Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
4/2011 Saggi
ISSN 1722-8360
di particolare interesse in questo fascicolo
• Crisi finanziaria e regolazione
• Informazione bancaria
• Cessione di rapporti e principio di buona fede
• Sintesi di giurisprudenza
ottobre-dicembre
4/2011 anno xxv
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ottobre-dicembre
4/2011 anno XXV
Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è coordinato dal prof. Vittorio Santoro.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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SOMMARIO 4/2011
PARTE PRIMA Saggi Rileggendo l’art. 1 del Testo Unico Bancario, di Sandro Amorosino Rethinking Regulation and Oversight to Learn the Lesson from the Crisis, di Vittorio Conti Il costo dell’informazione bancaria, di Maurizio Sciuto Operazioni societarie straordinarie e procedure di composizione negoziale delle crisi, di Federico Briolini
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Commenti Cessione di rapporti giuridici e obbligo di comunicazione ai clienti – Arbitro Bancario e Finanziario (Roma), decisione 6 dicembre 2010 La pubblicità delle cessioni ex art. 58 t.u.b. e doveri integrativi gravanti sul cedente desumibili dai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contratti, di Aldo Laudonio
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» 632
Fatti e problemi della pratica Requisiti di onorabilità e requisiti reputazionali degli esponenti e dei soci di società bancarie, di Mario Bussoletti e Alessandro Nigro
» 651
Rassegne Sintesi di giurisprudenza (IV trimestre 2010)
» 659
Autori
» 683
Indici dell’annata – Parte prima
» 685
PARTE SECONDA Legislazione Le disposizioni correttive apportate al d. lgs. n. 141/2010 - D. lgs. 14 dicembre 2010, n. 218, recante modifiche ed integrazioni al d. lgs. 13 agosto 2010, n. 141, con osservazioni di Francesco Mazzini La nuova disciplina degli intermediari finanziari – D. lgs. 1 settembre 1993, n. 385, tit. V, recante la disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, come modificato dal d. lgs. n. 141/2010 e dal d. lgs. n. 218/2010 Prime riflessioni sulla riforma degli intermediari finanziari, di Gian Luca Greco
pag. 185
» 203 » 213
Documenti e informazioni
La raccolta abusiva del risparmio: il ruolo della Guardia di Finanza nella tutela del mercato dei capitali, di Giampiero Ianni
» 233
Indici dell’annata – Parte seconda
» 243
Norme
» 244
redazionali
PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
SAGGI
Rileggendo l’articolo 1 del Testo Unico Bancario Sommario: 1. Le indicazioni e descrizioni contenute nell’art. 1. – 2. Il riferimento alle “autorità competenti” come embrione linguistico del futuribile Codice unico dei mercati finanziari. – 3. Le modifiche all’art. 1 dal 1993 al 2011. – 4. Brevi considerazioni sulle modifiche. – 5. Banche autorizzate e banche abusive.
1. Le indicazioni contenute nell’art. 1. Nel 1994, annotando l’art. 1 del t.u.b. nel primo commentario pubblicato (Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Padova, 1994), M.S. Giannini ne trasse spunto per riflessioni di grande interesse sulla fatale imprecisione anche del linguaggio giuridico, dovuta all’«ininterrotto variare nel tempo e nello spazio dei significati … dei vocaboli giuridici, variare che può investire le significazioni essenziali, ma più spesso investe significati e volumi di natura applicata, d’uso, speciali, relazionali, contingenti e così via». Con la conseguenza che le definizioni contenute nella norma dovrebbero avere soprattutto due funzioni una determinatoria (del significato valido; certo in quanto fissato dalla legge), l’altra eliminatoria di ogni altro significato possibile. Nel testo originario dell’art. 1 Giannini distingueva una prima parte (il co. 1) che recava «semplicemente una indicazione filologica di sigle e di parole, senza propria valenza giuridica» ed una seconda parte (il co. 2) che, salvo in un caso, non conteneva definizioni in senso proprio, ma «piuttosto delle indicazioni di qualità o di caratteri giuridici posseduti da alcuni istituti, giuridicamente altrove definiti». Faceva, in proposito, un esempio apicale: la definizione di banche, si trova negli artt. 10 e 11 del t.u.b., mentre nell’art. 1 si indicano significati di aggettivi qualificativi (italiana, comunitaria, extracomunitaria). L’unico effetto definitorio veniva attribuito all’elenco delle attività ammesse al mutuo riconoscimento (elenco peraltro aperto: v. infra),
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il quale «a rigore non è una definizione … ma la filologia non ha qui cittadinanza». L’unica utilità delle definizioni dell’art. 1 è a fini pratici, per orientare i non giuristi. Le disincantate, ma dogmaticamente puntuali notazioni di Giannini costituiscono tuttora un utile viatico per chi si ponga a rileggere, l’art. 1, nel suo testo attualmente (2011) vigente. È da ricordare che il tema delle definizioni non fu affrontato ex professo nel secondo commentario, in ordine cronologico, del t.u.b. (La nuova legge bancaria, a cura di Ferro-Luzzi e Gastaldi, Milano, 1996), i cui curatori scelsero la forma del commento sistematico, per istituti e non per articoli, dunque ritennero l’art. 1 inconferente. Fu, invece, ripreso nel terzo commentario (Belli, Commento all’art. 1 in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio e Santoro, Bologna, 2003) con un’analisi ancor più critica di quella di Giannini, “giocata” non sui concetti generali, ma sulle interrelazioni tra definizioni e disciplina degli istituti “bancari”.
2. Il riferimento alle “autorità competenti” come embrione linguistico del futuribile Codice unico dei mercati finanziari. Nei molti anni trascorsi, ormai, dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 385/1993 il testo originario dell’art. 1 ha subito vari “ritocchi”, originati da esigenze eterogenee, che tuttavia non ne hanno stravolto la struttura di fondo. Le modificazioni sono consistite prevalentemente in aggiunzioni, talora in sostituzioni, in un solo caso in sottrazioni (più precisamente da una aggiunzione, nel 2004, seguita da un’abrogazione, nel 2010). Iniziando dal co. 1 – che reca le indicazioni meramente individuative – viene in rilievo, per il suo significato sistemico, l’indicazione sintetica come «autorità competenti» delle autorità di vigilanza sulle banche, sulle assicurazioni, sulle imprese ed organismi di investimento e sui mercati finanziari. Si tratta di un riconoscimento – pur meramente linguistico – di un dato di fatto: l’omogeneità di struttura d’apice dei tre ordinamenti organizzatori – bancario, finanziario ed assicurativo – che hanno ai loro vertici autorità indipendenti di vigilanza dotate di poteri – normativi, d’intervento operativo, conformativi e sanzionatori – di schietta natura pubblicistica. (v. Amorosino, Principi generali e poteri pubblici nell’organizzazione dei mercati finanziari in ID, Regolazioni pubbliche, mercati ed imprese, Torino 2009, p. 65 ss).
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Poiché anche gli istituti giuridici utilizzati dalle tre Autorità di vigilanza “finanziarie” sono i medesimi – norme secondarie e terziarie di vigilanza, ispezioni, provvedimenti conformativi e sanzionatori, gestioni straordinarie, etc. – non appare, oggi, irrealistico pensare ad un unico Codice dei mercati finanziari, tanto più che anche a livello europeo si sta verificando un processo di avvicinamento e di stretto parallelismo delle regolazioni e delle “agenzie di vigilanza” sui tre mercati, con in più la creazione di un’Agenzia unica per i macrorischi finanziari (in tema v. da ultimo D’Ambrosio, La risposta europea alla crisi finanziaria: la costruzione di un sistema di vigilanza unitario e gli effetti sull’ordinamento nazionale in Galanti, D’Ambrosio e Guccione, Storia della legislazione bancaria, finanziaria e assicurativa, Roma, 2011, p. 429 ss). Di questo futuribile “Codice unificato” (ad onta dello scetticismo di Costi, Pubblico e privato nelle norme su Borsa e Finanza, relazione al Convegno di presentazione della ricerca Storia della legislazione bancaria, cit., tenutosi in Banca d’Italia il 14 novembre 2011), la locuzione unificante dell’art. 1 del t.u.b. potrebbe essere una sorta di segnale luminoso inviato da un faro nella nebbia (nello stesso senso già Belli, Commento all’art. 1, cit.).
3. Le modifiche all’art. 1 dal 1993 al 2011. Venendo alla parte propriamente dedicata alle “definizioni”, con tutto il carico di approssimazione che esse inevitabilmente hanno, vengono in rilievo – per le loro implicazioni giuridiche – sia profili già presenti nel testo originario dell’articolo, sia profili introdotti da “micro novelle” successive, a partire dal d.lgs. 4 agosto 1999, n. 333. Seguendo l’ordine cronologico della “stratificazione” delle norme merita innanzitutto ricordare l’ultima categoria ricompresa nel citato elenco di attività ammesse al mutuo riconoscimento (del quale, peraltro, l’art. 1 non dà la definizione, come somma della libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi e dell’home country control). La disposizione di cui al co. 2, lett, f), n. 15, ricomprende tra le attività delle banche ammesse al mutuo riconoscimento (oltre a tutte le attività finanziarie, nel senso più ampio, elencate nei precedenti nn., da 1 a 14), anche «altre attività che, in virtù delle misure di adattamento assunte dalle autorità comunitarie, sono aggiunte all’elenco allegato…» alla II Direttiva in materia creditizia (n. 89/646). In virtù di questa disposizione l’oggetto sociale legittimo delle società bancarie, già molto ampliato nel t.u.b. (Desario, Il Testo Unico delle leggi bancarie e creditizie e il nuovo ruolo della vigilanza, in La nuova legge, cit., Tomo I, p. 64), viene automaticamente ampliato al semplice
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verificarsi del fatto dell’adeguamento dell’elenco da parte delle autorità comunitarie. È, dunque, una tipica “clausola” di recepimento automatico. Viene poi in rilievo la tipizzazione normativa – art. 1, co. 2, lett. h) – degli «stretti legami» (vale a dire i pregnanti rapporti giuridici, ed economici, tra una banca, ed un soggetto italiano o estero); tipizzazione che è volta ad estendere l’ambito della vigilanza bancaria anche a situazioni che non sono riconducibili alla pur ampia nozione di controllo di società bancarie (su cui v., Serra, Commento all’art. 23; in Commentario, cit.; Guarracino, Commento all’art. 23, in Disciplina delle banche e degli intermediari finanziari2, a cura di Capriglione, Padova, 2000 e Manzone, La nozione di controllo, in La nuova legge, cit., Tomo I, p. 370), ma che sono tuttavia suscettibili di condizionare il regolare svolgimento dell’attività bancaria (Capriglione, Commento all’art. 9, in Disciplina, cit., p. 8). Che questa sia la ratio della tipizzazione è confermato dal terzo comma dell’art. 1 (aggiunto con d.lgs. 4 agosto 1999 n. 333), il quale attribuisce alla Banca d’Italia la potestà di qualificare ulteriormente, in conformità alle deliberazioni del C.I.C.R., la nozione di stretti legami, al fine di evitare ostacoli all’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza. È questa una tra le tante disposizioni del t.u.b. che attribuiscono, esplicitamente o implicitamente, alle autorità creditizie una potestà normativa integrativa, a tutti gli effetti, delle fonti primarie (Amorosino, voce Banca (diritto amministrativo), nella Enc. dir., Vol. IV di aggiornamento, Milano, 2000). Sempre in ordine cronologico sono seguite le integrazioni apportate al testo originario dell’art. 55, l. n. 39 del 2002, per recepire le Direttive europee, relative agli «istituti di moneta elettronica» (co. 2, lettera h-bis) e alla «moneta elettronica» (co. 2, lettera h-ter). Alcune disposizioni, per così dire “estensive” e di coordinamento, sono state poi introdotte con il d.lgs. n. 37/2004, per adeguare le definizioni del t.u.b. alla riforma del diritto societario [in tema di «partecipazioni» (lettera h-quater) e di applicabilità dei riferimenti, nel t.u.b., agli organi societari tradizionali di amministrazione e controllo, anche al consiglio di gestione (co. 3-bis), al consiglio di sorveglianza ed al comitato di controllo sulla gestione (co. 3-ter)]. Infine, modifiche sono state apportate nel 2010, per quanto riguarda le attività ammesse al mutuo riconoscimento, sia con la sostituzione della disposizione relativa all’«emissione e gestione di mezzi di pagamento» (co. 2, lett. f), n. 5), operata dall’art. 35 del d.lgs. n. 11/2010), sia con l’aggiunta, (sempre ad opera dell’art. 35 del d.lgs. n. 11/2010), degli «istituti di pagamento» (co. 2, lettera h-sexies), degli «istituti di pagamento
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comunitari» (lettera h-septies) e della «succursale di un istituto di pagamento». Sorte “infausta” ha avuto, invece, la definizione di «partecipazioni rilevanti» (co. 2, lettera h-quinquies), introdotta dal d.lgs. n. 37/2004, ma abrogata dal d.lgs. n. 21/2010.
4. Brevi considerazioni sulle modifiche. Dai rapidi richiami delle modifiche via via introdotte nell’art. 1 nel lungo periodo ormai trascorso dall’approvazione del t.u.b. si possono trarre tre brevi considerazioni. In primo luogo è da sottolineare che la funzione dell’art. 1 – essenzialmente descrittiva o di mero richiamo di categorie giuridiche o tipi di attività – mal si presta ad interventi sostanziali, che incidono cioè su discipline materiali di istituti ed attività bancarie. Le innovazioni rientrano quindi in quella che è stata chiamata “manutenzione delle fonti” (v. Malo, Manutenzione delle fonti mediamente testi unici, Torino, 2004), con la specificazione che si è trattato il più delle volte di una manutenzione formale. Ne consegue che le numerose “sopravvenienze”, a livello sistemico, in tema di organizzazione giuridica dei mercati finanziari, succedutesi dalla seconda Direttiva banche (89/646) ad oggi (sulle quali v. ad oggi Galanti, Dalla seconda direttiva, cit., p. 111 ss), mentre sono state determinanti per l’evoluzione complessiva della legislazione interna – a partire dal sistema delineato nello stesso t.u.b. – non hanno avuto che qualche riflesso nell’articolo 1. La seconda notazione riguarda la conferma della limitata utilità, già evidenziata da Giannini, degli elenchi di indicazioni e definizioni. La terza notazione riguarda il fatto che nell’art. 1 non vi sono solo elencazioni, ma si rinvengono anche disposizioni cosiddette “di scorrimento”, in quanto contengono definizioni aperte a successive integrazioni, le quali possono sopravvenire sia “dall’alto” che “dal basso”. “Dall’alto”, vale a dire dall’Unione europea, laddove – come s’è visto – si statuisce che rientrano automaticamente tra le attività ammesse a mutuo riconoscimento anche “altre attività” che in ipotesi aggiunte, via via, dalle autorità comunitarie, all’elenco allegato alla II Direttiva banche. “Dal basso”, vale a dire da norme secondarie interne, laddove si rimette alla Banca d’Italia di qualificare – id est specificare, ma anche integrare – la definizione di «stretti legami».
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5. Banche autorizzate e banche abusive. Oltre alle questioni di esegesi normativa direttamente connesse alle più recenti integrazioni del t.u.b. vi è poi una questione implicata dalla qualificazione – nell’art. 1 – come banche soltanto delle banche autorizzate. Si è, infatti, riproposto il tema del regime giuridico delle banche di fatto, abusive, le quali – non essendo autorizzate – non sono banche e dovrebbero essere escluse – secondo taluni – dal regime pubblicistico delle società bancarie, in particolare per quel che riguarda l’assoggettamento, in caso di dissesto finanziario, alla procedura di liquidazione coatta amministrativa. Secondo questa tesi le società abusive dovrebbero esser assoggettate alla legge fallimentare. In proposito appare convincente tuttavia la tesi di chi (Antonucci, Diritto delle banche4, Milano, 2009) ritiene debba prevalere sulla (carenza di) qualificazione formale l’elemento sostanziale dello svolgimento abusivo di un’attività tipica delle banche e la correlata inerenza a tale fenomeno dell’interesse pubblico di tutelare, soprattutto nelle situazioni di dissesto, i risparmiatori affidatisi a queste figure soggettive abusive. Conseguentemente anche le banche di fatto sono assoggettabili, da parte della Banca d’Italia, alla procedura di liquidazione coatta amministrativa. Ciò, peraltro, non vuol dire che siano assoggettate a vigilanza della Banca d’Italia, la quale non può conoscerne l’esistenza, almeno sino a quando non venga scoperta nell’ambito di indagini penali. Appare, quindi, assurdo imputare alla Banca d’Italia una mancata vigilanza, come è avvenuto nel processo penale riguardante il c.d. “Madoff dei Prioli”.
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Rethinking Regulation and Oversight to Learn the Lesson from the Crisis* Abstract During the last few years thousands of pages have been written to describe what happened, even if we need to dig a bit deeper to understand how come in the past four years an increasing number of events have fallen in the tails of our probability distributions, without soliciting any early intervention by the relevant Authorities. Among the main driving forces that have reshaped the financial landscape, the following ones are usually underlined: (a) a pervasive financial integration that has increased interdependence, amplified diversification opportunities and widely dispersed risk; (b) greater interactions between technical progress and financial innovation; (c) the emergence, out of the shadows, of new financial intermediation models and new complex financial products, both relying on sophisticated risk management techniques. Two examples can help in understanding the changes underway, their likely persistence and their possible drawbacks: the Originate to Distribute model and the “mutation” of Exchange Traded Funds (ETF). To address the question on the role of regulation and oversight, we could ask whether we are living in a deterministic world, in which it is possible to learn from our past mistakes to conceive better policy tools, or in a stochastic context in which potentially disruptive extreme events inevitably belong to the tails of probability distributions. As it cannot be excluded that also in the future we will have to face the drawbacks induced by wrong or misaligned macro-economic policies and incomplete rule-books, the Authorities have to reconsider their approach. The need of being more “proactive” than “reactive” is imposed by the complexity, rapidity and pervasiveness accompanying the mutations of the financial landscape. These dynamics inevitably open up the distance between reality on one hand and the regulatory system on the other. That’s why, not to be caught lagging behind it, they need to change their rules and oversight approaches as well. This means: less but more effective rules balanced, more focused oversight and enforcement practices, more cooperation and more investments in methodological tools for a better understanding of financial innovation.
* Lecture given at the University of Siena, Laurea Magistrale in Finance – Asset Allocation, 27 May 2011. The opinions expressed in this work are those of the author and may not necessarily reflect the views of Consob.
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In Europe ESMA is addressing these issues to face, in due time, any possible negative implications on retail investors, as well as on systemic financial stability. In a globally ever more interconnected context, we do need up-dated, state of the art tools to effectively keep under control and manage the growing riskiness surrounding us. The capability of foreseeing market dynamics must be strengthened, to prevent in due time that innovative products and processes are utilized to trigger, amplify or hide the vicious circle that, during the last decade, has very often transformed financial activities from being a tool into an end in itself, with potentially disruptive, uncontrolled systemic consequences. Summary: 1. Introduction. – 2. On discontinuities. – 3. Rethinking regulation and oversight.
1. Introduction 1.1 Four years ago Prof. Niall Ferguson 1 published an essay underlining that a long-term perspective is the most appropriate one to interpret the financial turmoil still surrounding us. To be more precise, he takes the point that an effective approach for the reading of it is the “Darwinian evolutionary law”. In fact, the Financial Services Industry has many of the defining characteristics of a true evolutionary process, as we have: • “genes”, that is an organizational memory and a specific role in the co-evolution process; • the potential for a spontaneous “mutation” induced by technologically driven innovation; • “natural selection” through a competitive allocation of capital and human resources, that induces differential survival; • scope for “speciation” and “extinction”, that is the creation of entirely new species with some of the existing ones dying out all together. He also observes that in the financial sector, along with natural selection, we have as well “institutional mutations”, that is random shifts that can introduce some more or less recurring disruptions in the form of geopolitical shocks, financial crises and regulatory interventions. Facing the regulatory issue, Ferguson underlines that, whereas evolution in biology takes place in a natural environment where changes happen essentially at random, in the financial services it occurs within a “regulatory framework” that can play a predominant role in the shap-
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Ferguson and Wyman, The evolution of financial services, Oliver Wyman Limited.
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ing of it. That happens, for instance, when we prevent the extinction of some banks by bailing them out to protect retail investors and/or to pursue a macro-stability goal. When regulation comes into the picture, the whole evolutionary perspective is challenged, as regulation resembles more what an anti-Darwinian “creationist” would define as the outcome of an “intelligent design”. 1.2 It is quite curious that terms like “mutation” and “adaptation” have been recently used explicitly by the Financial Stability Board while soliciting the urgency to conceive a viable range of regulatory options, sound enough to address the issues posed by the so-called “shadow banking system”. This term is widely used but there is no commonly agreed definition of it even if, broadly speaking, it reflects the growing importance of activities structured outside the regulated Banking System, but performing bank-like functions. The provocative approach suggested by Prof. Ferguson poses two types of questions. The first one relates to the nature and persistence of what’s going on; the second concerns the role, or if you prefer the responsibilities, of the Authorities both as regulators and supervisors.
2. On discontinuities 2.1 Elaborating a bit on the first question, we could start by asking, as somebody did, if we are experiencing a severe winter or, rather, the prelude of a new glacial era. During the last few years thousands of pages have already been written to describe what happened 2, even if we need to dig a bit deeper to understand how come in the past four years an increasing number of events have fallen in the tails of our probability distributions, without soliciting any early intervention by the relevant Authorities. You are certainly already aware of how difficult it is to handle a tail. In fact, when some event falls more and more systematically in one tail, very likely our models are no longer up to the task of properly describing the outside world.
2. On the dynamics and on the foreseeable occurrences of the crisis: Roubini and Mihm Crisis Economics, Allen Lane, London, 2010; Stiglitz, Freefall: America, Free Markets, and the Sinking of the World Economy, Norton, 2010.
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So, first of all, we have to investigate the nature of any possible new structural set-up, to be able to adjust our tools to the new occurrences. In other words we have to find out if new species have already taken form, protected by the shadows surrounding the financial system: that is, outside the remit of what is already known, properly regulated and effectively overviewed. 2.2 In a simplistic way financial market dynamics could be described as characterized by new business practices, supported by innovative financial products, within a regulatory environment pervasively grounded at microlevel, but unable to intercept the macro-systemic implications in due time. Among the main driving forces that have reshaped the financial landscape, the following ones are usually underlined: • a pervasive financial integration that has increased interdependence, amplified diversification opportunities and widely dispersed risk; • greater interactions between technical progress and financial innovation; foremost, • the emergence, out of the shadows, of new financial intermediation models and new complex financial products, both relying on sophisticated risk management techniques. All this has significantly increased “participation costs” 3 for “uninvolved” and “uninformed” investors and opened up the possibilities for some intermediaries, like banks, to reduce these costs by acting as an interface, through innovative products, between market complexities and their customers. Two examples can help in understanding the changes underway, their likely persistence and their possible drawbacks. The first one is a case of “co-evolution”; I am referring to the intermediation model labeled OTD (Originate to Distribute) conceived some years ago. The second is an example of the “mutation” of Exchange Traded Funds (ETF), induced by the underlying product innovation in progress. 2.3 The basic structure of the OTD model can be described as follows: instead of holding their originated loans to maturity, banks started repackaging and selling them to other investors through increasingly
3. Allen and Santomero, (1998), The theory of financial intermediation in Journal of Banking and Finance, 21, 1998, 11,12; Allen and Santomero, What financial intermediaries do?, in Journal of Banking and Finance, 25, 2001, 2.
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complex securitization techniques 4. Consequently, credit risk was no longer on the banks’ books, but potentially dispersed among a multitude of investors very often unaware of the underlying riskiness. The rosy side of this approach leads one to believe that the new model permits a more efficient allocation of credit risk, by reducing illiquidity cost and freeing up capital on the supply side while, on the demand side, by opening the credit risk market to investors in search of higher yields and greater diversification opportunities and by dispersing it among a larger number of investors with different risk appetites. However, along with the just mentioned advantages, this structural change also entails a number of dangers; some intrinsic to its mechanism, others more related to the greater interdependence of the financial system. In fact, the present financial turmoil has brought out the weaknesses of the OTD model; the recent sub-prime collapse is a good example of its malfunctioning. We can list five of them: • the pricing of the new structured financial products (ABS, CDO, CDS…) is not so trivial, as these instruments are very often complex, illiquid and opaque. Their valuation depends on sophisticated and data intensive models; consequently an incomplete set of data may induce substantial “model risks” and exacerbate, as recently happened, the model failure problem 5; • the role of rating agencies is crucial as they serve as third-party certifiers of the quality of structured products; in so doing, they face technical and incentive problems. In fact, these products are not usually traded on secondary markets so no public information on their value is available; therefore, conflict of interests can be particularly acute. Moreover, while their evaluations are expressed in discrete time, market standards would require a continuous flow of information; • the incentive for banks to act as delegated monitor for their borrowers is substantially weakened as the loan generator no longer holds its risk. Therefore, the interest of banks to avoid the deterioration of their loan portfolios is greatly diminished; • once structured financial products are sold there is no telling where the risk will end up; maybe in unregulated high-leveraged institutions
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This move is perfectly in line with the idea that banks, in order to survive in the new landscape, have had to reinvent their business approach developing new innovative products, as suggested by Allen and Santomero, op. cit. 5. Danielsson, Blame the models, in The First Global Financial Crisis of 21st Century, Cepr, 2008.
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(such as conduits, hedge funds or vehicles) that may pile up substantial credit, maturity and liquidity risk as well; • it is self-evident that under these conditions, lacking sufficient information, any adverse event might trigger enormous losses and lead to a liquidity squeeze in money markets, with relevant stability implications. As a result, while systemic events have been perceived less likely thanks to diversification and risk dispersion, their impact and costs went up because of the overall increase in leverage and interdependence. That’s why the “tail” risk turned out to be larger than commonly thought and the probability of extreme events has been systematically underestimated for a long time. So as to complete the picture, it can be useful to remember that in 2002-03, given the low interest rate environment induced by the lax US monetary policy, the just mentioned structured-credit-products have helped the institutional investors to obtain suitable returns and, in the following two years, the banks to fund an increasing demand for loans, easing in the meantime their credit risk assessment standards. Broadly speaking, it has also been underlined that, because of the OTD model in place, a more diffused short-termism has influenced the decisions of households, banks and institutional investors, along with the views of the rating agencies 6. 2.4 To introduce the ETF 7 mutation, we can move from the significant reduction of the investors risk appetite induced by the financial crisis, and from the financial intermediaries’ attempt to curb this trend, by adding some innovative features to the existing plain vanilla investment funds, marketed as ETFs since the early 90’s as a cost and tax efficient alternative to mutual funds. In fact, with time, the investors’ expectations of higher returns for their investments through plain vanilla-like financial products – flexible, transparent and liquid as tradable, like stocks, on an exchange or a platform – has been faced by intermediaries looking for alternative in-
6. Linciano, La crisi dei mutui subprime. Problemi di trasparenza e opzioni di per le Autorità di vigilanza, CONSOB Documenti, 62, settembre 2008. 7. Etfs are investment products that track an index, trade continuously on exchanges and are redeemable daily. Their main advantage is to combine low diversification costs of index linked and basket products with the high liquidability of individual stocks on regulated markets. Before the mutation I am going to describe, ETFs have been labeled as “noncomplex” and marked as such for retail investors under the UCITS regulatory regime.
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vestment vehicles to structured products and adding complexities to the ETFs underlying replication schemes. Now-a-days ETFs are definitely growing in complexity and moving away from being a plain vanilla cost and tax efficient alternative to mutual funds, not only because of the broader range of indexes and strategies they track, covering equities, bonds, commodities, currencies and sector specific asset aggregations. The point is that along with “physical” replicating or “cash-based” ETFs – which replicate the performance of an underlying index by usually investing in a sample of the securities in the index – “synthetic” or “swap-based” index-tracking ETFs are becoming more and more diffused. Broadly speaking, in this type of ETFs the provider sells ETF shares to investors, invests the amount received in a collateral basket (that can differ greatly from the reference index) and swaps the performances of the basket securities for the return from the reference one. Recently a new breed of “exotic structures” showed up, the so called “leverage” ETFs delivering returns that are multiples of the daily performance of the index or benchmark they track and “leverage inverse” ETFs that deliver a return that is a multiple of the inverse performance of the underlying products 8. We have already mentioned some of the benefits associated with this product innovation, both for investors and market participants. Among them: lower fund management fees, cost and tax efficiency, easier access to an amplified set of asset classes and new types of risk; we can also add the possibility to avoid both high rebalancing costs and tracking error issues associated with physical replication, to take short positions to hedge existing exposure cheaply and to implement tactical asset allocation decisions. But these benefits come at high costs, also from a stability perspective. The complexity and the opacity characterizing these financial products significantly undermine the investors’ capability of understanding, monitoring, and consequently anticipating, the underlying counterparty, collateral and liquidity risks. These events can create relevant problems
8.
For an interesting analysis of the recent evolution of ETFs, see the informative paper by Srichander Ramaswamy, Market Structures and Systemic Risk of Exchenge-traded Funds, in BIS Working Papers, April 2011. On the risk implications for authorities, investors and providers see the note of the Financial Stability Board Potential financial stability issues arising from recent trends in Exchange-traded Funds, April 2011.
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also to the providers and amplify market vulnerability to an unexpected liquidity demand from investors. Finally we must mention the potential of contagion and systemic risk that can stem from the conflicts of interest of some banks, in the dual role of ETF provider and derivative counterparty. Moreover, the existence of market making arrangements along with securities lending on a large scale - a business practice that helps in making up fee income to compensate for thin margins on physical ETFs - can challenge the capability of the provider to face unexpected liquidity demand from investors during periods of market stress. This practice can also create incentives to amplify leverage along the ETF chain. ETFs are a clear example of how financial innovation, by adding further layers of complexity through leveraged products and options, can amplify opacity and risk for investors and, at the same time, trigger uncontrolled systemic threats soliciting the Authorities to reconsider in depth their attitude, and tools, towards innovative processes, so as to intercept in due time what can be detrimental for an efficient and sound functioning of the financial markets.
3. Rethinking regulation and oversight 3.1 To address the question on the role of regulation and oversight, we can start with some of the basic questions soliciting the self-diagnosis under way on the part of many Regulators throughout Europe. Namely we could ask what an enlightened Regulator is expected to do in this context and whether we are living in a deterministic world, in which it is possible to learn from our past mistakes to conceive better policy tools for the future or, on the contrary, in a stochastic context in which potentially disruptive extreme events inevitably belong to the tails of probability distributions. Should we share Ferguson’s position our conversation would entail a quick conclusion, because we would already know the answer. In fact, in his Darwinian world there is no way of learning from the past, as new shocks and discontinuities are always round the corner and there is no way of preventing them. Consequently, should we have the presumption of controlling them, for instance by conceiving some stricter regulations, we would pave the way to prolonging the survival of the unfit, thus impairing the virtuous working of “creative disruption”. I do not share Fergusons’ views, as I am convinced that what happened is not an “out of the blue” discontinuity, but the result of a misunderstood
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dynamic process that has transformed and will continue to reshape the global financial landscape. As it cannot be excluded that also in the future we will have to face the drawbacks of some “random shifts” – induced by wrong or misaligned macro-economic policies and incomplete rule-books – I am more in favour of suggesting that the Authorities should reconsider their attitudes, rather than opt for a do-nothing approach. So far, they have reacted to the financial turmoil with a lot of good common sense, still backed by tools conceived during the 30’s, but with more information and stronger international cooperation supporting their initiatives. These new conditions have significantly helped the traditional approach in keeping the pervasive cross-border drawbacks under control, at least before the financial crisis began to fuel the worries on sovereign debts. Even if this success represents the most telling answer to those in favor of a more pervasive deregulation process – provided that we accept the potential moral hazard stemming from lenient policies that lead to bank bail-outs – I think that we need to very carefully reconsider our regulatory and oversight approach, if we want to learn the hard lessons from the recent market turmoil. 3.2 If we take for granted that the Authorities must be committed to maintaining financial stability and systemic risk management tasks among their priorities, we cannot avoid stressing that from now on they should pay more attention to some issues, so far disregarded, that have recently surfaced. Among them let me first mention the capability of understanding the drawbacks of not properly addressed micro-issues on people’s confidence, potentially ending up in macro-systemic disruptions. To do that, the Authorities will have to sharpen their attitude in addressing the interconnections between the need to protect retail investor savings from the risks underlying complex and opaque financial products. In addition, it is urgent to keep under control – regulate, monitor and overview – wholesale markets, where systemically relevant institutions usually operate and where the seeds of financial crisis grow, without any control. From the Regulators’ perspective, a quantum leap is needed in several directions. Three of them should be underlined: • the need to invest more in knowledge and in state of the art methodological tools for a better understanding of the innovative trends. Authorities should be more ambitious in conceiving something that could enable anticipating the structural forces underlying market dynamics.
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An in-depth understanding of the working of financial innovation and of interconnected business practices’ dynamics must be one of their top priorities, to avoid unnecessary banning of products or processes in emergency spells, and to be able to properly and effectively regulate over the long period. Investing in knowledge is the only effective antidote to the temptation of prohibiting because of our inability to early detect and fully understand the micro and systemic implications of the growing financial complexities we are living in. Some shortcuts can be useful, or even necessary, in the short term, but they can hardly be an effective solution beyond that; • the urgency of being more “proactive” than “reactive” is imposed by the complexity, rapidity and pervasiveness accompanying the mutations in the financial landscape. However, as we will see later on, the regulation process takes a long time to be completed. Paradoxically, the complexities and the growing interconnections characterizing the financial landscape are amplifying the time needed to identify the inadequacies, to conceive an appropriate and shared set-up, to implement the rules at national level. These dynamics inevitably open up the distance between reality on one hand and the regulatory system on the other. That’s why, not to be caught lagging behind it, they need to change their rules and oversight approaches as well. Probably, less but more effective rules balanced with a more focused oversight and enforcement practices in a more cooperative context, represent the only recipe at our disposal; • to be successful, we also need to be more active in fostering an effective convergence of the Authorities’ approaches, to prevent any potential regulatory and oversight arbitrage. It is an issue still open that, to be solved, requires strongly-rooted international cooperation, not within easy reach so far, at least outside Europe. The global financial services industry operates under a multitude of legal and regulatory frameworks, many of which overlap and sometimes are inconsistent with each other. This happens because Regulators are solicited to face a number of conflicting interests and objectives, some of which are also exposed to political scrutiny. For instance: protecting the consumer adds costs indiscriminately to all providers; encouraging new entrances creates new risks; some maintain that increasing transparency can punish innovators; more level playing fields by lightening rules may favor the least efficient incumbents; investor protection can lead to prolonging the life of failed business models.
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As things stand at present, it is not surprising that the practices implemented by the Authorities in different countries are not homogeneous and, in many cases, have proved unfit in preventing systemic problems diffused at the global level. It is self-evident that no dominant global “intelligent design” can spontaneously emerge in a context where there is no universally recognized matrix of success, and where political interferences are a regular occurrence. So far, increased convergence by means of cooperation represents the only credible move to promote the cultural change we need to find a way-out. 3.3 First of all, it has been decided to set up a new European System of Financial Supervision 9, that consists of the European Systemic Risk Board (ESRB) and the three European Supervisory Authorities: the European Securities and Markets Authority (ESMA) based in Paris, the European Banking Authority (EBA) based in London and the European Insurance and Occupational Pensions Authority (EIOPA) based in Frankfurt. The “incipit” of the regulation establishing ESMA 10, issued by the European Parliament and the Council, is telling about the philosophy underlying this move: • (recital 1) “The financial crisis in 2007 and 2008 exposed important shortcomings in financial supervision, both in particular cases and in relation to the financial system as a hole. Nationally based supervisory models have lagged behind financial globalization and the integrated and interconnected reality of European financial markets, in which many financial institutions operate across borders. The crisis exposed shortcomings in the areas of cooperation, coordination, consistent application of Union law and trust between national supervisors”. • (recital 2). “… the European Parliament has called for a move towards more integrated European supervision in order to ensure a true level playing field for all actors at the level of the Union and to reflect the increasing integration of financial markets in the Union …”.
9. De Larosière, The High-Level Group on financial supervision in the EU, Brussels, 25 February, 2009. 10 Regulation (EU) No. 1095/2010, November 2010.
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To comply with this strong policy orientation, the security regulators are working both on a “single rule book” and fostering “regulatory convergence”, with the aim of improving the efficiency and integration of our financial market. Proportionality is a tool we are relying on to promote a virtuous integration process. Namely the new regulation is soliciting ESMA to “… protect public values such as the integrity and stability of the financial system, the transparency of markets and financial products and the protection of investors…; … should also prevent regulatory arbitrage and guarantee a level playing field, and strengthen international supervisory coordination …” (recital 11) As for the rule book we are experiencing the difficulties of keeping it up-dated. On one hand the delivery of any directive or regulation has to comply with a time-consuming process conceived so as to allow for an in-depth confrontation between different Institutions, the Authorities and market participants on how to face the technical issues along the policy lines established by the European Commission. Also the compatibility with business and market practices in place in different countries, legislative set-ups and political priorities are relevant ingredients in this process. Consequently, many cross-border issues are to be faced as well. Once rules are definitely released and coherently adopted at a national level, regulation is continuously challenged by innovation dynamics, which impose a tiring, but unavoidable, up-dating process. At present the Transparency Directive, Markets in Financial Instruments Directive (MIFID) and Market Abuse Directive (MAD) are under review, just to mention the most relevant ones. Along with the need to reconsider the existing regulatory set-up, there is a strong commitment to regulate what is still unregulated. The urgency of keeping under control what has abnormally been spelt out of the shadow banking system during the last few years, has recently speeded up the need for new rules finalized to regulate hedge funds and private equity with the new Alternative Investment Fund Manager Directive. The objective is to conclude defining the “level two rules” by the end of the current year, after public consultation. Together with the just mentioned efforts, the awareness of the necessity of constantly keeping the financial innovation process under control is growing among Regulators. Intercepting, understanding, identifying the implications, monitoring and regulating are among the challenges the Authorities are supposed to face going forward.
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Good examples of this orientation are the discussion paper on the ETFs the ESMA Operational Working Group is preparing 11 and the work underway on the algorithmic or high-frequency trading (HFT) practices. The document on ETF is aimed at disclosing the complexities and identifying viable regulatory orientations for these types of funds, as well as at thinking over some overarching guidelines needed to correctly handle some “ingredients” common to other “exchanged traded products” (ETP), some of which are still unregulated. In this field we have many open issues for debate, such as the suitability of some financial products for the retail market and the stability risks posed by the securities lending and collateralization practices. As for the HFT, its potential impact on systemic risk (by amplifying market shocks or inducing liquidity shortages) fuels worries from a macro-prudential angle. Also some potential negative effects on the ordered functioning of financial markets deserve some scrutiny; namely any drawbacks that can disrupt the traditional role of the financial markets as server of the real economy. In this field threats are traced back to the potential disruptions of the price discovery system, the users and suppliers of saving matching, the distribution of risks, the efficient allocation of capital finalized to the growth of the economic system. So far, worries are blurring the optimism of those heralding the positive impact of these practices on the infra-day (almost instantaneous) bid-ask price lining. 3.4 The growing attention to the innovation dynamics is in line with the core tasks entrusted to ESMA, as stated in its Regulation. More specifically, in connection with the regulatory and supervisory treatment of new or innovative financial activities (art. 9 of the ESMA Regulation), the new Authority is expected to perform a two-fold task: • first, contribute to macro-financial stability, by providing advice to the European Parliament, Council and Commission; • second, promote transparency, simplicity and fairness in the market for consumer financial products so as to foster consumer protection. ESMA evaluations could go as far as prohibiting or restricting the marketing of financial activities (innovative products or practices) which appear to put at stake the protection of investors, the orderly functioning of the markets and/or the stability of the European financial system.
11.
ESMA, ESMA’s policy orientations on guidelines for UCITS Exchange-Traded Funds and Structured UCITS, in Discussion paper, 2011/220.
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Moreover, to ensure an adequate monitoring of innovation, ESMA is going to set up a “financial innovation committee” to address, in due time, any possible negative implications on retail investors, as well as on systemic financial stability. The two-fold task mentioned above entails a two-fold challenge. First of all the commitment to strengthen retail investors protection goes well beyond the responsibility of Security Regulators, as the retail investors’ decisions cover products issued by different typologies of intermediaries – banks, insurance companies and funds – regulated by an heterogeneous set of rules and overviewed by different competent Authorities. Regarding this specific point, in April 2009 the Commission asked the European Regulators to face the protection issue applying an horizontal approach homogeneously covering all the Packaged Retail Investment Products (PRIPS), independently of the issuer legal set-up (structure). Businesses constituencies, more than technical issues, could delay the convergence process. Along the narrowing path that leads to macro-financial stability, Authorities must use their prohibition power wisely. First of all it would be wrong to bar, de facto, the evolution of the innovative processes. In a globally ever more interconnected context, we do need up-dated, state of the art tools to effectively keep under control and manage the growing riskiness surrounding us, along with stability issues that never, in the recent past, stemmed from the financial innovation process “per-se”. Once the above mentioned short cut has been avoided, the capability of foreseeing market dynamics must be strengthened, to prevent in due time that innovative tools and processes are utilized to trigger, amplify or hide the vicious circle, that during the last decade has very often transformed financial activity from being a tool into an end in itself. 3.5 The rapidity of innovative dynamics, basically driven by the need of intermediaries to survive in an ever more competitive environment by piling up greater rewards inevitably associated with riskier activities, represents a strong incentive in the search for new business opportunities on the edge of the shadows of the financial system and for aggressively interpreting the existing rules, so as to curb compliance costs. These intermediaries’ attitudes, together with the amount of time needed to conceive and up-date an effective rule book, are soliciting Authorities to come up with a more attentive overview strategy, aimed at verifying on an a priori basis whether business practices and organizational set-ups are accurate enough to assure the necessary conditions
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for a compliant interpretation, on a continuous basis, not only of the formal wording of the rules, but also of the overarching principles they are based on. These reorientations are already under way in the search for tools, or practices, to better address retail investor protection, even if with some country-specific differences. Let me give some examples. In the UK, the FSA has recently submitted for consultation a paper anticipating a “significant shift towards, …introducing more prescriptive requirements for the governance of product development and introducing specific product interventions such as prohibiting the sale of specific products for specific customer segments” 12. Along the same lines the Belgian Authority (FSMA) is facing the issues posed by complex products (“produits structurés qui sont considérés comme inutilement complexes”), inviting the financial intermediaries and distributors to voluntarily suspend (“moratoire volontaire”) their sale to retail investors, until the definition of new selling rules is fully in place 13. In Italy some years ago Consob, along with strengthening its oversight activities, decided to invest in methodologies to facilitate a better understanding and handling of the complexities brought to the fore by market dynamics. In this perspective, for instance, we have addressed the issue of how to manage the liquidity risk of illiquid bonds and to measure and disclose risks, rewards and breakevens (over the investment time horizon) of complex structured financial products 14. This, not only widened transparency and enabled investment decisions to be rooted in an enriched set of information, but also helped in defining our priorities and backing our oversight and enforcement actions, by better assessing the compliance and soundness of the market participants’ business practices. All that is self-evident if we use, for instance, a rigorous unbundling of complex financial products to detect and measure the underlying riskiness of their components, instead of relying on the simplistic distinction between “complex” and “non-complex” products for setting our transparency requirements and oversight priorities. Moreover it is worth underlining that the adoption of rigorous measurement meth-
12
FSA, Product Intervention, in Discussion Paper, DP11/1, January. FSMA, Moratoire sur la commercialisation de produits structurés inutilement complexes, in Communication FSMA, 2011, 2 14. Minenna, Boi, Russo, Verzella, Oliva, A quantitative risk-based approach to the transparency on non-equity investment products, CONSOB Working Paper, 2009, 63; Minenna, Enter the quant regulator, in Risk Magazine, 2011, May. 13.
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odologies represents the necessary condition not only for understanding the micro-implications of financial innovation, but also for properly detecting the market dynamics that might end up in systemic disruptions. The just mentioned initiatives are good examples, in spite of their differences, of the attempts under way to fill the gap between the rules and business practices throughout more proactive approaches, in response to the incompleteness of the rule book, to the drawbacks induced by the choice of applying it to an underlying playing field still un-level in Europe and, above all, to the challenges stemming from the financial innovation dynamics. The ongoing financial crisis has taught us that a rigorous understanding of market complexities can help in shortening not only the distance between market practices and regulation, but also the differences between the oversight approaches the Authorities are deploying. It is for sure that the larger these distances are, the more likely the possibility is of ending up with an ineffective and burdensome set of rules. Rules that in the past proved very often not to be up to the task of assuring the ordered functioning of the markets, the prevention of wrongdoings, a fare competition among market participants and an effective protection of the retail investors. That’s why I am convinced that the key task of realising a level playing field must go beyond market participants and cover the competent Authorities as well. A shared, rigorous approach to financial innovation would be a good starting point and a move in the right direction. While working on this, it must be stressed that any effort to promote cross-border convergence and cooperation also in the oversight area is crucial, to prevent potential “supervisory arbitrage”. That would render the efforts to implement an up-dated and effective single rule book for the European financial markets almost useless. So far, the existence of partially uncoordinated initiatives at work is telling not only about the European Authorities need for new tools, but also of the challenging effort they are still committed to make, so as to conceive something that can resemble a viable, shared, possibly “intelligent”, new regulatory and oversight design.
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Il costo dell’informazione bancaria1∗ Sommario: 1. L’informazione imposta. – 2. Il costo per la banca (: della produzione dell’informazione; della mancata informazione). – 3. Il costo per il cliente: le regole sulla ripartizione dei costi. – 4. (Segue). Costo e valore delle informazioni supplementari.
1. L’informazione imposta. Che se ne voglia opinare sulla finalità, o sulle finalità, della normativa sulla trasparenza bancaria – se sia solo una disciplina dell’informazione o anche volta a riequilibrare i contenuti economici, se affetta o non da un eccessivo paternalismo verso la parte debole, o addirittura punitiva verso quella forte – certo è che essa, nella sua portata immediatamente precettiva, si risolve in una disciplina di un’informazione imposta. Non lasciata, cioè, alla libera negoziazione delle parti, spesso neppure quanto alla valutazione della sua utilità e, quindi, della sua dispensabilità e rinunciabilità. Un’informazione, pertanto, da darsi comunque, e da darsi comunque in forme prefissate, anche se non richiesta o se desiderata in forme diverse. In questo senso, essa pare innanzitutto imposta non solo a chi deve darla (tendenzialmente, ma non solo, la banca), ma, in certa misura, anche a chi deve riceverla. E l’attività dell’informare, come ogni attività, ha un costo. Un “costo fisso”, dunque, che si aggiunge incondizionatamente al circuito economico (per non parlare poi dei rischi anticoncorrenziali di una standardizzazione dell’offerta, se non altro in punto di trasparenza assicura-
∗ Relazione al Convegno su «La trasparenza bancaria, oggi» (Macerata, 6-7 ottobre 2011).
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ta: Mirone); anche se tutto ciò, ovviamente, nel proposito legislativo di procurare un beneficio superiore al costo stesso: tendenzialmente, la maggior protezione della parte debole, anche nella sua capacità di autodeterminazione negoziale, o il miglior funzionamento del mercato. Ma, in questa sede, come dicevo, non delle finalità ultime della legge, e quindi dei benefici da essa perseguiti, vorrei occuparmi; bensì di vedere più da presso in che cosa i costi dell’informazione bancaria si risolvano.
2. Il costo per la banca (: della produzione dell’informazione; della mancata informazione). Potrebbe parlarsi innanzitutto di un costo “di produzione” dell’informazione. Al riguardo, ad esempio, la Banca d’Italia ha stimato che il costo supplementare per l’adeguamento alle nuove istruzioni di vigilanza in materia di trasparenza bancaria, a loro volta molto segmentate in funzione del tipo di operatività e delle fasce della clientela, potrebbe superare complessivamente il mezzo punto percentuale dei costi operativi di ciascun intermediario, il che non pare poco. Il costo di produzione dell’informazione è, essenzialmente, un costo per la banca; benché pure il cliente (specialmente nel richiedere un affidamento) ha le sue informazioni da procurare e documentare, con costi se si vuole anche in termini di privacy; esponendosi del resto, se non le dia o le dia errate, ai costi della mancata o della errata informazione, misurabili in termini di autoresponsabiltà se poi, come ad esempio nella disciplina del credito al consumo, il tipo di credito ottenuto si dovesse rivelare, alla prova dei fatti, tutt’altro che adeguato alle sue esigenze e possibilità. Ma, dicevo, l’informazione imposta dalla legge è, essenzialmente, quella che proviene dalla banca. E a questo riguardo potrebbe innanzitutto rilevarsi come, a ben vedere, un costo di produzione vera e propria dell’informazione – qui intesa come contenuto conoscitivo: oggetto e non attività – non è che proprio non vi sia ma, in larga misura, non rappresenta per la banca un costo aggiuntivo rispetto a quello che verrebbe comunque sostenuto in mancanza di imposizioni legali. L’operatività bancaria – si pensi antonomasticamente al funzionamento e alla tenuta del conto corrente – è comunque, necessariamente, un’attività (anche) dell’annotare, del documentare, del registrare (P. Ferro Luzzi): ed allora, ad esempio, ogni rendicontazione obbligatoria alla clientela, comprenderà informazioni che
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la banca non dovrà certo produrre o procurarsi ex novo, ma che essa già ha, che avrebbe già registrato anche se sapesse che nessuno gliene chiederà poi conto; così come ogni condizione economica o altra clausola contrattuale è, a priori, nota alla banca proprio per averla essa stessa predisposta o comunque negoziata. Né diversamente sarebbe a dirsi per quelle informazioni che la banca, prima eventualmente di doverle comunicare, debba invece procurarsi ad hoc, come quelle assunte – anche presso una banca dati (art. 125) – nel corso di un’istruttoria per valutare il merito dell’affidato: esse, infatti, verrebbero assunte comunque dal bonus argentarius, pur se la comunicazione del giudizio di merito che ne sia scaturito non costituisse oggetto di alcun obbligo di comunicazione. Emerge una spia di quanto si viene dicendo, forse, nella recente introduzione della regola generale (art. 127 - bis) di gratuità di ogni informazione prevista dalla legge che venga resa alla clientela per via telematica; laddove (come si desume dal secondo comma dello stesso articolo appena citato), quand’anche si trattasse di informazione dovuta ex lege (con l’eccezione delle proposte di modifica unilaterale e diversamente, comunque, da quanto previsto per i soli servizi di pagamento dall’art. 126 ter, co. 1), l’impiego di diverse tecniche di comunicazione potrebbe invece legittimare l’addebito di spese al cliente. Analogamente, le Istruzioni di Vigilanza (sez. IV) prescrivono che il costo addebitabile per le comunicazioni periodiche non possa eccedere le “spese sostenute per il loro invio”. Sembrando quindi (al di là del pastiche dell’enunciato dell’art. 127 bis, che parla anche di “comunicazioni … rese con strumenti di comunicazione”) che il solo costo ad essere preso in considerazione dalla legge come addebitabile, non sia tanto quello della produzione dell’informazione in sé, che si può supporre la banca già abbia (così i cd. costi di scritturazione), quanto piuttosto solo quello della sua materiale comunicazione. Ma – al di là di come il costo venga ripartito fra le parti, di cui dirò fra breve – certo è che se per la banca l’informazione in sé, cioè come dato conosciuto, già si dà come disponibile e non debba quindi essere “prodotta” appositamente per informare la clientela, altro è a dirsi per quanto riguarda l’ulteriore attività – imposta in funzione delle forme tecniche previste dalla legge o dalla normativa di vigilanza – della sua elaborazione (informazione, allora, come attività): e ciò in termini sia di ordinata aggregazione quantitativa, sia, cosa forse ancora più delicata, di formulazione linguistica e di organizzazione del messaggio: la chiarezza e l’intelligibilità del quale risultano infatti elevati a parametri ai quali eventualmente commisurare, almeno in principio, una responsabilità della banca.
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Perché, in effetti, deve anche evidenziarsi come per la banca si profili, alternativamente al costo dell’informazione, anche un “costo” – ancor più pesante perché inflitto secondo meccanismi evidentemente sanzionatori – per la non informazione, o per la dis-informazione. E basti pensare a cosa consegua alla mancata indicazione delle condizioni economiche, già in fase di pubblicità o comunque precontrattuale, per non parlare ora dell’incerto effetto della mancata rendicontazione in tema di commissione massimo scoperto; ovvero, sempre con riferimento a quest’ultima, alle indubbie opacità o ingannevolezze che, ieri come ancora oggi, possono celarsi nella previsione di clausole ambigue che ad essa, o simili, facciano riferimento; o, ancora, all’indicazione di spese dichiarate come tali ma che in realtà non si riferiscano a costi effettivamente sostenuti dalla banca. Proprio a quest’ultimo riguardo – quello della effettività del costo sostenuto e poi addebitato – si è aggiunto da ultimo un nuovo costo dell’informazione, rispetto a quelli, già indicati, della sua elaborazione e della sua comunicazione: il costo della valutazione dei costi stessi. Quanto effettivamente costa alla banca l’attività di informazione impostale, non resta più, oggi, un’attività bensì necessaria (perché rispondente all’esigenza di ogni ordinata gestione imprenditoriale di calcolare i propri costi di produzione), ma comunque rilevante a soli fini interni. No, l’esatta misurazione del costo dell’informazione, sia in termini di costi direttamente imputabili che di costi generali, compreso allora il costo della misurazione stessa, diventa oggi l’oggetto di un calcolo anch’esso imposto. Ed imposto dalla normativa primaria che, riconoscendo poteri regolamentari alla Banca d’Italia anche in materia di organizzazione interna funzionale alla trasparenza (art. 127), legittima una normativa secondaria che impone alle banche di dotarsi di apposite procedure per calcolare quali siano i costi da esse effettivamente sostenuti per l’informativa resa, la quantificazione ricavata dovendo essere poi attestata per iscritto e formalmente approvata (Istruzioni di Vigilanza, sez. XI). Resterebbe altrimenti prescrizione di puro manifesto quella che vieta alla banca di addebitare (quando ammesso) alla clientela spese per l’informativa resa che non siano “adeguate o proporzionate ai costi effettivamente sostenuti dalla banca stessa” (art. 127 bis). Col che, pare sottendersi l’operatività di un principio generale, e di ben maggiore momento, che per la verità risulta espressamente previsto solamente in materia di servizi di pagamento, ma che forse può riportarsi alle regole generali di tutta la disciplina della trasparenza bancaria: intendo quello dell’onere della prova, addossato alla banca, di aver correttamente adempiuto agli obblighi previsti in tema di trasparenza. Ciò
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che peraltro – secondo una possibile visuale (da ultimo, N. Salanitro, peraltro dubitativamente: anche se con prevalente riferimento all’informazione precontrattuale) – potrebbe spiegarsi ancor meglio lì dove non è previsto (cioè fra le regole generali) anziché dove è espressamente previsto (probabilmente perché trasposto tel quel dall’art. 33 della direttiva sui servizi di pagamento), dal momento che, a ben vedere, nei rapporti contrattuali (o comunque in quelli, preliminari, da contatto sociale: Mengoni) l’onere della prova di aver adempiuto agli obblighi derivanti dal contratto e, per tramite di esso, dalla legge – quindi anche quelli di trasparenza – incombono naturalmente sul debitore (art. 1218, c.c.). Dunque la banca dovrà poter provare – analogamente a quanto forse vale per ogni altro suo obbligo di trasparenza – che il costo addebitato al cliente corrisponde (recte: è adeguato e proporzionale) a quello effettivamente sostenuto per l’informazione data, come appositamente calcolato ex ante.
3. Il costo per il cliente: le regole sulla ripartizione dei costi. Si viene così ad altra ma simmetrica questione: quella del costo dell’informazione (non per la banca, ma) per il cliente. O, se si vuole, ad un profilo che a ben vedere non riguarda tanto il costo dell’informazione oggettivamente considerato, quanto piuttosto le regole giuridiche che ne amministrano la distribuzione; che ne dispongono cioè, per larghi tratti imperativamente, la ripartizione fra banca e cliente. È questa, per la verità, una normativa che a causa del sedimentarsi dei diversi interventi sconta una poco encomiabile disorganicità: laddove alla regola generale dell’art. 127 bis, della quale ci si è già occupati frammentariamente sopra, e che parla di “spese addebitabili” (solo quelle, beninteso, inerenti alle informazioni rese), si giustappone quella dettata dall’art. 126 ter in materia di (soli) servizi di pagamento (che pure sottostanno anche alle regole generali e che del resto potrebbero anche sovrapporsi ad un servizio prettamente “bancario” – nel senso del capo I della disciplina – come quello di conto corrente quando questo funga, anche, da “conto di pagamento”), che parla invece di “spese applicabili”; nonché poi a quella dettata dall’art. 119, co. 4 (dettata, in principio, per le sole operazioni bancarie tout court, ma poi richiamata dall’art. 125 bis in materia di credito al consumo) sulla possibilità di addebitare al cliente o a qualunque suo successore, i soli costi di produzione (ove “produzione” sta, ovviamente, per reperimento ed esibizione) della documentazione relativa a singole operazioni preterite.
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Del resto, essendo quello dell’adeguatezza dei costi addebitabili al cliente, come visto, principio rinvenibile anche fra le regole generali (art. 127 bis), e poi presente anche nell’art. 126 ter in materia di servizi di pagamento (dove anzi il principio è inizialmente emerso), esso può ritenersi trasversale a tutta la disciplina della trasparenza, fissando, in definitiva, la regola generale per cui il prezzo dell’informazione, quando addebitabile al cliente, dev’essere, tendenzialmente, quello di costo. Ma quand’è, appunto, che un tale prezzo dovrà essere pagato dal cliente? In realtà – verrebbe da dire a dispetto di una previsione un po’ ipocrita – sempre. Perché – è chiaro – quand’anche un’informazione, sia pure in sede precontrattuale, dovesse essere resa “gratuitamente” ad un cliente (anzi persino a chi, poi, cliente scelga di non divenire), si può star sicuri che se ciò ha un costo per la banca, questa, come qualunque altra impresa, includerà quel costo fra quelli di gestione; i quali poi, a loro volta, entreranno nella componente delle spese generali che saranno comunque ribaltati, nei termini possibili (eventualmente come “prezzo” del servizio), sulla clientela. E diversamente, in effetti, non potrebbe essere. Salvo notare – ancor peggio nel caso di un cliente “preparato” – che le informazioni dovute ex lege (ad esempio una Guida informativa che gli spieghi in termini accessibili cos’è un conto corrente) neppure potrebbero essere rinunciate contrattualmente (anche se di fatto sì, cestinando il foglio informativo); e quindi, nei termini appena chiariti, quel cliente ne sopporterà comunque il costo, anche se in regime di (totalmente) libera negoziazione ne avrebbe fatto volentieri a meno. Ma in questo senso, potrebbe pur dirsi, la tutela dei più (in ipotesi bisognosi di informazione) giustifica la “sovvenzione incrociata” (Mirone) da parte di coloro per i quali l’informazione risulti ridondante. Al di là di queste considerazioni sulla “relatività” della sedicente gratuità di talune informazioni bancarie, sta di fatto, comunque, che secondo la medesima disciplina una tale gratuità non può valere per tutte le informazioni; le condizioni di gratuità non ricorrendo più (al di là di quanto potrebbe comunque spettare gratuitamente ex art. 7 del cod. privacy) quando l’informazione richiesta ecceda i limiti di quella dovuta anche in assenza di specifica previsione contrattuale o di richiesta espressa. Si tratta delle cd. informazioni supplementari, rese a seguito di una richiesta isolata o di apposita previsione contrattuale, che risultino “ulteriori o più frequenti rispetto a quelle previste dalla legge” (art. 127 bis ma, ancor prima, 126 ter).
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Tali informazioni – come pure si sono ben definite: “straordinarie” (Mucciarone) – non dovranno essere “gratuite”; o per meglio dire, secondo la visuale adottata poc’anzi, non potranno, in principio, essere “spalmate” sull’intera clientela in virtù di una qualche “sovvenzione incrociata”, ma dovranno incidere puntualmente sul singolo cliente che le abbia richieste. Il che si ritiene per lo più (almeno per spiegare la ratio legis) che sia giusto; e giusto perché il prototipo di cliente che si assume aver ispirato una tale previsione è quello di un cliente che chiede più di quanto sia ragionevole pretendere: ragionevole dovendo reputarsi, in principio, il livello di informazione che il legislatore stesso ha prestabilito come dovuto (ed allora gratuito, al di là dei costi direttamente imputabili al mezzo di comunicazione usato). Insomma, si tratterebbe del cliente che chiede informazioni evitabili, di mero comodo (Mucciarone): il cliente distratto, che vuol farsi ripetere informazioni già avute; o un po’ troppo pignolo, se non addirittura ozioso o molesto: in ciascun caso, allora, giusto parendo che le spese supplementari se le paghi da solo. Ma è poi giusto? O, comunque: è una tale soluzione coerente all’ésprit complessivo della disciplina?
4. (Segue). Costo e valore delle informazioni supplementari. Alla domanda appena posta potrebbe obiettarsi, in via preliminare, che la questione ha, al fondo, una rilevanza economica marginale: una volta garantito il diritto alle informazioni supplementari, il problema del costo è dopotutto secondario. Ma una tale obiezione non risulterebbe, a sua volta, molto fondata, per almeno due ragioni. Primo, perché essa proverebbe troppo, dal momento che altrimenti varrebbe anche l’inversa: si potrebbe cioè dire che anche il regime della gratuità, allora, non ha un grande impatto economico (ed anzi, come visto sopra, alla fine rischia di risultare solo apparente) al punto da ingenerare il sospetto che in definitiva sia di mero “manifesto”. In secondo luogo, quando poi in concreto la questione si ponga, risulta spesso che essa tanto marginale non è: si pensi al caso, tipico, del curatore fallimentare che chieda (sempre che poi gli venga concessa) l’intera rendicontazione di tutte le movimentazioni facenti capo all’impresa fallita negli ultimi anni. Qui, il prezzo da pagare per l’informazione delle “singole operazioni” (la cui proporzionalità ai costi effettivamente sostenuti risulta spesso, nella prassi, sorprendentemente dubbia), mol-
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tiplicato per il loro grande numero, potrebbe portare ad un risultato di rilevanza tutt’altro che secondaria. Ed allora torna a porsi la questione del bien-fondé della norma. Che, mi pare, meriti di porsi innanzitutto per verificare se il paradigma assunto dalla disciplina sia quello effettivamente rispondente alla realtà. Il caso appena ricordato del curatore fallimentare, che per la verità pare tutt’altro che marginale, dimostrerebbe piuttosto il contrario, rappresentando un’ipotesi agli antipodi rispetto a quella del cliente distratto o ozioso (molesto, per la banca, forse sì: ma per ben più concrete ed intuibili ragioni). E allora, pur al di là da questa tassonomia sociologica un po’ spiccia, quel che forse occorrerebbe chiedersi è se effettivamente – stando alla scala assiologica che impronta la normativa della trasparenza – le informazioni dovute, e quindi date in via automatica, davvero meritino un trattamento migliore di quelle richieste ad hoc, in principio disincentivate dalla loro onerosità. Per rispondere a questa domanda, visto che si parla di informazione, ricorrerei agli studi linguistici e semiologici che di informazione si sono occupati funditus per elaborare una teoria dell’informazione, vòlta a computare la quantità di informazione effettivamente contenuta in un determinato messaggio: ove, secondo una tale distinzione fra messaggio e informazione, il primo sta ovviamente a rappresentare il veicolo, la seconda, intesa invece in senso stretto, indicando piuttosto la quantità additiva di conoscenza che per mezzo del messaggio incrementa ciò che il destinatario già sa: maggiore informazione essendovi in principio in un messaggio originale, sorprendente, che in un messaggio banale, scontato. Non posso ovviamente dilungarmi sul punto, ma, per esprimere il concetto, si può riportare un esempio che, al riguardo, è stato proposto (U. Eco): “se a un agente immobiliare che mi vende una casa chiedo se questa è molto umida e quello mi risponde “no”, ne ricavo scarsa informazione e rimango ugualmente incerto sulla natura del fatto. Ma se lo stesso agente mi risponde “sì”, contro ogni mia aspettativa e ogni suo interesse, allora io ricevo una buona quantità di informazione e so veramente qualcosa di più sull’argomento che mi interessa”. Quel che può dedursi da queste notazioni, allora, è che il livello di attenzione e l’attesa per dati che non si danno per scontati, e quindi anche il tasso di informazione additiva che ci si ripromette di ricavare da comunicazioni appositamente sollecitate, risulta spesso ben maggiore
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che per le informazioni di routine, automaticamente fornite e passivamente ricevute. L’informazione più ricca può allora rivelarsi, in molti casi, proprio quella raggiungibile mediante le informazioni supplementari, quella ricercata da chi voglia sapere (ad esempio chiedendo ragguagli su come si sia arrivati ad una certa commissione che ci si ritrova addebitata in conto) piuttosto che attraverso quelle ordinarie – certo importanti, spesso essenziali – ma in principio già note (come ad esempio nella normale attività di rendicontazione sulle ultime movimentazioni) o grossomodo preventivabili (come quando viene comunicato l’interesse applicato a un certo tipo di finanziamento). Si badi poi, sempre nella prospettiva della quantificazione dell’informazione veicolata, che persino uno stesso messaggio, oggettivamente considerato, è in grado di veicolare una quantità di informazione (in senso stretto) diversa in ragione del contesto, ordinario o straordinario, in cui essa venga acquisita. Significativa, al riguardo, è la considerazione delle vicende, tipiche (e problematiche) della materia qui trattata, in cui si realizza una qualche sdoppiamento soggettivo del destinatario dell’informazione: la stessa informazione su un pagamento effettuato da un imprenditore poi fallito, sarà per lui banale, ma molto ricca di informazione quando chiesta nuovamente dal curatore che gli succeda; se l’estratto conto sia stato inviato ad uno solo dei cointestatari, ma poi l’altro chieda appositamente che ne venga mandata copia anche a lui, la quantità di informazione ricercata, insomma il bisogno di trasparenza, sarà verosimilmente molto maggiore per il secondo che per il primo; e così anche quando l’affidato chieda alla banca notizie sul rapporto di garanzia che lo assiste, e sul garante stesso, o al contrario sia il garante a chiedere informazioni sull’evoluzione rapporto relativo all’affidato garantito. O ancora, pur senza immaginare una molteplicità di destinatari, ben diversa sarà, anche per la stessa persona, la trasparenza ricercata quando quella persona chieda che le venga ripetuta l’informazione su un certo pagamento compiuto alcuni anni prima, rispetto a quella ottenuta a suo tempo quando magari venne pur rilasciata una certificazione del pagamento appena eseguito. Eppure, è proprio fra questi casi che, notoriamente, si registrano le maggiori resistenze delle banche a concedere l’informazione; e comunque è proprio con riferimento a tali ipotesi che si tende ad escludere, quand’anche la risposta negativa non provenga espressamente già dalla legge, che l’informazione richiesta possa essere gratuita, dovendo piuttosto essere pagata in quanto supplementare, straordinaria.
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Tutto ciò si dice, avviandosi a conclusione, non certo per sminuire l’importanza dell’informazione dovuta gratuitamente, ma solo per prendere infine atto che quella del cliente distratto o troppo pignolo è forse l’ipotesi quantitativamente più marginale rispetto alle richieste di informazioni “straordinarie”. Sicché – se è vero che, in principio, nei normali rapporti contrattuali, il principio di buona fede e correttezza e, ancor più in alto, quello costituzionale di solidarietà, dovrebbero rendere tendenzialmente gratuita la cooperazione fra le parti, quando l’una chieda all’altra informazioni sullo svolgimento del rapporto contrattuale (non penso infatti che la relativa spesa sia riportabile a quelle del pagamento previste dall’art. 1196, c.c.) – non pare scelta del tutto coerente quella per cui, proprio nella disciplina che della trasparenza fa una bandiera, debba piuttosto valere una regola dell’onerosità più penalizzante rispetto al diritto comune. E comunque – pur ammesso che le esigenze dell’industria bancaria richiedano una naturale copertura dei costi sostenuti – allora dovrebbe piuttosto essere onerosa, cioè addebitata in funzione del singolo rapporto (e tanto si è visto che, in fondo, lo è comunque!), l’informazione già preventivabile, piuttosto che quella aggiuntiva, sporadica: la cui richiesta ad hoc testimonia, già di per sé, un bisogno supplementare di trasparenza, da presumersi allora non proprio “completa”. Ed anzi, proprio a quest’ultimo riguardo, deve anche ricordarsi, in conclusione, che il requisito della “completezza” dell’informazione è stato ora eliminato, almeno testualmente, per esaltare verosimilmente quello della chiarezza (art. 119, rispetto alla precedente versione): nell’intuibile, e per certi aspetti condivisibile, intento di evitare un sovraccarico di informazione e così – detto nei termini sopra illustrati – eliminare la ridondanza a favore di un maggior tasso di informazione. Tuttavia – se non si aderisce ad una pur possibile lettura correttiva, e svalutativa, della novità testuale (ritenendosi quindi che un’informazione chiara dovrà pur sempre, ancora oggi, essere anche completa: Nigro) – dovrà convenirsi che un’informazione che, per esser chiara, non sia anche completa, sarà, per forza di cose, selettiva. La selezione non potendo però che essere operata discrezionalmente – quand’anche in buona fede e nel rispetto degli ulteriori criteri specificativi delle Istruzioni di Vigilanza – dalla banca. Ma perché poi, se la selezione decisa da altri risulti per me insoddisfacente, dovrei pagare per avere un quadro completo?
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Operazioni societarie straordinarie e procedure di composizione negoziale delle crisi * Sommario: 1. Premessa. Il concetto di «operazioni straordinarie». – 2. Individuazione e delimitazione della linea di ricerca. – 3. Le operazioni straordinarie menzionate dagli artt. 124 e 160 l.fall. e l’esonero dalla revocatoria fallimentare. – 4. La sorte di trasformazione, fusione e scissione nel successivo fallimento. – 5. (segue) L’opposizione dei creditori e l’esenzione ex art. 67, 3° comma, lett. d ed e, l.fall. – 6. Rilievi conclusivi in tema di responsabilità di amministratori e soci.
1. Premessa. Il concetto di «operazioni straordinarie». Il mio contributo è intitolato «operazioni societarie straordinarie e procedure di composizione negoziale delle crisi». Devo dire che sia la prima che la seconda parte del titolo presentano alcune difficoltà di identificazione del fenomeno giuridico da indagare. Senza dubbio le difficoltà sono minori rispetto al sintagma «procedure di composizione negoziale delle crisi». Infatti, vi è ragione di credere che in tale locuzione possano farsi rientrare vuoi il piano attestato di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti (che pure, secondo molti, «procedure» non sono), vuoi il concordato preventivo (che è sì una «procedura», ma non direi permeata dall’elemento della negozialità). Maggiori incertezze suscita invece la prima parte del titolo, che menziona le «operazioni societarie straordinarie». Invero, quest’ultima è espressione tanto diffusa quanto vaga; tanto ricorrente nel linguaggio (soprattutto, ma non solo) dei pratici, quanto priva di un puntuale riscontro nei testi normativi di diritto societario e commerciale – se si fa eccezione per gli artt. 124 e
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Il testo riproduce, meno che per alcune modifiche e l’aggiunta delle note essenziali, la relazione presentata al Convegno su «La ristrutturazione dei debiti civili e commerciali» (Lanciano, 26-27 novembre 2010).
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160 l.fall., cui accennerò fra breve. A ben vedere, oltre alla trasformazione, fusione e scissione, che ne costituiscono il prototipo, non è per nulla chiaro quali siano le operazioni straordinarie, atteso che il novero di queste muta con il mutare degli obiettivi rispetto ai quali è funzionale l’attribuzione a determinate vicende societarie di siffatta qualifica. Così, a volte si includono fra tali operazioni – oltre alle tre già rammentate – l’istituzione di patrimoni destinati, le acquisizioni o le cessioni reputate significative, le modifiche statutarie di maggiore rilievo, l’emissione di obbligazioni, l’acquisto e l’alienazione di azioni proprie 1. Altre volte si indicano, sempre accanto alla trasformazione, fusione e scissione, i conferimenti di aziende o di partecipazioni di controllo o di collegamento, ovvero le permute fra partecipazioni di controllo 2. L’unica norma di legge che impiega la locuzione in ambiti propriamente giuscommercialistici è costituita – come anticipato – dall’art. 124 l.fall., relativo al contenuto della proposta di concordato fallimentare, cui fa da preciso pendant l’art. 160 l.fall., che si occupa della proposta di concordato preventivo: in tali testi (introdotti con la riforma del 2005-2007 3), le operazioni straordinarie rappresentano il genus al quale vengono ricondotte – alla stregua di altrettante species – la cessione dei beni, l’accollo, l’attribuzione ai creditori o a società partecipate da questi «di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito». La previsione evidentemente non risolve, anzi se mai rende ancora più acuto il problema definitorio appena segnalato, visto il carattere solo esemplificativo dell’elenco ex artt. 124 e 160 l.fall. 4 – dal
1 Così è previsto, in specie, dagli artt. 70 ss. del regolamento Consob sugli emittenti (adottato con delibera del 14 maggio 1999, n. 11971, e da ultimo modificato con delibera 14 dicembre 2010, n. 17592). 2 In questo modo si esprimono gli artt. 170 ss. del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, recante approvazione del Testo unico delle imposte sui redditi (t.u.i.r.). 3 In entrambi i casi sulla falsariga dell’art. 4-bis, 1° comma, lett. c, del d.l. 23 dicembre 2003, n. 347 (convertito in legge 18 febbraio 2004, n. 39), emanato in occasione della crisi del gruppo Parmalat. 4 Tale carattere risulta dalla circostanza che l’art. 124 (al pari dell’art. 160) l.fall., dopo aver menzionato la cessione dei beni e l’accollo, rinvia ad «altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori…» (corsivo aggiunto), lasciando così intendere non solo che cessio bonorum, accollo e attribuzione di azioni o quote ai creditori costituiscono «operazioni straordinarie», ma anche che queste ultime rappresentano un genus più ampio, che non si esaurisce nelle operazioni espressamente indicate. V., nel senso che l’elencazione ex artt. 124 e 160 l.fall. non abbia carattere esaustivo, da ultimo, Frascaroli Santi, Il concordato fallimentare, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di Didone, 2, Torino, 2009, p. 1387.
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quale, oltretutto, mancano proprio le tre ipotesi di cui prima si è detto, e che sembravano essere le uniche riconducibili con sicurezza alla categoria ora in esame 5. Peraltro, la norma va tenuta in adeguato conto: sia per la palese affinità con i temi qui discussi; sia (e di conseguenza) perché essa chiarisce che le operazioni ivi descritte costituiscono, per il legislatore fallimentare, una delle «forme» mediante le quali può realizzarsi «la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti». Insomma, la prospettiva fatta propria dalle norme menzionate è quella della strumentalità delle operazioni straordinarie rispetto agli obiettivi propri delle procedure di soluzione della crisi di cui all’inizio ho fatto cenno. E tale è anche la prospettiva che mi propongo di adottare nelle pagine che seguono.
2. Individuazione e delimitazione della linea di ricerca. In quali casi e in che modo, allora, le operazioni straordinarie possono inserirsi all’interno di un piano di risanamento, di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ovvero di un concordato preventivo, così da contribuire al felice esito di questi? Ora, dichiaro subito che a tale domanda non intendo rispondere, non disponendo degli strumenti per farlo. Infatti, una risposta seria non solo sarebbe influenzata da una serie molteplice di variabili, in ragione delle caratteristiche della singola crisi d’impresa e dei risultati che di volta in volta ci si prefigga di conseguire (ad es., l’obiettivo ultimo degli interventi potrebbe essere tanto il recupero della piena efficienza economico-finanziaria, quanto la liquidazione dell’impresa), ma richiederebbe anche le competenze di un economista o di un aziendalista. E io non sono né l’uno né l’altro 6. Piuttosto, delle operazioni societarie straordinarie mi propongo di discutere sotto un profilo più specifico, avendo riguardo a uno de-
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Un esplicito riferimento alla fusione è invece contenuto nel precetto che, come ricordato, costituisce l’immediato predecessore degli artt. 124 e 160 l.fall., cioè l’art. 4-bis, 1° comma, lett. c, d.l. 347/2003, che tuttavia si differenzia dalle norme appena richiamate per ciò che esso non discorre di «operazioni straordinarie», ma – più genericamente – di «operazion[i] societari[e]». 6 Cfr., per un’analisi di tipo aziendalistico, Brugger, Commento all’art. 160, in Il nuovo diritto fallimentare. Comm., diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, II, Bologna, 2006, p. 2301 ss.
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gli effetti qualificanti dell’attivazione di una procedura di soluzione negoziale della crisi, cioè l’esonero dalla revocatoria degli «atti», dei «pagamenti» e delle «garanzie» conclusi «in esecuzione» della procedura medesima (effetto che forse sarebbe più giusto definire l’unico prodotto dal piano di risanamento). In altri termini, vorrei provare a chiarire i possibili rapporti fra la disciplina dell’art. 67, 3° comma, lettere d ed e, l.fall. e alcune norme di diritto societario, onde accertare i confini e la «tenuta» dell’esonero dalla revoca quando l’atto compiuto sia uno di quelli riconducibili all’ampio genus delle operazioni straordinarie. Rapporti che, se non vedo male, sono essenzialmente di due tipi: i) da un lato, vi sono casi in cui presupposti e modus operandi dell’esenzione dalla revoca non mutano ove l’atto impugnato sia un’operazione straordinaria: quest’ultima, cioè, è vicenda neutra ai fini dell’applicazione dell’art. 67 l.fall.; ii) dall’altro, si danno ipotesi nelle quali l’esonero è assorbito da specifiche regole del diritto societario, che fanno sì che l’operazione fruisca di un regime di intrinseca «stabilità», il quale in effetti supera e rende superfluo il principio racchiuso nel terzo comma dello stesso art. 67 l.fall.
3. Le operazioni straordinarie menzionate dagli artt. 124 e 160 l.fall. e l’esonero dalla revocatoria fallimentare. Ebbene, può discorrersi di un rapporto di reciproca indifferenza tra norme di diritto fallimentare e norme di diritto societario ogni volta che l’operazione straordinaria consista in una vicenda in cui la società si presenta – per così dire – come punto di partenza o di arrivo di un trasferimento di ricchezza, che si realizza all’esterno dell’ente e non ne coinvolge la struttura organizzativa. È questo il caso proprio delle ipotesi menzionate dagli artt. 124 e 160 l.fall., cioè della cessione dei beni e dell’«attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito». Preliminarmente, conviene fugare due dubbi che la formula della norma potrebbe far sorgere. In primo luogo, deve ritenersi che le operazioni appena indicate – pur avendo una finalità intrinsecamente satisfattiva – possano inserirsi nel contesto di qualsiasi procedura di soluzione concordata della crisi, e far parte quindi del contenuto del piano attestato di risanamento, oltre
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che di quello del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Esse possono, cioè, rappresentare un «passaggio» di un più ampio programma di interventi volti – per l’appunto – al «risanamento dell’esposizione debitoria» e al «riequilibrio della… situazione finanziaria» dell’impresa (art. 67, 3° comma, lett. d, l.fall.). In secondo luogo, credo sia evidente che tali operazioni richiedano – per poter essere classificate fra le «operazioni societarie straordinarie» – la presenza di una società, la quale svolga un ruolo attivo nella loro esecuzione. In altri termini, è necessario che per i fini della procedura una società addivenga alla cessione dei propri beni, o all’«attribuzione» ai creditori delle proprie azioni (acquistate nei limiti stabiliti dagli artt. 2357 ss. c.c.), oppure delle azioni, quote, obbligazioni, strumenti finanziari o titoli di debito di altra società, di cui essa si trovi per qualsiasi motivo nella condizione di poter disporre; ovvero è necessario che identiche operazioni vedano una società coinvolta come beneficiaria dello spostamento di ricchezza così compiuto (società che potrebbe non solo preesistere all’operazione, ma anche essere costituita all’uopo 7, con contestuale riparto fra i creditori delle relative azioni o quote). Deve escludersi, invece, che possano far parte della categoria qui evocata le ipotesi nelle quali una società venga in considerazione come – per dirla con Ascarelli – mero emittente di beni «di secondo grado», destinati poi ad essere scambiati fra soggetti privi della qualifica societaria (ad es.: l’imprenditore individuale in crisi cede ai creditori parimenti individuali azioni o obbligazioni convertibili da esso detenute). Ora, (mi) sembra che tutte le operazioni appena menzionate non presentino caratteristiche tali da interferire sull’applicabilità dell’esonero dalla revoca, trattandosi di operazioni che per l’un verso si limitano a incidere sul patrimonio dei soggetti che le pongono in essere, incrementandone o decrementandone la consistenza, per l’altro non hanno alcuna ripercussione sulle regole organizzative dell’ente che di tale spostamento di ricchezza sia l’autore, o che di esso beneficî. Insomma, il diritto delle società – da questo specifico punto di vista – è muto: dell’esonero dalla revoca deve giudicarsi sulla base non delle norme societarie, che non hanno nulla da dire in proposito, ma esclusivamente della disciplina rac-
7 Reputa più probabile che si scelga di seguire questa seconda via Stanghellini, Commento all’art. 124, in Il nuovo diritto fallimentare. Comm., diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, II, Bologna, 2006, p. 1961 ss.; cfr. pure Galletti, Commento all’art. 160, ivi, p. 2298, testo e spec. note 99-101.
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chiusa nell’art. 67 l.fall. (e dunque, innanzitutto, considerando l’effettiva strumentalità dell’operazione rispetto al piano di risanamento, al concordato preventivo, ovvero all’accordo di ristrutturazione dei debiti). In realtà, la conclusione appena enunziata potrebbe apparire meno sicura, qualora si volesse accedere a una certa linea di pensiero, emersa con riguardo al problema della revoca del conferimento in società capitalistiche 8. In specie, secondo tale indirizzo, una volta iscritta la
8 Problema su cui v., con posizioni variamente aricolate, Ferri sr., Delle società3, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 79 ss.; Di Amato, Sulla esperibilità dell’azione revocatoria del conferimento sociale, in Rass. dir. civ., 1988, p. 391 ss.; Carnevali, Commento ad App. Milano, 3 settembre 1991, in Società, 1992, p. 334 ss.; Casella, Conferimento d’azienda e trasferimento di azioni: oggetto della revocatoria, in Riv. dir. impr., 1993, 1 ss.; Mazzoni, Costituzione unipersonale di s.r.l. mediante «incorporazione» dell’impresa individuale del fondatore, Relazione inedita al Convegno su «La società unipersonale a responsabilità limitata» (Roma, 19 novembre 1993); Niutta, La revocabilità dei conferimenti nella società per azioni, in Dir. fall.. 1993, II, 617 ss.; Ianniello-Montesano, Commento a Cass., 11 marzo 1995, n. 2817, in Società, 1995, 1299 ss.; Lucchini Guastalla, Sulla revoca del conferimento in frode ai creditori, in Giur. comm., 1996, II, 18 ss.; Frè-Sbisà, Della società per azioni6, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1997, 48 ss.; d’Alessandro, Riflessioni sulla recente giurisprudenza di legittimità in tema di azione revocatoria di conferimenti di beni in natura in società di capitali, in Giust. civ., 1998, II, p. 107 ss.; Galletti, Il recesso nelle società di capitali, Milano, 2000, p. 57 ss.; Marasà, Le società. Società in generale2, in Tratt. dir. priv., a cura di Iudica e Zatti, Milano, p. 201 ss.; Martorano, La revocatoria dei conferimenti in società di capitali, Milano, 2000 (e Id., L’individuazione degli stati soggettivi nella revocatoria del conferimento in società, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, 593 ss.); Rocco di Torrepadula, Partecipazione in società e revocatoria, Milano, 2001; Terranova, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Comm. ScialojaBranca. Legge fall., a cura di Galgano, art. 67, III, Parte speciale, Bologna-Roma, 2002, p. 314 ss.; Palmieri, La nullità della società per azioni, in Tratt. delle s.p.a., diretto da Colombo e Portale, vol. 1-1, Torino, 2004, p. 508 ss., spec. p. 512 ss.; Portale, La mancata attuazione del conferimento in natura, in Trattato delle s.p.a., diretto da Colombo e Portale, voll. 1-3, Torino, 2004, spec. p. 641 ss.; Briolini, Le azioni «restitutorie» dei conferimenti in natura, Torino, 2008; in giurisprudenza, v. Trib. Padova, 15 luglio 1957, in Foro it., 1958, I, 277; Trib. Orvieto, 4 novembre 1987, in Giur. merito, 1989, I, 595; Trib. Pavia, 12 ottobre 1988, in Società, 1989, 696; App. Milano, 3 settembre 1991, ivi, 1992, 330; App. L’Aquila, 12 febbraio 1992, in Giust. civ., 1992, I, 1580; Trib. Milano, 24 febbraio 1992, in Fallimento, 1993, 179; App. Roma, 14 gennaio 1993, in Dir. fall., 1993, II, 617; Cass., 11 marzo 1995, n. 2817, in Giur. comm., 1996, II, 15; Trib. Bologna, 13 dicembre 1995, in Dir. fall., 1997, II, 755; Trib. Pescara, 2 aprile 1996, ivi, 1997, II, 755; Cass., 22 novembre 1996, n. 10359, in Foro it., 1997, I, 491; Cass., 18 febbraio 2000, n. 1804, in Giur. comm., 2001, II, 783; Cass., 26 febbraio 2002, n. 2792, in Fallimento, 2003, 43; Trib. Verona, 13 agosto 2003, in Giur. merito, 2004, 1140; Trib. Napoli, 6 febbraio 2008, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, 589.
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società nel registro delle imprese, si determinerebbe una sorta di «cesura» rispetto al passato, testimoniata nel modo più limpido dalla norma dell’art. 2332 c.c., la quale – com’è ben noto – permette che la s.p.a. sia dichiarata nulla in tre ipotesi tassative e assegna alla pronunzia dichiarativa un mero effetto liquidatorio. Ebbene, tale «cesura» finirebbe per riflettersi – si sostiene – anche sulla sorte di quella peculiare impugnativa del contratto sociale data dall’azione revocatoria, che a dire di alcuni non potrebbe più essere utilmente proposta, siccome estranea al numerus clausus dei «vizî» contemplati dall’art. 2332 c.c., e verrebbe surrogata da un’azione di risarcimento del danno proponibile nei riguardi dei socî di mala fede. Ai fini che qui più interessano, la conseguenza di tale approccio sarebbe costituita – diversamente da quanto prima era parso di ipotizzare – dalla non neutralità delle operazioni straordinarie, tutte le volte in cui queste ultime fossero attuate mediante il conferimento in società capitalistiche di valori facenti parte del patrimonio dell’impresa in crisi, se non dell’intera azienda o di un suo ramo particolare (evenienza che gli artt. 124 e 160 l.fall. in qualche modo prefigurano, lì dove dispongono che le «attribuzioni» possano essere compiute anche a favore di «società… partecipate» dai creditori 9). In definitiva, l’esito ultimo sarebbe l’inoperatività dell’esonero dalla revoca, reso superfluo da più ampi principî di diritto societario: principî che renderebbero comunque inattaccabili sul terreno «reale» determinate vicende, anche se non funzionali o senz’altro estranee agli obiettivi propri della procedura di composizione della crisi (salvo poi chiedersi, con una domanda cui tenterò di rispondere in conclusione, se l’esonero non possa estendersi anche all’azione per il risarcimento del danno, nella quale in un certo senso si «trasformerebbe» l’iniziativa ex art. 67 l.fall.). Non è certo questa la sede per discutere funditus del problema delle condizioni, dei limiti e degli effetti della revoca del conferimento 10. Basti dire che, ad avviso di molti, si danno solide ragioni per ritenere che un vizio di prospettiva si annidi alla base dell’idea che nella preclusione di cui all’art. 2332 c.c. ricada anche la revocatoria, ordinaria ovvero fallimentare. Per converso, deve credersi che una ricostruzione più equilibrata del sistema societario nel suo complesso conduca ad
9
Si tratta dell’ipotesi della c.d. NewCo (retro, testo in corrispondenza della nota 7). Per un’indagine dedicata in modo specifico a tali questioni sia consentito il rinvio a Briolini, Le azioni «restitutorie», cit., passim. 10
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attribuire alla revoca la sua consueta operatività, pur quando essa si diriga verso attribuzioni di ricchezza realizzate tramite la forma del conferimento in società (di capitali e, a fortiori, di persone). Se questo è vero, non esistono motivi per discostarsi da quanto prima affermato in merito alla neutralità del carattere societario delle vicende di cui agli artt. 124 e 160 l.fall, le quali si sottrarranno a revoca, o ne saranno colpite, a seconda che siano o meno presenti le condizioni (stabilite dal diritto fallimentare, non dalle norme societarie) affinché l’esonero ex art. 67 l.fall. possa venire in considerazione. Il che, ovviamente, non elimina il rischio – che altra volta mi era parso di dover porre in evidenza rispetto al piano di risanamento 11 – che al riparo di una procedura di composizione negoziale della crisi si insinuino operazioni lesive dei diritti del ceto creditorio, ovvero della sua parte più debole, le cui esigenze di tutela resterebbero allora affidate agli strumenti di diritto comune [ad es., nel caso di conferimento di azienda in favore di una società di capitali partecipata dai creditori, il quale risulti inattaccabile ai sensi dell’art. 67, 3° comma, lett. d o e, l.fall., il fallimento potrebbe confidare – almeno – sulla responsabilità dell’acquirente per i debiti (pregressi) iscritti nei libri contabili obbligatori, a norma dell’art. 2560, cpv., c.c. 12].
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Alludo alla relazione «L’azione revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati “nei termini d’uso” e nei confronti degli atti di esecuzione dei “piani di risanamento” e degli “accordi di ristrutturazione”», svolta al Convegno su «Operazioni bancarie e procedure concorsuali nella nuova legge fallimentare italiana» (Lanciano, 17-18 ottobre 2008) e in corso di pubblicazione nei relativi Atti. 12 Peraltro, tale tutela non varrebbe se il conferimento fosse compiuto in esecuzione del concordato preventivo, considerato che in tal caso opererebbe – in forza del richiamo degli articoli da 105 a 108-ter l.fall. fatto (sia pur con il limite della compatibilità) dall’art. 182, ult. comma, l.fall. – la regola che esclude, «salva diversa convenzione, … la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, sorti prima del trasferimento» (art. 105, 4° comma, l.fall.). Per es.: qualora nel contesto di un concordato preventivo l’imprenditore A conferisse un ramo ancora «sano» della propria azienda nella s.r.l. Beta, contestualmente costituita e partecipata solo da alcuni creditori, il curatore del successivo fallimento di A non potrebbe né conseguire la revoca del conferimento in ipotesi pregiudizievole (perché esso risulterebbe effettuato «in esecuzione» del concordato: art. 67, 3° comma, lett. e, l.fall.), né far valere la responsabilità di Beta s.r.l. per i debiti – inerenti al ramo di azienda ceduto – sorti prima del conferimento, ai sensi dell’art. 2560, 2° comma, c.c. (perché tale norma sarebbe inapplicabile in forza della previsione del quarto comma dell’art. 105 l.fall.).
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4. La sorte di trasformazione, fusione e scissione nel successivo fallimento. Come osservavo poco fa, esiste un secondo gruppo di ipotesi, rispetto alle quali il carattere societario dell’operazione compiuta nel contesto di una procedura di soluzione negoziale della crisi ha diretto rilievo ai fini dell’esonero dalla revoca. Quest’ultimo, infatti, non ha modo di spiegare effetti, assorbito com’è da altre e più generali regole del moderno diritto delle società. Le operazioni cui intendo riferirmi sono, essenzialmente, la fusione e la scissione. Non anche la trasformazione, che pure si è visto costituire – insieme alle due testé menzionate – la species più sicura del (malcerto) genus «operazioni straordinarie» 13. In realtà, non nego che il passaggio da uno ad altro tipo societario (o anche, dopo la riforma del 2003, da un tipo societario a un modello non societario di esercizio dell’impresa, o viceversa 14) possa rivestire una specifica utilità ai fini del buon esito di una delle procedure qui prese in esame 15. E neppure nego che alcune vicende trasformative possano riflettersi in senso deteriore sulla posizione dei creditori (e quindi del fallimento). Basti pensare all’ipotesi più semplice della trasformazione di una società di persone in una capitalistica, che importa la «contrazione» a uno solo (quello sociale) dei patrimonî responsabili per i debiti d’impresa, e – decorso un anno dalla cessazione della responsabilità illimitata – impedisce che sia dichiarato il
13 Invero, non pare dubbio che – ad onta del silenzio mantenuto sul punto dagli artt. 124 e 160 l.fall.: retro, n. 2 – la trasformazione, fusione e scissione possano far parte della proposta di concordato (fallimentare o preventivo), vista anche l’abrogazione, ad opera del legislatore della riforma del diritto societario, del divieto di partecipazione alla fusione (e alla scissione) di società sottoposte a procedure concorsuali, precedentemente contenuto nell’art. 2501, 2° comma, c.c. (introdotto dal d.lgs. 16 gennaio 1991, n. 22): cfr., in luogo di molti, Guerrera, Gruppi di società, operazioni straordinarie e procedure concorsuali, in Dir. fall., 2005, I, 34 ss.; Di Sarli, Commento all’art. 2501, in Comm. alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2006, p. 448 ss. (che propone soluzioni articolate); Stanghellini, Commento, cit., p. 1963 ss. 14 A norma, rispettivamente, degli artt. 2500-septies e 2500-octies c.c. 15 Esclude tuttavia che la trasformazione possa essere «di per sé utile alla soddisfazione dei creditori» Stanghellini, Commento, cit., p. 1963 (nell’ambito di un discorso riguardante il concordato fallimentare); nello stesso senso del testo, invece, Mosca, Commento all’art. 2499, in Comm. alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2006, p. 34; Pacchi(-D’Orazio-Coppola), Il concordato preventivo, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di Didone, 2, Torino, 2009, p. 1792.
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fallimento dei soci in estensione (art. 147, 2° comma, l.fall.): il rischio di un pregiudizio per i creditori è del tutto palese. Nondimeno, dubito che dinanzi a tale pregiudizio i creditori (o il fallimento) possano insorgere con l’azione revocatoria. Invero, l’atto di trasformazione non si presta ad essere ricostruito nei termini di un negozio produttivo di spostamenti di ricchezza: al suo esito non si ha mutamento della titolarità di beni, non si realizzano aumenti o diminuzioni nella consistenza di patrimonî, ma si determina una mera vicenda organizzativa, che sul terreno patrimoniale si presenta come del tutto incolore. Insomma, al cospetto dell’atto di trasformazione, lo strumento di tutela dei creditori non riposa nella revocatoria: e se questa non può venire in gioco, neppure ha senso discorrere dell’esonero stabilito dall’art. 67 l.fall. Diverse valutazioni si impongono, invece, con riguardo alla fusione e alla scissione. Anche in questo caso, non può dubitarsi che l’una o l’altra operazione possa inscriversi – come momento di particolare importanza a tal fine – nel quadro di un piano di risanamento, di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ovvero di un concordato preventivo. Tra l’altro, le operazioni in esame sono quelle che più profondamente incidono sulla struttura delle società che vi prendono parte, sicché appare fuori contestazione che il loro impiego – purché ragionato e meditato – possa condurre a risultati più che virtuosi anche sotto il profilo del salvataggio o del recupero di realtà imprenditoriali che non siano integralmente compromesse, ma presentino parti o rami ancora efficienti e vitali, da «distribuire» allora fra le varie società coinvolte nell’operazione. Se questo non può essere messo in dubbio, nemmeno può discutersi circa l’idoneità di vicende di tal fatta a produrre effetti potenzialmente sfavorevoli per il ceto creditorio. Invero, mercé la fusione e la scissione, i compendî patrimoniali delle società che vi partecipano si scompongono e si ricompongono in modi e secondo schemi che non sempre appaiono neutri nella prospettiva dei creditori 16: sicché – fallita la società debitrice – costoro potrebbero avere specifico interesse a elidere vicende patrimoniali per essi pregiudizievoli. Potrebbero avere interesse, in altre parole, ad agire per la revoca dell’atto di fusione o di scissione, allegan-
16 Lo rileva in termini generali, notando come la scissione si presti ancor più della fusione ad essere impiegata in modo «improprio», se non addirittura fraudolento, Scognamiglio, Le scissioni, in Tratt. delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 7**2, Torino, 2004, p. 293 ss.; v. pure Guerrera, Gruppi di società, cit., p. 29, che pone in luce gli accresciuti rischi (oltre che per i soci cc.dd. esterni, anche) per i creditori derivanti da operazioni di fusione o di scissione compiute all’interno di un gruppo societario.
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do innanzitutto l’insussistenza dei presupposti perché possa prodursi l’esonero ex art. 67, 3° comma, l.fall. [ad es.: nell’ipotesi di cui alla lettera d, il fallimento potrebbe far valere la carenza del requisito della (apparente) idoneità del piano a conseguire «il risanamento dell’esposizione debitoria» e ad «assicurare il riequilibrio della… situazione finanziaria» dell’impresa; nella medesima ipotesi, oltre che nei casi previsti dalla successiva lettera e, le censure potrebbero appuntarsi sull’assenza di un nesso di strumentalità delle operazioni compiute rispetto agli obiettivi della procedura di composizione della crisi]. Orbene, è proprio sotto questo peculiare profilo che si palesano le interferenze fra principî di diritto societario e disciplina fallimentare. Interferenze che non è incongruo definire radicali, se è vero, come credo sia, che contro l’atto di fusione o di scissione il fallimento non può reagire con il rimedio governato dall’art. 67 l.fall. – ciò che, evidentemente, vale anche ad escludere che un problema di applicabilità dell’esonero dalla revoca possa presentarsi. La soluzione non deriva, come sulle prime si potrebbe forse supporre, dalla rigida «barriera» eretta dall’art. 2504-quater c.c. 17, nella parte in cui esclude che – una volta eseguita l’ultima delle iscrizioni previste dalla legge – vi sia spazio per pronunziare l’invalidità dell’atto di fusione o di scissione, e accorda a coloro che avrebbero potuto agire (o abbiano effettivamente agito) per l’invalidità il diritto al risarcimento del danno sopportato all’esito dell’operazione viziata. Invero, sembra che la disciplina di cui all’art. 2504-quater c.c., benché per varî aspetti ancor più severa di quella racchiusa nell’art. 2332 c.c. 18, abbia fondamento sistematico omogeneo rispetto a quest’ultima, e che al pari di questa non valga a impedire – per ragioni che ora non è possibile argomentare compiutamente – iniziative dirette contro vicende patrimoniali lesive 19.
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Applicabile alla scissione per effetto dell’esplicito richiamo operato dall’art. 2506ter, ult. cpv., c.c. 18 Infatti, a differenza di quanto accade nel caso dell’art. 2332 c.c., che lascia un sia pur limitato spazio a sanzioni «reali» (benché operanti solo pro futuro), la preclusione prevista dall’art. 2504-quater c.c. è assoluta e non patisce eccezioni: cfr. Genovese, L’invalidità dell’atto di fusione, Torino, 1997, p. 23 ss., e Beltrami, La responsabilità per danni da fusione, Torino, 2008, p. 1 ss., ove è rievocato il dibattito precedente l’emanazione del d.lgs. 22/1991 e sono ricordate le ragioni per cui durante i lavori preparatori sia stata respinta tanto l’idea di estendere alla fusione la regola dell’art. 2332 c.c., quanto quella di predisporre un’autonoma disciplina della «fusione nulla». 19 Nello stesso ordine di idee, tra gli altri, Denozza, La scissione di società, in Impresa e società. Nuove tecniche comunitarie, Milano, 1992, p. 95; Serra(-Spolidoro), Fusioni
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Negato, allora, che l’ostacolo alla revoca si radichi nell’art. 2504-quater, 1° comma, c.c., chiarisco subito che il motivo per cui il fallimento non può avvalersi del rimedio revocatorio è dato – a mio modo di vedere – dalla presenza della specifica regola dell’art. 2503 c.c., la quale prescrive che la fusione e la scissione non siano attuabili prima del decorso del termine di sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni indicate dall’art. 2502-bis c.c., entro il quale i creditori anteriori possono opporsi all’operazione (reputata) pregiudizievole 20. Anche se il punto è fortemente controverso, e non priva di opinabilità la tesi proposta, deve credersi che l’opposizione rappresenti lo strumento di tutela prediletto dal sistema – e al tempo stesso esclusivo – tutte le volte in cui una vicenda di tipo dominicale, qual è l’alterazione della consistenza di un patrimonio, si inserisca all’interno del flusso dell’impresa, rappresentandone un momento di articolazione e di sviluppo (com’è testimoniato, fra l’altro, dall’art. 2447-quater c.c., che detta regola analoga con riguardo all’istituzione di patrimonî destinati). Uno strumento che «nasce» come mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, al pari della revocatoria 21,
e scissioni di società (Commento al d.lg. 16 gennaio 1991 n. 22), Torino, 1994, p. 230; Genovese, L’invalidità, cit., p. 212, nota 243; Lucarelli, La scissione di società, Torino, 1999, p. 394 ss., note 146-147; Schiano di Pepe, Commento all’art. 2506, in Società di capitali. Comm., a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, III, Napoli, 2004, 1999 e 2005; Di Marcello, La revocatoria ordinaria e fallimentare della scissione di società, in Dir. fall., 2006, I, 67 ss.; Trib. Palermo, 26 gennaio 2004 (ord.), in Giur. comm., 2007, II, 250; Trib. Livorno, 2 settembre 2003, in Fallimento, 2004, 1138; diversamente, scorgono un ostacolo insuperabile all’esperimento delle azioni previste dagli artt. 2901 ss. c.c. o 64 ss. l.fall. – oltre che nell’attribuzione ai creditori del rimedio ex art. 2503 c.c.: v. subito oltre nel testo – nel precetto dell’art. 2504-quater c.c. Gasperoni, voce Trasformazione e fusione di società, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, p. 1061; (Serra-)Spolidoro, Fusioni e scissioni di società, cit., p. 112; Scognamiglio, Le scissioni, cit., p. 294 ss. e p. 366; Trib. Roma, 11 gennaio 2001, in Dir. fall., 2001, II, 1050. Non si pronunzia Galgano, Scissione di società, in Vita not., 1992, 513. 20 Sempre che non ricorra una delle condizioni menzionate dal primo comma dello stesso art. 2503 c.c. (consenso dei creditori anteriori; pagamento dei creditori che non abbiano dato il consenso, ovvero deposito delle somme corrispondenti presso una banca; predisposizione della relazione prevista dall’art. 2501-sexies c.c., per tutte le società partecipanti alla fusione, «da un’unica società di revisione la quale asseveri… che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione rende non necessarie garanzie a tutela dei suddetti creditori»), la cui presenza permette che la fusione o la scissione sia attuata senza ulteriori attese. 21 Ciò risulta con chiarezza dalla norma dell’art. 2906, cpv., c.c., che è inserita nel capo «Dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale», insieme all’azione surrogatoria, all’azione revocatoria e al sequestro conservativo, e mostra come l’esercizio
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ma che a differenza di quest’ultima impone di agire prima che l’atto pregiudizievole abbia prodotto i propri effetti, gravando i creditori di un preciso onere di tempestività: in mancanza della quale è coerente escludere che l’operazione, medio tempore realizzatasi, possa essere impugnata con il rimedio ex art. 67 l.fall. 22, dal cui vittorioso esperimento discenderebbe un risultato non diverso – dal punto di vista dei creditori – da quello che costoro avrebbero potuto conseguire, se fossero stati solleciti, tramite la via dell’opposizione 23. Se così è, appare evidente che l’operazione straordinaria pregiudizievole, la quale risulti formalmente incardinata all’interno di una procedura di soluzione negoziale della crisi, e che sia stata ormai perfezionata in tutte le sue fasi, gode – nell’ambito del successivo fallimento – di un regime di «immunità» dalla revoca ben più esteso, in effetti, di quello delineato dalle lettere d ed e dell’art. 67 l.fall. Sussistano o meno i presupposti indicati da tali norme, certo è che le ripercussioni patrimoniali dell’atto di fusione o di scissione non possono essere più contestate dal ceto creditorio: le ragioni di quest’ultimo soccombono, dinanzi all’esigenza di consentire lo svolgimento dell’attività d’impresa secondo nuovi e (almeno in teoria) più efficienti schemi organizzativi. Se non vedo male, tale circostanza si presenta come particolarmente insidiosa per i creditori nel caso
dell’opposizione «nei casi e con le forme stabilite dalla legge» produca un effetto analogo a quello che promana dal sequestro conservativo e dalla revocatoria, cioè l’inopponibilità nei confronti del creditore agente degli atti dispositivi del patrimonio del debitore [cfr., per un significativo accostamento fra l’azione revocatoria e le opposizioni previste dal diritto delle società, Portale, I bilanci straordinari delle società per azioni (Appunti), in Riv. soc., 1978, 392; maggiori riferimenti sulle opposizioni richiamate dall’art. 2906, 2° comma, c.c. in Briolini, I vincoli sui titoli di credito, Torino, 2002, p. 34, nota 62]. 22 Nel senso che nel contesto della fusione e della scissione la revocatoria sia «assorbita» dallo strumento di cui all’art. 2503 c.c., tra gli altri, (Serra-)Spolidoro, Fusioni e scissioni di società, cit., p. 112; Palmieri, Scissione di società e circolazione dell’azienda, Torino, 1999, p. 240, nota 95; C. Santagata(-R. Santagata), Le fusioni, in Tratt. delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 7**1, Torino, 2004, p. 530 ss., testo e spec. nota 33. 23 Via che, in realtà, conduce a un esito ancor più radicale rispetto al risultato derivante dall’esercizio dell’azione revocatoria, se è corretta la tesi – da molti condivisa – la quale ritiene che l’opposizione valga a «bloccare» l’operazione nel suo complesso: v., per tutti, C. Santagata(-R. Santagata), Le fusioni, cit., p. 508 ss. Altro problema (di cui dirò nel successivo par. 5) è se gli effetti di tale «blocco» vengano meno quando – nonostante l’opposizione (e la sanzione penale ex art. 2629 c.c.) – gli amministratori procedano comunque alle iscrizioni di cui all’art. 2504, 2° comma, c.c., rendendo così applicabile il principio di stabilità sancito dall’art. 2504-quater, 1° comma, c.c.
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in cui la fusione o la scissione pregiudizievole sia compiuta nel contesto di un concordato preventivo, ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti. In questa ipotesi, infatti, la previa approvazione dei creditori e, soprattutto, il controllo giudiziale in sede di omologa potrebbero indurre gli stessi creditori ad «abbassare la guardia» – fuor di metafora: a non avvalersi tempestivamente dell’opposizione – al cospetto di fusioni e scissioni ricomprese nella proposta di concordato, ovvero nell’accordo di cui all’art. 182-bis l.fall., e al contempo spingere il debitore più spregiudicato, magari d’intesa con i creditori meno seri, ad eseguire operazioni straordinarie difformi in peius (per i creditori, o per una parte di questi) rispetto a quelle in precedenza programmate. Operazioni che, se quanto prima osservato è giusto, il fallimento non potrebbe poi colpire con il rimedio ex art. 67 l.fall., anche quando per il loro tramite fossero effettuati spostamenti patrimoniali incongrui rispetto agli obiettivi della procedura di composizione della crisi, o senz’altro fraudolenti.
5. (Segue). L’opposizione dei creditori e l’esenzione ex art. 67, 3° comma, lett. d ed e, l.fall. Prima di concludere, conviene dar conto di un dubbio che i superiori cenni potrebbero far sorgere, nonché fornire un’ultima precisazione. Il dubbio riguarda l’opposizione dei creditori, che come appena visto costituisce il fondamentale strumento di tutela del ceto creditorio dinanzi al rischio che – fra le «pieghe» di una delle procedure delle quali si sta ragionando – si celino operazioni irrimediabilmente lesive. Ebbene, potrebbe darsi che i creditori esercitino con scrupolo il vaglio di cui sono onerati dall’art. 2503 c.c., opponendosi con la necessaria prontezza all’operazione straordinaria in contrasto con i propri diritti. Peraltro, potrebbe anche accadere che – ad onta di tale iniziativa, e grazie ad amministratori compiacenti – la fusione o la scissione sia comunque portata a compimento, con l’esito di innalzare definitivamente quella che poc’anzi ho definito la «barriera» prevista dall’art. 2504-quater c.c. 24. Quale, allora, la sorte dell’operazione – e quali i mezzi di tutela del fallimento – in un caso di tal fatta?
24 L’ipotesi non è solo di scuola: cfr. Trib. Milano, 8 settembre 2003, in Giur. comm., 2005, II, 198, con nota di Beltrami, Accoglimento dell’opposizione dei creditori ex art. 2503 c.c. a fusione già eseguita.
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La risposta al quesito non è agevole. Invero, fra chi si è occupato in modo specifico del problema è accreditata la tesi per cui l’ultimazione della sequenza procedimentale – con la stipula dell’atto di fusione e l’adempimento della pubblicità prescritta dall’art. 2504, 2° comma, c.c. – renderebbe definitivamente inattaccabili, in forza del principio dell’art. 2504-quater, 1° comma, c.c., gli effetti derivanti dalla fusione o dalla scissione, anche se realizzata in costanza del giudizio instauratosi all’esito dell’opposizione 25 (o, addirittura, prima del decorso del termine di sessanta giorni per proporla 26). In tale prospettiva, la tutela dei creditori sarebbe affidata al rilascio di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in grado di inibire l’iscrizione dell’atto di fusione o di scissione nel registro delle imprese; ma in mancanza di siffatto provvedimento, ad essi non resterebbe che agire per il ristoro del danno subìto, a norma dell’art. 2504-quater, 2° comma, c.c. Tuttavia, dubito che questa tesi possa essere condivisa, sembrando(mi) preferibile l’idea che l’operazione straordinaria compiuta in spregio dell’art. 2503 c.c. – benché valida e ormai intangibile per quanto attiene alle modifiche organizzative da essa prodotte – sia inefficace erga omnes, ovvero (e più correttamente) con riguardo ai creditori che vi si siano opposti 27. Come altri ha detto, l’iscrizione sana i vizi dell’atto, ma non attribuisce effetti all’atto che è inidoneo a produrne 28: e tale è l’atto iscritto durante il giudizio scaturito dall’opposizione tempestivamente proposta 29.
25
Per questa impostazione v. ad es. (C. Santagata-)R. Santagata, Le fusioni, cit., p. 508 ss. e 608 ss.; Iermano, Invalidità delle operazioni straordinarie e principio di stabilità, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, a cura di Abbadessa e Portale, 4, Torino, 2007, p. 422 ss., dove ulteriori riferimenti. 26 Così Scognamiglio, Le scissioni, cit., p. 391 ss. (sul presupposto che in tale ipotesi si abbia una semplice irregolarità procedimentale sanabile dall’iscrizione, a mente dell’art. 2504quater, 1° comma, c.c.). 27 V., per le necessarie indicazioni in merito alle varie tesi, ex multis, Genovese, L’invalidità dell’atto di fusione, cit., p. 206 ss.; Cacchi Pessani, Commento all’art. 2503, in Comm. alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2006, p. 731 ss.; Beltrami, La responsabilità, cit., p. 17 ss. 28 Così, quasi testualmente, Scognamiglio, Le scissioni, cit., p. 387 ss., spec. p. 391 ss. (la quale, peraltro, è dell’avviso che tale principio importi l’inefficacia dell’operazione solo ove questa sia stata posta in essere in pendenza del giudizio di opposizione, e non anche quando essa sia stata compiuta prima del decorso del termine previsto dall’art. 2503 c.c.: v. la superiore nota 26). 29 In questa sede non interessa approfondire il più preciso contenuto della sanzione di inefficacia relativa-inopponibilità, da cui deve ritenersi colpita la fusione o scissione realizzata in spregio dell’art. 2503 c.c.: v., per due recenti proposte interpretative, Lucarel-
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Ed è proprio da qui che germina il dubbio cui alludevo poc’anzi. Infatti, se è vero che la ratio dell’esonero dalla revoca riposa nell’esigenza – stimata prioritaria dal legislatore della riforma fallimentare – di garantire la stabilità degli interventi funzionali al miglior esito di tentativi di soluzione concordata della crisi, impedendo pronunzie che, nel successivo fallimento, facciano valere l’inefficacia di tali operazioni, in virtù del pregiudizio da esse recato al ceto creditorio, o comunque della loro idoneità ad alterare la par condicio; se questo è vero, può apparire consequenziale ritenere che l’esonero descritto dall’art. 67, 3° comma, l.fall. «copra» anche l’inefficacia scaturente dalla violazione della regola ex art. 2503 c.c., inefficacia di cui il curatore non potrebbe quindi giovarsi. I confini del contributo non permettono più che di accennare al problema, nonché a taluni argomenti che potrebbero assumere rilievo per meglio valutarne le possibili soluzioni; non ambisco, invece, a fornire risposte, e meno che mai risposte con i caratteri della definitività. In tale prospettiva, va detto che – a favore dell’estensione dell’art. 67, 3° comma, l.fall. anche a questa peculiare ipotesi – può invocarsi l’omogeneità fra la revocatoria e l’opposizione dei creditori, siccome ambedue mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale distinti (solo) in ragione del diverso modus operandi, per quanto concerne in primo luogo il momento in cui è possibile farvi ricorso e, poi, gli effetti derivanti dal loro vittorioso esercizio. In altre parole, la violazione dell’art. 2503 c.c. non si riverbera sulle regole di funzionamento delle società partecipanti alla fusione o alla scissione, non pone un problema di «validità» delle nuove o modificate strutture organizzative, ma solleva unicamente un’esigenza di tutela patrimoniale dei creditori, rectius di una parte di costoro – i cui diritti, allora, il sistema ben potrebbe scegliere di comprimere, in questo caso come in quelli indicati dall’art. 67, 3° comma, l.fall., per favorire forme di composizione della crisi potenzialmente capaci di scongiurare il fallimento. Insomma, sussisterebbe (almeno) la eadem ratio, in grado di sorreggere il ricorso allo strumento dell’analogia. Per converso, tale approdo ermeneutico non può che apparire discutibile sol che si faccia leva sulla circostanza che il terzo comma dell’art. 67
La nuova disciplina delle fusioni e scissioni: una modernizzazione incompiuta, in Riv. soc., 2004, 1372 ss., in part. p. 1374, testo e nota 69 (la quale richiama lo strumento della separazione ex art. 514 c.c.), e Beltrami, La responsabilità, cit., 84, nota 93 (secondo cui l’accoglimento dell’opposizione obbligherebbe la società a costituire una specifica garanzia, analoga a quella menzionata dall’art. 2503, 1° comma, c.c., sulla quale i creditori vittoriosi potrebbero soddisfarsi in via preferenziale rispetto a ogni altro creditore). li,
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l.fall. è riservato – in modo letteralmente esclusivo – alla «revocatoria» (anzi, secondo alcuni, alla sola revocatoria fallimentare): e nonostante tutti i punti di contatto, quella disciplinata dall’art. 2503 c.c. non è, innegabilmente, una «revocatoria». Rilievo, questo, che solo sulle prime potrebbe giudicarsi smentito dal richiamo del nuovo art. 182-quater, 3° comma, l.fall., introdotto con il d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122). Invero, tale norma – nell’attribuire il carattere della prededucibilità ai crediti per i finanziamenti dei soci, che in linea di principio dovrebbero essere postergati: artt. 2467 e 2497quinquies c.c. – sembra escludere implicitamente anche l’inefficacia del rimborso di tali crediti 30, ampliando (sempre implicitamente) i confini dell’esonero ex art. 67, 3° comma, l.fall. 31. A questo argomento, infatti, potrebbe opporsi – se non altro – l’eccezionalità della previsione prima richiamata, intesa a risolvere un problema in precedenza dibattuto, «in deroga» esplicita «agli articoli 2467 e 2497-quinquies» c.c.: di talché sarebbe esegeticamente opinabile voler trarre da essa una regola di portata più generale, nonché estensibile al caso di cui qui si discorre.
6. Rilievi conclusivi in tema di responsabilità di amministratori e soci. Quale che sia la risposta al superiore quesito, resta da operare – come mi ero ripromesso – una precisazione conclusiva, con riguardo alla tutela del fallimento che, per una o altra ragione, si trovi sbarrata la via della revoca o, se del caso, dell’inefficacia (relativa) ex art. 2503 c.c. Invero, penso sia fuori discussione che, in tutte le ipotesi finora considerate, possano reputarsi preclusi solo i rimedi intesi a far emergere l’inefficacia di talune vicende patrimonialmente rilevanti, siccome fun-
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In analogo ordine di idee Bonfatti, Il sostegno finanziario dell’impresa nelle procedure di composizione negoziale delle crisi, relazione al Convegno su «Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa: opportunità e responsabilità» (Reggio Emilia, 8 ottobre 2010), in www.ilcaso.it, documento n. 214/2010, p. 15 ss. 31 Nel senso, per l’appunto, che questo parrebbe estendersi ad atti – quali i rimborsi dei finanziamenti dei soci, avvenuti nell’anno precedente il fallimento della società – che in base agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. dovrebbero essere colpiti da inefficacia e dunque restituiti al fallimento, e che invece si sottraggono a tale sanzione (direi: sino a concorrenza dell’ottanta per cento del loro ammontare) qualora il finanziamento sia stato eseguito nell’ambito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione omologato (ex art. 182-quater, 1° e 3° comma, l.fall.).
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zionali a un tentativo di soluzione convenzionale della crisi, o comunque inserite all’interno di operazioni straordinarie che godono del più ampio principio di stabilità proprio del diritto delle società. Nessun influsso – immediato o mediato – ha invece la regola del terzo comma dell’art. 67 l.fall. (e tantomeno il principio di stabilità: art. 2504-quater, cpv., c.c. 32) in ordine al ricorso allo strumento risarcitorio da parte del fallimento, qualora ne sussistano i presupposti 33. Bisogna ritenere, infatti, che gli esiti pregiudizievoli di operazioni straordinarie solo apparentemente dirette a superare la crisi, ovvero attuate in consapevole spregio dei diritti dei creditori, e nondimeno ormai intangibili, possano essere rimossi sul piano patrimoniale – in tutto o in parte – mediante il ragionato esercizio delle azioni per il risarcimento dei danni da parte del curatore (art. 146 l.fall.). Azioni che, alla luce delle più recenti acquisizioni della dottrina giuscommercialistica, possono dirigersi non solo nei riguardi degli amministratori delle società coinvolte nell’operazione (e dell’eventuale capogruppo, ex art. 2497 c.c.), ovvero degli altri soggetti che a vario titolo abbiano contribuito a realizzarla (sindaci, società di revisione, esperti), ma anche verso i soci di tali società che – con il proprio voto, o in altro modo – abbiano intenzionalmente partecipato a formare la decisione da cui siano discesi effetti lesivi per il fallimento (arg. ex artt. 2476, 7° comma 34,
32 Conf., indirettamente, Guerrera, Gruppi di società, cit., p. 33, che – pur ipotizzando la decadenza dall’azione di responsabilità rispetto ai creditori che non si siano avvalsi della tutela ex art. 2503 c.c. – esclude che tale decadenza possa prodursi nei casi di incompletezza, falsità e inattendibilità della documentazione resa pubblica a norma dell’art. 2501-septies c.c. (ipotesi alla quale sembra possa agevolmente aggiungersi quella in cui la mancata opposizione sia stata causata dal comportamento degli amministratori della società debitrice, che abbiano dato corso alla fusione o alla scissione in spregio dell’art. 2503 c.c.) 33 Rispondo così anche alla domanda (accennata retro, par. 3) relativa alla possibile estensione dell’esonero ex art. 67, 3° comma, l.fall. all’azione per il risarcimento del danno proponibile – ad avviso di quanti stimano la revoca del conferimento preclusa dal principio di cui all’art. 2332 c.c. – nei confronti dei soci di mala fede (maggiori riferimenti in Briolini, Le azioni «restitutorie», cit., p. 10 ss.). 34 Il richiamo dell’art. 2476, 7° comma, c.c. postula evidentemente che alla norma possa attribuirsi una vis espansiva tale da consentirne l’applicazione oltre i confini del tipo nel cui ambito essa si colloca: esito, questo, sul quale non tutti concordano [cfr., con vari approfondimenti e diverse soluzioni al problema dell’applicabilità dell’art. 2476, 7° comma, c.c. a tipi diversi dalla s.r.l., Irace, La responsabilità per atti di eterogestione, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Santoro, Milano, 2003, p. 191 ss.; Lener - Tucci, Decisioni dei soci e responsabilità degli amministratori, in An. giur. econ., 2003, p. 287 ss.; Nigro, La società a responsabilità limitata nel nuovo diritto societario: profili generali, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, cit., spec. p. 18 ss.; Rescigno, Eterogestione e responsabilità nella riforma societaria
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e 2497 35 c.c.). Per vero, è solo tramite tali azioni – rivolte se necessario contro chi, come il socio o i soci di controllo, altrimenti andrebbe esente da ogni conseguenza del dissesto, riparandosi dietro lo «schermo» della responsabilità limitata 36 – che può ridursi il rischio che l’impiego malizioso delle regole societarie conduca a riservare un’ingiustificata «immunità» ad operazioni dissonanti rispetto all’obiettivo di composizione delle crisi d’impresa.
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fra aperture e incertezze: una prima riflessione, in Società, 2003, p. 332 ss. (e Id., Soci e responsabilità nella nuova s.r.l., in An. giur. econ., 2003, 300 ss.); Ambrosini, Commento all’art. 2476, in Società di capitali. Comm., a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, III, Napoli, 2004, p. 1603 ss.; Guerrera, La responsabilità “deliberativa” nelle società di capitali, Torino, 2004, passim e spec. p. 64 ss.; Picciau, Appunti in tema di amministrazione e rappresentanza, in La nuova s.r.l. Prime letture e proposte interpretative, a cura di Farina, Ibba, Racugno e Serra, Milano, 2004, p. 271 ss.; Rossi, Deformalizzazione delle funzioni gestorie e perimetro della responsabilità da gestione nella s.r.l., in Giur. comm., 2004, I, 1060 ss.; Vigo, La partecipazione dei soci all’amministrazione della s.r.l., in Il nuovo diritto societario. Prime riflessioni su alcuni contenuti di disciplina, a cura di Genovese, Torino, 2004, p. 52 ss.; Pasquariello, Commento all’art. 2476, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, III, Padova, 2005, p. 1978 ss.; Abriani, Commento all’art. 2476, in Codice commentato delle s.r.l., diretto da Benazzo e Patriarca, Torino, 2006, p. 379 ss.; Zoppini, Intestazione fiduciaria e responsabilità per atti di «eterogestione» (art. 2476, comma 7°, c.c.), in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, 573 ss.; Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, V, 1, Torino, 2007, 267 ss.; Meli, La responsabilità dei soci nella s.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 3, Torino, 2007, p. 667 ss.; Patriarca, La responsabilità del socio «gestore» di s.r.l., in Società, 2007, p. 1191 ss.; Angelillis-Sandrelli, Commento all’art. 2476, in Comm. alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2008, p. 791 ss.; Mollo, La responsabilità per danni nella s.r.l., in Giur. comm., 2008, I, 823 ss.; Bertolotti, L’amministrazione della società, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009. Comm., diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, Torino, 2009, p. 998 ss.; Cian, Le competenze decisorie dei soci, in Tratt. delle s.r.l., diretto da Ibba e Marasà, IV, Padova, 2009, spec. p. 41 ss.; Zanardo, L’estensione della responsabilità degli amministratori di s.r.l. per mala gestio ai soci «cogestori»: luci e ombre della disposizione dell’art. 2476, comma 7, c.c., in Riv. soc., 2009, p. 498 ss.; in giurisprudenza, Trib. Milano, 9 luglio 2009, in www.dejure.it]. 35 Norma valorizzata da Guerrera, Gruppi di società, cit., p. 31 ss., spec. p. 33, che la definisce «strumento assai incisivo di repressione degli abusi “plurioffensivi” del potere di direzione e coordinamento, che si manifestano sul piano complesso e insidioso dei processi di riorganizzazione societaria». 36 Cfr., per taluni spunti in questo senso, Lucarelli, La nuova disciplina, cit., in part. p. 1371, nota 64.
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COMMENTI
Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Roma, decisione 6 dicembre 2010, n. 1423; Pres. Marziale, Est. Ferro Luzzi Cessione di rapporti giuridici ex art. 58 t.u.b. – Obbligo del cedente di tempestiva comunicazione della cessione ai clienti – Sussistenza (D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 58)
A seguito della cessione a banche di aziende, rami d’azienda, di rapporti giuridici individuabili in blocco ex art. 58 t.u.b., la banca cedente in virtù dei generali principi di correttezza e buona fede è tenuta a dare ai titolari dei rapporti ceduti tempestiva comunicazione della cessione nonché dei suoi riflessi sui rapporti ceduti (1).
(Omissis) Fatto – Il ricorrente lamenta l’ingiustificato rifiuto di pagare alcuni assegni bancari da lui tratti su di essa e ne chiede la condanna al risarcimento in suo favore di complessivi € 50.000, sia a titolo di danni morali e di immagine (nei confronti dei propri fornitori) sia per il rimborso delle spese derivanti dal mancato pagamento degli assegni emessi. Il ricorrente, infine, chiede la condanna dell’intermediario a inviare una lettera di scuse a lui e a tutte le persone alle quali, dando per impagati gli assegni in questione, avrebbe causato un danno. Il ricorrente aveva, da tempo, sottoscritto i servizi di home banking, per i quali l’intermediario aveva attivato una branca operativa con denominazione propria, che si avvaleva
per la concreta operatività bancaria (ad esempio per il rilascio dei carnet di assegni) di una delle agenzie della resistente. Dal 1° novembre 2009, nell’ambito di una riorganizzazione del Gruppo, la branca operativa con denominazione propria iniziava a operare come nuovo ente bancario, con un proprio codice ABI, acquisendo l’agenzia ove prima operava, che oggi ne costituisce la sede. Il resistente lamenta, innanzitutto, di non avere ricevuto alcuna informazione da parte dell’intermediario circa la cessione dell’agenzia presso cui intratteneva i rapporti bancari (e della relativa clientela) al nuovo ente bancario, come nuova banca del Gruppo né, soprattutto, circa le conseguenze che il cambiamento del codice ABI
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Commenti
avrebbe potuto avere, in particolare, sul pagamento degli assegni già in suo possesso e riportanti il “vecchio” codice ABI della resistente. Del tutto ignaro, quindi, dell’intervenuta cessione dell’agenzia e del cambiamento del codice ABI, il ricorrente – nel novembre 2009, a gennaio e a marzo del 2010 – traeva tre assegni sul suo conto corrente on line, conto munito delle somme necessarie, in favore di due suoi fornitori. Tutti gli assegni erano d’importo inferiore ai € 3.000 e, come tali, erano negoziati elettronicamente in check truncation. I primi due assegni erano tratti in favore di uno stesso fornitore, rispettivamente per € 1.500 e 2.000, e il terzo assegno in favore di un altro fornitore per € 2.602,81. Gli assegni in questione, quindi, riportavano ancora l’ABI e il CAB dell’agenzia quando ancora apparteneva alla resistente. I titoli, tuttavia, una volta versati dai beneficiari, erano segnalati in procedura come “impagati” e gli accrediti delle relative somme venivano conseguentemente stornati. In un caso, come specificato dal ricorrente, la banca negoziatrice addebitava poi al beneficiario spese per 14 euro (7 per ognuno dei due assegni stornati). A seguito dell’accaduto, quindi, il primo fornitore comunicava al ricorrente che non intendeva proseguire le relazioni d’affari con lui, mentre il secondo che non avrebbe più accettato pagamenti se non in contanti. Al conseguente reclamo del ricorrente del 25 gennaio 2010, rivolto nei confronti sia della banca negoziatrice dei primi due assegni sia della banca trattaria, quest’ultima non forniva risposta.
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Si costituiva parte resistente la quale, innanzitutto, presentava le proprie scuse per il comportamento della controllata, che non solo non ha riscontrato il reclamo del ricorrente ma non ha neppure investito della questione essa Capogruppo per competenza. In argomento, la resistente faceva presente che il 1° novembre 2009 la propria agenzia n. [omissis] di Milano, presso cui il ricorrente intratteneva il rapporto di conto corrente on line e la relativa convenzione di assegno, cessava la propria “natura” di agenzia di appoggio per i clienti dei servizi on line e si trasformava in autonoma (sede della) banca on line del Gruppo, operante dal 1999 come branca operativa on line del Gruppo stesso e costituente dal 1° novembre 2009 un ente bancario a sé stante, con un proprio codice ABI. La resistente precisava, quindi, di avere informato di tali eventi le banche corrispondenti, in particolare per quanto riguarda la presentazione di assegni bancari e le modalità relative al trattamento degli stessi, con messaggio al sistema bancario n. 097 del 19 e 27 ottobre 2009. La resistente faceva poi presente che, ai sensi dell’art. 58 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario), non grava sulla banca cedente alcun onere di comunicazione della cessione nei confronti della clientela e che gli assegni in argomento, negoziati in check truncation dalla corrispondente, sono stati trattati in conformità alle disposizioni contenute nel suindicato messaggio (il primo assegno con data di regolamento 2/12/2009 e data di emissione 30/11/2009 ed il secondo con data
Cessione di rapporti giuridici ex art. 58 t.u.b.
di regolamento 15/01/2010 e data di emissione 14/01/2010). La banca riferiva poi che i due assegni, ripresentati materialmente all’incasso il 3/12/2009 e il 19/01/2010, erano stati regolarmente pagati al beneficiario, come da lettere di accredito allegate al ricorso. Le scritture contabili, inoltre, sono avvenute in pari valuta, quindi senza aggravio per il beneficiario, mentre sono stati addebitati € 7 cadauno per spese di impagato, che sono già state rimborsate al ricorrente il 6/5/2010. Alla luce di quanto esposto, la resistente dichiarava di non riscontrare elementi tali da giustificare alcuna irregolarità nel proprio comportamento. Ancora. La resistente evidenziava come non vi fosse – in atti – alcuna prova circa un pregiudizio economico effettivo subito dal ricorrente, neanche d’immagine nei confronti del beneficiario degli assegni, essendo stati i titoli pagati in tempi ristretti ed essendo state rimborsate le relative spese, concludendo per il rigetto integrale della domanda. Diritto – Il ricorso non può essere accolto. Non è stata, infatti, fornita adeguata dimostrazione del danno patrimoniale che il ricorrente assume di aver subito. Ed è d’altro canto difficile credere che
la sua immagine commerciale sia stata lesa in modo apprezzabile, se si considera che almeno due degli assegni sono stati regolarmente accreditati al beneficiario, a seguito della loro ripresentazione, nel giro di pochi giorni. Evidenzia, nondimeno, il Collegio che il comportamento del resistente non può dirsi scevro di criticità, dal momento che un avviso al Cliente circa la modifica soggettiva del rapporto e dei codici identificativi della banca di riferimento e del conto corrente, anche se non espressamente previsto da specifiche disposizioni, era da ritenersi doveroso alla stregua dei generali principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contratti (Collegio di Milano, dec. 179/10; dec. 509/10). Si ritiene pertanto opportuno, al fine di favorire le relazioni tra intermediari e clienti, rappresentare al resistente l’esigenza che, in occasione della cessione di rapporti giuridici ai sensi dell’art. 58 t.u.b., sia data ai singoli interessati tempestiva notizia dell’operazione e dei suoi riflessi sui rapporti ceduti che direttamente li riguardano. P.Q.M. Il Collegio respinge il ricorso. Delibera, inoltre, di rivolgere all’intermediario, nei sensi di cui in motivazione, indicazioni utili a migliorare le relazioni con la clientela.
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Commenti
(1) La pubblicità delle cessioni ex art. 58 t.u.b. e doveri integrativi gravanti sul cedente desumibili dai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contratti Sommario: 1. Introduzione. – 2. La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e l’iscrizione nel registro delle imprese. – 3. Le forme di pubblicità integrativa. – 4. Necessità di fornire un’informazione tempestiva e puntuale circa le ripercussioni di una cessione? – 5. Ultime novità nella prassi bancaria in materia di circolazione degli assegni e “cessioni di sportelli”.
1. Introduzione. Nella controversia risolta dall’Arbitro Bancario Finanziario (d’ora in avanti: ABF) con la decisione che qui si annota emerge con tutta evidenza una problematica che fino ad ora non sembra sia stata affrontata con specifica attenzione dalla giurisprudenza e dalla dottrina, ovverosia la necessità che nell’ambito di una cessione realizzata sotto l’egida dell’art. 58 t.u.b. 1 il cedente comunichi a ciascun cliente ceduto il compimento dell’operazione e lo informi delle conseguenze che essa può avere sul rapporto in corso. In particolare, nel caso di specie il cliente di una banca intratteneva con essa un rapporto di conto corrente online ed una convenzione di assegno; per tali servizi, la banca aveva attivato fin dal 1999 una branca
1 Sulla disposizione citata nel testo, si segnalano le trattazioni di Vattermoli, Commento all’art. 58 t.u.b., in Testo unico bancario. Commentario, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, Milano, 2010, p. 518 ss.; Albamonte, Modificazioni dello statuto e altre operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, trasformazioni, cessioni di rapporti giuridici), in Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di Galanti, in Tratt. dir. econ., diretto da Gabrielli, Picozza, V, Padova, 2008, p. 762 ss.; Costi, L’ordinamento bancario4, Bologna, 2007, p. 722 ss.; Anselmi, Appio, Commento all’art. 58 t.u.b., in Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio e Santoro, I, Bologna, 2003, p. 865 ss.; Masi, Commento all’art. 58 t.u.b., in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia2, a cura di Capriglione, Padova, 2001, p. 452 ss.; Radicati di Brozolo, La cessione di crediti in blocco ex art. 58 t.u.b.: riflessi di diritto comunitario ed internazionale privato, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, p. 510 ss.; La Licata, La cessione di rapporti giuridici “individuabili in blocco” nell’art. 58 del t.u.b. bancario, in Quad. ric. giur. Banca d’Italia, n. 45, Roma, 1997; Cercone, Cessione di rapporti giuridici a banche, in, La nuova legge bancaria, a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, II, Milano, 1996, p. 955 ss.
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Aldo Laudonio
operativa con denominazione propria, che si avvaleva per il concreto svolgimento dell’attività bancaria di una delle sue agenzie. Sennonché, dal 1° novembre 2009, questa branca operativa, per effetto di una riorganizzazione interna del gruppo, iniziava a operare come nuovo ente bancario, e con un proprio codice ABI, acquisendo l’agenzia ove prima operava e facendone la propria sede 2. A causa di tale vicenda traslativa, in merito alla quale il cliente ha lamentato di non aver ricevuto alcuna informazione da parte della banca cedente, alcuni assegni da lui emessi sarebbero stati segnalati come impagati all’esito della procedura di check truncation 3, poiché riportavano
2 Dalla ricostruzione operata dall’ABF e dalla tempistica delle operazioni, si è portati a credere che la vicenda traslativa de qua sia quella che ha interessato il gruppo Banca Popolare di Milano e che è stata realizzata mediante un conferimento d’azienda preesistente in una società di nuova costituzione, l’attuale WeBank s.p.a. 3 La check truncation (rispetto alla quale è opportuno ricordare la corretta traduzione di “troncamento del controllo” e non dell’assegno, come pure frequentemente si afferma) è quella procedura mediante la quale gli assegni bancari di valore non superiore a € 5.000 e quelli circolari di qualsiasi importo (come stabilito nelle circolari ABI, serie tecnica, n. 44 del 15 dicembre 2008 e n. 33 del 7 ottobre 2010), anziché essere trasmessi materialmente dalla banca negoziatrice a quella trattaria, vengono trattenuti (“troncati”) presso la prima ed il regolamento avviene attraverso la trasmissione di messaggi informatici con gli estremi degli effetti. Il pagamento al portatore legittimo viene effettuato dalla banca negoziatrice salvo buon fine, ossia sotto la condizione di mancanza di contestazioni da parte della trattaria entro un certo numero di giorni. Sulla procedura in questione e sulla sua evoluzione nell’ordinamento italiano, si vedano, senza pretese di esaustività, i contributi di Partesotti, Manente, Urbani, Lezioni sui titoli di credito6, Bologna, 2010, p. 103 ss.; Profeta, L’evoluzione dei servizi di pagamento non armonizzati: l’assegno nella prospettiva della dematerializzazione, in Il nuovo quadro normativo comunitario dei servizi di pagamento. Prime riflessioni, a cura di Mancini e Perassi, in Quad. ric. giur. Banca d’Italia, n. 63, Roma, 2008, p. 181 ss.; Mucciarone, Sulla responsabilità della banca trattaria e della negoziatrice nei confronti del traente per pagamento di assegno bancario irregolare, in Dir. banc., 2008, p. 120 ss., testo e nt. 1; Manente, Commento all’art. 37 l. ass., in Commentario breve al diritto delle cambiali, degli assegni e di altri strumenti di credito e mezzi di pagamento4, a cura di Salamone e Spada, Padova, 2008, p. 396 s.; Maccarone, Moneta elettronica e titoli di credito elettronici, in I contratti informatici, a cura di Clarizia, nel Tratt. dei contratti, diretto da Rescigno e Gabrielli, Torino, 2007, p. 491 s.; Id., Elettronica e titoli di credito bancari, in Le operazioni della banca tra norme e prassi, Milano, 1988, p. 385 ss.; Olivieri, Compensazione e circolazione della moneta nei sistemi di pagamento, Milano, 2002, p. 150 ss., 172 ss.; Id., Questioni vecchie e nuove in tema d’incasso di assegni a mezzo stanza di compensazione, in Banca, borsa, tit. cred., 2001, II, p. 472 ss.; Id., Revocatoria delle rimesse in conto e individuazione del “saldo disponibile”: il ruolo dei sistemi dl pagamento, ivi, 1997, I, p. 702 ss.; Id., Compensazione e circolazione della ricchezza mobiliare, (ed. provv.), Roma, 1992, p. 127, 305 ss.; Tuozzo, Il banchiere diligente e l’assegno con
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ancora i codici ABI e CAB del periodo in cui l’agenzia in questione non operava come ente bancario giuridicamente autonomo, bensì apparteneva ancora alla banca cedente. Ciò avrebbe altresì provocato l’addebito al cliente delle spese di impagato. Secondo il cliente, ciò avrebbe causato un danno alla sua immagine presso i fornitori beneficiari degli assegni impagati; per parte sua, la banca cedente ha dimostrato che gli assegni, ripresentati all’incasso nel
traenza falsa, in Contr. e impr., 2002, p. 946 ss.; Guarracino, Titolo di credito elettronico e documento informatico, in Banca, borsa, tit. cred., 2001, I, p. 515, 518 ss.; Sciarrone Alibrandi, Responsabilità della banca negoziatrice per il caso di assegno “irregolare” e accordo interbancario sul servizio d’incasso assegni, ivi, 1997, II, p. 294 ss.; Troiano, I servizi elettronici di pagamento. Addebiti in conto non autorizzati: un’analisi comparata, Milano, 1996, p. 11 ss., 36 s.; Id., “Troncamento” degli assegni e responsabilità della banca, in Danno e resp., 1996, p. 31 ss.; Donadi, Problemi giuridici del trasferimento elettronico di fondi, in Cont. imp., 1988, p. 566 ss.. Si coglie peraltro l’occasione per segnalare che con l’art. 8, co. 7, lett. b) - f), d.l. 70/2011 sono stati modificati vari articoli della l.ass.: con tali interventi si è inteso finalmente riconoscere a livello normativo la procedura di check truncation (v. gli artt. 31, co. 3, 45, co. 1, n. 3, 61, co. 3, 66, co. 2, 86, co. 1, ult. periodo, l. ass.), ammettendo espressamente la presentazione in forma elettronica per il pagamento, la possibilità di levare in analoga forma il protesto, l’equivalenza ad ogni effetto delle “copie informatiche” a quelle cartacee ed inserendo tra le condizioni per l’esercizio dell’azione di regresso anche la dichiarazione di mancato pagamento resa dalla Banca d’Italia (quale gestore delle stanze di compensazione o delle attività di compensazione e di regolamento delle operazioni relative agli assegni); si sono così risolte alcune aporie segnalate dalla dottrina più accorta in merito alla presentazione per il pagamento in forma elettronica (cfr. per tutti Olivieri, Compensazione e circolazione della moneta, cit., p. 176 ss., il quale, stante l’inconciliabilità con la l.ass., attribuiva agli accordi interbancari in materia di check truncation efficacia esclusivamente obbligatoria). Non si è però posto rimedio a tutte le problematiche segnalate (v. Profeta, op. cit., p. 183 ss.), né ci si è spinti sino ad introdurre nel nostro ordinamento una dematerializzazione totale dell’assegno, come sarebbe avvenuto se si fosse anche consentito il ricorso ad una creazione informatica del titolo (c.d. assegno elettronico, sul quale v. Maccarone, op. cit., p. 480 ss., spec. 489 ss., ove ogni riferimento; Gimigliano, Carta di credito, moneta e assegni elettronici: indagine sullo stato dell’arte, in Dir. banc., 2004, p. 626 ss.). Si deve soggiungere per completezza che al risultato ottenuto mediante gli interventi modificativi sopra indicati non si sarebbe potuto giungere per via interpretativa fondandosi sull’art. 15 d.m. 458/2001, il quale prende in considerazione la presentazione in via telematica dell’assegno al limitato scopo di individuare il dies a quo del termine per l’invio del preavviso di revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni ex art. 9-bis l. 386/1990 (in questo senso, Profeta, op. cit., p. 182). Resta al riguardo da dire che al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed alla Banca d’Italia sono stati rispettivamente attribuiti i compiti di dettare con propri regolamenti le norme attuative e tecniche per consentire l’applicazione delle novità normative (art. 8, co. 7, lett. d) - e), d.l. 70/2011).
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giro di pochi giorni, erano stati regolarmente pagati e gli addebiti per le spese restituiti, ha sostenuto che non vi fosse prova di qualsivoglia pregiudizio economico subito dal cliente ed ha rappresentato di non essere tenuta ad eseguire nessuna comunicazione individuale delle cessioni effettuate ex art. 58 t.u.b. L’ABF ha accolto le difese della banca, non ritenendo – invero con un apprezzamento forse troppo sommario – di rinvenire un’adeguata dimostrazione dell’effettiva sussistenza di un danno patrimoniale al cliente per effetto del mancato accreditamento degli assegni 4 ma, e qui risiede il passaggio di maggiore interesse, ha affermato che “un avviso al Cliente circa la modifica soggettiva del rapporto e dei codici identificativi della banca di riferimento e del conto corrente, anche se non espressamente previsto da specifiche disposizioni, era da ritenersi doveroso alla stregua dei generali principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contratti” (corsivi aggiunti) 5.
Dalle affermazioni dell’ABF è comunque lecito evincere che una vicenda come quella descritta è in astratto suscettibile di arrecare un ingiusto danno a chi abbia emesso assegni poi rimasti non pagati e che si possa stabilire un nesso causale tra la mancata informazione circa la cessione ex art. 58 t.u.b. e la produzione del danno. Ciò che manca, a quanto pare di capire, è piuttosto la prova che sorregga e giustifichi la domanda risarcitoria e la quantificazione del danno patrimoniale subito. 5 Questa raccomandazione è stata formulata in base al potere di inserire nella decisione “indicazioni volte a favorire le relazioni tra intermediari e clienti” riconosciuto all’ABF dall’art. 6, co. 5, secondo periodo, del. CICR 275/2008 (e ribadito nella sez. VI, par. 3, delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia il 18 giugno 2009 e modificate con provvedimento del 12 dicembre 2011). Con riguardo alla natura di tali indicazioni, cfr., da un lato, Guccione, Russo, L’Arbitro Bancario Finanziario, in Nuove leggi civ. comm., 2010, p. 501 s., i quali propendono per la qualificazione in termini di raccomandazioni di carattere generale di queste “indicazioni”, e, dall’altro, Capobianco, Mediazione obbligatoria e Arbitro Bancario Finanziario, 2011, p. 5, 8 s. (rinvenibile sul sito www.judicium.it), a parere del quale le disposizioni della Banca d’Italia depongono nel senso che “la decisione dell’ABF, che riguarda «le parti» e non la generalità dei clienti e degli intermediari, possa (non necessariamente debba) anche porsi in una prospettiva di attenta rilevazione degli interessi in gioco e di possibile ricostruzione della relazione tra le parti in vista dell’applicazione di un diritto «mite» che andrebbe a temperare i rigori dell’applicazione dello strictum ius che talvolta potrebbe in concreto tradursi in una sostanziale ingiustizia”. Parrebbe che tra le due impostazioni qui delineate, l’ABF abbia optato per la prima interpretando tale facoltà come “possibilità di dare raccomandazioni agli intermediari in funzione di un miglioramento complessivo delle relazioni con la clientela, al di là dell’esito della singola controversia” (v. Relazione sull’attività dell’Arbitro Bancario Finanziario, 2010, p. 29 s., reperibile sul sito www. arbitrobancariofinanziario.it). 4
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Nelle riflessioni che si articolerà di seguito, si affronteranno in primo luogo i dati normativi caratterizzanti la disciplina della pubblicità delle operazioni di cessione realizzate in base all’art. 58 t.u.b. e poi si riscontreranno gli esiti dell’indagine con la raccomandazione dell’ABF, evidenziando le criticità di quest’ultima.
2. La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e l’iscrizione nel registro delle imprese. Prendendo dunque in esame le norme concernenti gli oneri pubblicitari legati alle cessioni di cui ci si occupa, si può subito sottolineare nell’art. 58, co. 2, t.u.b. l’evidente influenza esercitata dall’art. 54 R.d.l. 375/1936; ciononostante, la normativa vigente presenta ormai vari punti di distacco dall’originaria regolamentazione della materia. Si può riconoscere dal punto di vista storico che l’originaria previsione nell’ambito del t.u.b. della pubblicazione dell’avvenuta cessione soltanto nella Gazzetta Ufficiale fosse stata resa necessaria dalla mancata attuazione delle prescrizioni codicistiche concernenti la pubblicità commerciale 6. Tuttavia, l’implementazione del registro delle imprese ha di poco seguito la riforma dell’ordinamento bancario realizzata con il t.u.b. e per diverso tempo nulla è stato fatto per coordinare questi ambiti: nel silenzio dell’art. 58, co. 2, t.u.b. si era comunque giunti alla fondata conclusione che fosse necessario dar corso agli adempimenti pubblicitari richiesti in relazione ai trasferimenti di azienda (art. 2556 c.c.), non potendosi ritenere che fossero superati o assorbiti dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale 7. Tale tesi ha finalmente ottenuto il dovuto riconoscimento normativo ad opera dell’art. 2 d.lgs. 37/2004, che ha modificato il testo dell’art. 58, co. 2, t.u.b. richiedendo che dell’avvenuta cessione fosse data notizia anche attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese 8.
6 V. Maggi, Commento all’art. 58 t.u.b., in Il coordinamento della riforma del diritto societario con i testi unici della banca e della finanza, a cura di Maimeri, Milano, 2006, p. 172; Anselmi, Appio, op. cit., p. 884, nt. 51; Masi, op. cit., p. 462. 7 In tal senso, Anselmi, Appio, op. cit., p. 885 ss.; Masi, op. loc. ult. cit.; Cercone, op. cit., p. 977. 8 Con l’esplicita previsione della necessità dell’iscrizione nel registro delle imprese si è peraltro incrementato il grado di conoscibilità delle vicende traslative di cui all’art. 58 t.u.b., anche se, per motivi che si indicherà nel paragrafo successivo, ci sarebbero ancora margini di miglioramento.
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La necessità di eseguire le formalità pubblicitarie si estende anche ai trasferimenti di rami d’azienda; ai fini dell’applicazione dell’art. 58 t.u.b. pare preferibile considerare il “ramo d’azienda” alla stregua di una “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata” (arg. ex art. 2112, co. 5, c.c.) 9. Operata questa scelta interpretativa, è conseguente ritenere che la disciplina di riferimento sia quella dettata per il trasferimento d’azienda e non quella legata volta per volta ai trasferimenti di crediti, debiti o contratti 10, in ragione del rapporto di inclusione logico-sistematico che colloca il ramo d’azienda in seno al più vasto ed assorbente concetto di azienda: in altri termini, il tratto comune ad entrambe le fattispecie risiede nella destinazione dei beni all’attività
La necessità di procedere all’iscrizione nel registro delle imprese nel caso di trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda vincola peraltro alla redazione del relativo contratto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata (art. 2556, co. 2, c.c.). Al trasferimento dei rapporti giuridici individuabili in blocco non si può applicare la disciplina dei trasferimenti aziendali, ma ciò non significa che vi sia assoluta libertà di forma: ogniqualvolta sarà necessario trasferire dei contratti stipulati da intermediari bancari o finanziari, sarà necessario ricorrere alla forma scritta, prescritta ad substantiam dall’art. 117, co. 1 e 3, t.u.b. (come suggerisce anche Cercone, op. cit., p. 995) Si precisa che l’adempimento pubblicitario in questione assume i caratteri del vero e proprio obbligo, mentre la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale resterebbe un onere; in proposito, v. Anselmi, Appio, op. cit., p. 895. Circa l’innovazione sul piano pubblicitario introdotta dal d.lgs. 37/2004, v. Vattermoli, op. cit., p. 519, 525, il quale si richiama all’opinione di Cercone; Albamonte, op. cit., p. 766; Maggi, op. cit., p. 173 ss.. 9 Convergono in proposito anche le definizioni recate dalle Istruzioni di vigilanza di Banca d’Italia (tit. III, cap. 5, sez. I, par. 3), nelle quali il ramo di azienda è esemplificativamente ricondotto “[al]le succursali e, in genere, [ad] ogni insieme omogeneo di attività operative, a cui siano riferibili rapporti contrattuali e di lavoro dipendente nell’ambito di una specifica struttura organizzativa”. In dottrina, cfr. Vattermoli, op. cit., p. 523 s., il quale, non senza una certa approssimazione, ritiene che “il ramo d’azienda […] può essere considerato come un’azienda di dimensioni ridotte rispetto ad altra azienda che la ingloba. In altri termini, la fattispecie «ramo d’azienda» non gode di vita propria, nascendo soltanto in caso di separazione dall’azienda-madre”; Anselmi, Appio, op. cit., p. 876, 880 s. secondo cui un ramo d’azienda è identificabile in relazione alla sua idoneità “a fungere da supporto allo svolgimento di un’autonoma attività imprenditoriale”; Cercone, op. cit., p. 967, per il quale “è sufficiente che il ramo costituisca idoneo strumento dell’attività imprenditoriale, sia che esso abbia autonoma rilevanza presso l’impresa cedente, sia che, non avendola, si inserisca tuttavia come organizzazione produttiva presso l’impresa cessionaria”. A questo punto, sia in generale, sia in relazione all’antefatto della controversia, pare che pochi dubbi possano sorgere in merito alla qualificabilità di un’agenzia come “ramo d’azienda”. 10 In senso opposto, v. Costi, op. cit., p. 725.
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d’impresa. Sembra, inoltre, che sul piano degli effetti la disciplina del trasferimento d’azienda sia più adatta a salvaguardare l’integrità e la capacità produttiva dell’autonoma articolazione dell’attività economica nell’ambito del passaggio di titolarità, risultando perciò più consona con le finalità “conservative” che traspaiono anche dall’art. 58 t.u.b. in relazione alle peculiarità dell’impresa bancaria. Ne restano invece fuori i trasferimenti di rapporti giuridici individuabili in blocco 11: in tale caso, l’elemento che unifica il complesso dei rapporti giuridici non scaturisce da una loro condizione fattuale (ossia, l’inserimento nell’organizzazione dell’impresa 12), bensì dalla volontà dei contraenti che raccoglie intorno ad un criterio identificante l’insieme di rapporti da trasferire 13 nell’ambito di un’operazione di massa. In ogni
L’opposto e non condivisibile auspicio dell’estensione della pubblicità commerciale anche alla cessione di rapporti giuridici individuabili in blocco è formulato da Anselmi, Appio, op. cit., p. 886 s. Ugualmente criticabile per i motivi che si descriverà subito dopo nel testo è il suggerimento di Cercone, op. loc. ult. cit., il quale proponeva che in questo caso l’obbligo di iscrizione fosse introdotto dalla Banca d’Italia nell’esercizio del suo potere di tratteggiare forme di pubblicità integrativa. Assimila per certi versi il ramo d’azienda ed i rapporti giuridici individuabili in blocco, ma senza apparentemente trarne conclusioni sul piano pubblicitario, Vattermoli, op. cit., p. 524, secondo cui “mentre ogni trasferimento di ramo d’azienda è anche una cessione di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco, non vale il contrario”. Critica sulla vaghezza della nozione di “beni e rapporti giuridici individuabili in blocco” è Antonucci, Diritto delle banche4, Milano, 2009, p. 272. 12 Diversamente, Costi, op. loc. ult. cit., per il quale il trasferimento di rapporti individuabili in blocco si ha “soltanto quando lo stesso abbia ad oggetto una frazione della struttura aziendale (come appunto una «succursale») nell’ambito della quale si sviluppa un momento dell’attività imprenditoriale e che viene acquisita con l’assunzione del relativo rischio da parte della banca cessionaria” (corsivo aggiunto). Adottando questa soluzione, tuttavia, la distinzione tra cessione di ramo d’azienda e cessione di rapporti individuabili in blocco diviene piuttosto labile, senza contare che essa presuppone che i termini “beni” e “rapporti” non possano essere scissi nella lettura dell’art. 58, 1° co., t.u.b., per effetto di una assimilazione alla fattispecie della “succursale” che appare alquanto forzata; in proposito, sembra invece da condividere la precisazione di Bonfatti, Commento all’art. 90 t.u.b., in Testo Unico, cit., p. 1487, nt. 11, a parere del quale “non sembra sussistano ostacoli all’ammissibilità della cessione di soli «beni… individuabili in blocco» o di soli «rapporti giuridici individuabili in blocco»”. Oltre a ciò, si ricorda che i rapporti oggetto di cessione in blocco potrebbero anche non derivare dall’esercizio di un’attività imprenditoriale. 13 Nelle Istruzioni di vigilanza (tit. III, cap. 5, sez. I, par. 3) i rapporti giuridici individuabili in blocco sono descritti come “i crediti, i debiti e i contratti che presentano un comune elemento distintivo; esso può rinvenirsi, ad esempio, nella forma tecnica, nei settori economici di destinazione, nella tipologia della controparte, nell’area territoriale e in qualunque altro elemento comune che consenta l’individuazione del complesso dei rapporti ceduti”. 11
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caso, tali cessioni non sono pubblicizzabili attraverso il registro delle imprese in virtù del principio del numerus clausus delle informazioni iscrivibili (art. 2188, co. 1, c.c.). Quest’ultima affermazione non è contraddetta dal fatto che l’art. 58, co. 2, t.u.b. genericamente preveda l’iscrizione nel registro delle imprese della notizia dell’avvenuta cessione, poiché tale disposizione non fa altro che richiamare l’art. 2556 c.c. nei casi in cui risulta applicabile e non pare spingersi oltre. Il contenuto dell’avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale è definito dalle Istruzioni di vigilanza, in base alle quali è necessario “indicare gli elementi distintivi che consentano l’individuazione dell’oggetto della cessione, quindi del complesso dei rapporti giuridici da trasferire; la data di efficacia della medesima e, ove necessario, le modalità (luoghi, orari, ecc.) attraverso le quali ogni soggetto interessato può acquisire informazioni sulla propria situazione” (tit. III, cap. 5, sez. II, par. 1). A questi elementi è necessario aggiungere l’indicazione degli estremi dell’autorizzazione della Banca d’Italia, ove necessaria 14. L’adempimento degli oneri pubblicitari, come noto, è il presupposto dal cui soddisfacimento dipende la produzione di una serie di effetti vistosamente derogatori rispetto all’ordinaria cessione dei contratti, dei crediti, dei debiti e delle garanzie che li accompagnano. Dal momento che le formalità pubblicitarie sono considerate congiuntamente nei com-
14 È significativo notare che anche nell’ambito della tutela della privacy è stata esclusa la necessità per il nuovo titolare del trattamento dei dati di trasmettere individualmente una nuova informativa ex art. 13 d.lgs. 196/2003 (“cod. privacy”) ai soggetti interessati da operazioni traslative di massa, quali le cessioni ex art. 58 t.u.b. o le varie forme di cartolarizzazione. Sul punto, il Garante per la protezione dei dati personali, uniformandosi alla normativa bancaria e finanziaria, ha stabilito che il cessionario possa limitarsi alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’informativa sul trattamento dei dati personali “a condizione che le informazioni previste [dall’art. 13 cod. privacy] siano rese comunque conoscibili, in modo tale da consentire l’individuazione univoca, secondo parametri obiettivi e predeterminati, delle posizioni debitorie oggetto di cessione”. In materia, v. provv., 18.1.2007, doc. web n. 1392461; provv. 5.6.1999, doc. web n. 1652269, entrambi reperibili sul sito www.garanteprivacy.it. Oltre a ciò, sempre secondo i più recenti orientamenti del Garante (provv., 18.1.2007, cit.), per garantire un elevato livello di tutela degli interessati è necessario “fornire direttamente ai debitori ceduti gli elementi contenuti nell’art. 13, co. 1° e 2°, del codice alla prima occasione utile successiva all’avvenuta cessione in blocco (ad esempio, in sede di invio dell’estratto conto o della prima richiesta di pagamento…)”. Qui il richiamo alla disciplina bancaria non solo è evidente, ma è pure espressamente dichiarato dallo stesso Garante. Sulle forme di pubblicità integrative delle cessioni ex art. 58 t.u.b., v. il paragrafo successivo.
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mi terzo, quarto, quinto e sesto dell’art. 58 t.u.b. non è possibile ritenere che l’esecuzione di una o alcune di esse sia sufficiente ad integrare la fattispecie ed a farne scaturire gli effetti: soltanto con l’esecuzione di tutti gli adempimenti si potrà beneficiare del regime di privilegio stabilito dall’art. 58 t.u.b. 15.
3. Le forme di pubblicità integrativa. Oltre che per la necessità d’iscrizione nel registro delle imprese, l’art. 58, co. 2, t.u.b., si distingue dall’art. 54 r.d.l. 375/1936 anche per l’attribuzione alla Banca d’Italia del potere di stabilire delle forme integrative di pubblicità dell’avvenuta cessione. Tuttavia, la Banca d’Italia non si è avvalsa di tale facoltà stabilendo delle vere e proprie forme di pubblicità, caratterizzate, cioè, dall’idoneità a rendere noto l’evento cessione erga omnes 16, riservandosi comunque di introdurle “ove se ne ravvisi l’opportunità”. L’autorità di vigilanza si è così limitata a prevedere che il cessionario avrebbe dato “notizia della cessione al singolo
15 Per converso, la mancata attuazione di una o di tutte le formalità pubblicitarie richieste rende inapplicabile la disposizione appena citata, col risultato che le regole ordinarie che disciplinano la varie fattispecie traslative si riespandono. In senso analogo, v. Maggi, op. cit., p. 175; Costi, op. cit., p. 726; La Licata, op. cit., p. 25 ss. A parte si deve considerare la esposizione di Anselmi, Appio, op. cit., p. 891 s., nella quale inizialmente si avversa l’idea che “in caso di mancata pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della notizia dell’avvenuta cessione, nel silenzio della disposizione bancaria ritorni in vigore la disciplina di diritto comune”, ma si finisce per accoglierla di seguito, pervenendo, così condivisibilmente a distinguere tra la cessione di rapporti giuridici individuabili in blocco, alla quale si applicano gli artt. 1260 ss. c.c., e quella di azienda (e, come pare il caso di soggiungere, di ramo d’azienda), per cui si ritiene valgano gli artt. 2556 ss. c.c.. Contrariamente a quanto qui sostenuto, Cercone, op. cit., p. 981, nt. 274, eccettua dal novero degli adempimenti pubblicitari da cui dipenderebbe la produzione degli effetti di cui all’art. 58, co. 3, 4 e 5, t.u.b. le forme di pubblicità integrative stabilite dalla Banca d’Italia. Per ulteriori precisazioni, v. il paragrafo successivo. 16 Al riguardo si leggano le considerazioni di La Licata, op. loc. ult. cit., la quale precisa che “l’individualità della comunicazione si mostra […] estranea al concetto di pubblicità (o di pubblicazione), la quale implica, a differenza della prima, che la notizia che ne costituisce l’oggetto sia resa conoscibile indifferentemente erga omnes e non nei confronti di soggetti determinati” (p. 26, nt. 66). Per degli esempi di forme integrative di pubblicità, v. Cercone, op. cit., p. 977, che suggerisce il ricorso alla diramazione di comunicati stampa tramite giornali, reti televisive o radiofoniche, nonché l’affissione di avvisi nelle sedi di cedente e cessionario.
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soggetto interessato alla prima occasione utile (estratto conto, rata di mutuo da pagare, ecc.)” 17: come si può desumere da questo breve passaggio, il contenuto della comunicazione individuale è assai più limitato di quello che deve presentare la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Inoltre, dagli stessi esempi prescelti, emerge che l’invio dei documenti contenenti le informazioni può anche essere realizzato a distanza di un notevole lasso di tempo dal perfezionamento della cessione e dalla produzione dei relativi effetti. Ai suggerimenti già elaborati in passato dalla dottrina, ci si permette pertanto di aggiungere – considerata anche l’importante applicazione che se ne fa nella disciplina dei mercati finanziari 18 – il ricorso alla pubblicazione dell’informazione sul sito internet del cedente e/o del cessionario. Non potendosi, da un lato, configurare le comunicazioni individuali con i singoli soggetti interessati come degli adempimenti pubblicitari, e consapevoli, dall’altro, della necessità di evitare una surrettizia reintroduzione di formalità costose e complesse (paragonabili quoad effectum alle notifiche o alle richieste di accettazione ex art. 1264 c.c.), si deve negare che dalla loro esecuzione dipenda l’applicazione dell’art. 58, co. 3, 4, 5 e 6, t.u.b., ossia che da tale momento decorrano gli effetti della speciale disciplina finalizzata ad affrancare i soggetti di cui ai co. 1 e 7 dall’applicazione del diritto comune in materia di circolazione dei privilegi e delle garanzie, nonché cessione di crediti, debiti e contratti. In altri termini, tali norme saranno applicabili anche quando non siano ancora state completamente eseguite le comunicazioni individuali richieste19, purché la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e l’iscrizione nel registro delle imprese – ove necessaria – siano state realizzate 20.
La citazione è tratta dalle Istruzioni di vigilanza (tit. III, cap. 5, sez. II, par. 1) ed il medesimo precetto è sostanzialmente riscontrabile anche nel comunicato della Banca d’Italia, 16.7.2001, cit., (punto 4 dell’allegato) concernente i cessionari non bancari. 18 V. artt. 123-bis, co. 3, 123-ter, co. 1 e 5, 125-quater, 127-ter, co. 2, 147-ter, co. 1-bis, 154ter, co. 1, t.u.f., nonché le numerosissime norme che costellano i regolamenti Consob. 19 In virtù di quanto affermato nel testo, si crede di poter affermare che la mancata esecuzione delle comunicazioni individuali richieste dalle Istruzioni di vigilanza non sia di per sé fonte di responsabilità nei confronti dei soggetti interessati. Non si rinvengono peraltro norme di rango primario o secondario che rechino delle sanzioni per il mancato rispetto di tale onere. 20 Per maggiori approfondimenti, v. Anselmi, Appio, op. cit., p. 890, nt. 74, 75; La Licata, op. loc. ult. cit. 17
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4. Necessità di fornire un’informazione tempestiva e puntuale circa le ripercussioni di una cessione? A questo punto si deve iniziare a ricongiungere il percorso del ragionamento sin qui svolto con il caso concreto, e pare innanzitutto il caso di sottolineare, analogamente a quanto sostenuto dalla banca coinvolta, che l’art. 58 t.u.b. non contempla obblighi di trasmissione di informazioni su base individuale da parte dei soggetti cedenti o cessionari in merito agli effetti dei fenomeni traslativi sulla clientela. Si è avuto modo di constatare come l’elemento legante dei vari segmenti di disciplina riscontrabili nell’art. 58 t.u.b., nella loro eccentricità rispetto ai principi che governano generalmente le vicende circolatorie di crediti, debiti, garanzie e contratti, sia la prescrizione di oneri pubblicitari e non di comunicazioni individuali (previste soltanto a livello sub-normativo dalle Istruzioni di vigilanza, posteriori al perfezionamento della fattispecie traslativa e comunque concernenti tale fatto e non le sue ripercussioni). La logica che sorregge queste deroghe è apparsa dotata di una capacità espansiva tale da affermarsi anche nel settore della protezione della riservatezza, laddove si è escluso la necessità di un nuovo invio dell’informativa sul trattamento dei dati personali, ammettendosene la riproduzione in G.U., accompagnata solo successivamente da un avviso indirizzato ai singoli clienti 21. Se si imponesse, invece, un obbligo di tempestiva informazione individuale circa le ripercussioni della cessione, si correrebbe il serio rischio di sovvertire inavvertitamente il meccanismo dell’art. 58 t.u.b., che, se pur formalmente invariato sul versante della produzione degli effetti, non sarebbe però più suscettibile di porre al riparo da responsabilità chi se ne avvalesse, in quanto potrebbe realizzare un atto lecito dannoso. Si potrebbe a questo proposito obiettare che un obbligo di informazione individuale esiste ed è previsto nelle Istruzioni di vigilanza appena esaminate. Una simile identificazione o assimilazione con l’obbligo informativo enucleato dai principi generali da parte dell’ABF pare però da escludersi. Contro tale lettura si deve ribadire che le comunicazioni individuali menzionate dalle Istruzioni di vigilanza non soltanto sono irrilevanti sotto il profilo dell’opponibilità della cessione (che, come visto, è garantita esclusivamente dalle misure pubblicitarie), ma non de-
21
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Si veda supra, sub nt. 14.
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vono presentare alcuna informazione circa gli effetti della cessione e, soprattutto, difettano della tempestività richiesta dall’ABF, tempestività che sola potrebbe assicurare l’esigenza di pronta ed effettiva conoscenza dell’operazione realizzata. Da tutto ciò deriva che anche l’effettuazione delle comunicazioni previste dalle Istruzioni può non porre cedente o cessionario al riparo da eventuali profili di responsabilità 22. In questo senso, l’ABF non pare aver adeguatamente ponderato le ragioni della specialità della disciplina bancaria, anche in ragione della dimensione di massa dei rapporti intrattenuti, rispetto a quelle che sovrintendono la generale regolamentazione della circolazione dei diritti e dei rapporti giuridici, tipicamente concepite in un’ottica individualistica. Pronunciandosi, anzi, nel senso della sussistenza di un obbligo ex artt. 1175 e 1375 c.c. di tempestiva comunicazione al cliente, l’ABF si è forse lasciato suggestionare eccessivamente dalla dinamica dei fatti di lite 23, spingen-
22 A conforto di quanto affermato nel testo pare inoltre il caso di ricordare che l’ABF non ha ritenuto che nell’ordinamento vi fosse un obbligo di avvisare puntualmente i soggetti interessati della cessione (evidentemente giudicando inidonee a questo scopo le comunicazioni succintamente descritte dalle Istruzioni di vigilanza) ed ha consapevolmente optato di invocare le previsioni codicistiche allo scopo di fondare un nuovo dovere informativo. Sul punto si veda oltre, nel testo. 23 Anche Bruno, Diritto di informazione del correntista nei confronti della banca, in Giur. it., 1989, I, 2, c. 412, annotando una sentenza – trib. Verona, 23 marzo 1988 – che si era occupata del diniego da parte della banca di fornire al proprio correntista i titoli da lui emessi al fine di consentirgli di esaminare la serie delle girate apposte su di essi, ha sostenuto che vi fosse “il più ampio diritto di informazione del cliente nei confronti della banca, discendente quest’ultimo dall’applicabilità ai rapporti di conto corrente degli artt. 1832 e 1713, tenendo conto che l’art. 1374 c.c. obbliga le parti non solo a quanto da esse sia stato espressamente pattuito, ma anche alle conseguenze che da questo arrivano ex lege o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”, invocando altresì la necessità di effettuare una “interpretazione integrativa” in base agli artt. 1175 e 1375, “intendendo la buona fede proprio come principio equilibratore cardine del nostro ordinamento”. Pur condividendosi la soluzione fornita dalla giudice al caso di specie, pare tuttavia che alla base di certe affermazioni nel commento stia una giustificata insofferenza verso l’abuso del ricorso al segreto bancario ed in generale verso l’opacità informativa delle banche all’epoca della pronuncia, opacità che avrebbe cominciato ad essere dissipata solo con le riforme nel settore bancario dei primi anni ’90. Si riporta anche la ragionata opinione di Bussoletti, Poteri e responsabilità delle banche nella circolazione interbancaria dell’assegno (ICCRI) falso, in Banca, borsa, tit. cred., 1988, II, p. 113 s., ove si legge che “l’obbligo di comunicare circostanze note al mandante e l’obbligo preparatorio di circolarizzare convenientemente tali circostanze sussiste nella sola misura in cui tali circostanze possano essere agevolmente disponibili, in relazione alla necessaria snellezza e celerità che caratterizza le operazioni bancarie”.
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dosi troppo oltre nell’individuazione in via interpretativa di un ulteriore dovere di protezione gravante sulla banca (c.d. overinclusion 24). Se si considera, poi, l’attitudine dell’ABF a svolgere un ruolo di orientamento 25 nei confronti degli intermediari interessati in virtù delle disposizioni attuative dettate dalla Banca d’Italia (sez. IV, par. 2) 26, sarebbe forse stata opportuna una più cauta ponderazione prima di avvalersi del potere di formulare “indicazioni volte a favorire le relazioni tra intermediari e clienti”. Invero, l’obbligo gravante sugli intermediari di tener conto degli orientamenti dell’ABF nel valutare i reclami presentati dai
24 In proposito, sebbene siano formulate con riguardo ad altro ambito normativo, si rinvia alle interessanti riflessioni di Perrone, Obblighi di informazione, suitability e conflitti di interesse: un’analisi critica degli orientamenti giurisprudenziali e un confronto con la nuova disciplina MiFID, in I soldi degli altri, a cura di Perrone, Milano, 2008, p. 3 ss., ove anche per ulteriori riferimenti. Si veda, inoltre, Nigro, La tutela del risparmio e l’efficienza del sistema: il ruolo delle banche, in Le società., 2005, p. 319 s., in cui si rinviene la sottolineatura in base alla quale la norma dell’art. 47 Cost. dev’essere interpretata come “obbligo di fornire informazioni, garantendo le regole del gioco”, escludendosi contestualmente che possa essere addotto a fondamento della “protezione della parte debole di un rapporto, ponendosi allora a carico dell’altra parte pesanti obblighi, a fini compensativi” e concludendo che “i risparmiatori si debbono tutelare da soli e il potere pubblico deve apprestare solo strumenti a questo fine”. 25 Il collegio di Napoli dell’ABF manifesta piena consapevolezza del proprio ruolo su questo versante giungendo a definire “nomofilattica” la propria funzione, come dimostrato nell’ordinanza del 6 luglio 2010 in cui è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale (vedi la nota adesiva di Maione, Profili ricostruttivi di una (eventuale) legittimazione a quo dei Collegi dell’Arbitro Bancario Finanziario, 2011, disponibile sul sito www.judicium.it), poi dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza 218/2011, accessibile sul sito www.cortecostituzionale.it. Sulla funzione “nomofilattica” dell’ABF, si evidenzia la significativa posizione dell’ex governatore della Banca d’Italia, Draghi, Intervento all’Assemblea annuale dell’Associazione Bancaria Italiana, 15 luglio 2010, reperibile sul sito www.bancaditalia.it, secondo cui “le pronunce dell’Arbitro rafforzano la tutela della clientela anche al di là dei casi singoli, perché orientano tutti gli operatori verso comportamenti corretti”. Per altre considerazioni si rinvia ai rilievi di De Carolis, L’Arbitro bancario finanziario come strumento di tutela della trasparenza, in Quad. ric. giur. Banca d’Italia, n. 70, Roma, 2011, p. 8 e p. 14; Capobianco, op. loc. ult. cit.; Guccione, Russo, op. loc. ult. cit. 26 Vale la pena di rilevare come la tendenza all’uniformazione dei propri precedenti e della prassi degli intermediari è stata ulteriormente accentuata dall’introduzione di un “collegio di coordinamento”, competente ad occuparsi di “questioni di particolare importanza” o atte a dar luogo a “orientamenti non uniformi tra i singoli Collegi” (come recita la sez. III, par. 5, delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, come modificate con provvedimento della Banca d’Italia del 12 dicembre 2011).
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clienti potrebbe amplificare la portata della prescrizione in parola 27, aggravando così significativamente gli adempimenti da realizzare in caso di cessione ex art. 58 t.u.b. per poter essere al riparo da qualsiasi profilo di responsabilità. Certo, come già anticipato in precedenza, pare che i tempi siano maturi affinché la Banca d’Italia si avvalga compiutamente della propria potestà regolamentare in materia e introduca delle autentiche forme di pubblicità integrativa, implementando così sensibilmente la conoscibilità delle informazioni attinenti la struttura e l’organizzazione delle imprese bancarie. Conoscibilità tanto più rilevante, se, lo si ripete, dalle fattispecie contemplate nell’art. 58 t.u.b. possono scaturire delle significative compressioni dei diritti in ordine alla corretta esecuzione di rapporti continuativi od occasionali con cedenti e cessionari; in tal senso, imporre a costoro di pubblicare degli appositi avvisi sui propri siti internet o anche nelle pagine accessibili a chi usufruisce dei servizi di banking online (la cui diffusione è sempre maggiore, come attestato anche dal caso che ha dato origine alla controversia) consentirebbe ai clienti di essere adeguatamente informati delle vicende rilevanti. Al di là di quest’ultima riflessione, il punto critico, tuttavia, non concerne tanto il flusso informativo da realizzare tramite gli adempimenti pubblicitari, o, come ritiene l’ABF, in maniera mirata verso i clienti in funzione di più o meno estesi doveri di protezione. Si è convinti, infatti, che altro sia il profilo di responsabilità della banca trattaria: nella vicenda controversa, per effetto della prosecuzione dei rapporti giuridici in essere in capo all’istituto cessionario ed in virtù del fatto che il cambiamento dei codici ABI era stato tempestivamente comunicato al sistema bancario, la procedura di check truncation avrebbe dovuto concludersi con esito positivo. Non sarebbe stato necessario fornire al cliente alcuna informazione circa la variazione del codice identificativo dell’istituto, poiché questa, concretizzandosi in una circostanza di natura tecnica interna al funzionamento del circuito interbancario, non avrebbe dovuto comportare alcuna ripercussione esterna. I casi di variazione dei codici identificativi (ABI, CAB…) sono in effetti ricorrenti nel sistema bancario italiano sia per ragioni tecniche, sia per via dei sempre più frequenti ed importanti processi aggregativi e riorganizzativi tra banche, e proprio al fine di evitare ricadute negative sulla
Ciò a prescindere dall’interpretazione che si voglia dare della portata delle indicazioni dell’ABF. Sul punto, cfr. gli autori citati supra, sub nt. 5. 27
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gestione della mole di operazioni che ad essi fanno capo, gli istituti di credito adottano opportuni accorgimenti. In altre parole, la continuazione dei rapporti giuridici sancita dall’art. 58 t.u.b. impone che i clienti non risentano in alcun modo di tali evenienze e laddove ciò non avvenisse, il soggetto cessionario risponderebbe per tutte le conseguenze dannose derivanti dall’inadempimento verso il correntista ceduto. Interessante in proposito è la lettura della recente circolare ABI, serie tecnica, 4 marzo 2011, n. 7 (“Accordo per il servizio di incasso di assegni bancari e altri titoli di credito pagabili in Italia. Regole per l’incasso degli assegni bancari tratti su sportelli ceduti 28”; di seguito semplicemente “Accordo”), in cui si descrive la prassi esistente prima della sua introduzione: “Gli assegni […] già in circolazione alla data della cessione dello sportello o emessi dai correntisti dopo tale data su formulari per qualsiasi motivo non riconsegnati alla banca che ha acquisito lo sportello (banca cessionaria), recano l’indicazione della banca che ha ceduto lo sportello (banca cedente) in chiaro e nella code-line e vengono pertanto […] presentati per il pagamento a quest’ultima, la quale provvede al loro incasso attraverso appositi canali che la stessa mantiene per un certo tempo con la banca cessionaria”. Riflettendo a questo punto sul fatto che nel caso oggetto della decisione dell’ABF il soggetto cedente ed il cessionario nella sostanza coincidevano 29, non si può nascondere una certa sorpresa di fronte all’evidente imperizia nella gestione del passaggio da parte dei protagonisti 30. Ciò fa risaltare l’inadempimento nei confronti del cliente, il quale confidava nella perdurante efficacia della convenzione d’assegno ed era in linea di principio del tutto estraneo alle modalità con cui i titoli da lui emessi sarebbero stati negoziati. Sia il soggetto cedente, che il cessionario avrebbero dovuto tenerlo indenne da qualsiasi soluzione di continuità nell’erogazione dei servizi contrattualmente previsti, ma così non è stato e pare che sia secondariamente rilevante il fatto che nel caso concreto non sia stato direttamente informato della cessione; al riguardo della sussistenza e della rilevanza di uno specifico obbligo di informazione, basti ipotizzare
28 Nonostante la terminologia adoperata nella circolare non sia conforme a quella degli artt. 57 e 58 t.u.b., non pare dubitabile che l’espressione adoperata (“cessione di sportelli”) possa considerarsi una sorta di metonimia delle fattispecie contemplate a livello normativo ed anche di altre situazioni, come in effetti si desume leggendo nel testo il riferimento anche a fusioni e ricodifiche. 29 V. supra, sub nt. 2. 30 Nonché, forse, anche della banca negoziatrice, ma di questo si tratterà infra, nel testo.
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che se gli assegni fossero stati emessi antecedentemente alla cessione, ma presentati all’incasso successivamente, avrebbero dovuto comunque essere pagati dalla banca trattaria cessionaria. Se questa non l’avesse fatto, non sarebbe stata inadempiente rispetto ad un dovere informativo impossibile da assolvere (essendo gli assegni già circolanti al momento della cessione ex art. 58 t.u.b.), bensì direttamente ed esclusivamente in relazione agli obblighi derivanti dalla convenzione di assegno 31. Per via della sinteticità dell’esposizione dei fatti nella decisione qui annotata non si è peraltro in grado di escludere un profilo di responsabilità (forse anche esclusivo) della banca negoziatrice, la quale, pur informata del riassetto dell’istituto trattario a mezzo del comunicato interbancario da quest’ultimo diramato, potrebbe aver inviato i messaggi informatici con gli estremi degli assegni al cedente (non più esistente), anziché al cessionario. Anche in questo caso, comunque, il traente non avrebbe dovuto patire le conseguenze dannose della condotta negligente della banca negoziatrice, responsabile per la mancata verifica della coincidenza dei codici identificativi dell’istituto trattario; peraltro, secondo autorevole dottrina, la banca trattaria non può rigettare le richieste del traente chiamando in causa la negoziatrice ed evocandone il comportamento a proprio discarico 32.
A riguardo possono richiamarsi le considerazioni di Olivieri, Compensazione, cit., p. 188, per il quale “una maggiore informazione da parte delle banche sulle caratteristiche, i costi ed i rischi insiti nel ricorso alla check truncation sarebbe certamente auspicabile, ma di per sé insufficiente a garantire il raggiungimento di tale risultato. Infatti, quand’anche il correntista fosse preventivamente informato ed autorizzasse esplicitamente la banca ad utilizzare tale procedura per il pagamento degli assegni tratti sul suo conto, difficilmente l’assenso così prestato – in quanto volto a limitare la responsabilità della banca trattaria – potrebbe considerarsi conforme al dettato dell’art. 1229 c.c. Pertanto, quand’anche abbia formato oggetto di trattativa tra le parti, la relativa clausola risulterebbe nulla, o comunque inefficace ai sensi degli artt. 1469-bis, n. 1) e 1469-quinquies, co. 2, del codice civile” (oggi corrispondenti agli artt. 33, co. 2, lett. a), e 36, co. 2, cod. cons.). 32 Così si esprime Olivieri, Compensazione, cit., p. 185 ss., spec. a p. 187, il quale soggiunge che “se infatti (la prova di) un siffatto comportamento rileva senz’altro nei rapporti tra le due banche, giustificando una rivalsa (almeno parziale) della prima sulla seconda, ciò non modifica il carattere illecito, sotto il profilo contrattuale, del comportamento tenuto dalla trattaria e la sua rilevanza ai fini della produzione del danno subito dal correntista”. Nello stesso senso anche Sciarrone Alibrandi, op. cit., p. 307 s., testo e nota 43. Si veda anche la trattazione di Troiano, “Troncamento”, cit., p. 35, secondo cui “la banca negoziatrice è l’unica banca ad eseguire i controlli sul titolo funzionali alla prevenzione delle frodi e perciò l’unica in grado di evitare il rischio di un addebito non dovuto. La trascuratezza della banca negoziatrice nell’assolvimento di tali compiti produce un danno direttamen31
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te nella sfera del traente e configura una sua responsabilità aquiliana nei confronti di quest’ultimo. A questa conclusione potrebbe obiettarsi che la responsabilità della banca negoziatrice viene affermata in base ad obblighi (di controllo) di origine convenzionale, la cui violazione però, se certamente incide sulla valutazione del suo comportamento nei confronti degli altri partecipanti alla procedura, non può configurare una condotta colpevole nei confronti di terzi estranei (id est: il traente). L’obiezione è superabile rilevando la portata generale della procedura che, ben lungi dal rivestire un carattere di specificità, in realtà detta, in via autoregolamentare, la disciplina dell’attività bancaria nel troncamento degli assegni, determinando così modelli di comportamento che le banche devono osservare e a cui ben può attingersi per la valutazione delle condotte erga omnes”. Per una differente ricostruzione dei profili di responsabilità della trattaria e della negoziatrice nella check truncation (entrambe coinvolte al dichiarato scopo di accrescere “la tutela del traente, sia dal lato della prevenzione del danno, sia dal lato del rimedio”: così a p. 127, nt. 16), v. Mucciarone, op. cit., p. 148 ss., il quale, per quanto riguarda la posizione della banca trattaria, ritiene “che questa è di sottospecie diversa nelle due procedure [di pagamento a mezzo stanza di compensazione o con la procedura di check truncation, n.d.a.], mentre non pare condivisibile definirla (senz’altro aggiungere, almeno) «responsabilità oggettiva» in rapporto alla procedura di troncamento: sembra preferibile parlare di «garanzia». Infatti, e comunque, il debito risarcitorio non pare conseguenza dell’inadempimento di un obbligo di controllo della trattaria, ma sembra un obbligo primario, effetto della promessa della trattaria di risarcire il traente per il caso di irregolarità ad essa riconoscibile ove l’assegno non fosse stato sottoposto a troncamento”. L’autore fonda l’esistenza di tale obbligo di garanzia sulla parte delle NUB che tratta della responsabilità della banca nel pagamento dell’assegno. Circa la posizione della banca negoziatrice, invece, è dubitativamente affermato (a p. 151) che essa “debba trattarsi (in confronto al traente) come un sostituto: l’applicazione analogica della norma dell’art. 1717, co. 4, c.c. è ammessa e l’ipotesi in esame si sostanzia in ciò che il soggetto che altri ha inteso investire della cura di un proprio interesse, l’affida ad un terzo, che l’assume nella consapevolezza che da solo la svolgerà”. Non è escluso (sempre a p. 151, nt. 76), tuttavia, che la negoziatrice possa rispondere per il diverso titolo di responsabilità extracontrattuale per violazione di un dovere di protezione nei confronti del traente. In giurisprudenza, infine, non si può mancare di segnalare l’importante pronuncia della Cass., S.U., 26 giugno 2007, n. 14712, (vedila in Nuova giur. civ. comm., 2007, p. 1443 ss., con nota di Leggieri; in Corr. giur., 2007, p. 1706 ss., con nota di Di Majo; in Giur. it., 2008, p. 1150 ss., con nota di Cottino) la quale ha qualificato come contrattuale in ragione del “contatto sociale” la responsabilità della banca negoziatrice che aveva consentito l’incasso di un assegno bancario – nel caso di specie di traenza, ma con soluzione estesa anche ad altri tipi di assegni – munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dal beneficiario del titolo. La S.C. giunge a tale conclusione interpretando in maniera “espansiva” la norma dell’art. 43 l.ass. e considerando che “in capo al banchiere presso cui l’assegno non trasferibile è posto all’incasso sorge, prima d’ogni altro, un obbligo professionale – derivante dalla sua stessa funzione, in considerazione della quale la legge stabilisce, appunto, che l’assegno possa esser girato per l’incasso solo ad un banchiere – di far sì che il titolo sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso. E la responsabilità deriva appunto dalla violazione di un siffatto obbligo di protezione, che opera nei confronti di tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione del titolo ed al buon fine della sottostante operazione: obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto”.
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5. Ultime novità nella prassi bancaria in materia di circolazione degli assegni e “cessioni di sportelli”. In conclusione, il quadro sarebbe incompleto se non si fornisse una sintetica informazione sulle ultime evoluzioni nella prassi bancaria della negoziazione degli assegni tratti su “sportelli ceduti”. Si è già accennato alla situazione anteriore all’introduzione dell’ultima circolare ABI in materia ed allo scambio di comunicazioni che si svolgeva tra banca cedente e cessionaria per poter regolare gli assegni. L’introduzione di termini ristretti nell’ambito delle “date valuta” ad opera dell’art. 36, co. 3, d.lgs. 11/2010 33, in attuazione della dir. 2007/64/ CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno 34, ha comportato a partire dal 31 marzo 2011 uno snellimento della procedura dal punto di vista tecnico, dal momento che “gli assegni bancari tratti su sportello ceduto devono essere consegnati in stanza di compensazione dal soggetto negoziatore (o dal suo mandatario) al soggetto che ha acquisito lo sportello sul quale tali assegni sono stati tratti (o al suo mandatario)” 35; in particolare, quest’ultimo (ovvero il cessionario) è individuato mediante delle informazioni inserite in un apposito archivio creato ad hoc (servizio “SPORTCED”) della banca dati dei codici ABI/ CAB/BIC, gestita da SIA-SSB 36.
33 Il quale ha sostituito l’art. 2, co. 1, d.l. 78/2009 con il seguente testo: “A decorrere dal 1° novembre 2009, la data di valuta per il beneficiario di assegni circolari e bancari tratti su una banca insediata in Italia non può superare, rispettivamente, uno e tre giorni lavorativi successivi alla data del versamento. Per i medesimi titoli, a decorrere dal 1° novembre 2009, la data di disponibilità economica per il beneficiario non può superare, rispettivamente, quattro e cinque giorni lavorativi successivi alla data del versamento. A decorrere dal 1° aprile 2010, la data di disponibilità economica non può superare i quattro giorni lavorativi per tutti i titoli. È nulla ogni pattuizione contraria. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 120, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385”. 34 Più in generale, sull’evoluzione e sul funzionamento dei sistemi di pagamento in Italia, v. Armonizzazione europea dei servizi di pagamento e attuazione della direttiva 2007/64/CE, a cura di Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi e Troiano, Milano, 2010; Il nuovo quadro normativo comunitario dei servizi di pagamento. Prime riflessioni, cit.; Bonaiuti, Valcamonici, Il sistema dei pagamenti: economia e regole. I fattori evolutivi e gli impatti della direttiva sui servizi di pagamento, Roma, 2010; Il diritto del sistema dei pagamenti, a cura di Carriero e Santoro, Milano 2005. 35 Il testo da ultimo citato è tratto dall’integrazione al cap. 6 dell’Accordo, allegata alla circolare prima menzionata. 36 Per facilitare le operazioni di trasmissione di informazioni ed evitare inconvenienti, si prevede inoltre che “il soggetto che ha ceduto lo sportello è tenuto a segnalare con la
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A questo punto sembrerebbe davvero superfluo che i correntisti ceduti debbano essere personalmente destinatari di comunicazioni specificamente concernenti la negoziazione degli assegni in occasione di una cessione realizzata ai sensi dell’art. 58 t.u.b. (o di un’altra delle vicende considerate dalla circolare), considerato che, a prescindere dalla procedura utilizzata, dovrà avvenire un abbinamento tra i titoli presentati all’incasso e l’istituto cessionario. Tuttavia, nel rinnovato testo del cap. 6 dell’Accordo appare una prescrizione che forse è stata adottata proprio in conseguenza della decisione dell’ABF, dal momento che “i soggetti aderenti alle procedure di scambio del comparto Assegni” devono aver “cura di svolgere con la dovuta tempestività ogni utile iniziativa nei confronti della clientela interessata da tali operazioni (informazione e soprattutto ritiro e sostituzione carnet di assegni) intesa ad evitare, nella misura massima possibile, la circolazione di assegni bancari tratti su sportelli ceduti” (corsivi aggiunti). In conclusione ed a prescindere da ogni considerazione sulla efficacia di una simile previsione nei confronti dei correntisti, nonché sulla sua azionabilità da parte di costoro, si ritiene che l’obbligo informativo introdotto sia pleonastico e ridondante. Oltre che per i motivi già in precedenza esposti, si è convinti di ciò sia per il fatto che l’intenzione di evitare inconvenienti tecnici nella negoziazione dovrebbe essere stata già soddisfatta dalla nuova disciplina (e se non lo è, allora necessita di essere ulteriormente perfezionata sul profilo tecnico e non cercando di riversare i rischi di errore delle banche sulla clientela attraverso un’attività informativa 37), sia, infine, perché se si procede a “richiamare” e sostituire i carnet di assegni (alternativa espressamente indicata come preferibile), i correntisti saranno al riparo da qualsiasi rischio, essendo a quel punto irrilevante qualsiasi informazione loro fornita.
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massima tempestività al soggetto negoziatore gli assegni bancari tratti su sportello ceduto i cui dati siano stati eventualmente trasmessi con la procedura ‘Check Truncation’, al fine di consentire al soggetto negoziatore di consegnare in stanza di compensazione gli assegni in questione al soggetto che ha acquisito lo sportello”. 37 Sul punto, si confrontino le riflessioni di Troiano, “Troncamento”, cit., p. 38 ss..
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FATTI E PROBLEMI DELLA PRATICA
Requisiti di onorabilità e requisiti reputazionali degli esponenti e dei soci di società bancarie * Con la sentenza (…) il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di (…), pronunziandosi nei confronti del dott. (…), imputato di una serie di reati rientranti fra quelli previsti dalle norme che disciplinano l’attività bancaria e finanziaria e in particolare del reato contemplato nell’art. 2, co. 1, 2, 4 e 7 d.l. n. 143 del 1991 convertito in l. n. 197 del 1991, in materia di antiriciclaggio, ha riscontrato la sussistenza, sulla base degli atti, dei presupposti per l’applicazione della pena concordata fra le parti e, pertanto, ha applicato al medesimo dott. (…) la pena, richiesta appunto dalle parti, di mesi undici e giorni 10 di reclusione, con sospensione condizionale della stessa. Il dott. (…), socio della banca (…) s.p.a. con una partecipazione del 18%, e già amministratore delegato e direttore generale della medesima, chiede il nostro parere: a) sui possibili effetti di tale pronunzia in ordine al (la permanenza del) possesso, da parte sua, dei requisiti reputazionali e di onorabilità previsti per acquisire partecipazioni e per ricoprire incarichi gestionali in banche ai sensi rispettivamente degli artt. 19 e 25 t.u.b. e dell’art. 26 t.u.b. e dei rispettivi regolamenti attuativi e b) sulla possibilità che sussistano, anche a prescindere dall’anzidetta pronunzia, ulteriori impedimenti a che egli possa ricoprire cariche sociali in banche. ***
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Parere pro veritate
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Fatti e problemi della pratica
1. Irrilevanza della sentenza del GIP con riguardo ai requisiti di onorabilità. A nostro avviso, la pronunzia del G.I.P. di (…) prima ricordata non comporta alcuna conseguenza in punto di requisiti richiesti ai partecipanti al capitale sociale della banca (…) ed agli esponenti aziendali della medesima: non comporta affatto, in particolare, la perdita del requisito dell’onorabilità. La materia – ricordiamo – è disciplinata, quanto ai requisiti dei titolari di partecipazioni rilevanti al capitale sociale delle banche, dal d.m. Tesoro 18 marzo 1998, n. 144 e, quanto ai requisiti degli esponenti aziendali delle banche, dal d.m. Tesoro 18 marzo 1991, n. 161. Entrambi i regolamenti escludono la sussistenza del requisito dell’onorabilità in capo a chi sia stato condannato a pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l’attività bancaria finanziaria ecc. (art. 1, lett. b, n. 1, reg. n. 144; art. 5, co. 1, lett. c, n. 1, reg. n. 161); entrambi i regolamenti estendono la previsione ostativa all’ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti, cioè all’ipotesi del c.d. “patteggiamento”, ma, con riferimento a questa ipotesi, stabiliscono esplicitamente che, in tale caso, le pene, per i reati che qui interessano, «non rilevano se inferiori ad un anno» (art. 1, co. 1, lett. c, reg. n. 144; art. 5, co. 2 reg. n. 161). Nella nostra vicenda, il c.d. patteggiamento ha determinato l’applicazione al dott. (…) di una pena inferiore ad un anno: di qui la sua assoluta irrilevanza – per usare la stessa terminologia dei regolamenti ministeriali – sul piano (del mantenimento) dei requisiti di onorabilità e in relazione alla partecipazione nella banca (…), detenuta dal dott. (…) e in relazione alla possibilità di (tornare a) ricoprire cariche sociali nella medesima banca. Si pone peraltro il problema di stabilire se la circostanza rappresentata dall’avvenuto patteggiamento diventi rilevante a seguito dell’intervenuta modifica all’art. 19 co. 5 tub 1 da parte del d.lgs. n. 21 del 2010, che ha introdotto un riferimento alla reputazione.
1 Si riporta per comodità il testo del co. 5 dell’art. 19 t.u.b: «La Banca d’Italia rilascia l’autorizzazione quando ricorrono condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente della banca, valutando la qualità del potenziale acquirente e la solidità finanziaria del progetto di acquisizione in base ai seguenti criteri: la reputazione del potenziale acquirente, ivi compreso il possesso dei requisiti previsti ai sensi dell’art. 25; il possesso dei requisiti previsti ai sensi dell’art. 26 da parte di coloro che, in esito all’acquisizione, svolgeranno funzioni di amministrazione, direzione e controllo nella banca; la solidità finanziaria del potenziale acquirente; la capacità della banca di rispettare a seguito
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2. Una considerazione preliminare. Prima ancora di analizzare le segnalate innovazioni, conviene procedere a una considerazione preliminare. L’approccio interpretativo da cui occorre muovere è che la materia che qui ne occupa – reputazione, onorabilità, professionalità – attiene ai diritti personali (allo status personale) dei soggetti, in particolare ai diritti di iniziativa economica della persona tutelati fra l’altro dall’art. 41 della Costituzione: ed è materia che necessariamente deve essere governata (come è) da prescrizioni normative, di natura primaria (legge) o secondaria (regolamenti), le quali, da un lato, devono essere esplicitamente intese a disciplinare tali profili e, dall’altro, sono di stretta interpretazione, cioè vanno interpretate restrittivamente e non sono suscettibili di interpretazioni ed applicazioni analogiche o estensive 2.
3. Il patteggiamento in esame non può essere rilevante ai fini della “reputazione”. 3.1. La reputazione e l’acquisto di partecipazioni. Il legislatore, nell’introdurre il requisito della reputazione, ha omesso di indicare in modo chiaro e puntuale gli elementi, in positivo o in negativo, che caratterizzano tale nuovo requisito. Per quanto detto al precedente paragrafo, tale circostanza, tenuto conto che la norma
dell’acquisizione le disposizioni che ne regolano l’attività; l’idoneità della struttura del gruppo del potenziale acquirente a consentire l’esercizio efficace della vigilanza. L’autorizzazione non può essere rilasciata in caso di fondato sospetto che l’acquisizione sia connessa ad operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. L’autorizzazione può essere sospesa o revocata se vengono meno o si modificano i presupposti e le condizioni per il suo rilascio». 2 Fra coloro che ritengono che le disposizioni che incidono sulle capacità e sui diritti limitandoli siano disposizioni di diritto eccezionale e di stretta interpretazione cfr. Bussoletti, L’indipendenza del revisore nella revisione volontaria (e in quella obbligatoria), in Riv. soc., 2002, p. 869; Quadri, Dell’applicazione della legge in generale, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1974, p. 310 ss.; v. anche Rotondi, Interpretazione della legge, in NssDI, VIII, Torino, 1962, p. 900, e Paresce, Interpretazione (filosofia), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, p. 235, secondo cui la scelta tra interpretazione estensiva e interpretazione restrittiva delle norme va fatta considerando il rapporto con la libertà e i diritti soggettivi, da cui il ricorso al brocardo in dubio pro libertate.
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incide sulla libertà di iniziativa economica e professionale, dovrebbe innanzitutto condurre ad una interpretazione assai restrittiva della norma. Ciò premesso, nel caso di specie, anche ove si ritenesse che alla stregua del nuovo co. 5 in esame il requisito (generale e non specificato) della reputazione vada ad aggiungersi ai requisiti (speciali e specificati) dell’onorabilità, la sentenza del GIP rimarrebbe comunque irrilevante. Infatti, ove si ritenesse che la reputazione sia un requisito diverso ed ulteriore rispetto all’onorabilità, vincolante anche in assenza di specificazione, esso necessariamente assumerebbe per la sua genericità il connotato di un requisito normativo residuale, “di chiusura”. Allora, all’evidenza tale norma di chiusura nella sua genericità potrà essere impiegata per fronteggiare situazioni particolari che non sia stato possibile prevedere in anticipo, ma non può ampliare le “incompatibilità” proprie di situazioni già previste in anticipo, e specificamente regolamentate dal legislatore con norme primarie o secondarie. Tale affermazione trova conferma nel caso analogo delle norme sull’incompatibilità dei revisori contabili previste dall’art. 3 del d.P.R. n. 136/1975 (sostanzialmente riprese poi nel d.lgs. n. 39/2010). Anche in quel caso la disciplina prevede un elenco di specifiche condizioni di incompatibilità seguite da una norma generale di chiusura 3 («si trovino in altra situazione che ne comprometta comunque l’indipendenza nei confronti della società»). Ebbene, in quel caso la dottrina che si è occupata della questione 4 ha ritenuto che tale norma non potesse essere usata
3 Il primo comma recita: «L’incarico non può essere conferito a società di revisione che si trovino in situazioni di incompatibilità derivanti da rapporti contrattuali o da partecipazioni o i cui soci, amministratori, sindaci o direttori generali: 1) siano parenti o affini entro il 4° grado degli amministratori, dei sindaci o dei direttori generali della società che conferisce l’incarico o di altre società o enti che la controllano; 2) siano legati alla società che conferisce l’incarico o ad altre società o enti che la controllano da rapporti di lavoro autonomo o subordinato, ovvero lo siano stati nel triennio antecedente al conferimento dell’incarico; 3) siano amministratori o sindaci della società che conferisce l’incarico o di altre società o enti che la controllano, ovvero lo siano stati nel triennio antecedente al conferimento dell’incarico; 4) si trovino in altra situazione che ne comprometta, comunque, l’indipendenza nei confronti della società». 4 Bussoletti, Società di revisione, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. 1086; Piacentini, Commento all’art. 160, nel Comm. Marchetti-Bianchi-Ghezzi-Notari, Milano, 1999, p. 1892, nt. 43.
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per estendere la portata delle previsioni di cui ai precedenti numeri; ad esempio, di quella di cui al n. 1) che si riferisce a parenti o affini entro il 4° grado per aggiungervi gli affini entro il 5° grado. Quindi, la previsione del requisito della reputazione non può essere usata per estendere la portata delle specifiche norme che disciplinano l’onorabilità. Diversamente opinando, all’Autorità di Vigilanza verrebbe attribuito un indebito e sproporzionato potere discrezionale anche in relazione a fattispecie in cui la legge ha espressamente voluto limitare o escludere una discrezionalità. La reputazione, in altre parole, proprio perché requisito diverso ed ulteriore rispetto alla onorabilità, deve essere valutata ed applicata in relazione a circostanze diverse ed ulteriori, e non può essere usata per modificare la rilevanza dei requisiti contemplati in tema di onorabilità. In altri termini, e venendo al caso del dott. (…). La legge ha ritenuto irrilevanti sotto certi limiti (un anno di reclusione) le condanne derivanti da patteggiamento per alcuni tipi di reato. Ebbene, se per la medesima circostanza si ritenesse effettuabile anche un sindacato in termini di reputazione, l’Autorità di Vigilanza potrebbe di fatto abbassare, del tutto discrezionalmente, la soglia di rilevanza di quella fattispecie, facendo diventare rilevante, per esempio, una condanna a 11 mesi. 3.2. La reputazione e gli incarichi gestionali. La reputazione rileva soltanto ai fini dell’acquisizione di partecipazioni in banche, e non anche ai fini dell’assunzione di cariche sociali. Quanto appena osservato risulta dalla rubrica del d.lgs. n. 21/2010, che espressamente dichiara di voler regolare solamente i «…criteri per la valutazione prudenziale di acquisizione e incrementi di partecipazione nel settore finanziario», e dal fatto che il requisito della reputazione viene menzionato solo nell’art. 19 t.u.b (rubricato «Partecipazioni nelle banche») e non anche nell’art. 26 (rubricato «Requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza degli esponenti aziendali»). Inoltre, il tenore letterale dell’art. 19, co. 5 t.u.b, nell’elencare i criteri che la Banca d’Italia dovrà tenere presente nel valutare se rilasciare o meno le autorizzazioni, distingue tra «la reputazione, ivi compreso il possesso dei requisiti previsti dall’articolo 25» e «il possesso dei requisiti previsti ai sensi dell’articolo 26 da parte di coloro che, in esito all’acquisizione, svolgeranno funzioni di amministrazione, direzione e controllo nella banca».
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Ebbene, l’aver tenuto distinte – nello stesso articolo e nello stesso comma – le due fattispecie, non può che condurre a ritenere che il legislatore abbia voluto introdurre la “reputazione” come requisito solo in funzione della disciplina dell’acquisizione di partecipazioni, e escludendo ogni rilevanza per quanto attiene alla disciplina dei requisiti dei soggetti incaricati della gestione. Tale scelta è altresì confermata dall’esame della disciplina comunitaria in materia. La direttiva CE cui il d.lgs. n. 21/2010 ha dato attuazione (direttiva 2007/44, che ha introdotto l’art. 19 bis nella direttiva 2006/48) dispone (v. art. 5) che le autorità competenti devono valutare ai fini del rilascio delle autorizzazioni «a) la reputazione del candidato acquirente; b) la reputazione e l’esperienza di tutte le persone che, in esito alla prevista acquisizione, determineranno l’orientamento dell’attività dell’ente creditizio(…)». Nemmeno la disciplina comunitaria, dunque, prevede espressamente la “reputazione” come requisito necessario per chi ricopre la carica di amministratore o direttore generale. È vero che la riportata disposizione sub b) della direttiva è stata interpretata dalla Banca d’Italia, prima dell’introduzione del d.lgs. n. 21/2010, nei seguenti termini: «b) la reputazione e l’esperienza di coloro che, in esito alla prevista acquisizione, svolgeranno funzioni di amministrazione, di direzione e controllo nella banca…» (v. circolare del 12 maggio 2009, p. 5). Ma – a parte che tale “specificazione” non appare giustificata e fermo, in ogni caso, che la normativa nazionale non ha riprodotto la disposizione in questione nei termini esposti dalla Banca d’Italia, omettendo ogni riferimento alla “reputazione” nella disciplina relativa alle cariche sociali – significativa, ai fini che ci riguardano, è l’interpretazione che la stessa Banca d’Italia dà della disposizione in questione: «per reputazione e esperienza degli esponenti aziendali si intendono i requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza di cui all’art. 26 t.u.b…» (v. p. 5, nt. 11 circolare del 12 maggio 2009). Orbene, delle due l’una: o si ritiene che, relativamente alla disciplina delle cariche sociali, il requisito della reputazione tout court non esiste per precisa scelta legislativa, ovvero, se si ritiene che tale requisito comunque sussista, esso è per stessa interpretazione dell’Autorità di Vigilanza perfettamente coincidente con (e si esaurisce ne) i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza già previsti all’art. 26 t.u.b. In entrambi i casi, la soluzione della vicenda oggetto del presente parere non cambia.
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Il patteggiamento concluso dal dott. (…) non preclude allo stesso la possibilità di assumere cariche sociali o perché la reputazione non costituisce requisito a tal fine oppure perché tale requisito coincide con quello dell’onorabilità, relativamente al quale è stato già sopra (v. § 1) escluso ogni profilo di rilevanza della sentenza penale in questione. Per concludere, quanto osservato al precedente paragrafo circa l’incidenza del requisito reputazionale sulla disciplina in tema di acquisizione di partecipazioni vale a maggior ragione per la disciplina relativa ai requisiti necessari per ricoprire cariche sociali, non rilevando a tal fine la “reputazione” come autonomo requisito.
4. Insussistenza di ulteriori “situazioni impeditive”. Dall’esame della disciplina in materia si ricava che non sussiste alcun ulteriore impedimento a che il dott. (…) rivesta cariche sociali in banche né, in particolare, alcun impedimento derivante dall’essere stata la banca gestita dal dott. (…) sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria. Infatti, nessuna norma del t.u.b subordina la chiusura con esito favorevole della procedura di amministrazione straordinaria, oltre che alla eliminazione delle irregolarità all’origine del commissariamento, anche ad un “allontanamento” di tutti coloro che ricoprivano cariche nella banca. E, d’altro canto, l’unica norma, peraltro secondaria, che avrebbe potuto offrire fondamento a tale tesi è stata eliminata. Giova infatti ricordare che la disposizione contenuta all’art. 4 D.M. n. 161/1998 5, la quale prevedeva “situazioni impeditive” a ricoprire incari-
5 Di cui si riporta per comodità il testo: «Non possono ricoprire le cariche di amministratore, direttore generale e sindaco in banche coloro che, almeno per i due esercizi precedenti l’adozione dei relativi provvedimenti, hanno svolto funzioni di amministrazione, direzione o controllo in imprese sottoposte a fallimento, a liquidazione coatta amministrativa o a procedure equiparate. Le frazioni dell’ultimo esercizio superiori a sei mesi equivalgono a un esercizio intero. Il co. 1 si applica anche a coloro che: a) hanno svolto funzioni di amministrazione, direzione o controllo in imprese operanti nel settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo sottoposte alla procedura di amministrazione straordinaria; b) nell’esercizio della professione di agente di cambio, non abbiano fatto fronte agli impegni previsti dalla legge o si trovino in stato di esclusione dalle negoziazioni in un mercato regolamentato. Il divieto di cui ai co. 1 e 2 ha la durata di tre anni dall’adozione dei relativi provvedimenti. Il periodo è ridotto a un anno nelle ipotesi in cui il provvedimento sia stato adottato su istanza dell’imprenditore o degli organi amministrativi dell’impresa».
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chi gestionali per coloro che avevano ricoperto simili incarichi gestionali in imprese sottoposte a fallimento, l.c.a. e procedure equiparate, nonché, proprio, ad amministrazione straordinaria, è stata annullata con sentenza del T.A.R. Lazio n. 7064 del 28 agosto 2001 6. *** Confermiamo dunque che, a nostro avviso, la pronunzia del G.I.P. di (…) è destinata a rimanere assolutamente ininfluente ed irrilevante in punto di mantenimento, da parte del dott. (…), del requisito di onorabilità (o reputazionale) sia con riguardo alla partecipazione nella banca (…) s.p.a., sia con riguardo alla possibilità di ricoprire cariche nella medesima s.p.a. In quanto precede è il nostro parere.
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6 Sentenza pubblicata in Le società, 2001, p. 1497 ss. con nota adesiva di Bianchi, Eccesso di potere e illogicità delle norme regolamentari sull’incompatibilità dei sindaci delle banche.
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Sintesi di giurisprudenza * (IV trimestre 2010) Indice delle materie: I Assicurazioni: A) Contratto di assicurazione in genere; B) Assicurazione contro i danni; C) Assicurazione obbligatoria R.C. Auto; D) Assicurazioni sociali. II. Banca: A) L’impresa bancaria: profili generali. – B) La crisi dell’impresa bancaria. – C) Depositi bancari. – D) Titoli di credito bancari. – E) Crediti speciali.
I. ASSICURAZIONI Sommario: A) Contratto di assicurazione in genere. – 1. Contratto (in genere), Contratto di assicurazione, Contratti Assicurazione, Prescrizione, Decorrenza, Danno coperto da assicurazione, Indennizzo, Diritto, Prescrizione, Decorso, Procedimento penale, Pendenza – Fatto impeditivo, Configurabilità, Esclusione, Limiti – 2. Contratto di assicurazione, Premio, Mancato pagamento, Risoluzione del contratto, Clausola di regolazione del premio, Premio dovuto per intero anche nei casi di intervenuta cessazione, Riduzione o aggravamento del rischio, Durata del contratto, Configurabilità,
(*) Settantacinquesima puntata (le precedenti sono pubblicate in Dir. banc., 1990, I, pp. 350 e 551; 1991, I, pp. 160, 459 e 597; 1992, I, pp. 111, 253, 397 e 581; 1993, I, pp. 112, 264, 471 e 594; 1994, I, pp. 125, 255, 383 e 506; 1995, I, pp. 157, 286, 443 e 601; 1996, I, pp. 109, 265, 403 e 554; 1997, I, pp. 129, 318, 478 e 645; 1998, I, pp. 91, 277 e 637; 1999, I, pp. 171, 290, 411 e 545; 2000, I, pp. 143, 331 516 e 671; 2001, I, pp. 89, 229 e 383; 2002, I, pp. 145, 327 e 629; 2003, I, pp. 141, 315 e 471; 2004, I, pp. 321, 447 e 657; 2005, I, pp. 109 e 301; 2006, I, pp. 169 e 533; 2007, I, pp. 163, 343 e 583; 2008, I, pp. 153; 363; 549 e 745; 2009, I, pp. 111; 333; 481; 667; 2010, I, pp. 147; 349; 759; 2011, I, pp. 187, 331, 537). Questa sintesi intende offrire una prima informazione sulle sentenze relative alle materie di interesse della rivista, depositate o edite nel periodo di riferimento. Hanno collaborato: Ranieri Razzante (§§ 1-18); Alessandro Benocci (§§ 19 e 20); Cristina Campagna (§ 21); Gennaro Rotondo (§§ 22-24); Dario Martorano (§ 25); Stefano Boatto (§ 26).
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Necessità, Fondamento. – 3. Contratto di assicurazione, Polizze denominate «linked», Assenza di rischio demografico, Trasferimento del rischio dall’assicuratore sull’assicurato, Necessità, Funzione assicurativa, Esclusione, Sottrazione al pignoramento e l’art. 1923 c.c., Esclusione. – 4. Contratto di assicurazione, Soluzione controversie, Risoluzione del contratto, Contratto di leasing, Contratti connessi, Oggetto, Perdita del bene, Effetti. – 5. Contratto di assicurazione, Cessione del quinto, Polizza, Tasso di interesse, Convenzione, Copertura Assicurativa, assicurazione sulla vita, Fondo rischi, trasparenza. – B) Assicurazione contro i danni. – 6. Assicurazione contro i danni, Contratto assicurativo, Improcedibilità, Art. 149 cd, Mancato invio, Compensazione, Azione per il risarcimento, Obbligo di assicurazione, Danno alla persona, Decorrenza termini. – C) Assicurazione obbligatoria R.C. Auto. – 7. Assicurazione obbligatoria, Contratto, Risarcimento dei danni da sinistro stradale, Trasportato su un motociclo da terzi, Responsabilità, Diritto di rivalsa, Condanna al risarcimento. – 8. Assicurazione obbligatoria, Responsabilità civile da circolazione stradale, Risarcimento del danno, Azione diretta nei confronti dell’assicurato, Eccezioni derivanti dal contratto, Circolazione di veicoli a motore, Contravvenzione al conducente per guida in stato di ebbrezza, Clausola di polizza escludente la garanzia assicurativa, Operatività, Diritto di rivalsa dell’assicuratore, Soggetto obbligato, Assicurato, Sussistenza, Conducente del veicolo, Esclusione – 9. Assicurazione obbligatoria, Veicoli (circolazioneassicurazione obbligatoria), Obbligo dell’assicurazione, Certificato di assicurazione, Azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore del responsabile, Sussistenza di un valido rapporto assicurativo, Necessità, Esclusione, Esistenza di un contrassegno autentico, Sufficienza, Contrassegno falsificato o contraffatto, Esonero di responsabilità dell’assicuratore, Configurabilità, Limiti, Assenza di un comportamento colposo dell’assicuratore ingenerante l’affidamento del danneggiato, Necessità, Fondamento. – 10. Assicurazione obbligatoria, Risarcimento danni da circolazione stradale, Fermo tecnico, Risarcimento, Liquidazione equitativa, Criterio ex art. 2697 c.c., Necessità. – 11. Assicurazione obbligatoria, Responsabilità civile, Risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli, Danni causati da veicolo circolante illegalmente e non coperto da assicurazione al momento del sinistro, Obbligo di risarcimento gravante sul Fondo di garanzia vittime della strada, Mancata estensione ai danni subiti dal terzo trasportato (consenziente, ma) inconsapevole della illecita circolazione del veicolo, Giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 1, terzo comma, e 19, lettera b), della legge 24 dicembre 1969, n. 990, Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. – D) Assicurazioni sociali. – 12. Assicurazioni sociali, Ex dipendenti Ministero delle Poste, Disciplina applicabile, T.U Inail, Ammissibilità, Equo indennizzo, Corresponsione, Esclusione. – 13. Assicurazioni sociali, Previdenza e assistenza, Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, Rapporto causale tra evento e danno, Sussistenza, Principio dell’equivalenza delle condizioni, Applicazione. – 14. Assicurazioni sociali, Previdenza, Indennità di malattia, Periodo massimo indennizzabile di 180 giorni, Superabilità nel caso di soggetti sottoposti a dialisi per insufficienza renale, Mancata previsione, Inammissibilità. – 15. Assicurazioni sociali, Contratto, Incidente stradale, danni, Neopatentato, Esclusione, Responsabilità, Domanda di rivalsa. – 16. Assicurazioni sociali, Contratti, Assicurazione della responsabilità civile, Clausole limitative della responsabilità e clausole che delimitano l’oggetto del contratto, Accertamento, Criterio, effetti. – 17. Assicurazioni sociali, Contratto, risarcimento dei danni derivati dall’incendio, Proprietà immobiliare, Garanzia, Obblighi di manutenzione.
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A) CONTRATTO DI ASSICURAZIONE IN GENERE. 1. Contratto (in genere), Contratto di assicurazione, Contratti Assicurazione, Prescrizione, Decorrenza, Danno coperto da assicurazione, Indennizzo, Diritto, Prescrizione, Decorso, Procedimento penale, Pendenza – Fatto impeditivo, Configurabilità, Esclusione, Limiti. Cass., 21 ottobre 2010, n. 21601 (in CED Cassazione), ha chiarito che la pendenza di un procedimento penale relativo ai fatti che hanno provocato il danno coperto da assicurazione non costituisce fatto impeditivo al decorso della prescrizione del diritto all’indennizzo, salvo che le parti non abbiano pattuito diversamente nel contratto. 2. Contratto di assicurazione, Premio, Mancato pagamento, Risoluzione del contratto, Clausola di regolazione del premio, Premio dovuto per intero anche nei casi di intervenuta cessazione, Riduzione o aggravamento del rischio, Durata del contratto, Configurabilità, Necessità, Fondamento. Cass., 18 novembre 2010, n. 23264 (in CED Cassazione). Nel caso di risoluzione di diritto del contratto di assicurazione ai sensi dell’art. 1901, co. 3, c.c., il periodo di assicurazione in corso relativamente al quale è dovuto il pagamento del premio, nonostante la risoluzione del contratto, è solo il periodo che sarebbe stato coperto dalla garanzia assicurativa se il premio o la rata di premio non assolti fossero stati pagati. Ove quindi il contratto abbia durata annuale ed il pagamento del premio sia stato suddiviso in periodi più brevi (trimestrali, semestrali, ecc.), il periodo in corso è quello trimestrale o semestrale coperto dalla singola rata. 3. Contratto di assicurazione, Polizze denominate “linked”, Assenza di rischio demografico, Trasferimento del rischio dall’assicuratore sull’assicurato, Necessità, Funzione assicurativa, Esclusione, Sottrazione al pignoramento e l’art. 1923 c.c., Esclusione. Trib. Cagliari, 2 novembre 2010 (inedita), ha chiarito che la previsione generale contenuta nell’art. 2, d.lgs. n. 209 del 2005 in ordine alle polizze denominate “linked”, e cioè quelle nelle quali l’obbligazione principale dell’assicuratore è collegata al valore di organismi di investimento del risparmio o di fondi interni o comunque ad indici predeterminati di riferimento, non vale a far concludere apoditticamente per l’inclusione automatica di tali polizze nello schema legale (artt. 1882-1895 c.c.) del contratto di assicurazione, la cui causa deve essere rinvenuta nel trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore, rischio che, a pena di nullità, deve esistere alla stipula del contratto. Rientrano senz’altro nella fattispecie tipica di cui all’articolo 1882 c.c. le polizze che operano la sostituzione della prestazione fissa
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Rassegne
dell’assicuratore con una variabile, agganciata a parametri di mercato, ma che mantengono comunque il rischio demografico; in tal caso, pur attuandosi un parziale trasferimento del rischio dall’assicuratore sull’assicurato in ordine al valore finale della prestazione, il contratto mantiene comunque una funzione assicurativa, individuabile quale causa concreta del contratto, secondo gli ordinari criteri ermeneutici. Diversa, invece, l’ipotesi contrattuale in cui l’assicuratore incassi il premio intero all’atto della sottoscrizione obbligandosi al pagamento nel caso di “morte a vita intera” e cioè praticamente ad evento certo. In questo caso, il rischio cosiddetto demografico è totalmente inesistente ed il rischio di investimento è completamente a carico dell’assicurato, mentre l’obbligazione dell’assicuratore è limitata al pagamento del valore del capitale investito al momento dell’evento, in base agli indici di riferimento. La funzione di tale contratto – anche ricorrendo alla causa mista ed al concetto di causa pendente – deve quindi più propriamente essere inquadrata nello schema di acquisto di prodotti finanziari, laddove l’investimento di un capitale è esposto al rischio di perdite a fronte di una certa probabilità di guadagno. Nella fattispecie, il Tribunale ha quindi ritenuto non applicabile l’art. 1923, c.c., il quale sottrae al pignoramento le somme dovute dall’assicuratore all’assicurato. 4. Contratto di assicurazione, Soluzione controversie, Risoluzione del contratto, Contratto di leasing, Contratti connessi, Oggetto, Perdita del bene, Effetti. La competenza dell’Arbitro Bancario e Finanziario, Collegio di Milano, 1° ottobre 2010, n. 1011 (inedita), oltre alle questioni riguardanti la soluzione delle controversie inerenti ai reciproci diritti delle parti nell’ipotesi di risoluzione del contratto di leasing (caso di specie), si estende anche alle questioni relative all’assicurazione del bene che ne forma oggetto, trattandosi di contratti connessi. I due contratti, infatti, sono oggettivamente connessi in quanto gli effetti dell’assicurazione, cioè la riscossione dell’indennizzo assicurativo da parte del concedente, nel caso di perdita del bene concesso in leasing, sono destinati a compensarsi con il credito residuo del concedente nei confronti dell’utilizzatore. Occorre però precisare che l’indennizzo assicurativo derivante dall’assicurazione contratta per conto del concedente, pur essendo destinato a compensarsi con il debito residuo dell’utilizzatore, non lo estingue automaticamente. Cosicché l’utilizzatore deve adempiere il suo debito autonomamente nel termine contrattualmente stabilito senza attendere la liquidazione dell’indennizzo assicurativo. In caso di ritardo deve corrispondere al concedente gli interessi di mora nella misura pattuita.
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La società concedente che è titolare del diritto all’indennizzo, dovrà gestire il rapporto con l’assicuratore in modo da non pregiudicare l’interesse dell’utilizzatore ma, osservato quest’obbligo potrà accettare l’indennizzo anche senza il consenso dell’utilizzatore. Tuttavia, se la società concedente rende partecipe l’utilizzatore dello sviluppo della pratica assicurativa e questa si protrae a causa del dissenso dell’utilizzatore sull’entità dell’indennizzo offerto, le conseguenze della mora nell’ambito del contratto di leasing debbono ricadere sull’utilizzatore che non abbia estinto il suo debito nel termine stabilito e potranno essere compensate con il risarcimento da parte dell’assicuratore se e quando la controversia sull’indennizzo sarà definita in danno dell’assicuratore. 5. Contratto di assicurazione, Cessione del quinto, polizza, tasso di interesse, convenzione, copertura assicurativa, assicurazione sulla vita, fondo rischi, trasparenza. Arbitro Bancario e Finanziario, Collegio di Napoli, 25 novembre 2010, n. 1369, (inedita). Nella specie, il ricorrente (pensionato), in qualità di sindacalista, chiedeva alla banca informazioni circa il divario riscontrato tra il tasso di interesse applicato alle “cessioni di quinto” erogate ai pensionati e quello, più favorevole, previsto dalla convenzione Inps/banche. Il cliente aveva richiesto e sottoscritto un prestito contro cessione del quinto della pensione, ai sensi della l. n. 80 del 2005 che, all’art. 13-bis, espressamente prevede che i prestiti della specie siano assistiti dalla «garanzia dell’assicurazione sulla vita». La circostanza che la copertura assicurativa sia a carico del “Fondo rischi Inpdap” significa che è quest’ultimo ente a determinare il premio da applicare al piano di ammortamento (sulla base dell’età e della quota di pensione cedibile) e ad erogare la copertura nel caso di avveramento dell’evento assicurato. Resta inteso che il premio assicurativo viene anticipato per intero dalla società finanziaria all’Inpdap e ripartito su ogni singola rata di ammortamento. In diritto, secondo il Collegio adito, vanno tenute in considerazione circostanze quali il ruolo determinante svolto dalla banca collocatrice nella gestione di un servizio di pagamento e le altre funzionalità connesse al servizio e prestate dalla stessa, sulla base della documentazione di trasparenza. Constatazione che il tasso di interesse applicato all’operazione di finanziamento è risultato, a suo parere, essere più sfavorevole di quello stabilito dalla Convenzione Inps – Banche, determinando la richiesta della “rinegoziazione del prestito”, vi è da ricordare che il cliente ha richiesto e sottoscritto un prestito contro cessione del quinto della pensione, ai sensi della l. n. 80 del 2005 che, all’art. 13-bis, espressamente prevede che i prestiti della specie siano assistiti dalla «garanzia dell’assicurazione sulla vita».
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La circostanza che la copertura assicurativa sia a carico del “Fondo rischi Inpdap” significa che è quest’ultimo ente a determinare il premio da applicare al piano di ammortamento (sulla base dell’età e della quota di pensione cedibile) e ad erogare la copertura nel caso di avveramento dell’evento assicurato. Resta inteso che il premio assicurativo viene anticipato per intero dalla società finanziaria all’Inpdap e ripartito su ogni singola rata di ammortamento. I rapporti tra l’Inps e le Banche e le condizioni del finanziamento sono, come si è già rilevato, disciplinati da apposita convenzione. Pertanto il Collegio ha dichiarato il diritto del cliente alla «rinegoziazione» del contratto e condannato la Banca al risarcimento delle spese.
B) ASSICURAZIONE CONTRO I DANNI. 6. Assicurazione contro i danni, Contratto assicurativo, Improcedibilità, Art. 149 cd, Mancato invio, Compensazione, azione per il risarcimento, Obbligo di assicurazione, Danno alla persona, Decorrenza termini. Giudice di pace di Eboli, 27 ottobre 2010 (in www.ilcaso.it.) Nel caso in cui si applichi la procedura di cui all’articolo 149 l’azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto alla propria impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, inviata per conoscenza all’impresa di assicurazione dell’altro veicolo coinvolto, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti dagli articoli 149 e 150.
C) ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA R.C. AUTO. 7. Assicurazione obbligatoria, Contratto, Risarcimento dei danni da sinistro stradale, Trasportato su un motociclo da terzi, Responsabilità, diritto di rivalsa, Condanna al risarcimento. Cass., 13 dicembre 2010, n. 25125 (inedita). La causa in questione è imperniata sulla richiesta di risarcimento dei danni da sinistro stradale subito come trasportato su un motociclo condotto da terzo assicurato. La compagnia di assicurazione chiedeva che, in caso di condanna al risarcimento dei danni, fosse riconosciuto il suo diritto di rivalsa nei confronti dell’assicurato, in quanto, giuste le condizioni di polizza, essendo lo stesso privo di patente di
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guida, ma solo in possesso dell’autorizzazione ad esercitarsi (c.d. Foglio rosa), non poteva trasportare altre persone sul veicolo. Il Tribunale condannava i convenuti in solido al risarcimento in favore dell’attore, mentre respingeva la domanda di rivalsa dell’assicuratore. Ritiene la ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che l’autorizzazione per esercitarsi alla guida integrasse, invece, l’abilitazione alla guida, acquisibile soltanto con il conseguimento della patente; che il fatto di trasportare un’altra persona sul veicolo concretizzava un’ipotesi diversa dal mero esercizio alla guida; che nella fattispecie la garanzia assicurativa copriva solo il rischio connesso alla guida del motoveicolo da persona abilitata, con conseguente diritto a rivalsa. La clausola di polizza, escludente la garanzia assicurativa per la responsabilità civile derivante dalla circolazione del veicolo, nel caso in cui il conducente non sia abilitato alla guida a norma delle disposizioni in vigore, si riferisce all’intero procedimento svolto per conseguire la patente, che si conclude con il rilascio del documento attestante l’abilitazione alla guida, non essendo sufficiente la sola autorizzazione all’esercitazione alla guida, neppure se accompagnata dal superamento dell’esame teorico pratico, costituente soltanto una delle condizioni per il rilascio della patente, cui deve seguire il necessario accertamento di altri requisiti di capacità previsti dalla legge (tra l’altro la non sussistenza di cause di indegnità derivanti da precedenti condanne, da applicazione di misure di sicurezza, o di prevenzione contro i reati). Di conseguenza la garanzia è esclusa se il conducente del veicolo abbia conseguito solo il c.d. “foglio rosa”, ma non abbia ancora ottenuto il rilascio della patente. Pertanto, secondo quanto disposto dalla Cassazione, se il conducente del veicolo assicurato, pur avendo superato l’esame non ha ancora ottenuto il rilascio della patente, l’assicuratore che abbia risarcito il danno al terzo danneggiato dal sinistro ha diritto di rivalsa nei confronti dell’assicurato. 8. Assicurazione obbligatoria, Responsabilità civile da circolazione stradale, Risarcimento del danno, Azione diretta nei confronti dell’assicurato, Eccezioni derivanti dal contratto, Circolazione di veicoli a motore, Contravvenzione al conducente per guida in stato di ebbrezza, Clausola di polizza escludente la garanzia assicurativa, Operatività, Diritto di rivalsa dell’assicuratore, Soggetto obbligato, Assicurato, Sussistenza, Conducente del veicolo, Esclusione. App. Ancona, 22 ottobre 2010 (in Leggi d’Italia). In tema di polizza per l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile da sinistro stradale, verificatasi la condizione della inoperatività della polizza, prevista per il caso di guida del veicolo da
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parte di persona in stato di ebbrezza, l’assicuratore che abbia risarcito il danneggiato (art. 18, co. 1, l. 24 dicembre 1969, n. 990) ha diritto di rivalsa esclusivamente nei confronti dell’assicurato e non nei confronti del terzo conducente del veicolo. Nella specie, la Corte di Appello di Ancona ha riformato la sentenza di primo grado riconoscendo all’impresa assicuratrice il diritto di rivalsa nei confronti del proprio assicurato sull’assunto che dagli atti processuali era emersa la prova inconfutabile che il conducente del veicolo assicurato era stato multato per guida in stato di ebbrezza. 9. Assicurazione obbligatoria, Veicoli (circolazione-assicurazione obbligatoria), Obbligo dell’assicurazione, Certificato di assicurazione, azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore del responsabile, Sussistenza di un valido rapporto assicurativo, Necessità, Esclusione, Esistenza di un contrassegno autentico, Sufficienza, Contrassegno falsificato o contraffatto, Esonero di responsabilità dell’assicuratore, Configurabilità, Limiti, Assenza di un comportamento colposo dell’assicuratore ingenerante l’affidamento del danneggiato, Necessità, Fondamento. Trib. Potenza, 13 dicembre 2010, n. 25130 (in www.ilcaso.it.) In forza del combinato disposto dell’art. 7 della legge 24 dicembre 1969 n. 990 (attuale art. 127 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209) e dell’art. 1901 c.c., il rilascio del contrassegno assicurativo da parte dell’assicuratore della r.c.a. vincola quest’ultimo a risarcire i danni causati dalla circolazione del veicolo, quand’anche il premio assicurativo non sia stato pagato, ovvero il contratto di assicurazione non sia efficace, giacché, nei confronti del danneggiato, quel che rileva, ai fini della promovibilità dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile è l’autenticità del contrassegno e non la validità del rapporto assicurativo. Tuttavia, conclude il Tribunale, posto che la disciplina del citato art. 7 mira alla tutela dell’affidamento del danneggiato e copre, pertanto, anche l’ipotesi dell’apparenza del diritto, per escludere la responsabilità dell’assicuratore in ipotesi di contrassegno contraffatto o falsificato occorre che questi provi l’insussistenza di un proprio comportamento colposo, tale da ingenerare l’affidamento erroneo del danneggiato stesso. 10. Assicurazione obbligatoria, Risarcimento danni da circolazione stradale, Fermo tecnico, Risarcimento, Liquidazione equitativa, Criterio ex art. 2697 c.c., Necessità. Trib. Roma, 18 ottobre 2010 (in www.ilcaso. it.) In tema di liquidazione del danno da fermo tecnico è possibile la liquidazione equitativa anche in assenza di prova specifica in ordine al medesimo, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato
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sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato, costituendo lo stesso anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, ed essendo altresì soggetto a un naturale deprezzamento di valore. Tale principio, come stabilito dal Tribunale di Roma, però, deve essere imprescindibilmente coniugato con elementi di prova offerti dalla parte richiedente, onde consentire la liquidazione equitativa di tale voce di danno nel rispetto del criterio di cui all’art. 2697 c.c. 11. Assicurazione obbligatoria, Responsabilità civile, Risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli, Danni causati da veicolo circolante illegalmente e non coperto da assicurazione al momento del sinistro, Obbligo di risarcimento gravante sul Fondo di garanzia vittime della strada, Mancata estensione ai danni subiti dal terzo trasportato (consenziente, ma) inconsapevole della illecita circolazione del veicolo, Giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 1, terzo comma, e 19, lettera b), della legge 24 dicembre 1969, n. 990, Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. C. Cost., 24 novembre 2010, n. 336 (in www.ilcaso.it.) Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha sollevato questione di legittimità costituzionale con riferimento al combinato disposto degli artt. 1, co. 3 e 19, lett. b) della l. 24 dicembre 1969, n. 990, nella parte in cui non estende il diritto all’indennizzo dai danni subìti a causa della circolazione illegale di un veicolo non assicurato, oltre che ai trasportati contro la propria volontà, anche ai trasportati che siano inconsapevoli della circolazione illegale del veicolo. Ad avviso del giudice a quo la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto non vi sarebbe una sostanziale distinzione tra le due fattispecie tale da giustificare la disparità di trattamento. La Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso in quanto il giudice a quo, per superare l’asserita illegittimità costituzionale della norma impugnata, ha richiesto un intervento additivo della Corte in una materia rimessa alla discrezionalità del legislatore.
D) ASSICURAZIONI SOCIALI. 12. Assicurazioni sociali, Ex dipendenti Ministero delle Poste, Disciplina applicabile, T.U Inail, Ammissibilità, Equo indennizzo, Corresponsione, Esclusione. App. Potenza, 11 dicembre 2010 (in www.ilcaso.it.).
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Sebbene l’Inail sia subentrato alle Poste s.p.a. nella gestione dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, ciò non consente di ritenere che anche la prestazione relativa alla corresponsione dell’equo indennizzo rientri tra quelle trasferite all’istituto assicuratore. L’equo indennizzo è, infatti, da ricollegarsi ad una posizione di diritto soggettivo che trova fonte immediata nel rapporto di pubblico impiego ed ha un carattere del tutto speciale sostanziandosi in una prestazione che la P.A. attribuisce al proprio dipendente per compensare menomazioni fisiche comunque connesse con il servizio, invece, la rendita di cui al d.P.R. del 1965 richiede che la malattia sia contratta nell’esercizio ed a causa della lavorazione svolta ed impone perciò un nesso più stretto tra malattia e attività lavorativa, dovendo quest’ultima in caso di fattori plurimi costituire pur sempre la causa sufficiente, ossia la conditio sine qua non della malattia. 13. Assicurazioni sociali, Previdenza e assistenza, Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, Rapporto causale tra evento e danno, Sussistenza, Principio dell’equivalenza delle condizioni, Applicazione. Cass., 4 novembre 2010, n. 22441 (in www.olympus. uniurb.it.). Nella materia degli infortuni sul lavoro trova applicazione diretta la regola contenuta nell’articolo 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge quando si ravvisa l’intervento di un fattore estraneo al lavoro che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità. 14. Assicurazioni sociali, Previdenza, Indennità di malattia, Periodo massimo indennizzabile di 180 giorni, Superabilità nel caso di soggetti sottoposti a dialisi per insufficienza renale, Mancata previsione, Inammissibilità. C. Cost., 15 dicembre 2010, n. 356 (in www.ilcaso.it.). Nella fattispecie, il giudizio a quo ha ad oggetto il ricorso proposto da una persona affetta da insufficienza renale contro l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) e, in particolare, il diniego da esso opposto al riconoscimento dell’indennità di malattia per i giorni eccedenti il limite di 180 giorni. Il limite in tal senso imposto dall’art. 2110 c.c. sarebbe, a parere del remittente, in contrasto con gli artt. 3, 32 e 38 Cost., in quanto prevede una tutela attenuata per i lavoratori sottoposti a dialisi rispetto a quella garantita al lavoratore in stato di infortunio o colpito da tubercolosi. La Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso in quanto
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il giudice a quo ha ricostruito il quadro normativo di riferimento in maniera incompleta compromettendo così l’iter logico posto a fondamento della censura. 15. Assicurazioni sociali, Contratto, Incidente stradale, Danni, Neopatentato, Esclusione, Responsabilità, Domanda di rivalsa. Cass., 13 dicembre 2010, n. 25124 (inedita). I Giudici della Cassazione hanno chiarito che, in tema di polizza per l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile da sinistro stradale, verificatasi la condizione della inoperatività della polizza prevista per il caso di guida del veicolo da parte di persona sprovvista della relativa abilitazione, l’assicuratore che abbia risarcito il danneggiato (l. 24 dicembre, n. 990, art. 18, co. 1) ha diritto di rivalsa esclusivamente nei confronti dell’assicurato-proprietario e non nei confronti del terzo conducente del veicolo. Contro di questi è possibile l’azione di rivalsa nel solo caso in cui la circolazione del veicolo sia avvenuta contro la volontà del proprietario, dell’usufruttuario o dell’acquirente con patto di riservato dominio. La Corte ha richiamato la propria costante giurisprudenza secondo cui il responsabile del danno, che a norma dell’art. 23, l. 24 dicembre 1969, n. 990 deve essere chiamato in causa come litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal danneggiato contro l’assicuratore con azione diretta in deroga al principio della facoltatività del litisconsorzio in materia di obbligazioni solidali, è unicamente il proprietario del veicolo assicurato, non anche il conducente, trovando detta deroga giustificazione nell’esigenza di rafforzare la posizione processuale dell’assicuratore, consentendogli di opporre l’accertamento di responsabilità al proprietario del veicolo, quale soggetto del rapporto assicurativo, ai fini dell’esercizio dei diritti nascenti da tale rapporto, ed in particolare, dall’azione di rivalsa ex art. 18 della legge citata. 16. Assicurazioni sociali, Contratti, Assicurazione della responsabilità civile, Clausole limitative della responsabilità e clausole che delimitano l’oggetto del contratto, Accertamento, Criterio, Effetti. Cass., 9 dicembre 2010, n. 24861 (inedita). Gli acquirenti di un immobile avevano convenuto in giudizio il notaio per sentire dichiarare la sua responsabilità per avere stipulato il contratto di acquisto di alcuni immobili, poiché i terzi ai quali essi li avevano rivenduti ne avevano subito la evizione. Gli attori chiedevano la condanna del notaio al risarcimento di tutti i danni derivati dal comportamento tenuto dal professionista. Poiché nel periodo specificato era già stata addebitata al notaio la responsabilità per la mancata visura, la garanzia assicurativa doveva considerarsi inoperante. La causa del contratto era quella di porre il notaio al riparo
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da richieste di danni relative a sue pregresse negligenze, sempre che le stesse non avessero ancora determinato una richiesta di risarcimento. Era del tutto logico che il notaio assicurato fosse conscio della attività svolta precedentemente alla stipula del contratto nell’esercizio della sua funzione (ed in particolare della mancata ispezione alla Conservatoria dei Registri Immobiliari in occasione dell’autentica delle sottoscrizioni). Egli non poteva essere, tuttavia, a conoscenza di essere responsabile dei danni derivati dalla propria attività, “responsabilità che (nel caso di specie) era stata dichiarata in giudizio per una serie articolata di ragioni e con riferimento ad una recente, ma oramai consolidata giurisprudenza, che però tale non era all’epoca della stipula del contratto”. Una clausola aggiunta alle condizioni generali di contratto non ha, per ciò solo, natura vessatoria, e di conseguenza può essere ritenuta nulla per mancanza della doppia sottoscrizione, ai sensi dell’articolo 1341 c.c., soltanto ove il giudice motivi in modo adeguato circa le ragioni per cui ne ha ritenuto la vessatorietà: sono da considerarsi clausole limitative della responsabilità, per gli effetti dell’articolo 1341 c.c. quelle clausole che limitano le conseguenze della colpa dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito. La clausola in questione – riguardante la esclusione dalla garanzia assicurativa per fatti e circostanze suscettibili di aver causato danni a terzi per i quali la società dimostri che erano già noti all’assicurato all’inizio del periodo di assicurazione – avesse funzione specificatrice rispetto alle condizioni generali, rafforzando la disciplina già prevista dal codice a salvaguardia della integrità del rischio di cui agli articoli 1892 e ss., e, che viene meno ogniqualvolta l’assicurato abbia reso dichiarazioni inesatte o reticente, relative a circostanze tali che, se l’assicuratore le avesse conosciute, non avrebbe dato il suo consenso alla stipula. L’interpretazione delle clausole di un contratto di assicurazione in ordine all’estensione e alla portata del rischio assicurato rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se è sorretta da adeguata e congrua motivazione. Con ampia e logica motivazione, ripresa dalla Corte di Cassazione nella sentenza in esame i giudici di appello hanno espresso la ragionata convinzione che il notaio fosse perfettamente a conoscenza delle iniziative giudiziarie al momento della stipulazione dei contratti di assicurazione. 17. Assicurazioni sociali, Contratto, Risarcimento dei danni derivati dall’incendio, Proprietà immobiliare, Garanzia, Obblighi di manutenzione. Cass., 13 dicembre 2010, n. 25118, (inedita).La fattispecie in esame prevede il caso di risarcimento dei danni derivati dall’incendio verificatosi nell’appartamento condotto in locazione dall’attore. Nell’at-
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to di citazione il ricorrente aveva precisato di aver subito danni agli effetti personali di sua proprietà a seguito di un incendio sviluppatosi a seguito di un fulmine all’interno dell’appartamento, da lui condotto in locazione. Per questa ragione aveva chiesto la condanna della proprietaria dello stabile locato, al risarcimento dei danni subiti – per violazione degli obblighi di manutenzione della cosa locata – e della compagnia di assicurazioni con la quale la proprietaria dell’immobile aveva stipulato un contratto di assicurazione per l’incendio. La polizza assicurativa prevedeva due forme di garanzia: la prima riguardava solo gli effetti domestici di proprietà dell’assicurato, la seconda per responsabilità civile in conseguenza dei danni che terzi potevano reclamare a seguito della condotta colposa dell’assicurata (cd. ricorso “vicini”). La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso ritenendo la decisione della Corte di Appello logicamente motivata ed immune dalle censure del ricorrente. La Corte territoriale aveva infatti ritenuto che la prima garanzia non fosse invocabile nel caso di specie, considerato che gli effetti personali erano di proprietà del conduttore (e non dell’assicurato). La Corte territoriale aveva inoltre concluso che non vi era prova della esistenza di un nesso di causalità tra il fulmine e la efficienza dell’impianto elettrico. Doveva, pertanto, escludersi anche la esistenza di qualsiasi rapporto causale tra il danno e la violazione degli specifici obblighi di custodia e di controllo dello stato di conservazione dell’impianto a carico del proprietario dell’immobile, avendo questo funzionato a dovere. I giudici di appello avevano infine chiarito che il locatario non poteva rivestire la qualità di assicurato (poiché le cose assicurate contro l’incendio secondo contratto erano solo quelle di proprietà della parte assicurata e non anche quelle di terzi) e che lo stesso non poteva neppure agire in via surrogatoria al posto dell’assicurato, non essendo configurabili i presupposti per la operatività della previsione di polizza.
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II. BANCA Sommario: A) L’impresa bancaria: profili generali. – 18. Attività bancaria e finanziaria. – 18.1. Il bene giuridico tutelato dal reato di abusiva attività finanziaria. – 19. Vigilanza. – 19.1. Presupposti della legittima segnalazione alla Centrale dei rischi – B) La crisi dell’impresa bancaria. – 20. Liquidazione coatta amministrativa. Azione di risarcimento danni. – C) Depositi bancari. – 21. Libretto di deposito bancario. Profili probatori. – 22. Libretti di deposito al portatore. Responsabilità della banca. – 23. Libretto di deposito cointestato a firma disgiunta. – D) Titoli di credito bancari. – 24. Responsabilità della banca per il pagamento di assegno “non trasferibile” a soggetto diverso dal prenditore. – E) Crediti speciali. – 25. Operazioni di credito fondiario funzionalizzate all’estinzione di debiti preesistenti e scaduti dell’imprenditore sovvenuto, in seguito dichiarato fallito.
A) L’IMPRESA BANCARIA: PROFILI GENERALI 18. Attività bancaria e finanziaria. 18.1. Il bene giuridico tutelato dal reato di abusiva attività finanziaria. Cass., 9 novembre 2010, n. 42085 (in CED Cass. pen., 2011, e in Giur. banc., 2009-2011, 21), si occupa di abusiva attività finanziaria per specificare e confermare il bene giuridico tutelato dall’art. 132 t.u.b. L’art. 10 t.u.b. fissa infatti i confini dell’attività bancaria nell’esercizio congiunto e funzionale di «raccolta del risparmio tra il pubblico ed esercizio del credito» e qualifica la banca in ragione dell’esercizio autorizzato e riservato dell’attività bancaria, consentendo di affiancare al gruppo creditizio polifunzionale il modello di banca universale; l’art. 10 individua successivamente il soggetto bancario nell’impresa collettiva abilitata non solo all’esercizio dell’attività bancaria, ma anche all’esercizio di «ogni altra attività finanziaria (…) nonché di attività connesse e strumentali», con esclusione delle sole attività finanziarie non bancarie riservate dalla legge ad altri soggetti e con esclusione delle sole attività non finanziarie. La circostanza che l’esercizio dell’attività bancaria sia riservato alle banche e debba essere necessariamente autorizzato determina come corollario che l’esercizio dell’attività bancaria da parte di chi banca non è, e quindi da parte di chi, comunque definibile, non è stato autorizzato, debba considerarsi abusivo e, come tale, vietato e, se praticato, sanzionato. Il nostro ordinamento configura infatti come ipotesi di reato l’esercizio abusivo sia dell’attività di raccolta del risparmio presso il pubblico (art. 130 t.u.b.) sia dell’attività bancaria (art. 131 t.u.b.) sia delle altre attività finanziarie (art. 132 t.u.b.). La pronuncia in commento narra di un caso nel quale Tizio, inizialmente condannato dal Tribunale di Savona
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per il reato di truffa in concorso ex art. 81, co. 1, c.p. con il reato di abusiva attività finanziaria, propone appello alla Corte d’Appello di Genova e, rigettato l’appello, ricorso per cassazione alla Suprema Corte per contestare non tanto la sussistenza di almeno uno dei due reati, quanto la sussistenza della fattispecie concorsuale di cui al citato art. 81. All’art. 81, co. 1, c.p. si fa alternativamente riferimento a due ipotesi di concorso di reati: il concorso formale di reati omogeneo e il concorso formale di reati eterogeneo. Il primo caso si ha quando uno stesso soggetto agente pone in essere una condotta unica e realizza una pluralità di reati a causa della pluralità di violazioni della stessa norma incriminatrice (per es., A uccide con una bomba sia B sia C ovvero A ruba una cosa di proprietà sia di B sia di C). Il secondo caso si ha quando uno stesso soggetto agente pone in essere una condotta unica e realizza una pluralità di reati a causa della violazione di una pluralità di norme incriminatici (per es., A riesce a derubare B reagendo ad un pubblico ufficiale). In entrambi i casi, la pena prevista è pari a quella prevista per la commissione del reato in astratto più grave aumentata fino al triplo. Nel caso di specie, si fa evidentemente riferimento al secondo caso e Tizio contesta la sussistenza di un’ipotesi concorsuale a causa della ritenuta omogeneità dei beni giuridici tutelati dalle norme penali in materia di truffa e di abusiva attività finanziaria, che renderebbero dunque non ricorrente la possibilità stessa della violazione di una pluralità di norme incriminatrici. Corte d’Appello e Suprema Corte censurano il motivo posto alla base delle impugnazioni di Tizio ed affermano invece che il reato di abusiva attività finanziaria può ben concorrere con il reato di truffa, in quanto le due norme incriminatrici che li contemplano sono in realtà poste a tutela di due beni giuridici distinti: il patrimonio, per quanto riguarda la truffa e, per quanto riguarda il reato di esercizio abusivo di attività finanziaria, il corretto svolgimento delle attività finanziarie nei mercati mobiliari per il tramite di operatori abilitati nell’interesse degli investitori, da ciò conseguendone la possibilità, in astratto oltreché in concreto, della violazione delle due norme da parte di una unica condotta e quindi la stessa possibilità del concorso dei due reati.
19. Vigilanza. 19.1. Presupposti della legittima segnalazione alla Centrale dei rischi. Trib. Modena, 29 novembre 2010 (in Giurisprudenza locale Modena, 2010, e in Giur. banc., 2009-2011, 21), segue la tradizione giurisprudenziale in materia di presupposti della segnalazione alla Centrale dei rischi
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e conferma la tesi secondo cui la nozione di insolvenza fallimentare non coincide con la nozione di stato di insolvenza che è necessario accertare per rendere legittima la segnalazione di un credito in sofferenza. Il contesto normativo è quello dell’art. 51 t.u.b. e della regolamentazione secondaria di attuazione. L’art. 51 t.u.b. impone alle banche di inviare alla Banca d’Italia le segnalazioni periodiche secondo le modalità e nei termini da essa stabiliti. Le circolari della Banca d’Italia contengono le istruzioni per gli intermediari creditizi in materia di segnalazioni alla Centrale dei rischi. Le circolari obbligano le banche ad effettuare in favore della Banca d’Italia una segnalazione mensile avente per oggetto le posizioni di rischio di ciascun cliente e, in sostanziale contropartita, impone alla Banca d’Italia di comunicare alle banche, per ogni nominativo ricevuto, la posizione globale di rischio nei confronti dell’intero sistema creditizio: le posizioni di rischio oggetto di segnalazione si identificano sostanzialmente con quei crediti vantati dalla banca verso il cliente che superino i cc.dd. limiti di censimento indicati dalle stesse istruzioni della Banca d’Italia: tra di essi, vanno sinteticamente annoverati i crediti di ammontare superiore alle soglie monetarie stabilite dalla Banca d’Italia e i cc.dd. «crediti in sofferenza», tra i quali, stando alle istruzioni, vanno a loro volta annoverati «tutti i crediti per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili», con precisazione che «l’apposizione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente che non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito». In relazione ai presupposti per la segnalazione alla Centrale dei rischi, la giurisprudenza di legittimità è solita sostenere che l’apposizione a sofferenza del credito, lungi dal poter discendere dalla sola analisi dello specifico o degli specifici rapporti in corso di svolgimento tra la singola banca segnalante ed il cliente, implica una valutazione della complessiva situazione patrimoniale di quest’ultimo; ne segue che l’accostamento che le istruzioni di vigilanza hanno inteso stabilire tra stato di insolvenza e situazioni sostanzialmente equiparabili inducono a preferire quelle ricostruzioni che hanno proposto, ai fini della segnalazione in sofferenza alla Centrale dei rischi, una nozione levior rispetto a quella dell’insolvenza fallimentare, così da concepire lo stato di insolvenza e le situazioni equiparabili in termini di valutazione negativa di una situazione patrimoniale apprezzata come deficitaria, ovvero, in buona sostanza, di grave e non transitoria difficoltà economica, senza, cioè, fare necessario riferimento all’insolvenza intesa quale situazione di incapienza, ovvero di definitiva irrecuperabilità. La pronuncia in commento si pone
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su questa lunghezza d’onda: il giudice modenese sostiene infatti che la nozione di stato di insolvenza che è necessario accertare, insieme o alternativamente alle situazioni ad esso sostanzialmente equiparabili, per rendere legittima una segnalazione di un credito in sofferenza alla Centrale dei rischi, coincide con una condizione meno drastica dello stato di insolvenza fallimentare. Nel caso in esame, una banca ricorre al Tribunale di Modena per ottenere un decreto ingiuntivo contro una società per il recupero coattivo di una somma di denaro corrispondente al saldo passivo del conto corrente bancario. Notificato alla società il ricorso e il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Modena, la società si oppone eccependo l’avvenuto pagamento prima della notifica e proponendo domanda riconvenzionale di condanna della banca al risarcimento del danno, perché la banca avrebbe segnalato illegittimamente la società alla Centrale dei rischi, visto che il presupposto della segnalazione è lo stato di insolvenza e la società non si trovava in tale stato. La banca si costituisce nel giudizio di opposizione premettendo l’intervento del pagamento ingiunto, ma eccependo che la segnalazione non era affatto illegittima, in quanto la banca aveva preliminarmente accertato, sulla base e nei limiti delle conoscenze acquisite dalla banca stessa, che la società si trovava non tanto in uno stato di insolvenza di rilevanza fallimentare, quanto in un deficit di capacità patrimoniale tale da integrare la nozione di sostanziale insolvenza, che è presupposto necessario, ma sufficiente, a fondare legittimamente la segnalazione alla Centrale dei rischi. Il Tribunale di Modena aderisce alle eccezioni presentate dalla banca e conferma che è da condividere l’opinione per la quale lo stato di insolvenza che la banca deve verificare prima della segnalazione alla Centrale rischi non è quello previsto dalla legge fallimentare, ma è limitato ad uno stato di non piena capacità patrimoniale da accertare tenendo conto delle possibilità conoscitive della banca; nel caso di specie, la persistenza del saldo passivo e l’acquisita bozza di bilancio con passività intorno ai 100.000 euro hanno giustificato un giudizio di non piena capacità patrimoniale che il giudice di merito ha ritenuto sufficiente a legittimare la segnalazione.
B) LA CRISI DELL’IMPRESA BANCARIA. 20. Liquidazione coatta amministrativa. Azione di risarcimento danni. Cass. 18 marzo 2010, n. 6624 (in Il fallimento, 10/2010, 1213) ha esaminato la questione relativa al risarcimento dei danni derivante dalla cessione delle attività e delle passività di un istituto di credito posto in
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Rassegne
liquidazione coatta amministrativa. In data 25 novembre 1992 un correntista ha citato in giudizio il Banco di Sicilia Spa e ne ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni per aver pagato a persona diversa dal beneficiario un assegno bancario dal quale era stata cancellata la clausola “non trasferibile”. A sua volta il Banco di Sicilia ha chiamato in causa la Sicilcassa Spa, dichiarandola responsabile in quanto banca girataria del titolo modificato. Successivamente la Sicilcassa Spa è stata posta in liquidazione coatta amministrativa e le sue attività e passività sono state cedute al Banco di Sicilia. Il Tribunale di Patti in questa sede ha condannato il Banco di Sicilia al risarcimento dei danni, come da richiesta del correntista. In seguito la Corte d’Appello di Messina ha totalmente riformato la decisone di primo grado, infatti ha rigettato la domanda proposta nei confronti del Banco di Sicilia anche in qualità di cessionaria dei crediti e debiti della Sicilcassa Spa ed ha altresì dichiarato improcedibile la domanda proposta nei confronti dell’istituto bancario posto in liquidazione coatta amministrativa. Successivamente la Corte di Cassazione ha dichiarato che l’azione proposta dal creditore di un istituto di credito, posto in liquidazione coatta amministrativa con relativa cessione delle attività e delle passività, è improcedibile nei confronti della banca cedente, mentre nei confronti della banca cessionaria può trovare accoglimento solo per i debiti risultanti dallo stato passivo della liquidazione come espressamente previsto dall’art. 90 d.lgs. 385/1993. I giudici hanno richiamato la sentenza n. 15005 del 27 novembre 2001 della Corte di Cassazione, a sezioni unite, secondo la quale «la cessione ad un’altra banca, in caso di liquidazione coatta amministrativa, di un istituto di credito o di attività o passività, aziende, rami d’azienda, beni e rapporti giuridici individuali in blocco ai sensi dell’art. 90 secondo comma del d.lgs. 385/93, implica, per le posizioni debitorie, la costituzione di un’ulteriore obbligazione con vincolo di solidarietà, oppure ove si determini la liberazione dell’originario debitore, un mutamento soggettivo riconducibile nell’ambito di successione del rapporto. L’azione del creditore, direttamente ed esclusivamente contro la banca cessionaria, coinvolge un soggetto diverso dalla banca cedente in liquidazione amministrativa, e si sottrae in radice alle speciali norme che regolano l’esercizio del credito in pendenza ed all’interno di detta procedura liquidatoria».
C) DEPOSITI BANCARI. 21. Libretto di deposito bancario. Profili probatori. In materia di libretti di deposito a risparmio, l’Arbitro Bancario Finanziario, Col-
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legio di Roma, 6 settembre 2010, n. 882, ha ricordato che, ai sensi dell’art. 1835 c.c., le annotazioni sul libretto fanno piena prova delle operazioni di deposito e prelevamento, di talché, in assenza di annotazione, la prova che un’operazione sia avvenuta deve essere fornita, anche con mezzi diversi, dalla parte del rapporto che ha interesse ad opporla. Nel caso di specie, trattandosi di stabilire se dal libretto è stato compiuto un prelievo, è la banca a dover provare la circostanza, essendo quella contraria (cioè la mancanza di prelievi) assistita da una presunzione relativa (in senso conforme, il Collegio di Napoli, 10 dicembre 2010, n. 1472). Ancora, in relazione al profilo probatorio, il Collegio di Napoli, 30 dicembre 2010, n. 1594, ha affermato che, in tema di libretti di deposito a risparmio, la particolare efficacia probatoria prevista dal co. 2 dell’art. 1835 c.c. si riferisce alle annotazioni che figurano effettivamente apposte sul libretto senza, però, che ne derivi una presunzione legale assoluta per cui debbano considerarsi compiute soltanto le operazioni annotate; ne consegue che, secondo i principi generali, è sempre ammessa la prova che un’operazione (di versamento o prelevamento), non annotata sul libretto, sia stata effettivamente eseguita. Così, anche Cass., 4 marzo 1993, n. 2641, le cui conclusioni non sono state, comunque, accolte favorevolmente in dottrina ove si è ritenuto – in applicazione dell’art. 2725 c.c. – che il saldo del rapporto sia costituito dalla somma algebrica delle annotazioni, senza possibilità di integrazioni probatorie esterne rispetto al libretto. 22. Libretti di deposito al portatore. Responsabilità della banca. Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Napoli, 1 giugno 2011, n. 1134. In tema di responsabilità della banca nell’identificazione del soggetto legittimato al prelievo di somme per il tramite di un libretto di deposito a risparmio, il Collegio, nel trattare di una richiesta di risarcimento conseguente ad una serie di prelievi fraudolenti da un deposito bancario a risparmio, ha ritenuto che la domanda del cliente si configuri come volta ad ottenere il risarcimento dei danni ex art. 1218 c.c., rendendo necessario verificare se il fatto lesivo sia imputabile all’intermediario in base al grado di diligenza impiegato. Come per il contratto di contratto di conto corrente, anche per il deposito a risparmio, l’intermediario svolge un servizio per il correntista che prevede operazioni di versamento e prelevamento alle quali sono applicabili gli artt. 1856, 1710 e 1176, co. 1, c.c., pur tenendo conto della diversa causa dei due contratti e della differente movimentazione di un conto di deposito a risparmio rispetto a quella di un conto corrente bancario.
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Rassegne
23. Libretto di deposito cointestato a firma disgiunta. Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Napoli, 30 dicembre 2010, n. 1598. Nel caso di un libretto di deposito a risparmio nominativo cointestato a firma disgiunta (alla defunta sorella e ad altri due familiari), il Collegio ha affermato che il rapporto tra l’intermediario e il gruppo dei cointestatari è unitario, derivante cioè da un unico contratto che richiede il consenso di tutti i contitolari per essere modificato e/o derogato. Ne consegue che la clausola di firma congiunta o disgiunta non può essere modificata unilateralmente dal singolo cointestatario; che dei saldi sono creditori e debitori solidali i singoli cointestatari, facultati ad agire singolarmente; che le vicende che colpiscono il singolo cointestatario non comportano, di norma, lo scioglimento del rapporto.
D) TITOLI DI CREDITO BANCARI. 24. Responsabilità della banca per il pagamento di assegno “non trasferibile” a soggetto diverso dal prenditore. Cass., 10 novembre 2010, n. 22816 (in Rep. Foro it., 2010, voce Titoli di credito [6710], n. 38) ha nuovamente chiarito la portata dell’art. 43 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 il quale, al primo comma, impone che l’assegno bancario emesso con la clausola «non trasferibile» debba essere pagato esclusivamente al prenditore o, su sua richiesta, accreditato sul proprio conto corrente (sicché l’unica girata possibile è quella fatta per lo “incasso” ad un banchiere, il quale non può ulteriormente girarlo) e, al secondo comma, prevede che risponde del pagamento colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso. Come già affermato in precedenza (cfr: Cass., 25 agosto 2006, n. 18543; Cass., 13 maggio 2005, n. 10118; Cass., 12 marzo 2003, n. 3654) la disposizione de qua costituisce una deroga: sia alla disciplina generale del pagamento dei titoli di credito a legittimazione variabile, sia alla disciplina di diritto comune prevista dall’art. 1189 c.c. che prevede la liberazione del debitore il quale dimostri la propria buona fede nell’aver eseguito il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche. L’art. 43 attribuisce la responsabilità a carico della banca che non osserva la clausola di «non trasferibilità» prescindendo dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del presentatore del titolo. La banca che paga a persona diversa dal legittimato, non è quindi liberata dalla propria obbligazione finché non ripeta il pagamento al prenditore esattamente individuato (o al banchiere giratario per l’incasso).
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F) CREDITI SPECIALI. 25. Operazioni di credito fondiario funzionalizzate all’estinzione di debiti preesistenti e scaduti dell’imprenditore sovvenuto, in seguito dichiarato fallito. Il Tribunale di Vicenza, con sentenze rese nelle date del 5 ottobre 2010 e del 15 dicembre 2010 (in www.ilcaso.it) si esprime, in entrambi i casi, sull’opposizione avanzata da una banca avverso il decreto con il quale il g.d. aveva ammesso, ma in via chirografaria, il credito derivante da un’operazione di credito fondiario le cui risorse erano state destinate all’estinzione di debiti scaduti chirografari dell’imprenditore poi fallito. A parere del Collegio, l’ammissione al passivo come disposta dal g.d. è corretta poiché, in ultima analisi, (i) l’ipoteca è revocabile, e (ii) la banca non deve restituire nulla alla massa, perché nulla ha tolto agli altri creditori (così giustificando la sussistenza del credito da rimborso per l’operazione di credito fondiario ma in via chirografaria). I passaggi logici che informano entrambi i provvedimenti muovono anzitutto dall’assunto secondo cui la revoca della garanzia ipotecaria è ben possibile in via autonoma, indipendentemente cioè dal finanziamento cui la stessa accede. Il Collegio, infatti, ritenendo corretta l’ammissione al passivo del credito da rimborso – seppure in via chirografaria – (e solo di questo, si badi, non anche il credito derivante dalla revoca del pagamento del debito estinto) respinge le tesi che vorrebbero, in un quadro siffatto e a supporto della revoca della garanzia, pure la revoca del negozio di finanziamento, ai sensi e per gli effetti dell’art. 67, co. 1, n. 2, l.fall., quale pagamento di debito scaduto con mezzi anormali di pagamento; oppure pretenderebbero di colpire lo stesso negozio di finanziamento come simulato. Il Collegio veneto esclude subito la tesi della simulazione valorizzando la circostanza secondo cui il negozio è sempre realmente voluto, anche nei suoi effetti, dalle parti. E, sebbene accogliendo la tesi del negozio indiretto (da sempre richiamata da chi afferma l’applicazione dell’art. 67, co. 1, n. 2), esclude l’opzione interpretativa del pagamento anomalo: fine ultimo dell’operazione, afferma il Collegio, non è tanto l’estinzione del debito chirografario (debito che invero rimane tale e quale poiché solo apparentemente sostituito da quello fondiario); piuttosto, «[…] l’operazione di mutuo, con la contestuale effettiva concessione di ipoteca, è un negozio indiretto che ha per scopo ulteriore non l’estinzione di una passività preesistente (pagamento anomalo), ma la sua trasformazione in debito privilegiato». Da ciò, il Collegio trae le ulteriori conseguenze. Il negozio indiretto, non eliminando, a rigore, la passività pregressa e trasformandola in debito privilegiato, renderebbe l’ipoteca fondiaria
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Rassegne
come posta a garanzia di un debito non contestuale, in aperto contrasto con quanto imposto dall’art. 38, d.lgs. 385/93 che pone la contestualità tra i principali requisiti affinché l’ipoteca possa aspirare alla fondiarietà. D’altra parte, l’assenza della fondiarietà della garanzia è ancora più agevolmente sostenibile secondo il Collegio allorché, come in entrambi i casi oggetto dei provvedimenti, l’importo finanziato eccede l’80% del valore dell’immobile ipotecato (in assenza di garanzie integrative): è infatti da escludere, secondo i giudicante, l’ipotesi di una non fondiarietà limitata e quindi una revoca limitata alla parte del finanziamento eccedente la percentuale indicata dalla legge. La garanzia costituita nell’ambito dell’operazione di credito fondiario non è, invero, conforme ai requisiti di fondiarietà e pertanto non può aspirare ad alcuna delle ipotesi di esenzione previste dalla legge (anzitutto, art. 39, t.u.b.). In entrambe le vicende in esame, il Collegio veneto accoglie la domanda di revoca formulata ai sensi e per gli effetti dell’art. 2901 c.c. (era infatti decorso più di un anno dalla dichiarazione di fallimento) ritenendo provati dalla difesa della procedura opposta tutti i presupposti all’uopo richiesti dalla legge. Il credito da ammettere al passivo, ferma la “estinzione” del debito preesistente, risulta dunque quello da rimborso del mutuo solo in apparenza fondiario: e tale credito andrà ammesso, pertanto, come chirografario. La banca, per ciò stesso, «non deve restituire nulla alla massa, perché nulla ha tolto agli altri creditori». I provvedimenti menzionati non appaiono del tutto convincenti. Il passaggio logico decisivo di entrambi gli itinerari argomentativi, coincidente con la configurazione dell’operazione di credito fondiario quale negozio indiretto il cui reale scopo consisterebbe nel mutamento della natura del credito da chirografario in privilegiato, è poco più che abbozzato. La tesi del negozio indiretto è da tempo prospettata in giurisprudenza, anche di legittimità, sebbene, va ricordato, al fine di giustificare, non già (solo) la revoca della garanzia come prospettato dal tribunale vicentino, quanto piuttosto la revoca dell’operazione fondiaria nella sua complessità ritenendola funzionale a integrare l’ipotesi di un pagamento di un debito scaduto con mezzi anormali di pagamento: cfr., da ultimo, Cass., 20 marzo 2003, n. 4069, in Il fallimento, 2004, 635, con osservazioni di Bruschetta; Cass., 18 gennaio 2006, n. 887, in Giust. civ., Mass., 2006, 2; Cass., 6 novembre 2006, n. 23669, in Il fallimento, 2007, 651; Cass., 1 ottobre 2007, n. 20622, in Giust. civ., 2008, I, 124; in Il fallimento, 2008, n. 1, 95, e in Dir. fall., 2009, II, 181 e ss., con nota di Cordopatri, Ancora in tema di revocabilità del mutuo fondiario e decadenza dal beneficio del consolidamento dell’ipoteca; per la più recente giurispruden-
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Sintesi di giurisprudenza
za di merito, cfr. Trib. Terni, 17 febbraio 2008, in Corr. merito, 2008, 1135, con nota di Vella; Trib. Bari, ebbraio 2008, in Il fallimento, 2008, 611. Per la tesi della nullità, quale conseguenza della simulazione – invero correttamente respinta dal Collegio veneto – si vedano, per la giurisprudenza di legittimità, Cass., 24 ottobre 1967, n. 2621, in Banca, borsa, tit. cred., 1968, II, 55, con nota di De Marchi, Simulazione nel contratto fondiario?; Cass., 22 marzo 1994, n. 2742, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, 618, con nota di Presti; Cass., 29 settembre 1997, n. 9520, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, II, 630, con nota di Tardivo; per la giurisprudenza di merito, si vedano App. Brescia, 21 aprile 2004, in www.ilcaso.it, Trib. Latina, sez. dist. Terracina, 16 dicembre 2009, in www.ilcaso.it. Per la meritevolezza dell’operazione di credito fondiario, anche quando funzionalizzata all’estinzione di passività pregresse, Bonfatti, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino, 2009, vol. I, p. 672 e ss.
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AUTORI
Sandro Amorosino, prof. ord. di Diritto pubblico dell’economia nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Carlo Angelici, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università La Sapienza di Roma (Giurisprudenza) Franco Belli, già prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Siena (Economia) Alberto Bregoli, prof. ord. di Diritto privato nell’Università di Modena e Reggio Emilia (Economia) Federico Briolini, prof. straord. di Diritto commerciale nell’Università di Chieti – Pescara (Economia) Antonella Brozzetti, ricercatrice nell’Università di Siena (Economia) Mario Bussoletti, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Roma Tre (Giurisprudenza) Guillermo Caballero Germain, prof. di derecho mercantil nella Pontificia Università Cattolica di Valparaiso – Chile (Scienze giuridiche e sociali) Lucia Calvosa, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Pisa (Economia) Vittorio Conti, Commissario Consob Ciro Corvese, prof. ass. di Diritto commerciale nell’Università di Siena (Economia) Raffaele D’Ambrosio, avvocato in Roma Domenico Di Pietro, avvocato in Roma Aldo Angelo Dolmetta, prof. ord. di Diritto Privato nell’Università Cattolica di Milano (Giurisprudenza) Leonardo Giani, dottore di ricerca (Università di Siena) Gian Luca Greco, dottore di ricerca (Università di Siena), dottore commercialista in Milano Giampiero Ianni, colonnello t.ST della Guardia di Finanza Aldo Laudonio, ricercatore nell’Università di Catanzaro (Giurisprudenza) Salvatore Maccarone, prof. ass. di Diritto dei mercati finanziari nell’Università La Sapienza di Roma (Scienze statistiche)
Fabrizio Maimeri, prof. ord. di Diritto dell’economia nell’Università Guglielmo Marconi di Roma (Economia) Roberto Marcelli, dottore commercialista in Roma Francesco Mazzini, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università di Siena (Economia) Alessandro Nigro, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Stefania Pacchi, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Siena (Giurisprudenza) Antonio Piras, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Pisa (Giurisprudenza) Gaetano Presti, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università Cattolica di Milano (Giurisprudenza) Ranieri Razzante, avvocato in Roma Serenella Rossi, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università dell’Insubria (Giurisprudenza) Maurizio Sciuto, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Macerata (Economia) Giuseppe Terranova, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Roma La Sapienza (Giurisprudenza) Daniele Vattermoli, prof. ass. di Diritto commerciale nell’Università La Sapienza di Roma (Economia)
INDICI DELL’ANNATA PARTE PRIMA SAGGI Amorosino Sandro, Rileggendo l’art. 1 del Testo Unico Bancario Angelici Carlo, Fra “mercato e società: a proposito di venture capital e drag-along Bregoli Alberto, La responsabilità civile degli “esperti attestatori” nell’ambito dei “piani”, degli “accordi” e dei Concordati Briolini Federico, Operazioni societarie straordinarie e procedure di composizione negoziale delle crisi Caballero Germain Guillermo, Contribución al estudio de la naturaleza jurídica de lo valores anotados Conti Vittorio, Rethinking Regulation and Oversight to Learn the Lesson from the Crisis Dolmetta Aldo Angelo, Sulle nozioni di “banca” e di “trasparenza”: spunti dal d.lgs. n. 141/2010 Giani Leonardo, Il ruolo della politica e del diritto nel processo di riforma della struttura europea di supervisione finanziaria Maimeri Fabrizio, Criteri di proporzionalità ed efficacia dei modelli di risk management Marcelli Roberto, Prescrizione e anatocismo negli affidamenti bancari. I principi giuridici stabiliti nella sentenza della Cassazione S.U. 23 novembre 2010, n. 24418: quelli enunciati e quelli impliciti Nigro Alessandro, Linee di tendenza delle nuove discipline di trasparenza. Dalla trasparenza alla “consulenza”? Rossi Serenella, I contratti derivati nel fallimento Sciuto Maurizio, Il costo dell’informazione bancaria
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COMMENTI Di Pietro Domenico, La c.d. clean hands doctrine. Il rispetto del principio di legalità da parte degli investitori come condizione necessaria per la tutela internazionale degli investimenti Laudonio Aldo, La pubblicità delle cessioni ex art. 58 t.u.b. e doveri integrativi gravanti sul cedente desumibili dai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contratti
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Indici dell’annata
Marcelli Roberto, Anatocismo nei conti bancari. Prime riflessioni sui principi fissatti dalle S.U. nella sentenza n. 24418/2010 Nigro Alessandro, Cancellazione ed estinzione delle società: prosegue la “storia infinita” Razzante Ranieri, Reimpiego e riciclaggio: due diverse fattispecie?
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Arbitrato ICSID Arbitrato ICSID – Giurisdizione – Attività di intermediazione finanziaria svolta senza autorizzazione – Insussistenza
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Cessione di rapporti giuridici ex art. 58 t.u.b. Cessione di rapporti giuridici ex art. 58 t.u.b. – Obbligo del cedente di tempestiva comunicazione della cessione ai clienti – Sussistenza
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FATTI E PROBLEMI DELLA PRATICA Bussoletti Mario – Nigro Alessandro, Requisiti di onorabilità e requisiti reputazionali degli esponenti e dei soci di società bancarie
DIBATTITI Finanziamenti bancari alle imprese in crisi fra prededuzione e subordinazione – Incontro di studio del 18 marzo 2011, con interventi di Lucia Calvosa, Salvatore Maccarone, Fabrizio Maimeri, Alessandro Nigro, Stefania Pacchi, Antonio Piras, Gaetano Presti, Maurizio Sciuto, Giuseppe Terranova, Daniele Vattermoli
RASSEGNE Sintesi di giurisprudenza Sintesi di giurisprudenza Sintesi di giurisprudenza Sintesi di giurisprudenza
(I trimestre 2010) (II trimestre 2010) (III trimestre 2010) (IV trimestre 2010)
INDICE ANALITICO DELLE DECISIONI Apertura di credito in conto corrente Apertura di credito in conto corrente – Capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori – Nullità – Ripetizione di indebito – Prescrizione – Decorrenza dal momento in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati Apertura di credito in conto corrente – Capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori – Nullità – Ricomputo degli interessi debitori senza capitalizzazione
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Indici dell’annata
Rapporti finanziari e assicurativi Rapporti finanziari e assicurativi – Impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita – Condotte di ricettazione o riciclaggio – Configurabilità del reato ex art. 648-ter c.p. – Realizzazione di tutte le condotte in un contesto unitario finalizzato all’impiego – Necessità – Fattispecie
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2010 Cass. pen., 4 febbraio 2010, n. 4800 Arbitro Bancario e Finanziario (Roma), 6 dicembre 2010 Cass., SS. UU., 9 aprile 2010, n. 8426 Arbitrato ICSID, 19 maggio 2010 Cass., SS. UU., 23 novembre 2010, n. 24418
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2011 Trib. Padova, 20 febbraio 2011
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Società Società – Liquidazione – Cancellazione dal registro delle imprese – Cancellazione d’ufficio della cancellazione – Effetti – Presunzione relativa di continuazione dell’attività sociale – Assoggettabilità a fallimento Società – Liquidazione – Cancellazione dal registro delle imprese – Sopravvenienze attive – Cancellazione d’ufficio della cancellazione – Possibilità – Fattispecie
INDICE CRONOLOGICO DELLE DECISIONI
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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni
LEGISLAZIONE
Le disposizioni correttive apportate al d.lgs. n. 141/2010 L’art. 1, co. 5, della l. 7 luglio 2009, n. 88 (comunitaria 2008) aveva previsto che, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di attuazione delle direttive comunitarie comprese negli elenchi allegati alla legge stessa, il Governo potesse adottare disposizioni integrative e correttive dei suddetti decreti legislativi. Nel caso qui in esame, si trattava di intervenire con disposizioni correttive sul d.lgs. n. 141 del 13 agosto 2010, recante attuazione della direttiva 2008/48/ CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo IV del t.u.b. in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi. Nella Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante tali disposizioni correttive (d’ora in poi anche “decreto correttivo”) si legge che tale intervento «ha carattere di mero adeguamento e coordinamento, e non reca innovazioni sostanziali»; ma, a parte le molte modificazioni dovute alla necessità di correggere meri errori materiali, taluni interventi, miranti a rendere meno complessa la transizione dalla vecchia alla nuova disciplina, appaiono importanti e meritano perciò la dovuta attenzione. Le modifiche al Titolo I. Fra le modifiche apportate al Titolo I del d.lgs. n. 141/2010, vi sono, anzitutto, quelle che si giustificano con la necessità di risolvere i problemi che erano emersi in relazione alla complessa tempistica di entrata in vigore della nuova normativa in tema di contratti di credito ai consumatori. Il d.lgs. n. 141/2010, infatti, aveva delineato un quadro articolato di tempi di entrata in vigore delle sue diverse parti. In particolare, l’art. 3 di detto decreto prevedeva, al co. 2, che le autorità creditizie dovessero adottare le disposizioni di attuazione del titolo I, relativo al credito ai consumatori, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del decreto (19 settembre 2010); il medesimo articolo, al co. 3, a sua volta, stabiliva che i finanziatori e gli intermediari del credito si dovessero adeguare alle nuove disposizioni entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle relative disposizioni di attuazione. L’art. 2 del decreto correttivo, al co. 1, riformula il citato co. 3 dell’art, 3 del d.lgs. n. 141/2010, chiarendo che, fino alla data di adeguamento (120+90 giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione), continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti, sia di rango primario che secondario.
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Legislazione
La stessa norma aggiunge, poi, un nuovo comma – il 3-bis – secondo cui, per assicurare il rispetto delle disposizioni del Titolo I e della relativa disciplina secondaria, scaduto il termine anzidetto, e fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione del Titolo VI-bis del t.u.b. (introdotto dal Titolo IV del d.lgs. n. 141/2010), relative agli agenti in attività finanziaria e ai mediatori creditizi, ovvero, se posteriore, fino alla costituzione dell’Organismo per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, la Banca d’Italia eserciterà nei confronti di tali soggetti (anche nei confronti dei mediatori persone fisiche) i poteri previsti dall’art. 128-decies (verifica del rispetto delle norme sul credito al consumo) del t.u.b.; inoltre, viene specificato che durante il suddetto periodo transitorio, le sanzioni previste dall’art. 144 del t.u.b., come modificato dal d.lgs. n. 141 si applicano anche ai mediatori persone fisiche. L’art. 122 del t.u.b., come novellato dall’art. 1 del d.lgs. n. 141/2010, nel definire l’ambito di applicazione delle nuove diposizioni sul credito ai consumatori, ha disposto, al co. 2, che alle aperture di credito regolate in conto corrente, qualora il rimborso delle somme prelevate debba avvenire su richiesta della banca ovvero entro tre mesi dal prelievo, non si applichino, oltre a varie disposizioni sul credito ai consumatori contenute nel t.u.b., anche il co. 5 del medesimo articolo, secondo cui i venditori di beni e servizi possono concludere contratti di credito nella sola forma della dilazione del prezzo con esclusione del pagamento degli interessi e di altri oneri. Il richiamo di quest’ultima norma, come è evidente, non aveva alcun senso ed è, quindi, stato eliminato. Inoltre, alle diposizioni che non si applicano alle aperture di credito in conto corrente, conformemente a quanto previsto dalla direttiva 2008/48/CE sul credito ai consumatori, ha aggiunto anche l’art. 125septies del t.u.b., sulla cessione del credito. Sempre per adeguarsi al disposto comunitario, viene poi corretto il testo dell’art. 124, co. 4, del t.u.b., nel senso che al consumatore, su sua richiesta, deve essere fornita gratuitamente copia della bozza del contratto di credito, salvo che il finanziatore o l’intermediario del credito, al momento della richiesta, “non” intenda procedere alla conclusione del contratto di credito con il consumatore. Le modifiche al Titolo II. Per ciò che riguarda le modifiche alle disposizioni del Titolo II del d.lgs. n. 141/2010, in materia di trasparenza, l’art. 3 del decreto correttivo interviene sui co. 1, 3 e 4 dell’art. 4, emendando gli artt. 120, 127 e 144 del t.u.b. Si tratta, perlopiù, di modificazioni formali che attengono alla rinumerazione dei commi secondo il criterio adottato dalla circolare della Presidenza del consiglio dei ministri del 2 maggio 2001, secondo cui i commi sostituiti mantengono la numerazione originaria ed i commi aggiunti prima del co. 1 di ciascun articolo sono contrassegnati con i numeri “o1” e seguenti, mentre i commi aggiunti dopo il co. 1 sono contrassegnati con il numero 1 seguito da bis, ter …, e cosi via. L’art. 144 del t.u.b. viene corretto in vari punti: - al co. 3-bis, lett. a), nel senso di estendere le sanzioni previste anche alle violazioni delle prescrizioni di forma dei contratti che il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio può dettare a norma dell’art. 117, co. 2, del t.u.b.;
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- al co. 5-bis, che, con riferimento agli agenti in attività finanziaria e ai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria diversi dalle persone fisiche, nonché agli altri intermediari del credito, prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5160 a euro 64.555 per l’inosservanza degli obblighi di cui all’art. 125-octies, che tuttavia è norma che riguarda gli sconfinamenti di conto corrente: il richiamo non pertinente a tale articolo, quindi, viene corretto con il richiamo agli specifici obblighi degli intermediari del credito (art. 125-novies, t.u.b.). Inoltre, il richiamo al co. 4 dell’art. 144 viene limitato soltanto al primo periodo della diposizione, che riguarda il caso di frazionamento artificioso dei contratti di credito per eludere la soglia minima prevista dalla normativa per l’applicazione della disciplina sul credito al consumo; - al co. 7, ove viene sostituito l’erroneo riferimento all’art. 128-septies, co. 2, con il richiamo all’art. 128-decies del t.u.b., in tema di trasparenza e correttezza degli agenti e mediatori nei rapporti con i clienti. L’art. 4 del decreto correttivo integra l’art. 6 del d.lgs. n. 141/2010 allo scopo di rendere esplicita l’abrogazione di disposizioni legislative confluite, per il tramite del Titolo II dello stesso decreto legislativo, nel Titolo VI del t.u.b., in tema di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Si tratta, in particolare, delle seguenti norme: a) l’art. 10 del d.l. n. 223/2006 (c.d. “decreto Bersani”), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248/2006, le cui disposizioni sono confluite negli artt. 118 e 120-bis del t.u.b.; b) gli artt. 7, 8, co. 1, 2, 3, 3-bis, 4 e 13, co. 8-sexies, 8-septies, 8-octies, 8-novies, 8-decies, 8-undecies, 8-quaterdecies del d.l. n. 7/2007 (c.d. “”decreto Bersani bis”), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 40/2007, le cui disposizioni sono confluite negli artt. 40-bis, 120-ter, 120-quater e 161, co. 7-bis, 7-ter e 7-quater, del t.u.b.; c) l’art. 2, co. 5-quater, del d.l. 29 n. 185/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2/2009, confluito negli artt. 120-quater, co. 7, e 144, co. 3-bis, lett. a), del t.u.b.; d) l’art. 2, co. 1 e 3, del d.l. n. 78/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102/2009, confluiti, rispettivamente, negli artt. 120 e 120-quater, co. 7, del t.u.b. L’art. 4, co. 2, del decreto correttivo sostituisce il co. 2 dell’art. 6 del d.lgs. n. 141/2010, che prevede che le disposizioni contenute nel Titolo II dello stesso decreto (vale a dire le disposizioni confluite nel Titolo VI del t.u.b. in tema di trasparenza, comprese quelle sul credito ai consumatori) entrino in vigore il centoventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione e che le disposizioni che a tale data risultano adottate dalle Autorità creditizie in base a norme modificate o sostituite dal Titolo II rimangano in vigore in quanto compatibili. In tal modo, disposizioni che cadono trasversalmente su tutta l’area della trasparenza bancaria e finanziaria (comprese quelle che riguardano particolarmente il settore del credito ai consumatori e le nuove sanzioni amministrative) vengono allineate sugli stessi termini temporali di entrata in vigore.
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Le modifiche al Titolo III. Per quanto riguarda le modifiche al Titolo III, in materia di revisione della disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, l’art. 5, co. 1, del decreto correttivo, intervenendo sull’art. 8, co. 2, del d.lgs. n. 141, inserisce nel testo dell’art. 133, co. 2, del t.u.b., la lett. a-bis, che attribuisce alla Banca d’Italia, analogamente a quanto previsto per gli altri casi di abuso di denominazione, il potere di definire le ipotesi in cui, per l’esistenza di controlli amministrativi o in base a elementi di fatto, la parola “finanziaria” può essere utilizzata da parte di soggetti diversi dagli intermediari di cui all’art. 106 del t.u.b. I ricorsi avverso i provvedimenti sanzionatori emessi dagli Organismi per la tenuta degli elenchi dei soggetti del microcredito, dei confidi e degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi sono stati attribuiti – dall’art. 145-bis, co. 2, del t.u.b., come riscritto dall’art. 8 del d.lgs. n. 141/2010 – alla giurisdizione esclusiva del tribunale amministrativo regionale ove ha sede l’Organismo competente; ma erroneamente, la disposizione citata prevedeva che detti ricorsi dovessero essere depositati presso la Corte d’appello. L’errore viene corretto prevedendo che il deposito avvenga presso il TAR competente. Quanto, poi, agli obblighi informativi delle società per la cartolarizzazione, di cui alla l. n. 130/1999, dette società, che, in base al nuovo art. 3, co. 3, della legge medesima, come riscritto dall’art. 9 del d.lgs. n. 141/2010, si devono costituire in forma di società di capitali e, in virtù dell’aggiunta di cui all’art. 9 del decreto correttivo, pur non essendo tenute all’iscrizione nell’elenco dei soggetti operanti nel settore finanziario, sono tuttavia obbligate alle segnalazioni statistiche; inoltre, la Banca d’Italia, in base alle deliberazioni del Cicr, potrà imporre a dette società obblighi di segnalazione ulteriori relativi ai crediti cartolarizzati al fine di censire la posizione debitoria dei soggetti cui i crediti si riferiscono. Con l’aggiunta del co. 1-bis all’art. 7-ter della legge n. 130/1999, infine, ai cessionari di covered bond si applicano, nei limiti stabiliti con regolamento del ministro dell’economia e delle finanze, le disposizioni previste per gli intermediari finanziari dal Titolo V del t.u.b. L’art. 7 del decreto correttivo interviene sull’art. 10 del d.lgs. n. 141/2010, che chiude il Titolo III, in materia di revisione della disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, recando disposizioni transitorie e finali. L’intervento è volto a chiarire il regime applicabile dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 141/2010 fino al momento in cui entrerà in vigore la nuova disciplina. In particolare, i co. 1, 2 e 3 sono integralmente sostituiti: ora gli intermediari finanziari e i confidi che, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 141, risultano iscritti nell’elenco generale di cui all’art. 106, nell’elenco speciale di cui all’art. 107 o nella sezione di cui all’art. 155, co. 4, del t.u.b., vigenti alla data del 4 settembre 2010, nonché le società fiduciarie previste dall’art. 199, co. 2, del t.u.f. possono continuare a operare per un periodo di 12 mesi successivi al completamento dell’emanazione delle norme secondarie di attuazione e, per gli elenchi, alla costituzione degli Organismi previsti dalla nuova disciplina, se posteriore. Fino alla scadenza di tale periodo e comunque fino al completamento degli adempimenti previsti al co. 4 dell’art. 10, la Banca d’Italia continua a tenere
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l’elenco generale, l’elenco speciale e le sezioni separate previste dalle disposizioni del t.u.b. vigente alla data del 4 settembre 2010 (data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del d.lgs. n. 141/2010). I co. 4, 5 e 6, che correggono i co. 8 e 9 del dell’art. 10 del d.lgs. n. 141, precisano che nel periodo transitorio continuano ad applicarsi le disposizioni primarie e secondarie previgenti, eccezion fatta per il regime delle riserve (limitato alla sola attività di concessione di finanziamenti) che si applica fin dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo. Le modifiche al Titolo IV. Con riguardo alle modifiche al Titolo IV del d.lgs. n. 141/2010, sulla disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, la modifica apportata all’art. 128-quater, co. 6, del t.u.b., chiarisce che con riferimento agli agenti che svolgono soltanto servizi di pagamento, in particolare, l’attività di money transfer, non trovano applicazione il requisito dello svolgimento dell’attività in via esclusiva e l’obbligo di monomandato. Con la modifica introdotta all’art. 128-septies – che aggiunge il co. 1-bis (secondo cui la permanenza nell’elenco degli agenti in attività finanziaria è subordinata, oltre che alla sussistenza dei requisiti indicati al co. 1, all’esercizio effettivo dell’attività e all’aggiornamento professionale dell’agente in attività finanziaria), è estesa agli agenti analoga regola già prevista per i mediatori creditizi dall’art. 128-quinquies, co. 2, del t.u.b. Fra le funzioni dell’Organismo competente per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (di cui si parla nell’art. 21 del d.lgs. n. 141/2010), l’art. 11 del decreto correttivo precisa che spettano a detto Organismo l’accertamento della sussistenza dei requisiti di professionalità ai fini dell’iscrizione negli elenchi e la cura dell’aggiornamento professionale degli iscritti, sia degli agenti che degli esponenti aziendali delle società di mediazione (nuova lett. g), nonché la determinazione degli standard dei corsi di formazione che le società di mediazione e gli agenti in attività finanziaria sono tenuti a svolgere nei confronti dei propri dipendenti, collaboratori o lavoratori autonomi (nuova lett. h). Fra le informazioni che devono essere inserite nell’elenco degli mediatori creditizi, di cui all’art. 23, co. 4, del d.lgs. n. 141/2010, è aggiunta l’indicazione dell’indirizzo della casella di posta elettronica certificata. L’art. 13 del decreto correttivo, intervenendo con il co. 01 sull’art. 26 del d.lgs. n. 141/2010, fissa, al massimo, al 31 dicembre 2011 il termine entro cui le Autorità competenti dovranno provvedere all’emanazione delle disposizioni attuative del Titolo VI-bis del t.u.b. (in cui è rifluita parte della disciplina degli agenti e mediatori creditizi) e del titolo IV del d.lgs. n. 141, nonché alla costituzione dell’Organismo. Sempre l’art. 13 del correttivo chiarisce, modificando i co. 1 e 3 del dell’art. 26 del d.lgs. n. 141, che: 1) sono consentite nuove iscrizioni ai vecchi albi ed elenchi assoggettate alla disciplina previgente per un periodo superiore ai 60 giorni e che tale disciplina riguarda anche i mediatori creditizi che svolgono attività di recupero crediti; 2) l’obbligo di richiedere l’iscrizione nei nuovi elenchi, nei
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6 mesi successivi alla costituzione dell’Organismo, si applica anche a coloro che sono iscritti successivamente alla data di entrata in vigore. Infine, le società di servizio promosse dalle associazioni imprenditoriali che, in modo strumentale rispetto all’attività di rappresentanza, operano nell’ambito dei servizi finanziari ai soci dovranno adeguare le loro strutture alle norme contenute nel Titolo VI del d.lgs. n. 141 entro il 31 dicembre 2012, anziché il 31 dicembre 2011. Con l’aggiunta del co. 1-bis all’art. 27 del d.lgs. n. 141/2010, si vuole assicurare che fino all’iscrizione nel nuovo albo o nei nuovi elenchi previsti dai Titoli III e IV del decreto legislativo ai soggetti interessati continuano ad applicarsi le disposizioni antiriciclaggio del d.lgs. n. 231/2007, vigenti alla data del 4 settembre 2010. L’art. 15 del decreto correttivo, modificando l’art. 28 del d.lgs. n. 141/2010, chiarisce che, fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione del Titolo VI-bis del t.u.b. e del Titolo IV dello stesso d.lgs. n. 141, ovvero se posteriore, fino alla costituzione dell’Organismo per la gestione degli elenchi degli agenti e dei mediatori, continuano ad applicarsi le seguenti disposizioni e le relative norme di attuazione: a) l’art. 3 del d.lgs. n. 374/1999 e il d.m. (del ministro dell’economia e delle finanze) 13 dicembre 2001, n. 485; b) l’art. 16 della l. 7 marzo 1996, n. 108, ad eccezione del co. 9, e il d.p.r. 28 luglio 2000, n. 287; c) l’art. 5, co. 2 e 3, del d.lgs. n. 153/1997, per la parte in cui si riferiscono agli agenti in attività finanziaria; d) l’art. 17 della l. n. 262/2005. Con le altre modifiche dell’art. 28 si chiarisce i tempi di entrata a regime della nuova disciplina e le disposizioni applicabili agli agenti e mediatori nella fase transitoria; in particolare: a) agli agenti e mediatori iscritti ai sensi della normativa previgente continua ad applicarsi quest’ultima, sia essa di rango primario o secondario, anche nei 6 mesi successivi alla data di costituzione dell’Organismo (termine entro il quale essi devono chiedere l’iscrizione nei nuovi albi) ovvero fino alla data di iscrizione (o di diniego della domanda di iscrizione) nei nuovi albi; b) gli agenti e mediatori rimangono assoggettati alle sanzioni amministrative previgenti fino alla data in cui entra in vigore la nuova disciplina, salvo che per quanto concerne il comparto del credito ai consumatori, per il quale il nuovo art. 144 del t.u.b., con le modifiche apportate dall’art. 3, co. 4, del decreto correttivo, è già applicabile. Con un’ultima modifica dell’art. 28, infine, si individuano le disposizioni introdotte nel t.u.b. dal d.lgs. n. 141/2010 che si applicano a decorrere dal 60° giorno dalla sua entrata in vigore (praticamente, da subito). Si tratta delle disposizioni su: a) la responsabilità, sia degli intermediari sugli agenti sia degli agenti e mediatori sui propri dipendenti; b) l’eccezione dalla riserva per i tabaccai e giornalai;
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c) l’eccezione dalla riserva per i mediatori; d) i rapporti con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato; e) l’abrogazione (disposta dall’art. 28, co. 4, del d.lgs. n. 141/2010) del co. 3 dell’art. 114-septies del t.u.b. (secondo cui per la prestazione dei servizi di pagamento in Italia gli istituti di pagamento potevano avvalersi soltanto degli agenti in attività finanziaria, nonché degli altri soggetti autorizzati alla prestazione di servizi di pagamento). Si chiarisce, infine, che le banche e Poste Italiane Spa possono conferire agli agenti iscritti mandato diretto per le attività indicate all’art. 128-quater, co. 3, del t.u.b. (attività di promozione e collocamento di contratti relativi a prodotti bancari ed a prodotti di Bancoposta). [Francesco Mazzini]
D.lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 - Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, recante attuazione della direttiva 2008/48/ CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo IV del testo unico bancario (decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli artt. 76 e 87 della Costituzione; Vista la legge 17 agosto 2005, n. 166, e il relativo regolamento di attuazione, adottato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 aprile 2007, n. 112; Vista la direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE; Vista la legge 7 luglio 2009, n. 88, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2008, ed in particolare gli art. 1, co. 5, e 33; Visto il decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, recante attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo IV del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 ottobre 2010; Acquisiti i pareri delle competenti Co.ssioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 13 dicembre 2010;
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Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con i Ministri degli Affari Esteri, della Giustizia e dello Sviluppo Economico;
Emana il seguente decreto legislativo: Art. 1 Modifiche all’art. 1 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 1, co. 1, capoverso art. 122, co. 2, le parole: «il co. 5 e» sono soppresse e sono aggiunte, in fine, le seguenti: «125-septies». 2. All’art. 1, co. 1, capoverso art. 123, co. I, le parole: «parte I» sono sostituite dalle seguenti: «parte II». 3. All’art. 1, co. 1, capoverso art. 124, co. 4, le parole: «intenda procedere» sono sostituite dalle seguenti: «non intenda procedere». 4. All’art. 1, co. 1, capoverso art. 125-octies, co. 3, le parole: «presente comma» sono sostituite dalle seguenti: «comma 2». 5. All’art. 1, co. 1, capoverso art. 125-novies, co. 1, le parole: «Gli intermediari del credito indicano» sono sostituite dalle seguenti: «L’intermediario del credito indica». 6. All’art. 1, co. 1, capoverso art. 126, la parola: «contraria» è sostituita dalla seguente: «contrarie». Art. 2 Modifiche all’art. 3 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 3, il co. 3 è sostituito dal seguente: «3. I finanziatori e gli intermediari del credito si adeguano alle disposizioni del presente Titolo entro novanta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni indicate al co. 2; fino alla scadenza di tale termine continuano ad applicarsi, nei rapporti con i finanziatori e gli intermediari del credito, le pertinenti disposizioni del Titolo VI e l’art. 144 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigenti alla data del 4 settembre 2010, e le relative disposizioni di attuazione emanate dalle Autorità creditizie». 2. All’art. 3 è aggiunto il seguente co.: «3-bis. Per assicurare il rispetto delle disposizioni del presente Titolo e della relativa disciplina attuativa, scaduto il termine indicato al co. precedente e fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione del Titolo VI-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e del titolo IV del presente decreto, ovvero, se posteriore, fino alla costituzione dell’Organismo, la Banca d’Italia esercita nei confronti dei mediatori creditizi, anche persone fisiche, e
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degli agenti in attività finanziaria i poteri previsti dall’art. 128-decies del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385; le sanzioni previste dall’art. 144 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto legislativo si applicano anche ai mediatori persone fisiche». Art. 3 Modifiche all’art. 4 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 4, co. 2, capoverso art. 117, i co. 5, 6 e 7 sono rinumerati, rispettivamente, come co. 6, 7 e 8. Conseguentemente, al co. 6, rinumerato come co. 7, le parole: «nullità indicate nel comma 5» sono sostituite dalle seguenti: «nullità indicate nel comma 6»; il co. 5 è soppresso. 2. All’art. 4, capoverso art. 119, co. 4, ultimo periodo, la parola: «addebitate» è sostituita dalla seguente: «addebitati». 3. All’art. 4, co. 2, capoverso art. 120, il co. 1 è rinumerato come co. 01, il co. 1-bis come co. 1 e il co. 1-ter come co. 1-bis. 4. All’art. 4, co. 3, capoverso art. 127, il co. 1 è rinumerato come co. 01, il co. 1-bis come co. 02, il co. 2 come co. 1, il co. 3 come co. 1-bis, il co. 4 come co. 2 e il co. 5 come co. 3. 5. All’art. 4, co. 4, capoverso art. 144, co. 1, dopo le parole: «110 in relazione agli articoli 26 commi 2 e 3» la parola: «e» è soppressa. 6. All’art. 4, co. 4, capoverso art. 144, co. 3-bis, lettera a): a) le parole: «117, commi 1, 4 e 7» sono sostituite dalle seguenti: «117, commi 1, 2 e 4»; alla lettera b), le parole «117, comma 7» sono sostituite dalle seguenti: «117, comma 8»; b) le parole: «125-bis, commi 2 e 3» sono sostituite dalle seguenti: «125-bis, commi 1, 2, 3 e 4, 125-octies, commi 2 e 3». 7. All’art. 4, co. 4, capoverso art. 144, co. 5-bis, la parola: «octies» è sostituita dalla seguente: «novies»; dopo le parole: «comma 4» sono aggiunte, in fine, le seguenti: «primo periodo». 8. All’art. 4. capoverso art. 144, co. 7, le parole: «128-septies, comma 2» sono sostituite dalle seguenti: «128-decies, comma 2». Art. 4 Modifiche all’art. 6 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 6, dopo il co. 1, sono inseriti i seguenti: «1-bis. Sono abrogati: a) l’art. 10 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248; b) gli artt. 7, 8, co. 1, 2, 3, 3-bis e 4, e 13, co. 8-sexies, 8-septies, 8-octies, 8-novies, 8-decies, 8-undecies, 8-quaterdecies del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40;
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c) l’art. 2, co. 5-quater, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2; d) l’art. 2, co. 1 e 3, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102. 1-ter. Al decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’art. 8, co. 4-bis, le parole: “al comma 2” sono sostituite dalle seguenti: “ai commi 2 e 3, ultimo periodo, dell’articolo 120-quater del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni”; b) all’art. 8-bis, co. 1, le parole: “7, 8 e 13, co. da 8-sexies a 8-terdecies” sono soppresse e dopo le parole: “presente decreto” sono aggiunte, in fine, le seguenti: “e agli artt. 40-bis, 120-ter e 120-quater del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni”. 1-quater. All’art. 2, co. 5-quinquies, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, le parole: “ai sensi del co. 5-quater” sono sostituite dalle seguenti: “per le violazioni dell’art. 120-quater del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni”». 2. All’art. 6, il co. 2 è sostituito dal seguente: «2. Le disposizioni contenute nel titolo II del presente decreto entrano in vigore il centoventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione. Le disposizioni che a tale data risultano adottate dalle Autorità creditizie in base a norme modificate o sostituite dal titolo II rimangono in vigore in quanto compatibili». Art. 5 Modifiche all’art. 8 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 8, co. 3, capoverso art. 133, dopo la lettera a) è aggiunta la seguente: «a-bis) il co. 2 è sostituito dal seguente: “2. La Banca d’Italia determina in via generale le ipotesi in cui, per l’esistenza di controlli amministrativi o in base a elementi di fatto, le parole o le locuzioni indicate nei commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-quater possono essere utilizzate da soggetti diversi dalle banche, dagli istituti di moneta elettronica, dagli istituti di pagamento e dagli intermediari finanziari”». 2. All’art. 8, co. 8, capoverso art. 140, sostituire le parole: «da € 5.000 a € 150.000» con le parole: «da euro 5.000 a euro 150.000». 3. All’art. 8, co. 11, capoverso art. 145-bis, co. 2, secondo periodo, le parole: «la cancelleria della Corte d’appello» sono sostituite dalle seguenti: «il Tribunale amministrativo regionale competente». 4. All’art. 8, co. 11, capoverso art. 145-bis, co. 3, dopo la parola: «sospensione», la parola: «della» è soppressa.
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Art. 6 Modifiche all’art. 9 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 9, il co. 3 è sostituito dal seguente: «3. L’articolo 3, comma 3, della legge 30 aprile 1999, n. 130, è sostituito dal seguente: “3. Le società di cui al comma 1 si costituiscono in forma di società di capitali. Fermi restando gli obblighi di segnalazione previsti per finalità statistiche, la Banca d’Italia, in base alle deliberazioni del CICR, può imporre alle società di cui al comma 1 obblighi di segnalazione ulteriori relativi ai crediti cartolarizzati al fine di censire la posizione debitoria dei soggetti cui i crediti si riferiscono”. All’art. 7-ter della medesima legge è aggiunto, in fine, il seguente co.: “1-bis. Ai soggetti cessionari di cui all’articolo 7-bis si applicano, nei limiti stabiliti dal Ministro dell’economia e delle finanze con regolamento emanato, sentita la Banca d’Italia, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, le disposizioni previste per gli intermediari finanziari dal Titolo V° del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385”». 2. All’art. 9, co. 8, capoverso art. 199, co. 1, dopo le parole: «23 luglio», la parola: «1966» è sostituita dalla seguente: «1996». Art. 7 Modifiche all’art. 10 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 10 i co. 1, 2 e 3 sono sostituiti dai seguenti: «1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 37 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, per le attività diverse dalla prestazione di servizi di pagamento gli intermediari finanziari e i confidi che, alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, risultano iscritti nell’elenco generale di cui all’articolo 106, nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 o nella sezione di cui all’articolo 155, comma 4, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigenti alla data del 4 settembre 2010, nonché le società fiduciarie previste dall’articolo 199, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, come modificato dal presente decreto legislativo possono continuare a operare per un periodo di 12 mesi successivi al completamento degli adempimenti indicati al comma 3. 2. Fino alla scadenza del periodo indicato al comma 1 e comunque fino al completamento degli adempimenti di cui al comma 4, la Banca d’Italia continua a tenere l’elenco generale, l’elenco speciale e le sezioni separate previste dalle disposizioni del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigente alla data del 4 settembre 2010; fino al completamento degli adempimenti indicati al co. 3 possono essere iscritti nuovi soggetti, ai quali si applicano i commi 1, 4 e 8. 3. L’iscrizione nell’albo e negli elenchi, ivi comprese le relative sezioni separate, previsti dalla nuova disciplina introdotta con il presente Titolo III è subordinata all’entrata in vigore delle disposizioni attuative nonché, per gli elenchi, alla costituzione degli Organismi ivi previsti, se posteriore. Le Autorità competenti provvedono all’emanazione delle disposizioni attuative e alla costituzione degli Organismi al più tardi entro il 31 dicembre 2011».
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2. All’art. 10, co. 4, le lettere b) e c) sono sostituite dalle seguenti: «b) entro tre mesi dall’entrata in vigore delle disposizioni attuative del presente Titolo III, gli intermediari iscritti nell’elenco di cui all’articolo 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigente alla data del 4 settembre 2010 o inclusi nella vigilanza consolidata bancaria, che alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo esercitano l’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, presentano istanza di autorizzazione ai fini dell’iscrizione all’albo di cui all’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto. L’istanza è corredata della sola documentazione attestante il rispetto delle previsioni di cui all’articolo 107, comma 1, lettere c), d), e) ed f), del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto legislativo; c) almeno sei mesi prima della scadenza del termine indicato al co. 1, gli intermediari iscritti nell’elenco di cui all’articolo 106 o in quello di cui all’articolo 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigenti alla data del 4 settembre 2010, che esercitano attività di intermediazione in cambi, chiedono alla Banca d’Italia la cancellazione dagli elenchi, attestando di non esercitare attività riservate ai sensi di legge. Agli intermediari iscritti nell’elenco di cui all’articolo 106 o in quello di cui all’articolo 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigenti alla data del 4 settembre 2010, che esercitano attività di intermediazione in cambi rimane in ogni caso preclusa l’attività rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, come modificato dal presente decreto;». 3. All’art. 10, il co. 7 è sostituito dal seguente: «7. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo sono soppressi gli elenchi previsti dagli articoli 113 e 155, comma 5 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigenti alla data del 4 settembre 2010 e cancellati i soggetti ivi iscritti.». 4. All’art. 10, il co. 8 è sostituito dal seguente: «8. Fino alla data di entrata di vigore delle disposizioni di attuazione del presente Titolo III, e, per i soggetti di cui ai commi 1 e 2, fino al completamento degli adempimenti di cui al comma 4, continuano ad applicarsi, salvo quanto previsto dai Titoli I e II del presente decreto legislativo, le norme del decreto legislativo 1°settembre 1993, n. 385 abrogate o sostituite dal presente decreto legislativo e le relative disposizioni di attuazione, ivi compresi gli articoli 132, commi 1, 133, 139, 140 e 144, commi 1 e 2, e ad eccezione degli articoli 113, 132, commi 2, 155, commi 2 e 5; continuano altresì ad applicarsi le norme sostituite dall’articolo 9, commi 1, 2, 4, 5 e 6. L’articolo 3, comma 3 della legge 30 aprile 1999, n. 130, continua ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni delle Autorità creditizie volte ad assicurare la continuità delle segnalazioni relative ai crediti cartolarizzati; le Autorità vi provvedono entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Ai soggetti cessionari di cui all’articolo 7-bis della legge 30 aprile 1999, n. 130, l’articolo 3, comma 3, della medesima legge continua ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni attuative indicate all’articolo 9, comma 3, del presente decreto.».
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5. All’art. 10, dopo il co. 8, è inserito il seguente: «8-bis. Fino alla data di entrata di vigore delle disposizioni di attuazione del presente Titolo III, l’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigente alla data del 4 settembre 2010, continua ad applicarsi, ad eccezione del comma 7, limitatamente all’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. In attesa delle disposizioni di attuazione di cui all’articolo 106, comma 3, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto, non configura esercizio nei confronti del pubblico l’attività di rilascio di garanzie quando il garante e l’obbligato garantito facciano parte del medesimo gruppo. Per gruppo si intendono le società controllanti e controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile nonché le società controllate dalla stessa controllante.». 6. All’Art. 10, il co. 9 è sostituito dal seguente: «9. A decorrere dall’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione del presente Titolo III tutte le disposizioni legislative che fanno riferimento agli intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli articoli 106 o 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigenti alla data del 4 settembre 2010, si intendono riferite agli intermediari finanziari iscritti nell’albo di cui all’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto. Le disposizioni legislative che fanno riferimento ai confidi iscritti nella sezione separata dell’elenco di cui all’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigente alla data del 4 settembre 2010, si intendono riferite ai confidi iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 112, comma 1 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto; quelle che fanno riferimento ai confidi iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigente alla data del 4 settembre 2010, si intendono riferite ai confidi iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto. Ai soggetti abilitati ai sensi dell’articolo 111 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto, si applica l’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108.». Art. 8 Modifiche all’art. 11 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 11, co. 1, capoverso art. 128-quater, co. 6, l’ultimo periodo è sostituito dal seguente: «Ai soggetti iscritti nella sezione speciale non si applicano il secondo periodo del comma 1 e il comma 4.». 2. All’art. 11, co. 1, capoverso art. 128-quater, co. 8, primo periodo, sono apportate le seguenti modifiche: le parole: «all’art. 128-octies» sono sostituite dalle seguenti: «all’art. 128-undecies». 3. All’art. 11, co. 1, capoverso art. 128-quater, co. 8, secondo periodo, le parole: «all’esercizio» sono sostituite dalle seguenti: «per l’esercizio». 4. All’art. 11, co. 1, capoverso art. 128-quater, co. 8, secondo periodo, la parola: «realizzati» è sostituita dalla seguente: «realizzato».
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5. All’art. 11, co. 1, capoverso art. 128-quinquies, co. 1, lettera a), dopo la parola: «disciplina» le parole: «del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina» sono soppresse. 6. All’art. 11, co. 1, capoverso art. 128-sexies, co. 4, la parola: «alcune» è sostituita dalla seguente: «alcuna». 7. All’art. 11, co. 1, capoverso 128-septies, è aggiunto, infine, il seguente co.: «1-bis. La permanenza nell’elenco è subordinata, in aggiunta ai requisiti indicati al co. 1, all’esercizio effettivo dell’attività e all’aggiornamento professionale.». 8. All’art. 11, co. 1, capoverso art. 128-duodecies, co. 6, sostituire le parole: «del legale rappresentante» con le parole: «al legale rappresentante» e, prima della parola: «dipendenti», sostituire la parola: «dei» con la parola: «ai». 9. All’art. 11, co. 1, capoverso art. 128-quaterdecies, co. 1, dopo la parola: «gestione», è inserita la seguente: «dei». Art. 9 Modifiche all’art. 16 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 16, co. 2, le parole: «Ai sensi degli articoli 128-quater, comma 2, e 128-septies, comma 2,» sono sostituite dalle seguenti «Ai sensi dell’articolo 128septies comma 1». Art. 10 Modifiche all’art. 19 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 19, co. 2, le parole: « , secondo procedure definite dallo Statuto,» sono soppresse. 2. All’art. 19, co. 2, dopo le parole: «sono scelti», sopprimere la virgola. Art. 11 Modifiche all’art. 21 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 21, co. 1, sono apportate le seguenti modifiche: a) la lettera g) è sostituita dalla seguente: «g) accerta la sussistenza dei requisiti di professionalità ai fini dell’iscrizione nell’elenco degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi e cura l’aggiornamento professionale degli iscritti;»; b) la lettera h) è sostituita dalla seguente: «h) stabilisce gli standard dei corsi di formazione che le società di mediazione e gli agenti in attività finanziaria sono tenuti a svolgere nei confronti dei propri dipendenti, collaboratori o lavoratori autonomi;».
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Art. 12 Modifiche all’art. 23 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 23, co. 3, lettera b), numero 7), le parole: «il mediatore creditizio si avvale svolgimento della propria attività» sono sostituite dalle seguenti: «l’agente in attività finanziaria si avvale nello svolgimento della propria attività». 2. All’art. 23, co. 4, lettera f), prima della parola: «svolgimento», sono inserite le seguenti: «nello». 3. All’art. 23, co. 4, dopo la lettera f) è aggiunta la seguente: «f-bis) indirizzo della casella di posta elettronica certificata.». 4. L’art. 23, co. 6, è sostituito dal seguente: «6. Gli iscritti negli elenchi comunicano entro dieci giorni all’Organismo ogni variazione degli elementi di cui ai commi 3 e 4.». Art. 13 Modifiche all’art. 26 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n.141 1. All’art. 26, co. 1, è anteposto il seguente: «01. Le Autorità competenti provvedono all’emanazione delle disposizioni attuative del Titolo VI-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e del titolo IV del presente decreto, nonché alla costituzione dell’Organismo al più tardi entro il 31 dicembre 2011.». 2. All’art. 26, co. 1: a) le parole: «I soggetti già iscritti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, nell’albo dei mediatori creditizi previsto dall’art. 16 della legge 7 marzo 1996, n. 108» sono sostituite dalle seguenti: «I soggetti iscritti, alla data di entrata in vigore del presente decreto ovvero ai sensi del comma 3, nell’albo dei mediatori creditizi ai sensi dell’articolo 16 della legge 7 marzo 1996, n. 108, o ai sensi dell’articolo 17 della legge 28 dicembre 2005, n. 262»; b) le parole: «128-quinquies e 128-septies.» sono sostituite dalle seguenti: «128-quinquies, 128-septies e 128-quaterdecies.». 3. All’art. 26, il co. 3, è sostituito dal seguente: «3. Fino al 30 giugno 2011 o, se precedente, fino alla data di costituzione dell’Organismo, gli agenti in attività finanziaria e i mediatori creditizi, ivi compresi quelli previsti dall’articolo 17 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, possono continuare ad iscriversi nei rispettivi elenchi e albi, in base alle disposizioni vigenti alla data del 4 settembre 2010.». 4. All’art. 26, co. 6, le parole: «31 dicembre 2011» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2012». Art. 14 Modifiche all’art. 27 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 27, co. 1, lettera b), la parola: «19998» è sostituita dalla seguente: «1998».
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2. All’art. 27, co. 1, lettera e), le parole: « comma 7» sono sostituite dalle seguenti: «commi 6 e 7». 3. All’art. 27 è aggiunto, in fine, il seguente co.: «1-bis. Fino all’iscrizione nell’albo o negli elenchi previsti dai titoli III e IV del presente decreto ai soggetti iscritti negli elenchi di cui all’articolo 10, commi 1 e 2, e all’articolo 26, comma 1, continuano ad applicarsi le disposizioni del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, vigenti alla data del 4 settembre 2010». Art. 15 Modifiche all’art. 28 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. All’art. 28, co. 1, alinea, è sostituito dal seguente: «1. Fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione del Titolo VI-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e del titolo IV del presente decreto, ovvero se posteriore, fino alla costituzione dell’Organismo, continuano ad applicarsi le seguenti disposizioni e le relative norme di attuazione:». 2. All’art. 28 dopo il co. 1 sono inseriti i seguenti: «1-bis. Ai soggetti indicati all’articolo 26, commi 1 e 3, le disposizioni di cui al comma 1 e le relative norme di attuazione continuano ad applicarsi anche nei 6 mesi successivi alla costituzione dell’Organismo ovvero, nel caso abbiano presentato istanza nei termini indicati dall’articolo 26, comma 1, fino alla data di iscrizione nei nuovi elenchi o di rigetto della domanda. 1-ter. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, comma 3-bis, del presente decreto, fino alle date indicate ai commi 1 e 1-bis continuano ad applicarsi, nei casi previsti dalle disposizioni richiamate dal medesimo comma 1, le sanzioni amministrative previste dall’articolo 144 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigente alla data del 4 settembre 2010.». 3. All’art. 28, il co. 5 è sostituito dal seguente: «5. Fermo restando quanto previsto ai comma 1 e 1-bis e 1-ter, a decorrere dal sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo si applicano gli articoli 128-quater, comma 5, e 128-novies, comma 4, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente decreto, nonché l’articolo 12, comma 2, l’articolo 13 e l’articolo 28, comma 3 e 4, del presente decreto. Le banche e Poste Italiane spa possono conferire agli agenti iscritti mandato diretto per le attività indicate all’articolo 128-quater, comma 3». Art. 16 Ulteriori modifiche al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 1. Al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, sono apportate, altresì, le seguenti modificazioni: a) nelle premesse al decreto, nel quinto capoverso, la parola: «11» è sostituita dalla seguente: «10»;
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b) all’art. 7, capoverso art. 111, co. 3, dopo le parole: «ausiliari di bilancio familiare», la parola: «e» è soppressa ed è sostituita dalla seguente: « , ». 2. All’art. 14, co. 1, lettera a), prima della parola: «corso», è inserita la seguente: «un». 3. All’art. 14, co. 1, lettera b), la parola: «ad» è sostituita dalla seguente: «di». 4. All’art. 14, co. 1, lettera c), la parola: «indetta» è sostituita dalla seguente: «indetto». 5. All’art. 16, co. 1, le parole: «128-quater, comma 2, e 128-quinquies, comma 2» sono sostituite dalle seguenti: «128-quinquies, comma 1, e 128-septies». 6. All’art. 17, co. 2, dopo la parola: «promozione», sono inserite le seguenti: «per conto». 7. All’art. 24, co. 4, dopo la parola: «finanziaria», sono inserite le seguenti: «e dei mediatori creditizi». 8. Le disposizioni modificate, introdotte o sostituite dal presente decreto si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore dei corrispondenti articoli del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141. I termini di conclusione dei procedimenti amministrativi, stabiliti da norme di legge o di regolamento, pendenti alla data del 19 settembre 2010, sono prorogati fino a 120 giorni successivi alla data di entrata in vigore del presente decreto. 9. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 14 dicembre 2010
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La nuova disciplina degli intermediari finanziari D.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, Titolo V, recante la disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, come modificato dal decreto legislativo 14 dicembre 2010, n. 218, e dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141. TITOLO V SOGGETTI OPERANTI NEL SETTORE FINANZIARIO Art. 106 Albo degli intermediari finanziari 1. L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia. 2. Oltre alle attività di cui al co. 1 gli intermediari finanziari possono prestare servizi di pagamento, a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’art. 114-novies, co. 4, e iscritti nel relativo albo nonché prestare servizi di investimento se autorizzati ai sensi dell’art. 18, co. 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Gli intermediari finanziari possono altresì esercitare le altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge nonché attività connesse o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia. 3. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia, specifica il contenuto delle attività indicate nel co. 1, nonché in quali circostanze ricorra l’esercizio nei confronti del pubblico. Art. 107 Autorizzazione 1. La Banca d’Italia autorizza gli intermediari finanziari ad esercitare la propria attività al ricorrere delle seguenti condizioni:
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a) sia adottata la forma di società di capitali; b) la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica; c) il capitale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d’Italia anche in relazione al tipo di operatività; d) venga presentato un programma concernente l’attività iniziale e la struttura organizzativa, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto; e) il possesso da parte dei titolari di partecipazioni di cui all’art. 19 e degli esponenti aziendali dei requisiti previsti ai sensi degli artt. 25 e 26; f) non sussistano, tra gli intermediari finanziari o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri soggetti, stretti legami che ostacolino l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza; g) l’oggetto sociale sia limitato alle sole attività di cui ai co. 1 e 2 dell’art. 106. 2. La Banca d’Italia nega l’autorizzazione quando dalla verifica delle condizioni indicate nel co. 1 non risulti garantita la sana e prudente gestione. 3. La Banca d’Italia disciplina la procedura di autorizzazione, i casi di revoca, nonché di decadenza, quando l’intermediario autorizzato non abbia iniziato l’esercizio dell’attività, e detta disposizioni attuative del presente articolo. Art. 108 Vigilanza 1. La Banca d’Italia emana disposizioni di carattere generale aventi a oggetto l’adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni, l’organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni, nonché l’informativa da rendere al pubblico sulle predette materie. La Banca d’Italia può adottare, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singoli intermediari per le materie in precedenza indicate. Con riferimento a determinati tipi di attività la Banca d’Italia può inoltre dettare disposizioni volte ad assicurarne il regolare esercizio. 2. Le disposizioni emanate ai sensi del co. 1 prevedono che gli intermediari finanziari possano utilizzare: a) le valutazioni del rischio di credito rilasciate da società o enti esterni previsti dall’art. 53, co. 2-bis, lettera a); b) sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali, previa autorizzazione della Banca d’Italia. 3. La Banca d’Italia può: a) convocare gli amministratori, i sindaci e i dirigenti degli intermediari finanziari per esaminare la situazione degli stessi; b) ordinare la convocazione degli organi collegiali degli intermediari finanziari, fissandone l’ordine del giorno, e proporre l’assunzione di determinate decisioni; c) procedere direttamente alla convocazione degli organi collegiali degli intermediari finanziari quando gli organi competenti non abbiano ottemperato a quanto previsto dalla lettera b);
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d) adottare per le materie indicate nel co. 1, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singoli intermediari finanziari, riguardanti anche la restrizione delle attività o della struttura territoriale, nonché il divieto di effettuare determinate operazioni, anche di natura societaria, e di distribuire utili o altri elementi del patrimonio. 4. Gli intermediari finanziari inviano alla Banca d’Italia, con le modalità e nei termini da essa stabiliti, le segnalazioni periodiche nonché ogni altro dato e documento richiesto. Essi trasmettono anche i bilanci con le modalità e nei termini stabiliti dalla Banca d’Italia. 5. La Banca d’Italia può effettuare ispezioni presso gli intermediari finanziari e richiedere a essi l’esibizione di documenti e gli atti che ritenga necessari. 6. Nell’esercizio dei poteri di cui al presente articolo la Banca d’Italia osserva criteri di proporzionalità, avuto riguardo alla complessità operativa, dimensionale e organizzativa degli intermediari, nonché alla natura specifica dell’attività svolta. Art. 109 Vigilanza consolidata 1. La Banca d’Italia emana disposizioni volte a individuare il gruppo finanziario, composto da un intermediario finanziario capogruppo e dalle società finanziarie come definite dall’art. 59, co. 1, lettera b), che sono controllate direttamente o indirettamente da un intermediario finanziario ovvero controllano direttamente o indirettamente un intermediario finanziario e non sono sottoposte a vigilanza consolidata ai sensi del Capo II, Titolo III, ovvero del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. 2. La Banca d’Italia può esercitare la vigilanza su base consolidata, oltre che nei confronti dei soggetti di cui al co. 1 inclusi nel gruppo finanziario, nei confronti di: a) intermediari finanziari e società bancarie, finanziarie e strumentali partecipate per almeno il venti per cento dalle società appartenenti a un gruppo finanziario o da un intermediario finanziario; b) intermediari finanziari e società bancarie, finanziarie e strumentali non comprese in un gruppo finanziario, ma controllate dalla persona fisica o giuridica che controlla un gruppo finanziario o un intermediario finanziario; c) società diverse dagli intermediari finanziari e da quelle bancarie, finanziarie e strumentali quando siano controllate da un intermediario finanziario ovvero quando società appartenenti a un gruppo finanziario detengano, anche congiuntamente, una partecipazione di controllo. 3. Al fine di esercitare la vigilanza ai sensi dei co. 1 e 2, la Banca d’Italia: a) può impartire alla capogruppo, con provvedimenti di carattere generale o particolare, disposizioni concernenti il gruppo finanziario complessivamente considerato o i suoi componenti, sulle materie indicate nell’art. 108, co. 1. L’art. 108 si applica anche al gruppo finanziario. Le disposizioni emanate dalla
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Banca d’Italia per esercitare la vigilanza su base consolidata possono tenere conto, anche con riferimento al singolo intermediario finanziario, della situazione dei soggetti indicati nel co. 2, lettere a) e b). La Banca d’Italia può impartire disposizioni anche nei confronti di un solo o di alcuni componenti il gruppo finanziario; b) può richiedere, nei termini e con le modalità dalla medesima determinati, alle società appartenenti al gruppo finanziario la trasmissione, anche periodica, di situazioni e dati, nonché ogni altra informazione utile e ai soggetti indicati nel co. 2, lettera c), nonché alle società che controllano l’intermediario finanziario e non appartengono al gruppo finanziario, le informazioni utili per consentire l’esercizio della vigilanza consolidata. Tali soggetti forniscono alla capogruppo ovvero all’intermediario finanziario le situazioni, i dati e le informazioni richieste per consentire l’esercizio della vigilanza consolidata; c) può effettuare ispezioni e richiedere l’esibizione di documenti e gli atti che ritenga necessari. Le ispezioni nei confronti di società diverse da quelle bancarie, finanziarie e strumentali hanno il fine esclusivo di verificare l’esattezza dei dati e delle informazioni forniti per il consolidamento. Art. 110 Rinvio 1. Agli intermediari finanziari si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute negli artt. 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 47, 52, 61, co. 4 e 5, 62, 63, 64, 78, 79 e 82. Art. 111 Microcredito 1. In deroga all’art. 106, co. 1, i soggetti iscritti in un apposito elenco, tenuto dall’organismo indicato all’art. 113, possono concedere finanziamenti a persone fisiche o società di persone o società cooperative, per l’avvio o l’esercizio di attività di lavoro autonomo o di microimpresa, a condizione che i finanziamenti concessi abbiano le seguenti caratteristiche: a) siano di ammontare non superiore a euro 25.000,00 e non siano assistiti da garanzie reali; b) siano finalizzati all’avvio o allo sviluppo di iniziative imprenditoriali o all’inserimento nel mercato del lavoro; c) siano accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati. L’iscrizione nell’elenco di cui al co. 1 è subordinata al ricorrere delle seguenti condizioni: a) forma di società di capitali; b) capitale versato di ammontare non inferiore a quello stabilito ai sensi
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del co. 5; c) requisiti di onorabilità dei soci di controllo o rilevanti, nonché di onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali, ai sensi del co. 5; d) oggetto sociale limitato alle sole attività di cui al co. 1 nonchè alle attività accessorie e strumentali; e) presentazione di un programma di attività. 3. I soggetti di cui al co. 1 possono erogare in via non prevalente finanziamenti anche a favore di persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale, purché i finanziamenti concessi siano di importo massimo di euro 10.000, non siano assistiti da garanzie reali, siano accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di bilancio familiare, abbiano lo scopo di consentire l’inclusione sociale e finanziaria del beneficiario e siano prestati a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato. 4. In deroga all’art. 106, co. 1, i soggetti giuridici senza fini di lucro in possesso delle caratteristiche individuate ai sensi del co. 5, possono, se iscritti in una sezione separata dell’elenco di cui al co. 1, svolgere le attività indicate ai co. 1 e 3 a condizione che i finanziamenti siano concessi a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato. L’iscrizione nella sezione speciale è subordinata al possesso dei requisiti previsti dal co. 2, lettere c) ed e). 5. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni attuative del presente articolo, anche disciplinando: a) requisiti concernenti i beneficiari e le forme tecniche dei finanziamenti; b) limiti oggettivi, riferiti al volume delle attività, alle condizioni economiche applicate e all’ammontare massimo dei singoli finanziamenti, anche modificando i limiti stabiliti dal co. 1, lettera a) e dal co. 3; c) le caratteristiche dei soggetti che beneficiano della deroga prevista dal co. 4; d) le informazioni da fornire alla clientela. Art. 112 Altri soggetti operanti nell’attività di concessione di finanziamenti 1. I confidi, anche di secondo grado, sono iscritti in un elenco tenuto dall’Organismo previsto dall’art. 112-bis ed esercitano in via esclusiva l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dal Ministro dell’Economia e delle Finanze e delle riserve di attività previste dalla legge. 2. L’iscrizione è subordinata al ricorrere delle condizioni di forma giuridica, di capitale sociale o fondo consortile, patrimoniali, di oggetto sociale e di assetto proprietario individuate dall’art. 13 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, nonché al possesso da parte di coloro che detengono partecipazioni e dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo dei requisiti di onorabilità stabiliti ai sensi degli artt. 25 e 26. La sede legale e quella amministrativa devono essere situate nel territorio della Repubblica.
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3. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia, determina i criteri oggettivi, riferibili al volume di attività finanziaria in base ai quali sono individuati i confidi che sono tenuti a chiedere l’autorizzazione per l’iscrizione nell’albo previsto dall’art. 106. La Banca d’Italia stabilisce, con proprio provvedimento, gli elementi da prendere in considerazione per il calcolo del volume di attività finanziaria. In deroga all’art. 106, per l’iscrizione nell’albo i confidi possono adottare la forma di società consortile a responsabilità limitata. 4. I confidi iscritti nell’albo esercitano in via prevalente l’attività di garanzia collettiva dei fidi. 5. I confidi iscritti nell’albo possono svolgere, prevalentemente nei confronti delle imprese consorziate o socie, le seguenti attività: a) prestazione di garanzie a favore dell’amministrazione finanziaria dello Stato, al fine dell’esecuzione dei rimborsi di imposte alle imprese consorziate o socie; b) gestione, ai sensi dell’art. 47, co. 2, di fondi pubblici di agevolazione; c) stipula, ai sensi dell’art. 47, co. 3, di contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia per disciplinare i rapporti con le imprese consorziate o socie, al fine di facilitarne la fruizione. 6. I confidi iscritti nell’albo possono, in via residuale, concedere altre forme di finanziamento ai sensi dell’art. 106, co. 1, nei limiti massimi stabiliti dalla Banca d’Italia. 7. I soggetti diversi dalle banche, già operanti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, i quali, senza fine di lucro, raccolgono tradizionalmente in ambito locale somme di modesto ammontare ed erogano piccoli prestiti, sono iscritti in una sezione separata dell’elenco di cui all’art. 111, co. 1, e possono continuare a svolgere la propria attività, in considerazione del carattere marginale della stessa, nel rispetto delle modalità operative e dei limiti quantitativi determinati dal CICR. 8. Le agenzie di prestito su pegno previste dall’art. 115 del reale decreto 18 giugno 1931, n. 773, sono sottoposte alle disposizioni dell’art. 106. La Banca d’Italia può dettare disposizioni per escludere l’applicazione alle agenzie di prestito su pegno di alcune disposizioni previste dal presente titolo. Art. 112-bis Organismo per la tenuta dell’elenco dei confidi 1. È istituito un Organismo, avente personalità giuridica di diritto privato ed ordinato in forma di associazione, con autonomia organizzativa, statutaria e finanziaria competente per la gestione dell’elenco di cui all’art. 112, co. 1. I componenti dell’organismo sono nominati con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, su proposta della Banca d’Italia. 2. L’Organismo svolge ogni attività necessaria per la gestione dell’elenco, determina la misura dei contributi a carico degli iscritti, entro il limite dell’uno per cento dell’ammontare dei crediti garantiti e riscuote i contributi e le altre somme
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dovute per l’iscrizione nell’elenco; vigila sul rispetto, da parte degli iscritti, della disciplina cui sono sottoposti anche ai sensi dell’art. 112, co. 2. Nell’esercizio di tali attività può avvalersi delle Federazioni di rappresentanza dei Confidi espressione delle Organizzazioni nazionali di impresa. 3. Per lo svolgimento dei propri compiti, l’Organismo può chiedere agli iscritti la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti, fissando i relativi termini, e può effettuare ispezioni. 4. L’Organismo può disporre la cancellazione dall’elenco: a) qualora vengano meno i requisiti per l’iscrizione; b) qualora risultino gravi violazioni normative; c) per il mancato pagamento del contributo ai sensi del co. 2; d) per l’inattività dell’iscritto protrattasi per un periodo di tempo non inferiore a un anno. 5 Fermo restando le disposizioni di cui al precedente comma, la Banca d’Italia, su istanza dell’Organismo e previa istruttoria dallo stesso svolta, può imporre agli iscritti il divieto di intraprendere nuove operazioni o disporre la riduzione delle attività per violazioni di disposizioni legislative o amministrative che ne regolano l’attività. 6. La Banca d’Italia vigila sull’Organismo secondo modalità, dalla stessa stabilite, improntate a criteri di proporzionalità ed economicità dell’azione di controllo e con la finalità di verificare l’adeguatezza delle procedure interne adottate dall’Organismo per lo svolgimento della propria attività. 7. La Banca d’Italia informa il Ministro dell’Economia e delle Finanze delle eventuali carenze riscontrate nell’attività dell’Organismo e in caso di grave inerzia o malfunzionamento può proporne lo scioglimento. 8. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia, disciplina: a) la struttura, i poteri e le modalità di funzionamento dell’Organismo necessari a garantirne funzionalità ed efficienza; b) i requisiti, ivi compresi quelli di professionalità e onorabilità degli organi di gestione dell’Organismo, nonché i criteri e le modalità per la loro nomina e sostituzione. Art. 113 Organismo per la tenuta dell’elenco di cui all’articolo 111 1. È istituito un Organismo, avente personalità giuridica di diritto privato ed ordinato in forma di associazione, con autonomia organizzativa, statutaria e finanziaria competente per la gestione dell’elenco di cui all’art. 111, co. 1, e delle relative sezioni separate. I componenti dell’organismo sono nominati con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, su proposta della Banca d’Italia. 2. L’Organismo svolge ogni attività necessaria per la gestione dell’elenco nonché delle relative sezioni separate; determina la misura dei contributi a carico degli iscritti, entro il limite dell’uno per cento dell’ammontare dei prestiti concessi e riscuote i contributi e le altre somme dovute per l’iscrizione nell’elen-
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co e vigila sul rispetto da parte degli iscritti della disciplina cui sono sottoposti anche ai sensi dell’art. 111, co. 5. 3. Per lo svolgimento dei propri compiti, l’Organismo può chiedere agli iscritti la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti, fissando i relativi termini, nonché effettuare ispezioni. 4. L’Organismo può disporre la cancellazione dall’elenco e dalle relative sezioni separate: a) qualora vengano meno i requisiti per l’iscrizione; b) qualora risultino gravi violazioni di norme di legge e delle disposizioni emanate ai sensi del presente decreto legislativo; c) per il mancato pagamento del contributo ai sensi del co. 2; d) per l’inattività dell’iscritto protrattasi per un periodo di tempo non inferiore a un anno. 5. Fermo restando le disposizioni di cui al comma 4, la Banca d’Italia, su istanza dell’Organismo e previa istruttoria dallo stesso svolta, può imporre agli iscritti il divieto di intraprendere nuove operazioni o disporre la riduzione delle attività per violazioni di disposizioni legislative o amministrative che ne regolano l’attività. 6. La Banca d’Italia vigila sull’Organismo secondo modalità, dalla stessa stabilite, improntate a criteri di proporzionalità ed economicità dell’azione di controllo e fondate su controlli sulle procedure interne adottate dall’Organismo per lo svolgimento dei compiti a questo affidati. 7. La Banca d’Italia informa il Ministro dell’Economia e delle Finanze delle eventuali carenze riscontrate nell’attività dell’Organismo e in caso di grave inerzia o malfunzionamento può proporne lo scioglimento. 8. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Banca d’Italia, disciplina: a) la struttura, i poteri e le modalità di funzionamento dell’Organismo necessari a garantirne funzionalità ed efficienza; b) i requisiti, ivi compresi quelli di professionalità e onorabilità dei componenti dell’Organismo, nonché i criteri e le modalità per la loro nomina e sostituzione. Art. 113-bis Sospensione degli organi di amministrazione e controllo 1. Qualora risultino gravi irregolarità nell’amministrazione ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie nonché ragioni di urgenza, la Banca d’Italia può disporre che uno o più commissari assumano i poteri di amministrazione dell’intermediario finanziario iscritto all’albo di cui all’art. 106. Le funzioni degli organi di amministrazione e di controllo sono frattanto sospese. 2. Possono essere nominati commissari anche funzionari della Banca d’Italia. I commissari nell’esercizio delle loro funzioni, sono pubblici ufficiali.
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3. La gestione provvisoria di cui al co. 1 non può avere una durata superiore ai sei mesi. Fermo restando quanto previsto dall’art. 113-ter, co. 1, lettera c), i commissari restituiscono l’azienda agli organi di amministrazione e controllo ovvero, qualora siano rilevate gravi irregolarità riferibili agli organi aziendali sospesi e previa autorizzazione della Banca d’Italia, convocano l’assemblea per la revoca e la nomina di nuovi organi di amministrazione e controllo. Si applica, in quanto compatibile, l’art. 76, co. 2 e 4. Art. 113-ter Revoca dell’autorizzazione 1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 113-bis, la Banca d’Italia, può disporre la revoca dell’autorizzazione di cui all’art. 107, co. 1, quando: a) risultino irregolarità eccezionalmente gravi nell’amministrazione, ovvero violazioni eccezionalmente gravi delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività dell’intermediario; b) siano previste perdite del patrimonio di eccezionale gravità; c) la revoca sia richiesta su istanza motivata degli organi amministrativi, dell’assemblea straordinaria, dei commissari di cui all’art. 113-bis, co. 1 o dei liquidatori. 2. Il provvedimento di revoca è pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana; della intervenuta revoca l’intermediario finanziario deve dare idonea evidenza nelle comunicazioni alla clientela e in ogni altra opportuna sede. 3 La revoca dell’autorizzazione costituisce causa di scioglimento della società. Entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di revoca, l’intermediario finanziario comunica alla Banca d’Italia il programma di liquidazione della società. L’organo liquidatore trasmette alla Banca d’Italia riferimenti periodici sullo stato di avanzamento della liquidazione. 4. Agli intermediari finanziari si applicano gli art. 96-quinquies e 97. 5. Ove la Banca d’Italia accerti la mancata sussistenza dei presupposti per un regolare svolgimento della procedura di liquidazione si applica il co. 6. 6. Agli intermediari finanziari che siano stati autorizzati all’esercizio dei servizi di investimento ovvero abbiano acquisito fondi con obbligo di rimborso per un ammontare superiore al patrimonio ovvero dei quali sia stato accertato lo stato di insolvenza ai sensi dell’art. 82, co. 1 si applica la procedura di liquidazione coatta amministrativa, ai sensi del Titolo IV, capo I, sezione III. 7. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche alle succursali di intermediari finanziari aventi sede legale all’estero ammessi all’esercizio, in Italia, delle attività di cui all’art. 106 co. 1. La Banca d’Italia comunica i provvedimenti adottati all’Autorità competente. 8. Resta fermo quanto previsto dall’art. 114-terdecies.
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Art. 114 (Norme finali) 1. Fermo quanto disposto dall’art. 18, il Ministro dell’Economia e delle Finanze disciplina l’esercizio nel territorio della Repubblica, da parte di soggetti aventi sede legale all’estero, delle attività indicate nell’articolo 106. 2. Le disposizioni del presente titolo non si applicano ai soggetti, individuati con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze sentita la Banca d’Italia, già sottoposti, in base alla legge, a forme di vigilanza sull’attività finanziaria svolta.
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Prime riflessioni sulla riforma degli intermediari finanziari Sommario: 1. Introduzione. – 2.1. Gli intermediari del titolo V t.u.b.: le attività esercitabili. – 2.2. Gli intermediari del titolo V t.u.b.: l’autorizzazione – 2.3. Gli intermediari del titolo V t.u.b.: la vigilanza. – 2.4. Gli intermediari del titolo V t.u.b.: la gestione delle irregolarità e delle crisi. – 3. Gli altri intermediari. – 4. Gli Organismi di autoregolamentazione. – 5. Le norme di coordinamento
1. Introduzione. Con l’art. 33 della l. 7 luglio 2009, n. 88 (“Legge comunitaria 2008”) è stata data delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2008/48/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e per introdurre una serie di modifiche ed integrazioni alla disciplina relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (di seguito anche “t.u.b.”), ai mediatori creditizi ed agli agenti in attività finanziaria. Con riferimento ai soggetti operanti nel settore finanziario, la lett. d) del co. 1 dell’art. 33 dispone una rimodulazione della disciplina di cui al titolo V ed all’art. 155 del t.u.b., che vede: 1) l’introduzione di «strumenti di controllo più efficaci, modulati anche sulla base delle attività svolte dall’intermediario»; 2) la rideterminazione dei requisiti per l’iscrizione «al fine di consentire l’operatività nei confronti del pubblico soltanto ai soggetti che assicurino affidabilità e correttezza dell’iniziativa imprenditoriale»; 3) la previsione di sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie, tra cui il divieto di intraprendere nuove operazioni e il potere di sospensione, ed il rafforzamento del potere di cancellazione; 4) garantendo «la semplificazione, la trasparenza, la celerità, l’economicità e l’efficacia dell’azione amministrativa e dei procedimenti sanzionatori» ed attribuendo i poteri sanzionatori e di intervento alla Banca d’Italia.
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In data 11 giugno 2010 è stato approvato in prima lettura uno schema di decreto legislativo recante attuazione della delega assegnata con l’art. 33 citato; acquisiti i pareri delle competenti commissioni delle Camere, in data 30 luglio 2010 lo schema è stato approvato in via definitiva per poi essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 settembre 2010 (d.lgs. n. 141 del 13 agosto 2010, di seguito anche “Decreto”). Il Decreto è stato poi oggetto di modifiche ad opera del d.lgs. n. 218 del 14 dicembre 2010. L’art. 1 del Decreto riforma il Capo II del titolo VI del t.u.b., dedicato ora al “Credito ai consumatori”. Gli artt. 2 e 3 intervengono con piccole modifiche di coordinamento al Codice del consumo e dettano i tempi di attuazione della riforma. L’art. 4 sostituisce il Capo I e il Capo III del titolo II del t.u.b., introducendo per tale via modifiche alla disciplina di trasparenza delle condizioni contrattuali e (ora) dei rapporti con i clienti, nonché rivede l’art. 144 t.u.b. in merito alle sanzioni amministrative pecuniarie. Con gli artt. 5 e 6 vengono recepite nel t.u.b. le disposizioni sulla cancellazione delle ipoteche rese necessarie dai provvedimenti sulla portabilità e sulla surrogazione, nonché vengono dettate disposizioni transitorie. L’art. 7 è dedicato espressamente alla riforma del titolo V del t.u.b., ossia della disciplina degli intermediari finanziari, mentre gli artt. 8, 9 e 10 introducono modifiche al t.u.b. e ad altre leggi di settore per assicurare il coordinamento con il nuovo titolo V. Gli articoli che vanno dall’11 al 26 rivedono integralmente la regolamentazione dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria, mentre gli artt. 27, 28, 29 e 30 introducono modifiche alla disciplina antiriciclaggio e norme finali ed attuative. Come appare evidente già da questa mera ricognizione delle nuove norme, il decreto legislativo di attuazione dell’art. 33 della l. 88/2009 incide pesantemente sulla seconda parte del t.u.b., sostituendo i Titoli V e VI ed introducendo il titolo VI-bis, dedicato agli agenti in attività finanziaria ed ai mediatori creditizi. Nel presente scritto ci soffermeremo, per ragioni di omogeneità di materia, sulle sole novità che gli artt. 7, 8, 9 e 10 del Decreto apportano alla disciplina degli intermediari finanziari del titolo V. Possiamo fin d’ora anticipare che la riforma che ci verrà occupando ha (o meglio, avrà, al termine del consueto periodo transitorio) effetti tutt’altro che cosmetici, scardinando l’originario assetto istituzionale del settore che, pur con alcuni aggiustamenti, era stato mantenuto per quasi un ventennio. Tale assetto, fin dall’emanazione della l. 197/1991, è contraddistinto da una fondamentale distinzione tra soggetti operanti nei confronti del
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pubblico e non. Per questi ultimi l’ordinamento si limita a fissare requisiti di onorabilità dei soci e degli esponenti aziendali, volti principalmente ad impedire la penetrazione di capitali illeciti. In ragione dell’esistenza di un rischio sistemico più significativo, gli intermediari che operano nei confronti del pubblico sono tenuti anche al rispetto di requisiti minimi in tema di forma giuridica, oggetto sociale e capitale sociale, e sono soggetti a poteri di vigilanza prevalentemente informativa e, a fini limitati, ispettiva, esercitati dalla Banca d’Italia. In presenza di qualificati livelli dimensionali o in caso di svolgimento di particolari attività i poteri di vigilanza della Banca d’Italia diventano poi decisamente più penetranti, estendendosi sul piano regolamentare, ispettivo e di gestione delle crisi 1.
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Sulla disciplina degli intermediari finanziari del titolo V la bibliografia è ormai molta vasta. Per tutti, si veda: Antonucci, Gli intermediari finanziari «residuali» dalla legge antiriciclaggio al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in Rass. econ., 1994, p. 245 ss.; Antonucci, Commento agli artt. 106-107 e 155, in Commento al d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi A., Porzio, Santoro, Bologna, 2003, p. 1809 ss.; Belviso, Gli «intermediari finanziari» (tra storia e nomenclatura), in Commento al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, cit., p. 1785 ss.; Capriglione, Evoluzione tecnica e disciplina giuridica dell’intermediazione finanziaria, in Banca, borsa, tit. cred., 1986, p. 24 ss.; Capriglione, Holding di partecipazione e nuova regolazione degli intermediari finanziari, in Banca, borsa, tit. cred., I, 2011, pp. 196-208; Clemente, Commento all’art. 106, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Padova, 1994, p. 106 ss.; Clemente, Commento all’art. 106, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia2, a cura di Capriglione, Padova, 2001, p. 851 ss.; Colavolpe, Il c.d. decreto unificato sugli intermediari finanziari non bancari (Commento a: D.M. Ministero dell’Economia e delle Finanze 17 febbraio 2009, n. 29), in Le società, 2009, pp. 1153-1168; Costi, Sulla disciplina degli intermediari finanziari non bancari, in Il diritto dell’economia, 1988, pp. 85-97; Costi, Verso un diritto comune degli intermediari finanziari non bancari?, in L’attività parabancaria: esperienze e prospettive, a cura di Restuccia, Milano, 1987, p. 6 ss.; Cotterli, La disciplina degli intermediari finanziari nella legge n. 197 del 5 luglio 1991, in Banca, impresa, soc., 1992, p. 271 ss.; Cotterli, Gli intermediari finanziari nel testo unico sul credito, in Banca, impresa, soc., 1994, 1, p. 89 ss.; Ferro-Luzzi, Attività bancaria e attività delle banche, in Banca, impresa, soc., 1996, p. 3 ss. ; Marano, Gli intermediari finanziari del titolo V: i controlli, in Le società finanziarie, a cura di Santoro, Milano, 2000, p. 69 ss.; Greco, Gli intermediari finanziari nel testo unico bancario, Pisa, 2006; Nigro, Intermediari finanziari: problemi e prospettivi di disciplina, in Banca, borsa, tit. cred., I, 1988, p. 489 ss.; Nigro, Le ragioni del controllo degli intermediari finanziari, in Il riciclaggio del denaro nella legislazione civile e penale, a cura di Corvese e Santoro, Milano, 1996, p. 538 ss.; Pellegrini, Il controllo sugli intermediari finanziari non bancari. Aspetti problematici ed orientamenti giurisprudenziali, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, pp. 57-80; Pellegrini, La svolta disciplinare degli intermediari finanziari non bancari.
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Al termine di un periodo transitorio abbastanza lungo e complesso 2, il risultato della riforma è, come vedremo, una struttura di vigilanza meno articolata. A fronte degli indubbi vantaggi per la Vigilanza connessi alla semplificazione istituzionale, essa però potrebbe scontare un aumento dei rischi sistemici in ragione della creazione di nuove aree deregolamentate.
2.1. Gli intermediari del titolo V t.u.b.: le attività esercitabili. Il nuovo articolo 106 del t.u.b., introdotto dall’art. 7 del Decreto ed ora intitolato “Albo degli intermediari finanziari”, è dedicato all’enunciazione delle attività il cui esercizio nei confronti del pubblico è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, nonché delle altre attività che tali
Da un riscontro di regolarità alla «supervisione», in Scritti in onore di Francesco Capriglione, Padova, 2010, pp. 285-300; Perassi, Commento all’art. 107, in, Commentario a cura di Capriglione, cit., p. 858 ss.; Perassi, Commento all’art. 108, in, Commentario a cura di Capriglione, cit., p. 862 ss.; Principe, L’ente finanziario nelle direttive comunitarie, in Dir. banc., 1995, p. 568 ss.; Rotondo, Commento agli artt. 106-114, in Testo unico bancario. Commentario, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, Milano, 2010, p. 849 ss.; Santoro, Le società finanziarie: un tentativo di ricostruzione, in Il riciclaggio, cit., p. 347 ss.
Limitati sono gli effetti immediati del Decreto: tra essi si ricorda l’abrogazione degli elenchi ex artt. 113 (soggetti non operanti nei confronti del pubblico) e 155, co. 5 (cambiavalute), del t.u.b. Fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni attuative (da emanarsi entro il 31 dicembre 2011) continueranno infatti ad applicarsi, in quanto compatibili, il d.m. 29/2009 e le altre disposizioni emanate ai sensi delle norme previgenti. È inoltre previsto che gli intermediari finanziari, i confidi e le società fiduciarie oggi iscritti negli elenchi o sezioni previgenti possono continuare ad operare per un periodo di 12 mesi successivi all’entrata in vigore delle nuove disposizioni attuative e dell’istituzione degli eventuali Organismi competenti. In tale lasso di tempo la Banca d’Italia continua a tenere l’elenco generale, l’elenco speciale e la sezione separata di cui all’art. 155, co. 4, del t.u.b., fermo restando che dal completamento degli adempimenti di attuazione non potranno essere iscritti nuovi soggetti. Infine, si ricorda che l’art. 10 del Decreto prevede un’articolata serie di termini che gli intermediari esistenti sono tenuti ad osservare per assicurare un passaggio ordinato alla nuova disciplina, decorsi i quali i soggetti inadempienti sono costretti a deliberare la liquidazione della società o a modificare il proprio oggetto sociale ovvero ancora ad eliminare le condizioni che comportano l’obbligo di iscrizione negli albi o elenchi. 2
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soggetti possono esercitare. Tali intermediari dovranno essere iscritti in apposito albo (non più elenco) tenuto dalla Banca d’Italia. In primo luogo occorre notare che, nell’elencare le attività oggetto della riserva, la norma non contempla più le attività di assunzione di partecipazioni e di intermediazione in cambi. Per quel che riguarda l’intermediazione in cambi la modifica è stata l’esito di un processo piuttosto travagliato. Nella bozza si prevedeva una diversa formulazione 3, “negoziazione o gestione in valuta”, che pareva comunque destinata a venire meno qualora fosse stato adottato, nelle more dell’emanazione del Decreto, il regolamento ministeriale previsto dall’art. 18, co. 5, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (di seguito anche “t.u.f.”) 4. La soluzione emersa nell’esame definitivo del Decreto vede invece l’eliminazione dell’attività dalla lista delle attività riservate ex art. 106 t.u.b. e la modifica dell’art. 1, co. 4, del t.u.f. – ad opera dell’art. 9, co. 7, del Decreto – che, accanto all’esclusione dei mezzi di pagamento quali strumenti finanziari, vede ora l’inclusione tra questi ultimi (ed in particolare tra i contratti finanziari differenziali) dei «contratti di acquisto e vendita di valuta, estranei a transazioni commerciali e regolati per differenza, anche mediante operazioni di rinnovo automatico (c.d. “roll-over”)» 5 nonché delle «ulteriori operazioni su valute individuate ai sensi dell’art. 18, co. 5». Il punto merita varie osservazioni.
Sul punto v. anche Szego, Audizione del Titolare della Divisione Normativa Primaria, Normativa e politiche di Vigilanza della Banca d’Italia, Senato della Repubblica, 7 luglio 2010, in http://www.bancaditalia.it/media/notizie/szego080710. 4 V. nota in calce all’art. 106 nel Documento di consultazione “titolo V” del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in http://www.dt.tesoro.it/it/regolamentazione_settore_finanziario. 5 Sul recente orientamento della Consob in materia v. anche Delibera n. 17017 del 16.9.2009, Divieto, ai sensi dell’art. 99, co. 1, lett. d), del d.lgs. n. 58/1998, dell’offerta al pubblico avente ad oggetto programmi di investimento nel mercato “Forex” proposta dalle società Forex Macro e Suizmarket sa. Si ha notizia che Banca d’Italia, nel dicembre 2009, è intervenuta sul tema dell’intermediazione in cambi sostenendo che i money broker iscritti agli elenchi ex artt. 106 o 107 t.u.b. possono eseguire esclusivamente ordini per la compravendita di valuta che comportino l’effettivo scambio del sottostante, mentre è loro interdetto effettuare operazioni regolate per il solo differenziale, in quanto assimilabili a strumenti finanziari derivati. 3
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In primo luogo si nutrono non poche perplessità sul probabile eccesso di delega in cui è incorso il Governo introducendo una modifica al t.u.f. quale quella sopra commentata, in quanto l’art. 33 della l. 88/2009 non consente, neanche implicitamente, interventi sulla disciplina della finanza. Peraltro, piuttosto che disciplinare alcune operazioni in valuta come deroghe all’eccezione nell’ambito del co. 4, sarebbe stato più opportuno inserirle quale caso tipico dei “contratti finanziari differenziali” elencati tra gli strumenti finanziari all’art. 1, co. 2, lett. j), del t.u.f. D’altra parte, se la finalità della riforma è quella di assicurare, come ci pare doveroso, una maggiore tutela dei clienti, una soluzione alternativa avrebbe potuto essere quella di sfruttare gli ampi poteri offerti ora, come vedremo, dai nuovi artt. 108 e 110 t.u.b., per disegnare obblighi di comportamento più stringenti per gli intermediari autorizzati che operano in valuta, in specie quando offrono prodotti finanziariamente alternativi a quelli delle imprese di investimento. Occorre poi ricordare che l’art. 4 del d.m. 17 febbraio 2009, n. 29, dispone che per intermediazione in cambi s’intende «l’attività di negoziazione di una valuta contro un’altra, a pronti o a termine, nonché ogni forma di mediazione avente ad oggetto valuta» 6. La Relazione al Decreto, al proposito, sostiene che detta attività a rigore dovrebbe essere riconducibile alla prestazione di un servizio di pagamento – «quando lo scambio di valuta contro valuta è volto a facilitare un trasferimento di disponibilità tra due soggetti» – ovvero ad un servizio di investimento in valuta, quando «lo scambio di valute non comporta un effettivo trasferimento di ricchezza ma ha finalità speculative, poiché consente al cliente di lucrare il differenziale tra i tassi di cambio». La prima fattispecie è dunque sottoposta alla normativa PSD ed è riservata agli istituti di pagamento, agli istituti di moneta elettronica o alle banche. La seconda fattispecie rientra nell’ambito di applicazione del t.u.f. solo se prestata attraverso la conclusione di contratti derivati: secondo la Relazione, «qualora invece il servizio consista unicamente nella negoziazione o nella gestione patrimoniale in valuta il Testo unico sull’intermediazione finanziaria non trova allo stato applicazione, in quanto la valuta di per sé non costituisce strumento finanziario».
In argomento v. soprattutto Comporti, L’intermediazione in cambi, in Le società finanziarie, a cura di Santoro, Milano, 2000, p. 773 ss. e, da ultimo, Colavolpe, Il c.d. decreto unificato, cit. 6
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Ora, pur ricordando che il Ministro dell’Economia e delle Finanze (d’ora innanzi anche “MEF”) può allargare il perimetro delle operazioni su valute incluse tra gli strumenti finanziari – sottoponendole così alla severa disciplina del t.u.f. – è abbastanza evidente che, allo stato, l’ambito delle operazioni migrate sotto detta disciplina è ben più ristretto di quello creato dal combinato disposto del previgente art. 106 t.u.b. e dell’art. 4 del d.m. 29/2009: basti pensare alla mediazione, in qualunque forma operata, avente ad oggetto valuta. Anche l’affermazione della Relazione al Decreto secondo la quale talune operazioni di intermediazione in cambi dovrebbero rientrare tra i servizi di pagamento non pare contraddire questa tesi, perché tra detti servizi rientrano le operazioni di deposito, prelievo o trasferimento fondi a valere su conti di pagamento (cfr. art. 1, lett. b e c, d.lgs. 11/2010) ma non quelle di semplice negoziazione (compravendita) di valuta. Ne deriva che, al termine del periodo transitorio previsto dall’art. 10 del Decreto, l’esercizio anche professionale nei confronti del pubblico di attività aventi ad oggetto valuta non ricomprese nell’ambito, pur allargato, del t.u.f., divengono di libero esercizio e sono sottoposte al diritto comune. Ulteriore conferma in questo senso emerge dal tenore della lett. c) del co. 4 dell’art. 10 del Decreto, ove si prevede la cancellazione, su richiesta, dagli elenchi di cui all’art. 106 o 107 t.u.b. degli intermediari attualmente esercitanti (esclusivamente) attività di intermediazione in cambi a seguito della loro attestazione di non esercitare attività riservate ai sensi di legge. Per chiarire il quadro deve aggiungersi che la delegificazione dell’attività in valute è completata dall’abrogazione, ai sensi dell’art. 8, co. 12, del Decreto, dell’art. 155 t.u.b., che al co. 5 disciplina l’esercizio professionale dell’attività di cambiavalute (consistente nella negoziazione a pronti di mezzi di pagamento in valuta), prevedendo l’iscrizione degli stessi in un’apposita sezione dell’elenco del previgente art. 106 t.u.b. ed una, pur ridotta, regolamentazione speciale dell’attività. Per quanto riguarda l’attività di assunzione di partecipazioni, tenendo presente che il suddetto Decreto prevede anche l’eliminazione dell’apposita sezione dell’elenco generale di cui al previgente art. 113 t.u.b., deve dedursi che tale attività, consistente nell’acquisizione e gestione di diritti, rappresentati o meno da titoli, sul capitale di altre imprese 7, anche se esercitata professionalmente e nei confronti del pubblico, non sarà più soggetta ad alcun tipo di autorizzazione e diverrà quindi attività libera-
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Da ultimo v. art. 6, d.m. 17 febbraio 2009, n. 29.
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mente esercitabile da chicchessia. In tal senso si veda anche l’art. 10, co. 4, lett. a), ove si prevede che «gli intermediari finanziari che (…) esercitano nei confronti del pubblico l’attività di assunzione di partecipazioni (…) chiedono alla Banca d’Italia la cancellazione dagli elenchi (…), attestando di non esercitare attività riservate ai sensi di legge». Non essendo più l’assunzione di partecipazioni attività riservata, pare che il senso della disposizione da ultimo citata sia quello di disporre che, qualora un intermediario eserciti solo attività di assunzione di partecipazione e non altre attività di cui all’art. 106 (come riformato), non vi sia più l’obbligo di essere iscritti all’elenco degli intermediari finanziari autorizzati. La scelta di liberalizzare l’attività delle holding e delle merchant bank – intendendo per tali ultime, tra l’altro, le società che mirano alla «alienazione delle partecipazioni dopo interventi volti alla riorganizzazione aziendale, allo sviluppo produttivo o al soddisfacimento delle esigenze finanziarie delle imprese partecipate anche tramite il reperimento del capitale di rischio» 8 – è particolarmente delicata, perché l’attività delle merchant bank rappresenta dal punto di vista economico una forma di assistenza finanziaria all’impresa che può surrogare la concessione di finanziamenti in senso stretto, che resta riservata a banche ed intermediari finanziari autorizzati ai sensi del nuovo art. 106 t.u.b.. In altre parole, il rischio è quello di consentire a soggetti non sottoposti ad alcuna forma di regolamentazione speciale di svolgere attività che, pur non essendo “creditizia” ma “partecipativa”, soddisfa i bisogni di risorse finanziarie dei soggetti “in deficit” (quali tipicamente le imprese) in alternativa a quanto, con il credito, è consentito agli intermediari finanziari ed alle banche, creando così una disparità di trattamento che può indurre a comportamenti elusivi da parte degli operatori, con effetti negativi sia sulla concorrenza che sulla stabilità del mercato finanziario. Non è da sottovalutare, inoltre, il fatto che l’assenza di regolamentazione potrebbe facilitare l’infiltrazione di capitali illeciti nel capitale delle
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Tale è la configurazione dell’attività di assunzione di partecipazioni che comporta la sussistenza dell’esercizio nei confronti del pubblico, ai sensi dell’art. 9, co. 6, del d.m. 17 febbraio 2009, n. 29. Sulla disciplina delle holding v., fra gli altri, Chiappetta, Holding e disciplina della prevenzione dell’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, in Il riciclaggio, cit., p. 581 ss.; Macchiati, La holding come intermediario finanziario, in Finanza, imprese e mercati, 1989, p. 27 ss.; Mazzini, Le holding quali destinatarie della normativa antiriciclaggio e come soggetti operanti nel settore finanziario, in Il riciclaggio, cit., p. 587 ss. Sul merchant banking v. Antonucci, Merchant banking, Bari, 1989; Greco, Le società di merchant banking in Le società finanziarie, a cura di Santoro, cit., p. 501 ss.
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società, tanto partecipanti, quanto partecipate, anche al fine di esercitare attività usurarie: all’assenza di un vaglio sui requisiti di onorabilità dei soci rilevanti della merchant bank 9, si aggiunga che solo gli intermediari finanziari iscritti al (nuovo) art. 106 t.u.b. sono sottoposti agli obblighi antiriciclaggio, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 231/2007, e ciò esclude, in particolare, l’esecuzione degli obblighi di adeguata verifica della clientela da parte delle società che esercitano esclusivamente l’attività di assunzione di partecipazioni. Il secondo comma del nuovo art. 106 t.u.b. prevede che gli intermediari finanziari possano esercitare ulteriori attività oltre alla concessione di finanziamenti. Di esse due sono espressamente elencate (la prestazione di servizi di pagamento e di servizi di investimento), in quanto trattasi di attività tradizionalmente esercitate dagli intermediari finanziari ante riforma. Per quanto riguarda i servizi di pagamento, l’introduzione della figura dell’istituto di pagamento ha dato all’attività autonoma evidenza e disciplina 10, motivo per cui gli intermediari finanziari dovranno essere espressamente autorizzati all’esercizio della stessa ai sensi dell’art. 114novies, co. 4, del t.u.b.: tale disposizione prevede che i soggetti che esercitano altre attività imprenditoriali possono essere autorizzati dalla Banca d’Italia alla prestazione di servizi di pagamento a condizione che per tale attività sia costituito un patrimonio destinato con le modalità e agli effetti stabiliti dall’art. 114-terdecies e siano individuati uno o più soggetti responsabili del patrimonio medesimo 11.
Viene meno, infatti, la disciplina disegnata dall’art. 107, co. 1, lett. e) e dall’art. 25 t.u.b. 10 Cfr. artt. 33 e 35 del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, che, oltre ad inserire il titolo V-ter nel t.u.b., ne hanno anche modificato gli artt. 106 e 107. Sulla direttiva 2007/64/CE si vedano i saggi contenuti in, Il nuovo quadro normativo dei servizi di pagamento. Prime riflessioni, a cura di Mancini e Perassi, in Quaderni di ricerca Giuridica della Consulenza della Banca d’Italia, n. 63, dicembre 2008. Sul nuovo titolo V-ter del t.u.b. v. Gimigliano, Commento agli artt. 114sexies – 114-undecies e all’art. 114-quaterdecies, in Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, Testo unico, cit., p. 913 ss. e, nella stessa opera, Santoro, Commento agli artt. 114-duodecies – 114-terdecies, p. 930 ss. 11 L’art. 114-novies del t.u.b., al co. 4, prevede inoltre che qualora «lo svolgimento di tali attività imprenditoriali rischi di danneggiare la solidità finanziaria dell’istituto di pagamento o l’esercizio effettivo della vigilanza, la Banca d’Italia può imporre la costituzione di una società che svolga esclusivamente l’attività di 9
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Circa la prestazione di servizi di investimento, non vi sono modifiche sostanziali rispetto alla previgente disciplina: occorre solo ricordare che ogni riferimento legislativo agli intermediari finanziari iscritti all’elenco speciale ex art. 107 t.u.b. dovrà intendersi riferito agli intermediari finanziari iscritti all’albo di cui all’art. 106 t.u.b. (art. 10, co. 9, del decreto) e che quindi l’autorizzazione prevista all’art. 18, co. 3, del t.u.f. dovrà riferirsi a tali ultimi soggetti non appena entrato in vigore il Decreto. Il nuovo art. 106 conferma che le altre attività esercitabili dagli intermediari finanziari sono quelle che la legge eventualmente consente loro nonché quelle connesse o strumentali. Infine, l’art. 106 t.u.b. ripropone il potere del Ministero dell’Economia e Finanze di specificare il contenuto delle attività di cui al co. 1 (il plurale è un refuso, visto che è prevista ora la sola attività di concessione di finanziamenti) e le circostanze nelle quali ricorre l’esercizio nei confronti del pubblico.
2.2. Gli intermediari del titolo V t.u.b.: l’autorizzazione. Il nuovo art. 107 del t.u.b. non conserva alcunché della previgente formulazione, essendo ora dedicato al procedimento autorizzativo degli intermediari finanziari introdotti dall’art. 106: scompare quindi l’elenco speciale tenuto dalla Banca d’Italia e, con esso, il sistema a cerchi concentrici che dal 1991 aveva sostanzialmente contraddistinto la disciplina degli intermediari finanziari del t.u.b. 12.
prestazione dei servizi di pagamento». Ai sensi del co. 5 dell’art. 114-novies del t.u.b. la Banca d’Italia ha dettato disposizioni attuative «Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento» in data 15 febbraio 2010: il cap. X, in particolare, disciplina gli istituti di pagamento che svolgono altre attività, prevedendo che gli istituti di pagamento iscritti anche nell’elenco speciale di cui all’art. 107 t.u.b. siano regolati in parte dalle disposizioni specifiche degli istituti di pagamento (per quanto attiene ai partecipanti al capitale), in parte da quelle specifiche degli intermediari finanziari (in tema di disciplina prudenziale), in parte ancora da quelle degli istituti di pagamento «tenendo conto degli specifici profili di rischio derivanti dall’esercizio delle attività previste dall’art. 106 del t.u.b.» (v. organizzazione amministrativa e contabile e controlli interni). 12 Sul punto v. Belviso, Gli «intermediari finanziari», cit., p. 1785 ss.; Ciampi, Intervento all’assemblea ordinaria dell’A.B.I., 27 giugno, Roma, 1986, p. 12; Santoro, Le società finanziarie, cit., p. 347 ss.
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Come abbiamo accennato in precedenza parlando dell’attività di assunzione di partecipazioni, è infatti stata abrogata anche la sezione dell’elenco generale prevista dall’art. 113 t.u.b. per i soggetti esercitanti attività finanziarie in via prevalente non nei confronti del pubblico (il nuovo art. 113 tratta ora dell’Organismo per la tenuta dell’elenco dei soggetti operanti nel settore del microcredito). Il modello regolamentare che ne consegue vede dunque un unico albo degli intermediari finanziari del titolo V, ove la disciplina non è graduata né in ragione dell’esercizio o meno nei confronti del pubblico (che in passato aveva motivato l’esistenza dell’art. 113 t.u.b.) né in considerazione delle dimensioni o della tipologia dell’attività esercitata (a fondamento dell’elenco speciale di cui all’art. 107 t.u.b.) 13. La riduzione ad unità delle attività riservate (concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma) e la sopravvenuta irrilevanza dell’esercizio della predetta attività quando non esercitata nei confronti del pubblico semplificano pesantemente la vigilanza degli intermediari finanziari disciplinati al titolo V del t.u.b., creando un’unica nuova categoria ed un unico nuovo albo che, come vedremo, ha regole addirittura più rigorose rispetto a quelle in precedenza previste per gli intermediari iscritti nell’elenco speciale ex art. 107 t.u.b. In buona sostanza, la scomparsa dell’elenco speciale non rappresenta un segnale di allentamento della vigilanza ma un innalzamento
Fino al d.lgs. 141/2010 l’ordinamento prevedeva infatti, per i soggetti iscritti alla sezione dell’elenco generale ex art. 113 t.u.b., requisiti di onorabilità dei soci e di onorabilità ed indipendenza per gli esponenti aziendali, a cui, per gli intermediari iscritti all’elenco generale ex art. 106 t.u.b., si aggiungevano requisiti in materia di esclusività dell’oggetto sociale, forma giuridica, capitale minimo, con la sottoposizione a controlli da parte dell’UIC (fino alla fine del 2007; successivamente da parte della Banca d’Italia) di carattere principalmente informativo e documentale. Gli intermediari iscritti anche all’elenco speciale ex art. 107 t.u.b. erano sottoposti, inoltre, a poteri di vigilanza regolamentare, ispettiva ed informativa, ben più stringenti, esercitati dalla Banca d’Italia, oltre che, in taluni casi, a procedure di gestione delle crisi simili a quelle delle banche (sul punto ci sia consentito il rinvio a Greco, Gli intermediari, cit.). Con il d.m. 29/2009, a dire il vero, era già iniziato un processo di rafforzamento dei poteri di vigilanza sugli intermediari ex art. 106 t.u.b. e di deregolamentazione di taluni soggetti (le holding) in precedenza sottoposti all’iscrizione sub art. 113 t.u.b. Sulla recente evoluzione della disciplina degli intermediari finanziari v., da ultimo, Pellegrini, La svolta disciplinare, cit. 13
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verso l’alto della stessa: osservando con occhio attento il nuovo assetto regolamentare, notiamo che la riforma non comporta semplicemente l’eliminazione dell’elenco generale ovvero di una o più delle sue sezioni (comprese quelle, come vedremo, dell’art. 155 t.u.b., ora abrogato) con una migrazione degli iscritti verso una delle categorie preesistenti e la sottoposizione alla disciplina per essa prevista, bensì l’introduzione di una innovativa categoria e di una altrettanto originale disciplina che si ispira molto di più a quella delle banche che a quella in precedenza riservata agli intermediari finanziari 14. Lo spostamento dell’asticella delle regole conseguente al riassetto è brusco. Già leggendo il nuovo art. 107 t.u.b., non possiamo non notare la somiglianza quasi gemellare con l’art. 14 t.u.b., che disciplina l’autorizzazione all’attività bancaria: viene introdotto l’obbligo di presentare il programma concernente l’attività iniziale e la struttura organizzativa; si prevede quale requisito l’insussistenza di stretti legami tra l’intermediario ed altri soggetti che ostacolino l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza 15. Ma, soprattutto, viene introdotto il vaglio della sana e
Sul punto v. Pellegrini, La svolta disciplinare, cit., p. 296, che, trattando delle novità regolamentari del 2009 sul tema dell’intermediazione finanziaria, afferma che: «La necessità di omogeneizzare il quadro regolamentare dei soggetti operanti sul mercato finanziario è affrontata, dunque, ponendo le banche e gli intermediari finanziari sullo stesso piano: l’intento normativo di attuare una sempre più intensa integrazione tra i medesimi si traduce nell’evitare un trattamento difforme tra gli operatori che svolgono funzioni analoghe, sì da prevenire ogni possibile ostacolo al corretto funzionamento del sistema». 15 Sull’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria v., fra gli altri, Amorosino, Commento all’art. 14, in Commentario, a cura di Capriglione, cit.; Antonucci, Commento all’art. 14, , Testo unico, a cura di in Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, cit.; Belli, Direttive CEE e riforma del credito. Il decreto 481/92: prime riflessioni, Milano, 1993; Costi, Governo delle banche e potere normativo della Banca d’Italia, in Giur. comm., 2008, I, p. 1270 ss.; Merusi, Autorizzazione all’esercizio, in Diritto bancario comunitario, a cura di Alpa e Capriglione, Torino, 2002; Nigro, Intervento, in Dall’attuazione della seconda direttiva CEE in materia bancaria al Testo Unico, a cura di Antonucci, Bari, 1993; Patroni Griffi e Appio, Commento agli artt. 13-14, in Commento, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio, Santoro, cit.; Porzio, Commento all’art. 19, in La tutela del risparmio. Commentario della legge 28 dicembre 2005, n. 262 e del d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 3030, a cura di Nigro e Santoro, Torino, 2007. 14
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prudente gestione, al pari di quanto previsto per banche, istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica, sim, sicav, sgr. A distinguere gli intermediari finanziari dalle banche in punto di autorizzazione permane l’assenza, certamente significativa, di una norma analoga a quella del co. 3 dell’art. 14 t.u.b., che prescrive l’impossibilità di dar corso al procedimento per l’iscrizione nel registro delle imprese in assenza dell’autorizzazione della Banca d’Italia. Il passaggio dall’iscrizione nell’elenco speciale (e, prima ancora, nell’elenco generale) all’autorizzazione all’esercizio dell’attività giunge al termine di un percorso che ha visto ampliarsi progressivamente le facoltà operative degli intermediari finanziari iscritti all’elenco speciale, sia sul fronte delle attività esercitate che su quello della raccolta, e dunque le necessità di un’attenzione maggiore da parte delle autorità di vigilanza nel momento dell’ingresso sul mercato di tali operatori. Il procedimento di autorizzazione, rafforzando i requisiti e consentendo all’autorità di avvalersi della cartina di tornasole della “sana a prudente gestione”, rafforza sostanzialmente i poteri di vigilanza, in linea con quanto dispone il riformato art. 108 t.u.b. 16.
2.3. Gli intermediari del titolo V t.u.b.: la vigilanza. Il nuovo art. 108, ora intitolato “Vigilanza”, rafforza la sensazione che l’intermediario finanziario del titolo V sia ormai divenuto il fratello minore della banca 17. Anche sul fronte della vigilanza, infatti, la norma in commento non si limita a riprendere i contenuti del previgente art. 107 t.u.b., che già prevedeva poteri di vigilanza informativa ed ispettiva sulla
Al proposito, la Relazione al Decreto conferma che «la norma, di carattere innovativo, introduce per gli intermediari un vero e proprio regime autorizzatorio, che postula la ricorrenza di puntuali requisiti organizzativi, patrimoniali, operativi e morali, oggetto di valutazione da parte dell’Autorità di vigilanza (Banca d’Italia)». 17 Conferma questa sensazione la stessa Relazione al Decreto, secondo la quale «la disposizione mira al potenziamento dei controlli e della vigilanza sui soggetti iscritti all’albo. Per tale ragione essa delinea un regime di vigilanza improntato al regime proprio dei soggetti ex art. 107 t.u.b., e di carattere unitario, nell’ottica di realizzare un’equivalenza dei controlli sugli intermediari finanziari rispetto a quelli sulle banche». 16
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scia rispettivamente degli artt. 51 e 54 del t.u.b., ma rafforza ulteriormente i poteri di vigilanza regolamentare, introducendo nel co. 3 dell’art. 108 quanto previsto nel terzo comma dell’art. 53 del t.u.b. (poteri di convocazione degli organi aziendali e di adozione di provvedimenti specifici) e giungendo così ad una ampia riproposizione di questa norma centrale e particolarmente invasiva prevista per le banche 18. L’art. 108 dispone infine – in linea con quanto già previsto per le banche ed in ragione della scomparsa delle varie categorie di soggetti e del venir meno della modularità istituzionale della disciplina 19 – che la Banca d’Italia, nell’esercizio dei poteri anzi descritti, osservi criteri di proporzionalità, valutando la complessità operativa, dimensionale ed organizzativa degli intermediari nonché la natura specifica dell’attività svolta. L’avvicinamento della disciplina degli intermediari finanziari a quella delle banche è però palese alla lettura dei nuovi art. 109 e, soprattutto, art. 110 t.u.b. Il primo introduce la nozione di gruppo finanziario e prevede poteri di vigilanza su base consolidata. Il gruppo finanziario – la cui individuazione è rimessa a successive disposizioni della Banca d’Italia – è composto da un intermediario finanziario capogruppo e dalle società finanziarie come definite dall’art. 59, co. 1, lett. b), del t.u.b. che sono controllate direttamente o indirettamente da un intermediario finanziario ovvero controllano direttamente o indirettamente un intermediario finanziario e non sono sottoposte a vigilanza consolidata ai sensi del capo II, titolo II del t.u.b., ovvero del t.u.f. La definizione s’ispira chiaramente a quella del gruppo bancario e ricalca la logica residuale del gruppo finanziario rispetto a quello bancario, così come già previsto per il gruppo di SIM (cfr. art. 11, co. 1, lett. b del t.u.f.) 20.
È fatta la rilevante eccezione dei co. 4 e seguenti dell’art. 53 t.u.b., che conferiscono alla Banca d’Italia il potere di disciplinare i conflitti di interesse con le parti correlate. Sui poteri ex art. 53 t.u.b. v., per tutti, Cesarini e Parente, Commento all’art. 53, in Testo Unico, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, cit., p. 470 ss. e Salerno, Commento all’art. 53, in Commento, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio, Santoro, cit., p. 761 ss. 19 Così anche la Relazione al Decreto. 20 Sulla disciplina del gruppo bancario v. da ultimo, Brozzetti, Commento all’art. 64, in Testo Unico, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, cit., p. 564 ss., Irace, Commento all’art. 59, in Testo Unico, a cura di Porzio, 18
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Anche i poteri di vigilanza attribuiti alla Banca d’Italia sono molto ampi e, in linea con i gruppi bancari, vanno a toccare anche soggetti partecipati non inclusi nel gruppo finanziario. In merito alla tipologia dei poteri esercitabili, viene richiamato espressamente l’art. 108, che si afferma essere direttamente applicabile al gruppo finanziario. In particolare, la Banca d’Italia può impartire disposizioni alla capogruppo, aventi ad oggetto tanto il gruppo quanto i componenti dello stesso, ovvero direttamente a questi ultimi. Per quanto riguarda i poteri di vigilanza informativa ed ispettiva, essi sono esercitabili anche nei confronti di taluni soggetti non appartenenti al gruppo, nei limiti di quanto necessario per consentire l’esercizio della vigilanza consolidata. Il nuovo art. 110 t.u.b. è ancora più esplicito nel ricollegare la disciplina degli intermediari finanziari a quella delle banche. Temperata appena dalla clausola di compatibilità, la norma opera un rinvio alle altre disposizioni del t.u.b. in materia di partecipazioni al capitale delle banche, requisiti di onorabilità dei partecipanti, nonché di onorabilità, professionalità ed indipendenza degli esponenti aziendali, vigilanza informativa ed obblighi di comunicazione del collegio sindacale, disciplina dei gruppi bancari e gestione delle crisi aziendali.
2.4. Gli intermediari del titolo V t.u.b.: la gestione delle irregolarità e delle crisi. Completano la disciplina degli intermediari finanziari gli artt. 113-bis, 113-ter e 114 del t.u.b., dedicati rispettivamente alla sospensione degli organi di amministrazione e controllo, alla revoca dell’autorizzazione ed alla disciplina dei soggetti esteri esercitanti le attività indicate all’art. 106 t.u.b. Tralasciando l’art. 114 t.u.b., per il quale non si apprezzano novità sostanziali 21, meritano particolare attenzione le altre due norme ricordate.
Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, cit., p. 534 ss.; Rispoli Farina, Commento agli artt. 60-61, in Testo Unico, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, cit., p. 543 ss., oltre a Brozzetti, Assetti organizzativi e vigilanza consolidata nel settore bancario, dell’intermediazione finanziaria e dei servizi di investimento, Siena, 2007. 21 Sull’art. 114 t.u.b. v., per tutti, Comporti, Commento all’art. 114, in Commento, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio, Santoro cit., p. 1869 ss. e Marano, Gli intermediari finanziari, cit., p. 69 ss.
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L’art. 113-bis t.u.b. rappresenta – come afferma anche la Relazione al Decreto – «una forma di commissariamento dell’intermediario» sicuramente inedita per gli intermediari finanziari. I presupposti richiesti per l’attivazione della misura (gravi irregolarità nell’amministrazione o gravi violazioni legislative, amministrative o statutarie connessi con ragioni di urgenza), la necessaria provvisorietà della stessa e, non ultimo, il richiamo all’art. 76, co. 2 e 4, del t.u.b., indicano piuttosto chiaramente che il legislatore si è ispirato all’istituto della gestione provvisoria della banca (art. 76 t.u.b.) 22. L’art. 113-ter t.u.b. regola i poteri della Banca d’Italia di revocare l’autorizzazione di cui all’art. 107, cui necessariamente consegue lo scioglimento e la liquidazione della società. I presupposti della revoca ricalcano quelli previsti per la liquidazione coatta amministrativa delle banche (art. 80 t.u.b.) 23. Nel caso in cui la revoca riguardi intermediari finanziari che sono stati autorizzati all’esercizio dei servizi di investimento ovvero hanno acquisito fondi con obbligo di rimborso per un ammontare superiore al patrimonio ovvero dei quali sia stato accertato lo stato di insolvenza si applica in toto la procedura di liquidazione coatta amministrativa delle banche.
3. Gli altri intermediari. Il nuovo titolo V del t.u.b. racchiude inoltre la disciplina di altri soggetti – diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari – dediti all’esercizio di attività finanziarie, prima regolati dall’art. 155 t.u.b. (abro-
Sulla gestione provvisoria delle banche si rinvia a Amorosino, Profili pubblicistici comuni alle amministrazioni d’emergenza, straordinarie e commissariali, di imprese in crisi o con gravi irregolarità gestionali, in Dir banc., 2006, I, p. 506 ss.; Bavetta, La gestione provvisoria della banca, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, I, p. 358 ss.; Boccuzzi, La crisi dell’impresa bancaria. Profili economici e giuridici, Milano, 1998; Nigro, Crisi e risanamento delle imprese: il modello dell’amministrazione straordinaria delle banche, Milano, 1985 e, da ultimo, Nigro, Commento all’art. 76, in, Testo Unico, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, cit., p. 664 ss. 23 La bibliografia sul tema è particolarmente ampia. Ci sia consentito, per tutti, il rinvio a Bonfatti, La liquidazione coatta delle banche e degli intermediari in strumenti finanziari, Milano, 1998 e Commento all’art. 80, in Commento, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio, Santoro, cit., p. 1261 ss. 22
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gato dall’art. 8, co. 12, del Decreto). Meritano particolare attenzione, in quanto di nuova introduzione nel nostro ordinamento – tanto è vero che ad essi è dedicata una specifica norma, l’art. 111 t.u.b. – i soggetti che concedono finanziamenti aventi particolari caratteristiche, quantitative (importo non superiore a 25.000 euro) e qualitative (assenza di garanzie reali, finalità consistente nell’avvio o nello sviluppo di iniziative imprenditoriali o nell’inserimento nel mercato del lavoro, presenza di servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati), «a persone fisiche o società di persone o società cooperative, per l’avvio o l’esercizio di attività di lavoro autonomo o di microimpresa». Detti soggetti possono inoltre erogare, purché in via non prevalente, finanziamenti di importo non superiore a 10.000 euro a persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica e sociale: anche in questo caso non devono sussistere garanzie reali, il finanziatore deve prestare servizi ausiliari di bilancio familiare, i finanziamenti devono essere caratterizzati da condizioni migliori rispetto a quelle prevalenti sul mercato e dallo scopo di consentire l’inclusione sociale e finanziaria del beneficiario. Per quanto concerne il regime di vigilanza, esso è alleggerito rispetto a quello proprio degli intermediari finanziari, al fine – come avverte la Relazione al Decreto – di «favorire lo sviluppo di tali soggetti che presentano un indubbio rilievo sociale e che posseggono tendenzialmente una scarsa rilevanza sistemica»: basti pensare che, in linea con la disciplina degli agenti e mediatori creditizi, non è prevista una vera e propria autorizzazione ma una mera iscrizione in un elenco. L’art. 111 t.u.b. dispone appunto che gli operatori del microcredito devono essere iscritti in un apposito elenco tenuto da un Organismo di nuova istituzione, subordinatamente alla verifica della sussistenza di determinati requisiti organizzativi (forma di società di capitali, capitale minimo iniziale, requisiti di onorabilità dei soci di controllo e rilevanti e di onorabilità e professionalità per gli esponenti aziendali), di oggetto sociale (le attività predette, oltre a quelle accessorie e strumentali) e qualitativi (presentazione di un programma di attività) 24. L’iscrizione ad una sezione separata dell’elenco dei soggetti esercitanti il microcredito – e l’esercizio delle attività elencate nell’art. 111 t.u.b. – è
Sulla disciplina dei soggetti esercitanti il microcredito v. da ultimo, Nonne, Il microcredito solidale. Profili tipologici e proposte disciplinari, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, p. 49 ss. e, per una visione d’assieme, Torchia, Il consumo di microcredito e la tutela della persona, Napoli, 2006. 24
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consentita anche a soggetti giuridici senza fini di lucro (enti no-profit, dunque, cui è espressamente riconosciuto un rilievo autonomo rispetto alla sfera di azione propria degli operatori che agiscono a scopo di lucro), purché concedano finanziamenti a condizioni più favorevoli di quelle presenti sul mercato e siano in possesso dei requisiti che verranno dettati dal MEF, sentita la Banca d’Italia: a tali Autorità è infatti devoluta l’emanazione delle disposizioni attuative dell’art. 111 t.u.b. (tra cui quelle in ordine a: requisiti dei beneficiari; forme tecniche, condizioni economiche, importo massimo dei finanziamenti; informazioni alla clientela), cui è subordinata, come meglio vedremo in seguito, l’iscrizione nell’elenco. Il nuovo art. 112 t.u.b. sostituisce implicitamente il previgente art. 155 t.u.b., disciplinando i confidi, le “casse peota” e le agenzie di prestito su pegno. Come in precedenza previsto, questi soggetti – che si caratterizzano per le loro peculiarità operative o per i loro modestissimi volumi d’affari – sono sottoposti a regole simili a quelle ora dettate per gli intermediari finanziari (confidi ed agenzie di pegno) o per gli operatori di microcredito (“casse peote”), mitigate laddove non vengano superate soglie quantitative e quindi livelli di rischio sistemico sostenibili. Particolare attenzione merita la disciplina dei confidi, che riprende pressoché integralmente quella delineata dalla legge quadro n. 326 del 2003 25. Novità interessante è la previsione di un Organismo di autoregolamentazione, al quale i confidi devono obbligatoriamente iscriversi, subordinatamente al ricorrere di requisiti di forma giuridica, patrimoniali, di oggetto sociale, di assetto proprietario, nonché di onorabilità (dei soci) e di professionalità (per gli esponenti aziendali). Laddove i confidi superino determinati volumi di attività finanziaria stabiliti dal MEF, sentita la Banca d’Italia, scatta l’obbligo di richiedere l’autorizzazione prevista dal nuovo art. 106 t.u.b. Le “casse peote” sono iscritte in una sezione separata dell’elenco previsto per gli operatori del microcredito, mentre le agenzie di prestito su pegno sono sottoposte alle disposizioni di cui all’art. 106 t.u.b., fermo
La disciplina dei confidi è stata da ultimo commentata da Boccuzzi, I confidi nel sistema finanziario italiano, in Scritti in onore di Francesco Capriglione, Padova, 2010, pp. 301-319. In argomento si veda anche Mosco, I consorzi fidi e l’intermediazione finanziaria: nuovi interventi legislativi ed esperienze europee, in Giur. comm., I, 1995, p. 550 ss. e ci sia consentito il rinvio a Greco, La nuova disciplina di vigilanza dei confidi, in Le opportunità del nuovo diritto societario per le imprese cooperative, a cura di Belli, Firenze, 2005, pp. 185-194. 25
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restando che la Banca d’Italia può escludere l’applicazione di talune disposizioni previste, in generale, per gli intermediari finanziari 26.
4. Gli Organismi di autoregolamentazione. Il Decreto si contraddistingue per il deciso rafforzamento del ruolo dell’autoregolamentazione nel settore dell’intermediazione finanziaria. Sulla scia di quanto recentemente previsto per i consulenti finanziari e le società di consulenza finanziaria di cui agli artt. 18-bis e 18-ter del t.u.f. (e prima ancora per i promotori finanziari), si assiste nel Decreto ad un proliferare di Organismi, con personalità giuridica di diritto privato ed ordinati in forma di associazione, dediti alla gestione degli elenchi cui sono iscritti confidi (art. 112-bis t.u.b.), operatori di microcredito e “casse peota” (art. 113 t.u.b.), agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi (art. 128-undecies). Gli Organismi disciplinati dagli artt. 112-bis e 113 t.u.b. sono composti da persone nominate dal MEF su proposta della Banca d’Italia, ed hanno poteri di vigilanza regolamentare (limitatamente ai profili economici dell’elenco), informativa ed ispettiva sui rispettivi iscritti. È prevista inoltre la facoltà degli Organismi di disporre la cancellazione dagli elenchi (e dalle relative sezioni separate) al ricorrere di gravi violazioni normative, del venir meno dei requisiti per l’iscrizione, per il mancato pagamento dei contributi associativi ed in caso di perdurante inattività dell’iscritto. Gli Organismi sono a loro volta vigilati dalla Banca d’Italia, mentre al MEF sono riservate le attribuzioni in materia di struttura, poteri e modalità di funzionamento degli Organismi nonché circa i requisiti, anche di professionalità ed onorabilità, ed i criteri e le modalità per la nomina e sostituzione dei loro componenti.
5. Le norme di coordinamento. Il Decreto, all’art. 8, prevede una serie di modifiche atte soprattutto a coordinare il nuovo impianto regolamentare degli intermediari finanziari con le altre norme del t.u.b. Gli interventi sono effettuati sugli artt. 58,
Sulle “casse peote” v. Santoro, L’abusivismo finanziario, in Le società finanziarie, a cura di Santoro, cit., e Greco, Gli intermediari, cit., p. 140 ss. 26
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132, 133, 137, 139, 140 e 141. È inoltre introdotto il nuovo art. 145-bis, che disciplina le procedure contenziose degli Organismi di autoregolamentazione previsti dal Decreto e sopra commentati. Tali procedure sono quelle tipiche del processo amministrativo, e vedono in primo grado la competenza del TAR della circoscrizione in cui ha sede l’Organismo e, in appello, del Consiglio di Stato. L’art. 9 del Decreto detta disposizioni di coordinamento del nuovo titolo V del t.u.b. con altri provvedimenti legislativi. Abbiamo già detto dell’importante modifica alla definizione di strumenti finanziari del t.u.f., con riferimento ai contratti differenziali su valute. Altra novità di assoluto rilievo è riportata nel co. 8, ove si dispone, modificando l’art. 199 del t.u.f., che, in attesa di una riforma organica della disciplina delle società fiduciarie e di revisione (ferma alla l. 1966/1939 ed al d.lgs. 415/1996) ed al fine «di evitare, attraverso il ricorso alle fiduciarie, fenomeni di elusione dei controlli», le società fiduciarie c.d. di gestione statica (cioè attive nella custodia ed amministrazione di valori mobiliari) sono iscritte in una sezione speciale dell’albo di cui all’art. 106 t.u.b. a condizione che siano controllate da una banca o da un intermediario finanziario ovvero che siano costituite in forma di s.p.a. con capitale versato non inferiore al doppio del minimo previsto dal codice civile (ad oggi quindi 240.000 euro). All’iscrizione consegue la sottoposizione della società fiduciaria alla vigilanza da parte della Banca d’Italia prevista per gli intermediari finanziari, con particolare riferimento alla disciplina antiriciclaggio: si segnala, al proposito, il passaggio tra i soggetti sottoposti agli obblighi semplificati di adeguata verifica ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. 231/2007. Infine, l’art. 9 prevede: 1) l’iscrizione all’albo di cui al nuovo art. 106 t.u.b. dei soggetti che prestano i servizi di riscossione dei crediti ceduti ed i servizi di cassa e di pagamento nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione di cui alla l. 130/1999; 2) la modifica di taluni richiami nella normativa di carattere fiscale relativi alle garanzie prestate dai confidi.
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La raccolta abusiva del risparmio: il ruolo della Guardia di Finanza nella tutela del mercato dei capitali *1 1. Le esperienze più recenti hanno significativamente evidenziato come il processo di espansione e di integrazione dei mercati debba essere governato da regole adeguate e sorretto da un’attenta azione di vigilanza e di law enforcement. Attualmente, come è ampiamente noto, il tessuto economico e finanziario globale è fortemente inciso dal perdurare di situazioni di crisi particolarmente gravi i cui effetti sono amplificati dai rischi di default di interi sistemi paese. Questo scenario di riferimento è stato anche caratterizzato dall’introduzione e dalla crescente disponibilità di strumenti e prodotti finanziari sempre più strutturati (e, in taluni casi, di matrice marcatamente speculativa) al cui impiego non sempre sono corrisposte – anche da parte di soggetti istituzionali – adeguate strategie di investimento. Proprio in considerazione di questa interdipendenza dei mercati di sbocco, della rilevanza degli interessi in gioco, peraltro specificatamente tutelati anche in sede costituzionale e della complessità e delicatezza delle operatività, si è pervenuti alla prefigurazione di una cornice normativa estremamente precisa ed armonizzata in tutti i suoi comparti. Il sistema si basa: –– sull’adeguata definizione e disciplina dei mercati;
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Testo dell’intervento tenuto dal Col t.ST Giampiero Ianni, Comandante del Centro Studi Economico Finanziari della Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, in occasione del Seminario di Studi organizzato dall’Università degli Studi Roma Tre – Facoltà di Giurisprudenza, sul tema “La raccolta abusiva del risparmio: problematiche di diritto bancario e tributario” in data 24 maggio 2011.
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–– sulla tipizzazione delle attività ivi esercitabili (attraverso la riserva di legge); –– sull’individuazione – attenta e puntuale – dei requisiti e dei profili soggettivi e patrimoniali dei soggetti ammessi a svolgerle; –– sulla previsione di un assetto sanzionatorio credibile ed efficace. 2. La disciplina della raccolta del risparmio costituisce un paradigma significativo di questo approccio che informa, in particolare, il t.u.b. (recentemente aggiornato dal decreto n. 141 del 2010) ed il t.u.f. per non parlare dello stesso assetto sanzionatorio, per il quale – a fattor comune – con l’art. 39 della l. n. 262 del 2005, è stata raddoppiata l’entità delle sanzioni per le violazioni alla normativa di settore. Nel dettaglio, l’art. 11 del t.u.b. prevede che la raccolta del risparmio sia configurabile come acquisizione di fondi con obbligo di rimborso – sia sotto forma di depositi che sotto altra forma – vietandone l’esercizio, quando svolta nei confronti del pubblico, ai soggetti diversi dalle banche. Il divieto fa salve le eccezioni di cui al co. 4 tra le quali ricordiamo, in particolare, gli operatori professionali quali SIM, fondi comuni di investimento e SICAV. Le attività di tale tipo, allorquando vengono esercitate da soggetti diversi da quelli abilitati, sono punite con l’arresto e l’ammenda – apparentemente, quindi, in misura minore rispetto alle altre forme di abusivismo. Purtuttavia, al di là della differente declinazione delle risposte sanzionatorie, si tratta di una violazione assai pericolosa, soprattutto se coniugata con altre condotte tipiche. Faccio qui menzione dell’illecito che la raccolta del risparmio perfeziona, attraverso il congiunto esercizio del credito, con l’abusiva attività bancaria, sanzionata, più pesantemente appunto, con la reclusione e la multa. Ma può – e deve – farsi riferimento anche a tutte quelle attività tipiche previste dalla disciplina di accesso all’esercizio delle attività di intermediazione finanziaria, mobiliare ed assicurativa. Sono, questi, segmenti che tendono fisiologicamente ad integrarsi tra di loro atteso che, come è noto, il risparmio affluisce ai canali del sistema bancario e finanziario per essere trasformato in investimento e confluire negli impieghi produttivi o solamente speculativi. Il principale profilo di rischio per il sistema si individua nell’idoneità dei comportamenti illeciti a minarne: –– il regolare funzionamento e stabilità;
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–– la credibilità; –– l’affidabilità tecnica e morale degli esponenti, quando non a concretizzare i rischi di un suo inquinamento criminale attraverso il reimpiego di proventi di provenienza illecita o l’agevolazione di gravi condotte di evasione fiscale. 3. La circuitazione – non solo normativa, quindi – che caratterizza i cc.dd. reati di accesso viene ad apprezzarsi anche alla luce delle più recenti esperienze operative della Guardia di Finanza. Gli investigatori hanno potuto appurare, anzitutto, come le condotte illecite in questione si realizzino, sovente, mediante modalità che, per convenzione espositiva, potremmo definire tecniche. Taluni, ad esempio, sono abilitati a svolgere una determinata attività ma, in realtà. ne esercitano un’altra per la quale non sono mai stati autorizzati (magari, non disponendo dei requisiti soggettivi, oggettivi e patrimoniali necessari). Ciò si verifica allorquando, ad esempio, un soggetto autorizzato dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 107 del t.u.b. e quindi iscritto all’Albo degli intermediari finanziari di cui all’art. 106, anziché limitarsi a prestare denaro, inizi a raccoglierlo tra il pubblico comportandosi, appunto, come una banca. Oppure, allorquando un soggetto autorizzato allo svolgimento dell’attività di intermediazione in cambi svolga – abusivamente ed in modo abituale e professionale – un’attività riservata esclusivamente ai soggetti autorizzati alla prestazione di servizi di investimento. Ciò, magari, adottando accorgimenti (quali il convogliare le somme raccolte su rapporti di propria diretta o indiretta pertinenza) in palese violazione del principio dell’adeguata separazione patrimoniale rispetto al denaro depositato dai propri clienti ai quali, poi, si propongono prodotti finanziari contraddistinti da profili differenziati di rischio, comunque, sprovvisti dei necessari prospetti informativi. Così come può verificarsi il caso di soggetti che, spacciandosi, per esperti in investimenti finanziari ed assicurando redditizi ritorni economici per i capitali affidatigli, raccolgono abusivamente fondi attraverso meccanismi catenari in cui il denaro acquisito viene in parte utilizzato per corrispondere gli interessi su altre somme ricevute in precedenza da altri clienti inconsapevoli. Di tutti questi casi, spesso, una connotazione tipica è proprio l’abuso del rapporto fiduciario. Il cliente tende a fidarsi e ad affidarsi ad un soggetto che conosce direttamente da tempo e che si pone – nei suoi confronti – in modo professionale, spesso solo apparentemente supportato da una struttura tecnica credibile.
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La modulistica – poi – o è assente o è artefatta e predisposta al solo fine di offrire un’impressione di professionalità e compliance normativa. Queste circostanze, unite: –– alla rilevante mobilità tra promotori che, come peraltro è noto, non possono svolgere autonomamente attività di gestione del risparmio; –– alla rapidità con cui si può passare da una situazione lecita ad una illecita lasciano scarsi margini di valutazione e di manovra al cliente, quando questo è realmente inconsapevole. 4. Altro serio profilo di criticità, sempre più ampiamente riscontrato e relativo alle forme di promozione e collocamento attraverso le tecniche di comunicazione a distanza (il cd. trading on line), è il fenomeno delle frodi informatiche. Faccio riferimento, anzitutto, ai sistemi truffaldini di raccolta del risparmio tra il pubblico o di sollecitazione all’investimento in prodotti non autorizzati che le possibilità offerte dalla rete internet hanno finito per agevolare consentendo l’occultamento della reale identità degli autori degli illeciti. Inoltre, le più recenti esperienze investigative hanno consentito di riscontrare non solo un crescente numero di furti di identità elettronica (cd. fishing) da parte di hackers informatici ma anche casi di condotte – di tipo analogo – poste in essere da intermediari o funzionari scorretti che, carpendo i codici di accesso dei clienti, operano autonomamente sui rapporti a questi intestati. 5. Spesso, le indagini sulle modalità e sui contesti di attuazione di questi reati hanno consentito di rilevarne anche la strumentalità alla commissione di ulteriori reati economici e finanziari. Si va, in questo caso: –– dalla truffa al riciclaggio; –– dall’usura al finanziamento del terrorismo; –– quando non all’evasione fiscale internazionale, favorendo la costituzione di disponibilità sottratte a tassazione presso paradisi fiscali. Come fatto cenno in premessa, è particolarmente necessario, perciò, disporre di un credibile sistema di law enforcement che faccia perno su un’adeguata azione di vigilanza da parte delle Autorità preposte ma, anche e soprattutto, su efficaci capacità di indagine e repressione dei reati. La Guardia di Finanza, proprio in ragione delle proprie tradizionali prerogative e competenze specialistiche, svolge questo ruolo in qualità di polizia economico finanziaria.
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Tale ruolo, asseverato dal d.lgs. n. 68/2001, attuativo della delega dalla l. n. 78/2000 in materia di riordino delle forze di polizia, fa sì che il Corpo si ponga come l’organo investigativo espressamente preposto alla tutela del mercato dei capitali. In questo comparto, i militari della Guardia di Finanza possono operare: –– come organo di polizia giudiziaria – svolgendo le indagini di iniziativa o su delega del Pubblico Ministero; –– autonomamente o su richiesta delle Authorities, utilizzando poteri amministrativi – sia di tipo, potremmo dire, tradizionale (quali quelli richiamati dal menzionato Decreto n. 68 e dalla normativa tributaria) sia di tipo speciale (quale quelli disciplinati dalla normativa valutaria, antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo). Al di fuori delle indagini di polizia giudiziaria, il Corpo declina la propria azione di intervento attraverso: –– l’approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo; –– l’esecuzione delle ispezioni antiriciclaggio; –– la collaborazione con le Autorità di Vigilanza (come, ad esempio, quella prevista con la CONSOB in materia di abusi di mercato). Sia attraverso le prime (sviluppate dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria e da questo delegabili ai reparti territoriali), sia attraverso le attività ispettive (effettuabili dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria o dai Nuclei di Polizia Tributaria nei confronti, tra gli altri, degli intermediari finanziari di cui all’art. n. 106 del Testo Unico Bancario, dei professionisti, dei commercianti di cose preziose, delle società di trasporto valori), possono essere individuate situazioni di abusivismo che – a loro volta – si prestano sovente ad essere ricondotte a contesti istruttori più ampi e strutturati. 6. L’attuale cornice normativa, come noto, è data, per gli aspetti procedurali, dal d.lgs. n. 231/2007 attraverso cui, unitamente al d.lgs. 109/2007, è stata recepita la III Direttiva Europea in materia di contrasto al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo. In particolare, per quanto concerne le metodologie operative, si fa riferimento: –– all’art. 47, circa l’approfondimento delle segnalazioni sospette; –– all’art. 53, circa l’esecuzione delle ispezioni valutarie o antiriciclaggio (qui denominate controlli). Per le prerogative connesse al loro espletamento, occorre, invece, far riferimento agli artt. 8, co. 4 (Accesso all’anagrafe tributaria e poteri di
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polizia valutaria), 9, co. 3 e co. 4 (Scambio di informazioni), 45, co. 3 e co. 4 (Richiesta di ulteriori informazioni al segnalante). Per quanto concerne, in particolare, i poteri di polizia valutaria, essi sono disciplinati dal d.P.R. n. 148/1988 che autorizza gli appartenenti al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria: –– ad effettuare ispezioni presso aziende e istituti di credito o altri soggetti, presso i quali si abbia ragione di ritenere che esista documentazione rilevante, in luoghi diversi dalle dimore private; –– a richiedere l’esibizione di libri contabili, documenti e corrispondenza e ad estrarne copia; –– a sentire in atti i soggetti sottoposti ad accertamenti; –– ad esercitare i più ampi poteri di accesso, ispezione e verifica previsti dalla normativa tributaria. 7. Ho fatto cenno, prima, a come sia la normativa antiriciclaggio che quella di contrasto al finanziamento del terrorismo rilevino per la loro matrice unitaria che è il portato dell’armonizzazione delle fonti preesistenti (l. 197/1991 e successive modificazioni, l. 431/2001 e l. 438/2001) favorita dal recepimento della Direttiva europea del 2005. In particolare, proprio con riferimento al finanziamento del terrorismo, giova rilevare come tra i suoi principali canali di alimentazione rientrino proprio le cosiddette attività di money transfer che, come tipologia operativa, dovrebbero ricondursi al genus delle attività di raccolta e trasferimento fondi, a loro volta rientranti nelle prestazioni di servizi di pagamento di cui all’art. 114 – sexies t.u.b. Attraverso questi circuiti bancari informali viene effettuata la spedizione, da una parte all’altra del globo, di provviste anche – singolarmente – di non rilevante entità a fronte dell’applicazione di una provvigione sull’importo spedito e della richiesta di informazioni o documentazione giustificativa diversa da quelle formulate dal sistema bancario. Poiché si è notato che a questi circuiti si rivolgono soggetti appartenenti ad etnìe nel cui ambito potrebbero celarsi persone contigue alle reti del terrorismo internazionale, nel corso dei controlli verrà verificato: –– il possesso, da parte dei titolari degli esercizi, dei prescritti requisiti di onorabilità; –– il rispetto delle disposizioni contenute nel pacchetto sicurezza – di cui al d.l. 187/2010; –– l’eventuale avvenuta spedizione di denari da parte o a favore di persone presenti nelle Watch Lists dei soggetti collegati ad organizzazioni terroristiche (e nei cui confronti potrà attuarsi il conge-
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lamento delle disponibilità economiche e finanziarie ai sensi del d.lgs. 109/2007). La declinazione operativa è data, anzitutto, dalle ispezioni valutarie (rectius controlli) richieste dal C.A.S.A. (Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo) in forza del combinato disposto di cui: –– all’art. 53 del d.lgs. 231/2007; –– al decreto del Ministro dell’Interno del 6 maggio 2004 istitutivo dell’organismo. Oltre all’attività di cui sopra, i reparti della Guardia di Finanza danno – periodicamente ed autonomamente – esecuzione, sull’intero territorio nazionale, a progettualità elaborate e coordinate dal Nucleo Valutario e finalizzate alla verifica di aspetti o profili di volta in volta indicati. Nel corso dei controlli ispettivi, i militari della Guardia di Finanza, operando attraverso i poteri di polizia valutaria, effettuano: –– il riscontro del rispetto degli obblighi antiriciclaggio (identificazione, registrazione e segnalazione e formazione del personale preposto); –– l’individuazione delle situazioni di abusivismo, attraverso la verifica: • della tipologia dell’attività effettivamente svolta (come desumibile dalle risultanze informative e documentali acquisite al controllo, dall’oggetto sociale e dallo statuto); • dell’avvenuta richiesta di autorizzazione ad operare alla Banca d’Italia; • del rilascio della stessa con l’iscrizione all’Albo di cui all’art. 106 del t.u.b. 8. Per quanto, invece, riguarda l’approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette, giova innanzitutto evidenziare che esso costituisce attività fondamentale nel tracciamento dei flussi economico-finanziari (ergo di “fondi” ovvero di “risorse economiche”) oltre che di tutti quegli “…atti che abbiano contenuto economico-patrimoniale e che siano modificativi della situazione giuridica preesistente”, come previsto dall’art. 12 del decreto. Perché parlando di segnalazioni di operazioni sospette facciamo riferimento al “concetto di tracciamento” e non, ad esempio, a quello di report di una “presunta violazione” (pur considerandone il contenuto ormai sempre più qualificato sotto il profilo dell’utilità investigativa)? Perché la normativa di settore subordina questa fondamentale forma di espletamento degli obblighi di collaborazione attiva all’insorgenza, nell’operatore, di meri elementi di sospetto. Ne consegue che la segnalazione di operazione sospetta: –– da un lato, deve essere inoltrata all’emergere di elementi precisi di rischio, così come rilevabili rispetto alla griglia degli indici di ano-
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malia codificati dalla Banca di Italia o dal Ministero della Giustizia (per i professionisti) piuttosto che dalla specifica analisi fondata sull’approccio basato sul rischio di cui all’art. 20 del decreto; –– dall’altro, all’atto della lavorazione e/o dell’approfondimento investigativo da parte della Guardia di Finanza (o della Direzione Investigativa Antimafia, allorquando direttamente riconducibile a contesti istruttori instaurati in relazione a situazioni di criminalità organizzata), potrebbe anche non portare all’emersione di estremi di violazione, amministrativa o penale che sia. Questa previsione d’altronde, insieme alla canalizzazione dei flussi finanziari, all’adeguata conoscenza della clientela ed alla registrazione dei rapporti e delle movimentazioni, connota ancora oggi, la matrice fortemente preventiva della normativa in materia, Torno, comunque, ad evidenziare come – attraverso il suo sviluppo investigativo – la segnalazione di operazione sospetta possa consentire di pervenire alla scoperta tanto di condotte gravi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, quanto di truffe o violazioni penali c.d. sentinella ovvero “prodromiche” (come appunto tutte le forme di abusivismo, l’usura) nonché di situazioni più o meno articolate di evasione fiscale. Non va dimenticata, infatti, la suscettibilità proprio dei reati tributari più gravi di integrare il presupposto per condotte illecite di cui agli artt. 648 - bis o ter c.p. 9. Una riflessione particolare va fatta, infine, sulle indagini finanziarie. Ordinariamente, come noto, il segreto bancario è derogabile tanto nell’alveo penale che in quello amministrativo. Nel primo caso, sarà necessaria l’autorizzazione del magistrato con le limitazioni insite nell’atto di delega e connesse alle esigenze istruttorie. Nel secondo caso, allorquando ci si muova in ambito tributario, sarà necessaria la motivata autorizzazione – per la Guardia di Finanza – del Comandante Regionale; autorizzazione richiesta ed eventualmente concessa verifica fiscale durante e limitatamente all’attività economica ispezionata ed ai suoi esponenti. In materia di antiriciclaggio, esiste, invece, la possibilità di un più vasto ed agevole utilizzo dello strumento. Innanzitutto, il citato art. 8 del d.lgs. n. 231/2007 prevede che, sia il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria che la Direzione Investigativa Antimafia, per l’approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette, si avvalgano dei dati contenuti nell’Archivio dei rapporti finanziari istituito nell’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria.
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Giampiero Ianni
Questa previsione semplifica e snellisce i tempi delle indagini in quanto abilita il Comandante del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, ed i militari da lui designati in fase di pre-analisi, ad interrogare direttamente l’archivio dei conti e delle operazioni prima di investire – dell’attività di approfondimento investigativo – le unità dipendenti o i reparti esterni. L’art. 45, invece, riconosce, alla Guardia di Finanza, la facoltà di richiedere, al soggetto che ha effettuato la segnalazione sospetta, ulteriori informazioni e dati ai fini dell’analisi e dell’approfondimento investigativo. Nello specifico, sono previste tre distinte procedure. Se la segnalazione è stata effettuata: –– da intermediari finanziari e/o da società di revisione, le informazioni vengono richieste direttamente a questi ultimi; –– dagli ordini professionali, la richiesta di notizie è inoltrata all’ordine competente; –– da un professionista che non si avvale del proprio ordine di appartenenza nonché dai soggetti iscritti nel registro dei revisori contabili, le informazioni vengono richieste direttamente al segnalante adottando adeguate misure atte ad assicurarne la riservatezza dell’identità. Per quanto concerne l’acquisizione dei dati relativi alla posizione bancaria e/o finanziaria dei soggetti investigati, la richiesta di ulteriori notizie avviene – giova ripeterlo – senza necessità di autorizzazioni di sorta. 10. Concludendo, per dare un’idea generale della rilevanza che questo tipo di attività di indagine ha nella lotta al crimine economico, si pensi che nel 2010, una volta approfondite dalla Guardia di Finanza, 4.712 segnalazioni di operazioni sospette sono confluite in procedimenti penali già incardinati ovvero hanno permesso di instaurare nuovi procedimenti penali per casi di usura, riciclaggio, estorsione, abusivismo finanziario, frode fiscale e truffa. Con riferimento alle ispezioni valutarie, nel corso dello stesso anno, la Guardia di Finanza ha svolto 41 ispezioni nei confronti di intermediari finanziari non bancari, 16 nei confronti di mediatori e 370 su agenti in attività finanziarie, ed a sequestri di beni e disponibilità per 159 milioni di euro. Con specifico riferimento al tema dell’odierna discussione, l’azione di controllo ha portato alla denuncia di 1261 soggetti per abusivismo e frodi finanziarie.
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Documenti e informazioni
Sottolineo che tutte le attività di indagine ed ispettive di cui si è parlato sono suscettibili di consentire l’accertamento anche di fattispecie di market abuse. Mi riferisco ai reati di insider trading e di manipolazione del mercato, per la cui individuazione e perseguimento il t.u.f. prevede che la Consob si avvalga della collaborazione della Guardia di Finanza (art. 187 – octies, co. 12 t.u.f. – introdotto con la l. 62/2005 in recepimento della Direttiva europea sugli abusi di mercato 2003/6/CE). Tale collaborazione è stata poi disciplinata da un apposito protocollo d’intesa stipulato tra i due enti in data 18 maggio 2006. Infine gli esiti investigativi scaturenti soprattutto dall’approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette, possono portare alla scoperta di reati riconducibili al segmento della tutela del mercato dei beni e servizi, quali quelli di turbata libertà dell’industria o del commercio, di illecita concorrenza con minaccia o violenza, corruzione o di infedeltà patrimoniale. Questo, ritengo, costituisce la più evidente attestazione dell’intrinseca trasversalità che caratterizza i comparti e le tematiche oggetto di disamina.
Giampiero Ianni
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INDICI DELL’ANNATA PARTE SECONDA
LEGISLAZIONE Agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi - D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 - Attivazione della Direttiva 2008/48/CE, nonché modifiche al D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, tit. V, recante la disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario. Le nuove regole per agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi introdotte dal d.lgs. n. 141/2010: primi appunti, di Franco Belli – Ciro Corvese Regolamento 24 settembre 2010, n. 1093, del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, che istituisce l’Autorità bancaria europea Le Autorità di vigilanza finanziaria dell’Unione, di Raffaele D’ambrosio
Modifiche al t.u. bancario – D.lgs. 30 settembre 2010, n. 239, recante attuazione della direttiva 2009/111/CE riguardante gli enti creditizi collegati ad organismi centrali, taluni elementi dei fondi propri, i grandi fidi, i meccanismi di vigilanza e la gestione delle crisi, con osservazioni di Francesco Mazzini Le disposizioni correttive apportate dal d.lgs. n. 141/2010 – D.lgs. 14 dicembre 2010, n. 218, recante modifiche ed integrazioni al d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, con osservazioni di Francesco Mazzini La nuova disciplina degli intermediari finanziari – D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, tit. V, recante la disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, come modificato dal d.lgs. n. 141/2010 e dal d.lgs. n. 218/2010 Prime riflessioni sulla riforma degli intermediari finanziari, di Gian Luca Greco
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DOCUMENTI E INFORMAZIONI Profili giuridici dei covered bonds, la “nuova stella” del mercato della ABS, di Antonella Brozzetti La raccolta abusiva del risparmio: il ruolo della Guardia di Finanza nella tutela del mercato dei capitali, di Giampiero Ianni
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NORME REDAZIONALI
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …
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4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.
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legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)
l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.
2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.
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Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista del notariato Riv. not. Rivista della cooperazione Riv. coop. Rivista di diritto civile Riv. dir. civ. Rivista del diritto commerciale Riv. dir. comm. Rivista di diritto internazionale Riv. dir. internaz. Rivista di diritto privato Riv. dir. priv. Rivista di diritto processuale Riv. dir. proc. Rivista di diritto pubblico Riv. dir. pubbl. Rivista italiana del leasing Riv. it. leasing Rivista delle società Riv. soc. Rivista giuridica sarda Riv. giur. sarda Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Riv. trim. dir. proc. civ. Vita notarile Vita not.
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IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze e, successivamente, gli estratti.
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