cassazione 2009; Arch. circolaz., 2009, 139), ha stabilito che in materia di risarcimento dei danni da circolazione stradale, l’obbligazione dell’assicuratore è contenuta nelle somme costituenti il c.d. massimale di polizza, in quanto la solidarietà esistente tra assicurato e assicuratore ha natura atipica. Da ciò deriva che l’unicità della prestazione non muta la natura indennitaria nei confronti dell’assicuratore, né l’oggetto del contratto di assicurazione, che è l’indennizzo, mentre il debito del danneggiante, di carattere risarcitorio, è illimitato. 19. Risarcimento dei danni da circolazione stradale. Vittime di sinistri stradali. Impresa designata per conto del fondo di garanzia vittime della strada. Per Cass., 30 ottobre 2008, n. 22881 (in Assicurazioni, 2008, II, 2, 107; Arch. circolaz., 2008, 430) la sentenza pronunciata nel giudizio proposto dalla vittima di un sinistro stradale nei confronti del proprietario e del conducente responsabili del fatto, e privi di copertura assicurativa al momento del sinistro, non spiega alcun effetto nei confronti dell’impresa designata per conto del fondo di garanzia vittime della strada, in quanto l’eccezionale opponibilità a quest’ultima della sentenza pronunciata in un giudizio cui non abbia partecipato è prevista dall’art. 25 della legge n. 990/69 nella sola ipotesi di messa in liquidazione coatta amministrativa dell’assicuratore del responsabile, e sempre che la pendenza della lite sia stata portata a conoscenza dell’impresa designata.

II. BANCA Sommario: A) L’impresa bancaria: profili generali. – 20. Attività bancaria e finanziaria. – 20.1. L’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria come atto non recettizio e principio del silenzio-assenso. – 20.2. Abusiva attività di raccolta del risparmio ed emissione di “warrants su obbligazioni”. – 20.3. Abusiva attività bancaria e apertura di conti correnti. – 20.4. Abusiva attività finanziaria. – 21. Vigilanza. – 21.1. Segnalazione alla Centrale dei rischi e accertamento del credito in sofferenza. – 21.2. Fusioni e principio di continuità dei rapporti giuridici. – B) Depositi bancari. – 22. Deposito bancario. Esecuzione del contratto. – 23. Libretto di deposito cointestato. Facoltà dei cointestatari. – 24. Deposito bancario. Espropriazione forzata presso terzi e pignoramento di crediti (nullità). – 25. Trasferimento di libretto di deposito e normativa antiriciclaggio. – C) Le cassette di sicurezza. – 26. Responsabilità della banca. – 27. Prova del danno. – D) Titoli di credito bancari. – 28. Assegno bancario emesso in difetto di convenzione di assegno; titolo posto a fondamento dell’azione cartolare: sussistenza. – 29. Pagamento di assegno circolare munito della clausola “non trasferibile”a persona diversa dal beneficiario; responsabilità contrattuale della banca negoziatrice: sussistenza. Prescrizione: termine decennale ex art. 2946 c.c. – 30. Assegno bancario; accertamento della continuità delle girate dell’assegno; pa-

674


Sintesi di giurisprudenza

gamento a soggetto non legittimato: responsabilità della banca trattaria: sussistenza. Obblighi a carico della banca girataria per l’incasso: identificazione del presentatore dell’assegno nel momento in cui le viene consegnato. – 31. Assegno bancario. Promessa di pagamento ex art. 1988 c.c.; presumptio iuris tantum dell’esistenza del rapporto sottostante. Onere della prova contraria a carico dell’emittente o del girante. – E) Crediti speciali. – 32. Mutuo di scopo. – 32.1. Perfezionamento ed effetti del contratto di mutuo di scopo. – 32.2. Causa del mutuo di scopo. – 32.2.1. Causa del contratto di mutuo di scopo e sua elasticità. – 32.2.2. Mutuo di scopo e credito al consumo. – 33. Credito fondiario. – 33.1. Natura del credito fondiario. – 33.1.1. Estraneità dello “scopo” al credito fondiario. – 33.2. Credito fondiario e fallimento. – 33.2.1. Impiego della disponibilità derivante dal credito fondiario per l’estinzione di passività pregresse. – 33.2.2. Credito fondiario ed estinzione anticipata. – 33.3. Credito fondiario e natura della facoltà per la banca di iniziare o proseguire l’azione esecutiva anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore esecuzione forzata. – 33.4. Credito fondiario e frazionamento.

A) L’impresa bancaria: profili generali 20. Attività bancaria e finanziaria. 20.1. L’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria come atto non recettizio e principio del silenzio-assenso. Una banca può esercitare l’attività bancaria e le altre attività finanziarie di cui all’art. 10 t.u.b. solo se richiede e ottiene dalla Banca d’Italia l’autorizzazione di cui all’art. 14 t.u.b. Cass., 25 novembre 2008, n. 2071 (in Rep. Foro it., 2008, voce Banca, credito e risparmio, n. 22, in CED Cass., 2008, rv 242358, e in Diritto & Giustizia, 2009) si intrattiene sul problema se all’autorizzazione all’attività bancaria si applichi o meno il principio del silenzio-assenso e se l’atto autorizzativo possa o meno configurarsi come atto recettizio. Nel caso di specie, un intermediario finanziario iscritto nell’elenco generale ex art. 106 t.u.b. chiede alla Banca d’Italia il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria. Decorsi 90 giorni dalla presentazione della domanda, l’intermediario finanziario comincia immediatamente a esercitare attività bancaria. Decorsi ulteriori 5 giorni, l’intermediario riceve atto di diniego dalla Banca d’Italia, ma l’intermediario prosegue nell’esercizio dell’attività bancaria. All’intermediario finanziario viene allora contestato il reato di abusiva attività bancaria ex art. 131 t.u.b. e interviene sentenza di condanna sia in primo che in secondo grado. Con ricorso innanzi alla Suprema Corte, la difesa dell’intermediario così argomenta: la l. n. 241/1990 sul procedimento amministrativo introduce il principio generale del silenzio-assenso; l’art. 4 t.u.b. prevede l’applicazione ai procedimenti amministrativi della Banca d’Italia della l. n. 241/1990 e dei relativi principi generali; il comma 2-bis dell’art. 14 t.u.b. attribuisce alla

675


Rassegne

Banca d’Italia il potere di disciplinare la procedura di autorizzazione; le istruzioni di vigilanza prevedono che la Banca d’Italia rilasci l’autorizzazione entro 90 giorni dalla richiesta; essendo trascorso un termine superiore ai previsti 90 giorni senza che sia stato comunicato un atto di diniego, si deve ritenere operante il principio del silenzio-assenso, con la conseguenza che la condotta posta in essere dall’intermediario dovrà essere interpretata come esercizio di attività bancaria in presenza della dovuta autorizzazione e con la conseguenza che la condotta dell’intermediario non potrà integrare il fatto tipico del reato contestato. Il giudice di legittimità respinge il ricorso per due ordini di motivi. (A) L’autorizzazione di cui all’art. 14 t.u.b. non è un atto recettizio. La notifica dell’atto al suo destinatario non è una fase interna della fattispecie procedimentale, ma una sua fase esterna che produce i soli effetti connessi alla notifica e non anche gli effetti connessi all’adozione dell’atto nel suo complesso. Infatti, le istruzioni di vigilanza collegano il termine di 90 giorni al «rilascio» dell’autorizzazione e non alla sua comunicazione. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno accertato che l’intermediario ha effettivamente ricevuto il diniego dopo 95 giorni dalla richiesta, ma hanno altresì accertato che il provvedimento di diniego è stato adottato dalla Banca d’Italia l’89° giorno successivo alla richiesta di autorizzazione e quindi entro i termini previsti dalle istruzioni. (B) L’autorizzazione di cui all’art. 14 t.u.b. non è un atto cui è applicabile il principio del silenzioassenso. È pur vero che l’art. 4 t.u.b. rinvia alla legge sul procedimento amministrativo, ma è anche vero che l’art. 4 t.u.b. afferma che le norme contenute nella legge sul procedimento amministrativo – e quindi anche il principio generale del silenzio-assenso – si applicano ai procedimenti amministrativi della Banca d’Italia solo «in quanto compatibili». Da questo punto di vista, il giudice di legittimità osserva che proprio l’art. 19 della l. n. 241/1990 prevede che il principio del silenzio-assenso non sia compatibile con quegli atti che richiedono «valutazioni tecniche discrezionali». Siccome il comma 2 dell’art. 14 t.u.b. (che attribuisce alla Banca d’Italia il potere di negare l’autorizzazione nel caso in cui non valuti garantita la «sana e prudente gestione») consente di sostenere che l’autorizzazione all’attività bancaria legittima residuali valutazioni discrezionali, ne segue che quella compatibilità deve essere esclusa. Non solo. Lo stesso art. 20 della l. 241/1990 prevede che sia emanato un regolamento nel quale vengano indicati tutti i procedimenti amministrativi nei quali applicare legittimamente il principio del silenzio-assenso. Ebbene, il regolamento che ne è seguito (recato dal d.P.R. n. 300/1992 e integrato dal d.P.R. n. 407/1994) ha formulato un elenco nel quale l’autorizzazione ex art. 14 t.u.b. non è compresa.

676


Sintesi di giurisprudenza

20.2. Abusiva attività di raccolta del risparmio ed emissione di “warrants su obbligazioni”. Cass., 25 novembre 2008, n. 2071 (in Rep. Foro it., 2008, voce Banca, credito e risparmio, n. 22, in CED Cass., 2008, rv 242358, e in Diritto & Giustizia, 2009) si occupa anche di stabilire quale condotta integri il reato di abusiva attività di raccolta del risparmio di cui all’art. 130 t.u.b. Come è noto, l’art. 11 t.u.b. afferma che, per raccolta del risparmio, deve intendersi l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso e stabilisce che l’esercizio dell’attività di raccolta del risparmio presso il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche, con conseguente configurazione come reato della condotta posta in essere in violazione del divieto. Nel caso di specie, si discute se l’emissione di “warrants su obbligazioni” da parte di un intermediario finanziario ex art. 106 t.u.b. possa integrare il fatto tipico del reato di cui all’art. 130 t.u.b. Gli “warrants su obbligazioni” sono strumenti finanziari con i quali un soggetto paga un premio per acquistare il diritto di acquistare, entro una data prestabilita, un certo numero di determinate obbligazioni a un predeterminato prezzo di esercizio; se, entro la data fissata in contratto, il valore di mercato delle obbligazioni supera il prezzo di esercizio, il titolare del warrant sarà indotto ad acquistare le obbligazioni, mentre, se il valore di mercato delle obbligazioni scenderà al di sotto del prezzo di esercizio, è possibile che il titolare del warrant rinuncerà all’esercizio della facoltà di acquisto; chi acquista un “warrant su obbligazioni” scommette quindi sul rialzo del valore di mercato delle obbligazioni sottostanti; l’aleatorietà è in definitiva un tratto essenziale del warrant. Nel caso in esame, i giudici di merito hanno esaminato la condotta di un intermediario che aveva emesso “warrants su obbligazioni” e hanno accertato che, nonostante si fosse in formale presenza degli atipici strumenti finanziari sopra descritti, gli “warrants su obbligazioni” emessi dall’intermediario erano sostanzialmente preordinati all’esercizio di raccolta del risparmio presso il pubblico, attività vietata ai soggetti non bancari. Infatti, il contratto prevedeva che l’acquirente pagasse un premio per acquistare il diritto ad acquistare, ad una certa data e a un determinato prezzo di esercizio, un certo quantitativo di obbligazioni emesse dallo stesso intermediario. Il concreto operare del termine entro il quale esercitare il diritto di acquisto e dell’ammontare del prezzo di esercizio faceva sì che, alla data prestabilita, il valore di mercato delle obbligazioni sottostanti (emesse dallo stesso intermediario) fosse necessariamente superiore, anche se di poco, del valore del prezzo di esercizio. Il titolare dello strumento finanziario era quindi necessariamente indotto a esercitare l’opzione e l’aleatorietà tipica del warrant veniva inesorabilmente meno. La circostanza è stata interpreta-

677


Rassegne

ta nel senso di configurare il collocamento dei descritti strumenti finanziari come un’attività di acquisizione di fondi con sostanziale obbligo di rimborso, sostanzialmente maggiorato di interessi, e, in quanto tale, come una manifestazione di attività di raccolta del risparmio presso il pubblico condotta in violazione dell’art. 11 e quindi penalmente rilevante ai sensi dell’art. 130 t.u.b. 20.3. Abusiva attività bancaria e apertura di conti correnti. Cass., 25 novembre 2008, n. 2071 (in Rep. Foro it., 2008, voce Banca, credito e risparmio, n. 22, in CED Cass., 2008, rv 242358, e in Diritto & Giustizia, 2009) si sofferma infine su quale condotta integri esercizio abusivo del credito in vista della contestazione del reato di abusiva attività bancaria di cui all’art. 131 t.u.b.. All’intermediario finanziario protagonista della vicenda processuale in commento è stato infatti contestato che la diffusa attività di apertura di conti correnti integra esercizio abusivo del credito. La difesa dell’intermediario sostiene che l’apertura di conti correnti non è un’attività tipica, ma solo un’attività strumentale all’esercizio dell’attività di prestazione di servizi di pagamento, senz’altro consentita dall’iscrizione all’elenco generale di cui all’art. 106 t.u.b. In realtà, il giudice di legittimità respinge il ricorso in quanto i gradi di merito hanno provato che i conti correnti portavano un saldo attivo stabile di cui gli intestatari disponevano liberamente con possibilità per gli stessi di effettuare versamenti e prelievi per contanti anche a debito. I conti correnti non erano quindi finalizzati soltanto alla prestazione di servizi di pagamento, ma erano strumento per l’esercizio del credito. Ricorrendo tale ipotesi congiuntamente all’ipotesi di abusiva attività di raccolta del risparmio, risultava quindi integrato anche il reato di abusiva attività bancaria ex art. 131. 20.4. Abusiva attività finanziaria. Cass., 20 novembre 2008 (solo massima, in Rep. Foro it., 2008, voce Banca, credito e risparmio, n. 21, e in CED Cass., 2008, rv 242591) si occupa dei presupposti idonei a legittimare un sequestro probatorio funzionale alla contestazione del reato di cui all’art. 132 t.u.b., che punisce chiunque eserciti attività finanziarie senza essere iscritto negli elenchi di cui agli artt. 106 e 107 t.u.b. Nel caso di specie, il giudice di legittimità valuta sussistente il fumus bonis iuris del reato di cui all’art. 132 nell’ipotesi in cui una s.r.l. presenti all’Ufficio Italiano Cambi (oggi Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia) mendaci dichiarazioni in ordine alla ricorrenza del requisito del capitale sociale minimo versato, al fine di ottenere l’iscrizione nel registro degli intermediari. Non solo. La Suprema Corte ritiene che il presupposto idoneo a legittimare il sequestro probatorio sussiste anche

678


Sintesi di giurisprudenza

quando la società sia stata iscritta nell’elenco ex art. 106 t.u.b, in quanto l’atto amministrativo che ha disposto l’iscrizione è stato emesso in forza di presupposti fattuali inesistenti e, come tale, è suscettibile di essere disapplicato ai sensi dell’art. 5 della l. n. 2248/1865, all. E. 21. Vigilanza. 21.1. Segnalazione alla Centrale dei rischi e accertamento del credito in sofferenza. Le banche devono segnalare mensilmente alla Centrale dei rischi i crediti verso i clienti di ammontare superiore ai limiti di censimento: tra di essi, vanno annoverati i crediti di ammontare superiore alle soglie monetarie stabilite dalla Banca d’Italia e i cc.dd. «crediti in sofferenza». Trib. Foggia, 15 dicembre 2008 (solo massima, in Rep. Foro it., 2008, voce Banca, credito e risparmio, n. 41) si occupa di stabilire che cosa si debba intendere per credito in sofferenza. Il giudice di merito richiama il dato testuale delle istruzioni della Banca d’Italia in materia di Centrale dei rischi, che stabiliscono che i crediti in sofferenza sono quelli vantati nei confronti di soggetti che versano in «stato di insolvenza» ovvero in «situazioni sostanzialmente equiparabili»; le istruzioni precisano anche che lo stato di insolvenza non deve necessariamente essere accertato giudizialmente e, come tale, non si identificherà necessariamente con la relativa nozione fallimentare. Ne segue che, affinché una posizione creditoria possa qualificarsi come una sofferenza, è sufficiente che la banca effettui una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come deficitaria o di grave difficoltà economica. Non è necessario che si faccia riferimento al concetto di incapienza, decozione o definitiva irrecuperabilità. È invece sufficiente verificare la presenza di una situazione non transitoria che non faccia prevedere la possibilità di una capacità di rientro sicuro. A questo fine, il giudice ritiene possibile tener conto di dati sintomatici quali l’incapacità del debitore di rispettare le scadenze programmate; il rapporto tra l’ammontare del credito e l’ammontare dei versamenti eseguiti; l’inerzia del debitore di fronte a eventuali solleciti; il tempo trascorso tra la maturazione del debito e la sua segnalazione. 21.2. Fusioni e principio di continuità dei rapporti giuridici. La disciplina di diritto comune in materia di fusione delle società è posta dagli artt. 2501 ss. c.c. Le fusioni alle quali prendono parte società bancarie sono disciplinate anche dall’art. 57 t.u.b., che le subordina al rilascio di un’autorizzazione da parte della Banca d’Italia quando non contrastino con la sana e prudente gestione. Il tema delle fusioni bancarie è affrontato dal Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali

679


Rassegne

del 19 dicembre 2008 (in Rep. Foro it., 2008, voce Banca, credito e risparmio, merito extra), il quale è meritevole di segnalazione non tanto per la decisione adottata rispetto al caso concreto posto, quanto per il presupposto utilizzato come fondamento della decisione. Nel caso di specie, a seguito di una fusione per incorporazione tra due banche, la banca incorporante fa istanza al Garante per l’esonero dall’obbligo di rendere ai soggetti interessati della banca incorporata l’informativa relativa al trattamento dei dati personali (art. 13, co. 1, d.lgs. n. 196/2003). Il Garante concede l’esonero e richiede alla banca incorporante di rendere l’informativa attraverso il proprio sito web e con comunicazione individualizzata in occasione della prima circostanza utile di contatto, anche per altre finalità. Il Garante motiva il provvedimento sulla base di due presupposti. Il primo concerne la circostanza che l’informativa avrebbe comportato un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato (art. 13, co. 5, lett. c, d.lgs. n. 196/2003). Il secondo tiene conto del fatto che il diritto oggetto della tutela è comunque garantito dalla particolare operazione effettuata, in quanto i rapporti giuridici della banca incorporata (e quindi anche i dati personali) non si estinguono e si ricostituiscono nei confronti della banca incorporante, ma proseguono e confluiscono nella banca incorporante senza soluzione di continuità. Il presupposto a fondamento della decisione trova base giuridica nel diritto comune all’art. 2504-bis c.c., che afferma che la società incorporante assume i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione proseguendo in tutti i loro rapporti, e non è derogato dal diritto speciale applicabile alle fusioni bancarie, visto che, anche all’art. 57 t.u.b., si fa riferimento a una specificazione del principio di continuità, quando la norma afferma che «i privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo […] a favore di banche incorporate da altre banche […] conservano la loro validità e il loro grado, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione, a favore […] della banca incorporante». B) DEPOSITI BANCARI 22. Deposito bancario. Esecuzione del contratto. Trib. Lecce, 1 ottobre 2008 (in IlCaso.it, 2008) ha stabilito che, nell’ambito del contratto di deposito bancario, il soggetto tenuto a predisporre gli accorgimenti relativi all’esecuzione del contratto è il depositario e non il depositante. Il dovere di verifica della provenienza del documento di pagamento costituisce una prestazione generale che grava sul depositario in virtù della relativa disciplina negoziale.

680


Sintesi di giurisprudenza

23. Libretto di deposito cointestato. Facoltà dei cointestatari. Cass., 18 settembre 2008, n. 23844 (in CED Cassazione, 2008) ha affermato che la mera cointestazione del libretto comporta l’accensione di un deposito congiunto semplice, su cui ciascun cointestatario, anche se non può agire per l’altro – impedendogli la disciplina della comunione di estendere il proprio diritto sulla cosa comune in danno altrui – può, però, disporre della sua quota ed esigerla, stante la divisibilità dell’obbligazione di denaro (la decisione cassa App. Venezia, 11 marzo 2004). Sempre in argomento, è intervenuta Cass., 12 novembre 2008, n. 26983 (in Foro it., 2009, 1103) sostenendo che non si configura una liberalità d’uso, né una donazione indiretta in caso di cointestazione di un libretto bancario su cui erano state in precedenza depositate somme di denaro appartenenti a uno solo dei cointestatari, allorquando difetti la prova che, all’atto della cointestazione, il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità. Nel caso di specie, è stata confermata la pronuncia di merito secondo cui la cointestataria non proprietaria del denaro originariamente versato non aveva fornito la dimostrazione di un atto volontario e spontaneo di disposizione patrimoniale in suo favore da parte di chi aveva aperto il libretto, in considerazione dell’assistenza morale e materiale ricevuta. 24. Deposito bancario. Espropriazione forzata presso terzi e pignoramento di crediti (nullità). Trib. Bari, 19 novembre 2008 (in Giur. it., 2009, 8) ha stabilito che il recesso del debitore dal contratto di deposito bancario in conto corrente, anteriormente alla notifica dell’atto di pignoramento presso terzi, non è causa di nullità del pignoramento avente ad oggetto il saldo attivo risultante dal deposito medesimo laddove il denaro sia ancora nella disponibilità del terzo, trattandosi di somme da quest’ultimo comunque dovute al debitore. Al contempo, ha ritenuto che il pignoramento del saldo attivo di un deposito bancario in conto corrente, cointestato a persona estranea al rapporto obbligatorio intercorrente tra debitore e creditore procedente è – in assenza di diversi elementi probatori – affetto da nullità nella parte in cui eccede la metà dell’importo dichiarato dal debitor debitoris. Infine, nella medesima decisione, il tribunale ha affermato che nell’espropriazione presso terzi, le somme erogate al debitore da un ente previdenziale, a titolo di prestazioni pensionistiche, sono pignorabili senza alcuna limitazione allorché siano state accreditate su un deposito bancario in conto corrente, poiché il denaro in esso affluito perde la sua specifica e originaria connotazione causale.

681


Rassegne

25. Trasferimento di libretto di deposito e normativa antiriciclaggio. Trib. Roma, 15 dicembre 2008 (inedita) ha affermato che, ai fini della prevenzione del riciclaggio, ai sensi della legge n. 197/1991, qualora il valore da trasferire è complessivamente superiore a 12.500 euro, è inderogabilmente vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, salvo che lo stesso non venga eseguito per il tramite degli intermediari abilitati. C) LE CASSETTE DI SICUREZZA 26. Responsabilità della banca. Cass., 25 novembre 2008, n. 28067 (in Not., 2009, 133), nel confermare la decisione con cui il giudice del secondo grado aveva accertato, conformemente a giurisprudenza tralatizia, la nullità della clausola limitativa del valore delle cose immissibili nella cassetta di sicurezza, per contrasto con la norma imperativa dettata dal citato art. 1229 c.c., ha, tuttavia, ritenuto meritevole di attenzione la tesi difensiva prospettata dalla banca ricorrente (nella specie non accoglibile per una preclusione di ordine processuale), volta a scindere il rapporto sorgente dal contratto di abbonamento alle cassette di sicurezza in due distinte prestazioni (da illustrare allora chiaramente all’utente in un patto aggiunto alle condizioni generali di contratto): una prestazione di base, con cui la banca assumerebbe un obbligo di custodia a fronte del versamento di un canone minimo da parte dell’utente; e una prestazione eventuale, con cui la banca assumerebbe l’obbligo di assicurare i valori depositati a fronte del versamento di un corrispettivo aggiuntivo proporzionalmente crescente con l’aumentare dei valori depositati. In motivazione la Corte avverte, tuttavia, che per poter attribuire alla clausola la funzione di delimitare il massimale del rischio assicurato occorrerebbe elidere dal contenuto del contratto la prestazione di custodia, di modo che la probabilità del verificarsi di eventi pregiudizievoli cessi di dipendere dal comportamento della banca. Non sembra del tutto chiaro, però, se nel pensiero della Corte tale elisione possa ritenersi conseguita attraverso la separazione delle due suddette prestazioni; e comunque rimarrebbe il dubbio che, anche riarticolata come sopra, la clausola possa continuare a contrastare con la funzione del servizio delle cassette di sicurezza quale emerge dal complesso delle altre previsioni contrattuali e, in primis, dal vincolo della segretezza delle cose immesse nella cassetta. Inoltre, andrebbe valutato se l’eventuale trasmigrazione del contratto verso il

682


Sintesi di giurisprudenza

tipo assicurativo (in più punti richiamato dalla Corte) possa dar luogo a problemi di compatibilità, da un lato, con la disciplina propria di detto tipo (stante la non verificabilità dell’entità del rischio dichiarata dall’utente), e, dall’altro lato, con l’oggetto sociale della banca (stante il divieto per quest’ultima di svolgere attività finanziarie coperte da riserva di legge). 27. Prova del danno. Sempre Cass., 25 novembre 2008, n. 28067, cit., ha cassato la sentenza con cui il giudice di secondo grado aveva negato all’utente di provare il contenuto della cassetta attraverso le prove presuntive e il giuramento suppletorio, ritenendo che: a) nel caso di specie il giudice a quo dovesse valutare, invece, se la prova presuntiva potesse essere integrata da una circostanziata denuncia alla polizia giudiziaria circa la natura, la qualità e il valore dei singoli oggetti trafugati; dalle deposizioni testimoniali rese da persone di famiglia (attendibili in quanto sono di solito le uniche a poter essere a conoscenza del contenuto riservato della cassetta), relative alla circostanza che gli oggetti erano custoditi in banca; dal fatto che il danneggiato era l’effettivo proprietario degli oggetti che aveva assunto di avere riposto nella cassetta; dalla mancanza, infine, di ogni elemento o indizio in contrario (come l’incompatibilità con le condizioni economiche del danneggiato o con la frequenza e la data dei suoi accessi alla cassetta, in relazione alla data di acquisto dei preziosi …); b) ai fini dell’ammissibilità del giuramento suppletorio, fosse sufficiente una semiplena probatio, mentre il giudice a quo aveva negato l’ammissione di tale prova senza fornire alcuna motivazione. D) TITOLI DI CREDITO BANCARI 28. Assegno bancario emesso in difetto di convenzione di assegno; titolo posto a fondamento dell’azione cartolare: sussistenza. Con sentenza del 26 novembre 2009, n. 28219 (in Corriere giur., 2009, 683, con nota di Carrato) la Cassazione ha affermato che l’assegno bancario emesso in mancanza di convenzione di assegno può essere comunque posto a fondamento dell’azione cartolare del prenditore contro il traente. In motivazione la corte rammenta che gli effetti contemplati nell’art. 2, co. 1, r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, sono riferiti solo al difetto dei requisiti indicati nell’art. 1 del regio decreto (fra cui la denominazione di assegno bancario, l’ordine incondizionato di pagare e l’indicazione del nome del trattario); mentre del rapporto fra traente

683


Rassegne

e trattario si occupa l’art. 3 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, il quale dispone esplicitamente che il titolo vale come assegno bancario anche se le prescrizioni ivi contenute (secondo cui l’assegno è tratto su un banchiere e non può essere emesso se mancano i fondi disponibili) non vengano rispettate. 29. Pagamento di assegno circolare munito della clausola “non trasferibile” a persona diversa dal beneficiario; responsabilità contrattuale della banca negoziatrice: sussistenza. Prescrizione: termine decennale ex art. 2946 c.c. Nel periodo in rassegna si segnala la pronuncia della Suprema Corte del 24 ottobre 2008 n. 25725 (in Giur. it., 2009, 3, 644, e in Danno e resp., 2009, 846, con nota di Salvatore; conforme Cass., Sez. Unite, 26 giugno 2007, n. 14712) che ha ribadito che la responsabilità della banca negoziatrice che ha consentito l’incasso di un assegno circolare munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dal beneficiario del titolo (così violando le specifiche regole poste dall’art. 43 r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736) ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno – natura contrattuale, sicché l’azione di risarcimento proposta dal danneggiato è soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale stabilito dall’art. 2946 c.c. 30. Assegno bancario; accertamento della continuità delle girate dell’assegno; pagamento a soggetto non legittimato: responsabilità della banca trattaria: sussistenza. Obblighi a carico della banca girataria per l’incasso: identificazione del presentatore dell’assegno nel momento in cui le viene consegnato. Secondo Cass., 31 ottobre 2008, n. 26314 (in Giur. it., 2009, 3, 644; conf. Cass., 18 gennaio 2006, n. 871; Cass., 11 febbraio 2008, n. 3187) nel caso di un assegno non munito di clausola di non trasferibilità che sia caratterizzato da una serie di girate in bianco e presentato per la riscossione presso la banca in cui il girante per l’incasso è titolare di un conto corrente, ai sensi dell’art. 38 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 la responsabilità per il controllo della regolarità delle girate grava sulla banca trattaria, e non si estende alla banca girataria che si è limitata a curarne la riscossione quale mandataria all’incasso della banca trattaria. A carico della banca girataria infatti grava soltanto il diverso obbligo di identificazione del presentatore dell’assegno nel momento in cui le viene consegnato. 31. Assegno bancario. Promessa di pagamento ex art. 1988 c.c.; presumptio iuris tantum dell’esistenza del rapporto sottostante. Onere della

684


Sintesi di giurisprudenza

prova contraria a carico dell’emittente o del girante. App. Roma, 11 dicembre 2008 (inedita) ha chiarito nuovamente che nei rapporti diretti tra traente e prenditore e tra girante e immediato giratario, l’assegno bancario deve essere considerato come promessa di pagamento con la conseguenza per cui, ai sensi dell’art. 1988 c.c., esiste una presunzione iuris tantum dell’esistenza del rapporto sottostante fino a che l’emittente o il girante non fornisca la prova dell’inesistenza, dell’invalidità o dell’estinzione di tale rapporto. E) CREDITI SPECIALI 32. Mutuo di scopo 32.1. Perfezionamento ed effetti del contratto di mutuo di scopo. Con sentenza 3 dicembre 2007, n. 25180 (Contratti, 2008, p. 561 e ss. con commento di Martone), la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in merito alla disciplina e alla fattispecie del contratto di mutuo di scopo. L’occasione è offerta da un contratto di assicurazione in forza del quale il beneficiario avrebbe avuto diritto, in caso di infortunio o morte, a ricevere, a titolo di indennizzo, una somma calcolata in relazione al saldo di chiusura del conto, costituito presso la banca mutuante, così come risultante alla mezzanotte del giorno precedente quello dell’infortunio (entro un massimale prestabilito). Ragione del contendere è la computabilità o meno, ai fini del calcolo dell’indennizzo, delle somme oggetto di un contratto di finanziamento a valere sul conto corrente del mutuatario-assicurato. Verificatosi l’infortunio, il mutuatario-assicurato chiede che sia computata, ai fini del calcolo dell’indennizzo, la somma oggetto del contratto di mutuo, già stipulato con la banca. Tuttavia, la società di assicurazioni eccepisce la non computabilità delle somme oggetto del contratto di mutuo sostenendo che, alla data dell’infortunio, la banca non aveva ancora erogato il finanziamento. Il Tribunale di Avezzano, così come la Corte d’Appello dell’Aquila, respingono la domanda del beneficiario sostenendo che in effetti, anche in conformità al contratto di finanziamento, nessuna disponibilità era stata concessa prima del verificarsi dell’infortunio posto che, per il contratto di finanziamento, l’erogazione della somma pattuita era condizionata alla costituzione dell’ipoteca. Alla data dell’infortunio, infatti, l’ipoteca non era stata costituita con la conseguenza che nessuna somma era stata erogata. L’indennizzo, pertanto, doveva essere calcolato al netto della somma oggetto del contratto di finanziamento.

685


Rassegne

Mentre le corti territoriali argomentano tale conclusione valorizzando, nell’ambito dello schema di un contratto reale quale sarebbe il contratto di specie ai sensi e per gli effetti degli artt. 1813 e ss. del c.c., l’assenza del perfezionamento di un contratto (per mancanza dell’erogazione alla data di riferimento), la Corte di Cassazione giunge alle medesime conclusioni sostenendo che, diversamente, il contratto di mutuo si è invero perfezionato ma a esso non è seguito, in mancanza della condizione (costituzione dell’ipoteca) l’adempimento dell’obbligazione del mutuante. Il Supremo Collegio infatti riqualifica il contratto di finanziamento quale mutuo di scopo, e non quale mutuo tipizzato agli artt. 1813 e ss. c.c. La Corte afferma, sulla base di una propria consolidata giurisprudenza, che il contratto di mutuo di scopo è un contratto consensuale, oneroso e atipico ove, diversamente dal contratto di mutuo tipico, la consegna di una determinata quantità di danaro costituisce l’oggetto di un’obbligazione del mutuante e non già (come appunto nel contratto di mutuo tipico) un elemento costitutivo del contratto. In questa logica, con l’incontro dei consensi delle parti si perfeziona un contratto ad effetti obbligatori tra i quali, anzitutto, l’obbligo del mutuante di consegnare la somma pattuita. In assenza di tale adempimento non si realizza alcun effetto reale sicché le somme pattuite rimangono nella proprietà del mutuante. In altri termini, «pur se l’erogazione attiene alla fase esecutiva del contratto, la disponibilità giuridica della somma mutuata, da parte del mutuatario, sorge solo quando quest’ultimo può disporre della somma stessa, giacché soltanto da questo momento la somma esce dal patrimonio del finanziatore per entrare in quello del soggetto finanziato (v. Cass. 7116/98)». La Corte quindi osserva che, alla data dell’infortunio, non è corretto sostenere che non si è verificato il perfezionamento di un contratto di mutuo, poiché non si è verificata la traditio; è invece corretto sostenere che a quella data si è già perfezionato un contratto di mutuo di scopo che tuttavia, causa la mancanza della traditio, non ha comportato l’effetto del trasferimento della proprietà delle somme oggetto del contratto. La Corte precisa infatti che «[n]on può, infatti, sostenersi che la disponibilità giuridica della somma oggetto del finanziamento, da parte del soggetto finanziato, coincida con la sottoscrizione del rogito [il riferimento è anche all’impegno alla costituzione dell’ipoteca: nds] giacché, anche accettando […] che abbia natura di contratto consensuale il predetto atto negoziale, tale circostanza comporta comunque che, pur in difetto di una materiale traditio del denaro, per aversi la disponibilità giuridica della somma mutuata occorre pur sempre la creazione, da parte del mutuante, di un autonomo titolo di disponibilità che giustifichi l’uscita della somma dal suo patrimonio e la contestuale acquisizione

686


Sintesi di giurisprudenza

della medesima al patrimonio del mutuatario (v. Cass. 7116/98, già citata), come, ad esempio, secondo la prassi corrente nei rapporti bancari, l’accredito dell’importo del finanziamento sul conto corrente o il deposito sul libretto di risparmio». Sulla atipicità del contratto di mutuo di scopo e sulla necessità di tenerlo distinto dal contratto di mutuo tipico ai sensi e per gli effetti degli artt. 1813 e ss. c.c. si vedano, da ultime, Cass., 21 luglio 1998, n. 7116, Contratti, 1999, p. 373 con commento di Goltara (peraltro espressamente richiamata dal Supremo Collegio); Cass., 26 maggio 2002, n. 4327, in Rep. Foro it., 2002, voce Tributi in genere [610]; Cass., 19 maggio 2003, n. 7773, Contratti, 2003, p. 1131 con commento di Perrotti-Giorgi. In dottrina, si vedano, ex multis, Rispoli Farina, voce Mutuo di scopo, Digesto discipline civilistiche, XI, 1994, p. 559; Mazzamuto, voce Mutuo di scopo, Enciclopedia Giuridica Treccani, XX, 1990, 2; Teti, I mutui di scopo, in Trattato di diritto privato, a cura di Rescigno, XII, 2a edizione, Utet, Torino, 2007, p. 649. 32.2. Causa del mutuo di scopo 32.2.1. Causa del contratto di mutuo di scopo e sua elasticità. Trib. Brindisi, 8 luglio 2008 (in Dir. e pratica società, 2008, fascicolo 20, p. 62 e ss. con commento di Giannini-Vitali), viene richiesto di pronunciarsi in merito alla riconducibilità alla fattispecie del mutuo di scopo di un contratto di finanziamento concluso da una banca al fine di consentire al cliente di utilizzare le somme erogate “per l’acquisto/sottoscrizione[di] strumenti finanziari” (indicati nel contratto: si trattava, in particolare, di contratto avente a oggetto la concessione di un finanziamento per l’acquisto di strumenti finanziari, con obbligo per il cliente di corrispondere una rata fissa e un tasso di interesse del 6,20% su base annua). Il cliente chiede che sia accertata l’invalidità del contratto: il contratto, in questa prospettiva, altro non sarebbe che un contratto di mutuo, e in particolare un contratto di mutuo di scopo, che dovrebbe pertanto consentire al mutuatario di poter sciogliere il rapporto. Soffermandosi su tale eccezione, il Tribunale di Brindisi afferma che la qualificazione del contratto di specie sia quale mutuo sia quale mutuo di scopo non può essere accolta. Con riferimento a quest’ultimo rilievo, il Tribunale osserva che, nel contratto di mutuo di scopo, lo scopo è parte della causa del contratto stesso: nel caso sottoposto, pertanto, non è possibile ravvisare una simile fattispecie posto che la somma (asseritamente) “mutuata” non è in alcun modo messa a disposizione del cliente, neppure con la limitazione di un qualsiasi scopo. Il finanziamento, prosegue il collegio,

687


Rassegne

«resta sul piano puramente nominale, in quanto, per espressa previsione negoziale (art. 1), esso “sarà esclusivamente utilizzato per l’acquisto/sottoscrizione degli strumenti finanziari indicati ai seguenti punti nn. 2 e 3”». Un contratto siffatto non può integrare la fattispecie del mutuo posto che la causa è da ricercarsi non tanto nel finanziamento di somme di denaro quanto piuttosto nella vendita di particolari strumenti finanziari. Infatti, la vendita di tali strumenti non si perfeziona attraverso l’acquisto immediato e diretto da parte del cliente; essa piuttosto avviene attraverso la concessione di un finanziamento da destinarsi al relativo acquisto. La conclusione cui giunge il collegio brindisino deve essere condivisa quanto all’esclusione dello scopo a maggior ragione se, come nel caso illustrato, esso coincide con attività disciplinata dalla legge (cfr. art. 1, comma 6, lett. c), d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58). 32.2.2. Mutuo di scopo e credito al consumo. Trib. Torino, 8 dicembre 2007 (in Giur. merito, 2008, 2476, con nota di Colavolpe; Rep. Foro it., 2008, voce Credito al consumo [1915], n. 8) ha stabilito che al contratto di finanziamento coincidente con la fattispecie del credito al consumo non sono estendibili i principi elaborati da dottrina e giurisprudenza in materia di mutuo di scopo. Ricondotta la fattispecie al credito al consumo non vi è più spazio per altra qualificazione, quale per l’appunto quella di mutuo di scopo. Al credito al consumo è applicabile la disciplina, a tal fine esclusiva, di cui agli artt. 40 e ss. del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. Codice del consumo) e agli artt. 121 e ss. del t.u.b. A ciò consegue che in caso d’inadempimento del venditore, in assenza di un accordo che attribuisce al finanziatore l’esclusiva per la concessione del credito ai clienti del venditore, l’acquirente è privo di legittimazione ad agire nei confronti del finanziatore né è legittimato ad opporgli le eccezioni relative al contratto di compravendita. 33. Credito fondiario 33.1. Natura del credito fondiario 33.1.1. Estraneità dello “scopo” al credito fondiario. È dato ormai da tempo acquisito quello secondo il quale il contratto di mutuo fondiario non debba, perché non possa, essere qualificato come mutuo di scopo. La disciplina del mutuo fondiario, anche anteriore all’entrata in vigore del t.u.b, non offre alcun elemento a sostegno dell’assunto per cui la validità del finanziamento è subordinata ad una destinazione, come potrebbe essere la destinazione a scopo di miglioramento dei fondi sui

688


Sintesi di giurisprudenza

quali è costituita l’ipoteca. In questo senso si vedano, almeno, Cass., 11 gennaio 2001, n. 317 (in Fallimento, 2001, 1214 con nota di Plenteda, Mutuo di scopo e mutuo fondiario; in Giur. it., 2002, p. 782, con nota di Gruccione, La fattispecie del mutuo di scopo nella giurisprudenza, e in Contratti, 2001, 466, con nota di Santa Maria; App. Napoli, 12 marzo 2004, in Giur. nap., 2004, 214; in dottrina si vedano almeno, Bonfatti, La disciplina dei crediti speciali nel «testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia», in Giur. comm., 1994, I, p. 1015; Abete, Mutuo fondiario e mutuo di scopo: brevi riflessioni, in Dir. fall., 2003, I, p. 1463; e più di recente, anche alla luce delle modifiche introdotte dal c.d. Decreto Bersani bis, Falcone, Le operazioni di credito fondiario alla luce delle disposizioni del decreto legge n. 7 del 2007, convertito nella legge n. 40 del 2007 (c.d. «Decreto Bersani Bis»), in Dir. fall., 2007, I, p. 721. Conferma ulteriormente tale consolidato orientamento la sentenza resa dalla Corte di Cassazione in data 18 aprile 2007, n. 9243 (in Giur. civ. 2008, I, 1243), ove si offre una chiara motivazione a supporto dell’estraneità di uno scopo, o di una destinazione specifica, alla figura contrattuale del mutuo fondiario. Secondo il Supremo Collegio, «[i]l mutuo fondiario, infatti, alla luce di una giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice (da cui, del tutto immotivatamente totalmente prescinde parte ricorrente) non è mutuo di scopo, poiché nessuna delle norme da cui è regolato impone una specifica destinazione del finanziamento concesso né vincola il mutuatario al conseguimento di una determinata finalità e l’istituto mutuante al controllo dell’utilizzazione della somma erogata, ma si qualifica nella specificità in funzione della prestazione, da parte del mutuatario che sia proprietario di immobili rustici o urbani, di garanzia ipotecaria (in termini, Cass., 11 gennaio 2001 n. 317; conforme Cass., 18 settembre 2003, n. 13768)». Afferma che al contratto di mutuo fondiario è estranea la presenza di uno scopo, tale da escludere la qualificazione del contratto di mutuo fondiario quale mutuo di scopo, Trib. Latina, 11 agosto 2008 (in Contratti, 2008, 1085, con nota di Toschi Vespasiani-Fantechi, Mutuo fondiario: contratto a «a scopo di garanzia» tra novazione e nullità per difetto di causa concreta). 33.2. Credito fondiario e fallimento 33.2.1. Impiego della disponibilità derivante dal credito fondiario per l’estinzione di passività pregresse. Trib. Terni, 17 febbraio 2008 (in Corriere di merito, 2008, 1135 con nota di Vella; Rep. Foro it., 2008, voce Fallimento [2880], n. 469) qualifica la struttura negoziale coincidente con

689


Rassegne

un mutuo fondiario, stipulato al fine di consentire l’estinzione di passività del mutuatario, in seguito dichiarato fallito, verso la banca mutuante, quale fattispecie appartenente alla categoria degli atti o procedimenti indiretti. In quanto tale, e in conformità all’orientamento giurisprudenziale consolidato, la fattispecie integra l’ipotesi di disciplinata dall’art. 67, co. 1, n. 2, l.fall. concernente il pagamento di debiti scaduti con mezzi anormali. Indurrebbe a tale conclusione la circostanza per la quale la specifica destinazione delle somme all’estinzione delle passività pregresse si pone all’esterno della tipica causa negoziale del contratto di mutuo fondiario: il finanziamento, infatti, risulta concesso al solo fine di consentire, in ultima analisi, la sostituzione di un credito chirografario con un credito privilegiato. A ben più gravi conclusioni giunge, rispetto alla medesima fattispecie, Trib. Latina, 11 agosto 2008, cit. Il collegio ritiene infatti che ove il mutuo, descritto come fondiario, persegua, in concreto, la finalità di trasformare un debito chirografario in credito privilegiato esso, per ciò stesso, risulti, sotto il profilo causale, viziato: «la causa concreta di garanzia pare incompatibile con il tipo legale del mutuo». Prosegue poi il Tribunale, «[l]e parti avrebbero potuto facilmente raggiungere il loro obiettivo con un’apertura di credito e contestualmente costituzione di ipoteca ma hanno utilizzato lo strumento del mutuo ipotecario per perseguire un motivo illecito comune rappresentato dalla costituzione di un’ipoteca per debiti preesistenti non scaduti per ottenere l’applicazione dell’art. 67, co. 1, n. 3, l.fall.». Con queste premesse, la fattispecie si presenta, secondo il Tribunale, «viziata sotto il profilo causale con conseguente nullità ex art. 1418 c.c.». 33.2.2. Credito fondiario ed estinzione anticipata. Con sentenza 18 luglio 2008, n. 19978 (in Fallimento, 2008, 1385 con nota di Spiotta, I pagamenti anticipati non sempre sono inefficaci), la Corte di Cassazione torna a esprimersi in merito alla disciplina del rimborso anticipato di un mutuo, avente scadenza coincidente con la data di fallimento del mutuatario o con una data successiva (alla sua dichiarazione di fallimento). Nel caso di specie, la società mutuataria, pochi mesi prima di essere dichiarata fallita, esercitava la facoltà di rimborsare in via anticipata tutte le rate residue del contratto di mutuo fondiario. Ricondotta la fattispecie, ratione temporis, alla disciplina del d.P.R. 7/1976, la Corte di appello di Firenze accoglie le istanze della curatela che aveva chiesto la declaratoria di inefficacia del pagamento ai sensi e per gli effetti dell’art. 65, l.fall. e l’ammissione al passivo del correlativo credito in via chirografaria.

690


Sintesi di giurisprudenza

La Corte di Cassazione ricorda anzitutto l’evoluzione della “materia” nei propri orientamenti rappresentati, essenzialmente, dalla più risalente sentenza 10 aprile 1969, n. 1153 (in Foro it., 1969, I, 1768; Banca, borsa, tit. cred., 1970, II, 210, con nota di Lanza, Concetti e preconcetti in tema di rimborso anticipato di mutuo), seguita da Trib. Milano, 17 maggio 2004 (in Fallimento, 2005, 933 con nota adesiva di Tarzia), e dalla più recente sentenza 5 aprile 2002, n. 4842 (in Foro it., 2002, I, 2408, con nota di adesiva di Fabiani; Fallimento, 2002, 1322 con nota adesiva di Patti), “anticipata” da Trib. Napoli, 13 dicembre 2001 (in Fallimento, 2002, 1326 con nota di Patti) e da Trib. Torino, 8 aprile 1992 (in Fallimento, 1992, 865). Mentre nella prima sentenza la Corte affermò che (1) la facoltà convenzionalmente attribuita al mutuatario di estinguere anticipatamente il debito costituisce esercizio di un vero e proprio diritto potestativo; (2) a decorrere dall’efficacia della clausola, il debito originariamente dilazionato diviene scaduto e il pagamento non può essere considerato pregiudizievole ai creditori con l’ulteriore conseguenza per la quale tale pagamento non può essere privato di effetti ai sensi dell’art. 65 l.fall. Diversamente, con la seconda più recente sentenza, la Corte ritiene che (1) presupposto per l’applicazione dell’art. 65 l.fall. è, più semplicemente, il fatto oggettivo dell’anticipazione del pagamento rispetto alla scadenza originaria, indipendentemente dalla natura della fonte, legale o convenzionale, della regola che autorizza il pagamento anticipato; (2) l’applicazione dell’art. 65 l.fall., pertanto, non è preclusa da una clausola del contratto di mutuo che concede facoltà al mutuatario di rimborsare anticipatamente il debito; (3) l’art. 65 l.fall. considera il solo fatto, in sé e per sé, del pagamento anticipato. Con la sentenza in esame, la Corte da un lato conferma la correttezza della decisione adottata nel 2002, precisando tuttavia che l’inefficacia del pagamento anticipato ai sensi dell’art. 65 l.fall. deve essere limitata alla sola ipotesi in cui la facoltà per il debitore sia originata da una regola di fonte convenzionale. Si afferma infatti che «[d]iversamente stanno però le cose quando il diritto di conseguire l’estinzione anticipata del debito e la correlativa cancellazione dell’ipoteca sia accordato al mutuatario direttamente ed inderogabilmente da specifiche disposizione di legge, il rispetto delle quali risulti sistematicamente coerente con la configurazione stessa di quel particolare tipo di mutuo e con l’intento del legislatore di agevolare in tal modo l’erogazione del credito, contemporaneamente assicurando particolari garanzie all’ente mutuante, in vista di un preminente interesse generale. Tale è, appunto, la situazione che si determina con riguardo al mutuo fondiario ipotecario disciplinato dal citato testo unico del 1905 e dal successivo d.P.R. n. 7/1976 […]». Per la Cassazione

691


Rassegne

la disciplina e il conseguente assetto di interessi tipici del mutuo fondiario escludono che il pagamento anticipato possa essere rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 65 l.fall. Il principio di diritto che pare corretto desumere dalla pronuncia in esame riguarda l’inapplicabilità dell’art. 65 l.fall. tutte le volte in cui il debitore è autorizzato dalla legge al pagamento anticipato, anche al di fuori, pertanto, della figura del credito fondiario: ove è la legge a riconoscere tale facoltà al debitore significa che sono già stati valutati come meritevoli di tutela gli interessi in gioco riferibili non solo alle parti ma anche ai terzi. 33.3. Credito fondiario e natura della facoltà per la banca di iniziare o proseguire l’azione esecutiva anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore esecuzione forzata. La stessa Corte d’Appello di Torino, in conformità all’orientamento consolidatosi in giurisprudenza (vedi oltre), con sentenza 10 ottobre 2008 (in Fallimento, 2009, 1229 e ss. con nota di Macagno, Rapporti tra esecuzione individuale e concorsuale di credito fondiario: conferme dal legislatore della Riforma) afferma che, stante la natura meramente processuale del privilegio assegnato agli istituti di credito fondiario ai sensi dell’art. 41 t.u.b, l’assegnazione della somma in sede esecutiva non può che avere natura provvisoria. Rimane fermo, pertanto, l’obbligo d’insinuazione al passivo da parte dell’istituto mutuante per il suo accertamento definitivo nei confronti della massa fallimentare. Sulla natura processuale del privilegio qui esaminato, si veda Trib. Venezia, 3 febbraio 2004 (in Foro padano, 2005, I, 203, con nota di Lorcet, in Giur. banc., 2007, par. 1.7.), Trib. S.M. Capua Vetere, 4 maggio 2007 (in Rep. Foro it., 2008, voce Credito fondiario [1950], n. 15; Dir. e giur., 2008, 112, con nota di Coppola) ove si ribadisce il principio per il quale lo speciale privilegio previsto dall’art. 41, t.u.b ha natura esclusivamente processuale dovendo necessariamente coordinarsi con il sovraordinato principio della par condicio creditorum. 33.4. Credito fondiario e frazionamento. Si segnala che sull’interpretazione del diritto al frazionamento dell’ipoteca, e alla sua applicazione sotto il profilo soggettivo, Trib. Catania, 10 novembre 2008 (in Foro it., 2009, I, 553) ha giudicato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in rapporto all’art. 3 Cost., della l. 6 giugno 1991, n. 175, art. 5, co. 5 nella parte in cui non prevede che la suddivisione del mutuo in quote, e correlativamente il frazionamento dell’ipoteca a garanzia, possa conseguire anche su richiesta del terzo acquirente del bene ipotecato. Per il Tribunale la limitazione di una simile facoltà al

692


Sintesi di giurisprudenza

solo mutuatario pregiudica il principio di ragionevolezza costituzionalmente tutelato all’art. 3 Cost. Nella fattispecie, la ratio della novella resta all’evidenza quella di tutelare il bene giuridico costituito dalla proprietà (di una porzione) del bene su cui è stata iscritta la garanzia reale, restando irrilevante che l’interesse al frazionamento sia sorto in capo all’originario proprietario dell’immobile (anche mutuatario) piuttosto che al terzo acquirente di una quota (purché suscettibile di essere assoggettata a catastazione) del medesimo bene. Tale disparità, conclude il Tribunale, appare ancora più ingiustificabile a fronte del fatto che il diritto alla suddivisione dell’ipoteca trova oggi esplicita disciplina nella legge.

693


autori

Amorosino Sandro, prof. ord. di Diritto pubblico dell’economia nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Carriero Giuseppe, resp. Direzione Coordinamento giuridico ISVAP Cusa Emanuele, prof. ass. di Diritto commerciale nell’Università di Trento (Giurisprudenza) De Poli Matteo, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università di Padova (Giurisprudenza) Farina Pasqualina, ricercatore in Diritto processuale civile nell’Università La Sapienza di Roma (Giurisprudenza) Greco Gian luca, avvocato in Milano Guaccero Andrea, prof. ord. di Diritto privato comparato nell’Università di Roma Tre (Giurisprudenza) Mandrioli Luca, dottore commercialista Mattei Gentili Matteo, prof. ord. di Economia degli intermediari finanziari nell’Università di Pavia (Economia) Mezzacapo Simone, ricercatore in Diritto dell’Economia nell’Università di Perugia (Economia) Motti Cinzia, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Foggia (Giurisprudenza) Mucciarone Gianluca, assegnista di ricerca nell’Università Cattolica del Sacro Cuore sede di Piacenza (Giurisprudenza) Nigro Alessandro, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Regaldo Federico, prof. a contratto di Diritto privato CE nell’Università della Valle d’Aosta Rotondo Gennaro, ricercatore in Diritto dell’Economia nell’Università di Napoli Federico II (Economia) Santoro Vittorio, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Siena (Giurisprudenza) Sciarrone Alibrandi Antonella, prof. straord. di Diritto dell’Economia nell’Università Cattolica Sacro Cuore sede di Piacenza (Giurisprudenza) Vattermoli Daniele, prof. ass. di Diritto commerciale nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Vella Francesco, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Bologna (Giurisprudenza)


Indici dell’annata PARTE PRIMA SAGGI Amorosino Sandro, Coordinamento e collaborazione delle funzioni di vigilanza nello scenario della crisi dei mercati finanziari Carriero Giuseppe, Credito ai consumatori e prospettive di riforma Carriero Giuseppe, La crisi dei mercati finanziari: disorganici appunti di un giurista Cusa Emanuele, Il soprapprezzo delle azioni nelle banche di credito cooperativo tra statuto tipo e legge De Poli Matteo, Le regole di comportamento dei “creditori” nella direttiva 2008/48/Ce in materia di credito al consumo Guaccero Andrea, Risparmio gestito e sistemi alternativi di amministrazione e controllo Mattei Gentili Matteo, Crisi finanziarie e autorità di controllo Mezzacapo Simone, Law & Economics dei c.d. “Fondi Sovrani” d’investimento nell’ordinamento comunitario e nazionale Motti Cinzia, Tipologia e disciplina delle Trading venues Mucciarone Gianluca, «Data valuta»: direttiva 2007/64/CE e ordinamento italiano Nigro Alessandro, Crisi finanziaria, banche, derivati Nigro Alessandro, Responsabilità dei gestori nei confronti delle componenti esterne all’impresa Regaldo Federico, La responsabilità delle banche nel collocamento di obbligazioni ai risparmiatori. Una comparazione tra Italia e Regno Unito in seguito all’adozione del sistema MIFID Santoro Vittorio, Gli Istituti di pagamento Sciarrone Alibrandi Antonella, Il servizio di “consulenza in materia di investimenti”: profili ricostruttivi di una nuova fattispecie Vella Francesco, Il Prestito Titoli tra mercato finanziario e governance societaria

pag.

21

»

567

»

197

»

411

»

33

» »

547 513

» »

55 177

» »

429 13

»

367

» »

211 521

»

383

»

161

695


Indici dell’annata

COMMENTI Farina Pasqualina, Accordo di ristrutturazione dei debiti: un contributo alla ricostruzione del procedimento di omologazione Nigro Alessandro, La revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente fra insipienza del legislatore e fantasia dei giudici Nigro Alessandro, Le sezioni Unite e la legittimazione all’opposizione dei destinatari delle sanzioni ex art. 195 t.u.f. Vattermoli Daniele, Subordinazione legale ex art. 2467 c.c. e concordato preventivo

»

461

»

103

»

624

»

279

FATTI E PROBLEMI DELLA PRATICA Greco Gian Luca, La compliance nell’attività e nei servizi bancari: i problemi aperti Mandrioli Luca, La relazione del professionista nel concordato preventivo

» »

299

» » » »

111 333 481 667

»

455

»

455

RASSEGNE Sintesi di giurisprudenza Sintesi di giurisprudenza Sintesi di giurisprudenza Sintesi di giurisprudenza

(I trimestre 2008) (II trimestre 2008) (III trimestre 2008) (IV trimestre 2008)

INDICE ANALITICO DELLE DECISIONI Accordo di ristrutturazione dei debiti Accordo di ristrutturazione dei debiti – Mancato deposito dell’accordo in cancelleria prima della pubblicazione nel registro delle imprese – Mancata autenticazione delle sottoscrizioni degli aderenti – Concessione del decreto di omologa. Accordo di ristrutturazione dei debiti – Relazione del professionista – Oggetto – Attuabilità dell’accordo – Veridicità dei dati aziendali.

696


Indici dell’annata

Accordo di ristrutturazione dei debiti – Sindacato del tribunale – Attuabilità dell’accordo – Pagamento integrale dei creditori non aderenti.

»

455

Concordato preventivo Concordato preventivo – Criteri di formazione delle classi – Soci finanziatori – Subordinazione legale – Inserimento in una stessa classe con creditori non subordinati – Impossibilità – Deroga al principio di postergazione – Limiti.

»

263

»

91

»

91

»

91

»

92

»

92

»

92

»

447

»

447

»

447

Fallimento Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Presupposti – Riduzione durevole dell’esposizione della banca – Estremi – Fattispecie. Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Presupposti – Riduzione consistente dell’esposizione della banca – Estremi – Fattispecie. Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Distinzione fra conto passivo e conto scoperto – Irrilevanza. Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Rimesse su conto scoperto – Necessità. Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Presupposti – Riduzione consistente dell’esposizione della banca – Estremi – Fattispecie. Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Riduzione durevole dell’esposizione debitoria – Estremi – Fattispecie. Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Distinzione fra conto passivo e conto scoperto – Irrilevanza. Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Presupposti – Riduzione consistente e durevole dell’esposizione della banca – Estremi – Fattispecie. Fallimento – Revocatoria fallimentare – Rimesse in conto corrente bancario – Art. 70 l. fall. – Inapplicabilità.

697


Indici dell’annata

Intermediazione finanziaria Intermediazione finanziaria – Sanzioni amministrative ex art. 195 t.u.f. – Destinatari delle sanzioni non ingiunti del pagamento – Opposizione – Legittimazione – Sussiste.

»

589

2008 Trib. Milano, 27 marzo 2008 Trib. Monza, 3 settembre 2008

» »

91 91

2009 Cass., 4 febbraio 2009, n. 2706 Trib. Palermo, 27 marzo 2009 Trib. Milano, 25 maggio 2009 Cass., 30 settembre 2009, n. 20929

» » » »

263 455 447 589

INDICE CRONOLOGICO DELLE DECISIONI

698


PARTE seconda Legislazione, documenti e informazioni



Documenti e informazioni

Banca d’Italia – Provvedimento del Governatore del 21 maggio 2009, avente ad oggetto: “Direttiva 2007/44/CE in materia di acquisto di partecipazioni qualificate in banche, assicurazioni e imprese di investimento”. La direttiva 2007/44/CE del 5 settembre 2007 ha introdotto una nuova disciplina, di armonizzazione massima, delle “regole procedurali e criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario”. L’armonizzazione interessa le banche, le imprese di investimento, le imprese di assicurazione e le imprese di riassicurazione autorizzate in un Paese dell’Unione Europea. Il recepimento della direttiva nell’ordinamento italiano – che avrebbe dovuto essere realizzato entro il 21 marzo scorso – richiede la modifica di alcune disposizioni dei Testi unici bancario e della finanza; la Banca d’Italia ha collaborato con il ministero dell’Economia e delle Finanze per predisporre uno schema legislativo di intervento sulle normative del settore finanziario interessate dalla nuova disciplina. Attualmente una delega al Governo per il recepimento della direttiva è contenuta nella legge comunitaria, ora all’esame del Parlamento. Considerato che è scaduto il termine per il recepimento e che la direttiva reca disposizioni di dettaglio, chiare e precise, nella determinazione dei diritti e degli obblighi in capo ai soggetti che ne sono destinatari, si ritiene – secondo un’impostazione condivisa dal ministero dell’Economia e delle finanze – che tali disposizioni abbiano diretta efficacia nell’ordinamento italiano; esse, pertanto, devono essere applicate anche se in contrasto o non previste dal quadro normativo nazionale allo stato vigente. Si illustrano, in allegato, le previsioni comunitarie che si ritiene abbiano diretta applicazione alle banche e alle capogruppo di gruppi bancari (All. 1) nonché alle SIM (All. 2), con alcune indicazioni operative e procedurali. Roma, 12 maggio 2009

M. Draghi

199


Documenti e informazioni

Allegato 1 Disposizioni della direttiva 2007/44/CE, relativa a regole procedurali e criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario, di diretta applicazione alle banche e alle capogruppo di gruppi bancari

1. Partecipazioni soggette agli obblighi autorizzativi Ai sensi degli articoli 12 e 19 della direttiva 2006/48 (relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi e al suo esercizio) come modificata dalla direttiva 2007/44, sono tenuti a richiedere l’autorizzazione di cui all’articolo 19 del TUB i soggetti che intendono – da soli o di concerto – acquisire, direttamente o indirettamente, partecipazioni in banche o capogruppo che, tenuto conto di quelle già possedute, danno luogo: a) a una partecipazione pari o superiore al 10% ovvero al raggiungimento o superamento delle soglie del 20%, 33% e 50% del capitale sociale o dei diritti di voto; b) alla possibilità di esercitare un’influenza notevole sulla gestione

In relazione alla previsione dell’art. 19 della direttiva – che assoggetta all’obbligo di autorizzazione anche le “persone che agiscono di concerto” – si intende effettuato di concerto l’acquisto di partecipazioni da parte di più soggetti che eserciteranno in modo concertato i relativi diritti sulla base di accordi in qualsiasi forma conclusi, quando tali partecipazioni, cumulativamente considerate, superino le soglie indicate alle lettere a), b) e c). Agli altri accordi per l’esercizio concertato dei diritti di voto continuano ad applicarsi le disposizioni previste dall’art. 20, comma 2 del TUB e dalle disposizioni di vigilanza. La soglia del 33% è quella già prevista dalle disposizioni di vigilanza e la direttiva, pur prevedendo la soglia del 30%, consente di mantenere la soglia del 33% se prevista dalle legislazioni nazionali. La nozione di influenza notevole, quale elemento per individuare una partecipazione da autorizzare, era già prevista dalla direttiva 2006/48/CE; nel TUB la previsione era stata attuata individuando, in via presuntiva, la capacità di esercitare una influenza notevole nel superamento della soglia del 5%. Questa soluzione non è ora più percorribile data l’armonizzazione massima delle soglie rilevanti prevista dalla direttiva 2007/44/ CE; le ipotesi di influenza notevole dovranno quindi essere individuate caso per caso in relazione all’assetto proprietario e di governo della banca nella quale è assunta la partecipazione da autorizzare avendo a riferimento alcuni indici, tra i quali – a titolo esemplificativo – la possibilità di: designare uno o più esponenti negli organi di supervisione strategica o di gestione; condizionare scelte strategiche della società; esercitare

200


Banca d’Italia. Provvedimento del Governatore del 21 maggio 2009

c) al controllo , indipendentemente dall’entità della partecipazione. Conseguentemente, dovrà essere disapplicato l’articolo 19, comma 1, del TUB, nella parte in cui prevede che debba essere preventivamente autorizzata l’acquisizione di azioni o quote in una banca da chiunque effettuata quando comporta una partecipazione superiore al 5% del capitale di una banca rappresentato da azioni o quote con diritto di voto . Si rammenta inoltre che – al fine di dare una prima attuazione alla direttiva 2007/44/CE – l’articolo 14 del D.L. n. 185/2008, convertito con legge n. 2/2009, ha già abrogato i commi 6 e 7 dell’ articolo 19 del TUB; l’abrogazione consente ai soggetti che, anche attraverso società controllate, svolgono in misura rilevante attività d’impresa in settori non bancari né finanziari di richiedere l’autorizzazione per l’assunzione di partecipazioni anche superiori al 15% dei diritti di voto in banche e capogruppo di gruppi bancari. L’autorizzazione all’acquisto delle partecipazioni da parte di detti soggetti viene rilasciata dalla Banca d’Italia al ricorrere delle condizioni previste dal medesimo articolo 19 e dalle relative disposizioni di attuazione, in quanto compatibili. Dovrà, inoltre, essere accertata la competenza professionale generale nella gestione di partecipazioni ovvero, considerato il grado di influenza sulla gestione che la partecipazione da acquisire consente di esercitare, la competenza professionale specifica nel settore finanziario. All’ipotesi presa in considerazione dalle citate previsioni del D.L. 185/2008 si applica, ovviamente, quanto illustrato nella presente comunicazione.

2. Modalità di calcolo e condizioni di aggregazione dei diritti di voto L’articolo 12 della direttiva 2006/48/CE, come modificato dalla direttiva 2007/44/CE, prevede che i diritti di voto rilevanti per individuare le partecipazioni soggette agli obblighi autorizzativi e le condizioni di

poteri analoghi a quelli di una partecipazione che comporterebbe l’obbligo di preventiva autorizzazione. Nel nostro ordinamento il controllo ricorre nei casi previsti dall’articolo 23 del TUB. Il superamento della soglia del 5% dovrà comunque essere comunicato ai sensi dell’articolo 20, comma 1, del TUB. Restano fermi gli obblighi di comunicazione previsti dalla Titolo II, Capitolo 1, Sezione III delle Istruzioni di Vigilanza vigenti; quelli relativi alle partecipazioni soggette ad obblighi autorizzativi si applicano con riferimento alle nuove soglie individuate dalla direttiva.

201


Documenti e informazioni

aggregazione sono quelli previsti dagli articoli 9 e 10 nonché 12, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2004/109/CE . In applicazione di tali previsioni, nel computo delle soglie rilevanti a fini autorizzativi: 1. i diritti di voto devono essere calcolati con riferimento a tutte le azioni che conferiscono diritti di voto, anche se il loro esercizio è sospeso. In presenza di azioni con diritti di voto appartenenti a diverse categorie, il calcolo deve essere effettuato con riferimento a ciascuna categoria: al numeratore vanno poste le azioni possedute e da acquisire appartenenti ad una stessa categoria e, al denominatore, tutte le azioni emesse dalla banca appartenenti a quella categoria; 2. non sono presi in considerazione i diritti di voto detenuti da imprese di investimento o banche nell’ambito del servizio di sottoscrizione e/ o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente, di cui all’art 1, comma 5, punto c), del TUF, purché i diritti di voto connessi alla partecipazione non siano esercitati o altrimenti utilizzati per intervenire nella gestione dell’emittente e detti diritti siano ceduti entro un anno dall’acquisizione; 3. non sono presi in considerazione i diritti di voto inerenti alle azioni acquisite da parte di una banca o di una impresa di investimento, autorizzate a svolgere il servizio di negoziazione in conto proprio, quando agiscono in qualità di market maker , purché non intervengano nella gestione della banca interessata né esercitino alcuna influenza su quest’ultima al fine dell’acquisizione delle azioni o del sostegno del prezzo di esse; 4. non sono presi in considerazione i diritti di voto inerenti alle azioni acquisite esclusivamente a fini di operazioni di compensazione e regolamento nel consueto ciclo di regolamento a breve (regolate nei tre giorni di negoziazione successivi all’operazione), né quelli detenuti da coloro che prestano il servizio di custodia, in quanto tali, di azioni purché costoro possano soltanto esercitare diritti di voto inerenti a dette azioni secondo istruzioni fornite per iscritto o con mezzi elettronici;

Direttiva 2004/109/CE del 15 dicembre 2004, sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato. Ai sensi dell’articolo 1, comma 5-quater, del TUF per market maker s’intende il soggetto che si propone sui mercati regolamentati e sui sistemi multilaterali di negoziazione, su base continua, come disposto a negoziare in contropartita diretta acquistando e vendendo strumenti finanziari ai prezzi da esso definiti.

202


Banca d’Italia. Provvedimento del Governatore del 21 maggio 2009

5. i diritti di voto nella banca detenuti da una società di gestione o da un’impresa di investimento nell’ambito della prestazione dei servizi di gestione collettiva del risparmio o di gestione di portafogli sono computati separatamente dai diritti di voto nella stessa banca detenuti dalla società che controlla tali intermediari, a condizione che: a) la società di gestione o l’impresa di investimento eserciti i diritti di voto inerenti alla partecipazione nella banca in modo indipendente rispetto al soggetto controllante e ai soggetti appartenenti al suo gruppo; o b) i diritti di voto detenuti nell’ambito della gestione di portafogli siano esercitati dagli intermediari secondo le istruzioni impartite per iscritto o mediante mezzi elettronici dai clienti del servizio di gestione di portafogli. Se il soggetto controllante o un soggetto facente parte del suo gruppo detengono una partecipazione nella banca avvalendosi dei servizi di gestione collettiva del risparmio o di portafogli prestati da una società di gestione o da un intermediario del suo gruppo, il soggetto controllante non tiene conto dei relativi diritti di voto se gli intermediari esercitano tali diritti in modo indipendente e il relativo mandato di gestione non prevede clausole che consentano al soggetto controllante o a un soggetto del suo gruppo di interferire con il potere degli intermediari di assumere in modo indipendente le decisioni relative all’esercizio dei diritti di voto.

Tenuto conto di quanto previsto dall’art. 10 della direttiva 2007/14 della Commissione Europea, di esecuzione della direttiva 2004/109 CE, questa condizione ricorre quando: a) il soggetto controllante o un soggetto facente parte del suo gruppo non può interferire – attraverso istruzioni, dirette o indirette o in alcun altro modo – nell’esercizio da parte della società di gestione o dell’intermediario dei diritti di voto detenuti nella banca nell’ambito dei servizi di gestione collettiva del risparmio o di portafogli; b) la società di gestione o l’intermediario adotti, applichi e mantenga procedure e misure organizzative, debitamente formalizzate, volte ad assicurare che: • i diritti di voto relativi alla partecipazione nella banca siano esercitati dalla società di gestione o dall’intermediario in modo indipendente rispetto al soggetto controllante e agli altri soggetti del suo gruppo; • le persone che decidono com’esercitare i diritti di voto agiscano in modo indipendente rispetto al soggetto controllante e agli altri soggetti del suo gruppo; • non vi siano scambi d’informazione tra la società di gestione o l’intermediario, da un lato, e la controllante e le altre società del gruppo, dall’altro, relativi alle decisioni della società di gestione o dell’intermediario in materia di modalità di esercizio dei diritti di voto delle partecipazioni detenute. Cfr. nota precedente.

203


Documenti e informazioni

Oltre al titolare dell’azione è tenuto a richiedere l’autorizzazione il soggetto cui spettano i diritti di voto quando ricorra uno dei seguenti casi o una combinazione degli stessi: − i diritti di voto spettano in base a un accordo che preveda il trasferimento provvisorio e retribuito di tali diritti di voto; − i diritti di voto spettano in qualità di depositario, purché essi possano essere esercitati discrezionalmente in assenza di istruzioni specifiche da parte dell’azionista; − i diritti di voto spettano in qualità di creditore pignoratizio, usufruttuario o cessionario in garanzia; − i diritti di voto spettano in virtù di una delega, purché essi possano essere esercitati discrezionalmente in assenza di istruzioni specifiche da parte del delegante.

3. Criteri per la valutazione dell’istanza In base all’articolo 19-bis della direttiva 2006/48, introdotto dalla direttiva 2007/44, la Banca d’Italia valuta, al fine di garantire la gestione sana e prudente della banca cui si riferisce il progetto di acquisizione e in modo proporzionale alla probabile influenza del candidato acquirente sulla banca medesima, la qualità del candidato acquirente e la solidità finanziaria della prevista acquisizione. La valutazione viene condotta sulla base dei seguenti criteri: a) la reputazione del candidato acquirente 10; b) la reputazione e l’esperienza di coloro che, in esito alla prevista acquisizione, svolgeranno funzioni di amministrazione, direzione e controllo nella banca 11; c) la solidità finanziaria del candidato acquirente, in particolare in considerazione del tipo di attività esercitata e prevista dalla banca cui si riferisce il progetto di acquisizione;

La reputazione del candidato acquirente include il possesso dei requisiti d’onorabilità di cui all’articolo 25 del TUB, la correttezza nei comportamenti e nelle relazioni d’affari, nonché la competenza professionale. 11 Per reputazione e esperienza degli esponenti aziendali si intendono i requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza di cui all’articolo 26 del TUB. Tale criterio trova applicazione nel caso in cui, a seguito dell’acquisizione della partecipazione, il potenziale acquirente sia in grado e intenda effettivamente nominare nuovi esponenti aziendali. 10

204


Banca d’Italia. Provvedimento del Governatore del 21 maggio 2009

d) la capacità della banca di rispettare e continuare a rispettare le disposizioni di vigilanza. In particolare, il gruppo di cui diventerà parte deve disporre di una struttura che permetta di esercitare una vigilanza efficace, di scambiare effettivamente informazioni tra le autorità competenti e di determinare la ripartizione delle responsabilità tra le autorità competenti; e) l’esistenza di motivi ragionevoli per sospettare che, in relazione alla prevista acquisizione, sia in corso o abbia avuto luogo un’operazione o un tentativo di riciclaggio di proventi di attività illecite o di finanziamento del terrorismo ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2005/60/ CE o che la prevista acquisizione potrebbe aumentarne il rischio. Nelle more del recepimento della direttiva la Banca d’Italia valuterà le istanze di autorizzazione alla luce dei criteri sopra richiamati – tenendo anche conto delle linee guida applicative emanate dai Comitati di terzo livello CEBS, CESR e CEIOPS 12 – e delle attuali disposizioni di vigilanza, in quanto compatibili. A queste ultime si fa rinvio anche per la documentazione ivi richiesta a corredo dell’istanza.

4. Procedura di autorizzazione L’articolo 19 della direttiva 2006/48/CE, come modificato dalla direttiva 2007/44/CE, disciplina i termini per la valutazione delle istanze di acquisizione di partecipazioni da autorizzare. Ai sensi della disciplina comunitaria, entro due giorni lavorativi dalla ricezione dell’istanza, la Banca d’Italia invia al candidato acquirente la comunicazione di avvio del procedimento. Nella comunicazione è attestata l’avvenuta ricezione dell’istanza e di tutte le informazioni richieste e viene indicato il termine di conclusione del procedimento. Se la domanda è irregolare o incompleta, entro due giorni lavorativi dalla sua ricezione ne viene data comunicazione al candidato acquirente, indicando le cause dell’irregolarità o dell’incompletezza e invitandolo a produrre gli eventuali documenti mancanti. In tali casi, la comunicazione di avvio del procedimento è inviata entro due giorni lavorativi dalla ricezione della domanda regolarizzata o completata.

12 Cfr. “Guidelines for the prudential assessment of acquisitions and increase of holdings in the financial sector required by directive 2007/44/CE”, CEBS, CEIOPS E CESR, disponibile su www.cebs.org.

205


Documenti e informazioni

La Banca d’Italia si pronuncia sull’istanza entro 60 giorni lavorativi dalla data di invio della comunicazione di avvio del procedimento 13. Nella comunicazione di avvio del procedimento o successivamente, purché entro 50 giorni lavorativi dall’invio della predetta comunicazione, la Banca d’Italia può richiedere al candidato acquirente informazioni ulteriori, qualora ritenga necessari chiarimenti o integrazioni delle stesse al fine di completare la valutazione prudenziale. La richiesta è effettuata per iscritto precisando le informazioni integrative necessarie. In tali casi, il termine di conclusione del procedimento è sospeso, per una sola volta, fino alla ricezione della risposta del candidato acquirente. La sospensione non può eccedere i 20 giorni lavorativi. Il termine massimo di sospensione può tuttavia essere prorogato fino a un massimo di 30 giorni lavorativi se il candidato acquirente risiede in un paese extracomunitario o è soggetto a una regolamentazione extracomunitaria, ovvero non è un soggetto vigilato 14. Al più tardi entro due giorni lavorativi dalla ricezione delle informazioni integrative ovvero dalla scadenza del termine massimo di sospensione senza che siano pervenute le informazioni richieste, la Banca d’Italia comunica per iscritto al candidato acquirente la riapertura dei termini di conclusione del procedimento. Eventuali ulteriori richieste di completamento o chiarimento delle informazioni ricevute non comportano una nuova sospensione dei termini. Nel corso del procedimento, la Banca d’Italia può effettuare approfondimenti istruttori tramite accertamenti ispettivi o acquisire pareri, anche non obbligatori, di altre amministrazioni o autorità nazionali ed estere. In tali casi, i termini di conclusione del procedimento non sono sospesi. Tuttavia, la mancata tempestiva ricezione di informazioni o pareri che la Banca d’Italia abbia richiesto ad altre amministrazioni o autorità e che essa ritenga necessari per il rilascio dell’autorizzazione può costituire motivo per il rigetto dell’istanza. Ai sensi dell’articolo 19 ter della direttiva 2006/48/CE, introdotto dalla direttiva 2007/44/CE, la valutazione dell’acquisto forma oggetto di una

13 Il termine fissato dalla direttiva si applica anche alle operazioni di concentrazione che comportino l’acquisto del controllo; ciò comporta la disapplicazione del termine previsto dalla legge 303/2006. 14 La scansione dei tempi e delle fasi procedurali prevista dalla direttiva comunitaria è incompatibile con l’applicazione dell’articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione.

206


Banca d’Italia. Provvedimento del Governatore del 21 maggio 2009

consultazione preventiva con le autorità competenti dello Stato in cui ha sede la società acquirente qualora il soggetto che intende acquisire la partecipazione in una banca o capogruppo sia: • una banca, un’impresa di assicurazione, un’impresa di riassicurazione, un’impresa di investimento, una società di gestione ai sensi dell’articolo 1-bis, punto 2, della direttiva 85/611/CEE, autorizzate in un altro Stato membro dell’Unione Europea o in un settore diverso da quello cui si riferisce il progetto di acquisizione; • l’impresa madre di una delle suddette società, ovvero la persona fisica o giuridica che controlla una delle suddette società. In tali casi, i termini di conclusione del procedimento non sono sospesi. Tuttavia, la mancata ricezione del parere dell’autorità di vigilanza sulla società acquirente in tempo utile per l’adozione del provvedimento autorizzativo entro i termini di conclusione del procedimento costituisce motivo per il rigetto dell’istanza. La Banca d’Italia comunica al candidato acquirente il provvedimento di autorizzazione, completo delle relative motivazioni, entro due giorni lavorativi dalla sua adozione e, in ogni caso, entro la scadenza del termine di conclusione del procedimento. La mancata adozione del provvedimento di rigetto dell’istanza entro il termine di conclusione del procedimento equivale al rilascio dell’autorizzazione (silenzio-assenso).

5. Ambito di applicazione della nuova disciplina La disciplina comunitaria deve essere applicata nell’ordinamento italiano a partire dalla scadenza del termine per il suo recepimento. Le istanze di autorizzazione presentate dopo il 21 marzo 2009 saranno quindi esaminate modificando e/o integrando la disciplina vigente secondo quanto previsto nei precedenti paragrafi.

207


Documenti e informazioni

Allegato 2 Disposizioni della direttiva 2007/44/CE, relativa a regole procedurali e criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario, di diretta applicazione alle SIM

1. Partecipazioni soggette agli obblighi di comunicazione preventiva Ai sensi degli articoli 4 e 10 della direttiva 2004/39/CE (relativa al mercato degli strumenti finanziari – MiFID) come modificata dalla direttiva 2007/44/CE, sono tenuti a effettuare la comunicazione preventiva di cui all’articolo 15 del TUF i soggetti che intendono – da soli o di concerto – acquisire, direttamente o indirettamente, partecipazioni in SIM che, tenuto conto di quelle già possedute, danno luogo: 1. a una partecipazione pari o superiore al 10% ovvero al raggiungimento o superamento delle soglie del 20%, 33% e 50% del capitale sociale o dei diritti di voto; 2. alla possibilità di esercitare un’influenza notevole sulla gestione ;

In relazione alla previsione dell’art. 10 della direttiva MiFID – che assoggetta all’obbligo di autorizzazione anche le “persone che agiscono di concerto” – si intende effettuato di concerto l’acquisto di partecipazioni da parte di più soggetti che eserciteranno in modo concertato i relativi diritti sulla base di accordi in qualsiasi forma conclusi, quando tali partecipazioni, cumulativamente considerate, superino le soglie indicate alle lettere a), b) e c). Agli altri accordi che regolano l’esercizio dei diritti di voto continuano ad applicarsi le disposizioni previste dal Provvedimento della Banca d’Italia del 4 agosto 2000, recante il Regolamento in materia di intermediari del mercato mobiliare (cfr. Titolo II, Capitolo 3, Sezione I, Par. 1.3). La soglia del 33% è quella già prevista dal citato Provvedimento della Banca d’Italia del 4 agosto 2000 e la direttiva MiFID, come modificata dalla direttiva 2007/44/CE, pur prevedendo la soglia del 30%, consente di mantenere la soglia del 33% se prevista dagli ordinamenti nazionali. La nozione di influenza notevole, quale elemento per individuare una partecipazione da autorizzare, era già prevista dalle direttive in materia di servizi di investimento; nel citato Provvedimento della Banca d’Italia del 4 agosto 2000 la previsione era stata attuata individuando, in via presuntiva, la capacità di esercitare una influenza notevole nel superamento della soglia del 5%. Questa soluzione non è ora più percorribile data l’armonizzazione massima delle soglie rilevanti prevista dalla direttiva 2007/44/CE; le ipotesi di influenza notevole dovranno quindi essere individuate caso per caso in relazione all’assetto proprietario e di governo della SIM nella quale è assunta la partecipazione da

208


Banca d’Italia. Provvedimento del Governatore del 21 maggio 2009

3. al controllo , indipendentemente dall’entità della partecipazione. Conseguentemente, dovrà essere disapplicato il Provvedimento della Banca d’Italia del 4 agosto 2000, nella parte in cui prevede che debba essere preventivamente comunicata alla Banca d’Italia l’acquisizione di azioni in una SIM da chiunque effettuata quando comporta una partecipazione superiore al 5% del capitale di una SIM rappresentato da azioni con diritto di voto (cfr. Titolo II, Capitolo 3, Sezione I, Par. 1.1) .

2. Modalità di calcolo e condizioni di aggregazione dei diritti di voto Gli articoli 4 e 10 della direttiva MiFID, come modificati dalla direttiva 2007/44/CE, prevedono le modalità per individuare i diritti di voto relativi alle partecipazioni soggette agli obblighi di comunicazione preventiva e le condizioni di aggregazione, richiamando, tra l’altro, gli articoli 9 e 10 nonché 12, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2004/109/CE . In applicazione di tali previsioni, nel computo delle soglie rilevanti ai fini della comunicazione preventiva: 1. i diritti di voto devono essere calcolati con riferimento a tutte le azioni che conferiscono diritti di voto, anche se il loro esercizio è sospeso. In presenza di azioni con diritti di voto appartenenti a diverse categorie, il calcolo deve essere effettuato con riferimento a ciascuna categoria: al numeratore vanno poste le azioni possedute e da acquisire appartenenti a una stessa categoria e, al denominatore, tutte le azioni emesse dalla SIM appartenenti a quella categoria; 2. non sono presi in considerazione i diritti di voto detenuti da imprese di investimento o banche nell’ambito del servizio di sottoscrizione

autorizzare avendo a riferimento alcuni indici, tra i quali – a titolo esemplificativo – la possibilità di: designare uno o più esponenti negli organi di supervisione strategica o di gestione; condizionare scelte strategiche della società; esercitare poteri analoghi a quelli di una partecipazione che comporterebbe l’obbligo di preventiva autorizzazione. Nel nostro ordinamento il controllo ricorre nei casi previsti dall’articolo 23 del TUB. Il raggiungimento della soglia del 5% dovrà comunque essere comunicato successivamente, a fini informativi, alla Banca d’Italia. Restano fermi gli altri obblighi di comunicazione successivi previsti dal Titolo II, Capitolo 3, Sezione I, par. 4 del Provvedimento della Banca d’Italia del 4 agosto 2000. Direttiva 2004/109/CE del 15 dicembre 2004, sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato.

209


Documenti e informazioni

e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente, di cui all’art 1, comma 5, punto c), del TUF, purché i diritti di voto connessi alla partecipazione non siano esercitati o altrimenti utilizzati per intervenire nella gestione dell’emittente e detti diritti siano ceduti entro un anno dall’acquisizione; 3. non sono presi in considerazione i diritti di voto inerenti alle azioni acquisite da parte di una banca o di una impresa di investimento, autorizzate a svolgere il servizio di negoziazione in conto proprio, quando agiscono in qualità di market maker , purché non intervengano nella gestione della SIM interessata né esercitino alcuna influenza su quest’ultima al fine dell’acquisizione delle azioni o del sostegno del prezzo di esse; 4. non sono presi in considerazione i diritti di voto inerenti alle azioni acquisite esclusivamente a fini di operazioni di compensazione e regolamento nel consueto ciclo di regolamento a breve (regolate nei tre giorni di negoziazione successivi all’operazione), né quelli detenuti da coloro che prestano il servizio di custodia, in quanto tali, di azioni purché costoro possano soltanto esercitare diritti di voto inerenti a dette azioni secondo istruzioni fornite per iscritto o con mezzi elettronici; 5. i diritti di voto nella SIM detenuti da una società di gestione o da un’impresa di investimento nell’ambito della prestazione dei servizi di gestione collettiva del risparmio o di gestione di portafogli sono computati separatamente dai diritti di voto nella stessa SIM detenuti dalla società che controlla tali intermediari, a condizione che: a) la società di gestione o l’impresa di investimento eserciti i diritti di voto inerenti alla partecipazione nella SIM in modo indipendente

Ai sensi dell’articolo 1, comma 5-quater, del TUF per market maker si intende il soggetto che si propone sui mercati regolamentati e sui sistemi multilaterali di negoziazione, su base continua, come disposto a negoziare in contropartita diretta acquistando e vendendo strumenti finanziari ai prezzi da esso definiti. Tenuto conto di quanto previsto dall’art. 10 della direttiva 2007/14 della Commissione europea, di esecuzione della direttiva 2004/109/CE, questa condizione ricorre quando: a) il soggetto controllante o un soggetto facente parte del suo gruppo non può interferire – attraverso istruzioni, dirette o indirette o in alcun altro modo – nell’esercizio da parte della società di gestione o dell’intermediario dei diritti di voto detenuti nella SIM nell’ambito dei servizi di gestione collettiva del risparmio o di portafogli;

210


Banca d’Italia. Provvedimento del Governatore del 21 maggio 2009

rispetto al soggetto controllante e ai soggetti appartenenti al suo gruppo; o b) i diritti di voto detenuti nell’ambito della gestione di portafogli siano esercitati dagli intermediari secondo le istruzioni impartite per iscritto o mediante mezzi elettronici dai clienti del servizio di gestione di portafogli. Se il soggetto controllante o un soggetto facente parte del suo gruppo detengono una partecipazione nella SIM avvalendosi dei servizi di gestione collettiva del risparmio o di portafogli prestati da una società di gestione o da un intermediario del suo gruppo, il soggetto controllante non tiene conto dei relativi diritti di voto se gli intermediari esercitano tali diritti in modo indipendente e il relativo mandato di gestione non prevede clausole che consentano al soggetto controllante o a un soggetto del suo gruppo di interferire con il potere degli intermediari di assumere in modo indipendente le decisioni relative all’esercizio dei diritti di voto. Oltre al titolare dell’azione è tenuto a richiedere l’autorizzazione il soggetto cui spettano i diritti di voto quando ricorra uno dei seguenti casi o una combinazione degli stessi: − i diritti di voto spettano in base a un accordo che prevede il trasferimento provvisorio e retribuito di tali diritti di voto; − i diritti di voto spettano in qualità di depositario, purché essi possano essere esercitati discrezionalmente in assenza di istruzioni specifiche da parte dell’azionista; − i diritti di voto spettano in qualità di creditore pignoratizio, usufruttuario o cessionario in garanzia; − i diritti di voto spettano in virtù di una delega, purché essi possano essere esercitati discrezionalmente in assenza di istruzioni specifiche da parte del delegante.

b) la società di gestione o l’intermediario adotti, applichi e mantenga procedure e misure organizzative, debitamente formalizzate, volte ad assicurare che: • i diritti di voto relativi alla partecipazione nella SIM siano esercitati dalla società di gestione o dall’intermediario in modo indipendente rispetto al soggetto controllante e agli altri soggetti del suo gruppo; • le persone che decidono come esercitare i diritti di voto agiscano in modo indipendente rispetto al soggetto controllante e agli altri soggetti del suo gruppo; • non vi siano scambi di informazione tra la società di gestione o l’intermediario, da un lato, e la controllante e le altre società del gruppo, dall’altro, relativi alle decisioni della società di gestione o dell’intermediario in materia di modalità di esercizio dei diritti di voto delle partecipazioni detenute. Cfr. nota precedente.

211


Documenti e informazioni

3. Criteri per la valutazione dell’istanza In base all’articolo 10-ter della direttiva MiFID, introdotto dalla direttiva 2007/44/CE, la Banca d’Italia valuta, al fine di garantire la gestione sana e prudente della SIM cui si riferisce il progetto di acquisizione e in modo proporzionale alla probabile influenza del candidato acquirente sulla SIM medesima, la qualità del candidato acquirente e la solidità finanziaria della prevista acquisizione. La valutazione viene condotta sulla base dei seguenti criteri: a) la reputazione del candidato acquirente 10; b) la reputazione e l’esperienza di coloro che, in esito alla prevista acquisizione, svolgeranno funzioni di amministrazione, direzione e controllo nella SIM 11; c) la solidità finanziaria del candidato acquirente, in particolare in considerazione del tipo di attività esercitata e prevista dalla SIM cui si riferisce il progetto di acquisizione; d) la capacità della SIM di rispettare e continuare a rispettare le disposizioni di vigilanza. In particolare, il gruppo di cui diventerà parte deve disporre di una struttura che permetta di esercitare una vigilanza efficace, di scambiare effettivamente informazioni tra le autorità competenti e di determinare la ripartizione delle responsabilità tra le autorità competenti; e) l’esistenza di motivi ragionevoli per sospettare che, in relazione alla prevista acquisizione, sia in corso o abbia avuto luogo un’operazione o un tentativo di riciclaggio di proventi di attività illecite o di finanziamento del terrorismo ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2005/60/CE o che la prevista acquisizione potrebbe aumentarne il rischio. Nelle more del recepimento della direttiva la Banca d’Italia valuterà le istanze di acquisizione di partecipazioni alla luce dei criteri sopra richiamati – tenendo anche conto delle linee guida applicative emanate

La reputazione del candidato acquirente include il possesso dei requisiti di onorabilità di cui all’articolo 14 del TUF, la correttezza nei comportamenti e nelle relazioni d’affari, nonché la competenza professionale. 11 Per reputazione e esperienza degli esponenti aziendali si intendono i requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza di cui all’articolo 13 del TUF. Tale criterio trova applicazione nel caso in cui, a seguito dell’acquisizione della partecipazione, il candidato acquirente sia in grado e intenda effettivamente nominare nuovi esponenti aziendali. 10

212


Banca d’Italia. Provvedimento del Governatore del 21 maggio 2009

dai Comitati di terzo livello CEBS, CESR e CEIOPS 12 – e delle attuali disposizioni di vigilanza, in quanto compatibili. A queste ultime si fa rinvio anche per la documentazione ivi richiesta a corredo dell’istanza.

4. Comunicazione preventiva L’articolo 10-bis della direttiva MiFID, introdotto dalla direttiva 2007/44/CE, disciplina i termini per la valutazione delle istanze di acquisizione di partecipazioni soggette all’obbligo di comunicazioni preventiva. Ai sensi della disciplina comunitaria, entro due giorni lavorativi dalla ricezione dell’istanza, la Banca d’Italia invia al candidato acquirente la comunicazione di avvio del procedimento. Nella comunicazione è attestata l’avvenuta ricezione della comunicazione preventiva e di tutte le informazioni richieste e viene indicato il termine di conclusione del procedimento. Se la domanda è irregolare o incompleta, entro due giorni lavorativi dalla sua ricezione ne viene data comunicazione al candidato acquirente, indicando le cause dell’irregolarità o dell’incompletezza e invitandolo a produrre gli eventuali documenti mancanti. In tali casi, la comunicazione di avvio del procedimento è inviata entro due giorni lavorativi dalla ricezione della domanda regolarizzata o completata. La Banca d’Italia dispone di 60 giorni lavorativi dalla data di invio della comunicazione di avvio del procedimento per effettuare la valutazione. Nella comunicazione di avvio del procedimento o successivamente, purché entro 50 giorni lavorativi dall’invio della predetta comunicazione, la Banca d’Italia può richiedere al candidato acquirente informazioni ulteriori, qualora ritenga necessari chiarimenti o integrazioni delle stesse al fine di completare la valutazione prudenziale. La richiesta è effettuata per iscritto precisando le informazioni integrative necessarie. In tali casi, il termine di conclusione del procedimento è sospeso, per una sola volta, fino alla ricezione della risposta del candidato acquirente.

12 Cfr. “Guidelines for the prudential assessment of acquisitions and increase of holdings in the financial sector required by directive 2007/44/CE”, CEBS, CEIOPS E CESR, disponibile su www.cebs.org.

213


Documenti e informazioni

La sospensione non può eccedere i 20 giorni lavorativi. Il termine massimo di sospensione può tuttavia essere prorogato fino a un massimo di 30 giorni lavorativi se il candidato acquirente risiede in un paese extracomunitario o è soggetto a una regolamentazione extracomunitaria, ovvero non è un soggetto vigilato 13. Al più tardi entro due giorni lavorativi dalla ricezione delle informazioni integrative ovvero dalla scadenza del termine massimo di sospensione senza che siano pervenute le informazioni richieste, la Banca d’Italia comunica per iscritto al candidato acquirente la riapertura dei termini di conclusione del procedimento. Eventuali ulteriori richieste di completamento o chiarimento delle informazioni ricevute non comportano una nuova sospensione dei termini. Nel corso del procedimento, la Banca d’Italia può effettuare approfondimenti istruttori tramite accertamenti ispettivi o acquisire pareri, anche non obbligatori, di altre amministrazioni o autorità nazionali ed estere. In tali casi, i termini di conclusione del procedimento non sono sospesi. Tuttavia, la mancata tempestiva ricezione di informazioni o pareri che la Banca d’Italia abbia richiesto ad altre amministrazioni o autorità e che essa ritenga necessari per il rilascio dell’autorizzazione può costituire motivo per vietare l’acquisizione della partecipazione. Ai sensi dell’articolo 10 della direttiva MiFID, come modificato dalla direttiva 2007/44/CE, la valutazione dell’acquisto forma oggetto di una consultazione preventiva con le autorità competenti dello Stato in cui ha sede la società acquirente qualora il soggetto che intende acquisire la partecipazione in una SIM sia: • una banca, un’impresa di assicurazione, un’impresa di riassicurazione, un’impresa di investimento, una società di gestione ai sensi dell’articolo 1-bis, punto 2, della direttiva 85/611/CEE, autorizzate in un altro Stato membro dell’Unione europea o in un settore diverso da quello cui si riferisce il progetto di acquisizione; • l’impresa madre di una delle suddette società, ovvero la persona fisica o giuridica che controlla una delle suddette società. In tali casi, i termini di conclusione del procedimento non sono sospesi. Tuttavia, la mancata ricezione del parere dell’autorità di vigilanza

13 La scansione dei tempi e delle fasi procedurali prevista dalla direttiva comunitaria è incompatibile con l’applicazione dell’articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione.

214


Banca d’Italia. Provvedimento del Governatore del 21 maggio 2009

sulla società acquirente in tempo utile per l’adozione del provvedimento autorizzativo entro i termini di conclusione del procedimento costituisce motivo per vietare l’acquisizione della partecipazione. La Banca d’Italia può vietare l’acquisizione della partecipazione, informando il candidato acquirente e indicando le ragioni della decisione, entro due giorni lavorativi dall’adozione della decisione e, in ogni caso, entro la scadenza del termine di conclusione del procedimento. In assenza di decisione entro tale termine, l’acquisizione è da considerarsi approvata. Anche prima della scadenza del termine la Banca d’Italia può comunicare che nulla osta all’operazione.

5. Ambito di applicazione della nuova disciplina La disciplina comunitaria deve essere applicata nell’ordinamento italiano a partire dalla scadenza del termine per il suo recepimento. Le comunicazioni preventive presentate dopo il 21 marzo 2009 saranno quindi esaminate modificando e/o integrando la disciplina vigente secondo quanto previsto nei precedenti paragrafi.

215



La nuova disciplina delle partecipazioni “non finanziarie” al capitale delle banche: ovvero “prove” di recepimento della direttiva 2007/44/CE Sommario: 1. La regolamentazione degli assetti proprietari delle banche e il principio di “separatezza”. – 2. Le partecipazioni dei soggetti non finanziari e la direttiva 2007/44/CE (cenni). – 3. L’art. 14 della legge 28 gennaio 2009, n. 2 e il (tentato) recepimento della direttiva 2007/44/CE. – 4. Il Provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 21 maggio 2009 avente a oggetto: “Direttiva 2007/44/CE in materia di acquisto di partecipazioni qualificate in banche, assicurazioni e imprese di investimento”. – 4.1. Partecipazioni soggette agli obblighi autorizzativi. – 4.2. I criteri per la valutazione dell’istanza di autorizzazione: dalla “reputazione” del candidato acquirente (di cui alla direttiva 2007/44) alla “competenza professionale” dei soci non finanziari (ex legge n. 2/2009). – 5. Osservazioni conclusive (?).

1. La regolamentazione degli assetti proprietari delle banche e il principio di “separatezza”. In Italia, la regolamentazione degli assetti proprietari delle banche si è incentrata, fin dagli anni ’30, sul mantenimento di una rigida “separatezza” tra banche e imprese non finanziarie (invero, su entrambi i versanti partecipativi), una soluzione imposta dal peso che gli intrecci societari avevano avuto nella grave crisi economica di quel periodo e assicurata, inizialmente, attraverso la normativa secondaria e, più di recente, per il tramite di esplicite previsioni legislative. Si trattava, inoltre, di una disciplina fortemente condizionata dalla natura pubblicistica delle banche e la cui evoluzione è stata discontinua e sovente dettata da dinamiche contingenti . Lo dimostra principalmente

Tale principio era stabilito dall’art. 19 t.u.b., ma definito esplicitamente di «separatezza banca-industria» nelle Istruzioni di vigilanza, Tit. II, Cap. I, Sez. I, Par. 1, p. 1; in argomento v. Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2007, p. 331 s.; id., Banca e industria, in Rispoli Farina, a cura di, La nuova legge bancaria, Napoli, 1995, p. 115; Brescia Morra, Commento sub art. 19, in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Cedam, Padova, 2001, p. 159 ss.; Benocci, Fenomenologia e regolamentazione del rapporto banca-industria. Dalla separazione dei soggetti alla separazione dei ruoli, Pisa, 2007. Sull’evoluzione della disciplina in materia di partecipazioni al capitale delle banche si rinvia, tra gli altri, a Patroni Griffi, Commento sub art. 19, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio e Santoro

217


Documenti e informazioni

il fatto che l’esigenza di formalizzare le regole per l’acquisizione di partecipazioni al capitale delle banche si è posta concretamente solo agli inizi degli anni ’90, a seguito della privatizzazione delle banche pubbliche, trovando immediata risposta normativa nella legge n. 287/1990 che, oltre a disciplinare la materia (nella sede “impropria” della disciplina antitrust), ha cristallizzato per la prima volta a livello legislativo il principio di “separatezza”. Dopo reiterati interventi di modifica, le norme sulle partecipazioni al capitale delle banche sono state trasfuse nel testo unico bancario (d.lgs. n. 385/1993, in seguito solo t.u.b.) e in quella sede modificate, ancora, nel 2004 (per adeguarle alla riforma del diritto societario), fino a raggiungere l’assetto attuale che, per ragioni di varia natura, si sostanzia in un corpus normativo (primario e secondario) complesso, farraginoso e, per alcuni versi, inefficace rispetto alle esigenze attuali di governo dell’economia. Gli artt. da 19 a 24 del t.u.b., come è noto, predispongono un sistema di soglie rilevanti ai fini autorizzativi, di requisiti oggettivi e soggettivi per l’acquisizione di interessenze, di obblighi informativi e di sanzioni. In particolare, per quanto qui rileva, l’art. 19, prevedendo che le imprese industriali non potessero superare il 15% del capitale della banca partecipata o acquisirne il controllo, confermava la previsione legislativa del principio di “separatezza” fra industria e banca. Rinviando ai numerosi contributi sul tema (da sempre all’attenzione della dottrina), qui ci si limita a ricordare come le disposizioni sulle partecipazioni delle imprese non finanziarie avessero, tra l’altro, le finalità di evitare indebite interferenze gestionali (causate da commistioni societarie) e di consentire alle banche di svolgere appieno la funzione di valutazione del merito di credito dei soggetti finanziati, nel rispetto della “sana e prudente gestione” .

Bologna, 2003, I, p. 288 ss.; Minervini, Dal decreto 481/1992 al testo unico in materia bancaria e creditizia, in Giur. comm., p. 826 ss.; id., Il vino vecchio negli otri nuovi, in, La nuova legge bancaria, a cura di Rispoli Farina, cit., p. 3 ss.; Campobasso, Le partecipazioni al capitale delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, p. 295 ss.; Guaccero, La partecipazione del socio industriale nella società bancaria, Milano, 1997; Antonucci, Diritto delle banche, Milano, 2006, p. 165 ss. Sul punto, v. Brescia Morra, sub art. 19, cit., p. 159 ss. e la dottrina ivi richiamata. In tal senso, v. anche Porzio, Le imprese bancarie, Torino, 2007, p. 149 s. Finalità comune, peraltro, a quella, pur diversa, relativa alla partecipazione delle banche nelle imprese industriali; inoltre, evidenziava l’autonomia del criterio della sana

218


Gennaro Rotondo

2. Le partecipazioni dei soggetti non finanziari e la direttiva 2007/44/CE (cenni). Va detto che anche in materia di controllo degli assetti proprietari delle banche la normativa italiana trova la sua origine nell’ordinamento comunitario che, però, non prevedeva alcun limite partecipativo incentrato sulla natura dell’aspirante socio bancario . Pertanto, la disciplina italiana si presentava più restrittiva rispetto alle previsioni della seconda direttiva di coordinamento in materia bancaria (646/89/CE), il cui approccio mirava a una armonizzazione “minima” lasciando spazio, appunto, a normative nazionali per alcuni versi più “rigide”. La situazione cambia radicalmente con l’affermarsi del criterio dell’armonizzazione “massima” anche nell’ambito della disciplina comunitaria dei mercati finanziari. Così, quello che in passato era solo un “orientamento” di neutralità verso la natura dei futuri soci delle banche, con la direttiva 2007/44/CE diviene un obiettivo, imposto a tutti gli Stati membri, finalizzato a eliminare le differenze esistenti in materia tra le varie legislazioni nazionali. In sostanza, le norme comunitarie hanno definitivamente “scollegato” la disciplina delle partecipazioni al capitale delle banche da criteri di qualificazione soggettiva dell’aspirante socio, rendendo così inapplicabile, di fatto, il limite del 15%, imposto dal t.u.b., all’acquisizione della proprietà bancaria da parte di imprese industriali. La direttiva 2007/44 ha un impatto notevole sulla disciplina italiana delle partecipazioni al capitale delle banche producendo una serie di effetti ulteriori, oltre all’abolizione della soglia del 15%, sui quali ci si soffermerà in seguito (infra par. 4 ss.).

e prudente gestione rispetto a quello della separatezza fra banca e industria (ora più che evidente), Manzone, Partecipazione al capitale delle banche, in La nuova legge bancaria, a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, Milano, 1996, I, p. 348; in argomento v., diffusamente, Patroni Griffi, Commento sub art. 19, cit., p. 301 s.; e Campobasso, Le partecipazioni, cit., p. 300. Sul punto v. Campobasso, Le partecipazioni, cit., p. 302 ss.; Patroni Griffi, Commento sub art. 19, cit., p. 302 ss. Direttiva del 5 settembre 2007, che modifica la direttiva 92/49/CEE del Consiglio e le direttive 2002/83/CE, 2004/39/CE, 2005/68/CE e 2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario.

219


Documenti e informazioni

3. L’art. 14 della legge 28 gennaio 2009, n. 2 e il (tentato) recepimento della direttiva 2007/44/CE. La direttiva doveva essere recepita nell’ordinamento italiano entro il 21 marzo 2009 e, in tal senso, sembrava avesse provveduto la legge 28 gennaio 2009, n. 2 il cui art. 14 rimuove parte dei limiti contenuti nel t.u.b. e connessi alla natura non finanziaria del soggetto partecipante. La sensazione che fosse questo l’atteso provvedimento di recepimento della direttiva trova conferma nel dato testuale della rubrica di cui al medesimo art. 14: “Attuazione della direttiva 2007/44/CE sulla partecipazione dell’industria nelle banche [corsivo ns.]; disposizioni in materia di amministrazione straordinaria e di fondi comuni di investimento speculativi (cd. hedge fund)”, la cui redazione è approssimativa, ma inequivocabile. Venendo al dato normativo, l’art. 14, co. 1, della legge n. 2/2009, è intervenuto sull’art. 19 del t.u.b. abrogandone i commi 6 e 7 e sopprimendo al co. 8-bis le parole “e il divieto previsto dal comma 6”: è stata così eliminata, in sostanza, la previsione legislativa della separatezza tra imprese non finanziarie e banche. La norma, tuttavia, non si limita a questo intervento di modifica della disciplina del t.u.b., ma prevede altresì che «ai soggetti che, anche attraverso società controllate, svolgono in misura rilevante attività d’impresa in settori non bancari né finanziari l’autorizzazione prevista dall’articolo 19 […] è rilasciata dalla Banca d’Italia ove ricorrano le condizioni previste dallo stesso articolo e, in quanto compatibili, dalle relative disposizioni di attuazione». Essa, stabilisce, infine, che «con riferimento a tali soggetti deve essere, inoltre, accertata la competenza professionale generale nella gestione di partecipazioni ovvero, considerata l’influenza sulla gestione che la partecipazione da acquisire consente di esercitare, la competenza professionale specifica nel settore finanziario. La Banca d’Italia può chiedere ai medesimi soggetti ogni informazione utile per condurre tale valutazione». Il primo dato che balza all’attenzione è la scadente fattura redazionale della disposizione la quale presenta ripetizioni e uso atecnico degli stessi termini con accezioni diverse nell’arco di poche righe (“gestione”,

“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”.

220


Gennaro Rotondo

“competenza”), il che non appare però un elemento di novità nella produzione legislativa degli ultimi anni e, quindi, potrebbe anche ritenersi aspetto poco rilevante ai fini della sua effettività normativa. Inoltre, trattandosi con tutta evidenza di una disciplina diretta a capovolgere, almeno in apparenza, un “assioma” dell’ordinamento finanziario italiano – ossia la separatezza banca-industria – è comunque compito dell’interprete provare a darne una lettura in relazione all’insieme delle disposizioni in materia di assetti proprietari delle banche e ai principi generali della regolazione dei mercati finanziari, seppure con tutti i limiti derivanti sia dalle caratteristiche della norma in questione (di cui si dirà a breve), sia dalla novità della stessa. Non sembra si possa dubitare che attraverso l’abrogazione del co. 6 dell’art. 19, l’obiettivo principale della direttiva 2007/44 sia parzialmente raggiunto, seppure sarebbe stato più corretto, dal punto di vista sistematico, procedere alla riformulazione del medesimo art. 19 per armonizzare gli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria con la disciplina complessiva del Capo III del t.u.b., come del resto era previsto in alcune delle proposte di recepimento della direttiva 10. Conseguenza della scelta (se di scelta si può parlare) di recepire la direttiva al di fuori della sua sede naturale (il t.u.b.) è la previsione della necessità di concedere l’autorizzazione, nel rispetto della normativa vigente, ai soggetti non finanziari che intendono acquisire partecipazioni nel capitale di banche. Disposizione che appare tautologica, dal momento che l’elisione dei limiti partecipativi evidentemente non può dispensare le imprese non finanziarie dall’osservanza dei principi generali – e della relativa normativa secondaria – per l’acquisizione di tali interessenze. In aggiunta, non v’è cenno, nell’art. 14, delle altre modifiche che la direttiva imporrebbe di apportare alla disciplina italiana (elevare al 10% la soglia minima rilevante, ecc.; cfr. art. 12 ss. Direttiva 2007/44), per cui da questo punto di vista il recepimento si presenta incompleto.

Va ricordato che, per quanto riguarda il versante delle partecipazioni detenibili, disciplinate solo a livello regolamentare, è intervenuta la delibera del CICR del 29 luglio 2008, n. 276 che utilizza come parametro di riferimento il patrimonio della banca acquirente e non più quello della società partecipata (eliminando, quindi, i limiti previsti per le imprese non finanziarie), conformemente a quanto disposto dalla normativa comunitaria. 10 Si vedano, a tal fine, i lavori preparatori al d.l. 29 novembre 2008, n. 185, reperibili in www.senato.it.

221


Documenti e informazioni

Vi è, da ultimo, il capoverso finale del co. 1, il quale pone a prima lettura numerosi problemi, soprattutto perché rischia di vanificare uno degli obiettivi “dichiarati” della disciplina, ossia quello di «agevolare l’afflusso di capitali nel patrimonio delle banche» 11. Questa parte della norma prevede che i soggetti non finanziari, per acquisire partecipazioni nel capitale di una banca, debbano possedere una «competenza professionale generale nella gestione di partecipazioni» ovvero una «competenza professionale specifica nel settore finanziario». Requisito che va accertato dalla Banca d’Italia a cui viene attribuita specificamente la facoltà di acquisire informazioni per effettuare tale valutazione. Una prima questione interpretativa attiene all’ambito di applicazione oggettivo della disposizione: non è chiaro, infatti, se essa concerna l’acquisizione di qualsiasi partecipazione o solo di quelle eccedenti determinate soglie quantitative (ad esempio, il “vecchio” limite del 15%) o di controllo. L’opzione per l’una o l’altra soluzione ha, ovviamente, distinte conseguenze. Nel primo caso, si renderebbe estremamente gravoso il regime di acquisizione delle partecipazioni da parte di soggetti non finanziari, che dovrebbero possedere i requisiti richiesti anche per l’acquisizione di quote non rilevanti del capitale, con evidente disparità di trattamento rispetto agli altri potenziali soci, ma soprattutto con un palese scostamento dalle finalità della disciplina. In sostanza, la “separatezza” finirebbe per rientrare nel sistema dalla “tradizionale” finestra, ma con connotazioni anche più rigorose rispetto al passato. Nella seconda ipotesi, ma il dato letterale non consente di confermarlo, dovrebbe essere la normativa secondaria a specificare nel dettaglio le soglie quantitative oltre le quali occorre possedere la “competenza professionale”, con i conseguenti problemi di eccesso di delega (e di discrezionalità delle autorità di vigilanza), rispetto a una formulazione così generica. Per altro verso, si deve notare che, in virtù del rapporto di “genere” a “specie” che lega attività finanziaria e attività di assunzione di partecipazioni la previsione della competenza richiesta risulta “a rovescio”: quella “generale” dovrebbe riguardare la professionalità nel settore finanziario e quella “specifica”, piuttosto, la gestione di partecipazioni. Ma sembrerebbe, questa, un’ulteriore conseguenza dello scarso spessore redazionale della disposizione in esame.

11

222

Cfr. la Relazione illustrativa al d.l. n. 185/2008, in www.senato.it.


Gennaro Rotondo

Ciò detto, la “competenza professionale”, generale o specifica che sia, è evidentemente un concetto da implementare, al fine di dare effettività alla disciplina delle partecipazioni. Per un verso, la previsione di requisiti particolarmente rigorosi, circa l’esperienza nel settore finanziario che deve essere posseduta dai soggetti industriali, rischierebbe di “pietrificare” il sistema, impedendo l’acquisizione di interessenze alla maggior parte delle imprese non finanziarie interessate. È pur vero che molte grandi imprese possiedono articolazioni operative (o divisioni) finanziarie, ma nella migliore delle ipotesi si taglierebbero fuori le imprese medio-piccole (che pure potrebbero avere interesse a investire per questa via liquidità in eccesso) o quelle semplicemente prive delle menzionate propaggini organizzative. Una definizione più “leggera” dei requisiti di “competenza professionale” appare dunque preferibile, anche se in tal caso la norma finirebbe con l’avere scarsa effettività applicativa, considerato che la quasi totalità delle imprese non finanziarie si troverebbe nella condizione di poter acquisire interessenze nelle banche. Per ovviare al problema, una strada percorribile potrebbe essere quella di imporre all’aspirante socio industriale (o meglio, ai suoi esponenti aziendali) i requisiti di professionalità stabiliti dal t.u.b. e dalla normativa secondaria per gli esponenti aziendali (delle banche). Ma si tratta di soluzione che richiederebbe, ovviamente, un rinvio esplicito all’art. 26 t.u.b. oppure la formulazione di un’apposita disposizione. Da ultimo, una notazione di tecnica legislativa collegata, ancora, alla decisione di non “riscrivere” l’art. 19, limitandosi ad abrogarne i co. 6 e 7. Si tratta di una scelta, con buona probabilità inconsapevole (in questo caso), che s’inserisce però in una deteriore tendenza “centrifuga” rispetto alla regolamentazione contenuta nei testi unici del settore finanziario. Sono numerosi ormai i casi di modifiche a norme di t.u.b. e t.u.f. che non avvengono attraverso la riformulazione delle stesse, ma con il permanere delle “nuove” disposizioni in impianti legislativi (sovente) di altra natura. Ne sta conseguendo una rinnovata frammentazione della disciplina primaria del settore finanziario che, anche a causa di una normativa secondaria sempre più complessa e stratificata, non può che andare a detrimento della linearità normativa e della coerenza sistemica dell’ordinamento finanziario. Ma al di là di considerazioni tanto generali, appare evidente come la norma in esame sollevi numerosi profili problematici, specie a causa di una formulazione che (per fretta e approssimazione) non tiene in debito conto le esigenze di inquadramento di una modifica così rilevante negli assetti complessivi dell’ordinamento bancario.

223


Documenti e informazioni

In questo quadro, pervero già poco confortante, si viene a inserire il Provvedimento del Governatore del 12 maggio 2009.

4. Il Provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 21 maggio 2009 avente a oggetto: “Direttiva 2007/44/CE in materia di acquisto di partecipazioni qualificate in banche, assicurazioni e imprese di investimento”. Il Provvedimento in questione consta di una breve parte introduttiva e di due allegati, il primo concernente “Disposizioni della direttiva 2007/44/CE, relativa a regole procedurali e criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario, di diretta applicazione alle banche e alle capogruppo di gruppi bancari” e il secondo di analogo oggetto, ma riguardante le società di intermediazione mobiliare. Questo documento afferma, anzitutto, che la direttiva 2007/44 non è stata recepita entro la scadenza prevista del 21 marzo 2009, ma che, in considerazione del livello di dettaglio della disciplina comunitaria e sulla base di una «impostazione condivisa dal ministero dell’Economia e delle finanze» le disposizioni della direttiva stessa hanno efficacia diretta nell’ordinamento italiano; «esse, pertanto, devono essere applicate anche se in contrasto o non previste dal quadro normativo nazionale allo stato vigente». Già queste prime affermazioni pongono una serie di questioni che vanno dalla individuazione della natura giuridica del Provvedimento (normativa, di indirizzo, interpretativa?) al rapporto con la legge n. 2/2009, alle connessioni tassonomiche tra le fonti dell’ordinamento bancario (ad esempio, l’applicazione diretta della disciplina comunitaria – persino in contrasto con norme vigenti – è affermata da un provvedimento, sostanzialmente, amministrativo). In definitiva, la situazione appare tutt’altro che fluida. Ma prima di provare a dare alcune risposte è opportuno esaminare quanto meno i principali contenuti del Provvedimento del Governatore con riferimento a talune integrazioni e “disapplicazioni” della disciplina vigente. 4.1. Partecipazioni soggette agli obblighi autorizzativi. La parte del Provvedimento che qui rileva è l’Allegato 1, relativo appunto alla partecipazione al capitale delle banche, che si apre con l’individuazione delle fattispecie partecipative da assoggettare agli obblighi autorizzativi.

224


Gennaro Rotondo

La direttiva 2006/48 (artt. 12 e 19), come modificata dalla direttiva 2007/44, incide su alcune delle soglie rilevanti ai fini dell’autorizzazione ex art. 19 t.u.b., stabilendo che deve essere autorizzato chiunque (da solo o di concerto) intenda acquisire, direttamente o indirettamente, partecipazioni in banche o capogruppo che (considerate quelle già possedute) danno luogo: a) a una partecipazione pari o superiore al 10% ovvero al raggiungimento o superamento delle soglie del 20%, 33% e 50% del capitale sociale o dei diritti di voto; in verità, la direttiva prevede la soglia del 30%, ma consente al contempo la permanenza di quella del 33%, laddove presente nelle norme nazionali vigenti; b) alla possibilità di esercitare un’influenza notevole sulla gestione; c) al controllo. Di conseguenza – si afferma nel Provvedimento – deve essere disapplicato l’art. 19, co. 1, nella parte in cui prevede l’autorizzazione per l’acquisto di una partecipazione superiore al 5% del capitale di una banca 12. Soglia che rimane ferma, tuttavia, ai fini degli obblighi informativi di cui all’art. 20, co. 1, t.u.b. D’improvviso, il Provvedimento fa riferimento alla disciplina d’attuazione in vigore e si “rammenta” che l’art. 14 della legge n. 2/2009, «al fine di dare prima attuazione alla direttiva 2007/44», ha abrogato i commi 6 e 7 dell’art. 19. Si riporta poi il contenuto della norma e si afferma, in maniera alquanto singolare, che «alle citate previsioni [ossia all’art. 14] si applica, ovviamente, quanto illustrato nella presente comunicazione». Si tratta con evidenza di una “disposizione” anomala perché va a invertire il normale nesso funzionale tra norme primarie e secondarie tipico delle fonti del settore bancario. Si dubita, però, fortemente che questo documento abbia efficacia normativa, quanto piuttosto interpretativa e/o “illustrativa” (come lo stesso Provvedimento afferma) delle norme comunitarie direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale. E allora, visti anche gli ambiti d’incidenza differenti, è normale chiedersi come possa “applicarsi” un provvedimento di indirizzo concernente la efficacia diretta di norme comunitarie a una legge nazionale di recepimento delle norme medesime. Il Provvedimento del Governatore fa poi riferimento alle modalità di calcolo delle soglie rilevanti, indicando i criteri previsti dalle norme

12

Restano fermi gli obblighi di comunicazione previsti dal Titolo II, Capitolo 1, Sezione III delle Istruzioni di Vigilanza vigenti; quelli relativi alle partecipazioni soggette ad obblighi autorizzativi si applicano con riferimento alle nuove soglie individuate dalla direttiva, cfr. Provvedimento, All. 1, p. 1.

225


Documenti e informazioni

comunitarie e le diverse ipotesi di esclusione dal computo dei diritti di voto, che si sostanziano nel non considerare le interessenze detenute temporaneamente, a fini di mera negoziazione e, comunque, quelle che non presentano una rilevante incidenza gestionale (in relazione ai criteri previsti dalla direttiva) 13. 4.2. I criteri per la valutazione dell’istanza di autorizzazione: dalla “reputazione” del candidato acquirente (di cui alla direttiva 2007/44) alla “competenza professionale” dei soci non finanziari (ex legge n. 2/2009). Sulla base della normativa comunitaria 14, la Banca d’Italia deve valutare il progetto di acquisizione, al fine di tutelare la gestione sana e prudente della banca coinvolta, avvalendosi di precisi criteri: a) la reputazione del potenziale acquirente; b) la reputazione e l’esperienza dei soggetti che svolgeranno funzioni di amministrazione, direzione e controllo nella banca 15; c) la solidità finanziaria del candidato acquirente; d) la capacità della banca di continuare a rispettare le disposizioni di vigilanza; e) la verifica del rispetto delle norme in materia di riciclaggio di proventi di attività illecite o di finanziamento del terrorismo (v. direttiva 2005/60/CE). Rinviando alla lettura del Provvedimento per l’analisi di tali criteri, qui ci si sofferma brevemente su quello sub a), poiché potrebbe fornire soluzione a uno dei problemi sopra evidenziati in merito all’art. 14 della legge n. 2/2009, ossia la definizione della “competenza professionale” degli aspiranti soci non finanziari. Appare evidente come l’organo di vigilanza debba valutare la “qualità” complessiva dell’aspirante socio e sembra potersi affermare che tale vaglio comprenda la verifica del possesso dei requisiti di onorabilità (di cui all’art. 25 t.u.b.), ma che debba estendersi anche alla correttezza nei comportamenti e nelle relazioni d’affari, nonché alla “competenza professionale”, come del resto espressamente affermato dal Provvedimento del

13 Cfr. art. 12 della direttiva 2006/48 e artt. 9, 10 e 12, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2004/109, ma sul punto si rinvia diffusamente al Provvedimento, All. 1, par. 2, p. 2 s. 14 Cfr. art. 19-bis della direttiva 2006/48, inserito dalla direttiva 2007/44. 15 Per reputazione ed esperienza degli esponenti aziendali s’intendono i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza di cui all’art. 26 t.u.b. Tale criterio trova applicazione nel caso in cui, a seguito dell’acquisizione della partecipazione, il potenziale acquirente sia in grado e intenda effettivamente nominare nuovi esponenti aziendali.

226


Gennaro Rotondo

Governatore 16. Tuttavia, non si può fare a meno di notare come, anche nella direttiva questo concetto sia generico e necessiti, quindi, di ulteriore specificazione che, come già affermato, potrebbe ottenersi applicando anche agli esponenti aziendali (o alle maggiori cariche sociali) degli aspiranti soci industriali i requisiti di professionalità previsti dall’art. 26 t.u.b. Il Provvedimento “illustra” poi la disciplina comunitaria della procedura di autorizzazione con particolare riguardo ai termini per la valutazione delle istanze di acquisizione delle partecipazioni. Rinviando, ancora una volta, al testo per gli opportuni approfondimenti, qui ci si limita a evidenziare la previsione di tempi piuttosto serrati e l’applicazione del silenzio-assenso a conclusione dell’istruttoria, ciò al fine di garantire certezza e maggiore celerità del procedimento 17. In chiusura, il par. 5 del Provvedimento “stabilisce” che «la disciplina comunitaria deve essere applicata nell’ordinamento italiano a partire dalla scadenza del termine per il suo recepimento» e che «le istanze di autorizzazione presentate dopo il 21 marzo 2009 saranno quindi esaminate modificando e/o integrando la disciplina vigente secondo quanto previsto nei precedenti paragrafi». Anche in questo caso suscita alcune perplessità l’approccio utilizzato sia per la individuazione del momento di “entrata in vigore” della disciplina comunitaria nell’ordinamento nazionale, sia per l’auto-attribuzione della funzione di modifica/integrazione della normativa vigente, con buona pace della certezza del diritto per gli operatori e di almeno un paio di principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Certo, è evidente (e del tutto condivisibile) l’intento di porre rimedio a una situazione di stallo creatasi a seguito del “tentato” recepimento della disciplina comunitaria relativa a un settore delicato, come quello della regolazione degli assetti proprietari delle banche, proprio perché si va a “toccare” uno dei pilastri su cui si regge dall’inizio dello scorso secolo il sistema bancario italiano (la separatezza). Poco condivisibili sono, invece, le modalità utilizzate che sembrano riproporre tentazioni autoreferenziali tipiche di un modo di “fare vigilanza” che si auspicava ormai superato per sempre. Non spetta certo alla Banca d’Italia porre rimedio alla “inconsistenza” di taluni legislatori, quanto piuttosto fungere da stimolo e dare supporto tecnico per la realizzazione di riforme del settore che consentano di evitare simili empasse.

16 17

Cfr. Provvedimento, cit., p. 5, nota 10, cpv. Cfr. Provvedimento, cit., p. 6 ss.

227


Documenti e informazioni

5. Osservazioni conclusive (?). I motivi per cui una norma dello Stato – l’art. 14 della legge n. 2/2009 – emanata espressamente per adempiere a un obbligo di recepimento di direttive comunitarie, sia stata sostanzialmente ignorata da un provvedimento della Banca d’Italia sono palesi. L’art. 14 è una disposizione mal scritta, del tutto scollegata dal tessuto normativo specifico (il testo unico bancario) e da quello generale (la disciplina del mercato finanziario). È norma incompleta nel suo (mal riuscito) tentativo di recepimento: non tiene conto di tutte le modifiche apportate dalla direttiva e, soprattutto, ignora che l’attuazione doveva riguardare anche società d’intermediazione mobiliare e imprese di assicurazione. Pone, infine, una tale serie di problemi interpretativi e di contenuto da risultare, quasi certamente, inapplicabile (v. quanto già affermato infra par. 3). Ecco perché la Banca d’Italia si è trovata costretta, in un certo senso, a ignorare il tentativo di recepimento avvenuto con la legge n. 2/2009 e a diffondere le “istruzioni” (in senso del tutto atecnico) per l’applicazione diretta delle disposizioni comunitarie. L’art. 14, tuttavia, esiste ed è vigente. Se ne può, forse, ipotizzare la disapplicazione per contrasto con la direttiva, ma sicuramente non l’abrogazione per il tramite di un provvedimento amministrativo. Quanto alla natura giuridica del Provvedimento appare arduo giungere a conclusioni univoche. Non sembrano esserci precedenti analoghi, se non ripensando magari all’esercizio delle tradizionali funzioni di moral suasion che però mai si sono estrinsecate in un provvedimento di tal genere. Dunque, sulla base delle categorie generali, sembrerebbe trattarsi di un atto di indirizzo, privo di potere normativo, come confermerebbero anche i principi fissati dalla legge n. 262/2005 (c.d. legge sulla tutela del risparmio), ma al contempo vincolante per la stessa Banca d’Italia in quanto pur sempre diretto alle articolazioni organizzative di un’amministrazione statale. Una complicazione (ulteriore), tuttavia, viene dalla stessa legge n. 262/2005 che ha spostato sensibilmente il baricentro di competenze e attribuzioni della Banca d’Italia verso una gestione collegiale, con la conseguenza che il Provvedimento in esame, essendo di valenza generale (seppure di mero indirizzo), doveva forse essere adottato dal Direttorio. Si potrebbe azzardare che non potendo più farvi ricorso

228


Gennaro Rotondo

nell’attuale sistema 18, la Banca d’Italia (rectius il Governatore) abbia optato per l’inedita via di una moral suasion “formalizzata” per gestire una situazione di “emergenza” normativa. Ma i dubbi restano e di non poco momento. Allo stato permane una situazione di aporia normativa, solo momentaneamente “tamponata” dal Provvedimento del Governatore in cui, per altro, la affermata condivisione di intenti con il ministero dell’Economia sembra avere più la finalità (politica) di attenuare “frizioni” istituzionali che quella di conferire effettività applicativa a una disciplina contraddittoria e disorganica (l’art. 14). Situazione che, chiaramente, può essere risolta solo con un intervento legislativo che elimini questa “prova” di recepimento e riporti l’attuazione della direttiva 2007/44 nelle sue sedi naturali (t.u.b., t.u.f. e codice delle assicurazioni). Con l’auspicio però che, stavolta, si affidi la scrittura delle nuove norme a estensori dotati delle necessarie competenze tecniche. Sia consentita, in ultimo, una breve digressione per sottolineare come il quadro della disciplina qui esaminata sia reso ulteriormente complesso, se possibile, dagli effetti della crisi finanziaria. È singolare notare, infatti, come la disciplina comunitaria venga a inserirsi negli ordinamenti nazionali proprio in concomitanza con una serie di salvataggi bancari, interventi che in alcuni Stati sono giunti fino alla nazionalizzazione degli intermediari coinvolti, al punto da far paventare il ritorno dei ruoli (obsoleti) dello “Stato imprenditore” e dello “Stato proprietario”, con tutti i problemi legati a tali categorie concettuali 19. Ma preme qui evidenziare, piuttosto, come la presenza dello Stato nel capitale delle banche risulti difficilmente conciliabile con il mantenimento di assetti di mercato concorrenziali e, soprattutto, con l’obiettivo perseguito dalla disciplina comunitaria di agevolare la partecipazione al capitale delle banche, anche da parte di soggetti non finanziari. Si deve auspicare, pertanto, che si tratti di soluzioni temporanee dettate dall’esigenza far uscire dalla crisi il sistema bancario senza ulteriori stravolgimenti e che, passata la fase di emergenza, si pervenga al pieno rispetto da parte di tutti gli Stati membri delle nor-

18

In tal senso, cfr. Minervini, La Banca d’Italia, oggi, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 627 s. 19 In argomento, v. le riflessioni critiche di Rispoli Farina, Note a margine dei «Tremonti bond», in Le Società, 2009.

229


Documenti e informazioni

me della direttiva 2007/44/CE ossia di quello che può essere definito come il nuovo “modello” comunitario di regolamentazione degli assetti proprietari delle banche.

Gennaro Rotondo

230


Indici dell’annata PARTE SECONDA

DOCUMENTI E INFORMAZIONI La crisi del gruppo Lehman – Richiesta della Lehman di ammissione alla procedura di Reorganisation; richiesta della Lehman di accettazione dei termini e delle condizioni della vendita di assets; ordinanza della Corte fallimentare di accettazione

pag.

3

Chapter 11 e tutela dei creditori (note a margine del caso Lehman Brothers), di Daniele Vattermoli

»

67

La disciplina degli intermediari finanziari ai sensi dell’art. 106 t.u.b. – Decreto 17 febbraio 2009, n. 29, del Ministro dell’economia e delle finanze (con nota redazionale)

»

107

Finanza locale e strumenti finanziari derivati – Corte dei conti, Sezioni Riunite in sede di controllo: i controlli della Corte dei conti sull’utilizzo e la diffusione degli strumenti di finanza derivata (con nota redazionale)

»

141

Banca d’Italia – Provvedimento del Governatore del 21 maggio 2009, concernente il recepimento della Direttiva 2007/44/CE in materia di acquisto di partecipazioni qualificate in banche, assicurazioni e imprese di investimento

»

199

La nuova disciplina delle partecipazioni “non finanziarie” al capitale delle banche: ovvero “prove” di recepimento della direttiva 2007/44/CE, di Gennaro Rotondo

»

217

231



Norme redazionali

I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)

II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …

233


Norme redazionali

4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).

III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile codice di commercio Costituzione codice di procedura civile codice penale codice di procedura penale decreto decreto legislativo decreto legge decreto legge luogotenenziale decreto ministeriale decreto del Presidente della Repubblica disposizioni sulla legge in generale disposizioni di attuazione disposizioni transitorie legge fallimentare

234

c.c. c.comm. Cost. c.p.c. c.p. c.p.p. d. d.lgs. d.l. d.l. luog. d.m. d.P.R. d.prel. disp.att. disp.trans. l.fall.


Norme redazionali

legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)

l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.

2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale Corte di Cassazione Sezioni unite Consiglio di Stato Corte d’Appello Tribunale Tribunale amministrativo regionale

C. Cost. Cass. S. U. Cons. St. App. Trib. TAR

3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.

235


Norme redazionali

Diritto industriale Diritto dell’informazione e dell’informatica Economia e credito Enciclopedia del diritto Enciclopedia giuridica Treccani Europa e diritto privato Foro italiano (il) Foro napoletano (il) Foro padano (il) Giurisprudenza commerciale Giurisprudenza costituzionale Giurisprudenza italiana Giurisprudenza di merito Giustizia civile Il fallimento Jus Le società Notariato (11) Novissimo Digesto italiano Nuova giurisprudenza civile commentata Nuove leggi civili commentate (le) Quadrimestre Rassegna di diritto civile Rassegna di diritto pubblico Rivista bancaria Rivista critica di diritto privato Rivista dei dottori commercialisti Rivista del notariato Rivista della cooperazione Rivista di diritto civile Rivista del diritto commerciale Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista italiana del leasing Rivista delle società Rivista giuridica sarda Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile

236

Dir. ind. Dir. inform. Econ. e cred. Enc. dir. Enc. giur. Europa e dir. priv. Foro it. Foro nap. Foro pad. Giur. comm. Giur. cost. Giur. it. Giur. merito Giust. civ. Il fallimento Jus Le società Notariato Noviss. Dig. it. Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civ. Quadr. Rass. dir. civ. Rass. dir. pubbl. Riv. banc. Riv. crit. dir. priv. Riv. dott. comm. Riv. not. Riv. coop. Riv. dir. civ. Riv. dir. comm. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. Riv. it. leasing Riv. soc. Riv. giur. sarda Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.


Norme redazionali

4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesin­ger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cu­ra di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, To­rino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Tori­no, Tratt. soc. per az., diretto da Co­lombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume

IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze e, successivamente, gli estratti.

237


Finito di stampare nel mese di Gennaio 2010 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. Via A. Gherardesca • 56121 Ospedaletto • Pisa Telefono 050 313011 • Telefax 050 3130300 Internet: http://www.pacinieditore.it


Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria Cedola di sottoscrizione q Abbonamento 2010 (4 fascicoli): € 105,00 Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 30,00 Modalità di Pagamento q assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA q versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) q bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 W 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) q a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) q carta di credito q MasterCard q VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................

Inviare il presente modulo all’Editore: Pacini Editore SpA via Gherardesca - 56121 Ospedaletto-Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • info@pacinieditore.it è possibile acquistare la rivista direttamente sul sito dell’Editore



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.