Diritto della banca e del mercato finanziario 4/2010

Page 1

Saggi

ISSN 1722-8360

Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

4/2010

Diritto della banca e del mercato finanziario

di particolare interesse in questo fascicolo

• Commissione di massimo scoperto • Crisi dell’impresa e sostegno finanziario • Sospensione legale dei finanziamenti • Sintesi di giurisprudenza

ottobre-dicembre

Pacini Editore

4/2010 anno xxiv

1





ottobre-dicembre

Pacini Editore

4/2010 anno XXIV



Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria

Comitato di direzione Carlo Angelici, Franco Belli, Mario Bussoletti, Gino Cavalli, Salvatore Maccarone, Fabrizio Maimeri, Alessandro Nigro, Mario Porzio, Niccolò Salanitro, Vittorio Santoro, Luigi Carlo Ubertazzi. Comitato di redazione Sido Bonfatti, Antonella Brozzetti, Vincenzo Caridi, Ciro G. Corvese, Giovanni Falcone, Elisabetta Massone, Francesco Mazzini, Filippo Parrella, Gennaro Rotondo. Segreteria di redazione Daniele Vattermoli Direttore responsabile Alessandro Nigro La sede della rivista è presso la Segreteria del Ce.Di.B. Via dei Crociferi, 44 - 00187 Roma L’amministrazione è presso: Pacini Editore SpA Via Gherardesca - 56121 Ospedaletto - Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it - info@pacinieditore.it

I dattiloscritti, i libri per recensione, bozze, ecc. dovranno essere inviati al Prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290 - 00198 Roma


Finito di stampare nel mese di Gennaio 2011 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. Via A. Gherardesca • 56121 Ospedaletto • Pisa Telefono 050 313011 • Telefax 050 3130300 www.pacinieditore.it

© Copyright 2010 Ce.Di.B. - Centro di studi di diritto e legislazione bancaria. Registrazione presso il Tribunale di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009 Direttore responsabile: Alessandro Nigro

Realizzazione editoriale e progetto grafico

Via A. Gherardesca 56121 Ospedaletto (Pisa) Fotolito e Stampa Industrie Grafiche Pacini Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail segreteria@aidro.org e sito web www.aidro.org


Sommario 4/2010

PARTE PRIMA Saggi La commissione di massimo scoperto e le mutazioni della legislazione bancaria, di Mario Porzio

pag. 595

Il sostegno finanziario dell’impresa nelle procedure di composizione negoziale delle crisi, di Sido Bonfatti

» 603

Pratiche commerciali scorrette e trasparenza bancaria, di Giovanni Falcone

» 635

I profili transfrontalieri dell’offerta di parti di organismi di investimento collettivo in Italia e a San Marino, di Marco Bodellini

» 661.

» 699

» 709

Commenti Commissione di massimo scoperto e usura – Cass. pen., 26 marzo 2010, n. 12028 Le commissioni di massimo scoperto e le soglie d’usura. La Cassazione penale ridimensiona la Banca d’Italia, di Roberto Marcelli

Fatti e problemi della pratica La disciplina delle sospensioni legali dei finanziamenti nei recenti interventi del legislatore a livello nazionale ed a livello regionale, di Salvatore Rizzo

» 741


Rassegne Sintesi di giurisprudenza (III e IV trimestre 2009) Autori Indici dell’annata – Parte prima

pag. 759 » 773 » 775

PARTE SECONDA Legislazione Manovra economica e antiriciclaggio. D.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con l. 30 luglio 2010, n. 122, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica (art. 20, 36, 37) Le “canne al vento” della disciplina antiriciclaggio: brevi riflessioni a margine di alcune disposizioni del d.l. n. 78/2010, di Andrea Minto Indici dell’annata – Parte seconda Norme

redazionali

» 145

» 149 » 173 » 174


PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, rassegne, miti e realtĂ



saggi

La commissione di massimo scoperto e le mutazioni della legislazione bancaria*

1. Ho avuto già modo di commentare altrove la disciplina della commissione di massimo scoperto 1; in quella occasione non ho potuto tenere conto di ben tre scritti su questo tema presenti in una recente pubblicazione collettanea 2. Mi sembra, quindi, che sulla disciplina legislativa del massimo scoperto l’analisi può dirsi completa; si è detto tutto (e, come suol dirsi: il contrario di tutto). Se torno sul tema non è tanto per dar conto di questi ultimi contributi, ma per qualche riflessione di carattere più generale. Del prezzo dei contratti bancari si è occupato, probabilmente per la prima volta, il legislatore nel 1936, attribuendo al Comitato dei Ministri il potere di determinare “i limiti dei tassi attivi e le condizioni delle operazioni di deposito e conto corrente”. Prima ancora della conversione in legge del Decreto, il Comitato fece uso di questi poteri rendendo obbligatorio per tutte le banche il cartello bancario esistente tra le banche maggiori 3. Era una soluzione coerente con il clima vagamente corporativo dell’epoca e con l’importanza delle banche in un sistema economico fortemente bancocentrico: le grandi banche hanno scritto delle regole che il potere esecutivo avalla e impone a tutti i consociati. In una logica simile si muove, del resto, anche il codice civile del ’42, che, nel disciplinare i contratti bancari, in realtà, dà forza di legge a clausole largamente

*

Destinato agli Studi in onore di Umberto Belviso Porzio, Commento all’art. 120, in Testo unico bancario. Comm., a cura di Porzio, Belli, Losoppio, Rispoli Farina, Santoro, Milano, 2010. 2 Bani, a cura di, Il “giusto” prezzo tra Stato e mercato, Torino, 2009. 3 Delibera del 18 maggio 1936. 1

595


Saggi

diffuse nei modelli redatti dall’Associazione bancaria. Negli anni successivi alla caduta del fascismo l’atteggiamento dell’autorità creditizia non cambia molto ed il Comitato interministeriale del credito e risparmio si limita a prendere atto delle variazioni del cartello gestito dall’Associazione bancaria 4. Dopo un periodo in cui il cartello perde sempre più la sua effettività per la diffusa prassi dello scartellamento, nel 1972 se ne decreta ufficialmente la fine ed anche di questo l’autorità creditizia si limita a prendere atto. Si crea, così, tra le banche italiane una certa concorrenza sui prezzi, pur sempre nel contesto di condizioni generali uniformi dettate dall’Associazione bancaria italiana. Si può registrare l’inizio di una nuova fase di questa vicenda negli anni ottanta del secolo scorso, sia per l’attenzione che le autorità comunitarie e la Banca d’Italia, come garante della concorrenza bancaria, prestano alle norme bancarie uniformi, sia per il tentativo di un intervento sui prezzi, teso ad equiparare le condizioni di prezzo nelle varie zone del Paese 5; ma quest’ultima regola è poco gradita alle banche e, quindi, presto svanisce. Comunque, questa nuova fase si caratterizza, soprattutto, per il prevalere della logica della trasparenza, affermata dalla legge del 1992 e ripresa nel Testo unico. Ho voluto richiamare questi precedenti, ampiamente studiati, noti agli specialisti e ripresi nei più diffusi manuali, per rilevare che la disciplina del massimo scoperto si inserisce, per un verso, in una linea di continuità con il passato e, per un altro verso, può essere letta come segnale di una nuova fase. 2. Sotto la pressione dell’opinione pubblica ed in particolare delle associazioni di consumatori, in sede di conversione in legge del decreto omnibus 28 novembre 2008, n. 185, è stato inserito 6 un art. 2-bis, che afferma la nullità delle “clausole aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto”. Tuttavia, una rapida scorsa dei siti internet delle varie associazioni rivelava lo sconcerto dei clienti delle banche che denunciavano, con sorpresa, che le banche avevano soltanto cambiato nome alla preesistente commissione ed addirittura che, in alcuni casi, l’onere economico complessivo a loro carico era aumentato. Si registravano nei vari siti titoli più o meno coloriti: “la commissione uscita dalla porta entra dalla finestra”,

4

Delibere 28 gennaio 1963 e 7 marzo 1964. Art. 8, legge 1 maggio 1986, n. 64. 6 Legge 29 gennaio 2009, n. 2. 5

596


Mario Porzio

“la bufala della commissione di massimo scoperto”… In realtà, al di là dell’effetto mediatico che il testo di questa norma voleva produrre con il suo incipit, il legislatore non aveva affatto abrogato la commissione, ma l’aveva soltanto regolata, riconoscendo, così, la piena legittimità di entrambe le specie di commissione in uso presso le banche 7: quella che più propriamente può definirsi “di massimo scoperto” e quella, calcolata sul fido concesso, indipendentemente dal suo utilizzo, che per comodità chiameremo “provvigione per l’affidamento” 8. In questo senso, l’intervento, in quanto teso a legittimare il comportamento delle banche, rappresenta un momento di continuità con i precedenti; come è momento di continuità con la logica della trasparenza l’obbligo di specifica previsione di patto scritto e le altre regole dettate. Certo, confrontando la prassi consolidata per la commissione di massimo scoperto 9 con la previsione di legge, appare evidente che il legislatore non ha brutalmente legittimato l’esistente e, tutto sommato, ha reso meno conveniente la “commissione di massimo scoperto” in senso proprio. È perciò che la commissione …uscita dalla porta è rientrata dalla finestra… come “provvigione per l’affidamento concesso”. Questa scelta,

7

“Sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido. Sono altresì nulle le clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, salvo che il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e proporzionale all’importo e alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente e sia specificatamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale con l’indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento”. 8 Secondo il suggerimento di Ferro Luzzi, Ci risiamo (a proposito dell’usura e della commissione di massimo scoperto), in Giur. comm., 2006, I, p. 671 ss; Morera, Il prezzo dell’utilizzo nell’apertura di credito (notarella sulla nuova commissione di massimo scoperto), nel volume collettaneo citato a nt. 2, usa anche l’espressione “commissione di assicurato finanziamento”. 9 Nella prassi precedente il tempo minimo dell’utilizzo perché scattasse la commissione era molto breve, anche un giorno (così Ferro Luzzi, Ci risiamo, cit., p. 672).

597


Saggi

del resto, era stata ufficialmente auspicata dal governatore della Banca d’Italia 10: 3. Con il d.l. n. 78 del 2009 il legislatore è nuovamente intervenuto sull’art. 2-bis sopra citato ed ha espressamente 11 imposto di tener conto anche della commissione per la determinazione del tasso soglia previsto dalla legislazione anti usura. In realtà, il testo della legge sull’usura già imponeva di tenere conto, per la determinazione del tasso di interesse usuraio, “delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito” 12 ed è probabile che la scelta delle autorità creditizie di escludere dal calcolo la commissione di massimo scoperto derivava dalla difficoltà tecnica di stabilire, al momento del singolo contratto, l’incidenza sul costo del credito di una commissione determinata in funzione dell’imprevedibile massimo scoperto. L’evoluzione della prassi a favore della “provvigione per l’affidamento” consente di superare l’impasse e la legge sull’usura può trovare, così, più corretta applicazione. Va, tuttavia, rilevato che di questo non trarranno alcun beneficio i clienti, perché l’inserimento di questa voce nella rilevazione comporta un innalzamento del tasso soglia 13. Per rendersene conto basterà leggere l’estesa sentenza Cass. Sez. pen. 26 marzo 2010, n. 12028. Nel caso sottoposto al suo esame la Corte di appello, ai fini dell’applicazione dell’art. 664 c.p., aveva calcolato l’intero prezzo pagato alla banca per il credito concesso (comprensivo della commissione di massimo scoperto), ma, proprio perché nella determinazione del tasso soglia allora vigente non era inserita la commissione, aveva ritenuto che sussistesse il reato e la Corte di cassazione non poteva che confermare la sentenza

V. l’intervento del Governatore all’assemblea annuale dell’ABI del 2009. “Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108”. 12 Art. 1 della l. 108/1996. 13 Di ciò pare non si siano resi conto i senatori che hanno sottoscritto l’interpellanza presentata al Ministro dell’Economia e Finanza nella seduta del 20 aprile scorso. Secondo i dati raccolti dall’Autorità garante della concorrenza, prima di quest’ultima disposizione le commissioni praticate variavano dal 0,9% al 1,5% sull’intero ammontare del fido (v. l’audizione del Presidente dinanzi alla VI commissione del Senato del 21 aprile 2010). 10 11

598


Mario Porzio

impugnata. Ovviamente diversa sarà oggi la soluzione. Ancora una volta …la banca propone e il legislatore dispone? 4. Come abbiamo già detto, nelle reazioni dei clienti delle banche si rilevava spesso che, nella prassi inaugurata dalle banche dopo l’abrogazione della commissione di massimo scoperto, le nuove regole adottate dalle banche avevano comportato un aumento del costo effettivo del credito. Per tener conto di ciò, modificando 14 nello stesso decreto legge ora citato e sempre allungando il testo dell’art. 2-bis si introduceva la regola che “l’ammontare del corrispettivo onnicomprensivo di cui al periodo precedente non può comunque superare lo 0,5% per trimestre”. Se si considera che nelle denunzie dei clienti si segnalavano commissioni molto più alte, la norma dovrebbe aver avuto un certo effetto di calmiere 15. Ma quello che ci interessa rilevare è la novità nella forma di questa regola. È noto, infatti, che già nel 1936 il legislatore, nel regolare l’attività bancaria, ha scelto di creare una normativa elastica, lasciando alle autorità di settore di dettare le regole materiali. Questa scelta è stata ripetuta nel t.u.b., che autorevolmente è stato definito una legge di procedimento, e ripresa anche negli altri settori economici sottoposti a vigilanza. Del resto anche nella disciplina generale, quando si è voluto dettare regole che dovevano essere rapidamente adeguate alle variazioni del mercato monetario, si è conferito all’autorità amministrativa il potere di definire la regola concreta; come è ovvio, mi riferisco, in particolare, al testo del novellato art. 1284 c.c. sulla determinazione del tasso legale ed alla richiamata disciplina dell’usura. In questo caso, invece, la regola è fissata direttamente dalla legge. Siamo, quindi dinanzi ad una norma assolutamente asistematica 16 ed è legittimo porsi due domande: perché questa scelta? È un fatto isolato che

14

D. lgs. n. 78 del 2009. In realtà, secondo le simulazioni dell’Autorità garante (v. documento citato alla nt. 13) in concreto ci sarebbe stato un vantaggio per le imprese, ma uno svantaggio per i consumatori. 16 Rileva l’anomalia questo intervento legislativo e dubita, addirittura, della sua costituzionalità Martelloni, La commissione di massimo scoperto e la nuova commissione sull’accordato, quale fattispecie anomala di price cap nell’erogazione di servizi bancari, nel volume collettaneo citato alla nt. 2. 15

599


Saggi

non ha futuro, oppure è segnale di un cambiamento in corso, preannuncio di una mutazione del sistema? Si potrebbe ipotizzare che il legislatore è intervenuto direttamente per ragioni di urgenza, dinanzi alla pressione dell’opinione pubblica; ma questa ipotesi non sembra plausibile, se si considera che in altri casi ed in particolare, ad esempio, per regolare l’anatocismo bancario il ricorso alla usuale attribuzione di potere all’autorità creditizia, che detta poi la norma materiale, non si è risolto in una particolare perdita di tempo 17. Con molta cautela si può, invece, prospettare l’ipotesi che è in atto, da qualche tempo, un tentativo di depotenziamento dei poteri delle autorità creditizie e in questa prospettiva può essere letta anche la norma in questione. I segnali che spingono a formulare questa ipotesi sono almeno due: la previsione, nella legge sulla tutela del risparmio 18, della creazione di una non ben definita “Commissione per la tutela del risparmio”, commissione che è posta “alle dirette dipendenze funzionali del Presidente del Consiglio dei Ministri”; la costituzione presso le prefetture di “uno speciale osservatorio”, con “il compito di monitorare l’andamento dei flussi di credito” 19. È vero che la Commissione non è stata mai costituita e che si può dubitare che il sistema di vigilanza parallelo a quello previsto dal t.u.b. implicito nel d.1. 185 del 2009 non sembra che abbia avuto molta fortuna, ma questo può essere un segnale che queste nuove Autorità trovano forte resistenza nelle vecchie. Volendo continuare a fare della dietrologia, si potrebbe anche porre il problema del perché di questa svolta. Perché mai la maggioranza parlamentare vuole togliere potere ad un organo presieduto dal Ministro del Tesoro e composto di numerosi ministri? In realtà, ipotizzerei che il vero bersaglio di questi interventi è la Banca d’Italia, che, come noto, è la vera autorità creditizia. Un’implicita conferma di questa ipotesi si rinviene nell’ultima parte del testo definitivo del citato art. 2-bis. È, infatti, il Ministro dell’Economia e delle Finanze e non la Banca d’Italia che

17

Al d.lgs. del 4 agosto 1999, n. 342 è seguita la deliberazione CICR del 9 febbraio

2000. 18

Art. 30, l. 28 dicembre 2005, n. 262. Art 12.6, d.l. 29 dicembre 2008, n. 185. L’accostamento a questa norma è suggerito da Antonucci, La commissione di massimo scoperto tra usura, trasparenza e parziale divieto, nel volume collettaneo citato alla nt. 2. 19

600


Mario Porzio

“assicura, con propri provvedimenti, la vigilanza sull’osservanza delle prescrizioni del presente articolo”. Se questa ipotesi è condivisibile, si può osare un ulteriore passo. È del tutto pacifico che l’inserimento della Banca d’Italia con preponderanti poteri tra le autorità creditizie risponde all’esigenza di garantire una vigilanza prudenziale e meramente tecnica 20 sull’attività delle banche come imprese. Può allora formularsi il dubbio che è proprio questo principio che viene messo in discussione. Anche qui qualche tenue indizio. In applicazione del citato decreto che ha previsto la creazione dei c.d. Tremonti bonds, il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha stipulato un accordo quadro con l’Associazione bancaria italiana 21 che definisce “le linee guida per al definizione dei singoli protocolli di intenti che saranno” stipulati con le banche che emetteranno le obbligazioni previste nella legge. La lettura di quest’accordo fa rabbrividire chi contesta l’opportunità e la legittimità costituzionale di una. funzionalizzazione delle imprese bancarie. Certamente, gli impegni vengono assunti come contropartita del sostegno economico che la singola banca riceve ed in esso trovano giustificazione: una rondine non fa primavera. Ma l’idea che le banche devono essere al servizio della politica è nell’aria, se un ministro della Repubblica dichiara di voler prendersi le banche del Nord 22. Che dire, allora, del fatto che nel d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 sul controllo dei conti 23, le banche sono incluse in un elenco – che comprende tutti i soggetti vigilati – di “enti di interesse pubblico”: un lapsus, un pensiero nostalgico alla legge bancaria? È vero che la formula è già nella direttiva, e sembra avere il significato di enti che interessano il pubblico, ma per il lettore italiano il ricordo della “funzione di interesse pubblico” della l.banc. è ineliminabile. Siamo, allora alla vigila di una mutazione del sistema e ad un ritorno allo spirito del ’36? La banca sarà ancora “impresa”?

20

Il carattere non politico della tecnica è un mito. Accordo 25 marzo 2009. 22 “è chiaro che le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice prendetevi le banche e noi lo faremo”: espressioni attribuite all’on. Bossi da La repubblica del 19 marzo. 23 Art. 16. 21

601


Saggi

Ma “il cittadino che segue con interesse medio i giornali” 24 si domanda: Ma lo è mai stata?

Mario Porzio

24 La formula tra virgolette è di Guarino, citato da Siclari, Costituzione e autorità di vigilanza bancaria, Padova, 2007, che riprende le riflessioni del Guarino, applicandole, proprio, alla Banca d’Italia.

602


Il sostegno finanziario dell’impresa nelle procedure di composizione negoziale delle crisi 1 Sommario: 1. Premessa. – 2. Il sostegno finanziario alle imprese che hanno predisposto un “Piano di risanamento attestato” ai sensi dell’art. 67, co. 3, lett. d) l.fall. – 2.1. La “esenzione” da revocatoria degli atti di esecuzione del “Piano di risanamento attestato”. – 2.2. Atti di esecuzione del “Piano di risanamento attestato” e “prededuzione”. – 2.3. “Piano di risanamento attestato” e “finanziamenti-soci”. – 3. Il sostegno finanziario alle imprese che hanno concluso un “Accordo di ristrutturazione” ai sensi dell’art. 182-bis l.fall. – 3.1. La “esenzione” da revocatoria degli atti di esecuzione degli “Accordi di ristrutturazione” (rinvio). – 3.2. “Accordi di ristrutturazione” e “prededuzione”. A) I finanziamenti bancari effettuati in funzione della domanda di omologazione dell’Accordo di ristrutturazione. – 3.3. Segue. B) I finanziamenti bancari effettuati in esecuzione dell’Accordo di ristrutturazione. – 3.4. Accordi di ristrutturazione e “finanziamento-soci”. – 4. Il sostegno finanziario delle imprese nel Concordato Preventivo. L’attuale disciplina del Concordato oltre la somma della disciplina dell’Amministrazione Controllata e del Concordato Preventivo previgenti. – 4.1. I Concordati Preventivi “di risanamento”. L’affermazione nella prassi delle procedure di Concordato di risanamento “diretto” e di Concordato di risanamento “indiretto”. – 4.2. La “esenzione” da revocatoria degli atti di esecuzione del Concordato Preventivo. – 4.3. Concordato Preventivo e “prededuzione”. A) Il collocamento “in prededuzione” della “nuova finanza” genericamente intesa erogata in funzione dell’ammissione dell’impresa al Concordato Preventivo “di risanamento (“diretto”). – 4.4. Segue. B) Il collocamento in prededuzione del credito professionale concesso in funzione di accesso al Concordato. – 4.5. Segue. C) Il collocamento in prededuzione della “nuova finanza” bancaria concessa in funzione dell’ammissione al Concordato Preventivo. – 4.6. Segue. D) Il collocamento in prededuzione della “nuova finanza” bancaria concessa nel corso della procedura di Concordato Preventivo. – 4.7. Segue. E) Il collocamento in prededuzione della “nuova finanza” bancaria concessa “in esecuzione” del Concordato. – 5. Concordato Preventivo e finanziamenti-soci. – 6. Il sostegno del Concordato Preventivo di risanamento “indiretto”.

1 Relazione al Convegno su Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa: opportunità e responsabilità (Reggio Emilia, 8 ottobre 2010)

603


Saggi

1. Premessa Il sostegno finanziario alle imprese in crisi è normalmente affidato, come accade del resto anche alle imprese in bonis, all’intervento del credito bancario; al credito commerciale (le dilazioni ottenute dai fornitori; più raramente, gli anticipi versati dai clienti); all’intervento finanziario dei soci (“finanziamenti-soci”). Per le imprese in crisi inoltre si presentano esigenze finanziarie speciali, sostanzialmente estranee alla gestione delle imprese in bonis, rappresentate dalla necessità di disporre, in tempi brevi, di liquidità straordinaria, funzionale a sostenere le cc.dd. “spese di procedura”, rappresentate in realtà in parte da costi puntualmente connessi alla procedura di composizione negoziale della crisi avviata per il rilancio dell’impresa (per esempio il compenso del commissario giudiziale nel Concordato Preventivo), in parte più generalmente riferibili all’attribuzione di incarichi professionali “speciali” per l’accesso alla procedura di composizione negoziale della crisi e per l’assistenza nel corso della stessa. Dato per scontato che tanto l’accesso al credito bancario quanto l’accesso al credito commerciale (e la stessa disponibilità dei soci a finanziare ulteriormente l’impresa) divengono particolarmente difficoltosi al momento della emersione della situazione di “crisi” dell’impresa, si pone il problema di quali incentivi potere assicurare alle banche, ai fornitori, eccetera, per superare la comprensibile diffidenza a (continuare a) sostenere finanziariamente una impresa in conclamata difficoltà. Gli strumenti principali che il nostro ordinamento ha inteso utilizzare in questa direzione paiono essere costituiti da: (i) “esenzione” dall’azione revocatoria (fallimentare), per i finanziamenti all’impresa in crisi che fossero stati rimborsati, o per le garanzie dai quali fossero stati assistiti; e (ii) “prededuzione”, nel concorso con gli altri creditori sul ricavato dalla eventuale liquidazione del patrimonio del debitore, dei crediti derivanti da finanziamenti erogatigli allo scopo di favorirne il risanamento. Possono essere considerati “incentivi” concorrenti con quelli segnalati gli interventi in materia di “esenzione” da responsabilità penale per le garanzie costituite a favore dei finanziamenti all’impresa in crisi e per i pagamenti effettuati dall’imprenditore insolvente in favore del creditore (con speciale riguardo alla norma di recente introduzione nel nostro ordinamento – l. n. 122/2010 – all’art. 217-bis l.fall.): ma tale profilo non appartiene ai temi di indagine ai quali è dedicato il presente lavoro. Alla considerazione dei termini, dei modi e dei limiti nei quali i richiamati istituti dalla “esenzione” da revocatoria e della “prededuzione” as-

604


Sido Bonfatti

solvono, nel nostro ordinamento, alla funzione di incentivare il sostegno finanziario delle imprese in crisi sono dedicate le pagine che seguono.

2. Il sostegno finanziario alle imprese che hanno predisposto un “Piano di risanamento attestato” ai sensi dell’art. 67, co. 3, lett. d) l.fall. L’art. 67, co. 3, lett. d) l.fall. afferma che “(Non sono soggetti all’azione revocatoria) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) ai sensi dell’articolo 2501-bis, quarto comma, del codice civile”. Come è noto, l’istituto del “Piano di risanamento attestato” vede sostanzialmente esaurita la propria disciplina dalla norma sopra trascritta (integrata oggi dalla ricordata previsione dell’art. 217-bis l.fall., in materia di “esenzione” dai reati di bancarotta, estranea agli interessi del presente lavoro). Gli incentivi al sostegno finanziario dell’impresa sono pertanto sostanzialmente rappresentati dalla “esenzione” dall’azione revocatoria degli atti “posti in essere in esecuzione” del “Piano”: è comprensibile pertanto l’attenzione che il tema ha suscitato tra gli studiosi all’indomani della introduzione del richiamato art. 67, co. 3, lett. d) l.fall. 2.1. La “esenzione” da revocatoria degli atti di esecuzione del “Piano di risanamento attestato”. La nuova legge fallimentare persegue l’obiettivo di favorire la tempestiva emersione delle situazioni di “crisi” dell’impresa e di garantirne per quanto possibile il superamento o per lo meno la sistemazione in modi più efficienti e più efficaci rispetto al passato. Tra gli strumenti individuati allo scopo si colloca la “esenzione” dall’azione revocatoria fallimentare degli atti posti in essere in funzione o in esecuzione di una procedura giudicata dalla nuova legge fallimentare atta a prevenire, superare o sistemare adeguatamente la situazione di “crisi”. La portata di questo “incentivo”, che l’art. 67, co. 3, l.fall. declina nella affermazione che gli atti in questione “non sono soggetti all’azione revocatoria”, non è peraltro univocamente intesa.

605


Saggi

Il comma immediatamente successivo infatti aggiunge che “le disposizioni di questo articolo non si applicano all’istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario” (ed aggiunge: “sono salve le disposizioni delle leggi speciali”): e non è chiaro se la portata delle due “esenzioni” sia uguale, oppure no. Per la seconda delle categorie di atti “esentati” la esenzione concerne, in modo esplicito, solamente l’azione revocatoria (fallimentare) prevista da “questo articolo” (l’art. 67). Per la prima categoria, invece, la esenzione riguarda “l’azione revocatoria”. Secondo l’opinione di alcuni interpreti le esenzioni disposte dal terzo comma dell’art. 67 l.fall. dovrebbero riguardare, in linea di principio, i soli atti “normali” di gestione: quindi dovrebbero evitare l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, in sostanza, nelle sole ipotesi nelle quali essa sarebbe proponibile ai sensi dell’art. 67, co. 2, l.fall. La conclusione non può essere condivisa, per molteplici ragioni. Innanzittutto il segnalato confronto letterale con la disposizione contenuta nel comma successivo induce a ritenere che le nuove esenzioni previste dal terzo comma abbraccino per lo meno tutte le ipotesi che ricadrebbero sotto l’ambito di applicazione di “questo articolo”, quindi anche quelle riferibili al primo comma dell’art. 67. In secondo luogo, anche ad una prima lettura delle fattispecie descritte come oggetto delle disposte esenzioni, si coglie che un buon numero di esse è funzionale ad evitare l’applicazione proprio del primo comma dell’art. 67 (con particolare riguardo alla esenzione per atti posti in essere in funzione della attuazione di “Piani di risanamento” o di “Accordi di ristrutturazione”). Oltre a ciò, sempre facendo leva sul ricordato argomento letterale incentrato sul confronto con la disposizione del quarto comma della norma in commento, si può avere ragione di ritenere che gli atti contemplati nella disposizione in esame siano sottratti ad ogni azione revocatoria fallimentare, ivi comprese quelle previste dall’art. 64 e dall’art. 65 l.fall.; nonché – è da ritenere – all’azione revocatoria prevista dall’art. 66 l.fall. – azione revocatoria ordinaria proseguita o proposta dal curatore fallimentare –. Induce soprattutto a propendere per la tesi secondo la quale alla “esenzione” dall’azione revocatoria prevista dall’art. 67, co. 3, l.fall. deve essere attribuita portata generale, la circostanza che in numerose fattispecie tra quelle interessate dalla norma la aspirazione a sottrarre all’azione revocatoria fallimentare determinate categorie di atti riguarda anche situazioni nelle quali si presenterebbero – altrimenti – i presupposti dell’esercitabilità dell’azione revocatoria prevista dal primo comma

606


Sido Bonfatti

dell’art. 67 l.fall. (come sarebbe, per esempio, per le garanzie costituite in favore di crediti pregressi, che rappresentassero atti di esecuzione di uno dei piani o degli accordi previsti dall’art. 67. co. 3, lett. d) oppure lett. e) l.fall.); oppure i presupposti dell’esercitabilità dell’azione revocatoria prevista dall’art. 65 l.fall. (come sarebbe, per esempio, per il rimborso anticipato di debiti aventi scadenza molto differita nel tempo – potrebbe trattarsi di un prestito obbligazionario particolarmente oneroso –, anch’esso in ipotesi rappresentante un atto di esecuzione di uno dei menzionati piani o accordi previsti dall’art. 67. co. 3, lett. d) oppure lett. e) l.fall.). Occorre infine domandarsi se gli atti in questione debbano considerarsi sottratti altresì all’azione revocatoria ordinaria proposta anche al di fuori del fallimento. Militano in questo senso la considerazione che, ove sopravvenisse il fallimento, l’azione revocatoria ordinaria diverrebbe improcedibile, qualora si ritenesse inapplicabile agli atti “esentati” l’art. 66 l.fall.; e la considerazione che risulterebbe irrazionale una disciplina che assoggettasse gli atti de quibus ad una disciplina più severa al di fuori del fallimento, che a seguito della pronuncia della sentenza dichiarativa. Non vi dovrebbero essere incertezze, invece, nel considerare rientranti nell’ambito di applicazione delle “esenzioni” disposte dall’art. 67, co. 3, l.fall novellato (e conseguentemente inapplicabili alle fattispecie ivi descritte) le azioni revocatorie fallimentari cc.dd. speciali, disciplinate per lo più al di fuori della legge fallimentare, quali le azioni revocatorie cc.dd. “aggravate” per atti compiuti “infragruppo”, nella disciplina dell’amministrazione straordinaria (“ordinaria” e “speciale”); le azioni revocatorie relative alle operazioni di factoring, o di “cartolarizzazione”; eccetera. * Come detto, il nuovo art. 67, co. 3, l.fall. introduce una fattispecie di “esenzione” dall’azione revocatoria per gli atti di esecuzione del “Piano di risanamento attestato”: cioè di un “piano” predisposto dall’imprenditore che appaia idoneo a consentire il “risanamento” della sua esposizione e il “riequilibrio della sua situazione finanziaria”. Relativamente alla identificazione degli “atti” suscettibili di essere sottratti all’azione revocatoria fallimentare, va osservato che il “Piano di risanamento” non è necessariamente costituito da un Accordo con i creditori: potendo essere rappresentato sia da un Accordo con terzi estranei (per esempio, nuovi investitori chiamati a sottoscrivere un aumento di capitale, oppure ad acquistare asset dell’impresa in crisi), sia

607


Saggi

da un progetto unilaterale (per esempio il conferimento di nuovi beni nell’impresa, o l’erogazione di nuovi finanziamenti da parte dei soci alla società in “crisi”). La formula utilizzata dalla norma in commento (“atti, pagamenti e garanzie”) appare sufficientemente generale da consentire di affermare che qualsiasi “operazione” posta in essere dall’imprenditore è suscettibile di sfuggire all’applicazione dell’azione revocatoria, purché risulti posta in essere “in esecuzione” di un “Piano … di risanamento” la cui ragionevolezza sia attestata nei modi voluti dalla norma. La “formula” è analoga a quella prevista dalla successiva disposizione dell’art. 67, co. 3, lett e) per gli atti di esecuzione del Concordato Preventivo e dell’Accordo “di ristrutturazione” ex art. 182-bis l.fall.: tuttavia per gli atti di esecuzione del “piano” di risanamento è precisato che il beneficio della esenzione da revocatoria è limitato alle garanzie concesse “su beni del debitore”. Per le operazioni funzionali a dare esecuzione ad un accordo “giudiziale”, invece (che si tratti di accordo derivante dall’ammissione dell’impresa a Concordato Preventivo, o che si tratti dell’Accordo di ristrutturazione omologato dall’autorità giudiziaria di cui all’art. 182-bis l.fall.), la esenzione abbraccia tutte le “garanzie”: parrebbe, anche quelle concesse da un terzo, o su beni di un terzo, o nell’interesse di un terzo. Della ricordata limitazione non si comprende, in realtà, la ratio, se non come espressione di un perdurante disfavore riservato agli accordi “stragiudiziali” rispetto agli accordi (totalmente o parzialmente) “giudiziali”. Ma più che il carattere discutibile di tale logica è da denunciare la evidente incongruenza della norma. Se si vuole introdurre una distinzione razionale – supponendo che la diversa formulazione rilevata non costituisca semplicemente una banale svista –, la distinzione dovrebbe passare tra l’ipotesi di garanzie costituite per debiti propri (dell’imprenditore che accede ad una delle procedure di composizione negoziale della crisi) – dove la garanzia sarebbe necessariamente costituita (dall’imprenditore interessato) “su beni del debitore” –; e l’ipotesi di garanzie costituite per debiti altrui – dove la garanzia (del debitore interessato da un procedimento di composizione della crisi d’impresa) potrebbe essere rappresentata tanto dalla costituzione di un pegno o di un’ipoteca “su beni del debitore” (ma per un debito altrui), quanto dalla prestazione da parte sua di una fideiussione nell’interesse di terzi –. A questa stregua, sarebbe comprensibile – salvo valutare se sarebbe anche condividibile – prevedere che la “esenzione” da revocatoria, in determinate ipotesi – e nel

608


Sido Bonfatti

nostro caso ciò riguarderebbe i “Piani di risanamento” di cui al nuovo art. 67, co. 3, lett. d), l.fall. –, sia circoscritta alle garanzie costituite per debiti propri, e non comprenda – invece – le garanzie prestate per debiti altrui (ma a questo punto non solo le “garanzie concesse su beni del debitore”, ma anche quelle concesse coinvolgendone la generica responsabilità patrimoniale – come sarebbe per la prestazione di una fideiussione –). Per converso, la disciplina di maggior favore che si volesse apprestare, sotto il profilo qui considerato – come le nuove norme sembrerebbero voler prevedere –, per gli accordi di composizione delle crisi di natura giudiziale (o semigiudiziale: art. 182-bis l.fall.), non dovrebbe tanto sottolineare la costituibilità di garanzie “concesse su beni non del debitore” – la cui inattaccabilità è ovvia, perché prestate da un soggetto terzo, diverso dall’imprenditore “in crisi” –: quanto, piuttosto, la costituibilità da parte dell’imprenditore interessato di garanzie per debiti altrui – vuoi “su beni del debitore”, vuoi nella forma della prestazione di fideiussione –, quando giudicate utili alla composizione della situazione di crisi in atto. 2.2. Atti di esecuzione del “Piano di risanamento attestato” e “prededuzione”. La disciplina dell’istituto conosciuto sotto il nome di “prededuzione” è affidata agli artt. 111 e 111-bis l.fall., oggi integrati dall’art. 182-quater, introdotto dalla l. n. 122/2010. Quest’ultima norma non è applicabile agli atti posti in essere in esecuzione di un “Piano di risanamento attestato”, che rimangono dunque esclusivamente disciplinati dagli artt. 111 e 111bis l.fall. L’art. 111, co. 2, l.fall. afferma che “sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”. La prima ipotesi (“specifica disposizione di legge”), come detto, non ricorre: e neppure la seconda (“crediti … sorti un occasione o in funzione” di una procedura concorsuale), perché al “procedimento” previsto per la predisposizione e la attestazione del “Piano” di cui all’art. 67, co. 23, lett. d) l.fall. non può essere attribuita natura di “procedura concorsuale”. Alla mancanza di qualsiasi intervento giudiziale si accompagna la mancanza di qualsiasi effetto distintivo tra la “massa” delle obbligazioni precedenti il “Piano” e quelle successive (se si esclude la “esenzione” da revocatoria per quelle sorte in esecuzione del “Piano”); la mancanza di qualsiasi divieto di azioni esecutive o cautelari per i

609


Saggi

creditori pregressi; la mancanza di una qualsiasi “sanzione” di inopponibilità ai creditori “concorsuali” di atti di disposizione del patrimonio del debitore compiuti dallo stesso (o da lui subiti) in favore di singoli creditori pregressi. Per soprammercato, la recente previsione di fattispecie di crediti prededucibili per il compimento di atti funzionali all’accesso al Concordato Preventivo o alla procedura di omologazione degli Accordi di ristrutturazione, o di atti posti in essere per l’esecuzione dell’uno o dell’altro (art. 182-quater l.fall.), dimostra ulteriormente, con il mancato richiamo della figura del “Piano di risanamento attestato”, la volontà di mantenere distinta la natura dei primi due istituti dalla natura giuridica del “Piano” stesso. Ne consegue l’impossibilità di concepire una qualsiasi collocazione prededucibile, nel concorso (anche fallimentare) che si aprisse sul patrimonio dell’imprenditore, delle obbligazioni assunte a seguito di atti posti in essere in esecuzione del “Piano di risanamento attestato”. 2.3. “Piano di risanamento attestato” e “finanziamenti-soci”. La disciplina dei “finanziamenti-soci” che viene in considerazione quando si valuta la sorte degli interventi di sostegno finanziario dei soci ad una impresa “in crisi” è quella dettata dagli artt. 2467 e 2497-quinquies cod. civ. Tali norme, come è noto, dispongono: (i) la postergazione dei crediti per finanziamenti-soci, se non già rimborsati, erogati ad una società in condizione di squilibrio finanziario; e (ii) l’obbligo di restituzione di detti finanziamenti, se rimborsati, qualora sopravenga entro un anno la dichiarazione di fallimento della società. Rispetto a tali finanziamenti gli “incentivi” della “prededuzione” e della “esenzione” da revocatoria fanno emergere profili evidentemente contraddittori, andando in senso contrario, per i crediti da finanziamentosoci, i ricordati effetti della postergazione e dell’obbligo di restituzione del rimborso eventualmente conseguito dal socio. Relativamente al primo profilo non si pone per i crediti da “finanziamento-soci” una esigenza di coordinamento tra disciplina speciale codicistica (“postergazione”) e disciplina fallimentare: per gli atti posti in essere in esecuzione di un “Piano” ex art. 67, co. 3, lett. d) l.fall., come detto, non è configurabile alcuna ipotesi di “prededuzione”, e conseguentemente non è prospettabile alcun ostacolo alla “regolare” produzione dell’effetto della postergazione in pregiudizio del finanziamento erogato dal socio pur in esecuzione del “Piano” attestato – essendo

610


Sido Bonfatti

indubbia la condizione di “crisi (almeno) finanziaria” dell’impresa che accede a tale istituto –. Relativamente al secondo profilo, il coordinamento tra la disciplina speciale codicistica (obbligo di restituzione del rimborso del finanziamento) e la disciplina fallimentare (“esenzione” da revocatoria per gli atti di esecuzione del “Piano”, ivi compresi i pagamenti che lo stesso avesse contemplato) è meno agevole, potendo apparire bizzarro che in ipotesi di fallimento consecutivo all’insuccesso del “Piano” debbano essere restituiti (ex artt. 2467 e 2497-quinquies cod.civ.) i pagamenti di debiti (per finanziamento soci) “esentati” dall’azione revocatoria (ex art. 67, co. 3, lett. d) l.fall.). Secondo una opinione, a mio avviso ben argomentata, “l’obbligo di restituzione” previsto dagli artt. 2467 e 2497-quinquies cod.civ. (che postula, ricordiamolo, il fallimento della società finanziata, e non è altrimenti invocabile) è riconducibile a quella specie di azione revocatoria fallimentare disciplinata dall’art. 65 l.fall. (i cc.dd. “pagamenti anticipati”, che sottraggono il creditore agli effetti dell’insolvenza del debitore, così come il rimborso del finanziamento erogato dal socio sottrae quest’ultimo all’effetto fallimentare della postergazione). In tale prospettiva, la “esenzione” da revocatoria per l’appartenenza del pagamento all’ambito di applicazione dell’art. 67, co. 3, lett. d) l.fall. (e sul condivisibile presupposto che la “esenzione” eserciti una funzione protettiva anche nei confronti dell’azione revocatoria fallimentare prevista dall’art. 65 l.fall.), comporta anche la sottrazione all’obbligo restitutorio di cui agli artt. 2467 e 2497-quinquies cod.civ. Secondo un’altra opinione non v’è coincidenza tra la portata delle due norme: ed i pagamenti pur “esentati” da revocatoria ex art. 67, co. 3, lett. d) l.fall. rimarrebbero ripetibili in presenza delle condizioni delineate dagli artt. 2467 e 2497-quinquies l.fall. Questa seconda tesi è quella che appare oggi condivisa in giurisprudenza, anche se non si può ancora parlare di “orientamento”. Se tale tesi dovesse prevalere, il sostegno finanziario dei soci all’impresa in crisi, nel contesto dei “Piani di risanamento attestati, si rivelerebbe privo di “incentivi” (di natura civilistica: rimarrebbe infatti la “esenzione” dalla disciplina della bancarotta, oggi disposta dall’art. 217-bis l.fall, che esclude l’applicabilità degli artt. 216, co. 3, e 217 l.fall. “ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione … del piano di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d)” l.fall.). I crediti dei soci finanziatori, infatti, non sarebbero assistiti dalla prededuzione, e, se pagati, obbligherebbero il socio a restituire quanto ricevuto in caso di dichiarazione di fallimento entro un anno.

611


Saggi

3. Il sostegno finanziario alle imprese che hanno concluso un “Accordo di ristrutturazione” ai sensi dell’art. 182-bis l.fall. L’art. 67, co. 3, lett. e) l.fall. afferma che “[non sono soggetti all’azione revocatoria] gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del Concordato Preventivo, nonché dell’Accordo omologato ai sensi dell’art. 182-bis”. L’art. 182-quater l.fall. (introdotto dal d.l. n. 78/2010, convertito nella l. n. 122/2010) detta delle “disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti … negli accordi di ristrutturazione dei debiti”. Sono oggi pertanto previsti entrambi gli “incentivi” individuati come fattori (principali) del sostegno finanziario alle imprese “in crisi”: la “esenzione” da revocatoria (presente già nell’originaria disciplina di riforma della legge fallimentare); e la “prededuzione” nel concorso sul patrimonio del debitore (assente nella originaria “riforma”, e già giudicata insuscettibile di applicazione per via di interpretazione estensiva od analogica in conseguenza della esclusione della natura di “procedura concorsuale” del procedimento previsto per la conclusione e la omologazione degli “Accordi di ristrutturazione”). 3.1. La “esenzione” da revocatoria degli atti di esecuzione degli “Accordi di Ristrutturazione” (rinvio). L’art. 67, co. 3, lett. e) l.fall. dichiara esonerati dall’azione revocatoria anche gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione (del Concordato Preventivo nonchè) dell’Accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis. Per ciò che concerne la “portata” della esenzione, e per ciò che concerne il rapporto con la corrispondente disposizione dettata per gli atti di esecuzione del “Piano di risanamento attestato”, rinviamo ai paragrafi che precedono. Per il resto, rinviamo ai paragrafi dedicati alla considerazione del corrispondente tema nell’ambito del Concordato Preventivo (infra, n. 4.2.).

612


Sido Bonfatti

3.2. “Accordi di Ristrutturazione” e “prededuzione”. A) I finanziamenti bancari effettuati in funzione della domanda di omologazione dell’Accordo di Ristrutturazione. L’art. 182-quater, co. 2, l.fall. (introdotto, come detto, dal d.l. n. 78/2010, convertito nella l. n. 122/2010) afferma che “sono parificati ai prededubibili … i crediti derivanti da finanziamenti effettuati … [da banche, e intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli articoli 106 e 107 del T.U. Bancario] … in funzione della presentazione … della domanda di omologazione dell’Accordo di Ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti … dall’Accordo di Ristrutturazione, e purché … l’Accordo sia omologato”. Come ho detto, prima della introduzione nella legge fallimentare dell’art. 182-quater, la disciplina della “prededuzione” non poteva essere applicata agli atti posti in essere in connessione con un “Accordi di ristrutturazione”, per l’esclusione della natura di “procedura concorsuale” – che rappresenta il presupposto indicato dall’art. 111, co. 2, l.fall. per l’applicabilità dell’istituto – del procedimento disciplinato dall’art. 182bis l.fall. Non era quindi sostenibile che agli atti “preparatori” dell’omologazione dello “Accordo” potesse applicarsi la disposizione (artt. 111, co. 3, l.fall.) che prevede la prededuzione per i crediti sorti “in funzione” di una procedura concorsuale. Il richiamato artt. 111, co. 2, l.fall. afferma peraltro che sono prededucibili anche i crediti “così qualificati da una specifica disposizione di legge”: e l’art. 182-quater, co. 2, (e co. 1) l.fall, si è oggi venuto ad aggiungere a quelle disposizioni che prevedono casi speciali di “prededuzione”. I limiti dello “incentivo” sono segnati da: (i) il necessario collegamento funzionale tra finanziamento e “presentazione” della domanda di “Accordo”; (ii) l’origine del sostegno finanziario (che può provenire solo da “finanziamenti” di banche o intermediari finanziari ex artt. 106 e 107 t.u.b. – dove la previsione che i finanziamenti possano essere effettuati “in qualsiasi forma” deve indurre ad estendere l’ambito di applicazione della norma dai tradizionali mutui ai contratti bancari di apertura di credito; dai crediti cc.dd. “per cassa” ai crediti cc.dd. “di firma” (cioè la fideiussione bancaria prestata nell’interesse dell’impresa ed a favore dei terzi); eccetera –; (iii) la necessaria previsione del “finanziamento” nello “Accordo di ristrutturazione” (senza che ciò implichi la necessità che il finanziamento sia successivo alla stipulazione dello “Accordo” tra i suoi firmatari, dovendosi ritenere sufficiente che l’utilizzo del finanziamento, anche avvenuto prima della formalizzazione dello “Accordo”, sia comun-

613


Saggi

que previsto dallo stesso come funzionale alla presentazione della domanda di omologazione, e con ciò approvato dai creditori che aderiscono allo “Accordo”); (iv) dall’intervenuta omologazione dello “Accordo”. È evidente che la condizione più stringente è l’ultima tra quelle poste dalla norma: perché l’osservanza delle prime tre non varrebbe ad assicurare la prededuzione del credito prodotto dal finanziamento “bancario”, se l’Accordo di ristrutturazione non giungesse ad essere omologato. A ciò si aggiunga il dubbio, alimentato dal silenzio della legge sulla circostanza che il decreto di omologazione del Tribunale sia o non sia provvisoriamente esecutivo, se la prededuzione si produca pur che l’Accordo risulti omologato, oppure sia condizionata alla circostanza che il provvedimento di omologa divenga definitivo. 3.3. Segue. B) I finanziamenti bancari effettuati in esecuzione dell’Accordo di Ristrutturazione. Anche per i crediti sorti ”in esecuzione” degli Accordi di ristrutturazione la “prededuzione” prevista dall’art. 111, co. 2, l.fall. non avrebbe potuto operare, stante la ripetuta esclusione della natura di “procedura concorsuale” dell’istituto. Anche per tali crediti, peraltro, opera oggi la seconda fonte produttiva della “prededucibilità”, ai sensi del richiamato art. 111, co. 2, l.fall., cioè la presenza di una “specifica disposizione di legge” in tal senso. L’art. 182-quater, co. 1, l.fall, come introdotto dal d.l. n. 78/2010 convertito nella legge n. 122/2010, infatti, afferma ora che “i crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati da banche e intermediari finanziari iscritti agli elenchi di cui agli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385 in esecuzione … di un Accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis) sono prededucibili ai sensi e per gli effetti dell’articolo 111”. Costituiscono pertanto condizioni della prededucibilità dei finanziamenti “bancari” concessi per il sostegno finanziario dell’impresa che conduce un “Accordo di ristrutturazione”: (i) la funzionalità del finanziamento alla esecuzione dell’Accordo; e (ii) l’intervenuta omologazione dello stesso. Anche in questo caso la criticità della disciplina della “prededuzione” è rappresentata dalla subordinazione del relativo effetto al conseguimento dell’omologazione (problematicità enfatizzata dalla riferita incertezza sulla necessità o meno che il provvedimento di omologa sia divenuto definitivo). Quanto alla funzionalità del finanziamento alla “esecuzio-

614


Sido Bonfatti

ne” dell’Accordo, ciò fa ritenere che per lo più si tratterà di operazioni successive alla sua stipulazione (valendo per quelle precedenti la già descritta prededuzione prevista dal secondo comma della norma in esame): senza peraltro che ciò implichi la necessità che risultino successive anche all’omologazione (definitiva o non): dovendo bensì risultare l’Accordo “omologato”, ma non necessariamente prima della concessione del finanziamento funzionale alla sua esecuzione (per quanto la sua collocazione in prededuzione sia subordinata al successivo intervento dell’omologa). D’altro canto nel procedimento per l’omologazione degli “Accordi” ai sensi dell’art. 182-bis l.fall. non si registra un controllo dell’autorità giudiziaria, o di chi per essa, diverso (ed in ipotesi più pregnante) dopo l’omologazione, rispetto al periodo anteriore; né, al postutto, il provvedimento di omologa deve “disporre espressamente” la prededuzione (né quella per i finanziamenti funzionali alla presentazione della domanda, né quella relativa ai finanziamenti funzionali all’esecuzione dell’Accordo), come invece accade – come vedremo – per il Concordato Preventivo, relativamente alla prima delle due categorie di finanziamenti. 3.4. Accordi di Ristrutturazione e “finanziamento-soci”. Il d.l. n. 78/2010, convertito nella l. n. 122/2010, è intervenuto ex professo sulla disciplina dei finanziamenti-soci erogati nel contesto delle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa, introducendo nel nostro ordinamento l’art. 182-quater, co. 3, l.fall., secondo il quale “in deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, il primo comma [prededucibilità dei finanziamenti “bancari” effettuati in esecuzione di un Concordato Preventivo o di un Accordo di ristrutturazione omologato] si applica anche ai finanziamenti effettuati dai soci, fino a concorrenza dell’ottanta per cento del loro ammontare”. Alla condizione di rispettare quanto previsto dal primo comma della nuova norma, pertanto – su cui si veda quanto già precisato –, anche i crediti derivanti da “finanziamenti-soci”, come quelli derivanti dai finanziamenti “bancari”, sono collocabili in prededuzione (limitatamente all’80%), e ciò nonostante (“in deroga”) la presenza dei presupposti di applicabilità degli artt. 2467 e 2497-quinquies cod.civ., che ne disporrebbero – al contrario – la postergazione. Da ciò pare potersi agevolmente ricavare: (i) che per la quota residua del 20% dei finanziamenti-soci, non si produce alcuna deroga agli artt. 2467 e 2497-quinquies cod.civ., e tale porzione di crediti è collocata

615


Saggi

con postergazione agli altri creditori (chirografari); e (ii) che la assimilazione dei finanziamenti-soci (nel limite dell’80%) ai finanziamenti bancari è limitata a quelli concessi per la “esecuzione” dell’Accordo di ristrutturazione (primo comma, richiamato dal quarto), e non è estesa ai finanziamenti concessi in funzione “della presentazione della domanda … di omologazione” (secondo comma, non richiamato dal quarto). Ciò tuttavia non implica la necessità che il finanziamento-soci sia successivo all’Accordo di ristrutturazione (né, quindi, tanto meno successivo all’omologazione, che è peraltro necessaria perché la prededuzione si produca): dispone in senso esattamente contrario, infatti, il quinto comma dell’art. 182-quater l.fall. in commento, secondo il quale per “i crediti indicati ai commi, secondo, terzo e quarto, i creditori sono esclusi … dal computo della percentuale dei crediti prevista all’articolo 182-bis, primo e sesto comma” (il 60% dei crediti di cui devono essere titolari i creditori aderenti all’Accordo perché questo produca gli effetti della norma richiamata). Se la norma precisa che i crediti per finanziamenti-soci, qui considerati, non possono essere computati nella percentuale del 60% delle passività rilevanti ai fini della conclusione di un “Accordo di ristrutturazione” propriamente detto, essa postula evidentemente che tali crediti siano (o possano essere) anteriori all’Accordo, e che abbiano (o potrebbero avere) attitudine ad influenzare il raggiungimento delle percentuali rilevanti per attribuirgli gli effetti previsti dall’art. 182-bis l. fall. (a prescindere dalla incertezza se tale “sterilizzazione” implichi che l’Accordo deve registrare l’adesione di tanti creditori che rappresentino – senza il concorso dei soci finanziatori – il 60% delle passività comprensive dei debiti per finanziamenti-soci; o se debba registrare l’adesione di tanti creditori – sempre senza il concorso dei soci finanziatori – che rappresentino il 60% delle passività al netto dei debiti per finanziamento-soci, che risulterebbero così esclusi dal computo a qualsiasi titolo). Se mai la disciplina passata in rassegna rappresenta la dimostrazione che possono essere qualificati finanziamenti effettuati “in esecuzione” di un Accordo (o di un Concordato Preventivo) anche operazioni produttive di crediti sorti anteriormente all’Accordo (o alla domanda di Concordato), se è vero – come è vero – che la legge ritiene di dovere disporre in materia di esclusione degli stessi dal computo delle maggioranze rilevanti per la configurazione di un “Accordo di ristrutturazione” propriamente detto (o dal computo delle maggioranze previste per l’approvazione del Concordato: art. 182-quater, co. 5, l.fall.). Nulla dice la nuova disciplina dei finanziamenti-soci negli Accordi di ristrutturazione (e nei Concordati) circa l’applicabilità o meno degli artt. 2467 e 2497-quinquies cod.civ. ai rimborsi di finanziamenti-soci,

616


Sido Bonfatti

pur erogati nelle condizioni previste dal primo comma dell’art. 182-quater l.fall. La “deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies” cod.civ. vale infatti a rendere applicabili ai finanziamenti-soci le “disposizioni in tema di prededucibilità” dettate per i finanziamenti “bancari” non rimborsati: ma nulla dice sulla applicabilità o meno delle disposizioni concernenti i finanziamenti rimborsati. Ferma restando la necessaria sottrazione all’azione revocatoria, in conseguenza della “esenzione” prevista dall’art. 67, co. 3, lett. e) l.fall., rimane da stabilire se nel fallimento intervenuto entro il periodo annuale dell’effettuato pagamento possa essere promossa la domanda restitutoria prevista dagli artt. 2467 e 2497-quinquies cod.civ. Si riproduce dunque, almeno in parte, il dilemma già affrontato a proposito della sorte del rimborso dei finanziamenti-soci erogati in esecuzione di un “Piano di risanamento attestato”, sottratti all’azione revocatoria (ex art. 67, co. 3, lett. d) l.fall.), ma non necessariamente esentati dall’obbligo restitutorio di cui agli artt. 2467 e 2497-quinquies cod.civ. Trasferendo peraltro il dibattito dalla fattispecie dei “Piani” ex art. 67, co. 3, lett. d) l.fall. alla fattispecie degli “Accordi” ex art. 182-bis l.fall. (e tanto più a quella del Concordato Preventivo), si aggiunge la necessità di considerare il profilo della prededucibilità dei crediti prodotti dall’erogazione di finanziamenti-soci, “in deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies” cod.civ., quando non fossero risultati rimborsati: che rende totalmente irrazionale la conclusione favorevole ad assoggettarli all’obbligo restitutorio previsto dalle norme del codice civile richiamate senza immaginarne una corrispondente deroga, ove fossero stati – invece – rimborsati, alla scadenza pattuita e in esecuzione dell’Accordo o del Concordato omologati.

4. Il sostegno finanziario delle imprese nel Concordato Preventivo.

L’attuale disciplina del Concordato oltre la somma della disciplina dell’Amministrazione Controllata e del Concordato Preventivo previgenti. Com’è a tutti noto, l’attuale disciplina del Concordato Preventivo rappresenta (il tentativo di) una sintesi tra la disciplina previgente dell’Amministrazione Controllata (oggi abrogata) e la disciplina previgente del Concordato Preventivo (oggi significativamente modificata). Posta come presupposto oggettivo della nuova procedura di Concordato Preventivo la ricorrenza di uno “stato di crisi” (come ogni disposto dell’art. 160 l. fall.), è opinione comune che la situazione di “temporanea difficoltà di adempiere”, che un tempo condizionava l’ammissione

617


Saggi

dell’impresa all’Amministrazione Controllata (cfr. art. 187 l.fall. previgente), rientri pacificamente nell’ambito di applicazione della nozione di “stato di crisi” (quali che siano i confini che ne delineano esattamente il perimetro), e dunque legittimi l’aspirazione dell’impresa temporaneamente in difficoltà ad accedere al nuovo Concordato Preventivo. Se mai è stata l’impresa versante nella situazione corrispondente all’originario presupposto della procedura di Concordato Preventivo previgente (lo “stato di insolvenza”: art. 160 l.fall. previgente) a vedere messa in dubbio l’inerenza di tale condizione alla nozione di “stato di crisi”, e con essa la legittimazione dell’impresa stessa ad essere ammessa alla procedura (nominalmente immutata) di Concordato Preventivo riformata (essendosi registrate pronunce giudiziali secondo le quali lo “stato di insolvenza” rappresenterebbe un presupposto economico-finanziariopatrimoniale diverso dallo “stato di crisi”, e come tale privo dell’attitudine a giustificare l’ammissione dell’impresa insolvente al Concordato Preventivo riformato): ma al di là della forte opinabilità della conclusione interpretativa (a convenire con la quale, una riforma volta a favorire il rilancio delle imprese avrebbe finito con il conseguire il risultato ancora più integralista del passato che l’impresa insolvente avrebbe potuto soltanto fallire, neppure potendo aspirare all’alternativa dell’ammissione al Concordato Preventivo), è stata le legge (di interpretazione autentica: art. 36 d.l. n. 273/2005) a stabilire definitivamente che “ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza “ (art. 160, u. co., l.fall. riformato). * Posto dunque che la sintesi delle discipline previgenti dell’Amministrazione Controllata e del Concordato Preventivo hanno originato una nuova procedura concorsuale (denominata ancora – improvvidamente – “Concordato Preventivo”, ma profondamente diversa da quella che portava lo stesso nome sotto la legge fallimentare previgente), alla quale possono essere ammesse tanto le imprese versanti in una condizione di “temporanea difficoltà di adempiere” (e dunque originariamente legittimate all’ammissione all’Amministrazione Controllata), quanto le imprese versanti in “stato di insolvenza” (e dunque originariamente legittimate all’ammissione al “vecchio” Concordato Preventivo), il dubbio è piuttosto rappresentato dalla domanda se tali presupposti esauriscano l’ambito di applicazione della nozione di “stato di crisi” (così da concepirla come sinonimo della espressione “temporanea difficoltà di adempiere o stato di insolvenza”); oppure se essa ricomprenda anche altre situazioni definibili “di crisi”, ma distinte dalle due già individuate.

618


Sido Bonfatti

La risposta al quesito è particolarmente incerta per le ipotesi corrispondenti alle situazioni che potremmo definire di “pericolo di insolvenza”: situazioni, cioè, nelle quali l’insolvenza non è attuale – quindi non è neppure certo che si produca-, ma è “annunciata” o “prospettica”, presentandosi già i sintomi di una prevedibile – ma futura, e quindi non certa – situazione di (temporanea difficoltà di adempiere dapprima, e successivamente di vera e propria) insolvenza. 4.1. I Concordati Preventivi “di risanamento”. L’affermazione nella prassi delle procedure di Concordato di risanamento “diretto” e di Concordato di risanamento “indiretto”. Il problema del sostegno finanziario delle imprese assoggettate al Concordato Preventivo si pone (essenzialmente) per quelle procedure che prevedano la continuazione dell’attività aziendale (in forma “diretta” o “indiretta”). La disciplina riformata del Concordato Preventivo consente all’imprenditore “in stato di crisi” di perseguire l’obiettivo della ristrutturazione dell’indebitamento e del soddisfacimento dei creditori con il ricorso, in pratica, a qualsiasi operazione che egli ritenga funzionale allo scopo. La nuova disciplina consente, e la prassi ha già registrato, domande di Concordato Preventivo che spaziano tra gli estremi della fattispecie del Concordato Preventivo puramente dilatorio – nella quale l’imprenditore si propone esclusivamente di pagare i creditori a scadenze maggiormente differite, ma in misura integrale –; o del Concordato Preventivo banalmente liquidatorio – che prevede la cessione del patrimonio dell’impresa ai creditori, perché la liquidino e si soddisfino nella misura consentita dal ricavato –; alla fattispecie del Concordato Preventivo “partecipativo” – nel quale l’imprenditore propone ai creditori forme articolate e sofisticate di conversione dei crediti in capitale di rischio (“ordinario” o “privilegiato”; con diritto di voto incondizionato o limitato; eccetera), attuandone un coinvolgimento organico nella gestione del tentativo di superamento della situazione di “crisi” –. Tuttavia l’esperienza dei primi anni di applicazione della riforma della legge fallimentare ha evidenziato che i tentativi di risanamento delle situazioni di crisi dell’impresa attraverso il ricorso all’istituto del Concordato Preventivo (tralasciando quindi le ipotesi, pure ancora particolarmente numerose, di concordati preventivi con obiettivi liquidatori, che non interessano il presente lavoro) ruotano intorno a due figure principali, rappresentate l’una dalla fattispecie del Concordato Preventivo

619


Saggi

incentrato sulla continuazione dell’esercizio dell’attività d’impresa, con il cui risultato pervenire al soddisfacimento dei creditori pregressi (“a saldo e stralcio”, come si usa dire) nei tempi e nella misura concordati; e l’altra dalla fattispecie del Concordato Preventivo incentrato sull’affitto e successiva cessione dell’azienda ad una distinta impresa, e destinazione al soddisfacimento dei creditori dell’impresa in Concordato Preventivo dei canoni di locazione e del prezzo di cessione dell’azienda (oltre che della liquidazione del magazzino, della riscossione dei crediti, eccetera). In entrambe le situazioni l’obiettivo perseguito è quello del risanamento dell’impresa, individuato anche come il mezzo più efficace per il migliore soddisfacimento dei creditori pregressi (oltre che come soluzione idonea a tutelare i livelli occupazionali e salvaguardare l’integrità degli impianti produttivi): ma nel primo caso esso consegue ad un risanamento dello stesso imprenditore – risanamento (dell’impresa) c.d. “diretto” –, mentre nel secondo caso l’imprenditore cessa l’attività (di norma, infatti, l’impresa in Concordato Preventivo che affitta e poi cede l’azienda viene posta in liquidazione volontaria), ed il risanamento dell’impresa è perseguito attraverso la prosecuzione dell’attività aziendale ad opera di un imprenditore distinto – risanamento c.d. “indiretto” –, a prescindere dalla circostanza che tale nuovo ente registri la partecipazione di (o sia addirittura esclusivamente costituito da) soggetti già coinvolti, a titolo di imprenditore individuale o socio di impresa collettiva, nella gestione dell’impresa ammessa al Concordato Preventivo. La scelta tra le due possibili soluzioni – che, come detto, non sono tecnicamente le uniche possibili, ma sono quelle che hanno fatto registrare, in concreto, il più ampio successo – dipende da numerose variabili. L’esperienza ha dimostrato che esse non sono sempre state adeguatamente presenti all’imprenditore (ed ai professionisti che lo hanno assistito), nel momento dell’impostazione del Concordato Preventivo “di risanamento” secondo il modello del risanamento “diretto” o del risanamento “indiretto” (che, come ho detto, non postula necessariamente l’abdicazione dell’imprenditore all’esercizio della sua impresa, nulla impedendo che la distinta impresa alla quale affittare e poi cedere l’azienda sia rappresentata da una società – la così detta “NewCo” – costituita dallo stesso imprenditore che accede al Concordato Preventivo con l’impresa così detta “Old”). Il tema del sostegno finanziario dell’impresa assoggettata al Concordato Preventivo riguarda (essenzialmente) la prima fattispecie: ed è alla considerazione di questa che sono dedicate le pagine che seguono.

620


Sido Bonfatti

4.2. La “esenzione” da revocatoria degli atti di esecuzione del Concordato Preventivo. L’art. 67, co. 3, lett. e) l.fall. dichiara esonerati da revocatoria anche “gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del Concordato Preventivo” (nonchè dell’Accordo “di ristrutturazione” previsto dall’art. 182-bis c.c.). L’estensione del delineato regime di “esenzione” – limitatamente agli atti “di esecuzione” della procedura – anche alle operazioni poste in essere nel corso del Concordato Preventivo ingenera taluni dubbi di fondo, di carattere sistematico. Secondo una opinione molto diffusa – particolarmente, ma non unicamente, tra i pratici – gli atti posti in essere nel corso del Concordato Preventivo e dell’Amministrazione Controllata non sarebbero stati soggetti mai alla azione revocatoria nell’eventuale fallimento consecutivo, sotto il vigore della legge fallimentare oggi riformata. Tali atti avrebbero potuto essere privi di effetti, se posti in essere – poniamo – in violazione della regola (ricavabile per opinione unanime dai principi) impeditiva del pagamento di debiti pregressi o della costituzione di garanzie per debiti pregressi. Tali atti avrebbero altresì potuto essere dichiarati inopponibili ai creditori, nel fallimento consecutivo, ove posti in essere in violazione del regime autorizzatorio imposto all’imprenditore ammesso al Concordato Preventivo o all’Amministrazione Controllata. L’azione revocatoria (fallimentare), invece, sarebbe risultata preclusa per definizione, nei confronti degli atti esenti dai “vizi” segnalati, per l’impossibilità di individuare nei loro confronti i profili del pregiudizio al patrimonio del debitore; e/o i profili del pregiudizio alla par condicio creditorum; e/o i profili della esigenza redistributiva delle conseguenze dell’insolvenza del debitore su una più larga schiera di creditori. Secondo il nuovo art. 67, co. 3, lett. e) l.fall., invece, gli atti compiuti in essere nel corso del Concordato Preventivo sono esentati da revocatoria soltanto se qualificabili come posti in essere “in esecuzione” della procedura: e qualsiasi cosa voglia dire questa espressione, la previsione in esame postula che vi siano atti compiuti nel corso del Concordato Preventivo (e per di più efficaci ed opponibili ai creditori) suscettibili di essere assoggettati a revocatoria (per lo meno) nel fallimento consecutivo, per non essere stati giudicati – quale che ne sia la ragione – “funzionali” all’esecuzione della procedura concorsuale minore. La nuova disciplina dell’azione revocatoria (fallimentare) considera astrattamente revocabili, nel fallimento consecutivo, anche gli atti posti in essere nel corso della precedente procedura di Concordato Preventivo

621


Saggi

– tutte le volte che tali atti non possano dirsi compiuti “in esecuzione” della procedura, e tuttavia non siano impugnabili né sotto il profilo dell’efficacia, né sotto il profilo dell’opponibilità ai creditori –: ciò che dovrebbe inibire per definizione la prospettabilità della retrodatazione della decorrenza a ritroso del “periodo sospetto” dalla data di apertura della prima procedura concorsuale consecutiva (non potendosi concepire la revocabilità tanto degli atti compiuti, poniamo, nei sei mesi – o nei dodici mesi – anteriori al Concordato Preventivo seguito – anni dopo – dal fallimento; quanto la revocabilità degli atti compiuti nei sei mesi – o nei dodici mesi – anteriori alla data della sentenza dichiarativa di fallimento). Con ciò viene necessariamente messo in dubbio, come ognuno vede, un caposaldo della teoria della c.d. “consecuzione di procedure concorsuali”: che le nuove disposizioni della legge fallimentare sulle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa impongono inevitabilmente di sottoporre a nuova considerazione. 4.3. Concordato Preventivo e “Prededuzione”. A) Il collocamento “in prededuzione” della “nuova finanza” genericamente intesa erogata in funzione dell’ammissione dell’impresa al Concordato Preventivo di Risanamento (“diretto”). Posto che la situazione di “crisi” che giustifica la domanda di ammissione al Concordato Preventivo è caratterizzata, di norma, per lo meno da una condizione di tensione finanziaria, una delle principali esigenze dell’impresa che si accinge ad accedere al Concordato (“di risanamento”) è rappresentata dall’ottenimento di immediate risorse finanziarie (“nuova finanza”), che le consentano non solo di fronteggiare il (prevedibile) momento di tensione finanziaria, ma anche di sostenere il (sicuro) incremento di costi per l’assistenza professionale necessaria alla predisposizione del “Piano” di ristrutturazione; alla sua “attestazione” da parte dell’esperto di cui all’art. 161, co. 3, l.fall.; alla presentazione del ricorso per l’ammissione alla procedura; alla costituzione del deposito giudiziale ex art. 163, co. 2, l. fall.; al successivo giudizio di omologa. Questa “nuova finanza” può anche rivestire natura commerciale (in particolare, essere costituita da anticipi da clienti, eventualmente conseguenti alla concessione di uno sconto sui prezzi correnti di vendita): anche se nella prassi è normalmente ricavata attraverso il ricorso al credito bancario, sia in funzione del sostegno finanziario della gestione dell’impresa nel corso del periodo che precede l’ammissione al Concordato;

622


Sido Bonfatti

sia in funzione del soddisfacimento di specifiche esigenze finanziarie connesse all’instauranda procedura, come accade nelle ipotesi di richiesta di finanziamenti bancari specificatamente destinati all’adempimento delle obbligazioni assunte verso i professionisti dell’impresa che curano la presentazione della domanda di Concordato, oppure alla costituzione del deposito giudiziale in predicato di essere disposto dal Tribunale fallimentare. In queste situazioni la prospettiva della presentazione di una domanda di ammissione ad una procedura di Concordato Preventivo “per risanamento” c.d. “diretto” dovrebbe favorire l’attribuzione alla “Nuova Finanza” (genericamente intesa) della collocazione in prededuzione, nell’eventuale fallimento dichiarato in danno dell’impresa. In giurisprudenza v’è stata in un primo momento incertezza nel riconoscere il carattere prededucibile a crediti sorti precedentemente all’ammissione al Concordato Preventivo, sulla base della considerazione che prima dell’apertura della procedura non sussisterebbe alcun controllo degli organi (inesistenti) della stessa sulle modalità e sulle finalità della assunzione delle obbligazioni della specie. In un secondo momento la giurisprudenza ha valorizzato il principio introdotto dall’art. 111, co. 2, l.fall. riformato (secondo il quale “sono considerati crediti prededucibili quelli sorti… in funzione delle procedure concorsuali…”), per giungere alla conclusione che le obbligazioni assunte anche prima dell’apertura della procedura di Concordato, ma “in funzione” della stessa, acquistano carattere prededucibile all’interno del Concordato poi eventualmente ammesso (nonché, v’è da ritenere, nell’eventuale fallimento consecutivo): ciò tuttavia alla condizione che un Concordato venga effettivamente aperto, giacchè ove nessun Concordato venisse poi (chiesto e/o) ammesso, mancherebbe la “procedura concorsuale” nel cui contesto riconoscere la collocazione in prededuzione della “nuova finanza”. Tali conclusioni meritano alcune precisazioni. In via preliminare deve essere condivisa e ribadita la conclusione secondo la quale l’assunzione di obbligazioni anche in epoca anteriore all’apertura della procedura ne comporta la collocazione in prededuzione (per lo meno, nel Concordato poi effettivamente disposto), laddove l’indebitamento in questione (finanziario o commerciale che sia) si ponga in un rapporto di funzionalità con la (predisposizione, attestazione, presentazione, ammissione della) procedura concorsuale (di Concordato). In secondo luogo occorre precisare che l’avvertenza, secondo la quale in mancanza di una effettiva apertura del Concordato mancherebbe la

623


Saggi

sede nella quale fare valere l’astratto connotato prededucibile delle obbligazioni pur assunte in funzione della stessa, è condivisibile solo per l’ipotesi nella quale alla mancata presentazione, o alla mancata ammissione, della domanda di Concordato segua la prosecuzione dell’attività dell’impresa (o anche la deliberazione della liquidazione volontaria), per la semplice ragione della mancanza di un “concorso” legittimante il soddisfacimento dei creditori sulla base della natura della pretesa anziché della anteriorità della sua scadenza. Laddove invece all’insuccesso del tentativo di accesso al Concordato seguisse la dichiarazione di fallimento (sia pure non in modo automatico, ma – per esempio – a seguito della istruttoria condotta dal Tribunale fallimentare ai sensi dell’art. 162 l.fall.), come conseguenza di quella stessa situazione di “crisi” addotta dall’imprenditore come presupposto della domanda (naufragata) di accesso al Concordato, non vi sarebbe ragione di escludere il carattere prededucibile (nel fallimento consecutivo) delle obbligazioni assunte in funzione del Concordato evoluto in fallimento. 4.4. Segue. B) Il collocamento in prededuzione del “credito professionale” concesso in funzione di accesso al Concordato. Tra le obbligazioni che l’imprenditore può assumere “in funzione” del Concordato Preventivo vi sono anche quelle connesse al conferimento di incarichi professionali per l’accesso alla procedura: e si sarebbe portati a dire soprattutto le obbligazioni nei confronti di professionisti, se si considera che i precedenti giudiziali in materia, appena sopra ricordati, si sono formati proprio in relazione al trattamento (nel Concordato Preventivo o più spesso nel fallimento “consecutivo”) dei crediti dei professionisti che avevano assistito l’imprenditore nel tentativo di accesso al Concordato. Relativamente a tale fattispecie, il rapporto di “funzionalità” delle obbligazioni assunte per la predisposizione, attestazione, presentazione di una domanda di Concordato Preventivo con la “procedura concorsuale” intervenuta successivamente (fosse pure anche il fallimento, in conseguenza dell’esito negativo del tentativo concordatizio), sarebbe difficilmente contestabile, per l’evidenza oggettiva della relazione tra le attività professionali poste in essere e la procedura concorsuale successiva (fosse pure prodotta dall’insuccesso, anziché dal successo, del tentativo di composizione concordata della crisi). A tale considerazione può essere affiancata quella che è originata dalla valutazione del disposto dell’art. 67, co. 3, lett. g) l.fall. riformato. Secondo tale norma, sono sottratti alla revocatoria fallimentare

624


Sido Bonfatti

– evidentemente, in caso di insuccesso del Concordato e successiva dichiarazione di fallimento – “i pagamenti dei debiti … eseguiti … per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure … di Concordato Preventivo”. La collocazione “in prededuzione” del credito professionale per la effettuazione di una prestazione strumentale all’accesso al Concordato Preventivo, non pagata dall’imprenditore, costituisce pertanto il logico e corretto péndant della sottrazione a revocatoria fallimentare della prestazione professionale funzionale all’ammissione alla procedura e addirittura già pagata prima dell’accesso alla stessa. Né tale conclusione potrebbe essere messa in discussione dalla considerazione che il disposto del nuovo art. 182-quater, co. 4, l.fall., introdotto dal d.l. n. 78/2010 convertito nella l. n. 122/2010, sembra oggi limitare la collocabilità in prededuzione delle obbligazioni sorte prima dell’apertura del Concordato per la prestazione di servizi professionali alla sola ipotesi del compenso spettante al “professionista attestatore” di cui all’art. 161, co. 3, l.fall. Tale disposizione, infatti, come si dirà – infra, n. 5 –, ha solamente la funzione di escludere qualsiasi giudizio valutativo sulla effettiva “funzionalità” dei crediti derivanti dall’assolvimento della funzione di “attestazione” della fattibilità dei piano concordatizio, laddove ciò risulti disposto dal provvedimento giudiziale di apertura della procedura. Per le altre obbligazioni preconcordatizie, diverse da quelle assunte nei confronti dello “attestatore” (la cui prededucibilità risulti “disposta” dal tribunale), la prededuzione non è ovviamente esclusa a priori, in conseguenza della estraneità all’ambito di applicazione di cui all’art. 182-quater, co. 4, l.fall.: ma è subordinata al giudizio valutativo di effettiva “funzionalità” all’ammissione alla procedura, previsto dal (pur sempre applicabile) art. 111, co. 2, l.fall. 4.5. Segue. C) Il collocamento in prededuzione della “nuova finanza” bancaria concessa in funzione dell’ammissione al Concordato Preventivo. Come ho detto, l’ipotesi più ricorrente nella prassi è che il sostegno finanziario necessario a traghettare l’impresa “in crisi” dall’avvio delle attività propedeutiche all’accesso al Concordato alla formale ammissione giudiziale allo stesso, sia normalmente richiesto alle banche, sotto forma di “nuova finanza” o anche sotto forma di mantenimento dell’operatività delle linee di credito già in essere. Che le obbligazioni dell’imprenditore connesse all’utilizzo delle linee di credito bancarie (“nuove” o meno che fossero) nell’intervallo di tempo

625


Saggi

descritto, potessero qualificarsi “sorte … in funzione” del Concordato – e quindi collocate in prededuzione ai sensi e per gli effetti dell’art. 111, co. 2, l.fall. – pareva difficilmente contestabile, anche prima delle innovazioni apportate dal d.l. n. 78/2010, convertito nella l. n. 122/2010, con riguardo all’ipotesi del Concordato Preventivo “di risanamento” (“diretto”): giacché non si vede come si possa risanare una impresa, senza concederle l’accesso al credito bancario. Una conferma normativa di tale conclusione non era pertanto indispensabile: ma la prassi deve ugualmente avere registrato delle incertezze in proposito, se il legislatore ha sentito l’esigenza di ribadire il principio. L’art. 48 d.l. n. 78/2010 ha introdotto nella legge fallimentare l’art. 182quater, il quale disponeva – tra l’altro – che fossero qualificati “prededucibili” i crediti “derivanti da finanziamenti effettuati [da banche o da intermediari finanziari] in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di Concordato Preventivo …”: ma introduceva altresì la duplice condizione che i finanziamenti in questione fossero “previsti dal piano di cui all’articolo 160” e che “il Concordato Preventivo (fosse) omologato”. A proposito di ciò, mentre è ragionevole la richiesta che i finanziamenti bancari “effettuati” in funzione dell’accesso al Concordato siano “previsti” dal Piano di ristrutturazione dell’indebitamento dell’impresa – a prescindere da: (i) l’ambiguità dei termini – “finanziamenti”; “effettuati” – utilizzati; e (ii) la domanda di come non potrebbero essere “previsti” i (debiti per) finanziamenti bancari, all’interno di un Piano di ristrutturazione dei debiti (per l’appunto) –: è al contrario irragionevole la condizione della successiva omologazione del Concordato, che potrebbe dipendere da cause le più varie e le più imprevedibili. È pertanto da salutare con favore la modificazione apportata alla norma in commento dalla legge di conversione n. 122/2010, in forza della quale accanto alla prima condizione (confermata) ne è stata posta ancora una seconda, legata peraltro non già alla omologazione del Concordato, bensì alla esplicita “disposizione” della prededucibilità dei crediti de quibus nel provvedimento di accoglimento della domanda di ammissione al Concordato. Ciò precisato, sorge spontanea la domanda di quale sia la funzione assolta dalla ricordata innovazione normativa, calata in un contesto nel quale – come ho detto –, per effetto del disposto dell’art. 111, co. 2, l.fall., tutte le obbligazioni (e non solo quelle originate da rapporti bancari) sorte “in funzione” del Concordato, devono trovare collocazione in prededuzione (nella stessa procedura e nell’eventuale fallimento con-

626


Sido Bonfatti

secutivo), senza condizioni (che non siano rappresentate dal precisato rapporto di funzionalità rispetto alla successiva procedura). È da ritenere che la ratio della norma debba essere esclusivamente individuata nell’obiettivo di prevenire qualsiasi possibile dubbio interpretativo concernente l’effettiva appartenenza dei “finanziamenti effettuati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura” all’ambito di applicazione della ricordata disposizione di cui all’art. 111, co. 2, l.fall.: ciò per la intuibile gravità delle incertezze che si erano originate in materia, essendo inconcepibile – come ho detto – qualsiasi tentativo di risanamento dell’impresa in crisi che non sia assistito dal sostegno finanziario bancario. Nel contempo, la precisazione – rectius, la conferma – circa il carattere prededucibile della “nuova finanza” funzionale all’ammissione al Concordato porta con sé l’introduzione di un inedito vincolo, rappresentato dalla “consacrazione” di tale effetto all’interno del provvedimento giudiziale di ammissione alla procedura, che ritarderà inevitabilmente l’accesso al credito bancario dell’impresa “in crisi”, sino al momento della pubblicazione del decreto di ammissione ex art. 163 l.fall. 4.6. Segue. D) Il collocamento in prededuzione della “nuova finanza” bancaria concessa nel corso della procedura di Concordato Preventivo. La conclusione alla quale si è pervenuti nel paragrafo precedente – secondo la quale la concessione di “nuova finanza” bancaria all’impresa “in crisi” finirà oggi, inevitabilmente, per essere ritardata dalla attesa della verificabilità della “concessione” della prededuzione nel contesto del decreto di ammissione alla procedura, nonostante (in tesi) l’obiettiva “funzionalità” della nuova finanza all’accesso al Concordato –, contribuisce a sottolineare l’importanza di quell’altro fattore di successo del Concordato di risanamento “diretto”, rappresentato dall’attribuzione del carattere prededucibile alle obbligazioni sorte in conseguenza dell’utilizzo della “nuova finanza” bancaria concessa nel corso della Procedura di Concordato – ovverosia, dalla ammissione alla omologa –. Secondo quanto previsto dall’art. 181 l.fall., l’omologazione del Concordato dovrebbe intervenire entro il termine di sei mesi (prorogabile a otto mesi) dalla presentazione del ricorso: ma a tale proposito va osservato che (i) secondo diversi interpreti, tali termini sono semplicemente ordinatori; e (ii) in ogni caso, nessuna impresa “in crisi” potrebbe fare a meno del sostegno finanziario bancario per sei o otto mesi.

627


Saggi

La concessione di “nuova finanza” (anche nella forma della conferma dell’operatività delle linee di credito preesistenti) durante il Concordato Preventivo è pertanto indispensabile: e deve concludersi che la collocabilità in prededuzione delle obbligazioni relative rappresenta un ulteriore profilo positivo del Concordato Preventivo di risanamento c.d. “diretto”. Come ho ricordato, l’art. 111, co. 2, l.fall. attribuisce carattere prededucibile alle obbligazioni “sorte in occasione o in funzione” del Concordato: e l’accesso al credito bancario dell’impresa ammessa ad un Concordato Preventivo “di risanamento” (diretto) non si presenta meno “funzionale” allo sviluppo della procedura di quanto non lo sia quello posto in essere “in occasione” della stessa. In tale contesto occorre affrontare il problema del necessario coordinamento del disposto del ricordato art. 111, co. 2, l.fall. con il principio oggi affermato dall’art. 182-quater, co. 1, l.fall. (introdotto dal d.l. n. 78/2010, come convertito dalla l. n. 122/2010), secondo il quale “i crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati da banche e intermediari finanziari … in esecuzione di un Concordato Preventivo … sono prededucibili ai sensi e per gli effetti dell’articolo 111”. In particolare, è necessario stabilire se la nuova norma si applichi anche ai finanziamenti bancari “effettuati” nel corso della Procedura di Concordato (i.e. dalla ammissione all’omologa), oppure solo ai finanziamenti bancari concessi successivamente, ai fini di dare “esecuzione” – per l’appunto – al Concordato. In linea generale il problema potrebbe essere considerato di scarso rilievo: anche a voler concludere nel senso della inapplicabilità dell’art. 182-quater, co. 1, l.fall. ai finanziamenti bancari concessi prima dell’omologa, per la “nuova finanza” concessa nel corso del Concordato varrebbe comunque quanto disposto dall’art. 111, co. 2, l.fall.: e ciò sarebbe quanto basta ad assicurare alle obbligazioni relative (assunte beninteso nel rispetto della disciplina di cui all’art. 167, co. 2, l.fall.) il carattere prededucibile nel Concordato stesso (e nell’eventuale fallimento consecutivo). Se mai è proprio l’ipotesi, qui considerata, del Concordato di risanamento “diretto” che ingenera il dubbio della correttezza della conclusione ipotizzata: giacché la prosecuzione dell’attività di impresa durante la Procedura di Concordato rappresenta pur sempre un inizio di “esecuzione” della proposta concordatizia, che non potrebbe essere eseguita a procedura conclusa – ovverosia ad accettazione dei creditori conseguita, ed a successiva omologa –, se anche nel frattempo l’attività d’impresa non fosse proseguita.

628


Sido Bonfatti

In questa prospettiva, l’adesione alla tesi secondo la quale costituirebbe “esecuzione” del Concordato (di risanamento “diretto”) anche la prosecuzione dell’impresa in corso di procedura, renderebbe applicabile l’art. 182-quater, co. 1, l.fall. in luogo – in sovrapposizione, si potrebbe dire – dell’art. 111, co. 2, l.fall., con la conseguenza che i finanziamenti concessi durante il Concordato sarebbero (prededucibili ex art. 111, co. 2, l.fall. per il solo fatto di essere diretti alla “esecuzione” del Concordato, e) erogabili senza le (altrimenti necessarie) autorizzazioni scritte del giudice delegato previste dall’art. 167, co. 2, l.fall. Solo alla condizione di ritenere superflue tali autorizzazioni – necessarie invece per il compimento di atti di straordinaria amministrazione, quantunque produttivi (se autorizzati) di obbligazioni prededucibili ex art. 111, co. 2, l.fall. –, si giustifica l’applicazione dell’art. 182-quater, co. 1, l.fall. anche alle obbligazioni sorte nel corso (quindi necessariamente “in occasione”) del Concordato, senza assegnare alla nuova norma un carattere totalmente ripetitivo di quella (art. 111, co. 2) precedente. 4.7. Segue. E) Il collocamento in prededuzione della “nuova finanza” bancaria concessa “in esecuzione” del concordato. La considerazione della nuova disciplina della “nuova finanza” bancaria introdotta dall’art. 182-quater, co. 1, l.fall suggerisce una precisazione, che si rivela particolarmente importante per la figura di Concordato (di risanamento “diretto”) qui in discussione. La norma richiamata afferma che sono prededucibili i crediti derivanti da finanziamenti bancari concessi per la esecuzione del Concordato Preventivo: e nel Concordato di risanamento “diretto”, come ho detto, la esecuzione dell’accordo concordatizio avviene mediante la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa anche successivamente alla chiusura del concordato – chiusura, si noti, coincidente con la pronuncia del decreto di omologa: art. 181 l.fall. –. Se ne potrebbe conseguentemente desumere che tutti i crediti bancari concessi per il sostegno finanziario della gestione dell’impresa fino all’adempimento delle obbligazioni concordatizie debbano trovare collocazione prededucibile, nel Concordato Preventivo – che peraltro … non c’è più –, e (soprattutto) nell’eventuale fallimento consecutivo: perché senza gestione dell’impresa non v’è “esecuzione” del concordato, e senza finanziamenti bancari non vi può essere prosecuzione della gestione imprenditoriale.

629


Saggi

La conclusione non convince appieno, tenuto conto che nelle situazioni nelle quali la proposta di Concordato poggia sulla prospettiva del risanamento “diretto” dell’impresa attraverso la prosecuzione dell’attività gestionale, la durata del “Piano di ristrutturazione” dell’indebitamento pregresso è normalmente rilevante (giacché, in pratica, l’impresa deve riservare ai creditori profitti sufficienti a controbilanciare il valore delle attività, che non sono liquidate per il soddisfacimento dei crediti pregressi, come avverrebbe in un tradizionale Concordato liquidatorio); e tenuto altresì conto che nella continuazione dell’attività aziendale, l’impresa non mira soltanto a generare gli utili promessi ai creditori nell’ambito del “Piano”, ma persegue altresì l’obiettivo del rilancio sul mercato. Ipotizzare allora che tutta la “finanza” bancaria intervenuta nell’arco di questo considerevole periodo per il sostegno dell’intera gestione aziendale goda, in caso di apertura di un qualsiasi “concorso”, del beneficio della prededuzione, può ingenerare comprensibili perplessità – non sembrando esprimere una sufficiente tutela l’assegnazione al commissario giudiziale della funzione di “sorveglianza” di cui all’art. 184 l.fall. –. È allora preferibile ritenere che per quanto concerne la “nuova finanza” resa disponibile all’impresa dopo la chiusura del concordato (cioè dopo la sua omologazione), e sia pure rivolta a favorire la “esecuzione” dello stesso, possano considerarsi prededucibili le sole obbligazioni derivanti da finanziamenti specificamente previsti dal “Piano di ristrutturazione dei debiti”. Ciò tuttavia senza escludere che accanto ai finanziamenti strettamente inerenti al soddisfacimento dell’indebitamento pregresso – come potrebbe essere il finanziamento bancario necessario ad esercitare il “riscatto” anticipato di un cespite utilizzato in base ad un contratto di leasing, per consentirne la successiva liquidazione con destinazione del ricavato (“plusvalenza implicita” compresa) a deconto delle passività pregresse –, possano collocarsi anche finanziamenti rivolti al sostegno della gestione imprenditoriale, come potrebbe essere l’erogazione di un mutuo a lungo termine previsto dal business plan posto alla base del “Piano” come il presupposto del riacquisto dell’equilibrio finanziario dell’impresa.

5. Concordato Preventivo e finanziamento-soci Come detto, il d.l. n. 78/2010, convertito nella l. n. 122/2010, è intervenuto ex professo sulla disciplina dei finanziamenti-soci erogati nel contesto delle procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa, introducendo nel nostro ordinamento l’art. 182-quater, co. 3,

630


Sido Bonfatti

l.fall., secondo il quale “in deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, il primo comma [prededucibilità dei finanziamenti “bancari” effettuati in esecuzione di un Concordato Preventivo o di un accordo di ristrutturazione omologato] si applica anche ai finanziamenti effettuati dai soci, fino a concorrenza dell’ottanta per cento del loro ammontare”. Prima di tale innovazione si discuteva se per i finanziamenti-soci funzionali all’accesso al Concordato Preventivo e per quelli erogati per l’esecuzione dello stesso dovesse farsi applicazione della disciplina codicistica (che ne dispone la postergazione, essendo evidente che lo “stato di crisi” postulato dalla prospettiva o dalla presenza del Concordato rientra nell’ambito di applicazione degli artt. 2467 e 2497-quinquies cod. civ.); oppure della disciplina fallimentare (che ne dispone la prededuzione: art. 111, co. 2, l.fall.). L’intervento dell’art. 182-quater, co. 3, l.fall. induce a ritenere che il legislatore abbia postulato la prevalenza della disciplina codicistica, ed abbia inteso consentire la prevalenza della disciplina fallimentare nei termini (finanziamenti effettuati “in esecuzione” del Concordato), e nei limiti (percentuale dell’80%) per i quali ha previsto la “deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile” introdotta dal richiamato d.l. n. 78/2010. Se ne deve pertanto ricavare che: (i) i finanziamenti erogati per favorire la presentazione della domanda di Concordato sono integralmente postergati, nonostante la loro oggettiva “funzionalità” all’accesso alla procedura (che in termini generali giustificherebbe l’applicazione dell’art. 111, co. 2, l.fall.); e (ii) i finanziamenti-soci erogati per dare “esecuzione” alla proposta di Concordato (pur se non necessariamente successivi all’omologazione del Concordato stesso: supra, nn. 3.4.) sono postergati solo nella misura del 20%, ed “antergati”, invece – cioè collocati in prededuzione –, nella misura dell’80%. * Per ciò che concerne invece il dubbio sulla assoggettabilità dei rimborsi ricevuti dai soci all’obbligo restitutorio previsto dagli artt. 2467 e 2497-quinquies cod.civ., nonostante la “esenzione” dall’azione revocatoria assicurata dall’art. 67, co. 3, lett. e) l.fall., rinviamo alla soluzione del corrispondente problema posto dal rimborso dei finanziamenti-soci in esecuzione di un Accordo di ristrutturazione (supra, n. 3.4.).

631


Saggi

6. Il sostegno del Concordato Preventivo di risanamento “indiretto”. Il sostegno finanziario dell’operazione di risanamento c.d. “indiretto” dell’impresa ammessa al Concordato Preventivo costituisce il problema di maggiore rilevanza presentato da tale fattispecie, stante la evidente, totale mancanza della prededucibilità dei crediti (bancari o commerciali) concessi al soggetto (la “NewCo”) che deve perseguire il tentativo di risanamento dell’impresa, e che versando in bonis non è diversa da qualsiasi altra impresa sul mercato, e non può contare su “incentivi” di sorta (non essendo, per definizione – ancora –, in crisi). La “NewCo”, d’altro canto, è posta nella condizione di dovere finanziare lo start up dell’attività d’impresa senza potere contare su disponibilità economiche di pronta acquisibilità, perché i crediti prodotti dalle vendite (ed in generale dalle prestazioni) anteriori all’affitto dell’azienda sono di pertinenza dell’affittante (e per esso della “sua” Procedura di Concordato); mentre i crediti per le prestazioni effettuate successivamente all’affitto di azienda, saranno caratterizzati dai normali (ammesso che rimangano tali!) tempi di incasso connessi alle dilazioni commerciali concesse ai clienti. Al finanziamento dello start up si aspira a procedere, sovente, mediante la compensazione dei debiti di immediata maturazione verso l’affittante (prelievo di materie prime e semilavorati dal magazzino; pagamento dei prodotti finiti rivenduti ai clienti; canoni di affitto dell’azienda e/o dello stabilimento industriale) con l’accollo di debiti per corrispondenti importi dell’affittante verso terzi, che l’affittuario ritiene di potere fronteggiare diluendone il pagamento nel medio-lungo termine. Caratteristico esempio di tale fenomeno è l’accollo da parte dell’affittuario–cessionario delle obbligazioni pregresse dell’affittante (in Concordato) per il TFR maturato in favore dei lavoratori dipendenti: ma tale esempio, nonché essere quello più ricorrente, rischia anche di essere l’unico prospettabile. L’accollo di debiti pregressi dell’imprenditore in Concordato Preventivo da parte di un terzo (nel caso di specie, l’affittuario) produce tendenzialmente il soddisfacimento integrale del creditore accollato (salva l’ipotesi di successiva insolvenza anche dell’accollante). Tale effetto può essere in definitiva accettato, nel Concordato Preventivo, esclusivamente con riguardo alle passività cc.dd. “superprivilegiate”, il cui soddisfacimento integrale anche in ipotesi di liquidazione alternativa (i.e., fallimentare) del patrimonio dell’imprenditore “in stato di crisi” non potrebbe essere messo in discussione.

632


Sido Bonfatti

Il principio deve essere desunto dalla regola posta dall’art. 105, u. co., l.fall., che in materia di liquidazione dell’attivo fallimentare, assoggetta l’utilizzo della accollabilità di debiti pregressi in funzione di pagamento del prezzo dovuto dall’acquirente alla condizione che “non (venga) alterata la graduazione dei crediti”. Il “serbatoio” delle passività pregresse accollabili dall’affittuario-cessionario dell’azienda per il pagamento delle obbligazioni sorte nei confronti dell’affittante-cedente in Concordato Preventivo in conseguenza del contratto d’affitto d’azienda (con l’obbligo o opzione di acquisto della stessa) deve pertanto ritenersi necessariamente limitato – in buona sostanza – ai crediti da lavoro dipendente, oppure ai crediti assistiti da pegno, ipoteca o privilegio speciale (beninteso capienti rispetto al presumibile valore dei realizzo dei beni vincolati).

Sido Bonfatti

633



Pratiche commerciali scorrette e trasparenza bancaria Sommario: 1. Premessa. – 1.2. Delimitazione dell’ambito soggettivo e dell’ambito oggettivo. – 2 La “concorrenza” della disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette con quella in materia di trasparenza bancaria: conflitto “apparente” di norme? – 2.1. La disciplina in tema di “portabilità” dei mutui. – 2.2. Gli annunci pubblicitari. 2.3. La commissione di massimo scoperto. 3 – Conclusioni.

1. Premessa. Fin dal momento della approvazione, da parte del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea, della direttiva 2005/29/CE dell’11 maggio 2005 sulle “pratiche commerciali sleali” il settore bancario ha iniziato ad interrogarsi sul tipo di incidenza che la stessa direttiva, e la normativa domestica che ne sarebbe scaturita (segnatamente il d. lgs. n. 146 del 2007, entrato in vigore il 21 settembre 2007, che ha inserito all’interno del Codice del consumo la disciplina delle pratiche commerciali “scorrette”), avrebbe avuto sull’area della attività bancaria tipica 1. Tuttavia, già a partire da quel primo approccio, i compliance officers delle banche ebbero chiaro come – essendo la normativa relativa alle pratiche commerciali scorrette di natura “generalista” (seppur, a sua volta, di natura “speciale”, in quanto destinata a trovare applicazione soltanto alle relazioni tra professionista e consumatore), ed essendo invece quello bancario un ambito caratterizzato da una normazione di settore particolarmente intensa ed analitica da parte delle Autorità creditizie – sarebbe stata tutt’altro che eventuale la possibilità di una vera

1 Debbono al riguardo ricordarsi due circolari diramate dall’Associazione Bancaria Italiana: la Circolare Serie legale n. 18 del 12 ottobre 2005, e la Circolare serie legale n. 21 del 21 novembre 2007.

635


Saggi

e propria sovrapposizione di discipline (quella “generalista” e quella di settore) in relazione a singole fattispecie concrete. Restava peraltro privo di risposta l’interrogativo in ordine alle possibili conseguenze di detta sovrapposizione, interrogativo reso ancora più rilevante ed urgente dalla constatazione che l’ambito delle pratiche commerciali scorrette viene ricondotto (non già alla tutela delle autorità creditizie ma) ad un differente dominus, dotato all’uopo di poteri specifici, istruttori (che possono attivarsi anche d’ufficio) e sanzionatori: l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (art. 27, co. 1, Codice del consumo). La sovrapposizione di discipline, cioè, genera anche, conseguentemente, la possibilità di una sovrapposizione di ambiti di intervento 2. 1.2. Delimitazione dell’ambito soggettivo e dell’ambito oggettivo. Reso evidente dall’art. 19, co. 1, cod. cons., che l’ambito preso in considerazione è quello dei rapporti tra banca (in quanto “professionista”, ai sensi dell’art. 18, co. 1, lett. b) e consumatore (come definito dall’art. 18, co. 1, lett. a), e che l’oggetto dei contratti bancari può senz’altro ricondursi alla nozione di “servizi”, ricompresa in quella di “prodotto” di cui all’art. 18, co. 1, lett. c), per quanto riguarda la demarcazione dell’ambito oggettivo è ancora all’art. 19 cod. cons. che occorre rifarsi, laddove si riferisce a “pratiche commerciali scorrette poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto”, tenuto conto della definizione di pratica commerciale come “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori” (art. 18, co. 1, lett. d). Nonostante una considerazione di carattere generale espressa in dottrina – quella, cioè, secondo la quale, nonostante l’applicazione temporale “a tutto campo” della disciplina, le fasi particolarmente “sensibili” sarebbero essenzialmente quella precontrattuale e quella di promozione del prodotto 3 – non è impossibile, neppure con riguardo all’applicazione di tale

2 Sul punto è esplicita Tarantola, La Banca d’Italia e la tutela del consumatore nei servizi bancari e finanziari, relazione svolta al convegno su La riforma del codice del consumo: la tutela del consumatore-cliente nei servizi bancari e finanziari, Roma 19 marzo 2010, in http://www.bancaditalia.it/interventi/intaltri_mdir/tarantola_19_3_10.pdf, 13. 3 Così Partisani, Commento all’art. 19, in Codice ipertestuale del consumo, diretto da Franzoni, Milano, 2008, p. 75; di uguale avviso Tripodi e Battelli, Commento agli artt. 18-

636


Giovanni Falcone

disciplina allo specifico ambito bancario, immaginare situazioni successive alla conclusione del contratto che pure afferiscano alle fattispecie prese in considerazione dalla normativa sulle pratiche commerciali scorrette: si pensi, ad esempio, alle tematiche inerenti la gestione operativa dei rapporti, la “portabilità” degli stessi, nonché l’attivazione di specifici obblighi di protezione chiaramente individuabili dalla normativa di settore. Oggetto del presente intervento è un tentativo di indagine sui rapporti tra la disciplina contenuta nel Codice del Consumo relativa alle “pratiche commerciali scorrette” tra professionista e consumatore e la disciplina relativa alla “trasparenza bancaria”. Quest’ultima è stata a sua volta recentemente oggetto di intervento: non soltanto nel t.u.b., il cui titolo VI è stato incrementato di un capo II bis, relativo ai servizi di pagamento, ad opera del d.lgs. n. 11 del 2010; ma anche nelle disposizioni applicative del Cicr e della Banca d’Italia, queste ultime nella nuova edizione del 29 luglio 2009 (intitolate, significativamente, non soltanto alla “trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari”, ma anche alla “correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”), ed anch’esse ulteriormente aggiornate, con provvedimento del 15 febbraio 2010, alla luce delle nuove disposizioni in materia di servizi di pagamento. In realtà l’indagine potrebbe spingersi anche oltre l’ambito dei rapporti tra fonti del diritto: basti pensare alla rilevanza delle norme di autoregolamentazione privata, che pure presiedono alle stesse attività. Tra queste, ad esempio, il Codice dell’Autodisciplina pubblicitaria italiana (e, più specificamente, il suo art. 27), che è di applicazione anche all’attività bancaria, e che può considerarsi come “codice di condotta” ai sensi dell’art. 18, co. 1, lett. f) e dell’art. 21, co. 2, lett. b), la cui applicazione è fatta salva dalla disposizione contenuta nell’art. 19, co. 1 lett. d) e la cui violazione è di per se stessa considerata come pratica commerciale ingannevole. Tuttavia è parso più opportuno – anche in ragione dell’interesse suscitato da recenti interventi della giurisprudenza amministrati-

27, in Codice del consumo, a cura di Tripodi e Belli, Santarcangelo di Romagna, 2008, p. 139. Calvo, Commento agli artt. 18 e 19, in Codice del consumo, a cura di Capobianco e Perlingieri, Napoli, 2009, pp. 68-69, ben evidenzia, invece, come il divieto di pratiche commerciali scorrette colpisca “non solo l’attività preparatoria del contratto, ma anche quella attinente alla fase esecutiva e patologica”; e che la disciplina sulle pratiche scorrette “si estende non solo alla fase “ascendente” relativa alla formazione del contratto, ma tocca anche il segmento “discendente” dell’attuazione del rapporto obbligatorio tra professionista e consumatore finale”. L’A., peraltro, ritiene elettivo campo di applicazione della direttiva quello rappresentato dal contratto di compravendita.

637


Saggi

va – focalizzare l’attenzione sulle ripercussioni applicative dei rapporti tra le due discipline sopra richiamate, perché la natura di tali rapporti finisce inevitabilmente per riflettersi anche sull’atteggiarsi delle relazioni tra le autorità di settore chiamate ad applicarle. In questa prospettiva, ci si è domandati: a) se la concorrenza delle due discipline (quella contenuta nel Codice del consumo e quella in materia di trasparenza bancaria) possa integrare un “concorso apparente” di norme, e, in caso affermativo, quale disciplina debba conseguentemente trovare applicazione; b) individuata la disciplina applicabile, quale debba essere l’Autorità cui riconoscere la titolarità di poteri istruttori e sanzionatori in merito ai casi di comportamenti che rappresentino, allo stesso tempo, una violazione di entrambe le discipline. Tuttavia, non è da sottacersi come un tema ulteriore sia quello delle stesse conseguenze di natura civilistica sulle fattispecie negoziali coinvolte: talora le discipline di settore contengono specifiche disposizioni al riguardo (solo a titolo di esempio, si pensi al contenuto dell’art. 117 t.u.b.), mentre l’applicazione della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette pone all’interprete delicati problemi in ordine alle sorti del contratto, giacché nulla statuisce esplicitamente in ordine a tale aspetto 4 (salva la possibilità di fare ricorso alla categoria della “nullità virtuale” 5; ovvero, come appare più convincente, alla annullabilità per dolo 6); di talché appare necessario verificare come il compimento di una pratica vietata possa riverberarsi sui rimedi di diritto comune, o anche su quelli previsti dalla normativa speciale di settore. Sicché ove, per ipotesi, un contratto perfezionato tra la banca ed il consumatore si appalesi come concluso tanto in violazione della disciplina sulle pratiche commerciali “scorrette”, quanto in violazione della disciplina specifica di trasparenza occorrerà in concreto verificare quali siano i rimedi di tipo civilistico concretamente applicabili. Del resto, la stessa Agcm ha lamentato la mancanza di specifiche previsioni relativamente alla sorte dei contratti “coinvolti”, auspicando la previsione di una nullità ex lege delle clausole contrattuali “conseguenti a pratiche scorrette” 7.

4

Partisani, Commento, cit., p. 76. Ritiene applicabile l’art. 1418, co. 1, c.c., Calvo, Commento, cit., p. 71. 6 Questa è la ricostruzione di Maugeri, Violazione della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette e rimedi contrattuali, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 477 ss. 7 Così nel testo dell’audizione del Presidente della Agcm davanti alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati del 17 novembre 2009, su Il credito al consumo. 5

638


Giovanni Falcone

2. La “concorrenza” della disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette con quella in materia di trasparenza bancaria: conflitto “apparente” di norme? Tanto la direttiva quanto le disposizioni contenute all’interno del Codice del Consumo contengono alcune disposizioni in linea di principio dirette a definire una serie di relazioni con discipline potenzialmente regolatrici delle medesime fattispecie. Quanto alla direttiva comunitaria, infatti, sono da ricordare le disposizioni di cui all’art. 3, par. 4 (“in caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali specifici aspetti”) 8 e par. 9 (“in merito ai “servizi finanziari” definiti alla direttiva 2002/65/CE (…) gli Stati membri possono imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla presente direttiva nel settore che essa armonizza”). Quanto alla disciplina domestica, deve tenersi conto anche dell’art. 19, co. 3, cod. cons., secondo cui “in caso di contrasto, le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici” 9. Il tenore letterale tanto della norma comunitaria quanto di quella domestica potrebbe portare a concludere che la disciplina “speciale” (vale a dire quella “di settore”) debba trovare applicazione, sia pur relativamente ad uno specifico aspetto, quando quest’ultimo non soltanto sia stato previsto da quella stessa disciplina, ma altresì fatto oggetto di disposizioni contrastanti. Non basterebbe, dunque, una mera “diversità”

8

Tale norma è da porre in correlazione con quanto previsto nel considerando n. 10, che si esprime nel senso per cui “la presente direttiva si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni ai consumatori. Essa offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una specifica legislazione di settore e vieta ai professionisti di creare una falsa impressione sulla natura dei prodotti. Ciò è particolarmente importante per prodotti complessi che comportano rischi elevati per i consumatori, come alcuni prodotti finanziari”. 9 Sulla corrispondente previsione contenuta nella direttiva comunitaria, si veda Broggiato, La direttiva 2005/29/CE “sulle pratiche commerciali sleali”, in Dir. banc., 2006.

639


Saggi

di disciplina 10. In realtà, più probabilmente, entrambe le disposizioni devono essere interpretate alla luce di questo previsto dal considerando n. 10 della direttiva, che, invece, fa riferimento unicamente al fatto che già esistano “norme specifiche” che regolano “aspetti specifici”, senza peraltro riferirsi espressamente all’idea di “contrasto”. Con riferimento alla normativa in materia di trasparenza bancaria, è stato rilevato, peraltro, come la stessa non possa considerarsi (eccezion fatta per le disposizioni relative al credito al consumo ed ai servizi di pagamento, oggetto, rispettivamente, delle direttive 2008/48/CE – la cui implementazione a livello domestico è tutt’ora in corso – e 2007/64/CE, cui è stata data attuazione attraverso il d.lgs. n. 11 del 2010) espressione del recepimento di una normativa comunitaria 11. Non sembra, pertanto, che criteri di discrimine quanto alla normativa applicabile – per l’ipotesi in cui la disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette e quella di trasparenza si trovino a regolare la medesima fattispecie – possano essere tratti dalla direttiva, né dal citato art. 19 del Codice. Peraltro, neppure l’elaborazione giurisprudenziale sembra allo stato pervenuta a delineare un univoco inquadramento del tema. Il 3 dicembre 2008, la prima Sezione del Consiglio di Stato ha reso il parere n. 3999/2008, prendendo in considerazione, per l’appunto, la sovrapponibilità di discipline (nella specie, quella contenuta nel Codice del Consumo e quella contenuta nel t.u.f.: si verteva, infatti, in tema di trasparenza e correttezza dei professionisti operanti nell’ambito dei servizi di investimento), e pervenendo alla conclusione che deve escludersi al riguardo la competenza dell’Autorità Garante, riconoscendo invece quella della Consob. Venivano prese in particolare considerazione le disposizioni di settore che stabiliscono regole e criteri di trasparenza e di completezza delle informazioni che vanno fornite ai risparmiatori, nonché regole di correttezza degli operatori del settore. L’argomentazione logica seguita al riguardo dal Consiglio di Stato prende le mosse dal riconoscimento – pervero alquanto contestato – del-

10 Di questo avviso pare invece essere Massa, Commento all’art. 19, in Codice del consumo, a cura di Cuffaro, Milano, 2008, p. 19. 11 Così Clarich, Le competenze in materia di diritto dei consumatori delle autorità di regolazione settoriale, relazione presentata al convegno Il diritto dei consumatori nella crisi e le prospettive evolutive del sistema di tutela, Roma 29 gennaio 2010, in www.agcm. it, p. 9.

640


Giovanni Falcone

la identità degli interessi perseguiti dalle due discipline 12, e prosegue con la successiva applicazione del principio di specialità, pervenendo in tal modo alla conclusione che “la normativa di ordine speciale del t.u.f. prevale, anche ai fini della identificazione dell’Autorità competente ad intervenire, sulla normativa di ordine generale di cui al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206”. Nel giungere a tali conclusioni il Consiglio di Stato ha fatto peraltro perno (anche) sulla norma, cui già si è fatto cenno, contenuta nell’art. 19, co. 3 (oltre che l’art. 3, paragrafo 4, della direttiva), e sul richiamo alle posizioni espresse dalla Commissione 13. In particolare, in applicazione del principio del “ne bis in idem formale”, il Consiglio ha escluso la possibilità di una doppia applicazione di sanzioni da parte di due autorità amministrative distinte. Come ulteriore argomento a sostegno di questa conclusione, il Consiglio ha ricordato che, nei casi in cui il legislatore ha voluto mantenere una duplicità di competenze, lo ha espressamente statuito (il riferimento testuale è, in particolare, all’art. 67-bis, co. 3, del Codice del Consumo, in materia di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori): segno evidente della necessità, in questo caso, di derogare ad una regola “implicita” (vale a dire proprio quella del ne bis in idem). In realtà vi è un passaggio ulteriore del parere del Consiglio di Stato che pare prendere in considerazione il caso in cui vi sia una disciplina di settore, ma le cui disposizioni non siano perfettamente “sovrapponibili” rispetto a quella generale (nel senso di non “coprire” tutte le fattispecie potenzialmente costituenti l’ambito oggettivo di applicazione di quest’ultima). Ma anche a questo riguardo l’orientamento manifestato dal Consiglio di Stato è nel senso per cui debba prevalere (e trovare unicamente applicazione) la normativa “speciale”: si afferma infatti che “anche per evitare frammentarietà che ripeterebbero la questione a li-

12 Sulla fondatezza dell’affermazione della sussistenza dei medesimi interessi oggetto di protezione esprime dubbi Meo, Consumatori, mercato finanziario e impresa: pratiche scorrette e ordine giuridico del mercato, relazione al convegno La riforma del codice del consumo: la tutela del consumatore cliente nei servizi bancari e finanziari, Roma 19 marzo 2010, in www.agcm.it, p. 6. 13 Ma non anche sull’art. 9 della legge n. 689 del 1981, che stabilisce che “quando uno stesso fatto è punito da (…) una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale”: in quanto, secondo il Consiglio, questa norma presuppone che per entrambe le discipline la competenza ad applicare la sanzione sia di una medesima autorità.

641


Saggi

vello operativo, il confronto a questo proposito è tra due ordinamenti di settore, non tra due strumentazioni operative”, nel senso, cioè, che “la questione non è quella delle diverse strumentazioni e della loro non integrale sovrapponibilità, ma quella dell’identificazione, grazie a questo principio generale, di quale dei due ordinamenti si debba qui invocare, dal che discende l’applicazione dell’inerente strumentazione di intervento” 14. Certo, si pone poi il problema di individuare il “termine di raffronto”, il criterio, in forza del quale si può stabilire una relazione di specialità di una disciplina rispetto ad un’altra. Il Consiglio ritiene che il criterio non debba essere soggettivo, ma essere ricondotto al “settore” su cui va dispiegato l’intervento. Detto settore viene individuato nel mercato mobiliare, concepito dal Consiglio come una specifica “porzione” del mercato generale, con la precisazione, peraltro, che l’operatività del criterio per settore conduce a risultati non dissimili a quelli ottenibili applicando criterio per soggetto, giacché l’investitore viene concepito come una specie del genere consumatore, in quanto destinatario finale di un prodotto standardizzato seppur finanziario. Il ricordato orientamento del Consiglio di Stato è stato valorizzato come espressione di un principio che – benché adottato, nel caso di specie, con riferimento al mercato mobiliare – possa trovare applicazione anche agli altri “segmenti” del mercato finanziario, e, tra questi, al mercato bancario 15. Più in generale, l’applicazione del principio di specialità è stata definita “conclusione ineccepibile” con riguardo a tutti i settori soggetti alla vigilanza di autorità di settore 16. In senso opposto, all’iter argomentativo seguito è stato “rimproverato” il suo implicito fondarsi sulla teoria degli “ordinamenti giuridici settoriali”,

14

Nondimeno, dal parere del Consiglio di Stato è stato tratto l’assunto per cui il principio di specialità non sia destinato ad operare “quando il settore che può apparire speciale si limiti a regolare soltanto alcuni peculiari aspetti dell’attività che necessita dell’intervento”, dovendosi in realtà verificare che nello specifico settore la disciplina appresti un “sistema di controllo compiuto ed esaustivo” Carticala’, L’antitrust in Italia. Il nuovo ordinamento, a cura di Catricalà e Lalli, Milano, 2010, pp. 140-141. 15 Infatti un ampio commento ha dedicato alla ricordata pronuncia l’Associazione Bancaria Italiana, con comunicazione agli associati del 20 marzo 2009. Si vedano inoltre le attualissime considerazioni di Brescia Morra, La correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti nel TUB e nel TUF, intervento al workshop organizzato da Abiformazione su Pratiche commerciali scorrette nel settore bancario e finanziario: un primo bilancio a due anni dall’entrata in vigore della disciplina, Roma 15 dicembre 2009. 16 Libertini, Le prime pronunce dei giudici amministrativi in materia di pratiche commerciali scorrette, in Giur. comm., 2009, II, p. 892.

642


Giovanni Falcone

la cui evocazione, nell’attuale quadro normativo, è stata ritenuta “paradossale” 17. Quanto agli orientamenti manifestati (pervero, non sempre nelle materie attinenti al mercato finanziario, ma comunque in relazione al rapporto tra disciplina generale e discipline settoriali) dal Tar Lazio, questi paiono muoversi – piuttosto che nel quadro del principio di esclusività, fatto proprio dal Consiglio di Stato – nel solco del principio di complementarietà: nel senso che la disciplina del Codice di Consumo viene ritenuta comunque destinata a trovare applicazione laddove quella di settore non disponga specificamente, in quanto la prima viene “ad aggiungersi, da un lato ai normali strumenti di tutela contrattuale, dall’altro, a quelli derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione” 18. Orientamento che si pone in qualche misura in linea di continuità con quelli espressi dagli organi comunitari 19. In altra direzione, si è sostenuto come la sussistenza di discipline di settore abbia una funzione di specificare lo standard di diligenza richiesto all’intermediario ai fini dell’individuazione del carattere scorretto di una pratica. Inoltre, non deve sottovalutarsi la circostanza che il parere reso dal Consiglio di Stato si riferiva al rapporto tra disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette e disciplina dettata dal t.u.f. e dalle relative norme di attuazione: e che, pertanto, il riferimento all’art. 19 del Codice è giustificato, nel contesto di quel parere, dall’essere la disciplina del t.u.f. espressione di una direttiva comunitaria. Forse è proprio questa circostanza a rendere più facilmente “comprensibile” il fatto che l’Agcm abbia di fatto “interrotto” il suo intervento con riferimento alle materie

17

Così Clarich, Le competenze, cit., pp. 16-17; deve peraltro rimarcarsi come, anche nel quadro successivo alla emanazione del Testo Unico, si sia autorevolmente argomentata la delineabilità di un ordinamento (non già bancario) ma “finanziario”: così Porzio, Dall’ordinamento bancario all’ordinamento finanziario, in La nuova legge bancaria, a cura di Rispoli Farina, Napoli, 1995, p. 15 ss. 18 Così TAR Lazio, Sez. I, 6 maggio 2009, n. 6446. Analogamente TAR Lazio, 7 agosto 2009 n. 8004 e TAR Lazio, 15 giugno 2009, n. 5627. 19 A tale riguardo deve farsi menzione innanzi tutto degli orientamenti espressi dalla Commissione europea nel Libro Verde sulla tutela dei consumatori nell’Unione Europea, risalente al 2001; orientamenti che la Commissione è tornata ad esprimere l’anno successivo. Sui contenuti di tali documenti si veda Broggiato, Pratiche commerciali scorrette: dalla direttiva europea alla normativa nazionale di recepimento, in Banc., 2010, 4, p. 74 ss. La Commissione è tornata ad affermare il medesimo principio nel documento del 3 dicembre 2009.

643


Saggi

toccate dalla disciplina dei servizi di investimento, nel mentre lo ha “continuato con forza nel settore bancario” 20. Tuttavia, l’argomento che più appare speso nell’argomentazione del Consiglio di Stato – e che più ha destato critiche presso i commentatori – è, come si è anticipato, la considerazione della identità dell’interesse tutelato dalle due distinte discipline 21. Giova peraltro subito anticipare – e le motivazioni saranno più oltre illustrate – come tali critiche, per quanto possano attagliarsi alla fattispecie presa in considerazione dal Consiglio di Stato (vale a dire il rapporto tra la disciplina contenuta nel Codice del Consumo e quella contenuta nel t.u.f.), possano essere in qualche misura “stemperate” proprio con riferimento al mercato bancario. Si è infatti rilevato, e giustamente, come non sia legittimo argomentare una “identità di interessi tutelati” tra Codice del Consumo e t.u.f., sull’assunto che il primo, ma non il secondo, prende in considerazione specifica la figura del “consumatore”. Il t.u.f., infatti, anche quando si riferisce al cliente “al dettaglio”, fa propria una figura non assimilabile al consumatore 22, e comunque stabilisce una serie di tutele in una prospettiva ultima di protezione del mercato. Tale conclusione, del resto, è avvalorata anche dalla dottrina che, anteriormente, si era posta il proble-

20

Tale comportamento invece appare difficilmente spiegabile per Libertini, La tutela della libertà di scelta del consumatore e i prodotti finanziari, relazione al convegno Il diritto dei consumatori e le prospettive evolutive del sistema di tutela, Roma 29 gennaio 2010, in www.agcm.it, p. 21. 21 Tale considerazione è stata ovviamente contestata anche dalla stessa Agcm, che ha chiarito che gli interessi dei consumatori “sono differenti e solo in parte coincidenti con quelli degli investitori”. Così il Presidente della Agcm nella audizione davanti alla Commissione Finanze e Tesoro VI del Senato relativa a Indagine conoscitiva sugli strumenti di vigilanza europea dei mercati finanziari, creditizi e assicurativi, 17 dicembre 2009. 22 Così Meo, Consumatori, cit., p. 2, il quale evidenzia che “sono clienti al dettaglio di intermediari finanziari anche le persone giuridiche, e non solo le fisiche. E sono tali indipendentemente da qualunque rilievo del fatto che ricevano la prestazione di servizi di investimento o accessori per fini rientranti nel quadro della propria attività commerciale, industriale, artigianale o professionale”. Manifestano dubbi sull’identità di interessi tutelati anche Sandulli e Spagnuolo, L’attribuzione delle competenze in tema di tutela dei consumatori tra l’AGCM e le altre Autorità indipendenti, in Consumerism: rapporto 2009, in www.consumersforum.it, i quali evidenziano l’improcrastinabilità di un intervento normativo risolutivo. Per una maggiore assimilabilità tra la figura del “consumatore” e quella del “cliente al dettaglio” sembra concludere Cardia, La tutela del consumatore nei servizi finanziari, intervento svolto nell’ambito delle iniziative per il ventennale dell’autorità antitrust, Roma 19 marzo 2010.

644


Giovanni Falcone

ma della “esclusività” in forza della “specialità” della disciplina del t.u.f. rispetto alla applicazione della disciplina in materia di clausole vessatorie ai sensi degli artt. 33 ss. Cod. Cons. 23 – escludendola. Ma non sembra che tali conclusioni siano altrettanto legittime con riguardo alla disciplina di trasparenza e di correttezza dei rapporti banca-cliente: infatti, specialmente la nuova disciplina amministrativa in materia sembrerebbe suggerire in maniera più convincente (se non altro) la sussistenza di una maggiormente marcata “assimilabilità” degli interessi tutelati. Inoltre, non meno significativa è la circostanza che la nuova regolamentazione appare più complessa ed articolata (e quindi, tendenzialmente, più “completa” 24). Ove infatti si faccia mente alla disciplina – emanata dalla Banca d’Italia il 29 luglio 2009 – ed intitolata alla “trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”, si legge che “la disciplina sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari persegue l’obiettivo, nel rispetto dell’autonomia negoziale, di rendere noti ai clienti gli elementi essenziali del rapporto contrattuale e le loro variazioni, favorendo in tal modo anche la concorrenza nei mercati bancario e finanziario”, aggiungendo che “il rispetto delle regole e dei principi di trasparenza e correttezza nei rapporti con la clientela attenua i rischi legali e di reputazione e concorre alla sana e prudente gestione dell’intermediario”. Circostanza non irrilevante, poi, è la presenza di talune disposizioni della disciplina destinate ad essere applicate esclusivamente ai rapporti con i consumatori. Inoltre, viene specificato – seppur nella descrizione dei documenti informativi previsti – che la finalità è quella di garantire la correttezza, la completezza e la comprensibilità delle informazioni “così da consentire al cliente di capire le caratteristiche e i costi del servizio, confrontare con facilità i prodotti, adottare decisioni ponderate e consapevoli”. Tali riferimenti si pongono in un’evidente linea di continuità con la stessa definizione di pratica commerciale scorretta, il cui divieto è posto

23 Bessone, Servizi di investimento e disciplina del contratto. Il principio di separazione patrimoniale, “sana e prudente” gestione del portafoglio, conflitto di interessi, in Giur. merito, 2001, p. 1411. 24 A tale riguardo, peraltro, non è mancato un richiamo ad una pronuncia del giudice amministrativo che sarebbe nel senso di negare quel carattere di completezza alla disciplina di trasparenza bancaria Così TAR, Sez. I, 6 aprile 2009, citata in Catricala’ e Lalli, L’antitrust, cit., p. 141.

645


Saggi

in funzione di consentire un corretto comportamento economico del consumatore in relazione al prodotto (art. 20, co. 1) 25. Più in generale nella disciplina in materia di trasparenza viene evidenziato il carattere fondamentale della “informazione” quale strumento essenziale per l’assunzione di decisioni consapevoli da parte (non solo del cliente in generale, ma più in particolare anche) del consumatore. Ancora: si afferma che “la disciplina sulla trasparenza presuppone che le relazioni d’affari siano improntate a criteri di buona fede e correttezza”. Nella disciplina sulle pratiche commerciali scorrette si stabilisce, parallelamente, che “una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale” (art. 20, co. 2) e che quest’ultima deve considerarsi come “il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista” (art. 18, co. 1, lett. h). Sulla base di tali considerazioni, in applicazione dei principi evidenziati dal Consiglio di Stato nel più volte ricordato parere, si potrebbe essere portati a ritenere che, data la coincidenza dell’interesse protetto, debba trovare applicazione, in virtù del principio di specialità, la disciplina di settore (bancario), prescindendo dalla esatta sovrapponibilità degli strumenti predisposti. Si aggiunge, con riferimento al tema dell’identità degli interessi tutelati, che è stato evidenziato come anche con riguardo alla disciplina in materia di trasparenza bancaria, “la tutela del consumatore deriva in qualche modo in via indiretta dalla tutela della stabilità, tramite la minimizzazione del rischio reputazionale” 26. A tutto ciò si aggiunga pure un’ulteriore considerazione: quella che prende spunto dalla constatazione che la disciplina di trasparenza bancaria (ivi incluse anche e soprattutto le norme di tale disciplina applicabili unicamente ai rapporti tra banche e consumatori) trova applicazione sempre e comunque in presenza di un cliente consumatore non altrimenti “declinato”, mentre la disciplina dettata nel Codice del Consumo, invece, trova applicazione, in linea di principio, con riguardo alla figura del “consumatore medio” (art. 20). Sicché la disciplina di settore non solo

25

Sulla rilevanza dell’elemento dell’informazione e della comunicazione si veda ZorIl controllo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sulle pratiche commerciali ingannevoli ed aggressive a danno dei consumatori, in Contr. e impr., 2010, p. 671 ss. 26 Così Clarich, Le competenze, cit., p. 9 del dattiloscritto. zi,

646


Giovanni Falcone

sembra orientata alla tutela dei medesimi interessi (sia pure logicamente “mediati” attraverso il riferimento alle finalità “generali” della vigilanza di cui all’art. 5 del t.u.b.), ma sembra anche, ovviamente con riguardo ai “passaggi” dalla stessa disciplinati, più completa e perfino, talora, più “rigorosa”. Tuttavia, una volta ammesso che, almeno con rispetto al settore bancario, possa predicarsi la coincidenza di interessi tutelati, resterebbe da considerare in che misura ritenere operante il principio di specialità invocato dal Consiglio di Stato: se cioè in maniera “esclusiva”, ovvero soltanto con riguardo ai comportamenti specificamente presi in considerazione dalla disciplina “di settore”, lasciando alla disciplina generale il compito di regolare le ipotesi non regolate. Si riproduce, quindi, il “dilemma” tra l’applicazione del principio di “esclusività” e quello di “complementarietà”. Ora deve riconoscersi come – sebbene l’ambito oggettivo di applicazione della normativa di settore sia tanto quello precontrattuale, quanto quello specificamente negoziale, così come, del resto, quello successivo alla conclusione del negozio (si pensi, in particolare, alla disciplina di gestione dei reclami della clientela) – residuino comunque ambiti “scoperti”, rispetto ai quali sarebbe incongruente – proprio in ragione della “intensità” della regolamentazione – immaginare una assenza di protezione. Sembra allora più convincente l’opinione – del resto mutuata dai citati orientamenti espressi dalla Commissione sul testo della direttiva – nel senso che la disciplina generale, in applicazione del principio di c.d. “complementarietà”, debba comunque trovare applicazione nel colmare quei “vuoti” normativi (filling the gaps). Posizione che, del resto, appare giustificata anche a livello di diritto positivo, giacché il settore in cui la direttiva consente di derogare al principio di armonizzazione massima (art. 3, par. 9) è proprio quello dei “servizi finanziari” (intesi in senso lato 27). Questa sembra essere la stessa posizione assunta dalla Banca d’Italia, nel momento in cui, all’interno della disciplina di vigilanza in materia di trasparenza, afferma che la stessa “si affianca alle disposizioni previste da altri comparti dell’ordinamento in materia di trasparenza e correttezza

27 “Servizio finanziario”, nel linguaggio della direttiva, è “qualsiasi servizio di natura bancaria, creditizia, assicurativa, servizi pensionistici individuali, di investimento o di pagamento”.

647


Saggi

dei comportamenti nei confronti della clientela”, e che “nello svolgimento delle proprie attività gli intermediari considerano l’insieme di queste discipline come un complesso regolamentare integrato e curano il rispetto della regolamentazione nella sua globalità, adottando le misure necessarie”. E, finalmente, si aggiunge che “vengono in rilievo, ad esempio, le norme concernenti (…) le pratiche commerciali scorrette”. Infatti, nel passaggio appena ricordato, le disposizioni della Banca d’Italia – pur non prendendo posizione alcuna sulla possibile “sovrapponibilità” di comportamenti da considerarsi vietati dalle due discipline (stabilendo invece che l’intermediario deve considerare “l’insieme di queste discipline”) – non affermano affatto un principio di esclusività di applicazione per quanto riguarda la normativa di settore. Anzi, il criterio di “complementarietà” appare largamente utilizzato con riferimento a singoli settori partitamente disciplinati (ad esempio, con riferimento agli “annunci pubblicitari” 28). Tali considerazioni possono essere verificate ripercorrendo gli ambiti e dei settori dell’attività bancaria presi in considerazione dall’Agcm nella sua attività ispettiva e sanzionatoria in materia di pratiche commerciali scorrette, e segnatamente: a) la applicazione della disciplina in materia di “portabilità” dei mutui ipotecari; b) gli annunci pubblicitari; c) la commissione di massimo scoperto. 2.1. La disciplina in tema di “portabilità” dei mutui. Mentre la Banca d’Italia – come poc’anzi ricordato – si esprime nei termini di “affiancabilità” di discipline (citando come esempi tanto quella in materia di pratiche commerciali scorrette, quanto quella in materia di “portabilità” dei mutui ipotecari), non sembra che, con riguardo a

28

Con riferimento agli “annunci pubblicitari”, infatti, la Banca d’Italia afferma espressamente il carattere complementare e non esclusivo della disciplina, stabilendo che “rimane fermo quanto previsto dal (…) Codice del Consumo”. In maniera analoga la Banca d’Italia, del resto ha disposto in materia diversa dalle pratiche commerciali scorrette, ma pur disciplinata nel “Codice del Consumo”, vale a dire quella della commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori. A tale riguardo le Istruzioni della Banca d’Italia hanno infatti stabilito che “alle fattispecie previste dall’art. 67-bis del codice del Consumo si applicano, oltre alle disposizioni previste nel medesimo Codice, anche quelle contenute nella presente sezione, ove non sia diversamente disposto”. Addirittura, nei punti 2.1.2., 2.2. e 2.3 della Sezione V, la Banca d’Italia compie una sorta di “integrazione interpretativa” delle due discipline.

648


Giovanni Falcone

quest’ultima, possano porsi dei problemi di “sovrapponibilità” con la disciplina di trasparenza. In questo senso il ricorso al concetto di “affiancabilità” appare particolarmente adatto, sicché non dovrebbe apparire “problematica” la circostanza che l’Agcm abbia provveduto a chiudere una serie di procedimenti istruttori avviati nei confronti di numerose banche, con il riconoscimento della ingannevolezza della pratica 29 (sebbene, a seguito di ricorso giurisdizionale avverso i provvedimenti sanzionatori, il TAR Lazio, con una serie di pronunce 30 abbia escluso la ricorrenza di una pratica scorretta nei comportamenti concretamente addebitati alle banche 31).

29

Si tratta di una serie di provvedimenti emanati nel 2008: PS1187, PS18728, PS1189, PS1190, PS1191, PS1192, PS18733, PS1194, PS1197, PS1198, PS18737, PS18738, PS18379, PS18740, PS18741. 30 Si vedano al riguardo le sentenze emesse dal TAR Lazio il 6 aprile 2009, nn. 3691, 3692, 3689; e TAR Lazio, 24 novembre 2009, n. 11589. 31 Tra gli argomenti più significativi che sostengono le decisioni del giudice amministrativo, si evidenziano in particolare: a) la sussistenza di un quadro normativo sostanzialmente incerto (incertezza la cui ricorrenza viene sostanzialmente riconosciuta dal succedersi nel tempo di una serie di interventi normativi che hanno progressivamente condotto a chiarire, in fine, i profili di applicabilità della disciplina), che, sotto il profilo della diligenza professionale richiesta alla banca, esclude la “esigibilità” di un comportamento concretamente diverso da quello tenuto dalle banche; b) l’assenza, quindi, dell’“elemento soggettivo” della pratica scorretta in capo alle banche; c) l’assenza, inoltre, della stessa ricorrenza di una “pratica”, intesa come “una condotta reiteratamente posta in essere dall’operatore commerciale con carattere di apprezzabile omogeneità”; che potrebbe ritenersi sussistere, nel giudizio del TAR, soltanto ove venga data “dimostrazione circa l’effettiva diffusione (sotto i profili quantitativo, geografico, della ripetizione in un arco temporale significativo, nonché della identità con figurativa di taluni comportamenti)”; tra l’altro, la mancata dimostrazione di una sussistenza di una pratica viene anche ricondotta alla circostanza per cui l’Agcm non avrebbe condotto una propria istruttoria, ma avrebbe fatto proprie le risultanze di quelle di una associazione di consumatori, effettuata attraverso la tecnica del c.d. mistery shopping. A margine, sembra di dover rilevare come l’argomentazione fondata sulla mancata ricorrenza di una pratica, intesa dal TAR nello stesso significato attribuito all’elemento oggettivo di una consuetudine, come usus, non appaia del tutto persuasiva, giacché nella definizione fornita dall’art. 18, co. 1, lett. d, Cod. Cons., ci si riferisce a “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”. Non sembra, in altri termini, che dalla definizione contenuta nel Codice sia dato ravvisare come elemento essenziale la reiterazione di un determinato comportamento con caratteri di generalità. Sembra piuttosto a chi scrive che l’elemento oggettivo di una “pratica”, alla

649


Saggi

La competenza dell’Agcm in merito alle eventuali pratiche commerciali scorrette in tema di surrogazioni ai sensi del d.l. 7 del 2007, convertito nella legge n. 40 dello stesso anno, non sembra infatti porre problema veruno in tema di supposta “sovrapponibilità” di discipline di settore, giacché tale disciplina è essenzialmente regolatrice di una fattispecie di “successione nella titolarità del credito” che non rientra, di per se stessa, nell’ambito oggettivo di applicazione della normativa in materia di trasparenza bancaria. Non foss’altro per il fatto che – quand’anche l’argomento possa essere considerato parzialmente “provocatorio” – mentre la disciplina di cui al d.l. n. 7 prende in considerazione la qualità soggettiva del precedente finanziatore (ai sensi dell’art. 8 del decreto questi può essere una banca ovvero un intermediario finanziario), nulla dice – e nulla potrebbe del resto dire, giacché nulla dice l’art. 1202 c.c., cui l’art. 8 del decreto fa riferimento – in ordine alla qualità soggettiva del nuovo finanziatore: il quale ultimo non soltanto potrebbe non essere una banca, ma potrebbe non essere neppure un intermediario, laddove

luce della ricordata disposizione, sia da ricondursi ad un puro e semplice “comportamento” non altrimenti qualificato se non dalle ulteriori specificazioni contenute nel citato art. 18, co. 1, lett. d). Non diversamente pare doversi dedurre dalla definizione di “pratica commerciale tra imprese e consumatori” contenuta nell’art. 2, par. 1, lett. d) della direttiva, dove le pratiche commerciali tra imprese e consumatori sono individuate in “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale (…)”. Si veda al riguardo anche l’opinione espressa dall’Agcm nel provvedimento PS 77, dove il concetto di prassi non viene ricondotto alla pratica generale e costante di un determinato comportamento, sibbene alla “astratta replicabilità” anche di un singolo episodio “nei confronti di una categoria generalizzata di consumatori indipendentemente dal numero concreto di soggetti destinatari di tale condotta”. Di diversa opinione chi, aderendo all’avviso del TAR, ha ritenuto che i comportamenti “devono comunque raggiungere un livello socialmente apprezzabile per giustificare l’intervento dell’autorità amministrativa”, portando ad ulteriore giustificazione la circostanza che, altrove, quando il Codice del consumo ha inteso riferirsi a singoli comportamenti, lo ha esplicitamente chiarito. In quest’ultima prospettiva, Libertini, Le prime pronunce, cit., p. 881. L’Autore ritiene che la “ratio” della necessità di un livello di apprezzabilità dei comportamenti scorretti sia da rinvenirsi nella stessa direttiva europea. Sul concetto di “pratica” si veda anche Zorzi, Le pratiche scorrette a danno dei consumatori negli orientamenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Contr. e impr., 2010, p. 433 ss. Si segnalano peraltro TAR Lazio, 11 giugno 2009, n. 5570, ove si enuncia il principio per cui “l’affermata sporadicità di una pratica (…) non integra idoneo fondamento giustificativo al fine di escluderne la sussumibilità in una tipologia di condotta (…) stigmatizzata dalle indicate disposizioni del d.lgs. 206/2005”. TAR Lazio, 8 aprile 2009, n. 3722 sembra affermare il principio per cui la ripetitività o la pluralità di una pratica può eventualmente costituire una aggravante ai fini sanzionatori.

650


Giovanni Falcone

il mutuo (perché di mutuo deve necessariamente trattarsi) – che, si ricordi, non è un contratto bancario – venisse concesso al di fuori di una attività professionalmente svolta avente tale oggetto 32. Sennonché, proprio per le considerazioni appena formulate, neppure le pronunzie del giudice amministrativo ora rievocate appaiono indice di un orientamento – suppostamente avverso a quello manifestato nel più volte ricordato parere del Consiglio di Stato – volto a riconoscere che la disciplina di trasparenza non ha carattere assorbente rispetto a quella in materia di pratiche commerciali scorrette: per la semplice e lineare circostanza che quelle pronunce in nulla si occupano di disciplina di trasparenza 33. Era pertanto del tutto legittimo ed attendibile che l’Agcm tornasse ad occuparsi della materia disciplinata dal d.l. n. 7 del 2007: con riferimento a pratiche consistenti in nell’impedire o rendere oneroso per i consumatori l’effettuazione dell’operazione di c.d. portabilità attiva o quella passiva 34; nel consigliare ai consumatori di rivolgersi ad un notaio a proprie spese per ottenere la cancellazione dell’ipoteca piuttosto che attivare la “procedura semplificata” prevista dal d.l. n. 7 e comunque nel tenere una condotta dilatoria rispetto alle richieste di cancellazione di ipoteca, o nell’omissione sistematica di riscontro di corrispondenza inoltrata a tal fine da consumatori 35. Vi è peraltro un possibile crinale di frizione anche tra la disciplina del d.l. n. 7 del 2007 e la disciplina di trasparenza: il riferimento è alla tematica della penale per anticipata estinzione dei mutui 36. Qui, peraltro, è da rilevare come il problema toccherebbe unicamente la materia dei mutui fondiari, rispetto alla quale, inoltre, le disposizioni in materia di trasparenza trattano il tema unicamente sotto il profilo del contenuto delle comunicazioni periodiche, stabilendo che queste ultime “includono le modalità per l’estinzione anticipata e gli eventuali oneri connessi,

32 Su tale tematica sia qui consentito fare riferimento a Falcone, Le operazioni di credito fondiario alla luce delle disposizioni del decreto legge n. 7 del 2007, convertito nella legge n. 40 del 2007 (c.d. “decreto Bersani bis”), in Dir. fall., 2007, p. 742. 33 In questa prospettiva, invece, sembra collocarsi l’opinione di Catricala’, L’antitrust, cit., p. 141, che cita al riguardo la sentenza resa da TAR Lazio, 6 aprile 2009, n. 3696 (ritengo che verosimilmente il riferimento sia alla sentenza n. 3686 del 2009). 34 Si veda il provvedimento AGCM n. 19622 del 2009. 35 Si veda il provvedimento AGCM n. 20186 del 2009; su oggetto sostanzialmente analogo il provvedimento n. 20159 del 2010 nonché il provvedimento AGCM n. 20232 del 2009. 36 Presa in considerazione, ad esempio, nel provvedimento AGCM n. 19622 del 2009 e dal provvedimento AGCM n. 20892.

651


Saggi

riportati attraverso il compenso onnicomprensivo” (essendo invece la materia disciplinata dal Cicr in applicazione dell’art. 40, co. 1, t.u.b. 37). 2.2. Gli annunci pubblicitari. Con riferimento alla materia degli annunci pubblicitari effettuati dalle banche (materia che trova la sua disciplina nel § 5 della Sez. II delle Istruzioni della Banca d’Italia in tema di trasparenza), si deve riconoscere come la Autorità di vigilanza bancaria abbia fatto proprie le indicazioni contenute nel parere del Consiglio di Stato – al quale si è già in più occasioni fatto riferimento – nella parte in cui si afferma che, in mancanza di “un dispositivo superiore di risoluzione del conflitto, alla preventiva non-duplicazione si giunge soltanto mediante il coordinamento spontaneo delle Autorità, ovvero attraverso l’autolimitazione unilaterale di una di esse, una volta identificato il rischio di duplicazione e la potenziale competenza di due Autorità”: in materia di annunci pubblicitari, infatti, la Banca d’Italia, al di là di prevedere che questi ultimi debbano essere chiaramente riconoscibili come tali, e chiarire quali elementi debbano essere negli stessi specificati (oltre che stabilire alcune ulteriori particolarità per quanto riguarda gli annunci pubblicitari relativi a operazioni di finanziamento), stabilisce apertis verbis che “rimane fermo quanto previsto (…) dal Codice del Consumo” (applicando, di fatto, una previsione “autolimitativa”). Di fatto l’Agcm non ha mancato di sanzionare talune banche, alla luce della disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette, per incompletezza del messaggio pubblicitario 38, o non rispondenza al vero del suo contenuto 39, o per “prospettazione ambigua” delle modalità di applicazione del tasso di interesse 40. Per la verità, proprio in uno dei procedimenti avviati dall’Agcm in relazione ad annunci pubblicitari, era stata sollevata, da parte della banca autrice della “pratica” oggetto dell’attività istruttoria, la questione della “attrazione” della fattispecie nell’ambito oggettivo di applicazione del-

37

Banca d’Italia, Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti, Sezione IV, § 3.2; si ricorda che, relativamente alle operazioni di credito fondiario, la materia è presidiata direttamente dalla disposizione contenuta nel primo comma dell’art. 40 del t.u.b. e dalle disposizioni applicative dettate dal CICR il 9 febbraio 2000. 38 Provvedimenti nn. 20025, 20301 e 20367 del 2009. 39 Provvedimento n. 19579 del 2009. 40 Provvedimento nn. 19763, 20624 e 28385 del 2009.

652


Giovanni Falcone

la disciplina di settore 41. Tuttavia l’Agcm respinge la prospettazione, sull’assunto che “il quadro di tutela offerto dal Codice del Consumo si aggiunge a quello derivante dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione”. Con riguardo alla materia trattata, inoltre, l’Agcm aggiunge che “nel caso di specie, oltretutto, ciò risulta particolarmente incontrovertibile data la diversità degli interessi tutelati da parte della normativa in materia di pratiche commerciali scorrette rispetto alla normativa in materia di trasparenza di operazioni e di servizi bancari, puntualmente richiamata dal professionista, contenuta nel Testo Unico Bancario (T.U.B.), nella Delibera del Comitato Interministeriale per il credito e il Risparmio (CICR) del 4 marzo 2003 e nei Provvedimenti attuativi della Banca d’Italia”. A fondamento della sua asserzione, l’Agcm è ricorsa all’argomento fondato sul principio di “complementarietà”, ricordando anche l’orientamento manifestato da TAR Lazio, 15 giugno 2009, n. 5625 42 (pronuncia resa peraltro su una vicenda in cui non erano coinvolte pratiche riferibili a banche, sibbene a imprese di telecomunicazione). Il giudice amministrativo, in effetti, aveva ritenuto in quella circostanza che “il procedimento in esame è (…) un esempio, di come il nuovo quadro di tutela offerta dal Codice del Consumo, venga ad aggiungersi, da un lato, ai normali strumenti di tutela contrattuale, dall’altro, a quelli derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione (cfr., al riguardo, l’art. 19 del Codice)”, precisando inoltre che “le norme in materia di contrasto alle pratiche commerciali sleali richiedono ai ‘professionisti’ l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili da siffatte norme, ove esistenti, in parte dall’esperienza propria del settore di attività, nonché dalla finalità di tutela perseguita dal Codice, purché, ovviamente, siffatte condotte siano loro concretamente esigibili in un quadro di bilanciamento, secondo il principio di proporzionalità, tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale (in tal senso, opera soprattutto il modello, di derivazione comunitaria, del c.d. consumatore medio)”. In ogni caso, come anticipato, la questione pare ormai assorbita per effetto dell’intervento della Banca d’Italia, che nelle “nuove” disposizioni in materia di trasparenza (la vicenda ora rievocata era tra l’altro regolata

41

Il riferimento è al procedimento PS2082, culminato nel provvedimento n. 20385. Il cui testo è rinvenibile in http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/ Roma/Sezione% 201/2009/200900619/Provvedimenti/200905625_01.XML. 42

653


Saggi

dalla disciplina pregressa), ha essa medesima affermato la “concorrenza” tra le discipline (pare di poter comprendere, sul presupposto della applicazione di un principio di “complementarietà”). 2.3. La commissione di massimo scoperto. Un’interessante “cartina di tornasole” della discussione sul tema della “sovrapponibilità” (e, soprattutto, degli effetti di tale “sovrapponibilità”) tra disciplina del Codice di Consumo in materia di pratiche commerciali scorrette e disciplina “di settore” è, da ultimo, rappresentata dagli orientamenti manifestati dalla Agcm sulla cosiddetta “commissione di massimo scoperto” applicata dalle banche, e sul regime commissionale adottato dalle stesse a seguito della entrata in vigore dell’art. 2-bis della legge n. 2 del 2009, di conversione del d.l. 185 del 2008. Interpretata dalle banche prevalentemente come addebito di una somma calcolata in misura percentuale rispetto all’ammontare del massimo utilizzo dell’apertura di credito nel periodo di riferimento, tale condizione aveva determinato un dibattito – vivo soprattutto presso la giurisprudenza di merito – relativamente alla sussistenza di una “causa” che la potesse giustificare, oltre che una serie di interrogativi sulle ragioni che giustificassero la esclusione di tale voce dal calcolo del TEGM ai fini della applicazione della normativa in tema di usura 43.

43 Un’analitica ricostruzione di tale dibattito in Antonucci, La commissione di massimo scoperto fra usura, trasparenza e parziale divieto, in Nuova giur. civ. comm., 2009, II, p. 319 ss., che stigmatizzava la circostanza che la commissione di massimo scoperto non fosse presa in considerazione al fine della ricostruzione del c.d. “tasso soglia”. Il comma 2 dell’art. 2-bis del decreto legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009 ha poi previsto che “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 del codice civile, dell’art. 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 1 marzo 1996, n. 108. Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione dell’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”. Il Ministero dell’economia e delle finanze ha conseguentemente emanato il decreto 24 giugno 2009, e la Banca d’Italia reso operative le sue nuove Istruzioni.

654


Giovanni Falcone

L’Agcm, in una serie di istruttorie avviate nei confronti di alcune banche 44, aveva rimarcato come, ad una condotta consistente nella applicazione della commissione oltre i limiti dell’affidamento (per i conti affidati) e sui conti sconfinati (per quelli non affidati) non si accompagnasse una adeguata informativa nei confronti della clientela: informativa che avrebbe dovuto involgere la “natura” e la “ratio” della commissione, nonché le modalità di calcolo. Da evidenziare come, proprio nel richiedere la manifestazione della ratio della commissione, l’atteggiamento dell’Agcm si sia mostrato sostanzialmente sintonico con i ricordati orientamenti nel frattempo manifestati dalla giurisprudenza di merito, volti a sottolineare l’assenza di una “causa”. È pure da evidenziare come le fattispecie prese in considerazione dall’Agcm non afferissero al tema degli annunci pubblicitari, ma al contenuto sostanziale delle informazioni rese ai clienti attraverso gli strumenti previsti dalla disciplina di settore. Anzi, in taluno dei procedimenti, l’Agcm contestava direttamente il mancato rispetto delle disposizioni dettate dal CICR il 4 marzo 2003 in materia di fogli informativi analitici 45, dunque il mancato rispetto della stessa normativa di settore. I procedimenti avviati dall’Agcm, a seguito di presentazione di impegni da parte delle banche coinvolte 46, si chiudevano con provvedimento che dichiarava obbligatori detti impegni senza accertare l’infrazione, e con richiesta di informativa entro un termine allo scopo assegnato, in ordine alle modalità di attuazione degli impegni stessi. Sopraggiungeva peraltro il citato art. 2-bis del d.l. n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009, che stabiliva (e stabilisce) che “sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo conti-

44

PS1731, 1732, 1733, 1734. Procedimenti PS1732 e PS1734. 46 Gli impegni presi dalle banche coinvolte, e in seguito resi obbligatori dall’Agcm, presentavano in generale come caratteristica comune una ristrutturazione del sistema commissionale, in particolare prevedendo, accanto alla tradizionale commissione di massimo scoperto (di cui peraltro si sarebbe provveduto a dare la più chiara rappresentazione, soprattutto con riferimento alla “natura” e alla ratio, richiesta dall’Agcm), una “commissione sull’accordato”, o “commissione per il servizio di disponibilità immediata fondi” o “commissione di mancato utilizzo”, lasciando la facoltà di scegliere l’una o l’altra opzione al correntista, e prevedendo una serie di strumenti informativi per dare contezza di tale meccanismo, tanto per i correntisti attuali, quanto per i nuovi clienti. 45

655


Saggi

nuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido. Sono altresì nulle le clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, salvo che il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e proporzionale all’importo e alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente e sia specificamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale e con l’indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento”. Con modifica introdotta dal d.l. n. 78 del 2009, si prevede pure che “l’ammontare del corrispettivo onnicomprensivo di cui al periodo precedente non può comunque superare lo 0,5 per cento, per trimestre, dell’importo dell’affidamento, a pena di nullità del patto di remunerazione”. Al di là dei problemi di diritto transitorio suscitati dalle modalità di introduzione del nuovo sistema commissionale (per favorire il quale il co. 3 dello stesso art. 2-bis aveva previsto una presenza di “giustificato motivo ex lege” tale da consentire l’attivazione del meccanismo di cui all’art. 118 del t.u.b.), l’entrata in vigore della nuova normativa ha condotto l’Agcm a riaprire il procedimento già concluso “in considerazione del mutato contesto normativo di riferimento”: peraltro il procedimento veniva nuovamente chiuso, alla luce della circostanza che “una compiuta valutazione dei fatti di causa non può prescindere da un’analisi degli effetti economici delle nuove strutture commissionali (…) all’interno dei rapporti contrattuali di conto corrente e di affidamento intrattenuti tra i consumatori ed il professionista”, e che tale analisi “può essere effettuata solo attraverso il potere segnalatorio dell’Autorità”. L’Agcm, pertanto, deliberava di rendere noto a Parlamento, Governo e Banca d’Italia il proprio avviso in merito ai contenuti delle nuove strutture commissionali 47. È significativa, peraltro, la circostanza che l’azione dell’Agcm non abbia preso forma nell’avvio di procedimenti istruttori relativi alla appli-

47

656

A tanto l’Agcm provvedeva con segnalazione del 30 dicembre 2009.


Giovanni Falcone

cazione di pratiche commerciali scorrette, quanto, invece, nella attività di impulso in ragione di considerazioni di politica legislativa: l’invito che l’Autorità rivolge il legislatore a “considerare le criticità” generate dal nuovo impianto commissionale consentito dalla novella legislativa, ed “a porvi rimedio” – dopo aver effettuato le proprie “osservazioni” – è infatti espresso “ai sensi e per gli effetti di tutela dei consumatori di cui all’articolo 47 della l. 23 luglio 2009, n. 99”. Ed in effetti, con riguardo alla tematica della commissione di massimo scoperto, ed in particolare all’informativa da rendersi alla clientela, la nuova disciplina in materia di trasparenza dettata dalla Banca d’Italia appare particolarmente dettagliata: vi si precisa, in particolare, che “se l’intermediario inserisce nelle offerte relative a contratti destinati ai clienti al dettaglio forme complesse di remunerazione degli affidamenti o degli sconfinamenti, quali la commissione di massimo scoperto o altre che prevedono una pluralità di voci di costo, le relative condizioni sono spiegate nel foglio informativo in modo da chiarire al cliente il significato delle varie voci di costo”. Si aggiunge che, per le forme di remunerazione degli affidamenti offerti ai clienti al dettaglio – e tra questi vi sono i consumatori – “l’intermediario fornisce nel foglio informativo anche alcuni esempi formulati con riferimento a ipotetici casi di utilizzo del fido”. Tali tematiche appaiono ulteriormente sviluppate nella successiva audizione del Presidente dell’Agcm davanti alla VI Commissione (Finanze e Tesoro) del Senato 48, dove viene evidenziato il peso eccessivo delle nuove strutture commissionali soprattutto per il consumatore per l’applicazione in ipotesi di conto scoperto (e per la quale fattispecie l’Agcm suggerisce a livello legislativo, tra l’altro, l’adozione di un tetto massimo, analogamente a quanto accade con riferimento alle commissioni per la disponibilità di fondi, ovvero la applicazione del solo tasso debitore). Orbene, al di là di quello che potrà essere l’esito dell’invito rivolto al legislatore dall’Agcm, la disciplina della commissione di massimo scoperto – o anche delle strutture commissionali introdotte a seguito della nuova disciplina – si propone come nuovo territorio di incontro (o di scontro) tra la disciplina in materia di pratiche commerciali sleali e disciplina di settore. Con la particolarità, peraltro, che quest’ultima talora ha disciplinato in maniera più dettagliata la materia, ma ha ritenuto essa medesima di stabilire “relazioni” con la disciplina consumeristica,

48 Su Problematiche afferenti alle commissioni di massimo scoperto, 21 aprile 2010, in www.agcm.it.

657


Saggi

richiamandola in alcune circostanze (per chiarire che la stessa trova piena applicazione, secondo il principio di “complementarietà”), ma omettendo di farlo in altre: il pericolo, quindi, è che il maggior dettaglio e il mancato richiamo possano essere interpretati come sintomatici di un animus excludendi facenti perno, piuttosto, sul principio di “esclusività” enunciato dal Consiglio di Stato.

3. Conclusioni. Nell’audizione di aprile 2010 l’Agcm – prendendo spunto dalle tematiche di tutela del consumatore suggerite dalle strutture commissionali applicate dalle banche – non ha mancato di rivendicare il proprio ruolo nella dell’applicazione del Codice del Consumo ai rapporti bancari anche laddove, a ben vedere, detta applicazione, per effetto (questa volta non già di interpretazioni giurisprudenziali ma) del contenuto della legislazione domestica attuativa di normative comunitarie (si pensi alla disciplina del credito al consumo) potrebbe non essere scontata: vale a dire nelle materie disciplinate da altre disposizioni comunitarie (art. 3, par. 4 della direttiva; art. 19, co. 3, Cod. Cons.). È probabilmente proprio questa la ragione per la quale che l’Agcm ha ritenuto opportuno prendere posizione in merito alla attuazione nell’ordinamento domestico della direttiva 2006/48/CEE, sul credito al consumo, in forza della delega al Governo conferita con legge n. 88 del 2009 (art. 33). L’Agcm ha richiamato l’organo legislativo alla “opportunità” di ribadire il quella sede “la contestuale applicazione del Codice del consumo e della vigilanza dell’Autorità garante della concorrenza, allo scopo di evitare incertezze interpretative dannose per il livello di tutela che lo stesso ordinamento comunitario vuole sia garantito ai consumatori anche nel settore bancario, senza alcun pregiudizio delle competenze della Banca d’Italia e della Consob” 49. C’è però da aggiungere che l’espressione “senza pregiudizio delle competenze” delle altre autorità di settore non pare gettare una luce di definitiva chiarezza ed una concreta soluzione in ordine al problema della possibile “sovrapposizione” di discipline: non è chiaro, cioè, da questa espressione, se la soluzione che s’intende proporre sia quella della applicazione del principio di “complementarietà”, sopra illustrato, o non piuttosto quella per cui occasionalmente uno

49

658

Così nella da ultimo citata Audizione del Presidente dell’Agcm.


Giovanni Falcone

stesso comportamento potrebbe (o dovrebbe) essere occasionalmente sanzionato a doppio titolo da due autorità di settore distinte. Dunque le indicazioni del Consiglio di Stato nel senso dell’attivazione di protocolli di intesa tra Agcm e autorità di settore, ovvero nel senso della “autolimitazione” di una di queste sono ancora tutte da progettare (ed effettivamente risultano in corso di progettazione 50); così come rimangono al momento soltanto allo stato di auspicio le indicazioni, provenienti, dalla dottrina 51, volte ad incoraggiare un coordinamento tra autorità di settore volte a definire le rispettive aree di intervento nell’ipotesi di “censure di tipo complesso”: da un lato, di fatti, la Banca d’Italia esprime compiutamente, nell’ambito delle proprie istruzioni in tema di trasparenza, i propri orientamenti in ordine al modo di conformarsi dei rapporti tra disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette e disciplina di trasparenza; dall’altro, l’Agcm, come si è evidenziato, ritiene evidentemente che le motivazioni addotte nel noto parere del Consiglio di Stato non le impediscano di proseguire ed iniziare istruttorie in settori “sensibili” per la disciplina di trasparenza bancaria, auspicando anzi l’affermazione del “principio almeno tendenziale della concentrazione dei poteri ad un’unica autorità” nell’ambito della tutela del consumatore 52. Non mancano neppure, ad oggi, illuminati ed autorevoli spunti volti a fornire ai protagonisti suggerimenti in una prospettiva de jure condendo, o comunque a ipotizzare, anche sulla base del diritto positivo, una soluzione compiuta al problema del riparto di competenze: ad esempio, ritenendo immaginabile una situazione di competenza concorrente tra l’Agcm e l’autorità di settore, risolvendo poi il problema del “ne bis in idem” ritenendo che “il primo accertamento preclude o rende inutiliter dato il secondo” 53.

50

Tarantola, La Banca d’Italia, cit., p. 13, informa che “la collaborazione e il coordinamento tra Agcm e Banca d’Italia sono ancora in fase di definizione” e che “un apposito tavolo tecnico è stato costituito”. 51 Massa, Commento, cit., p. 98. 52 Così il Presidente della Agcm nella audizione davanti alla Commissione Finanze e Tesoro VI del Senato relativa a Indagine conoscitiva sugli strumenti di vigilanza europa dei mercati finanziari, creditizi e assicurativi, 17 dicembre 2009. In quella sede, inoltre, l’Agcm rivendica la necessità che anche gli interventi delle autorità di settore sui mercati finanziari siano adottati previa consultazione delle “istituzioni che tutelano più direttamente i consumatori”, quando determinino “magari perché dettati da situazioni di emergenza, riflessi negativi sul regime di tutela dei consumatori”. 53 Così Clarich, Le competenze in materia di diritto dei consumatori delle autorità di regolazione settoriale, relazione presentata al convegno Il diritto dei consumatori nella crisi e le prospettive evolutive del sistema di tutela, Roma, 29 gennaio 2010, p. 23.

659


Saggi

Ma è di tutta evidenza come la riduzione delle aree di incertezza giuridica deve porsi come obiettivo prioritario non soltanto al fine di delineare un chiaro quadro di rapporti tra autorità amministrative indipendenti, o, ancor più, nel chiarire “le regole del gioco” ai professionisti operanti nei mercati presidiati da autorità di settore (in quanto fatti oggetto delle attività istruttorie ed eventualmente destinatari dei provvedimenti sanzionatori): a ben vedere, infatti, la necessità del chiarimento normativo si pone in ultima analisi come obiettivo prioritario proprio nell’interesse dei consumatori, alla cui tutela si orientano le autorità coinvolte.

Giovanni Falcone

660


I profili transfrontalieri dell’offerta di parti di organismi di investimento collettivo in Italia e a San Marino Sommario: 1. Introduzione. – 2. L’offerta in Italia di quote di OIC sammarinesi. – 2.1. La disciplina sammarinese relativa all’offerta di quote di fondi domestici all’estero. – 2.2. La disciplina italiana relativa all’offerta di quote di fondi esteri sul mercato interno. – 3. L’offerta a San Marino di quote di OIC esteri. Profili storici. – 3.1. La disciplina italiana relativa all’offerta di quote di OICR domestici all’estero. – 3.2. L’attuale disciplina sammarinese relativa all’offerta di quote di OICR italiani. – 4. Conclusioni.

1. Introduzione Il tema dell’offerta di parti di Oic di diritto sammarinese 1 in Italia, e specularmente, il tema dell’offerta di parti di Oicr di diritto italiano 2 a San Marino, rivestono una rilevante importanza tanto normativa quanto pratico-operativa. Dal punto di vista normativo rileva, in particolare, soffermarsi sulle differenze regolamentari che caratterizzano i due sistemi. Da tali dif-

1 Gli organismi di investimento collettivo di diritto sammarinese, c.d. Oic, sono, ai sensi dell’art. 1 co. 1 lett. bb) della Legge sulle Imprese e sui Servizi Bancari, Finanziari e Assicurativi, (legge n. 165 del 17 novembre 2005), “fondi comuni di investimento e organismi esteri che, in forza della normativa in vigore nel proprio Stato di origine, hanno caratteristiche equivalenti ai fondi comuni di investimento”. Una definizione equivalente è contenuta anche all’art. 1 co. 1 lett. q) del Regolamento della Banca Centrale della Repubblica di San Marino n. 2006 – 03. Da tale definizione si evince che rientrano nella categoria degli organismi di investimento collettivo anche i fondi comuni di investimento. 2 Gli organismi di investimento collettivo del risparmio di diritto italiano, c.d. Oicr, sono, ai sensi dell’art. 1 co. 1 lett. m) del t.u.f. “i fondi comuni di investimento e le Sicav”. Anche nel modello italiano, così come in quello sammarinese, i fondi comuni di investimento rientrano nella categoria degli organismi di investimento collettivo del risparmio.

661


Saggi

ferenze derivano, infatti, diversità operative che contraddistinguono la fattispecie dell’offerta di fondi comuni di investimento di diritto sammarinese 3 in Italia rispetto alla fattispecie dell’offerta di fondi comuni di investimento di diritto italiano 4 a San Marino. Dal punto di vista pratico, invece, occorre sottolineare che il fenomeno dell’offerta di Oic sammarinesi in Italia assume grande importanza per le Sg 5 della Repubblica di San Marino, in ragione del fatto che il mercato finanziario interno è di dimensioni limitate, in modo particolare è limitato il mercato c.d. retail, e di conseguenza il territorio italiano diviene il primo importante sbocco all’estero per la diffusione dei prodotti finanziari di diritto sammarinese. Parimenti importante è la fattispecie dell’offerta di Oicr italiani nella Repubblica di San Marino perché il sistema bancario e finanziario sammarinese da sempre mostra una buona propensione alla raccolta del risparmio 6, ne consegue che i gestori italiani potranno ivi trovare clienti facoltosi e potenzialmente interessati ai loro fondi. Ulteriore elemento di attrattività per le Sgr italiane 7 inte-

3 Il fondo comune di investimento di diritto sammarinese, ex art. 1 co. 1 lett. p) della Legge sulle Imprese e sui Servizi Bancari, Finanziari e Assicurativi, c.d. Lisf, è “il patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti, gestito in monte; il patrimonio può essere raccolto mediante una o più emissioni di quote”. 4 Il fondo comune di investimento di diritto italiano, ex art. 1 co. 1 lett. j) del t.u.f. è “il patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti, gestito in monte; il patrimonio del fondo, sia aperto che chiuso, può essere raccolto mediante una o più emissioni di quote”. Le definizioni di fondo comune di investimento contenute nel sistema italiano e in quello sammarinese sono molto simili in ragione del fatto che il legislatore sammarinese ha attentamente analizzato la disciplina italiana prima di emanare la propria diversi anni dopo. 5 La c.d. Sg di diritto sammarinese è la società di gestione di fondi comuni di investimento, ossia ex art. 1 comma 1 lett. z) del Regolamento della Banca Centrale della Repubblica di San Marino n. 2006 – 03 “la società autorizzata, ai sensi della Lisf e del presente regolamento, ad esercitare l’attività E di cui all’Allegato 1 della Lisf, ovvero l’attività F di cui al medesimo Allegato, ovvero entrambe”. Le attività E ed F di cui all’Allegato 1 alla Lisf sono i servizi di investimento collettivo e i servizi di investimento collettivo non tradizionali; cfr. la nota n. 8. 6 A tale proposito l’ultima nota mensile sull’andamento del sistema bancario pubblicata dalla Banca Centrale della Repubblica di San Marino evidenzia che in seguito allo scudo fiscale ter e allo scudo fiscale quater alla fine di agosto 2010 la raccolta totale del sistema è risultata pari a 8,9 miliardi di euro, di cui 2,8 di raccolta diretta e 4,2 di raccolta indiretta; cfr. la nota mensile sull’andamento del sistema bancario sammarinese reperibile sul sito della Banca Centrale della Repubblica di San Marino: www.bcsm.sm. 7 La società di gestione del risparmio, c.d. Sgr, è, ai sensi dell’art. 1 co. 1 lett. o) del t.u.f., “la società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia autorizzata a

662


Marco Bodellini

ressate a operare a San Marino è rappresentato dal fatto che attualmente l’industria sammarinese dei servizi di investimento collettivo 8 è ancora poco sviluppata, e di conseguenza esse potranno affacciarsi su un mercato potenzialmente interessato ai loro prodotti, e sul quale operano ancora pochi competitors. Solo con la Lisf 9 e con il Regolamento della Banca Centrale n. 2006 – 03 10, infatti, sono state gettate a San Marino le fondamenta per la costruzione dell’industria della gestione collettiva del risparmio 11. Prima di questi due interventi legislativi, agli interme-

prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio”. Sulla definizione del servizio di gestione collettiva del risparmio cfr. la nota n. 11. 8 Ai sensi della lett. E) dell’Allegato 1 alla Lisf “per servizi di investimento collettivo si intendono le attività di: a) promozione, istituzione e organizzazione di organismi di investimento collettivo e l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti; b) la gestione del patrimonio di organismi di investimento collettivo di propria o di altrui istituzione, mediante l’investimento avente a oggetto strumenti finanziari, crediti o altri beni mobili o immobili”. Mentre, in base alla lett. F) dell’Allegato 1 alla Lisf “per servizi di investimento collettivo non tradizionali si intendono le attività di promozione, istituzione, organizzazione e gestione, di cui alla Lett. E), svolte limitatamente a organismi di investimento collettivo riservate a clienti professionali o che utilizzano tecniche di gestione non tradizionali”. 9 Legge sulle Imprese e sui Servizi Bancari, Finanziari e Assicurativi (l. n. 165 del 17 novembre 2005). 10 Disciplina dei Servizi di Investimento Collettivo nella Repubblica di San Marino. 11 La terminologia “gestione collettiva del risparmio” è utilizzata dal legislatore italiano all’art. 1 co. 1 lett. n) t.u.f., dove viene definita come il servizio che si realizza attraverso: “1) la promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni di investimento e l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti; 2) la gestione del patrimonio di Oicr, di propria o altrui istituzione mediante l’investimento avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti o altri beni mobili o immobili”; circa tale definizione si veda, Ferro Luzzi, L’assetto e la disciplina del risparmio gestito, in Riv. dir. comm. e dir. gen. delle obbl., 1998, I, p. 191 ss., secondo il quale la gestione, sia individuale che collettiva, è nella sua essenza un fenomeno, una operazione tipicamente, essenzialmente finanziaria; si veda anche, Morosino e Rabitti Bedogni, Manuale di diritto dei mercati finanziari, Milano, 2004, p. 151 ss., secondo cui per gestione collettiva del risparmio si intende la raccolta di capitali da un gruppo di risparmiatori e la gestione complessiva, a fini di rendimento, del patrimonio cumulato (c.d. gestione in monte), diversificata su una vasta gamma di investimenti e quindi con un rischio contenuto; sulla capacità dell’investimento in fondi comuni di garantire maggiore diversificazione degli impieghi e perciò di ridurre il rischio in capo all’investitore si veda anche, Costi, Il mercato mobiliare, Torino, 2008, p. 189 ss. in senso conforme si veda, Sabatelli, La responsabilità per la gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare, Milano, 1995, p. 21 ss. Il legislatore sammarinese ha invece preferito utilizzare per qualificare la medesima attività le definizioni di “servizi di investimento collettivo” e di “servizi di investimento collettivo non tradizionali”; cfr. la nota n. 8.

663


Saggi

diari finanziari sammarinesi (rectius soggetti autorizzati 12) era consentita esclusivamente l’offerta di quote di Oic esteri, attività che rimane ovviamente esercitabile anche sotto la vigenza della nuova disciplina e che sarà esaminata nel corso della trattazione ai paragrafi 3 e seguenti. In concreto, quindi, prima dell’emanazione della Lisf e del Reg. 2006 – 03 i fondi comuni di investimento di diritto sammarinese non trovavano apposita regolamentazione nel sistema normativo interno e di conseguenza non potevano essere istituiti dagli intermediari finanziari locali. Ora che la disciplina sui servizi di investimento collettivo è stata emanata dal legislatore sammarinese e attuata dalla Banca Centrale è verosimile ritenere che molti intermediari finanziari locali e stranieri interessati a operare in tale settore valuteranno la fattibilità e la convenienza di progetti imprenditoriali da sviluppare a San Marino. Tuttavia, come già rilevato, essendo il mercato finanziario di San Marino, seppur sviluppato, comunque ridotto, tali progetti si soffermeranno attentamente sulla possibilità di offrire prodotti finanziari di diritto sammarinese, tra cui anche quote di Oic, nella vicina Italia.

2. L’offerta in Italia di quote di OIC sammarinesi. Come sottolineato nel paragrafo precedente l’analisi della disciplina concernente l’offerta in Italia di fondi comuni di investimento di diritto sammarinese da parte dei gestori della Repubblica di San Marino è di grande importanza perché tali prodotti difficilmente potranno diffondersi in misura significativa se offerti solo a San Marino, e, a maggior ragione se destinati al piccolo mercato retail interno. È evidente, pertanto, che i gestori di Oic sammarinesi considereranno l’Italia come il primo grande mercato di riferimento per i loro prodotti.

12 I soggetti autorizzati di diritto sammarinese sono ai sensi dell’art. 1 co. 1 lett. nn) Lisf i soggetti che hanno ottenuto l’autorizzazione a esercitare una o più attività riservate ai sensi del Titolo II della medesima legge; le attività riservate previste dall’Allegato 1 alla stessa Lisf sono: a) attività bancaria; b) attività di concessione di finanziamenti; c) attività fiduciaria; d) servizi di investimento; e) servizi di investimento collettivo; f) servizi di investimento collettivo non tradizionali; g) attività assicurativa; h) attività di riassicurazione; i) servizi di pagamento; j) servizi di emissione di moneta elettronica; k) attività di intermediazione in cambi; l) attività di assunzione di partecipazioni.

664


Marco Bodellini

2.1. La disciplina sammarinese relativa all’offerta di quote di fondi domestici all’estero. La Sg sammarinese intenzionata ad offrire le quote dei propri fondi all’estero, deve, ancora prima di adempiere agli obblighi previsti dalla normativa del paese straniero, informare la Banca Centrale della Repubblica di San Marino del proprio progetto, e ottenere da quest’ultima la necessaria autorizzazione. Le norme di riferimento per questa fattispecie sono, da un lato, l’art. 74 Lisf rubricato, “attività all’estero di soggetti autorizzati sammarinesi”, e dall’altro, gli artt. 161 e 162 Reg. 2006 – 03, rubricati, rispettivamente, “stabilimento di succursali o prestazione di servizi senza stabilimento” e, “uffici di rappresentanza all’estero”. La disposizione, di carattere generale, di cui all’art. 74 Lisf, valida per tutti i soggetti autorizzati sammarinesi interessati ad operare all’estero, prescrive al primo comma che “il soggetto autorizzato che intende istituire un ufficio di rappresentanza o una succursale all’estero, ovvero operare all’estero in regime di prestazione di servizi senza stabilimento, ne dà comunicazione all’autorità di vigilanza sammarinese preventivamente alla richiesta all’autorità competente del Paese di insediamento”. Il secondo comma, di seguito, precisa che “l’autorità di vigilanza può vietare al soggetto autorizzato di procedere all’operatività all’estero in relazione alla situazione patrimoniale, finanziaria e organizzativa, ovvero se le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative del Paese di insediamento ostacolano l’efficace esercizio delle funzioni di vigilanza”. Le norme del Reg. 2006 – 03, redatte ad hoc per le società di gestione di fondi, attuando i principi generali dell’art. 74 Lisf, stabiliscono che “la Sg che intende stabilire succursali in paesi esteri o prestare servizi all’estero senza stabilimento, nel rispetto delle disposizioni vigenti nell’ordinamento del paese ospitante, deve presentare alla Banca Centrale una domanda di autorizzazione contenente le seguenti informazioni: a) lo Stato estero nel cui territorio la Sg intende stabilire una succursale o operare in regime di libera prestazione di servizi; b) l’inquadramento dell’iniziativa nella complessiva strategia di espansione della Sg; c) l’attività che la Sg intende effettuare nello Stato ospitante, con particolare riferimento all’offerta di quote di fondi comuni di investimento da essa promossi o gestiti e alle modalità di commercializzazione degli stessi; d) la struttura organizzativa della succursale, l’indirizzo previsto, i nominativi dei dirigenti responsabili 13”.

13

Così l’art. 161, co. 1, Regolamento 2006 – 03.

665


Saggi

Entro novanta giorni dalla ricezione della domanda, la Banca Centrale, valutati gli effetti sulla sana e prudente gestione della Sg e la possibilità di svolgere pienamente i propri controlli di vigilanza, emana un provvedimento di autorizzazione o di diniego all’apertura della succursale all’estero o alla prestazione di servizi senza stabilimento 14. Infine, ex art. 161 co. 3, “successivamente all’autorizzazione, le Sg devono comunicare tempestivamente alla Banca Centrale l’effettivo inizio dell’attività della succursale o della prestazione di servizi senza stabilimento”. Ai sensi dell’art. 162, inoltre, “la Sg può aprire in altri paesi esteri uffici di rappresentanza. L’apertura di uffici di rappresentanza all’estero è sottoposta alle procedure previste dall’autorità competente del paese ospitante. La Sg comunica tempestivamente alla Banca Centrale l’inizio dell’attività dell’ufficio di rappresentanza indicando lo Stato estero di insediamento, il recapito dell’ufficio e l’attività svolta dallo stesso”. Deve rilevarsi che la disciplina sammarinese, contrariamente a quella italiana che sarà di seguito analizzata, non subordina la possibilità per le Sg domestiche di operare all’esterno, né la possibilità per gli Oic di diritto interno di essere offerti fuori dai confini nazionali, all’esistenza di accordi di collaborazione tra l’autorità di vigilanza locale e le autorità del paese straniero di riferimento. È evidente, però, che, essendo la Sg un soggetto autorizzato sammarinese, e in quanto tale sottoposto al controllo di Banca Centrale, qualora intenda operare all’estero, deve ottenere preventivamente l’autorizzazione dell’autorità di vigilanza della Repubblica di San Marino. 2.2. La disciplina italiana relativa all’offerta di quote di fondi esteri sul mercato interno. Esaminata la regolamentazione sammarinese ed individuati, quindi, gli adempimenti che in base a questa i gestori della Repubblica di San Marino devono porre in essere nel proprio paese al fine di offrire le quote dei propri fondi all’estero, occorre a questo punto addentrarsi nella complessa disciplina italiana relativa all’offerta di quote di fondi comuni di investimento di diritto straniero sul mercato interno. A tale proposito, gli artt. 41 e 42 t.u.f. disciplinano i profili transfrontalieri della gestione collettiva del risparmio. In particolare l’art. 41 si

14

666

Così l’art. 161, co. 2, Regolamento 2006 – 03.


Marco Bodellini

riferisce all’operatività all’estero delle Sgr italiane, e simmetricamente, l’art. 42 regolamenta l’offerta in Italia delle quote di fondi comuni di investimento stranieri. La materia è in prevalenza di derivazione comunitaria e più precisamente, discende dalla Direttiva n. 85/611/CEE, che stabilisce le condizioni alle quali è ammessa l’offerta transfrontaliera delle quote di Oicvm in ambito comunitario, e dalla quale deriva la distinzione tra organismi di investimento collettivo “armonizzati”, ossia rientranti nel campo di applicazione della direttiva stessa, e “non armonizzati” ossia non rientranti nel campo di applicazione della direttiva: ai primi, che rientrano nel campo di applicazione della direttiva si applicano i principi del mutuo riconoscimento, i secondi, invece, essendo esclusi dall’applicazione della direttiva non beneficiano del mutuo riconoscimento 15. Lo stesso art. 42 t.u.f. riprende la distinzione tra offerta in Italia di quote di fondi comuni di investimento comunitari, c.d. “armonizzati”, (art. 42, co. 1, t.u.f.), e offerta in Italia di quote di fondi comuni di investimento non rientranti nell’ambito di applicazione delle direttive in materia di organismi di investimento collettivo, c.d. “non armonizzati”, (art. 42, co. 5, t.u.f.). Dalla distinzione tra fondi armonizzati e fondi non armonizzati deriva una diversa disciplina anche in relazione all’offerta delle relative quote in Italia; in particolare, la regolamentazione concernente l’offerta di quote di fondi “non armonizzati” è sottoposta a un maggior numero di oneri e richiede requisiti più stringenti 16. In ossequio alla tecnica normativa di delegificazione prescelta dal legislatore italiano per la redazione del t.u.f., l’art. 42 ha demandato al potere regolamentare di Banca d’Italia e Consob il compito di qualificare gli aspetti operativi della fattispecie. In questa sede interessa analizzare con particolare attenzione la disciplina predisposta dal legislatore e dai regulators italiani con riferimento all’offerta in Italia di quote di fondi comuni di investimento “non armonizzati” 17, dal momento che tutti i fondi di diritto sammarinese rientra-

15

Cfr. sul punto Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2008, p. 216 ss. 16 Così nuovamente, Annunziata, La disciplina, cit., p. 217 ss. 17 Cfr. sul punto le osservazioni fatte da, Colantuoni, Commento all’art. 42, in Il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di Rabitti Bedogni, Milano, 1998, p. 325 ss., secondo cui l’offerta di fondi “non armonizzati” può procedere sia da parte di un Oicr residente in un paese CEE, ma non conforme ai rigidi requisiti contenuti nelle direttive comunitarie, sia da parte di un organismo non residente

667


Saggi

no attualmente all’interno di tale categoria, in ragione della mancata adesione di San Marino all’Unione Europea e allo Spazio Economico Europeo. Come accennato precedentemente, la relativa disciplina è divisa tra normativa primaria (art. 42, co. 5, 6, 7, 8, t.u.f.) e normativa secondaria (Sezione 2, Capitolo V, Titolo VI, del Regolamento sulla Gestione Collettiva del Risparmio della Banca d’Italia). La scarna disciplina di rango primario subordina l’offerta in Italia di quote di fondi “non armonizzati” all’autorizzazione preventiva di Banca d’Italia sentita la Consob 18. L’unica condizione per il rilascio dell’autorizzazione individuata dall’art. 42, co. 5, t.u.f. consiste nella compatibilità 19 degli “schemi di funzionamento” dei fondi di diritto straniero con quelli previsti per gli organismi italiani 20, lasciando poi al Regolamento di Banca d’Ita-

in Europa, e che, per definizione, risulta chiamato fuori dall’applicazione delle stesse direttive. (Ndr) la seconda fattispecie è quella che riguarda i fondi di diritto sammarinese, i quali sono per definizione chiamati fuori dall’applicazione delle direttive comunitarie in ragione della mancata adesione di San Marino all’Unione Europea e allo Spazio Economico Europeo. 18 Così, Picardi, Commento all’art. 42, in Testo Unico della Finanza. Comm. diretto da Campobasso, Torino, 2002, I, p. 376 ss.; si veda inoltre, Costi, Il mercato, cit., p. 216 ss.; cfr. anche, Colantuoni, Commento all’art. 42, cit., p. 325 ss, dove si sottolinea che il soggetto offerente deve necessariamente avviare un procedimento amministrativo finalizzato all’autorizzazione alla commercializzazione in Italia dei propri prodotti. 19 Si veda sul punto quanto osservato da, Annunziata, La disciplina, cit., p. 218 ss., secondo cui il giudizio di “compatibilità” non è un giudizio di “reciprocità”: non è dunque sufficiente che lo Stato di origine del fondo consenta, a condizioni simili, l’offerta nel proprio territorio di fondi italiani, essendo necessario un più complesso accertamento volto a verificare che la struttura del fondo estero sia compatibile con quella dei fondi italiani. 20 Cfr. sul punto le riflessioni di, Colantuoni, Commento all’art. 42, cit., p. 326 ss., secondo cui il riferimento agli schemi di funzionamento dei fondi di diritto italiano implica il rinvio all’art. 37 t.u.f.; secondo l’autore, in ragione delle stringenti limitazioni poste dalla normativa agli investimenti in valori mobiliari, sia in ordine alla tipologia dei valori mobiliari, che alle percentuali che degli stessi possono mantenersi in portafoglio, presumibilmente dovrebbe escludersi la possibilità di commercializzare in Italia fondi off-shore e hedge fund. Questi ultimi sono fondi di investimento aperti che, essendo residenti in territori caratterizzati da legislazioni fiscali favorevoli, godono di regimi impositivi molto contenuti. I fondi off-shore che fanno capo perlopiù a gruppi finanziari, si caratterizzano per avere politiche di investimento definite, legate a specifici mercati e valute, utilizzando preferibilmente strumenti finanziari tradizionali ma con un largo uso di strumenti derivati. Gli hedge funds invece, sono ascrivibili a individui o gruppi indipendenti di gestori che agiscono nell’ambito di organizzazioni molto snelle.

668


Marco Bodellini

lia la determinazione delle relative “condizioni” e “procedure”. Rileva sottolineare, poi, che le attività svolte in Italia da Oicr esteri “non armonizzati” sono assoggettate ai poteri di vigilanza informativa ed ispettiva attribuiti dagli artt. 8 e 10 t.u.f. alla Banca d’Italia ed alla Consob, le quali possono, per le materie di rispettiva competenza, chiedere agli stessi la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti, nonché effettuare ispezioni e domandare l’esibizione di documenti ed il compimento degli atti ritenuti necessari. Destinatari dei poteri informativi della Banca d’Italia e della Consob sono inoltre i soggetti incaricati della commercializzazione delle quote dei fondi esteri in Italia 21. Molto più analitica e capillare della normativa primaria è, invece, la normativa secondaria, la quale precisa fin da subito che essa trova applicazione non solo quando l’offerta di quote o azioni in Italia di Oicr esteri “non armonizzati” è rivolta alla generalità del pubblico, ma anche quando è rivolta unicamente a investitori istituzionali nonché quando viene effettuata ricorrendo a tecniche di comunicazione a distanza 22. Ne consegue che tale disciplina sarà applicata a ogni tipo di offerta di quote di Oicr non armonizzati effettuata in Italia, a prescindere dal numero e dal tipo di destinatari, fermo restando che, qualora l’offerta sia rivolta al pubblico, potranno trovare applicazione le disposizioni sulla sollecitazione all’investimento. La disciplina secondaria ribadisce che competente a rilasciare l’autorizzazione all’offerta in Italia di quote di Oicr non armonizzati è Banca d’Italia sentita la Consob 23.

Essi si prefiggono il raggiungimento di risultati positivi indipendentemente dall’andamento del mercato in cui operano, facendo largo uso di sofisticate tecniche di investimento particolarmente speculative e rischiose (ad es. vendite allo scoperto, leva finanziaria, opzioni allo scoperto, futures e derivati); in senso contrario (dopo l’emanazione del Regolamento) cfr., Picardi, Commento all’art. 42, cit., p. 377 ss., secondo cui dall’art. 37 t.u.f. non sembrano venire indicazioni contrarie alla possibilità di commercializzare in Italia quote di fondi off-shore o di hedge fund. 21 Così, Picardi, Commento all’art. 42, cit., p. 377 ss.; sul punto si veda anche, Colantuoni, Commento all’art. 42, cit., p. 327 ss., secondo cui tali poteri di vigilanza informativa ed ispettiva non sono estensibili nei confronti della società incaricata della revisione e della certificazione del bilancio. L’autore osserva anche che è possibile, nell’ambito degli accordi di cooperazione tra le autorità di vigilanza italiane e quelle degli Stati extracomunitari, concordare modalità per l’ispezione dei soggetti vigilati nei rispettivi territori. 22 Così, il Paragrafo 2.1., della Sezione 2, del Capitolo V, del Titolo VI, del Regolamento sulla Gestione Collettiva del Risparmio, rubricato “ambito di applicazione”. 23 Cfr. sul punto, Di Carlo e Guffanti, Le nuove regole Banca d’Italia per l’autorizzazione all’offerta di quote o azioni di Oicr, in Le società, 2002, 5, p. 637 ss., che sottoline-

669


Saggi

Le condizioni per il rilascio dell’autorizzazione all’offerta di Oicr non armonizzati insediati in paesi extra UE, come San Marino, sono plurime 24; è infatti disposto che “l’autorizzazione è concessa se l’Oicr: 1) ha uno schema di funzionamento compatibile con quelli previsti per gli organismi italiani; 2) è sottoposto nel paese di origine ad adeguate forme di vigilanza da parte di un’autorità di controllo pubblica o riconosciuta da un’autorità pubblica che eserciti sull’attività svolta controlli simili a quelli cui sono sottoposti gli organismi italiani 25; 3) commercializza le proprie quote o azioni nel paese di origine; 4) cura la diffusione di informazioni al pubblico e si avvale di un modulo organizzativo volto ad assicurare l’esercizio dei diritti patrimoniali dei partecipanti residenti in

ano la novità rispetto al passato, in cui tale competenza era attribuita al Ministero del Tesoro. Secondo gli autori, essendo Banca d’Italia competente ad approvare i regolamenti di gestione dei fondi di diritto italiano, appare maggiormente idonea a valutare che gli schemi di funzionamento di un Oicr estero destinato alla commercializzazione in Italia siano compatibili con quelli previsti per i fondi di diritto italiano. 24 Si veda il combinato disposto dei Paragrafi 2.2.1. e 2.2.2., della Sezione 2, del Capitolo V, del Titolo VI, del Regolamento sulla Gestione Collettiva del Risparmio. 25 Per un’interpretazione di questa disposizione, si veda ancora, Di Carlo e Guffanti, Le nuove regole, cit., p. 639 ss., secondo i quali essa crea alcuni problemi interpretativoapplicativi. Le perplessità consistono nel fatto che la norma richiede che l’autorità estera competente per la vigilanza sull’operatività dell’Oicr svolga controlli: i) adeguati; ii) simili a quelli cui sono sottoposti gli Oicr italiani. Se non sussistono problemi relativi all’adeguatezza e similitudine delle forme di vigilanza previsti negli altri paesi UE, altrettanto non può dirsi per i paesi extra UE. Infatti se con riferimento agli ordinamenti di tali paesi si interpreta tale previsione nel senso di richiedere che l’Oicr estero sia assoggettato – nel paese di origine – a vigilanza di tipo regolamentare, informativo ed ispettivo, l’insieme degli Oicr autorizzabili sarebbe contenuto. Ciò in quanto, oltre agli organismi localizzati in paesi a scarsa regolamentazione (c.d. off shore), rischierebbero di non poter essere autorizzati neppure gli organismi istituiti in nazioni il cui ordinamento giuridico preveda – per scelta – forme di vigilanza diverse da quelle previste in Italia, senza necessariamente implicare un minor livello di controllo, e quindi di tutela per il pubblico e per il mercato. La chiave di lettura della norma sembrerebbe risiedere nella successiva previsione – riferita ai soli Oicr insediati in paesi extra UE – secondo la quale l’autorizzazione è subordinata alla “sussistenza di accordi di collaborazione tra le autorità di vigilanza nazionali e quelle del paese di origine dell’Oicr, finalizzati ad agevolare la vigilanza dell’organismo medesimo”. La sottoscrizione di accordi di detta natura potrebbe, dunque, essere interpretata come momento di riconoscimento dell’adeguatezza e similitudine della vigilanza espletata in paesi extracomunitari. (Ndr) la situazione dell’ordinamento giuridico sammarinese è capovolta, nel senso che la disciplina domestica sulla gestione collettiva del risparmio prevede forme di vigilanza regolamentare, informativa ed ispettiva adeguate e simili a quelle previste in Italia, mancano tuttavia accordi di collaborazione tra le autorità di vigilanza dei due paesi.

670


Marco Bodellini

Italia secondo quanto previsto, rispettivamente, dai successivi parr. 2.6 e 2.7; 5) ha responsabili aziendali in possesso di requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza equipollenti a quelli previsti dalle disposizioni italiane vigenti per l’assunzione di cariche presso Sgr e Sicav”. Oltre a questi elementi rilevano anche: “a) la sussistenza di accordi di collaborazione tra le autorità di vigilanza nazionali e quelle del paese di origine dell’Oicr, finalizzati ad agevolare la vigilanza dell’organismo medesimo; b) il rispetto nel paese di origine di condizioni di reciprocità, nei limiti consentiti dagli accordi internazionali”. Come accennato precedentemente, il rilascio dell’autorizzazione da parte di Banca d’Italia ruota principalmente intorno alla compatibilità degli schemi di funzionamento dei fondi esteri, in questa sede sammarinesi, con quelli dei fondi italiani. Nel Regolamento sulla Gestione Collettiva del Risparmio, Banca d’Italia fornisce, anche se solo per principi, una definizione indiretta del concetto di “compatibilità”, specificando che essa è valutata con riguardo, da un lato, alle caratteristiche del prodotto offerto, e dall’altro al depositario dell’Oicr 26. In particolare, ai sensi del paragrafo 2.4. della Sezione 2, del Capitolo V, del Titolo VI del provvedimento di Banca d’Italia, “per consentire tale valutazione, l’Oicr invia alla Banca d’Italia una nota illustrativa, redatta in lingua italiana, nella quale vengono mostrati in modo analitico almeno gli aspetti di seguito indicati, ove non disponibili in altra documentazione allegata alla domanda (in tal caso va indicato il punto del documento dove si trova l’informazione)”: circa le caratteristiche del prodotto offerto devono essere indicati: 1) gli investimenti consentiti all’Oicr e il grado di rischio connesso con la sottoscrizione delle quote o azioni; 2) le categorie di investitori cui è destinata l’offerta delle quote o azioni, sia nel paese di origine che in Italia; – le modalità di partecipazione all’Oicr, con particolare riferimento alla

26

Così nuovamente, Di Carlo e Guffanti, Le nuove regole, cit., p. 637 ss., i quali rilevano, richiamando il Paragrafo 2.4. (schema di funzionamento dell’Oicr non armonizzato), che Banca d’Italia subordina il rilascio dell’autorizzazione ad una valutazione dei seguenti aspetti relativi all’Oicr estero: “gli investimenti consentiti all’Oicr e il grado di rischio connesso con la sottoscrizione delle quote o azioni; le categorie di investitori cui è destinata l’offerta delle quote o azioni, sia nel paese di origine che in Italia; le modalità di partecipazione all’Oicr, con particolare riferimento alla frequenza di emissione e rimborso delle quote o azioni nonché all’ammontare minimo della sottoscrizione; la forma (es.: aperta o chiusa) dell’Oicr; la struttura giuridica (es.: contrattuale o statutaria) dell’Oicr; le regole prudenziali di investimento e frazionamento del rischio cui è soggetta l’attività di investimento; l’informativa resa ai partecipanti.

671


Saggi

frequenza di emissione e rimborso delle quote o azioni nonché all’ammontare minimo della sottoscrizione; 3) la forma (es.: aperta o chiusa) dell’Oicr; 4) la struttura giuridica (es.: contrattuale o statutaria) dell’Oicr; 5) le regole prudenziali di investimento e frazionamento del rischio cui è soggetta l’attività di investimento; 6) l’informativa resa ai partecipanti; mentre con riferimento al depositario deve essere specificata l’esistenza di un depositario cui sia affidata la custodia dei beni dell’Oicr, in grado di assicurare lo stesso livello di protezione degli investitori previsto dalle disposizioni italiane vigenti. L’elencazione delle caratteristiche del prodotto offerto che saranno valutate da Banca d’Italia ai fini del rilascio dell’autorizzazione fa chiarezza rispetto al passato 27. Tuttavia un altro aspetto importante da valutare nell’ottica della compatibilità tra fondi italiani e fondi esteri consiste nelle innovazioni introdotte dal d.m. 24 maggio 1999 n. 228, il quale ha attribuito ai gestori italiani la possibilità di istituire nuove tipologie di fondi rispetto al passato. Tale evoluzione normativa ha permesso l’introduzione di nuove tipologie di Oicr in Italia, e alla luce dell’approvazione del Provvedimento, amplia il concetto di compatibilità, permettendo – almeno sul piano teorico – il riconoscimento di un numero maggiore di Oicr di diritto estero 28. Il Paragrafo 2.4. lett. B), come appena rilevato, prevede “l’esistenza di un depositario 29 cui sia affidata la custodia dei beni dell’Oicr, in grado

27

Cfr. artt. 8 e segg. del d.m. n. 228/1999. Così, Di Carlo e Guffanti, Le nuove regole, cit., p. 638 ss., dove si osserva che ora può essere considerato “compatibile” e quindi autorizzato alla commercializzazione in Italia delle proprie quote, un Oicr estero riconducibile alla categoria dei fondi di tipo speculativo, (ndr) per esempio, un fondo alternativo riservato di diritto sammarinese. 29 La prestazione del servizio di investimento collettivo prevede tanto nel modello sammarinese quanto in quello italiano il coinvolgimento di almeno tre categorie di soggetti, o come sono stati più efficacemente definiti centri di imputazione di interessi. Sono tali la, o eventualmente le Sg, (Sgr in Italia), i partecipanti al fondo e la banca depositaria; il modello organizzativo della gestione collettiva del risparmio è infatti definito trilaterale; cfr. con riferimento alla disciplina italiana, Sabatelli, La responsabilità, cit., Milano, 1995, p. 53; nonché, Miola e Briolini, Commento all’art. 36, in Testo Unico della Finanza. Comm., diretto da Campobasso, Torino, 2002, I, p. 317; e infine, Sciotti, Commento all’art. 38, in Il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di Rabitti Bedogni, Milano, 1998, p. 301, che nel definire il sistema della gestione collettiva del risparmio utilizza il termine “triadico”, sottolineando inoltre il rilievo del ruolo della banca depositaria, confermato anche dalla scelta del legislatore di dedicarle un intero articolo (art. 38 t.u.f.). Le funzioni della banca depositaria nel sistema sammarinese sono individuate dall’art. 146 Reg. 2006 – 03, in base al quale, la banca depositaria ha il compito di: 28

672


Marco Bodellini

di assicurare lo stesso livello di protezione degli investitori previsto dalle

a) custodire gli strumenti finanziari e la liquidità dei fondi. La custodia del patrimonio di ciascun fondo deve essere affidata a un’unica banca depositaria, che deve utilizzare conti dedicati intestati al fondo. Nel caso di fondi che investono in altri beni mobili, i certificati di proprietà dei beni devono essere custoditi presso la banca depositaria, mentre i beni possono essere materialmente custoditi, con il benestare della banca depositaria presso altri soggetti specializzati. La banca depositaria deve essere costantemente informata dalla Sg di ogni contratto riguardante l’uso di tali beni; b) accertare che siano conformi alla legge, al regolamento, nonché alle prescrizioni della Banca Centrale l’emissione e il rimborso delle quote del fondo e la destinazione dei redditi del fondo. Presso la banca depositaria sono svolte le operazioni di emissione e di estinzione dei certificati nonché quelle operazioni connesse con la distribuzione dei proventi del fondo ai partecipanti; c) calcolare il valore delle quote dei fondi, qualora la Sg le abbia conferito tale incarico, in base a quanto previsto all’art. 132; d) accertare che nelle operazioni relative alla gestione del fondo la controprestazione le sia rimessa nei termini d’uso. La banca depositaria controlla in particolare che le negoziazioni di pertinenza del fondo siano regolate secondo le previsioni vigenti nei mercati in cui le negoziazioni hanno luogo; e) eseguire le istruzioni della Sg se non siano contrarie alla legge, alle disposizioni della Banca Centrale, al regolamento di gestione dei fondi. Il secondo comma della norma dispone inoltre che “al fine di effettuare i controlli di competenza e provvedere al regolamento delle compravendite, la convenzione tra Sg e banca depositaria indica le modalità con cui quest’ultima viene interessata in occasione delle transazioni (es. nel caso di compravendite di beni immobili, la banca depositaria deve essere in grado di verificare che nel giorno di stipula del contratto sia effettuato regolarmente il pagamento del prezzo pattuito)”. Infine, ai sensi del terzo comma, è previsto che “gli amministratori e i sindaci devono riferire tempestivamente alla Banca Centrale, ciascuno per le proprie competenze, sulle irregolarità riscontrate nell’amministrazione della Sg e nella gestione dei fondi. Per le comunicazioni relative alla violazione di divieti o limiti di investimento, la banca depositaria si attiene alle modalità indicate nell’Allegato E”. Circa i compiti della banca depositaria nella disciplina italiana si veda invece, ex multis, Enriques, La banca depositaria, in La disciplina delle gestioni patrimoniali. Sgr, fondi comuni e Sicav, Quaderno Assogestioni n. 23, Roma, 2000, p. 173, il quale elabora alcune interessanti riflessioni che possono essere estese anche alla fattispecie dello svolgimento dell’incarico di banca depositaria del patrimonio di fondi comuni di investimento sammarinesi, in particolare l’autore rileva che la Sgr che istituisce un fondo immobiliare o con oggetto metalli preziosi o opere d’arte non è obbligata a affidarne la custodia alla banca depositaria, la cui presenza rimane tuttavia necessaria. Nel caso di tali fondi perciò, la detenzione e la custodia di questi beni spetterà alla stessa Sgr, ferma ovviamente la regola della separazione patrimoniale (art. 36, co. 6, t.u.f.). L’autore sottolinea inoltre, che in tali ipotesi, la regola della separazione dei patrimoni rischia di trasformarsi in una mera enunciazione di principio, per causa della mancanza di regole organizzative adeguate sul piano della prevenzione dei comportamenti volti a creare una confusione dei patrimoni del gestore e dei partecipanti; cfr. in senso conforme Visentini, La gestione del fondo da parte delle Sgr: inquadramento giuridico, in La disciplina delle gestioni patrimoniali. Sgr, fondi comuni e Sicav, Quaderno Assogestioni, n. 23, Roma,

673


Saggi

disposizioni italiane vigenti”. L’interpretazione 30 più corretta della norma sembrerebbe nel senso di ancorare la sussistenza dello “stesso livello di protezione” degli investitori previsto dalle disposizioni domestiche alla sola funzione di custodia delle banche depositarie. La procedura per il rilascio dell’autorizzazione alla commercializzazione in Italia di quote di Oicr esteri non armonizzati comincia con la presentazione della domanda di autorizzazione alla Banca d’Italia. Tale domanda 31

2000, p. 134, il quale sottolinea che l’obbligo di deposito presso la banca depositaria è circoscritto nella disciplina italiana, solo agli strumenti finanziari, e alle disponibilità liquide del fondo, tuttavia la gestione collettiva può avere per oggetto anche crediti o altri beni mobili o immobili. Ciò che in questa sede importa sottolineare è che entrambe le discipline attribuiscono alla banca depositaria, in primis, la funzione di custodire le attività del fondo; questa impostazione conferma e al tempo stesso rafforza il principio generale della separazione patrimoniale, infatti non solo il patrimonio del fondo è “autonomo” perché così definito dalle norme, ma esso viene materialmente sottratto alla detenzione da parte del gestore per essere affidato a un depositario terzo; su questo aspetto si veda, Lubrano, Commento all’art. 38, in Testo Unico della Finanza. Commentario diretto da Campobasso, Torino, 2002, I, p. 346, secondo cui tale impostazione è finalizzata a rafforzare i controlli e la vigilanza sul patrimonio collettivo anche al fine di incentivare lo spostamento del risparmio verso questo tipo di impiego. 30 Così, Di Carlo, Guffanti, Le nuove regole, cit., p. 638 ss., i quali aggiungono che l’interpretazione fornita sembrerebbe maggiormente condivisibile, perché, in primo luogo, la lettera della disposizione correla il concetto di protezione degli investitori a quello di “custodia” dei beni del fondo, lasciando intendere che la volontà della Banca d’Italia è di soddisfare le esigenze di certezza e di garanzia che determinano l’obbligo di affidare la custodia del patrimonio del fondo ad un’unica entità. In secondo luogo, le funzioni di controllo assolte dalla banca depositaria, ai sensi della normativa italiana potrebbero essere espletate da parte di un terzo soggetto a ciò obbligato contrattualmente, (si pensi, ad esempio, all’administrator degli hedge fund), senza con ciò ridurre necessariamente il livello di protezione. Inoltre nella riformulazione delle condizioni necessarie per l’autorizzazione, la Banca d’Italia ha eliminato la previsione che disponeva l’obbligo dell’Oicr estero di affidare ad un’azienda o istituto di credito operante in Italia la custodia di una parte del patrimonio corrispondente alle azioni o quote collocate nel territorio dello Stato. La logica della soppressione di tale obbligo non può che essere quella di accettare che la custodia dei beni del fondo possa essere affidata anche ad altri soggetti (terzi rispetto all’entità addetta alla gestione del fondo) a tale funzione abilitati, purché gli stessi siano in grado di garantire ai partecipanti al fondo un’adeguata garanzia. 31 Tale domanda, ai sensi del paragrafo 2.3.1, deve indicare: “1) la denominazione, la sede legale e la direzione generale della società istante; 2) la denominazione del fondo o del comparto le cui quote o azioni si intendono offrire in Italia; 3) la denominazione del soggetto incaricato dei pagamenti, dei soggetti incaricati del collocamento in Italia delle quote o azioni e del soggetto, ove diverso dal soggetto incaricato dei pagamenti, che cura l’offerta in Italia; 4) le complete generalità e la veste legale della persona che la sottoscrive; 5) l’elenco dei documenti allegati”.

674


Marco Bodellini

deve essere corredata di documentazione relativa al modulo di vigilanza del paese di origine dell’Oicr 32, dei documenti relativi all’informativa da fornire al pubblico 33, della documentazione relativa allo schema organizzativo che l’Oicr intende adottare in relazione all’offerta delle relative parti in Italia 34,

32

Ai sensi del paragrafo 2.3.2, I parte, devono essere allegati: a) un attestato dell’autorità di vigilanza del paese di origine comprovante che: 1) l’Oicr è assoggettato a vigilanza e che la società di gestione ovvero la società di investimento dispone di un’adeguata struttura organizzativa, amministrativa e contabile; andranno, in particolare, illustrati i controlli svolti nei confronti della società di gestione o della società di investimento e quelli attinenti ai prodotti gestiti; 2) l’Oicr commercializza effettivamente nel paese di origine le proprie quote o azioni e che nei confronti del medesimo non risultano procedimenti di revoca dell’autorizzazione o equivalenti ovvero altri provvedimenti di rigore; 3) l’Oicr ha adempiuto alle formalità eventualmente richieste nel paese di origine per l’insediamento di una sede secondaria in Italia, ove sia prevista tale struttura; e, b) un attestato dell’autorità di vigilanza del paese d’origine ovvero, ove l’autorità in questione non rilasci questo tipo di attestazioni, una dichiarazione a cura del legale rappresentante dell’Oicr che indichi i requisiti di onorabilità e professionalità richiesti per i responsabili aziendali dell’Oicr e le altre condizioni per l’accesso al mercato dell’organismo previste dalla normativa vigente nel paese di origine. 33 Ai sensi del paragrafo 2.3.2, II parte, devono essere allegati: 1) copia del regolamento di gestione del fondo o altro documento equivalente ovvero copia dello statuto della società di investimento e di eventuali ulteriori documenti costitutivi, muniti dell’attestazione di vigenza rilasciata dall’autorità competente del paese di origine; 2) l’ultimo prospetto informativo ovvero l’ulteriore documentazione di offerta trasmesso all’autorità competente del paese di origine, munito di un attestato di tale autorità in cui si certifica che quello è l’ultimo prospetto da essa ricevuto ovvero l’ultimo prospetto approvato ove questo sia oggetto di approvazione o controllo preventivo; 3) l’ultima relazione annuale e la relazione semestrale successiva, se pubblicate; 4) informazioni dettagliate sulle modalità adottate per rendere pubblici il prezzo di emissione e di vendita, di riacquisto o di rimborso delle quote o azioni. 34 Ai sensi del paragrafo 2.3.2, III parte, devono essere allegati: 1) una nota analitica sul modulo organizzativo che l’Oicr intende adottare per l’offerta in Italia delle quote o azioni e per assicurare in Italia l’esercizio dei diritti patrimoniali dei partecipanti; 2) copia della convenzione stipulata con il soggetto incaricato dei pagamenti, con il soggetto che cura l’offerta in Italia e con i soggetti incaricati del collocamento in Italia; 3) nelle ipotesi in cui i rapporti con la clientela vengano tenuti dalla sede secondaria in Italia dell’Oicr, il certificato di iscrizione nel registro delle imprese; 4) qualora l’organismo abbia conferito l’incarico di curare i rapporti con la clientela a un intermediario di cui al successivo par. 2.7, copia della convenzione stipulata; 5) elenco nominativo dei responsabili della sede secondaria in Italia dell’Oicr incaricata di curare i rapporti con la clientela, corredato della documentazione idonea a comprovare i poteri di rappresentanza conferiti; 6) ai fini della verifica del possesso dei requisiti di onorabilità da parte dei responsabili dell’eventuale sede secondaria in Italia dell’Oicr incaricata di curare i rapporti con la clientela, i medesimi documenti previsti per l’accertamento della sussistenza dei requisiti in esame da parte degli esponenti di società di gestione del risparmio e SICAV italiane.

675


Saggi

nonché di ulteriore documentazione 35. La Banca d’Italia ha a disposizione massimo quattro mesi (dalla data di ricezione dell’istanza) per dare il proprio giudizio – sentita la Consob – in merito all’autorizzazione. Inoltre l’autorità di vigilanza può interrompere (ove la documentazione presentata sia incompleta) o sospendere (qualora emergano aspetti che richiedono approfondimenti o, comunque, l’autorità necessiti di ulteriori informazioni) i termini istruttori 36. L’autorizzazione decade ove: 1) vengano meno uno o più requisiti necessari per il rilascio dell’autorizzazione; 2) l’Oicr estero sia destinatario di un provvedimento di revoca dell’autorizzazione o di un provvedimento equivalente, da parte delle autorità del paese di origine. In tale caso Banca d’Italia – sentita la Consob – procede a dichiarare la decadenza dell’autorizzazione. Nel diverso caso in cui vengano riscontrate gravi irregolarità che abbiano riflessi sulle attività svolte nel territorio dello Stato, invece, la Banca d’Italia – sempre sentita la Consob – procede a revocare l’autorizzazione 37. Poi ancora, il paragrafo 2.6 dispone che l’Oicr extracomunitario metta a disposizione del pubblico sia presso il soggetto che cura l’offerta in Italia sia presso il soggetto incaricato dei pagamenti, nonché presso tutte le dipendenze di quest’ultimo abilitate a regolare le sottoscrizioni e i rimborsi: “1) l’indicazione del valore unitario delle quote o azioni dell’Oicr; 2) le informazioni di cui è prescritta la diffusione secondo la normativa vigente nel paese di origine, tradotti in lingua italiana; 3) un’informativa contabile integrativa – redatta in lingua italiana – analoga a quella prevista per gli Oicr italiani dalle disposizioni nazionali vigenti per i casi in cui l’obbligo non risulti già adempiuto, in tutto o in parte, con la predisposizione della documentazione di cui al punto 2; 4) nel caso di Oicr aventi forma statutaria, l’avviso di convocazione dell’assemblea dei partecipanti e il testo delle delibere adottate”.

35 Ai sensi del paragrafo 2.3.2, IV parte, devono essere allegati: 1) una nota illustrativa dello schema di funzionamento dell’Oicr contenente le informazioni indicate nel successivo par. 2.4; 2) un documento contenente una sintetica descrizione del programma dell’attività che l’Oicr intende svolgere in Italia (con riferimento all’attività iniziale, alle sue linee di sviluppo nonché alle strategie imprenditoriali relative alla tipologia dei prodotti offerti, alle caratteristiche della clientela e all’espansione territoriale). 36 Cfr. sul punto, il Paragrafo 2.3.3., della Sezione 2, del Capitolo V, del Titolo VI, del Regolamento sulla Gestione Collettiva del Risparmio. 37 Cfr. sul punto, il Paragrafo 2.3.4., della Sezione 2, del Capitolo V, del Titolo VI, del Regolamento sulla Gestione Collettiva del Risparmio.

676


Marco Bodellini

Gli Oicr devono, inoltre, pubblicare su almeno un quotidiano a diffusione nazionale, da comunicare alla Banca d’Italia: “1) con periodicità almeno pari a quella di calcolo, il valore unitario delle quote o azioni. Nella pubblicazione andrà indicata la data cui si riferisce il valore delle quote o delle azioni; 2) l’avviso di convocazione delle eventuali assemblee dei titolari delle quote o azioni dell’Oicr; 3) l’avviso di pagamento dei proventi in distribuzione”. In aggiunta, ai sensi del paragrafo 2.7, al fine di garantire l’esercizio dei diritti patrimoniali dei partecipanti residenti in Italia e la diffusione delle informazioni di cui al precedente par. 2.6, l’Oicr e il depositario stipulano apposita convenzione con una o più banche insediate in Italia (c.d. soggetto/i incaricato/i dei pagamenti) avente a oggetto lo svolgimento delle funzioni di intermediazione nei pagamenti connessi con la partecipazione nell’Oicr (sottoscrizioni, rimborsi e corresponsione di dividendi). L’Oicr (eventualmente per il tramite del soggetto designato a curare i rapporti con la clientela) e il depositario predispongono con il soggetto incaricato dei pagamenti tutti i mezzi necessari per assicurare un corretto ed efficiente svolgimento delle rispettive funzioni. A tal fine e con l’ausilio di adeguate strutture di supporto vengono realizzati i flussi informativi necessari affinché sia data tempestiva esecuzione alle domande di sottoscrizione, alle richieste di riacquisto o rimborso delle quote o azioni e al pagamento dei proventi alla data prestabilita dall’Oicr. Per il trasferimento delle somme di denaro connesse con tali operazioni sono accesi presso il soggetto incaricato dei pagamenti conti intestati all’Oicr, con rubriche distinte per ciascun fondo comune o comparto. Circa i rapporti tra gli investitori residenti in Italia e la sede statutaria e amministrativa dell’Oicr all’estero è previsto che questi vengano curati da un soggetto all’uopo designato come un esempio (il soggetto incaricato dei pagamenti, la sede secondaria in Italia dell’Oicr, una Sgr, una succursale di una società di gestione armonizzata, un’impresa di investimento o una banca insediata in Italia. I responsabili della sede secondaria in Italia dell’Oicr devono essere in possesso di requisiti di onorabilità e professionalità equipollenti a quelli previsti dalle disposizioni italiane vigenti per l’assunzione di cariche presso Sgr. Il Regolamento di Banca d’Italia prevede ancora che, nel caso di Oicr le cui quote o azioni siano collocate unicamente mediante Internet, i rapporti con la clientela potranno essere intrattenuti avvalendosi esclusivamente della rete Internet (sito e posta elettronica), a condizione che

677


Saggi

tali modalità assicurino agli investitori italiani i medesimi servizi prestati dal soggetto incaricato di curare i rapporti con la clientela, mentre, nel caso di Oicr le cui quote o azioni siano collocate esclusivamente presso investitori istituzionali, la stessa Banca d’Italia si riserva la facoltà di valutare moduli organizzativi alternativi, tenendo conto delle esigenze di efficienza e di tutela degli investitori. Il soggetto designato a curare i rapporti tra gli investitori in Italia e la sede estera dell’Oicr provvede a: a) curare l’attività amministrativa relativa alle domande di sottoscrizione e alle richieste di rimborso o di estinzione delle azioni o quote ricevute dai soggetti incaricati del collocamento di cui al successivo par. 2.7.3; b) attivare le procedure necessarie affinché le operazioni di sottoscrizione e di rimborso, nonché quelle di pagamento dei proventi, effettuate per il tramite del soggetto incaricato dei pagamenti, vengano regolarmente svolte nel rispetto dei termini e delle modalità previsti dallo statuto dell’organismo o dal regolamento di gestione; c) effettuare l’inoltro al sottoscrittore della lettera di conferma dell’investimento dalla quale risulti: l’importo lordo versato, l’importo netto investito, le quote o azioni sottoscritte, il mezzo di pagamento utilizzato, la data di ricezione e la data di sottoscrizione; d) consegnare al partecipante il certificato rappresentativo delle quote o azioni, ove previsto; e) intrattenere i rapporti con gli investitori, ivi compreso l’esame dei relativi reclami; f) curare la pubblicazione su almeno un quotidiano nazionale delle informazioni previste al precedente par. 2.6. L’Oicr stipula, inoltre, apposita convenzione anche con i soggetti incaricati del collocamento in Italia, nella quale questi ultimi si impegnano a: 1) trasmettere all’Oicr, entro il primo giorno lavorativo successivo a quello della loro ricezione, le domande di sottoscrizione, di rimborso e di conversione; 2) depositare presso il soggetto incaricato dei pagamenti, entro il medesimo termine, i mezzi di pagamento relativi alle sottoscrizioni. Entrando, a questo punto, nel merito della disciplina italiana al fine di analizzare i requisiti richiesti dal Provvedimento di Banca d’Italia per l’offerta di Oicr extracomunitari e confrontando la disciplina sammarinese nella parte relativa alle caratteristiche dei fondi comuni di investimento nonché il funzionamento di questi ultimi si ricava che: 1) lo schema di funzionamento degli Oic di diritto sammarinese è analogo a quello degli Oicr di diritto italiano; 2) gli Oic sammarinesi sono sottoposti nel loro paese alla vigilanza di un’autorità pubblica che esercita controlli simili a quelli previsti in Italia; 3) prima di richiedere l’autorizzazione ad offrire le proprie quote in Italia, l’Oic sammarinese dovrà commercializzarle a San Marino; 4) anche nella disciplina sammarinese sono previste norme relative all’informativa nei confronti del pubblico; a tale proposito

678


Marco Bodellini

i fondi sammarinesi dovranno avvalersi di moduli organizzativi volti ad assicurare l’esercizio dei diritti patrimoniali dei partecipanti residenti in Italia; 5) la disciplina sammarinese sui requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza dei responsabili aziendali è equipollente a quella italiana; 6) sono rispettate nella Repubblica di San Marino condizioni di reciprocità. Mancano, invece, allo stato attuale, accordi di collaborazione tra le autorità di vigilanza italiane e quelle sammarinesi, finalizzati ad agevolare la vigilanza sull’Oic. Occorre sottolineare che la mancanza di accordi di collaborazione tra le autorità di vigilanza dei due paesi impedisce, al momento, alle Sg sammarinesi di avviare l’offerta delle quote dei propri fondi in Italia. Si ritiene che questa circostanza sia stata anche uno dei principali ostacoli ad un rapido e significativo sviluppo dell’industria del risparmio gestito a San Marino. Se, come rilevato, le Sg sammarinesi non possono offrire né direttamente né indirettamente tramite un intermediario collocatore italiano le quote dei propri fondi in Italia, è, di contro, possibile che un soggetto italiano acquisti spontaneamente quote di Oicr esteri non armonizzati, perciò anche sammarinesi, rivolgendosi direttamente all’emittente o a chi ne cura la distribuzione all’estero, mancando in tali ipotesi i presupposti per configurare sia la sollecitazione all’investimento, sia l’attività di collocamento 38. Più complessa appare, invece, l’individuazione dei limiti entro i quali un intermediario italiano autorizzato alla prestazione del servizio di gestione su base individuale, può immettere nei portafogli gestiti per conto dei clienti quote o azioni di Oicr esteri non armonizzati e non autorizzati ai sensi dell’art. 42 comma 5 t.u.f. ad essere offerti in Italia. Sul punto, la Consob ritiene possibile “che un intermediario autorizzato, nell’ambito della prestazione del servizio di gestione individuale di portafogli, possa acquistare di propria iniziativa quote o azioni di Oicr esteri per conto dei propri clienti anche se per gli stessi non è stata esperita la procedura prevista nell’art. 42 del d. lgs. n. 58/98”. Se così è, anche le quote dei fondi comuni di investimento di diritto sammarinese potrebbero essere acquistate da una banca o da una Sim italiana per conto dei propri clienti. Infatti, in tale caso, la Commissione ritiene che “per l’emittente estero si tratterebbe di corrispondere ad una richiesta proveniente da un soggetto residente

38

Così, Di Carlo e Guffanti, Le nuove regole, cit., p. 635 ss.

679


Saggi

in Italia mentre per l’intermediario si configurerebbe un’operazione di acquisto nell’ambito del proprio mandato discrezionale ” 39. È evidente che questo tipo di operatività da parte delle Sim e delle banche italiane potrebbe favorire in misura significativa la diffusione e la penetrazione, per così dire “indiretta”, dei fondi sammarinesi in Italia. Occorre rilevare altresì che una fattispecie di questo tipo potrà configurarsi con più facilità per gli investitori istituzionali italiani che non per i risparmiatori; infatti se è improbabile, anche se perfettamente legittimo, che i piccoli risparmiatori si rechino in massa dall’Italia a San Marino per sottoscrivere quote di fondi sammarinesi, al contrario, è assolutamente verosimile che banche, fondi pensione, compagnie di assicurazione, fondi comuni di investimento e altri investitori professionali si spostino sul territorio sammarinese per investire nei fondi istituiti in questa giurisdizione 40. Data la situazione normativa appena esaminata, attualmente non sembrano esserci possibilità per i fondi di diritto sammarinese di penetrare direttamente sul mercato italiano, è ragionevole, tuttavia, immaginare che in un futuro prossimo le autorità di vigilanza dei due paesi sottoscrivano accordi di collaborazione in virtù dei quali le quote degli Oic di diritto sammarinese potranno essere offerte direttamente sul territorio dello Stato italiano.

3. L’offerta a San Marino di quote di OIC esteri. Profili storici. L’attività di offerta di quote di Oic esteri negli ultimi decenni ha avuto una grande importanza per il sistema sammarinese consentendo ai soggetti ivi residenti di investire in tipologie di prodotti finanziari altrimenti assenti sul territorio nazionale. Come già rilevato, infatti, la mancanza protratta per decenni di una disciplina ad hoc sui servizi di investimento collettivo impediva l’istituzione da parte degli intermediari bancari e finanziari sammarinesi di fondi comuni di investimento di diritto interno.

39 Così nuovamente Di Carlo e Ruffanti, op. cit., 635 ss., i quali richiamano quanto rilevato dalla Consob con riferimento all’acquisto di quote di fondi non armonizzati e non autorizzati ex art. 42 comma 5 t.u.f. da parte di intermediari italiani per i propri clienti. 40 In questa direzione sono orientati gli obiettivi del legislatore sammarinese individuati in, Consiglio Grande e Generale, Relazione al progetto di legge sulle imprese e sui servizi bancari, finanziari e assicurativi, p. 4 ss., reperibile sul sito della Segreteria di Stato alle Finanze: www.finanze.sm.

680


Marco Bodellini

La disciplina concernente l’offerta di parti di Oic stranieri, prima del 2006 (anno di entrata in vigore della Lisf e di emanazione del Reg. 2006 – 03), era interamente contenuta negli artt. 7 e 8 della l. 25 febbraio 1986 n. 24 41. L’art. 8, rubricato “collocamento e offerte pubbliche di acquisto e vendita di valori mobiliari”, prevedeva che “ogni operazione di collocamento e di acquisto o vendita mediante offerta al pubblico di azioni, obbligazioni e altri valori mobiliari di ogni specie 42” dovesse “essere effettuata previa pubblicazione di un prospetto informativo concernente l’operazione, nonché l’organizzazione, la situazione finanziaria e gestionale e la evoluzione dell’attività dell’emittente, redatto secondo le modalità anche di carattere generale determinate” dall’Ispettorato per il Credito e le Valute 43. Ai sensi del secondo comma dell’articolo, poi, l’Ispettorato aveva anche il potere di stabilire modalità diverse rispetto ai criteri generali con cui rendere pubblica l’offerta. L’art. 8, co. 3, proseguiva, disponendo il divieto di offrire al pubblico i valori mobiliari e di sollecitare rispetto ad essi il pubblico risparmio attraverso pubblicità, comunicazioni postelegrafoniche e visite porta a porta senza l’autorizzazione di cui al precedente art. 7. La sanzione applicata alla violazione del divieto era la nullità dei contratti di sottoscrizione, acquisto e vendita degli stessi valori mobiliari. Riguardo in particolar modo ai valori mobiliari esteri, l’art. 8, co. 4, ne assoggettava il collocamento nella Repubblica di San Marino all’autorizzazione di cui all’art. 7, nonché agli obblighi precedentemente indicati. Il rinvio all’art. 7 determinava l’obbligo per gli operatori sammarinesi intenzionati a collocare valori mobiliari esteri, tra cui anche quote di Oic stranieri, di essere autorizzati dall’Ispettorato, nonché quello di pubblicarne il prospetto informativo. Sotto la vigenza di questa normativa il mercato finanziario sammarinese ha potuto conoscere un buono sviluppo della distribuzione di parti di fondi esteri; tale attività era e continua ad essere esercitata tanto dalle banche quanto dalle società finanziarie e fiduciarie. Si ritiene, ana-

41

Disciplina delle società finanziarie, delle società fiduciarie e dei titoli mobiliari. Tra cui deve ritenersi anche quote di Oic stranieri. 43 L’Ispettorato per il Credito e le Valute era l’autorità di controllo del sistema bancario e finanziario sammarinese prima della creazione dell’attuale Banca Centrale della Repubblica di San Marino; circa la disciplina relativa alla vigilanza sul mercato bancario e finanziario prima dell’emanazione della Lisf si veda, Stolfi, Il sistema bancario sammarinese, in Il fisco, 2002, 39, p. 6238; nonché, Chezzi e albani, Il sistema bancario e finanziario sammarinese, Rimini, 2003, p. 33. 42

681


Saggi

lizzando il mercato interno, e in mancanza di dati ufficiali, che l’offerta abbia avuto, ed abbia ancora oggi, per oggetto, prevalentemente quote di fondi armonizzati lussemburghesi e irlandesi, anche in ragione del trattamento fiscale più vantaggioso che questi prodotti ricevono nel loro paese di origine rispetto agli omologhi fondi di diritto italiano44. 3.1. La disciplina italiana relativa all’offerta di quote di OICR domestici all’estero. L’offerta all’estero di servizi da parte delle Sgr è disciplinata dall’art. 41 t.u.f. In particolare, il primo comma consente alle Sgr di offrire all’estero le quote dei propri fondi nonché di esercitare il servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento, mentre il secondo comma demanda a Banca d’Italia sentita la Consob il compito di definire con apposito regolamento le disposizioni relative alle condizioni e alle procedure che le Sgr devono rispettare per l’offerta all’estero di quote di fondi comuni di investimento. Il terzo comma stabilisce, altresì, che con il medesimo regolamento siano disciplinate le condizioni e le procedure per l’offerta da parte delle Sgr di attività non ammesse al mutuo riconoscimento negli Stati comunitari e per la prestazione dei propri servizi negli Stati extracomunitari 45. La disciplina attuativa dell’art. 41 t.u.f. è contenuta nel Titolo VI del Regolamento sulla Gestione Collettiva del Risparmio di Banca d’Italia rubricato espressamente “operatività transfrontaliera”. Il secondo capitolo del Titolo VI regolamenta la fattispecie di operatività in paesi esteri delle Sgr italiane distinguendo a seconda che lo Stato straniero sia o meno membro U.E. Essendo San Marino uno Stato extracomunitario i paragrafi che occorre analizzare sono il terzo e il quarto. Le modalità per operare all’estero individuate dal Regolamento di Banca d’Italia sono rappresentate dallo stabilimento di succursali nel paese estero o dalla prestazione di servizi senza stabilimento nel paese estero.

44

Ovviamente, data la vicinanza geografica e gli stretti rapporti di collaborazione tra operatori finanziari italiani e sammarinesi vengono offerte a San Marino in misura significativa anche parti di Oic di diritto italiano. 45 Cfr. Zizzi, Commento all’art. 41, in Il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di Rabitti Bedogni, Milano, 1998, p. 318 ss.

682


Marco Bodellini

Circa lo stabilimento di succursali all’estero, il Regolamento dispone che ciò è ammesso previa autorizzazione di Banca d’Italia, nel rispetto delle disposizioni vigenti nel paese ospitante. A tale fine la Sgr deve presentare alla “Banca d’Italia una domanda di autorizzazione contenente le seguenti informazioni: 1) lo Stato estero nel cui territorio la Sgr intende stabilire una succursale; 2) l’inquadramento dell’iniziativa nella complessiva strategia di espansione della Sgr; 3) l’attività che la Sgr intende effettuare nello Stato ospitante e la struttura organizzativa che assumerà la succursale (organigramma, risorse umane, sistemi informativi) nonché l’impatto dell’iniziativa sulla struttura organizzativa della Sgr; 4) il recapito della succursale nello Stato estero, ovvero la sede principale (qualora la succursale si articoli in più sedi di attività), dove possono essere richiesti i documenti; 5) i nominativi e i curriculum dei dirigenti responsabili della succursale; 6) l’ammontare del fondo di dotazione della succursale, ove richiesto”. Il rilascio di tale autorizzazione è subordinato ad alcune condizioni espressamente individuate dal Regolamento, ossia: “1) esistenza, nel paese di insediamento, di una legislazione e di un sistema di vigilanza adeguati; 2) esistenza di apposite intese di collaborazione tra la Banca d’Italia, la Consob e le competenti autorità dello Stato estero volte, tra l’altro, ad agevolare l’accesso alle informazioni da parte della Banca d’Italia e della Consob, anche attraverso l’espletamento di controlli in loco; 3) possibilità di agevole accesso, da parte della casa madre, alle informazioni della succursale; 4) adeguatezza della struttura organizzativa e della situazione finanziaria, economica e patrimoniale della Sgr. Le valutazioni in materia di organizzazione tengono conto delle maggiori difficoltà che le Sgr possono incontrare nel garantire l’efficacia dei controlli interni su una succursale all’estero”. Circa la prestazione di servizi senza stabilimento, invece, il successivo paragrafo 4 precisa che la Sgr interessata ad operare in un paese extracomunitario senza stabilimento di succursali può farlo previa autorizzazione della Banca d’Italia nel rispetto delle disposizioni vigenti nell’ordinamento del paese ospitante. A tale fine, la Sgr interessata ad operare fuori dai confini italiani deve presentare una domanda di autorizzazione contenente le seguenti informazioni: “1) lo Stato estero nel cui territorio la Sgr intende operare; 2) l’inquadramento dell’iniziativa nella complessiva strategia di espansione della Sgr; 3) un programma nel quale sono indicate le attività che la Sgr intende svolgere nel paese ospitante; 4) le modalità con cui la Sgr intende operare”. Il rilascio di tale autorizzazione da parte della Banca d’Italia è subordinato alle seguenti condizioni: “1. esistenza, nel paese in cui la Sgr in-

683


Saggi

tende operare, di una legislazione e di un sistema di vigilanza adeguati; 2. esistenza di apposite intese di collaborazione tra la Banca d’Italia, la Consob e le competenti autorità dello Stato estero”. Il capitolo seguente rubricato “offerta all’estero di Oicr italiani” disciplina in concreto le modalità con cui deve avvenire l’offerta all’estero di parti di fondi di diritto italiano, ancora una volta distinguendo in base all’appartenenza o meno del paese straniero all’U.E. In relazione all’offerta di parti di Oicr di diritto italiano in un paese extracomunitario come la Repubblica di San Marino, il paragrafo 2 del capitolo III del Regolamento sulla Gestione Collettiva del Risparmio dispone che le Sgr possono offrire quote dei loro fondi previa comunicazione alla Banca d’Italia e nel rispetto delle disposizioni vigenti nell’ordinamento sammarinese. Tale comunicazione deve contenere le seguenti informazioni: 1) lo Stato in cui si intende effettuare l’offerta delle quote o azioni; 2) il fondo ovvero i relativi comparti oggetto di offerta; 3) le modalità che si intende utilizzare nell’offerta delle quote. Ancora una volta la mancanza di accordi tra le autorità di vigilanza dei due paesi ostacola l’operatività transfrontaliera diretta nei servizi di investimento collettivo tra Italia e Repubblica di San Marino. Se, tuttavia, dalla lettura della disciplina italiana emerge che le Sgr non possono offrire direttamente le quote dei propri Oicr a San Marino, è altresì vero che tali strumenti finanziari sono commercializzati sul mercato finanziario sammarinese. La commercializzazione di tali prodotti sul mercato della Repubblica di San Marino, come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo, avviene secondo due diverse modalità: 1) attraverso intese tra le Sgr italiane e gli intermediari bancari e finanziari sammarinesi in virtù delle quali questi ultimi pongono in essere l’offerta di quote di Oicr italiani a San Marino. Ciò è legittimo in ragione del fatto che la regolamentazione sammarinese non subordina la penetrazione, per così dire indiretta, sul territorio domestico di fondi stranieri all’esistenza di apposite intese tra le autorità di vigilanza dei due paesi, contrariamente al disposto della normativa italiana; 2) attraverso l’operatività di intermediari bancari e finanziari sammarinesi, i quali nell’ambito della prestazione del servizio di gestione su base individuale di portafogli acquistano per conto dei propri clienti parti di Oic italiani anche qualora questi non siano autorizzati ad essere offerti direttamente a San Marino 46.

46

684

Cfr. in relazione alla medesima fattispecie sul mercato italiano la nota n. 39.


Marco Bodellini

3.2. L’attuale disciplina sammarinese relativa all’offerta di quote di OICR italiani. Attualmente la disciplina di riferimento quanto all’offerta nella Repubblica di San Marino di quote di Oic esteri è contenuta negli artt. 75 47 e 76 48 Lisf, e negli artt. 163 e seguenti del Regolamento 2006 – 03 49. In relazione all’attività di intermediari esteri a San Marino, l’art. 75 Lisf disciplina le modalità di svolgimento delle attività riservate da parte di tali soggetti sul territorio sammarinese; in particolare, qualora essi intendano svolgere una o più attività riservate, o attraverso la costituzione di una succursale o in regime di prestazione di servizi senza stabilimento devono chiedere l’autorizzazione alla Banca Centrale. Di seguito, la norma si premura anche di definire cosa si intenda per prestazione di servizi senza stabilimento, individuando tale attività nella prestazione di servizi sul territorio sammarinese o mediante una organizzazione temporanea, o mediante tecniche di comunicazione a distanza, oppure ancora, mediante intermediari o agenti indipendenti, secondo quanto stabilito dall’autorità di vigilanza. Allo stato attuale manca, tuttavia, un regolamento di attuazione relativo al rilascio dell’autorizzazione ex art. 75 Lisf, a soggetti esteri interessati all’esercizio di una o più attività riservate sul territorio sammarinese, attraverso la costituzione di una succursale o in regime di prestazione di servizi senza stabilimento.

47

L’art. 75 Lisf è rubricato “attività di soggetti esteri”. L’art. 76 Lisf è rubricato “offerta di strumenti finanziari, altri strumenti di raccolta del risparmio e contratti assicurativi esteri”. 49 Circa il servizio di collocamento di strumenti finanziari nella disciplina italiana si veda, Pagnoni, Negoziazione e collocamento “riservato” come modelli alternativi di offerta di prodotti finanziari, in Le Società, 2005, 2, p. 159 ss., dove si rileva la diffusione in Italia di una particolare pratica. Ossia, in ragione del fatto che le offerte rivolte esclusivamente ad investitori professionali non sono sottoposte alla disciplina della sollecitazione all’investimento, (ndr) proprio come a San Marino, i produttori di strumenti finanziari pongono in essere un private placement rivolto solo a tali investitori, senza quindi la redazione del prospetto, poi gli investitori professionali (banche e altri intermediari finanziari) che sottoscrivono gli strumenti finanziari nell’ambito del collocamento, o che acquistano tali strumenti dai collocatori potranno rivendere i medesimi strumenti finanziari nell’ambito del servizio di negoziazione in proprio. Le attività di acquisto a fermo di titoli e successiva rivendita, nell’ambito dell’attività di negoziazione ai propri clienti sono state finora considerate lecite dalla Consob. Altre condotte, come le vendite sul mercato secondario a breve distanza dall’acquisto da parte dell’intermediario finanziario, sono state considerate invece elusive della normativa sulla sollecitazione all’investimento. 48

685


Saggi

Ai sensi del secondo comma della norma, poi, la costituzione di una succursale viene assoggettata alla disciplina generale per il rilascio dell’autorizzazione 50 agli intermediari bancari e finanziari, inoltre risulta sempre necessario il nulla osta del Congresso di Stato 51. La norma affida a Banca Centrale il compito di stabilire i requisiti necessari per ottenere l’autorizzazione a esercitare attività riservate in regime di prestazione di servizi senza stabilimento, tuttavia anche in questo caso manca un intervento regolamentare dell’autorità. Infine, il quarto comma richiede la presenza di ulteriori requisiti affinché sia rilasciata l’autorizzazione allo stabilimento di una succursale nella Repubblica di San Marino, o all’esercizio di attività in regime di prestazione di servizi senza stabilimento; in particolare, il soggetto estero deve possedere l’autorizzazione e svolgere effettivamente le attività che intende esercitare a San Marino nel paese di origine; inoltre, devono esistere apposite intese tra le autorità di vigilanza dei due paesi; infine nello Stato di origine devono essere rispettate condizioni di reciprocità. Occorre rilevare, dunque, che nel caso di esercizio di attività riservate nella Repubblica di San Marino da parte di soggetti esteri la disciplina interna, così come quella italiana in relazione all’analoga fattispecie, impone l’esistenza di intese tra autorità di vigilanza. L’art. 76 Lisf, invece, fissa i principi generali relativi alla fattispecie di offerta a San Marino di prodotti esteri, la quale ai sensi del primo comma è liberamente effettuabile nel rispetto della stessa Lisf, nonché ovviamente dell’ordinamento sammarinese. Il secondo comma della norma conferisce invece alla Banca Centrale il potere di individuare categorie di strumenti finanziari la cui offerta deve venire preceduta da una comunicazione alla medesima autorità. In questi specifici casi, ai sensi del terzo comma, la Banca Centrale ha anche la possibilità di chiedere altre informazioni all’emittente, all’offerente o al collocatore. A ciò deve aggiungersi che l’autorità di vigilanza ha il potere di vietare l’offerta qualora gli strumenti finanziari esteri non rientrino nelle tipologie previste dall’ordinamento sammarinese, ovvero non presentino le caratteristiche individuate dalla stessa Banca Centrale. Gli ultimi sei articoli, artt. da 163 a 168 del Regolamento 2006 – 03, disciplinano in modo più approfondito l’offerta a San Marino di quote di Oic esteri rivolta alla generalità del pubblico, recependo i principi enun-

50 51

686

Si vedano gli artt. 3 e ss. Lisf. Si veda l’art. 12 Lisf.


Marco Bodellini

ciati dalla Lisf. L’art. 163 prevede innanzitutto che l’offerta a San Marino di parti di Oic esteri rivolta in qualunque modo al pubblico, possa essere effettuata solo dai soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento 52, e previa comunicazione alla Banca Centrale. Attualmente quasi tutte le società finanziarie e fiduciarie e tutte le banche di diritto sammarinese dispongono dell’autorizzazione necessaria per la prestazione di ciascuno dei sei servizi di investimento. Le sole eccezioni sono rappresentate dalle due società di gestione autorizzate, le quali ai sensi dell’art. 4 del medesimo Reg. 2006 – 03 hanno la possibilità di effettuare oltre ai servizi di investimento collettivo, e di investimento collettivo non tradizionale, solo il servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi, e limitatamente alle quote di fondi di propria istituzione il servizio di collocamento senza impegno irrevocabile di strumenti finanziari. Da ciò deriva che le Sg sammarinesi non possono offrire quote di Oic esteri, e più in generale non possono offrire quote di Oic di altrui istituzione. La ratio di questa impostazione consiste evidentemente nella volontà del Regulator sammarinese di incentivare nei fatti la trasformazione del sistema finanziario nazionale da esclusivamente distributivo a produttivo. Solo attraverso una precisa diversificazione dei servizi erogabili dalle diverse categorie di soggetti autorizzati si può pensare di raggiungere tale risultato 53. Il servizio di collocamento, all’interno del quale rientra la fattispecie di offerta di quote di Oic di altrui istituzione, rimane pertanto, una prerogativa delle banche e delle società finanziarie e fiduciarie. Deve notarsi che anche il sistema italiano, per fare un esempio, ha mantenuto una siffatta configurazione per molti anni, e solo con il recepimento della

52

I servizi di investimento, ai sensi della lett. D) Allegato 1 alla Lisf, sono: 1) la ricezione e trasmissione di ordini aventi a oggetto strumenti finanziari; 2) l’esecuzione di ordini per conto dei clienti aventi a oggetto strumenti finanziari; 3) la negoziazione per conto proprio di strumenti finanziari; 4) la gestione di portafogli di strumenti finanziari; 5) l’assunzione a fermo e/o collocamento sulla base di un impegno irrevocabile di strumenti finanziari; 6) il collocamento senza impegno irrevocabile di strumenti finanziari. 53 Al fine di incentivare la specializzazione dei soggetti autorizzati sammarinesi, recentemente, la Banca Centrale della Repubblica di San Marino ha emesso la Circolare n. 2008 – 06 rubricata “Norme transitorie di vigilanza strutturale per nuove società finanziarie, fiduciarie e imprese di investimento”. Tale intervento di Banca Centrale è finalizzato a favorire la nascita e lo sviluppo di operatori finanziari specializzati, e capovolge il modello precedentemente introdotto dalla legge 25 febbraio 1986 n. 24, che prevedeva, all’opposto, la figura della società finanziaria e fiduciaria, ossia un intermediario finanziario attivo congiuntamente nell’erogazione di finanziamenti, nell’intestazione fiduciaria, e anche nel settore dei servizi di investimento, sulla base di un oggetto sociale molto ampio.

687


Saggi

Direttiva Mifid e l’emanazione del nuovo Regolamento Intermediari, è stata eliminata la disposizione che vietava alle Sgr italiane di collocare Oicr di altrui istituzione. Così, solo a partire dal 1 novembre 2007, le Sgr di diritto italiano possono promuovere e collocare anche quote di Oicr di terzi 54. La comunicazione a Banca Centrale per avviare l’offerta al pubblico di Oic esteri, ex art. 163 co. 3, non è, però, necessaria quando l’offerta medesima ha per oggetto quote di Oic Ucits III 55, con documentazione in italiano. Rileva evidenziare come anche nella regolamentazione sammarinese venga dettata una disciplina diversa a seconda che l’Oic estero offerto sia armonizzato o meno, seppure tale classificazione di derivazione comunitaria non riguardi né direttamente né obbligatoriamente il diritto sammarinese. Infatti, nel caso di offerta di quote di Oic armonizzati, c.d. Ucits III, secondo la terminologia sammarinese non è necessaria la preventiva comunicazione a Banca Centrale, nel caso di offerta di quote di Oic non armonizzati, invece, tale comunicazione è necessaria. Nelle fattispecie in cui è prevista ex lege, la comunicazione deve essere presentata alla Banca Centrale dall’offerente, e deve indicare il nome dell’Oic nonché quello della società estera che lo promuove e gestisce. Inoltre sarà onere del medesimo offerente presentare un documento dell’autorità di vigilanza estera che attesti e provi l’assoggettamento sia dell’Oic, sia della società di gestione al controllo della stessa autorità, ma

54

Così, Annunziata, La disciplina, cit., p. 212 ss. Sono tali, ai sensi dell’art. 1 co. 1 lett. o) reg. 2006 – 03 i fondi di tipo UCITS III e gli Oic esteri rientranti nell’ambito di applicazione della Direttiva Ue; i fondi di tipo UCITS III sono, invece, ai sensi dell’art. 1 co. 1 lett. j) del medesimo regolamento, “i fondi comuni di investimento aperti di diritto sammarinese il cui regolamento di gestione disciplina l’attività di investimento in modo conforme alle disposizioni della direttiva comunitaria 85/611/ CEE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (Undertaking for the Collective Investment of Transferable Securities – UCITS), così come successivamente modificata e integrata dalle direttive 88/220/CEE, 95/26/CE, 2000/64/CE, 2001/107/CE e 2001/108/CE”. Per una disamina complessiva della figura del fondo aperto armonizzato si veda, Costi, Il mercato, cit., p. 201 ss., il quale pone in evidenza la distinzione tra fondi aperti armonizzati e fondi aperti non armonizzati richiamando la conformità dei primi al modello previsto dalle direttive comunitarie sull’armonizzazione delle norme in materia di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari e sul mutuo riconoscimento; sull’argomento si veda anche, Desiderio, “UCITS III”: la riforma europea della gestione collettiva del risparmio e le modifiche al testo unico della finanza. Le novità per fondi e sicav, in Dir. banc., 2004, p. 108 ss. Per un’analisi della disciplina italiana in relazione ai limiti e all’oggetto dell’investimento dei fondi armonizzati aperti di diritto italiano, si veda, Sanguinetti e Forte, Le società di gestione del risparmio, Milano, 2004, p. 2 ss. 55

688


Marco Bodellini

anche che siano state eseguite nel paese di origine le formalità di legge, qualora esistano, per offrire quote dell’Oic a San Marino. Poi ancora, la legge richiede il deposito di copia del regolamento dell’Oic, l’ultimo prospetto informativo trasmesso all’autorità estera, l’ultima relazione annuale, e quella semestrale successiva se pubblicate, nonché l’indicazione delle fonti in cui sono resi pubblici il valore delle quote e gli avvisi relativi alle modifiche dei regolamenti di gestione e all’esercizio di diritti connessi alla partecipazione dell’Oic. È espressamente richiesto dalla norma che tutta la documentazione elencata sia redatta in lingua italiana. Una volta che l’autorità di vigilanza sammarinese è venuta in possesso di tutte le informazioni richieste dalla legge, procederà ai sensi dell’art. 165 a valutare se il funzionamento dell’Oic straniero sia compatibile con quello dei fondi nazionali, se esso sia sottoposto a vigilanza nel paese di origine da parte di un autorità pubblica e se tali controlli siano equivalenti a quelli disciplinati dalla normativa interna, infine, controllerà che il soggetto promotore o gestore del fondo curi la diffusione di informazioni al pubblico. Il secondo comma prevede una forma di autorizzazione all’esercizio dell’offerta basata sul meccanismo del silenzioassenso; infatti se dopo 60 giorni dalla ricezione della comunicazione, la Banca Centrale non ha richiesto altre informazioni, né ha espressamente vietato l’offerta, questa potrà essere effettuata. Tuttavia nel caso in cui all’Oic o alla società che lo gestisce o promuove siano revocate le autorizzazioni, o comunque qualora vengano emessi nei loro confronti provvedimenti equivalenti, la Banca Centrale ha il potere di intervenire vietando la prosecuzione dell’offerta a San Marino. Poi ancora, ai sensi dell’art. 167, l’offerente deve adempiere diversi obblighi, prevalentemente di natura informativa e operativa, ossia deve: 1) “curare l’attività amministrativa relativa alle domande di sottoscrizione e alle richieste di rimborso”; 2) “attivare le procedure necessarie affinché le operazioni di sottoscrizione e di rimborso, nonché quelle di pagamento dei proventi, vengano regolarmente svolte nel rispetto dei termini e delle modalità previsti”; 3) “inviare al cliente conferma dell’investimento dalla quale risulti l’importo lordo versato, l’importo netto investito, le parti di Oic sottoscritte, il mezzo di pagamento utilizzato, la data di ricezione e la data di sottoscrizione”; 4) “consegnare prima della sottoscrizione i documenti informativi richiesti dalla normativa in materia di sollecitazione all’investimento”; 5) “informare i partecipanti all’Oic delle modifiche apportate ai regolamenti di gestione degli Oic sottoscritti”; 6) “mettere a disposizione dei partecipanti all’Oic che ne facciano richiesta le informazioni sull’andamento del valore delle quote nonché i rendiconti periodici dell’Oic e l’ultimo regolamento, statuto e prospetto

689


Saggi

informativo approvati nel paese di origine”. Si tratta di tutte quelle operazioni che rientrano nell’attività di offerta, e che quindi sono volte ad eliminare quanto più possibile le asimmetrie informative tra il sottoscrittore del fondo a San Marino e la società che ha istituito e che gestisce il fondo dal paese estero di origine; è evidente che l’unico soggetto che può porre in essere questi adempimenti è la società offerente, perlopiù sammarinese 56, che quindi funge da raccordo fra investitore e gestore e che di conseguenza ha l’onere ex lege di eseguire tutte le operazioni dell’elenco. La medesima società, ex art. 168, è tenuta anche ad inviare alla Banca Centrale la versione aggiornata dei documenti relativi all’Oic e alla società estera di cui all’art. 164 entro 10 giorni dal momento in cui viene a conoscenza di eventuali modifiche di questi. Come già rilevato, occorre ribadire che la disciplina sammarinese contrariamente a quella italiana non subordina la possibilità che vengano offerti sul mercato interno quote di fondi esteri all’esistenza di intese tra autorità di vigilanza, anzi nel caso di offerta di fondi Ucits III non è necessario nemmeno informare la Banca Centrale della Repubblica di San Marino. L’art. 163 co. 2 Reg. 2006 – 03 precisa, poi, che tutte le disposizioni di cui agli artt. 163 e seguenti non si applicano alle fattispecie che non rientrano nella disciplina della sollecitazione all’investimento di cui all’art. 106 Lisf 57. Tale statuizione dovrebbe essere interpretata nel senso che tutte queste disposizioni si applicano solo ai casi che rientrano nella fattispecie della sollecitazione all’investimento, ai quali andrà applicata anche l’apposita disciplina di cui all’art. 106 Lisf. Tuttavia la mancanza di una regolamentazione attuativa circa la fattispecie della sollecitazione all’investimento e le conseguenti difficoltà interpretative della norma hanno spinto i soggetti autorizzati sammarinesi a formulare a Banca

56

Attualmente tutti i soggetti autorizzati dalla Banca Centrale della Repubblica di San Marino a svolgere attività riservate a San Marino sono società di diritto sammarinese, ossia non sono presenti intermediari finanziari stranieri autorizzati da Banca Centrale a operare sul territorio sammarinese attraverso la costituzione di una succursale ovvero in regime di prestazione di servizi senza stabilimento; si veda Banca Centrale della Repubblica di San Marino, Registro soggetti autorizzati, consultabile sul sito della Banca Centrale della Repubblica di San Marino: www.bcsm.sm. 57 “Per sollecitazione all’investimento”, ex art. 106 comma 1 Lisf, “si intende ogni offerta, invito o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari o altri strumenti di raccolta del risparmio, anche non negoziabili”.

690


Marco Bodellini

Centrale alcuni quesiti sul tema. In particolare, circa la vendita di strumenti finanziari è stato chiesto quale sia la normativa in base alla quale è necessario richiedere la preventiva autorizzazione 58; quali sono i tempi per il rilascio della suddetta autorizzazione; e infine se la definizione di clienti professionali 59 di cui al Regolamento n. 2006 – 03 possa essere applicabile anche nella vendita di strumenti finanziari. La Banca Centrale della Repubblica di San Marino, rispondendo a tali quesiti 60, ha precisato che è necessario distinguere tra l’ipotesi in cui la vendita avviene inequivocabilmente su iniziativa del cliente, e l’ipotesi in cui l’iniziativa è riconducibile al venditore, integrando così la fattispecie della sollecitazione all’investimento. Nel primo caso, la validità della vendita è condizionata alla circostanza che il venditore sia un intermediario autorizzato alla prestazione dei servizi di investimento di cui alla lettera D dell’Allegato 1 alla Lisf 61 e che la relativa disciplina sia rispettata.

58 La formulazione del quesito era giustificata dal fatto che la preventiva autorizzazione dell’autorità di vigilanza, come già messo in evidenza, era obbligatoria nella disciplina previgente alla Lisf e al Reg. 2006 – 03, nei casi di collocamento a San Marino di valori mobiliari esteri ai sensi del combinato disposto degli artt. 7 e 8 l. 25 Febbraio 1986 n. 24. 59 Sono clienti professionali, ex art. 1 co. 1 lett. f) del Regolamento n. 2006 – 03, “ i soggetti appartenenti a una delle seguenti categorie: 1) soggetti autorizzati ad esercitare una o più attività riservate ai sensi del Titolo II della Lisf; 2) soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in vigore nel proprio Stato d’origine le attività svolte dai soggetti di cui al precedente punto 1); 3) società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati; 4) società che soddisfino almeno due dei seguenti requisiti: I) totale dell’attivo di bilancio superiore a venti milioni di euro; II) fatturato superiore a quaranta milioni di euro; III) patrimonio netto superiore a due milioni di euro; 5) Stati, banche centrali, istituzioni internazionali e sopranazionali; 6) persone fisiche che chiedano espressamente di essere considerate clienti professionali accettando espressamente il minor livello di eterotutela connesso a tale qualificazione, a condizione che documentino almeno una delle seguenti circostanze: I) possedere liquidità e strumenti finanziari liberamente disponibili per un ammontare complessivo superiore a cinquecentomila euro; II) avere una specifica competenza in materia di mercati e strumenti finanziari maturata attraverso esperienza professionale, didattica, operativa di almeno un anno; 7) le persone giuridiche che chiedano espressamente di essere considerate clienti professionali, a condizione che il loro rappresentante legale rientri nella categoria di cui al precedente punto 6)”. 60 Si veda, Banca Centrale della Repubblica di San Marino, Risposta al quesito relativo alla vendita di strumenti finanziari, del 26 maggio 2008, reperibile sul sito della Banca Centrale della Repubblica di San Marino: www.bcsm.sm. 61 Cfr. la nota n. 52.

691


Saggi

Nel secondo caso invece, per il combinato disposto degli articoli 76 e 106 della Lisf, occorre altresì che sia rispettata la specifica disciplina della sollecitazione all’investimento. Quest’ultima, nelle more dell’attuazione del citato articolo 106 della Lisf, continua a trovare la propria fonte, per effetto delle disposizioni transitorie della Lisf, nell’articolo 8 della l. 25 febbraio 1986 n. 24. Fatta questa premessa si rileva dunque che la vendita di strumenti finanziari che presenti le caratteristiche dell’offerta al pubblico deve essere preceduta dall’autorizzazione della Banca Centrale, che valuterà il relativo prospetto di vendita, in base all’art. 8 della l. 25 febbraio 1986 n. 24. In particolare, deve rilevarsi che il terzo comma del citato art. 8 stabilisce la nullità dei contratti conclusi senza la prescritta autorizzazione. Circa la procedura autorizzativa e i termini di risposta, invece, fino all’emanazione di specifici regolamenti della Banca Centrale attuativi della Lisf in materia di sollecitazione all’investimento e di prestazione dei servizi di investimento, si potrà fare riferimento alle norme contenute nell’art. 2 del Regolamento n. 2006 – 03 in materia di servizi di investimento collettivo. Pertanto, in base al terzo comma del menzionato articolo, il termine si intende fissato in trenta giorni, salvi i casi di sospensione e interruzione disciplinati dal medesimo articolo. Dall’intervento di Banca Centrale si ricava perciò che nei casi di offerta al pubblico di quote di Oic esteri posta in essere dai soggetti autorizzati è necessario, oltre al rispetto dei diversi oneri previsti dagli artt. 163 e ss Reg. 2006 – 03, anche il rilascio da parte di Banca Centrale di un’autorizzazione ad hoc, ulteriore rispetto alla generale autorizzazione che tutti i soggetti autorizzati possiedono per definizione. Le norme richiamate costituiscono la nuova disciplina di riferimento per i soggetti autorizzati sammarinesi ed esteri in relazione all’offerta al pubblico, nella Repubblica di San Marino, di quote di Oic stranieri, un’attività che nel tempo è cresciuta significativamente anche grazie alla presenza del segreto bancario e alla buona propensione alla raccolta del sistema finanziario sammarinese complessivamente considerato. È evidente che la nuova disciplina, seppur ancora incompleta, sia più adeguata alle mutate caratteristiche dei mercati finanziari di oggi di quanto non lo fosse la precedente, anche perché regolamenta un maggior numero di fattispecie, che prima non venivano prese in considerazione, in particolar modo prevede maggiori controlli dell’autorità di vigilanza sulla circolazione di prodotti finanziari esteri sul mercato interno, con l’evidente fine di garantire più tutela al pubblico dei risparmiatori.

692


Marco Bodellini

Deve ribadirsi che il secondo comma dell’art. 163 precisa che tutte le disposizioni contenute negli articoli in esame, cioè gli artt. 163 e ss Reg. 2006 – 03, non si applicano ai casi che non rientrano nella disciplina relativa alla sollecitazione all’investimento. Si è ritenuto che in tali casi non ci fosse la necessità di applicare gli strumenti giuridici posti dall’ordinamento a tutela degli investitori più piccoli, perché o non coinvolti nell’operazione, o coinvolti solo in misura marginale. Ne consegue che la fattispecie consistente nell’offerta di parti di Oic, anche esteri, rivolta ai soli clienti professionali di cui all’art. 1, co. 1, lett. f) del Regolamento n. 2006 – 03, non sarà soggetta alla disciplina precedentemente analizzata. Fino a pochissimo tempo fa erano molti i dubbi e le incertezze in relazione alla disciplina da applicare alla fattispecie dell’offerta di quote di Oic esteri rivolta ai soli clienti professionali in ragione del fatto che mancava, e continua a mancare, una regolamentazione ad hoc. Banca Centrale, a seguito delle numerose sollecitazioni da parte degli operatori, ha perciò deciso di intervenire 62, cercando di chiarire tali dubbi, e precisando che l’offerta di strumenti finanziari, tra cui anche parti di Oic, sia sammarinesi sia esteri, esclusivamente rivolta a soggetti che rientrano nella categoria dei clienti professionali, può essere svolta dagli intermediari sammarinesi o esteri autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento di cui alla lett. D) dell’Allegato 1 alla Lisf, senza obbligo di richiedere la preventiva autorizzazione alla medesima autorità di vigilanza. Tale preventiva autorizzazione non necessaria è quella di cui all’art. 8 l. n. 24 del 1986, che è invece indispensabile, come precedentemente rilevato, nel caso di offerta di quote di Oic esteri rivolta alla generalità del pubblico. Resta, tuttavia, a carico dell’intermediario, sammarinese o estero autorizzato da Banca Centrale, l’onere di verificare in concreto la sussistenza dei requisiti in capo ai sottoscrittori, necessari per rientrare nella categoria dei clienti professionali. Dall’articolato quadro legislativo appena descritto, si evince che il legislatore e il regulator sammarinesi hanno voluto differenziare la disciplina dell’offerta a San Marino di Oic esteri rivolta al pubblico, che trova una regolamentazione ad hoc agli artt. 163 e ss. del Reg. 2006 – 03, rispetto alla disciplina dell’offerta di Oic esteri rivolta ai soli clienti

62 Si veda ancora, Banca Centrale della Repubblica di San Marino, Risposta al quesito relativo alla vendita di strumenti finanziari, del 26 maggio 2008, reperibile sul sito della Banca Centrale della Repubblica di San Marino: www.bcsm.sm.

693


Saggi

professionali. Questa seconda fattispecie non è assoggettata ad apposita regolamentazione, tuttavia dal richiamato intervento di Banca Centrale si ricava che, se tale attività è posta in essere da soggetti esteri nella Repubblica di San Marino, questi ultimi dovranno essere autorizzati dalla Banca Centrale a esercitare attività riservate sul territorio sammarinese, mentre, qualora tale attività venga esercitata fuori dal territorio sammarinese evidentemente non potrà essere subordinata al rilascio di un’autorizzazione dell’autorità di vigilanza sammarinese in capo all’offerente straniero. Deve tuttavia segnalarsi l’esistenza di una prassi diffusa a San Marino prima dell’intervento della Banca Centrale del 26 maggio 2008, e in contrasto con quest’ultimo. Tale prassi consisteva nell’offerta diretta sul territorio della Repubblica di San Marino, di quote di Oic esteri rivolta a banche e finanziarie sammarinesi da parte di intermediari finanziari stranieri privi dell’autorizzazione di Banca Centrale a svolgere attività riservate sul territorio sammarinese. Tale prassi, oggi, dopo il richiamato intervento di Banca Centrale non pare più legittima. Deve ritenersi, dunque, che attualmente tanto l’offerta di quote di Oic sia sammarinesi che esteri rivolta al pubblico sul territorio sammarinese, quanto l’offerta di Oic sia sammarinesi che esteri, rivolta ai soli clienti professionali sul territorio sammarinese, debbano essere effettuate dai soggetti sammarinesi o esteri autorizzati dalla Banca Centrale a prestare i servizi di investimento di cui alla lett. D) dell’allegato 1 alla Lisf 63. Ne consegue che le società di gestione di fondi estere interessate a vendere le quote dei propri Oic a San Marino potranno scegliere se avviare l’iter per il rilascio dell’autorizzazione da parte di Banca Centrale a prestare i servizi di investimento di cui alla lett. D) dell’Allegato 1 alla Lisf 64 attraverso la costituzione di succursali o in regime di prestazione di servizi senza stabilimento, oppure porre in essere accordi con i soggetti autorizzati sammarinesi, in base ai quali saranno questi ultimi, grazie al possesso dell’autorizzazione rilasciata da Banca Centrale, ad occuparsi dell’offerta di tali strumenti finanziari sul mercato della Repubblica di San Marino. Solo quest’ultima ipotesi potrà configurarsi con riferimento all’offerta nella Repubblica di San Marino di quote di fondi italiani perché la disciplina dettata da Banca d’Italia pretende anche nel caso di prestazione di servizi senza stabilimento da parte delle Sgr domestiche l’esistenza di intese tra le autorità di vigilanza dei due paesi. In aggiunta,

63 64

694

Cfr. ancora la nota n. 52. Cfr. nuovamente la nota n. 52.


Marco Bodellini

pare che quote di fondi di diritto italiano possano essere legittimamente sottoscritte o acquistate da soggetti sammarinesi sul territorio della Repubblica di San Marino nell’ambito di un rapporto di gestione individuale di portafogli aperto con un soggetto autorizzato locale. In questa fattispecie, infatti, per il fondo italiano si tratterebbe di corrispondere solo ad una richiesta proveniente da un intermediario finanziario residente a San Marino, mentre per quest’ultimo si configurerebbe solo un’operazione di acquisto nell’ambito del proprio mandato discrezionale. In conclusione, la differenza tra la fattispecie di offerta di quote di Oic esteri rivolta alla generalità del pubblico e la fattispecie di offerta di quote di Oic esteri rivolta ai soli clienti professionali, consiste nel fatto che, nel primo caso è necessario il possesso da parte dell’offerente soggetto autorizzato di un’autorizzazione ad hoc rilasciata dalla Banca Centrale, mentre nel secondo caso tale autorizzazione ad hoc non è richiesta.

4. Conclusioni Dall’analisi in prospettiva comparata della normativa italiana e di quella sammarinese fin qui condotta si ricava che se attualmente non ci sono possibilità per i fondi sammarinesi di penetrare direttamente sul mercato italiano 65, di contro, seppure anche le Sgr italiane non possono operare a San Marino, i fondi di diritto italiano possono, però, essere offerti sul mercato sammarinese da intermediari bancari e finanziari ivi residenti ed autorizzati dall’autorità di vigilanza locale. Ciò deriva dal fatto che la disciplina italiana richiede l’esistenza di appositi accordi tra le autorità di vigilanza domestiche e le equivalenti autorità estere per consentire la penetrazione sul proprio mercato di prodotti esteri, mentre la disciplina sammarinese non esclude a priori la possibilità che a San Marino vengano offerti prodotti finanziari esteri ovviamente nel rispetto delle regole interne. Questa impostazione del modello sammarinese è, per così dire, una scelta forzata dal momento che il sistema finanziario locale non ha avuto fino a pochissimi anni fa la possibilità

65

Come rilevato precedentemente, sembra legittimo che intermediari bancari e finanziari, italiani da un lato, e sammarinesi dall’altro, acquistino per conto dei propri clienti nell’ambito della prestazione del servizio di gestione individuale di portafogli quote di fondi di investimento rispettivamente sammarinesi e italiani, pur in assenza delle necessarie autorizzazioni all’offerta nel paese estero.

695


Saggi

di creare prodotti finanziari evoluti, quindi per consentire lo sviluppo del mercato interno è stato necessario consentire la penetrazione di prodotti di diritto estero. Analizzando, infine, la situazione del mercato sammarinese, si può notare che l’offerta di quote di fondi esteri, così come gli investimenti in depositi bancari e in altri strumenti finanziari tradizionali hanno caratterizzato il sistema della Repubblica di San Marino per molti anni, creando un modello economico rivolto prevalentemente ai risparmiatori. Gli operatori sammarinesi, anche quelli più attrezzati e con una dimensione più rilevante, non avevano, fino a pochissimi anni fa, la possibilità di svolgere attività finanziarie più sofisticate e perciò più remunerative, perché l’arretrato quadro normativo non lo consentiva. Alcuni di questi soggetti, perlopiù le grandi banche, per ovviare alle lacune della normativa finanziaria interna, già diversi anni fa, hanno compiuto la scelta di creare Sicav e società di gestione di fondi, prevalentemente in Lussemburgo, che istituissero Oic le quote dei quali venissero poi rivendute a San Marino. Conscio di tale situazione, il legislatore sammarinese, al fine di incentivare un cambiamento strutturale del sistema finanziario interno e una sua trasformazione in modello economico rivolto anche a investitori istituzionali, ha emanato la Lisf 66. Il modello sistemico derivante dalla Lisf è orientato verso servizi innovativi e ad alto valore aggiunto, quali solo a titolo esemplificativo wealth management, finanza alternativa, private equity, e diversi altri. Il legislatore sammarinese in ragione del fatto che il sistema finanziario nazionale seppur sviluppato e relativamente efficiente era caratterizzato da grossi limiti strutturali rispetto a quello dei principali competitors internazionali, si è trovato di fronte a una scelta forzata, cioè innovare riformando. Si è ritenuto infatti che il precedente modello economico non fosse sostenibile nel lungo periodo. La struttura di quel mercato bancario e finanziario non era più in grado di mantenere i livelli di crescita raggiunti, e anzi era probabilmente destinato col tempo a una fase di graduale declino 67.

66 Cfr., Consiglio Grande e Generale, Relazione al progetto di legge sulle imprese e sui servizi bancari, finanziari e assicurativi, p. 4 ss., reperibile sul sito della Segreteria di Stato alle Finanze: www.finanze.sm. 67 Cfr. ancora Consiglio Grande e Generale, Relazione al progetto di legge sulle imprese e sui servizi bancari, finanziari e assicurativi, p. 5 ss., reperibile sul sito della Segreteria di Stato alle Finanze: www.finanze.sm.

696


Marco Bodellini

È in un contesto di grande fermento legislativo come quello fin qui descritto che è stato finalmente emanato, nel novembre del 2006, il Regolamento di Banca Centrale in materia di servizi di investimento collettivo (Regolamento 2006 – 03) 68. Tale provvedimento normativo, peraltro già modificato una volta dal Regolamento 2007 – 03, costituisce il secondo elemento fondamentale per la creazione dell’industria sammarinese dei fondi, e per il graduale passaggio del sistema finanziario sammarinese da distributivo di prodotti esteri a produttivo di strumenti finanziari propri da rivendere dentro e fuori i confini nazionali 69. A oltre quattro anni dall’entrata in vigore del Regolamento, il 15 novembre 2006, e a più di tre anni dall’emanazione del regolamento di modifica, sono già state costituite ed autorizzate due società di gestione di diritto sammarinese, le quali hanno istituito ben quindici fondi comuni di investimento, regolarmente distribuiti sul territorio della Repubblica di San Marino. Sarà, tuttavia, necessario un ulteriore periodo di tempo per capire se il progetto legislativo sammarinese in materia di servizi di investimento collettivo rappresenterà una importante leva di sviluppo per il mercato finanziario interno e dunque per l’intero sistema-paese.

Marco Bodellini

68

Per un parallelismo con la situazione italiana e per una breve ricostruzione storica delle diverse tappe che hanno caratterizzato l’introduzione nel sistema italiano della disciplina sulla gestione collettiva del risparmio si veda, Greco, Attività ed autorizzazione all’esercizio delle società di gestione del risparmio, in Il mercato finanziario, intermediari finanziari, società quotate, assicurazioni, previdenza complementare, a cura di Rispoli Farina e Rotondo, Milano, 2005, p. 143 ss., dove l’autore individua anche le ragioni economiche e giuridiche che hanno spinto il legislatore italiano a emanare la l. 77/1983, la prima legge di riferimento per l’attività di gestione collettiva del risparmio; sul punto cfr. anche, Mastrangelo, L’evoluzione della disciplina delle attività di gestione di patrimoni mobiliari, in La riforma dei mercati finanziari, a cura di Ferrarini e Marchetti, Roma, 1998, p. 150 ss.; per un’analisi comparata tra la previgente e la nuova disciplina italiana sulla gestione collettiva del risparmio si veda, Annunziata, Gestione collettiva del risparmio e nuove tipologie di fondi comuni di investimento, in Riv. soc., 2000, 2, p. 350 ss., dove si pongono in evidenza le novità introdotte dal t.u.f. 69 Si consideri in tale contesto quanto osservato da, Morosino e Rabitti Bedogni, Manuale di diritto dei mercati finanziari, Milano, 2004, p. 151 ss., secondo cui la raccolta collettiva del risparmio è funzionale anche ad una maggiore efficienza del mercato, in quanto consente una migliore allocazione delle risorse rispetto a quanto avverrebbe se i singoli risparmiatori effettuassero investimenti diretti. Infatti, la gestione collettiva del risparmio si sviluppa, in genere, in mercati abbastanza evoluti, nei quali accedono all’investimento finanziario fasce di risparmiatori medio-piccoli.

697



CoMMENTI

Commissione di massimo scoperto e usura CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, sezione II penale, sentenza 26 marzo 2010, n. 12028; Pres. Carmenini, Est. Gallo, P.M. Stabile (concl. diff.); Ce. ed altri Contratti bancari – Conto corrente bancario – Interessi – Interessi usurari – Tasso effettivo globale – Determinazione – Commissione di massimo scoperto – Inclusione (Cod. pen., art. 644; d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv. con l. 28 gennaio 2009, n. 2, misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e imprese, art. 2-bis)

Ai fini dell’accertamento dell’usurarietà dei tassi, la determinazione del tasso effettivo globale annuo praticato dalla banca in relazione ad un rapporto di conto corrente bancario deve includere anche la commissione di massimo scoperto ove concretamente corrisposta dal cliente. (1) (Omissis) Svolgimento del processo Con sentenza in data 9 luglio 2009, il Gup presso il Tribunale di Ascoli Piceno, dichiarava non luogo a procedere nei confronti di Gi. Bi. perché il fatto non sussiste, nonché non doversi procedere nei confronti di Ce. Ca., Ce. Pi. Lo., Al. Ma. Pi. e Ro. Ma., con la formula perché il fatto non costituisce reato per alcuni episodi e con la formula perché il fatto non sussiste per gli altri. Il procedimento nasceva da una imputazione di concorso in usura elevata nei confronti di alcuni funzionari della locale filiale della Banca di Ro., con riferimento a due relazioni di c/c

accese presso la predetta banca dalla Or. srl, sulle quali risultavano praticati, nel periodo compreso fra il II semestre 1998 ed il III trimestre 2003, tassi di interesse superiori al tasso soglia indicato dai Decreti ministeriali emanati in attuazione della l. 7 marzo 1996 n. 108 che aveva novellato l’art. 644 c.p. In particolare la contestazione rilevava che il superamento del tasso soglia era avvenuto applicando in maniera abnorme la commissione massimo scoperto (CMS), attraverso una interpretazione strumentale della circolare della Banca d’Italia del 30/9/1996 e delle successive, che non tengono conto della CMS ai fini del

699


Commenti

calcolo del Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM). Nel corso dell’udienza preliminare il Gup disponeva perizia contabile affidando al CTU il compito di verificare l’eventuale superamento del tasso soglia con riferimento ai due c/c bancari della Or. s.r.l., in essere presso la Banca di Ro., ponendo al CTU dei quesiti alternativi, quanto al metodo di calcolo, che comportavano l’effettuazione di quattro differenti conteggi. Alla stregua del primo conteggio, che includeva la CMS nel calcolo del Tasso Effettivo Globale (TEG) praticato dalla Banca, emergeva che le soglie di usura risultavano superate in alcuni trimestri per entrambi i c/c. Alla stregua del secondo conteggio (che adottava una formula di calcolo diversa da quella indicata dalla Banca d’Italia ma non includeva la CMS) risultavano due esuberi sul c/c (omissis), ma non veniva riscontrato alcun esubero sul c/c n. (omissis). Secondo il terzo conteggio (che adottava la formula di calcolo indicata dalla Banca d’Italia ma non includeva la CMS), i risultati non evidenziavano alcun esubero. Alla stregua del quarto conteggio (che adottava la formula di calcolo indicata dalla Banca d’Italia e includeva la CMS secondo le istruzioni fornite nel bollettino di vigilanza del 2 dicembre 2005) i risultati non evidenziavano alcun esubero. In punto di diritto, il Gup osservava che, sia alla luce del tenore letterale della norma di cui al IV comma dell’art. 644 c.p. che della “ratio legis”, la CMS doveva essere inclusa nella procedura di calcolo del TEGM, in quanto il legislatore, ai fini della determinazione del tasso di interesse

700

usurario, aveva chiaramente indicato che doveva tenersi conto di tutti quei costi che il contraente era chiamato a sopportare in relazione al credito accordatogli. Di conseguenza il Gup osservava che la scelta della Banca d’Italia di non includere la CMS nella procedura di calcolo del TEGM non poteva ritenersi vincolante per l’interprete. Pertanto l’elemento obiettivo del reato di usura doveva ritenersi integrato, con riferimento a quei trimestri rispetto ai quali era stato accertato l’esubero, utilizzando il metodo di calcolo che teneva conto della CMS. Il Gup, inoltre, respingeva la tesi difensiva dell’errore determinato da ignoranza scusabile della legge penale, con riferimento all’oscurità dei criteri per il calcolo del tasso soglia, ma riscontrava la carenza dell’elemento soggettivo in testa ai funzionari della Banca di Ro., riconoscendo che gli stessi avevano agito senza la coscienza e volontà di porre in essere una condotta usuraria. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione gli imputati Ce. Ca., Ce. Pi. Lo., Al. Ma. Pi. e Ro. Ma., con riferimento ai capi della sentenza in cui risultano assolti con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, sollevando due motivi di gravame con i quali deducono mancanza e manifesta illogicità della motivazione ed inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e/o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione delle legge penale. La manifesta illogicità della sentenza deriverebbe dal fatto che il giudice ha messo a confronto il tasso soglia (TEGM), indicato nei d.m. sulla base delle rilevazioni effettuate dalla Banca


Corte Suprema di Cassazione

d’Italia, alla cui formazione non concorre la CMS, con il TEG praticato dalla Banca di Ro., per il calcolo del quale il CTU ha tenuto conto anche della CMS. A parere dei ricorrenti, qualora si volesse includere la CMS nel calcolo del tasso soglia, ove lo si consideri un costo che deve essere preso in considerazione per la determinazione del tasso di interesse usurario, non si potrebbe prendere in considerazione un tasso soglia che sia stato concretamente determinato senza prendere in considerazione la CMS. Ciò perché è evidente che, includendo tale onere (la CMS) nel calcolo degli interessi praticati dalle banche e dagli altri intermediari finanziari, si perverrebbe ad un risultato diverso da quello rilevato dalla Banca d’Italia ed utilizzato dal Ministro del Tesoro per la determinazione del limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sotto il profilo del diritto, i ricorrenti osservano che la norma di cui all’art. 644 c.p. è una norma parzialmente in bianco nella quale la determinazione concreta del tasso usurario viene demandata agli organi amministrativi, all’esito di una procedura attraverso la quale vengono determinati i Tassi Effettivi Globali Medi per ogni categoria di operazioni omogenee. Pertanto la determinazione del tasso usurario non può essere rimessa all’interprete che non può forzare i metodi di calcolo demandati per legge alle autorità amministrative. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso anche le parti civili deducendo violazione di legge e vizio della motivazione per manifesta contraddittorietà, illogicità e travisamento della prova. Al riguardo le parti civili si dolgono delle motivazioni con

cui il Gup è pervenuto all’esclusione dell’elemento soggettivo in testa agli imputati, facendo rilevare che, una volta esclusa la sussistenza dell’errore sul fatto, appariva illogica e contraddittoria l’esclusione dell’elemento soggettivo dal momento che gli imputati avevano applicato i tassi esuberanti essendo pienamente coscienti della loro natura usuraria. Eccepiscono, inoltre, che nella fattispecie l’elemento soggettivo del reato può essere integrato anche dal dolo eventuale.

Motivi

della decisione

Preliminarmente occorre esaminare il ricorso delle parti civili. In proposito occorre rilevare che non sono ammissibili i ricorsi proposti da En. Or. e Fe. Ci., i quali hanno agito nella qualità di fideiussori della Or. S.r.l., in quanto, secondo una recente pronunzia di questa Corte: “la persona danneggiata, pur costituita parte civile, che non sia anche persona offesa non è legittimata a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere, essendo tale impugnazione destinata alla tutela esclusiva degli interessi penalistici della persona offesa” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 37114 del 16/04/2009 Cc. Rv. 244601). In punto di diritto, la Corte nella pronunzia citata ha rilevato che: “La legge n. 46 del 2006, che ha tra l’altro abrogato l’art. 577 c.p.p., ha profondamente modificato il regime di impugnabilità della sentenza di non luogo a procedere, riconoscendo alla persona offesa la legittimazione a ricorrere per cassazione non solo per violazione del contraddittorio, ma, quando sia costituita parte civile, anche per gli altri motivi ammes-

701


Commenti

si dall’art. 606 c.p.p. Sicché si pone il problema dell’estensione anche al danneggiato della legittimazione ad impugnare riconosciuta alla persona offesa, quando vi sia stata costituzione di parte civile. La soluzione del problema non può prescindere dalla preliminare considerazione che questa impugnazione non è limitata ai soli effetti civili, perché una tale limitazione, tuttora esplicitamente imposta dall’art. 576 c.p.p., co. 1 per le impugnazioni della parte civile contro le sentenze pronunciate in giudizio, non è prevista dall’art. 428 c.p.p., co. 2, oltre ad essere incompatibile con la natura della decisione conclusiva dell’udienza preliminare, priva di effetti irrevocabili sul merito della controversia. Sicché deve ritenersi che il riferimento dell’art. 428 c.p.p., co. 2 alla persona offesa escluda il danneggiato, pur costituito parte civile, dalla legittimazione a ricorrere per cassazione, trattandosi qui di un’impugnazione destinata alla tutela esclusiva degli interessi penalistici della persona offesa. Del resto la distinzione tra persona offesa e danneggiato è ben chiara nella terminologia del codice (si vedano gli artt. 11, 36, 77, 404 e 652 c.p.p.); e non è ragionevole che da una tale distinzione si prescinda nell’ambito di una disposizione che alla persona offesa riconosca una più limitata legittimazione ad impugnare anche quando sia costituita parte civile” (Cass. Pen. Sez. 5, 15.1.2007, n. 5698, CED 235863)”. Nella fattispecie, poiché l’imputazione ha ad oggetto il reato di usura commesso in danno della Or. S.r.l., alla quale la Banca di Ro. avrebbe applicato tassi di interesse superiori alla soglia legale, è evidente che la perso-

702

na offesa è soltanto tale società, titolare dei due rapporti di conto corrente accesi presso la filiale di As. Pi. della Banca di Ro., mentre i soggetti che hanno agito in qualità di fideiussori della società, pur essendo – in ipotesi – danneggiati dal reato non possono essere considerati persone offese. Pertanto i ricorsi di En. Or. e Fe. Ci. devono essere dichiarati inammissibili. Il ricorso proposto dalla Or. S.r.l. è ammissibile ma infondato nel merito. A questo proposito occorre avere riguardo alla natura della sentenza di proscioglimento ex art. 425 c.p.p. La regola di giudizio che governa la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Gup all’esito della fase dell’udienza preliminare è quella inerente alla prognosi di non evoluzione in senso favorevole all’accusa del materiale probatorio raccolto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 45046 del 11/11/2008 Cc. Rv. 242222). Con una recente pronunzia questa Corte ha ribadito che: “La previsione di cui all’art. 425, comma terzo, cod. proc. pen. – per la quale il G.u.p. deve emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti o contraddittori – è qualificata dall’ultima parte del suddetto comma terzo che impone tale decisione soltanto ove i predetti elementi siano comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio. Ne deriva che solo una prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del materiale probatorio raccolto – me non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato – può condurre ad una sentenza di non luogo a proce-


Corte Suprema di Cassazione

dere” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22864 del 15/05/2009 Cc. (dep. 03/06/2009) Rv. 244202). Nella fattispecie non ricorre l’ipotesi che gli elementi istruttori raccolti possano avere una qualunque evoluzione nel corso del dibattimento in quanto tutte le ipotesi possibili di calcolo del Tasso Effettivo Globale Medio applicato dalla Banca di Ro. alle due relazioni di conto corrente in essere con la Or. s.r.l. sono state prese in considerazione dal CTU ed il Gup ha fatto proprio il conteggio più sfavorevole agli imputati. Non essendo possibile alcun ulteriore sviluppo in dibattimento, in senso favorevole all’accusa, del materiale istruttorio raccolto, non può essere censurata la sentenza di non doversi procedere pronunziata dal Giudice dell’udienza preliminare poiché il primo comma dell’art. 425 impone al Gup di pronunziare sentenza di proscioglimento quando “… risulta che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato…”. La sentenza impugnata, pertanto, è coerente con la regola di giudizio che governa l’esito dell’udienza dibattimentale, ai sensi dell’art. 425 c.p.p. Il Gup ha accettato il primo conteggio del CTU che includeva la CMS nel calcolo del Tasso Effettivo Globale (TEG) praticato dalla banca, dal quale emergeva che le soglie di usura risultavano superate in alcuni trimestri per entrambi i c/c. Conseguentemente per i trimestri nei quali non risultava alcun superamento del tasso soglia ha disposto il proscioglimento degli imputati per l’insussistenza del fatto. Viceversa per gli altri trimestri, avendo ritenuto sussistente l’elemento obiettivo del reato di usura per il superamento del

tasso soglia, ha proceduto all’esame della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in testa agli imputati, tutti funzionari della locale agenzia della Banca di Ro. Al riguardo il Gup ha osservato che “la minima entità dei superamenti del tasso soglia rispetto alle cifre movimentate nei conti, la episodicità dei superamenti stessi nel corso di rapporti bancari analizzati per un lungo lasso temporale (ben sei anni), la presenza di normativa secondaria di settore, solo successivamente rivisitata dalla Banca d’Italia, la certezza rappresentata dalla controprova che, in applicazione della contraddittoria normativa secondaria di settore, non vi sono stati superamenti, costituiscono granitici indici fattuali che depongono per la certa insussistenza dell’elemento psicologico, non potendosi, in loro presenza, ragionevolmente ritenere la sussistenza della consapevolezza e volontà di porre in essere una condotta usuraria” (fol. 36 e 37). Non v’è dubbio che la conclusione a cui è pervenuto il giudicante in punto di insussistenza dell’elemento soggettivo sia sorretta da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici. Né può intravedersi alcun vizio di illogicità o di contraddittorietà nella motivazione per il fatto che il Gup ha escluso, nel caso di specie la configurabilità dell’errore di diritto scusabile, ai sensi dell’art. 5 del codice penale, come modificato dalla sentenza n. 364/1988 della Corte costituzionale. Infatti se la sussistenza di un errore di diritto scusabile esclude sempre il dolo in testa all’agente, esonerando il giudice da ogni ulteriore approfondi-

703


Commenti

mento in ordine all’elemento soggettivo del reato, una volta escluso l’errore scusabile, non per questo viene meno il dovere di verificare in concreto la sussistenza dell’elemento soggettivo. Nella fattispecie, tale verifica è stata puntualmente effettuata dal Gup con argomentazioni prive di vizi logici che sfuggono ad ogni censura in questa sede. Di conseguenza deve essere respinto il ricorso della parte civile Or. S.r.l. Per quanto riguarda il ricorso proposto dai soggetti prosciolti dall’imputazione di usura con la formula diversa da quella perché il fatto non sussiste, il Collegio osserva quanto segue. Con la legge 7 marzo 1996 n. 108, il legislatore ha novellato il reato di usura di cui all’art. 644 c.p., delineando una disciplina in chiave tendenzialmente oggettiva che fa perno su un rapporto di sproporzione fra le prestazioni, predeterminato attraverso una procedura amministrativa. In linea generale il reato di usura comune si configura per l’oggettivo superamento del tasso-soglia degli interessi, indipendentemente dalla condizione della persona offesa, salvo che non si verifichi comunque un abuso delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria della vittima. Ove non venga in considerazione l’abuso della situazione di bisogno, l’elemento oggettivo del reato di usura è integrato dall’obiettivo superamento del tasso-soglia degli interessi. Il superamento del tasso soglia, determinato secondo la procedura amministrativa prevista dalla legge, comporta, infatti, una presunzione legale di usurarietà degli interessi. Più specificamente il comma 3

704

dell’art. 644 c.p. prevede che: “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. A norma dell’art. 2, co. 4, della l. 108/1996: “il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà.” Lo stesso articolo 2, ai commi 1 e 2 prevede le modalità di svolgimento della procedura amministrativa per la determinazione del limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, stabilendo: “1. Il Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei Cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi degli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione, corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre di riferimento, sono pubblicati senza ritardo nella gazzetta ufficiale. 2. la classificazione delle operazioni per categorie omogenee, tenuto conto della natura, dell’oggetto, dell’importo, della durata, dei rischi e delle garanzie è effettuata annualmen-


Corte Suprema di Cassazione

te con decreto del Ministro del Tesoro, sentiti la banca d’Italia e l’ufficio italiano dei cambi e pubblicata senza ritardo nella gazzetta ufficiale.” In sostanza la legge ha previsto una procedura amministrativa volta a rilevare in modo oggettivo il livello medio dei tassi d’interesse praticato dalle banche e dagli altri intermediari finanziari autorizzati, ancorando il disvalore sociale collegato al concetto di usura al superamento di tale livellosoglia, aumentato della metà. Di conseguenza la norma di cui all’art. 644 c.p. si presenta come una norma penale parzialmente in bianco, in quanto per determinare il contenuto concreto del precetto penale è necessario fare riferimento ai risultati di una complessa procedura amministrativa. Se tale procedura non venisse portata a termine, con la pubblicazione trimestrale dei Decreti del Ministro del Tesoro (attualmente dell’Economia e delle Finanze) portanti la rilevazione dei tassi globali medi, il reato non sarebbe punibile per la mancanza di un elemento essenziale, integrativo della condotta, fatta salva l’ipotesi dell’abuso dello stato di bisogno. Proprio il rilievo che assume la procedura amministrativa per l’integrazione del reato ha fatto sorgere dei dubbi di costituzionalità della norma. Sul punto è intervenuta questa Sezione che ha statuito che: “In tema di usura è manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità del combinato disposto degli artt. 644, terzo comma cod. pen. e 2 della legge 7 marzo 1996 n. 108 per contrasto con l’art. 25 Cost., sotto il profilo che le predette norme, nel rimettere la determinazione del “tasso soglia”, oltre il quale si configura uno degli

elementi oggettivi del delitto di usura, ad organi amministrativi, determinerebbero una violazione del principio della riserva di legge in materia penale” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20148 del 18/03/2003 Ud. Rv. 226037. Con tale pronunzia la Corte ha osservato che il principio della riserva di legge è rispettato in quanto la suddetta legge indica analiticamente il procedimento per la determinazione dei tassi soglia, affidando al Ministro del Tesoro solo il limitato ruolo di “fotografare”, secondo rigorosi criteri tecnici, l’andamento dei tassi finanziari. Non v’è dubbio che la legge abbia determinato con grande chiarezza il percorso che l’autorità amministrativa deve compiere per “fotografare” l’andamento dei tassi finanziari. Questo percorso postula l’intervento della Banca d’Italia che nella sua qualità di Organo di vigilanza deve fornire le dovute istruzioni alle banche ed agli operatori finanziari autorizzati per la rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi praticati dal sistema bancario e finanziario in relazione alle categorie omogenee di operazioni creditizie. E tuttavia questo intervento tecnico per “fotografare” l’andamento dei tassi finanziari postula comunque delle scelte interpretative da parte dell’organo di vigilanza tanto in merito alla classificazione delle operazioni omogenee rispetto alle quali effettuare la rilevazione dei tassi medi effettivamente praticati nel trimestre, quanto in merito all’individuazione “delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese (…) collegate all’erogazione del credito”, che devono essere incluse nelle rilevazioni statistiche, quanto delle voci

705


Commenti

che devono essere escluse, in quanto imposte o tasse, ovvero oneri non collegati all’erogazione del credito. A questo riguardo le istruzioni di vigilanza diramate dalla Banca d’Italia per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi praticati dal sistema bancario e finanziario, in relazione alle categorie omogenee di operazioni creditizie indicano analiticamente i dati da segnalare ed il trattamento degli oneri e delle spese. In particolare il punto C4. (Trattamento degli oneri e delle spese), prevede: “Ai sensi della legge il calcolo del tasso deve tener conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito. In particolare, sono inclusi: 1) le spese di istruttoria e di revisione del finanziamento (per il factoring le spese di “istruttoria cedente”); 2) le spese di chiusura della pratica (per il leasing le spese forfettarie di “fine locazione contrattuale”); Le spese di chiusura o di liquidazione addebitate con cadenza periodica, in quanto diverse da quelle per tenuta conto, rientrano tra quelle incluse nel calcolo del tasso. 3) le spese di riscossione dei rimborsi e di incasso delle rate, salvo quanto stabilito al successivo punto b); 4) il costo dell’attività di mediazione svolta da un terzo, se necessaria per l’ottenimento del credito; 5) le spese per le assicurazioni o garanzie imposte dal creditore, intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito; Le spese per assicurazioni e garan-

706

zie non sono ricomprese quando derivino dall’esclusivo adempimento di obblighi di legge. Nelle operazioni di prestito contro cessione del quinto dello stipendio e assimilate indicate nella Cat. 8 le spese per assicurazione in caso di morte, invalidità, infermità o disoccupazione del debitore non rientrano nel calcolo del tasso purché siano certificate da apposita polizza. 6) ogni altra spesa contrattualmente prevista connessa con l’operazione di finanziamento. Si considerano non connessi con l’operazione, con riferimento al Factoring e al Leasing, i compensi per prestazioni di servizi di natura non finanziaria. Sono esclusi: a) le imposte e tasse; b) le spese e gli oneri di cui ai successivi punti per la parte in cui non eccedano il costo effettivamente sostenuto dall’intermediario: - il recupero di spese, anche se sostenute per servizi forniti da terzi (ad es. perizie, certificati camerali, spese postali; spese custodia pegno; nel caso di sconto di portafoglio commerciale, le commissioni di incasso di pertinenza del corrispondente che cura la riscossione); - le spese legali e assimilate (ad es. visure catastali, iscrizione nei pubblici registri, spese notarili, spese relative al trasferimento della proprietà del bene oggetto di leasing, spese di notifica, spese legate all’entrata del rapporto in contenzioso)”. Nel successivo punto C.5 le istruzioni di vigilanza (in vigore fino al 2 trimestre 2009) prevedono che la commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG. Essa


Corte Suprema di Cassazione

viene rilevata separatamente, espressa in termini percentuali. La metodologia per il calcolo del TEG applicata dalla Banca d’Italia, fin dalla prima rilevazione, è stata posta a fondamento dei decreti ministeriali nei quali, come previsto dall’art. 2, co. 1 della legge 7 marzo 1996 n. 108, è contenuta la rilevazione trimestrale del tasso effettivo globale medio in base al quale è stabilito il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 c.p., oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Infatti, fin dal primo decreto (d.m. 22 marzo 1997) il Ministro del Tesoro determinava la tabella dei tassi di interesse effettivi globali medi, precisando che “i tassi non sono comprensivi della commissione di massimo scoperto eventualmente applicata”. Per quanto riguarda la natura della commissione di massimo scoperto, occorre fare riferimento alle Istruzioni di vigilanza che la definiscono in questo modo: “Tale commissione nella tecnica bancaria viene definita come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto. Tale compenso – che di norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni – viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento. Tale commissione è strutturalmente connessa alle sole operazioni di finanziamento per le quali l’utilizzo del credito avviene in modo variabile, sul presupposto tecnico che esista uno

“scoperto di conto”. Pertanto, analoghe commissioni applicate ad altre categorie di finanziamento andranno incluse nel calcolo del TEG”. Risulta evidente, pertanto, che tale voce non costituisce un interesse in senso tecnico, bensì una commissione, vale a dire un onere posto in relazione allo “scoperto di conto corrente”, che trova giustificazione quale parziale ristoro per la minore redditività che la banca subisce dovendo tenere a disposizione risorse liquide, oltre l’affidamento concesso. Non può escludersi, però, che tale onere sia collegato all’erogazione del credito, anche se, in qualche modo riflette una patologia dei rapporti bancari che si esprime nello scoperto di conto corrente o nello sconfinamento di fido. Ciò ha fatto sorgere delle legittime perplessità in ordine alla conformità al dettato legislativo del metodo di rilevazione adottato dalla Banca d’Italia (e fatto proprio dal ministro competente) nella parte in cui esclude la CMI dal calcolo del TEG. Tali perplessità sono emerse episodicamente dinanzi ai giudici di merito, ma il problema non è mai stato compiutamente esaminato da questa Corte. In particolare la sentenza n. 8551/2009 di questa Sezione ha preso in considerazione il problema della pretesa violazione dell’art. 644, IV comma c.p. insito nel metodo di calcolo utilizzato dalla Banca d’Italia per la rilevazione del tasso effettivo globale, che non terrebbe conto della voce “commissione di massimo scoperto, ma si è limitata a rilevare che “il metodo di calcolo dei tassi effettivi globali medi previsto dalla Banca d’Italia è stato integralmente accolto

707


Commenti

nei decreti ministeriali emessi ai sensi dell’art. 2 l. 108/96 nei quali è espressamente previsto che le banche debbano attenervisi al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2 co. 4 della legge 7 marzo 1996 n. 108”, senza ulteriormente indagare sulla conformità dell’esito della procedura amministrativa, così ritualmente espletata, alle disposizioni di cui al IV comma dell’art. 644 c.p. con riferimento agli elementi di cui obbligatoriamente si deve tenere conto per la determinazione del tasso di interesse usurario. Questo collegio ritiene che il chiaro tenore letterale del comma IV dell’art. 644 c.p. (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la Commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all’erogazione del credito, giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l’onere, a cui l’intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente. Ciò comporta che, nella determinazione del tasso effettivo globale praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto, ove praticata.

708

Tale interpretazione risulta avvalorata dalla normativa successivamente intervenuta in materia di contratti bancari. Al riguardo occorre richiamare l’art. 2 bis del d.l. 29/11/2008 n. 185, convertito con la legge 28 gennaio 2009 n. 2. Tale articolo al comma 1 disciplina le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto, ridimensionandone l’operatività. Al comma secondo precisa che: “gli interessi, le commissioni, le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente (…) sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 del codice civile, dell’art. 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108”. In applicazione di tale normativa la Banca d’Italia ha diramato, nell’agosto del 2009, le nuove Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura. Al punto C.4 (trattamento degli oneri e delle spese nel calcolo del TEG) sono indicate (sub 7) fra le varie voci da comprendere nel calcolo anche: “gli oneri per la messa a disposizione dei fondi, le penali e gli oneri applicati nel caso di passaggio a debito di conti non affidati o negli sconfinamenti sui conti correnti affidati rispetto al fido accordato e la commissione di massimo scoperto laddove applicabile secondo le disposizioni di legge vigenti”. La disposizione in parola, per quel che interessa in questa sede, può essere considerata norma di interpretazione autentica del quarto comma dell’art. 644 c.p. in quanto puntualizza


Corte Suprema di Cassazione

cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme. Alla luce delle considerazioni sopra svolte non possono essere censurate le conclusioni, in punto di diritto, a cui è pervenuto il giudice di merito che ha interpretato l’art. 644, IV comma, c.p. nel senso che la Commis-

sione di massimo scoperto rientra fra gli oneri che devono essere presi in considerazione per il calcolo del Tasso Effettivo Globale riferito ai rapporti bancari oggetto del presente giudizio. Di conseguenza deve essere respinto il ricorso proposto da Ce. Ca., Ce. Pi. Lo., Al. Ma. Pi. e Ro. Ma. (Omissis)

(1) Le commissioni di massimo scoperto e le soglie d’usura. La Cassazione penale ridimensiona la Banca d’Italia Sommario: 1. Introduzione. Le commissioni di massimo scoperto: evoluzione nella contraddizione. – 2. La sentenza della Cassazione, II penale, n. 12028 del 19 febbraio 2010. – 3. I riflessi della sentenza della Cassazione: aspetti giuridici, economici e metodologici. – 4. Le nuove istruzioni della Banca d’Italia. – 5. Considerazioni finali.

1. Introduzione. Le commissioni di massimo scoperto: evoluzione nella contraddizione. Per oltre tredici anni la commissione di massimo scoperto, nonostante la chiara formulazione della legge 108/96, è stata esclusa dal calcolo del TEG, il tasso effettivo globale, indicato dalle banche alla Banca d’Italia, nell’ambito della rilevazione del TEGM, tasso effettivo globale medio. Una prassi amministrativa difforme dal dettato legislativo ha consentito al sistema bancario, attraverso le CMS, di estendere i costi del credito oltre i limiti di legge. Se non fosse intervenuta la l. n. 108 del 1996 a porre rigide limitazioni ai tassi di interesse, la commissione di massimo scoperto sarebbe rimasta presumibilmente relegata tra gli oneri minori 1. Le CMS, escluse

1 La l. n. 108 del 1996 ha modificato sostanzialmente il concetto di usura: in una nuova e più ampia accezione si è inteso presidiare, oltre alle forme classiche in cui si esplicita il fenomeno, anche forme di usura che perseguono, attraverso l’esercizio

709


Commenti

dal calcolo dell’usura, dallo storico ottavino (0,125%) applicato ai conti affidati nei primi anni novanta, sono lievitate sin quasi a decuplicarsi, estendendosi all’84% dei rapporti di conto e ad ogni forma di scoperto, sin’anche di valuta 2. La circostanza è risultata per lungo tempo oltremodo incidente, con significativi drenaggi di ricchezza, considerato che tale forma di finanziamento, tipica del sistema italiano e tra le più onerose

legale del credito, interessi diversi e opposti al progresso dell’economia nazionale. La Suprema Corte di Cassazione così si è espressa nella sentenza n. 20148 del 18 marzo 2003: “(…) è noto come, a seguito della riforma del 1996, la fattispecie incriminatrice delineata dall’art. 644 c.p., sia stata caratterizzata dalla determinazione legale dell’interesse usurario e dal correlativo abbandono di quell’etereo parametro rappresentato dall’approfittamento dell’altrui stato di bisogno, iscritto nella originaria struttura del reato quasi come un elemento indicatore di una condizione di “minorata difesa” sul piano economico atta a perturbare una effettiva libertà di autodeterminazione del soggetto; al tempo stesso, ne è risultata espunta, dalla ipotesi di base, l’altrettanto vaga nozione di condizione di “difficoltà economica o finanziaria” tipizzante la fattispecie di usura impropria di cui all’art. 644 bis c.p., aggiunto all’art. 11 quinquies, co. 2, del d.l. n. 306 del 1992 e poi abrogato dall’art. 1, co. 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108. Nella attuale formulazione, dunque, la eliminazione dell’estremo dell’abuso e della correlativa condizione dello stato di bisogno rappresenta indubbiamente l’aspetto di maggior risalto scaturito dalla riforma, posto che, agli effetti della rilevanza penale, ciò che conta è l’oggettivo superamento della soglia oltre la quale l’interesse o il vantaggio promesso o dato viene ad assumere – secondo una valutazione legale tipica – il carattere usurario. Una scelta legislativa dunque dalla quale traspare l’evidente intento di delineare la disciplina della usura in chiave tendenzialmente oggettiva, caratterizzando la fattispecie come una violazione del rapporto di adeguatezza delle prestazioni, secondo parametri predefiniti ed obiettivi che necessariamente non possono non tener conto delle leggi di mercato e del variabile andamento dei tassi che da esse conseguono. Attraverso l’abbandono del tradizionale requisito per così dire soggettivistico dell’abuso, e la sua sostituzione con il rilievo del tutto prevalente che nella struttura della fattispecie finisce per assumere il requisito – tutto economico – della sproporzione tra la prestazione del mutuante e quella del mutuatario, la prospettiva della tutela sembra dunque essersi spostata dalla salvaguardia degli interessi patrimoniali del singolo e, se si vuole, dalla protezione della personalità del soggetto passivo, verso connotazioni di marcata plurioffensività, giacché accanto alla protezione del singolo, vengono senz’altro in gioco anche – e forse soprattutto – gli interessi collettivi al corretto funzionamento dei rapporti negoziali inerenti alla gestione del credito e alla regolare dei mercati finanziari”. 2 A fine 2009 i conti delle imprese con un saldo a debito erano il 45% del totale, quelli delle famiglie il 12%. La distorsione è arrivata ad addebitare la Commissione anche quando la banca finanzia momentanei scoperti di conto, impiegando le stesse disponibilità del cliente, in precedenza versate, già introitate, ma non ancora riconosciute come “valuta” nel conto del medesimo: in tali circostanze il credito è solo apparente.

710


Roberto Marcelli

per l’impresa, costituisce il 30% dei finanziamenti erogati dal sistema bancario, contro il 10% degli altri paesi europei 3. In presenza di tassi di mercato tendenzialmente in flessione, si è determinata una marcata incidenza delle CMS sul costo complessivo del credito: nei valori medi rilevati nelle aperture di credito, il rapporto CMS/interessi è passato da valori inferiori al 5% dell’inizio degli anni ’90, al 16% nel ’97 e al 30% nel 2009. Si è venuto perdendo ogni elemento di rispondenza del prezzo del servizio al costo sopportato dalla banca 4. L’intermediario gestisce la liquidità necessaria sulla base di previsioni riferite all’intero aggregato della clientela, compensando le posizioni a debito con le posizioni a credito e reperendo/impiegando il saldo risultante: l’esigenza di pronta liquidità per il “sistema banca” è ristretta a tale saldo, non all’universo dei fidi in essere. Se in passato la pronta liquidità aveva costi apprezzabili connessi alla necessità di moneta fisica e agli obblighi di riserva, l’evoluzione subita dalla normativa e dall’organizzazione del mercato monetario, congiunta alla notevole flessione dei tassi, rende per le banche l’onere in parola assai modesto: alla disponibilità non corrisponde più la fisicità e il canale telematico, di regola, rende pressoché immediato il reperimento/impiego dei fondi ai tassi di mercato. D’altra parte la disponibilità a erogare prontamente il fido concesso è

3 Nella prassi bancaria italiana è radicato il ricorso a tali forme di finanziamento anche per investimenti in beni durevoli (macchinari, impianti, brevetti, ecc.), che richiederebbero linee bancarie con termine a tre/cinque anni, non soggette – salvo casi di particolare gravità – ad azioni di revoca da parte della banca e che possano beneficiare di un costo prefissato, scevro da aleatorietà di mutamenti non previsti contrattualmente. L’impiego per tali investimenti di forme di finanziamento a breve, quali aperture di credito e fidi di cassa, pone l’imprenditore in una situazione di estrema debolezza, di elevata vulnerabilità ad una revoca del fido: analogamente anche l’impiego di forme di smobilizzo crediti sono suscettibili di creare elementi di significativa criticità, sottraendo, nelle fasi di congiuntura negativa, al capitale di funzionamento liquidità utilizzata nelle immobilizzazioni. Per altro l’utilizzo improprio di tali forme di finanziamento, a breve e/o a vista, per coprire necessità a più lungo termine, viene a peggiorare gli indici di struttura, con riflessi sul rating ai fini di Basilea e conseguentemente sulla dimensione e pricing del credito. 4 Nell’intervento del Governatore all’Assemblea ordinaria dell’ABI dell’11 luglio 2007, la CMS è stata definita: “un istituto poco difendibile sul piano della trasparenza e dell’efficienza, tanto che alcune banche lo hanno già soppresso”. Oltre che sul piano della trasparenza e dell’efficienza, l’istituto è divenuto poco difendibile anche sul piano giuridico: diversi Tribunali hanno censurato l’impiego delle CMS, per assimilazione agli interessi, per assenza di causa, per indeterminatezza della funzione di calcolo.

711


Commenti

frequentemente unita alla prerogativa che la banca si riserva di revocare, in tutto o in parte, il fido stesso unilateralmente e immediatamente 5: tale circostanza, congiuntamente allo jus variandi, ridimensiona apprezzabilmente il servizio di pronta disponibilità dei fondi, tutelando la banca da eventualità che possono rendere inesigibile il credito e/o che possono far lievitare i costi del servizio. A rigore tale onere può al più trovare una distinta giustificazione per fidi molto elevati, per i quali il reperimento immediato dei fondi può presentare per la banca qualche problema, richiedendo parallele forme di “stand by” o “ever green” presso altri intermediari finanziari. Per la generalità delle esposizioni correnti, l’incidenza del costo è trascurabile e può correttamente essere ricompreso nell’insieme di oneri che accompagnano l’istruttoria, l’aggiornamento della pratica di fido e la contabilizzazione e gestione della posizione. Il fronte di opposizione alla prassi bancaria di generalizzato impiego delle CMS, per aliquote abnormi, su ogni conto risultante a debito anche per un solo giorno, si è venuto notevolmente accrescendo. La magistratura è venuta assumendo nel tempo orientamenti giurisprudenziali sempre più attenti alle circostanze di nullità delle CMS, risultando, per altro, commisurate al credito utilizzato in luogo dell’affidato. Il legislatore è intervenuto recentemente con il menzionato d.l. n. 185 del 2008, convertito nella l. n. 2 del 2009, successivamente integrato dal d.l. n. 78 del 2009, convertito nella l. n. 102 del 2009 6.

L’art. 1845 c.c. prevede che il recesso sospenda immediatamente l’utilizzo del credito, ma che la banca debba concedere un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme utilizzate; di fatto, il “salvo patto contrario” previsto nel 1 comma dell’articolo, ha consentito alle banche di inserire la previsione contrattuale di recesso in qualsiasi momento, anche con comunicazione verbale, ancorché l’apertura di credito sia concessa a tempo indeterminato, e con l’obbligo del correntista, mediante preavviso di un giorno, alla restituzione del credito. 6 «Ulteriori disposizioni concernenti i contratti bancari. 1. Sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido. Sono altresì nulle le clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, salvo che il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e 5

712


Roberto Marcelli

Tuttavia il provvedimento, pur enucleando le forme estreme di iniquità della commissione, ne viene a radicalizzare, anziché rimuovere, l’uso diffuso. Lungi dal portare chiarezza e trasparenza, il provvedimento ha introdotto un nuovo assetto regolamentare nel quale la commissione commisurata all’utilizzo massimo dello scoperto viene esplicitamente legittimata, seppur edulcorata e regolata; viene altresì integrata da una seconda commissione commisurata al fido, indipendente dall’utilizzo che di questo ne fa il cliente. Incertezze, esigenze ed equilibri del precario quadro congiunturale sembrano aver esercitato interferenze e pressioni nella stesura del testo di legge. Il provvedimento appare la risultanza di un confronto fra sistema bancario e legislatore nel tentativo di ritrovare un equilibrio – nel più generale contesto di crisi sistemica che ha interessato il mondo finanziario in questi ultimi anni – fra l’esigenza di non pregiudicare la delicata funzione di intermediazione del credito, l’impellente necessità di sostenere le imprese e la tutela e protezione dell’utente bancario.

proporzionale all’importo e alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente e sia specificatamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale con l’indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento. L’ammontare del corrispettivo onnicomprensivo di cui al periodo precedente non può comunque superare lo 0,5 per cento, per trimestre, dell’importo dell’affidamento, a pena di nullità del patto di remunerazione. Il Ministro dell’Economia e delle finanze assicura, con propri provvedimenti, la vigilanza sull’osservanza delle prescrizioni del presente articolo. 2. Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione dell’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni. 3. I contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data. Tale obbligo di adeguamento costituisce giustificato motivo agli effetti dell’articolo 118, comma 1, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni».

713


Commenti

Così la prassi delle commissioni sul massimo scoperto è stata consentita e, con un passaggio di legge, è divenuta legittima, non più censurabile dalla magistratura. La circostanza ricorda d’appresso le vicende che hanno portato alla restaurazione dell’anatocismo trimestrale. Più specificatamente, attraverso una formulazione contorta, sotto le spoglie di una dichiarata nullità delle CMS, il menzionato articolo del d.l. n. 185 del 2008 prevede deroghe che, di fatto, introducono ex lege: • la commissione di massimo scoperto, commisurata al saldo, risultante a debito per periodi pari o superiori a trenta giorni, e in presenza di fidi; • una seconda commissione, indicata dalla legge come “Corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme”, indipendente dall’effettivo utilizzo, predeterminata e commisurata all’importo e alla durata del fido accordato. La diatriba se commisurare la commissione al fido concesso o all’ammontare massimo utilizzato, viene dalla legge superata prevedendole entrambe. O meglio, la norma sembra prospettare il contrario, prevedendo varie circostanze di nullità, ma alla fine, con l’usuale patto tra le parti – all’occorrenza prontamente recepito nel contratto di adesione sottoposto alla clientela 7 – risulta legittimamente applicabile sia la commissione sul massimo importo utilizzato, sia il corrispettivo sul fido accordato 8. Nel 2 comma dell’art. 2-bis della l. n. 2 del 2009 si prevede l’inclusione delle CMS nella verifica della soglia d’usura. Il comma in parola si limita a stabilire che le CMS commisurate all’utilizzo assumono rilievo ai fini dell’usura senza fare menzione del corrispettivo commisurato al fido, che non dipende dall’effettivo utilizzo. Il richiamo all’art. 1815 c.c. sembra invece chiarire che, ancorché tale articolo sia collocato nel capo dedicato al mutuo, trovi applicazione anche ai finanziamenti in conto corrente. Quanto accaduto alle CMS dopo la l. n. 108 del 1996 non può non collegarsi alle perplessità e contrarietà a norme amministrative di con-

Da oltre 50 anni le Norme Bancarie Uniformi presidiano e tutelano l’operatore bancario attraverso contratti uniformi a cui il cliente non può che aderire. Con il “salvo che” o il “salvo patto contrario”, previsto nelle norme di legge – e il declamato intento di voler rispettare la libera volontà delle parti, al più richiamandosi alla trasparenza a tutela del contraente più debole – sono passate indisturbate, nei contratti bancari, rilevanti vessazioni. 8 Dall’indagine successiva, curata dalla Banca d’Italia, si evince che una frangia di banche ha colto tempestivamente la doppia opportunità. 7

714


Roberto Marcelli

trollo dei costi del credito, espresse più volte dall’Istituto Centrale sia in sede di stesura della legge antiusura che successivamente 9. L’incidenza dei tassi di interesse e degli altri oneri e spese risulta apprezzabilmente più significativa per le piccole imprese e le persone fisiche, che più dipendono per i finanziamenti dal sistema bancario, patendo una maggiore asimmetria informativa e scarsi margini negoziali. I presidi posti dalle soglie d’usura, se da un lato proteggono questa fascia di operatori da un’eccessiva onerosità del costo del credito, dall’altro possono precludere, agli operatori marginali, l’accesso al credito. La soglia d’usura pone pertanto un delicato equilibrio, dove gli effetti virtuosi e perversi sono connessi in un particolare rapporto di trade-off, reso complesso e multi-variegato in funzione della diversificazione geografica e di settore economico, oltre che dimensionale. Per evitare che una limitazione troppo stringente del costo del credito, ne privasse l’accesso agli imprenditori marginali, alimentando in tal modo l’usura criminale, sono stati diffusamente impiegati margini di flessibilità, che risultano talora eccedere gli stessi limiti disposti dalla legge. L’esclusione, per lungo tempo, delle CMS dal computo del tasso d’usura non è il solo aspetto che ha destato perplessità: la distinzione fra credito erogato da intermediari bancari e intermediari non bancari – attenuata solo nella più recente riclassificazione delle soglie d’usura del 2010 – non sembra rispondere alle prescrizioni della l. n. 108 del 1996, che informa i principi di omogeneità delle categorie alla natura, all’oggetto, all’importo, alla durata, ai rischi e alle garanzie. Ancor più sembra stridere con il dettato dell’art. 3 della Carta Costituzionale. Un determinato tasso, se applicato dalla banca costituisce reato, se applicato da un altro intermediario non costituisce reato: non è certo questo lo spirito della legge, che vuole proteggere l’utente del credito dall’usura, indipendentemente dal soggetto che la pratica 10.

9 Serie e circostanziate preoccupazioni erano state sollevate sui riflessi che la legge avrebbe sortito sull’assetto del credito. Lo stesso governatore della Banca d’Italia, ma anche autorevoli esperti del settore, avevano paventato effetti distorsivi che sarebbero potuti derivare dal provvedimento. È noto che, con l’ampia eterogeneità di rischio del credito che caratterizza sia il territorio che i comparti produttivi del Paese, uno stretto limite al tasso di interesse è suscettibile di emarginare dal credito un ampio numero di imprese, alimentando in tal modo le diverse e più gravi forme di usura criminale. 10 Al riguardo, in un parere (n. 2879 del 26/9/07) espresso dal Consiglio di Stato, Sez. I, in merito al ricorso avanzato da E. Orsini avverso la qualificazione del mutuo concesso

715


Commenti

Il marcato divario che si è venuto a determinare fra le soglie d’usura degli intermediari bancari e degli altri intermediari ha consentito un’altra forma di elusione attraverso lo sviluppo di finanziarie di estrazione bancaria, verso le quali è stata indirizzata la clientela più marginale. A seguito delle precisazioni riportate nella l. n. 2 del 2009, sono state emanate dalla Banca d’Italia, lo scorso agosto, le nuove Istruzioni per la rilevazione dei tassi ai fini d’usura, divenute operative a partire dal 1 gennaio 2010. Il calcolo del Tasso Effettivo Globale, comunicato dalle banche e dagli altri intermediari finanziari, ricomprende ora le CMS e la remunerazione del fido congiuntamente ad ogni altra spesa collegata al credito. I valori delle soglie – a seguito delle modifiche intervenute nella metodologia – hanno subito un apprezzabile incremento, riflettendo nel valore limite il marcato divario fra tassi attivi e tassi passivi, oltre che l’eccessivo gravame di oneri e spese connesse all’erogazione del credito (Cfr. Allegato 1). Pur tenendo conto dei crescenti oneri di vigilanza imposti alle banche, i tassi medi praticati appaiono apprezzabilmente discosti da quelli relativi alla raccolta: nei confronti europei l’Italia si caratterizza per l’elevata onerosità dei servizi bancari, per la scarsa rispondenza sia della qualità al compenso richiesto, sia di quest’ultimo al costo sopportato dall’intermediario. La recente sentenza della Cassazione penale n. 12028 del 19/02/10 interviene sulla prassi amministrativa di esclusione delle CMS dal calcolo del TEG, seguita sino a tutto il 2009 dalla Banca d’Italia, sancendone la difformità dalla legge 108/96.

a carico del Fondo di Solidarietà per le vittime d’usura (previsto dall’art. 14 della legge 108/96), si osserva “che la normale produttività del denaro e il titolo a richiederne i frutti è insita nel contratto di mutuo, tanto da richiedersi una manifestazione di volontà delle parti in senso contrario per contrastarne gli effetti (come si deduce dalla lettura del comma 1 dell’art. 1815: cfr. Cass. civ., 29 dicembre 2006, n. 25365; Cass. civ., 25 novembre 2003, n. 17945). Se la produzione di interessi è una naturale ‘negotii’, non può distinguersi tra i vari soggetti che a diverso titolo, professionale o meno, prestino denaro. Per tutti, infatti, vale identica regola così che l’esercizio professionale dell’attività creditizia non costituisce titolo per una diversa valutazione del danno. Quest’ultima deriva, infatti, dall’illecito in sé unitariamente considerato così come espressamente definito dall’art. 2, 4 comma, legge 108/96. Manca, d’altronde, qualsivoglia precetto che legittimi una diversità di trattamento. Né può essere ravvisato nell’ordinamento attraverso una interpretazione contraria al principio di uguaglianza e di ragionevolezza che struttura l’intero sistema costituzionale”.

716


Roberto Marcelli

2. La sentenza della Cassazione, II penale, n. 12028 del 19 febbraio 2010. Lo spunto è offerto da un procedimento riguardante due rapporti di c/c bancari sui quali si contestava l’applicazione, nel periodo compreso fra il ’98 e il 2003, di tassi di interesse superiori al tasso soglia disposto dalla legge sull’usura 108/96: in particolare, le parti civili rilevavano che il superamento del tasso soglia era avvenuto applicando in maniera abnorme la commissione di massimo scoperto (CMS), tramite un’interpretazione strumentale della circolare della Banca d’Italia. Nel corso del procedimento veniva disposta una CTU, con il compito di verificare l’eventuale superamento del tasso soglia secondo quattro diverse metodologie di calcolo: • con la prima metodologia – che includeva le CMS nel calcolo del tasso ai fini dell’usura 11, praticato dalla banca – emergeva il superamento delle soglie d’usura in alcuni trimestri per entrambi i c/c; • con la seconda metodologia – che adottava una formula di calcolo diversa da quella indicata dalla Banca d’Italia ma non includeva le CMS – risultavano alcuni moderati esuberi in un solo c/c; • con la terza metodologia – che adottava la formula indicata dalla Banca d’Italia ma non includeva le CMS – non risultava alcun esubero; • con la quarta metodologia – che adottava la formula indicata dalla Banca d’Italia e includeva le CMS secondo le indicazioni fornite dalla stessa (Bollettino di Vigilanza del 2 dicembre ’05) – non risultava alcun esubero. Nella sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Ascoli Piceno si sosteneva che le CMS dovevano essere incluse nel procedimento di calcolo del Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) in quanto il legislatore, ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario, aveva chiaramente indicato che doveva tenersi conto di tutti quei costi che il contraente era chiamato a sopportare in relazione al credito accordatogli. Di conseguenza la scelta della Banca d’Italia di non includere le CMS

11 Nella sentenza della Cassazione si impiega impropriamente il termine TEG per riferirsi al tasso calcolato ai fini della verifica dell’usura. Di fatto la verifica è stata curata dal CTU impiegando l’usuale formula del TAEG, diversa da quella del TEG, indicata dalla Banca d’Italia nelle Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura (cfr. Trib. Ascoli Piceno, sentenza n. 117 del 9/7/09, depositata il 23/7/09, A. Panichi).

717


Commenti

nella procedura di calcolo del TEGM non poteva ritenersi vincolante per l’interprete. Pertanto la sentenza, trascurando il quarto conteggio e le indicazioni della Banca d’Italia per l’inclusione delle CMS, condivideva il primo conteggio del CTU, che includeva le CMS nell’ordinaria formula del tasso di interesse, e riteneva integrato il fatto, l’elemento oggettivo del reato di usura (per i trimestri nei quali era stato accertato l’esubero). Per contro il Gup, pur respingendo la tesi difensiva dell’errore determinato da ignoranza scusabile della legge penale, con riferimento all’oscurità dei criteri per il calcolo del tasso soglia, riscontrava, in capo ai funzionari della banca, la carenza dell’elemento soggettivo: “la minima entità del superamento del tasso soglia rispetto alle cifre movimentate nei conti, la episodicità dei superamenti stessi nel corso dei rapporti bancari analizzati per un lungo lasso di tempo (ben sei anni), la presenza di normativa secondaria di settore, solo successivamente rivisitata dalla Banca d’Italia, la certezza rappresentata dalla controprova che, in applicazione della contraddittoria normativa secondaria di settore, non vi sono stati superamenti, costituiscono granitici indici fattuali che depongono per la certa insussistenza dell’elemento psicologico, non potendosi, in loro presenza, ragionevolmente ritenere la sussistenza della consapevolezza e volontà di porre in essere una condotta usuraria”. La sentenza dichiarava di conseguenza il non luogo a procedere, con la formula “perché il fatto non costituisce reato” per alcuni episodi, e, con la formula “perché il fatto non sussiste”, per altri. Avverso la sentenza entrambe le parti hanno proposto ricorso in Cassazione, con distinte argomentazioni che sono risultate tutte respinte. Più che le argomentazioni riferite alle parti civili, di interesse diverso dagli aspetti che ci occupano 12, di pregnante rilievo risultano invece

Le parti civili lamentavano che, una volta esclusa la sussistenza dell’errore sul fatto, appariva illogica e contraddittoria l’esclusione dell’elemento soggettivo dal momento che gli imputati, in piena consapevolezza, avevano applicato i tassi usurari. La Cassazione, con riferimento alla natura della sentenza di proscioglimento ex art. 425 c.p.p., ha ribadito come la regola di giudizio, che governa la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Gup all’esito della fase dell’udienza preliminare è quella inerente alla prognosi di non evoluzione in senso favorevole all’accusa del materiale probatorio raccolto. Solo una prognosi di inutilità del dibattimento relativa all’evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del materiale probatorio raccolto – e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato – può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere. 12

718


Roberto Marcelli

le valutazioni espresse dalla Cassazione sulle osservazioni avanzate dai soggetti prosciolti dall’imputazione con formula diversa da quella “perché il fatto non sussiste”. Questi ultimi lamentavano, infatti, da un lato la mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza, dall’altro l’inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e/o di altre norme giuridiche. La manifesta illogicità della sentenza veniva ricondotta alla circostanza che il giudice aveva messo a confronto il tasso soglia (TEGM), indicato nel d.m. del Ministro dell’Economia sulla base delle rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia, alla cui formazione non concorrono le CMS, con il TEG praticato dalla banca, per il calcolo del quale il CTU aveva tenuto conto anche delle CMS. L’inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale veniva ricondotta dai ricorrenti alla circostanza che l’art. 644 c.p. è una norma parzialmente in bianco, nella quale la determinazione concreta del tasso usurario viene demandata agli organi amministrativi, all’esito di una procedura attraverso la quale viene determinato il TEGM per ogni categoria di operazioni omogenee. Di conseguenza la determinazione del tasso usurario non può essere rimessa all’interprete, che non può forzare i metodi di calcolo demandati per legge alle autorità amministrative. Al riguardo la Cassazione osserva che la legge 108/96 stabilisce dettagliatamente la procedura amministrativa volta ad accertare il tasso soglia. Già in precedenza la Cassazione (sentenza n. 200148/03) 13 aveva stabilito che nella circostanza rimettere ad organi amministrativi il contenuto

La Cassazione non ha ravvisato, nella motivazione della sentenza, alcun vizio di illogicità o di contraddittorietà per il fatto che il Gup ha escluso la configurabilità dell’errore di diritto scusabile. “Infatti se la sussistenza di un errore di diritto scusabile esclude sempre il dolo in testa all’agente, esonerando il giudice da ogni ulteriore approfondimento in ordine all’elemento soggettivo del reato, una volta escluso l’errore scusabile, non per questo viene meno il dovere di verificare in concreto la sussistenza dell’elemento soggettivo. Nella fattispecie, tale verifica è stata puntualmente effettuata dal Gup, con argomentazioni prive di vizi logici che sfuggono ad ogni censura in questa sede.”. 13 La sentenza richiamata ha respinto l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 644 c.p. per violazione dell’art. 3, 25 e 41 della Costituzione ritenendo che la legge 108/96 fissa “limiti e criteri analitici e circoscritti al punto da rappresentare vincoli sufficienti a restringere la discrezionalità della pubblica amministrazione nell’ambito di una valutazione strettamente tecnica e, come tale, da ritenersi idonea a concorrere, nel pieno rispetto del principio della riserva di legge in materia penale, alla precisazione del contenuto della norma incriminatrice”.

719


Commenti

concreto del precetto penale non viola il principio della riserva di legge in materia penale, risultando in quest’ultima analiticamente indicati gli elementi di determinazione del tasso soglia: risulta rimesso al Ministro dell’Economia e alla Banca d’Italia il solo compito residuale non di “determinare” le soglie d’usura, bensì di “rilevare”, nel senso di fotografare, l’andamento dei tassi di mercato. La sentenza riconosce pur tuttavia che, nella circostanza, l’intervento tecnico comporta delle scelte interpretative attinenti la classificazione nonché la determinazione degli oneri e delle spese da ricomprendere nella rilevazione dei tassi medi effettivamente praticati nel trimestre. Su tali scelte interpretative, in particolare sulla commissione di massimo scoperto, si sofferma la sentenza della Cassazione, esaminando la definizione che ne viene fornita dalla Banca d’Italia e i conseguenti riflessi sulle metodologie impiegate per la rilevazione del TEGM. La menzionata definizione presenta un’evidente discrasia fra il significato concettuale dato alle CMS: “corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto di conto”, ed il portato operativo: “viene calcolata in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento” 14. Di fatto nella pratica applicazione invalsa nelle banche, in contraddizione con il significato concettuale, una linea di credito concessa e non utilizzata non da luogo ad alcuna commissione, mentre, per una linea di credito utilizzata solo in parte, la commissione non è riferita alla parte ancora disponibile, bensì a quella utilizzata. Concettualmente le CMS sono connesse alla concessione del fido, che

Tale discrasia fra il servizio prestato e la metodologia di calcolo della Commissione non era passata inosservata alla Suprema Corte di Cassazione la quale già nel 2002 (n. 11772/02) aveva puntualmente precisato: “o tale commissione è un accessorio che si aggiunge agli interessi passivi – come potrebbe inferirsi anche dall’esser conteggiata, nella prassi bancaria, in una misura percentuale dell’esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato – che solitamente è trimestrale – e dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale, come per gli interessi (…), o ha una funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo, come sembra preferibile ritenere anche alla luce della circolare della Banca d’Italia dell’1/10/96 e delle successive rilevazioni del c.d. tasso soglia, in cui è stato puntualizzato che la commissione di massimo scoperto non deve essere computata ai fini della rilevazione dell’interesse globale di cui alla legge n. 108/96 ed allora dovrebbe essere conteggiata alla chiusura definitiva del conto”. 14

720


Roberto Marcelli

ha una sua valenza autonoma e distinta dall’erogazione del credito 15. Disporre di una linea di credito, anche se non utilizzata, presenta un proprio valore economico nella misura in cui consente all’operatore maggiori gradi di libertà nella gestione della propria liquidità. Un’apertura di credito si differenzia da un finanziamento erogato in un’unica soluzione. Con l’apertura di credito l’operatore economico gode dell’opzione di utilizzare, in tutto, in parte o per nulla, il credito concesso, scegliendo i tempi di utilizzo, di rimborso e riutilizzo, secondo le proprie esigenze di liquidità, rimettendo in tal modo alla banca l’onere di gestire le necessità di pronta liquidità. Il valore dell’opzione costituisce un elemento di costo distinto e separato dal prezzo del credito che eventualmente si viene a sopportare nel caso di esercizio dell’opzione stessa. Tuttavia dal fido la pratica della CMS è stata estesa ad ogni forma di credito riconosciuto in conto dalla banca, dagli scoperti alle anticipazioni su carta commerciale, commisurandone l’importo al credito erogato. Se la concessione del credito coincide con l’erogazione non vi è opzione e la CMS non trova alcuna giustificazione. Se la commissione fosse stata intesa e circoscritta al fido concesso – come per altro espresso in una recente sentenza della Cassazione (n. 870/06 16) – si poteva anche giustificare una sua esclusione dal calcolo dell’usura, che viene dalla legge 108/96 riferita all’erogazione del credito 17. La sentenza della Cassazione da un lato, basandosi sul valore concettuale delle CMS, ne esclude l’assimilazione all’interesse, dall’altro, con riferimento invece all’uso improprio invalso nella pratica operativa, la ricollega direttamente all’erogazione del credito “giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente”.

Cfr. Ferro Luzzi, Ci risiamo a proposito dell’usura e della commissione di massimo scoperto, in Giur. comm., 2006, I, p. 673; Ferri, Apertura di credito, in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 598. 16 La sentenza richiamata, con riferimento alle CMS, aveva avuto modo di precisare la funzione di “remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma”. 17 Il co. 2 dell’art. 2-bis del d.l. 185/08, convertito nella legge n. 2/09, coglie tale distinzione, circoscrivendo solamente agli oneri e spese dipendenti dall’effettiva durata dell’utilizzo dei fondi le poste da ricomprendere nel calcolo dell’usura. La Banca d’Italia, tuttavia, nelle nuove Istruzioni per la rilevazione dei tassi ai fini dell’usura, rimanendo aderente alla funzione operativamente svolta nel tempo da tale remunerazione e non trascurando l’elemento di costo ulteriore che comunque interviene nell’erogazione del credito, ricomprende sia le CMS che la remunerazione per il fido, nel calcolo del TEG, ridimensionandone tuttavia l’incidenza, con il rapporto al fido accordato anziché al credito erogato. 15

721


Commenti

Ritenendo legittime le perplessità da più parti sollevate – anche dalla giurisprudenza di merito – in ordine alla conformità al dettato legislativo del metodo di rilevazione adottato dalla Banca d’Italia (e fatto proprio dal ministro competente), nella parte in cui escludeva le CMS dal calcolo del TEG, la Sentenza perviene alla conclusione che “il chiaro tenore letterale del comma IV dell’art. 644 c.p. (secondo il quale per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito) impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la Commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente legato all’erogazione del credito, giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l’onere, a cui l’intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente”. Tale interpretazione, aggiunge la Cassazione, risulta avvalorata dalla normativa successiva, introdotta dal d.l. 185/08, convertito nella legge 28/1/09 n. 2 che, all’art. 2-bis, co. 2, precisa che “gli interessi, le commissioni, le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente (…) sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 del codice civile, dell’art. 644 del codice penale e degli art. 2 e 3 della legge 7/3/96, n. 108”. La disposizione in parola, stabilisce poi la Cassazione, “può essere considerata norma di interpretazione autentica del 4 comma dell’art. 644 c.p. in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme”. Non trascurabile è la circostanza che sia stata negletta la Circolare di Vigilanza del 2 dicembre 2005. La sentenza della Cassazione, dopo aver stabilito che “nella determinazione del tasso effettivo globale praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto, ove praticata”, ha ritenuto esente da vizi logici e giuridici la decisione assunta dal Gup, nulla osservando sulla scelta del primo conteggio del CTU. Dei quattro conteggi curati dal CTU, sia il primo che il quarto conteggio adottavano formule di calcolo che ricomprendevano le CMS: il primo conteggio impiegava l’ordinaria formula dell’interesse (TAEG) – aggregando insieme interessi, commissioni e spese, e rapportandoli al credito erogato

722


Roberto Marcelli

– mentre il quarto conteggio impiegava la formula di calcolo riportata nelle Istruzioni della Banca d’Italia (TEG), integrata dalle indicazioni fornite nella menzionata Circolare di Vigilanza 18, per tener conto anche delle CMS. La sentenza, che pur in più punti si sofferma sulla procedura amministrativa e sulle Istruzioni della Banca d’Italia, non riporta alcuna menzione alla Circolare. Occorre osservare che il ricorso dei funzionari bancari imputati non sollevava precipuamente tale aspetto, evidenziando semplicemente la discrasia fra la rilevazione del TEGM, che non ricomprendeva le CMS, e il conteggio del CTU fatto proprio dal Gup, che invece le ricomprendeva; d’altra parte, la menzionata Circolare di Vigilanza si colloca al di fuori della procedura amministrativa dettata dalla legge 108/96 e, sotto più aspetti, esprime, più che un chiarimento, un’“intrusione” in campi non di precipua pertinenza dell’Istituto Centrale. Nella previsione dell’art. 2, 1° comma della legge 108/96 l’intervento della Banca d’Italia ha carattere consultivo: non dispone di un autonomo valore nella determinazione della fattispecie penale, che è esclusivamente riservata alla legge ed al Ministero dell’Economia 19.

Con uno schema complesso e farraginoso, in tale nota si propone di confrontare l’aliquota delle CMS applicate con il valore soglia riveniente dall’aliquota media delle CMS riportata in calce alla Tavola dei tassi pubblicata nei d.m del Ministero dell’Economia, maggiorata del 50%, aggiungendo l’eventuale esubero da tale soglia, agli interessi da porre in confronto con la soglia d’usura, dedotta dai predetti decreti. Il costrutto proposto riprendeva un analogo criterio indicato nel 2003 dall’ABI alle proprie associate per gli interessi moratori. Lo schema suggerito nella Circolare di Vigilanza, a parte la surrettizia introduzione di una soglia per le CSM, non prevista dalla legge, presenta vistose incongruenze sotto l’aspetto sia tecnico che giuridico. Tra l’altro, lo schema conduce, a parità di costo del credito, definito nei termini dell’art. 644, 4° comma, a differenti conclusioni in merito alla usurarietà o meno a seconda delle componenti che determinano il costo stesso. Un esempio può essere di ausilio: se per la categoria “apertura di credito in c/c” la soglia d’usura del tasso di interesse è pari al 10%, l’applicazione di un tasso di interesse all’11%, senza alcuna CMS, risulta usurario, mentre l’applicazione di un tasso di interesse del 10% e di una CMS trimestrale dell’1% non risulterebbe usuraria – secondo le indicazioni fornite nella nota della Banca d’Italia – se la CMS. media rilevata nel trimestre fosse dello 0,75% (soglia 0,75%*1,5=1.125%). Si osserva che, in questa seconda circostanza, il tasso di interesse, definito nei termini dell’art. 644, co. 4, in ragione d’anno, risulterebbe marcatamente più elevato (ben maggiore del 14,00%). È evidente il discrimine: l’usurarietà verrebbe a dipendere dalla composizione e natura degli oneri posti a carico del debitore, anziché dall’ammontare rapportato al credito. 19 Da un’interrogazione del 20 dicembre 2006 (5-00529 Amendola e Fluvi), presso la VI Commissione permanente, si evince che la nota fu disposta a seguito di una richiesta del Ministero dell’Economia – sollecitata a questo dall’ABI – di precisare, in una Circolare della Banca d’Italia, la metodologia di calcolo utilizzata per determinare la commissione 18

723


Commenti

Pur tuttavia su tale Circolare – oltre che sul dettato dell’art. 3 dei Decreti ministeriali – si poggia l’insussistenza, da parte degli esponenti bancari, della consapevolezza e volontà di porre in essere una condotta usuraria.

3. I riflessi della sentenza: aspetti giuridici, economici e metodologici. Dopo la legge n. 2/09, la sentenza in esame, seppur tardivamente, interviene a ripristinare un regime di legalità rimasto per lungo tempo disatteso. Le ripercussioni, per i rapporti passati, non saranno trascurabili: meno incisive sul piano penale, risulteranno particolarmente significative sul piano civile. Sul piano penale i numerosi procedimenti avviati nei confronti di esponenti bancari, con il chiarimento in merito all’inclusione delle CMS nel calcolo del TEG stabilito dalla Cassazione, troveranno, in più casi, sciolto il consistente nodo dibattimentale connesso con l’elemento oggettivo, con l’accertamento del tasso d’usura. Per contro, sotto l’aspetto soggettivo, le motivazioni avanzate dal Gup del Tribunale di Ascoli Piceno prospettano circostanze, ricorrenze ed elementi quantitativi di esubero dai tassi soglia che – anche in una stretta applicazione del portato letterale dell’art. 644 c.p. – si riscontrano frequentemente nelle condizioni di conto applicate dalle banche nell’ultimo decennio. A parte sporadici casi di intermediari bancari, le cui condizioni praticate nel corso degli anni risultano assai discoste dai limiti dell’art. 644 c.p., la parte prevalente delle banche si è attenuta alle indicazioni riportate nella Circolare della Banca d’Italia, rispettando il dettato del 2° comma dell’art. 3 dei Decreti Ministeriali: “Le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle “istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura” emanate dalla Banca d’Italia”. Per tali intermediari il ricorrere di circostanze analoghe a quelle considerate nella sentenza del Gup di Ascoli Piceno – riconosciuta dalla Cassazione correttamente impostata e congruentemente motivata – li preserverà significativamente da possibili ripercussioni penali. Degli el-

di massimo scoperto soglia. Le indicazioni riportate nella Circolare, tuttavia, non sono richiamate nei decreti del Ministero.

724


Roberto Marcelli

ementi presi in considerazione nella menzionata sentenza, la “minima entità” e “l’episodicità” del superamento del tasso soglia possono al più costituire elementi attenuanti, mentre dirimenti appaiono proprio la presenza delle indicazioni della Banca d’Italia e la menzionata prescrizione del co. 2 dell’art. 3 dei decreti ministeriali, che insieme vengono a costituire “granitici” elementi, che avvalorano l’insussistenza della consapevolezza e volontà di porre in essere una condotta usuraria. Se gli esponenti bancari potranno essere preservati, per i rapporti passati, da responsabilità penali per carenza dell’elemento soggettivo del reato, per i rapporti futuri dovranno farsi carico di una più attenta responsabilità. Il chiarimento offerto dalla Cassazione esaurisce, in buona parte, ogni margine soggettivo di errore e scusabilità 20. “L’attività bancaria nel suo complesso, quale comprensiva dell’esercizio del credito e della raccolta del risparmio (si veda in particolare il d.l.vo n. 385/93) risulta disciplinata in modo tale da configurare non solo una delle tante forme di esercizio di impresa, già di per sé sottoposto a particolari forme di controllo, ma soprattutto, proprio in quanto riservata in via esclusiva agli istituti di credito ed in conformità al dato (spesso trascurato) della tutela costituzionale del risparmio di cui all’art. 47 Cost. predisposta a

20 Si è osservato che si è trasfigurata l’usura da fattispecie di contrasto di condotte pericolose intrinsecamente illecite – quelle del ‘cravattaro’ e della criminalità organizzata – a fattispecie di regolamentazione di un’attività pericolosa lecita: l’attività bancaria o di intermediazione finanziaria, e, più in generale, di esercizio del credito. Che la direttrice della tutela (recte: dell’intervento) penale sia ormai viepiù prevalentemente orientata verso il corretto funzionamento del mercato (ufficiale) del credito è confermato dal recente provvedimento legislativo – il d.l. 29 novembre 2008, n. 185 conv. l. 28 gennaio 2009, n. 29 – che, nel disciplinare finalmente la controversa “commissione di massimo scoperto”, non ha mancato di considerarne la rilevanza ai fini dell’art. 644 c.p., così implicitamente riconoscendo alle banche il ruolo di attrici protagoniste del nuovo delitto di usura. L’usura bancaria palesa ontologica distanza, sul piano empirico e criminologico, con il corrispondente fenomeno attribuibile alla criminalità ‘comune’, specie organizzata. Sostenere che l’usura ‘comune’ e l’usura ‘bancaria’ sono fenomeni ontologicamente differenti (e che pertanto necessitano di una risposta differenziata), non significa in alcun modo escludere che l’esercente una legale attività di credito possa macchiarsi del reato d’usura: significa, semplicemente, che l’usura è altro dall’eccesso nelle condizioni di credito, il quale ultimo può ben assumere rilievo giuridico, ma non nell’ambito di una fattispecie penale di usura. Volendo ricorrere ad una semplificazione, ed esprimendosi un po’ brutalmente, si può dire: anche il banchiere può essere un cravattaio, ma affermare che il banchiere che eccede i tassi è sempre un cravattaio non è corretto, anzi è inaccettabile (cfr. Borsari, Il delitto di usura ‘bancaria’ come figura ‘grave’ esclusa da benefici indulgenziali. Profili critici, in Riv. trim. dir. pen. econ., 12/09).

725


Commenti

favore della collettività, un ‘servizio’ per il pubblico con tipiche forme di autorizzazione, di vigilanza e di ‘trasparenza’; ne deriva che i profili di responsabilità nell’espletamento di tale attività vanno individuati e, ove sussistenti, sanzionati in conformità all’elevato grado di professionalità richiesto.” (Cass., Sez. I civile, sentenza n. 2058 del 23 febbraio 2000). Sul piano civile la sentenza in parola è suscettibile di generare un’ulteriore ondata di ricorsi alla magistratura, già ricolma dell’ampia messe di vertenze in tema di anatocismo bancario che – a distanza di oltre un decennio dalle note sentenze della Cassazione del 1999 – ancora occupano ed impegnano i tribunali. Nel corso di oltre un decennio, ad un insieme non trascurabile di rapporti bancari sono state praticate condizioni di conto prossime ai limiti di soglia, stabiliti per gli interessi dai decreti ministeriali e indicati per le CMS – a partire dal dicembre 2005 – dalla Circolare della Banca d’Italia. Per questi rapporti, a seguito della precisazione espressa dalla Cassazione, le condizioni praticate risulteranno usurarie, suscettibili di rimborsi significativi, in funzione della durata, dell’entità, dello scoperto e delle aliquote di CMS praticate. Nella determinazione dell’importo dei rimborsi, una rilevanza non trascurabile assumerà il tasso sostitutivo che verrà impiegato nei trimestri nei quali si riscontra l’usura. Successivamente alla legge n. 106/96, l’interpretazione autentica fornita dalla legge n. 24/01 aveva precisato: “Ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. Conseguentemente, se l’accertamento di condizioni debordanti la soglia d’usura è riscontrabile all’atto del contratto, posto in essere dopo l’entrata in vigore della legge n. 108/96, si ritiene conseguente l’applicazione dell’art. 1815 c.c. e l’annullamento degli interessi. Se, al contrario il superamento della soglia interviene successivamente al momento del contratto, sia perché il contratto è precedente all’entrata in vigore della legge 108/96, sia in conseguenza di successive riduzioni dei valori soglia, si ritiene applicabile la riduzione del tasso di interesse al valore corrispondente al tasso soglia di volta in volta rilevato 21.

21 “Nell’ipotesi in cui gli interessi originariamente pattuiti al di sotto del tasso soglia dell’usura superino tale limite nel corso del rapporto, pur non applicandosi la norma di cui all’art. 1815 c.c., il tasso deve essere ridotto al limite dell’usura (cioè al tasso soglia)

726


Roberto Marcelli

Dottrina e giurisprudenza hanno esteso detti principi dal contratto di mutuo a tutti i contratti di credito 22. Un problema interpretativo si pone quando il superamento della soglia interviene non a seguito della riduzione della stessa, bensì a seguito della variazione delle condizioni praticate dalla banca. Per i contratti bancari, che a norma dell’art. 118 del t.u.b. prevedono la facoltà della banca di variare unilateralmente, previa comunicazione, il tasso di interesse e le altre condizioni, una parte della giurisprudenza ritiene che la valutazione dell’usurarietà vada effettuata non con riferimento alla pattuizione originaria, ma al momento di ogni singola variazione intervenuta nel corso del rapporto. Anche nella circostanza che la riduzione del tasso da applicare sia limitata al valore della soglia, i recuperi possono assumere valori apprezzabili, sino ad un massimo di oltre il 30% delle competenze addebitate. Nella tavola qui di seguito riportata è indicata, distintamente per ciascun trimestre, sino a tutto il 2009, la percentuale di recupero massimo delle competenze addebitate che si consegue nel caso in cui le condizioni praticate dall’intermediario siano state poste al limite, pari a 1,5 volte il TEGM e le CMS rilevati dalla Banca d’Italia. L’effettivo recupero dipenderà altresì dalla formula di calcolo impiegata nella verifica del rispetto delle soglie d’usura, risultando di fatto disconosciuta la metodologia indicata dalla Banca d’Italia nella menzionata Circolare del 2005 che, attraverso l’introduzione di un’ulteriore soglia per le CMS, mirava a temperare un impiego esagerato di tale commissione. Nell’agosto 2009, con le nuove Istruzioni, la Banca d’Italia ha introdotto nell’algoritmo di calcolo sia le CMS che la remunerazione per la messa a disposizione dei fondi23. In tale algoritmo, tuttavia, si viene a stabilire

per effetto del meccanismo di integrazione legale del contratto di cui all’art. 1339 c.c.” (Trib. Bologna, 19 giugno 2001, in Corr. giur., 2001, p. 1347). 22 Cfr. Inzitari, Il mutuo con riguardo al tasso soglia, in Atti del Convegno (Bergamo, 13 novembre 1998); Porzio, La disciplina generale dei contratti bancari, in I contratti delle banche, a cura di Angelici, Belli, Greco, Porzio, Rispoli, Farina. 23 In questo senso le Istruzioni della Banca d’Italia sono andate oltre il disposto legislativo n. 2/09 che prevede solo per le CMS l’inclusione nel TEG: “Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108.

727


Commenti

una diversa aggregazione di interessi e CMS, i primi rapportati al credito, le seconde, congiuntamente alle altre spese e remunerazioni, rapportate all’accordato. Nella differenziazione dei rapporti, l’Organo di vigilanza ha ritenuto di dare rilievo distinto e separato alle due classi di costo.

Appare pertanto corretto e congruente con l’evoluzione intercorsa nella normativa secondaria che, nella verifica del rispetto delle soglie d’usura, anche per i periodi precedenti si impieghi l’algoritmo della Banca d’Italia, ricomprendendo le CMS nel secondo termine del rapporto, come integrato nelle nuove Istruzioni dell’agosto 2009. L’impiego del TAEG o di un diverso algoritmo di calcolo risulterebbe arbitrario, difforme dalla scelta operata dal competente organo tecnico-amministrativo 24.

24 Nella perizia richiamata in sentenza, nel primo conteggio, fatto proprio dal Gup, in una stretta applicazione letterale dell’art. 644 c.p. il CTU – non disponendo di una

728


Roberto Marcelli

La sentenza della Cassazione si è soffermata diffusamente sulla procedura amministrativa a cui fa rimando il precetto penale, considerando anche le nuove Istruzioni di calcolo dei tassi per la determinazione delle soglie d’usura. La censura operata dalla Cassazione ha riguardato la sola esclusione delle CMS, non l’algoritmo di calcolo impiegato dalla Banca d’Italia nelle “Istruzioni”, che risulta rientrare nella discrezionalità attribuitale dalla norma penale parzialmente in bianco 25. D’altra parte la sentenza della Cassazione, non riconoscendo l’assimilazione delle CMS agli interessi, ma ponendole tuttavia fra i costi del credito accordato, ne giustifica coerentemente una loro collocazione nel secondo rapporto del TEG. Certamente anche utilizzando la formula impiegata dalla Banca d’Italia nelle nuove Istruzioni di Vigilanza non si potrà pervenire a confronti omogenei: permarrà la discrasia per la quale, mentre la formula del TEG calcolata per la verifica d’usura dovrà ricomprendere le CMS, il TAEG di riferimento, pubblicato volta per volta dal Ministero dell’Economia, non

diversa e riconosciuta metodologia di trattamento delle CMS – ha più semplicemente rapportato l’intero aggregato di interessi, commissioni e spese al credito medio concesso nel trimestre, impiegando l’usuale formula finanziaria (TAEG).

La sentenza della Cassazione, dopo aver richiamato l’art. 2-bis del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con la legge 28 gennaio 2009, n. 2, precisa: “In applicazione di tale normativa la Banca d’Italia ha diramato, nell’agosto del 2009, le nuove Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura. Al punto C.4 (trattamento degli oneri e delle spese nel calcolo del TEG) sono indicati (sub 7) fra le varie voci da comprendere nel calcolo anche: ‘gli oneri per la messa a disposizione dei fondi, le penali e gli oneri applicati nel caso di passaggio a debito di conti non affidati o negli sconfinamenti sui conti correnti affidati rispetto al fido accordato e la commissione di massimo scoperto laddove applicabile secondo le disposizioni di legge vigente’. La disposizione in parola, per quel che interessa in questa sede, può essere considerata norma di interpretazione autentica del quarto comma dell’art. 644 c.p. in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme”. La sentenza in parola, esaminando le nuove “Istruzioni” della Banca d’Italia e richiamando specificatamente il punto C.4 delle stesse, non ha ritenuto di osservare alcunché sulla formula di calcolo del TEG, riportata alla lettera a) del precedente punto C.3; per tale formula, sostanzialmente analoga a quella praticata in precedenza, il nuovo punto C.4 prevede l’inclusione, fra gli oneri da porre al numeratore del secondo rapporto, sia la remunerazione per il fido che le commissioni di massimo scoperto. 25

729


Commenti

include dette commissioni. L’apprezzabile divario imputabile alla disomogeneità è suscettibile di creare nuove iniquità, questa volta in direzione opposta, con incrementi del contenzioso ed ulteriore deterioramento reputazionale dell’operatore bancario. Tali circostanze e valutazioni suggeriscono un’attenta riflessione sulla possibilità che, alla luce dell’orientamento assunto dalla Cassazione, la Banca d’Italia possa procedere a ricostruire le serie storiche dei TEGM, ricomprendendo nella formula di calcolo le CMS, riportate in calce alla tabella pubblicata trimestralmente dai decreti ministeriali. I dati trasmessi dalle banche nel corso del tempo potrebbero consentire di ricostruire, seppur con algoritmi di stima ed apprezzamento non pienamente ortodossi, i valori storici dei TEGM, comprensivi nella seconda frazione della formula dei valori delle CMS, acquisendo, per altro, una maggiore omogeneità con i valori successivi della serie storica. La ricostruzione porterebbe ad una lievitazione dei TEGM storici, tale da ridimensionare apprezzabilmente il potenziale contenzioso insito nella menzionata Sentenza della Cassazione. Rientrando l’algoritmo di calcolo nella valutazione tecnica, rimessa dalla legge 108/96 all’organo amministrativo, una sua revisione, nel rispetto delle indicazioni prospettate dalla Sentenza, potrebbe essere realizzata attraverso un apposito intervento del Ministero dell’Economia.

4. Le nuove istruzioni della Banca d’Italia. Nelle nuove Istruzioni per la rilevazione delle soglie d’usura, divenute operative lo scorso 1 gennaio 2010, la Banca d’Italia ha preferito mantenere ed integrare la formula del TEG già utilizzata in precedenza, in luogo di impiegare la formula del TAEG prevista da Direttive europee, decreti ministeriali e norme bancarie 26.

26 Il TAEG è stato introdotto come tasso di riferimento per le operazioni di credito al consumo. La legge 142/92, nel recepire la Direttiva 87/102/CEE in materia di credito al consumo, definisce all’art. 19 il TAEG, Tasso Annuo Effettivo Globale. Nel Testo Unico Bancario, al Capo II del Titolo VI dedicato al Credito al Consumo, all’art 122 si riprende la definizione del TAEG e viene regolata, agli artt. 123 e 124 l’indicazione del menzionato tasso nella Pubblicità e nei contratti. Per oltre un decennio, in assenza della Delibera del CICR – a cui l’art. 122 del t.u.b. demandava di stabilire le modalità di calcolo del TAEG – hanno continuato a trovare applicazione, ai sensi dell’art. 161, co. 2 e 5, del t.u.b., il menzionato art. 19, co. 2, l. n. 142/92 e il Decreto del Ministro del Tesoro 8 luglio ’92 (successivamente integrato, a

730


Roberto Marcelli

Si viene a determinare un divario fra il costo del credito calcolato sulla base degli ordinari principi finanziari (TAEG) e il costo del credito misurato con la formula del TEG, nella misura in cui il credito utilizzato si discosta dal fido. Sia per il cliente che per la banca, più che il TEG, assume un rilievo assorbente il valore del TAEG, che costituisce specularmente per l’uno il costo per l’altra il ricavo. Il mantenimento della formula del TEG nelle Istruzioni per la rilevazione delle soglie d’usura è stato dettato dalla necessità di non generare tassi soglia molto elevati, derivanti da conti di “liquidità” con utilizzo medio molto ridotto rispetto all’affidamento. Con il correttivo posto nell’algoritmo, si è introdotta per i conti affidati una sorta di franchigia: gli oneri connessi al credito non sono suscettibili, da soli, di determinare forme d’usura. Al contrario, con l’ordinaria formula del TAEG, un modesto utilizzo del fido, appesantito da tali oneri, condurrebbe facilmente a tassi superiori a qualsiasi soglia.

seguito del d.lgs n. 63/00 di recepimento della Direttiva del credito al consumo 98/7/CE, dal Decreto del Ministro dell’Economia 6 maggio 2000). Nel marzo del ’03, sulla base dei poteri attribuiti al CICR dagli artt. 116/119 del t.u.b., sono state dettate le prime disposizioni in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Nelle disposizioni, rivolte alla generalità degli utenti bancari, viene introdotto – limitatamente ai mutui ed altri finanziamenti – l’ISC (Indice Sintetico di Costo), con un significato ed una metodologia di calcolo del tutto analoghi al TAEG (Tasso Annuo effettivo Globale) richiamato dalla normativa per l’aggregato più ridotto dei fruitori del credito al consumo. Con le nuove disposizioni emanate dalla Banca d’Italia lo scorso 29 luglio 2009, l’ISC viene sostanzialmente abbandonato, privilegiando l’impiego del secondo termine, TAEG (si continuerà ad impiegare il termine ISC esclusivamente per i conti correnti, quale espressione monetaria, non del tasso, ma del costo), esteso ad anticipazioni bancarie e aperture di credito offerte a clienti al dettaglio. Il TEG, diversamente dai precedenti indicatori, viene impiegato per la rilevazione dei tassi effettivi ai fini della determinazione delle soglie d’usura. Mentre il TAEG è riferito al credito ed assolve una funzione di indicazione di costo globale, informazione da portare ex ante a conoscenza dell’utilizzatore, il TEG é, invece, il tasso effettivo globale, su base annuale, segnalato ex post dagli intermediari finanziari alla Banca d’Italia, ai fini della determinazione delle soglie d’usura previste dalla legge 108/96. Dall’aggregazione statistica dei TEG segnalati dagli intermediari, viene determinato il TEGM, Tasso Effettivo Globale Medio, per ciascuna delle categorie indicate dal Ministro dell’Economia: tale valore, aumentato della metà, viene a costituire la soglia d’usura, oltre la quale si applicano le sanzioni previste dall’art. 644 c.p.

731


Commenti

Per un fido interamente utilizzato, il TAEG coincide con il TEG: al decrescere del credito utilizzato rispetto al fido concesso, il TAEG tende a sopravanzare il TEG, raggiungendo multipli dello stesso quando il credito utilizzato scende su valori molto bassi rispetto al credito accordato. Certamente nei casi di modesto e modestissimo utilizzo del fido risulterà assai stridente il divario tra il valore del TAEG e del TEG. Le modifiche introdotte indurranno un ridimensionamento del servizio di gestione della liquidità, rimesso implicitamente alla banca con l’apertura di credito: ora l’operatore economico, per non incorrere in onerose penalizzazioni di costo, dovrà prestare una maggiore attenzione alle proprie esigenze di liquidità, ragguagliando continuamente alle stesse il fido richiesto alla banca. Nel nuovo assetto che si è venuto determinando, dopo l’intervento legislativo del gennaio 2009, integrato dal provvedimento dell’agosto dello stesso anno, per la banca risulta conveniente applicare la remunerazione commisurata al fido, in luogo delle CMS commisurate al massimo utilizzo nel trimestre. Ad esempio, con una soglia d’usura del 12,77%, anche con una commissione sul massimo scoperto dell’1,25% trimestrale, la riduzione del tasso di interesse indotta dal rispetto della soglia, porterebbe – rispetto ad una remunerazione pari allo 0,50% del fido – a tassi effettivi annui significativamente inferiori con il ridursi del margine di utilizzo: il divario comincia a divenire apprezzabile al di sotto del 50% di utilizzo del fido.

Come emerge dalla tabella, una remunerazione pari allo 0,50% del fido comporta un beneficio generalmente maggiore di quanto la banca percepirebbe con la Commissione di Massimo Scoperto 27.

27

732

Occorre tuttavia considerare che l’attuale remunerazione dello 0,50% commisurato al


Roberto Marcelli

Un insieme limitato di banche si è orientato – per i conti affidati – verso la tradizionale commissione di massimo scoperto, con il dovuto correttivo introdotto dalla legge n. 2/09. La generalità degli istituti bancari ha fatto ricorso, con le più singolari terminologie, a forme di remunerazione per la messa a disposizione dei fondi, per lo più posizionate su valori assai prossimi al massimo consentito dello 0,50% trimestrale. La recente crisi finanziaria ha evidenziato la strategica rilevanza della liquidità. Appare non di meno anacronistico, con l’Euribor apprezzabilmente al di sotto dell’1%, un prelievo annuo del 2,016% (tasso equivalente allo 0,50% trimestrale), ancor prima dell’erogazione del credito, per un servizio di pronta liquidità. Né ci si può attendere, con gli attuali condizionamenti al trasferimento dei conti, forme di concorrenza che possano calmierare tale costo. La rilevazione sull’applicazione delle CMS, curata recentemente dalla Banca d’Italia, ha posto in luce criticità, incertezze interpretative, carenza di trasparenza e scarsa comparabilità: un ulteriore provvedimento legislativo è stato auspicato e proposto al Ministero dell’Economia 28.

fido, è onnicomprensiva di ogni costo collegato al credito concesso: diversamente con la commissione sul massimo scoperto, il testo della legge n. 2/09 lascerebbe margini per altre spese collegate al fido. 28 Si propone di vietare la commissione di massimo scoperto, permettendo la sola remunerazione per la messa a disposizione del fido, onnicomprensiva di tutte le spese e

733


Commenti

La previsione di una remunerazione commisurata all’accordato, che presumibilmente soppianterà completamente la precedente commissione sul massimo scoperto, condurrà ad un maggior accostamento del credito accordato a quello utilizzato, una minore dispersione dei singoli valori intorno alla media, un’economia di gestione della tesoreria bancaria e, di riflesso, margini maggiori di contenimento di tale onere, per la clientela più virtuosa, rispetto alla soglia massima consentita. Gli intermediari bancari che scelgano poi di commisurare, con possibili forme selettive, tale onere agli scostamenti da fisiologici utilizzi del fido, potranno meglio presidiare il rischio di immobilizzazione dei fondi concessi, usufruendo più compiutamente dei benefici, informativi oltre che di reddito, che possono derivare da una gestione dinamica del fido accordato. La corresponsione di uno specifico corrispettivo per la disponibilità del fido renderà giuridicamente più rilevante l’impegno della banca, con riflessi di non trascurabile rilievo sui margini di recesso a quest’ultima consentiti e non da ultimo, forse anche, sul patrimonio di vigilanza.

5. Considerazioni finali. Nel modello di conduzione bancaria varato negli anni ’90, incentrato sulla crescita dimensionale e rivolto esclusivamente all’efficienza organizzativa, produttiva ed economica, gli obiettivi di budget hanno fatto spesso premio sulle esigenze e gli interessi della clientela. Una sorta di “fidelizzazione” della clientela è stata perseguita e conseguita surrettiziamente con lacci e laccioli che solo recentemente, con mirati provvedimenti sul trasferimento dei rapporti, si viene tentando di sciogliere. Nel passaggio dalla concezione pubblicistica dell’attività bancaria alla concezione privatistica, sono stati acquisiti apprezzabili margini di efficienza economica e di confronto con gli operatori internazionali, ma si sono sacrificati a tali obiettivi aspetti di rilievo che hanno seriamente pregiudicato gli stessi interessi pubblici protetti. Nel volgere di poco meno di due decenni, il profilo reputazionale del sistema bancario ha subito una caduta senza precedenti storici: il diret-

proporzionale all’accordato. Per gli utilizzi extrafido e gli scoperti di conto, si propone una commissione, espressa in misura fissa e assoluta, per compensare le banche delle spese di rapida istruttoria connesse con tali operazioni.

734


Roberto Marcelli

tore bancario, che veniva in precedenza accostato nei centri minori al parroco, al sindaco e al maresciallo, viene ora frequentemente accostato, nei mass media, a fatti di strozzinaggio. La peculiare funzione di collegamento fra risparmio e sviluppo giustifica la speciale disciplina posta a protezione e tutela dell’attività bancaria, ma, nel contempo, rende più aberranti comportamenti che ostacolano e travisano la stessa funzione a cui è preposto l’intermediario bancario e finanziario. L’Organo di vigilanza, proteso a presidiare la stabilità dell’intermediario, ha esplicato sostanziali interventi volti a rafforzare la patrimonializzazione degli intermediari bancari, ma ha rivolto deboli misure ed inefficaci richiami ad un più corretto rapporto con il cliente. Gli strumenti di trasparenza, previsti dalla normativa, in assenza di un significativo dispiegamento della concorrenza, hanno sortito scarsi presidi di tutela dell’utente bancario 29. Nel corso degli anni anche i rapporti con la clientela sono stati asserviti alla stabilità dell’intermediario, perseguita sotto il profilo economico, trascurando e logorando oltre misura il rapporto fiduciario banca-cliente, costruito nei decenni precedenti. Si è venuti assistendo ad un diffuso e preordinato abuso del diritto: nel rispetto più o meno formale dei limiti di legge, si sono venuti a perseguire obiettivi del tutto difformi da quelli per i quali la legge ha riconosciuto speciali diritti all’intermediario bancario. Quando poi il legislatore del 1996 ha posto limiti operativi e presidi penali ai tassi bancari di remunerazione del credito, grazie a provvedimenti amministrativi di dubbia chiarezza, si è potuto liberamente operare con forme surrogatorie di remunerazione, per lo più riconducibili alle commissioni di massimo scoperto, oltre ad una proliferazione di spese di scarso contenuto funzionale. La chiara ed inequivocabile formulazione dei limiti dell’usura, introdotta dalla l. n. 108 del 1996, è risultata completamente stravolta nella pratica operativa, sino a prevedere una commissione soglia, distinta e separata dalla soglia d’interesse, come se i due oneri non attenessero congiuntamente allo stesso credito.

29 In una recente audizione in Commissione Parlamentare (10 marzo 2010) il dott. A. Enria della Banca d’Italia, con riferimento alle commissioni di massimo scoperto, così si è espresso: “Operare sul solo fronte della trasparenza non pare tuttavia sufficiente: in presenza di strutture commissionali barocche e molto diversificate tra banche, (…) nessuna misura di trasparenza – per quanto incisiva – può permettere una valutazione chiara e confrontabile dei costi”.

735


Commenti

L’art. 2-bis della l. n. 2 del 2009, nell’articolato quanto contorto testo approvato, più che una ponderata mediazione fra stabilità dell’intermediario e tutela del cliente, sembra esprimere un sofferto confronto fra rapporti di forza; negli aspetti sostanziali non risulta scalfita la posizione dominante dell’operatore bancario nel rapporto negoziale con il cliente: al contrario si consolida, con l’introduzione della liceità di forme surrettizie di remunerazione, la cui dimensione rimane avulsa da concrete giustificazioni di servizio. Assai debole appare l’intervento calmieratore operato con il decreto legge “anticrisi” (n. 185 del 2008) che ha ricondotto al 2% la percentuale annua massima di commissione. In Francia, dove viene impiegata un’analoga commissione sul massimo scoperto, la misura media comunicata dalla Banca di Francia lo scorso 30 giugno 2009, è risultata dello 0,06% mensile, corrispondente allo 0,7% annuale, contro un valore dello 0,65% trimestrale, corrispondente al 2,6% annuale, comunicato negli stessi giorni dalla Banca d’Italia. Come in altre recenti vicende che hanno interessato i rapporti fra banca e clientela, l’impiego distorto delle prerogative speciali riservate all’intermediario bancario non ha riguardato casi singoli e sporadici, bensì ha assunto – come nel caso dei titoli Argentina, Cirio, Parmalat e, da ultimo, gli swap – le connotazioni generali di una “mattanza”. I tribunali sono, da lungo tempo, ricolmi di vertenze, avanzate da operatori economici e privati cittadini che richiedono, nei rapporti bancari, un puntuale rispetto dei principi normativi, bancari e finanziari. Troppo spesso i comportamenti dell’operatore bancario occupano ed impegnano la magistratura, chiamata – non per singoli accadimenti ma per circostanze generalizzate – a surrogare e colmare carenze istituzionali. Nel corso dell’ultimo decennio rilevante e apprezzabile è risultato l’intervento surrogatorio della magistratura: la cura e l’attenzione mostrata dalla giurisprudenza all’equilibrio e correttezza dei rapporti fra banca e cliente si sono notevolmente accresciute. L’opera della Cassazione inevitabilmente interviene tardi, spesso a distanza di molti anni, quando prassi scorrette e comportamenti impropri risultano radicati e diffusi all’intero sistema, con rimarchevoli ripercussioni sul corpo sociale e lo sviluppo economico del Paese. Prima ancora che la magistratura intervenga a correggere, spetta all’Organo di Vigilanza prevenire e presidiare. Più recentemente la Banca d’Italia ha avviato, con il governatore Draghi, un deciso indirizzo di vigilanza volto a ristabilire comportamenti informati all’etica, rispetto e trasparenza nei rapporti con la clientela, che possono ricostruire quel valore reputazionale che presiedeva la

736


Roberto Marcelli

prestazione dei servizi bancari: iniziative ed interventi vengono gradualmente incidendo nell’assetto organizzativo e normativo degli intermediari bancari. Si avverte l’esigenza di principi e valori che devono essere acquisiti nella cultura bancaria: più che intrusivi interventi di regolamentazione, si avverte l’esigenza di un’emancipazione dell’intermediario bancario verso forme di compliance che pervadano ed informino le scelte aziendali, in una responsabile consapevolezza della funzione pubblica assolta.

Roberto Marcelli

737


SOGLIE D’USURA EX L.108/96* (consultabili su studiomarcelli.com) APERTURE DI CREDITO IN CONTO CORRENTE

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010**

II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre IIII trimestre IV trimestre

I trimestre

< 5.164,57 soglia 24,27 23,85 22,58 22,82 21,45 21,29 20,91 19,26 17,91 17,58 17,52 17,67 17,85 18,27 18,80 19,26 19,14 19,02 19,01 < 5.000 18,06 18,59 18,45 18,59 18,51 17,93 18,23 17,85 18,62 18,24 18,51 18,48 18,71 18,65 18,95 18,81 18,87 19,31 19,02 19,62 19,74 19,64 19,56 19,65 19,50 19,37 19,46 19,91 18,41 17,69 17,39 17,64

> 5.164,57 soglia 19,79 19,68 18,51 18,65 17,28 16,89 16,61 14,94 13,71 13,35 13,40 13,77 14,30 14,73 15,29 15,63 15,57 15,23 15,00 > 5.000 14,13 14,55 14,67 14,70 14,60 14,06 14,19 13,89 14,25 14,13 14,21 14,16 14,27 14,25 14,28 14,06 14,07 14,24 14,37 14,70 14,91 14,85 14,94 14,93 14,76 14,82 14,81 15,14 13,68 12,93 12,48 12,77

C/C GARANTITI E NON GARANTITI

SCOPERTI SENZA AFFIDAMENTO

< 5.000 soglia 19,28

> 5.000 soglia 14,39

C/C GARANTITI E NON GARANTITI

2010***

II trimestre IIII trimestre IV trimestre

< 5.000 soglia 18,72 17,25 17,07

> 5.000 soglia 14,73 13,71 13,73

< 1.500 soglia 29,94

ANTICIPI, SCONTI COMM. E ANTICIPI, SCONTI COMM. E ALTRI FINANZ. ALLE IMPRESE ALTRI FINANZ. ALLE IMPRESE EFF. DAGLI INTERMEDIARI EFF. DALLE BANCHE NON BANCARI < 5.165 > 5.165 < 5.165 > 5.165 soglia soglia soglia soglia 19,35 16,88 43,22 37,85 18,63 16,80 43,62 36,42 18,30 15,69 43,23 32,13 18,44 15,59 40,61 33,00 16,74 14,01 40,88 30,30 16,46 13,68 40,44 29,64 14,96 13,23 36,96 28,05 14,00 11,49 36,33 26,66 12,93 10,11 34,37 24,29 12,09 9,84 35,34 25,08 11,85 9,57 33,20 23,51 11,70 9,66 32,34 23,93 11,96 10,01 31,49 24,36 12,38 10,56 31,77 24,86 12,77 11,03 32,03 24,62 13,11 11,42 31,79 25,85 13,04 11,36 30,69 24,71 12,83 11,13 30,78 23,93 12,63 10,89 31,44 23,22 < 5.000 > 5.000 < 5.000 > 5.000 11,67 9,89 29,93 25,61 12,09 10,20 30,05 24,27 11,54 10,29 31,41 23,18 11,67 10,22 32,01 23,43 11,54 10,08 30,54 22,79 11,09 9,39 29,43 21,72 11,19 9,30 29,01 21,26 10,61 8,82 27,83 20,69 10,98 9,11 28,92 21,56 10,34 8,75 28,26 20,60 10,62 8,76 28,28 20,58 10,10 8,63 26,76 20,30 10,38 8,61 26,49 20,43 10,31 8,54 26,25 19,61 9,86 8,48 26,51 19,16 9,90 8,40 26,30 18,98 10,05 8,45 26,22 18,99 10,20 8,69 26,06 18,74 10,26 8,79 26,00 18,71 10,77 9,23 26,36 19,08 11,01 9,51 26,67 19,32 11,12 9,65 25,79 19,17 11,10 9,86 26,03 18,81 11,15 9,95 25,07 18,80 11,03 9,95 25,34 18,57 11,09 10,26 25,16 18,53 11,21 10,22 24,78 18,26 11,75 10,73 24,24 18,15 10,34 9,33 22,04 16,65 9,72 8,48 21,12 15,87 9,51 7,79 21,17 16,10 9,72 7,91 21,60 16,41

ANTICIPI, SCONTI ED ALTRI FINANZIAMENTI ALLE IMPRESE

> 1.500 soglia 19,68

< 5.000 soglia 15,39

SCOPERTI SENZA AFFIDAMENTO < 1.500 soglia 27,74 24,42 24,71

> 1.500 soglia 19,68 19,82 20,13

> 5.000 soglia 8,15

> 25.000

< 50.000 soglia 9,47 8,90 8,93

soglia 24,18 22,88 21,30 22,68 19,82 19,49 18,93 17,52 16,02 15,50 15,32 15,93 15,98 16,43 16,65 17,04 16,44 15,99 15,81 14,96 15,63 15,78 15,68 15,81 15,54 15,26 14,76 15,05 14,70 15,00 14,75 14,93 14,73 14,85 14,40 14,72 14,70 14,87 15,11 15,71 15,35 15,56 15,47 15,38 15,27 15,57 15,95 14,90 13,55 14,30 14,66

soglia

soglia

ALTRI FIN. ALLE FAMIGLIE EFF. DALLE SOCIETà FINANZ. soglia

18,80

27,20

21,62

CREDITI PERSONALI

CREDITI PERSONALI

ANTICIPI E SCONTI < 5.000 soglia 14,61 11,00 8,37

CREDITI PERSONALI E ALTRI FINANZIAMENTI ALLE FAMIGLIE EFFETTUATI DALLE BANCHE

> 50.000 soglia 6,42 6,18 5,67

soglia 17,91 17,33 16,89

ALTRI FIN. ALLE FAMIGLIE EFF. DALLE BANCHE

ALTRI FINANZIAMENTI ALLE FAMIGLIE E ALLE IMPRESE soglia

soglia 20,03 19,62 18,50

PRESTITI CONTRO CESSIONE DEL C.M.S. QUINTO DELLO STIPENDIO < 5.165 > 5.165 soglia soglia soglia 0,00 0,00 0,72 36,59 30,99 0,63 33,30 29,01 0,63 32,09 26,96 0,62 31,46 26,04 0,62 30,95 25,17 0,63 28,59 24,51 0,62 28,05 21,77 0,62 26,54 21,08 0,63 25,68 19,34 0,65 23,84 18,60 0,65 26,04 19,28 0,66 26,30 19,50 0,68 26,37 18,95 0,71 29,67 20,06 0,71 31,08 20,34 0,72 32,49 20,18 0,74 28,05 20,19 0,77 30,20 18,98 0,78 < 5.000 > 5.000 27,63 17,76 0,80 29,18 18,65 0,83 28,01 18,27 0,83 29,01 18,03 0,86 30,47 19,01 0,89 30,20 18,24 0,90 30,15 18,33 0,92 29,00 17,52 0,96 31,80 17,96 1,04 29,73 17,91 1,04 30,35 17,78 1,05 31,50 17,97 1,10 31,79 18,14 1,14 33,14 17,79 1,14 31,52 17,60 1,26 30,14 16,86 1,19 30,53 16,74 1,23 30,59 16,74 1,20 30,12 16,70 1,22 29,78 16,67 1,11 28,68 16,40 1,11 24,72 15,39 1,08 23,72 15,24 1,08 23,78 15,48 1,05 25,91 15,51 1,05 24,71 15,39 0,99 22,70 15,11 0,99 20,94 15,23 1,01 20,00 14,28 0,99 19,46 13,46 0,99 18,87 13,82 0,98 18,06 13,77 0,98 PRESTITI CONTRO CESSIONE DEL QUINTO DELLO STIPENDIO E DELLA PENSIONE < 5.000 soglia 23,15

> 5.000 soglia 18,69

PRESTITI CONTRO CESSIONE DEL QUINTO DELLO STIPENDIO E DELLA PENSIONE < 5.000 soglia 22,29 21,33 20,93

> 5.000 soglia 17,82 16,88 17,49


SOGLIE D’USURA EX L.108/96* (consultabili su studiomarcelli.com) FACTORING

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

CREDITO FINALIZZATO ALL’ACQUISTO RATEALE (dal IV trimestre ‘03 anche CREDITO REVOLVING)

LEASING

I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre

< 51.646 soglia 20,82 19,35 19,26 17,82 16,73 16,04 16,11 13,73 12,48 11,91 11,84 11,91 11,88 12,54 12,92 12,72 12,57 12,50 12,15 < 50.000 11,03 11,48 11,19 11,48 11,61 10,65 10,41 9,77 9,92 9,93

> 51.646 soglia 17,87 17,28 15,98 16,02 14,37 13,98 13,47 11,70 10,31 9,87 9,71 9,66 10,22 10,65 11,33 11,81 11,72 11,22 10,98 > 50.000 9,81 10,13 9,95 9,77 9,56 8,79 8,64 8,27 8,51 8,16

III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre

9,27 9,75 9,06 9,12 8,52 8,58 8,51 9,09 9,20 9,57 9,75 10,19 10,52 10,76 10,83 10,92 11,24 11,70

8,01 7,91 7,76 7,74 7,74 7,61 7,58 7,89 8,12 8,48 8,84 9,09 9,30 9,56 9,80 10,22 10,01 10,71

19,58 17,66 19,82 18,69 17,85 17,48 17,73 17,66 16,49 16,47 16,74 17,34 18,33 16,74 16,94 17,72 18,86 19,95

13,41 13,23 13,07 13,04 12,77 12,60 12,44 12,60 12,71 13,17 13,41 13,67 13,94 14,01 14,06 14,27 13,97 14,69

11,34 11,10 11,13 11,04 10,74 10,64 10,59 10,79 10,95 11,39 11,72 11,91 12,11 12,26 12,32 12,63 12,38 12,93

8,40 8,12 8,10 7,89 8,03 7,85 7,86 8,04 8,52 8,97 9,53 9,51 10,10 10,23 10,31 10,65 10,64 11,22

I trimestre II trimestre IIII trimestre IV trimestre

10,52 9,78 8,31 8,19

9,42 8,19 6,57 6,56

18,51 18,15 17,36 17,00

13,61 12,83 12,29 12,80

12,02 11,18 10,37 10,62

10,23 9,42 8,37 8,30

II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre I trimestre II trimestre III trimestre IV trimestre

< 5.165 > 5.165; < 25.823 > 25.823; < 51.646 > 51.646 soglia soglia soglia soglia 29,49 24,29 19,13 19,13 38,34 24,23 20,81 17,28 34,70 22,61 18,93 15,89 33,59 22,32 19,11 15,63 34,97 20,33 17,09 13,49 32,82 19,32 15,99 12,98 26,51 18,38 15,30 12,18 26,43 16,34 13,19 10,28 24,53 14,52 11,99 8,90 25,07 14,00 11,45 8,54 24,48 13,73 11,27 8,51 23,25 14,15 11,66 8,82 24,08 14,96 12,63 9,57 22,31 15,47 13,26 10,34 24,05 16,16 14,01 10,97 23,37 16,73 14,70 11,64 25,67 16,89 14,73 11,70 21,47 16,31 14,22 11,40 22,20 16,02 13,92 11,10 < 5.000 > 5.000; < 25.000 > 25.000; < 50.000 > 50.000 20,67 15,20 12,99 10,07 22,01 15,35 13,07 9,96 22,85 15,35 13,31 10,25 23,07 15,36 13,34 10,14 22,52 15,27 13,35 10,02 22,46 14,39 12,29 8,87 21,86 14,34 12,32 9,38 20,76 13,73 11,67 8,57 20,99 13,88 11,73 8,66 20,87 13,74 11,51 8,25

< 1.291 soglia 48,74 47,33 45,48 46,91 44,39 45,15 44,28 41,21 40,34 40,52 38,04 37,46 37,37 36,54 35,66 35,39 34,25 33,92 33,47 < 1.500 31,59 31,32 30,78 30,35 29,96 29,13 27,39 26,46 26,45 25,67

> 1.291; < 5.165 soglia 35,85 35,55 34,01 34,35 32,76 32,01 30,96 27,17 26,42 24,89 23,27 23,19 23,58 23,48 23,13 23,57 23,76 23,60 23,28 > 1.500; < 5.000 22,73 23,36 23,37 22,91 22,79 22,56 23,24 24,00 24,36 24,38

> 5.165 soglia 27,27 25,76 23,61 23,28 21,72 21,35 20,54 18,38 17,21 16,59 16,05 15,96 16,05 16,46 16,53 17,13 17,34 17,63 17,73 > 5.000 16,71 17,57 17,36 17,39 17,34 16,59 16,89 16,62 17,03 16,77

2004

2005

2006

2007

2008

2009

FACTORING

2010**

I trimestre

< 50.000 soglia 9,21

> 50.000 soglia 6,08

FACTORING

2010***

II trimestre IIII trimestre IV trimestre

< 50.000 soglia 8,30 7,92 7,49

> 50.000 soglia 5,60 5,36 5,18

AUTOVEICOLI E AERONAVALI < 25.000 > 25.000 soglia soglia 21,47 19,01 AUTOVEICOLI E AERONAVALI < 25.000 > 25.000 soglia soglia 16,10 13,16 13,68 11,01 13,19 10,50

LEASING IMMOB. soglia 6,58 LEASING IMMOB. soglia 5,79 5,55 5,21

STRUMENTALE < 25.000 > 25.000 soglia soglia 15,51 9,84 STRUMENTALE < 25.000 > 25.000 soglia soglia 13,85 8,33 14,19 8,12 13,35 7,22

25,16 25,43 25,29 24,89 24,96 24,89 24,84 24,71 25,07 25,11 25,49 24,59 24,63 24,39 24,32 24,30 24,24 24,48 < 5.000 24,44 23,63 24,53 25,68 CREDITO < 5.000 soglia 21,27 CREDITO < 5.000 soglia 19,68 18,29 16,43

24,06 23,91 23,94 23,91 23,81 23,52 23,63 24,05 24,11 24,24 24,50 25,26 25,23 25,49 25,23 25,17 25,43 25,77

16,26 15,96 16,04 15,72 15,72 15,42 15,48 15,51 15,27 15,63 16,07 15,87 15,86 15,99 15,99 15,90 15,96 16,34 > 5.000 15,20 14,55 15,20 16,14

FINALIZZATO CREDITO > 5.000 soglia 18,26

< 5.000 soglia 25,46

FINALIZZATO CREDITO > 5.000 soglia 17,30 16,40 15,99

< 5.000 soglia 26,06 26,06 26,00

MUTUI (dal III trimestre ‘04 sono mutui con garanzie reali; dal IV trimestre ‘06 sono mutui con garanzia ipotecaria)

REVOLVING > 5.000 soglia 19,19 REVOLVING > 5.000 soglia 19,52 19,68 19,10

soglia 15,90 15,42 14,09 14,22 12,44 11,76 11,00 8,70 7,64 7,38 7,35 8,01 8,73 9,44 9,95 10,40 10,23 9,84 9,42 8,27 8,34 8,43 8,42 8,06 7,19 6,80 6,23 6,36 6,26 t. fisso 8,21 8,15 8,34 8,04 7,74 7,50 7,46 7,71 7,95 8,57 8,99 8,58 8,87 9,09 9,12 9,06 8,99 9,45

t. var. 5,81 5,76 5,79 5,81 5,79 5,73 5,78 6,24 6,63 7,16 7,65 7,97 8,37 8,57 8,63 9,00 8,94 9,45

8,09 6,63 6,69 7,79

8,18 6,87 5,09 4,88

MUTUI T. FISSO

MUTUI T. VAR.

soglia

soglia

8,04 MUTUI T. FISSO

4,38 MUTUI T. VAR.

soglia

soglia

7,76 7,49 6,77

3,95 3,84 3,90


Commenti

740


fatti e problemi della pratica

La disciplina delle sospensioni legali dei finanziamenti nei recenti interventi del legislatore a livello nazionale ed a livello regionale Sommario: 1. Premessa. – 2. “Portabilità”, “rinegoziazione” ed estinzione anticipata dei mutui. – 3. Sospensione dei termini di pagamento e proroga del contratto di mutuo. – 4. Il Fondo di Solidarietà: ambito oggettivo e soggettivo. – 5. Segue. La disciplina delle garanzie dei mutui. – 6. La sospensione dei finanziamenti nel “decreto Abruzzo” e nei recenti interventi dell’Associazione bancaria italiana.

1. Premessa. Negli ultimi anni si è assistito all’avvio, da parte del legislatore, di un variegato processo di riforme di cui uno dei tratti più caratterizzanti può essere individuato nella volontà di favorire una maggiore tutela dei consumatori attraverso la promozione della concorrenza 1. L’intensa produzione legislativa che ne è derivata ha interessato differenti settori economici e, in modo particolare, il comparto dei finanziamenti a medio e lungo termine, settore che tradizionalmente risulta disciplinato, nel nostro ordinamento, con prescrizioni rigide, finalizzate ad assicurare la solidità necessaria al sistema delle garanzie e, più in generale, all’intero mercato finanziario. Ad una prima osservazione del complesso degli interventi posti in essere, tuttavia, si ricava l’impressione che tali interventi abbiano inciso sul consolidato impianto normativo in maniera non omogenea, affidando il tutto alla decretazione d’urgenza, indotta, in un primo momento, dalla

1 Si rimanda alle risultanze dell’attività di segnalazione dell’Autorità Garante del Mercato e della Concorrenza al Parlamento e al Governo, attività consultiva, rif., AS338 del 24 maggio 2006, bollettino n. 19/2006.

741


Fatti e problemi della pratica

circostanza del crescente andamento dei tassi di interesse – conseguente alle decisioni assunte dalla B.C.E. (Banca Centrale Europea) a partire dalla fine del 2005 – e successivamente dai pesanti riflessi negativi scaturiti dalla crisi statunitense dei prestiti sub-prime, che ha determinato l’attuale crisi finanziaria a livello mondiale. L’effetto congiunto della maggiore onerosità dei finanziamenti (mutui) regolati da interessi variabili, da un lato, e del sempre più ridotto potere d’acquisto delle famiglie consumatrici, dall’altro lato, ha determinato il legislatore nazionale a varare una serie di provvedimenti i quali, a posteriori, si sono rivelati, forse, più idonei a favorire una contingente riduzione dei costi sostenuti dai debitori mutuatari, che ad inaugurare una vera e propria stagione di riforme, informata ad una più spiccata liberalizzazione della concorrenza. Ciò nonostante, non può negarsi che i rimedi apprestati sembrano, in ogni caso, in grado di offrire una valida risposta alle varie esigenze dei soggetti mutuatari e si adattano alle differenti disponibilità finanziarie di cui questi ultimi possono disporre.

2. “Portabilità”, “rinegoziazione” ed estinzione anticipata dei mutui. Una prima soluzione alle situazioni di maggiore difficoltà dei consumatori è data dalla c.d. “portabilità del mutuo” 2, consistente, in termini

2

Art. 8 della l. 2 aprile 2007, n. 40 ove così si dispone: «1. In caso di mutuo, apertura di credito o altri contratti di finanziamento da parte di intermediari bancari e finanziari, la non esigibilità del credito o la pattuizione di un termine a favore del creditore non preclude al debitore l’esercizio della facoltà di cui all’articolo 1202 del codice civile. 2. Nell’ipotesi di surrogazione ai sensi del comma 1, il mutuante surrogato subentra nelle garanzie accessorie, personali e reali, al credito surrogato. L’annotamento di surrogazione può essere richiesto al conservatore senza formalità, allegando copia autentica dell’atto di surrogazione stipulato per atto pubblico o scrittura privata. 3. È nullo ogni patto, anche posteriore alla stipulazione del contratto, con il quale si impedisca o si renda oneroso per il debitore l’esercizio della facoltà di surrogazione di cui al comma 1. La nullità del patto non comporta la nullità del contratto. (…)». In dottrina cfr., Bosco, Portabilità e rinegoziazione dei mutui, in Giur. merito, 2010, 1, p. 265 ss.; Dolmetta, Questioni sulla surrogazione per volontà del debitore ex art. 8 l. n. 40/2007, in Banca, borsa, tit. cred, 2007, suppl. al n. 5, p. 5 ss.; Sirena, La Portabilità del mutuo bancario o finanziario, in Riv. dir. civ., 2008, I, p. 459 e ss.; Guerinoni, Le nuove regole dei rapporti bancari – Ius variandi, recesso, estinzione anticipata e portabilità dei contratti di finanziamento, Torino, 2007; Giampieri, Il decreto sulle liberalizzazioni. La portabilità del mutuo, le intenzioni del legislatore e gli effetti (forse indesiderati) della norma,

742


Salvatore Rizzo

essenziali, nella possibilità di far subentrare all’originario istituto finanziatore un nuovo soggetto mutuante che sia disponibile a offrire condizioni economiche più convenienti, con la surrogazione nelle garanzie reali che assistono il finanziamento mediante annotazione in margine all’iscrizione dell’ipoteca stessa, ai sensi dell’art. 2843 del c.c. 3 Una seconda soluzione che interessa il solo assetto contrattuale è rappresentata dalla c.d. rinegoziazione del mutuo, mediante scrittura privata, anche non autenticata, ai sensi dell’art. 2, comma 450, lett. b) della legge finanziaria per il 2008. Tale “rinegoziazione” intercorre tra il debitore mutuatario e la propria banca mutuante, la quale potrà essere indotta a proporre condizioni economiche migliori al fine di evitare di compromettere definitivamente il rapporto con il cliente, che potrebbe essere indotto a valutare favorevolmente la rinegoziazione proposta da altro istituto bancario (cfr., art. 8 del d.l., n. 7 del 31 gennaio 2007) 4.

in Nuova giur. civ. comm., 2007, p. 467 e ss. In generale sul tema della surrogazione, per volontà del debitore, di un nuovo creditore rispetto a quello originario vedasi, Gentili, Teoria e prassi nella portabilità dei contratti di finanziamento bancario, in Contr., 2007, p. 466 ss. In corso di revisione delle bozze è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 207 del 4 settembre 2010 il d.lgs. n. 141 del 13 agosto 2010 con cui sono state recepite le novità introdotte dalla Diretiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori. In particolare sono state apportate rilevanti modifiche al t.u.b., Titolo IV, Capo II relativo al “Credito ai consumatori”. Con l’occasione, il legislatore ha recepito all’interno del t.u.b., le disposizioni in commento mediante due nuovi articoli, ovvero l’art. 120 ter relativo all’”Estinzione anticipata dei mutui immobiliari” e l’art. 120 quater relativo alla “Surogazione nei contratti di finanziamento. Portabilità”. 3 Cfr., Circolare n. 9 del 2007 dell’Agenzia del Territorio reperibile sul sito www. agenziadelterritorio.it. 4 Art. 2, co. 450, lett. b) della l. n. 244 del dicembre 2008 ove cosi si dispone: «Al fine di favorire lo sviluppo e la competitività del mercato finanziario, dei beni e dei servizi, anche mediante la facilitazione della circolazione giuridica dei mutui ipotecari e degli immobili su cui gravano le relative ipoteche, ed in considerazione delle rilevanti conseguenze per le entrate finanziarie dello Stato e per l’ampliamento delle possibilità di scelta dei consumatori, al decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, sono apportate le seguenti modificazioni: b) all’articolo 8, comma 3, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: Resta salva la possibilità del creditore originario e del debitore di pattuire la variazione, senza spese, delle condizioni del contratto di mutuo in essere, mediante scrittura privata anche non autenticata; (…)». Proprio per favorire le rinegoziazioni, in occasione della emanazione di urgenti disposizioni per la salvaguardia del potere di acquisto delle famiglie – art. 3 del d.l., n. 93 del 27 maggio 2008 convertito in l. 24 luglio 2008 n. 126 (in G.U. 26 luglio 208, n. 174) – il legislatore è nuovamente intervenuto prevedendone una forma specifica e rinviando, per le modalità attuative, ad apposita convenzione stipulata fra il Ministero dell’Economia e

743


Fatti e problemi della pratica

Una terza soluzione, infine, è rappresentata dalla possibilità di “estinguere anticipatamente i finanziamenti” 5; in particolare, i debitori mu-

delle Finanze e l’Associazione Bancaria Italiana (A.B.I.), naturalmente aperta all’adesione di banche e di intermediari finanziari. Di tale convenzione, stipulata il 19 giugno 2008 ed in cui testo è reperibile su sito web di entrambe le istituzioni, occorre mettere in evidenza i seguenti aspetti: A) possono formare oggetto di rinegoziazione “i mutui a tasso variabile finalizzati all’acquisto, costruzione, ristrutturazione dell’abitazione principale, intendendosi per abitazione principale quella in cui il proprietario o il coniuge o i parenti entro il terzo grado o gli affini entro il secondo grado dimorano abitualmente” (cfr., art. 2); B) “la differenza dell’importo della rata dovuta secondo il piano di ammortamento originario e l’importo della rata risultante dall’atto di rinegoziazione è addebitata su un conto di finanziamenti accessorio e produce interessi, capitalizzabili annualmente, al tasso annuo più favorevole per il cliente tra quello che si ottiene in base all’IRS a dieci anni, maggiorato, fermo quanto previsto dall’art. 1, comma 3, di un spread di 0,50 punti percentuali e quello contrattualmente previsto, come determinati alla data di rinegoziazione”, (cfr., art. 3, co. 2). Sul tema della rinegoziazione dei mutui vedasi, Nappi, Profili della disciplina del credito al consumo. La rinegoziazione dei mutui ex art. 3 l. 24 luglio 2008, n. 126, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, 1, p. 24 ss.; Fausti, La «rinegoziazione dei mutui», in Banca, borsa, tit. cred., 2008, 6, p. 746 e ss.; Maimeri, Rinegoziazione mutui a tasso variabile, in Dir. banc., 2008, p. 37 ss.; Viotti, Nuovi strumenti giuridici di modifica dei contratti di mutuo, in Giur. merito, Milano, 2008, 12, p. 3084; Fiorucci, I mutui bancari, Milano, 2008; Mazzini, Dalla portabilità alla rinegoziazione del mutui le difese contro l’aumento dei tassi variabili, in Guida al dir., 2009, 2, p. 14 ss.; Ambrosi, Interventi urgenti del Governo finalizzati all’incremento del potere di acquisto delle famiglie in materia di abolizione dell’ICI sulla prima casa e in tema di rinegoziazione dei mutui, in Fam. pers. succ., 2008, 7, p. 664 ss.; Bosco, Portabilità e rinegoziazione dei mutui, in Giur. merito, 2010, 1, p. 265 ss.; Presti, La rinegoziazione dei mutui ipotecari. Qualificazione e disciplina, in Mutui ipotecari, riflessioni giuridiche e tecniche contrattuali, Atti Convegno, Milano, 1998, p. 65 ss. 5 L’art. 7 del d.l. n. 7/2007 convertito con modificazioni dalla l. n. 40/2007 così dispone: «1. È nullo qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, ivi incluse le clausole penali, con cui si convenga che il mutuatario, che richieda l’estinzione anticipata o parziale di un contratto di mutuo per l’acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche, sia tenuto ad una determinata prestazione a favore del soggetto mutuante. 2. Le clausole apposte in violazione del divieto di cui al comma 1 sono nulle di diritto e non comportano la nullità del contratto. 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano ai contratti di mutuo stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto. (…)». In dottrina vedasi, Fausti, Anticipata estinzione del mutuo e portabilità dell’ipoteca (articoli 7, 8 e 8-bis della legge, 2 aprile 2007, n. 40) in Banca, borsa, tit. cred., 2007, suppl. al n. 5, p. 5 ss.; Cervini, Estinzione anticipata dei finanziamenti – Prime note alla luce del d.l. 223/2006 e del d.l. m. 7/2007, in Nuova giur. civ. comm., 2007, II, p. 346 ss.; Petrelli, Mutui bancari e cancellazione di ipoteche, novità nel decreto legge Bersani – bis, in Notariato, 2007, p. 110 ss.; Fiorucci, I mutui, cit., p. 2008; Giffone, Estinzione anticipata dei mutui. Aspetti civili e fiscali, in Fisco, 2007, p. 2814 ss.

744


Salvatore Rizzo

tuatari, per i contratti di mutuo stipulati a decorrere dal 2 febbraio 2007, possono risolvere il contratto di mutuo, evitando la corresponsione dei compensi di anticipata estinzione (sotto qualsiasi forma richiesti) – qualora ricorrano i presupposti prescritti dall’art. 7 del d.l. n. 7 del 2007 convertito con modificazioni nella l. n. 40 del 2007 (c.d. decreto Bersani – bis) e successivamente integrato dall’art. 2, comma 450 (!) della l. 24 dicembre 2007, n. 244, d’ora innanzi, per brevità, legge finanziaria per il 2008; per i contratti di mutuo sottoscritti prima del 2 febbraio 2007, ed in essere a tale data, le penali di anticipata estinzione già contrattualmente previste sono, invece, ridotte nella misura stabilita nell’accordo stipulato fra l’Associazione Bancaria Italiana e le Associazioni dei consumatori in data 2 maggio 2007. In verità, è da ritenere che tale ultimo rimedio possa avere una limitata operatività, se considerato dal punto di vista del cliente consumatore, poiché sarà sostanzialmente utilizzabile solo da parte di coloro che disporranno della liquidità necessaria per poter procedere all’estinzione del mutuo, oppure che abbiano la possibilità di poter accedere ulteriormente al credito, stipulando nuove forme di finanziamenti a condizioni più convenienti, eventualmente anche concludendo un nuovo contratto di mutuo idoneo a sostituire il precedente (c.d. “mutui in sostituzione”). Ai rimedi sopra menzionati deve aggiungersi, inoltre, quanto disposto con il d.l. n. 185 del 29 novembre 2008, successivamente convertito nella l. 28 gennaio 2009 n. 2 6, mediante il quale – nel dichiarato intento

6 L’art. 2 del d.l. n. 185 del 2008 successivamente convertito nella l. n. 2 del 2009 così dispone: «1. L’importo delle rate, a carico del mutuatario, dei mutui a tasso non fisso da corrispondere nel corso del 2009 è calcolato applicando il tasso maggiore tra il 4 per cento senza spread, spese varie o altro tipo di maggiorazione e il tasso contrattuale alla data di sottoscrizione del contratto. Tale criterio di calcolo non si applica nel caso in cui le condizioni contrattuali determinano una rata di importo inferiore. 1 – bis. Anche al fine di escludere a carico del mutuatario qualunque costo relativo alla surrogazione, gli atti di consenso alla surrogazione, ai sensi dell’art. 1202 del codice civile, relativi a mutui accesi per l’acquisto, la ristrutturazione o la costruzione dell’abitazione principale, contratti entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto da soggetti in favore dei quali è prevista la rinegoziazione obbligatoria, sono autenticati dal notaio senza applicazione di alcun onorario e con il solo rimborso delle spese. (…). 2. Il comma 1 si applica esclusivamente ai mutui garantiti da ipoteca per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell’abitazione principale, ad eccezione di quelle di categoria A1, A8 e A9, sottoscritti o accollati anche a seguito di frazionamento da persone fisiche fino al 31 ottobre 2008. Il comma 1 si applica anche ai mutui rinegoziati in applicazione dell’articolo 3 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito,

745


Fatti e problemi della pratica

di sostenere i debitori mutuatari – sono stati accollati allo Stato parte degli interessi che compongono le rate variabili dei mutui con scadenza nell’anno 2009 – per la quota eccedente la soglia del 4% – e, inoltre, si è previsto che, a partire del 1° gennaio dello stesso anno, le banche debbano offrire alla propria clientela la possibilità di stipulare contratti di mutuo indicizzati al tasso di rifinanziamento principale della Banca centrale europea (c.d. TUR B.C.E.). Da quanto sinora brevemente esposto emerge, dunque, come il ventaglio delle possibili soluzioni che si offrono al debitore mutuatario comprende, da un lato, fattispecie alle quali consegue la cessazione del rapporto con l’originale soggetto (banca) mutuante, quali “l’estinzione anticipata” del mutuo e la “portabilità” dello stesso; dall’altro, fattispecie che comportano il permanere nel tempo degli effetti contrattuali, seppure modificati rispetto all’originario programma negoziale, quali la rinegoziazione del mutuo – “libera” o “convenzionata” che sia (ex art. 3 del d.l. n. 93 del 2008 successivamente convertito con l. 24 luglio 2008 n. 126), o la riduzione dei relativi interessi (ex art. 2 del d.l. n. 185 del 2008 convertito con l. n. 2 del 29 gennaio 2009). Alla seconda tipologia di rimedi appartiene, inoltre, la fattispecie che maggiormente rileva ai fini del presente lavoro, ovvero l’istituto che attribuisce al debitore mutuatario la facoltà di poter sospendere, per un periodo di tempo determinato, i termini per il pagamento delle rate del mutuo secondo quanto previsto dall’art. 2, co. 475 e seguenti della legge finanziaria per il 2008.

con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, con effetto sul conto di finanziamento accessorio, ovvero, a partire dal momento in cui il conto di finanziamento accessorio ha un saldo pari a zero, sulle rate da corrispondere nel corso del 2009. 3. La differenza tra gli importi, a carico del mutuatario, delle rate determinati secondo il comma 1 e quelli derivanti dall’applicazione delle condizioni contrattuali dei mutui è assunta a carico dello Stato. (…)». Maggiori chiarimenti in merito all’interpretazione di tale disposizione sono stati resi dal Ministero dell’Economia con la Circolare n. 11434 del 13 febbraio 2009 ove si precisa che la predetta disposizione si applica: a) ai mutui a tasso variabile, rata fissa e durata variabile (mentre nulla si dice dei mutui a tasso fisso); b) ai mutuatari in ritardo nei versamenti, purché non sia intervenuta la decadenza dal beneficio del termine o la risoluzione del contratto di mutuo; c) del tasso del 4% solo per i prestiti che al momento della sottoscrizione prevedevano un tasso superiore a tale soglia; d) ai mutui che sono stati oggetto di rinegoziazione ovvero accollati a seguito di frazionamento; e) ai mutui che sono stati oggetto di portabilità. A tal riguardo, vedasi i chiarimenti resi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con la Circolare n. 17852 del 20 dicembre 2008 e successive istruzioni operative del 13 febbraio 2009, n. 1143, in G.U., n. 48 del 27 febbraio 2009.

746


Salvatore Rizzo

3. Sospensione dei termini di pagamento e proroga del contratto di mutuo. In termini generali, si può iniziare col dire che la fattispecie della sospensione legale del pagamento delle rate del mutuo costituisce un rimedio che è stato utilizzato più volte, nel recente passato, anche se diverse sono state le cause che hanno determinato il legislatore a farvi ricorso. Più in dettaglio, se da un alto, rispetto alla previsione di cui all’art. 2, co. 475 e seguenti della citata legge finanziaria per il 2008 la causa che ha indotto il legislatore a ricorrervi può essere individuata nella volontà di ovviare alle crescenti difficoltà per i debitori mutuatari, anche a causa dell’attuale crisi finanziaria, di poter adempiere regolarmente al pagamento delle rate del mutuo; dall’altro lato, molto più frequentemente, si è fatto ricorso al rimedio della sospensione legale del pagamento delle rate del mutuo, in occasione di eventi eccezionali, quali ad esempio le calamità naturali, che hanno interessato il nostro Paese. È, infatti, possibile ritrovare analoghi provvedimenti a partire dal terremoto del Friuli del 1976 7 per arrivare sino al terremoto che ha colpito la Regione Abruzzo nell’aprile del 2009 8 ed all’alluvione che ha interessato il territorio della Provincia di Messina nel novembre 2009 9. Nel presente contributo, ci si limiterà ad evidenziare gli aspetti più salienti della disciplina in tema di sospensione dei termini di pagamento delle rate del mutuo, iniziando a considerare quanto disposto dal menzionato art. 2 della legge finanziaria per il 2008 per passare, successivamente, a formulare alcune brevi considerazioni relativamente a quanto previsto dal c.d. “decreto Abruzzo” e dalle recenti iniziative che, in materia, sono state intraprese anche dall’Associazione Bancaria Italiana.

7 Cfr., art. 20 del d.l. 13 maggio 1976, n. 227 convertito in l. 29 maggio 1976 n. 336, in G.U. del 1 giugno 1976, n. 127. Per completezza, cfr. d.l. 26 novembre 1980, n. 776 convertito in l. 22 dicembre 1980, n. 874 (terremoto Irpinia); d.l. 27 ottobre 1997, n. 364 convertito in l. 17 dicembre 1997 n. 434 (terremoto Umbria); d.l. 4 novembre 2002, n. 245 convertito in l. 27 dicembre 2002 n. 286 (terremoto Molise). 8 Cfr., art. 6, lett. n) del d.l. 28 aprile 2009 n. 39 convertito in l. 24 giugno 2009, n. 77. 9 Cfr., Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 novembre 2009, n. 3825, in G.U., n. 284 del 5 dicembre 2009.

747


Fatti e problemi della pratica

L’art. 2, co. 476 della legge finanziaria per il 2008 10 prevede che per i contratti di mutuo stipulati per l’acquisto di unità immobiliari da adibire ad abitazione principale, il debitore mutuatario abbia la facoltà di chiedere la sospensione del pagamento delle rate, senza che venga individuato alcun requisito ulteriore per poter esercitare tale facoltà, salvo il solo riferimento al mutuo finalizzato “all’acquisto di unità immobiliari da adibire ad abitazione principale del mutuatario”. Tale facoltà può essere esercitata per non più di due volte, anche non consecutive, nel corso dell’esecuzione del contratto, per un periodo complessivo comunque non superiore a 18 mesi, fermo restando che la facoltà di richiedere la sospensione dei termini per il pagamento delle rate non potrà essere esercitata dal debitore mutuatario dopo che sia iniziato il procedimento esecutivo per l’escussione delle relative garanzie. L’unico effetto, quindi, che l’esercizio della facoltà di sospensione del pagamento delle rate del mutuo pare destinata a produrre per i

10 L’ art. 2, co. 475 e seguenti della l. n. 244 del 2007 così dispone: «475. È istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze il Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, con una dotazione di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. 476. Per i contratti di mutuo riferiti all’acquisto di unità immobiliari da adibire ad abitazione principale del mutuatario, questi può chiedere la sospensione del pagamento delle rate per non più di due volte e per un periodo massimo complessivo non superiore a 18 mesi nel corso dell’esecuzione del contratto. In tal caso, la durata del contratto di mutuo e quella delle garanzie per esso prestate è prorogata di un periodo uguale alla durata della sospensione. Al termine della sospensione, il pagamento delle rate secondo gli importi e la periodicità originariamente prevista dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto fra le parti per la rinegoziazione delle condizioni del contratto medesimo. 477. La sospensione prevista dal comma 476 non può essere richiesta dopo che sia iniziato il procedimento esecutivo per l’escussione delle garanzie. 478. Nel caso di mutui concessi da intermediari bancari o finanziari, il Fondo istituito dal comma 475, su richiesta del mutuatario che intende avvalersi della facoltà prevista dal comma 476, presentata per il tramite dell’intermediario medesimo, provvede al pagamento dei costi delle procedure bancarie e degli onorari notarili necessari per la sospensione del pagamento delle rate del mutuo. 479. Per conseguire il beneficio di cui al comma 476, il mutuatario deve dimostrare, nelle forme stabilite dal regolamento di attuazione previsto dal comma 480, di non essere in grado di provvedere al pagamento delle rate del mutuo, per le quali chiede la sospensione e degli oneri indicati al comma 478. 480. Con regolamento adottato dal Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della solidarietà sociale, sono stabilite le norme di attuazione del Fondo di cui ai commi da 475 a 479. (…)».

748


Salvatore Rizzo

contraenti consiste nel beneficio concesso al debitore mutuatario di poter adempiere in un momento successivo alla propria obbligazione, a cui parallelamente corrisponde il sacrificio per il creditore mutuante, in termini di ritardo nel preventivato recupero della disponibilità dei capitali prestati e di una eventuale perdita e/o riduzione della remuneratività degli stessi. In altri termini, risulta modificato soltanto il tempo dell’adempimento della prestazione restitutoria, e non anche della controprestazione del mutuante 11. Ad una prima lettura della menzionata disposizione potrebbe, inoltre, immaginarsi che soltanto “alcune rate” che compongono l’originario piano di ammortamento – ovvero le rate con scadenza nel periodo di sospensione – subirebbero uno slittamento temporale, restando invece invariate le altre scadenze originariamente previste, nonché ogni altro impegno assunto (in particolare, per quel che riguarda le garanzie che assistono il mutuo). Tuttavia, questa conclusione, pur risultando coerente con il dettato letterale della prima parte del citato art. 2 co. 476, non sarebbe rispondente alla reale finalità perseguita dal legislatore con tale

11

Analogo rimedio è stato proposto dall’Associazione Bancaria Italiana nei confronti delle piccole e medie imprese con l’Avviso comune per la sospensione dei debiti della PMI verso il settore creditizio dell’agosto del 2009. In questo caso, però, a differenza di quanto previsto nelle disposizioni normative in esame, sono stati meglio definiti sia i requisiti soggettivi che oggettivi la cui ricorrenza risulta essere necessaria per accedere a tali misure. Infatti, sotto il profilo soggettivo, l’iniziativa è rivolta alle PMI secondo quanto disposto dall’art. 2 del d.m. 18 aprile 2005 del Ministero dello Sviluppo Economico – ancorché appartenenti a un gruppo – siano residenti in Italia o che, se estera, abbia in Italia la propria stabile organizzazione. Tali imprese, per poter accedere alla sospensione devono: a) avere adeguate prospettive economiche e di continuità aziendale, nonostante le temporanee difficoltà economiche e b) non avere rate scadute (non pagate o pagate parzialmente) da più di 180 giorni. Inoltre, l’Avviso comune prevede che, una volta accolta la richiesta di sospensione da parte della banca mutuante, decorre la «sospensione per 12 mesi del pagamento della quota capitale delle rate dei finanziamenti a medio e lungo termine». Relativamente alle modalità con cui effettuare la sospensione delle rate, assume rilievo il Punto 4 del predetto Avviso comune ai sensi del quale «la sospensione della quota capitale delle rate determina la traslazione del piano di ammortamento per periodo analogo. Gli interessi sul capitale sospeso sono corrisposti alle scadenze originarie». Ne deriva, pertanto, uno slittamento in avanti del piano di ammortamento originario, per il periodo pari alla sospensione accordata, senza alterare la sequenza e l’importo delle quote capitali stabilite contrattualmente. Relativamente, invece, agli interessi da corrispondere durante il periodo di sospensione, gli stessi verranno calcolati sul debito residuo in essere alla data di sospensione e senza l’abbattimento del debito residuo stesso; in definitiva è come se venisse praticato al cliente un periodo di preammortamento pari alla durata della sospensione concessa.

749


Fatti e problemi della pratica

disposizione, – finalità consistente nell’attribuzione al debitore mutuatario di un beneficio concreto ed immediato, ritenuto così necessario e indifferibile da giustificare un intervento di tipo autoritativo, che s’inserisce a posteriori, modificandolo, su un carattere determinante del contratto di mutuo. In tale prospettiva, il vantaggio per il debitore mutuatario risulterebbe, infatti, effimero ove si consideri che, una volta esaurito il termine massimo dei 18 mesi di durata delle sospensione “legale”, le obbligazioni connesse alle rate impagate, in quanto appunto sospese, si sovrapporrebbero a quelle relative alle rate successive producendo degli effetti potenzialmente insostenibili per il debitore mutuatario. La ratio della nuova disciplina è meglio chiarita nella seconda parte delle stessa norma (art. 2, co. 476), ove si precisa che: “la durata del contratto di mutuo e quella delle garanzie per esso prestate è prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione”. Si tratta, dunque, più propriamente, di una proroga dell’intero contratto di mutuo relativamente al profilo del piano di ammortamento del mutuatario, con le conseguenze che tutto questo comporta. Non è chiaro, tuttavia, se per effetto della sospensione si verifichi la posticipazione di tutte le rate non ancora scadute, come pare potersi desumere dalla relazione alla proposta di legge ove viene espressamente utilizzato il termine di slittamento; o se, invece, le sole rate non pagate durante il periodo della sospensione debbano essere posposte all’ultima rata contemplata dal piano di ammortamento. Nonostante l’assenza di ogni specificazione sul punto da parte delle disposizioni in commento, è possibile, comunque, prospettare diverse ipotesi di soluzioni operative. Posto che per “sospensione della rata” deve intendersi la sospensione del pagamento sia della quota capitale che della quota interessi le quali, rispettivamente, compongono le rate di un mutuo ed, altresì, dato per assodato che, comunque, sulle rate del mutuo ricadenti nel periodo della sospensione continuerebbero a maturare gli interessi contrattualmente stabiliti dalle parti (c.d. interessi semplici), si potrebbe ipotizzare quanto segue: – le rate del mutuo ricadenti nel periodo della sospensione diventano le “ultime” rate dell’originario piano di ammortamento, con l’evidente conseguenza che il differimento, sino alla fine, di rate di maggiore entità (soprattutto nell’ipotesi in cui sia stato stipulato un mutuo a tasso variabile e si verifichi un aumento dei tassi di interesse) darà luogo ad una più consistente maturazione di interessi che dovranno essere corrisposti alla banca mutuante; – ovvero, il differimento sino alla fine del piano di ammortamento soltanto della quota capitale delle rate oggetto della sospensione legale,

750


Salvatore Rizzo

mentre la relativa quota degli interessi semplici – che continueranno a maturare durante il periodo di sospensione – verrebbero “ridistribuiti” sulle restanti rate dell’originario piano di ammortamento, andandosi a sommare alle rispettive quote di interessi. Di certo, quale che sia la soluzione tecnica utilizzabile, la conseguenza ultima sarà sempre la medesima: il debitore mutuatario che decidesse di avvalersi della facoltà di sospendere il pagamento delle rate del mutuo dovrà mettere in conto che, rispetto ai costi originariamente stimati, dovrà sopportare degli oneri economici aggiuntivi, che potranno anche essere di non poco conto 12. Al di là degli aspetti meramente tecnici, occorre riflettere sull’effettiva coerenza di simili provvedimenti legislativi rispetto ai principi generali in tema di adempimento delle obbligazioni. Infatti, come noto, il termine fissato per l’adempimento delle obbligazioni che, per principio generale, si presume a favore del debitore (ex art. 1184 c.c.) – quindi, nel caso di specie, del debitore mutuatario, se il mutuo è a titolo gratuito; deve intendersi, invece, stipulato nell’interesse di entrambe le parti (banca mutuante e debitore mutuatario) nel mutuo oneroso – fattispecie che più interessa ai fini del presente lavoro – (ex art. 1816 c.c.). La proroga del contratto ope legis (intesa come conseguenza della sospensione “legale” del pagamento delle rate del mutuo, ex art. 2, co. 475 e ss., della legge finanziaria per il 2008) pare rappresentare, pertanto, una incrinatura del più generale principio di libera determinazione dei rapporti patrimoniali e, già in passato, era stato evidenziato come ciò fosse il segno più tangibile di un legislatore preoccupato più della portata socio-politica delle disposizioni che non della chiarezza e della linearità della disciplina 13.

4. Il Fondo di Solidarietà: ambito oggettivo e soggettivo. Nel caso in cui un mutuatario decidesse di ricorrere al rimedio della sospensione del pagamento delle rate del mutuo (per un periodo massimo di 18 mesi), con l’effetto di prorogare la durata dell’originario

12

Se si riflette sulla effettiva portata, nel lungo termine, di tale intervento si può verosimilmente immaginare che lo stesso, lungi dal creare una maggiore flessibilità del mercato dei finanziamenti, finisca per privare il settore di una regolamentazione che sia in grado di garantire al cliente consumatore chiarezza e certezza negli impegni assunti. 13 Cfr. Lipari, Proroga, in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, p. 401 ss.

751


Fatti e problemi della pratica

ammortamento dello stesso, i relativi costi – intesi come costi delle procedure bancarie e degli onorari notarili necessari per la sospensione del pagamento delle rate – dovranno essere imputati allo specifico Fondo di solidarietà “per i mutui per l’acquisto della prima casa” istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze (ai sensi dell’art. 2, co. 475 della l. n. 244 del 2007) 14. Anche relativamente a tale aspetto è necessario formulare qualche breve considerazione dato che si riscontrano delle difficoltà nella corretta individuazione dell’ambito applicativo delle varie norme, sia per quanto riguarda l’individuazione dei possibili soggetti beneficiari, sia riguardo alla oggettiva riferibilità agli immobili a cui il mutuo inerisce. Innanzitutto, per quel riguarda il profilo oggettivo, lo specifico riferimento ai soli “mutui” parrebbe circoscrivere eccessivamente l’ambito di applicazione dell’istituto, giacché ne risulterebbero escluse senza ragione altre differenti forme tecniche di finanziamento. La finalità di tale limitazione non è del tutto chiara, anche perché non risulta essere in sintonia con quanto previsto dalla recente disciplina relativa alla c.d. “portabilità dei mutui”, che oltre ai mutui abbraccia anche le aperture di credito e «gli altri contratti di finanziamento» (art. 8 del d.l. n. 7 del 2007 convertito con modificazioni nella l. n. 40 del 2007 15), in coerenza con la disciplina generale di riferimento costituita dagli artt. 38 e seguenti del T.u.b. Tuttavia, la tecnica utilizzata dal legislatore in tutte le disposizioni approvate in questa materia a partire dal 2006 non ne consente una

14 L’adozione del regolamento attuativo del Fondo di solidarietà era prevista, in origine, entro il termine di due mesi dall’entrata in vigore della legge ma tale previsione è stata eliminata dalla stesura finale. In sede di conversione del d. l. 29 novembre n. 185 (l. n. 2 del 28 gennaio 2009) è stata nuovamente prevista l’emanazione del regolamento attuativo del Fondo (art. 2, co. 5–sexies) che, tuttavia, non è stato ancora adottato. 15 L’art. 8, co. 1, del d.l. 31 gennaio 2007 n. 7, successivamente convertito nella l. 2 aprile 2007 n. 40 così dispone: «In caso di mutuo, aperture di credito o altri contratti di finanziamento da parte di intermediari bancari e finanziari, la non esigibilità del credito o la pattuizione di un termine a favore del creditore non preclude al debitore l’esercizio della facoltà di cui all’art. 1202 del codice civile». Relativamente al predetto Fondo di solidarietà (c.d. Fondo Gasparrini), occorre precisare come lo stesso, in realtà, non è mai divenuto operativo. Ad oggi, risulta che la disciplina relativa a tale fondo abbia ricevuto il parere favorevole da parte della Commissione finanza della Camera dei deputati (resoconto stenografico della seduta del 18 febbraio 2010 Camera dei deputati n. 2462, Schema di regolamento ministeriale recante norme di attuazione del Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, Atto n. 186, reperibile sul sito internet www.camera.it, e sia in discussione presso il Senato della Repubblica.

752


Salvatore Rizzo

sicura interpretazione estensiva, tale da consentire di superare il dato meramente letterale della norma. Anche nell’ambito dello stesso provvedimento innanzi richiamato (d.l. n. 7 del 2007), infatti, si fa ricorso ad una terminologia eccessivamente differenziata: il termine più generale di “finanziamento” a proposito della “portabilità”; il termine più restrittivo di “mutuo” riguardo al divieto di clausole penali di estinzione anticipata (art. 7) 16. Né ciò basta; la formulazione utilizzata dal legislatore in occasione dell’istituzione del predetto Fondo di solidarietà ha dato luogo ad un’ulteriore serie di interrogativi, se posta in relazione – come pare evidente che debba essere – alle disposizioni immediatamente successive, che disciplinano la sospensione legale dei pagamenti. In particolare, la fattispecie prevista dal co. 476 dello stesso art. 2 della legge finanziaria per il 2008, prende in considerazione i contratti di mutuo stipulati per l’acquisto di unità immobiliari da adibire ad “abitazione principale” del mutuatario, introducendo, quindi, un criterio differente da quello della “prima casa” previsto dalla fattispecie di cui al comma precedente del medesimo articolo. In conseguenza di ciò, è stata proposta un’interpretazione della norma secondo cui la stessa delinei una sorta di regime differenziato: più ampio, per l’esercizio della facoltà di “sospendere” i pagamenti, possibile per tutti i mutui riferiti all’acquisto di unità immobiliari da destinare ad abitazione principale del mutuatario; più ristretto, per l’accesso al Fondo di solidarietà, consentito per i soli mutui destinati all’acquisto della “prima casa”. Questa soluzione, tuttavia, non sembra convincere in pieno ove si consideri la disciplina introdotta dal legislatore nella sua interezza. Infatti, il successivo co. 478 del più volte citato art. 2 induce ad una lettura congiunta delle due norme sopra menzionate (co. 475, 476), ponendole in stretta correlazione tra di loro, tale per cui il Fondo (ex co. 475) provvede al pagamento dei costi e degli oneri necessari proprio per l’attua-

16

L’art. 7, co. 1, del d.l. 31 gennaio 2007 n. 7, successivamente convertito nella l. 2 aprile 2007 n. 40 così dispone: «è nullo qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, ivi incluse le clausole penali, con cui si convenga che il mutuatario, che richieda l’estinzione anticipata o parziale di un contratto di mutuo per l’acquisto o la ristrutturazione di unità immobiliare da adibire ad abitazione principale ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche, sia tenuto ad una determinata prestazione a favore del soggetto mutuatario».

753


Fatti e problemi della pratica

zione della sospensione del pagamento delle rate, senza operare alcuna distinzione tra le varie ipotesi di destinazione dell’immobile acquistato (ex comma 476) 17. Inoltre, pur in assenza anche in questo caso di esplicite indicazioni normative, è da ritenersi che le rate oggetto di una eventuale sospensione “legale” debbano riguardare anche i mutui ipotecari, eventualmente conclusi in applicazione della disciplina speciale sul credito fondiario e di cui agli artt. 38 e seguenti del T.u.b. 18; di certo, non agevola la corretta comprensione il generico riferimento alle garanzie di cui all’art. 2, co. 476 e 477 della legge finanziaria per il 2008 ma, attesa la finalità ultima di favorire l’acquisto di unità immobiliari, non pare possano esserci dubbi in proposito, pur non potendosi escludere anche l’esistenza di ulteriori garanzie integrative di tipo reale o personale. Per quel che riguarda, invece, il profilo soggettivo, l’unico soggetto legittimato ad esercitare la facoltà di poter sospendere il pagamento delle rate del contratto di mutuo potrà essere il debitore mutuatario, il quale sia in grado di dimostrare di non essere nelle condizioni di provvedere al pagamento delle rate del mutuo, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2, co. 479 della legge finanziaria per il 2008 e, per naturale estensione, l’eventuale accollatario del mutuo stesso. Infatti, l’immobile acquistato deve essere adibito ad abitazione principale del medesimo, non essendo contemplate altre categorie di possibili interessati.

17 Occorre evidenziare come, anche nei provvedimenti successivi, sono stati utilizzati indifferentemente i riferimenti alla “prima casa” (rubrica dell’art. 3 del d.l. n. 93 del 2008 successivamente convertito nella l. n. 126 del 2008) e “all’abitazione principale” (co. 1 del citato art. 3 d.l. n. 93 del 2008; art. 2 del d.l. n. 185 del 2008 convertito con modificazioni dalla l. n. 2 del 2009; Circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 17852 del 29 dicembre 2009). In dottrina vedasi, Cervini, Proroga ex lege e natura dei contratti bancari di mutuo. Effetti della c.d. «sospensione del pagamento delle rate» (l. 24.12.2007, n. 244) e della rinegoziazione dei mutui (l. 27.5.2008, n. 93), in Nuova giur. civ. comm., 2009, II, p. 351 ss. 18 Peraltro, anche per quanto concerne il settore del credito fondiario, la possibilità che le parti potessero accordarsi per rivedere i termini della durata dell’ammortamento era già implicitamente prevista. Infatti, in occasione delle integrazioni dell’art. 38 t.u.b., disposte con il d.lgs. recante la disciplina a tutela dei diritti degli acquirenti degli immobili da costruire (art. 7 del d.lgs., 20 giugno 2006 n. 122) venne previsto il diritto alla suddivisione del finanziamento in quote e al relativo frazionamento dell’ipoteca iscritta a garanzia, presupponendo la stessa durata originariamente fissata e fatta salva, però, la possibilità di un diverso accordo, che il responsabile dell’ufficio del territorio è tenuto ad annotare a margine dell’iscrizione ipotecaria secondo quanto previsto dall’art. 39, co. 6 – quater del t.u.b.

754


Salvatore Rizzo

La richiesta di accesso al Fondo di solidarietà dovrà essere presentata per il tramite dell’intermediario mutuante ma non risulta chiaro se l’accertamento circa la ricorrenza dei prescritti requisiti – l’individuazione dei quali è demandata al regolamento di attuazione la cui definizione è rimessa al Ministero dell’Economia e delle Finanze d’intesa con il Ministero della Solidarietà sociale 19 – sia di competenza del Ministero dell’Economia e delle Finanze (soluzione che risulterebbe la più coerente) o se invece spetta all’intermediario stesso che istruisce la relativa pratica. Il riferimento esplicito all’abitazione principale o, comunque, alla residenza, porta ad escludere che possano accedere al beneficio della sospensione del pagamento delle rate soggetti diversi dalle persone fisiche, in analogia con quanto già previsto in tema di divieto dei compensi di anticipata estinzione dei mutui previsti dal c.d. decreto Bersani (art. 7, d.l. n. 7 del 2007). Pare di poter affermare, altresì, che il soggetto interessato possa avvantaggiarsi della sospensione a prescindere dello scopo del mutuo originario e conseguentemente dalla dichiarazione resa al momento della stipula dell’atto. Ciò risulta evidente per i prestiti in corso di ammortamento dato che, altrimenti, risulterebbero esclusi dall’applicazione immediata delle disposizioni in commento, con l’effetto ultimo di realizzare un sostanziale svuotamento della portata della disciplina che, oltre tutto, non si giustificherebbe sulla base degli ordinari canoni ermeneutici, informati alla omogeneità di trattamento di fattispecie identiche tra di loro. Inoltre, affinché sia assicurata l’effettività della sospensione, non potrà esigersi necessariamente che lo scopo del mutuo risulti in occasione di stipulazioni, poiché in tutte le ipotesi di finanziamenti finalizzati alla realizzazione di complessi abitativi, è immaginabile che il soggetto mutuatario – ovvero l’impresa costruttrice dell’immobile – non si troverà nella condizione di poter dichiarare la destinazione che gli acquirenti delle singole unità riserveranno agli immobili compravenduti, con contestuale accollo da parte loro delle quote del mutuo originariamente stipulato 20. Risulta evidente, pertanto, come sia opportuno separare il momento genetico del contratto di mutuo da quello successivo dell’eventuale esercizio della facoltà di sospensione dei termini per il pagamento delle rate; soltanto a quest’ultimo momento, infatti, si dovrà avere riguardo per verificare la ricorrenza o meno dei requisiti necessari per poter esercitare la predetta facoltà.

19 20

Tale regolamento ad oggi non risulta essere stato ancora emanato. Cfr., Cervini, Proroga, cit., p. 356.

755


Fatti e problemi della pratica

5. Segue. La disciplina delle garanzie dei mutui. Una volta che la richiesta di sospensione del pagamento delle rate sia stata accolta, l’effetto sospensivo si estenderà anche alle garanzie personali e/o reali che eventualmente assistono il contratto mutuo. Occorre, tuttavia, distinguere; infatti, nel caso in cui fossero state prestate delle garanzie personali, poiché la disciplina in esame ha rimesso alla discrezionalità del debitore mutuatario il differimento della scadenza dell’obbligazione garantita, non occorrerà la prestazione del consenso del fideiussore, altrimenti necessario ai sensi dell’art. 1957 c.c. Considerazioni analoghe possono essere formulate anche nell’ipotesi in cui sia stata prestata da parte di un soggetto terzo una garanzia ipotecaria. In questa ipotesi – peraltro remota, dato che è verosimile supporre che la garanzia ipotecaria sia prestata dallo stesso debitore mutuatario – la proroga della durata dell’obbligazione non necessiterebbe, comunque, dell’assenso del terzo datore di ipoteca, dato che l’ipoteca è destinata ad estinguersi con l’estinzione dell’obbligazione, salvo che non sia stato pattuito un diverso termine o una condizione risolutiva secondo quanto previsto dall’art. 2878, nn. 3 e 6 c.c.

6. La sospensione dei finanziamenti nel “decreto Abruzzo” e negli interventi dell’Associazione Bancaria Italiana. Come già detto, provvedimenti legislativi aventi come obiettivo la sospensione dei finanziamenti sono stati più volte adottati dal legislatore in occasione di eventi calamitosi. Ciò si è verificato anche in occasione del sisma che ha colpito la Regione Abruzzo nell’aprile del 2009. Infatti, con l’articolo 4 dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3754 del 9 aprile 2009 è stata disposta la sospensione fino alla data del 31 maggio 2009 delle rate dei mutui in scadenza entro il predetto termine. Il successivo, art. 5, co. 3, del d.l. 28 aprile 2009 n. 39 (c.d. “decreto Abruzzo”) – convertito con modificazioni dalla l. 24 giugno 2009, n. 77 – ha stabilito la sospensione “(…) dei termini per gli adempimenti contrattuali dal 6 aprile 2009 al 31 luglio 2009”, prevedendo la ripresa del loro decorso a partire dalla fine del periodo di sospensione. In realtà, il riferimento esplicito alla fattispecie della sospensione del pagamento delle rate dei mutui è rinvenibile all’art. 6, lett. n) del citato Decreto Abruzzo ove, tuttavia, nessun termine risulta esplicitamente fissato. È, pertanto, al generico riferimento ai “termini per gli adempimenti contrattuali” di cui al precedente art. 5, co. 3, che ci si deve riferire per

756


Salvatore Rizzo

ricavare l’applicabilità della sospensione legale ad ogni adempimento in parola, ivi compreso quello riferito al pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti. A sua volta, la successiva Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, n. 3799 del 6 agosto 2009, all’art. 2, co. 2, ha provveduto a prorogare ulteriormente il termine di durata della sospensione legale per gli adempimenti contrattuali di cui al precedente art. 5, co. 3, sino alla data del 31 dicembre 2009. Nel frattempo, anche l’Associazione bancaria italiana è intervenuta sul tema, prima con il comunicato della Commissione regionale del 14 aprile del 2009 con il quale si invitavano le banche operanti nei territori interessati dal sisma a sospendere sino alla data del 31 dicembre 2009 i pagamenti rateali dei mutui e degli altri finanziamenti bancari, ivi compresi i finanziamenti rientranti nella categoria del credito al consumo; e, successivamente, con le ulteriori misure approvate dal Comitato esecutivo dell’A.B.I. (in data 30 dicembre 2009), con le quali è stata disposta la proroga fino al 30 giugno 2010 della sospensione del pagamento dei mutui e dei finanziamenti in essere al 6 aprile 2009 per la popolazione residente nei comuni colpiti dal sisma. Ci troviamo, pertanto, dinanzi ad una sorta di doppio binario dato che, accanto alla sospensione “legale” degli adempimenti contrattuali (tra i quali il pagamento delle rate del mutuo) il cui termine ultimo, salvo nuovi interventi del Governo, è oramai spirato, abbiamo, oggi, una sospensione “convenzionale” del pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti in genere che, è ipotizzabile, difficilmente sarà disattesa dalle banche del territorio 21. Rispetto a queste ulteriori fattispecie, dato anche l’assoluto silenzio delle disposizioni adottate circa le problematiche connesse all’operatività della sospensione, legale o convenzionale che sia, è da ritenere siano replicabili le considerazioni in precedenza svolte, sia con riguardo agli effetti che la sospensione del pagamento delle rate ha relativamente alla proroga della durata del contratto di mutuo e del relativo piano di ammortamento; sia per quanto concerne la relativa gestione degli interessi semplici che matureranno durante il periodo della sospensione.

21 La questione dell’adesione delle banche territoriali all’accordo dell’A.B.I., è stato, peraltro, oggetto di due interpellanze parlamentari a firma degli On.li Lannutti e Miscitelli, presentate, rispettivamente, in data 21 luglio 2009 e 16 settembre 2009.

757


Fatti e problemi della pratica

A tal proposito pare opportuno, prima di concludere, fare un cenno all’ultimo intervento avutosi in tema di sospensione del pagamento dei mutui, ovvero all’Accordo stipulato in data 18 dicembre 2009 tra l’Associazione bancaria italiana e le Associazioni dei consumatori, meglio conosciuto come il c.d. “Piano famiglie” 22. Anche in questo caso siamo innanzi ad una fattispecie di “sospensione convenzionale” – rispetto alla quale, oltre tutto, le banche sono libere o meno di aderire – ma che merita di essere segnalata, ai fini del presente lavoro, poiché costituisce l’unico atto che, in maniera esplicita, tratta il tema della gestione del rimborso delle rate del mutuo oggetto della sospensione. Più in dettaglio, il testo dell’accordo prevede che durante il periodo della sospensione (peraltro, di durata massima di 12 mesi e non frazionabile, a differenza di quanto previsto dall’art. 2, co. 475 e ss., della legge finanziaria per il 2008) continuano a maturare gli interessi contrattualmente pattuiti dalle parti, che potranno essere rimborsati dal debitore mutuatario secondo una delle seguenti modalità alternative: – sospensione della sola quota capitale. La corrispondente quota interessi viene rimborsata secondo le scadenze originarie; – sospensione del piano di ammortamento sia per quota capitale che per quota interessi e applicazione del tasso contrattuale al debito residuo. In tal caso, gli interessi maturati durante il periodo di sospensione vengono rimborsati (senza applicazione di ulteriori interessi), a partire dal pagamento della prima rata successiva alla ripresa del piano di ammortamento, con pagamenti periodici (aggiuntivi rispetto alle rate in scadenza e con pari periodicità), per una durata che sarà definita dalla banca mutuante sulla base degli elementi forniti dal debitore mutuatario; – ripresa del piano di ammortamento al termine del periodo di sospensione e corrispondente allungamento del piano di rimborso per una durata pari al periodo di sospensione.

Salvatore Rizzo

22

Sarebbe, peraltro, ipotizzabile che la possibilità di ricorrere alla sospensione del mutuo offerta dal predetto “Piano Famiglie” possa essere utilizzata anche da parte di coloro che hanno beneficiato, precedentemente, della sospensione legale di cui al citato decreto Abruzzo.

758


RASSEGNE

Sintesi di giurisprudenza (*)1 (III e IV trimestre 2009)

Indice delle materie: I. Banca: A) L’impresa bancaria: profili generali. – B) La crisi dell’impresa bancaria. – C) Titoli di credito bancari. – D) Le cassette di sicurezza. – E) Crediti Speciali.

I. BANCA Sommario: A) L’impresa bancaria: profili generali. – 1. Attività bancaria e finanziaria. – 1.1. Abusiva attività finanziaria e organizzazione. – 1.2. Abusiva attività finanziaria e pubblico. – 2. Vigilanza. – 2.1. Spazio valutativo nella segnalazione dei crediti in sofferenza alla Centrale dei rischi. – 2.2. Vigilanza sulle fondazioni bancarie. – B) La crisi dell’impresa bancaria. – 3. Liquidazione coatta amministrativa. Cessione di attività e passività e insinuazioni tardive. – C) Titoli di credito bancari. – 4. Pagamento con assegno circolare da parte di soggetto già fallito. – 5. Pagamento con assegno bancario. Cessione pro solvendo. – 6. Assegno bancario. Liberazione per pagamento eseguito in assenza di dolo o colpa grave. – 7. Pagamento di assegno bancario sbarrato. – 8. Pagamento di assegno bancario contraffatto. Responsabilità della banca

* Settantaduesima puntata (le precedenti sono pubblicate in Dir. banc., 1990, I, pp. 350 e 551; 1991, I, pp. 160, 459 e 597; 1992, I, pp. 111, 253, 397 e 581; 1993, I, pp. 112, 264, 471 e 594; 1994, I, pp. 125, 255, 383 e 506; 1995, I, pp. 157, 286, 443 e 601; 1996, I, pp. 109, 265, 403 e 554; 1997, I, pp. 129, 318, 478 e 645; 1998, I, pp. 91, 277 e 637; 1999, I, pp. 171, 290, 411 e 545; 2000, I, pp. 143, 331 516 e 671; 2001, I, pp. 89, 229 e 383; 2002, I, pp. 145, 327 e 629; 2003, I, pp. 141, 315 e 471; 2004, I, pp. 321, 447 e 657; 2005, I, pp. 109 e 301; 2006, I, pp. 169 e 533; 2007, I, pp. 163, 343 e 583; 2008, I, pp. 153; 363; 549 e 745; 2009, I, pp. 111; 333; 481; 667; 2010, I, pp. 147; 349). Questa sintesi intende offrire una prima informazione sulle sentenze relative alle materia di interesse della rivista, depositate o edite nel periodo di riferimento. Hanno collaborato: Alessandro Benocci (§§ 1 e 2); Cristina Campagna (§ 3); Dario Martorano (§§ 4-9); Filippo Parrella (§§ 10 e 11); Stefano Boatto (§§ 12 e 13).

759


Rassegne

girataria e della banca trattaria. – 9. Assegno bancario. Protesto. – D) Le cassette di sicurezza. – 10. Responsabilità della banca. – 11. Prova del danno. – E) Crediti speciali. – 12. Credito fondiario. – 12.1. Credito fondiario e fallimento. – 12.2. Credito fondiario ed esecuzione forzata individuale. – 13. Credito agrario e provvidenze previste dalla l. 30 gennaio 1991, n. 31.

A) L’impresa bancaria: profili generali 1. Attività bancaria e finanziaria. 1.1. Abusiva attività finanziaria e organizzazione. Cass., 17 settembre 2009, n. 46074 (in CED Cass. pen. 2009) si pronuncia in materia di abusiva attività finanziaria ai sensi dell’art. 132 t.u.b.. L’art. 132 afferma che è punito chiunque svolga «una o più delle attività finanziarie previste dall’art. 106, co. 1, senza essere iscritto nell’elenco previsto dal medesimo articolo». Il fatto tipico indicato dalla norma è quindi descritto dall’art. 106, co. 1, che, nella sua versione vigente (quella cioè originata dalle modifiche apportate a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 11/2010 di attuazione della direttiva 2007/64/CE, la c.d. Payment Services Directive o PSD), afferma che «l’esercizio nei confronti del pubblico delle attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma e di intermediazione in cambi è riservato a intermediari finanziari iscritti in un apposito elenco» in precedenza tenuto dall’Uic e adesso, a seguito della soppressione dell’Uic ad opera dell’art. 62 d.lgs. 231/2007, tenuto dall’ufficio informazione finanziaria della Banca d’Italia. Ai fini dell’iscrizione nell’elenco e della possibilità di esercitare le attività finanziarie, la norma richiede inoltre che gli intermediari finanziari assicurino la forma di società di capitali o di società cooperativa, un determinato oggetto sociale, un capitale sociale minimo e il possesso da parte dei partecipanti e degli esponenti aziendali di determinati requisiti. La norma richiede quindi che l’intermediario finanziario esprima un certo livello di organizzazione e di professionalità. La condotta punita dall’art. 132 è conseguentemente rappresentata dall’esercizio – abusivo, perché senza iscrizione nell’elenco – della stessa attività finanziaria descritta dall’art. 106. La condotta punita dall’art. 132 è quindi rappresentata da un esercizio abusivo delle attività finanziarie indicate dall’art. 106, che devono essere esercitate non solo nei confronti del pubblico, ma anche in forma professionale e organizzata. In assenza di un certo livello di organizzazione (così come in assenza di una destinazione al mercato) dell’attività finanziaria esercitata senza iscrizione, il fatto tipico del reato non può, in definitiva, considerarsi integrato.

760


Sintesi di giurisprudenza

Su questo aspetto, interviene la sentenza in rassegna. Il fatto sottostante vede una persona fisica destinataria di un’ordinanza di custodia cautelare del Tribunale di Catanzaro in ordine ai reati di associazione a delinquere di tipo mafioso e di abusiva attività finanziaria ex art. 132 t.u.b. Secondo il Tribunale di Catanzaro, la persona fisica concedeva finanziamenti a tassi usurari e faceva contemporaneamente parte di un associazione mafiosa. La circostanza che l’attività di concessione di finanziamenti fosse esercitata da chi faceva parte di un’associazione mafiosa faceva ritenere sussistente il requisito dell’organizzazione, necessario all’integrazione del fatto tipico di cui all’art. 132. La persona fisica ricorreva per cassazione per violazione di legge e il giudice di legittimità accoglieva il ricorso argomentando che il convincimento circa la sussistenza del requisito dell’organizzazione era fondato sulla apodittica considerazione che la partecipazione ad una associazione illecita integra di per sé l’elemento “organizzazione”. Secondo la Suprema Corte, l’assunto è errato, perché condurrebbe a ritenere che ogni usuraio che contemporaneamente sia affiliato a un sodalizio illecito debba essere chiamato a rispondere non solo dei reati di usura e di associazione a delinquere, ma anche e comunque del reato di abusiva attività finanziaria, a prescindere dalla presenza in concreto degli elementi costitutivi di quest’ultimo reato, rappresentati anche dall’organizzazione e dalla professionalità dell’impresa. 1.2. Abusiva attività finanziaria e pubblico. Anche Cass., 16 settembre 2009, n. 2404 (in CED Cass. pen. 2010) si occupa dell’art. 132 t.u.b. In quest’ultimo caso, deve essere messo in evidenza che, ai fini della punibilità, l’art. 132 pretende che il soggetto che esercita senza iscrizione le attività finanziarie previste dall’art. 106, co. 1, t.u.b. svolga tali attività «nei confronti del pubblico». Ne segue che l’esercizio abusivo delle attività finanziarie non nei confronti del pubblico non integra il reato di cui al combinato disposto degli artt. 106 e 132 t.u.b. Sul punto, interviene la sentenza in commento. Il Tribunale di Catanzaro aveva emesso un’ordinanza di custodia cautelare a carico di un soggetto in ordine al reato di cui all’art. 132 t.u.b. La persona fisica ricorreva in cassazione per violazione di legge e vizio di motivazione perché il fatto tipico richiesto dalla norma penale non risulterebbe integrato: l’attività finanziaria di concessione di finanziamenti esercitata senza iscrizione dall’imputato si sarebbe infatti sostanziata in una unitaria operazione di prestito di denaro a favore di un amico, con la conseguenza che l’attività non avrebbe potuto essere considerata come esercitata nei confronti del pubblico. La Suprema Corte ha accolto il ricorso precisando che la destinazione al mercato e l’esercizio nei confronti del pubblico delle attività finan-

761


Rassegne

ziarie non sussistono in caso di un solo prestito occasionale in favore di un amico, anche se la valutazione circa la sussistenza del requisito dell’esercizio nei confronti del pubblico non attiene ad una interpretazione quantitativa, ma qualitativa e quindi rivolta a verificare se l’attività sia destinata o meno ad un numero non determinato di persone. 2. Vigilanza. 2.1. Spazio valutativo della banca nella segnalazione di crediti in sofferenza alla Centrale dei rischi. Trib. Salerno, 25 novembre 2009 (in Redazione Giuffrè, 2010), aderisce alle posizioni più volte assunte dalla giurisprudenza di merito e di legittimità già commentate in precedenza in questa rassegna. Merita comunque rammentare ancora una volta che l’art. 51 t.u.b. impone alle banche di inviare alla Banca d’Italia le segnalazioni periodiche secondo le modalità e nei termini da essa stabiliti. La circolare della Banca d’Italia n. 139/1991 contiene le istruzioni per gli intermediari creditizi in materia di segnalazioni alla Centrale dei rischi. La circolare obbliga le banche ad effettuare in favore della Banca d’Italia una segnalazione mensile avente per oggetto le posizioni di rischio di ciascun cliente e, in sostanziale contropartita, impone alla Banca d’Italia di comunicare alle banche, per ogni nominativo ricevuto, la posizione globale di rischio nei confronti dell’intero sistema creditizio: le posizioni di rischio oggetto di segnalazione si identificano sostanzialmente con quei crediti vantati dalla banca verso il cliente che superino i cc.dd. limiti di censimento indicati dalle stesse istruzioni della Banca d’Italia: tra di essi, vanno sinteticamente annoverati i crediti di ammontare superiore alle soglie monetarie stabilite dalla Banca d’Italia e i cc.dd. «crediti in sofferenza». In materia di segnalazione alla Centrale dei rischi, si pone tradizionalmente il problema di stabilire non tanto cosa si intenda per crediti di ammontare superiore alle soglie monetarie, quanto cosa si intenda per «crediti in sofferenza». Le pronunce giurisprudenziali si occupano solitamente del problema da due angoli visuali contrapposti. Alcune stabiliscono quando un credito è oggetto di obbligatoria segnalazione e quindi si occupano di fissare “in positivo” il perimetro dello spazio valutativo della banca. Altre stabiliscono quando un credito è stato oggetto di illegittima segnalazione e quindi si occupano di stabilire “in negativo” i limiti di quello spazio di valutazione. La sentenza in rassegna è annoverabile tra quelle di quest’ultimo tipo e conferma che la segnalazione alla Centrale dei rischi non è oggetto di una facoltà, ma di un espresso obbligo giuridico, ma conferma anche che, se la segnalazione è effettuata in assenza dei previsti presupposti, diviene illegittima e costituisce

762


Sintesi di giurisprudenza

fonte di responsabilità civile verso il cliente irregolarmente segnalato. Nel caso di specie, una società cita una banca dinanzi al Tribunale di Salerno, in quanto la banca avrebbe segnalato il proprio credito verso la società alla Centrale dei rischi a seguito del recesso da parte della banca dal contratto di conto corrente in precedenza concluso tra la banca e la società a causa del superamento da parte della società di una soglia di esposizione debitoria contemplata dal contratto come giustificato motivo di recesso. Accertata la legittimità del recesso, la società attrice deduceva che il presupposto per la legittima segnalazione alla Centrale dei rischi non poteva comunque essere rappresentata da meri ritardi nei pagamenti, ma doveva essere rappresentata da una situazione complessiva che doveva mostrare uno stato di insolvenza del debitore assimilabile alla nozione fallimentare, che nel caso di specie, non ricorreva. Nel caso di specie, infatti, nonostante il momentaneo stato di difficoltà, la società provava la propria piena attività e il proprio maturo avviamento sul mercato che la rendevano immeritevole di essere segnalata alla Centrale dei rischi e, quindi, legittimata a chiedere condanna al risarcimento dei danni per illegittima segnalazione. Nel giudizio di primo grado in commento, il giudice di merito richiama il dato testuale delle istruzioni della Banca d’Italia in materia di segnalazione alla Centrale dei rischi e, con riferimento all’indicazione dei criteri di garanzia a tutela della clientela debitrice, afferma che l’appostazione a sofferenza di un credito implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione patrimoniale del cliente e dei suoi rapporti con tutto il circuito bancario, che non può scaturire automaticamente né da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito, né dall’inadempimento di una singola rata, ma deve essere determinata dal riscontro di una situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economico-finanziaria equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione d’insolvenza. 2.2. Vigilanza sulle fondazioni bancarie. T.A.R. Lazio, 4 dicembre 2009, n. 12532 (in Foro it., 2010, 4, 212) riporta il caso di una fondazione di origine bancaria che, avendo dismesso da tempo ogni partecipazione di controllo solitario o congiunto, diretto o indiretto, nella società conferitaria dell’azienda bancaria, comunicava al MEF il passaggio al regime tutorio delle persone giuridiche di cui al libro I del codice civile con conseguente passaggio della vigilanza sulla fondazione dal MEF all’autorità prefettizia. A seguito della contestazione della comunicazione da parte del MEF, la fondazione ricorre al giudice amministrativo per sostenere che la sottrazione della fondazione alla vigilanza del MEF e la

763


Rassegne

sua sottoposizione alla vigilanza dell’autorità prefettizia derivi dalla sopravvenuta cessazione di qualunque vincolo funzionale e strutturale tra la banca conferitaria e la fondazione conferente, ormai non più qualificabile come fondazione bancaria. Il giudice amministrativo ha accolto il ricorso della fondazione. È vero infatti che l’art. 10, d.lgs. 153/1999 afferma che la vigilanza su una fondazione bancaria spetta al MEF ed è vero che dice che tale vigilanza spetterà al MEF sia prima sia dopo l’eventuale entrata in vigore della attesa riforma delle persone giuridiche del libro I del codice civile; tuttavia, la norma afferma anche che la vigilanza ministeriale permarrà finché la fondazione non avrà dismesso le quote di controllo sulla società bancaria. Il giudice amministrativo illustra quindi come la norma, da un lato, affermi che il MEF è l’autorità preposta a vigilare sulle fondazioni bancarie (ora e poi) ma, dall’altro lato, affermi anche che per le fondazioni ex bancarie è prevedibile un altro regime di vigilanza non necessariamente da assegnarsi al MEF. Ebbene, con l’entrata in vigore del d.P.R. n. 361/2000, sono state introdotte al libro I del codice civile le attese modificazioni anche in tema di vigilanza sulle fondazioni ed è in particolare stato previsto che l’autorità governativa esercita il controllo sulla generalità delle fondazioni. È accoglibile quindi il ricorso della fondazione, in quanto è vero che la norma da ultima citata è lex posterior derogante la legge anteriore, ma è anche vero che l’art. 10, d.lgs. 153/1999 è lex specialis derogante la legge generale solo limitatamente alla fondazioni ancora bancarie. Le fondazioni di origine bancaria che bancarie non possono più dirsi a causa della sopravvenuta cessazione di ogni collegamento con la società bancaria conferitaria rientrano a pieno titolo tra le persone giuridiche di diritto privato senza fini di lucro che, in accordo con la norma generale successiva, sono da considerarsi sottoposte alla vigilanza dell’autorità prefettizia. B) La crisi dell’impresa bancaria 3. Liquidazione coatta amministrativa. Cessione di attività e passività e insinuazioni tardive. Cass., 6 agosto 2009, n. 18013 (in Il Caso.it, archivio settembre 2009), affronta la questione relativa alla sorte del credito insinuato tardivamente nello stato passivo della banca in l.c.a., in caso di cessione di attività e passività di quest’ultima ad altro istituto di credito. Nel caso sottoposto all’esame della Corte, un libero professionista aveva proposto opposizione allo stato passivo della procedura di liquidazione coatta amministrativa della banca Sicilcassa SpA, esponendo che il

764


Sintesi di giurisprudenza

proprio credito, derivante da prestazioni professionali documentate, era stato escluso dallo stato passivo formato dai commissari liquidatori. Il tribunale di Palermo, con sentenza del 16 febbraio 2001, aveva invece ammesso il credito allo stato passivo della procedura, ritenendo che sussistessero le condizioni per l’ammissione in via tardiva. Ciò nonostante, la Sicilcassa ha sostenuto di non dover rispondere del credito insinuato tardivamente, in quanto tutte le attività e le passività erano state nel frattempo cedute al Banco di Sicilia, obbligatosi a sua volta a soddisfare esclusivamente i debiti della Sicilcassa risultanti dal documento redatto dai commissari liquidatori. Proposto ricorso per Cassazione, la Corte dichiara lo stesso inammissibile, richiamando le disposizioni contenute nell’art. 89 del d.lgs. 385/93, affermando che a seguito dell’atto di cessione di attività e passività al Banco di Sicilia, quest’ultimo è chiamato a rispondere soltanto dei debiti della banca posta in liquidazione coatta amministrativa accertati in sede di verifica dello stato passivo, con esclusione delle insinuazioni tardive e rilevando, altresì, che il ricorso per cassazione era stato proposto oltre il termine ridotto di trenta giorni dalla notifica della sentenza di appello, previsto dall’art. 88, co. 2 del d.lgs. n. 385/93. C) Titoli di credito bancari 4. Pagamento con assegno circolare da parte di soggetto già fallito. Con sentenza n. 17310 del 23 luglio 2009 (in Rep. Foro it., 2009, voce Fallimento [2880], n. 321) la Suprema Corte ha affermato che in caso di emissione di assegno circolare su richiesta di persona già dichiarata fallita, l’inefficacia di tale atto, al pari di quella degli atti che determinano la successiva circolazione del titolo di credito – se compiuti in pagamento di un credito o di un debito del fallito – può essere dichiarata, ai sensi dell’art. 44 l.fall., nei confronti di tutti i creditori solo a seguito di azione promossa dal curatore fallimentare. Si tratta infatti di inefficacia relativa sicché, in difetto di detta azione del curatore, la banca non può sottrarsi al pagamento dell’assegno circolare invocando l’inopponibilità alla procedura concorsuale dei trasferimenti per girata del titolo. Essa infatti, quando emette un assegno circolare, adempie ad un’obbligazione di provvista nei confronti del richiedente e contestualmente assume, ex art. 82 e 83 r.d. n. 1736 del 1933, un’obbligazione cambiaria nei confronti di chiunque risulterà legittimo portatore del titolo, dato che, e sempre che ricorrano le citate condizioni, solo il primo atto è inefficace.

765


Rassegne

5. Pagamento con assegno bancario. Cessione pro solvendo. La Corte di Cassazione ha chiarito (sentenza n. 17749 del 30 luglio 2009, in Rep. Foro It., 2009, voce Titoli di credito [6710], n. 31) che in caso di pagamento effettuato mediante assegni di conto corrente, l’effetto liberatorio si verifica con la riscossione della somma portata dal titolo, in quanto la consegna del titolo deve considerarsi effettuata, salva diversa volontà delle parti, pro solvendo. Tuttavia, ai fini della prova del pagamento quale fatto estintivo dell’obbligazione, è sufficiente che il debitore dimostri l’avvenuta emissione e la consegna del titolo, incombendo invece al creditore la prova del mancato incasso, la quale, pur costituendo una prova negativa, non si risolve in una probatio diabolica, in quanto, avuto riguardo alla legge di circolazione del titolo, il possesso dello stesso da parte del creditore che lo ha ricevuto implica il mancato pagamento. 6. Assegno bancario. Liberazione per pagamento eseguito in assenza di dolo o colpa grave. Nel periodo in rassegna si segnala la pronuncia del Tribunale di Roma (sezione VIII, sentenza 22 ottobre 2009, inedita) secondo la quale al pagamento dell’assegno non trasferibile è applicabile il principio dettato dall’art. 1992, co. 2 c.c. che rende liberatorio il pagamento eseguito, senza dolo o colpa grave, in favore di colui che in seguito a diligente identificazione è parso legittimo portatore. 7. Pagamento di assegno bancario sbarrato. Secondo la Corte d’Appello di Roma (sezione II, sentenza 15 ottobre 2009, inedita) l’art. 41 del r.d. 21 dicembre del 1933, n. 1736 imponendo alla banca trattaria di pagare l’assegno sbarrato (o ad altro banchiere) o ad un «cliente del trattario» medesimo, intende riferirsi alla persona già a lui nota in virtù di pregressi e reiterati rapporti di affari, tipici del servizio bancario, atteso che la ragion d’essere della clausola di sbarramento riposa proprio in una richiesta di maggiore cautela nell’incasso, che può considerarsi soddisfatta in presenta di un rapporto personale tra banca e cliente. Di conseguenza deve ritenersi insufficiente la pura e semplice apertura di un conto di deposito a risparmio lo stesso giorno del versamento del titolo. 8. Pagamento di assegno bancario contraffatto. Responsabilità della banca girataria e della banca trattaria. Secondo la Corte d’Appello di Napoli (sezione IV, sentenza 13 novembre 2009, inedita) il grado di diligenza da valutare ai fini della colpa professionale per responsabilità della banca per il pagamento di assegno contraffatto, è quello di cui all’art. 1176, co. 2 c.c. secondo cui la diligenza deve essere valutata con

766


Sintesi di giurisprudenza

riguardo alla natura dell’attività esercitata, venendo in rilievo anche la colpa lieve. Ne consegue che il funzionario della banca (che, quale operatore professionale addetto quotidianamente al pagamento degli assegni, ha una peculiare idoneità ad individuare le possibili contraffazioni del titolo) non deve limitarsi alla mera verifica della identità personale del girante, ma deve controllare anche la regolarità del procedimento di trasferimento del titolo mediante l’opportuno ed attento esame dello strumento cartaceo. Tale controllo rientra infatti nell’ambito del doveroso accertamento della legittimazione cartolare del girante, che costituisce fonte della facoltà di negoziazione del titolo e, per effetto della quale, essa banca diviene mandataria dell’autore della girata. Ciò detto, la banca girataria risponde verso il traente di responsabilità extracontrattuale se non ha adottato la diligenza qualificata ad essa richiesta in merito all’incasso di un titolo, mentre sussiste la responsabilità contrattuale della banca trattaria verso il proprio cliente se, a sua volta, è stata negligente nel controllo, in stanza di compensazione, della regolarità del titolo, in quanto se avesse adottato la dovuta diligenza, avrebbe potuto accertare l’irregolarità dell’assegno ed evitare il definitivo accreditamento a favore dell’abusivo presentatore. (Nel caso di specie, si è riconosciuta una responsabilità tanto della banca girataria che di quella trattaria, atteso che, in base agli atti processuali, è emerso come l’assegno in esame presentava alterazioni facilmente individuabili, quali la presenza di un inchiostro più scuro e più calcato rispetto a quello usato dal traente, o modifiche morfologiche e cromatiche della compilazione del titolo le quali costituiscono elementi indiziari gravi e significativi e che, in quanto tali, non sarebbero dovuti passare inosservati a dei funzionari bancari diligenti). 9. Assegno bancario. Protesto. Nel periodo in rassegna si segnala la pronuncia della Corte di Cassazione n. 17994 del 6 agosto 2009 (in Rep. Foro It., 2009, voce Titoli di credito [6710], n. 36) secondo cui il dies a quo per l’elevazione del protesto di un assegno bancario va calcolato con decorrenza dal giorno indicato nell’assegno quale data di emissione, ai sensi dell’art. 32 r.d. n. 1736 del 1933, non rilevando il fatto che l’art. 31 detto decreto preveda l’esigibilità dell’assegno dal giorno della presentazione all’incasso, anche se precedente a quella indicata nell’assegno. Secondo la Corte, tale interpretazione risponde a esigenze di certezza dei rapporti giuridici, atteso che frequentemente l’istituto bancario pagatore e, conseguentemente, il notaio che leva il protesto non conoscono il momento della presentazione all’incasso dell’assegno, anteriore o posteriore alla data del titolo.

767


Rassegne

D) Le cassette di sicurezza 10. Responsabilità della banca. a) Trib. Milano, 18 giugno 2009 (in Banche dati Utet giur.), ha ribadito che la clausola limitativa del valore delle cose immissibili nella cassetta di sicurezza costituisce, nell’economia del contratto, una clausola che limita la responsabilità della banca e che è perciò nulla, ai sensi dell’art. 1229 c.c., nell’ipotesi, ricorrente nel caso di specie, in cui il danno derivi da colpa grave della banca stessa. In altra controversia Cass., 30 settembre 2009, n. 20948 (in Contr., 2010, 48) è partita dal medesimo presupposto – sancito dal giudice a quo e non contestato dalla banca – per affermare che: a) la nullità rimane confinata alla suddetta clausola, giacché la propagazione della sanzione all’intero contratto ha carattere eccezionale e richiederebbe la prova, non fornita dalla banca, che il contratto, privato della clausola viziata, avrebbe perso per essa ogni utilità; b) la clausola in questione, non delimitando l’oggetto del contratto, non potrebbe neppure influire sull’ammontare del danno prevedibile, cui dover in ipotesi rapportare l’obbligazione risarcitoria ai sensi dell’art. 1225 c.c. (cfr. già, in senso analogo, Cass., 29 luglio 2004, n. 14462, segnalata nella cinquantasettesima puntata della presente Rassegna). Con la medesima decisione la Corte Suprema ha, poi, confermato anche la decisione con cui il giudice di merito aveva escluso la risarcibilità del danno morale dedotto dall’utente della cassetta, rilevando, da un lato, che il c.d. pretium doloris non può mai considerarsi in re ipsa, ma deve sempre essere specificamente allegato e provato a fini risarcitori, e, dall’altro lato, che l’asserita speciale affezione dell’utente ai beni trafugati (gioielli) era risultata esclusa, nella specie, dalla circostanza che prima del furto questi ne aveva disposto la perizia in vista di una eventuale vendita. b) Con riferimento al furto di cassette di sicurezza Cass., 4 novembre 2009, n. 23412 (in Giust. civ., 2010, I, 41), dopo avere affermato che tale evento non integra caso fortuito in quanto è prevedibile rispetto alla prestazione di custodia cui si impegna la banca, ha anche ritenuto non censurabile la decisione con cui il giudice a quo ha ritenuto non assolto dalla banca l’onere di provare, per liberarsi dalla responsabilità, che tale prestazione fosse divenuta impossibile per causa ad essa non imputabile (giusta il paradigma dell’art. 1218 c.c.), essendo anzi state riscontrate gravi carenze del sistema antifurto, da valutare con riferimento non soltanto al locale in cui sono riposte le cassette, ma anche a tutto il complesso bancario attraverso il quale è possibile accedere alle medesime.

768


Sintesi di giurisprudenza

11. Prova del danno. a) Cass., 30 settembre 2009, n. 20948, cit., ha ritenuto non censurabile il deferimento del giuramento suppletorio disposto nei gradi di merito del giudizio al fine di stabilire il valore dei beni sottratti, non altrimenti determinabile, in presenza di elementi che consentivano già di ritenere accertata la circostanza del furto degli stessi. b) Cass., 4 novembre 2009, n. 23412, cit., ha ritenuto non censurabile la scelta del giudice del merito di deferire il giuramento suppletorio al fine di accertare il contenuto dei beni sottratti, stante la sussistenza di una semiplena probatio integrata dalla produzione nell’immediatezza dei fatti di una denuncia dettagliata di tali beni, dall’essere l’utente un primario cliente della banca, dall’avere il figlio testimoniato di averlo accompagnato in banca dopo una perizia, ancorché non sia entrato con lui nel caveau, e dalla testimonianza di un perito che aveva valutato i preziosi a fini di divisione ereditaria. E) Crediti speciali 12. Credito fondiario 12.1. Credito fondiario e fallimento. Con sentenza resa in data 25 agosto 2009, pubblicata sul sito www.unijuris.it, il Tribunale di Gorizia si pronuncia, con riferimento al quadro giuridico costituito dalla legge fallimentare precedente la riforma del 2005-2007, sull’opposizione allo stato passivo in cui il G.D. qualificava un credito derivante da operazione di credito fondiario come chirografario. Ciò in quanto il G.D. aveva accolto l’eccezione formulata dalla curatela in base all’art. 97 l.fall. avente a oggetto «la revoca della garanzia dell’ipoteca ai sensi dell’art. 67 l.fall. n. 3 e/o 4». Nel caso di specie, la banca aveva perfezionato con un soggetto, in seguito dichiarato fallito in estensione, un’operazione di credito fondiario in cui l’ipoteca fondiaria veniva costituita su di un bene già gravato da ipoteca di primo grado. La disponibilità erogata era stata in seguito impiegata dal sovvenuto per estinguere due finanziamenti già erogati dalla medesima banca finanziatrice. Il collegio, constatato il rispetto di tutti i requisiti di legge previsti con riguardo alle operazioni di credito fondiario (e, in particolare, la durata e i limiti di finanziabilità nel caso di garanzia fondiaria costituita su di un bene già gravato da ipoteca), obietta l’assenza nel provvedimento di ammissione del G.D. di ogni riferimento normativo idoneo a rendere inopponibile al fallimento il finanziamento fondiario.

769


Rassegne

Secondo il collegio, infatti, l’esclusione del beneficio della esenzione dall’azione revocatoria, affermata dal provvedimento di ammissione del credito, non risultava in alcun modo suffragata da idonee disposizioni legislative. Precisa il collegio che l’eccezione della curatela non fa riferimento all’art. 67, co. 1, n. 2, l.fall., disposto che ben avrebbe potuto essere all’uopo impiegato attesa la destinazione delle somme erogate all’estinzione di passività pregresse, ipotesi, sempre secondo il collegio, da ricondursi, quale negozio indiretto, alla fattispecie dei cc.dd. pagamenti di debiti scaduti ed esigibili non effettuati con denaro o altri mezzi normali di pagamento. Né, prosegue il collegio, vi è alcun riferimento alla nullità del contratto di finanziamento, in ipotesi da ritenersi privo dell’elemento della volontà, in quanto simulato. Sicché, prosegue il collegio, il fatto che, come nel caso in esame, il credito sia stato ammesso allo stato passivo esclude che l’operazione risulti contestata sia nella sua correttezza e complessità (negozio indiretto) sia sotto il profilo della volontà delle parti (simulazione). Da ciò consegue che «se si sia ritenuta la sussistenza del credito (perciò ammesso al passivo del fallimento) sul fondamento del contratto di mutuo (effettivamente voluto, valido, opponibile al fallimento) costitutivo della prelazione ipotecaria, con ciò stesso si riconosce che la garanzia attiene al debito contestualmente creato e il disposto dell’ultimo comma dell’art. 67 l.fall. si oppone alla revoca del’ipoteca che del contratto di mutuo fondiario costituisce elemento essenziale. Con la conseguenza che, ammesso al passivo del fallimento il credito da mutuo fondiario, doveva necessariamente riconoscersi la prelazione ipotecaria costituita contestualmente alla erogazione del credito». Sulla base di tali premesse, il collegio accoglie il ricorso della banca opponente disponendo che il credito sia ammesso come privilegiato in quanto assistito da garanzia ipotecaria. Il provvedimento, nel complesso condivisibile quanto alla soluzione adottata, rimane criticabile quanto alle argomentazioni offerte. Esso infatti si adegua, piuttosto acriticamente, a quei noti orientamenti che pretendono di sanzionare l’operazione in esame o come inefficace ai sensi dell’art. 67, co. 1, n. 2 l.fall., ravvisando l’anomalia nella stessa struttura dell’operazione qualificata appunto come negozio indiretto (cfr., da ultimo, e per la giurisprudenza di legittimità, Cass. 20 marzo 2003, n. 4069, in Il fallimento, 2004, 635 con osservazioni di Bruschetta; Cass. 18 gennaio 2006, n. 887, in Giust. civ., Mass., 2006, 2; Cass. 6 novembre 2006, n. 23669, in Il fallimento, 2007, 651; Cass. 1 ottobre 2007 n. 20622, in Giust. civ., 2008, I, 124; per la più recente giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Terni, 17 febbraio 2008, Corr. merito, 2008, 1135, con nota di Vella;

770


Sintesi di giurisprudenza

Trib. Bari, 18 febbraio 2008, in Il fallimento, 2008, 611) o come nullo in quanto simulato (Cass. 24 ottobre 1967, n. 2621, in Banca, borsa, tit. cred., 1968, II, 55 con nota di De Marchi, Simulazione nel contratto fondiario?; Cass. 22 marzo 1994, n. 2742, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, 618 con nota di Presti; App. Brescia, 21 aprile 2004, in www.ilcaso. it; Cass., 29 settembre 1997, n. 9520, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, II, 630, con nota di Tardivo; Cass., 22 marzo 1994, n. 2742, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, 618). Ed infatti, il collegio lascia ampiamente intendere che ove l’eccezione della curatela avesse segnalato uno dei vizi appena illustrati, il ricorso della banca sarebbe stato respinto. Ma da tempo, invero, la dottrina più avveduta (cfr., da ultimo, Bonfatti, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino, 2009, Vol. I, 672 e ss.) ha messo in evidenza l’assenza di basi giuridiche idonee a giustificare l’una e l’altra delle tesi prospettate. Ed invero, la stessa giurisprudenza, nel preferire la tesi del negozio indiretto, ha finito per abbandonare, se non criticare apertamente, la tesi del negozio simulato. 12.2. Credito fondiario ed esecuzione forzata individuale. Con la sentenza 4 settembre 2009, n. 19217, in Dir. fall., 2010, II, 286, con nota di Penta, I rapporti tra esecuzione concorsuale ed esecuzione individuale. Il credito fondiario, la Cassazione ribadisce il principio di diritto in forza del quale, anche nel vigore della legislazione in materia di credito fondiario precedente l’entrata in vigore del t.u.b., e coincidente, nella fattispecie, con r.d. 16 luglio 1905, n. 646, artt. 42-55, con d.p.r. 21 gennaio 1976, n. 7, art. 14 e l. 6 giugno 1991, art. 17, «l’istituto di credito fondiario, al fine di trattenere in via definitiva quanto ricavato dall’esecuzione individuale a copertura del proprio credito, è tenuto ad insinuarsi al passivo del fallimento del debitore, così partecipando alla esecuzione concorsuale». Per il S.C., infatti, le disposizioni in materia di esecuzione forzata del credito fondiario hanno a riguardo la sola fase di liquidazione dei beni e non anche quella dell’accertamento del passivo. Nessuna di tali norme, in definitiva, è idonea a derogare al principio della esclusività della verifica fallimentare di cui all’art. 52 l.fall. Si tratta di principio che il S.C. ha avuto modo di confermare in più circostanze ormai anche con riferimento alla disciplina di cui al t.u.b.: cfr., da ultimo, Cass. 28 maggio 2008, n. 13996, in Il fallimento, 2008, 1270. 13. Credito agrario e provvidenze previste dalla l. 30 gennaio 1991, n. 31. La Corte di Cassazione, con sentenza 11 settembre 2009, Arch. Juris data e in Red. Giust. civ. Mass. 2009, 9, ha stabilito che in tema di

771


Rassegne

credito agrario, con riguardo alle provvidenze di cui all’art. 4 d.l. 6 dicembre 1990 n. 367 convertito in l. 30 gennaio 1991 n. 31, deve distinguersi il diritto alla provvidenza pubblica, il quale sorge, nei confronti del soggetto pubblico, in base alla legge, ed i cui presupposti sono accertati dal soggetto pubblico stesso, dal diritto al credito agrario, il quale, invece, sorge esclusivamente dal negozio di diritto privato concluso nell’ambito di un rapporto paritario tra l’imprenditore agricolo e la banca. In questo senso, prosegue il S.C., non è configurabile, in capo all’imprenditore agricolo richiedente, un diritto potestativo al finanziamento nei confronti dell’istituto di credito, la cui posizione resta, per converso, negozialmente autonoma all’atto di determinarsi o meno alla concessione del finanziamento, non avendo su di essa incidenza alcuna la prevista garanzia del fondo interbancario.

772


autori

Sandro Amorosino, prof. ord. di Diritto pubblico dell’economia nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Franco Belli, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Siena (Economia) Alessandro Benocci, dottore di ricerca (Università di Siena) Giuseppe Boccuzzi, direttore principale Vigilanza Creditizia e Finanziaria Banca d’Italia Marco Bodellini, dottorando di ricerca (Università di Bologna) Claudio Boido, prof. ass. di Economia degli intermediari finanziari nell’Università di Siena (Economia) Sido Bonfatti, prof. ord. di Diritto bancario nell’Università di Modena (Giurisprudenza) Marina Brogi, prof. ord. di Economia degli intermediari finanziari nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Antonella Brozzetti , ricercatrice nell’Università di Siena (Economia) Mario Bussoletti, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Roma Tre (Giurisprudenza) Lucia Calvosa, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Pisa (Economia) Giuseppe Carriero, resp. Direzione Coordinamento giuridico ISVAP Ciro Corvese, prof. ass. di Diritto commerciale nell’Università di Siena (Economia) Giovanni Falcone, dottore di ricerca, funzionario della Banca Popolare di Lanciano e Sulmona Sabino Fortunato, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Roma Tre (Giurisprudenza) Pietro Giovannini, prof. ord. di Economia degli intermediari finanziari nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Roberto Marcelli, dottore commercialista in Roma Matteo Mattei Gentili, prof. ord. di Economia degli intermediari finanziari nell’Università di Pavia (Economia)


Francesco Mazzini, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università di Siena (Economia) Andrea Minto, dottorando di ricerca (Università Ca’ Foscari) Alessandro Nigro, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Marco Palmieri, dottorando di ricerca (Università di Bologna) Paolo Panarelli, direttore generale CONSAP s.p.a. Antonio Piras, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Pisa (Giurisprudenza) Marco Pistritto, resp. ufficio legale Federazione Veneta BCC Mario Porzio, prof. emerito di Diritto commerciale nell’Università di Napoli Federico II Gaetano Presti, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università Cattolica di Milano (Giurisprudenza) Salvatore Rizzo, funzionario Banca Interprovinciale s.p.a. Gennaro Rotondo, ricercatore nell’Università di Napoli Federico II (Economia) Felice Santonastaso, già prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Vittorio Santoro, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Siena (Giurisprudenza) Vittorio Scalcione, funzionario di Borsa Italiana s.p.a. Alberto Urbani, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università Ca’ Foscari di Venezia (Economia) Francesco Vella, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Bologna (Giurisprudenza)


Indici dell’annata PARTE PRIMA SAGGI Amorosino Sandro, L’incidenza delle regolazioni internazionali ed europee sui rapporti civilistici nei mercati finanziari Benocci Alessandro, Rapporto banca-industria e tramonto della separatezza Boccuzzi Giuseppe, I Confidi nel sistema finanziario italiano Bodellini Marco, I profili transfrontalieri dell’offerta di parti di organismi di investimento collettivo in Italia e a San Marino Bonfatti Sido, Il sostegno finanziario dell’impresa nelle procedure di composizione negoziale delle crisi Brozzetti Antonella, La disciplina della crisi del gruppo bancario tra vincoli di partenza ed evoluzione del contesto normativo Brozzetti Antonella, Una breve riflessione sul riparto di competenze tra Banca d’Italia e Consob in materia di vigilanza consolidata dopo il recepimento della Mifid Bussoletti Mario, Limiti soggettivi all’acquisto di assets fallimentari Corvese Ciro, I rapporti partecipativi fra banche e assicurazioni alla luce delle più recenti novità normative Falcone Giovanni, Pratiche commerciali scorrette e trasparenza bancaria Fortunato Sabino, Aiuti di Stato e mercato creditizio fra orientamenti comunitari e interventi nazionali Panarelli Paolo, CONSAP s.p.a.: Gestione dei Fondi di Garanzia e solidarietà Porzio Mario, La commissione di massimo scoperto e le mutazioni della legislazione bancaria Santonastaso Felice, Investimenti di “fondi sovrani” e tutela degli “interessi nazionali”. Spunti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di “interesse generale” e di limiti alla libertà di movimento dei capitali e di stabilimento: a volte “non è tutto oro quello che luccica” Scalcione Raffaele, La proposta di riforma della disciplina dei derivati OTC negli USA Urbani Alberto, Le mobili frontiere della disciplina antiriciclaggio

pag. 181 » 291 » 255 » 661 » 603 » 195

» 451 » 11 » 417 » 635 » 379 » 461 » 595

»

27

» 63 » 243

775


Indici dell’annata

COMMENTI Mazzini Francesco, Emissioni obbligazionarie delle società del gruppo Cirio e responsabilità concorrente delle banche lead manager del collocamento Nigro Alessandro, Ancora sulla cancellazione ed estinzione delle società: verso l’epilogo della “storia infinita”? Marcelli Roberto, Le commissioni di massimo scoperto e le soglie d’usura. La Cassazione penale ridimensiona la Banca d’Italia Pistritto Marco, La responsabilità dei soggetti coinvolti nella segnalazione delle operazioni sospette di riciclaggio di denaro “sporco”

pag. 487 » 340 » 709 » 104

FATTI E PROBLEMI DELLA PRATICA La disciplina delle sospensioni legali dei finanziamenti nei recenti interventi del legislatore a livello nazionale ed a livello regionale, di Salvatore Rizzo

» 741

DIBATTITI Crisi finanziaria: quali regole per la banca? – Incontro di studio del 19 marzo 2010, con interventi di Franco Belli, Claudio Boido, Marina Brogi, Lucia Calvosa, Giuseppe Carriero, Pietro Giovannini, Matteo Mattei Gentili, Alessandro Nigro, Antonio Piras, Gaetano Presti, Vittorio Santoro

» 501

rassegne Sintesi di giurisprudenza (I trimestre 2009) Sintesi di giurisprudenza (II trimestre 2009) Sintesi di giurisprudenza (III e IV trimestre 2009)

» 147 » 349 » 759

INDICE ANALITICO DELLE DECISIONI Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi – Indirizzo di cessione – Liquidazione dei beni – Vendita di complesso produttivo – Violazione delle disposizioni in tema di modalità di vendita – Nullità dell’atto di vendita – Illegittimità dei provvedimenti amministrativi prodromici – Disapplicazione – Fattispecie

776

» 119


Indici dell’annata

Amministrazione straordinaria di imprese in crisi Amministrazione straordinaria di imprese in crisi – Prosecuzione dell’attività in presenza di stato di insolvenza – Emissione di prestiti obbligazionari – Aggravamento del dissesto – Danno al patrimonio della società – Responsabilità degli organi sociali – Responsabilità concorrente delle banche lead manager nel collocamento dei prestiti – Azione di risarcimento – Legittimazione del commissario straordinario – Sussistenza – Fattispecie

pag. 483

Contratti bancari Contratti bancari – Conto corrente bancario – Interessi – Interessi usurari – Tasso effettivo globale – Determinazione – Commissione di massimo scoperto – Inclusione

» 699

Riciclaggio Riciclaggio – Segnalazione di operazioni sospette – Responsabile della dipendenza dell’intermediario – Valutazione – Ambito

»

Società Società – Liquidazione – Cancellazione dal registro delle imprese – Estinzione della società – Art. 2495 c.c. – Norma interpretativa – Esclusione – Norma innovativa Società – Liquidazione – Cancellazione dal registro delle imprese – Estinzione della società – Art. 2495 c.c. – Società di persone – Applicabilità

99

» 325 » 325

INDICE CRONOLOGICO DELLE DECISONI 2009 Cass., S.S.U.U., 27 maggio 2009, n. 12247 Cass., 30 ottobre 2009, n. 23017 Trib. Roma, 3 novembre 2009 2010 Cass., S.S.U.U., 22 febbraio 2010, n. 4062 Cass. pen., 26 marzo 2010, n. 12028

» 119 » 99 » 483 » 325 » 699

777



PARTE seconda Legislazione, documenti e informazioni



legislazione

Manovra economica e antiriciclaggio D.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con 1. 30 luglio 2010, n. 122, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica. (Omissis) Art. 20 Adeguamento alle disposizioni comunitarie delle limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore. 1. A fini di adeguamento alle disposizioni adottate in ambito comunitario in tema di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, le limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore, di cui all’art. 49, commi 1. 5, 8, 12 e 13. del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono adeguate all’importo di euro cinquemila. 2. In ragione di quanto disposto dal comma 1, e al fine di rafforzarne l’efficacia, al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono apportate le seguenti modifiche: a) nell’art. 49, al comma 13, le parole: «30 giugno 2009» sono sostituite dalle seguenti: «30 giugno 2011»; b) all’art. 58, dopo il comma 7 è aggiunto il seguente comma: «Per le violazioni previste dai precedenti commi, la sanzione amministrativa pecuniaria non può comunque essere inferiore nel minimo all’importo di tremila euro. Per le violazioni di cui al comma 1 che riguardano importi superiori a cinquantamila euro la sanzione minima è aumentata di cinque volte. Per le violazioni di cui ai commi 2, 3 e 4 che riguardano importi superiori a cinquantamila euro le sanzioni minima e massima sono aumentate del cinquanta per cento». 2-bis. È esclusa l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 58 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, per la violazione delle disposizioni previste dall’art. 49, commi 1, 5, 8, 12 e 13 del medesimo decreto, commesse nel periodo

145


Legislazione

dal 31 maggio 2010 al 15 giugno 2010 e riferite alle limitazioni di importo introdotte dal comma 1 del presente articolo. (Omissis) Art. 36 Disposizioni antifrode 1. Al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’art. 28, dopo il comma 7, sono aggiunti i seguenti: «7-bis. Sulla base delle decisioni assunte dal GAFI, dai gruppi regionali costituiti sul modello del GAFI e dall’OCSE, nonché delle informazioni risultanti dai rapporti dì valutazione dei sistemi nazionali di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e delle difficoltà riscontrate nello scambio di informazioni e nella cooperazione bilaterale, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, con proprio decreto, sentito il Comitato di sicurezza finanziaria, individua una lista di paesi in ragione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni anche in materia fiscale. 7-ter. Gli enti e le persone soggetti al presente decreto di cui agli articoli 10, comma 2, ad esclusione della lettera g), 11, 12, 13 e 14, comma 1, lettere a), b) e) ed f), si astengono dall’instaurare un rapporto continuativo, eseguire operazioni o prestazioni professionali ovvero pongono fine al rapporto continuativo o alla prestazione professionale già in essere di cui siano direttamente o indirettamente parte società fiduciarie, trust, società anonime o controllate attraverso azioni al portatore aventi sede nei paesi individuati dal decreto di cui al comma I-bis. Tali misure si applicano anche nei confronti delle ulteriori entità giuridiche altrimenti denominate aventi sede nei paesi sopra individuati di cui non è possibile identificare il titolare effettivo e verificarne l’identità. 7-quater. Con il decreto di cui al comma 7-bis sono stabilite le modalità applicative ed il termine degli adempimenti di cui al comma 7-ter.»: b) all’art. 41, comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «È un elemento di sospetto il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante, anche se non in violazione dei limiti di cui all’art. 49 e, in particolare, il prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro»; c) all’art. 57, dopo il comma 1-bis è inserito il seguente: «1-ter. Alla violazione della disposizione di cui all’art. 28, comma 1-ter, di importo fino ad euro 50.000 si applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 5.000 euro, mentre per quelle di importo superiore a 50.000 euro si applica una sanzione amministrativa pecuniaria dal 10 per cento al 40 per cento del’importo dell’operazione. Nel caso in cui l’importo dell’operazione non sia

146


D.l. 31 maggio 2010, n. 78

determinato o determinabile si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25.000 a 250.000 euro». Art. 37 Disposizioni antiriciclaggio 1. Gli operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in paesi così detti black list di cui al decreto del Ministro delle Finanze 4 maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 10 maggio 1999, n. 107, e al decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 21 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 23 novembre 2001, sono ammessi a partecipare alle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modifiche e integrazioni, previa autorizzazione rilasciata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Il rilascio di tale autorizzazione è subordinato alla previa individuazione dell’operatore economico, individuale o collettivo, mediante la comunicazione dei dati che identificano gli effettivi titolari delle partecipazioni societarie, anche per il tramite di società controllanti e per il tramite di società fiduciarie nonché alla identificazione del sistema di amministrazione e del nominativo degli amministratori e del possesso dei requisiti di eleggibilità previsti dalla normativa italiana. La presente disposizione si applica anche in deroga ad accordi bilaterali siglati con l’Italia, che consentano la partecipazione alle procedure per l’aggiudicazione dei contratti di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163. a condizioni di parità e reciprocità. 2. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze può escludere con proprio decreto di natura non regolamentare l’obbligo di cui al comma 1 nei ri­guardi di paesi di cui al medesimo comma ovvero di settori di attività svolte negli stessi paesi: con il medesimo decreto, al fine di prevenire fenomeni a particolare rischio di frode fiscale, l-obbligo può essere inoltre esteso anche a paesi così detti non black list nonché a specifici settori di attività e a particolari tipologie di soggetti.

147



Le “canne al vento” della disciplina antiriciclaggio: brevi riflessioni a margine di alcune disposizioni del d.l. n. 78/2010 Sommario: 1. Premessa. – 2. Obbligo di “canalizzazione” e fonti comunitarie: la “seconda chance” dei 5.000 euro. – 3 L’«elemento di sospetto» tra «operazione sospetta» ed «indicatore di anomalia»: tertium (genus) datur? – 4. (Segue). Il “dubbio” quale condizione psicologica essenziale per l’avvio del percorso valutativo. – 5. Una considerazione conclusiva critica: i rischi sottesi ad una concezione sempre più “polifunzionale” della disciplina antiriciclaggio.

1. Premessa. È stato recentemente approvato il d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modifiche nella l. 30 luglio 2010, n. 122, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica». Nel mare magnum di direttrici disciplinari trasversalmente affrontate dal provvedimento in parola, assumono particolare interesse per gli intermediari bancari e, in senso lato, finanziari gli interventi in materia antiriciclaggio, che modificano talune prescrizioni del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231. Invero, è curioso osservare da subito la presenza di disposizioni che influiscono in tale settore nel contesto di misure legislative aventi in generale le fattezze di una “manovra finanziaria”. Al di là dell’esame puntuale degli interventi modificativi in questione in generale, può costituire utile spunto di riflessione il constatare preliminarmente come, negli ultimi tempi, il legislatore sembri sempre più spesso orientato a “piegare” una normativa così specifica ed avente finalità ben individuate, quale la disciplina antiriciclaggio, ad obiettivi molto diversi – se non, in certi casi, addirittura contraddittori – tra loro.

149


Legislazione

2. Obbligo di “canalizzazione” e fonti comunitarie: la “seconda chance” dei 5.000 euro. Il primo ed eclatante elemento di novità recato dal provvedimento in questione è rappresentato dall’abbassamento dei vincoli relativi al c.d. obbligo di “canalizzazione” da 12.500 a 5.000 euro. L’art. 20, co. 1, del d.l. n. 78/2010 prescrive, infatti, che «le limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore, di cui all’articolo 49, commi 1, 5, 8, 12 e 13, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono adeguate all’importo di euro cinquemila». Giova forse ricordare velocemente, in proposito, che l’originaria soglia di 20 milioni di lire, prevista dall’art. 1 della previgente l. n. 197/1991 e poi tradotta – in seguito all’adozione della moneta unica europea 1 – in 12.500 euro, era già stata drasticamente abbattuta al livello di 5.000 euro dalla riforma sistematica della disciplina nel 2007; peraltro, ad appena due settimane dall’entrata in vigore del nuovo corpus normativo, il Governo, da poco insediato, l’aveva subito riportata a 12.500 euro in virtù del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla l. 6 agosto 2008, n. 133. Il limite di 5.000 euro trovò dunque applicazione per pochissimi mesi, un arco temporale troppo breve per poterne valutare gli effetti sul piano concreto. È bene notare, anche qui, il contesto nel quale tale “rimbalzo” alla soglia di 12.500 euro si inserì: trattandosi di un provvedimento recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», si poteva infatti adombrare il sospetto che, per quanto non esplicitamente dichiarato, nella mente dell’Esecutivo albergasse il pensiero retrostante per cui la disciplina antiriciclaggio potesse rappresentare, in fondo, un freno al libero dispiegarsi delle attività economiche 2, freno potenzialmente tanto più negativo in periodi di grave crisi economica come quella attraversata e che lo stesso provvedimento, nel suo insieme, mirava ad affrontare.

1

Ad onor del vero, nel passaggio alla moneta unica, la soglia in questione pari a 20 milioni di lire si era inizialmente tradotta nel valore di 10.321,14 euro come conseguenza della rigorosa applicazione della regola di conversione. Sugli effetti negativi di un mancato arrotondamento, si vedano all’epoca le puntuali osservazioni di Partesotti, Lezioni sui titoli di credito4, Bologna, 2001, p. 158. 2 Sul punto, cfr. Urbani, Le mobili frontiere della disciplina antiriciclaggio, in Scritti in onore di Francesco Capriglione, Padova, 2010, p. 470 ss., nonché in Dir. banc., 2010, I, p. 243 ss.

150


Andrea Minto

Tale considerazione risulta ancor più rilevante ed attuale se raffrontata ora con il d.l. n. 78/2010 di cui ci stiamo occupando: quest’ultimo intervento legislativo, infatti, seppure compia “marcia indietro” riportando la soglia agli originari 5.000 euro, persegue pur sempre analoghe finalità, inserendosi, come abbiamo accennato in premessa, nel contesto di una manovra finanziaria correttiva. Pertanto, le restrizioni alla circolazione di strumenti di pagamento in forma libera vengono implicitamente preordinate al rilancio dell’economia legale ovvero, se si preferisce, l’auspicata ripresa delle movimentazioni monetarie deve seguire – anche per operazioni di importo relativamente modesto – i canali istituzionali, punto di saldatura con il complesso delle norme antiriciclaggio 3. Di tal modo, si (ri)afferma una delle idee di fondo che a suo tempo aveva ispirato la nascita della disciplina di settore: quella, cioè, del contrasto dell’attività criminale come presupposto essenziale per il libero dispiegarsi delle forze sane dell’economia legale 4. Se, peraltro, la finalità del dato normativo d’insieme è quella di rilanciare l’economia imboccando le strade fisiologiche e “pulite”, se ne deve però ravvisare anche una ulteriore, essendo la seconda funzionale alla prima. L’art. 20 del d.l. n. 78/2010 ribadisce con insistenza tale finalità particolare: lo annuncia già nella rubrica della norma («adeguamento alle disposizioni comunitarie delle limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore»), lo ripete nell’incipit della stessa («a fini di adeguamento alle disposizioni adottate in ambito comunitario») lo sottolinea, infine, in chiusura di prescrizione («le limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore, […], sono adeguate all’importo di euro cinquemila»).

3

Come ben noto, infatti, le prescrizioni antiriciclaggio si intrecciano le une con le altre a formare una (quanto più) fitta maglia di prevenzione dei fenomeni di criminalità economica in discorso. In tal senso, l’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007 mira a limitare quell’insieme di operazioni, che per le loro caratteristiche si possono prestare con più facilità al perseguimento di fini poco commendevoli, per veicolarle verso gli intermediari sottoposti agli obblighi di adeguata verifica della clientela, registrazione e segnalazione. L’idea di una solida rete prescrittiva era sottesa già alla precedente l. n. 197/1991, come evidenziato all’epoca da Donato e Masciandaro, Criminalità e intermediazione finanziaria, Roma, 1996, p. 119 ss. 4 Mettono in luce gli effetti nocivi ed inquinanti dell’attività di ripulitura del denaro “sporco” sul tessuto economico sano, tra i tanti, Urbani, Disciplina antiriciclaggio e ordinamento del credito, Padova, 2005, p. 3 ss.; De Vita, Evoluzione e deriva del sistema transnazionale di lotta contro il riciclaggio, in Nuove strategie per la lotta al crimine organizzato transnazionale, a cura di Patalano, Torino, 2003, p. 155 ss.; Condemi, Uso illecito del sistema finanziario a scopo di riciclaggio ed effetti monetari dell’attività criminale, in Banc., 1999, n. 3, p. 42.

151


Legislazione

Orbene, il punto merita forse un’osservazione. Di fronte infatti al reiterato richiamo alla fonte comunitaria, una lettura superficiale potrebbe far pensare all’individuazione di un’esplicita soglia di rilevanza a 5.000 euro già nella Direttiva n. 2005/60/CE, di riferimento per la materia. Tuttavia, così non è: l’unico valore che viene numericamente determinato dalla Direttiva è quello di 15.000 euro, ma relativo agli obblighi di adeguata verifica della clientela 5. Di qui il dubbio sulla reale portata dell’intervento nazionale di “adeguamento”, quasi si volesse lasciare intendere che, sino ad ora, la normativa comunitaria sul punto fosse rimasta disattesa dall’ordinamento interno italiano. Il rilevato andamento a “fisarmonica” della soglia di rilevanza appare di difficile comprensione, atteso che, se 5.000 euro fosse stato l’importo stabilito dal legislatore comunitario, l’Italia si sarebbe a suo tempo già “adeguata” con l’originario valore stabilito dalla novellata disciplina antiriciclaggio del 2007: pertanto, non si spiegherebbe agevolmente il successivo e temporaneo innalzamento a 12.500 euro ad opera del d.l. n. 112/2008. Sfugge ancor più la ratio di tale ondivago andamento della soglia, poi, se si considera la comunanza d’intenti tra l’ultimo provvedimento richiamato e la recente manovra: siamo infatti, in entrambi i casi, di fronte ad interventi urgenti – di stampo finanziario – per stimolare la competitività e la stabilità economica 6. Per dirimere la questione pare opportuno considerare l’importo di 15.000 euro – destinato secondo la lettera della norma ad identificare uno specifico aspetto della disciplina – come livello minimo cui gli Stati membri debbono far riferimento per stabilire (anche) gli obblighi di “canalizzazione” 7. Ora, avendo chiarito che l’opzione per i 5.000 euro ap-

5

Cfr. art. 7, Direttiva 2005/60/CE, «relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo». Sulla centralità che tale adempimento assume nel contesto delle finalità della disciplina comunitaria, v. A.M. Carriero, La prevenzione ed il contrasto del riciclaggio, in Dir. banc., a cura di Galanti, Padova, 2008, p. 1272 ss. 6 Il lettore avrà senz’altro notato la stretta analogia letterale della rubrica del recente d.l. n. 78/2010 con quella del d.l. n. 112/2008: entrambi scaturiscono da una situazione contingente che richiede un intervento urgente del legislatore (si parla oggi di «Misure urgenti» mentre ieri di «Provvedimenti urgenti»); estremamente rilevante è poi, nel novero delle finalità sottese, l’identico richiamo, in tutti e due i testi, alla «competitività» ed alla «stabilità». 7 Secondo tale lettura, che potremmo dire “per analogia” e che conferisce un’unitaria visione della disciplina, si può inquadrare senza questioni di legittimità la scelta, operata dal Governo nel 2008, di alzare la soglia a 12.500 euro. È chiaro che se 5.000 euro fosse

152


Andrea Minto

partiene a valutazioni domestiche, rimane da comprendere come questa rappresenti altresì, comunque, un allineamento a prescrizioni comunitarie. La risposta è verosimilmente nella parte finale del 18° considerando della Direttiva, il quale, premettendo che «le situazioni differiscono nei vari Stati membri», puntualizza come «questi poss[a]no decidere di adottare disposizioni più rigorose per fronteggiare adeguatamente il rischio che comportano i pagamenti in contanti di importo elevato». In quest’ultimo periodo si ribadisce dunque, con specifico riguardo alle operazioni in denaro contante, il c.d. principio di carattere sistematico dell’“armonizzazione minima” 8. Tanto precisato, una linea interpretativa circa la finalità perseguita dalla novella potrebbe essere quella di un adeguamento al criterio di “proporzionalità”: l’Italia, cioè, in ossequio alla prescrizione che lascia gli Stati membri liberi di prevedere regole più stringenti, avrebbe provveduto a “registrare l’asticella” in relazione alle proprie caratteristiche reputando 5.000 euro una soglia “adeguata”. A margine di tale possibile lettura, se ne prospetta tuttavia una ulteriore, che peraltro non esclude la prima bensì la sviluppa: il legislatore nazionale – sempre in ottemperanza al principio d’ordine sistematico poc’anzi richiamato – adottando una strada di maggior rigore rispetto agli standard minimi comunitari, si dimostrerebbe particolarmente ligio e, diciamo così, all’avanguardia per quanto concerne il quadro della disciplina antiriciclaggio, sub specie di limitazione all’utilizzo del denaro contante: si tratterebbe, in altre parole, di lanciare un segnale di politica del diritto, più che di un mero “adeguamento” giuridico. Comunque, sia che si tratti di una scelta – quella dei 5.000 euro – volta esclusivamente all’allineamento ad un principio prescrittivo, sia che abbia sottese ragioni, diciamo così, pure “propagandistiche”, l’adeguamento al quadro comunitario di cui fa gran parlare la norma è chiara applicazione del principio di “armonizzazione minima” 9.

invece il livello minimo in ambito comunitario per l’apposizione di limitazioni all’uso del contante, il nostro ordinamento interno avrebbe prestato il fianco ad inevitabili censure per la mancata osservanza delle prescrizioni gerarchicamente sovraordinate. 8 Rappresenta un segnale importante la ripetizione – pur sempre nel contesto di un considerando – di un principio di sistema che avrebbe operato anche nel silenzio della norma. 9 Non è così inopportuno considerare che l’adeguamento in parola ripropone, con le cautele del caso e su scala “macro” (cioè avendo come destinatari i Paesi membri), quello che in termini “micro” (riferito, quindi, direttamente agli intermediari) è l’approccio basato sul rischio, per l’applicazione del quale l’obbligo di adeguata verifica della clientela

153


Legislazione

Tale conclusione può forse giovare all’interprete che voglia trovare una qualche spiegazione all’andamento della soglia: la variazione da 5.000 euro, valore adeguato “oggi”, rispetto a 12.500 euro, reputato tale “ieri”, trova un barlume di fondamento nelle libere valutazioni domestiche – all’interno del quadro “minimo” individuato dal legislatore comunitario (15.000 euro) – preordinate ad individuare l’equilibrato compromesso tra rigore delle norme e grado di osservanza delle stesse 10.

assurge a specifico “manifesto” (cfr. artt. 15 ss. d.lgs. n. 231/2007). Sull’adozione del riskbased approach l’apporto della dottrina è vastissimo: cfr., senza ambizione di esaustività e con particolare attenzione al contesto giuridico comunitario, Fratangelo, L’approccio basato sul rischio nella normativa antiriciclaggio, in Banc., 2009, 2, p. 70 ss.; Petrillo, La prevenzione ed il contrasto al riciclaggio: da una gestione passiva a una gestione attiva degli adempimenti, ivi, 2009, 5, p. 70 ss., partic. p. 74 in cui l’A. definisce il principio in parola come la «bussola per lo sviluppo del modello di gestione dei nuovi adempimenti richiesti». Ciò che vale a distinguere armonizzazione minima e principio di proporzionalità al rischio è che quest’ultimo non si traduce esclusivamente nell’unidirezionale libertà di tracciare regole più stringenti rispetto al “minimo sindacale” comunitario, bensì a fianco della necessità di aggiustare il rigore delle regole al “rialzo” pone altresì l’opportunità di seguire la direzione opposta e di adottare una linea – mutuando il lessico degli obblighi di identificazione – “semplificata”. La ratio sottostante a tale approccio è quella di calibrare il quadro dei controlli in base alla specifica situazione nazionale, sul presupposto che il rischio di riciclaggio non è sempre lo stesso. In particolare, l’art. 8 della Direttiva n. 2005/60/CE non soltanto stabilisce di «adottare misure adeguate e commisurate al rischio […]», ma altresì prescrive che gli intermediari soggetti alla disciplina in oggetto «devono essere in grado di dimostrare alle autorità competenti […] che la portata delle misure è adeguata all’entità del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo». Anche il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale, in acronimo GAFI, è intervenuto ad elaborare un compendio di indicazioni preordinate a ponderare le misure di identificazione della clientela in base al fattore di rischio associato (Fatf-Gafi, Guidance on the Risk-Based Approch to Combating Money Laundering and Terrorist Financing, High Level Principles and Procedures, June 2007, reperibile sul sito www.fatf-gafi.org; in argomento, per tutti, v. Bartoloni, La collaborazione in campo investigativo, in Profili internazionali dell’attività di prevenzione e contrasto del riciclaggio di capitali illeciti, a cura di Condemi e De Pasquale, Roma, 2004, p. 415 ss.). Le 49 raccomandazioni emanate da tale organismo rappresentano uno dei maggiori esempi di c.d. soft law: nonostante non siano giuridicamente vincolanti, tali indicazioni – forti di un indiretto effetto di moral suasion – sono state infatti riconosciute ufficialmente come standard internazionali e circa 150 paesi di tutto il mondo si sono impegnati a rispettarle. Sul ricorso a tale tecnica legislativa si rinvia all’opera monografica di Mostacci, La soft law nel sistema delle fonti: uno studio comparato, Padova, 2008. Un valido contributo internazionale al riguardo è fornito da William, The procedural soft law of international arbitration, in Pervasive problems in International Arbitration, a cura di Mistelis e Lew, Alphen aan den Rijn, 2006, p. 141 ss. 10 Come correttamente evidenziava, all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 231/2007, Carriero, La prevenzione, cit., p. 1299, «nella consapevolezza che l’utilizzo

154


Andrea Minto

Nel 2008, il percorso di ragionamento seguito dal legislatore portava a considerare una soglia pari a 5.000 euro come eccessivamente severa e, paradossalmente, foriera di espedienti volti ad ingigantire la nebulosa delle operazioni in contanti 11. Nel 2010, il ritorno sui propri passi testimonia o un mutato contesto (una diversa «situazione» nazionale, come direbbe il legislatore comunitario 12) che avrebbe richiesto di ritoccare “al rialzo” il rigore delle prescrizioni, ovvero un esito negativo – dopo due anni circa di esperienza sul campo – dell’originaria linea di pensiero secondo cui la severità aguzza l’ingegno. Se l’obiettivo dell’intervento legislativo del 2008 fosse stato – unitamente alla virtuosa intenzione di fluidificare la circolazione monetaria – quello di evitare il ricorso massivo ad espedienti per aggirare l’oppressiva soglia di 5.000 euro,

del contante o di valori assimilati può costituire un veicolo privilegiato per condotte di riciclaggio, il Titolo III del decreto [la sezione relativa all’obbligo di canalizzazione, artt. 49 ss.], utilizzando la facoltà indicata dalla direttiva di adottare o conservare disposizioni nazionali più rigorose di quelle comunitarie, prevede un significativo irrigidimento delle disposizioni della previgente disciplina antiriciclaggio [il riferimento è, ovviamente, alla drastica riduzione della soglia di rilevanza da 12.500 a 5.000 euro]». In tal senso, v. altresì Razzante, Commentario alle nuove norme contro il riciclaggio, Padova, 2008, p. 176. 11 Il timore era che il “gioco non valesse la candela”: l’idea sottostante era che un limite eccessivamente severo producesse una disaffezione verso taluni mezzi di pagamento, in particolare gli assegni, e per converso facesse dilagare l’uso del contante, il quale, in virtù della sua manovrabilità e frazionabilità, avrebbe potuto flessibilmente prestarsi ad aggirare anche barriere particolarmente stringenti. Quindi, per evitare che la prescrizione si potesse rivelare controproducente, si è reputato “adeguato” il valore di 12.500 euro per indirizzare gli strumenti di pagamento in forma libera verso i canali degli intermediari soggetti agli obblighi antiriciclaggio. L’idea che regole troppo rigide possano risultare vane era viva nelle mente degli studiosi già nella previgente disciplina antiriciclaggio: tale timore fu chiaramente manifestato, ad es., da Filotto e Masciandaro, L’antiriciclaggio tra banca, clienti e autorità: un’indagine sul campo, in Antiriciclaggio: la legalità come valore del mercato, a cura di Masciandaro, Roma, 2000, p. 14, i quali, al proposito, ritenevano che «si può pensare a un effetto “vasi comunicanti”, in cui, in presenza di normative severe in un “vaso”, le operazioni illecite vengono comunque effettuate, approfittando del lassismo in altri “vasi”». 12 In effetti, la relazione illustrativa redatta dal Governo giustifica – dati statistici alla mano – la scelta di tornare sui propri passi proprio alla luce della peculiare “situazione” domestica: «in Italia circa il 90 per cento della transazioni sono effettuate in contante, rispetto al 78 per cento della Germania, al 65 per cento del Regno Unito e al 59 per cento della Francia. Di converso, in Italia solo l’8 per cento delle transazioni sono effettuate utilizzando carte di credito o altri sistemi di pagamento elettronici, rispetto al 22 per cento della Germania, al 30 per cento del Regno Unito e al 28 per cento della Francia».

155


Legislazione

sembra arduo pensare che la fissazione di un valore meno stringente, pari a 12.500 euro, possa aver rappresentato una risposta al problema, anzi. Ma, al di là di intenti tanto nobili in astratto quanto privi d’effetto o inutili sul piano concreto, non pare revocabile in dubbio che dietro un analogo blasone di obiettivi dichiarati – per tutti, la stabilizzazione finanziaria ed il rilancio dell’economia – si possano celare finalità strumentali o ultronee che orientino in maniera confusa, o comunque poco intelligibile per l’interprete, gli interventi su un corpo normativo improntato ad una solida e specifica finalità 13. A conferma di un odierno atteggiamento agli antipodi rispetto alla disciplina previgente milita altresì la cornice di prescrizioni che, più o meno a cascata, sussegue all’abbassamento della soglia di rilevanza ex art. 49. Così, «la necessità di scoraggiare la violazione della soglia attraverso strumenti di dissuasione rende opportuna la riformulazione delle sanzioni attualmente applicate, prevedendo l’inasprimento dei valori minimi e massimi riferibili alle infrazioni che superano i 50.000 euro. Per le violazioni inferiori a questo importo si applicherà comunque una sanzione in valore assoluto di 3.000 euro» 14. Difficile prevedere se “la seconda chance dei 5.000 euro” sortirà risultati (più) positivi di quanto non abbia ottenuto il precedente livello di 12.500; tuttavia una soglia più rigorosa non pare pregiudicare, né tanto meno annullare, le istanze e le finalità sottese alla scelta più “accomodante”.

13

Sul punto v. Urbani, Le mobili, cit., rispettivamente pp. 475-476 e pp. 253-254. Queste le parole della relazione del Governo nel commento relativo all’art. 20 del d.l. n. 78/2010. Intervenendo sulla soglia prevista ex art. 49 della disciplina antiriciclaggio, si è posta la necessità di coordinare e ritoccare tutta una serie di prescrizioni ancillari. In particolare, l’art. 20 del provvedimento in esame, nel co. 2, prosegue stabilendo che: «in ragione di quanto disposto dal comma 1, ed al fine di rafforzarne l’efficacia, al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono apportate le seguenti modifiche: a) nell’articolo 49, al comma 13, le parole: “30 giugno 2009” sono sostituite dalle seguenti: “30 giugno 2011”; b) all’articolo 58, dopo il comma 7 è aggiunto il seguente comma: “Per le violazioni previste dai precedenti commi, la sanzione amministrativa pecuniaria non può comunque essere inferiore nel minimo all’importo di tremila euro. Per le violazioni di cui al comma 1 che riguardano importi superiori a cinquantamila euro la sanzione minima è aumentata di cinque volte. Per le violazioni di cui ai commi 2, 3 e 4 che riguardano importi superiori a cinquantamila euro le sanzioni minima e massima sono aumentate del cinquanta per cento». 14

156


Andrea Minto

3. L’«elemento di sospetto» tra «operazione sospetta» ed «indicatore di anomalia»: tertium (genus) datur? L’art. 36, d.l. n. 78/201015, introduce un altro significativo elemento di novità: aggiungendo infatti un periodo al co. 1 dell’art. 41 del d.lgs. n. 231/2007, la norma è entrata nel merito di uno degli ambiti più rilevanti e critici dell’intera disciplina antiriciclaggio, quello, cioè, della segnalazione di operazioni sospette. Secondo la nuova disposizione «è un elemento di sospetto il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante, anche se non in violazione dei limiti di cui all’articolo 49, e, in particolare, il prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro». Già ad una prima e superficiale lettura, la norma sembra aprire un ventaglio di questioni interpretative. A dire il vero, l’intento del Governo, prima, e del Parlamento, poi, appare chiaro: si guarda a tal punto con diffidenza all’utilizzo massivo del denaro contante da considerarlo di per sé “sospetto”. Sin qui, nulla quaestio: la legislazione bancaria, da un lato, si adegua alle disposizioni comunitarie che considerano un elemento di particolare criticità il fre-

15 In proposito, si segnala anche una possibile inversione di rubrica tra questa norma, che incide direttamente sul d.lgs. n. 231/2007 ed è intitolata «Disposizioni antifrode» e la successiva, l’art. 37, che si annuncia come «Disposizioni antiriciclaggio» e verte su prescrizioni aventi carattere preventivo di fenomeni criminosi nell’aggiudicazione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Per una primissima interpretazione di quest’ultima, si rinvia al contributo di Falcone e Iorio, Imprese con soci off-shore penalizzate negli appalti, ne Il Sole 24 Ore, giovedì 19 agosto 2010, p. 21. Restano a latere rispetto all’ambito di questioni che qui interessano le previsioni contenute nella prima parte dell’art. 36 (co. 1, lett. a)), nelle quali il legislatore ha provveduto ad integrare l’art. 28 del d.lgs. n. 231/2007, relativo agli obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, attraverso l’introduzione dei co. 7-bis, 7-ter, 7-quater. Si accenna solamente, a testimonianza nel contesto comunitario di un’azione comune e concordata tra gli Stati membri, alla novella apportata dal co. 7-bis il quale prevede che «sulla base delle decisioni assunte dal GAFI, dai gruppi regionali costituiti sul modello del GAFI e dall’OCSE, nonché delle informazioni risultanti dai rapporti di valutazione dei sistemi nazionali di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e delle difficoltà riscontrate nello scambio di informazioni e nella cooperazione bilaterale, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, con proprio decreto, […], individu[i] una lista di Paesi in ragione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni anche in materia fiscale».

157


Legislazione

quente utilizzo di denaro contante 16, dall’altro, accanto all’abbassamento della soglia di rilevanza ex art. 49 visto poc’anzi, affianca un’ulteriore misura correttiva alla disciplina antiriciclaggio votata all’assunto “pecunia olet” 17. Sennonché, nonostante quanto afferma la relazione accompagnatoria redatta dal Governo 18, ad una lettura più approfondita e critica – e, per

16 Valga a testimoniare tale atteggiamento il 18° considerando della Direttiva n. 2005/60, nel quale si ammonisce che «il ricorso ad operazioni in contanti di importo elevato si è ripetutamente dimostrato estremamente suscettibile ad essere utilizzato ai fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo». 17 È curioso notare come il denaro contante venga diversamente considerato dalle parti in gioco: per un verso, nel sentire comune, vige (l’imperituro, forse) broccardo “pecunia non olet”; in particolare, la situazione italiana evidenzia una radicata visione per cui la fisicità del contante garantisce le controparti circa il buon esito delle loro transazioni (sulla funzione solutoria della moneta nelle sue diverse “forme” – e, dunque, anche in quella fisica – v. Lemme, Moneta scritturale e moneta elettronica, Torino, 2003, p. 87 ss.; Id., La rivoluzione copernicana della Cassazione: la moneta legale, dunque, non coincide con la moneta fisica, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, p. 562 ss.; sulla moneta in termini più generali v., ex multis, Capriglione, Moneta, in Enc. dir., III aggiorn., Milano, 1999, p. 747 ss.). Dalla prospettiva dell’ordinamento del credito, viceversa, la moneta “fisica” presterebbe facilmente il fianco a potenziali operazioni di riciclaggio di denaro sporco o di finanziamento del terrorismo, giacché «una transazione effettuata per contanti interrompe la catena dei passaggi dei flussi finanziari e impedisce la ricostruzione del percorso seguito dagli operatori illegali per immettere i proventi delle attività illecite nel mercato finanziario» (così riassume le criticità del contante Criscuolo, La normativa antiriciclaggio in Italia a seguito del recepimento della III Direttiva comunitaria, in Normativa antiriciclaggio e segnalazione di operazioni sospette, a cura di Cappa e Morera, Bologna, 2008, p. 45); sulla transizione – a diversi stadi evolutivi per ogni Paese membro – dei sistemi di pagamento europeo verso la c.d. “cashless society” cfr. Louis, The new monetary law of the European Union, in International monetary law, Issues for the new millenium, Oxford, 2000, p. 137 ss.; Di Majo, I pagamenti senza denaro contante nella cashless society, in Corr. giur., 2008, p. 504 ss.; sul processo di avvicinamento tra “moneta bancaria” e denaro contante v., tra gli altri, De Poli, Mezzi di pagamento alternativi e solutorietà, in Riv. trim. dir. econ., 2010, p. 43 ss. 18 In particolare, la relazione, nella sezione dedicata all’illustrazione dell’art. 36 della “manovra finanziaria”, sottolinea lo stretto legame teleologico tra l’abbassamento della soglia di rilevanza ai fini dell’obbligo di canalizzazione e l’arricchimento della norma relativa alla segnalazione di operazioni sospette per effetto della citata modifica apportata all’art. 41, co. 1, d.lgs. n. 231/2007: «tenuto conto che l’utilizzo eccessivo del contante rappresenta un rischio per l’integrità e un costo in termini di efficienza del sistema economico-finanziario, all’articolo 20 del presente decreto si provvede, come illustrato sopra, a stringere i limiti legali di utilizzo del contante, abbassando drasticamente la soglia dagli attuali 12.500 euro a 5.000 euro. […]. Con la modifica all’articolo 41 del decreto legislativo n. 231 del 2007 si riconosce che movimentazioni di contante frequenti o ingiustificate, specialmente se di importo eccedente 15.000 euro, saranno considerate dagli

158


Andrea Minto

quanto è consentito in questa sede, di ordine sistematico – tale riferimento pur testuale al «sospetto» non è di immediato e facile inquadramento sul piano degli effetti e delle conseguenze concrete. Sul piano strutturale, infatti, il novellato art. 41 presenta una sequenza di prescrizioni ed il quadro che risulta potrebbe essere il seguente: dapprima è disciplinata l’«operazione sospetta» che implica la segnalazione; in seconda posizione si pone l’«elemento di sospetto», categoria logica che parrebbe un minus rispetto alla nozione di sospetto; infine, in un comma autonomo, il secondo, c’è il riferimento agli «indicatori di anomalia». Orbene, in questa scansione ideale è possibile ravvisare uno spazio concettuale (e di disciplina) per l’«elemento di sospetto»? Se l’esito fosse lo schema proposto, sarebbe cioè possibile immaginare autonoma rilevanza per tale innovativa fattispecie intermedia? A prima vista, la scelta di collocare l’elemento di sospetto in coda al primo comma, piuttosto che inserirlo in un comma “bis”, potrebbe rappresentare un indice di conferma che si tratti di vero e proprio sospetto. Tuttavia la semplicistica e sbrigativa osservazione svolta, compiuta in base alla mera sistemazione spaziale delle diverse fattispecie regolate dalla norma, rischia di indurre l’interprete alla frettolosa – e vedremo tra breve se da considerarsi anche impropria – conclusione che all’«elemento di sospetto» si rendano applicabili, per osmosi, le regole ed i principi previsti per la tradizionale e consolidata categoria delle «operazioni sospette», quasi si intendesse in tal modo sottrarre l’operatore a quel momento valutativo che gli è invece sempre richiesto. L’assunto merita forse un chiarimento. Per vero, se si identificasse la categoria logica in esame con il “sospetto”, il risultato sarebbe quello di scavalcare un momento fondamentale, proprio e tipico, dell’adempimento dell’obbligo di segnalazione: l’apporto dell’indagine psicologica richiesta di fronte all’operazione anomala, per valutare se essa possa assumere anche i tratti qualitativamente ulteriori dell’operazione sospetta. L’intermediario deve interrogarsi se l’oggetto della sua valutazione, considerato di per sé, sia meramente irregolare ovvero, non trovando un appiglio giustificativo all’anomalia pur se inserito in un contesto in-

intermediari elementi per inviare una segnalazione di operazione sospetta». La scelta di esplicitare la locuzione «elemento di sospetto», sviluppandola nella formula «elementi per inviare una segnalazione di operazione sospetta», rappresenta un utile appiglio per dissipare la nebbia interpretativa attorno la ratio legis. Il punto sarà approfondito tra breve, nel testo.

159


Legislazione

formativo più ampio 19, si configuri come vera e propria fattispecie di

19

È sempre bene ricordare, in proposito, che la disciplina in questione richiede di basare i giudizi sulla scorta dell’intero quadro conoscitivo a disposizione, in primis dei dati informativi che derivano dal contatto diretto con il cliente. Sulla rilevanza della conoscenza personale del soggetto, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di segnalazione, in atteggiamento critico rispetto alla posizione recentemente assunta al riguardo dalla Suprema Corte, v. Pistritto, La responsabilità dei soggetti coinvolti nella segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio di denaro “sporco”, in Dir. banc., 2010, I, p. 104 ss., partic. p. 111. Il rapporto inversamente proporzionale tra il c.d. “rischio di riciclaggio” e la conoscenza del cliente è testimoniato, tra l’altro, dalle «Istruzioni operative per la segnalazione di operazioni sospette», di cui al provvedimento del governatore della Banca d’Italia del 12 gennaio 2001, peraltro da poco abrogate e sostituite dalla delibera della Banca d’Italia 24 agosto 2010, n. 616, «Provvedimento recante Indicatori di anomalia per gli intermediari», in vigore dal successivo 28 agosto (per un primissimo commento, v. Razzante, Antiriciclaggio con nuovi indici spia, ne Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2010, p. 28; Id., In banca clienti ai raggi X, ivi, 29 agosto 2010, p. 15). La nuova edizione del “Decalogo” da un lato amplia la panoramica dei casi di esemplificazione, con un notevole incremento, in particolare, dei sub-indici dimostrativi; dall’altro, inverte l’ordine espositivo della casistica, sicché gli «indicatori di anomalia connessi al cliente», che nel previgente provvedimento erano confinati all’ultimo posto, ora balzano in testa all’elenco dei comportamenti anomali. Prima ancora, però, va osservato che le nuove disposizioni non risultano più suddivise, come quelle precedenti, in una sezione rivolta ai responsabili della “supervisione strategica” (la Parte prima, rubricata «Regole organizzative e procedurali») e un’altra parte spiccatamente di taglio “esecutivo” (la Parte seconda, contenente i veri e propri «Indicatori di anomalia»), bensì consta di un’unica ampia sezione – in realtà, preceduta da una parte introduttiva ridottissima – che compendia i comportamenti anomali “tipo” a supporto degli operatori. La nuova conformazione sembra lasciar trasparire l’intento delle Autorità di settore di enfatizzare, con ancor maggiore decisione rispetto al passato, come l’indagine valutativa richiesta, supportata da una casistica di situazioni inconsuete dettagliatamente descritte, dovrebbe prendere avvio proprio dal profilo soggettivo del cliente, primo elemento da vagliare per una fondata segnalazione di operazione sospetta. Per vero, va tuttavia tenuto presente che l’aggiornamento e l’approfondimento del quadro prescrittivo sull’assetto organizzativo e procedurale in materia antiriciclaggio, argomento cui in precedenza era riservata la Parte prima del “Decalogo”, è stato dalla Banca d’Italia soltanto rinviato ad un momento successivo. In dottrina, il tema della “collaborazione attiva” riguardato dalla prospettiva della responsabilità organizzativa è stato di recente affrontato, tra gli altri, da Cappa, Le criticità nell’adempimento dell’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette di riciclaggio, in Normativa antiriciclaggio, a cura di Cappa e Morera, cit., p. 131 ss. La centralità dell’assetto organizzativo come fondamentale baluardo di prevenzione del reato di riciclaggio verrà presumibilmente presto ribadita però anche a livello di normazione secondaria, come pare potersi evincere dal documento di consultazione intitolato «Provvedimento recante disposizioni attuative in materia di organizzazione, procedure e controlli inter-

160


Andrea Minto

operazione sospetta 20. L’alto valore del contributo soggettivo viene confermato altresì da un rigoroso iter scandito da un doppio passaggio valutativo, compiuto da soggetti distinti. L’obbligo di segnalazione si articola, come noto, in due fasi: in un primo momento, viene coinvolto il «responsabile della dipendenza, dell’ufficio, di altro punto operativo, unità organizzativa o struttura dell’intermediario cui compete l’ammi-

ni volti a prevenire l’utilizzo degli intermediari e degli altri soggetti che svolgono attività finanziaria a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, ai sensi dell’art. 7 co. 2 del Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231», diffuso il 25 gennaio 2010 e reperibile nel sito istituzionale della nostra Banca centrale, p. 8, dove si legge: «la presente normativa mira a introdurre presidi specifici per il controllo del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, richiedendo agli intermediari risorse, procedure, funzioni organizzative chiaramente individuate e adeguatamente specializzate». Istanze di gestione del rischio di non conformità – assieme ad esigenze di efficaci ed efficienti strutture di governance (cfr. «Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche» emanate dalla Banca d’Italia il 4 marzo 2008) – si intrecciano inesorabilmente con il quadro delle prescrizioni antiriciclaggio. Un passaggio particolarmente interessante ai fini delle presenti riflessioni è quello «in materia di segnalazione di operazioni sospette», nel quale si assegna all’organo con funzione di gestione la definizione di «una procedura in grado di garantire certezza di riferimento». Al di là del consolidamento della nota tendenza a ragionare per “funzioni” e non più per “organi” (innovativo approccio introdotto con le istruzioni in materia di assetti di governo del 2008), appare significativo l’accento posto sull’attendibilità, in ultima analisi, della segnalazione sospetta da inoltrare all’UIF. Proseguendo nella lettura, emerge altresì uno specifico interesse dell’autorità di vigilanza per la formazione del personale dipendente sull’impianto della disciplina antiriciclaggio. D’altro canto, incrociando i “ritagli” delle disposizioni ancora “in cantiere”, ne deriva un collage in cui «fondamentale è il ruolo dei controlli di linea che devono avvalersi di adeguati presidi e sistemi informativi» (così, di nuovo, il Documento di consultazione, cit., p. 12). Ancora vigente la l. n. 197/1991, evidenziava la centralità dei controlli c.d. “di primo livello” Donato, Disciplina contro il riciclaggio e vigilanza prudenziale sugli intermediari bancari e finanziari, in Nuove strategie per la lotta al crimine organizzato transnazionale, a cura di Patalano, cit., p. 181. 20 «Ingiustificate incongruenze rispetto alle caratteristiche soggettive del cliente e alla sua normale operatività – sia sotto il profilo quantitativo, sia sotto quello degli schemi contrattuali utilizzati – richiedono l’attivazione della procedura di segnalazione» (così, efficacemente, le previgenti «Istruzioni operative per la segnalazione di operazioni sospette», cit., Parte prima, Par. 2.1). Il discrimen tra operazione “anomala” ed operazione “sospetta” è stato chiaramente esplicitato da Pistritto, op. cit., p. 114, il quale ritiene inquadrabile, in via generale, un’operazione bancaria nella prima fattispecie laddove «risulti incoerente e/o incompatibile con il profilo economico e finanziario del cliente e la sua normale operatività, sia sotto il profilo quantitativo sia sotto quello degli schemi contrattuali utilizzati»; la stessa, per converso, si qualifica «anche come sospetta allorquando tale incoerenza e/o incompatibilità non trova una giustificazione “lecita”, ma “induca a ritenere” o ingeneri nel valutatore un c.d. sospetto “fondato”» che il denaro sia frutto dell’attività criminosa di riciclaggio.

161


Legislazione

nistrazione e la gestione concreta dei rapporti con la clientela», il quale ha l’obbligo di segnalare senza ritardo l’operazione sospetta al titolare dell’attività o al legale rappresentante o a un suo delegato (cfr. art. 42, co. 2, d.lgs. n. 231/2007); successivamente, chi del caso, tra le figure compendiate in quest’ultima categoria di soggetti, «esamina le segnalazioni pervenutegli e, qualora le ritenga fondate tenendo conto degli elementi a sua disposizione, anche desumibili dall’archivio unico informatico, le trasmette alla UIF» (cfr. art. 42, co. 4). La procedura prevista, dunque, dapprima presuppone un dubbio che scaturisce in seno a colui che amministra da vicino il rapporto con il cliente e, in un secondo momento, richiede una valutazione affidata a chi possiede uno sguardo d’insieme più ampio, integrata da maggiori tasselli informativi 21. L’articolato percorso che si prospetta, di fronte all’operazione anomala, ambisce ad assicurare un elevato grado di attendibilità delle segnalazioni che pervengono all’Unità d’Informazione Finanziaria. Atteso che il tratto qualificante dell’obbligo è il contributo soggettivo – declinato nella peculiare accezione di “sigillo di garanzia” circa la pertinenza della segnalazione – faticherebbe a trovare sistematica collocazione una norma che riducesse ad una sorta di “collaborazione passiva” l’adempimento in parola, per di più selettivamente alle operazioni in contanti. In altre parole, non si può deviare il percorso psicologico attraverso il quale l’intermediario «induca a ritenere» 22, o meno, che l’operazione è sospetta.

21 Come evidenzia Urbani, Disciplina antiriciclaggio, cit., p. 80, «l’informazione finanziaria è di per sé neutra, se non inserita e valutata in relazione ad un complesso di ulteriori dati orientativi, riguardanti ad esempio l’attività svolta dal soggetto cui si riferisce, le sue condizioni patrimoniali e reddituali, le relazioni di affari che intrattiene, l’ambiente nel quale è inserito». 22 Tale formula appartiene all’art. 3 della previgente l. n. 197/1991. Sul punto merita di esser ricordato il contributo di Morera, Sul sospetto, cit., rispettivamente p. 111 ss. e p. 67 ss., nel quale si affronta il significato della locuzione “operazione sospetta”. L’A. chiarisce che pure l’attuale disciplina, ancorché implicitamente, fa riferimento all’induzione a ritenere: il discrimen tra «mero sospetto» (potremmo dire operazione “anomala”) ed «operazione che induca a ritenere» che sia stato posto in essere attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo (ovverosia operazione sospetta “in senso stretto”) poggia sull’apporto valutativo dell’intermediario: «chi giunge a “ritenere” è un soggetto che ha già compiuto una propria valutazione rispetto all’iniziale sospetto [la condizione psicologica di “dubbio” di fronte all’anomalia], che ha già maturato un personale giudizio rispetto ad una mera eventualità».

162


Andrea Minto

4. (Segue). Il “dubbio” quale condizione psicologica essenziale per l’avvio del percorso valutativo. Se tracciare con precisione i confini di una fattispecie giuridica è imprescindibile ai fini dell’applicazione della relativa disciplina, l’ulteriore passo da compiere è quello di studiare esegeticamente la norma per inquadrare le categorie di situazioni giuridiche che possano ricondursi nell’alveo della relativa nozione. Leggendo il nuovo periodo inserito nel primo comma dell’art. 41 del d.lgs. n. 231/2007, non già una qualsiasi operazione in contanti rientra nel perimetro concettuale dell’«elemento di sospetto», bensì soltanto quella che – trascurando qui qualsivoglia soglia di rilevanza – sia «ingiustificata» ovvero «frequente». Nella selezione compiuta a monte, pertanto, il legislatore precisa che, tra gli strumenti di pagamento, le banconote si prestano con maggiore facilità ad operazioni di ripulitura del denaro “sporco”, ma, all’interno di tale categoria, si configurano come «elementi di sospetto» solamente quelle operazioni in contanti “qualificate”, ossia che, alternativamente, si presentino come ingiustificate o frequenti 23. Tale puntualizzazione non è di poco conto

23

Sul filo della distinzione tra operazione in contanti ed operazione in contanti “qualificata” può correre, tra l’altro, la possibilità di spiegare la doppia regolamentazione (ma con differenti gradi di imperatività) della medesima fattispecie “operazione in contanti”, giacché anche il “Decalogo” da poco rivisitato, come già la precedente versione, annovera nell’elenco di comportamenti anomali il ricorso al “mezzo di pagamento” in parola. Il punto merita di esser approfondito ripercorrendo la recente evoluzione della normativa secondaria in materia di indicatori di anomalia. In un primo momento, assai breve, a fronte del novellato art. 41 del d.lgs. n. 231/2007, il quale definisce di per sé l’operazione in contanti, che si caratterizzi come frequente o ingiustificata, «elemento di sospetto», si ritrovava, tra gli indici di anomalia, il «prelevamento [ed il versamento] di denaro contante per importi rilevanti», come indicato dalle precedenti «Istruzioni operative per l’individuazione di operazioni sospette», cit., Parte seconda, Par. 2.1. In quel contesto, se ne poteva dedurre che le due nozioni – «elemento di sospetto» ed «indicatore di anomalia» – non coincidessero, la prima categoria concettuale sembrando differenziarsi dalla seconda per un “di più” e per un “di meno”: come è già stato osservato, infatti, l’«elemento di sospetto» pare prescindere – almeno per una delle due tipologie di operazioni che disciplina: v. infra – dall’ammontare delle operazioni eseguite (caratteristica “in meno” rispetto al previgente indice di anomalia richiamato il quale considerava, invece, soltanto «importi rilevanti»); il quid pluris atteneva viceversa alla frequenza ed all’incoerenza dell’operazione, due aspetti che forse sottendono in capo all’operatore un ragionamento più approfondito e raffinato rispetto alla mera valutazione dell’importo. In seguito al recente aggiornamento, l’attuale versione del “Decalogo” sembra invece ora ridimensionare la precedente distanza tra «indicatore di anomalia» ed «elemento di sospetto», giacché nel novero degli «Indicatori di anomalia connessi ai mezzi ed alle modalità

163


Legislazione

giacché, implicitamente, richiama proprio il doppio passaggio valutativo che l’intermediario è chiamato a compiere: i due aggettivi in termini assoluti non acquisiscono significato ma necessitano di essere inquadrati nel contesto conoscitivo del cliente. Il legislatore non potrebbe motu proprio individuare un generalizzato fattore di incongruenza per tutti i rapporti bancari caratterizzati dal ricorso ai contanti, richiedendosi l’apporto della “collaborazione attiva”: sia la frequenza sia l’incoerenza possono esser tali solamente in termini relativi, cioè rapportati ad una specifica situazione concreta. L’individuazione di un’ingiustificata operatività potrà esser agevolata da alcune tendenziali linee guida di supporto (alias le indicazioni del rinnovato “Decalogo”, regole operative – le odierne come già quelle previgenti – volte a «ridurre i margini d’incertezza connessi con valutazioni soggettive» 24), ma fonderà la sua ragion d’essere sul quadro conoscitivo disegnato da chi ha provveduto alla profilatura del grado di rischio del cliente ed ha sistematicamente seguito l’evoluzione della sua posizione. La norma prosegue specificando che il richiamato elemento di sospetto rappresentato dal ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante, anche se non in violazione dei limiti di cui all’articolo 49, ri-

di pagamento» la subcategoria esemplificativa di apertura attiene all’«utilizzo ripetuto ed ingiustificato di denaro contante, specie se per importi rilevanti o qualora implichi il ricorso a banconote di elevato taglio». Dunque, si ripropone, con formula “parafrasata” ma sostanzialmente identica, il periodo della norma primaria che definisce l’«elemento di sospetto», recuperando da quest’ultima nozione la “frequenza” e l’“incoerenza” come attributi qualificanti la fattispecie. Da altro punto di vista, nel contesto del rinnovato “Decalogo” si utilizza inoltre in più circostanze l’espressione «profili di sospetto», che se per certi versi può suonare all’orecchio in maniera simile alla formula «elemento di sospetto» del testo di legge, potrebbe al contempo apparire anche come una categoria logica più tenue, in una ideale scala cromatica che culmina col pieno “sospetto”. Se così fosse, potrebbe ravvisarsi una sorta di legame consequenziale tra le due nozioni in parola, da inquadrarsi nel contesto di un’ipotetica scansione del processo valutativo (ovvero, più precisamente, degli albori di esso, poiché sarebbe un ordine di passaggi da seguire ancora nella fase prodromica dell’individuazione dell’anomalia), in cui i «profili di sospetto» sarebbero il prius e l’«elemento di sospetto» il posterius: tale possibile articolazione ricondurrebbe dunque quest’ultima fattispecie ad un momento successivo (con “un qualcosa in più” in termini di primissima opinione soggettiva maturata sul comportamento in esame), rispetto ai meri profili di sospetto, ma pur sempre preliminare alla vera e propria indagine valutativa ancora da avviarsi. 24 Cfr. art. 3, Provvedimento recante gli indicatori di anomalia per gli intermediari e le abrogate «Istruzioni operative per l’individuazione di operazioni sospette», cit., Premessa.

164


Andrea Minto

corre «in particolare, [qualora] il prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari [sia] di importo pari o superiore a 15.000 euro». Nella seconda parte del periodo, ad affiancare l’interesse per gli aspetti “soggettivi”, è, dunque, l’attenzione per il profilo, per così dire, “oggettivo” rappresentato dall’ammontare dell’operazione: essendo la parte conclusiva dell’art. 41 una specificazione di quanto la precede, essa disciplina una circostanza che mantiene come criteri di rilevanza la frequenza e l’incoerenza. A tali parametri (da tradurre, si diceva, in base al patrimonio conoscitivo acquisito), associa tuttavia l’ulteriore caratteristica di avere ad oggetto movimentazioni di banconote per entità pari o superiore a 15.000 euro. Si tratterebbe quindi di un indice di suscettibilità “rafforzato” che attiene alle categorie di operazioni in contanti di importo rilevante. In ultima analisi, rientra nella nozione di elemento di sospetto l’operazione condotta in contanti incoerente per frequenza e natura rispetto al profilo soggettivo, «specialmente se di importo eccedente i 15.000 euro» 25, ossia di ammontare oggettivamente superiore alla soglia individuata 26. Se è vero dunque che vi sono margini di autonomia valutativa (come gli aggettivi «frequente» e, soprattutto, «ingiustificato» confermano) riconosciuti all’intermediario di fronte all’operazione che si configuri come «elemento di sospetto», allora – a scapito della collocazione al primo comma a chiusura della disciplina dedicata al “sospetto” stricto sensu, che sembrava ad una prima lettura avvicinare la natura giuridica delle due nozioni – si è forse più prossimi ad un «indicatore di anomalia», anche se particolarmente qualificato dalla circostanza – tutt’altro che trascurabile – che è il legislatore stesso ad essere intervenuto compiendo a priori una valutazione ex lege 27.

25 La traduzione (contenuta nel Documento del Servizio Studi del Senato, Conversione in legge del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, giugno 2010, n. 221/2) dell’espressione «in particolare» usata dalla norma nell’avverbio «specialmente» conferma l’ipotesi per cui, ai fini della qualificazione come elemento di sospetto, un’operazione di ammontare superiore a 15.000 euro deve presentarsi altresì come incongruente rispetto alla specifica fattispecie soggettiva che l’ha posta in essere. 26 Tale precisazione in un certo senso ridimensiona il divario tra indice di anomalia ed elemento di sospetto (v. supra, nota 23), atteso che pure per quest’ultima nozione può rilevare l’ammontare dell’operazione compiuta in contanti. 27 La scelta d’intervenire sul corpo normativo di rango primario produce un ulteriore impatto, poiché sul piano astratto priverebbe la Banca d’Italia della possibilità – seppur remota – di escludere dal novero degli indici di anomalia la fattispecie in parola.

165


Legislazione

Questo quid pluris dell’«elemento di sospetto» rispetto al (mero) indicatore di anomalia potrebbe peraltro essere ravvisato non soltanto con riguardo alla gerarchia delle fonti, ma altresì su un piano ben più rilevante dal punto di vista dell’operatività quotidiana. Il tenore letterale e la struttura della disposizione potrebbero infatti indurre a considerare la fattispecie in oggetto come una “presunzione di sospetto”: la conseguenza sarebbe tanto l’inversione dell’onere della prova a carico dell’operatore 28, quanto, di riflesso e ancor più, un impatto negativo di non poco conto sull’approccio psicologico e metodologico, che potrebbe svilire, o comunque ridimensionare, l’apporto della “collaborazione attiva”. Se, al contrario, l’intenzione del legislatore si muove nella direzione di affinare il processo valutativo, allora si cercherà di preservare, in un certo senso, l’elemento del “dubbio” quale condizione psicologica prodromica al percorso d’indagine che si prospetta in capo all’operatore. La virtù dello stato d’incertezza consta proprio nello scrupoloso atteggiamento riflessivo che, spontaneamente, sorge nel tentativo di venirne a capo: il dubbio, in altri termini, (solitamente!) stimola l’ingegno. Diverso sarebbe invece l’approccio di chi si trovasse di fronte ad una valutazione compiuta a monte ope legis e dovesse impegnare l’intelletto non già per provare che una certa operazione sia «sospetta» ma, al contrario, confutare la presunzione che qualifica la stessa come tale 29. Quest’alternativa “scor-

28 Già l’indice di anomalia determina una sorta di “inversione dell’onere della prova”, dando vita di fatto ad un contradditorio tra vigilante e vigilato circa la dimostrazione a carico di quest’ultimo di essersi comportato, nella circostanza, in modo sano e prudente. 29 Metaforicamente, si possono ricondurre i due percorsi valutativi ad una strada “in salita” e ad una “in discesa”: se è vero, come è stato osservato, che l’apporto soggettivo richiede “fatica” giacché dovrebbe implicare un vero e proprio sforzo psicologico di contestualizzazione, in termini generali, del comportamento anomalo, è altrettanto condivisibile che una fattispecie già inquadrata dalla legge spianerebbe, in un certo senso, la strada all’operatore ma con il rischio d’incorrere nel controproducente effetto di indurlo per inerzia ad allinearsi passivamente alla presunzione compiuta a monte. È dunque fondamentale salvaguardare il momento del “dubbio”, fase essenziale per fornire l’abbrivio di una rigorosa e “sentita” indagine valutativa. Per dirla con Morera, Sul sospetto, cit., p. 114 (contributo specifico pubblicato, anche in Banc., 2009, 1, p. 68) «le operazioni in sé non inducono mai a ritenere, quanto, piuttosto, possono o meno suscitare il sospetto [lo stesso A., altrove (rispettivamente a p. 112 e a p. 68), chiama tale status psicologico «fase del dubbio»], momento assolutamente prodromico dell’induzione a ritenere». Questi concetti sono stati espressi dall’A. già vigente la l. n. 197/1991 (cfr. Morera, Sull’obbligo di segnalazione delle operazioni bancarie ex art. 3, legge «antiriciclaggio» n. 197/1991, in Dir. banc., 1999, I, p. 41).

166


Andrea Minto

ciatoia” psicologica non sembra tuttavia doversi prospettare, giacché la formula normativa non ripropone lo schema tipico delle presunzioni e, in secondo luogo, oggetto di tale istituto non sarebbe il «sospetto» bensì l’«elemento di sospetto». Infine, oltre a stare oggettivamente “stretta” come qualificazione giuridica, l’assimilazione dell’elemento di sospetto ad una presunzione iuris tantum striderebbe con lo spirito della disciplina antiriciclaggio non trovando sistematica ed armoniosa convivenza, in particolare, con il principio della “collaborazione attiva”, caposaldo dell’obbligo di segnalazione. È dunque fatto salvo integralmente l’apporto soggettivo. In conclusione, si converrà che non è possibile fermarsi ad una interpretazione letterale della norma: è alla “filosofia” complessiva della disciplina antiriciclaggio che deve invece guardarsi per poter trovare organica collocazione alla novella analizzata. Come si è cercato di chiarire, la formula «è un elemento di sospetto» non corrisponde all’espressione «è operazione sospetta», atteso che, se il legislatore avesse optato per questo secondo incipit, allora, per certi versi, si sarebbe forse potuto intravvedere all’orizzonte il tramonto della c.d. “collaborazione attiva”. Rimettendosi ad una visione teleologica, la formula potrebbe richiamare la «suscettibilità» 30 di cui parla la Direttiva comunitaria, ossia quell’inclinazione, intrinseca alla tipologia di operazioni in parola, a prestarsi (facilmente ma non necessariamente) alla ripulitura del c.d. “denaro sporco”. Sarà dunque il contributo soggettivo dell’intermediario, strutturato nel doppio grado valutativo prima ricordato, a rappresentare l’eventuale anello di congiunzione tra tale “predisposizione” e l’(attendibile) identificazione come fattispecie sospetta. Un obbligo di segnalazione pressoché automatico di operazioni in contante munite ex lege di un elemento di sospetto avrebbe viceversa potuto determinare un’alluvione informativa priva di utilità nella prospettiva delle finalità perseguite dalla normativa in parola 31, come indi-

30 Cfr. in proposito il già richiamato 18° considerando della Direttiva n. 2005/60/CE (v. supra, nota 6). 31 Volendo scherzare un po’, si potrebbe pensare come esempio ad una sfida da “guiness dei primati”, in cui un gruppo di amabili simpaticoni intendesse costruire la più grande torre di monetine e si chiedesse a tale scopo alla banca la “materia prima”: si vuol dunque ragionevolmente ritenere che il legislatore auspichi la segnalazione di tale operazione siccome “sospetta”? Un altro esempio, meno estremo e provocatorio, potrebbe essere quello di un esercizio commerciale di notevoli dimensioni, il quale, in vista del periodo natalizio, potrebbe trovarsi nella condizione di dover prelevare, o versare,

167


Legislazione

rettamente attestato tra l’altro dai ricorrenti richiami dell’UIF ed in precedenza dell’UIC, alla scrupolosa selezione delle operazioni che appaiano effettivamente meritevoli di segnalazione alle Autorità competenti 32. Nonostante la dignità di normativa primaria, l’«elemento di sospetto» va dunque percepito come una sorta di alert (qualificato) del sistema informatico preordinato ad evidenziare quello che, nel linguaggio dei pratici, è definito un “inatteso” 33. Insomma, non sempre né indiscriminatamente può dirsi che “galeotto fu” il contante, anche se è indubbio che di fatto esso rappresenti il “mezzo di pagamento” che più di ogni altro può prestarsi ad operazioni dalle finalità poco commendevoli. Come è stato opportunamente chiarito, frequenti ovvero ingiustificate operazioni in contanti – in particolare, versamenti o prelevamenti superiori alla soglia di 15.000 euro – debbono essere «considerate dagli intermediari [verrebbe da aggiungere: meri] elementi per inviare [se del caso] una segnalazione di operazione sospetta» 34.

considerevoli somme di denaro contante: anche in questo caso, mentre non avrebbe ragione di porsi una (automatica) segnalazione di operazione sospetta, dovrebbe viceversa maturare in capo all’operatore il dubbio circa la significatività della circostanza nella prospettiva degli obblighi antiriciclaggio, dubbi probabilmente subito dissipati in virtù del complesso di informazioni in suo possesso. 32 V., da ultima, Comunicazione UIF dell’8 luglio 2010, Schemi rappresentativi di comportamenti anomali ai sensi dell’art. 6, co. 7, lett. b) del d.lgs. n. 231/2007 – operatività connessa con l’abuso di finanziamenti pubblici. 33 Sul programma informatico “GIANOS” – procedura automatizzata predisposta su iniziativa autonoma del sistema bancario sempre al fine di agevolare gli operatori nell’individuazione di operazioni potenzialmente sospette – v. per tutti, in tempi recenti, l’esaustivo contributo di Berghella, Il sistema «GIANOS» e le procedure di supporto informatico, in Normativa antiriciclaggio, a cura di Cappa e Morera, cit., p. 155 ss.; già prima tuttavia, alla luce ancora della l. n. 197/1991, utili spunti di riflessione ed attente osservazioni in Bonfatti, Le iniziative della Banca d’Italia e delle Associazioni di categoria delle banche in materia di segnalazione di operazioni sospette di «riciclaggio»: il «Decalogo» e il «Generatore Indici di Anomalia per Operazioni Sospette - GIANOS», in Dir. banc., 1995, II, p. 40 ss., partic. p. 50 ss. 34 Così, ancora, la citata relazione governativa al provvedimento in esame. Si noti, qui, il mancato accostamento immediato tra i due termini «elemento» e «sospetto», osservazione che deve indurre a marcare ancora una volta la netta cesura rispetto alla nozione di «operazione sospetta»: come si è ripetuto ormai più volte, la formula «elemento di sospetto» non può rappresentare un sinonimo né una sorta di perifrasi della fattispecie giuridica qualificata come «operazione sospetta». D’altronde, milita in tal senso, sempre nella Relazione, pure il cambio lessicale o, meglio, il passaggio dal singolare al plurale nel riferirsi agli «elementi». Se la segnalazione poggia sul fondato sospetto, l’operazione in contanti qualificata come anomala dal legislatore (siccome frequente oppure ingiustificata) deve rappresen-

168


Andrea Minto

5. Una considerazione conclusiva critica: i rischi sottesi ad una concezione sempre più “polifunzionale” della disciplina antiriciclaggio. Discorrendo dell’incalzante susseguirsi di modifiche al d.lgs. n. 231/2007, è stata di recente segnalata la ricorrente tendenza a “piegare” le disposizioni antiriciclaggio alle esigenze del momento, com’è risultato evidente, ad esempio, nella vicenda che ha riguardato il c.d. “scudo fiscale” 35. Le conclusioni della dottrina appena riportate trovano ora ulteriori ragioni di conferma alla luce del d.l. n. 78/2010 e della relativa legge di conversione. Beninteso: posto che anche in questa circostanza, come in precedenza per il d.l. n. 112/2008, lo spunto per l’intervento del legislatore è derivato da esigenze finanziarie, non s’intende qui negare che una legislazione ispirata al perseguimento di determinati obiettivi possa essere sinergicamente utilizzata anche con altre finalità 36. Si pensi soltanto, nella stessa materia, alla norma (cfr. art. 36, co. 6, d.lgs. 231/2007) che nel contesto degli obblighi di registrazione dichiara espressamente

tare, appunto, soltanto una tra le molteplici componenti da vagliare lungo il percorso di ragionamento e di indagine che potrà, o meno, condurre all’identificazione dell’operazione in esame come sospetta e quindi alla dovuta segnalazione. Detto in tono scanzonato: cari intermediari, il contante non è (e non va percepito come) l’irresistibile “frutto del peccato” che induce aprioristicamente a riciclare: è lo specifico scopo con il quale il mezzo viene utilizzato che connota sul piano valutativo il ricorso allo strumento; abbiate bene a mente la delicata suscettibilità del contante al suo impiego per finalità illecite, ma la segnalazione va inoltrata in quanto pertinente soltanto all’esito del rigoroso iter previsto dalla disciplina di settore. 35 Cfr. in proposito le taglienti osservazioni compiute da Urbani, Le mobili frontiere della disciplina antiriciclaggio, cit., rispettivamente pp. 472-473 e pp. 252-253. 36 Ci si può ragionevolmente domandare se l’attuale e ricorrente spinta verso la polifunzionalità della disciplina antiriciclaggio s’inserisca sulla scia di quella più ampia e generale tendenza che è stata puntualmente definita da Alpa, Mercati mondiali in crisi. Ragioni del diritto e della cultura globale, in Riv. trim. dir. econ., 2009, p. 93, come «dissolvenza del rapporto tra norma e luogo», in ragione della quale saremmo in presenza di «una nuova realtà giuridica nella quale si affievoliscono le distinzioni tra gli ambiti del diritto […] in favore di una reductio ad unum di stampo economicistico». In altri termini, la logica del mercato globale spingerebbe sempre più verso la direzione dell’integrazione tra diverse materie, nella prospettiva di un processo normativo improntato a dinamismo e recettività del cambiamento. Se, dunque, appare non soltanto opportuno ma altresì necessario approntare un quadro di regole interdisciplinari, si deve seguire tale percorso non già sacrificando il singolo e specifico fine individuale per una “fumosa” finalità generale, bensì individuando quella corretta ed equilibrata “ricetta” di integrazione ed interrelazione delle diverse istanze in campo.

169


Legislazione

utilizzabili a fini fiscali i dati ricavabili dagli Archivi Unici Informatici 37. Tuttavia, si dovrebbe seguire sempre un percorso logico e coerente e mai il “vento” congiunturale, che per sua natura muta di frequente e confusamente: ed infatti, per un verso, la “brezza” del momento (alias il d.l. n. 78/2010) sorge da esigenze di stabilizzazione finanziaria e di rilancio dell’economia e sembra soffiare nella direzione dell’estremo ed assoluto rigore, almeno sul piano formale; per l’altro, la corrente di “ieri” (associata cioè al d.l. n. 112/2008), giustificata da medesime necessità, ha spinto verso opposti lidi, improntati ad un approccio liberale e, per certi versi, addirittura insofferente nei confronti di rigide previsioni in materia. Di fronte ai volubili scenari che si sono prospettati, la disciplina antiriciclaggio è stata dunque piegata – per mutuare un’immagine evocativa di deleddiana memoria – come “canne al vento” ad assecondare la contingente volontà del legislatore (delegato). In seguito all’ultima “manovra finanziaria”, le intensificate cautele intorno all’utilizzo del contante adombrano, sia dalla prospettiva delle limitazioni alla sua circolazione che nell’ottica dell’obbligo di segnalazione di operazioni sospette, un’azione congiunta e, almeno per certi versi, ulteriore rispetto a quella istituzionale e tipica antiriciclaggio, che implicitamente rimane tra le righe del provvedimento: la repressione dell’evasione fiscale. Non si intende qui certo criticare nel merito questa

37 La Circolare interpretativa del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro, prot. 281178, commenta il rigore degli obblighi di canalizzazione affermando che «l’intento è di scoraggiare l’uso di strumenti di pagamento anonimi che possono [non soltanto] favorire il riciclaggio [ma altresì] l’evasione fiscale». Sul possibile “sposalizio” tra prevenzione del fenomeno del riciclaggio e repressione dell’economia c.d. sommersa v. Buratti, I rapporti tra evasione fiscale e riciclaggio: profili di contiguità sostanziale e procedurale, in Normativa antiriciclaggio, a cura di Cappa e Morera, cit., p. 169 ss. Un limite ai benefici derivabili dalla “luce riflessa” della disciplina antiriciclaggio attiene peraltro alla «irrilevanza penale», almeno nella maggior parte dei casi, delle fattispecie legate all’evasione fiscale «con il conseguente decadimento di ogni ipotesi di riciclaggio»: si ricordi che in materia tributaria il d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 ha ridimensionato il novero dei “delitti fiscali” che, in quanto tali, si qualificano come reati presupposto del riciclaggio. Sul tema cfr. Caraccioli, La lotta al riciclaggio e il “pasticcio” del concorso nel reato, ne Il Sole 24 Ore, 24 luglio 2006, p. 25; Nuzzolo, Riciclaggio ed evasione fiscale: connessioni normative e sinergie nell’azione di contrasto, in Notiziario della Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, 2003, 5° bimestre, p. 690 ss.; più di recente, Trovati, L’antiriciclaggio alla base della lotta all’evasione, intervista ad Augusto Fantozzi, Presidente della sezione italiana dell’International Fiscal Association, ne Il Sole 24 Ore, 26 agosto 2010, p. 25 ss., in cui l’intervistato sostiene che «le norme per bloccare l’uso del denaro sporco e la trasparenza hanno aiutato l’azione del fisco».

170


Andrea Minto

scelta, che d’altronde non può che riscuotere facili e larghi consensi non fosse altro che per i virtuosi intenti formalmente perseguiti; piuttosto, com’è compito del giurista, le riserve si possono esprimere in punto di tecnica legislativa, dal momento che quando s’interviene su una materia così specifica e puntuale, costruita su un laborioso castello di norme saldamente collegate, si dovrebbero sempre indossare gli occhiali utili ad affinare la vista “da distante”, che consentano, cioè, di adottare uno sguardo ampio e di sistema tale da cogliere tutti i possibili riflessi di un intervento modificativo sull’impianto normativo già in vigore. In altri termini, un camaleontico adattamento del d.lgs. n. 231/2007 alle esigenze contingenti potrebbe implicare un’opacizzazione delle primarie finalità per metterne in luce altre, divenute (momentaneamente) pariordinate alle originarie. Tuttavia, in quanto radicate su un terreno disciplinare estraneo ai delicati profili di integrazione, le esigenze da ultimo avvertite risulterebbero comunque ancillari. Si potrebbe così correre il rischio non soltanto di render vane le auspicate e virtuose sinergie interdisciplinari, ma altresì di sortire un deleterio e addirittura controproducente affievolimento dei “pilastri” che sorreggono tale impianto normativo: come recita un popolare adagio “chi troppo vuole nulla stringe”. Per quanto senz’altro arduo, non appare peraltro impossibile creare una poliedrica disciplina che riesca efficacemente ad ottenere – richiamando, quasi per una sorta di par condicio, il complementare detto proverbiale – “due piccioni con una sola fava”: allorquando si intendesse procedere verso tale virtuosa direzione, sarebbe allora necessario intervenire però con la consapevolezza che la materia antiriciclaggio è estremamente tecnica – basti pensare a titolo d’esempio come da scelte lessicali imprecise (id est, l’espressione «elemento di sospetto» sulla quale abbiamo avuto modo di discorrere) possano sorgere potenziali minacce a principi di sistema quali la “collaborazione attiva” – e realizzata su un equilibrato gioco di specchi riflettenti, il quale, se venisse sbilanciato, rischierebbe di illuminare con meno intensità le “fitte tenebre” della ripulitura del denaro “sporco” e del finanziamento del terrorismo.

Andrea Minto

171



Indici dell’annata PARTE SECONDA

legislazione D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 21 – Attuazione della direttiva 2007/44/ CE, che modifica le direttive 92/49/CEE, 2002/83/CE, 2004/39/CE, 2005/68/CE e 2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario Le partecipazioni nelle banche. Prime note sul decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 21, di Gennaro Rotondo Manovra economica e legge fallimentare. Decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, conv. con l. 30 luglio 2010, n. 122, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, con osservazioni di Alessandro Nigro Manovra economica e antiriciclaggio. D.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con l. 30 luglio 2010, n. 122, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica (art. 20, 36, 37) Le “canne al vento” della disciplina antiriciclaggio: brevi riflessioni a margine di alcune disposizioni del d.l. n. 78/2010, di Andrea Minto

pag. 85 »

93

» 123

» 145

» 149

documenti e informazioni Banca d’Italia – Provvedimento 29 luglio 2009 sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari e sulla correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti Il provvedimento della Banca d’Italia del 29 luglio 2009 in tema di trasparenza bancaria, di Marco Palmieri – Francesco Vella

»

3

»

51

173


Norme redazionali

I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)

II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …

174


4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).

III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile codice di commercio Costituzione codice di procedura civile codice penale codice di procedura penale decreto decreto legislativo decreto legge decreto legge luogotenenziale decreto ministeriale decreto del Presidente della Repubblica disposizioni sulla legge in generale disposizioni di attuazione disposizioni transitorie legge fallimentare

c.c. c.comm. Cost. c.p.c. c.p. c.p.p. d. d.lgs. d.l. d.l. luog. d.m. d.P.R. d.prel. disp.att. disp.trans. l.fall.

175


Norme redazionali

legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)

l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.

2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale Corte di Cassazione Sezioni unite Consiglio di Stato Corte d’Appello Tribunale Tribunale amministrativo regionale

C. Cost. Cass. S. U. Cons. St. App. Trib. TAR

3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.

176


Norme redazionali

Diritto industriale Diritto dell’informazione e dell’informatica Economia e credito Enciclopedia del diritto Enciclopedia giuridica Treccani Europa e diritto privato Foro italiano (il) Foro napoletano (il) Foro padano (il) Giurisprudenza commerciale Giurisprudenza costituzionale Giurisprudenza italiana Giurisprudenza di merito Giustizia civile Il fallimento Jus Le società Notariato (11) Novissimo Digesto italiano Nuova giurisprudenza civile commentata Nuove leggi civili commentate (le) Quadrimestre Rassegna di diritto civile Rassegna di diritto pubblico Rivista bancaria Rivista critica di diritto privato Rivista dei dottori commercialisti Rivista del notariato Rivista della cooperazione Rivista di diritto civile Rivista del diritto commerciale Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista italiana del leasing Rivista delle società Rivista giuridica sarda Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile

Dir. ind. Dir. inform. Econ. e cred. Enc. dir. Enc. giur. Europa e dir. priv. Foro it. Foro nap. Foro pad. Giur. comm. Giur. cost. Giur. it. Giur. merito Giust. civ. Il fallimento Jus Le società Notariato Noviss. Dig. it. Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civ. Quadr. Rass. dir. civ. Rass. dir. pubbl. Riv. banc. Riv. crit. dir. priv. Riv. dott. comm. Riv. not. Riv. coop. Riv. dir. civ. Riv. dir. comm. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. Riv. it. leasing Riv. soc. Riv. giur. sarda Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.

177


Norme redazionali

4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesin­ger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cu­ra di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, To­rino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Tori­no, Tratt. soc. per az., diretto da Co­lombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume

IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze e, successivamente, gli estratti.

178


Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria Cedola di sottoscrizione q Abbonamento 2011 (4 fascicoli): € 110,00 Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento q assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA q versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) q bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 W 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) q a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) q carta di credito q MasterCard q VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................

Inviare il presente modulo all’Editore: Pacini Editore SpA via Gherardesca - 56121 Ospedaletto-Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • info@pacinieditore.it è possibile acquistare la rivista direttamente sul sito dell’Editore



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.