Diritti della banca e del mercato finanziario 4/2013

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ISSN 1722-8360

di particolare interesse in questo fascicolo

Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

4/2013

Saggi

• Revocatoria fallimentare delle rimesse • Vigilanza bancaria e tutela del consumatore • Crisi bancarie e diritto comunitario • Misure a sostegno delle start-up innovative

ottobre-dicembre

4/2013 anno xxvii

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ottobre-dicembre

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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è coordinato dal prof. Vittorio Santoro. Nell’anno 2013, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Elisabetta Bertacchini, Concetta Brescia Morra, Paolo Efisio Corrias, Cinzia Motti, Stefania Pacchi, Stefano Pagliantini, Antonio Piras, Marilena Rispoli Farina, Michele Sandulli, Antonella Sciarrone Alibrandi, Maurizio Sciuto, Giuseppe Terranova, Enrico Tonelli, Francesco Vella.


Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria

Comitato di direzione Carlo Angelici, Sido Bonfatti, Mario Bussoletti, Gino Cavalli, Salvatore Maccarone, Fabrizio Maimeri, Alessandro Nigro, Mario Porzio, Ángel Rojo, Vittorio Santoro, Luigi Carlo Ubertazzi. Comitato di redazione Antonella Brozzetti, Vincenzo Caridi, Ciro G. Corvese, Giovanni Falcone, Elisabetta Massone, Francesco Mazzini, Donato Ivano Pace, Filippo Parrella, Gennaro Rotondo. Segreteria di redazione Daniele Vattermoli Direttore responsabile Alessandro Nigro La sede della rivista è presso la Segreteria del Ce.Di.B. Corso Vittorio Emanuele II, 173 - 00186 Roma L’amministrazione è presso: Pacini Editore SpA Via Gherardesca - 56121 Ospedaletto - Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it - info@pacinieditore.it

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Sommario 4/2013

PARTE PRIMA Saggi Legittimazione passiva alla revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente nella circolazione delle aziende bancarie, di Federico Martorano Una via “italiana” agli IAS?, di Mario Bussoletti Il controllo amministrativo delle clausole dei contratti bancari: vecchie questioni e nuove prospettive, di Fabrizio Maimeri Vigilanza bancaria e tutela del consumatore: obiettivi e strumenti, di Giuseppe Carriero

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» 565 » 577

Dibattiti Crisi bancarie e diritto comunitario – Incontro di studio del 20 giugno 2013, con interventi di Sabino Fortunato, Enrico Galanti, Raffaele Lener, Salvatore Maccarone, Alessandro Nigro, Daniele Vattermoli

» 601

Miti e realtà Le leggi di Murphy

» 673

Autori

» 677

Indici dell’annata - Parte prima

» 679


PARTE seconda Legislazione Misure a sostegno dell’impresa start-up innovativa – D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni nella l. 17 dicembre 2012, n. 221 e successivamente ulteriormente modificato dall’art. 9, co. 6 e 16-bis del d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito anch’esso con modificazioni nella l. 9 agosto 2013, n. 99); Consob, delibera 26 giugno 2013, n. 18592 – Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start up innovative tramite portali on line, con osservazioni di Vincenzo Caridi

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Documenti e informazioni Risanamento e risoluzione delle crisi degli entri creditizi – Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti crediti e delle imprese e che modifica le direttive del Consiglio 77/91/CEE e 82/891/ CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/ Ce e 2011/35/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010 – Relazione; Parere della Banca Centrale Europea del 29 novembre 2012 in merito alla proposta di direttiva, con nota redazionale

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Indici dell’annata - Parte seconda

» 237

Norme

» 239

redazionali


PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ



saggi

Legittimazione passiva alla revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente nella circolazione delle aziende bancarie* Sommario: 1.Perdurante attualità del problema. – 2. La specialità della disciplina di settore sulla sorte della debitoria pregressa al trasferimento dell’azienda. – 3. Riferibilità della disciplina ai soli rapporti esterni. – 4. L’applicabilità della limitazione della responsabilità del cessionario di cui all’art. 2560, co. 2, c.c. – 5. Il preteso contrasto della legittimazione passiva del cessionario dell’azienda bancaria all’azione revocatoria con: a) il requisito della inerenza del debito all’esercizio dell’impresa. – 6. Segue: b) l’esigibilità immediata della debitoria pregressa. – 7. Segue: c) la natura costitutiva della sentenza di revocatoria. – 8. Rilevanza della pendenza o meno del giudizio al momento del trasferimento dell’azienda. – 9. L’accollo volontario globale della debitoria pregressa.

1. Perdurante attualità del problema. Due decisioni relativamente recenti e di senso diametralmente opposto, rese, per giunta, dal medesimo ufficio giudiziario1, testimoniano come il problema della individuazione del soggetto passivamente legittimato rispetto all’azione revocatoria fallimentare delle rimesse in conto

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Il presente scritto è destinato agli Studi in onore di Pietro Abbadessa.

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Cfr. App. Napoli, 4.1.2010, così massimata: «In caso di cessione di azienda bancaria si applica la disposizione generale in tema di cessione di azienda ricavabile dal codice civile secondo cui l’alienante non è liberato dai debiti inerenti l’azienda ceduta anteriori al trasferimento, con la conseguenza che legittimato passivo all’azione revocatoria è il cedente e non il cessionario» e App. Napoli, 8.2.2012, così massimata: «In caso di cessione di azienda bancaria sussiste la legittimazione passiva della cessionaria anche rispetto alle azioni revocatorie fallimentari in quanto la dichiarazione di fallimento fa sorgere il diritto potestativo all’esercizio dell’azione revocatoria con riferimento al conto estinto originando una situazione giuridica passiva che si trasferisce ipso jure al cessionario del rapporto bancario originario, salva esclusione espressa»; entrambe in Dir. fall., 2013, II, 81.

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corrente effettuate anteriormente2 al trasferimento di azienda bancaria o di un suo ramo3 sia ben lungi dall’aver trovato una sua appagante soluzione se tornano puntualmente a proporsi, ed a contrapporsi, gli argomenti sui quali sia la giurisprudenza che la dottrina si sono da oltre un ventennio divisi. Come è noto, l’opzione è tra una permanente legittimazione esclusiva della banca cedente4 (sia la proposizione della domanda anteriore

2 La precisazione è importante atteso che, laddove il fallimento sia intervenuto successivamente alla cessione dell’azienda, e, quindi, il rapporto di conto corrente fosse in essere a tale momento, non vi può essere alcun dubbio sulla legittimazione esclusiva della banca cessionaria rispetto all’azione revocatoria delle rimesse effettuate in periodo sospetto, anche se anteriori al trasferimento dell’azienda. Per vero, nonostante la formula equivoca dell’art. 58 co. 6 che parla di «contratti ceduti» (formula che sembrerebbe alludere ad una cessione volontaria) deve ritenersi in subiecta materia applicabile l’art. 2558 c.c. che configura il subentro dell’acquirente nei contratti in corso di esecuzione come conseguenza naturale del trasferimento di azienda. Subentro che assume carattere globale, inerendo all’intero rapporto contrattuale, e, pertanto, inclusivo non solo delle posizioni sostanziali di diritto ed obbligo corrispettivi, ma, altresì, di tutte le posizioni di potere o di soggezione connesse, compresa la possibilità di chiedere o subire, rispettivamente, l’annullamento, la risoluzione o la rescissione del contratto e di sollevare le eccezioni inerenti la sua efficacia o la sua esecuzione. Cfr. Auletta, Azienda, in Enc. giur., 3.1; Martorano, L’azienda, in Tratt. Buonocore, Torino, 2010, p. 139 ed ivi ult. riff. 3 È da tener presente che,nella vigenza dell’art. 54 t.u.b. che disciplinava «la sostituzione di un’azienda di credito ad un’altra nell’esercizio di una singola sede o filiale» (praticamente di un ramo di un’azienda bancaria) era dubbio che la disciplina ivi dettata si potesse applicare alla cessione dell’intera azienda. Cfr. anche per riff. Portale, Sostituzione di un’azienda di credito ad un’altra nell’esercizio di una singola sede o filiale e responsabilità per i debiti da revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente,in Banca, borsa, tit. cred., 1989, I, p. 12. Per l’applicazione dell’art. 58 del t.u.b. anche all’ipotesi di attribuzione dell’azienda bancaria o di un suo ramo in sede di scissione v. Chiomenti, Cessione di prestito obbligazionario fra banche e scissione fra banche comprensiva di un cessione di prestito obbligazionario: sulla portata dell’art. 58 del T.U. bancario (una proposta di inquadramento), in Riv. dir. comm., 2000, I, p. 10 ss. 4 Così Portale, Sostituzione, cit., p. 15 ss.; Maimeri, Cessione di azienda bancaria e revocatoria fallimentare, in Banca, borsa, tit. cred., 1990, II, p. 391 ss.; Jorio - Ambrosini, Cessione di azienda bancaria e responsabilità per i debiti derivanti da zioni revocatorie di rimesse in conto corrente, in Giur. it., 2002, p. 1535 ss.; Tommasini, Conferimento di azienda bancaria e debito da revocatoria, in Riv. dir. civ., 2002, II, p. 421 ss.; Navarra, I trasferimenti di azienda bancaria ex art. 58 t.u.b.: ancora in merito alla legittimazione passiva in caso di revocatoria, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, II, p. 786 ss.; Attanasio, Cessione di azienda bancaria e legittimazione passiva in relazione ai debiti da revocatoria fallimentare in Dir. fall, 2013, II, p. 92, e in giurisprudenza, oltre che la già citata App. Napoli, 4 gennaio 2010, cfr. Trib. Milano, 8 giugno 2000, in Dir. fall., 2001, II, 999; Trib.

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o posteriore alla cessione), cui il rapporto processuale resta totalmente “indifferente”5, ed una legittimazione della banca cedente limitatamente alla domanda proposta anteriormente alla cessione, salva l’efficacia della sentenza nei confronti del cessionario ex art. 2909 c.c.6, mentre quella proposta successivamente riguarderebbe unicamente quest’ultimo7. Il perpetuarsi di questo netto contrasto di opinioni, rispecchiato dalle sentenze citate in epigrafe, sembra doversi ricondurre ad un’opposta considerazione della disciplina di settore sulla circolazione dell’azienda bancaria rispetto a quella generale contenuta nel codice civile, segnatamente sotto il profilo della responsabilità del cessionario per la debitoria pregressa. Più precisamente, tra una riconduzione della stessa nell’alveo della tutela offerta all’acquirente dal codice civile, che la lega alla sua concretizzazione consacrata nelle scritture contabili obbligatorie, ed un suo totale distacco nell’ottica di una disciplina di settore eccezionale e totalmente autosufficiente. Ci è sembrato, quindi, più opportuno tentare un diverso approccio che miri a contenere le deroghe alla disciplina generale sulla circolazione dell’azienda contenute nel testo unico bancario (t.u.b.) nell’ambito della specialità della fattispecie, senza incidere sul tasso di tutela del cessionario assicurato dalla disciplina civilistica. La priorità che le questioni di rito hanno rispetto al merito delle vertenze ha portato le pronunce giudiziali in materia ad esprimersi in termini di riconoscimento o diniego della legittimazione della banca cedente o di quella cessionaria ad essere parte del giudizio, ma, per la connessione necessaria, più volte ribadito in dottrina, tra legittimazione processuale e titolarità del rapporto controverso, eccezione fatta per le

Venezia, 17 maggio 2000, in Riv. dir. civ., 2002, II, 421; Trib. Reggio Emilia, 14 maggio 2003, in Il fallimento, 2004, p. 231. 5 L’avverbio sottolinea l’inapplicabilità del subentro del cessionario nel diritto controverso e dell’estromissione del cedente di cui all’art. 111 c.p.c. 6 Esclusa da coloro che riconoscono una legittimazione esclusiva della banca cedente. Cfr. in particolare Portale, Sostituzione, cit., p. 14: «anche nel caso di proposizione dell’ azione revocatoria prima del momento della cessione l’eventuale debito di restituzione nei confronti del fallimento continuerà a gravare sulla banca cedente». 7 Cfr. Schiavon, Fusione per incorporazione, cessione di azienda bancaria e azione revocatoria fallimentare, in Le società, 2001, p. 1248 ss.; Schiera, Cessione di azienda bancaria e posizioni giuridiche connesse, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, II, p. 45 ss.; e in giurisprudenza, oltre la già citata App. Napoli, 8 febbraio 2012, cfr. Trib. Milano, 29 gennaio 2001, in Le società, 2001, 1245, Trib. Torino, 4 luglio 2006, in Giur. it., 2007, 1178; Trib. Venezia, 17 maggio 2000, in Riv. dir. civ., 2002, II, 421.

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ipotesi tassative di sostituzione di cui all’art. 81 c.p.c.8, l’interrogativo di fondo è se con la cessione dell’azienda bancaria si trasferisca a carico del cessionario anche la debitoria derivante dall’esercizio di azione revocatoria fallimentare delle rimesse effettuate anteriormente alla cessione nell’ambito di rapporti di conto corrente intrattenuti con la banca cedente.

2. La specialità della disciplina di settore sulla sorte della debitoria pregressa al trasferimento dell’azienda. Il problema non si pone neppure nella cessione di aziende non bancarie, per le quali il codice civile contempla una disciplina articolata della sorte del cd. patrimonio aziendale, che, per quanto concerne le posizione debitorie cd. “pure”, cioè non collegate ad una prestazione ineseguita9, è regolata dal disposto dell’art. 1260, co. 2, c.c. che, nei rapporti esterni10, prevede un accollo cumulativo ex lege, a carico

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V. da ultimo Colesanti, Divagazioni processuali: in tema di dichiarazioni di garanzia e legittimazione all’indennizzo nella vendita di pacchetti azionari, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, I, p. 132 ss. 9 Sulla ricomprensione nella disciplina di cui all’art. 2560 c.c. anche dei debiti residui da contratti eseguiti da una sola parte v. Cilento, In tema di successione dell’affittuario nei contratti relativi all’esercizio dell’azienda, in Nuova giur. civ. comm., 1997, p. 213 ss.; Minneci, Imputazione e responsabilità in ordine ai debiti dell’azienda ceduta, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, p. 7; Recinto, Trasferimento di azienda e sorte dei contratti unilaterali o bilaterali eseguiti ex uno latere, in Riv. dir. civ., p. 607 ss.; contra, per l’applicazione dell’art. 2558 c.c., Santini, Cessione di contratto unilaterale o bilaterale eseguito ex uno latere, in Studi in memoria di Tullio Ascarelli, IV, Milano, 1969, p. 1968 ss. 10 Sulla neutralità dell’art. 2560 c.c. rispetto al profilo interno dell’accollo dei debiti aziendali, lasciato totalmente alla scelta dell’autonomia privata v. Presti - Rescigno, Corso di diritto commerciale, I, Bologna, 2004, p. 55; Mangini, L’azienda, in AA.VV. Diritto commerciale2, Bologna, 1995, p. 53; G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 1 Diritto dell’impresa7, a cura di M. Campobasso, p. 157 ss.; Colombo, L’azienda, in Tratt. dir. comm. dir pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, 1979, p. 136 ss.; Tedeschi, Le disposizioni generali sull’azienda, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, 1985, p. 54; Perrino, La cessione in blocco nella liquidazione coatta bancaria, Torino, 2005, p. 61 ss.; Minneci, Trasferimento di azienda e regime dei debiti, Torino, 2007, p. 49 ss.; Minneci, Imputazione, cit. p.1 9 ss.; Centonze, Assegnazione patrimoniale e disciplina dell’azienda nella scissione di società, Milano, 2013, p. 231 ss.; e in giurisprudenza Trib. Milano, 27 giugno 2007, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, 1. Contra, per l’accollo interno della debitoria pregressa come effetto naturale della cessione di azienda Di Sabato, Istituzioni di diritto commerciale2, Milano, 2004, p. 32;

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dell’acquirente, della debitoria risultante dalle scritture contabili obbligatorie11. Il che esclude ogni dubbio sulla legittimazione esclusiva del cedente rispetto alle azioni revocatorie dei pagamenti in corso all’atto della cessione12 o proposte successivamente, difettando la condizione essenziale, non surrogabile dalla conoscenza aliunde13, della risultanza del debito di restituzione dalle scritture contabili obbligatorie, non potendo l’iscrizione della relativa posta intervenire se non a seguito di una sentenza di condanna, e dando luogo la pendenza della relativa controversia solo, eventualmente, all’accantonamento prudenziale di un fondo rischi. La questione si pone invece per la circolazione delle aziende bancarie attesa la presenza di una disciplina di settore, largamente derogativa rispetto a quella del c.c.14, contenuta nell’art. 58 del t.u.b. sotto la rubrica, estremamente generica, di “cessione di rapporti giuridici”, ma più adeguatamente circoscritta dai co. 1 e 7 alla cessione di aziende, rami di azienda, beni o rapporti giuridici individuabili in blocco a favore di banche o di soggetti iscritti nell’albo della Vigilanza consolidata di cui agli artt. 65 e 109 t.u.b., ovvero degli intermediari finanziari previsti dall’art. 106.

Olivieri, I conferimenti in natura nella società per azioni, Padova, 1989, p. 437 ss.; Miola, I conferimenti in natura, in Tratt. soc. per az, diretto da Colombo e Portale, I, 3, Torino, 2004, p. 183. Per un accollo interno limitato ai debiti risultanti dalle scritture contabili obbligatorie v. Corsi, Diritto dell’impresa2, Milano, 2003; per la critica v. Martorano, L’azienda, cit., p. 218 ss. 11 Sulla fonte puramente legale della responsabilità del cessionario ex art. 2560, co. 2 c.c., v. Minneci, Trasferimento, cit., p. 115 ss.; Presti – Rescigno, Corso, cit., p. 56; Bonfante - Cottino, L’imprenditore, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, 2001, p. 645; Auletta, Azienda, cit., 4.2; Tedeschi, Le disposizioni, cit., p. 54. 12 Cfr. Navarra, I trasferimenti, cit., p. 789. Per l’inapplicabilità dell’art. 111 c.p.c. ai processi in corso relativi alla debitoria pregressa in caso di alienazione di azienda v. Guaccero, Conferimento di azienda bancaria e successione processuale: le vicende dell’impresa, in Riv. soc., 1999, p. 1033 ss. 13 Pettiti, Il trasferimento volontario di azienda, Napoli, 1975, p. 92 ss.; Colombo, L’azienda, cit., p. 157; Cass., 20 giugno 2006, n. 8373; Cass., 9 marzo 2006, n. 5123. Per l’equiparabilità all’annotazione nelle scritture contabili obbligatorie della risultanza del debito da eventuale elenco delle passività allegato al contratto di cessione depositato presso il Registro delle imprese v. Minneci, Trasferimento, cit., p. 142. 14 Cfr. Portale, Sostituzione, cit., p. 2 ss. Maimeri, Cessione, cit., p. 393; Tommasini, Conferimento, cit., p. 436 ss.; Schiavon, Fusione, cit., p. 1250 ss.; Jorio - Ambrosini, Cessione, cit., p. 1535; Navarra, I trasferimenti, cit., p. 789.

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Tale disciplina, per il profilo che qui interessa, ossia per la debitoria “pura” in essere all’atto della cessione, prevede (co. 5) una responsabilità solidale del cedente e del cessionario temporalmente limitata al periodo di tre mesi dalla pubblicità dell’avvenuta cessione, scaduti i quali i creditori possono contare solo su quella del cessionario. L’eccezionale deroga al principio che subordina la liberazione dell’accollato al consenso dei creditori, sancito nell’art. 1273 c.c. e ribadito nell’art. 2560 c.c.15, è accompagnata dalla facoltà, riconosciuta al ceto creditorio, di chiedere, sia pure nel limitato lasso di tempo sopra indicato, l’adempimento non solo delle obbligazioni scadute o esigibili a vista, ma anche di quelle non ancora scadute, in altrettanto vistosa deroga al diritto comune che àncora a rigorosi presupposti la decadenza del debitore dal beneficio del termine. Per vero, anche se la norma allude, letteralmente, alla facoltà di chiedere “l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione”, espressione nella quale potrebbe scorgersi un rinvio alla disciplina generale del codice civile, la contraria interpretazione è suggerita dalla aliunde inutilità della disposizione, che si limiterebbe ad impedire un effetto ovvio della cessione di azienda, ossia la responsabilità solidale di cedente e cessionario16. L’eccezionale scissione della esigibilità dell’obbligazione dalla sua scadenza, apparentemente contraddittoria a quella istituzionale solvibilità dell’acquirente nella quale si è ravvisato il fondamento della portata liberatoria dell’accollo sancito dalla stessa norma17, appare giustificata, più che dall’intento di offrire ai creditori una sorta di “compenso” alla perdita della responsabilità del cedente, dall’interesse di “settore” ad una sollecita definizione dei rapporti tra cedenti e cessionari separando nettamente le rispettive vicende patrimoniali18 e, segnatamente, delle azioni di rivalsa che la banca cedente può esercitare nei confronti del cessionario

15 Sul parallelismo tra l’art. 2560, co. 1 c.c. e l’art. 1273, co. 1 c.c. Martorano, L’azienda, cit., p. 228 ss.; non scalfito, se non per l’oggetto del consenso, dalla tesi (Colombo, L’azienda, cit., p. 156 ss.) secondo la quale il consenso riguarderebbe il trasferimento dell’azienda. Cfr. sul punto da ultimo Centonze, Assegnazione, cit., p. 235 ed ivi ult. riff. 16 Cercone, Cessione di rapporti giuridici a banche, in La nuova legge bancaria a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, II, Milano, 1986, p. 985. 17 Cfr. Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001, p. 726. 18 V. Portale, Sostituzione, cit., p. 3 ss.; Tommasini, Conferimento, cit., p. 437; Navarra, I trasferimenti, cit., p. 790 ss.; Pisani Massamormile, La legge bancaria e la struttura del sistema creditizio, in La legge bancaria, a cura di Porzio, Bologna, 1981, p. 223.

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dell’azienda per il pagamento della debitoria pregressa laddove, come spesso avviene, vi sia stato un accollo interno di quest’ultima19. Esiste, quindi, una stretta correlazione tra la scadenza anticipata delle “obbligazioni oggetto di cessione” ed il contenimento in uno stretto spazio temporale della responsabilità del cedente: la norma suona piuttosto come un invito ai creditori ad affrettarsi a far valere le loro ragioni nei confronti dell’alienante, laddove dubbiosi dell’adeguata solvibilità della banca acquirente, invito rafforzato dalla prospettiva di un pagamento anticipato20.

3. Riferibilità della disciplina ai soli rapporti esterni. C’è da chiedersi se la evidente finalità, sottesa all’effetto liberatorio dell’accollo, di scindere le vicende del patrimonio della banca cedente da quelle del patrimonio della banca cessionaria implichi una ulteriore deroga rispetto al disposto dell’art. 2560, co. 2 c.c., ritenuto, almeno secondo l’opinione dominante, concernere unicamente i rapporti esterni con i debitori pregressi, restando invece la incidenza finale dell’onere economico dell’adempimento rimesso all’accordo delle parti, anche in termini impliciti21. Invero, implicando la neutralità dell’articolo 58 del

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È stata anche sottolineata la difficoltà di ricercare il consenso dei creditori dato il loro elevato numero connesso alla raccolta del risparmio (cfr. Schiavon, Fusione, cit., p. 1250; Jorio - Ambrosini, Cessione, cit., p. 1536 ss.) Questa esigenza va peraltro ridimensionata considerato che la massima parte della raccolta bancaria è offerta dai rapporti di deposito nei quali l’art. 58 è fuori causa, trattandosi di rapporti contrattuali in corso nei quali la banca cessionaria subentra ex art. 2558 con effetto liberatorio per l’alienante 20 Alla luce delle considerazioni di cui nel testo potrebbe dubitarsi se l’esigibilità immediata dei crediti non ancora scaduti, ritenuta implicita nel disposto di cui all’art. 58, co. 1 concerna solo l’azionamento della pretesa nei confronti del cedente o anche nei confronti del cessionario. 21 V. Martorano, L’azienda, cit., p. 220 ss. Un accollo implicito può essere legittimamente ravvisato per i debiti risultanti dalle scritture contabili obbligatorie, dovendo presumersi che l’acquirente si sia cautelato difronte alla responsabilità ex lege sancita dall’art. 2560 tenendone conto nella valutazione dell’azienda, salvo che non ricorrano indizi in senso contrario, come l’iscrizione nel bilancio del cessionario di un conto d’ordine indicante al passivo i debiti risultanti dalle scritture contabili obbligatorie dell’alienante ed all’attivo il corrispondente credito di regresso verso quest’ultimo, nonché la permanenza della medesima debitoria al passivo dello stato patrimoniale nel bilancio del cedente (v. Miola, I conferimenti, cit., p. 180; Jaeger, Il bilancio di esercizio delle società per azioni2, Milano, 1988, p. 115; Racugno, L’ordinamento contabile delle imprese, in Tratt. dir. comm.

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t.u.b. rispetto ai rapporti interni la possibilità di una azione di rivalsa del cessionario nei confronti del cedente (che in difetto di diverso regolamento negoziale, dovrebbe considerarsi il destinatario finale dell’onere economico)22, la realizzazione della su delineata finalità sembrerebbe compromessa da una interpretazione che riduca ai rapporti esterni la eccezionalità della norma rispetto al diritto comune. Ma contro una dilatazione ai rapporti interni della responsabilità “esclusiva” della banca cessionaria, che faccia perno sul dato letterale delle espressioni “creditori ceduti” e “obbligazioni oggetto di cessione”23, milita la considerazione che, anche da parte di coloro i quali attribuiscono al disposto dell’art. 2560 c.c. l’effetto di addossare al cessionario l’onere finale del pagamento, si ammette la possibilità di prevedere una regolamentazione contraria, né vi è alcuna ragione per ritenere in materia bancaria tale profilo sottratto alle disponibilità delle parti24. Onde l’eventualità di un’azione di rivalsa da parte del cessionario nei confronti del cedente non può mai dirsi assolutamente esclusa, così come parimenti non può escludersi l’ipotesi inversa25.

diretto da Buonocore, Torino, 2002, p. 113; Cassottana Rappresentazioni e garanzie nel conferimento di azienda in società per azioni, Milano, 2006, p. 111 in nota). Occorre, peraltro, tener presente che raramente un contratto di trasferimento di azienda è assolutamente neutro in ordine alla incidenza finale della debitoria pregressa (Cfr. Graziani - Minervini - Belviso, Manuale di diritto commerciale, Padova, 2007, p. 77). 22 Cfr. Cass., 25 febbraio 1987, n. 1990; Cass., 22 dicembre 2004, n. 23780; Pettiti, Il trasferimento, cit., p. 96 ss.; Perrino, La cessione, cit., p. 210 ss.; Colombo, L’azienda, cit., p. 138 ss.; contra Cassottana, Rappresentazioni, cit., p. 93; Corsi, Diritto, cit., p. 72; Cian, Trasferimento di azienda e successione nei rapporti rappresentativi, Milano, p. 248 ss.; per la critica v. Martorano, L’azienda, cit., p. 217 ss. 23 Così Portale, Sostituzione, cit., p. 3, Colombo, Crediti e debiti nella cessione di aziende bancarie in Riv. soc., 1970, p. 1153, quest’ultimo configurando la debitoria pregressa come bene strumentale per l’esercizio dell’attività (con evidente suggestione della debitoria derivante dalla raccolta del risparmio). Per la concezione dell’azienda come “res ideale composita” inclusiva di tutti i rapporti facenti capo all’imprenditore, compresi i debiti v. da ultimo Bassi, L’affitto di azienda insolvente, in Autonomia negoziale e crisi di impresa, a cura di Di Marzio e Macario, Milano, 2010, p. 713. Ma contro questa spiegazione della responsabilità ex lege dell’acquirente l’azienda v. Spolidoro, Conferimento di ramo d’azienda (considerazioni su fattispecie e disciplina applicabile) in Giur. comm., 1992, I, p. 698; Minneci, Trasferimento, cit., p. 87. 24 V. Portale, Sostituzione, cit., p. 4 ss.; Maimeri, Cessione, cit., p. 393 ss.; Navarra, I trasferimenti, cit., 796 ss. 25 Ad esempio il credito del terzo opposto in compensazione al cedente anche dopo la scadenza del termine di cui all’art. 58 t.u.b.

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Né una connessione necessaria tra accollo interno e accollo esterno può essere stabilita interpretando l’espressione testuale dell’art. 58, sopra riferita, come allusiva ad una debitoria oggetto di accollo volontario da parte del cessionario: non solo perché in contrasto con la inderogabilità pattizia della responsabilità esterna dell’acquirente di azienda26 ma perché finirebbe per addossare ai creditori aziendali l’onere di verificare se il debito corrispondente alla loro pretesa abbia o meno formato oggetto di accollo all’atto del trasferimento del complesso. Onere che si tradurrebbe nel riservare ai creditori bancari una tutela minore di quella riservata ai creditori in genere di fronte alla circolazione dell’azienda, tutela che è del tutto sganciata da un eventuale accollo interno e collegata al solo dato obiettivo dell’emersione della passività dalle scritture contabili obbligatorie27. In realtà la norma ha tenuto conto del dato fattuale che gli accordi di cessione di aziende bancarie si esprimono, sul punto, oltre che implicitamente28, anche esplicitamente indicando come oggetto di trasferimento tutta la debitoria globalmente intesa, o almeno quella derivante dalla situazione di trapasso29. Né, a supporto della qui contestata connessione tra profilo interno e profilo esterno dell’accollo di cui all’art. 58 t.u.b., assume pregio una asserita necessaria simmetria tra il trattamento riservato al cedente, il quale, trascorso il termine di legge, si libera della debitoria trasferita al cessionario, e quello riservato ai creditori non ceduti30. È evidente la disparità di trattamento tra coloro che, per effetto di una clausola di accollo contenuta nel contratto di cessione, conserverebbero la garanzia costituita dal patrimonio aziendale del cessionario, e coloro che, per non

26

Cfr. Minneci, Trasferimento, cit., p. 106 ss.; Tedeschi, Le disposizioni, cit., p. 53; Colombo, L’azienda, cit., p. 136 ss.; Cercone, Cessione, cit., p. 984; Perrino, La cessione, cit., p. 181; contra Morello, Trasferimento di azienda e sicurezza nelle contrattazioni, in Contr. e impr., 1998, p. 102 ss. in base alla derogabilità degli artt. 2557 e 2558 c.c.; ma per la critica v. Martorano, L’azienda, cit., p. 214, in nota. 27 Cfr. Trib. Roma, 5 febbraio 2008, in Giur.it., 2009, 109; Martorano, L’azienda, cit., p 249 ss. 28 Come avviene per la debitoria derivante dalla raccolta del risparmio tra il pubblico, il cui accollo interno costituisce il risvolto consequenziale dell’acquisto della massa fiduciaria. 29 Va ricordato che l’art. 54 della vecchia legge bancaria faceva salva una rivalsa della banca cessionaria nei confronti della banca cedente unicamente per i debiti “non risultanti dalla situazione di trapasso”, (cioè dal documento contenente la contabilizzazione delle attività e passività trasferite), escludendo, quindi, un accollo interno delle stesse. 30 Cfr. Autelitano, Cessione di azienda bancaria e successione nel debito, in Contr., 2005, p. 468.

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essere stati i loro debiti accollati, potrebbero contare solo sulla residua consistenza patrimoniale della banca cedente31.

4. L’applicabilità della limitazione della responsabilità del cessionario di cui all’art. 2560, co. 2, c.c. Il tenore dell’articolo 58, con il generico (e tecnicamente poco felice) riferimento ai creditori ceduti (recte ai debiti accollati), lascia irrisolto il problema se la norma si limiti a derogare al disposto dell’art. 2560, co. 2, c.c. limitatamente alla speciale liberazione ex lege del cedente, ovvero se incida anche sull’area della responsabilità, prima concorrente e poi esclusiva, dell’acquirente l’azienda. Il mancato richiamo alla limitazione della responsabilità di quest’ultimo ai debiti risultanti dalle scritture contabili obbligatorie è stato infatti interpretato con espressione dell’autosufficienza sul punto della disciplina di settore alla luce della esigenza di semplificare la definizione dei rapporti connessi alla circolazione dell’azienda bancaria, esonerando i creditori dal provare la risultanza del debito dalle scritture contabili obbligatorie e limitando gli effetti della registrazione nei libri contabili all’esclusione dell’azione di rivalsa nei confronti del cedente, attesa l’implicita considerazione dei debiti nel calcolo del prezzo di cessione32. Ma la cennata esigenza di sollevare i creditori dell’onere probatorio di cui all’art. 2560, co. 2, c.c. difficilmente giustifica l’esposizione del cessionario al rischio di vedersi gravato da una debitoria non preventivamente calcolabile. Rischio contro il quale non può adottarsi alcuna tutela preventiva, laddove quello afferente l’esposizione in via esclusiva all’azione dei creditori può essere neutralizzato, nei limiti in cui l’ammontare della debitoria si presenti preventivamente calcolabile, mediante una decurtazione proporzionale del valore del patrimonio netto, ovvero mediante un accantonamento prudenziale del corrispettivo (come avviene per la debitoria controversa)33.

31

Martorano, L’azienda, cit., p. 250. Cosi Cercone, Cessione, cit., p. 986; Masi, Commento all’art. 58, Cessione di rapporti giuridici, in Commentario t.u.b. a cura di Capriglione, I, Padova, p. 464; Cass., 10 febbraio 2004, n. 2464; Trib. Bassano del Grappa, 23 aprile 2002, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, II, 35. 33 V. Martorano, L’azienda, cit., p. 252 32

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Né l’ampliamento della responsabilità del cessionario a tutta la debitoria pregressa, senza distinzione circa la sua rilevabilità ex ante, può trovare giustificazione nella liberazione anticipata del cedente, ricorrendo questa solo nei limiti di una sostitutiva responsabilità del cessionario, mancando la quale riprende vigore la regola generale che subordina la liberazione dell’alienante al consenso dei creditori34 Del resto che la stessa disciplina speciale non sia insensibile all’esigenza di circoscrivere il rischio del cessionario alla debitoria conosciuta o conoscibile con l’ordinaria diligenza è confermato dal fatto che l’art. 90 t.u.b., laddove la cessione dell’azienda avvenga nell’ambito della procedura di liquidazione coatta, limita la responsabilità del cessionario alla risultanza del debito dallo stato passivo depositato35. Norma, la cui ratio, che è quella di rendere più agevole la collocazione dell’azienda bancaria sul mercato, non può non valere anche per l’alienazione volontaria. In realtà il mancato richiamo al limite di cui all’art. 2560, co. 2, c.c. si spiega con la specialità del contesto in cui trova applicazione l’art. 58, che concerne aziende soggette al controllo periodico della Vigilanza e la cui alienazione è, come detta il co. 1., regolata dalle Istruzioni all’uopo impartite dalla Banca d’Italia e, per le aziende di maggior rilievo, subordinata a specifica autorizzazione. Il che rende del tutto teorica, e comunque marginale, l’ipotesi dell’alienazione di una azienda la cui debitoria non sia rispecchiata in una ordinata contabilità. Va altresì aggiunta la considerazione che le operazioni di cessione sono sempre precedute da accurata verifica della situazione patrimoniale da parte del potenziale acquirente (cd. due diligence) cui difficilmente può sfuggire l’esistenza di una debitoria certa ma non contabilizzata, così come di una debitoria eventuale i cui presupposti sono documentalmente accertabili, quale quella connessa alle vertenze passive in corso. I risultati della cennata verifica confluiscono nella cd. “situazione di trapasso”, che è un documento redatto in collaborazione ed in contraddittorio tra cedente e cessionario, nel quale sono elencate le attività e passività trasferite. Documento al quale, se è dubbio che possa attribuirsi valenza di un accollo volontario36, non può negarsi la

34.

Cfr. Autelitano, Cessione, cit, p, 966 ss.; Trib. Novara, 21 settembre 2004, in Contr., 2005, p. 461. 35 Cfr. Autelitano, Cessione, cit., p. 470. 36 V. sul punto ampiamente Perrino, La cessione, cit., p. 213 ss.

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portata di un indice di determinazione dell’accollo ex lege di cui all’ art. 58 t.u.b. Sotto tale profilo si coglie la portata del mancato richiamo del limite di cui all’art. 2560, co. 2, c.c. che, da un lato, non consiste nell’affrancazione della responsabilità del cessionario dalla conoscenza (o conoscibilità) della debitoria pregressa e, dall’altro, si traduce nella sottrazione della stessa al limite formale della sua emersione dalle scritture contabili per ancorarla a quello della sua conoscenza o conoscibilità con l’ordinaria diligenza. Per vero, la giustificazione della subordinazione dell’interesse del terzo creditore all’esigenza di certezza probatoria offerta da dati formali, non surrogabile dalla conoscenza di fatto37, individuata nell’assunzione del rischio di concessione di credito ad un impresa la cui organizzazione contabile è inaffidabile38, non può trasferirsi in un ambito, quale quello bancario, in cui la sottoposizione delle aziende di credito alla periodica vigilanza ispettiva (che concerne, come è noto, anche l’aspetto organizzativo) determina un ragionevole affidamento sulla esistenza di una ordinata contabilità. Il che spiega come il punto di equilibrio tra gli interessi del creditore e l’ambito della responsabilità del cessionario si sposti dall’emersione del debito dalle scritture contabili a quello della sua conoscenza o conoscibilità in via documentale. Non può quindi ritenersi sottesa al mancato richiamo al limite quantitativo della responsabilità del cessionario di cui all’art. 2560, co. 2, una regula juris “contraddittoria”, ma una regula juris “diversa” per la presenza di un elemento aggiuntivo della fattispecie, rappresentato dal carattere bancario dell’azienda, come è proprio delle norme speciali39.

5. Preteso contrasto tra la legittimazione passiva del cessionario dell’azienda bancaria con: a) il requisito dell’inerenza del debito all’esercizio dell’impresa. Tracciato così il quadro normativo sulla sorte dei debiti pregressi nella circolazione delle aziende bancarie, esaminiamo i vari argomenti

37.

Cfr. da ultimo Amatucci, Trasferimento del ramo di azienda, sorte del debito risarcitorio (per illecito da revisione contabile), tutela sostanziale dei creditori, in Giur. comm., 2006, II, p. 152 ss. 38 Cfr. Martorano, L’azienda, cit., p. 237. 39. Cfr. Modugno, Norma singolare, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 514 ss.

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addotti a favore della esclusiva legittimazione passiva della banca cedente rispetto all’azione revocatoria delle rimesse in conto corrente effettuate da clienti dichiarati falliti anteriormente alla cessione. Si afferma, innanzitutto, che il debito di restituzione scaturente dalla revocatoria delle rimesse difetterebbe del requisito della “inerenza all’esercizio dell’impresa” indicato nel co. 1 dell’art. 2560 c.c., requisito che, pur se non ribadito nell’art. 58 t.u.b., dovrebbe tuttavia considerarsi parimenti indispensabile per l’operatività della norma40. In realtà il mancato richiamo predetto è semplice conseguenza del fatto che la norma di diritto comune, dettata per l’azienda generale e quindi anche per quelle facenti capo ad un imprenditore individuale, mira ad escludere dal suo ambito di applicazione la debitoria extra aziendale, cioè quella assunta nell’ambito della sfera privata del titolare41. Ne consegue la sua inapplicabilità (e quindi estraneità) alla circolazione di aziende, come quelle bancarie, facenti capo necessariamente a società per azioni, cioè a persone giuridiche la cui attività si esaurisce nella sfera operativa strumentale al conseguimento dell’oggetto sociale, che è per l’appunto l’esercizio dell’attività bancaria. Pertanto la mancata riproduzione nell’art. 58 della precisazione di cui all’art. 2560 c.c. è dovuta semplicemente al fatto che tutta la debitoria assunta dalla banca non può non essere inerente all’esercizio dell’impresa bancaria nel significato lato di inerenza all’oggetto sociale, che è data non dalla tipologia degli atti o dei rapporti, ma dalla loro connessione strumentale con l’attività42.

40. V. Portale, Sostituzione, cit., p. 9 ss.; Maimeri, Cessione, cit., p. 395; Tommasini, Conferimento, cit., p. 432 ss. e p. 438 ss.; Jorio - Ambrosini, Cessione, cit., p. 1536; Navarra, I trasferimenti, cit., p. 793. 41. Anche se erroneamente inserita nelle scritture contabili obbligatorie. Cfr. Ricciardiello, Trasformazione di impresa individuale e rapporti passivi, in Giur. comm., 2009, I, p. 1163 ss. 42 V. da ultimo Cass., 4 agosto 2006, n. 17986; Calandra Bonaura, Potere di gestione e potere di rappresentanza degli amministratori, in Tratt. soc. per az. diretto da Colombo e Portale, IV, Torino, 1991, p. 202; Bonelli, Atti estranei all’oggetto sociale e poteri di rappresentanza, in Giur. comm., 2004, I, p. 928. Il che, peraltro, non comporta l’inapplicabilità dell’art. 58 anche alla debitoria scaturente da atti non riconducibili strumentalmente all’attività bancaria, atteso che l’estraneità degli atti all’oggetto sociale non è sanzionata con la loro nullità, ma con la semplice inefficacia, sanabile da una delibera assembleare. V. sul punto, anche per ultt. riff. Miola, Atti estranei all’oggetto sociale ed autorizzazioni e ratifiche assembleari dal vecchio al nuovo diritto societario, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, p. 275 ss.

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Tanto premesso, è davvero difficile negare che l’obbligo di restituzione delle rimesse revocate, in quanto qualificate atti di ripianamento dell’esposizione derivante dalla concessione di fido o da uno scoperto di fatto, si colleghi causalmente allo svolgimento di una tipica relazione bancaria quale è il rapporto di conto corrente43.

6. Segue: b) l’esigibilità immediata della debitoria pregressa. Parimenti non probante contro una ricomprensione del debito da revocatoria delle rimesse nell’ambito di operatività dell’art. 58 appare il richiamo all’esigibilità immediata dei debiti ceduti, che presuppone la loro certezza e liquidità. Requisiti certamente carenti rispetto ad una debitoria connessa ad una pronuncia giudiziale futura, sia sotto il profilo dell’accertamento del suo presupposto che sotto quello della sua quantificazione44. Invero, appare del tutto arbitraria la connessione tra l’esigibilità dei crediti “ceduti” e l’accollo liberatorio del cedente: l’art. 58 si limita solo a contenere in termini temporali ristretti la possibilità di agire (anche) nei confronti del cedente ed, a tal fine, contempla una sorta di decadenza ex lege dal beneficio del termine, ma non deroga, né potrebbe, ai presupposti della certezza e della liquidità del debito. Ne consegue che la loro mancanza non è di ostacolo ad un accollo a carico del cessionario, ma solo rende, alla luce della su delineata ratio della norma, la relativa creditoria, una volta maturate le condizioni della sua esigibilità secondo il diritto comune, non assistita dalla responsabilità solidale del cedente. Una siffatta conclusione appare suffragata anche dalla ratio dell’accollo ex lege, a carico dell’acquirente, della debitoria pregressa, la quale, come è noto, consiste nell’esigenza di non privare i creditori della garanzia offerta dal complesso aziendale sia sotto il profilo della estinzione fisiologica della debitoria grazie alla sua redditività45 sia sotto quello de-

43. È pacifico che la responsabilità ex art. 2560, co. 2, comprende ogni debitoria causalmente connessa all’esercizio dell’impresa (cfr. Tedeschi, Le disposizioni, cit., p. 53) e quindi comprensiva anche della debitoria c.d. involontaria, apparendo incongruo riconoscere a coloro che si trovano esposti verso l’impresa per un’accidentalità un trattamento deteriore rispetto a coloro che hanno volontariamente concesso credito. 44. Così Portale, Sostituzione, cit., p. 11; Tommasini, Conferimento, cit., p. 438; Jorio Ambrosini, Cessione, cit., p. 1536; Navarra, I trasferimenti, cit., p. 794. 45 Minneci, Imputazione, cit., p. 11 ss.; Perrino, La cessione, cit., p. 186; Martorano, L’azienda, cit., p. 232 ss.

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lla eventuale realizzarne forzata grazie alla vendita coattiva degli assets aziendali46. Esigenza che non viene tuttavia soddisfatta completamente, ma con il limite della conoscenza o conoscibilità della debitoria medesima da parte del cessionario, limite che nella circolazione dell’azienda in generale è fissato nella risultanza dalle scritture contabili, mentre in quella dell’azienda bancaria deve ritenersi, come abbiamo visto, estesa anche alla risultanza da altre fonti documentali. Orbene, se il più rigoroso presupposto art. 2560, co. 2, c.c. preclude che l’accollo ex lege ivi previsto possa ritenersi inclusivo anche della debitoria in corso di accertamento e/o di liquidazione, alla stessa conclusione non può pervenirsi per la cessione di azienda bancaria ove vige il meno rigido presupposto della conoscenza o conoscibilità aliunde della sua esistenza. Onde la cennata esigenza di protezione dei creditori può estendersi anche alla debitoria della quale non si sono realizzati tutte le condizioni di esigibilità. Del resto sarebbe paradossale che per i debiti in corso di accertamento e/o di liquidazione, la cui fonte è anteriore alla cessione ma la cui esistenza è conosciuta o conoscibile con la diligenza professionale del cessionario, i creditori siano doppiamente penalizzati sia per non poter beneficiare della esigibilità immediata sia per non poter contare sulla responsabilità del nuovo titolare dell’azienda al cui esercizio la debitoria inerisce. Infine non può sottacersi la conseguenza paradossale cui porterebbe la pretesa connessione tra esigibilità del credito ed accollo liberatorio del debito: questa vicenda si verificherebbe o meno per i debiti di cui si è in corso l’accertamento giudiziale secondo che, anteriormente alla cessione, sia intervenuta una sentenza di primo grado o altro provvedimento esecutivo (ordinanza ex art. 186 c.p.c.), con relativa perdita della legittimazione passiva della banca cedente. Ancor più complicata si presenterebbe la situazione nell’ipotesi in cui sia intervenuta una sentenza di condanna generica accompagnata da quella al pagamento di una provvisionale. Il debito scaturente da quest’ultima sarebbe oggetto dell’accollo liberatorio ex art. 58, con conseguente attribuzione della legittimazione passiva esclusiva alla banca cessionaria, cui spetterebbe la legittimazione attiva all’impugnativa della sentenza sul punto, concorrente con quella della banca cedente sia sull’accertamento che sulla liquidazione del debito, mentre la parte

46

Così Colombo, L’azienda, cit., p. 151; Tedeschi, Le disposizioni, cit., p. 53.

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creditrice potrebbe iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili della cessionaria per la condanna provvisionale e su quelli della cedente per la condanna generica ex art. 2818. c.c. Ancor più stridente la contraddizione ingenerata dalla asserita connessione tra accollo del debito e sua esigibilità in riferimento alla debitoria qui considerata: è noto infatti che, per costante orientamento sia giurisprudenziale che dottrinale, la sentenza di revocatoria fallimentare ha natura costitutiva47, di talché, in caso di declaratoria di inefficacia di pagamenti effettuati in periodo sospetto (quali sono le rimesse revocabili), il debito di restituzione alla massa fallimentare del relativo importo sorge solo a seguito della formazione del giudicato. Eppure, in deroga al principio della non eseguibilità delle sentenze esecutive non definitive48, la giurisprudenza riconosce la provvisoria azionabilità della condanna a rimettere alla curatela l’attribuzione patrimoniale revocata49.

7. Segue: c) la natura costitutiva della sentenza di revocatoria. Proprio la natura costitutiva della sentenza revocatoria rappresenta altro argomento addotto per contestare la legittimazione passiva della banca cessionaria alla proposizione della domanda: poiché la relativa debitoria di restituzione non può considerarsi ancora sorta al momento della cessione, non sarebbe ipotizzabile una applicazione dell’art. 58 per il semplice motivo che non sussiste al momento del trapasso della azienda un “debito” suscettibile di accollo50. Di talché una proposizione della domanda nei confronti della banca cessionaria, o un subentro di quest’ultima ex art. 111 c.p.c., integrerebbe un fenomeno di trasferimento dell’azione civile, ossia una circolazione della legittimazione proces-

47.

Cfr. Sandulli, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Giur. comm., 1998, I, p. 128 ss.; Rocco Di Torrepadula, Partecipazione in società e revocatoria, Milano, 2001, p. 337; Ambrosini, Le sezioni unite sanciscono la natura costitutiva dell’azione revocatoria fallimentare, in Riv. dir. comm., 1998, II, p. 23 ss., Cass. S.U., 13 giugno 1996, n. 5443; Cass. S.U., 15 giugno 2000, n. 437; e, da ultimo, Cass., 30 luglio 2012, n.13560. 48 Cass., 22 febbraio 2010, n. 459. 49 Cass., 29 luglio 2011, n. 16737. 50. Cfr. Portale, Sostituzione, cit., p. 11; Maimeri, Cessione, cit., p. 395; Tommasini, Conferimento, cit., p. 423; Jorio - Ambrosini, Cessione, cit., p. 1535, Navarra, I trasferimenti, cit., p. 792 ss.

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suale scissa da un trasferimento della posizione sostanziale, contraria al nostro ordinamento processuale51. Ma in realtà il carattere costitutivo della sentenza revocatoria non impedisce che la conseguente debitoria possa considerarsi oggetto della vicenda successoria di cui all’art. 58 anche laddove il giudicato sul punto si formi successivamente alla cessione. Per vero, se il debito sorge solo a seguito della pronuncia giudiziaria costitutiva, è innegabile che le sue premesse sostanziali (rimesse con effetto risolutorio, conoscenza dello stato di insolvenza, apertura della procedura fallimentare) sono vicende tutte anteriori alla cessione, di talché può certamente ritenersi esistente, al momento del trasferimento dell’azienda, un debito futuro ed eventuale suscettibile di una vicenda traslativa. Invero, il principio, ormai consolidato sia in dottrina che in giurisprudenza circa la esistenza di una categoria generale di negozio su bene futuro52 nell’ambito della quale viene fatto rientrare anche l’accollo di debito futuro53, consente di ritenere possibile siffatta vicenda non solo quando la stessa ha origine volontaria54, ma anche quando essa si produce per effetto di legge. Infatti, una volta superato il preconcetto della necessaria attualità del bene oggetto della vicenda circolatoria, la fonte della stessa diviene irrilevante ai fini della sua ammissibilità. L’equiparazione tra legge e volontà negoziale come fonte di una vicenda traslativa su debiti non ancora venuti ad esistenza implica peraltro la necessità, in ambo i casi, che al momento del suo perfezionarsi (nella specie la cessione dell’azienda) sussistano non solo i presupposti di fatto per il sorgere del debito, ma anche la determinazione o la determinabilità del suo ammontare55. Requisito che nella fattispecie considerata certamente ricorre, ed è offerto dalla quantificazione che il debito di restituzione delle rimesse revocate riceverà dalla pronuncia giudiziale nell’ambito di un “tetto” massimo offerto dall’ammontare della richiesta formulata dalla Curatela attrice, laddove la domanda sia proposta anteriormente alla cessione, ed dal differenziale tra il picco massimo dell’esposizione debi-

51

Cfr. Portale, Sostituzione, cit., p. 11. V. per tutti, da ultimo, Barenghi, L’oggetto del contratto, in Tratt. dir. civ. diretto da Lipari e Rescigno, III, Milano, 2009, p. 345 ss. 53. Sull’accollo di debiti futuri v. Tommasini, Conferimento, cit., p. 424 ss.; Navarra, I trasferimenti, cit., p. 794 e p. 797 ss.; e, con specifico riferimento alla cessione di azienda bancaria, Trib. Pescara 13 settembre 2011, in Riv. dott. comm., 2011, p. 939. 54 Attanasio, Cessione, cit., p. 92. 55. Irti, Oggetto del negozio giuridico, in Noviss. Dig. It., XI,Torino, 1965, 805. 52.

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toria nel periodo sospetto ed il saldo passivo del conto al momento della dichiarazione di fallimento, laddove sia proposta successivamente56. Non si tratta quindi del trasferimento di una posizione di mera soggezione al diritto potestativo della curatela di far dichiarare la inefficacia relativa delle rimesse effettuate in periodo sospetto e provocare una sentenza costitutiva del debito di restituzione57, ma dell’accollo ex lege di un debito futuro del quale sussistano i presupposti al momento della cessione dell’azienda58.

8. Rilevanza della pendenza o meno del giudizio al momento del trasferimento dell’azienda. Le argomentazioni sopra riportate a sostegno della legittimazione “esclusiva” della banca cedente all’azione revocatoria delle rimesse in c/c

56. È questo il criterio che, già prima della riforma, veniva adottato dalla giurisprudenza di merito V. da ultimo App. Firenze, 19 novembre 2005, in Riv. dott. comm., 2006, p. 823; Trib. Pavia 19 aprile 2006, in Il fallimento, 2007, p. 89; Trib. Milano 2 marzo 2008, in Riv. dott. comm., 2008, p. 748; App. Firenze, 19 gennaio 2009, in Rep. giust. civ., 2009, voce Fallimento, 106. In dottrina Dotti, Revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario con saldo debitore, in Giur. comm., 1975, I, p. 526 ss.; Bouche’, Revocatoria fallimentare dei versamenti in conto corrente bancario, in Giur. comm., 1976, II, p. 104 ss.; Covi, Operazioni bancarie in conto corrente e revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 1980, I, p. 312 ss.; Bertozzi, La revocatoria fallimentare dei versamenti in conto corrente bancario, Roma, 1980, p. 187 ss.; Pellizzi, Sulla revocatoria delle rimesse nel conto corrente bancario, in Il fallimento, 1982, p. 463 ss.; contra, per il criterio della c.d. sommatoria delle rimesse la giurisprudenza della Cassazione, sia pure con il correttivo delle “partite bilanciate”, e in dottrina Bonelli, Revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario, in Giur. comm., 1977, I, p. 393 ss.; Nigro, Revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario e posizione della banca nei rapporti di concessione di credito, in Giur. comm., 1980, I, p. 290 ss.; e per la sua critica Terranova, La nuova disciplina della revocatoria fallimentare, in Dir. fall., 2006, I, p. 261 ss; Guglielmucci, Revocatoria delle rimesse e tipologia degli addebiti in conto corrente, in Il fallimento, 2011, p. 509 ss.; v. pure Cederle, Revocatoria delle rimesse bancarie e massimo scoperto all’indomani della riforma, in Il fallimento, 2007, p. 97 ss. Criterio consacrato con la riforma al co. 3 dell’art 70 l.fall. Vedi però per il carattere non retroattivo della disposizione, Cass., 3 settembre 2010, n. 19043; contra, per la sua retroattività Prestipino, Presupposti e limiti della nuova revocatoria delle rimesse in conto corrente, in Giur. comm., 2012, II, p. 861 ss. 57. Così, invece, Portale, Sostituzione, cit., p. 12 ss.; Maimeri, Cessione, cit., p. 395; Schiavon, Fusione, cit., p. 1251; Jorio - Ambrosini, Cessione, cit., p. 1536; Navarra, I trasferimenti, cit., p. 790 ss.; Schiera, Cessione, cit., p. 48 ss. 58 V. Cass., 7 dicembre 2012, n. 22253.

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sono state formulate con riferimento sia all’ipotesi di domanda giudiziale proposta anteriormente alla cessione sia a quella di domanda proposta successivamente59. Tanto con perfetta coerenza con la conclusione, cui dette argomentazioni pervengono, circa la inesistenza, al momento della cessione, di una posizione debitoria suscettibile di formare oggetto dell’accollo ex lege contemplato nell’art 58 t.u.b. Per vero, atteso il (pacifico) carattere costitutivo della sentenza, è del tutto indifferente che il procedimento giudiziale formativo del debito di restituzione delle rimesse revocate sia iniziato o meno al momento della cessione. Non altrettanto pacifica, ed, al contrario, bisognosa di attenta valutazione, può considerarsi tale indifferenza rispetto all’opposta conclusione, qui sostenuta, circa la idoneità del debito di restituzione ex revocatoria, in sè considerato, a formare oggetto della vicenda circolatoria di cui all’art. 58 t.u.b. Infatti, la individuazione di un limite, sia pure diverso da quello segnato nell’art. 2560, co. 2, c.c., all’accollo ex lege della debitoria inerente l’esercizio dell’azienda bancaria, tracciato dalla conoscenza o conoscibilità su base documentale della debitoria attuale o potenziale, attribuisce rilevanza alla pendenza o meno di una domanda giudiziale contro la banca alienante al momento della cessione. Nella prima ipotesi, infatti, è fuor di dubbio che la potenziale debitoria debba considerarsi conosciuta o conoscibile dal cessionario in base alla diligenza professionale, tenuto conto che l’esame della situazione patrimoniale finanziaria e gestionale dell’azienda cedenda include anche il contenzioso in essere. Con la conseguente ricaduta sul calcolo del corrispettivo della cessione, sia sotto il profilo della liquidità che del computo del patrimonio netto. Assai più problematica invece si presenta la seconda ipotesi, essendo assai dubbio che la diligenza professionale esigibile nella verifica, da parte del cessionario, della situazione dell’azienda cedenda abbracci anche l’esistenza di rimesse potenzialmente revocabili effettuate nel periodo sospetto da parte di soggetti sottoposti a procedura fallimentare. Occorre infatti considerare che, mentre anteriormente alla riforma della legge fallimentare, il discrimen tra rimesse revocabili e non veniva tracciato dall’esistenza di un regolare affidamento, che avrebbe qualifi-

59.

sini,

Cfr, Portale, Sostituzione, cit., p. 14 ss.; Maimeri, Cessione, cit., p. 396; Jorio - AmbroCessione, cit., p. 1536.

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cato di per sé i versamenti in conto come atti di mero ripristino della disponibilità, il che rendeva identificabili le rimesse revocabili sulla base dei semplici versamenti effettuati dai debitori falliti60, la disciplina attuale collega la revocabilità delle rimesse su un conto passivo (si tratti di un regolare affidamento o di uno scoperto di fatto) ad un dato molto più sofisticato quale “la idoneità della rimessa a ridurre stabilmente l’esposizione debitoria”, che implica un’indagine particolareggiata su tutto l’andamento del conto, con risultati assai opinabili. Né appare possibile accollare alla banca cessionaria l’onere di restituzione delle rimesse “revocabili” prescindendo dalla rilevabilità preventiva della loro presenza come un “rischio di impresa”: invero il ricorso a questa categoria appare legittimo come criterio per l’attribuzione delle conseguenze dannose di un evento non imputabile nella contrapposizione del soggetto imprenditore ad un altro non titolare di una struttura in grado di “assorbire” la perdita economica nell’ambito di una attività esposta all’alea di mercato. Nella specie, all’opposto, alla banca cessionaria si contrappone un soggetto dotato di pari qualifica imprenditoriale, nel cui ambito di attività il rischio è originato, essendo stata beneficiaria delle rimesse revocabili, laddove l’onere economico che subirebbe la banca cessionaria originerebbe dall’andamento di un rapporto alla cui gestione essa è estranea. Va altresì aggiunto che essendo un accollo interno della debitoria pregressa riconducibile unicamente ad una volontà dell’acquirente, nella specie da escludersi rispetto ad una debitoria ignota, l’attribuzione al cessionario della legittimazione passiva rispetto alle azioni revocatorie introdotte successivamente alla cessione non potrebbe che ripercuotersi, in caso di soccombenza, in un’ azione di rivalsa verso il cedente che, come abbiamo sottolineato in precedenza, l’ordinamento di settore tende per quanto possibile ad evitare.

60. Cass., 4 maggio 2012, n. 6789; Cass., 22 giugno 2010; Cass., 14 aprile 2010; Cass., 9 novembre 2007, n. 23393; Cass., 9 luglio 2005, n. 14470; Cass., 15 settembre 2006, n. 19941. Questo orientamento risale alla famosa sentenza della Cassazione, 18 ottobre 1982, n. 5413, cui si è uniformata tutta la giurisprudenza successiva. Cfr. Arato, Operazioni bancarie in conto corrente e revocatoria delle rimesse, Milano, 1991, p. 139 ss.; Quadri, Natura solutoria e ripristinatoria delle rimesse, in Il fallimento, 1999, p. 1026 ss., Bonelli, La revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario: la giurisprudenza della Cassazione a partire dal 1982, in Giur. comm, 1987, I, p. 217 ss.; Prestipino, Presupposti, cit., p. 857.

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Diversamente da quanto avviene per la debitoria derivante da azioni revocatorie già iniziate che, in quanto da presumersi nota alla banca cessionaria e computata nel calcolo del prezzo di cessione, non dà luogo ad alcuna rivalsa, dovendo considerarsi oggetto di tacito accollo interno.

9. L’accollo volontario globale della debitoria pregressa. L’esclusione dall’ambito dell’accollo ex lege di cui all’art. 58 dell’eventuale obbligo di restituzione delle rimesse “revocabili” non ancora oggetto di domanda giudiziale non esclude che al medesimo risultato possa pervenirsi ex voluntate in base ad un preciso accordo sul punto contenuto nel contratto di cessione61. Infatti, se la non rilevabilità della esistenza e dell’ammontare di tale futura debitoria in base alla verifica ex ante della situazione patrimoniale e finanziaria dell’azienda cedenda preclude, a nostro avviso, l’estensione alla stessa dell’accollo ex lege da parte del cessionario, non impedisce peraltro di riconoscere all’eventuale patto di accollo di tale debitoria futura il requisito indispensabile della determinabilità dell’oggetto. Questo sarà individuato in base alle pronuncie giudiziali che saranno rese a seguito delle instaurande azioni revocatorie nell’ambito di un tetto massimo costituito dalla differenza tra il picco della esposizione debitoria registrato nel periodo sospetto ed il saldo passivo del conto al momento dell’apertura della procedura concorsuale (art.70, co. 3, l.fall.) Ma se la sua determinabilità per relationem al suddetto dato rimuove ogni dubbio sulla validità, inter partes, di tale accollo volontario, resta l’interrogativo se ad esso debba applicarsi la disciplina speciale dell’art. 58 del t.u.b., con annessa deroga al disposto dell’art. 1273, co. 1, c.c., facendone conseguire, sul piano processuale, la legittimazione esclusiva della banca cessionaria,ovvero se a tale accordo debba attribuirsi valenza puramente interna,salva la facoltà dei creditori di aderirvi, acquisendo

61.

V. Trib. Udine, 24 settembre 2010, in Giur. comm., 2012, II, 847, ma per il richiamo al vecchio distinguo Trib. Modena 31 marzo 2011, in Giur. merito, 2011, 2449. Sulla ambiguità di tale formula e sulla difficoltà della sua applicazione v i rilievi critici di Cavalli, Considerazioni sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario dopo la riforma dell’art. 67 l.fall., in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 7 ss.; Fabiani, L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare, in Il fallimento, 2005, p. 573 ss.; Nigro, Riforma della legge fallimentare e revocatoria delle rimesse in conto corrente, in Dir. banc., 2005, p. 341 ss.

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così un ulteriore obbligato in solido ex art. 1273, co. 3 (il che implicherebbe una doppia legittimazione passiva, sia del cedente che del cessionario), nonché di liberare il debitore originario (il che implicherebbe la legittimazione esclusiva del cessionario). A sostegno di tale seconda soluzione si è richiamato il principio generale che non consente all’autonomia privata di attuare un circolazione del debito prescindendo dal consenso del creditore62. Principio, che, però, esatto alla luce della disciplina comune, non lo è sic et simpliciter trasferibile alla fattispecie, dovendo misurarsi con la presenza di una disciplina specifica che, con riferimento ai “crediti ceduti” (recte debiti accollati), ipotizza la liberazione della banca cedente. Per vero, se, per le ragioni esposte in precedenza, l’espressione non può essere riferita ad un accollo ex lege della totalità della debitoria pregressa,attuale o potenziale, né, all’opposto, ristretta alla debitoria oggetto di un accollo volontario, non vi è ragione per riferire ai soli debiti accollati ex lege la responsabilità esclusiva della banca cessionaria. Infatti, l’esigenza di stabilire una netta soluzione di continuità tra le vicende patrimoniali della banca cedente e quelle della banca cessionaria, evitando nei limiti del possibile reciproche azioni di rivalsa,dovrebbe valere parimenti nella ipotesi in cui l’accollo ha origine volontaria. Federico Martorano

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Cfr. Attanasio, Cessione, cit., p. 92 ss.


Una “via italiana” agli IAS?1* Sommario: 1. Le norme contabili nel sistema delle fonti. – 2. Il quadro normativo preesistente al decreto Milleproroghe 2011. – 2.1 Il regolamento U.E. n. 1606/2002 e la sua efficacia nell’ordinamento nazionale. – 2.2 Il sistema delle fonti applicabile alle società che adottano gli IAS. – 3. L’impatto della novella recata dal Decreto Milleproroghe sulla disciplina civilistica (e fiscale) dei bilanci.

1. Le norme contabili nel sistema delle fonti. Nella storia del diritto contabile non sono mancati momenti in cui la disciplina dei bilanci di società è stata scomposta in due gruppi, nel tentativo di segnare una contrapposizione tra norme giuridiche, da concentrarsi attorno al principio di verità dei bilanci e alle altre clausole generali, e norme “tecniche”, sia pur recate da norme di legge. Tale distinzione fu originariamente formulata da Giuseppe Ferri, nel quadro di una costruzione volta a impedire che la violazione di singole specifiche norme in tema di bilancio determinasse automaticamente la nullità della deliberazione assembleare di approvazione del bilancio. In particolare, l’illustre Autore osservava che ciò che interessa è che la percepibilità della situazione patrimoniale ed economica della società sia conseguita, mentre non rileverebbe il modo in cui questa percepibilità sia stata raggiunta. Se il risultato viene raggiunto, ciò è sufficiente affinché l’esigenza della legge sia soddisfatta. E il controllo del giudice può riguardare solamente la realizzazione del risultato, e non l’esatta rispondenza delle voci del bilancio a quelle segnate dalla legge. Con la conseguenza che non dovrebbe ricorrere declaratoria di nullità della de-

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Il presente lavoro è destinato a Organizzazioni, finanziamento e crisi dell’impresa. Studi dedicati a Pietro Abbadessa.

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liberazione di approvazione del bilancio quando le imprecisioni (le violazioni delle norme “tecniche”) non inficiano la globale percezione della situazione patrimoniale della società; e che oscurità e imprecisioni del bilancio possono essere sanate attraverso le relazioni degli amministratori o dei sindaci, o attraverso i chiarimenti forniti in assemblea. E salva l’annullabilità della deliberazione se i chiarimenti richiesti in assemblea non vengano forniti. In direzione contraria, il Tribunale di Milano, le cui posizioni molto rigorose erano all’origine del “furore” delle impugnative di bilancio, conservò una linea sempre coerente. Il bilancio di esercizio di una società di capitali è viziato non solo quando la violazione delle norme determini una divaricazione tra la situazione patrimoniale ed economica effettiva e quella di cui il bilancio dà contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite con riguardo alle singole poste di cui è richiesta l’iscrizione. Perdippiù, il bilancio è viziato anche quando sia violato il principio di topicità del bilancio, per il quale il bilancio non solo deve dare conto di tutti gli elementi richiesti dal legislatore, ma deve darne conto proprio dove (ad esempio nel conto economico piuttosto che nello stato patrimoniale, oppure nella nota integrativa piuttosto che nella relazione degli amministratori) prescrive il legislatore, irrilevanti dovendosi considerare le informazioni non collocate nella sede propria, ovvero “aggiunte” in sede assembleare. La Corte di Cassazione non accolse mai l’approccio estremo della tesi di Ferri, ma fece registrare alcune oscillazioni: alcune sue pronunce accolsero la tesi di Giuseppe Ferri limitatamente a quella parte di essa che distingueva fra vizi del bilancio che pregiudicavano la sola chiarezza del bilancio (ad esempio, l’accorpamento di due poste dello stato patrimoniale), e vizi che incidevano sul contenuto della rappresentazione, integrando una vera e propria falsità di essa. La tesi della natura meramente tecnica delle norme in tema di bilancio non era fondata al momento della sua elaborazione, ma probabilmente lo diventò in seguito, se non altro nella variante “minore” ipotizzata dal Supremo Collegio, a seguito del recepimento della quarta direttiva comunitaria. La quarta direttiva comunitaria ha infatti codificato il principio della overriding rule. In questo modo si è scelta la via della subordinazione, sia pure in casi eccezionali, delle singole norme in tema di bilancio alla clausola generale della rappresentazione veritiera e corretta; ma non alla clausola della chiarezza (art. 2423, co. 4, c.c.). Ecco allora che le singole norme in tema di bilancio – compresa la clausola generale sulla chia-

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rezza – non possono più considerarsi pariordinate rispetto alla clausola generale di rappresentazione veritiera e corretta. Dunque ritornava ad essere attuale non solo l’interrogativo se il vizio di chiarezza dovesse avere lo stesso impatto sulla validità della deliberazione assembleare recato dal vizio di falsità, ma anche l’interrogativo se le norme sul bilancio dovessero considerarsi mere norme tecniche. Il problema all’alba dell’emanazione della quarta direttiva era stato già individuato da alcuni studiosi tedeschi, anche se era stato formulato in termini in parte diversi, quando si osservava che l’introduzione della overriding rule determinava il superamento del principio di legalità. Come anticipato, la distinzione avrebbe legittimato la riferita apertura della Cassazione, e invece accadde il contrario: la giurisprudenza del Supremo Collegio, a partire dalla decisione delle Sezioni Unite n. 27 del 21 febbraio 2000, si è definitivamente consolidata sulle riferite posizioni del Tribunale di Milano. Nel sistema dei principi contabili internazionali d’altro canto il ruolo di quest’ultima regola è significativamente ridimensionato. È vero che anche i principi contabili internazionali adottano la overriding rule, e tale adozione è stata espressamente richiamata dall’art. 5 del collegato decreto legislativo 28 febbraio 2005 n. 38. Però, i principi contabili internazionali chiariscono che i compilatori del bilancio avranno necessità di applicare la overriding rule solamente in casi davvero estremi. Orbene, il problema di una nuova possibile prospettazione di subordinazione delle singole regole contabili sembrerebbe essere stato riaperto a seguito dell’emanazione del “Decreto Milleproroghe” del 2011 (d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito in l. 26 febbraio 2011, n. 10); infatti l’art. 2, co. 26, del decreto, che aggiunge i commi da 7-bis a 7quater all’art. 4 del citato decreto 38 del 2005, prevede la possibilità che il legislatore interno possa in buona sostanza sindacare, come preciserò di seguito, la compatibilità tra IAS di nuova emanazione omologati dalle UE e funzione del bilancio alla stregua dell’ordinamento vigente.

2. Il quadro normativo preesistente al decreto Milleproroghe 2011. 2.1. Il regolamento U.E. n. 1606/2002 e la sua efficacia nell’ordinamento nazionale. Come noto, i regolamenti comunitari sono immediatamente vincolanti, nelle aree direttamente regolate dalla fonte comunitaria, senza che sia necessaria un’espressa precisazione in tal senso. Tale precisazione è

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invece richiesta con riguardo alle aree rispetto a cui il regolamento consente agli Stati membri di esercitare determinate opzioni. In particolare, con il regolamento 1602/2012, che ha avviato il procedimento di omologazione degli IAS, gli Stati membri non hanno avuto l’opzione di decidere se applicare o meno gli IAS con riguardo alla redazione dei bilanci consolidati delle società quotate; ma hanno avuto la facoltà di decidere se estendere ad altri soggetti l’obbligo di adozione degli IAS ai fini del bilancio consolidato; e di decidere altresì se, ed in quale misura, estendere tale obbligo non solo dal punto di vista soggettivo, ma anche dal punto di vista oggettivo, con riguardo cioè anche ai bilanci di esercizio. La scelta del legislatore italiano, con il citato decreto 38 del 2005, si è tradotta, oltre che nel recepimento del vincolo minimale soggettivo ed oggettivo imposta dal regolamento, anche in altre estensioni, soggettiva e oggettiva, a seconda dei casi obbligatoria o facoltativa. La giustificazione della tendenziale estensione obbligatoria degli IAS anche al bilancio di esercizio a suo tempo fornita fu che, altrimenti, le società tenute all’adozione degli IAS avrebbero dovuto adottare due piani dei conti diversi, per il bilancio separato e per il bilancio consolidato. In realtà questa giustificazione non coglieva nel segno; infatti, due piani dei conti furono comunque necessari fino al 2008: ciò perché solamente a partire da tale epoca l’ordinamento tributario ha disposto l’applicazione del cosiddetto “principio di derivazione” con riguardo anche ai bilanci redatti secondo i principi IAS. E non può del pari ignorarsi che anche dopo l’applicazione di tale principio le rettifiche richieste dalle norme fiscali sono tali e tante che l’ossequio al principio di derivazione è più formale che sostanziale. 2.2 Il sistema delle fonti applicabile alle società che adottano gli IAS. Il sistema postula una distinzione – all’interno delle norme contabili di diritto interno, a loro volta condizionate dal rispetto della quarta direttiva – tra norme contabili che riguardano il bilancio in senso stretto (criteri di iscrizione e di valutazione, stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa, addendi che formano un “tutto inscindibile”, come chiarisce la quarta direttiva) ed altre norme in materia contabile, quali, ad esempio, quelle che riguardano gli «allegati» al bilancio (relazione degli amministratori e dei sindaci). E se il secondo ordine di norme è sicuramente applicabile anche agli IAS adopters, il primo ordine di norme dovrebbe essere sicuramente inapplicabile a costoro.

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Anche a proposito di tale ordine di norme, tuttavia, la Commissione dell’Unione Europea ha ipotizzato un’applicazione residuale delle norme comunitarie, limitatamente alle aree di disciplina non coperte dagli IAS. Le conseguenze applicative che ne deriverebbero riguarderebbero ad esempio la permanenza in vita del fondo azioni proprie acquistate (art. 2357 ter, co. 3), posta la cui natura è peraltro molto controversa, e di “frammenti” del contenuto della nota integrativa che non trovano corrispondenza nelle footnotes previste dai principi IAS. A ben vedere, in materia di informazione di bilancio in senso stretto l’idea è priva di senso, perché in nessuno dei due sistemi contabili è prevista l’eventualità che si verifichi una contaminazione di un sistema da parte dell’altro. Il confine fra i due sistemi è peraltro mobile, in quanto esso può essere in ogni tempo modificato dalle “iniziative” che vengano assunte dagli IAS di nuova emanazione, purché questi ultimi vengano omologati dall’Unione Europea. Basti pensare alla concreta eventualità che nel mondo degli IAS si porti a termine il lavoro attualmente in corso volto a regolamentare il contenuto della relazione degli amministratori, relazione che, a questo punto, diventerebbe un documento di bilancio in senso stretto, in tal modo sottraendo (in tutto o in parte) la materia dell’informazione proveniente dagli amministratori dall’area governata dalle legislazioni comunitaria e nazionale. Rimarrà comunque ferma la potestà sia comunitaria sia nazionale di imporre un’informazione supplementare, anche se non di bilancio in senso stretto. Situazione che, in parte, si è già verificata in tema di informazioni relative ai rapporti con le parti correlate, informazioni che si aggiungono a quelle imposte dallo IAS 24.

3. L’impatto della novella recata dal Decreto Milleproroghe sulla disciplina civilistica (e fiscale) dei bilanci. L’intervento a regime. A partire dal primo gennaio 2011, entro 90 giorni dall’entrata in vigore di ciascun regolamento UE che omologa gli IAS, il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, può «stabilire eventuali disposizioni applicative, volte a realizzare, ove compatibile, il coordinamento» fra i principi di nuova emanazione e la disciplina codicistica del bilancio, «con particolare riguardo alla funzione del bilancio di esercizio». Ciò, però, solamente dopo aver «acquisito» il parere dell’O.I.C., e dopo aver «sentiti» Banca d’Italia, Consob e Isvap.

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La disposizione transitoria. Entro il 31 maggio 2011 le disposizioni di coordinamento a regime appena illustrate possono essere emanate con riguardo agli IAS che siano stati adottati con regolamenti UE entrati in vigore negli anni 2009 e 2010. Le norme fiscali. Nonostante il principio di derivazione, il Ministro dell’economia e delle finanze può dettare «disposizioni di coordinamento per la determinazione della base imponibile dell’IRES e dell’IRAP», anche indipendentemente dall’emanazione di “disposizioni” civilistiche. È voce comune che questo fosse il vero obiettivo dell’innovazione, rispetto a cui, dunque, un intervento sulle norme civilistiche non era necessario. Forse mai due righe di norma hanno contenuto tanti errori, nonché scelte discutibili. Il primo errore è rappresentato dal fatto che la novella prevede una normazione secondaria che introduca «disposizioni applicative». Il termine “disposizioni applicative” non é un termine tecnico, perché non è contemplato dalla vigente legge in materia. L’art. 17, co. 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, infatti, distingue i regolamenti in due categorie: quelli di esecuzione, e quelli di attuazione/integrazione. Nel primo caso, la legge reca la disciplina tendenzialmente per intero, e la normazione secondaria può occuparsi solo di profili esecutivi davvero minori. Nel secondo caso, invece, la legge contiene solo principi direttivi, la più parte dai precetti essendo previsto che siano recati dalla normazione secondaria. Il regolamento previsto dalla novella contempla dunque un tipo di normazione secondaria inedito, sia per ciò che riguarda la terminologia, sia quanto per quanto riguarda il potere normativo conferito al Governo. L’innovazione in quanto tale non dovrebbe considerarsi una violazione del sistema costituzionale delle fonti, ma solamente a condizione di ritenere che la citata legge 400 non sia di rango sovraordinato rispetto alla legge ordinaria, diversamente da quanto non pochi costituzionalisti ipotizzano. Ma anche ove si ritenga la novella pariordinata nella gerarchia delle fonti rispetto alla citata legge n. 400, essa appare comunque non necessaria quanto alla novità che introduce in tema di normazione secondaria, e non opportuna nel merito. Rimane infatti non chiaro come la normazione secondaria “applicativa” potrebbe insinuarsi nello spazio (inesistente) fra principi contabili internazionali e legge interna di coordinamento, il decreto 38 del 2005. Anche l’auspicato «coordinamento» fra principi contabili internazionali e disciplina codicistica in tema di bilancio, con particolare riguardo alla funzione del bilancio di esercizio, tema espressamente preso in considerazione dalla novella, desta non poche perplessità.

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Infatti il coordinamento degli IAS con la funzione del bilancio d’esercizio è un tema che non appartiene più alla sovranità nazionale. Se il coordinamento significa una verifica di compatibilità fra IAS e clausole generali sul bilancio, e non si vede come potrebbe essere diversamente, la materia non rientra nella competenza degli Stati membri, trattandosi di materia riservata alle istituzioni comunitarie (art. 3, par. 2 del regolamento 1606 del 2002). D’altro canto anche un diverso coordinamento ipotizzabile, degli IAS con specifiche norme di natura contabile, è sottratto alla sovranità nazionale se si traduce nella verifica di compatibilità con la disciplina nazionale; ciò perché l’UE ha disposto che nessun altro possa sindacare l’impatto degli IAS sulla disciplina comunitaria (e quindi nazionale) preesistente, eventualmente rifiutandone in tutto o in parte l’applicazione. Gli IAS omologati non possono, quindi, essere “adattati” alla normativa nazionale; il termine adottato, «coordinamento», è pertanto, impreciso, posto che questo termine presuppone pari rango delle misure a confronto, e possibilità di intervenire indifferentemente, ai fini del coordinamento, sul testo dell’una o dell’altra norma; Infine, anche la disposizione transitoria è incongrua in ragione del suo limite temporale, confinato agli anni 2009 e 2010: essa tradisce, all’evidenza, l’origine e la motivazione fiscale dell’innovazione. Insomma, nel quadro appena delineato, il legislatore ha pensato di poter individuare una “terra di nessuno”, in cui potersi muovere liberamente. E ciò nel presupposto, non dichiarato ma che può difficilmente essere messo in discussione, che gli IAS omologati possano essere considerati appunto “norme tecniche” da adattare. Il fatto è però che, come si è visto, tale terra di nessuno non esiste. Un dato va preliminarmente ricordato. Come anticipato, il regolamento UE n. 1606 del 2002 vincola gli Stati membri limitatamente all’adozione degli IAS con riguardo ai bilanci consolidati delle società quotate, mentre eventuali estensioni della portata dell’obbligo, soggettive ed oggettive, sono rimesse alla scelta delle norme interne. Ma essere liberi di non adottare gli IAS nei bilanci separati non vuol dire essere liberi di regolare questi bilanci come pare e piace. Vuol dire, piuttosto, esser liberi di dire “sì” o “no” agli IAS; non anche di dire “ni”. Uno Stato membro, una volta che rifiuti di imboccare la strada degli IAS con riguardo al bilancio di esercizio, non è libero, infatti, di scegliere una propria autonoma strada, perché finisce immediatamente “nelle braccia” della quarta direttiva. Gli unici margini di sovranità che residuano sono solamente quelli lasciati aperti dalle opzioni contemplate dalla quarta direttiva.

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Saggi

Dunque una convergenza, fra gli IAS e la normativa europea applicabile ai soggetti diversi dagli IAS adopters, è materia che può essere decisa solamente dall’UE, operazione in effetti già in parte effettuata con le direttive di modernizzazione contabile, direttive che peraltro in larga misura contemplano la convergenza verso gli IAS in termini di opzioni; opzioni allo stato non esercitate dal legislatore nazionale. In altri termini, la normativa nazionale di bilancio non può essere il vestito di Arlecchino, o un tessuto a macchia di leopardo in cui brani del set ITAGAAP siano cuciti a brani del set IAS. Con quest’idea il legislatore italiano ha fatto un’ennesima brutta figura, che ci esporrà alle sanzioni comunitarie, se i principi enunciati dalla legge in esame saranno effettivamente tradotti in norme secondarie. Occorre dunque andare alla ricerca di un senso “legale” da riconoscere alla novella civilistica, restringendone la portata. E la strada appare essere una sola: i provvedimenti contemplati dalla novella possono investire esclusivamente l’area del bilancio che gli IAS lasciano scoperti. Dunque, il regime di disponibilità degli utili accertati a norma dei nuovi IAS e la disciplina delle poste di patrimonio netto. Il tutto, comunque, sempre nel rispetto della quarta direttiva. La novella allora, per poter essere considerata legittima, potrà essere interpretata solo nel senso che con riferimento agli IAS di nuova omologazione essa delegifica per il futuro – sotto la condizione dell’effettivo esercizio del potere di normazione secondaria previsto dalla novella in esame – le materie influenzate ma non regolate dagli IAS. Essa dunque consente alla normazione secondaria di correggere non già gli IAS, bensì le norme del decreto 38 del 2005 e le norme del codice che si preoccupano di regolare quali utili possano essere distribuiti, nonché il regime delle poste di patrimonio netto che “provengono” dalle valutazioni di bilancio. Dubbio rimane il potere di intervenire sugli schemi dei conti (naturalmente nei limiti consentiti dagli IAS), dato il potere in materia conferito ai regulators da parte del decreto n. 38 del 2005. Per fare un esempio, la normazione secondaria eventualmente emanata a seguito della futura omologazione di nuovi IAS potrà chiarire che le società IAS adopters non dovranno accendere la riserva azioni proprie acquistate laddove acquistino azioni proprie, ovvero decidere se tutte o alcune delle riserve accese a fronte delle plusvalenze non realizzate, ma contabilizzate a norma degli IAS, possano o meno essere impiegate per coprire le perdite. Occorre poi sperare che non accada che le risultanze del bilancio civilistico vengano ancora una volta inquinate, peraltro senza necessità alcuna, allo scopo di costringere le imprese a redigere un bilancio IAS

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Mario Bussoletti

da cui si vuole che emergano, più o meno esattamente, gli utili corrispondenti a quelli che il fisco vorrebbe emergano dalle dichiarazioni dei redditi. Segnalo, infine, che anche l’innovazione nell’ambito tributario riguardante l’emanazione di disposizioni volte alla determinazione della base imponibile desta serie perplessità: infatti, affidare alla normazione secondaria la determinazione della materia imponibile è operazione che non mi sembra rispettosa della riserva di legge recata dall’art. 23 Cost. È vero che la riserva di legge in questione è pacificamente ritenuta solo relativa, in via di principio; ma stando alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, che all’evidenza il legislatore mostra di non conoscere, rimangono tuttavia coperte da riserva di legge assoluta le materie dell’individuazione dei soggetti contribuenti, dei presupposti d’imposta nonché, tema appunto chiamato in causa nella specie, della determinazione della base imponibile.

Mario Bussoletti

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Il controllo amministrativo delle clausole dei contratti bancari: vecchie questioni e nuove prospettive* Nel tentativo di individuare un tema, per questo intervento, che, al contempo, fosse coerente con le relazioni del convegno e con gli interessi di Franco, mi è tornato alla mente il fervore di studi che ha contraddistinto il passaggio dalla legge bancaria al testo unico nel periodo scandito dal d.lgs. 481 del 1992 e, poi, dal d.lgs. 385 del 1993. Una raccolta degli studi occasionati da questa temperie rifondativa della legislazione bancaria fu messa insieme da Belli nel volume dal titolo prospettico Verso una nuova legge bancaria, edito nel 1993 per i tipi della Giappichelli. Il lavoro non gli piacque molto: me lo conferma l’autoironica dedica che appose alla copia che mi donò e me ne dà ragione la struttura del volume, una raccolta degli esiti delle sue riflessioni, magari già pubblicati. Insomma quanto di meno interessante per chi amava la sfida dei nuovi percorsi argomentativi, magari il gusto dell’interrotto, del non finito, non certamente una diligente silloge di risultati già raggiunti. Fatto sta che invece a me parve, e pare tuttora, che quel volume fermasse sulla carta il fermento delle discussioni di quel periodo, di quel passaggio dal dirigismo alla concorrenza, dall’istituzione all’impresa, che molti di noi speravano si compisse con il testo unico. Come sia andata e se anche in quel campo il cambiamento sia stato così radicale come negli auspici che emergevano nelle discussioni del “gruppo senese” e se, insomma, la soluzione di continuità fra vecchio e nuovo si sia così fortemente realizzata è giudizio che non tocca qui formulare. Non siamo

*

Lo scritto riproduce, con modifiche e adattamenti, l’intervento tenuto presso l’Università degli Studi di Siena, al convegno Sistema creditizio e finanziario: problemi e prospettive, 9-10 maggio 2013, organizzato in memoria di Franco Belli e alla pubblicazione nei relativi Atti è destinato.

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Commenti

chiamati a dire se pure sotto questa prospettiva di politica legislativa bancaria la nostra generazione… abbia perso o no. 1. Mi limito a ricordare, a me e a voi, che una delle basi fondanti della politica interventistica dello Stato nel sistema bancario veniva individuata nell’art. 32 della legge bancaria. Nel Codice commentato CapriglioneMezzacapo che in quegli anni (fu edito nel 1990), fornì l’ultimo commento organico a questa legge, fu scritto che il menzionato art. 32 «si configura particolarmente importante nella definizione dello schema organizzativo adottato dalla legge bancaria per la sottoposizione a controllo del settore del credito: si individuano, infatti, i termini del rapporto di direzione politica-attività amministrativa che contraddistinguono le modalità attraverso cui l’intervento pubblico trova esplicazione nell’ordinamento bancario. (…) Si è in presenza di uno schema di organizzazione pubblica la cui applicazione in campo creditizio si rivela particolarmente adeguata; ciò in considerazione della possibilità, che ad esso inerisce, di legare gli interventi dell’autorità allo sviluppo del settore»1. Prosegue l’a. che la centralità e l’efficienza del meccanismo previsto da questo articolo mette in evidenza appunto la validità del modello interventistico, validità che si evince, tra l’altro, dalla capacità di questo a seguire le trasformazioni del sistema finanziario, vieppiù orientato verso una logica di mercato: «viene meno, quindi la possibilità di aderire a quelle opinioni che, con riguardo alle istanze riformatrici presenti nel sistema, asseriscono il presunto “tramonto della legge bancaria”, formulando l’auspicio di una rivisitazione della normativa in materia creditizia [e qui il riferimento è a Minervini, La legge bancaria verso il tramonto?, in AA.VV., La banca oggi e domani, Milano, 1985, p. 135]; analogamente risulta svuotata di contenuti la tesi che, in relazione al pluralismo soggettivo dei titolari della funzione di controllo (oggi riscontrabile nel mercato), propone un modello alternativo per la disciplina del sistema finanziario rappresentato dalla concentrazione in un unico organo governativo dell’“alta vigilanza” per tutte le forme di intervento in materia [e qui il riferimento è a G. Visentini, Una ricerca sul sistema finanziario italiano: proposte per un modello teorico di disciplina, in Dir. econ., 1988, p. 13]». Senza indugiare sulla capacità visionaria di simili profezie (almeno per la prima, destinata a infrangersi di lì a poco), voglio riprendere bre-

1 Pugliese, Commento all’art. 32 l.b., in Codice commentato della banca, a cura di Capriglione e Mezzacapo, Milano, 1990, I, p. 303.

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vemente il contenuto delle lett. b) e c) dell’art. 32, che attribuivano alla Banca d’Italia poteri di intervento in ordine «ai limiti dei tassi attivi e passivi ed alle condizioni delle operazioni di deposito e di conto corrente» e «alle provvigioni per i diversi servizi bancari». Come ricordiamo, si accese un minimo di querelle soprattutto per quanto riguardava l’ambito di applicazione della lett. c) e in particolare se nel termine “condizioni” dovessero intendersi comprese o meno le condizioni contrattuali, cioè, all’epoca, le norme bancarie uniformi. Si dibatteva cioè sulla possibilità di riconoscere o meno alla Banca d’Italia di estendere le sue funzioni di vigilanza non solo al di là delle operazioni di deposito e di conto corrente (intesa come una sorta di “sineddoche normativa”, in realtà riferita a tutte le operazioni bancarie e non solo a queste due), ma anche alle relative regolamentazioni contrattuali e non esclusivamente ai tassi e alle altre condizioni economiche. La prevalente dottrina dava risposta positiva a questo interrogativo. Giovanni Gabrielli, ad esempio, riteneva necessario far esplicitare al legislatore quanto avrebbe voluto dire senza esservi riuscito2; Porzio, oltre a riconoscere all’Organo di vigilanza il potere di dettare un completo regolamento negoziale tipo, «direttamente o attraverso l’approvazione di schemi contrattuali predisposti dalle aziende di credito o dalle loro associazioni di categoria», argomentava per una «interpretazione estensiva che affermi il potere del CICR e della Banca d’Italia su tutta l’attività contrattuale tipica delle aziende di credito»3, cioè per la possibilità per la Banca centrale di sindacare il contenuto di tutte le norme contrattuali uniformi, non solo di quelle relative ai depositi e ai conti correnti. Insomma, una posizione che convergeva con quel “controllo amministrativo delle condizioni contrattuali” che si andava auspicando in quel coevo fervore di studi in tema di clausole onerose e dell’inutile “rito” della

2 Gabrielli, Controllo pubblico e norme bancarie uniformi, in Banca, borsa, tit. cred., 1977, I, p. 271: «non può escludersi beninteso che i compilatori della legge bancaria abbiano voluto impiegare il riferimento alle “condizioni” di contratto proprio in questo significato più ristretto [cioè la parte economica del rapporto], che era loro suggerito dal valore comunemente attribuito alla locuzione nel gergo degli operatori di settore; ma non è dubbio, alla luce dei principi ermeneutici più generalmente accreditati, che una siffatta eventuale intenzione soggettiva del legislatore non sia riuscita ad obiettivarsi nel testo della legge, rispetto al quale s’impone in misura prevalente l’esigenza sistematica, che conduce a interpretarlo in senso congruente con quello che la medesima espressione ha in altri, e più generali, precetti dell’ordinamento in cui pur questo testo s’inserisce». 3 Porzio, Il controllo amministrativo sulle condizioni dei contratti bancari, in Riv. dir. comm., 1980, I, rispettivamente p. 148 e p.146.

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doppia firma ex art. 1341 c.c., ritenuta risposta insufficiente e inadeguata per la tutela sostanziale della clientela. Per una interpretazione estensiva del termine “condizioni” erano molti altri studiosi4; di Franco Belli non sono riuscito a rintracciare uno scritto di conferma ma sicuramente, per averne parlato con lui all’epoca, si mostrava anch’egli incline alla tesi prevalente, sulla scia del suo Maestro Paolo Vitale. E poi c’era una sparuta schiera di sostenitori della tesi opposta, fra cui il sottoscritto. Si sosteneva che la tesi maggioritaria, pur supportata da «suggestive argomentazioni» era smentita dai primi commentatori dell’art. 32, lett. b), i quali ritenevano che con l’espressione «‘condizioni di banca’ – a prescindere dal significato generico di condizione come clausola condizionale o normativa – si intende designare quanto si riferisce alla determinazione degli interessi e dei compensi per le operazioni ed i servizi bancari, e cioè la misura dei tassi d’interesse, dei tassi di sconto e delle commissioni bancarie, le valute degli accreditamenti e degli addebitamenti e simili»5. Del resto, al controllo delle condizioni economiche dei rapporti bancari (art. 32, lett. b e c, l. banc.) in un’ottica di tutela del governo della liquidità del mercato e del credito come strumenti di politica economica si rifanno i lavori parlamentari preparatori della disposizione in esame6 e anche quando l’Organo di vigilanza si è concretamente avvalso del potere conferitogli dall’art. 32, lett. b, l. banc. – cioè all’indomani dell’emanazione della legge bancaria fino all’entrata in vigo-

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Clarizia (La legge bancaria: rassegna di problemi di dottrina e giurisprudenza, parte IV, in Tremisse, 1977, p. 29) supporta la tesi in esame con il richiamo all’art. 1341 c.c. e l’identità del termine utilizzato, giacché «il termine condizione è inteso in tale significato dal nostro legislatore»; Capriglione (Intervento pubblico e ordinamento del credito, Milano, 1978, p. 105) ne prende atto riportando l’opinione di Gabrielli considerata nell’ambito di un ulteriore ampliamento dell’esercizio delle funzioni spettanti all’Organo di vigilanza; Vitale (Operazioni bancarie ed ordinamento dell’attività bancaria, in Le operazioni bancarie, a cura di Portale, Milano, 1978, I, p. 10) genericamente ritiene, senza ulteriori motivazioni, che «i poteri d’intervento sugli statuti e sull’attività (artt. 28, 32, lett. b) legge bancaria) consentano ampie possibilità di manovra, e non solo in relazione alle condizioni economiche delle operazioni ma anche sul disciplinare»; senza ulteriori motivazioni anche Di Majo (Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole, Milano, 1970, p. 69) annovera l’art. 32, lett. b) l. banc. come un esempio di controllo amministrativo sulle condizioni generali di contratto; Pisani Massamormile (Norme bancarie uniformi, in Banca, borsa, tit. cred., 1984, I, p. 190) sembra aderire, nel riportare le varie tesi e le relative obiezioni, a quella estensiva. 5 Cugusi, voce Condizioni (di banca, di conto), in Enc. banc., Milano, 1942, I, p. 448. 6 Vedili riportati in Enc. della banca e della borsa, Roma-Milano, 1969, I, pp. 308-311.

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re, nel 1954, dell’Accordo Interbancario ABI, essendo stato fin dal 1947 varato, parallelamente al «cartello», un accordo di aggiornamento dello stesso – lo ha sempre fatto con riferimento alle condizioni economiche dei vari rapporti: tale accordo veniva intitolato «Condizioni e norme per le operazioni ed i servizi di banca», eppure non v’era traccia di clausole contrattuali, quali erano quelle contenute nelle n.b.u. allora vigenti. Ma a parte queste considerazioni, l’accoglimento della tesi prevalente postulava un’attribuzione di poteri alle autorità di vigilanza che difettava alla legge bancaria, vale a dire quell’attenzione ai rapporti banca-cliente nell’ottica della tutela di quest’ultimo. Insomma, l’ordinamento positivo dell’epoca non attribuiva agli organi di vigilanza alcun potere in tema di trasparenza sotto il profilo privatistico del rapporto con la clientela7, sicché a quest’ultima non erano consentiti ambiti di tutela contrattuale diversi da quelli di cui al codice civile (artt. 1341 e 1342) e i tentativi esperiti in senso diverso finivano per postulare o un controllo giudiziario indeterminato quanto ai parametri da utilizzare e che tendeva comunque «a spingere l’intervento del giudice più in là di quanto le norme consentano»8, ovvero una interpretazione estensiva dell’art. 32, lett. b) l. banc. non appagante. Mi pare cioè che la tesi dominante in ordine all’interpretazione da attribuire alle lett. b) e c) del menzionato art. 32 incontrasse un ostacolo insormontabile - di diritto positivo all’epoca - nella mancanza di ogni potere, in capo alle autorità di vigilanza, di tutela della clientela bancaria nell’ottica, diremo oggi, di trasparenza e correttezza dei rapporti bancacliente. E immaginarne l’esistenza (come da taluno dotato di fervida fantasia si faceva) voleva dire affrontare l’altro tema della compatibilità di simili poteri (non positivamente riconosciuti, ma “immaginificamente” dedotti) con quello della salvaguardia della funzione creditizia e della stabilità degli operatori e del sistema, cui era con ogni certezza votata la legge bancaria9.

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Salanitro, Le banche e i contratti bancari, Torino, 1983, 62. Bessone, Gli standards dei contratti d’impresa e l’analisi economica del diritto, in Giur. mer., 1984, p. 985. Erano recenti i problemi originati dalla deriva giurisprudenziale in tema di responsabilità penale degli operatori bancari, deriva che peraltro fu solo la capostipite di molte altre successive. 9 E qui è interessante segnalare il pensiero di chi (riportando l’opinione di Porzio, Il controllo, cit., pp. 151-155, secondo cui la tutela del contraente debole sarebbe uno degli interessi salvaguardati dall’art. 32 l. banc.) ha ritenuto che il potere demandato alla Banca d’Italia «non intende affatto tutelare il contraente più debole – cliente – ma fornire 8

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2. È proprio questa situazione che oggi è cambiata. Il percorso iniziato con la legge n. 154 del 1992 si è compiuto con il d.lgs. n. 141 del 2010 che - «innestando disposizioni del tutto nuove e riformulando gran parte delle disposizioni preesistenti»10 – ha completato il disposto complessivo in tema di trasparenza, ora ospitato nel testo unico bancario. In particolare, il quadro complessivo appare adesso il seguente: a) l’art. 127, co. 1, t.u.b. stabilisce che le Autorità creditizie esercitano i poteri previsti dal titolo VI «avendo riguardo, oltre che alle finalità indicate nell’articolo 5, alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la clientela»; a questi fini, prosegue il comma, la Banca d’Italia, «in conformità alle deliberazioni del CICR, può dettare anche disposizioni in materia di organizzazione e controlli interni»; b) «al fine di verificare il rispetto delle disposizioni del» titolo VI, la Banca d’Italia può (a) acquisire informazioni, atti e documenti; (b) eseguire ispezioni presso le banche e gli altri intermediari finanziari (così l’art. 128, co. 1, t.u.b.); c) sotto diverso ma convergente profilo, l’art. 144, co. 3-bis, lett. b, t.u.b. applica sanzioni amministrative pecuniarie per (i) l’inosservanza delle più rilevanti disposizioni dettate in materia di trasparenza dal titolo VI del t.u.b.; (ii) l’«inserimento nei contratti di clausole nulle o applicazione alla clientela di oneri non consentiti, in violazione (…) del titolo VI»; (iii) «l’inserimento nei contratti di clausole aventi l’effetto di imporre al debitore oneri superiori a quelli consentiti per il recesso o il rimborso anticipato ovvero ostacolo all’esercizio del diritto di recesso da parte del cliente, ivi compresa l’omissione del rimborso delle somme allo stesso dovute per effetto del recesso». Nei casi richiamati alle lett. a), b), c), le sanzioni si applicano «quando le infrazioni rivestono carattere rilevante, secondo i criteri definiti dalla Banca d’Italia, con provvedimento di carattere generale, tenuto conto dell’incidenza delle condotte sulle complessiva organizzazione e sui profili di rischio aziendali» (co. 8 dell’art. 144 t.u.b.)11.

alle autorità del settore strumenti di governo nel mercato del credito»: Perlingieri, a cura di, La legislazione civile annotata con la dottrina e la giurisprudenza, vol. 11: Borsa, banche e assicurazioni, Napoli, 1985, sub art. 32 l. banc., p. 259. 10 Baldassarre, Commento all’art. 127 t.u.b., in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia3, diretto da Capriglione, Bologna, 2012, tomo IV, p. 2013. 11 In alternativa alle statuizioni punitive di cui al testo, è prevista, in presenza di mere irregolarità, l’adozione delle misure inibitorie di cui all’art. 128-ter t.u.b.: «di qui la logica

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L’impianto così configurato ha in effetti suscitato qualche perplessità nei primi commentatori, come quella legata alla previsione di una norma in ordine alle finalità di vigilanza al di fuori della disposizione “naturale” del t.u.b., vale a dire l’art. 5: in assenza di indicazioni risolutive nei lavori parlamentari, forse siffatta scelta può essere giustificata «dall’esigenza di dare uno specifico rilievo a norme, quali quelle di trasparenza e correttezza, il cui impatto travalica il perimetro tipico dei soggetti vigilati indicati nell’art. 45»12. Secondo altri invece, la scelta compiuta manifesta la volontà di riconoscere alla tutela del cliente il ruolo di criterio-guida autonomo dell’azione di vigilanza, ma «limitatamente alla materia della trasparenza e della correttezza e non anche con riferimento ai più ampi poteri attribuiti alla Banca d’Italia (ed alle altre Autorità creditizie) in materia di vigilanza prudenziale»13. Anche sulla formulazione con la quale si sono attribuiti poteri di emanare disposizioni in materia di organizzazione e controlli interni è emersa qualche riflessione critica: per alcuni siffatta disposizione, per un verso inutile atteso il disposto dell’art. 53 t.u.b. (secondo cui la Banca d’Italia già può emanare, in conformità alle deliberazioni del CICR, disposizioni di carattere generali avente ad oggetto, tra l’altro, «l’organizzazione amministrativa e i controlli interni»), per un altro dovrebbe «interpretarsi nel senso che, in materia della trasparenza, potranno essere imposte agli intermediari regole in materia di organizzazione e controlli interni che mirino a perseguire in via diretta il bene della tutela del cliente, purché le stesse non siano in conflitto con la sana e prudente gestione dei destinatari»14. Per altri, invece, la disposizione de quo non sarebbe inutile, ma funzionale a «sopperire alle difficoltà delle Autorità nell’estendere tali disposizioni [in materia di organizzazione e controlli interni] a tutti i prestatori di servizi impattati dalle norme del Titolo VI»15; in ogni caso essa sarebbe troppo lacunosa nella parte in cui non precisa a quale delle autorità creditizie citate nella prima parte del co. 1 spetti

seguita dal legislatore di apprestare presìdi via via più rigorosi secondo un criterio di progressiva offensività della fattispecie violata» (Condemi, Commento all’art. 144 t.u.b., in Commentario diretto da Capriglione, cit., p. 2389). 12 Greco, Commento all’art. 127 t.u.b., in Testo Unico Bancario. Commentario, a cura di Porzio, Belli e altri, Addenda di aggiornamento ai d.lgs. 141/2010 e 218/2010, Milano, 2011, p. 109. 13 Baldassarre, Commento, cit., p. 2015. 14 Baldassarre, Commento, cit., pp. 2015-2016. 15 Greco, Commento, cit., p. 109.

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l’emanazione delle predette disposizioni, anche se il rinvio all’analogo art. 53 t.u.b. consente di colmare agevolmente la lacuna pensando a un intervento della Banca d’Italia, conformemente alle deliberazioni del C.I.C.R.16. Invero, non mi sembra particolarmente difficile superare le perplessità sorte intorno alla redazione del secondo periodo del co. 1 dell’articolo in esame, atteso che esso, avendo già la Banca d’Italia provveduto nel luglio 2009 ad emanare disposizioni di vigilanza sulla trasparenza e, in particolare (con la sez. XI) sull’organizzazione che gli intermediari dovevano darsi in quell’ambito, fondandosi sull’art. 53 t.u.b., assume la funzione di razionalizzare e sistematizzare quel che già era avvenuto, cioè di un intervento ex post utile a raccordare le fila di una regolamentazione primaria e di una regolamentazione secondaria non sempre fra loro cronologicamente coordinate. Non v’è dubbio però che, al di là dell’esegesi minuta, il significato forte dell’art. 127, co. 1, t.u.b. consiste nell’attribuire alla vigilanza di trasparenza pari dignità e rilevanza a quella vigilanza propria (della Banca d’Italia e delle altre autorità) di stabilità; è vero che di “vigilanze” si è subito parlato anziché di vigilanza17, già all’indomani del varo del t.u.b., per classificare la tipologia dei poteri attribuiti, ma per segnalarne anche la ampiezza; è vero che anche prima dell’emanazione di questa disposizione si erano ritrovati nessi convincenti fra trasparenza, sana e prudente gestione e competitività, dal momento che «rapporti trasparenti e fluidi con la clientela contribuiscono ad attenuare i rischi di carattere reputazionale e legale (costituendo così un presupposto di sana e prudente gestione); un’adeguata pubblicità delle condizioni negoziali praticate costituisce inoltre un presupposto della competitività del sistema finanziario nel suo complesso, atteso che l’opacità delle condizioni medesime non è solo indice di comportamento non corretto dal punto di vista contrattuale ma è anche strumento per ostacolare il confronto con l’offerta degli intermediari concorrenti», sicché, «pur in assenza di un’esplicita indicazione normativa, l’obiettivo primario perseguito [dalle disposizioni di trasparenza è] quello di tutelare il cliente, attraverso disposizioni che garantiscono adeguate forme di pubblicità delle condizioni praticate e che, in alcuni casi, concorrono all’equilibrio

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Baldassarre, Commento, cit., p. 2016. Merusi, Vigilanza e «vigilanze» nel nuovo testo unico delle leggi bancarie, in Banca, impresa, soc., 1996, p. 189. 17

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degli assetti negoziali»18; è vero che nelle Considerazioni finali sul 2009 il Governatore ebbe a dire che «la tutela dei clienti degli intermediari è ormai diventata a pieno titolo una finalità della Vigilanza»; è altrettanto vero che solo con l’intervento legislativo in discorso si è pienamente legittimata la Banca d’Italia (e le altre autorità di vigilanza) a riconoscere fra le proprie finalità la tutela della trasparenza e della correttezza contrattuale e obbligata a conformare la propria attività di controllo anche a questa finalità. Insomma, la riforma implica che trasparenza e correttezza costituiscano fini “in sé” dell’esercizio dei poteri delle autorità, «e che quindi in un’ipotetica situazione di conflitto tra le finalità di cui all’art. 5 e quelle ulteriori, di cui all’art. 127, la scelta compiuta dal legislatore dovrebbe imporre (…) una ricerca di un bilanciamento degli, in ipotesi, opposti interessi, non risolvibile in termini di necessaria recessività delle finalità di tutela dei clienti»19. Se a questo rilievo si aggiunge una vigilanza di trasparenza articolata nelle forme consuete (informativa, regolamentare e ispettiva) e il corredo inevitabile di sanzioni amministrative, collegate anche all’utilizzo di clausole contra legem, non si fa fatica a intravedere un panorama operativo che individua (soprattutto) nella Banca d’Italia l’autorità di controllo della compliance dei contratti alle regole di legge e, in genere, ai principi di correttezza codificati (oltre che dal c.c.) dalle Istruzioni di trasparenza. 3. A seguito di questo ampliamento/chiarimento/rafforzamento dei criteri di vigilanza e della conseguente azione, la Banca d’Italia si è trovata di fronte all’esigenza di organizzare questa parte della sua attività. Occorreva dotarsi infatti di uno strumento in grado di rilevare sul mercato l’utilizzo di prassi contra legem, effetto che difficilmente poteva efficacemente e diffusamente raggiungersi attraverso gli strumenti di vigilanza normalmente utilizzati. È da tutto ciò che scaturisce la rilevanza in chiave strumentale dell’ABF, strumento di vigilanza in grado di segnalare all’Autorità le prassi, le clausole, i comportamenti da censurare in quanto suscettibili di far applicare le sanzioni amministrative pecuniarie sopra riportate. Si badi bene:

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Basso, La trasparenza delle condizioni contrattuali nel t.u.b., in Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di Galanti, Milano, 2008, p. 857. 19 Portolano, Commento all’art. 127 TUB, in Commento al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Costa, Torino, 2013, II, p. 1497.

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l’A.B.F. va per la sua strada, con l’autonomia di giudizio e di valutazione che le disposizioni che lo regolano gli impongono, valutando il torto e la ragione delle parti che si sottopongono al suo giudizio. A tutto ciò la Banca d’Italia è estranea, salva la messa a disposizione delle strutture e della segreteria tecnica dei Collegi. Ma il lavoro dell’A.B.F. costituisce proprio quella “scrematura” del mercato di cui ha bisogno l’Autorità di vigilanza per individuare le prassi da sottoporre a verifica, per raffinare e rendere efficienti i suoi interventi. Mi pare insomma che l’A.B.F. venga a iscriversi senza forzature nel complesso disegno nato dalla riformulazione dell’art. 127 t.u.b., quale strumento di vigilanza sui generis, non direttamente condotto dalla Banca d’Italia ma da essa utilizzato per monitorare il mercato, conformarlo secondo il principio per cui gli Uffici reclami debbono tener conto, nella loro attività, delle decisioni dell’A.B.F., studiarlo per prefigurare ulteriori interventi, magari sanzionatori. Peraltro, la stessa pubblicità, sul sito dell’Arbitro, della non ottemperanza alle singole decisioni e degli elenchi degli intermediari i cui clienti hanno avuto più frequentemente necessità di rivolgersi ai Collegi rappresentano di per sé sanzioni reputazionali che aumentano la moral suasion per l’adesione alle decisioni dell’Arbitro, formalmente non vincolanti né per l’intermediario né per il cliente. Da queste osservazioni alla conformazione dei testi contrattuali il passo è breve: la dottrina ha riconosciuto all’Arbitro – ed è una conseguenza della funzione di “precedente” che le decisioni mostrano20 – una funzione nomofilattica, sicché una clausola che dovesse ricevere una valutazione negativa dalla “giurisprudenza” dell’A.B..F dovrebbe essere espunta o modificata dagli intermediari. Questa, credo, è la conseguenza del precetto per gli Uffici reclami di “tener conto” delle decisioni dell’ABF, almeno in relazione a quelle che censurano statuizioni negoziali. Se dunque torniamo al punto di partenza del nostro discorso, dobbiamo concludere che l’intervento sulle condizioni contrattuali da parte della Banca d’Italia (e delle autorità di vigilanza) – che continuo a ritenere escluso sotto il vigore dell’art. 32 l. banc. – sia ora consentito nell’ambito dell’esercizio dei poteri di vigilanza, come integrati dall’art. 127, co. 1, t.u.b. Poteri che traggono oggi origine dall’essere trasparenza

20 Liace, La composizione delle controversie in materia bancaria e finanziaria, Bari, 2012, p. 35.

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e correttezza contrattuale divenuti uno dei principi ai quali l’attività di controllo deve conformarsi e dall’essere la tutela del cliente divenuta una funzione delle Autorità di vigilanza. È evidente come questa osservazione diacronicamente contenga l’evoluzione di almeno cinquant’anni di legislazione bancaria, culminata nell’attuale stesura dell’art. 127 t.u.b., che passa attraverso il continuo affinamento e rafforzamento delle richieste socio-culturali, prima che giuridiche, di un riequilibrio delle posizioni banche-clienti e l’esigenza che siffatto riequilibrio possa trovare la verifica di un costante e dinamico controllo da parte delle Autorità di vigilanza. Fabrizio Maimeri

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Vigilanza bancaria e tutela del consumatore: obiettivi e strumenti Sommario: 1. La nuova disposizione del testo unico bancario. – 2. Analisi diacronica. – 3. Prodotti finanziari e beni di consumo. – 4. (segue)… obiettivi della tutela amministrativa. – 5. Le tecniche giuridiche di protezione. – 6. L’enforcement.

1. La nuova disposizione del testo unico bancario. Il co. 1 dell’art. 127 d.lgs. n. 385/1993 e successive modificazioni e integrazioni (d’ora in avanti: t.u.b.) dispone che “le autorità creditizie” (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio; Ministro dell’economia e delle finanze; Banca d’Italia) “esercitano i poteri previsti dal presente Titolo” (rubricato alla trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con la clientela) “avendo riguardo, oltre che alle finalità indicate nell’art. 5” (sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, stabilità complessiva, efficienza e competitività del sistema finanziario), “alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la clientela”. La norma aggiunge, nei riferiti termini, alle tradizionali finalità della vigilanza bancaria anche (e in maniera pari ordinata) quella tesa a preservare e a rendere effettivi i principali strumenti a presidio della tutela del risparmiatore – consumatore dei servizi offerti dai soggetti attivi nel mercato del credito 1. Formalizza e rafforza

1 Sul nuovo art. 127 del t.u.b. v. Greco, in Commentario al Testo unico bancario a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina e Santoro, Addenda di aggiornamento, Milano, 2011, p. 108 ss. e Baldassarre, in Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Padova, 2012, IV, p. 2012 ss.; Zoppini, Appunti in tema di rapporti tra tutele civilistiche e disciplina della vigilanza bancaria, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, I, p. 26 ss.; Brodi, Dal dovere di far conoscere al dovere

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gli stimoli della Banca d’Italia per la “tutela dei clienti degli intermediari”, già considerata “a pieno titolo una finalità della vigilanza” 2. Offre loro copertura normativa. Colma la lacuna rappresentata dalla preesistente asimmetria in essere nel mercato (in senso lato) finanziario, la cui suddivisione in partes tres faceva registrare l’esistenza di specifici obiettivi della specie (quali limiti alla discrezionalità delle corrispondenti autorità settoriali) nel comparto mobiliare (art. 5 d.lgs. n. 58/1998, t.u.f.) e in quello assicurativo (art. 3 d.lgs. n. 209/2005, codice delle assicurazioni private). L’assenza di una corrispondente previsione nel settore bancario risultava manifestamente irragionevole quanto meno con riguardo all’attività creditizia di banche e altri soggetti abilitati, ammesso pure (certo non concesso) che la tutela del risparmio c.d. inconsapevole (cioè della raccolta bancaria) possa risultare sussumibile in quella della stabilità dell’intermediario, ricevendo così protezione solo mediata e indiretta.

2. Analisi diacronica. La discontinuità negli scopi della supervisione bancaria perseguiti dall’ordinamento risulta di immediata evidenza dal raffronto tra questa norma e l’assetto regolamentare disegnato dalla vecchia legge bancaria del 1936. Quell’antica disciplina era peraltro manifestamente avara nella definizione dei propri scopi, coerentemente all’ampia discrezionalità amministrativa assegnata alle autorità di settore. Non è tuttavia dubbio che il principale obiettivo perseguito consistesse nella stabilità patrimoniale delle aziende e istituti di credito. A ragione autorevole dottrina segnala come, proprio per tali caratteristiche, quella legge considerava la concorrenza tra le banche “come un pericoloso fattore di instabilità” e perciò “non si preoccupava in alcun modo di consentire al consumatore dei relativi prodotti un giudizio comparativo fra questi ultimi” 3. Può semmai destare oggi (ma solo fra le generazioni dei più giovani studiosi)

di far “comprendere”, Id., 2011, I, p. 246 ss.; Urbani, La vigilanza sui soggetti esercenti il credito ai consumatori, Id, 2012, I, p. 442 ss. nonché il mio La riforma del credito ai consumatori e le nuove policies di tutela del risparmiatore nel settore bancario, in Europa e dir. priv., 2011, p. 520 ss. 2 Banca d’Italia, Considerazioni finali, Roma, 2010, p. 16. 3 Così Costi, L’ordinamento bancario, Roma, 2012, p. 701. Funditus, sotto il versante della ricostruzione storica, Carbonetti, I cinquant’anni della legge bancaria, Quaderni di ricerca della Consulenza Legale, Roma, 1986.

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un qualche stupore il rilievo che quell’assetto normativo (validato, nel dopoguerra, dal peculiare sistema di economia mista sotteso alle logiche di programmazione economica) sia, nel nostro paese, resistito così a lungo. Al punto che l’emersione di uno specifico rilievo delle “condizioni contrattuali”, sintomatico di assetti disciplinari idonei a traslare il baricentro delle tecniche giuridiche di protezione del consumatore dalle norme d’azione (sub specie correttezza gestionale dell’impresa in punto di sua stabilità) alle norme di relazione (che suppongono una tutela dinamica delle situazioni soggettive riconosciute in capo al risparmiatore) è, a dispetto delle apparenze, conquista recente, indotta principalmente dall’evoluzione del diritto bancario europeo. Valga solo rammentare che affermazioni dottrinarie le quali ribadivano, riguardo alle norme bancarie uniformi, l’assenza di questioni inerenti alla “difesa del contraente più debole” non potendo queste essere ricondotte sullo stesso piano delle condizioni generali di contratto in ragione della funzione d’interesse pubblico della relativa attività, sembrano di altre epoche anziché appartenere (come appartengono) alla manualistica corrente di fine anni ottanta del trascorso millennio 4. Presupposto del cambiamento è, sul piano euristico, il passaggio da un sistema chiuso (di oligopolio amministrato sotto il versante imprenditoriale; di pubblico servizio in senso oggettivo sotto quello giuridico) a un’economia di mercato aperta alla concorrenza. In quel contesto non esiste problema di tutela del consumatore se il numero delle banche è dato e il territorio nel quale la banca opera è predefinito o predefinibile (al punto da sollecitare, nelle politiche della vigilanza dell’epoca, limiti alla competenza territoriale dell’azienda o dell’istituto di credito). Tale cornice postula assetti di mercato nei quali predefinita o predefinibile risulta (dal lato della domanda) la stessa clientela, astretta (a fronte della rigidità dell’offerta) all’elementare take it or leave it proprio dei contratti di somministrazione conclusi per il soddisfacimento di bisogni primari. È un mondo nel quale anche per il risparmiatore la tutela può risiedere (se e quando non confligga con l’assetto pubblicistico del credito) nella sola disciplina delle condizioni generali di contratto ex artt. 1341 e 1342 c.c. che paradossalmente postula l’esistenza di un potere di negoziare e (soprattutto) di scegliere da parte dell’oblato nell’ambito dei contratti d’impresa. Così ignorando costi transattivi, cartelli, politiche di programmazione economica.

4 Il riferimento nel testo è a Molle, La banca nell’ordinamento giuridico italiano, Milano, 1987, p. 175.

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Viceversa, con il passaggio al mercato, la libertà della scelta esalta la questione dell’efficienza aziendale. Se la clientela non è più variabile indipendente, il mercato va conquistato con comportamenti virtuosi e con alti standard di reputazione, il cui affievolimento (diversamente dal passato) sconta costi anche patrimonialmente rilevanti. Non senza aver ricordato come (in controtendenza rispetto ai tempi) la Banca d’Italia abbia (fin dai primi anni ottanta) provato a introdurre “enzimi di concorrenza” nel sistema 5, mette conto tuttavia constatare che la formale (e irreversibile) inversione di rotta avviene solo con il definitivo recupero della libertà d’iniziativa economica dell’imprenditore bancario nell’esercizio dell’attività. Il rinnovato assetto istituzionale, sancito con l’introduzione del testo unico bancario, per un verso circoscrive (e limita) la discrezionalità dell’autorità di settore agli obiettivi della vigilanza ora espressamente identificati dalla norma di legge primaria (che rappresenta il contraltare all’ampia delegificazione assegnatale per corrispondere nel continuo alle evoluzioni di un settore in continua trasformazione); per altro verso sollecita politiche creditizie attente alle ragioni dell’utenza e alla trasparenza del rapporto contrattuale, perché “con il promuovere maggiore informazione vengono insieme perseguiti il fine di equità, che richiede la protezione del contraente debole, e il fine di efficienza del sistema bancario e finanziario” 6. Non a caso la trasformazione più imponente della pregressa costituzione politica dell’Europa viene interpretata come il rafforzamento di una società basata sul diritto privato. Tangibile e concreta testimonianza del mutamento è fornita dall’inserimento nel t.u.b. (e cioè in una legge funzionalmente tesa a disciplinare l’assetto pubblicistico del credito e del risparmio tanto sul versante dei soggetti quanto su quello dei contenuti dell’attività) di prescrizioni di contract law (quali sono, al netto del diverso ambito di operatività, le norme di trasparenza bancaria, quelle sul credito ai consumatori e ora anche sugli strumenti di pagamento) apparentemente estranee a tale ambito in quanto aventi a oggetto la regolazione del negozio e il rapporto tra le parti dell’accordo, piuttosto che l’attività dell’impresa

5 Ciocca, Per la concorrenza bancaria: pensieri in occasione del centenario della Comit (in Banca d’Italia, Documenti, n. 468, Roma, 1994, p. 9) osservava che “la foresta, se poteva apparire pietrificata nelle chiome, non lo era più, già da anni, nelle radici e nella tendenza di fondo”. 6 Ciampi, Intervento all’Associazione bancaria italiana, in Banca d’Italia, Documenti, 370, Roma, 1992, p. 2.

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a statuto speciale. Al punto che, sulla scorta del corretto rilievo che quello in rassegna è “un corpo di norme sui contratti o, forse meglio, sull’attività contrattuale delle banche che viene a essere inserito in un sistema che dei contratti bancari non si occupa affatto” 7, parte della dottrina eccepiva (in ordine alla efficacia della scelta sul piano della tutela del consumatore) che – a fronte della tradizionali funzioni della vigilanza – l’affidamento dei relativi compiti alla Banca d’Italia potesse determinare (col lessico del diritto amministrativo) una sorta di eccesso di potere per sviamento attraverso la subordinazione di questi insiemi disciplinari al preminente (e tradizionale) obiettivo della stabilità degli intermediari 8. Che sul piano della coerenza sistematica, del rigore concettuale, della stessa distinzione tra pubblico e privato la scelta effettuata fosse idonea a legittimare perplessità e riserve da parte di quanti (muovendo da premesse di formalismo giuridico piuttosto che di realismo giuridico) rileva-

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Così Lener, Trasparenza bancaria e modelli di tutela del cliente nel Testo Unico del credito, in Giur. sist. dir. civ. e comm., I contratti in generale, a cura di Alpa e Bessone, II, Torino, 1999, p. 1166. In precedenza, Minervini, Dal decreto n. 481/92 al testo unico in materia bancaria e creditizia, in Giur. comm., 1993, I, p. 838. 8 Antonucci, La concorrenza bancaria, in Studi in memoria di P. De Vecchis, Roma, 1999, I, p. 39 opportunamente ricorda che l’obiettivo della competitività del sistema finanziario era stato inserito nel testo definitivo dell’art. 5 del t.u.b. “perché vi era condizionata la concessione del parere favorevole della VI Commissione della Camera”. Sullo stretto legame tra trasparenza e concorrenza, essendo la prima manifestamente insufficiente a proteggere, da sola, il risparmiatore, cfr. Desario, Caratteristiche e finalità dell’azione della Banca d’Italia nella dinamica evolutiva dei contratti bancari e finanziari, in Quaderni di diritto privato europeo, a cura di Jannarelli, Piepoli, Scannicchio, Bari, 1999, p. 5. Ulteriori, puntuali riferimenti in Salanitro, Evoluzione dei rapporti tra disciplina dell’impresa e disciplina dei contratti nel settore creditizio, in Banca, borsa, tit. cred., 1992, I, p. 605, che opportunamente osservava come “la regolamentazione del mercato…non è in contrasto con l’accentuazione di un regime di concorrenza, con il quale si vuole coniugare il vantaggio di una maggiore stabilità ed efficienza delle singole imprese operanti nei diversi settori con il vantaggio di una migliore tutela dei diritti dei terzi contraenti, posti in condizione di scegliere tra le diverse imprese in concorrenza tra loro”. Giova peraltro ricordare, quanto alle differenze tra disciplina del t.u.b. ante e post d.lgs. n. 241/2010, che lo stesso Consiglio di Stato (nella nota decisione sull’actio fiunium regundorum tra Banca d’Italia e autorità garante della concorrenza in punto di pratiche commerciali scorrette) lucidamente avverte che la pregressa regolazione era volta a perseguire finalità le quali “ancorché genericamente riconducibili al corretto e trasparente funzionamento del mercato nel settore di riferimento, non comprend(evano) fra di esse la tutela del consumatore in quanto tale”. Cons. St., ad. plen., 11 maggio 2012, n. 14, in Foro it., 2012, III, 480 con nota di Palmieri, Pardolesi, Sull’interfaccia (problematica) fra regolazione economica e disciplina della concorrenza.

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vano possibili intrinseche contraddizioni, appare onestamente comprensibile. Del resto, non ho esitato (subito dopo la promulgazione del Testo unico) a rilevare come “nell’ansia di ricomprendere nel suo ambito tutte le norme relative a fenomeni creditizi, il legislatore (avesse) provveduto a riscrivere una disciplina … relativa a profili di carattere civilistico che, a rigore, poco o nulla hanno in comune con l’assetto ordinamentale del credito e del risparmio” 9. Rimane tuttavia (e assume importanza decisiva) il rilievo che tale disciplina ben difficilmente avrebbe potuto essere ospitata nel codice civile o, in alternativa, formare oggetto di una legge speciale. Ciò per ragioni tanto formali quanto di effettività della tutela del risparmiatore-consumatore. Sotto il primo versante, viene facile constatare che la disciplina codicistica dei contratti bancari (artt. 1834 segg. c.c.) ha un perimetro per un verso più ampio, per altro verso più angusto rispetto alle regole di trasparenza bancaria e di credito ai consumatori. È più ampia in quanto applicabile non ai soli contratti caratterizzati dalla presenza di una banca ma anche a contratti occasionalmente conclusi con soggetti che, pur non rivestendo la qualità di banchiere, facciano tuttavia ricorso ai tipi negoziali del codice civile 10, laddove invece l’intero Titolo VI del t.u.b. ha una più circoscritta sfera soggettiva di operatività; più angusta perché riguarda i soli contratti tipici e nominati del codice, mentre queste discipline sono di valenza generale con riguardo a tutte le operazioni e servizi bancari e finanziari (quanto alla trasparenza delle condizioni contrattuali), ovvero a tutti i contratti di credito ai consumatori. Aggiungasi che l’originario ricorso alla novellazione del codice civile in materia di clausole abusive o vessatorie (oggetto di successivo ripensamento attraverso l’inserimento della disciplina nel codice del consumo) risultava dettato da un’esigenza nella specie insussistente: quella di introdurre regole che “pur riguardando categorie di soggetti determinati (i con-

9 L’inciso nel testo corrisponde a quanto riportato nel commento dell’art. 124 del t.u.b., in Commentario al Testo unico bancario, a cura di Capriglione, Padova, 1994, p. 623. 10 È la nota posizione di Messineo, Caratteri giuridici comuni, concetto e classificazione dei contratti bancari, in Banca, borsa, tit. cred., 1960, I, p. 323 ss. Contra, Minervini, Banca, attività bancaria, contratti bancari., id., 1962, I, p. 313 ss. Aderisce alla tesi riportata nel testo Cass., 25 gennaio 1961, n. 109, in Foro it., 1961, I, 1719 e, prima ancora, Cass., 26 ottobre 1957, n. 4139, id., 1957, I, 1854. Per ulteriori, più puntuali riferimenti, v. Coltro Campi, I contratti bancari nella giurisprudenza, Padova, 1977; Ceccherini, Genghini, I contratti bancari nel codice civile, Milano, 1966; Fauceglia, I contratti bancari, Torino, 2005.

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sumatori, i professionisti), assumono una valenza più estesa in quanto dirette a conformare le regole generali sulla disciplina del contratto e i principi generali (quindi i valori di riferimento) sui quali l’ordinamento si fonda” 11. Né sembrano ricorrere dirimenti argomenti idonei a giustificare l’adozione di leggi speciali tese a regolare le materie in oggetto. Se è vero che il carattere settoriale degli interessi tutelati e la riferibilità delle disposizioni a singoli insiemi di rapporti possono rappresentare indici rilevanti a favore dell’adozione di tale tecnica legislativa, non può tuttavia negarsi che le regole di trasparenza bancaria non costituiscono una disciplina unitaria e onnicomprensiva del fenomeno, dovendosi coordinare con quelle che, in diversi ambiti normativi, disciplinano le condizioni generali di contratto, le clausole vessatorie, le pratiche commerciali scorrette e altro ancora. La stessa disciplina sul credito al consumo (ora ai consumatori) non ha introdotto alcun un nuovo tipo contrattuale, avendo anzi di recente lo stesso legislatore confermato la vocazione transtipica del relativo contratto 12. Da ultimo, la comparazione offre un

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Così Alpa, I contratti, cit., p. 502. Osserva opportunamente Maugeri in Maugeri, Pagliantini, Il credito ai consumatori, Milano, 2013, p. 9, che, anche dopo la novella portata dal d.lgs. n. 141/2010, il legislatore ha mantenuto la vocazione trans tipica della disciplina del credito al consumo. E infatti, “l’ampia definizione di contratto di credito adottata (il contratto con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria) fa ritenere che la disciplina sia applicabile in presenza di un’ampia categoria di fattispecie negoziali, tipiche e atipiche (mutui, leasing finanziario, aperture di credito, ecc.)”. Valutazione questa da condividersi senza riserve. Avevo infatti, con riferimento alla previgente disciplina, già osservato che “la nozione di credito al consumo fornita dall’art. 121, generale e onnicomprensiva, soddisfa l’esigenza di assoggettare alla disciplina del t.u.b. tutti i modelli negoziali ai quali si ricorre nella prassi per porre in essere tale operazione economica. Apparterranno così alla fattispecie considerata…vendita a credito, prestito personale, scoperto di conto corrente, prestito finalizzato, carta di credito, leasing traslativo al consumo…”, le quali fattispecie “consentono …di poter affermare che il legislatore è intervenuto su un fenomeno caratterizzato, sotto il versante del risultato complessivo dell’operazione, da tipicità sociale” diversa dalla caratterizzazione come socialmente tipici dei cosiddetti “contratti nuovi” (leasing, factoring, engeneering ecc). Mentre in questi è la ripetitività del modello, la sua diffusione nella prassi a rendere socialmente tipico lo schema di contratto utilizzato, nelle operazioni di credito ai consumatori “socialmente tipico non è lo schema contrattuale adoperato (che può, talora, risultare anche legalmente tipico), quanto piuttosto l’intento negoziale concretamente perseguito dai contraenti con uno o più contratti economicamente e funzionalmente volti a un risultato unitario. Essendo l’insieme composto di parti giuridicamente indipendenti, non risulta tuttavia possibile traslare la tipicità sociale dell’operazione economica alla corrispondente figura giuridi12

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dato di sicuro interesse: con l’unica eccezione della Francia, tutti i paesi UE che hanno codificato il diritto dei consumi in testi variamente denominati hanno scelto di lasciar fuori da questi codici la materia del credito ai consumatori, affidando la relativa disciplina a specifiche leggi. Scelta questa certo non irrilevante ai fini della decisione del legislatore italiano di revocare in dubbio l’assetto binario che, con il codice del consumo, frammentava la relativa disciplina tra Testo unico bancario e codice del consumo, ricollocando la stessa all’interno del primo insieme normativo (v. art. 33 l. 7 luglio 2009, n. 88).

3. Prodotti finanziari e beni di consumo. Ma è soprattutto sul piano sostanziale dell’assetto degli interessi in gioco e della tutela di diritti costituzionalmente rilevanti che la scelta appare razionalmente (e strutturalmente) necessitata. Avere intanto collocato queste regole nella legge bancaria significa consentire al risparmiatore di godere del maggiore enforcement rappresentato dai controlli di vigilanza sul rispetto della relativa disciplina, che non si sostituiscono ma si sommano ai consueti rimedi in sede contenziosa. Scelta questa recentemente divisata, sull’altra sponda dell’oceano, dallo stesso Frank – Dodd Act del 21 luglio 2010 di riforma del sistema finanziario U.S.A. nella parte in cui istituisce una nuova autorità federale a tutela dei consumatori di prodotti e servizi finanziari (Consumer Financial Protection Agency) dotata di poteri di regolazione, di supervisione e sanzionatori, con la possibilità per le corrispondenti amministrazioni statali di applicare norme ancora più restrittive di quelle previste a livello federale 13. È importante avvertire che, diversamente dalla storia europea di tutela del consumatore, prevalentemente affidata ad autorità amministrative, quella americana è stata, per contro, caratterizzata dalla matrice esclusivamente giurisprudenziale di protezione dell’oblato 14.

ca”. V. il mio Autonomia privata e disciplina del mercato: il credito al consumo, Trattato di diritto privato diretto da Bessone, XXXI, Torino, 2007, p. 55 ss. 13 Cfr. Prevenire nuove crisi finanziarie: la riforma del sistema americano e comunitario in prospettiva globale, Giorn. dir. amm., 2010, p. 83 ss. Autorevolissime valutazioni critiche in Posner, La crisi della democrazia capitalistica, Milano, 2010. Per valutazioni più generali v. Cingolani, Bolle, balle & sfere di cristallo. L’economia dell’inganno, Milano, 2011. 14 Ciò testimonia, tra l’altro, che i sistemi, a dispetto delle apparenze, convergono. V.

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Naturalmente, non di soli fatti normativi si tratta. Questi rappresentano (non possono che rappresentare) i riflessi della sottostante realtà fenomenica. Ora, le caratteristiche dei mercati finanziari tradizionalmente riposano nella natura fiduciaria dei beni che, a diverso titolo, qui vengono prodotti, offerti, negoziati. La fiducia nei c.d. credence goods è un bene immateriale rappresentativo della qualità del prodotto. Presuppone il possesso, da parte del fiduciario (tanto nella veste di emittente quanto in quella di collocatore), di elevati standards reputazionali faticosamente conquistati nel periodo medio – lungo in misura inversa alla facilità della loro immediata dispersione. Concorrono, a tal fine, molteplici fattori non sempre e non soltanto patrimonialmente rilevanti. La crisi (ormai senza aggettivi) che attanaglia le nostre economie e la stessa società civile è, anche e soprattutto, di natura fiduciaria, sia riguardo ai protagonisti del mercato sia riguardo ai prodotti. L’etimo del sostantivo, riveniente dall’originario lemma greco (Krisis deriva da Krino), sottende il “separare” e perciò il diversificare scelte, politiche e condotte future rispetto a quelle passate. I principali assiomi della letteratura economica neoclassica (in particolare quelli rappresentati dalle teorie dei mercati efficienti e delle aspettative razionali) sono diffusamente revocati in dubbio, al pari dell’esistenza di leggi naturali di governo dei mercati intimamente dotate di vincolante oggettività e cogenza. Forte è il sospetto, anche da parte dei supremi sacerdoti del libero mercato, che “un’economia capitalistica non gestita è intrinsecamente instabile” 15. Il diritto è chiamato a supplire. Le attenzioni (e le analisi) si appuntano – per quanto qui rileva – su modi, forme e tecniche giuridiche idonei a ripristinare condizioni di fiducia nei mercati e negli intermediari finanziari, considerevolmente incrinatesi in ragione dell’occorso. I dati sono impietosi. Come rileva la Banca d’Italia, nel nostro paese “nel 2012 la spesa delle famiglie, dopo aver ristagnato nella media del triennio precedente, si è fortemente ridotta. In termini pro capite, è tornata ai valori del 1998” 16. Le rivisitazioni della disciplina vigente non possono, in ogni caso, prescindere dal considerare che recenti studi di psicologia compor-

Gambaro, Common law e civil law: evoluzione e metodi di confronto, Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, p. 7 ss. 15 Posner, La crisi, cit. In precedenza; Id, A failure of capitalism: the crisis of’08 and the descent into depression, Harvard University Press, Cambridge, 2009. Ulteriori riflessioni in Ciocca, Intervento, in Nuove prospettive del diritto bancario e dell’intermediazione finanziaria, Atti del convegno, in Econ. e dir. del terziario, 2011, p. 362 ss. 16 Banca d’Italia, Relazione annuale, Roma, 2013, p. 86.

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tamentale e la stessa diversa qualità dei beni che vengono offerti in questo mercato rispetto a quelli che caratterizzano il mercato finale del prodotto impongono tecniche di tutela del risparmiatore (che, quando “consapevole”, riveste la qualifica soggettiva di investitore) diverse e aggiuntive rispetto alla sola informazione obbligatoria sulle caratteristiche del bene oggetto della prestazione, altro essendo l’acquisto di un bene di consumo, altro la prestazione di un servizio creditizio o finanziario. Quegli studi smentiscono l’assioma dell’esistenza di un “consumatore medio” perfettamente razionale, che agisce usando set informativi completi e omogenei 17. Se, in particolare, l’oggetto del contratto tra risparmiatore e intermediario è sempre meno un bene predeterminato nel suo ammontare (il denaro), consistendo invece nella promessa di un bene futuro (incerto nell’ammontare, nella consistenza, talora nella sua stessa individuazione), diviene decisivo, ai fini dell’adozione di scelte razionali, il possesso di un elevato grado d’informazione e conoscenze, peraltro strutturalmente estraneo alla maggioranza di questi risparmiatori sia per assenza di professionalità specifica che per costi transattivi proibitivi. Il consumatore di questi prodotti non legge mai un bilancio dell’emittente e comunque ha difficoltà a capirlo. Raramente legge un prospetto informativo, una nota informativa, un foglio analitico. La “razionale ignoranza” rispetto a siffatte linee di politica del diritto si giustifica in ragione dell’impraticabile costo transattivo non dell’acquisizione dell’informazione ma della sua fruibilità (c.d. information overloading) ai fini della realizzazione di una volontà consapevole (e quindi della scelta), segnatamente con riguardo a prodotti finanziari maggiormente complessi, per i quali la conoscenza del prodotto e dei suoi effetti collaterali sfuggono ormai allo stesso emittente. Non dissimile questione

17 Muovendo dal noto “market for lemons” di Akerlof (in 84 Q.J, Econ., 1970, p. 448), faccio riferimento ai più recenti contributi di psicologia comportamentale prodotti anche all’interno delle autorità di settore, tra i quali segnalo, per originalità e rigore scientifico, il lavoro di Linciano, Errori cognitivi e instabilità delle preferenze nelle scelte di investimento dei risparmiatori retail, in Quaderni di finanza della Consob, Roma, 2010. Mi limito, nella letteratura giuridica italiana, a ricordare gli importanti contributi di Morera, Legislatore razionale vs. investitore irrazionale, in Analisi giur. econ., 2009, p. 83 ss. e di Perrone, Obblighi di informazione, suitability e conflitti di interesse: un’analisi critica degli orientamenti giurisprudenziali e un confronto con la disciplina Mifid, in I soldi degli altri, a cura di Perrone, Milano, 2008, p. 20 ss. Per una disamina anche di giurisprudenza sul significato di “cliente medio”, v. Bartolomucci, Ancora sugli obblighi informativi nel settore del mercato finanziario: tra doveri dell’intermediario e principio di autodeterminazione dell’investitore, in Nuova giur. civ. comm., II, 2009, p. 440 ss.

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interessa, a ben vedere, gli stessi servizi o prodotti più elementari (mutui, carte di credito, operazioni in conto corrente), atteso che, a fronte della loro maggiore semplicità, viene in gioco la minore esperienza e dimestichezza delle sempre più vaste fasce di popolazione interessate (pensiamo solo, inter alia, agli effetti dei provvedimenti legislativi di limitazione dell’uso del denaro contante) a queste operazioni seriali rispetto alle tecnicalità che comunque connotano le relative clausole contrattuali, non sempre (e non da tutti) facilmente comprensibili. L’educazione finanziaria (peraltro in fase ancora pionieristica) può aiutare ma non è, da sola, risolutiva. Da ciò, allo stato, la prevalenza ai fini della scelta d’investimento (o di risparmio, o di fruizione di servizi) di opinioni e consigli resi dagli intermediari (e loro collaboratori) in quanto professionisti della finanza e, nei casi maggiormente sofisticati, dalle agenzie di rating. L’evidenza empirica testimonia come tali valutazioni di fatto rappresentino per l’investitore un’informazione market sensitive, costituendo un indicatore rilevante ai fini delle opzioni d’investimento (o di risparmio). Al punto che, con riguardo ai prodotti finanziari, l’eccesso d’informazioni corre il rischio di allargare (anziché di restringere) la forbice dell’asimmetria informativa “perché l’abbondanza di dati oggettivamente non facili da interpretare rischia sovente di nascondere le poche circostanze davvero essenziali che l’investitore sarebbe altrimenti in condizione più agevolmente di percepire”, con il conseguente sospetto che “l’informazione dettagliata può forse rivestire maggiore attenzione proprio per il cliente professionalmente più qualificato, che è meglio in grado di discernere gli elementi essenziali e d’intendere l’importanza dei particolari” 18. Non a caso, la più autorevole e risalente dottrina sulle discipline di trasparenza e sulla cultura della vergogna è costretta a prendere atto di antichi e sapienti moniti che avvertivano come too much sunshine can cause skin cancer 19.

18 Rordorf, La tutela del risparmiatore: norme nuove, problemi vecchi, in Le società, 2008, p. 272. 19 Rossi, Per il diritto dei mercati pochi principi e troppe leggi, ne Il Sole 24 ore del 16 giugno 2013, che riporta l’avvertenza di Loss ricordata nel testo. Lucidamente perciò Mazzamuto, Il contratto nel tempo della crisi, in Europa e dir. priv., 2010, p. 641 ricorda che la “rigorosa applicazione dell’analisi costi benefici rende quanto meno dubbia la vantaggiosità di un’adeguata verifica delle informazioni: il costo per comprendere appieno le informazioni sembra sempre eccedere il guadagno ottenuto. Ad aggravare questa scarsa propensione per l’analisi delle informazioni da parte degli investitori sofisticati

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E dunque, con riferimento alle caratteristiche del prodotto, difficilmente giustificabile risulterebbe trattare servizi bancari, finanziari, assicurativi alla stessa stregua dei beni di consumo, con inserimento delle relative prescrizioni nell’apposito codice. Senza omettere di ricordare, per un verso, il pluralismo delle fonti che regolano la materia (e, in particolare, l’importanza delle discipline regolamentari non solo nell’intermediazione finanziaria ma anche in quella bancaria e creditizia) e, per altro verso, la presenza di autorità settoriali (inesistenti con riguardo ai beni di consumo, diversi essendo i compiti del garante della concorrenza) con funzioni di supervisione e di tutela.

4. (segue)… obiettivi della tutela amministrativa. Nel descritto scenario, l’affidamento alla Banca d’Italia di una specifica funzione di tutela del risparmiatore (quale può senz’altro evincersi dalla peraltro semanticamente più circoscritta formulazione della norma inserita nel testo unico) non è casuale. La valenza fortemente innovativa della disposizione non è sfuggita a un’attenta dottrina, la quale ha osservato che “l’aver collocato ora la tutela della trasparenza in posizione distinta rispetto alla tutela dell’efficienza e della competitività del mercato bancario potrebbe intendersi nel senso di uno ‘sganciamento’ fra i due obiettivi e quindi nel senso dell’assunzione della tutela della trasparenza (e correttezza) in funzione esclusivamente della clientela in quanto tale”. E tuttavia, sul versante funzionale, gli scopi della prescrizione normativa risulterebbero per lo meno opachi: “se l’obiettivo è puramente e semplicemente la tutela dei clienti delle banche, c’è effettivamente bisogno della ‘mediazione’ di un’autorità amministrativa?” 20. La risposta affermativa (che discende dall’analisi diacronica in precedenza svolta) non può sottrarsi dall’identificare in maniera maggiormente specifica gli argomenti che, in chiave sequenziale, risultino idonei a illustrare i nessi eziologici esistenti tra dinamiche del mercato

ha contribuito poi la fiducia senza riserve nelle valutazioni sintetiche delle agenzie di rating”. V. anche Natoli, Regole di validità e regole di responsabilità tra diritto civile e nuovo diritto dei mercati finanziari, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, I, p. 165 ss. Sulle contraddizioni sottese al rating e sui possibili rimedi, rinvio al mio Previsioni, opinioni, certezze: le agenzie di rating, in Europa e dir. priv., 2012, p. 873 ss. 20 Nigro, Linee di tendenza delle nuove discipline di trasparenza. Dalla trasparenza alla “consulenza”? in Dir. banc., 2011, p. 13.

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ed evoluzione degli assetti giuridici che a queste corrispondono. In siffatta guisa, mette conto muovere dal rilievo che di un sistema finanziario può ragionevolmente predicarsi l’efficienza (laddove riduca il rischio d’impresa e incrementi gli utili) e la competitività (quando riduca le barriere all’ingresso, eviti concentrazioni, intese lesive della concorrenza, abusi di posizione dominante insieme a rendite di posizione ed extra profitti) senza che ciò necessariamente determini che quello stesso sistema debba produrre, in via diretta, un reticolo di adeguate relazioni fiduciarie tra intermediari e clienti. Se “le crisi finanziarie sono quasi sempre dovute non già a un crollo del rendimento o a un’impennata oggettiva del rischio, bensì a cadute di fiducia, spesso amplificate, se non addirittura provocate, dalle imperfezioni del quadro istituzionale” 21, ben può la relazione fiduciaria (anche nel descritto contesto) risultare affievolita, non essendo efficienza e competitività del sistema garanti del superamento di opacità negoziali, processi di formazione della volontà non consapevoli, assenza di rapporti cooperativi tra i paciscenti. La tutela della concorrenza tra gli operatori genera efficienza economica e prezzi più contenuti. Non sempre contratti qualitativamente migliori. Fuori dal market for lemons, non è da sola in grado di corrispondere alle esigenze di una utenza per contro fortemente interessata alla qualità del contratto. Di un contratto nel quale l’oggetto della controprestazione è rappresentato non già da un bene (o da un servizio) specifico che il consumatore può personalmente apprezzare sulla scorta delle informazioni obbligatorie possedute quanto piuttosto dall’aspettativa che i frutti dell’investimento effettuato o del servizio finanziario convenuto possano adeguatamente corrispondere alla soddisfazione del bisogno che ha condotto alla conclusione dell’accordo. Il trasferimento della ricchezza non è perciò prodromico all’immediata sua trasformazione in un prodotto quanto piuttosto alla sua commutazione temporale: presente contro futura per le operazioni bancarie, mobiliari e assicurative; futura contro presente per quelle creditizie 22. Inadempimenti contrattuali, vizi del volere, violazioni di legge, illeciti civili ben potranno (e dovranno) produrre i rimedi risarcitori o restitutori sanciti in sede giurisdizionale, previo accertamento dei fatti denunciati.

21 Ciocca, Il tempo dell’economia. Strutture, fatti e interpreti del Novecento, Torino, 2004, p. 69. 22 P. Ferro Luzzi, Attività e prodotti “finanziari”, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 134.

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È tuttavia per lo meno dubbio che tali rimedi possano, da soli, assicurare efficaci tutele a questa particolare categoria di oblati. A prescindere anche da tempi e disfunzioni della giustizia civile domestica: i) per quanto presto il giudice possa decidere, arriva comunque tardi rispetto al danno procurato; ii) le caratteristiche dei beni oggetto del contratto sono di tale complessità tecnica da far ragionevolmente dubitare del diffuso possesso delle relative conoscenze specialistiche; iii) non sempre è possibile rimediare ex post al danno prodotto sia con riferimento al numero dei danneggiati che alle specifiche esigenze di ciascuno; iv) non sempre è possibile apprezzare con certezza il nesso eziologico tra condotta dell’intermediario ed evento dannoso, potendo questo dipendere da variabili esterne al contratto tuttavia difficilmente isolabili. Ove a ciò si aggiunga l’ampia oscillazione giurisprudenziale (basti qui solo menzionare la non sopita polemica in ordine ai rimedi conseguenti alla violazione delle regole di condotta nei mercati mobiliari) e la stessa divaricazione esistente nei diversi paesi dell’Unione, non potrà che concludersi per la centralità e l’indispensabilità della tutela amministrativa (fornita dalle c.d. autorità amministrative indipendenti) in via prevalentemente preventiva attraverso la panoplia di strumenti da queste posseduti. È allora evidente che la tutela del risparmiatore/ investitore/assicurato rappresenta un obiettivo di vigilanza autonomo perché, in assenza di specifiche (e continuamente aggiornate) regole tecniche e di altrettanto specifici controlli sulla commercializzazione di questi prodotti altamente fiduciari, il relativo mercato sconta elevati (e intollerabili) rischi in grado di poterne decretare il fallimento. La soluzione di continuità rispetto al passato risiede proprio nel diverso assetto del mercato finanziario, un tempo composto da intermediari specializzati nella tradizionale attività bancaria di raccolta del risparmio tesa all’erogazione del credito ora invece rappresentato da operatori polifunzionali attivi nella produzione e nella distribuzione di nuove forme di ricchezza rappresentate da contratti che non costituiscono solo strumenti di circolazione di beni ma addirittura tecniche virtuali di creazione dello stesso bene (o prodotto) oggetto dello scambio. Basti pensare al contratto “derivato” 23. Con tutto ciò che a questo consegue, non solo in termini di conflitti d’interesse “epidemici”. A meno di non

23 Sul ruolo di tali contratti nella produzione della crisi dei mercati finanziari e sui possibili rimedi, mi permetto di rinviare al mio La crisi dei mercati finanziari: disorganici appunti di un giurista, in Scritti di diritto dell’economia, Milano, 2010, p. 329 ss.

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mutare le principali regole del gioco oggi vigenti, preservare questo mercato implica tutelare il risparmio in termini, forme soprattutto modalità profondamente diverse rispetto al più recente passato, non potendo gli obiettivi della supervisione essere circoscritti alle tradizionali variabili relative all’impresa ma dovendo, per contro, estendersi ai regimi dell’autonomia privata. Non deve pertanto stupire che la Banca d’Italia ritenga la tutela dei clienti elemento addirittura “costitutivo della supervisione bancaria e finanziaria” che “si integra con le sue altre finalità” 24. È proprio il diverso assetto del mercato a imporlo. La conferma più autorevole può trarsi, a livello normativo, dallo stesso regolamento sull’Unione bancaria, ispirato a un meccanismo unico di vigilanza bancaria a livello europeo (c.d. Single Supervisory Mechanism – Regolamento U.E. n. 1024/2013 del 15 ottobre 2013 che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi). Questa importante, innovativa e controversa fonte del diritto dell’Unione prevede (per ciò che qui rileva) tra le specifiche funzioni di supervisione che permangono in capo alle autorità nazionali quella di protezione dei consumatori (cfr. 28° considerando), fornendo così enfasi autonoma a un obiettivo fino a non molto tempo addietro decisamente strumentale o sottordinato.

5. Le tecniche giuridiche di protezione. Le ricadute delle riportate linee evolutive di politica del diritto rilevano anche nella definizione delle tecniche giuridiche di protezione. Queste continuano a fare principale affidamento sulla trasparenza delle condizioni contrattuali nei diversi insiemi considerati ma, come proveremo ad argomentare, con significati e portata affatto diversi rispetto alla primigenia accezione del termine, sostanzialmente coincidente con quello di mera informazione obbligatoria. In particolare, “trasparenza” è un sostantivo polisemico che permea, in guisa di criterio valutativo, l’intera dinamica dei contratti seriali o di massa, oltre a diverse ulteriori aree (di rapporti patrimoniali come di diritti della persona). Sul piano morfologico e strutturale, quasi tutte le leggi nuove, in particolare relative alla definizione dei rapporti giuridici patrimonialmente rilevanti (di disciplina della concorrenza e del mercato come dei contratti del consumatore; di

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Banca d’Italia, Relazione sulla gestione e sulle attività, Roma, 2013, p. 63.

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ridefinizione delle potestà pubbliche come di diritto dell’impresa), sono caratterizzate da un ampio ricorso a questo criterio che, per il tramite della sottesa disciplina, è destinato a fungere da parametro di giudizio in ordine ai binomi liceità/illiceità; legalità/illegalità; validità/invalidità; legittimità/illegittimità relativi, a seconda delle circostanze, ad atti, contratti, clausole negoziali, comportamenti (commissivi o omissivi) riassuntivi di figure, istituti, interessi manifestamente tra loro differenti. In ambito finanziario, un esempio paradigmatico è offerto dalla importante legge sulla tutela del risparmio (n. 262/2005). Il diritto alla trasparenza (o, dal lato passivo, il suo reciproco) viene espressamente richiamato in ben otto disposizioni, con variegati significati. Accade con riferimento alla disciplina delle società estere (dove la relatio evoca la necessità di produrre informazioni significative, ma anche regole comparabili, art. 6); all’ammissione di titoli a quotazione (dove, oltre a qualificare regole di contabilità, rileva quale clausola generale o quale regola di condotta, art. 14); al rispetto del relativo principio da parte della Banca d’Italia nell’esercizio delle proprie funzioni (dove, quale moderno archetipo di riferimento dell’art. 97 Cost., sottende il render conto dell’operato, il rendere gli atti sindacabili ecc., art. 19); ai presupposti che devono ispirare l’azione della Covip (art. 25); all’adempimento degli obblighi contrattuali di banche e intermediari nei confronti della clientela (art. 27); infine, all’oggetto delle controversie portate all’attenzione di organi di giustizia stragiudiziale (art. 29). Giurisprudenza e orientamenti delle autorità di settore hanno progressivamente contribuito a confermare, nel diritto vivente, che il rispetto della trasparenza è criterio valutativo di primaria, crescente importanza per la soluzione dei casi sottoposti. Ciò con particolare riguardo all’azione delle amministrazioni pubbliche, imponendo i principi costituzionali “l’osservanza di doveri di correttezza e di trasparenza che presidiano l’esercizio della potestà amministrativa” 25; all’accertamento in concreto della colpa dell’amministrazione nei giudizi di responsabilità civile 26; a valutazioni di validità/invalidità di negozi posti in essere in violazione di disposizioni tese a tutelare la trasparenza del mercato 27; alla violazione di norme sulla pubblicità ingannevole 28; alle relazioni finanziarie tra gli stati membri e le loro imprese pubbli-

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Cons. St., 15 novembre 2004, n. 7381, in Foro amm., 2004, 3164. Cass., 21 ottobre 2005, n. 20358, in Giur. it., 2007, 355. 27 Cass., 13 marzo 2006, n. 5429, in Foro it., Rep. 2006, voce Contratto in genere, 582. 28 Garante della concorrenza e del mercato, 23 settembre 2004, n. 13614. 26

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che 29; alla stessa attività sportiva, il cui svolgimento e la cui credibilità non possono prescindere dalla “trasparenza dei risultati” 30. Trovo perciò difficile revocare in dubbio che, con specifico riguardo ai contratti del consumatore, la trasparenza assurga a strumento attraverso il quale effettuare il sindacato sul “raggiungimento dell’equilibrio delle prestazioni contrattuali” 31 e rappresenti la soglia minimale al di sotto della quale il giudizio su negozi, clausole, comportamenti non può che risolversi negativamente. Che possa o no poi qualificarsi (anche) quale principio generale sul piano dogmatico è questione, a ben vedere, di secondario momento, visto che, essendo i principi “scatole vuote”, ben può accadere che “si configuri e venga applicato un principio a cui si potrebbe, dal punto di vista formale, contestare la cittadinanza dell’empireo dei principi generali ma, di fatto, operativamente, non si potrebbe contestare la rilevanza sul piano dell’effettività” 32. Informa, nella disciplina dell’autonomia privata, tanto il momento della trattativa, quanto quelli della conclusione e dell’esecuzione del contratto, con portata espansiva rispetto all’ambito dei soli “scambi senza accordo”. Negli indicati termini, diviene anche sinonima di buona fede e di correttezza, rappresentando le corrispondenti norme espressione di tale clausola generale l’indicatore di riferimento per il suo concreto riconoscimento nel diritto vivente. Ciò anche in forza dei più recenti orientamenti dei giudici di legittimità, che reputano il principio di buona fede privo di contenuto predeterminato e quindi in grado di comprendere nel proprio ambito non solo la tradizionale ipotesi della rottura ingiustificata della trattativa ma lo stesso clare loqui e, in particolare, la mancata informazione da parte di uno dei due paciscenti circa il reale intento di concludere il contratto 33. Nell’ambito del testo unico bancario, la trasparenza è diventata plurale. Dopo il decreto legislativo n. 141/2010 tre sono le discipline ivi contemplate: quella sulle operazioni e i servizi bancari (Capo I, Titolo VI, art. 115 segg.); quella sul credito ai consumatori (Capo II, art. 121 segg.); quella sui servizi di pagamento (Capo II-bis, art. 126-bis segg.). Non mancano naturalmente intersezioni e rinvii, ma trattasi di discipline strutturalmente e funzionalmente diverse l’una rispetto all’altra

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Corte di giustizia Ce, 9 marzo 2004, n. 314/03, in Raccolta, 2004, I, 2257. Cass., 27 ottobre 2005, n. 20908, in Foro it., 2006, I, 1465. 31 App. Roma, 24 settembre 2002, in Foro it., 2003, I, 332. 32 Così Alpa, La trasparenza dei contratti bancari, Bari, 2003, p. 17. 33 V., da ultimo, Cass., 26 aprile 2012, n. 6526. 30

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tanto soggettivamente [la prima è a soggetto indifferente; la seconda protegge il solo consumatore; la terza contiene prescrizioni vincolanti nei confronti del consumatore e della micro impresa (organico inferiore a dieci unità; fatturato non superiore a 2 milioni di euro) che diventano di mero default quando l’utilizzatore dei servizi di pagamento non appartenga a tali categorie] quanto oggettivamente [pensiamo solo alla diversa portata applicativa dello jus variandi nei contratti aventi a oggetto strumenti di pagamento (dalla sottrazione dell’assenza del giustificato motivo per i contratti a tempo indeterminato all’estensione all’offerta di nuovi servizi)]. Tre, conseguentemente, gli insiemi normativi sub primari approntati dalla Banca d’Italia in attuazione delle disposizioni corrispondenti. Oltre a estendersi e diversificarsi, la trasparenza cambia soprattutto significato e portata. Diviene (come si usa dire con linguaggio atecnico) “sostanziale”. Non evoca più solo informazione e correttezza nelle relazioni tra intermediari e clienti, ma anche (e soprattutto) adeguatezza delle comunicazioni alle caratteristiche dei servizi e della clientela. Diviene perciò sinonima di assistenza se non di vera e propria consulenza all’oblato. In alcuni casi, si fa vera e propria regola di condotta. L’esempio più immediato è rappresentato dall’art. 124, co. 5, del t.u.b. nella parte in cui la norma impone in capo al proponente l’obbligo di fornire al consumatore “chiarimenti adeguati in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria, eventualmente illustrando le informazioni precontrattuali che devono essere fornite ai sensi dei commi 1 e 2, le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti e gli effetti specifici che possono avere sul consumatore, incluse le conseguenze del mancato pagamento”. Il richiamo all’adeguatezza non è occasionale. Ricorre anche nella successiva disposizione sulla “verifica del merito creditizio” (art. 124-bis) dove il finanziatore, prima della conclusione del contratto, è tenuto a valutare la sussistenza o no del merito di credito “sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente”. Il conseguente interrogativo è consistito nel verificare l’eventuale identità di tale parametro di riferimento della condotta con quello in essere nell’ambito dei servizi d’investimento. Anche sulla scorta delle prime conclusioni di un’apprezzata dottrina [la quale ha opportunamente rilevato come – nel caso di specie – non sia il prodotto offerto a dover essere adeguato rispetto alle esigenze del consumatore quanto piuttosto le informazioni sulla scorta delle quali l’intermediario si dis-

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pone a concedere credito 34], ho in altra sede concluso che le più consistenti differenze rispetto alla disciplina dell’intermediazione mobiliare risiedono nella circostanza che in questa la valutazione di adeguatezza del prodotto o servizio offerti permane sul consumatore e non è traslata sull’intermediario 35. Negli indicati termini, “il canone cui ricondurre le condotte dovute dai finanziatori e dagli intermediari del credito è dunque riconducibile alla regola di appropriatezza, della quale ripete l’esigenza di mettere in guardia il consumatore dalla conseguenze potenzialmente pregiudizievoli della sua azione e della quale condivide la ragion d’essere, che si identifica nell’esigenza di accostare alla scelta del consumatore la ‘supervisione’ di un intermediario tenuto a formulare un ponderato giudizio sulla sostenibilità del finanziamento” 36. Le ricadute sono, in ogni caso, di estrema importanza, determinando tali regole di condotta il passaggio dall’informazione come “consiglio amichevole” (che, in ragione del noto brocardo consilii non fraudolenti nulla obligatio est, è produttiva di responsabilità per danni nei soli casi di dolo o frode) all’informazione come servizio se non addirittura all’informazione come elemento confluente in un prodotto 37. Nel secondo caso, sulla scorta di una nota giurisprudenza, risponde a titolo di responsabilità extracontrattuale chi, per essere particolarmente qualificato, con il proprio comportamento negligente o imprudente ingenera nel terzo un affidamento incolpevole, come ad esempio la banca quando fornisce informazioni false o inesatte sulla solvibilità del cliente 38. Andrebbe, in tale ipotesi, provata l’ingiustizia del danno, diversamente dall’ultima delle descritte prospettazioni, nella quale l’ingiustizia sarebbe in re ipsa in

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Falcone, Prestito responsabile e sovrindebitamento del consumatore, Dir. fall., 2010, p. 647. 35 V. il mio La riforma, cit., p. 517. 36 Così, perspicuamente Natoli, Il contratto “adeguato”, Milano, 2012, p. 150. 37 Busnelli, Itinerari europei nella “terra di nessuno tra contratto e fato illecito”: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contratto e impresa, 1991, p. 539 ss. anche per l’importante richiamo a Pothier, per il quale “se imprudentemente e temerariamente io ti avessi detto che Pietro, a cui avevo consigliato di fare un prestito, era persona solvibile, perché tale lo credevo senza tuttavia essermi informato sulla sua solvibilità, io non sarei obbligato a meno che il consiglio non fosse stato dato in malafede”. Più di recente, sul problema, Facci, Il danno da informazione finanziaria inesatta, Bologna, 2009. D’obbligo è inoltre il richiamo dei magistrali contributi di Gambaro, Falsa luce agli occhi del pubblico – False lighth in the public eye, in Riv. dir. civ., 1981, I, p. 84 ss; Id., Ancora in tema di falsa luce agli occhi del pubblico, in Quadr., 1988, p. 301 ss. 38 App. Milano, 14 marzo 1986, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, I, 627 ss.

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ragione dell’obbligo legale che genera una responsabilità da affidamento. Il problema ulteriore consiste nel verificare se siffatta responsabilità possa qualificarsi come contrattuale o aquiliana. Questione questa che ripropone la nota diatriba sulla natura della responsabilità in contrahendo. Gli effetti dovrebbero risultare non sostanzialmente dissimili, visto che il criterio generale d’imputazione della responsabilità da affidamento è sempre la colpa, che va provata dal danneggiato in sede extracontrattuale e comunque allegata in sede contrattuale, attribuendo di regola la giurisprudenza all’obbligo d’informazione natura di obbligazione c.d. di mezzi. In siffatta guisa, le conseguenze non appaiono diverse da quelle formulate dalla nota giurisprudenza di legittimità in tema di violazione delle regole di comportamento nel mercato finanziario, e cioè risarcimento del danno e/o risoluzione del contratto a fronte di inadempimenti “importanti” (art. 1455 c. c.) o, nel caso di raggiro, rimedi del dolo contrattuale (anche omissivo) 39. Queste regole di condotta (che trovano specifica applicazione nei confronti delle sole operazioni sussumibili nel sintagma “credito ai consumatori”) testimoniano, per un verso, la ricorrenza di similari bisogni di protezione anche con riguardo alla distribuzione di prodotti tutt’altro che sofisticati, quali invece sono gli strumenti finanziari; per altro verso, la progressiva omogeneizzazione delle tecniche di tutela nell’ambito dei tre diversi segmenti del mercato finanziario, attesa la pregressa esistenza di regole di comportamento nel comparto assicurativo (v., in particolare, art. 183 d.lgs. n. 209/2005, codice delle assicurazioni private). Di più: ancorché circoscritte agli indicati contratti, informano gli assetti regolamentari della Banca d’Italia anche in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e di servizi di pagamento, non essendo dubbio che il valore aggiunto delle relative disposizioni secondarie (segnatamente di quelle più recenti del 17 giugno 2013, in pubblica consultazione) risieda proprio nella enucleazione di puntuali obblighi di assistenza della clientela da parte di imprese e intermediari. In sede di “principi generali” è espressamente previsto che le informazioni vengano rese alla clientela in modo “corretto, chiaro ed esauriente nonché adeguato alla forma di comunicazione utilizzata e alle

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Cass., 19 settembre 2005, n. 19024, in Foro it., 2006, I, 110 ss. con nota di Scoditti, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità contrattuale e Cass., S.U., 19 febbraio 2007, nn. 26724 e 26725, id., 2008, I, 779 ss. con nota di Scoditti, La violazione delle regole di comportamento dell’intermediario finanziario e le Sezioni unite.

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caratteristiche dei servizi e della clientela”. Le modalità dell’agire affiancano perciò le regole formali di validità dell’accordo e specificano i contenuti degli obblighi informativi, non più limitati al solo versante quantitativo. Arricchiscono, di conseguenza, l’insieme di rimedi esperibili (che non si esauriscono nelle sole nullità di protezione) e prefigurano specifici assetti disciplinari nel più generale ambito dei c.d. contratti del consumatore, conformando non tanto o non solo l’atto d’autonomia quanto piuttosto le modalità del contrarre e le stesse strutture dell’impresa in forza delle ulteriori specifiche regole di organizzazione aziendale aventi, tra l’altro, a oggetto le stesse procedure al fine di indirizzare la clientela verso prodotti adeguati alle proprie esigenze finanziarie, in maniera conforme all’ultima parte della norma in rassegna che rimette alla Banca d’Italia il potere di dettare disposizioni in materia di organizzazione e controlli interni conformemente alle deliberazioni del Comitato del credito. Ciò per “attenua(re) i rischi legali e reputazionali” dell’intermediario e concorrere alla sua “sana e prudente gestione”. La commistione tra pubblico e privato o, in termini equivalenti, la compenetrazione della tutela del cliente tra gli obiettivi di vigilanza è pertanto dichiarata e manifesta.

6. L’enforcement. Una volta approntato, questo singolare e complesso insieme normativo deve poter funzionare onde garantire effettività ai diritti ivi contemplati. Trattandosi di tutela diretta, il ricorso a norme d’azione (scilicet, ai tradizionali rimedi pubblicistici) non è più, da solo, sufficiente. Sanzionare solo in via amministrativa la violazione delle diverse regole a tutela del risparmiatore produce il singolare risultato che il danno da questi sofferto serve a ristorare… l’erario dello Stato. Né (di là della specifica fattispecie ex art. 128-ter in tema di misure inibitorie, nella quale la tutela restitutoria segue all’adozione del rimedio amministrativo) può ragionevolmente supporsi che la Banca d’Italia (o le altre autorità di supervisione) divenga(no) destinataria(e) di funzioni conciliative o giudicanti tese alla soluzione di controversie tra clientela e imprese in ordine all’applicazione della disciplina (della quale spesso risultano emittenti) e alla tutela dei diritti. Lo esclude irrimediabilmente la relativa natura giuridica e il ruolo svolto nell’ordinamento. La prevalente identità di small claims delle relative controversie difficilmente potrebbe, sotto altro profilo, venire soddisfatta attraverso i tradizionali rimedi giurisdizionali, anche a prescindere dallo stato di crisi dal quale nel nostro paese è attraversata la giustizia civile.

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Donde l’istituzione dell’Arbitro Bancario Finanziario. In pillole: l’organismo, contemplato dalla legge sulla tutela del risparmio l’Arbitro Bancario Finanziario ha iniziato a operare dall’ottobre 2009. È strutturato (in base alla disciplina sub primaria che ne regola il procedimento emanata dal comitato del credito con la deliberazione n. 275/2008 e dalla Banca d’Italia con il regolamento del luglio 2009 e successive modificazioni e integrazioni) in tre collegi (Milano, Roma e Napoli) competenti per le corrispondenti aree territoriali. Ha competenze a conoscere (e a decidere) controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari nonché (dal febbraio 2010, in attuazione dell’art. 40 d. lgs. n. 11/2010) di servizi di pagamento per l’accertamento dei relativi diritti (competenza per materia) e per il risarcimento del danno fino a 100 mila euro (competenza per valore). Può, a tal fine (quale a.d.r. “decisoria/aggiudicativa”), adottare pronunce di accertamento e di condanna (non quindi pronunce costitutive, es. di annullamento del contratto) e opera come organismo “di secondo grado” dopo il previo reclamo (con esito negativo o in assenza di esito) all’intermediario, che ne costituisce condizione di procedibilità. La sua adizione è riservata alla clientela bancaria e finanziaria, oltre che agli utilizzatori di strumenti di pagamento (trattasi di diritto irrinunciabile); non prevede un’assistenza legale obbligatoria e sconta un basso costo d’accesso (venti euro). La partecipazione delle diverse categorie d’intermediari al sistema (resa obbligatoria dal presente imperativo “aderiscono” di cui all’art. 128-bis del t.u.b.) costituisce una condizione per l’esercizio dell’attività riservata (perciò un onere). La mancata adesione rappresenta peraltro fonte della sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 144 t.u.b. Riscontra un gradimento crescente (5.653 ricorsi nel 2012, con una percentuale d’aumento del 58 per cento rispetto all’anno precedente) con esiti favorevoli al cliente-consumatore (comprese le cessazioni della materia del contendere) superiori al 60 per cento; tempi contenuti della decisione (max 105 gg. dal ricorso, ma la durata media è stata nel corso del 2012 di 112,4 gg.); prevede un’unica (ancorché significativa) sanzione (di shame culture) corrispondente all’inadempimento alla decisione (la pubblicazione della stessa) che fa registrare casi sostanzialmente marginali. I suoi orientamenti, indipendentemente da “variazioni sul tema” (peraltro rappresentative dell’indipendenza di giudizio e dell’imparzialità dell’organismo) da parte dei diversi collegi su questioni di dettaglio costituiscono spesso – in punto di politica del diritto – avanzate tutele della clientela bancaria e finanziaria (ad es. in tema di responsabilità del finanziatore nel credito al consumo, anche in assenza di clausole di “esclusiva” o nella retrocessione della quota di premio as-

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sicurativo per l’estinzione anticipata del finanziamento) con effetti conformativi di rilievo per la comune dei destinatari. La sua inedita morfologia ha sollecitato e sollecita continui interventi (e polemiche) sulla natura giuridica dell’arbitro: da organismo arbitrale ad arbitratore, a organo della Banca d’Italia per il perseguimento delle finalità pubbliche della vigilanza bancaria 40. Provando a uscire dalle secche di uno sterile esercizio teorico nel quale manca l’esatta corrispondenza di tale organismo a figure note, si è altrove sostenuto, in forza soprattutto della legittimazione “disuguale” all’azione, circoscritta a favore del solo cliente (che è nozione più ampia ma non ontologicamente

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Sull’Arbitro Bancario Finanziario v. Costantino, Sintesi dell’attività svolta dall’Arbitro Bancario Finanziario al 31 marzo 2010, in Foro it., 2010, V, c. 278 ss.; Id., L’istituzione dell’Arbitro Bancario Finanziario, in Studi in onore di Verde, Napoli, 2010, p. 297 ss.; Quadri, L’Arbitrato Bancario Finanziario nel quadro dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie, in Nuova giur. civ. comm., II, 2010, p. 305 ss.; Ruperto, L’Arbitro Bancario Finanziario, in Banca, borsa, tit. cred., I, 2010, p. 335 ss.; Capriglione, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari. La prospettiva dell’ADR, id., I, p. 261 ss.; Guizzi, Chi ha paura dell’ABF? ibid., 2010, p. 665 ss.; Capriglione, Cicero pro domo sua (in replica allo scritto di Guizzi), in Mondo banc., 2011, p. 2 ss.; Guizzi, L’Arbitro Bancario Finanziario nell’ambito dei sistemi di ADR: brevi note intorno al valore delle decisioni dell’ABF, in Le società, 2011, p. 1216 ss.; Maimeri, Commento sub art. 128-bis, in Commentario al testo unico bancario a cura di Belli, Losappio, Porzio, Rispoli Farina, Milano, 2010, p. 1144 ss.; Guccione, Russo, L’arbitro Bancario Finanziario, in Nuove leggi civ., 2010, p. 475 ss.; Auletta, Arbitro Bancario Finanziario e “sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie”, in Le società, 2011, p. 83 ss.; Tavormina, L’Arbitro Bancario Finanziario (un altro episodio de “I nuovi mostri”), in Corr. giur., 2011, p. 1021 ss.; Capobianco, Mediazione obbligatoria e Arbitro Bancario Finanziario, in judicium.it; Maione, Profili ricostruttivi di una (eventuale) legittimazione a quo dei Collegi dell’Arbitro Bancario Finanziario, id.; Bruschetta, Le controversie bancarie e finanziarie, in Contr., 2010, p. 422 ss.; De Carolis, L’arbitro bancario finanziario come strumento di tutela della trasparenza, in Quaderni di ricerca giuridica, Banca d’Italia, Roma, 2011; Desario, Profili d’impatto delle decisioni dell’arbitro bancario finanziario sugli intermediari, in Banca, borsa, tit. cred., I, 2011, p. 492 ss.; Palmieri, Nota a decisioni ABF, in Foro it., 2012, I, 299; Consolo – Stella, Il ruolo prognostico-deflattivo, irriducibile a quello dell’arbitro, del nuovo ABF, “scrutatore” di torti e ragioni nelle liti in materia bancaria, in Corriere giur., 2011, p. 1653 ss.; Id., L’Arbitro bancario finanziario e la sua giurisprudenza precognitrice, in Le società, 2013, p. 185 ss.; ABF e supervisione bancaria, a cura di Capriglione e Pellegrini, Padova, 2011; F. Ferro, Luzzi, Il “giustificato motivo” nello jus variandi: primi orientamenti dell’abf, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, I, p. 730 ss; Carriero, Arbitro Bancario Finanziario: morfologia e funzioni, in Foro it., 2012, V, 213 ss.; Maione, Forma e sostanza delle delibere dell’arbitro bancario finanziario, in Le società, 2012, p. 437 ss.; Sangiovanni, Regole procedurali e poteri decisori dell’arbitro bancario finanziario, id., p. 935 ss.; Scotti, ABF e rapporti bancari, Digesto delle discipline privatistiche, Torino, 2012; Finocchiaro, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, Milano, 2012.

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Saggi

diversa da quella di consumatore), che viene in gioco un procedimento teso ad assicurare giustizia fuori dalla giurisdizione, non dissimile da quelli in essere in altre realtà economiche maggiormente attente a sviluppare meccanismi alternativi a quelli che si realizzano nel processo e col processo ordinario 41. Per quanto qui rileva, non è casuale il nesso evidenziato dalla Banca d’Italia nelle ultime considerazioni finali tra la centralità del rapporto fiduciario con la clientela e l’attività dell’Arbitro Bancario Finanziario. La variabile pubblicistica dell’organismo e il suo collegamento con la vigilanza riposano nella sua capacità di creare (attraverso l’autorevolezza delle decisioni) un virtuoso rapporto dialogico con gli intermediari in grado di assicurare, di là dalla giustizia del caso concreto, il consolidarsi di condotte maggiormente attente alle ragioni dell’utenza e, per questa via, assetti fiduciari progressivamente radicati in una law in action rapida, efficace e, soprattutto, condivisa.

Giuseppe Carriero

41 Giustizia senza giurisdizione: l’arbitro bancario finanziario, in corso di stampa in Riv. trim. dir. proc. civ.

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dibattiti

Crisi bancarie e diritto comunitario Il 20 giugno 2013, presso la Facoltà di Economia della Sapienza, Università di Roma, si è tenuto un incontro di studio, organizzato dalla rivista, dal Cedib e dal Master in diritto commerciale internazionale, sul tema “Crisi bancarie e diritto comunitario”. All’incontro, presieduto dal prof. Mario Porzio, dell’Università di Napoli, sono intervenuti il prof. Sabino Fortunato, dell’Università di Roma Tre, l’avv. Enrico Galanti, della Banca d’Italia, il prof. Raffaele Lener, dell’Università di Roma Tor Vergata, i prof. Salvatore Maccarone e Alessandro Nigro, già dell’Università La Sapienza di Roma, il prof. Daniele Vattermoli dell’Università La Sapienza di Roma. Ne pubblichiamo gli atti.

Introduzione Alessandro Nigro Come d’uso in questi nostri incontri, la mia introduzione sarà molto breve: consisterà soltanto in una rapida presentazione del tema. Prima di questo, però – anche qui come di consueto – i doverosi ringraziamenti a tutti coloro che hanno reso possibile realizzare anche quest’anno l’iniziativa. Quindi ringraziamenti vanno, innanzi tutto, alla casa editrice Pacini, che pubblica la rivista a cui l’iniziativa medesima va ricondotta e che ci sostiene sempre con immensa fiducia. Questa volta ci sono, in verità, molti “padrini”: alla rivista ed al Centro studi di diritto e legislazione bancaria, quest’anno si è aggiunto anche il Master in diritto commerciale internazionale. Siamo sempre noi, per la verità: cambiano le etichette, ma la sostanza rimane la stessa. Comunque, il Master a buon titolo è presente: uno dei suoi moduli è dedicato alla disciplina transnazionale delle crisi e il tema che tratteremo oggi riguarda una porzione, e di non scarso rilievo, di tale disciplina. Ringraziamenti vanno naturalmente alla Facoltà ed al Dipartimento che ci ospitano; a coloro che si sono sobbarcati il peso dell’organizza-

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Dibattiti

zione, a cominciare dall’impareggiabile avvocato Caridi, qui presente; ai relatori che hanno accettato di buon grado di intervenire; ed infine a tutti i presenti, per essersi disturbati pur con questa calura. I nostri incontri hanno assunto ormai una cadenza fissa, come del resto auspicavamo: questo è il quarto incontro su temi di interesse della rivista. Avevamo cominciato in modo “sano”, fissandone la data a marzo. Così è stato le prime due volte quando ci siamo visti a Firenze. L’anno scorso, per ragioni varie, non è stato possibile conservare la data di marzo, per cui siamo scivolati a maggio. Quest’anno siamo scivolati ancora a giugno. Assumo l’impegno a ritornare, viste le condizioni climatiche, all’impostazione iniziale e di fare di questo incontro il primo convegno della stagione, così segnando, come rilevava Gaetano Presti, l’inizio della primavera. Vengo al tema, che mi pare sia un tema centralissimo il quale non necessita di una particolare illustrazione. La crisi finanziaria, che è cominciata ormai qualche anno fa e che ancora ci attanaglia, è stata una crisi epocale che ha messo in luce debolezze profonde nei sistemi di regolazione dei mercati finanziari. Anzi, si potrebbe arrivare a dire che è stata il frutto di un fallimento su tutti i piani: fallimento delle regolamentazioni, fallimento dei regolatori, dei legislatori, degli operatori, di tutti. In un primissimo periodo si è dibattuto su quali fossero le ragioni della crisi e si è andati alla ricerca di cause scatenanti, trovandole talvolta in profili, secondo me, assolutamente marginali: si è trattato più di gettare fumo negli occhi che non di toccare la sostanza delle cose (mi riferisco per esempio al discorso delle remunerazioni degli esponenti delle società finanziarie che a un certo punto sono state additate come la causa scatenante della crisi). Ben presto, però, ci si è resi conto che alla radice di tutto ci sono state le banche. Dalle banche è venuto l’avvio della crisi, con la vicenda dei mutui subprime; le banche hanno propagato la crisi, che per “merito” loro si è tramutata da crisi finanziaria in crisi economica; da ultimo, si è aggiunto l’ulteriore tassello rappresentato dalla crisi del «debito sovrano». Sono tutti momenti che rinvengono il loro punto focale, il loro punto di raccordo, nelle banche. Una volta abbandonata l’idea (folle) di eliminare ogni vincolo e quindi di inoltrarsi ancora più profondamente sul terreno della deregolamentazione, ci si è resi conto della assoluta necessità di riregolamentare le istituzioni finanziarie e specificamente le banche. È intervenuto il legislatore statunitense, con il Dodd Frank Act; sta intervenendo l’Unione Europea che ha avviato un itinerario di profonda riforma della vigilanza bancaria, prefigurando un nuovo assetto,

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basato sull’idea di una vigilanza unica a livello comunitario, il single supervisor mechanism, che dovrebbe condurre alla realizzazione di una Unione bancaria europea, intesa come sistema omogeneo basato su un corpus unico di norme.. La parola “mechanism” esprime bene la particolare articolazione che questo nuovo assetto avrà. In un’occasione “convegnistica” di qualche giorno fa si è parlato di costruzione “barocca”, perché è un assetto imperniato sulla cooperazione fra la BCE, le altre Autorità di vigilanza europee, fra cui l’EBA, e le autorità bancarie nazionali che pone molti problemi, fra cui quello del rapporto fra le diverse autorità coinvolte, in chiave di imputazione di questa attività di vigilanza. La riforma della vigilanza è però soltanto uno dei tasselli. Ad esso si aggiunge un altro non meno delicato tassello: la disciplina delle crisi delle banche, che come tale rimane fuori dall’area della vigilanza in senso stretto. Ed è proprio di questo secondo tassello che oggi siamo chiamati a discutere. Mi sembra inutile sottolineare l’importanza, nel sistema, di un appropriato meccanismo di soluzione delle crisi bancarie. Un’importanza sempre riconosciuta e che oggi è ancor più rilevante: la storia della crisi finanziaria è stata anche e proprio la storia dei “salvataggi” delle banche cadute in crisi. Del resto, l’ultimo stadio di quella crisi, cioè la crisi del debito sovrano, trova la sua ragione nel timore che la crisi delle banche nazionali si traduca in un drenaggio di risorse pubbliche; e lo si à sperimentato nel caso di Cipro, la cui crisi è stata puramente e semplicemente il riflesso della crisi delle banche di quella nazione. Due brevi osservazioni ancora. La prima è che nel nostro sistema nazionale siamo abituati a considerare la disciplina delle crisi delle banche come una componente del sistema complessivo di vigilanza con tutto quello che ne consegue. Questa è però una peculiarità del nostro ordinamento, non è così in tutti gli ordinamenti. In molti di essi, le crisi bancarie, in principio perlomeno, vengono lasciate al diritto comune; invece noi abbiamo un diritto speciale che si colloca in perfetta continuità con il regime di vigilanza. La seconda osservazione è che il progetto relativo all’istituzione del meccanismo unico di vigilanza bancaria – articolato in più interventi – si trova ad uno stadio, che vede già definite le linee fondamentali. Invece il processo di riforma per ciò che riguarda il trattamento delle crisi bancarie è, per quello che posso avere inteso io, a uno stadio ancora precoce. Anche per questo risulteranno preziose, io credo, le riflessioni e le analisi che verranno dalle relazioni dei colleghi ed amici ai quali cedo senz’altro la parola.

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Le Direttive comunitarie sulle crisi bancarie Daniele Vattermoli Buonasera a tutti, grazie, in primo luogo, per essere intervenuti. Parlo anche in qualità di Direttore del Master in Diritto Commerciale Internazionale: vedo tra il pubblico alcuni studenti di quest’anno ed anche degli anni passati e ciò mi rende decisamente molto contento. Ovviamente, per gli studenti del Master che mi sentiranno oggi sarà una sorta di ripasso di temi che, in realtà, in qualche misura abbiamo già affrontato a lezione. Come ricordava il Professor Nigro, infatti, uno dei moduli del Master è destinato al fallimento internazionale e, nell’ambito di questo, v’è anche la lezione, appunto, sull’insolvenza degli enti multinazionali che operano nel mercato finanziario. La relazione si intitola “Le direttive comunitarie sulle crisi bancarie”: in realtà, mi occuperò in particolare di una sola Direttiva, la n. 2001/24; soltanto in conclusione di questo intervento farò dei brevi cenni al progetto di direttiva, che risale al giugno del 2012, in materia di risanamento e risoluzione della crisi degli enti creditizi. 1. Premessa. La specialità della crisi bancaria e le ragioni di una disciplina ad hoc. Il Regolamento Ce n. 1346/2000, relativo alle procedure di insolvenza di dimensione comunitaria definibili di diritto “comune”, esclude, com’è noto, dal proprio campo di applicazione le procedure di insolvenza che riguardano gli enti creditizi (ma anche le imprese assicuratrici e le imprese di investimento che forniscono servizi che implicano la detenzione di fondi o valori mobiliari di terzi e gli organismi di investimento collettivo: art. 1.2), in quanto – come specificato dallo stesso Regolamento al 9° considerando – a tali enti si applica un regime particolare e le autorità nazionali hanno, in alcuni casi, poteri di intervento estremamente ampi. È altresì noto, infatti, che tutti gli ordinamenti giuridici evoluti (e, comunque, tutti quelli europei) si sono dotati di una disciplina speciale per la regolamentazione delle patologie delle imprese bancarie, derogatoria, in maggiore o minore misura a seconda dei casi, rispetto alle procedure di diritto comune, attraverso la predisposizione di meccanismi di composizione della crisi che rispondono sempre alla medesima esigenza: quella di evitare perturbazioni nel mercato di riferimento salvaguardando quel bene indispensabile al mantenimento della stabilità del sistema

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finanziario dato dalla fiducia dei clienti. Ed il nostro ordinamento, da questo punto di vista, ne è un chiaro esempio. Le ragioni che spingono gli ordinamenti a predisporre discipline particolari per fronteggiare la crisi delle imprese bancarie sono da rintracciare, a mio avviso, nelle stesse ragioni che giustificano la nascita dei mercati regolamentati, ossia: la tutela del risparmio, l’efficiente allocazione delle risorse, la stabilità del settore finanziario ed economico tutto, obiettivi, questi ultimi, irraggiungibili con la sola normativa prudenziale e di vigilanza. Anzi, proprio il reiterato fallimento di queste norme, testimoniato dalle difficoltà delle banche registratesi in tutte le epoche ed in ogni parte del mondo, ha posto in luce il fondamentale ruolo svolto in tale materia dai meccanismi di composizione della crisi. L’esistenza di queste discipline ad hoc, combinato con l’estrema importanza rivestita dagli interessi coinvolti dalla (e nella) crisi degli enti finanziari hanno quindi rappresentato validi elementi giustificativi per escludere tali imprese dall’ambito soggettivo di applicazione del regolamento n. 1346/20001. 2. La specialità dell’attività bancaria e l’esigenza di una disciplina della crisi transnazionale “comunitaria” ad hoc. Ciò detto, restava comunque l’esigenza di apprestare strumenti giuridici idonei a coordinare l’attività delle autorità (amministrative e/o giudiziarie) nazionali incaricate di gestire la crisi di tali imprese, nel momento in cui queste ultime presentino un’articolazione organizzativa che trascenda i confini dello Stato d’origine (ossia lo Stato che ha rilasciato l’autorizzazione). A tale esigenza il legislatore comunitario ha dato risposta attraverso la Direttiva n. 2001/24, in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi, che impone una sorta di estensione della procedura di risanamento o di liquidazione aperta nello stato d’origine a tutte le succursali comunitarie, in applicazione dei principi dell’unità e dell’universalità delle procedure stesse. L’esigenza derivava da ciò: voi tutti sapete che le imprese bancarie operano secondo il principio dell’home country control, che vuole

1 Sul punto cfr., altresì, Vattermoli, La gestione delle crisi transnazionali delle imprese bancarie ed assicurative: la nuova disciplina comunitaria, in questa Rivista, 2002, II, p. 56 ss.

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l’ente creditizio e le sue succursali un’entità unica nello svolgimento della propria attività, soggetta alla vigilanza delle autorità competenti dello Stato nel quale è stata rilasciata l’autorizzazione2 Ora, in assenza della Direttiva 2001/24 sarebbe stato possibile, ad esempio, che una banca italiana insolvente con succursali in Francia, fosse sottoposta a l.c.a. in Italia e alla procedura di redressement judiciaire in Francia; ciò che avrebbe inevitabilmente comportato il frazionamento dell’unità imprenditoriale nella fase patologica, in palese contrasto con il già richiamato principio del controllo del paese d’origine. Con la Direttiva, invece, come anticipato, questo risultato non può realizzarsi, attesa l’unicità della procedura – quella aperta nello Stato d’origine – a cui può essere sottoposto l’ente creditizio (sul punto tornerò subito appresso). La scelta del legislatore comunitario si spiega anche con la volontà di consentire alle autorità nazionali operazioni di risanamento degli enti creditizi; operazione che sarebbe risultata più complicata nel caso si fosse lasciata aperta la possibilità per le autorità dello stato ospitante di assumere provvedimenti direttamente nei confronti delle succursali. Questa tesi è confermata dai ripetuti interventi statali di ausilio alle imprese bancarie registratisi in diversi paesi membri (sul punto ci parlerà con maggiori dettagli il Prof. Fortunato). 3. Il contenuto della direttiva ed il modello teorico di diritto internazionale privato dell’insolvenza adottato: tra universalità e territorialità. Come anticipato, il principio informatore della Direttiva è quello dell’unità e dell’universalità della procedura (di risanamento o di liquidazione) aperta a carico dell’ente creditizio.

2. Quando la trascrizione della presente relazione era in bozze è intervenuto il Regolamento UE n. 1024/2013, del 15 ottobre 2013 (pubblicato in G.U. l. 287, 29 ottobre 2013, p. 63 ed in questa Rivista, 2013, II, con mio commento Vattermoli, Il primo passo verso l’unione bancaria europea: il Regolamento UE n. 1024/2013), che ha ridisegnato in toto il sistema della vigilanza bancaria europea, assegnando specifici compiti di vigilanza – tra cui anche quello in ordine all’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria ed alla revoca della stessa – alla Banca Centrale Europea, con conseguente ridimensionamento dei poteri che, in materia, venivano sino ad oggi riconosciuti alle autorità nazionali. La svolta “centripeta” così realizzata porta evidentemente a riconsiderare anche l’esatta portata del principio dell’home country control.

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Più in particolare, il modello teorico adottato dalla Direttiva si avvicina sensibilmente all’universalità pura, ma soltanto per le insolvenze transnazionali intracomunitarie; per quanto riguarda, invece, le insolvenze che concernono le imprese bancarie autorizzate in un paese extracomunitario con succursali in due o più stati membri, il modello teorico adottato è molto più vicino alla territorialità pura. Ed invero. Per le insolvenze intracomunitare non sono previste procedure principali e procedure secondarie, come accade invece nel Regolamento 1346/2000: le autorità dello Stato d’origine sono le uniche che possono assumere nei confronti dell’ente provvedimenti di risanamento o di liquidazione, gli effetti dei quali (e, si badi, gli stessi effetti che, in principio, si producono nello Stato di origine) si estendono anche sul territorio degli Stati membri ospitanti le succursali. Per effetto del riconoscimento automatico del provvedimento di risanamento o di liquidazione e dell’estensione extraterritoriale degli effetti della legge del Paese di origine si ha, dunque, un’unica procedura; unici organi incaricati di gestire la stessa; unica massa attiva ed unica massa passiva; omogeneità, in linea di principio e salvo le eccezioni espressamente contemplate dalla direttiva, di effetti all’interno dell’Unione. Per le insolvenze transnazionali che coinvolgono banche extracomunitarie l’approccio è, si direbbe, del tutto capovolto: nessuna norma prevede un sia pur minimo obbligo di collaborazione tra le autorità degli stati membri ospitanti e l’autorità dello stato di origine; nessun riconoscimento è previsto per l’eventuale procedura aperta nei confronti della banca nel paese di origine; gli stati membri ospitanti hanno tutti i poteri per aprire autonomamente una procedura di risanamento o di liquidazione nei confronti della succursale della banca extracomunitaria con effetti, evidentemente, limitati al territorio di competenza. Viene soltanto stabilito che le autorità (amministrative o giudiziarie) nazionali degli stati membri e i liquidatori si sforzano di coordinare le loro azioni (artt. 8.2 e 19.3): precetto, quest’ultimo, dal contenuto giuridicamente indeterminato e carente di qualsivoglia vis imperativa. Anche questa Direttiva, come il Regolamento n. 1346/2000, non contiene norme di armonizzazione delle discipline interne in materia di insolvenza bancaria, ma soltanto norme sulla giurisdizione e norme di conflitto, alle quali si aggiungono le disposizioni sugli obblighi di informazione e pubblicitari volte a rendere effettiva la collaborazione tra le diverse autorità nazionali e, soprattutto, ad assicurare il rispetto della par

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condicio, sostanziale e processuale, tra i creditori della banca ad operatività transnazionale3. 4. L’applicazione della Direttiva nella pratica. Le criticità e le prospettive de jure condendo. A. Com’era forse lecito attendersi, la Direttiva 2001/24 non ha trovato frequente applicazione nella pratica: e ciò, non certo perché le banche ad operatività transnazionale non abbiamo sperimentato, specialmente nel recentissimo passato, periodi di profonda crisi. L’entrata in scena “con il contagocce” della Direttiva è stata piuttosto il frutto dell’impostazione, classica ma ormai obsoleta, che fa perno sulla dottrina del toobig-to-fail che, com’è noto, “suggerisce” ai regulators di dar soluzione alla crisi dell’ente creditizio utilizzando strumenti non formali (es.: aiuti di Stato; assistenza ad operazioni di liquidazione tecnica della banca insolvente; ecc.), quali sono invece i provvedimenti di risanamento e di liquidazione contemplati nella Direttiva. Dottrina, quella del too-big-tofail, che, detto per inciso, per un verso, gli organi comunitari mostrano di non essere più disposti a tollerare e, per altro verso, le autorità domestiche non sono più in grado di assecondare. B. Passando alle criticità della Direttiva, che mi limito soltanto a segnalare. a) Nella Direttiva è del tutto ignorato il problema dei gruppi bancari insolventi (o in crisi): problema tanto più grave in quanto, com’è noto, anche il Regolamento comunitario n. 1346/2000 assume come punto di riferimento della disciplina l’impresa multinazionale atomo. b) La Direttiva non si applica alle imprese di investimento in senso stretto. Il problema si è manifestato in tutta la sua gravità con la crisi della Lehman Brothers International Europe (LBIE), la principale trading company della Lehman Brothers Group in Europa. Solo l’interpretazione restrittiva dell’art. 1.2 del Regolamento n. 1346/2000 ha consentito al giudice inglese di applicare nei confronti di tale impresa il regolamento comunitario.

3 Più in generale, sul principio della par condicio nell’ambito dell’insolvenza transnazionale sia consentito il rinvio a Vattermoli, Par condicio omnium creditorum, in Riv. trim. dir. proc., 2013, p. 155 ss.

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c) Come visto, la Direttiva non contiene norme di diritto materiale, restando dunque impregiudicata la disciplina interna (e dunque le differenze, anche rilevanti, esistenti tra gli Stati membri) in tema di diritto concorsuale bancario. d) In ultimo, come visto, la Direttiva risulta “old style” per quel che concerne la disciplina della crisi delle banche multinazionali extracomunitarie, adottando il principio puro di territorialità. C. Tutte queste criticità potrebbero essere superate con l’adozione del progetto di Direttiva, tuttora allo studio, sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi4. Nel progetto si prevede, ed anche qui mi limito ad alcune segnalazioni: a) una disciplina specifica per i gruppi bancari comunitari insolventi, che fa perno sui c.d. Collegi di risoluzione delle crisi, composti dalle Autorità di risoluzione delle crisi a livello di gruppo (ossia l’Autorità dello Stato in cui ha sede la capogruppo), le autorità di risoluzione delle crisi di ciascuno Stato membro in cui è stabilita una filiazione interessata dalla vigilanza su base consolidate, l’Autorità Bancaria Europea e i Ministeri dell’Economia. Tra i compiti più importanti dei collegi v’è quello di assicurare lo scambio di informazioni per l’elaborazione di piani di risoluzione delle crisi a livello di gruppo e per l’esercizio coordinato dei poteri preparatori e preventivi o per la risoluzione delle crisi a livello di gruppo (sul punto, comunque, ci fornirà maggiori dettagli l’avv. Galanti); b) l’estensione dell’ambito di applicazione della Direttiva n. 2001/24 alle imprese di investimento in senso stretto; c) una serie di strumenti di diritto sostanziale che consentono all’autorità nazionale di risanare o risolvere la crisi degli enti creditizi, che si affiancano agli istituti concorsuali e preconcorsuali già presenti negli ordinamenti domestici (su questi aspetti ci dirà meglio e più ampiamente il Prof. Lener); d) una cooperazione più stretta tra le autorità europee e quelle dei singoli stati membri con le autorità nazionali extracomunitarie per la gestione della crisi delle imprese bancarie e dei gruppi bancari transnazionali a dimensione ultracomunitaria, così avvicinando la disciplina eu-

4 “Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 giugno 2012, che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica le direttive del Consiglio 77/91/CEE e 82/891/CE, le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE e 2011/35/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010”, disponibile on line sul sito http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2012:0280:FIN:IT:PDF.

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ropea ai migliori standard internazionali espressi nella Legge Modello Uncitral del 1997 e nella Guida Legislativa Uncitral del 2010. Più in particolare, rispetto ai gruppi bancari extracomunitari, con due o più enti filiazioni stabiliti nell’Unione, la proposta prevede la costituzione, da parte delle autorità di risoluzione delle crisi degli stati membri in cui sono stabiliti tali enti filiazioni, dei c.d. Collegi europei di risoluzione delle crisi – che hanno le stesse funzioni e gli stessi poteri dei Collegi di risoluzione delle crisi – che agiscono in stretto contatto ed in cooperazione con le competenti autorità extracomunitarie, sulla base di Accordi elaborati dalla Commissione europea e sottoposti al vaglio del Consiglio.

I fondi di garanzia dei depositanti come strumento di gestione della crisi Salvatore Maccarone La funzione dei fondi di garanzia dei depositanti – quanto meno nella logica della disciplina comunitaria e della interpretazione che per lungo tempo ne è stata data – è, o dovrebbe essere, (esclusivamente) quella del rimborso dei depositanti nel caso di dissesto (liquidazione) della banca che vi aderisce; e questo è, per la verità, anche quanto afferma l’art. 96 bis, co. 1, del t.u.b., ancorché l’ultimo suo periodo stabilisca che i “sistemi di garanzia possono prevedere ulteriori casi e forme di intervento”. Inoltre, sia la Raccomandazione (87/63/CEE) del 22 dicembre 1986, sia la Direttiva (94/19/CE del 30 maggio 1994), che seguì alcuni anni dopo e rese obbligatoria la partecipazione delle banche ad un sistema di garanzia dei depositanti, consideravano la presenza e l’omogeneità di tali sistemi uno strumento necessario per assicurare un level playing field per le banche comunitarie e dunque un effettivo ed efficace complemento del diritto di stabilimento, eliminando condizioni di concorrenza disuguali tra le banche nazionali e le succursali di enti creditizi di altri Stati membri. Si rendeva quindi necessario un livello di armonizzazione minimo che eliminasse le disparità esistenti e le possibili perturbazioni che queste potevano indurre nel mercato. Certo, la stabilità del sistema bancario era anch’essa un obiettivo importante, ma rappresentava piuttosto un effetto in qualche modo secondario rispetto all’obiettivo primario. Al tempo dell’entrata in vigore della Direttiva e della modifica che il suo recepimento portò nel t.u.b., con l’introduzione della Sezione IV del Titolo IV, in Italia operava già da anni il Fondo Interbancario di Tutela

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dei Depositanti (FITD) che era stato costituito nel 1987, in connessione con (o forse in funzione della) crisi della Cassa di Risparmio di Prato, che rappresentò il primo intervento del Fondo appena nato. E non fu il rimborso dei depositanti. Nel 1997, dieci anni dopo, fu costituito l’altro fondo di garanzia, il Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo (FGD), destinato all’adesione delle banche di credito cooperativo, alle quali la partecipazione al FITD non è consentita dallo statuto1. Gli interventi dei due Fondi sono stati alcune decine – soprattutto del FGD – ma complessivamente, alla data in cui queste note sono scritte, solo tre sono consistiti nel rimborso dei depositanti, due da parte del FITD e uno soltanto da parte del FGD, pur essendo stati gli interventi di questo Fondo molto più numerosi (59) di quelli dell’altro (10). Entrambi i Fondi hanno dunque (efficacemente) fatto cose diverse, sulla base delle previsioni dei loro statuti, che hanno fatto con larghezza applicazione della possibilità prevista dal comma 1 dell’art. 96 bis del t.u.b., ancora una volta soprattutto il FGD, che ha, come vedremo, possibilità di intervento assai più ampie dell’altro. Questo modo di operare dei due Fondi suscitò critiche in sedi diverse e in particolare da parte della stessa Commissione europea e del Fondo Monetario Internazionale, sotto il profilo della possibile alterazione del contesto concorrenziale quando i Fondi con i propri interventi, anziché rimborsare i depositanti, erogano mezzi che consentono la sopravvivenza della banca insolvente o della sua azienda presso un’altra banca. In realtà, nel trade off tra concorrenza e stabilità del mercato bancario, il nostro Paese, quanto meno nella fase iniziale, ha decisamente preferito la tutela della stabilità, come tra l’altro testimonia la prima versione della l. n. 287 del 1990, con la quale il ruolo di Autorità Garante della concorrenza venne, come noto, attribuito (fino al 1997) alla Banca d’Italia. Questo rese possibili operazioni di salvataggio che oggi sarebbero

1. Questa situazione è peraltro destinata a cambiare con la l’entrata in vigore della direttiva sui sistemi di garanzia dei depositanti, che consentirà espressamente il passaggio degli aderenti da un fondo ad un altro. Questa possibilità che sarà data alle banche potrebbe portare effetti consistenti sulle stesse sorti del FGD; l’adesione delle banche di credito cooperativo al FITD sarebbe infatti per loro assai meno onerosa in termini di contribuzione agli interventi, data la presenza in questo delle grandi banche – e comunque di banche mediamente più grandi – che, pur tenendo conto della regressività del metodo di determinazione delle quote, contribuirebbero agli interventi per la parte comunque di gran lunga prevalente.

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improponibili, quale ad esempio quello della Banca Popolare di Sassari, “salvata”, nei primi anni ’90, attraverso l’acquisizione da parte del Banco di Sardegna. Peraltro, la possibilità per i Fondi di gestire situazioni di crisi attraverso il rimborso dei depositanti è del tutto illusoria, se si considera la relazione tra la massa protetta delle banche aderenti – vale a dire l’ammontare complessivo dei depositi, che in caso di liquidazione concorsuale di tutte, dovrebbero essere rimborsati – e le somme disponibili per gli interventi. Nel FITD, la massa protetta è di circa 470 mld di euro e l’impegno massimo delle banche è oggi intorno a 1,7 miliardi; nel FGD, la massa protetta è di 66 miliardi e l’impegno massimo delle banche 818 milioni. Questo significa che neppure un intervento di rimborso a favore di una banca relativamente piccola sarebbe ipotizzabile con le risorse di cui i Fondi dispongono; la BCC di Roma, che è la più grande delle banche di credito cooperativo e aderisce dunque al FGD, per dare un esempio di dimensioni, ha una raccolta diretta – rappresentata cioè da depositi e conti correnti – di circa 6,7 miliardi di euro, verosimilmente in gran parte protetta, vale a dire composta da depositanti con depositi complessivi compresi nel tetto dei 100.000 euro2. Se poi si considerano banche di media dimensione, il discorso appare ancora più evidente. E tuttavia finora i nostri Fondi sono riusciti a svolgere efficacemente il loro ruolo, affiancati però da interventi pubblici quando il dissesto ha superato la loro capacità di intervento: emblematici, in casa nostra, i casi di Sicilcassa, del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli – i primi due assistiti (anche) con il ricorso al cd. “Decreto Sindona”, mentre per il secondo si fece ricorso ad una legge – e, all’estero, solo per citarne alcuni, il caso Banesto in Spagna e quello del Credit Lyonnaise in Francia. In tutti questi casi, l’intervento pubblico conseguì peraltro l’approvazione della Commissione europea3.

2. Il sistema del Credito Cooperativo ha anche costituito il Fondo di Garanzia degli Obbligazionisti, ad adesione volontaria, che garantisce, negli stessi limiti del FGD, i portatori di obbligazioni plain vanilla emesse da banche di credito cooperativo – non protetti da quest’ultimo Fondo – il cui ammontare complessivo è pari all’incirca a quello dei depositi protetti. 3. I casi banche salvate con danaro pubblico si sono poi moltiplicati negli anni della crisi, come uno strumento necessario, per evitare che il dissesto di una banca trascinasse con sé anche il Paese di appartenenza, come è stato nel caso della Anglo - Irish Bank e delle banche finlandesi. La lezione che questi casi hanno fornito ha indotto il sistema

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Siamo tuttavia di fronte a casi eclatanti, nei quali il dissesto della banca avrebbe avuto per la sua dimensione effetti sistemici sull’intero sistema finanziario del Paese, ledendo quindi un interesse prevalente rispetto a quello della tutela della concorrenza e del mercato e consolidando il concetto, tante volte evocato, del “too big to fail”, troppo grande per (essere lasciata) fallire. Al di là di questi casi, per fortuna isolati, l’operare dei Fondi per tutto il tempo della loro storia è stato fortemente connotato dalla concertazione con la Banca d’Italia, che, ricordo, non solo riconosce i sistemi di garanzia, ma ne approva gli statuti, ne autorizza gli interventi e partecipa alle sedute degli organi e soprattutto ha un ruolo attivo della fase preliminare di configurazione e strutturazione degli interventi stessi. In sostanza, fin dalla loro nascita – e per il FITD fin dal suo concepimento – i Fondi hanno integrato l’attività di vigilanza di cui sono stati utile strumento, nell’interesse dei depositanti e della stabilità del sistema bancario nel suo complesso, ma un po’ meno della concorrenzialità del mercato. Questo atteggiamento, ha, come si è detto, generato critiche da parte degli organismi internazionali, quanto meno fino al prodursi della crisi che ancora investe il mondo occidentale; da allora, l’atteggiamento è progressivamente mutato e oggi gli interessi che la nostra Autorità di Vigilanza ha tutelato tenacemente nel corso di questi anni, vengono predicati anche da chi aveva criticato i modelli di intervento dei nostri Fondi. Il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 ha rappresentato l’elemento di svolta sia in sede comunitaria che a livello internazionale più ampio, dimostrando drammaticamente l’incapacità (anche regolamentare) degli Stati di gestire dissesti bancari di grandi dimensioni e dimostrando l’erroneità del principio del “too big to fail”. Le vicende degli anni successivi, che hanno coinvolto alcuni Paesi europei (Islanda, Irlanda e più di recente Cipro) hanno ulteriormente confermato le difficoltà, pressoché insormontabili, di gestire all’interno dei singoli Paesi crisi di grandi dimensioni, anche per la crescita, soprattutto negli ultimi anni e spesso incontrollata, dei sistemi bancari nazionali. Sta così emergendo un altro problema, quello dei rischi che si annidano nei Paesi in cui il sistema bancario è più grande dell’economia

pubblico ad intervenire nel salvataggio di altre grandi banche il cui dissesto avrebbe avuto effetti micidiali (es. Fortis, Dexia, Lloyds, Société Général, Cajasur ed altre), senza alcuna perdita per gli azionisti e i creditori, cosa questa generalmente apparsa criticabile.

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nazionale; questo accade per la verità in tutti i Paesi dell’Unione, Italia compresa, e comporta il pericolo reale che la crisi del sistema bancario si tramuti in crisi dello stesso Paese. I numeri sono significativi: a Cipro il rapporto è di 7,8 volte, in Irlanda, di 5,3, in Spagna di 4,3, mentre l’Italia si colloca, questa volta, in questa gerarchia, all’ultimo posto, con un rapporto di 1,9. Ma vi sono casi ancora più eclatanti, come quello del prospero Lussemburgo, in cui il sistema bancario realizza volumi 20 volte maggiori di quello del PIL nazionale4, o di Malta, in cui il rapporto è di 8 volte5. La collaborazione tra i diversi Paesi diventa allora condizione imprescindibile per la gestione, nell’interesse di tutti, di situazioni di questo tipo. La limitazione al territorio comunitario – nell’ambito del quale comunque dovrebbe essere distinta l’area euro (17 Paesi), da quella dei altri 10 Paesi non aderenti all’unione monetaria – è tuttavia riduttiva e ormai scarsamente significativa, vista l’interconnessione a livello globale delle economie nazionali. Ormai da anni, alcune economie nazionali, diverse da quella occidentale in senso lato, e caratterizzate da un poderoso fenomeno di crescita, si sono imposte nello scenario mondiale, commerciale, industriale e finanziario, mostrando consapevolezza della loro forza anche con iniziative dirette ad autodisciplinarsi e a distaccarsi (quanto meno potenzialmente) dagli istituti creati dalle economie occidentali. L’esempio più significativo (ma non certo il solo) è quello dei cd. Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che rappresentano assieme il 25% del PIL globale ed il 40% della popolazione mondiale. Anche queste economie, in crescita da anni, sono però state colpite dagli effetti della crisi che ormai da anni attanaglia l’economia occidentale; si manifestano segni di rallentamento nella crescita, dovuti anche alla diminuita ricchezza dei Paesi destinatari delle loro esportazioni e alla non ancora raggiunta maturità del mercato interno, ma è soprattutto

4.

In Lussemburgo peraltro, nonostante la dimensione dei numeri, il rischio di una crisi del sistema bancario che trascini il Paese è del tutto trascurabile, in quanto, a parte la florida situazione del Paese, che ha un rapporto debito - PIL del 21,3%, i volumi sviluppati dal sistema bancario sono prevalentemente legati alla gestione di patrimonio e all’asset management in generale e quindi ad attività a basso rischio. 5. Per Malta il discorso è diverso, ma la situazione economica del Paese – passato recentemente al vaglio severo del Fondo Monetario – non sembra destare particolari preoccupazioni.

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sul piano finanziario che si addensano i pericoli maggiori, in connessione con la prospettata (temuta, ma inevitabile) modifica della politica di quantitative easing adottata nell’ultimo quinquennio soprattutto dal sistema della Riserva Federale americana6. Ma al di là di questo, sembra comunque indubbio che, fra qualche decennio, la mappa della ricchezza mondiale e dunque del potere che ad essa si collega si sarà completamente modificata, rispetto a quella che ha caratterizzato per secoli il contesto mondiale. Nell’ottica più ridotta dell’area comunitaria, i timori che ora affiorano e le iniziative che si rendono necessarie per la salvaguardia del sistema bancario europeo, in particolare attraverso una nuova disciplina dei fondi di garanzia dei depositanti, sono ben sintetizzate nel Deposit Insurance Technical Note del marzo 2013 del Fondo Monetario Internazionale, nel quadro del Financial Sector Assessment Program – European Union. Le linee di armonizzazione sono ben definite e riguardano il tipo di depositi garantiti; l’introduzione di strumenti standardizzati di finanziamento dei fondi, ora divisi fra fondi finanziati ex post, come nel caso dell’Italia e di pochi altri Paesi (Austria, Lussemburgo e Regno Unito), ed ex ante, come tutti gli altri Paesi dell’Unione; un ammontare a tendere della dimensione dei fondi pari all’1% della raccolta protetta7; l’introduzione di una contribuzione basata sul rischio dell’aderente; termini di pagamento più ridotti (7 giorni, rispetto ai 20 di oggi). L’armonizzazione completa della disciplina (DGS, Deposit Guarantee Scheme), che rappresenta un elemento essenziale della unificazione del-

6. La Federal Reserve, come noto, negli ultimi anni ha iniettato nel sistema finanziario americano 85 miliardi di dollari al mese, con effetti benefici immediati sull’economia statunitense e sul livello occupazionale, ma con rischi gravi nel medio e lungo termine. La BCE, sia pure in forme e dimensioni diverse, ha seguito una politica analoga, contribuendo a d un contenimento dei tassi di interesse; si tratta tuttavia di misure che ad un certo punto debbono necessariamente finire. È bastato un larvato accenno in questi giorni del Presidente della FED Barnake, per innescare una reazione dei mercati, in diminuzione ovunque – soprattutto in Cina – nella aspettativa di un rialzo dei tassi di interesse, che ha a sua volta innescato una vendita massiccia di titoli obbligazionari, di un sensibile apprezzamento del dollaro, favorito dal crescere dei tassi, rispetto alle altre valute, l’euro in primo luogo, ma anche lo yen e il renminbi, ed un reindirizzamento degli investimenti verso l’economia americana. Si veda al riguardo la lucida e preoccupante analisi di De Cecco, in La Repubblica, Affari e Finanza, 24 giugno 2013. 7. L’entità della provvista da costituire presso i fondi è in realtà oggetto di negoziato continuo ed oggi sembra che la sua consistenza si stia orientando verso lo 0,5% della raccolta.

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la vigilanza bancaria, si avrà tuttavia soltanto con l’adozione della nuova Direttiva in materia di gestione delle crisi bancarie (Bank Recovery and Resolution – BBR), Direttiva che in passato – nonostante la si riconosca da tutti come parte essenziale del sistema di vigilanza europea di prossima attuazione – si era arenata per il disaccordo tra i Paesi membri su punti essenziali, che riguardano anche il ruolo dei fondi di garanzia dei depositanti. Il disaccordo iniziale ancora resta, ma sembra consolidarsi il consenso intorno alla linea politico – normativa che assegna ai fondi di garanzia un ruolo ulteriore rispetto a quello di mero pay box, nel quadro più generale della vigilanza e della tutela della stabilità del sistema bancario e nel rispetto del principio generale che i salvataggi delle banche debbano avvenire a carico del sistema bancario e con misure di bail-in, nei confronti di soci, creditori subordinati, etc. Tutti i Paesi sono peraltro consapevoli che nel caso di grandi dissesti e di rischio sistemico lo Stato debba comunque intervenire. I punti di disaccordo che ancora permangono, e che non sono certo di poco conto, riguardano la forte opposizione di alcuni Paesi (Germania in primo luogo, ma anche Olanda e Finlandia) ad interventi dello Stato per salvare banche di altri Paesi membri e l’atteggiamento dei Paesi fuori della moneta unica (Regno Unito e Svezia, in particolare), desiderosi di tutelare le loro banche, fortemente impegnate (e con grandi profitti) nell’attività e nella speculazione finanziaria. Tornando al nostro Paese, i nostri due Fondi, come accennavo all’inizio, hanno sempre svolto e in modo prevalente questo ruolo, mirando alla salvaguardia di tutto il ceto dei creditori della banca e non solo dei depositanti, attraverso la conservazione dell’azienda bancaria, anche quando la banca come istituzione è posta in liquidazione. Questa possibilità è consentita dagli statuti di entrambi i Fondi, che prevedono, in alternativa al rimborso dei depositanti – che resta comunque la finalità “naturale” dei Fondi – interventi in operazioni di cessione di attività e passività nell’ambito di procedure di liquidazione coatta amministrativa, “ove sia prevedibile un minor onere” (art. 28 dello statuto del FITD) e “sempre che vi sia un presumibile minor onere” (art. 33 statuto del FGD). In sostanza, se rimborsare i depositanti comporta prognosticamente un onere maggiore di quello derivante da una diversa forma di intervento, che consenta comunque la salvaguardia dei depositanti protetti, allora il fondo è abilitato a forme di intervento diverse, il cui effetto è anche quello della protezione di tutti i creditori della banca di cui si tratta, bancari e non, garantiti o meno.

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Il tema è allora quello della determinazione del “minor onere”, che è cosa evidentemente non facile, non solo perché si tratta di un apprezzamento che comporta la valutazione di variabili numerose ed incerte, esterne all’operare ed al controllo del fondo – prima fra tutte quelle della valutazione delle prospettive di recupero, attraverso la liquidazione dell’attivo, che compete al liquidatore – ma anche per l’esatta determinazione del criterio da porre alla base in questa valutazione, che, attraverso l’autorizzazione all’intervento, viene, in qualche modo, anche “certificato” dalla Banca d’Italia. Entrambi i fondi sono poi intervenuti anche a favore di banche in amministrazione straordinaria, nei modi più diversi, sottoscrivendo aumenti di capitale, come nel caso del primo intervento del FITD, prestando garanzie a fronte di prestiti subordinati (utili ai fini della determinazione del patrimonio di vigilanza), erogando direttamente prestiti e finanziamenti, contributi anche a fondo perduto, rendendosi cessionari di crediti e di altri cespiti dell’attivo. Questi interventi, quasi sempre, hanno avuto l’effetto di risanare la banca o comunque di evitarne la liquidazione e l’alternativa, stimata maggiormente onerosa, del rimborso dei depositanti. In realtà, anche quando si arriva alla liquidazione, come già detto, il rimborso dei depositanti è evento raro, in quanto altri interventi sono possibili e sono normalmente praticati, sia pure con effetti diversi rispetto a quelli a favore di banche in amministrazione straordinaria, in quanto mentre questi salvaguardano la banca, come azienda e come istituzione, anche se attraverso la fusione con un’altra banca, i secondi consentono solo il salvataggio della prima, trasferendola alla banca cessionaria. L’intervento può assumere, anche in questa sede, forme diverse ed è soggetto alla stessa verifica degli altri interventi – in qualunque forma e condizione siano disposti, quando non consistano nel rimborso dei depositanti – vale a dire la presumibile minore onerosità. Il fondo può semplicemente corrispondere alla banca cessionaria un importo corrispondente allo sbilancio tra attività e passività8, oppure intervenire (anche) in altra forma, quale l’acquisto di attivi dalla liquidazio-

8. Per ragioni che non mi è mai riuscito di capire, l’intervento è fatto a favore della banca cessionaria e non della banca in liquidazione, con la conseguenza che la prima, nonostante sia stata pagata dal fondo, risulta ancora formalmente creditrice della liquidazione, mentre il fondo non ha alcun credito verso questa, credito che nascerà esclusivamente con la successiva dichiarazione di surroga da parte della cessionaria, in occasione dell’atto definitivo di cessione.

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ne, la prestazione di garanzia a fronte di cespiti trasferiti alla cessionaria, finanziamenti agevolati a quest’ultima e così via, senza vincolo alcuno, salvo quello della prevedibile minore onerosità rispetto al rimborso dei depositi. Non sempre tuttavia la cessione di attività e passività è possibile in favore di un’unica banca e allora, in alcune occasioni, si è assistito ad operazioni di cessione ripartite tra due diverse banche, frazionando l’azienda e ponendo in essere interventi distinti, ragguagliati al valore dei rami aziendali trasferiti. Si cerca, in sostanza, di evitare in ogni modo la liquidazione concorsuale ed il rimborso dei depositanti e il risultato, quando si consegue, è sicuramente utile anche sul piano sociale, attenuando al massimo il trauma del dissesto di una banca ed i suoi effetti, particolarmente acuti nel caso di piccole banche locali, in termini più ampi rispetto alla sola tutela dei depositanti. Ancora più evidenti sono le implicazioni di vigilanza nel caso in cui il fondo intervenga a favore di banche in difficoltà, ma non ancora in crisi conclamata e quindi senza che sia in corso una procedura amministrata. Questo è possibile nel caso del solo FGD, sulla base di una previsione del suo statuto, che è espressione del più generale principio di solidarietà che caratterizza il sistema del Credito Cooperativo e che porta spesso ad affiancare gli interventi del Fondo anche accordi di tutoraggio con altre banche di credito cooperativo. L’art. 35 dello statuto del FGD prevede, in particolare, la possibilità di effettuare interventi di sostegno, in assenza di procedura, a favore di banche in difficoltà, ma che siano in grado di risanarsi, come deve essere mostrato al Fondo attraverso uno specifico piano, che indichi le iniziative che si intendono assumere e la cui adeguatezza sia attestata dalla Federazione regionale di appartenenza. È una previsione questa di cui si è fatto largo uso, di importanza notevole, in quanto si pone al di fuori della funzione propria dei fondi di garanzia: essa non è infatti condizionata al test della “minore onerosità” rispetto al rimborso dei depositi – come è ragionevole che sia non essendo in corso alcuna procedura amministrata – è deliberata dal Consiglio del Fondo e non dal Comitato, cui spetta di deliberare tutti gli altri interventi, ed è normalmente accompagnata da una serie di condizioni e prescrizioni al cui rispetto l’intervento – anch’esso, come tutti gli altri, sottoposto all’approvazione preventiva dalla Banca d’Italia – è subordinato. Ed è questa la parte ai nostri fini più interessante. Quasi sempre infatti le “condizioni e prescrizioni” riguardano il ricambio del consiglio di amministrazione, in particolare del suo presidente,

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e del collegio sindacale, nominando al loro posto soggetti non coinvolti nella precedente gestione, e sempre più spesso negli ultimi tempi, comprendono anche l’avvio dell’azione di responsabilità. Si tratta chiaramente di misure che, per quanto finalizzate al buon esito degli interventi del Fondo, assolvono anche funzioni di vigilanza; sappiamo bene, infatti, che da tempo la Banca d’Italia invoca l’attribuzione del potere di rimuovere gli esponenti di banche inadeguati al loro ruolo, cosa oggi (ancora) possibile soltanto con il ricorso, che però può rivelarsi eccessivo o non possibile, all’amministrazione straordinaria. La persuasione morale si è rivelata in molti casi inefficace, mentre attraverso il Fondo e i suoi interventi di sostegno questo effetto è quasi sempre realizzato, anche perché è posto quale condizione pregiudiziale per l’intervento. Occorre però chiedersi se questi interventi siano una mistificazione del ruolo dei fondi di garanzia dei depositanti o ne siano invece una applicazione diversa e anticipata, rispetto alla funzione naturale del rimborso dei depositi. Sono sempre stato convinto, al di la delle riserve e delle critiche, che la tutela dei depositanti si realizzi in modo migliore attraverso interventi preventivi e che il rimborso dei depositi sia una sconfitta del sistema e del suo apparato regolamentare. Il rimborso dei depositi, tra l’altro, anche in relazione ai tempi estremamente ristretti e destinati ad accorciarsi ulteriormente, in cui deve essere effettuato, può avere effetti destabilizzanti a carico delle banche – soprattutto delle componenti più gracili del sistema – che debbono provvedere, immediatamente e senza preavviso, alla provvista dei mezzi necessari. La crisi senza fine del sistema economico e finanziario del mondo occidentale e le dolorose lezioni che sta impartendo9 hanno ulteriormente rafforzato questa convinzione e indotto le istituzioni europee a muoversi, mi pare, proprio in questa direzione, sia pure non nell’ambito della direttiva sui DGS, che, come già accennato, armonizzerà soltanto la

9. Secondo le stime di Eurostat, le perdite sofferte dalla banche europee tra il 2007 e il 2010 ammontano a circa 1 trilione di euro, pari a circa l’8% del GDP (Gross Domestic Product) europeo, contrattosi a sua volta per effetto della recessione indotta dalla crisi finanziaria del 6%, mentre gli aiuti di stato disposti tra ottobre 2008 e l’ottobre 2011, comprese le garanzie prestate, sono stati pari a 4,5 trilioni di euro o al 37% del GDP. Si tratta di cifre impressionanti (cfr. Press release – Bank recovery and resolution: frequently asked questions del 6 giugno 2012.

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funzione di garanzia dei depositanti, ma in quella in BRR, che ipotizza, tra l’altro, espressamente l’impiego dei fondi di garanzia dei depositanti nelle operazioni di salvataggio10, nei casi in cui questo intervento realizzi una migliore protezione dei depositanti. Anche sulla utilizzazione dei fondi per finalità di risanamento delle banche esiste tuttavia ancora dissenso, ritenendosi da parte di molti che esista, e debba essere conservata, una distinzione netta tra la funzione di protezione dei piccoli risparmiatori e l’intervento in operazioni di salvataggio. Entrambe queste funzioni sono, come noto, unificate negli USA in capo alla FIDC11, ma sono presenti anche in molti fondi nazionali dell’Unione, tra i quali, appunto, quelli italiani, e in particolare nel FGD, e nel prossimo futuro la funzione di salvataggio dovrebbe a diventare funzione normale dei sistemi di garanzia dei depositanti, sulla base degli stessi criteri che sono alla base oggi degli interventi di sostegno del FGD. Il finanziamento da parte dei fondi di misure di risanamento comporta normalmente un onere inferiore a quello connesso all’eventuale rimborso dei depositanti, senza contare l’ulteriore ed importante effetto della salvaguardia, implicita nel risanamento, di tutti i creditori della banca. I sistemi di garanzia dovranno essere finanziati dalle banche sulla base di contribuzioni ragguagliate alla dimensione del passivo ed al profilo di rischio e, soprattutto, i fondi necessari ai sistemi per i loro interventi dovranno essere forniti ex ante e integrati ex post, qualora le dotazioni si rivelassero insufficienti. Per il nostro Paese si tratterà di una sostanziale cambiamento di rotta; entrambi i fondi sono infatti finanziati ex post, vale a dire in relazione alle esigenze dei singoli interventi, attraverso meccanismi di addebito

10. Non è ancora per la verità chiaro come saranno ripartiti gli interventi tra livello nazionale e livello comunitario e se, in particolare, come si richiede dal nostro Paese e appare oggettivamente ragionevole, i dissesti delle piccole banche debbano far parte della competenza nazionale. 11. Il Dodd-Frank Act del 21 luglio 2010 “an Act to promote the financial stability of the United States by improving accountability and transparency in the financial system, to end “too big to fail”, to protect the American taxpayer by ending bailouts, to protect consumers from abusive financial services practices, and for other purposes”, come recita il suo intero titolo, ha introdotto – dopo il disastro incontrollato di Lehman Brothers – un sistema di intervento nel caso di crisi di istituzioni finanziarie a rilevanza sistemica, mediante affidamento alla FIDC, in funzione del trasferimento poi ad una istituzione appositamente creata o della sua liquidazione. L’approccio della Commissione europea, come vedremo, se pur con diverse modalità, si muove secondo una linea non dissimile.

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diretto da parte del tesoriere del fondo12. L’entità dei mezzi di cui i fondi dovranno dotarsi nell’arco di 10 anni dovrà essere non inferiore ad una percentuale, come abbiamo visto ancora non definita, dei depositi garantiti. Per il sistema bancario italiano sarà uno sforzo notevole, non solo per la dimensione in sé dei mezzi13, ma anche per la carenza di liquidità – solo in parte attenuata dagli interventi della BCE – che da qualche anno caratterizza il nostro sistema finanziario. Si costituirà così una sorta di riserva obbligatoria, di ormai lontana memoria, recuperandone probabilmente le finalità originarie. Ai sistemi di garanzia esistenti dovrebbe affiancarsi un’altra entità, il Resolution Fund 14, con il compito di intervenire per il risanamento delle banche, operante in stretto collegamento con i sistemi di garanzia esistenti, i quali potranno essere chiamati a contribuire agli interventi di sostegno con un apporto corrispondente a quanto essi pagherebbero ai depositanti protetti in caso di dissesto della banca. A questo intervento, si affiancherebbero, come si è detto, misure di sacrificio (bail-in), se occorre anche totale, nell’ordine, degli azionisti, dei creditori subordinati e dei titolari di credito senior, dei creditori diversi dai depositanti protetti15, con esclusione dei crediti garantiti, dei crediti per stipendi, dei crediti fiscali e di alcuni altri, la sostituzione del management responsabile del dissesto. I crediti dei sistemi di garanzia derivanti dagli interventi effettuati concorrerebbero con quelli degli altri

12.

La stessa situazione esiste in Austria, nel Regno Unito e in Lussemburgo ed esisteva in Olanda, che tuttavia a partire dal 1° luglio di quest’anno adotterà il sistema del finanziamento ex ante; tutto gli altri Paesi prevedono sistemi di finanziamento ex ante ed in alcuni è previsto anche l’intervento integrativo pubblico nel caso di insufficienza dei fondi (Austria, Cipro, Estonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Bulgaria, Danimarca, Ungheria, Lituania e Romania) (fonte, IMF, Deposit insurance: technical note, march 2013,). 13. A valori attuali, l’1% della massa protetta ammonterebbe a oltre 5 miliardi di euro. Secondo la Commissione europea, un patrimonio – comprensivo dei prestiti subordinati – pari al 10% del passivo, con esclusione del capitale regolamentare, accompagnato da misure di bail – in (a carico degli azionisti e di alcune classi di creditori) avrebbe consentito di risolvere la maggior parte delle crisi delle banche che si sono manifestate dal 2007 in poi. 14. I singoli Stati Membri avranno peraltro la facoltà di cumulare le due funzioni in un unico fondo, con la previsione, in caso di concorso di più interventi, della prelazione dei depositanti, fino al limite della protezione (i.e. € 100.000), rispetto agli altri creditori della banca. 15 Così come è stato fatto nel recente salvataggio delle banche cipriote.

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creditori non garantiti, con la prospettiva di una perdita anche completa del credito. L’efficacia delle azioni preventive e di sostegno – in questo assetto, articolato ed invero anche non facile da impiantare – ridurrebbe sensibilmente i casi di dissesto, o comunque gli effetti di propagazione all’economia, con un notevole risparmio di danaro pubblico e beneficio, alla fine, per lo stesso sistema bancario16.

Gli aiuti di Stato alle banche in crisi Sabino Fortunato 1. Mi propongo di suddividere il mio intervento in tre nuclei fondamentali. Dapprima vorrei fornire alcuni dati statistici in merito agli aiuti di Stato al settore finanziario programmati e attivati in ambito comunitario nel periodo della grande recessione, nell’arco di quattro anni dal 2008 all’ottobre del 2012, seguendo lo Scoreboard predisposto dalla Commissione dell’Unione europea. Successivamente intendo percorrere le fasi e le relative logiche attraverso cui si è sviluppata la politica comunitaria in materia di aiuti di Stato nel settore bancario. Infine, indicherò le linee guida di una disciplina a regime degli aiuti alle banche che possono enuclearsi dalla “legislazione di emergenza”, la quale, pur concepita durante la crisi sistemica come di applicazione temporanea, sembra offrire alla stessa Commissione europea gli elementi per la ricostruzione di una legislazione ordinaria in materia. 2. Qualche dato statistico è più che opportuno per comprendere la dimensione assunta dal fenomeno in questo periodo di crisi. Il quadro, come preannunciavo, è fornito dalla Commissione europea che dal 2001

16. La Commissione (Bank Recovery cit., par. 32), a conferma dell’efficacia delle azioni preventive, ricorda il caso della Bradford & Bingley che fu “confiscata” temporaneamente dallo Stato e nell’arco di un solo fine settimana messa all’asta e venduta nelle sue diverse component, sicché il lunedì successivo la banca, sotto le sue nuove spoglie, riaprì i battenti, senza alcuna interruzione nei suoi servizi. Un po’ come accadeva nel nostro Paese, con la liquidazione coatta disposta il venerdì e la cessione di attività e passività ad altra banca nel corso del week end.

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redige annualmente un documento di sintesi sugli interventi compiuti negli Stati membri in materia di aiuti di Stato in generale, e dunque non solo per il settore finanziario. Ovviamente negli ultimi tempi l’impegno in termini di aiuti statali al sistema bancario è particolarmente cresciuto: nel periodo fra il 1° ottobre 2008 e il 1° ottobre 2012 sono stati approvati nell’Unione Europea per il settore finanziario aiuti di Stato ammontanti a 5.058 miliardi di euro1, pari al 40,3% del Prodotto Interno Lordo 2012 dell’Unione stessa. Questi dati – come dicevo – sono forniti dalla stessa Commissione europea nel documento prodotto a fine 2012 (cfr. il documento COM(2012) 778 final del 21 dicembre 2012, Relazione sugli aiuti di Stato concessi dagli Stati membri dell’UE – Aggiornamento 2012 -SWD(2012) 443 final). Va precisato, comunque, che questo è l’importo complessivamente autorizzato dalla Commissione, sia per interventi di ricapitalizzazione, sia per concessione di garanzie, sia per sostegno agli asset deteriorati, sia per misure di liquidità a favore del sistema bancario, secondo le quattro grandi tipologie di misure adottate nei vari Stati membri. Ma le erogazioni effettive sono state di gran lunga inferiori. È come se gli Stati avessero avuto a disposizione un’apertura di credito: hanno chiesto di poter utilizzare aiuti fino ad una certa soglia, ma in concreto hanno erogato importi molto più bassi. In particolare, gli aiuti utilizzati nel periodo dall’ottobre 2008 al dicembre 2011 sono pari a 1.615 miliardi di euro. Probabilmente, con la “coda” del 2012 siamo vicini ai 2.000 miliardi, ma il numero ufficializzato è di 1.615 miliardi, pari al 12,79% del PIL dell’Unione. La maggior parte di questi aiuti in realtà è stata autorizzata nel 2008, a ridosso dello scoppio della bolla dei subprime, con l’approvazione di ben 3.394 miliardi di euro, prevalentemente sotto forma di garanzie alla emissione di obbligazioni bancarie e sui depositi. Dopo il 2008, gli interventi si sono concentrati sulle ricapitalizzazioni delle banche e sulle misure a sostegno di attività deteriorate (cd. toxic assets). Più di recente, tra la fine del 2011 e il 2012 è stato approvato il cosiddetto pacchetto per il settore bancario, consistente in una nuova ondata di misure riguardanti garanzie per i Paesi che avevano registrato un aumento di spread del debito sovrano, come la Spagna e l’Italia.

1. Il dato, in verità, comprende anche l’importo autorizzato già nel 2007 per la nazionalizzazione della Northern Rock Bank. Le decisioni adottate dalla Commissione per autorizzare interventi statali di aiuto al settore finanziario fra il 2008 e il 2013 sono oltre 400.

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Può essere utile guardare più da vicino le statistiche relative ai singoli Paesi, e in particolare all’Italia. Gli aiuti programmati (e approvati) dal nostro Paese nel periodo 2008-2012 sono circa 130 miliardi di euro, di cui: 20 miliardi per ricapitalizzazioni e 110 miliardi sotto forma di garanzie per le passività bancarie. Peraltro, l’utilizzo effettivo si è attestato sui 4,05 miliardi per le ricapitalizzazioni e 10,90 miliardi per la concessione di garanzie, insomma complessivamente circa 15 miliardi di euro, ben al di sotto della soglia programmata. Altri Paesi hanno fatto ricorso agli aiuti di Stato in maniera molto più consistente. Al di là della situazione dell’Irlanda, con i suoi 571 miliardi autorizzati e 350 miliardi erogati, nelle prime due posizioni si collocano soprattutto Gran Bretagna e Germania: la prima con 873 miliardi autorizzati e 300 miliardi erogati; la seconda con 646 miliardi autorizzati e 259 miliardi erogati. Il confronto indica che l’Italia ha impegnato e speso, a sostegno del sistema finanziario italiano, cifre meno rilevanti di altri grandi Paesi europei, ma i limiti posti dalla entità del suo debito pubblico spiegano probabilmente il necessario contenimento degli interventi. In realtà sono disponibili sul sito della Commissione2 dati aggiornati pur sempre al 2012, che tuttavia evidenziano gli utilizzi effettivi degli aiuti al settore finanziario, distinguendo fra gli interventi di ricapitalizzazione e di acquisizione di attivi deteriorati, che comportano un effettivo esborso di pubbliche risorse (benché suscettibili di restituzione), e gli interventi di garanzia o di concessione di liquidità sotto altra forma, che si traducono in esborso effettivo solo in caso di esazione della garanzia o concreta erogazione di liquidità. Secondo tali dati, nel periodo 2008-2012 il volume complessivo degli aiuti utilizzati per ricapitalizzazioni e acquisizione di asset deteriorati è stato di € 591,9 miliardi (4,6 % del PIL 2012 della UE); le garanzie e le altre forme di supporto alla liquidità hanno raggiunto nel 2009 il picco di € 906 miliardi (7,7 % del PIL 2012 UE), scendendo poi gradualmente nel 2012 ad € 534,5 miliardi (4.14 % del PIL 2012 UE). Negli ultimi cinque anni in cui gli interventi sotto forma di garanzia sono stati attivati, solo 2 miliardi di euro sono stati effettivamente escussi. Di contro gli Stati – secondo i calcoli di Eurostat – hanno incassato nel periodo 2008-2012 € 32,9 miliardi di commissioni sulla concessione di garanzie e € 92,1 miliardi di dividendi e altri ricavi sulle ricapi-

2. Cfr. http://ec.europa.eu/competition/state_aid/scoreboard/financial_economic_crisis_aid_en.html.

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talizzazioni e acquisizioni di attivi deteriorati, con una remunerazione complessiva a fine 2012 di € 125 miliardi. All’uscita dalla crisi, inoltre, alcune banche hanno già cominciato a restituire l’aiuto ricevuto in fase di ricapitalizzazione3. Tornando al caso dell’Italia, bisogna precisare che nella nozione di interventi per “ricapitalizzazione” è ricompresa la sottoscrizione dei cd. Tremondi bond, strumenti ibridi utili alla composizione (all’epoca) del Core Tier 1, cioè del patrimonio di base di vigilanza. Nel 2009 furono emessi, come già detto in precedenza, € 4,05 miliardi di tali strumenti, ridottisi poi nel 2011 e ancora nel 2012 a € 2,6 milardi per effetto di rimborsi. Il netto ricavo di tale intervento per le casse dello Stato italiano è stato pari a circa € 609 milioni4. 3. Offerto il quadro degli aiuti che gli Stati hanno messo in atto a sostegno del sistema finanziario, fra cui non sono compresi ovviamente quelli ulteriori e parimenti significativi attivati a livello comunitario dalla Banca Centrale Europea soprattutto in concomitanza con la crisi dei debiti sovrani, vorrei ora passare al secondo punto: come si è venuta sviluppando la filosofia che sorregge sul piano giuridico il sostegno statale al settore bancario? Al riguardo mi sembra di poter individuare quattro fasi nella recente evoluzione della politica comunitaria in materia: una prima fase che giunge sino alla prima metà degli anni Ottanta del Novecento, di sostanziale indifferenza delle istituzioni comunitarie con ampia libertà concessa agli Stati membri; una seconda che giunge sino al 2008 e in cui le imprese bancarie in crisi sono assimilate ad ogni altra impresa

3.

Va precisato che i criteri seguiti dalla Commissione e da Eurostat nella raccolta dei dati non sono del tutto omogenei, differenti essendo le relative finalità. Laddove i dati raccolti nello Scoreboard mirano a dare il quadro degli aiuti di Stato nel senso definito dall’art. 107, par. 1, TFUE, la Commissione e l’Eurostat si preoccupano anche di raccogliere dati che misurino gli effetti degli interventi pubblici nel corso della crisi sulle finanze dei singoli Stati, in particolare sul controllo del deficit/surplus di bilancio e del debito pubblico. Eurostat in particolare predispone due rapporti annuali (per fine marzo e per fine settembre) ai fini della Excessive Deficit Procedure (EDP). 4. Più dettagliatamente, la sottoscrizione dei Tremonti bond ha interessato nel 2009: Banco Popolare per € 1,45 miliardi; Banca Popolare di Milano per € 0,5 miliardi; Monte dei Paschi di Siena per € 1,9 miliardi; Credito Valtellinese per € 0,2 miliardi. Già nel 2011 il Banco Popolare restituisce il capitale prestato, sopportando un costo per interessi pari ad € 86,4 milioni. A tutto il 2012 sembra che il costo sopportato da Banca Popolare di Milano si attesti a € 66,8 milioni, dal Credito Valtellinese ad € 42,5 milioni e da Monte dei Paschi di Siena ad € 413 milioni.

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in difficoltà, con una valutazione rigorosa delle situazioni legittimanti gli aiuti pubblici al settore finanziario; una terza che attraversa tutto il periodo della grande recessione e in cui si assiste alla elaborazione di criteri regolatori specifici per il settore finanziario; una quarta che sembra delinearsi all’esito della crisi sistemica e che dovrebbe disciplinare gli interventi pubblici a favore delle banche in un ambito di regime ordinario5. La prima fase può, dunque, collocarsi sino alla prima metà degli anni Ottanta del Novecento, allorchè la Corte di Giustizia Europea adotta nel 1981 la nota sentenza Züchner6. Fino ad allora il settore bancario aveva preteso di potersi sottrarre alle regole comunitarie sulla concorrenza, assumendo in particolare che le banche svolgono un “pubblico servizio” o comunque un “servizio di interesse pubblico” e che possono in definitiva essere assimilate alle imprese che gestiscono servizi di “interesse economico generale” ai sensi dell’allora art. 86, par. 2, Trattato CEE (oggi art. 106, par. 2, TFUE). La banca tedesca, evocata in giudizio dinanzi alla CGE, si opponeva all’applicazione dell’art. 81 Trattato CEE (ora art. 101 TFUE), che vieta cartelli e pratiche concordate limitative della concorrenza intracomunitaria, appellandosi alla tesi sinteticamente qui esposta. La sentenza Züchner per la prima volta afferma, in maniera abbastanza decisa, che l’attività bancaria è attività d’impresa ad ogni effetto, che non corrisponde ad un servizio di interesse economico generale, che non vi è alla base della sua normale attività creditizia alcuna concessione da parte della pubblica amministrazione di un pubblico servizio. Sino a quel momento, benché la Commissione europea avesse già espresso nella sua seconda relazione sulla politica della concorrenza del 1973 l’opinione che le regole comunitarie sulla concorrenza dovessero applicarsi anche al settore bancario, di fatto per un verso le banche tendevano a sottrarsi a quella disciplina e per altro verso gli Stati membri non consideravano gli aiuti al settore assoggettabili alle regole dettate in materia di aiuti di Stato alle imprese in generale. Con la sentenza

5.

Una periodizzazione della evoluzione degli aiuti di Stato in generale (e non con specifico riferimento al settore bancario) è compiuta da Tosato, La disciplina comunitaria degli aiuti tra economia di mercato e interessi generali, in www.astrid-online.it, 2009 e ID., L’evoluzione della disciplina sugli aiuti di Stato, in La “modernizzazione” della disciplina sugli aiuti di Stato, a cura di Schepisi Torino, 2011, p. 3 ss. Va sottolineato che non vi è coincidenza fra evoluzione generale ed evoluzione nel settore finanziario. 6. Corte Giustizia Europea 14 luglio 1981, causa 172/80, Zuechner c. Bayerische Vereinsbank, in Racc., 1981, p. 2021 ss.

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Züchner del 1981 si apre quindi, almeno astrattamente, la seconda fase della politica comunitaria in tema di aiuti di Stato alle banche, equiparate allora ad ogni altra “impresa in difficoltà”. Del resto è con il d.P.R. 27 giugno 1985, n. 350 che viene recepita la prima direttiva in materia creditizia 77/780/CEE del 12.12.1977 e con cui si riconosce espressamente il carattere d’impresa della banca, indipendentemente dalla natura pubblica o privata della stessa. Questa seconda fase può dunque collocarsi fra gli anni Ottanta del Novecento sino a buona parte del 2008, quando scoppia la crisi finanziaria che avvia la grande recessione. Non vi è, in questa fase, alcuna specifica Comunicazione della Commissione che riguardi gli aiuti per il settore bancario, ma si ritiene di doversi rifare alla generale Comunicazione recante orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà7, adottata nel 1994 e commentata nell’ottica bancaria dal saggio pionieristico di Rotondo e Vattermoli8. In pratica, la disciplina degli aiuti di Stato per il settore bancario si fonda sull’applicazione dell’allora art. 87, par. 3, lett. c) del Trattato CE (ora art. 107, par. 3, lett. c) TFUE). Voi conoscete la ratio che sorregge la disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato alle imprese: essi sono in via di principio vietati, poiché considerati distorsivi della libertà di concorrenza costituente uno dei principali cardini del mercato unico europeo. Nella misura in cui, dunque, tali aiuti pubblici alterano il gioco concorrenziale a livello di scambi comunitari o su una parte consistente del mercato unico devono considerarsi illeciti. Ma il divieto non ha carattere assoluto. Gli artt. 87-88-89 Trattato CE (ora artt. 107-108-109 TFUE) prevedono una serie di deroghe e un meccanismo procedimentale per la loro applicazione. Fra tali deroghe è ricompresa quella recata dall’art. 87, par. 3, lett. c) TCE (ora art. 107, par. 3, lett. c) TFUE), secondo cui possono considerarsi compatibili con il mercato interno “gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria

7

In GUCE C 368 23 dicembre 1994, p. 12 ss. Rotondo-Vattermoli, Gli aiuti di Stato alle imprese bancarie in difficoltà, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, I, p. 240 ss. Sugli “ausili pubblici” più in generale alle imprese in difficoltà, nella loro evoluzione storica nell’ambito dell’ordinamento italiano e che tiene conto anche dei vincoli comunitari, cfr. la puntuale ricostruzione di Nigro, La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese: lineamenti generali, in Tratt. dir. priv. diretto da Bessone, v. XXV, Torino, 2012, p. 103 ss. 8.

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al comune interesse”. Si tratta di una deroga giustificata da ragioni localistiche e/o strettamente settoriali, e dunque applicabile in termini molto limitati e restrittivi, tali da rendere ingiustificabili interventi massicci e generalizzati come quelli che si sono resi necessari con la crisi dell’intero sistema finanziario nazionale ed europeo. Ma gli interventi pubblici in favore delle banche in crisi nel periodo che corre fra il 1981 e buona parte del 2008 si sono dovuti muovere nelle strettoie di tale disposizione. Con quali conseguenze? Quando negli anni Novanta sono esplose alcune grandi crisi bancarie nei principali Paesi della Comunità Europea, la disciplina comunitaria ha dovuto rincorrere le situazioni con provvedimenti singolari, che cercavano di fare applicazione con fatica degli orientamenti dettati in generale per le imprese in difficoltà. Agli inizi degli anni Novanta si propose la crisi bancaria svedese e la Svezia utilizzò fra il 1991 e il 1993 tutto lo strumentario degli interventi pubblici nel salvataggio del sistema bancario nazionale, compresa la creazione di una bad bank detta AMC (Asset Management Company). Gli interventi si svolsero, tuttavia, al di fuori del quadro comunitario, poiché l’ingresso della Svezia nell’Unione Europea data dal 1° gennaio 1995. E ciò a differenza di quanto accadde in Francia e in Italia nella seconda metà degli anni Novanta, rispettivamente per la crisi del Crédit Lyonnais e per quella dei banchi meridionali, in particolare per il Banco di Napoli. Nel caso del Crédit Lyonnais la Commissione adottò la decisione 20 maggio 19989, con cui autorizzava gli interventi di sostegno alla banca, fra cui anche la costituzione di una struttura di scorporo (il Consortium de Réalisation-CDR) destinata ad accogliere gli immobili, condizionandoli tuttavia ad una serie di prescrizioni. L’autorizzazione non escludeva la liquidazione dell’ente creditizio in generale, dovendosi conciliare il sostegno statale con la politica di concorrenza e liberalizzazione del mercato bancario nell’ambito della Comunità europea. Di qui l’applicazione del principio dell’“investitore privato in economia di mercato” (Market Economy Investor Principle), secondo il quale lo Stato poteva considerarsi legittimato all’intervento di ricapitalizzazione della banca in crisi e comunque di sostegno alla sua attività solo se quell’intervento fosse stato ragionevole anche per un investitore privato che opera in condizioni di economia di mercato; e dunque nell’ottica di un risanamento dell’impresa bancaria che potesse

9. In GUCE l. 221, 8 agosto 1998, p. 28 ss., dopo una precedente decisione del 26 luglio 1995.

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restituirla alla redditività e al libero gioco concorrenziale. Diversamente, l’aiuto pubblico poteva tradursi in distorsione della concorrenza e agevolare futuri comportamenti scorretti, incentivando il moral hazard della governance bancaria. La decisione della Commissione fa puntuale applicazione dei requisiti previsti dalla sua Comunicazione del 1994, esigendo che sussistano: (i) un piano di ristrutturazione fondato su ipotesi realistiche di redditività minima attesa dei capitali investiti e di recupero a lungo termine della redditività economico-finanziaria dell’impresa; (ii) contropartite idonee a compensare l’effetto distorsivo (dell’aiuto) sulla concorrenza, come cessioni di attivi e chiusure di filiali; (iii) il rispetto del principio di proporzionalità; (iv) l’attuazione integrale del piano di ristrutturazione, con la garanzia dello Stato di un adeguato monitoraggio e vigilanza sulla esecuzione della decisione della Commissione. Lo schema decisorio condizionato della Commissione si ripete sostanzialmente nel caso degli aiuti al Banco di Sicilia per la crisi di Sicilcassa10 e al Banco di Napoli per favorirne la ristrutturazione e la privatizzazione a seguito della situazione di difficoltà che lo aveva colpito11. Per quanto riguarda il piano di salvataggio, ristrutturazione e privatizzazione del Banco di Napoli, in particolare, la Commissione ebbe a qualificare aiuti di Stato l’aumento di capitale di 2.000 miliardi da parte del Tesoro, gli sgravi fiscali concessi sulle operazioni di cessione di crediti e sportelli e le anticipazioni erogate ai sensi del d.m. 27 settembre 1974 a copertura delle perdite che avrebbe realizzato nella fase di recupero la società alla quale venivano trasferiti gli attivi anomali (sofferenze, incagli e crediti in ristrutturazione, oltre che la partecipazione nel Banco di Napoli International) del Banco. Si trattava della Società di Gestione degli Attivi spa (S.G.A.), costituente la bad bank voluta dallo Stato e soggetta al controllo del Tesoro, che detiene il pegno sul suo capitale azionario12. La Commissione, tuttavia, considerò gli aiuti compatibili con le norme comunitarie, in quanto disposti nel rispetto dei criteri generali previsti in materia: predisposizione di un piano di ristrutturazione in grado di ripristinare a termine la redditività minima sul capitale accettabile per un investitore privato e offerta di contropartite adeguate a compensare i

10.

Decisione 10 novembre 1999, in GUCE l. 256 del 10 ottobre 200, p. 21 ss. Decisione del 29 luglio 1999, in GUCE l. 116 del 4 maggio 1999, p. 36. 12. La S.G.A., di cui mi onoro di essere tutt’ora vicepresidente, ha ottenuto ottimi risultati nel recupero degli attivi anomali a suo tempo acquisiti dal Banco di Napoli, contribuendo in tal modo a ridurre considerevolmente le perdite a carico del settore pubblico. 11

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concorrenti degli effetti distorsivi provocati dagli aiuti, tramite la riduzione della dimensione della banca, commisurata a oltre un terzo del bilancio precedente la crisi, relativa sia alla diminuita presenza commerciale estera, nella misura del 70 per cento, sia alla cessione di circa il 10 per cento della rete degli sportelli. Consentitemi una notazione problematica: all’esito di queste e di altre vicende che hanno colpito il sistema bancario meridionale tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del nuovo Millennio, il Mezzogiorno d’Italia è sostanzialmente privo di grandi banche territoriali. Nulla da rimpiangere sul piano delle pratiche clientelari che hanno avuto buona parte nel crollo di quel sistema; ma non credo che il perdurare di questa situazione possa aiutare realmente la crescita delle economie locali. Tornando al tema della politica comunitaria sugli aiuti di Stato per il settore bancario nella seconda fase di sviluppo che ho cercato di delineare, si può sottolineare come essi vengano inquadrati alla stregua di sostegno ad una impresa in difficoltà e dunque nei limiti eccezionali in cui la regolamentazione comunitaria consente tali interventi ai sensi dell’art. 87, par. 3, lett. c) TCE (ora art. 107, par. 3, lett. c) TFUE). Due profili sembrano meritevoli di attenzione: (i) il criterio guida per la valutazione della legittimità degli aiuti è individuato dalla Commissione nel “principio dell’investitore privato che agisca in una economia di mercato”, ma questo principio – pur mutuato dalle linee guida per le imprese in difficoltà – sembra poter avere una declinazione particolare per il settore bancario, ove in verità non è affatto semplice stabilire in quali termini esso possa e debba esprimersi13; (ii) la crisi bancaria, anche se coinvolge un grande istituto, non viene avvertita o comunque trattata come “crisi sistemica” e viene teoricamente circoscritta a crisi che può risolversi anche con la liquidazione dell’istituto, ove non sia più sorretto da adeguata redditività, quale conseguenza del gioco concorrenziale che è visto altresì come elemento della sana e prudente gestione propria della vigilanza prudenziale. In questa logica lo Stato può sì intervenire a sostegno della crisi di una banca importante, sostanzialmente di rilevanza sistemica, ma deve limitarsi ad un intervento analogo a quello che farebbe l’investitore

13. Rinvio al riguardo a Sansonetti, Gli aiuti di Stato al settore bancario in Europa, Tesi di Dottorato in Diritto internazionale, 2006/2007, Milano, p. 42 ss. Cfr. anche Friederiszick - Troge, Applying the Market Economy Investor Principle to State Owned Companies - Lessons learned from the German Landesbanken Cases, in EC Competition Policy Newsletter, 2006, pp. 105-109; Merola e Iranez Colomo, Aides d’Etat et secteur bancaire: Une étude des effets de la réforme, in Concurrences, n. 1, 2007.

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privato nell’economia di mercato e comunque a un intervento che eventualmente, anche attraverso la privatizzazione di una impresa pubblica, restituisca l’impresa ristrutturata al gioco concorrenziale del mercato. 4. Lo scoppio della crisi finanziaria nella seconda metà del 2008, induce la Commissione ad avviare una terza fase della sua politica in materia di aiuti statali al settore bancario. Si assiste alla progressiva definizione di una regolamentazione di emergenza, non più fondata sulla lett. c), ma sulla lett. b) del par. 3 dell’art. 107 TFUE, secondo cui la compatibilità degli aiuti pubblici si commisura al fatto che siano destinati (oltre che alla “realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo”) “a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”. E tale regolamentazione, tuttavia, non è affidata a direttive o veri e propri provvedimenti legislativi, ma ancora una volta a Comunicazioni della Commissione indirizzate però specificamente al settore finanziario. Dalla seconda metà del 2008 sino al 2011 la Commissione ha emanato sei Comunicazioni in proposito14, al fine di arginare le eventuali distorsioni della concorrenza bancaria provocata dallo scoordinato intervento pubblico delle banche nazionali da parte degli Stati membri e così attenuare la frammentazione del mercato interno che ne sarebbe derivata. La clausola generale indicata dalla deroga (ora adottata) al normale divieto

14. E vedi: (i) Comunicazione sull’applicazione delle regole in materia di aiuti di Stato alle misure adottate per le istituzioni finanziarie nel contesto dell’attuale crisi finanziaria mondiale (cd. “Comunicazione relativa alle banche del 2008”), in GUCE C 270 del 25 ottobre 2008, p. 8 ss.; (ii) Comunicazione relativa alla ricapitalizzazione delle istituzioni finanziarie nel contesto dell’attuale crisi finanziaria: limitazione degli aiuti l minimo necessario e misure di salvaguardia contro indebite distorsioni della concorrenza (cd. “Comunicazione sulla ricapitalizzazione”), in GUCE C 10 del 15 gennaio 2009, p. 2 ss.; (iii) Comunicazione sul trattamento delle attività che hanno subito una riduzione di valore nel settore bancario comunitario (cd. “Comunicazione sulle attività deteriorate”), in GUCE C 72 del 26 marzo 2009, p. 1 ss.; (iv) Comunicazione sul ripristino della redditività e la valutazione delle misure di ristrutturazione del settore finanziario nel contesto dell’attuale crisi in conformità alle norme sugli aiudi di Stato (cd. “Comunicazione sulla ristrutturazione”), in GUCE C 195 del 19 agosto 2009, p. 9 ss.; (v) Comunicazione relativa all’applicazione, dal 1° gennaio 2011, delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria (cd. “Comunicazione di proroga del 2010”), in GUCE C 329 del 7 dicembre 2010, p. 7 ss.; (vi) Comunicazione relativa all’applicazione, dal 1° gennaio 2012, delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria (cd. “Comunicazione di proroga del 2011”), in GUCE C 356 del 6 dicembre 2011, p. 7 ss.

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degli aiuti di Stato (e cioè il “porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”) avrebbe consentito da un canto di considerare sistemica la crisi di una banca rilevante nell’ambito del singolo Stato e d’altro canto di affrontare con minore rigidità procedimentale e sostanziale la valutazione degli interventi programmati e notificati dagli Stati interessati. È importante sottolineare il salto di qualità che conduce ad una diversa e speciale considerazione del settore delle imprese finanziarie rispetto a quelli dell’economia reale (imprese agricole, industriali e mercantili) e che situa quel settore in posizione strategica per la stabilità (finanziaria) e lo sviluppo della intera economia di un Paese. Sin dalla prima Comunicazione del 200815, la Commissione detta il quadro regolatorio per tre tipologie di intervento: la concessione di garanzie statali con portata selettiva rispetto a determinate passività bancarie e in particolare a tutela dei depositi o a tutela dei prestiti interbancari; le misure dirette a sostenere la liquidità del sistema bancario; le misure tese a favorire una liquidazione controllata dell’impresa bancaria in crisi. La seconda Comunicazione di gennaio 2009 affronta invece il tema degli interventi di ricapitalizzazione delle banche e la terza del marzo 2009 regola le acquisizioni da parte dello Stato di attivi bancari deteriorati, ovvero e perlopiù dei cd. titoli tossici. La quarta Comunicazione arreca precisazioni e limitazioni soprattutto con riferimento alle “ristrutturazioni” da imporre alle banche che fruiscono degli aiuti statali; la quinta proroga la durata di applicazione della sola Comunicazione sulle ristrutturazioni sino al 31 dicembre 2011; la sesta, quando nel 2011 si acuisce ulteriormente la crisi con le difficoltà di rifinanziamento del debito sovrano di alcuni Paesi dell’Eurozona, proroga tutti i regimi derogatori regolati dalle prime quattro Comunicazioni sino al 31 dicembre 201216. Preme evidenziare, a proposito delle proroghe sancite dalle ultime Comunicazioni, che esse partono dal presupposto della “eccezionalità” della crisi sistemica che ha indotto la Commissione ad adottare un allentamento della rigidità pregressa in materia di controllo di compatibilità

15.

Dell’atti, Gli aiuti di Stato alle banche in tempo di crisi, in Conc. Merc., 2012, p. 585 ricollega questa prima Comunicazione della Commissione agli indirizzi adottati dall’Ecofin del 7 ottobre 2008, in sostanza dal Consiglio dei Ministri quale organo di governo politico dell’Unione che agevolava così il mutamento di impostazione da parte della Commissione in materia di aiuti di Stato. 16. È bene chiarire che il controllo di compatibilità da parte della Commissione per gli aiuti nel settore finanziario concerne per un verso regimi generali e per altro verso anche aiuti singolari.

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degli aiuti pubblici al settore finanziario, una eccezionalità che in tutti questi orientamenti comunitari implica altresì la “temporaneità” dei regimi derogatori autorizzati. Insomma, nell’ottica della Commissione le deroghe massicce al divieto degli aiuti di Stato sono giustificate dalla eccezionalità della crisi sistemica, per cui alla sua uscita tali regimi dovranno cessare. Fatto è che, mentre nelle prime Comunicazioni la Commissione non si è accontentata di formulare tale affermazione di principio ma ha fissato definiti limiti temporali alla vigenza dei regimi derogatori, nella settima e più recente Comunicazione di luglio 2013, applicabile alle notificazioni effettuate a partire dal 1° agosto 201317, non vengono più indicati termini precisi di vigenza. Anzi, i regimi di aiuto vengono in sostanza prorogati a tempo indeterminato, affermandosi che “in circostanze di tensione persistente sui mercati finanziari e dato il rischio di effetti di ricaduta negativi più ampi, la Commissione ritiene che le condizioni per l’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), del Trattato agli aiuti di Stato al settore finanziario continuino ad essere soddisfatte. L’applicazione di tale deroga rimane tuttavia possibile soltanto fino a quando perdurerà la situazione di crisi, creando circostanze effettivamente eccezionali in cui sia a rischio la stabilità finanziaria nel suo insieme”. È importante precisare, a questo punto, che mentre i regimi di aiuti statali (supplementari e temporanei rispetto a quelli ordinari e perciò legati alla crisi) in favore delle imprese dell’economia reale, pur avviati a fine 2008 e prorogati sino al 31 dicembre 2011, sono definitivamente cessati a partire dal 201218, i regimi di sostegno pubblico “eccezionali” alle imprese finanziarie sono tutt’ora in vigore. Il che segnala ancora una volta la definitiva consapevolezza dell’Unione del carattere speciale e strategico delle crisi bancarie non solo rispetto al sistema finanziario ma anche all’intera economia di un Paese e della stessa Unione complessivamente considerata.

17.

Cfr. “Comunicazione relativa all’applicazione, dal 1° agosto 2013, delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria (cd. “Comunicazione sul settore bancario”)”, in GUCE C 216/1 del 30.07.2013. 18. Sugli aiuti alle imprese dell’economia reale legati alla crisi mi permetto rinviare a Fortunato, Aiuti di Stato e mercato creditizio fra orientamenti comunitari e interventi nazionali, in Dir. banc., 2010, I, p. 379 ss.; nonché per l’aggiornamento a Buzzacchi, Aiuti di Stato tra misure anti-crisi ed esigenze di modernizzazione: la politica europea cambia passo?, in Conc. Merc., 2013, p. 77 ss., in particolare p. 91 ss.

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Il mutamento recato dalla settima Comunicazione rispetto alle precedenti appare evidente; e lo è soprattutto anche per i contenuti, che, se per un verso sembrano ripercorrere quelli accolti nelle quattro Comunicazioni iniziali, per altro verso si arricchiscono di profili tesi a delineare condizioni di aiuto a regime ordinario, soprattutto laddove affrontano il problema della “liquidazione ordinata” di una banca in difficoltà “qualora l’ente non possa ripristinare in modo credibile la redditività a lungo termine”. La ragione fondamentale per cui la Commissione europea è tempestivamente intervenuta in materia di aiuti di Stato per il settore bancario è stata quella di contribuire a rendere meno frammentario il quadro complessivo del mercato interno mantenendo, per quanto possibile, omogeneo il campo di gioco concorrenziale e contenendo in limiti accettabili, dal punto di vista della politica comunitaria di concorrenza, le iniziative dei singoli Stati membri. E ciò nella prospettiva del ripristino, a crisi cessata, delle ordinarie regole di concorrenza fra gli operatori di mercato. Che poi questo intento sia stato sempre e sino in fondo perseguito nei fatti è tutt’altro problema. A quali criteri si è attenuta la Commissione nella valutazione di compatibilità degli aiuti alle banche nel contesto della crisi finanziaria? In sintesi è possibile individuare sei criteri fondamentali: 1. l’aiuto deve essere strettamente mirato all’obiettivo, cioè porre rimedio al grave turbamento dell’economia dello Stato membro, e non perseguire altre finalità, come quelle di carattere sociale o d’ altro tipo, difformi da quelle riconducibili alla clausola generale ex art. 107, par. 3, lett. c) TFUE (principio teleologico); 2. l’aiuto deve essere proporzionato allo scopo, cioè essere limitato al minimo indispensabile senza andare al di là del fabbisogno necessario a raggiungere la finalità autorizzata dal Trattato (principio di proporzionalità); 3. l’aiuto non deve avere carattere discriminatorio e deve avere carattere oggettivo (principio di oggettività ovvero di non discriminazione); 4. l’aiuto deve essere assistito da una serie di misure di salvaguardia, tese ad evitare eventuali abusi da parte del beneficiario, nel senso per esempio che le risorse acquisite non devono servire a fare politiche aggressive dal punto di vista concorrenziale (principio di salvaguardia); 5. soprattutto l’aiuto deve avere carattere temporaneo, e perciò soggetto a verifiche periodiche e accompagnato da adeguati incentivi all’uscita (principio di temporaneità); 6. deve infine essere seguito, a crisi ultimata, da misure di adeguamento dell’intero settore o da piani di ristrutturazione o di liquidazione dei singoli beneficiari (principio di compensazione).

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Questi criteri devono poi potersi adeguare sia alla tipologia degli aiuti programmati (profilo oggettivo) sia alla tipologia dei beneficiari che vi ricorrono (profilo soggettivo)19. Sotto quest’ultimo profilo vale la pena segnalare una duplice modifica di rotta. Inizialmente la Commissione ha dato rilievo alla distinzione fra “imprese fondamentalmente sane” e “imprese inefficienti, caratterizzate da cattiva gestione o da strategie rischiose” al momento dello scoppio della crisi (convenzionalmente individuato al 1° luglio 2008), e ciò soprattutto per una diversa e calibrata applicazione dei principi di salvaguardia e di compensazione, nel rispetto del principio di non discriminazione. In altre parole, considerata la differente situazione delle istituzioni finanziarie al momento dello scoppio della crisi sistemica, la seconda tipologia di imprese doveva considerarsi soggetta al regime di aiuti ordinario e avrebbe richiesto un’ampia ristrutturazione «per ripristinare la redditività a lungo termine», se non addirittura la liquidazione, nonché misure compensative volte a limitare le distorsioni della concorrenza per effetto degli aiuti concessi. Di contro, le imprese finanziarie illiquide – per effetto del prosciugamento del mercato del prestito interbancario conseguente alla crisi sistemica – ma fondamentalmente sane ricadevano certamente nell’ambito di applicazione delle misure di crisi, esigendo solo una valutazione di capacità di ritorno alla redditività ed una ristrutturazione meno sostanziale e più limitati interventi compensativi per le minori distorsioni concorrenziali provocate. Questa distinzione si è venuta progressivamente attenuando sino a scomparire nelle ultime Comunicazioni. Si veda in proposito quanto si dirà in prosieguo in merito al principio di ristrutturazione, che viene esteso ad ogni ipotesi di aiuto di ricapitalizzazione o di sostegno alle attività deteriorate a prescindere dall’importo e dallo stato in cui versava la banca beneficiaria al momento dello scoppio della crisi. Il secondo mutamento di rotta in termini di adeguamento soggettivo degli aiuti al settore ha avuto ad oggetto la distinzione fra “banche sistemiche” e “banche non sistemiche”. Di fatto gli Stati membri non hanno inteso dare rilievo a questa incerta distinzione, ritenendo che ogni banca

19.

Per una compiuta analisi di questi profili mi permetto rinviare a Fortunato, Aiuti, cit., p. 379 ss. Per un aggiornamento cfr. anche Dell’atti, Gli aiuti, cit., p. 584 ss.; Diverio, Gli aiuti di Stato al trasporto aereo e alle banche, Milano, 2010, p. 97 ss.; nonché Buzzacchi, Aiuti, cit., p. 77 ss., in particolare p. 85 ss., ove ulteriori riferimenti.

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in crisi potesse avere un impatto di carattere sistemico sulla economia del Paese. La distinzione, tuttavia, ha finito per acquisire progressivamente rilievo, divenendo il pilastro della Unione Bancaria Europea e del Meccanismo di Vigilanza Unico, di recente istituzione a livello comunitario e sostanzialmente avente ad oggetto le banche sistemiche ovvero le Large and complex financial institutions (Lcfi), precedentemente definite come Global Sifi (Systematically important financial institution)20. La distinzione non potrà non incidere anche a livello di politica comunitaria sugli aiuti di Stato al settore bancario, posto che la Commissione ha già manifestato la volontà di voler concentrare la propria azione di controllo di compatibilità sugli interventi davvero significativi per il mercato interno. Nella settima Comunicazione del 2013 (la Comunicazione sul settore bancario), del resto, la Commissione osserva che “nel contesto delle mutate condizioni di mercato, non sono più necessarie misure strutturali di salvataggio concesse unicamente sulla base di una valutazione preliminare che si fondi sul presupposto che praticamente tutte le banche hanno bisogno di essere salvate e che rinvii la valutazione approfondita del piano di ristrutturazione a una fase successiva”21. 5. La Comunicazione del 2013 ridisegna le regole degli aiuti legati alla crisi per il settore bancario: (i) innanzitutto abrogando e sostituendo in-

20. Le G-Sifis sono state identificate dal novembre 2011 dal Financial Stability Board; le Lcfis costituiscono le imprese bancarie transfrontaliere che a livello di Unione sono soggette al Meccanismo di Vigilanza Unico affidato alla BCE e alle Autorità europee di vigilanza oltre che degli Stati membri, e che dovrebbe entrare a regime dal novembre 2014. Cfr. Reg. (UE) n. 1024/2013 del 13 ottobre 2013 (in GUCE L 287/63 del 29.10.2013). 21. Cfr. punto 23 della Comunicazione citata a nota 18, nonché il punto 54 ove la Commissione precisa: “gli aiuti a favore delle piccole banche tendono a incidere sulla concorrenza in misura minore rispetto agli aiuti concessi a banche di dimensioni maggiori. Per tale motivo, e onde assicurare un trattamento amministrativo proporzionato, è opportuno prevedere una procedura più semplice per quanto riguarda le piccole banche, garantendo al tempo stesso che le distorsioni della concorrenza siano limitate al minimo. La Commissione è pertanto disposta ad autorizzare regimi di ricapitalizzazione e di ristrutturazione degli enti di piccole dimensioni nel caso in cui tali regimi hanno una finalità chiara e sono limitati a un periodo di sei mesi, purché rispettino i principi enunciati nelle comunicazioni legate alla crisi e, in particolare, i requisiti in materia di condivisione degli oneri di cui alla presente comunicazione. L’applicazione di tali regimi deve inoltre essere limitata alle banche con un totale di bilancio non superiore a 100 milioni di EUR. La somma dei bilanci delle banche che beneficiano di aiuti nel quadro del regime non deve superare l’1,5 % del totale degli attivi detenuti dalle banche nel mercato nazionale dello Stato membro interessato”.

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tegralmente la prima Comunicazione del 2008; (ii) fornendo orientamenti sui criteri di compatibilità per il sostegno alla liquidità delle banche; (iii) adeguando e integrando le Comunicazioni sulla ricapitalizzazione, sulle acquisizioni delle attività deteriorate e sulle ristrutturazioni; (iv) fornendo orientamenti sui requisiti di compatibilità degli aiuti in caso di “liquidazione ordinata” dell’ente creditizio in crisi. Il dato più significativo di questa rivisitazione della materia da parte della Commissione sta nell’accentuazione dell’obiettivo generale perseguito: la stabilità finanziaria, che resta – nelle parole stesse della Commissione – di “fondamentale importanza nella valutazione degli aiuti di Stato a favore del settore finanziario”, in quanto “implica la necessità di prevenire i gravi effetti di ricaduta negativi per il resto del sistema bancario che potrebbero derivare dal dissesto di un ente creditizio, nonché la necessità di garantire che il sistema bancario nel suo complesso continui a fornire un’adeguata erogazione di prestiti all’economia reale”22. Emergono così due potenziali novità che potranno incidere notevolmente sul futuro della “politica economica” dell’Unione: (i) le crisi bancarie possono arrecare instabilità non solo al mercato bancario ma all’intera economia reale, donde il carattere potenzialmente sistemico di tali crisi e in qualche modo la specialità del settore finanziario su cui la crisi globale ha acceso i riflettori; (ii) la stabilità (probabilmente non solo finanziaria) dell’economia di un Paese e della intera Unione sembra assurgere a valore prioritario nelle finalità dell’Unione rispetto alla stessa “concorrenza” o quanto meno contribuisce a modificare in senso dinamico (e non puramente strutturale) la nozione di concorrenza in ambito comunitario23. Questa consapevolezza “teleologica” della politica degli aiuti pubblici all’economia, di certo agevolata dalla crisi finanziaria, si inserisce in un più ampio processo di “modernizzazione” delle modalità di controllo comunitario in materia, che la Commissione ha avviato tramite la Comunicazione sulla modernizzazione degli aiuti di Stato dell’U.E. dell’8 maggio 201224. Tutto ciò non comporta il definitivo abbandono dei criteri di compatibilità elaborati nel corso dell’esperienza sin qui maturata, ma il loro inquadra-

22

Cfr. punto 7 della Comunicazione citata. In questa prospettiva segnalo l’interessante saggio di Buzzacchi, Aiuti, cit., p. 101 ss., ove pure si sottolineano la complessità della nozione di “stabilità” e le potenzialità che ne derivano in termini di “politiche comunitarie di governo dell’economia”. 24 Cfr. COM (2012) 209 final. 23.

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mento in una politica di concorrenza non fine a sé stessa, bensì quale strumento di “sviluppo e crescita” coordinata nei tempi e nei luoghi della intera Unione, consapevole altresì dei possibili “fallimenti del mercato” rispetto a tale finalità più generale e di interesse comune. Insomma, il principio teleologico sembra sganciarsi dalla eccezionalità e dunque dalla temporaneità legata alla crisi finanziaria in atto e proiettarsi quale giustificazione di regimi di aiuti o aiuti singolari attivabili anche nell’ipotesi in cui sia cessata l’attuale emergenza e dovesse presentarsi la crisi di una banca sistemica. A una particolare declinazione sono assoggettati altresì il principio di proporzionalità e il principio di compensazione soprattutto per le misure di ricapitalizzazione e di sostegno a fronte di attività deteriorate, anche per il carattere tendenzialmente irreversibile che esse possono assumere. A prescindere dall’importo dell’aiuto, viene sancito che è necessario che lo Stato membro predisponga preventivamente un “piano di raccolta di capitale” teso ad accertare, dopo la necessaria “condivisione degli oneri” da parte della banca interessata e dei suoi azionisti nonché detentori di crediti subordinati, quale sia la “carenza (residua) di capitale” da coprire con aiuti di Stato; e prima che la Commissione autorizzi l’erogazione di tali aiuti, tanto sotto forma di ricapitalizzazione che di sostegno ad attività deteriorate, dovrà essere presentato un “piano di ristrutturazione” della singola banca beneficiaria. L’esigenza, dunque di ridurre al minimo l’intervento pubblico, impone che siano state tentate tutte le altre strade di ricapitalizzazione “privata” e che prioritariamente le perdite gravino su azionisti e creditori subordinati della banca beneficiaria. È il principio del bail-in, recepito peraltro a regime nella proposta di Direttiva per il risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie e nella proposta di Regolamento di procedura uniforme per la risoluzione delle crisi delle banche sistemiche, teso ad evitare il moral hazard: “nei casi in cui la banca – si legge nella Comunicazione di luglio 2013 – non soddisfa più i requisiti patrimoniali minimi obbligatori, il debito subordinato deve essere convertito o ridotto, in linea di principio prima della concessione degli aiuti di Stato. Gli aiuti di Stato non devono essere concessi prima che capitale proprio, capitale ibrido e debito subordinato siano stati impiegati appieno per compensare eventuali perdite”25. Non solo, ma viene sancito il principio che normalmente le misure di ricapitalizzazione e le misure di sostegno a fronte di attività deteriorate saranno autorizzate solo una volta approvato il piano di ristrutturazione della banca interes-

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Punto 44 della Comunicazione.


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sata. Nel contempo, anche l’applicazione del principio di salvaguardia viene anticipato “nella fase più iniziale possibile”, per evitare il “deflusso di fondi” (dividendi, cedole, riacquisto di azioni proprie o di strumenti di capitale ibridi, o anche esecuzione di pratiche commerciali aggressive, etc.) prima della decisione sulla ristrutturazione26. Quanto ai regimi di aiuto sotto forma di sostegno alla liquidità e di garanzie sulle passività bancarie, essi devono essere limitati in via di principio alle “banche che non presentano alcuna carenza di capitale” e perciò possono essere notificati e autorizzati prima dell’approvazione di un piano di ristrutturazione. Il piano di ristrutturazione dovrà essere presentato successivamente: (i) se sono concesse garanzie su nuove passività o su passività rinnovate e sempre che il totale delle garanzie superi determinate soglie27, (ii) se è necessario attivare la garanzia concessa (potrebbe trattarsi anche di un piano di liquidazione)28, (iii) se a richiedere tali aiuti è una banca con carenza di capitale e con “urgente bisogno di liquidità”, salvo che l’aiuto sia rimborsato entro due mesi29. L’ultimo aspetto considerato dalla Comunicazione del 2013 concerne la “liquidazione ordinata” di un ente creditizio, dato che le “procedure di insolvenza ordinarie” potrebbero non garantire la “stabilità finanziaria”. Di qui il rilievo che “le misure statali volte a sostenere la liquidazione di enti creditizi in dissesto possono essere considerate aiuti compatibili”, sempre che venga rispettato il principio di proporzionalità secondo il meccanismo del bail-in30. Anche in tal caso, occorre predisporre un “piano di liquidazione”, che limiti i costi e le distorsioni della concorrenza, preveda la condivisione degli oneri evitando sia aiuti aggiuntivi ad azionisti e creditori subordinati sia trasferimento di quelle posizioni ad attività che proseguono. La vendita a terzi anche di parti dell’ente in dissesto dovrebbe preferibilmente assoggettarsi a gara concorrenziale, con possibili aiuti di Stato all’acquirente o a favore dell’attività ceduta31. 6. La Comunicazione del 2013 sul settore bancario sta in mezzo al guado: segna probabilmente l’ultima fase degli aiuti straordinari legati alla crisi ma al contempo e per molti versi l’anticipazione di una quarta

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Punto 47 della Comunicazione. Punto 59 lett. d) della Comunicazione. 28 Punto 59 lett. e) della Comunicazione. 29 Punto 58 della Comunicazione. 30 Punto 66 della Comunicazione. 31 Punti 79-82 della Comunicazione. 27

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fase, di una “modernizzazione” della politica degli aiuti al settore finanziario che si ricollega al più ampio disegno di modernizzazione della generale politica degli aiuti di Stato quale aspetto della politica di concorrenza delle istituzioni comunitarie. La Comunicazione del 2012 sulla “modernizzazione degli aiuti di Stato dell’UE” mostra di voler puntare ad obiettivi di “crescita dell’Europa”, ad una “economia intelligente, sostenibile e inclusiva” che realizzi “alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale”. E se è vero che ribadisce la centralità in proposito della “politica di concorrenza”, è altresì vero che individua nella “spesa pubblica” riqualificata – e anche sotto forma di “aiuti di Stato” – uno degli strumenti necessari per la “definizione di politiche che stimolano la crescita”, pur garantendo che le distorsioni della concorrenza vengano limitate in modo che il “mercato interno resti aperto e concorrenziale”. La crisi globale, insomma, ha evidenziato i “fallimenti del mercato” e l’esigenza di interventi pubblici che permettano – sia pure nel rispetto dei principi di proporzionalità e sussidiarietà – il ripristino della funzionalità (anche se non della struttura) concorrenziale del mercato. Obiettivi di razionalizzazione sostanziale e procedurale guidano l’opera di modernizzazione della Commissione in tale materia: (i) promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva in un mercato interno competitivo; (ii) concentrare il controllo ex ante della Commissione sui casi con il maggiore impatto sul mercato interno rafforzando nel contempo la cooperazione tra gli Stati membri in materia di applicazione delle norme sugli aiuti di Stato; (iii) razionalizzare le norme e accelerare i tempi di decisione32. Gli aiuti di Stato devono in questa prospettiva essere destinati ad ovviare “carenze di mercato” e produrre “effetti di incentivazione” nei confronti dei beneficiari ad intraprendere attività che non avrebbero svolto in assenza di aiuti, poiché diversamente si tradurrebbero non solo in “spreco di risorse pubbliche” ma altresì in “freno alla crescita”33. Il controllo di compatibilità degli aiuti pubblici punta insomma alla definizione di “principi comuni” come necessario strumento di coordinamento delle politiche economiche (e sociali) dei singoli Stati, volendo soprattutto meglio definire i “fallimenti del mercato” da affrontare, l’ “effetto di incentivazione” nonché gli “effetti negativi” in termini di distorsione della efficienza allocativa e dinamica delle risorse. E in questo quadro una particolare attenzione viene programmata in merito agli aiu-

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Cfr. punto 8 della Comunicazione sulla modernizzazione del 2012. Punto 12 della Comunicazione sulla modernizzazione del 2012.


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ti “per il salvataggio e la ristrutturazione” tanto delle imprese non finanziarie quanto di quelle finanziarie. La Commissione ribadisce che, “se le condizioni di mercato lo consentiranno, verrà predisposta per il contesto post-crisi una nuova serie di norme per il salvataggio e la ristrutturazione delle istituzioni finanziarie, in linea con le future proposte di gestione e la risoluzione della crisi a livello di UE”34. La Comunicazione sul settore bancario del 2013 si muove già in questa linea e si ricollega alla avvertita centralità del settore finanziario per l’intera economia di uno Stato membro e della stessa Unione, alla consapevolezza di banche sistemiche il cui dissesto può innescare crisi parimenti sistemiche, alla necessità di principi comuni se non addirittura uniformi di vigilanza prudenziale e di risoluzione di tali crisi, punti tutti che ormai si rispecchiano nella avviata Unione bancaria e nel Meccanismo di Vigilanza Unico, nonché nella proposta di direttiva e di regolamento per la risoluzione delle crisi bancarie35.

La «Liquidazione Unica» (o «Single Resolution Mechanism») Raffaele Lener 1. La proposta di direttiva comunitaria per la gestione delle crisi bancarie. Il 6 giugno 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva per introdurre un regime armonizzato per la gestione delle crisi delle banche e delle imprese di investimento1. La proposta ha avuto, e tuttora ha, vita abbastanza travagliata, anche se l’intervenuta emanazione del regolamento del Consiglio n. 1024/2013 – entrato in vigore il 3 novembre 2013 – che attribuisce alla Banca Centrale Europea la vigilanza prudenziale sugli enti creditizi, dovrebbe forse consentirne ora l’approvazione.

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Punto 18 della Comunicazione sulla modernizzazione del 2012. Mi permetto rinviare a Fortunato, La vigilanza del mercato finanziario a livello comunitario, in corso di pubblicazione negli Atti del Convegno di Modena del 26 ottobre 2012 su “L’ordinamento italiano del mercato finanziario tra continuità e innovazioni”. 1 Proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio UE, che disciplina la gestione e la risoluzione delle crisi di istituzioni creditizie e imprese di investimento e modifica le direttive del Consiglio 77/91/EEC e 82/891/EC, 2001/24/EC, 2002/47/EC, 2004/25/EC, 2005/56/EC, 2007/36/EC e 2011/35/EC e il Regolamento (EU) no 1093/2010 (COM(2012) 280 final) (SWD(2012) 167 final) 35.

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Il tema è nuovo, ma non nuovissimo: la necessità di introdurre una regolamentazione sovranazionale del problema era già stata segnalata dal Cross-border Bank Resolution Group (CBRG) costituto dal Comitato di Basilea nel 2002. La proposta della Commissione, tuttavia, prende le mosse dalle raccomandazioni del Financial Stability Board (FSB), approvate dal G20 nel 20113, ed è volta ad introdurre norme europee comuni per gestire e “risolvere” le crisi di soggetti operanti nel mercato bancario e finanziario4. Oltre a un set di regole uniformi, l’obiettivo del legislatore UE è di dare vita a un meccanismo di cooperazione rafforzata tra gli Stati basato, e questa è la prima fondamentale novità, su fondi costituiti dagli stessi soggetti sottoposti alla applicazione della CRD; sono, dunque, direttamente le banche e le imprese di investimento interessate a dover sostenere, nei modi che vedremo, le misure di resolution. La proposta vuole, dunque, portare all’armonizzazione delle leggi degli Stati membri sulla gestione delle crisi degli enti creditizi e delle

2 Il c.d. Basel Working Group, poi chiamato Cross-border Bank Resolution Group (CBRG) è stato creato nel dicembre del 2007 per studiare la resolution of cross-border banks. Ha emesso un rapporto e delle raccomandazioni nel dicembre 2009 (http://www. bis.org/publ/bcbs162.pdf). Il tema comunque non era nuovo nemmeno nel 2007, basti pensare che negli Stati Uniti i “resolution arrangements” sono stati compiutamente disciplinati con il Dodd-Frank Act e in Europa alcuni Stati membri (Regno Unito, Spagna, Germania, Svezia) hanno sistemi di risoluzione paragonabili a quelli allo studio delle istituzioni europee. Per un approfondimento sul Titolo II del Dodd-Frank Act si veda Guynn, Are Bailouts Inevitable?, 29 Yale Journal on Regulation, 121, Winter 2012. 3 Financial Stability Board, Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions, 2011, (http://www.financialstabilityboard.org/publications/r_111104cc. pdf). La mancanza di un sistema di gestione delle crisi bancarie era già stata sottolineata anche in Europa; si veda il report dell’High-Level Group on Financial Supervision in the EU, presieduto da Jacques de Larosière: “The lack of consistent crisis management and resolution tools across the Single Market places Europe is a disadvantage vis-à-vis the US and these issues should be addressed by the adoption at EU level of adequate measures”. 4 Si tratta di tutte le banche e di alcune imprese di investimento. L’ambito di applicazione è congruente con quello del «pacchetto CRD», che armonizza i requisiti prudenziali per gli enti finanziari appartenenti a un gruppo bancario e le imprese di investimento. Si veda l’Impact Assessment sulla proposta di direttiva preparato dalla Commissione, SWD(2012), 166 final, p. 7: “The proposal addresses bank recovery and resolution in relation to all credit institutions and certain investment firms. The scope of the proposal is identical to that of the Capital Requirements Directive (CRD), which harmonised banking legislation and introduced the Basel II framework in the EU. Investment firms need to be part of the framework, as the recent crisis showed that their failure (i.e. Lehman Brothers) could have serious systemic consequences”.

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imprese di investimento. Al di là degli aspetti definitori, si tratta di intervenire su un tema, l’insolvenza delle banche, scarsamente armonizzato a livello europeo. Le legislazioni degli Stati membri, infatti, disciplinano in modo affatto eterogeneo il fenomeno delle procedure concorsuali e una simile eterogeneità non si ha solo con riguardo a termini e procedure (i.e. giudiziali o stragiudiziali), ma anche con riferimento allo specifico soggetto in stato di insolvenza. Infatti, troviamo soluzioni molto variegate in Europa5, tanto in relazione al tipo di intermediario insolvente, quanto al momento in cui si ritiene “accertata” l’insolvenza. A fronte delle specificità nazionali, l’attuale quadro regolatorio dell’UE è piuttosto scarno e frammentario. Questa frammentarietà non può dirsi certamente superata dalle, pur già esistenti, disposizioni del Regolamento (EC) n. 1346/20006 e delle due direttive7 relative alla riorganizzazione e alla liquidazione di enti creditizi e assicurativi, che sostanzialmente continuano a prevedere la competenza esclusiva dello Stato membro d’origine per quanto riguarda il fallimento di banche e assicurazioni. L’unica previsione veramente «sovranazionale» oggi in vigore è quella legata al mutuo riconoscimento, giacché nelle direttive già emanate si è previsto espressamente che i procedimenti di insolvenza del paese di origine siano da considerarsi efficaci anche negli altri Stati membri8. Come le più recenti proposte in tema di garanzia dei depositi, nonché, più in generale, il nuovo disegno dell’“unione bancaria”, la necessità di un intervento in materia di insolvenza delle banche trova la propria giustificazione negli effetti distorsivi dell’ultima crisi dei mercati finanziari. In particolare, la proposta di armonizzazione delle norme sul risanamento e la liquidazione delle banche persegue la finalità di dotare

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Sul punto v. Boccuzzi, Towards a new framework for banking crisis management. The international debate and the Italian model, Banca d’Italia, Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale, n. 71, ottobre 2011. Cfr. altresì, per riferimenti, Lener, Il momento di apertura della procedura di insolvenza e l’irretroattività dei suoi effetti sugli ordini di trasferimento, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, I, p. 137 ss. 6 GUCE no. L 160, 30.6.20007. 7 Direttiva n. 2001/24/CE del 4 aprile 2001, sulla riorganizzazione e la liquidazione degli enti creditizi (GUCE no.L 125, del 5 maggio 2001); direttiva n. 2001/17/CEdel 19 marzo 2001, sulla riorganizzazione e la liquidazione delle imprese di assicurazione (GUCE no. L 110, del 20 aprile 2001). 8 Cfr. Cetin, Nusret, The EU Proposal for Bank Recovery and Resolution (4 ottobre 2012), http://ssrn.com/abstract=2214943; Wessels, Commentary on Directive 2001/24/ EC on the Reorganization and Winding-up of Credit Institutions in Gabriel Moss e Bob Wessels (eds), EU Banking and Insurance Insolvency, (OUP, 2006), pp. 67-96.

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le autorità nazionali di strumenti atti a “gestire” le crisi dei grandi intermediari finanziari, soprattutto là dove i fenomeni critici possano avere effetti transfrontalieri. Invero, dal 2007 le crisi di alcuni grandi gruppi bancari hanno avuto un impatto negativo sulla finanza pubblica di molti Paesi membri, perché la carenza di strumenti di prevenzione e gestione delle crisi ha “imposto” agli Stati stessi molteplici interventi di salvataggio (ritenuti necessari in ossequio al principio too big too fail) per arginare le crisi di liquidità conseguenti alle eccessive esposizioni debitorie di alcune banche e imprese di investimento. L’utilizzazione di risorse pubbliche – la documentazione preparatoria della direttiva parla espressamente di risorse provenienti dai “contribuenti” – si è giustificata sulla base del fatto che il fallimento, o comunque la sofferenza, di grandi intermediari avrebbe potuto provocare danni sistemici significativi. Per tale ragione, in molti casi, i singoli Stati non hanno avuto altra scelta che finanziare i salvataggi e procedere con ricapitalizzazioni, utilizzando risorse provenienti, appunto, dai contribuenti9. La proposta di direttiva sui recovery e resolution plans costituisce una prima, esplicita, risposta a questo problema da parte delle istituzioni dell’Unione. Il legislatore europeo ha sostanzialmente proposto di istituire un meccanismo che consenta alle autorità competenti degli Stati membri, in collaborazione con l’autorità che sarà individuata a livello europeo (che sarà verisimilmente l’EBA, ma che, in alcune ipotesi, potrebbe anche essere una European Deposit Insurance and Resolution Authority, costituita ad hoc con competenze anche sul futuro sistema europeo di garanzia dei depositi), di intervenire congiuntamente ex ante per disciplinare il fenomeno ed ex post per gestire le crisi che si rivelino inevitabili. Per quanto riguarda il livello nazionale, secondo una tecnica ormai consolidata, la direttiva non precisa quale organo degli Stati membri debba essere individuato come autorità di risoluzione delle crisi: ogni Paese sarà dunque libero di designare la banca centrale nazionale o

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Stando ai dati della Commissione europea, tra l’ottobre del 2008 e l’ottobre del 2011, la Commissione stessa ha approvato aiuti di Stato in favore di intermediari finanziari bancari e non per 4.500 miliardi di euro (equivalenti al 37% del PIL dell’UE). Questo dato impressionante giustifica la predisposizione di strumenti volti a prevenire i fallimenti delle banche e a gestire quei fallimenti che si rivelino inevitabili. Naturalmente, anche in questo caso, è necessario dare vita ad un meccanismo accentrato che si giovi della cooperazione tra autorità nazionali (che potranno essere identificate dagli Stati membri in sede di recepimento della direttiva).

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altra autorità di vigilanza10. La questione ha particolare rilievo e impone agli Stati membri di valutare se sia più efficiente attribuire il potere di gestione delle crisi bancarie alle stesse autorità che vigilano sul sistema bancario ovvero se sia meglio creare autorità “di risoluzione” ad hoc. Nel caso in cui vigilanza e gestione delle crisi siano attribuite alla stessa autorità, infatti, si realizzerebbe un’economia di scala, che consentirebbe alle autorità stesse di avere un quadro completo della situazione dei soggetti sottoposti alla loro vigilanza. Tuttavia, in assenza di adeguate misure di organizzazione interna, il potere – e dunque l’esercizio della discrezionalità – da parte del controllore diventerebbe forse troppo ampio e pervasivo. Entrambe le soluzioni conoscono più o meno recenti applicazioni pratiche. In particolare, a seguito della recente riforma della vigilanza bancaria, l’ordinamento del Regno Unito ha affidato sia la vigilanza prudenziale che il potere di gestire le crisi bancarie alla Bank of England (a partire dal mese di aprile del 2013), mentre, come è noto, negli Stati Uniti esiste un’autorità ad hoc deputata alla risoluzione delle crisi e non anche alla vigilanza bancaria (le Federal Deposit Insurance Corporation, FDIC). Il problema dell’attribuzione delle competenze di gestione delle crisi, peraltro, si pone anche a livello comunitario: infatti, con l’entrata in vigore del citato regolamento UE che ha introdotto il “sistema di vigilanza prudenziale unico”11, la BCE è stata dotata del potere di revoca delle autorizzazioni all’esercizio dell’attività bancaria (art. 4, co. 1, lett. a); siffatto potere sarà ragionevolmente esercitato (anche), pur se non necessariamente, in presenza di situazioni di crisi o di insolvenza della banca. Il coordinamento del potere di revoca con i poteri di gestione delle crisi che saranno attribuiti all’EBA, o eventualmente ad altra autorità europea, rimane completamente da disegnare e necessiterà di specifica disciplina12.

10 Considerato il rischio di conflitti di interesse, la separazione funzionale delle attività di “gestione delle crisi” dalle altre attività delle autorità designate è peraltro fortemente caldeggiata nei lavori preparatori. Sul punto cfr. però le valutazioni del direttore generale della Banca d’Italia Rossi, Processo alla finanza, Bari, 2013, p. 90 s. 11 Considerato il rischio di conflitti di interesse, la separazione funzionale delle attività di “gestione delle crisi” dalle altre attività delle autorità designate è peraltro fortemente caldeggiata nei lavori preparatori. Sul punto cfr. però le valutazioni del direttore generale della Banca d’Italia Rossi, Processo alla finanza, Bari, 2013, p. 90 s. 12 Di questo avviso, Ferran, Babis, Valia, The European Single Supervisory Mechanism, University of Cambridge Faculty of Law Research Paper No. 10/2013, p. 8.

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Per ora nel regolamento si trova solo una norma, che potremmo definire di coordinamento transitorio, secondo la quale le autorità nazionali, fintanto che manterranno la competenza in materia di “risoluzione delle crisi”, potranno notificare alla BCE una “obiezione” motivata –in ragione del rischio che la revoca pregiudichi la gestione della crisi bancaria ovvero in ragione del “mantenimento della stabilità finanziaria”- sulla quale sarà peraltro la stessa BCE a decidere, confermando il provvedimento di revoca ove ritenga che l’autorità domestica non abbia attuato “le opportune azioni necessarie per mantenere la stabilità finanziaria” (art. 14, co. 6). Questo potere di revoca (motivata) di ultima istanza in capo alla BCE è dubbio sopravviva anche con la nuova disciplina della gestione comunitaria della crisi. In ogni caso, a prescindere dall’individuazione della o delle autorità competente/i, con l’entrata in vigore della direttiva, salvo modifiche dell’ultima ora, le autorità nazionali saranno dotate di poteri “di gestione”, che consentiranno di adottare tre tipologie di misure: (a) misure preparatorie (recovery and resolution plans); (b) misure c.d. “tempestive” (early intervention powers) e (c) misure di soluzione delle crisi (resolution tools). 2. I recovery plans. Opportunamente il legislatore europeo inizia dalla “prevenzione”. La proposta di direttiva, infatti, delinea un articolato sistema di misure di preparazione e prevenzione delle crisi, disciplinato agli artt. da 3 a 12 del testo in corso di approvazione13. Innanzi tutto, come già ricordato, si prevede la designazione ex ante di una o più autorità amministrative di gestione delle crisi. La proposta chiarisce come esse debbano essere poste nella condizione di esercitare i loro poteri con la rapidità e flessibilità necessarie e come debbano, pertanto, essere dotate di “adeguate competenze, risorse e capacità operative”. Il tema delle risorse è affrontato in via diretta dalla direttiva, la quale stabilisce che, a livello nazionale, debbano crearsi appositi fondi, costituiti da contributi erogati dalle stesse banche e intermediari tenuti alla

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COM (2012) 280.


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redazione dei recovery and resolution plans14. Si tratta del “sistema europeo dei meccanismi di finanziamento” (artt. 90-99), articolato in sistemi di finanziamento nazionali (art. 91), che potranno – e in alcuni casi dovranno – cooperare tra loro anche mediante reciproci finanziamenti (art. 98)15. Venendo alle misure preparatorie in senso stretto, la Commissione ha previsto un sistema di intervento complesso, composto da misure definite di “preparazione e prevenzione” (artt. 3-12), consistenti nella predisposizione e nel costante aggiornamento da parte di banche e imprese di investimento di due documenti: (i) i “piani di risanamento” e (ii) i “piani di risoluzione delle crisi” (artt. 9, 11). I primi sono documenti che devono essere redatti – e successivamente costantemente aggiornati – dalle banche e dalle imprese di investimento tenute all’applicazione della CRD. Siffatti piani devono prevedere specifiche misure cui i soggetti interessati possono ricorrere per ripristinare la propria stabilità finanziaria a seguito di un “deterioramento significativo”. La proposta suggerisce anche la natura giuridica dei piani, stabilendo che essi siano “dispositivi di governo societario”16, ovvero meccanismi e policy che comprendono – ma non coincidono con – le attribuzioni degli organi di gestione. Ciò, forse, per far sì che i piani cristallizzino nel momento in cui essi sono redatti (che si presume essere un momento di esercizio “fisiologico” dell’attività economica) le misure possibili per far fronte alle crisi (ovvero nei frangenti di esercizio “patologico” dell’attività). Quale sia il momento in cui si manifestano le patologie che devono dar luogo all’applicazione delle misure contenute nel piano, tuttavia, la direttiva non lo chiarisce. Il “deterioramento significativo” della situazione finanziaria dell’ente, infatti, non è definito dalla proposta, forse perché l’inserimento di una definizione avrebbe comportato un problema di coordinamento con analoghe fattispecie già definite, in modo disomogeneo, a livello nazionale. È noto, del resto, come il momento in

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L’obiettivo è raggiungere, entro dieci anni al massimo dall’entrata in vigore del progetto di direttiva, un fondo che disponga almeno dell’1% dell’ammontare dei depositi di tutti gli enti creditizi autorizzati (artt. 93 e 94) così da evitare che, in futuro, i fallimenti degli intermediari, bancari e non, siano posti a carico dei contribuenti. 15 Significativamente l’art. 98 della direttiva è rubricato “messa in comune dei meccanismi di finanziamento nazionali in caso di risoluzione delle crisi di gruppo”. 16 Nozione che si ricava dall’articolo 22 della direttiva 2006/48/CE relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio.

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cui si manifesta la «sofferenza» di un soggetto economico sia variamente regolato negli ordinamenti nazionali17, così che un eccessivo dettaglio sul punto avrebbe forse impedito ai legislatori nazionali un razionale (e rapido) recepimento delle nuove previsioni. La direttiva include, anche, una dettagliata serie di “informazioni da inserire nei piani di risanamento”, elencate nell’allegato, sezione A. Si tratta del contenuto minimo del piano di risanamento, che deve riportare una serie di misure che spaziano dall’”analisi strategica della capacità globale di risanamento” alle “misure intese a garantire che l’ente abbia un accesso adeguato a fonti di finanziamento di emergenza”, passando per la “stima dei tempi necessari per l’esecuzione di ciascun aspetto sostanziale del piano”18. Si tratta, pertanto, di documenti che corrono il

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Si pensi alla nozione di insolvenza dell’ordinamento italiano e a quella, sempre italiana, di sovraindebitamento, oppure ai vari stati di manifestazione del fenomeno dell’insolvenza nel diritto tedesco (l’insolvibilità o Zahlungsunfähigkeit, di cui all’art. 17 dell’InsO, il pericolo di insolvibilità o Drohende Zahlungsunfähigkeit, di cui all’art. 18 InsO, e l’eccesso di indebitamento o Überschuldung, di cui all’art. 19 dell’InsO. 18 È interessante, per capirne la complessità (e le difficoltà di redazione), riportare l’elenco completo delle informazioni da includere nel piano di risanamento: (1) sintesi degli elementi fondamentali del piano, analisi strategica e sintesi della capacità globale di risanamento; (2) sintesi delle modifiche sostanziali apportate all’ente dopo l’ultimo piano di risanamento; (3) piano di comunicazione e informazione che delinea in che modo l’impresa intende gestire le eventuali reazioni potenzialmente negative del mercato; (4) gamma di azioni sul capitale e sulla liquidità necessarie per mantenere operative e per finanziare le funzioni essenziali e le aree di attività principali dell’ente; (5) stima dei tempi necessari per l’esecuzione di ciascun aspetto sostanziale del piano; (6) descrizione dettagliata degli eventuali impedimenti sostanziali all’esecuzione efficace e tempestiva del piano, tenuto conto anche dell’impatto sul resto del gruppo, sulla clientela e sulle controparti; (7) individuazione delle funzioni essenziali; (8) descrizione dettagliata delle procedure per determinare il valore e la commerciabilità delle aree di attività principali, delle operazioni e delle attività dell’ente; (9) descrizione dettagliata delle modalità con cui la pianificazione del risanamento è integrata nella struttura di governo societario dell’ente, nonché delle politiche e procedure che disciplinano l’approvazione del piano di risanamento e l’identificazione delle persone responsabili della preparazione e dell’attuazione del piano all’interno dell’organizzazione; (10) dispositivi e misure per conservare o ripristinare i fondi propri dell’ente; (11) dispositivi e misure intesi a garantire che l’ente abbia un accesso adeguato a fonti di finanziamento di emergenza, comprese le potenziali fonti di liquidità, una valutazione delle garanzie reali disponibili e una valutazione della possibilità di trasferire liquidità tra entità del gruppo e aree di attività, affinché l’ente possa svolgere le proprie funzioni e rispettare i propri obblighi allo loro scadenza; (12) dispositivi e misure intesi a ridurre il rischio e la leva finanziaria; (13) dispositivi e misure per ristrutturare le passività; (14) dispositivi e misure per ristrutturare le aree di attività; (15) dispositivi e misure necessari per assicurare la continuità dell’accesso alle

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rischio di diventare complessi e voluminosi e che richiederanno anche un progressivo sforzo di standardizzazione affidato al management delle imprese, ai loro consulenti e alle autorità nazionali. Proprio queste ultime, infatti, giocheranno un ruolo fondamentale. La proposta di direttiva prevede che esse verifichino i piani di risanamento e valutino in che misura ciascuno di essi soddisfi i requisiti previsti dalla direttiva “nonché i seguenti criteri: (a) probabilità che l’attuazione delle disposizioni proposte nel piano ripristini la sostenibilità economica e la solidità finanziaria dell’ente, tenuto conto delle misure preparatorie che l’ente ha preso o intende prendere; (b) possibilità di attuazione efficace del piano o di opzioni specifiche in situazioni di crisi finanziaria senza provocare effetti negativi di entità significativa sul sistema finanziario, anche nel caso in cui altri enti mettano in atto piani di risanamento nello stesso periodo”. Le autorità avranno anche il potere, ove ritengano che il piano di risanamento presenti lacune o che la sua attuazione sia soggetta a “potenziali impedimenti”, di chiedere alle banche di presentare entro tre mesi un piano modificato che vi ponga rimedio. Si tratta di poteri molto penetranti, che impongono uno sforzo di rilievo alle autorità nazionali e recano con sé potenziali profili di responsabilità per il caso di omessa o negligente valutazione dei piani. Sul punto avrà competenza anche l’EBA, la quale dovrà elaborare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della direttiva, in consultazione con lo ESRB, norme tecniche che specifichino la «gamma di scenari» da esaminare per valutare gli strumenti più opportuni per risolvere le crisi di un ente o di un gruppo. 3. I resolution plans. I piani di risoluzione sono documenti che devono, invece, essere redatti dalle autorità di gestione delle crisi per i singoli enti soggetti all’applicazione della CRD.

infrastrutture dei mercati finanziari; (16) dispositivi e misure necessari per assicurare la continuità del funzionamento dei processi operativi dell’ente, compresi infrastrutture e servizi informatici; (17) dispositivi preparatori per agevolare la vendita di attività o di aree di attività in tempi adeguati per il ripristino della solidità finanziaria; (18) altre azioni o strategie di gestione intese a ripristinare la solidità finanziaria nonché effetti finanziari previsti di tali azioni o strategie; (19) misure preparatorie che l’ente ha attuato o intende attuare al fine di agevolare l’attuazione del piano di risanamento, comprese le misure necessarie per consentire una ricapitalizzazione tempestiva dell’ente.

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Siffatti piani dovranno contenere una gamma di misure da utilizzare per risolvere le crisi di banche e imprese di investimento. La principale difficoltà dei piani risiede nella necessità di contemperare i diversi interessi che le crisi dei grandi intermediari tradizionalmente mettono a rischio: l’interesse alla conservazione delle attività imprenditoriali, l’interesse dei creditori e l’interesse alla stabilità del sistema finanziario nel suo complesso. La novità è che il contemperamento di tali interessi, che l’esperienza recente ha dimostrato essere già di per sé traguardo difficile, nella prospettiva del legislatore europeo dovrà essere conseguito riducendo al minimo l’esposizione dei contribuenti – e quindi delle finanze pubbliche degli Stati membri – alle perdite derivanti dal sostegno degli enti in crisi. I piani di risoluzione, analogamente a quanto avverrà per i piani di risanamento, dovranno essere elaborati “in tempi normali” dalle autorità preposte alla risoluzione delle crisi in cooperazione con le autorità di vigilanza (nei casi in cui i due soggetti non coincidano), e dovranno indicare le possibili opzioni per la risoluzione della crisi dell’ente, prendendo in considerazione scenari diversificati e considerando l’ipotesi di propagazione del rischio da un singolo ente (o gruppo di enti) a un altro, secondo le c.d. spirali sistemiche. Nella predisposizione dei piani, le autorità di gestione delle crisi avranno il potere di incidere sull’organizzazione degli enti tenuti all’applicazione delle disposizioni della direttiva. Qualora, infatti, esse individuino “ostacoli significativi” alla soluzione della crisi di un ente o di un gruppo, avranno il potere di obbligare l’ente o il gruppo ad adottare «misure opportune» (artt. da 14 a 16). Siffatte misure potranno avere contenuto assai ampio: le autorità potranno imporre modifiche alla “struttura giuridica od operativa”, per garantire che le funzioni essenziali siano giuridicamente ed economicamente separate da altre funzioni; elaborare accordi sui livelli di servizio, per garantire la prestazione delle funzioni essenziali; stabilire limiti per le esposizioni singole o aggregate; imporre requisiti in materia di segnalazione; limitare o interrompere le attività; restringere o impedire lo sviluppo di nuove aree di attività o prodotti; emettere ulteriori strumenti di capitale convertibili. Come nel caso dei piani di risanamento, particolare importanza avrà l’azione dell’EBA, la quale dovrà garantire che la gestione delle crisi e l’uso di poteri di intervento preventivo da parte delle autorità competenti siano uniformi in tutti gli Stati membri. Tra le misure volte a risolvere le crisi, peraltro, è opportuno segnalare che sarà possibile, per gli enti membri di un gruppo, concludere accordi di sostegno finanziario infragruppo (artt. 17-23), da sottoporsi in alcuni casi a verifica da parte delle autorità di vigilanza o all’approvazione degli

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azionisti. Si tratta di strumenti che codificano prassi già esistenti ma che pongono, certamente, problemi di coordinamento con le discipline di diritto comune dei singoli Stati in tema di finanziamento infragruppo e controllo societario, oltre che sotto il profilo fiscale19. 4. Le misure di intervento immediato (Early intervention powers). La proposta prevede anche misure di intervento “rapido”, attribuendo penetranti poteri alle autorità nazionali per intervenire su banche e imprese di investimento nel caso in cui la loro situazione finanziaria si deteriori. Tra i poteri che verranno attribuiti alle autorità locali, si segnala quello di richiedere agli organi amministrativi – in caso di mancato rispetto dei requisiti previsti dalla normativa prudenziale – l’adozione di una serie di misure correttive e il potere di sottoporre gli intermediari a uno “special management”. In questa seconda ipotesi, le autorità potranno nominare commissari o amministratori straordinari, affidando loro la gestione dell’ente. Si tratta di poteri non previsti in alcuni ordinamenti comunitari, ma ben noti al nostro: si pensi non solo all’amministrazione straordinaria (art. 70 t.u.b.), ma anche alla gestione provvisoria (art. 76 t.u.b.) – misura cui tradizionalmente meno si ricorre nel nostro paese, ma che ha trovato significative applicazioni nell’ultimo periodo – e in generale ai c.d. provvedimenti straordinari (art. 78 t.u.b.). 5. Le misure di soluzione delle crisi (resolution tools). Qualora le misure preparatorie e quelle di intervento immediato non dovessero rivelarsi sufficienti e l’ente in crisi dovesse essere prossimo a uno stato di insolvenza irreversibile, le autorità di gestione potranno fare uso di poteri molto ampi per gestire la fase di transizione ed eventualmente l’uscita dal mercato della banca o dell’intermediario.

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La disciplina dei finanziamenti infragruppo non è uniforme a livello europeo. Una recente decisione nel Regno Unito ha, ad esempio, stabilito che i debiti infragruppo non sono da considerarsi loan relationship: MJP Media Services Ltd v. Commissioners for HMRC, No. A3/2011/2831 (UK Ct. App. 28 novembre 2012), ma altri ordinamenti hanno un atteggiamento completamente diverso.

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La proposta prevede che le autorità nazionali possano esercitare il voto in assemblea sostituendosi agli azionisti, assumere il controllo dell’organo amministrativo e, addirittura, trasferire attività e passività o procedere all’enforcement dei contratti20. Il trasferimento delle attività dell’ente in stato di insolvenza potrà essere realizzato secondo varie modalità. Si prevede infatti che le autorità abbiano il potere di: (i) trasferire a terzi la banca o l’intermediario finanziario, con tutte le loro attività e passività, ovvero trasferire solo parte del loro patrimonio (c.d. sale of business tool); (ii) costituire un soggetto giuridico distinto – di proprietà dello Stato o di altra autorità pubblica – col fine di gestire temporaneamente le attività dell’intermediario in crisi, sino a che le condizioni del mercato non consentiranno di cederle a terzi, in tutto i parte (c.d. bridge bank (or institution) tool); (iii) costituire un soggetto giuridico distinto (bad bank), cui trasferire crediti anomali e attività di difficile valutazione, al fine di “separare” la parte buona da quella cattiva del patrimonio, e quindi, almeno tendenzialmente, cedere le attività non “deteriorate” a terzi (c.d. asset separation tool); (iv) disporre la conversione obbligatoria di strumenti di debito in azioni o la riduzione del valore delle passività, imponendo perdite agli azionisti e ad alcune categorie di creditori (c.d. bail-in). Certamente queste ultime misure – dette appunto di bail- in – sono le più innovative e quelle che, dal punto di vista del sistema, possono dare vita alle maggiori perplessità, in più di un ordinamento comunitario, finendo per incidere direttamente sui diritti degli azionisti21 e dei creditori. Con riferimento ai primi, va detto che essi, in caso di crisi, potranno vedere i propri diritti (patrimoniali, ma anche amministrativi) fortemente limitati sulla base di decisioni prese da autorità pubbliche, che perseguono l’interesse generale della stabilità del sistema e non quello particolare del singolo investitore. Per quanto riguarda i creditori, la questione è ancor più delicata e

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Le attribuzioni di maggiore rilievo si trovano nel Capo V della proposta di direttiva, in particolare agli artt. 56-64. Esistono poi poteri (artt. 14-15) che le autorità di risoluzione potranno esercitare previa consultazione con le altre autorità competenti (art. 13). 21 Cfr. Babis, Valia, Bank Recovery and Resolution: What About Shareholder Rights?, University of Cambridge Faculty of Law Research Paper No. 23/2012; Hüpkes, Special bank resolution and shareholders’ rights: balancing competing interest, (2009), 17, Journal of Financial Regulation and Compliance, pp. 277–301 e p. 282.

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dipende dallo strumento di bail-in che sarà nel concreto adottato22, potendosi avere, come si accennava, non solo una parziale (o totale) sopportazione delle perdite, ma anche la trasformazione del rapporto di credito con la banca in un rapporto sociale con gli azionisti di questa. Si tratta, invero, di misure estreme, giustificate dalla Commissione in base alla valutazione che le perdite di una banca, una volta assorbito interamente il capitale di rischio, è più giusto siano poste a carico dei creditori che del sistema (la Commissione usa la colorita espressione «losses should be borne (…) not by tax payers»). Superato il moto di sorpresa iniziale, la soluzione proposta può dirsi ragionevole dal punto di vista economico. Vero è che si propone di far sopportare al creditore le perdite del debitore o, addirittura, di trasformare i creditori in azionisti del debitore, senza il loro consenso. Pure, è indubbio che se si lasciasse fallire la banca, quanto meno in parte i creditori chirografari rischierebbero di restare insoddisfatti, al netto della copertura dei fondi di garanzia. Dunque il vero mutamento di prospettiva consiste nell’eliminare l’aspettativa del creditore della banca – si badi, un’aspettativa fondata sulla prassi, non su previsioni legislative – che, in caso di insolvenza, lo Stato, in un modo o nell’altro, si farà carico delle perdite dell’ente credizio. Vedremo in che modo l’EBA saprà disegnare le regole applicative del bail-in, dovendo in ogni caso garantire la par condicio creditorum e, dunque, giustificare le ragioni di eventuali trattamenti differenziati per categorie diverse di creditori. Ciò che forse suscita le maggiori perplessità è il fatto che si ipotizzi l’adottabilità da parte delle autorità di vigilanza di simili misure “espropriative” anche prima dell’accertamento dell’insolvenza, in presenza di situazioni di stress patrimoniale. Qui la discrezionalità attribuita alle autorità amministrative appare, invero, eccessiva, portando al sacrificio di diritti soggettivi dinanzi a un mero “rischio” di crisi. Va, peraltro, rammentato che l’EBA (o l’eventuale Autorità ad hoc che dovesse essere creata) non è un organo dell’Unione, ai sensi dei Trattati, e non può, dunque, direttamente assumere decisioni in merito

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A parte la limitata esperienza spagnola (in cui il bail-in ha, in qualche misura, toccato i crediti subordinati), l’esperienza più interessante che sinora si è avuta è quella cipriota (marzo 2013), in cui si sono adottate, accanto a misure di amministrazione straordinaria o di liquidazione, e alla creazione di una bad bank, misure di bail-in per i depositi non assicurati, con loro conversione in azioni di categorie diverse.

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alla crisi di una banca. Per questa ragione la Commissione ha proposto di attribuire a se stessa il potere di emanare siffatte decisioni, sia pur su indicazione dell’Autorità designata come “Single Resolution Authority”23. Ne deriverebbe una sorta di meccanismo trifasico: l’EBA dovrebbe notificare alla Autorità, alla Commissione e alle Autorità nazionali l’esistenza di una crisi bancaria; l’Autorità dovrebbe compiere i necessari accertamenti e proporre misure risolutive; la Commissione dovrebbe adottare siffatte misure, delegandone l’esecuzione all’Autorità stessa. Un sistema complesso, che richiederà l’introduzione graduale delle nuove regole negli ordinamenti nazionali24 e imporrà agli interpreti uno sforzo notevole, sia sul piano pratico che, prima ancora, su quello teorico.

I gruppi nella Proposta di Direttiva sul nuovo quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi bancarie* Enrico Galanti 1. La crisi di gruppo nell’attuale quadro giuridico europeo. È interessante notare come la crisi di gruppo fosse del tutto assente sia nella Direttiva crisi e risanamento delle banche (Dir. 2001/24/CE) che nel parallelo Regolamento Fallimento (Reg. 1346/2000) i quali, nel prevedere disposizioni di reciproco riconoscimento delle procedure, guardavano essenzialmente all’impresa singola e alle sue filiali (branches) e non anche al gruppo di imprese e alla sue filiazioni (subsidiaries). Non è facile darsi conto di questa lacuna perché già da allora il fenomeno dei gruppi e le criticità di una loro insolvenza erano ben noti. La spiegazione può risiedere senz’altro nella circostanza che una certa gradualità era comunque necessaria. Le problematiche poste dal fallimento

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Autorità che poi potrebbe divenire essa stessa una istituzione comunitaria, attraverso una modifica dei Trattati. 24 Il recepimento, secondo quanto indicato nella proposta, dovrebbe avvenire gradualmente e in particolare entro il 1 gennaio 2015 (salvo il meccanismo di bail-in, che sarà introdotto a partire dal 1 gennaio 2018). * L’autore ringrazia Alessandra De Aldisio e Monica Marcucci per i suggerimenti ricevuti su di una prima versione di questa relazione.

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transfrontaliero erano così numerose e complesse che, evidentemente, a livello europeo non si era pronti a gestirle tutte insieme e si è preferito affrontarle una alla volta1. La lacuna era stata evidenziata dalla dottrina la quale aveva comunque notato che questo primo intervento comunitario avrebbe consentito un maggior coordinamento anche nella gestione delle crisi delle imprese multinazionali2. Era infatti pensabile che gli organi di gestione della crisi della capogruppo riuscissero, forti del riconoscimento automatico della loro procedura, a gestire e coordinare in qualche modo anche la crisi delle imprese figlie. Ciò era senz’altro vero per le imprese soggette a vigilanza prudenziale, come le banche, dove non erano previste procedure secondarie e si poteva contare sulla collaborazione delle autorità di controllo. Per i procedimenti di risanamento, in particolare, la sostituzione degli organi della casa madre, dava la possibilità di agire anche sulle filiazioni e di tentarne un risanamento coordinato. Ma, come sappiamo, anche nel campo delle imprese industriali non mancarono tentativi di gestione coordinata sulla base del Regolamento insolvenza. Il principale fu quello di far leva sul COMI. L’assunto era che le Corti del paese di insediamento della casa madre avevano giurisdizione ad aprire anche una procedura di insolvenza principale della controllata sostenendo che il centro principale degli interessi di quest’ultima era presso la casa madre stessa ove venivano prese tutte le decisioni strategiche3.

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In tale senso Wessel, The Ongoing Struggle of Multinational Groups of Companies under the EC Insolvency Regulation, European Company Law 6, n. 4, 2009, p. 169 ss., secondo il quale, tenuto conto delle difficoltà che si dovevano affrontare solo per garantire il riconoscimento automatico dei fallimenti in un contesto comunitario e del clima culturale dell’epoca: “At the time, the decision to postpone ‘group insolvencies’ to a later date may have been considered both politically and pratically prudent” (ivi, p. 175). 2 Galanti, La nuova normativa europea sulle crisi bancarie, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, I, p. 410 s. 3 È questo il caso della Hettlage AG & Co KG sul quale Court Munich, 4 May 2004, ZIP, 2004, 963 (Hettlage), La società figlia era registrata in Austria e partecipata al 100% dalla casa madre tedesca. La Corte distrettuale di Monaco si ritenne competente ad aprire il fallimento principale anche della filiazione austriaca. Un approccio simile fu seguito da Court of Cologne 19 feb. 2008, ZIP, 2008, 423, relativa al caso, speculare, di un gruppo dove la sede della casa madre in Lussemburgo non svolgeva in realtà alcuna attività operativa e le decisioni strategiche venivano prese in Germania.

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In questo contesto era stata formulata anche la tesi che la filiazione estera di una casa madre potesse rientrare nella definizione di “Dipendenza” (Establishment) ai sensi dell’art. 2 lett. h) del Regolamento, con la conseguenza che, una volta aperto il fallimento della casa madre, nei confronti delle filiazioni sarebbero stati possibili solo fallimenti secondari (art. 3, commi 2 e 3 del Regolamento)4. Questi tentativi sono stati fermati dalla nota sentenza della Corte di Giustizia sul caso Eurofood (originato dal dissesto della Parmalat) nella quale è stato stabilito che: ”Quando un debitore è una società controllata la cui sede statutaria è situata in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede la sua società madre, la presunzione contenuta nell’art. 3, n. 1, seconda frase del regolamento, secondo la quale il centro degli interessi principali di detta controllata è collocato nello Stato membro in cui si trova la sua sede statutaria, può essere superata soltanto se elementi obbiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione di detta sede statutaria. … quando una società svolge la propria attività sul territorio dello Stato membro in cui ha sede, il fatto che le sue scelte gestionali siano o possano essere controllate da una società madre stabilita in un altro Stato membro non è sufficiente a superare la presunzione stabilita dal regolamento.”5. È stato così ristabilito il principio dell’autonomia giuridica delle singole componenti del gruppo. Bisogna tuttavia notare che lo scopo di tentare una gestione il più possibile coordinata della crisi di gruppo all’interno del quadro giuridico del Regolamento, che non prevede disposizioni specifiche in materia, ha fatto registrare altri esperimenti interessanti. Mi riferisco, in particolare, al caso MG Rover nel quale una Corte inglese ha aperto una procedura principale nei confronti della capogruppo ed altrettante procedure, sempre principali, nei confronti di filiazioni ubicate in numerosi paesi (Germania, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Italia, Spagna e Portogallo) ma ha garantito che ciascun creditore nazionale sarebbe stato pagato secondo il rango stabilito dalla propria legge, come se fossero stati aperti altrettanti fal-

4 È l’approccio seguito da Schotte v. Parfums Rothshild, Jur/case 218/86 [1987] ECR 4905; NJ 1989, 750. 5. Corte Giust. CE, 2.5.2006, proc. C 341/04, in Il Fallimento, 2006, p. 1249.

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limenti secondari6. In questo modo l’interesse dei creditori locali a contestare la decisione e a chiedere l’apertura di fallimenti secondari è stato di fatto neutralizzato e si è potuto ottenere un notevole risparmio di tempo e di costi. È interessante notare come questa sorta di “consolidamento procedurale” basato sul coordinamento, sia alla base delle norme sul coordinamento dei fallimenti di gruppo inserite nella Proposta di modifica del Regolamento insolvenza7 e della Guida Uncitral8. Una filosofia simile, sia pure in un contesto ove il coordinamento è più strutturato, appare ispirare anche la proposta di Direttiva sul quadro comune di risanamento e risoluzione delle crisi delle banche e delle imprese finanziarie9, della quale passo subito a parlare. 2. La Proposta di Direttiva. Contesto e punti fondamentali. La proposta di Direttiva è figlia della crisi che, nata nel 2007 negli USA, si è poi trasferita in Europa comportando un numero alto di crisi di soggetti bancari a volte trasfrontaleri (come nel caso di Fortis), con necessità degli Stati di intervenire per i salvataggi ed innesco di un circolo vizioso che ha poi comportato, in alcuni paesi, la crisi del debito

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High Court of Justice, Chancery Division, Birmingham, 18 Apr. 2005 (MG Rover I), 2005 [EWHC] 874; ZIP 2005, 1610. Un approccio simile è stato seguito nel caso Collins & Aikman da High Court of Justice, London, 9 June 2006, ZIP 2006, 2093; EWIR 2006, 623. Sul primo dei due casi, che è precedente alla pronuncia Eurofood, vedi diffusamente Wessel, The Ongoing, cit., p. 174 ss. Si noti come il secondo sia di poco successivo alla sentenza Eurofood. 7 Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council amending Council regulation (EC) No 1346/2000 on insolvency proceedings, COM, 2012, p. 744, Final Strasbourg 12.12.2012 che nel suo Explanatory memorandum fa riferimento proprio ai casi Rover, Collins & Aikman e Nortel Networks definendo queste esperienze quali “synthetic secondary proceedings”. 8 UNCITRAL, Legislative Guide on Insolvency law. Part three: Treatment of enterprise groups in insolvency. UN, New York 2012. 9 Si fa qui riferimento alla Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica le direttive del Consiglio 77/91/CEE e 82/891/CE, le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CEe 2011/35/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010. Su di essa cfr. Querci, La proposta di direttiva europea sugli strumenti di risanamento e di risoluzione delle crisi bancarie, in Banc. 2013, n. 1, 93; De Lisa, De Cesare, Pluchino, Lombardo, Quali provvedimenti per le banche in crisi? La proposta di direttiva europea, ivi, 2013, n. 2, p. 52.

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sovrano. Questo scenario ha portato alla Proposta di direttiva che – dando attuazione, nel contesto europeo, alle indicazioni del FSB in materia10 – intende dettare un quadro armonizzato di prevenzione e gestione delle crisi bancarie superando l’approccio basato sul mero reciproco riconoscimento delle procedure che caratterizza la Direttiva del 200111. Va subito detto, che la Direttiva, come tutte le legislazioni di reazione alla crisi, sembra fortemente condizionata da alcuni casi pratici (la crisi del gruppo Fortis ad esempio) che si sono verificati in contesti ordinamentali e di mercato assai diversi dal nostro, caratterizzati da una legislazione di gestione delle crisi meno sviluppata e meno flessibile e da comportamenti degli intermediari e delle autorità molto differenti. Ne consegue che, mentre da un lato vi è motivo di orgoglio nel constatare che una serie di istituti (come l’amministrazione straordinaria) sembrano ritagliati su quelli nazionali (seppur calandosi in un contesto diverso) dall’altro la formalizzazione di una serie di strumenti che da noi erano lasciati alla fantasia del mercato ed alla prassi delle autorità di controllo (vendita, ente ponte, separazione, bail-in) porrà serie sfide in sede di recepimento. Grazie alle esperienze passate, la crisi di gruppo ha comunque un rilevo centrale nella Proposta di Direttiva. Sulla Proposta di Direttiva è stato di recente raggiunto un accordo a livello di Consiglio12 ed un consenso finale fra Parlamento e Consiglio è

10 FSB Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions, October 2011. Che prevede 12 raccomandazioni essenziali fra le quali figurano (una di seguito all’altra) il quadro giuridico per la cooperazione transfrontaliera e la gestione della crisi di gruppo (n.ri 7 e 8). Può quindi dirsi che la Direttiva è parte di uno sforzo globale per addivenire a una gestione più efficace ed efficiente delle crisi bancarie secondo moduli per quanto possibile uniformi. Si noti che scopo dichiarato dei Key Attributes è quello di: “allow authorities to resolve financial institutions in an orderly manner without taxpayer exposure to loss from solvency support”. 11 Sulla Proposta di Direttiva la BCE ha espresso il suo Parere in data 29.11.2012 (in GUCE, 12.2.2013, C 39/1), nelle cui osservazioni di carattere generale si osserva che: “La BCE sostiene pienamente lo sviluppo di un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi … Tutte le istituzioni finanziarie dovrebbero poter affrontare il dissesto in maniera ordinata, salvaguardando la stabilità del sistema finanziario nel suo complesso e riducendo al minimo costi pubblici e distorsioni economiche. La BCE sostiene in particolare una disciplina a livello dell’Unione per la risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento al fine di mantenere la stabilità finanziaria nell’Unione e di conseguenza garantire il funzionamento del mercato unico anche nei periodi di crisi. A tal fine, è essenziale l’elaborazione di strumenti comuni di supporto per la gestione del dissesto delle istituzioni finanziarie …”. 12 Tale accordo è stato raggiunto nella notte fra il 26 ed il 27 giugno 2013. Di esso

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programmato entro l’inverno 2013-2014. Queste considerazioni tengono presente l’unico testo pubblicato al momento della relazione (che ha avuto luogo una settimana prima che si raggiungesse un accordo in sede ECOFIN) che è la Proposta della Commissione del 6.6.2012 ancorché esso abbia probabilmente subito modifiche a livello di Consiglio. Il suo recepimento negli ordinamenti nazionali non dovrebbe avvenire quindi prima della fine del 2015. Essa dovrebbe costituire un tassello fondamentale dell’Unione bancaria che si fonderà sul Single Supervisory Mechanism (SSM), sul Single Resolution Mechanism e sulla possibilità di ricapitalizzazione diretta delle banche da parte dell’ESM. Il funzionamento di questi pilastri presuppone infatti un quadro armonizzato di prevenzione e gestione delle crisi a livello europeo. A costo di ripetere concetti già espressi da chi mi ha preceduto, vorrei brevemente elencare i tratti salienti della Proposta, nella quale la prevenzione e la gestione della crisi di Gruppo assume un rilevo determinante. Essi sono i seguenti: a) l’estensione soggettiva anche alle imprese di investimento, colmando così una lacuna delle direttive settoriali del 2001; b) la prevenzione e la pianificazione della crisi. Con l’obbligo, per gli enti soggetti alla Direttiva, di dotarsi ex ante, di piani di risanamento che prevedano: “il ripristino della situazione finanziaria a seguito di un deterioramento significativo” (art. 5, co. 1) e, per le autorità di controllo, di mettere a punto dei piani di risoluzione delle crisi13. Quindi, secondo la proposta, l’esistenza di piani che indicano procedure e modalità per affrontare situazioni di difficoltà è essenziale per la prevenzione e la gestione della crisi stessa. Qui si può discutere della sensatezza, a livello di analisi costi/benefici, di imporre questo strumento a tutti gli intermediari. Ma sembra che qualche deroga potrebbe essere introdotta per le piccole banche. È interessante notare come, anche in questa fase, la dimensione di Gruppo ha un rilievo centrale atteso che sono previsti piani di risanamento e piani di risoluzione delle crisi di gruppo sui quali

danno notizia i seguenti articoli di stampa. Romano, Banche, pagheranno prima i privati, in Sole 24 ore del 28.6.2013, p. 11; Longo, Ha vinto il modello “ciprolandese”, ivi. Per un primo commento critico, cfr. Masciandaro, Tutelare i correntisti senza salvare i banchieri, ivi, pp. 1 ed 11. per una prima analisi dell’impatto sul nostro sistema, cfr. Longo, Depositi italiani più tutelati d’Europa, il Sole 24 ore del 29.6.2013, p. 6. 13 Per i Key Attributes del FSB infatti una delle caratteristiche di un efficace regime di risoluzione efficace è proprio quella di: «provide for speed and transparency and as much predictability as possible through legal and procedural clarity and advanced planning for orderly resolution» [la sottolineatura è nostra].

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ci si soffermerà fra breve; c) ruolo centrale delle autorità competenti con obbligo di ogni Stato membro di designare un’autorità competente per la risoluzione della crisi che, se coincidente con l’autorità di vigilanza, deve prevedere la separazione fra le funzioni di vigilanza e quelle di risoluzione della crisi. Il principio della separazione è sancito dall’art. 3, co. 3 ult. periodo della Proposta di direttiva, secondo il quale: “… gli Stati membri provvedono a che, in seno alle autorità competenti, banche centrali, ministeri competenti ovvero altre autorità amministrative pubbliche, la funzione di risoluzione delle crisi sia separata dalla funzione di vigilanza o altre funzioni dell’autorità in questione.”. Tale principio è stato introdotto per timore della c.d. “forbearance” cioè la tolleranza di situazioni di crisi o di pre-crisi da parte dell’organismo che svolge la normale supervisione sulle banche. Tolleranza che, evidentemente, è stata riscontrata nell’analisi ex post di alcune recenti crisi bancarie a livello europeo14. In realtà, mi sembra che il rischio tolleranza delle situazioni di crisi sia ancor più accentuato quando la responsabilità fra normale vigilanza e gestione delle crisi sia distinta fra organismi differenti. Il primo potrebbe avere infatti delle remore ad ammettere il fallimento della propria azione di supervisione o anche solo sperare che il management sia in grado di trovare una soluzione e questo potrebbe creare indugi maggiori che non nelle ipotesi in cui, come avviene nel nostro ordinamento, vigilanza e crisi facciano capo alla medesima autorità. L’applicazione pratica del principio comporterà problemi organizzativi anche perché fra normale vigilanza e gestione delle crisi non vi è una linea di confine netta e, se vi era, la direttiva, puntando sulla prevenzione, tende a renderla ancor più sfumata; d) procedimentalizzazione della gestione della crisi basata sulle autorità competenti. Specie nel caso della crisi di gruppo sono previste procedure basate sull’obbligo di raggiungere un accordo entro quattro mesi trascorsi i quali l’autorità di controllo su base consolidata o della capogruppo può di decidere autonomamente a meno che, entro lo stesso termine, una delle autorità interessate non richieda la binding mediation dell’EBA15; e) la previsione di una serie di strumenti per la risoluzione

14 Va notato come questa separazione fra autorità di vigilanza ed autorità di risoluzione delle crisi sia una scelta della proposta di Direttiva perché i Key Attributes del FSB si preoccupano solo del fatto che, quando all’interno di una stessa giurisdizione vi siano più autorità di crisi competenti per differenti componenti di uno stesso gruppo, sia individuata una “lead authority” con compiti di coordinamento (cfr. par. 2.2). 15 Sulla bindig mediation dell’EBA che costella i percorsi procedimentali della Direttiva (piani di risanamento, piani di risoluzione, piani di sostegno finanziario di gruppo

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delle crisi (riduzione degli “strumenti di capitale”; vendita o separazione delle attività; ente ponte; bail-in) che possono essere anche combinati fra di loro; f) la previsione, fra le misure di intervento precoce, di una procedura di amministrazione straordinaria molto simile a quella italiana; g) l’introduzione di un Sistema europeo dei meccanismi di finanziamento (tit. VII, artt. 90 ss.); h) la previsione di un sistema di sanzioni che colpisce il mancato assolvimento di alcuni obblighi procedimentali in quattro ipotesi specifiche (art. 101) fra le quali rientra la mancata informativa all’autorità competente del rischio di dissesto. 3. Piani di risanamento e piani di risoluzione delle crisi di gruppo. Si è visto come un punto fondamentale della Proposta di Direttiva sia quello di tentare di prevenire la crisi imponendo l’adozione di un piano di risanamento con determinati contenuti. L’idea è quella di avere una road map con la quale affrontare situazioni di criticità. I piani di risanamento, la cui preparazione ed aggiornamento sono obbligatori (pena sanzione), devono prevedere le misure da intraprendere per “il ripristino della situazione finanziaria a seguito di un deterioramento significativo” (art. 7, co. 3) e sono considerati meccanismi di governo societario ai sensi dell’art. 22 della Direttiva banche (2006/48/CE). Il piano deve riguardare l’intero gruppo e contenere un distinto piano di risanamento per ciascun ente che ne fa parte. La responsabilità per la sua predisposizione e adozione ricade sull’impresa madre e deve essere approvato dagli organi di gestione di quest’ultima e da quelli degli altri enti facenti parte del gruppo. Oltre contenere, come i piani di singole banche, opzioni di risanamento in base a “scenari di turbolenza finanziaria di intensità variabile”, il piano di risanamento di gruppo deve prevedere: “disposizioni per il coordinamento e la coerenza delle misure da adottare a livello dell’impresa madre … e misure da intraprendere a livello di singoli enti” (art. 7, co. 3).

sia in fase di predisposizione che di attuazione), sembra che si sta formando una certa contrarietà da parte di numerose delegazioni che, diffidando dei meccanismi comunitari, ritengono che essa non sia necessaria utilizzando anche l’argomento che, dovendo in linea di principio risanamento e risoluzione avvenire senza sostegno finanziario pubblico, l’intervento dell’EBA non si giustifica.

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Esso può invece prevedere “dispositivi per l’eventuale sostegno finanziario infragruppo adottati conformemente ad accordi per il sostegno finanziario di gruppo”. A questi accordi che sono previsti dagli art. 16/22 della Direttiva, per ragioni di spazio, è possibile qui solo accennare. Essi devono avere alcuni presupposti: ragionevole speranza di superamento delle difficoltà finanziarie, preservazione dell’equilibrio finanziario di gruppo nel suo complesso, corrispettivo congruo, ragionevole certezza di restituzione, assenza di rischio di stabilità per l’entità che lo fornisce e suo rispetto dei requisiti patrimoniali. Una volta messi a punto, vanno sottoposti all’autorità della capogruppo per “una richiesta di autorizzazione”. Qui si apre la consueta procedura di approvazione. È lasciata alla facoltà degli stati membri la possibilità di prevedere che, dopo quest’autorizzazione, il progetto di accordo: “sia sottoposto all’approvazione dell’assemblea degli azionisti di ciascuna entità del gruppo che si propone di aderirvi” (art. 18, co. 1). In caso si debba poi attuare il piano, tale decisione va notificata all’autorità competente (quella che vigila sull’entità che fornisce il sostegno) ed all’EBA con potere della prima di vietare o limitare, entro due giorni, la fornitura di sostegno finanziario se le condizioni delle quali parlavamo non vengono soddisfatte. Quindi, come si vede, uno strumento fondamentale con grosse implicazioni anche di diritto societario e forse, come al solito, un po’ troppi passaggi autorizzativi e poteri di intervento. Ma la lacuna maggiore di questo piano di sostegno è che non sono previste misure di esenzione dalle revocatorie, analoghe a quelle che garantiscono i piani attestati ex art. 67, co. 3, lett. d) e gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall.16. Quindi, l’accordo per il sostegno finanziario di gruppo non deve essere già obbligatoriamente parte del piano di risanamento, può anche esser adottato dopo ma, se inserito nel piano, lo qualifica ulteriormente.

16 Le difficili problematiche che tali accordi possono comportare dal punto di vista del diritto societario e fallimentare è sottolineata dal Parere della BCE, secondo il quale: “La BCE rileva, tuttavia, come l’attuazione di tali accordi volontari negli ordinamenti giuridici nazionali sollevi complesse questioni giuridiche. Il loro avvio dipenderà anche da quanto le loro disposizioni si inquadrano armoniosamente nel diritto nazionale tributario, fallimentare e societario, per esempio rispetto al principio secondo cui le operazioni infragruppo devono essere concluse alle condizioni di mercato (at arm’s length). A tal fine, secondo la BCE potrebbe essere necessario ulteriormente valutare se debbano essere garantite disposizioni supplementari per assicurare la certezza giuridica e l’applicabilità delle operazioni infragruppo approvate e attuate in base a tali accordi volontari.” (par. 5).

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C’è da domandarsi se in questo caso si possa fare a meno della doppia trafila burocratica di approvazione. Se il piano di risanamento di Gruppo deve essere adottato dalla casa madre ed approvato dalle autorità, i piani di risoluzione delle crisi di gruppo devono essere messi a punto dalle autorità con un processo imperniato sull’autorità della casa madre che riceve dalla capogruppo le informazioni necessarie a mettere a punto il piano, le diffonde alle autorità delle imprese del gruppo che poi lo approvano con il solito meccanismo. Queste autorità vengono costituite in un vero e proprio collegio sul quale ci soffermeremo fra poco. Il piano di risoluzione della crisi di gruppo deve, fra l’altro: a) esaminare: “in che misura gli strumenti e poteri di risoluzione delle crisi possono essere applicati ed esercitati in maniera coordinata nei confronti delle entità del gruppo ubicate nell’Unione”; b) indicare “le modalità di finanziamento delle azioni di risoluzione delle crisi di gruppo e, se del caso, espone principi per la ripartizione della responsabilità del finanziamento tra fonti presenti in diversi Stati membri” (art. 11). È al riguardo espressamente previsto che il piano non presupponga alcun sostegno finanziario pubblico straordinario oltre all’impiego dei meccanismi di finanziamento facenti parte del sistema europeo. Voglio solo qui brevemente accennare al fatto che la Direttiva, in caso di risoluzione delle crisi di gruppo, prevede la messa in comune dei meccanismi di finanziamento nazionale sulla base di un piano predisposto dall’autorità di risoluzione della crisi di gruppo (art. 98). 4. Procedura per la risoluzione della crisi di gruppo La proposta di Direttiva dedica alla risoluzione della crisi di Gruppo un apposito Titolo (il V). L’opera di prevenzione e risoluzione della crisi di Gruppo è affidata ai Collegi di risoluzione delle crisi (art. 80) e ad una procedura di coordinamento (art. 83). I compiti fondamentali di questi Collegi sono, come si è accennato, proprio quelli di valutare e approvare il piano di risanamento predisposto dalla Capogruppo (art. 8), di predisporre ed approvare un programma di risoluzione della crisi di gruppo (art. 83), coordinare l’impiego dei meccanismi di finanziamento. I Collegi di risoluzione della crisi di gruppo sono composti da: a) l’autorità di risoluzione della crisi a livello di gruppo (quindi normalmente, l’autorità di vigilanza della casa madre); che ha un ruolo centrale di coordinamento in quanto indice e presiede tutte le riunioni del Collegio; b) le autorità di risoluzione delle crisi di ciascuno Stato membro in cui è

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stabilita una filiazione interessata dalla vigilanza su base consolidata; c) l’EBA che ha il compito di “promuovere e monitorare il funzionamento efficiente, efficace e uniforme dei collegi di risoluzione delle crisi”. Essa, inoltre “elabora progetti di norme tecniche di regolamentazione per precisare le modalità operative dei collegi di risoluzione delle crisi” e “può partecipare, se lo ritiene opportuno, a specifiche riunioni o attività, ma senza diritto di voto” (art. 80, co. 4 e co. 9). Essa ha anche un importante ruolo di mediazione che però, come accennavo, sembra essere messo in discussione da molte delegazioni che potrebbero anche raggiungere una maggioranza; d) i ministeri competenti che, se non coincidono con l’autorità di risoluzione delle crisi, affiancano tali autorità e possono partecipare alle loro riunioni “in particolare quando sono in discussione questioni che possono avere ripercussioni sui fondi pubblici” (art. 80, co. 2); e) le autorità di risoluzione delle crisi di paesi terzi in cui siano insediate filiazioni possono essere invitate “in veste di osservatori” (art. 80, co. 2). Sarà questo, ad esempio, il caso di Unicredit grande gruppo italiano molto presente anche in paesi extraeuropei. In proposito va anche ricordato che, nel caso una casa madre extraeuropea abbia due o più filiazioni stabilite nell’Unione deve essere costituito, per esse un apposito collegio europeo di risoluzione delle crisi. Mi sembra che questi Collegi per la risoluzione delle crisi di Gruppo non possano essere proprio gli stessi ai quali è normalmente affidata la Vigilanza sul gruppo in applicazione del principio di separazione sul quale ci si è prima soffermati. Forme di raccordo fra le due istanze sono comunque auspicabili. L’indicazione che viene dalla Direttiva alle autorità di risoluzione della crisi di gruppo è quella di procedere allo scambio di informazione più ampio possibile e nei due sensi dall’autorità di gruppo alle altre e viceversa. Le informazioni devono essere inoltre condivise anche con i ministeri competenti (art. 82). Due parole sull’emersione della crisi nel contesto di Gruppo, anche se lo schema varia poco rispetto a quello previsto per la banca individuale. La Direttiva vuole che gli Stati prevedano un obbligo di notifica a carico dell’organo di gestione della banca che deve informare l’autorità competente: “quando reputa che l’ente stesso sia in dissesto o a rischio di dissesto” (art. 74, co. 1), obbligo il cui mancato adempimento, lo si accennava, comporterà sanzioni amministrative di vario tipo, pecuniarie ma anche interdittive e reputazionali (art. 101). Viene qui in mente la nostra fattispecie di bancarotta semplice consistente nell’aver “aggravato il proprio dissesto astenendosi dal richiedere la dichiarazione del

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proprio fallimento” (art. 217, co. 1, n. 4 l.fall.). L’informazione va data alle autorità competenti che da un lato adottano le misure di intervento precoce previste dall’art. 2317 e, dall’altro, ne informano l’autorità di risoluzione delle crisi, se diversa. D’altronde se le autorità competenti hanno comunque contezza che la banca “è in dissesto o a rischi di dissesto” possono direttamente avviare la fase di risoluzione della crisi. Visto che la Direttiva se, l’autorità è la stessa, ha previsto la separazione interna, si ritiene che una comunicazione fra diversi dipartimenti della stessa autorità o fra Collegi per la normale vigilanza e collegi per la risoluzione delle crisi di Gruppo vada comunque data. L’autorità di risoluzione della crisi quando ha contezza che una componente del Gruppo è in dissesto o a rischio di dissesto, deve comunicarlo senza indugio all’autorità di risoluzione della crisi di gruppo e le altre autorità che fanno parte dell’apposito Collegio, indicando nel contempo le misure di risoluzione della crisi che ritiene appropriate. Si apre quindi una fase di valutazione – condotta dall’autorità di risoluzione della crisi di gruppo in consultazione con le altre autorità del collegio – dell’impatto del dissesto dell’ente e delle misure di risoluzione proposte sul gruppo nel suo insieme e sulle sue componenti. Se si giunge alla conclusione che il dissesto di una componente del gruppo e le misure proposte per superarlo non hanno un impatto né sul Gruppo ne sul qualcuna delle altre componenti, l’autorità competente sul singolo ente avvia la risoluzione in base alle misure proposte. Anche in questi casi, tuttavia, le autorità che gestiscono la crisi di singole componenti devono cooperare strettamente con i collegi di risoluzione delle crisi al fine di mettere a punto una strategia coordinata di risoluzione

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Che sono: a) richiesta di attuazione alla Direzione dei dispositivi del piano di risanamento; b) richiesta alla direzione dell’attuazione di un programma di azione; c) richiesta di convocazione dell’assemblea convocazione diretta della stessa con fissazione dell’o.d.g. e adozione di determinate decisioni; d) richiesta di revoca o sostituzione di uno o più membri del C.d.A. o amministratori delegati ritenuti non più idonei; e) richiesta di un piano di ristrutturazione del debito; f) acquisizione di tutte le informazioni anche tramite ispezioni; f) presa di contatto con eventuali acquirenti al fine di risolvere la crisi. Si noti che i poteri sub lett. c) ed f) sono già presenti nel nostro ordinamento mentre quello sub d) evoca il c.d. provvedimento di removal da tempo richiesto dalle nostre autorità e che dovrà essere quindi introdotto in attuazione della Direttiva. Significativamente la possibilità di: “Remove and replace the senior management and directors and recover monies from responsible persons, including claw-back of variable remuneration” figura al primo posto nella lista dei poteri che un’autorità deve avere per poter gestire un efficace regime di risoluzione, secondo i Key Attributes del FSB (cfr. par. 3.2).

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delle crisi per tutti gli enti in dissesto o a rischio di dissesto. Se, viceversa, si ritiene che il dissesto di una componente o le misure proposte per risolverlo abbiano un impatto negativo sul gruppo o su alcune affiliate deve proporre, entro 24 ore, un programma di risoluzione della crisi di gruppo e presentarlo al Collegio di risoluzione della crisi. Il programma di risoluzione della crisi di gruppo: a) delinea le azioni di risoluzione della crisi … al fine di preservare il valore del gruppo nel suo complesso, ridurre al minimo l’impatto sulla stabilità finanziaria negli Stati membri in cui il gruppo è attivo e ridurre al minimo il ricorso a un sostegno finanziario pubblico straordinario; b) specifica le modalità di coordinamento delle azioni di risoluzione della crisi; c) stabilisce un piano di finanziamento con equilibrata ripartizione delle fonti presenti nei diversi Stati membri. Se un membro del collegio dissente dal programma e ritiene che per motivi di stabilità debba avviare azioni autonome o diverse da quelle previste dal piano su una determinata banca può, entro 24 ore dalla proposizione del piano, attivare una mediazione lampo dell’EBA che decide nelle successive 24 ore. Se l’autorità di risoluzione della crisi di gruppo ritiene che sia direttamente l’impresa madre ad essere in dissesto o a rischio di dissesto, avvia direttamente le procedure che portano alla predisposizione del piano informando le altre autorità. 5. Considerazioni conclusive. Mi scuso per esser stato, sin qui, molto descrittivo limitandomi quasi a parafrasare il contenuto della Proposta ma ritengo che una prima analisi di disposizioni, che oltretutto fanno parte di un testo ancora non definitivo, debba limitarsi alla loro comprensione letterale. Ragioni di tempo mi impediscono di affrontare le complesse problematiche che potrebbe porre l’utilizzo degli strumenti di risoluzione delle crisi (riduzione dei diritti degli azionisti, vendita e separazione delle attività, ente ponte, bail-in) in un contesto di gruppo. Provo ora a tirare qualche conclusione scusandomi se ripeterò alcuni concetti già anticipati qua e là. La proposta di Direttiva, forte dell’esperienza della crisi europea di alcuni grandi banche, da un rilevo importante alla gestione della crisi di gruppo. Essa adotta un metodo di coordinamento procedimentale che, come si notava, è lo stesso che sta alla base della proposta di riforma del regolamento sulle procedure di insolvenza. Nel caso delle imprese

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finanziarie, tuttavia, questo coordinamento, imperniandosi sulla rete delle autorità di controllo e di risoluzione delle crisi è molto più spinto. È come se la proposta di direttiva contrapponesse alla struttura del Gruppo ed alle responsabilità che competono alla Capogruppo nei confronti delle autorità di controllo la rete delle autorità stesse (di controllo o di risoluzione delle crisi) con un ruolo leader di quella dell’impresa madre. In questo senso si può notare come la Direttiva segni la trasposizione, al campo delle crisi, dell’impalcatura della vigilanza su base consolidata e, dato il contesto, non avrebbe potuto essere altrimenti. I meccanismi di diritto fallimentare e l’autonomia giuridica delle singole entità componenti il gruppo non vengono toccati. Non c’è un fallimento del gruppo considerato come unica entità, non c’è massa unica. Ma vi è spesso una considerazione del gruppo nel suo insieme ed un concetto di impatto della crisi della singola componete sul gruppo nel suo complesso che è molto avanzato. Ma con il “consolidamento procedurale” si può comunque arrivare molto vicino ad una situazione del genere. Si può stabilire quali procedure aprire e quali no e si può calibrare l’intervento finanziario delle varie componenti del gruppo al risanamento e alla risoluzione. Da questo punto di vista si spiega il possibile dissenso dell’autorità di controllo sulla singola componete del Gruppo che ritenga non adeguatamente presidiate le ragioni della stabilità del proprio sistema o non adeguatamente tutelati i propri depositanti. E, sul punto, ritengo che non si possa fare a meno della mediazione EBA, nonostante essa (attualmente presente in molti snodi della Direttiva che riguardano i Gruppi) sembra sia vista con sfavore da un numero crescente di delegazioni sull’onda di una voglia montante di meno Europa. Guardando al nostro ordinamento, ritengo che avere un’autorità di vigilanza che sia anche responsabile per la gestione delle crisi sia una semplificazione e un notevole vantaggio. Guardando invece alla Direttiva nel suo complesso si può dire che essa segni un notevole avanzamento verso un quadro integrato di gestione delle crisi bancarie. L’idea di fondo della proposta è quella di dare alle autorità un catalogo il più ampio possibile di strumenti da utilizzare in modo flessibile in relazione all’entità della crisi e alle circostanze del caso. Strumenti come il bail-in o la bridge bank sarebbero infatti difficilmente utilizzabili in assenza di una disciplina legale che li preveda e per non generare effetti perversi devono essere necessariamente armonizzati a livello europeo. L’esperienza europea degli anni recenti ha evidenziato che strumenti come quelli finora utilizzati in Italia (essenzialmente la cessione di attività e passività) potrebbero essere difficilmente attivabili in presenza di una

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crisi davvero sistemica in un mercato nel quale diventerebbe assai difficile ricorrere alla cessione in blocco specie in caso di crisi generalizzata e per intermediari di notevoli dimensioni. Il problema è che la direttiva lascia ancora ai Paesi la possibilità di conservare strumenti diversi e ulteriori (accanto a quegli armonizzati), con inevitabili complicazioni in caso di crisi di soggetti cross-border, e comunque poco giustificabili nella prospettiva di una resolution authority unica. La codificazione di questi strumenti costringerà comunque, in sede di recepimento, una ridefinizione dei confini tradizionali fra a.s. e l.c.a. ed imporrà di valutare se non sia addirittura preferibile andare verso una procedura unica, sulla falsariga dell’a.s. delle grandi imprese in crisi. Andrà comunque fatta grande attenzione affinché l’introduzione di un quadro armonizzato europeo idoneo a prevenire ed affrontare crisi di grandi intermediari operanti su scala europea non pregiudichi poi la gestione delle crisi di intermediari minori che da noi si è sempre avvalsa con successo di strumenti tradizionali e poco codificati come la cessione di attività e passività18. Da questo punto di vista non dovrebbero esserci tuttavia grandi problemi perché lo strumento della vendita dell’attività d’impresa, disciplinato dagli artt. 32 ss. della proposta di Direttiva, sembra comprendere tutte le forme di cessione di attività e passività utilizzate in Italia per la soluzione delle crisi bancarie. Quello che bisognerà rimeditare sarà, probabilmente, il contesto entro il quale tali cessioni si potranno effettuare che, sinora è stato, da noi, quello della l.c.a., mentre non è escluso che essere possano in futuro essere effettuate in una fese anteriore o, come si diceva, nella cornice di una procedura unica. Ma la a vera sfida, che troverà nella gestione della crisi di gruppo il suo campo naturale e più impervio, sarà la gestione dei meccanismi di finanziamento e di ripartizione degli oneri che non facciano ricorso, come vuole la Direttiva, al sostegno finanziario pubblico straordinario. Quindi bail-in e sistema europeo dei meccanismi di finanziamento dove

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Va tuttavia rammentato che, storicamente, questo strumento è stato da noi impiegato anche per la soluzione della crisi di grandi intermediari e non solo in epoche relativamente recenti (ad es. Banco Ambrosiano). Esso infatti è stato utilizzato anche per venire a capo del crack della Banca Romana (che all’epoca era addirittura un istituto di emissione) favorendo così la nascita della Banca d’Italia che di quella liquidazione si assunse appunto l’onere (cfr., sul punto, Galanti, in Storia della legislazione bancaria finanziaria e assicurativa. Dall’Unità d’Italia al 2011, a cura di Galanti, D’ambrosio, Guccione, Venezia, 2012, p. 35 ss.

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Crisi bancarie e diritto comunitario

bisognerà decidere il ruolo che dovranno continuare a giocare gli attuali fondi di garanzia dei depositi.

Conclusioni Alessandro Nigro Come era prevedibile data la qualità dei relatori, abbiamo avuto da tutti gli interventi una nutrita serie di indicazioni e stimoli. Mi guarderò bene, ovviamente, dal riproporre gli itinerari che sono stati così ben percorsi da chi mi ha preceduto. Io mi limiterò a qualche considerazione di carattere generalissimo. Innanzitutto, vorrei raccogliere lo spunto felice di chi, a proposito della direttiva del 2001 sulla soluzione delle crisi bancarie, ha detto che essa “sapeva di vecchio”. La verità è proprio questa e l’abbiamo visto un po’ in tutti gli argomenti. Siamo partiti da un quadro della disciplina delle crisi bancarie, a livello comunitario, tutto sommato abbastanza tranquillo, che vedeva una sistemazione dei rapporti fra le autorità di vigilanza, o comunque le autorità destinate a risolvere le crisi, basata sul principio di universalità, con qualche incongruenza solo nelle situazioni che vedevano una proiezione extracomunitaria. Il quadro era abbastanza tranquillo anche per ciò che riguardava gli aiuti di Stato. La Comunità, da un certo momento in poi, aveva sì assunto, in principio, una linea rigida; però, concretamente, in tutte le ipotesi che sono state ricordate, ha adottato soluzioni non in linea con le enunciazioni di principio: in un modo o nell’altro ha consentito praticamente tutto. Anche sul versante dei fondi di garanzia il panorama era abbastanza tranquillo. Si partiva da una logica coerente con la logica della regolamentazione del settore bancario: l’interesse da tutelare era la stabilità del mercato bancario, la stabilità dell’intermediario bancario e la protezione dei depositanti costituiva l’obiettivo primario dell’intervento di questi fondi. Con la crisi, questo quadro, di sapore un po’ arcaico, viene sconvolto. Essa costringe a ripensare un po’ tutto; ci si rende conto di essere stati presi alla sprovvista da quello che all’inizio ho definito come fallimento di tutto e di tutti: fallimento in primo luogo delle regolamentazioni e dei regolati. Di qui l’avvio verso la costruzione di un quadro profondamente diverso. Un quadro in cui, per ciò che riguarda la disciplina delle crisi bancarie, si passa da una logica di un certo tipo ad

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Dibattiti

una logica di tipo opposto: da un’armonizzazione in realtà inesistente perché in sostanza si consentiva ad ogni ordinamento di operare secondo le proprie linee, si passa ad una logica diversa, cioè di centralizzazione e armonizzazione massima. Non so se il discorso che faceva Lener sulla trasformazione della direttiva in regolamento poi andrà avanti: so però che sarebbe un segnale forte dal punto di vista che sto considerando. Sarebbe un cambiamento della fonte e soprattutto un cambiamento dell’architettura complessiva del diritto comunitario di questa particolare materia. Si prospetta, nel quadro che si va delineando, l’utilizzazione di organi già esistenti ma anche l’introduzione di organi nuovi, con la difficoltà, che si sta già riscontrando per ciò che riguarda il settore contiguo della vigilanza, di immaginare dei rapporti “tranquilli” tra queste varie componenti. Tra l’altro, in continuazione si creano autorità: ed anche questo è, naturalmente, un fattore di complicazione. Sembrano destinati a cambiare anche gli strumenti: abbiamo sentito parlare di strumenti anche molto pervasivi e incisivi, rispetto ai quali si porranno problemi seri di compatibilità con gli ordinamenti nazionali. Non è sconvolgente più di tanto l’idea che per certi particolari creditori di una banca in crisi si abbia la conversione forzosa del credito in capitale di rischio; in particolare non mi pare sconvolgente che una simile evenienza si abbia per i creditori subordinati generali, la cui posizione, a ben vedere, finirebbe per non essere sostanzialmente modificata. Sta di fatto però che questo pone o porrebbe in crisi tutta una serie di regole, anche proprie del nostro ordinamento. Non ho approfondito il panorama dei nuovi strumenti: ma quello che mi pare sia da temere è la complicazione nell’uso di strumenti o in sé intrinsecamente troppo articolati, o di cui non è facile apprezzare la portata in presenza di altri strumenti. Un invito alla semplificazione potrebbe essere utile, ammesso che qualcuno voglia raccoglierlo. La sensazione che qualche volta si ha è che si elaborino progettazioni particolarmente articolate, solo per il gusto di farlo, perdendo un po’ di vista il fatto che siamo sempre in presenza di strumenti. Gli strumenti devono essere commisurati alle finalità che si vogliono raggiungere, non carenti ma nemmeno esorbitanti. Quello colpisce, almeno me, in tutti questi cambiamenti, è che sembra essersi modificata le gerarchia stessa degli interessi, nel settore di cui ci stiamo occupando. In passato, avevamo una certa gerarchia, che giustificava anche l’intervento pubblico come inevitabile in certe situazioni, che si metteva al primo posto gli interessi canonici: l’interesse alla stabilità e, connesso strettamente con la stabilità, l’interesse dei risparmiatori, dei depositanti, degli investitori.

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Crisi bancarie e diritto comunitario

Oggi, evidentemente per effetto delle dolorose esperienze prodotte dalla crisi, la gerarchia degli interessi è cambiata: l’esigenza di non utilizzare ausili pubblici diventa, a quanto pare, l’esigenza primaria; comunque tutti gli altri interessi, compreso quello dei depositanti, vanno sacrificati prima di arrivare a toccare l’interesse pubblico a non subire ripercussioni dalle crisi delle banche. Il che pone, ovviamente, tutta una serie di problemi, a cominciare da quello della conciliazione di tale gerarchia con il mantenimento dei fondi di garanzia; dal che l’impressione che, in relazione alla gerarchia effettiva degli interessi, non siano stati ben sistemati tutti questi vari strumenti di intervento. Detto questo, bisognerebbe anche capire su quale realtà il legislatore comunitario vuole intervenire in una chiave di soluzione e prevenzione delle crisi. L’assetto che viene prefigurato effettivamente si giustifica con riferimento a tutti gli intermediari finanziari di qualsiasi genere o bisogna tornare a selezionare – raccolgo il giusto rimprovero che mi faceva il professor Maccarone prima – distinguendo tra le banche che svolgono attività tradizionale cioè l’attività di intermediazione creditizia e le banche che fanno altro e non parliamo poi di altri intermediari? Io ho la sensazione che se ancora una volta, come in questa proposta di direttiva, “si fa di ogni erba un fascio”, cioè si mettono insieme intermediari finanziari e banche e nell’ambito delle banche non si distingue tra banche esclusivamente commerciali e banche invece che fanno altro, si renda un cattivo servizio. Mi sembra che quella indicata dal legislatore americano in generale sia la strada da cercare di percorrere. Allora forse anche i meccanismi di risoluzione delle crisi potrebbero essere più opportunamente calibrati, con riferimento specificamente ai soggetti per i quali vale, secondo me, la pena intervenire in modo appropriato cioè le banche. Io credo che solo rispetto alle banche in senso stretto, cioè quelle che svolgono attività di intermediazione creditizia, si giustifichino tante cose che non sono giustificate in riferimento alle imprese finanziarie non bancarie. Credo inoltre che con riferimento alle banche, sempre in senso stretto, la gerarchia degli interessi andrebbe probabilmente ripristinata nel senso tradizionale. Noi abbiamo bisogno delle banche sempre e comunque; forse non abbiamo bisogno di tutte le altre tipologie di imprese di investimento, se non altro nei limiti in cui l’attività di investimento diversa dall’attività bancaria possa essere fonte di pericolo. Questo evoca anche un altro problema, quello delle entità finanziarie (ma preferisco dire delle banche) “too big to fail”. Probabilmente – è stato detto da altri, non invento nulla di nuovo – queste banche sono anche “too big to save”: cioè, salvarle ha, avrebbe, un costo eccessivo. Che lo si

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Dibattiti

addossi alla collettività, che lo si addossi agli azionisti, che lo si addossi ai creditori, che lo si addossi al sistema finanziario nel suo complesso, è sempre un problema di rapporto tra costi e benefici. Allora io dico: perché non riprendere qualche idea che era stata ventilata nei momenti peggiori della crisi? Idee come, per esempio, quella di evitare che la banca diventi “too big to fail”. A questo proposito, la storia dell’industria degli Stati Uniti ha insegnato che non c’è nulla che possa costituire un ostacolo al frazionamento di entità che per la loro stessa grandezza pongono in crisi l’ordinamento. Io invito sempre – l’ho fatto qualche giorno fa in un altro convegno – a non dimenticare che tutte le cose di cui ci occupiamo sono strumentali; non esistono in questo campo valori assoluti che in quanto tali meritino di essere, sempre e comunque, tutelati e protetti. Ogni discorso deve condurre alla finalità ultima di qualsiasi ordinamento: il benessere economico collettivo e poi individuale. Tutto quello che sta prima è strumentale e quindi va adattato alla necessità che porti a questo risultato. Se, invece, è un qualche cosa che impedisce il conseguimento di questo risultato o lo frena o ne diminuisce la possibilità andrebbe modificato. Non c’è nulla di inevitabile e che si debba accettare a tutti i costi: quindi se situazioni, entità, normative sono di ostacolo sul piano generale su cui mi sono collocato, probabilmente sarebbe il caso di ripensarli a fondo. Insomma, credo che si debba sempre, davanti a nuovi prodotti normativi, porsi alla fine questo interrogativo: se siano utili per arrivare all’obiettivo finale o inutili o addirittura dannose. Su questa notazione mi fermo, aggiungendo che questo nostro incontro, al di là delle idee che si possono avere, mi pare sia stato altamente proficuo, se non altro perché tutte le relazioni ci hanno costretto e ci costringeranno a pensare. E il pensare è attività che fa bene sempre e comunque.

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miti e realtà

Le leggi di Murphy

Assioma di Mary Gargaret sulla borsa Le azioni salgono finché non le compri tu (L’agenda 2014, 5 gennaio) Corollario collaterale di John Per ottenere un prestito bisogna provare di non averne bisogno (Id., 25 gennaio) Legge di Gerard Quando sul conto corrente ci sono fondi sufficienti, gli assegni non vengono incassati prima di due settimane. Quando ci sono fondi insufficienti, gli assegni vengono incassati in un batter d’occhio (Id., 1 febbraio) Legge di Buchwald Quando l’economia si risana, tutto il resto si ammala (Id., 2 febbraio) Lamento di Callaway Niente nell’universo conosciuto viaggia più veloce di un assegno scoperto (Id., 6 febbraio)

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Miti e realtà

Corollario di Weinberg Un esperto è una persona che, evitando tutti i piccoli errori, punta diritto alla catastrofe (Id., 19 marzo) Definizione di Weber Un esperto è una persona che sa sempre di più su sempre di meno, fino a sapere tutto di nulla (Id., 27 marzo) Definizione di Bohr Un esperto è chi ha commesso tutti gli errori possibili in un campo molto ristretto (Id., 3 aprile) Legge di Ryan Indovinala tre volte di seguito e sarai considerato un esperto (Id., 7 aprile) Dilemma finanziario di Bob Costa sempre più del previsto (Id., 27 aprile) Legge di Armstrong Se l’assegno è davvero arrivato con la posta, è intestato a qualcun altro (Id., 8 agosto) Legge di Murray Una legge sufficientemente complessa equivale alla sua inesistenza (Id., 18 agosto) Legge di Spencer sulla contabilità 1. I bilanci di verifica non verificano 2. I capitali d’esercizio non esercitano 3. La liquidità tende a prosciugarsi 4. Il ritorno d’investimento non torna (Id., 14 ottobre)

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Leggi di Murphy

Definizione di Dumas L’economia sono i soldi degli altri (Id., 19 ottobre) Prima legge delle esportazioni Ogni vendita all’estero avverrà al peggior cambio possibile (Id., 9 novembre) Consiglio di Ford Il fallimento è un’opportunità di ricominciare in maniera più intelligente Leggi delle fusioni bancarie 1. Quello che va bene alla tua banca non va bene a te 2. La tua agenzia sarà la prima a chiudere (Id., 19 dicembre)

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autori

Sandro Amorosino, prof. ord. di Diritto pubblico dell’economia nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Sido Bonfatti, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Modena e Reggio Emilia (Giurisprudenza) Mario Bussoletti, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Roma Tre (Giurisprudenza) Aldo Angelo Dolmetta, prof. ord. di Diritto privato nell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano (Giurisprudenza) Vincenzo Caridi, dottore di ricerca (Università di Siena) Giuseppe Carriero, primo avvocato cassazionista presso la Banca d’Italia Sabino Fortunato, prof. ord. di Diritto Commerciale nell’Università di Roma Tre (Giurisprudenza) Enrico Galanti, avvocato presso la Banca d’Italia Francesco Gentiloni Silveri, dottore commercialista in Roma Raffele Lener, prof. ord. di Diritto dell’economia nell’Università di Roma Tor Vergata (Giurisprudenza) Paola Lucantoni, ricercatrice di Diritto dell’economia nell’Università di Roma Tor Vergata (Giurisprudenza) Salvatore Maccarone, prof. ass. di Diritto dei mercati finanziari nell’Università La Sapienza di Roma (Scienze statistiche) Fabrizio Maimeri, prof. ord. di Diritto del mercato finanziario nell’Università telematica Guglielmo Marconi di Roma (Economia) Federico Martorano, già prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università Federico II di Napoli (Economia) Francesco Mazzini, prof. ass. di Diritto dell’Economia nell’Università di Siena (Economia) Alessandro Nigro, già prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università La Sapienza di Roma (Economia) Mario Porzio, già prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università Federico II di Napoli (Giurisprudenza) Marilena Rispoli Farina, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università Federico II di Napoli (Giurisprudenza)


Maria Elena Salerno, ricercatore di Diritto commerciale nell’Università di Siena, (Economia) Raffaele Scalcione, avvocato in Milano Michele Siri, ricercatore di Diritto commerciale nell’Università di Genova (Giurisprudenza) Annalisa Tricarico, dottoranda di ricerca presso l’Università degli studi di Foggia (Scienze giuridiche privatistiche) Tommaso Maria Ubertazzi, prof. ass. di Diritto civile nell’Università della Basilicata (Economia) Daniele Vattermoli, prof. ass. di Diritto commerciale nell’Università La Sapienza di Roma (Economia)


Indici dell’annata PARTE PRIMA SAGGI Amorosino Sandro, Rilevanze pubblicistiche dell’attività di rating finanziario Bonfatti Sido, Gli incentivi alla composizione negoziale delle crisi d’impresa: uno sguardo d’insieme Bussoletti Mario, Una via “italiana” agli IAS ? Carriero Giuseppe, Vigilanza bancaria e tutela del consumatore: obiettivi e strumenti Dolmetta Aldo Angelo, Sul contratto usurario (incidenze della legge penale antiusura su regime civilistico dell’equilibrio economico) Gentiloni Silveri Francesco, Recenti modifiche alla disciplina dei fondi comuni di investimento. La legislazione d’urgenza è una buona consigliera? Maccarone Salvatore, I fondi di Garanzia dei depositanti come strumento di vigilanza Maimeri Fabrizio, La nuova disciplina di gestione della crisi da sovraindebitamento: prime osservazioni Maimeri Fabrizio, Il controllo amministrativo delle clausole dei contratti bancari: vecchie questioni e nuove prospettive Martorano Federico, Legittimazione passiva alla revocatoria fallimentare delle rimesse in contro corrente nella circolazione delle aziende bancarie Nigro Alessandro, Franco Belli Nigro Alessandro, La remunerazione degli amministratori e degli alti dirigenti delle banche Porzio Mario, Le agenzie di rating Rispoli Farina Marilena, Gli intermediari non bancari disciplinati dal Testo Unico Bancario: alcune considerazioni generali alla luce della disciplina riformata Salerno Maria Elena, Il Sistema di Regolamentazione Finanziaria Globale: potenziali scenari dopo la crisi finanziaria internazionale Scalcione Raffaele, Regolamentazione dei rating e delle credit rating agencies: una voce fuori dal coro

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Indici dell’annata

Tricarico Annalisa, La vexata quaestio del riparto di giurisdizione in ordine al potere sanzionatorio della Consob (nota a Corte costituzionale n. 162/2012) Ubertazzi Tommaso Maria, Accordi di risanamento: i soggetti coinvolti, il ruolo delle banche e le responsabilità

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Lener Raffaele e Lucantoni Paola, Misseling derivatives: le posizioni del Bundesgerischtoshof e della High Court of Justice in merito ai doveri di trasparenza dell’intermediario nella negoziazione di derivati nella prospettiva della regolamentazione EMIR

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Nigro Alessandro, Anticipazione su crediti e concordato preventivo

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COMMENTI

FATTI E PROBLEMI DELLA PRATICA Siri Michele, La conversione al formato elettronico dell’informativa periodica e delle operazioni dispositive effettuate a distanza nell’ambito dei contratti assicurativi di risparmio e di investimento

DIBATTITI Crisi bancarie e diritto comunitario – Incontro di studio del 20 giugno 2013, con interventi di Sabino Fortunato, Enrico Galanti, Raffaele Lener, Salvatore Maccarone, Alessandro Nigro e Daniele Vattermoli

MITI E REALTà Le leggi di Murphy

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Indici dell’annata

INDICE ANALITICO DELLE DECISIONI Intermediazione finanziaria Intermediazione finanziaria – Servizio di consulenza in materia di investimenti – CMS Spread Ladder Swap – Dovere dell’intermediario di valutare la propensione soggettiva del cliente al rischio e l’adeguatezza dello specifico prodotto degli obiettivi di investimento – Sussistenza

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Intermediazione finanziaria – Servizio di consulenza in materia di investimenti – CMS Spread Ladder Swap – Possibilità di desumere l’adeguatezza del prodotto al profilo di rischio del cliente e la consapevolezza del cliente in merito ai rischi delle scelte di investimento precedenti e dalla formazione accademica del cliente in ambito economico – Insussistenza

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Intermediazione finanziaria – Servizio di consulenza in materia di investimenti – CMS Spread Ladder Swap – Concorso di colpa del cliente che dichiari di aver sottoscritto il prodotto finanziario strutturato complesso nella ignoranza di molti degli aspetti tecnici – Insussistenza

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Intermediazione finanziaria – Servizio di consulenza in materia di investimenti – Dovere di informazione verso il cliente dei margini di profitto sottesi ad ogni operazione di investimento consigliata – Insussistenza Dovere di informare il cliente del valore di mercato iniziale negativo di un CMS Spread Ladder Swap negoziato in contropartita diretta dall’intermediario – Sussistenza

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Intermediazione finanziaria – Negoziazione di derivati – Facoltà per una società che stipula contratti derivati nell’ambito della propria attività – Esclusione

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Intermediazione finanziaria – Negoziazione di derivati – Assenza di prove documentali sulla azione della banca in qualità di advisor – Applicabilità del duty of care – Esclusione

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Intermediazione finanziaria – Negoziazione di derivati – Clausole che limitano la responsabilità dell’intermediario nei confronti del cliente – Validità

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Operazioni bancarie Operazioni bancarie – Anticipazione su crediti con mandato all’incasso e patto di compensazione – Ammissione del cliente a concordato preventivo – Prosecuzione del rapporto – Riscossione di crediti dopo l’apertura delle procedura – Diritto della banca di trattenere le somme riscosse - Sussiste

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Indici dell’annata

Procedimento civile Procedimento civile – Interruzione – Estinzione della società parte di un giudizio per effetto di cancellazione volontaria dal registro delle imprese – Art. 2495 c.c. e 328 c.p.c. – Mancata previsione della possibilità che il processo sia proseguito da o nei confronti della società cancellata – Questione di illegittimità costituzionale – Asserita violazione degli art. 3, 24, 111 Cost. – Manifesta inammissibilità

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Bundesgerischtshof, 22 marzo 2011

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Trib. Bergamo, 21 novembre 2011

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Sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia Sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia – Opposizione – Art. 133, co. 1, lett. l), art. 134, co. 1, lett. c), art. 135, co. 1, lett. c), art. 4, co. 1, lett. 17, all. 4 d.lgs. n. 104/2010 – Eccezione di illegittimità costituzionale per eccesso di delega – Rilevanza e non manifesta infondatezza

INDICE CRONOLOGICO DELLE DECISIONI 2010 High Court of Justice – Queen’s Bench Division Commercial Court, 11 febbraio 2010

2011

2012 T.A.R. Lazio, 27 luglio 2012, n. 6991

2013 C. Cost., 17 luglio 2013, n. 198

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PARTE seconda Legislazione, documenti e informazioni



legislazione

Misure a sostegno dell’impresa start-up innovativa 1. Una delle conseguenze della crisi che ormai da tempo affligge l’economia è la sensibile contrazione del finanziamento delle nuove iniziative imprenditoriali, specie se fondate su idee e progetti innovativi. Da un lato, infatti, i venture capitalists e i c.d. business angels (anche detti informal venture capitalists), un tempo artefici (e beneficiari) delle intraprese fondate su rivoluzionarie idee creative1, anche e proprio a cagione del difficile exit da tali investimenti determinato dal contesto economico di crisi2, hanno cessato di svolgere il ruolo di motori dell’innovazione3; dall’altro, l’ipertrofia normativa conseguita ai vari scandali finanziari che si sono susseguiti da inizio millennio, innalzando i costi connessi alla scelta di costituirsi e di operare come public company4, ha di fatto escluso gli aspiranti imprenditori in genere e quelli innovativi in specie, già penalizzati

1.

Con riferimento agli Stati Uniti, v. Kortum e Lerner, Assessing the Contribution of Venture Capital to Innovation, in 3 RAND Journal of Economics, n. 4, 2000. Quanto alla situazione italiana, Mustilli, L’evoluzione del venture capital nello sviluppo delle piccole e medie imprese, Padova, 1999; Sandri, Il venture capital come strumento di finanziamento delle piccole imprese, in Piccola Impresa/Small Business, n. 2, 1994. 2. Per gli Stati Uniti, la circostanza è evidenziata, con il supporto di dati statistici, in IPO Task Force, Rebuilding the IPO on-Ramp. Putting Emerging Companies, Investors and the Kob Market Back on the Road Growth, October 20, 2011, p. 6. Sulla correlazione esistente tra la crisi delle IPO e il c.d. “investor lock-in problem” del venture capital, Ibrahim, The New Exit in Venture Capital, in 65 Vand. L. Rev., 2012, p. 8 ss. e spec. p. 11 ss. 3. E v. i dati citati da Sorrentino, Venture capital informale e imprenditorialità innovativa, in Sinergie, n. 71/2006, p. 101. 4. In argomento, con specifico riferimento alla disciplina dell’informazione societaria, Ferrarini, I costi dell’informazione societaria per le PMI: mercati alternativi «crowdfunding» e mercati privati, in AGE, 1/2013, p. 203 ss.; nella letteratura statunitense, Romano, Does the Sarbanes-Oxley Act Have a Future?, in 26 Yale J. on Reg., 2009, p. 252, la quale sottolinea l’aumento dei costi di compliance legato alle prescrizioni del Sarbanes-Oxley Act per le public companies; nello stesso senso Kamar et al., Sarbanes-Oxley’s Effects on Small Firms: What is the Evidence?, Harvard Law Sch. John M. Olin Ctr. for Law, Econ. & Bus., Discussion Paper No. 588, 2007, p. 26, accessibile su http://lsr.nellco.org/harvard_olin/588.

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Legislazione

nell’accesso al credito bancario in ragione della aleatorietà dell’effettivo valore dei propri assets, anche dalla possibilità di finanziarsi mediante il ricorso diretto al pubblico dei risparmiatori sul mercato dei capitali5. A fronte di ciò, negli ultimi anni, soprattutto a livello di singoli Stati, è emersa con sempre maggior prepotenza una diffusa esigenza di scelte di politica economica e legislativa volte a creare un ambiente normativo – o, come sempre più spesso si dice, un “ecosistema” – favorevole alla nascita e alla crescita delle nuove iniziative imprenditoriali, specie quando ne siano protagoniste le piccole e medie imprese6. Orbene, tale esigenza si specifica in due istanze. a) La prima riguarda direttamente l’ampliamento delle possibilità di finanziamento per le nuove iniziative imprenditoriali ed evoca scelte che hanno recentemente trovato attuazione, sebbene in modi diversi, tanto nell’Unione europea quanto negli Stati Uniti. In Europa, invero, l’esigenza in parola è stata per ora presa in considerazione solo a livello programmatico, laddove il Regolamento (UE) n. 1287/20137, nell’istituire un programma per la competitività delle imprese (comprese le piccole e medie imprese), prevede, tra l’altro, proprio l’assunzione di azioni tese ad incrementare il finanziamento delle nuove iniziative imprenditoriali8, aprendo peraltro la strada alla riflessione sulla possibilità di disciplinare «meccanismi finanziari innovativi, tra cui il finanziamento collettivo (crowdfunding), in base alla domanda del mercato»9. Diversamente, gli U.S.A., nella prospettiva di ampliare le possibilità di finanziamento della piccole e medie imprese nella fase di start-up, hanno introdotto nella legislazione federale il Jumpstart Our Business Startups Act, anche noto come “JOBS Act”, approvato dal Congresso nell’aprile 201210, il quale significati-

5. Rubin, The JOBS Act: An Overview. What Every Buniness Lawyer Should Know, Bus. L. Today, May 2012. 6. Cfr. Restart Italia, rapporto predisposto dalla Task Force sulle startup istituita dal Ministero dello Sviluppo Economico, presentato al Ministro il 9 luglio 2012 e reso pubblico il 13 settembre 2012; nonché lo studio Presenza ed impatto economico delle “start up” innovative di successo: un confronto internazionale, gennaio 2013, predisposto da I-Com su incarico della Fondazione “Lilly”. 7. Regolamento (UE) n. 1287/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2013, che istituisce un programma per la competitività delle imprese e le piccole e le medie imprese (COSME) (2014-2020) e abroga la decisione n. 1639/2006/CE. 8. V. Regolamento (UE) n. 1287/2013, Considerando n. 15 e art. 8, nei quali, rispettivamente, si prende atto della problematicità del finanziamento delle nuove iniziative imprenditoriali e si individuano le azioni necessarie per migliorare l’accesso al finanziamento da parte delle stesse. 9 Cfr. art. 8, co. 2, secondo periodo, Regolamento (UE) n. 1287/2013. 10. Cfr. Jumpstart Our Business Startups Act, Pub. L. No. 112-106, apr. 5, 2012, 126 Stat. 306 (15 U.S.C.).

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Misure a sostegno dell’impresa start-up innovativa

vamente si apre autodefinendosi «An Act to increase American job creation and economic growth by improving access to the public capital markets for emerging growth company»11. Più precisamente, il Jobs Act persegue lo scopo dell’ampliamento delle possibilità di raccolta del capitale da parte delle start-up seguendo principalmente tre strade. La prima strada è quella della riduzione dei costi regolamentari di accesso alle Initial Public Offerings (IPOs) e riguarda le «emerging growth companies» (EGCs), categoria di società di nuovo conio, di cui fanno parte gli emittenti che nell’ultimo esercizio presentano ricavi lordi inferiori a un miliardo di dollari. La seconda strada, questa volta ispirata dalla volontà di favorire l’entrata dei venture capitalists (formali ed informali) nel capitale delle start-up e dunque chiaramente legata alla prima da un rapporto di complementarietà, è quella dell’ampliamento delle possibilità di ricorrere al private placement in favore, appunto, di investitori qualificati (accreditated investors)12. La terza strada, infine, è quella del c.d. crowdfunding (letteralmente: finanziamento della folla) ed è tesa a favorire la possibilità che i nuovi imprenditori, anche quando esercitino l’attività in forma di private company, si finanzino, sin dalle fasi embrionali della propria iniziativa economica, ricorrendo al mercato dei capitali tramite portali on line. In questo caso, il fine è, in altri termini, quello di emancipare le start-up dalle tradizionali forme di finanziamento, che le vedono dipendere da investitori professionali: venture capitalists; business angels; banche. b) La seconda istanza, complementare alla prima, è di portata più generale e riguarda la semplificazione dei modelli societari nella prospettiva di facilitarne l’utilizzo da parte delle piccole e medie imprese. Si tratta di una istanza, da tempo coltivata negli Stati Uniti e recentemente anche dall’Unione europea13, che

11 Per una panoramica sul Jobs Act, v. Jobs Act Issue, in DULR on line, supplemento della Denver University Law Review, consultabile all’indirizzo http://www.denverlawreview.org/jobs-act-feature/. 12. Ai sensi della Rule 501(a) della Regulation D, 17 CFR 230.501(a), sono «accredited investors» le istituzioni finanziarie e gli individui che investono regolarmente più di 200.000 dollari all’anno o che hanno un patrimonio netto, esclusa l’abitazione principale, superiore a un milione di dollari. 13. La creazione di un ambiente favorevole alla nascita e allo sviluppo delle c.d. Small Medium Enterprises (SMEs) è individuata con sempre maggiore convinzione tra gli obiettivi strategici delle politiche dell’Unione relative alla crescita e alla competitività del Mercato Unico. In questa prospettiva la Commissione, dando attuazione al programma stilato nella Comunicazione COM(2008)394 del 25 luglio 2008, c.d. “Small Business Act”, nel giugno 2008, ha presentato al Consiglio una Proposta di Regolamento relativa allo statuto della Società Privata Europea (SPE), con il fine di facilitare la costituzione e l’operatività delle piccole e medie imprese nel Mercato Unico mediante l’offerta di un regime flessibile di diritto societario idoneo a ridurre, tanto in sede di costituzione quanto in fase di svolgimento dell’attività, i costi di adeguamento alle prescrizioni legali connessi

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Legislazione

ha già trovato attuazione nei principali ordinamenti del “vecchio continente”14 e che da noi è stata inaugurata dal d.l. n. 1/2012, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” (c.d. decreto “Sviluppo”, convertito nella l. n. 27/2012) ed è stata poi proseguita dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, recante “Misure urgenti per la crescita del Paese” (c.d. decreto “Crescita”, convertito, con modificazioni, nella l. 7 agosto 2012, n. 134), i quali, giustappunto nella prospettiva di favorire l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali15, hanno introdotto nell’ordinamento nazionale, rispettivamente, la

alle differenze tra i vari regimi nazionali. Ad oggi, pur essendo stato raggiunto un ampio accordo su gran parte del testo della Proposta di Regolamento, permangono divergenti punti di vista su aspetti importanti, quali la possibilità di istituire la sede legale in uno Stato diverso rispetto alla sede amministrativa, quella di stabilire liberamente il livello di partecipazione dei dipendenti e, soprattutto, di fissare il capitale sociale anche in un solo euro senza condizioni. In argomento, v. Hirte and Teichmann (eds.), The Euopean Private Company - Societas Privata Europaea (SPE), Berlin, 2012; Guidotti, The European Private Company: The Current Situation, in 13 German Law Jornal, 2012, p. 331 ss. 14 Nel Regno Unito, dove la limited company è stata da sempre caratterizzata da requisiti in tema di formazione e mantenimento del capitale molto laschi, il Company Act del 2006 ha eliminato il capitale sociale minimo. In Francia la loy 2003-721 del 1°.8.2003 ha abrogato l’obbligo del capitale minimo per la societé à responsabilité limitée (prima fissato in euro 7.500,00), consentendone la costituzione anche con un capitale di un centesimo di euro. La loy 4.8.2008 ha poi introdotto la medesima regola per la societé par actions simplifiée e dal 2011 è stata inserita la possibilità di esercitare un’impresa individuale a responsabilità limitata tramite la figura de l’entepreneur individuel à responsabilité limitée. In Germania, nel 2008, il c.d. MoMiG (Gesetz zur Modernisierung des GmbH-Rechts und zur Bekämpfung von Missbräuchen) ha inserito nell’ordinamento una variante della GmbH, chiamata Unternehmergesellschaft (letteralmente società dell’imprenditore) ed indentificata dall’acronimo UG, per la quale è previsto che il capitale sociale, che deve essere interamente versato in danaro all’atto della costituzione e che può essere detenuto sia da persone fisiche sia da persone giuridiche, deve essere minimo di 1 euro, in luogo dei 25.000,00 euro individuati quale capitale legale minimo della GbmH. Una variante agevolata della Société privé à responsabilité limitée (SPRL), dal 2010, è altresì prevista anche in Belgio, dove la loy 12.1.2010 ha introdotto la Société privé à responsabilité limitée – Starter (Sprl-S), società con una durata massima di cinque anni, cui possono partecipare solo persone fisiche ed il cui capitale sociale minimo è ridotto da 18.549,00 euro ad 1 euro. In Spagna, in un primo momento, la ley 1.4.2003, n. 7 aveva previsto una subfattispecie di sociedad a responsabilidad limitada, chiamata sociedad limitada nueva empresa, il cui capitale minimo era fissato in tremila euro e per la quale era prevista l’adozione di un modello di statuto standard. Oggi, la Ley 27.9.2013, n. 14, de apoyo a los emprendedores y su internacionalización (c.d. “Ley de emprendedores”), per un verso, ha modificato la Ley de sociedades de capital (Real decreto legislativo n. 1/2010), abbassando il capitale minimo per tutte le s.r.l. a tremila euro, e, per altro verso, ha previsto la possibilità che le s.r.l., rispettando un peculiare regime (quello delle “socie-

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figura della “società a responsabilità limitata semplificata”, mediante l’aggiunta dell’art. 2463-bis nel codice civile, e quella della “società a responsabilità limitata a capitale ridotto”, collocata invece al di fuori del codice16: la prima, pensata come modello di s.r.l. destinato ai giovani minori di trentacinque anni e caratterizzata dallo snellimento della disciplina tanto in punto di costituzione, quanto in punto di misura del capitale minimo, cui fa da contraltare una certa rigidità statutaria; la seconda, caratterizzata principalmente dall’intervento sulla misura del capitale minimo, pensata per incentivare l’avvio e l’esercizio dell’impresa in forma societaria per i maggiori di anni trentacinque. Modelli, quelli appena ci-

dades en régimen de formación”), che prevede tra l’altro una riserva legale potenziata, limiti alla distribuzione di dividendi e un cap alle retribuzioni degli amministratori e dei soci, possano costituirsi con un capitale inferiore al minimo legale. La medesima legge n. 14/2013 ha peraltro introdotto nell’ordinamento spagnolo la figura del emprendedor de responsabilidad limitada. 15. Questa finalità emerge chiaramente dalle relazioni di accompagnamento ai due provvedimenti citati nel testo. Ed infatti, la Relazione di accompagnamento al d.l. n. 1/2012 chiarisce che con la “società a responsabilità limitata semplificata” si intende facilitare l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro attraverso l’allentamento o il superamento di alcuni dei vincoli propri dell’organizzazione dell’attività di impresa in forma di società di capitali. D’atra parte, in prospettiva analoga, nella Relazione di accompagnamento al d.l. n. 83/2012 si individua nella “società a responsabilità limitata a capitale ridotto” lo strumento per migliorare la posizione del nostro Paese nella classifica “Doing business”, nella quale i singoli paesi sono valutati in relazione alla facilità con la quale è in essi possibile avviare e portare avanti una iniziativa imprenditoriale. Del resto, come è stato puntualmente notato (Guidotti e Pederzini, La società a responsabilità limitata a capitale ridotto, in www.ilcaso.it, sez. II – Dottrina e opinioni, doc. n. 308/2012 nonché in Bione, Guidotti e Pederzini, a cura di, La nuova società a responsabilità limitata, in Trattato di dir. comm. e dir. pubb. econ. diretto da Galgano, LXV, Padova, 2012), in una prospettiva ancor più ampia, le iniziative legislative citate nel testo si pongono tutte un obiettivo che il legislatore italiano espressamente persegue sin dalla riforma del diritto societario del 2003: favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese. 16. La “società a responsabilità limitata semplificata” è disciplinata dall’art. 2463-bis c.c., introdotto nel codice civile dall’art. 3, d.l. 1/2012; la “società a responsabilità limitata a capitale ridotto” è stata invece introdotta e disciplinata dall’art. 44, d.l. n. 83/2012. Come si precisa subito infra nel testo, su entrambi i fronti è intervenuto il legislatore del 2013 (d.l. n. 76/2013), modificando la disposizione codicistica e abrogando l’art. 44, d.l. n. 83/2012. Sulla s.r.l. “semplificata” e “a capitale ridotto”, prima di quest’ultimo intervento, v. M. Cian, S.r.l., s.r.l. semplificata, s.r.l. a capitale ridotto. Una nuova geometria del sistema o un sistema disarticolato?, in Riv. soc., 2012, p. 1101 ss.; M. Rescigno, La società a responsabilità limitata a capitale ridotto e semplificata (art. 2463 bis c.c; art. 44 d.l. n. 83/12; d.m. giustizia 23 giugno 2012, n. 138), in Nuove leggi civ., 2013, p. 65 ss.; Ferri Jr., Prime osservazioni in tema di società a responsabilità limitata semplificata e di società a responsabilità limitata a capitale ridotto, Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 221-2013/I, approvato dalla Commissione Studi d’impresa il 19 febbraio 2013, pubblicato anche in Riv. dir. comm., 2013, II, p. 135 ss.

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tati, che, peraltro, a breve distanza dal loro inserimento nell’ordinamento, sono stati oggetto di profondo ripensamento ad opera dell’art. 9, commi 13-15-bis, d.l. n. 76/2013, che, per un verso, ha modificato l’art. 2463-bis, facendo della s.r.l. semplificata un modello adottabile indipendentemente dall’età dei soci, e, per altro verso e correlativamente, ha espunto dall’ordinamento la s.r.l. a capitale ridotto, abbassando al contempo il capitale minimo per tutte le s.r.l., che, infatti, oggi, a certe condizioni, possono costituirsi ed operare con un capitale anche di un solo euro17. 2. In questo contesto si colloca il decreto d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. decreto “Crescita 2.0”, convertito con modificazioni nella l. 17 dicembre 2012, n. 221 e successivamente ulteriormente modificato dal d.l. 28 giugno 2013, n. 76), il quale, dando diretta attuazione alla prima delle sopra segnalate istanze di politica legislativa e soddisfacendo in via complementare anche la seconda, pone il legislatore italiano, per una volta, in anticipo non soltanto rispetto a quello comunitario, ma anche ai legislatori di tutti gli altri Stati membri, sulla scia del legislatore statunitense, e segnatamente di alcune delle scelte di policy che hanno condotto all’introduzione del JOBS Act. La Sezione IX del d.l. n. 179/2012 (artt. 25-32), infatti, dando seguito a quanto stabilito nel “Programma Nazionale di Riforma” allegato al “Documento di economia e finanza 2012”18, a sua volta ispirato alle raccomandazioni e agli orientamenti del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea19, nella dichiarata prospettiva di favorire «la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, in particolare giovanile», appresta una disciplina di privilegio, nella quale le deroghe al diritto comune coprono ambiti disciplinari che vanno dal diritto delle società20, al diritto del mercato finanziario21,

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Marasà, Consideazioni sulle nuove s.r.l.: semplificate, s.r.l. ordinarie e start up prima e dopo la l. 99/213 di conversione del d.l. n. 76/2013, in Società, 2013, p. 1095 ss.; Spolidoro, Una società a responsabilità limitata da tre soldi (o da un euro)?, in Riv. soc., 2013, p. 1088 ss. 18. Cfr. Ministero dell’Economia e delle Finanze, Documento di economia e finanza 2012, Sezione III, Programma Nazionale di Riforma, presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro delle Finanze Mario Monti al Consiglio dei Ministri il 18 aprile 2012. 19. Cfr. Council Recommendation of 12 July 2011 on the National Reform Programme 2011 of Italy and delivering a Council opinion on the Updated Stability Programme of Italy, 2011-2014; Dichiarazione del Vertice Euro, 26 ottobre 2011; Communication from the Commission, COM(2011)815, Annual Growth Survey 2012; nonché Progress Report on the Europe 2020 Strategy, allegato alla Comunicazione COM(2011)815. 20 Cfr. art. 26, d.lgs. n. 179/2012. 21 Cfr. art. 30 d.lgs. n. 179/2012.

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al diritto fallimentare22, fino al diritto del lavoro23 e al diritto tributario24. A tale regime privilegiato possono accedere, per un periodo massimo di quattro anni, le imprese di nuova costituzione o costituite da non più di quarantotto mesi, che esercitano in via esclusiva o prevalente attività economiche innovative e ad alto tasso tecnologico nelle forme delle società di capitali, della società cooperativa o della società europea (residente in Italia), le cui partecipazioni non siano quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione, quando soddisfino certi requisiti25 e assolvano i prescritti oneri pubblicitari in apposita sezione speciale del Registro delle imprese26. Accanto a dette imprese, definite – anche e proprio in relazione alla fase iniziale e all’oggetto dell’iniziativa imprenditoriale – «imprese start-up innovative», il decreto n. 179/2012 ha poi disciplinato due ulteriori figure. Si tratta dell’«incubatore di start-up innovative certificato» e del «gestore di portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative», concepiti, come del resto emerge già dalla terminologia utilizzata, quali soggetti destinati a svolgere un ruolo servente rispetto alle start-up: il primo in relazione all’avvio e allo sviluppo dell’attività da esse esercitata; il secondo in relazione al finanziamento delle stesse mediante il ricorso al mercato dei capitali realizzato tramite la rete inter-

22

Cfr. art. 31, co. 1, 2 e 3, d.lgs. n. 179/2012. Cfr. art. 28 d.lgs. n. 179/2012. 24 Cfr. artt. 27 e 29 d.lgs. n. 179/2012. 25. Precisamente: a) sede principale di affari e interessi in Italia; b) genesi diversa da fusione o scissione societaria; c) complesso aziendale non formatosi a seguito di cessione di azienda o ramo di azienda; d) assenza di distribuzione degli utili; e) valore della produzione inferiore a cinque milioni di euro dopo il secondo esercizio; f) investimento in ricerca e sviluppo (in misura pari o superiore al 15% del maggior valore tra fatturato e valore delle produzione) o alternativamente impiego di personale qualificato (dottori di ricerca, dottorandi o laureati che svolgano attività di ricerca da almeno tre anni, in misura pari o superiore a 1/3 del totale degli occupati, ovvero titolari di laurea magistrale, in misura pari o superiore a 2/3 del totale degli occupati) o, sempre in alternativa, titolarità o disponibilità di una privativa industriale o titolarità dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario, in entrambi i casi direttamente connessi all’oggetto dell’attività di impresa esercitata. 26. Per un primo esame della disciplina recata dal d.l. n. 179/2012, sebbene nella precipua prospettiva di riflettere sulle s.r.l. “start-up innovative” in relazione alle discipline di esenzione dal diritto comune alla stessa accessibili, v. Spada e Maltoni, L’impresa start up innovativa costituita in società a responsabilità limitata, 27.2.2013, reperibile sul sito web www.cavererespondere.it.; nonché Assonime, Circolare 11/2013, Le imprese start up innovative, in Riv. soc., 2013, p. 776 ss. Il tema è stato peraltro già oggetto di uno studio monografico, nonché, con diverso grado di approfondimento, da diversi contributi, centrati soprattutto sul crowdfunding: Fregonara, Le imprese start-up innovative, Milano, 2013; Bollettinari, Il crowdfunding: la raccolta del capitale tramite piattaforme online nella prassi e nella recente legislazione, in Il nuovo diritto delle società, n. 2/2013, p. 9 ss. 23

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net, il c.d. “crowdfunding”. Un ruolo che giustifica, anche per questi soggetti, un trattamento normativo privilegiato, rappresentato, per l’incubatore certificato, dalla possibilità di avvalersi di alcune delle deroghe apprestate per le start-up, e, per i gestori di portali, dalla sottrazione al regime ordinariamente applicabile ai prestatori di servizi e attività di investimento e dalla sottoposizione al regime scaturente dall’introduzione nel t.u.f., ad opera del medesimo decreto n. 179/2012, degli artt. 50-quinques («Gestione di portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative») e 100-ter («Offerte attraverso portali per la raccolta di capitali»), ai quali la Consob ha dato attuazione con il Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line, adottato con delibera n. 18592 del 26 giugno 201327. 3. I regimi privilegiati predisposti dal decreto in parola si muovono essenzialmente in tre direzioni: quella di consentire che la situazione di sovraindebitamento delle start‑up possa essere gestita come un evento tendenzialmente fisiologico; quella di agevolare la raccolta di mezzi finanziari propri; quella di ridurre i costi di gestione dell’impresa, in primis quelli legati al personale e al carico tributario. Volendo fare un cento a qualcuno di tali regimi, vengono innanzi tutto in evidenza le deroghe al diritto societario comune di generale applicazione, ossia quelle utilizzabili da tutte le start‑up innovative indipendentemente dal tipo sociale adottato. Tali deroghe hanno ad oggetto la disciplina sulla riduzione del capitale per perdite di cui agli articoli 2446 e 2482‑bis c.c., nonché la disciplina sulla riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale di cui agli artt. 2447 e 2482‑ter c.c. e sono orientate a differire di un anno il momento in cui l’assemblea (o il consiglio di sorveglianza) deve assumere, rispettivamente, la deliberazioni di riduzione del capitale o quella di riduzione del capitale e di contestuale aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al minimo legale, essendo peraltro prevista la sospensione, per lo stesso periodo, della causa di scioglimento di cui all’art. 2484, co. 1, n. 4, c.c. Di portata generale è poi anche la regola che, escludendo le start‑up innovative dall’ambito soggettivo di applicazione delle procedure concorsuali diverse da quelle contemplate dal capo II della legge n. 3/2012 (recante la disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento), rimette alla volontà dell’imprenditore innovativo in crisi l’assoggettamento dello stesso al concorso28. Più nutrite le deroghe al regime di diritto comune delle s.r.l., le quali sono votate in primo luogo a consentire alle start‑up innovative che adottano tale

27.

Il regolamento è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 162 del 12 luglio 2013. Ai sensi della l. n. 3/2012, infatti, l’attivazione del procedimento di composizione della crisi mediante un accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 7, co. 1), così come della procedura di liquidazione di tutto il patrimonio del debitore (14-ter, co. 1), rappresentano mere facoltà di quest’ultimo, che è peraltro l’unico legittimato. 28

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tipo sociale di assumere una struttura finanziaria che mima quella delle s.p.a., con la conseguente possibilità di rivolgersi in vario modo al mercato per la raccolta di capitali. In questa chiave va letta la possibilità di creare, anche in deroga all’art. 2468, co. 2 e 3, c.c., categorie di quote fornite di diritti diversi, anche attraverso la modulazione del diritto di voto (in tal caso in deroga all’art. 2479, co. 5, c.c.), nonché la possibilità che le quote, in deroga all’art. 2468, co. 1, cc., siano fatte oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari. Quanto poi ai regimi privilegiati che incidono sul diritto del mercato finanziario, per un verso, va segnalata l’introduzione della possibilità, per tutte le start‑up innovative, di ricorrere al mercato del capitale di rischio mediante portali internet, la cui gestione si qualifica come attività riservata, esercitabile, oltre che dalle banche e dalle imprese di investimento, anche da soggetti ‑ i già citati gestori di portali ‑ destinatari di una disciplina ad hoc, contenuta nel sopra citato Regolamento Consob n. 18592, che si risolve in uno statuto semplificato o, se si vuole, depotenziato rispetto a quello applicabile, ai sensi del t.u.f., agli intermediari che prestano servizi ed attività di investimento. Per altro verso, va segnalata la circostanza che il ricorso al mercato del capitale di rischio realizzato tramite portali internet è assoggettato ad una disciplina dell’offerta al pubblico, anch’essa contenuta nel Regolamento Consob n. 18592, che nella sostanza si qualifica come una editio minor di quella generalmente applicabile ai sensi del t.u.f. alle offerte al pubblico di prodotti finanziari. 4. Il quadro normativo che discende dai provvedimenti in discorso è dunque particolarmente articolato ed esige di essere analizzato in relazione ai singoli ambiti sui quali interviene, tra i quali in primo luogo quelli del diritto societario e del diritto del mercato finanziario, ciò che evidentemente non è possibile fare in questa sede. In termini generali, si può però notare come le misure in discorso, limitando il proprio campo di applicazione ad una specifica categorie di start-up, quelle “innovative”, per un verso si differenziano dall’omologo provvedimento statunitense, che reca invece misure in grado di agevolare il reperimento di capitali da parte di tutte le start-up, e per altro verso e soprattutto, creano una asimmetria nell’ordinamento interno in relazione all’ambito di applicazione delle misure adottate nella prospettiva della semplificazione dei modelli societari. Ciò con ricadute di non poco momento sull’effettiva portata della complementarietà tra le accresciute possibilità di finanziamento che conseguono alle norme in tema di start-up innovative e la disciplina dei nuovi modelli societari privilegiati (s.r.l.s. e s.r.l. ordinaria a capitale minimo un euro), pensati anch’essi per favorire l’avvio di nuove attività imprenditoriali, senza tuttavia limiti di utilizzabilità legati all’oggetto sociale. Sempre in termini generali, va poi notato che le misure in parola pongono questioni di particolare respiro tanto sul piano tipologico, specie con riferimento ai soggetti e all’oggetto dell’appello al pubblico risparmio, quanto sul piano delle possibili ricadute in punto di tutela dei terzi, con i quali l’impresa start-

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up innovativa, direttamente o per il tramite dei gestori di portali, è destinata a venire in contatto. E basti considerare i problemi che si pongono in relazione alla qualificazione delle start-up innovative che fanno appello al pubblico risparmio, società per definizione “non quotate”, ma di cui occorre ricostruire il profilo in positivo quando, come ben potrebbe accadere, non possano ricondursi alla sotto-categoria normativa delle “società con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante”, attesa l’evidente inadeguatezza della loro eventuale collocazione tra le c.d. “società chiuse”, essendo – anche qui – per definizione vero il contrario. Problemi questi, che si complicano ulteriormente quando si tratti di qualificare una start-up costituita in forma di s.r.l., attesa, in tal caso, per un verso, l’assenza di referenti normativi che diano rilievo alla diffusione tra il pubblico delle quote, e, per altro verso, la ancora più evidente inadeguatezza della disciplina codicistica del tipo, in quanto pensata per società in ogni caso “chiuse”. [Vincenzo Caridi]

I D.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni nella l. 17 dicembre 2012, n. 221 e successivamente ulteriormente modificato dall’art. 9, co. 16 e 16-bis del d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, anch’esso con modificazioni, nella l. 9 agosto 2013, n. 99* – Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese (Omissis) Sezione IX Misure per la nascita e lo sviluppo di imprese start-up innovative Art. 25 Start-up innovativa e incubatore certificato: finalità, definizione e pubblicità 1. Le presenti disposizioni sono dirette a favorire la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, in particolare giovanile, con riguardo alle imprese start-up innovative, come definite al successivo comma 2 e coerentemente con quanto individuato nel Programma nazionale di riforma 2012, pubblicato in allegato al Documento di economia e finanza (DEF) del 2012 e con le raccomandazioni e gli orientamenti formulati dal Consiglio dei Ministri dell’Unione europea. Le disposizioni della presente sezione intendono contestualmente contribuire allo sviluppo di nuova cultura imprenditoriale, alla creazione di un contesto maggiormente favorevole all’innovazione, così come a promuovere maggiore mobilità sociale e ad attrarre in Italia talenti, imprese innovative e capitali dall’estero.

*

Le modifiche apportate dal d.l. n. 76/2013, convertito nella l. 99/2013, sono evidenziate tra doppia parentesi e in neretto.

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2. Ai fini del presente decreto, l’impresa start-up innovativa, di seguito «startup innovativa», è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede i seguenti requisiti: a) ((lettera soppressa dal d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 99)); b) è costituita e svolge attività d’impresa da non più di quarantotto mesi; c) ha la sede principale dei propri affari e interessi in Italia; d) a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro; e) non distribuisce, e non ha distribuito, utili; f) ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico; g) non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda; h) possiede almeno uno dei seguenti ulteriori requisiti: 1) le spese in ricerca e sviluppo sono ((uguali o superiori al 15 per cento)) del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start-up innovativa. Dal computo per le spese in ricerca e sviluppo sono escluse le spese per l’acquisto e la locazione di beni immobili. Ai fini di questo provvedimento, in aggiunta a quanto previsto dai principi contabili, sono altresì da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo: le spese relative allo sviluppo precompetitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan, le spese relative ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso. Le spese risultano dall’ultimo bilancio approvato e sono descritte in nota integrativa. In assenza di bilancio nel primo anno di vita, la loro effettuazione è assunta tramite dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante della start-up innovativa; 2) impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero ((, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270));

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3) sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ((ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali privative siano)) direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa. 3. Le società già costituite alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e in possesso dei requisiti previsti dal comma 2, sono considerate start-up innovative ai fini del presente decreto se ((...)) depositano presso l’Ufficio del registro delle imprese, di cui all’articolo 2188 del codice civile, una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale che attesti il possesso dei requisiti previsti dal comma 2. In tal caso, la disciplina di cui alla presente sezione trova applicazione per un periodo di quattro anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, se la start-up innovativa è stata costituita entro i due anni precedenti, di tre anni, se è stata costituita entro i tre anni precedenti, e di due anni, se è stata costituita entro i quattro anni precedenti. 4. Ai fini del presente decreto, sono start-up a vocazione sociale le start-up innovative di cui al comma 2 e 3 che operano in via esclusiva nei settori indicati all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155. 5. Ai fini del presente decreto, l’incubatore di start-up innovative certificato, di seguito: «incubatore certificato» è una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative ed è in possesso dei seguenti requisiti: a) dispone di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca; b) dispone di attrezzature adeguate all’attività delle start-up innovative, quali sistemi di accesso in banda ultralarga alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi; c) è amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e ha a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente; d) ha regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative; e) ha adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative, la cui sussistenza è valutata ai sensi del comma 7. 6. Il possesso dei requisiti di cui alle lettere a), b), c), d) del comma 5 è autocertificato dall’incubatore di start-up innovative, mediante dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale, al momento dell’iscrizione alla sezione speciale del registro delle imprese di cui al comma 8, sulla base di indicatori e relativi valori minimi che sono stabiliti con decreto del Ministero dello sviluppo

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economico da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 7. Il possesso del requisito di cui alla lettera e) del comma 5 è autocertificato dall’incubatore di start-up innovative, mediante dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale presentata al registro delle imprese, sulla base di valori minimi individuati con il medesimo decreto del Ministero dello sviluppo economico di cui al comma 6 con riferimento ai seguenti indicatori: a) numero di candidature di progetti di costituzione e/o incubazione di startup innovative ricevute e valutate nel corso dell’anno; b) numero di start-up innovative avviate e ospitate nell’anno; c) numero di start-up innovative uscite nell’anno; d) numero complessivo di collaboratori e personale ospitato; e) percentuale di variazione del numero complessivo degli occupati rispetto all’anno, precedente; f) tasso di crescita media del valore della produzione delle start-up innovative incubate; g) capitali di rischio ovvero finanziamenti, messi a disposizione dall’Unione europea, dallo Stato e dalle regioni, raccolti a favore delle start-up innovative incubate; h) numero di brevetti registrati dalle start-up innovative incubate, tenendo conto del relativo settore merceologico di appartenenza. 8. Per le start-up innovative di cui ai commi 2 e 3 e per gli incubatori certificati di cui al comma 5, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura istituiscono una apposita sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 2188 del codice civile, a cui la start-up innovativa e l’incubatore certificato devono essere iscritti al fine di poter beneficiare della disciplina della presente sezione. 9. Ai fini dell’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui al comma 8, la sussistenza dei requisiti per l’identificazione della start-up innovativa e dell’incubatore certificato di cui rispettivamente al comma 2 e al comma 5 è attestata mediante apposita autocertificazione prodotta dal legale rappresentante e depositata presso l’ufficio del registro delle imprese. 10. La sezione speciale del registro delle imprese di cui al comma 8 consente la condivisione, nel rispetto della normativa sulla tutela dei dati personali, delle informazioni relative, per la start-up innovativa: all’anagrafica, all’attività svolta, ai soci fondatori e agli altri collaboratori, al bilancio, ai rapporti con gli altri attori della filiera quali incubatori o investitori; per gli incubatori certificati: all’anagrafica, all’attività svolta, al bilancio, così come ai requisiti previsti al comma 5. 11. Le informazioni di cui al comma 12, per la start-up innovativa, e 13, per l’incubatore certificato, sono rese disponibili, assicurando la massima trasparenza e accessibilità, per via telematica o su supporto informatico in formato tabellare gestibile da motori di ricerca, con possibilità di elaborazione e ripubblicazione gratuita da parte di soggetti terzi. Le imprese start-up innovative e gli incubatori certificati assicurano l’accesso informatico alle suddette informazioni dalla home page del proprio sito Internet.

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12. La start-up innovativa è automaticamente iscritta alla sezione speciale del registro delle imprese di cui al comma 8, a seguito della compilazione e presentazione della domanda in formato elettronico, contenente le seguenti informazioni: a) data e luogo di costituzione, nome e indirizzo del notaio; b) sede principale ed eventuali sedi periferiche; c) oggetto sociale; d) breve descrizione dell’attività svolta, comprese l’attività e le spese in ricerca e sviluppo; e) elenco dei soci, con trasparenza rispetto a fiduciarie, holding, con autocertificazione di veridicità; f) elenco delle società partecipate; g) indicazione dei titoli di studio e delle esperienze professionali dei soci e del personale che lavora nella start-up innovativa, esclusi eventuali dati sensibili; h) indicazione dell’esistenza di relazioni professionali, di collaborazione o commerciali con incubatori certificati, investitori istituzionali e professionali, università e centri di ricerca; i) ultimo bilancio depositato, nello standard XBRL; l) elenco dei diritti di privativa su proprietà industriale e intellettuale. 13. L’incubatore certificato è automaticamente iscritto alla sezione speciale del registro delle imprese di cui al comma 8, a seguito della compilazione e presentazione della domanda in formato elettronico, contenente le seguenti informazioni recanti i valori degli indicatori, di cui ai commi 6 e 7, conseguiti dall’incubatore certificato alla data di iscrizione: a) data e luogo di costituzione, nome e indirizzo del notaio; b) sede principale ed eventuali sedi periferiche; c) oggetto sociale; d) breve descrizione dell’attività svolta; e) elenco delle strutture e attrezzature disponibili per lo svolgimento della propria attività; f) indicazione delle esperienze professionali del personale che amministra e dirige l’incubatore certificato, esclusi eventuali dati sensibili; g) indicazione dell’esistenza di collaborazioni con università e centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari; h) indicazione dell’esperienza acquisita nell’attività di sostegno a start-up innovative. 14. Le informazioni di cui ai commi 12 e 13 debbono essere aggiornate con cadenza non superiore a sei mesi e sono sottoposte al regime di pubblicità di cui al comma 10. 15. Entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio e comunque entro sei mesi dalla chiusura di ciascun esercizio, il rappresentante legale della start-up innovativa o dell’incubatore certificato attesta il mantenimento del possesso dei requisiti previsti rispettivamente dal comma 2 e dal comma 5 e deposita tale dichiarazione presso l’ufficio del registro delle imprese.

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16. Entro 60 giorni dalla perdita dei requisiti di cui ai commi 2 e 5 la start-up innovativa o l’incubatore certificato sono cancellati d’ufficio dalla sezione speciale del registro delle imprese di cui al presente articolo, permanendo l’iscrizione alla sezione ordinaria del registro delle imprese. Ai fini di cui al periodo precedente, alla perdita dei requisiti è equiparato il mancato deposito della dichiarazione di cui al comma 15. Si applica l’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 2004, n. 247. 17. Le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, provvedono alle attività di cui al presente articolo nell’ambito delle dotazioni finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente. Art. 26 Deroga al diritto societario e riduzione degli oneri per l’avvio 1. Nelle start-up innovative il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo stabilito dagli articoli 2446, comma secondo, e 2482-bis, comma quarto, del codice civile, è posticipato al secondo esercizio successivo. Nelle start-up innovative che si trovino nelle ipotesi previste dagli articoli 2447 o 2482-ter del codice civile l’assemblea convocata senza indugio dagli amministratori, in alternativa all’immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, può deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura dell’esercizio successivo. Fino alla chiusura di tale esercizio non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, punto n. 4), e 2545-duodecies del codice civile. Se entro l’esercizio successivo il capitale non risulta reintegrato al di sopra del minimo legale, l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve deliberare ai sensi degli articoli 2447 o 2482-ter del codice civile. 2. L’atto costitutivo della start-up innovativa costituita in forma di società a responsabilità limitata può creare categorie di quote fornite di diritti diversi e, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle varie categorie anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 2468, commi secondo e terzo, del codice civile. 3. L’atto costitutivo della società di cui al comma 2, anche in deroga ((all’articolo 2479, quinto comma)), del codice civile, può creare categorie di quote che non attribuiscono diritti di voto o che attribuiscono al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione da questi detenuta ovvero diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. 4. Alle start-up innovative di cui all’articolo 25 comma 2, non si applica la disciplina prevista per le società di cui all’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e all’articolo 2, commi da 36-decies a 36-duodecies del decretolegge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 5. In deroga a quanto previsto dall’articolo 2468, comma primo, del codice civile, le quote di partecipazione in start- up innovative costituite in forma di

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società a responsabilità limitata possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali di cui all’articolo 30 del presente decreto, nei limiti previsti dalle leggi speciali. 6. Nelle start-up innovative costituite in forma di società a responsabilità limitata, il divieto di operazioni sulle proprie partecipazioni stabilito dall’articolo 2474 del codice civile non trova applicazione qualora l’operazione sia compiuta in attuazione di piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell’organo amministrativo, prestatori di opera e servizi anche professionali. 7. L’atto costitutivo delle società di cui all’articolo 25, comma 2, e degli incubatori certificati di cui all’articolo 25 comma 5 può altresì prevedere, a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, l’emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nelle decisioni dei soci ai sensi degli articoli 2479 e 2479-bis del codice civile. 8. La start-up innovativa e l’incubatore certificato dal momento della loro iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 25 comma 8, sono esonerati dal pagamento dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria dovuti per gli adempimenti relativi alle iscrizioni nel registro delle imprese, nonché dal pagamento del diritto annuale dovuto in favore delle camere di commercio. L’esenzione è dipendente dal mantenimento dei requisiti previsti dalla legge per l’acquisizione della qualifica di start-up innovativa e di incubatore certificato e dura comunque non oltre il quarto anno di iscrizione. Art. 27 Remunerazione con strumenti finanziari della start-up innovativa e dell’incubatore certificato 1. Il reddito di lavoro derivante dall’assegnazione, da parte delle start-up innovative di cui all’articolo 25, comma 2, e degli incubatori certificati di cui all’articolo 25, comma 5, ai propri amministratori, dipendenti o collaboratori continuativi di strumenti finanziari o di ogni altro diritto o incentivo che preveda l’attribuzione di strumenti finanziari o diritti similari, nonché dall’esercizio di diritti di opzione attribuiti per l’acquisto di tali strumenti finanziari, non concorre alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti, sia ai fini fiscali, sia ai fini contributivi, a condizione che tali strumenti finanziari o diritti non siano riacquistati dalla start-up innovativa o dall’incubatore certificato, dalla società emittente o da qualsiasi soggetto che direttamente controlla o è controllato dalla start-up innovativa o dall’incubatore certificato, ovvero è controllato dallo stesso soggetto che controlla la start-up innovativa o l’incubatore certificato. Qualora gli strumenti finanziari o i diritti siano ceduti in contrasto con tale disposizione, il reddito di lavoro che non ha previamente concorso alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti è assoggettato a tassazione nel periodo d’imposta in cui avviene la cessione. 2. L’esenzione di cui al comma 1 si applica esclusivamente con riferimento all’attribuzione di azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o diritti emessi

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dalla start-up innovativa e dall’incubatore certificato con ((i quali)) i soggetti suddetti intrattengono il proprio rapporto di lavoro, nonché di quelli emessi da società direttamente controllate da una start-up innovativa o da un incubatore certificato. 3. L’esenzione di cui al comma 1 trova applicazione con riferimento al reddito di lavoro derivante dagli strumenti finanziari e dai diritti attribuiti e assegnati ovvero ai diritti di opzione attribuiti e esercitati dopo la ((data di entrata in vigore della legge di conversione)) del presente decreto. 4. Le azioni, le quote e gli strumenti finanziari partecipativi emessi a fronte dell’apporto di opere e servizi resi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati, ovvero di crediti maturati a seguito della prestazione di opere e servizi, ivi inclusi quelli professionali, resi nei confronti degli stessi, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del soggetto che effettua l’apporto, anche in deroga all’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, al momento della loro emissione o al momento in cui è operata la compensazione che tiene luogo del pagamento. 5. Le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso degli strumenti finanziari di cui al presente articolo sono assoggettate ai regimi loro ordinariamente applicabili. Art. 27-bis (( (Misure di semplificazione per l’accesso alle agevolazioni per le assunzioni di personale nelle start-up innovative e negli incubatori certificati). )) ((1. Alle start-up innovative e agli incubatori certificati di cui all’articolo 25 si applicano le disposizioni di cui all’articolo 24 del decretolegge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, con le seguenti modalità semplificate: a) il credito d’imposta è concesso al personale altamente qualificato assunto a tempo indeterminato, compreso quello assunto attraverso i contratti di apprendistato. Ai fini della concessione del credito d’imposta, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 8, 9 e 10 del citato articolo 24; b) il credito d’imposta è concesso in via prioritaria rispetto alle altre imprese, fatta salva la quota riservata di cui al comma 13-bis del predetto articolo 24. L’istanza di cui al comma 6 dello stesso articolo è redatta in forma semplificata secondo le modalità stabilite con il decreto applicativo di cui al comma 11 del medesimo articolo)). Art. 28 Disposizioni in materia di rapporto di lavoro subordinato in start-up innovative 1. Le disposizioni del presente articolo trovano applicazione per il periodo di 4 anni dalla data di costituzione di una start-up innovativa di cui all’articolo 25, comma 2, ovvero per il più limitato periodo previsto ((dal comma 3 del medesimo articolo 25)) per le società già costituite.

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2. Le ragioni di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, ((nonché le ragioni di cui all’articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276,)) si intendono sussistenti qualora il contratto a tempo determinato ((, anche in somministrazione,)) sia stipulato da una start-up innovativa per lo svolgimento di attività inerenti o strumentali all’oggetto sociale della stessa. 3. Il contratto a tempo determinato di cui al comma 2 può essere stipulato per una durata minima di sei mesi ed una massima di trentasei mesi ((, ferma restando la possibilità di stipulare un contratto a termine di durata inferiore a sei mesi, ai sensi della normativa generale vigente)). Entro il predetto limite di durata massima, più successivi contratti a tempo determinato possono essere stipulati, per lo svolgimento delle ((attività di cui al comma 2)), senza l’osservanza dei termini di cui all’articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, o anche senza soluzione di continuità. In deroga al predetto limite di durata massima di trentasei mesi, un ulteriore successivo contratto a tempo determinato tra gli stessi soggetti e sempre per lo svolgimento delle attività di cui al comma 2 può essere stipulato per la durata ((residua rispetto al periodo)) di cui al comma 1, a condizione che la stipulazione avvenga presso la Direzione ((provinciale)) del lavoro competente per territorio. ((I contratti stipulati ai sensi del presente comma sono in ogni caso esenti dalle limitazioni quantitative di cui all’articolo 10, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368)). 4. Qualora, per effetto di successione di contratti a termine stipulati a norma del ((presente articolo)), o comunque a norma del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, o di altre disposizioni di legge, il rapporto di lavoro tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi, comprensivi di proroghe o rinnovi, o la diversa maggiore durata stabilita a norma del comma 3, ed indipendentemente dagli eventuali periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. 5. La prosecuzione o il rinnovo dei contratti a termine di cui al presente articolo oltre la durata massima prevista dal medesimo articolo ovvero la loro trasformazione in contratti di collaborazione privi dei caratteri della prestazione d’opera o professionale, determinano la trasformazione degli stessi contratti in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 6. Per quanto non diversamente disposto dai precedenti commi, ai contratti a tempo determinato disciplinati dal presente articolo si applicano le disposizioni del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 ((, e del capo I del titolo III del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276)). 7. La retribuzione dei lavoratori assunti da una società di cui all’articolo 25, comma 2, è costituita da una parte che non può essere inferiore al minimo tabellare previsto, per il rispettivo livello di inquadramento, dal contratto collettivo applicabile, e ((...)) da una parte variabile, consistente in trattamenti collegati all’efficienza o alla redditività dell’impresa, alla produttività del lavoratore o del gruppo di lavoro, o ad altri obiettivi o parametri di rendimento concordati

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tra le parti, incluse l’assegnazione di opzioni per l’acquisto di quote o azioni della società e la cessione gratuita delle medesime quote o azioni. 8. I contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono definire ((in via diretta ovvero in via delegata ai livelli decentrati con accordi interconfederali o di categoria o avvisi comuni)): a) criteri per la determinazione di minimi tabellari specifici di cui al comma 7 funzionali alla promozione dell’avvio delle start-up innovative, nonché criteri per la definizione della parte variabile di cui al comma 7; b) disposizioni finalizzate all’adattamento delle regole di gestione del rapporto di lavoro alle esigenze delle start-up innovative, nella prospettiva di rafforzarne lo sviluppo e stabilizzarne la presenza nella realtà produttiva. 9. Nel caso in cui sia stato stipulato un contratto a termine ai sensi delle disposizioni di cui al presente articolo da una società che non risulti avere i requisiti di start-up innovativa di cui all’articolo 25 ((,commi 2 e 3)), il contratto si considera stipulato a tempo indeterminato e trovano applicazione le disposizioni derogate dal presente articolo. 10. Gli interventi e le misure di cui al presente articolo costituiscono oggetto di monitoraggio a norma e per gli effetti di cui all’articolo 1, commi 2 e 3, della legge 28 giugno 2012, n. 92, con specifico riferimento alla loro effettiva funzionalità di promozione delle start-up innovative di cui al presente decreto, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 32. Art. 29 Incentivi all’investimento in start-up innovative 1. Per gli anni ((2013, 2014, 2015 e 2016)), all’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche si detrae un importo pari al 19 per cento della somma investita dal contribuente nel capitale sociale di una o più start-up innovative direttamente ovvero per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio che investano prevalentemente in start-up innovative. 2. Ai fini di tale verifica, non si tiene conto delle altre detrazioni eventualmente spettanti al contribuente. L’ammontare, in tutto o in parte, non detraibile nel periodo d’imposta di riferimento può essere portato in detrazione dall’imposta sul reddito delle persone fisiche nei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il terzo. 3. L’investimento massimo detraibile ai sensi del comma 1, non può eccedere, in ciascun periodo d’imposta, l’importo di euro 500.000 e deve essere mantenuto per almeno due anni; l’eventuale cessione, anche parziale, dell’investimento prima del decorso di tale termine, comporta la decadenza dal beneficio e l’obbligo per il contribuente di restituire l’importo detratto, unitamente agli interessi legali. 4. Per i periodi d’imposta ((2013, 2014, 2015 e 2016)), non concorre alla formazione del reddito dei soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società, diversi da imprese start-up innovative, il 20 per cento della somma investita nel capitale sociale di una o più start-up innovative direttamente ovvero per il

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tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società che investano prevalentemente in start-up innovative. 5. L’investimento massimo deducibile ai sensi del comma 4 non può eccedere, in ciascun periodo d’imposta, l’importo di euro 1.800.000 e deve essere mantenuto per almeno due anni. L’eventuale cessione, anche parziale, dell’investimento prima del decorso di tale termine, comporta la decadenza dal beneficio ed il recupero a tassazione dell’importo dedotto, maggiorato degli interessi legali. 6. Gli organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società che investano prevalentemente in imprese start-up innovative non beneficiano dell’agevolazione prevista dai commi 4 e 5. 7. Per le start-up a vocazione sociale così come definite all’articolo 25, comma 4 e per le start-up che sviluppano e commercializzano esclusivamente prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico la detrazione di cui al comma 1 è pari al 25 per cento della somma investita e la deduzione di cui al comma 4 è pari al 27 per cento della somma investita. 8. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuate le modalità di attuazione delle agevolazioni previste dal presente articolo. 9. L’efficacia della disposizione del presente articolo è subordinata, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, all’autorizzazione della Commissione europea, richiesta a cura del Ministero dello sviluppo economico. Art. 30 Raccolta di capitali di rischio tramite portali on line e altri interventi di sostegno per le start-up innovative 1. All’articolo 1, dopo il comma 5-octies del testo unico delle disposizioni in materia finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, sono inseriti i seguenti: «5-novies. Per “portale per la raccolta di capitali per le start-up innovative” si intende una piattaforma online che abbia come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle start-up innovative, comprese le start-up a vocazione sociale. 5-decies. Per “start-up innovativa” si intende la società definita dall’articolo 25, comma 2, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179.». 2. Nella parte II, titolo III, dopo il capo III-ter del suddetto decreto è inserito il seguente: «Capo III-quater. Gestione di portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative. Articolo 50-quinquies (Gestione di portali per la raccolta di capitali per startup innovative). – 1. È gestore di portali il soggetto che esercita professionalmente il servizio di gestione di portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative ed è iscritto nel registro di cui al comma 2. 2. L’attività di gestione di portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative è riservata alle imprese di investimento e alle banche autorizzate

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ai relativi servizi di investimento nonché ai soggetti iscritti in un apposito registro tenuto dalla Consob, a condizione che questi ultimi trasmettano gli ordini riguardanti la sottoscrizione e la compravendita di strumenti finanziari rappresentativi di capitale esclusivamente a banche e imprese di investimento. Ai soggetti iscritti in tale registro non si applicano le disposizioni della parte II, titolo II, capo II e dell’articolo 32. 3. L’iscrizione nel registro di cui al comma 2 è subordinata al ricorrere dei seguenti requisiti: a) forma di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società cooperativa; b) sede legale e amministrativa o, per i soggetti comunitari, stabile organizzazione nel territorio della Repubblica; c) oggetto sociale conforme con quanto previsto dal comma 1; d) possesso da parte di coloro che detengono il controllo e dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo dei requisiti di onorabilità stabiliti dalla Consob; e) possesso da parte dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo, di requisiti di professionalità stabiliti dalla Consob. 4. I soggetti iscritti nel registro di cui al comma 2 non possono detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza di terzi. 5. La Consob determina, con regolamento, i principi e i criteri relativi: a) alla formazione del registro e alle relative forme di pubblicità; b) alle eventuali ulteriori condizioni per l’iscrizione nel registro, alle cause di sospensione, radiazione e riammissione e alle misure applicabili nei confronti degli iscritti nel registro; c) alle eventuali ulteriori cause di incompatibilità; d) alle regole di condotta che i gestori di portali devono rispettare nel rapporto con gli investitori, prevedendo un regime semplificato per i clienti professionali. 6. La Consob esercita la vigilanza sui gestori di portali per verificare l’osservanza delle disposizioni di cui al presente articolo e della relativa disciplina di attuazione. A questo fine la Consob può chiedere la comunicazione di dati e di notizie e la trasmissione di atti e di documenti, fissando i relativi termini, nonché effettuare ispezioni. 7. I gestori di portali che violano le norme del presente articolo o le disposizioni emanate dalla Consob in forza di esso, sono puniti, in base alla gravità della violazione e tenuto conto dell’eventuale recidiva, con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento a euro venticinquemila. Per i soggetti iscritti nel registro di cui al comma 2, può altresì essere disposta la sospensione da uno a quattro mesi o la radiazione dal registro. Si applicano i commi 2 e 3 dell’articolo 196. Resta fermo quanto previsto dalle disposizioni della parte II, titolo IV, capo I, applicabili alle imprese di investimento, alle banche, alle SGR e alle società di gestione armonizzate.». 3. Dopo l’articolo 100-bis, del decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998, è inserito il seguente: «Art. 100-ter (Offerte attraverso portali per la raccolta di capitali). – 1. Le offerte al pubblico condotte esclusivamente attraverso uno o più portali per la raccolta di capitali possono avere ad oggetto soltanto la sottoscrizione di strumenti finanziari emessi dalle start-up innovative e devono

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avere un corrispettivo totale inferiore a quello determinato dalla Consob ai sensi dell’articolo 100, comma 1, lettera c). 2. La Consob determina la disciplina applicabile alle offerte di cui al comma precedente, al fine di assicurare la sottoscrizione da parte di investitori professionali o particolari categorie di investitori dalla stessa individuate di una quota degli strumenti finanziari offerti, quando l’offerta non sia riservata esclusivamente a clienti professionali, e di tutelare gli investitori diversi dai clienti professionali nel caso in cui i soci di controllo della start-up innovativa cedano le proprie partecipazioni a terzi successivamente all’offerta.». 4. All’articolo 190, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, le parole: «ovvero in caso di esercizio dell’attività di consulente finanziario o di promotore finanziario in assenza dell’iscrizione negli albi di cui, rispettivamente, agli articoli 18-bis e 31.» sono sostituite dalle seguenti: «ovvero in caso di esercizio dell’attività di consulente finanziario, di promotore finanziario o di gestore di portali in assenza dell’iscrizione negli albi o nel registro di cui, rispettivamente, agli articoli 18-bis, 31 ((e 50-quinquies)).». 5. La Consob detta le disposizioni attuative del presente articolo entro 90 giorni dalla data di ((entrata in vigore della legge di conversione)) del presente decreto. 6. In favore delle start-up innovative, di cui all’articolo 25, comma 2 e degli incubatori certificati di cui all’articolo 25, comma 5, l’intervento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, di cui all’articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, è concesso gratuitamente e secondo criteri e modalità semplificati individuati con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di ((entrata in vigore della legge di conversione)) del presente decreto. Le modifiche riguardanti il funzionamento del Fondo devono complessivamente assicurare il rispetto degli equilibri di finanza pubblica. 7. Tra le imprese italiane destinatarie dei servizi messi a disposizione dall’ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, di cui all’articolo 14, comma 18, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, e dal Desk Italia di cui all’articolo 35 del presente decreto, sono incluse anche le start-up innovative di cui all’articolo 25, comma 2. L’Agenzia fornisce ai suddetti soggetti assistenza in materia normativa, societaria, fiscale, immobiliare, contrattualistica e creditizia. L’Agenzia provvede, altresì, a individuare le principali fiere e manifestazioni internazionali dove ospitare gratuitamente le start-up innovative, tenendo conto dell’attinenza delle loro attività all’oggetto della manifestazione. L’Agenzia sviluppa iniziative per favorire l’incontro delle start-up innovative con investitori potenziali per le fasi di early stage capital e di capitale di espansione. 8. L’ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane svolge le attività indicate con le risorse umane, strumentali e finanziarie, previste a legislazione vigente.

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Art. 31 Composizione e gestione della crisi nell’impresa start-up innovativa, decadenza dei requisiti e attività di controllo 1. La start-up innovativa non è soggetta a procedure concorsuali diverse da quelle previste dal capo II della legge 27 gennaio 2012, n. 3. 2. Decorsi dodici mesi dall’iscrizione nel registro delle imprese del decreto di apertura della liquidazione della start-up innovativa adottato a norma dell’articolo 14-quinquies della legge 27 gennaio 2012, n. 3, l’accesso ai dati relativi ai soci della stessa iscritti nel medesimo registro è consentito esclusivamente all’autorità giudiziaria e alle autorità di vigilanza. La disposizione di cui al primo periodo si applica anche ai dati dei titolari di cariche o qualifiche nella società che rivestono la qualità di socio. 3. La disposizione di cui al comma 2 si applica anche a chi organizza in banche dati le informazioni relative ai soci di cui al predetto comma. 4. Qualora la start-up innovativa perda uno dei requisiti previsti dall’articolo 25, comma 2, prima della scadenza dei quattro anni dalla data di costituzione, o del diverso termine previsto dal comma 3 dell’articolo 25 se applicabile, secondo quanto risultante dal periodico aggiornamento della sezione del registro delle imprese di cui ((all’articolo 25, comma 8, e in)) ogni caso, una volta decorsi quattro anni dalla data di costituzione, cessa l’applicazione della disciplina prevista nella presente sezione, incluse le disposizioni di cui all’articolo 28, ferma restando l’efficacia dei contratti a tempo determinato stipulati dalla start-up innovativa sino alla scadenza del relativo termine. Per la start- up innovativa costituita in forma di società a responsabilità limitata, le clausole eventualmente inserite nell’atto costitutivo ai sensi dei commi 2, 3 e 7 dell’articolo 26, mantengono efficacia limitatamente alle quote di partecipazione già sottoscritte e agli strumenti finanziari partecipativi già emessi. 5. Allo scopo di vigilare sul corretto utilizzo delle agevolazioni e sul rispetto della disciplina di cui alla presente sezione, il Ministero dello sviluppo economico può avvalersi del Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie della Guardia di finanza, secondo le modalità previste dall’articolo 25 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. Art. 32 Pubblicità e valutazione dell’impatto delle misure 1. Al fine di promuovere una maggiore consapevolezza pubblica, in particolare presso i giovani delle scuole superiori, degli istituti tecnici superiori e delle università, sulle opportunità imprenditoriali legate all’innovazione e alle materie oggetto della presente sezione, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministero dello sviluppo economico, promuove, entro 60 giorni dalla data di ((entrata in vigore della legge di conversione)) del presente decreto, un concorso per sviluppare una campagna di sensibilizzazione a livello nazionale. Agli adempi-

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menti previsti dal presente comma si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. 2. Al fine di monitorare lo stato di attuazione delle misure di cui alla presente sezione volte a favorire la nascita e lo sviluppo di start-up innovative e di valutarne l’impatto sulla crescita, l’occupazione e l’innovazione, è istituito presso il Ministero dello sviluppo economico un sistema permanente di monitoraggio e valutazione, che si avvale anche dei dati forniti dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan). 3. Il sistema di cui al comma 2 assicura, con cadenza almeno annuale, rapporti sullo stato di attuazione delle singole misure, sulle conseguenze in termini microeconomici e macroeconomici, nonché sul grado di effettivo conseguimento delle finalità di cui all’articolo 25, comma 1. Dagli esiti del monitoraggio e della valutazione di cui al presente articolo sono desunti elementi per eventuali correzioni delle misure introdotte dal presente decreto-legge. 4. Allo scopo di assicurare il monitoraggio e la valutazione indipendenti dello stato di attuazione delle misure di cui alla presente sezione, l’ISTAT organizza delle banche dati informatizzate e pubbliche, rendendole disponibili gratuitamente. 5. Sono stanziate risorse pari a 150 mila euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, destinate all’ISTAT, per provvedere alla raccolta e all’aggiornamento regolare dei dati necessari per compiere una valutazione dell’impatto, in particolare sulla crescita, sull’occupazione, e sull’innovazione delle misure previste nella presente sezione, coerentemente con quanto indicato nel presente articolo. 6. L’ISTAT provvede ad assicurare la piena disponibilità dei dati di cui al presente articolo, assicurandone la massima trasparenza e accessibilità, e quindi la possibilità di elaborazione e ripubblicazione gratuita e libera da parte di soggetti terzi. 7. Avvalendosi anche del sistema permanente di monitoraggio e valutazione previsto al comma 2, il Ministro dello sviluppo economico presenta ((alle Camere)) entro il primo marzo di ogni anno una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni contenute nella presente sezione, indicando in particolare l’impatto sulla crescita e l’occupazione e formulando una valutazione comparata dei benefici per il sistema economico nazionale in relazione agli oneri derivanti dalle stesse disposizioni, anche ai fini di eventuali modifiche normative. La prima relazione successiva all’entrata in vigore del presente decreto è presentata entro il 1° marzo 2014.

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II Consob, delibera 26 giugno 2013, n. 18592 – Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line. (Omissis) PARTE I DISPOSIZIONI GENERALI Art. 1 (Fonti normative) 1. Il presente regolamento è adottato ai sensi degli articoli 50-quinquies e 100-ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Art. 2 (Definizioni) 1. Nel presente regolamento si intendono per: a) «Testo Unico»: il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; b) «decreto»: il decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221 recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”; c) «emittente»: la società start-up innovativa, compresa la start-up a vocazione sociale, come definite dall’articolo 25, commi 2 e 4, del decreto; d) «portale»: la piattaforma on line che ha come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitali di rischio da parte delle start-up innovative; e) «gestore»: il soggetto che esercita professionalmente il servizio di gestione di portali per la raccolta di capitali di rischio per le start-up innovative ed è iscritto nell’apposito registro tenuto dalla Consob; f) «controllo»: l’ipotesi in cui un soggetto, persona fisica o giuridica, ovvero più soggetti congiuntamente, dispongono, direttamente o indirettamente, anche tramite patti parasociali, della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria ovvero dispongono di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; g) «offerta»: l’offerta al pubblico condotta esclusivamente attraverso uno o più portali per la raccolta di capitali di rischio, avente ad oggetto strumenti finanziari emessi da start-up innovative per un corrispettivo totale inferiore a quello determinato dalla Consob ai sensi dell’articolo 34-ter, comma 1, lettera c) del regolamento Consob in materia di emittenti, adottato con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 e successive modifiche; h) «strumenti finanziari»: le azioni o le quote rappresentative del capitale sociale previste dal decreto, emesse dalle start-up innovative, oggetto delle offerte al pubblico condotte attraverso portali;

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i) «registro»: il registro tenuto dalla Consob ai sensi dell’articolo 50-quinquies del Testo Unico; j) «investitori professionali»: i clienti professionali privati di diritto, individuati nell’Allegato 3, punto I, del Regolamento Consob in materia di intermediari, adottato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007 e successive modifiche, nonché i clienti professionali pubblici di diritto previsti dall’articolo 2 del decreto ministeriale 11 novembre 2011, n. 236 emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze. Art. 3 (Modalità per la comunicazione e la trasmissione alla Consob) 1. Le domande, le comunicazioni, gli atti, i documenti e ogni altra informazione prevista dal presente regolamento sono trasmessi mediante l’utilizzo di posta elettronica certificata (PEC) all’indirizzo portalicrowdfunding@pec. consob.it. PARTE II REGISTRO E DISCIPLINA DEI GESTORI DI PORTALI Titolo I Istituzione del registro Art. 4 (Formazione del registro) 1. È istituito il registro dei gestori previsto dall’articolo 50-quinquies, comma 2, del Testo Unico. 2. Al registro è annessa una sezione speciale ove sono annotate le imprese di investimento e le banche autorizzate ai relativi servizi di investimento che comunicano alla Consob, prima dell’avvio dell’operatività, lo svolgimento dell’attività di gestione di un portale secondo quanto previsto dall’Allegato 1. Art. 5 (Contenuto del registro) 1. Nel registro, per ciascun gestore iscritto, sono indicati: a) il numero d’ordine di iscrizione; b) la denominazione sociale; c) l’indirizzo del sito internet del portale e il corrispondente collegamento ipertestuale; d) la sede legale e la sede amministrativa; e) la stabile organizzazione nel territorio della Repubblica, per i soggetti comunitari; f) gli estremi degli eventuali provvedimenti sanzionatori e cautelari adottati dalla Consob. 2. Nella sezione speciale del registro, per ciascun gestore annotato, sono indicati: a) la denominazione sociale;

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b) l’indirizzo del sito internet del portale e il corrispondente collegamento ipertestuale; c) gli estremi degli eventuali provvedimenti sanzionatori e cautelari adottati dalla Consob. Art. 6 (Pubblicità del registro) 1. Il registro è pubblicato nella parte “Albi ed Elenchi” del Bollettino elettronico della Consob. Titolo II Iscrizione nel registro Art. 7 (Procedimento di iscrizione) 1. La domanda di iscrizione nel registro è predisposta in conformità a quanto indicato nell’Allegato 1 ed è corredata di una relazione sull’attività d’impresa e sulla struttura organizzativa, ivi compresa l’illustrazione dell’eventuale affidamento a terzi di funzioni operative essenziali, redatta in osservanza di quanto previsto dall’Allegato 2. 2. La Consob, entro sette giorni dal ricevimento, verifica la regolarità e la completezza della domanda e comunica alla società richiedente la documentazione eventualmente mancante, che è inoltrata alla Consob entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. 3. Nel corso dell’istruttoria la Consob può chiedere ulteriori elementi informativi: a) alla società richiedente; b) a coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso la società richiedente; c) a coloro che detengono il controllo della società richiedente. In tal caso il termine di conclusione del procedimento è sospeso dalla data di invio della richiesta degli elementi informativi fino alla data di ricezione degli stessi. 4. Qualsiasi modificazione concernente i requisiti per l’iscrizione nel registro che intervenga nel corso dell’istruttoria è portata senza indugio a conoscenza della Consob. Entro sette giorni dal verificarsi dell’evento, la società richiedente trasmette alla Consob la relativa documentazione. In tal caso, il termine di conclusione del procedimento è interrotto dalla data di ricevimento della comunicazione concernente le modificazioni intervenute e ricomincia a decorrere dalla data di ricevimento da parte della Consob della relativa documentazione. 5. La Consob delibera sulla domanda entro il termine di sessanta giorni. L’iscrizione è negata quando risulti che la società richiedente non sia in possesso dei requisiti prescritti dall’articolo 50-quinquies del Testo Unico e dagli articoli 8 e 9 ovvero quando dalla valutazione dei contenuti della relazione prevista all’Allegato 2 non risulti garantita la capacità della società richiedente di esercitare correttamente la gestione di un portale.

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Art. 8 (Requisiti di onorabilità dei soggetti che detengono il controllo) 1. Ai fini dell’iscrizione nel registro e della permanenza nello stesso, coloro che detengono il controllo della società richiedente dichiarano sotto la propria responsabilità e con le modalità indicate nell’Allegato 1, di: a) non trovarsi in condizione di interdizione, inabilitazione ovvero di non aver subito una condanna ad una pena che comporti l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici ovvero l’incapacità ad esercitare uffici direttivi; b) non essere stati sottoposti a misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, salvi gli effetti della riabilitazione; c) non essere stati condannati con sentenza irrevocabile, salvi gli effetti della riabilitazione: 1) a pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l’attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati, di valori mobiliari e di strumenti di pagamento; 2) a pena detentiva per uno dei reati previsti nel titolo XI del libro V del codice civile e nel regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; 3) alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria; 4) alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni per un qualunque delitto non colposo; d) non essere stati condannati a una delle pene indicate alla lettera c) con sentenza che applica la pena su richiesta delle parti, salvo il caso di estinzione del reato. 2. Ove il controllo sia detenuto tramite una o più persone giuridiche, i requisiti di onorabilità indicati nel comma 1 devono ricorrere per gli amministratori e il direttore generale ovvero per i soggetti che ricoprono cariche equivalenti, nonché per le persone fisiche che controllano tali persone giuridiche. Art. 9 (Requisiti di onorabilità e professionalità dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo) 1. Ai fini dell’iscrizione nel registro e della permanenza nello stesso, coloro che svolgono le funzioni di amministrazione, direzione e controllo in una società richiedente, devono possedere i requisiti di onorabilità indicati dall’articolo 8, comma 1. 2. I soggetti indicati al comma 1 sono scelti secondo criteri di professionalità e competenza fra persone che hanno maturato una comprovata esperienza di almeno un biennio nell’esercizio di: a) attività di amministrazione o di controllo ovvero compiti direttivi presso imprese;

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b) attività professionali in materie attinenti al settore creditizio, finanziario, mobiliare, assicurativo; c) attività d’insegnamento universitario in materie giuridiche o economiche; d) funzioni amministrative o dirigenziali presso enti privati, enti pubblici o pubbliche amministrazioni aventi attinenza con il settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo ovvero presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni che non hanno attinenza con i predetti settori purché le funzioni comportino la gestione di risorse economico-finanziarie. 3. Possono far parte dell’organo che svolge funzioni di amministrazione anche soggetti, in ruoli non esecutivi, che abbiano maturato una comprovata esperienza lavorativa di almeno un biennio nei settori industriale, informatico o tecnico scientifico, a elevato contenuto innovativo, o di insegnamento o ricerca nei medesimi settori, purché la maggioranza dei componenti possieda i requisiti previsti dal comma 2. 4. I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso un gestore iscritto nel registro non possono assumere o esercitare analoghe cariche presso altre società che svolgono la stessa attività, a meno che tali società non appartengano al medesimo gruppo. Art. 10 (Effetti della perdita dei requisiti di onorabilità) 1. I soggetti che detengono il controllo e coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo di un gestore comunicano senza indugio agli organi che svolgono funzioni di amministrazione e di controllo la perdita dei requisiti di onorabilità. 2. Il venir meno dei requisiti di onorabilità richiesti ai soggetti indicati al comma 1 comporta la cancellazione del gestore dal registro, a meno che tali requisiti non siano ricostituiti entro il termine massimo di due mesi. 3. Durante il periodo previsto al comma 2 il gestore non pubblica nuove offerte e quelle in corso sono sospese a far data dalla comunicazione prevista al comma 1 e decadono alla scadenza del termine massimo di due mesi, ove non siano ricostituiti i requisiti prescritti. Art. 11 (Sospensione dalla carica dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo) 1. I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso un gestore iscritto nel registro sono sospesi dalla carica nel caso di: a) condanna con sentenza non definitiva per uno dei reati previsti dall’articolo 8, comma 1, lettera c); b) applicazione su richiesta delle parti di una delle pene previste dall’articolo 8, comma 1, lettera c), con sentenza non definitiva; c) applicazione provvisoria di una delle misure previste dagli articoli 67 e 76, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;

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d) applicazione di una misura cautelare di tipo personale. 2. L’organo che svolge funzioni di amministrazione dichiara la sospensione con apposita delibera entro trenta giorni dall’avvenuta conoscenza di uno degli eventi previsti al comma 1 e iscrive l’eventuale revoca fra le materie da trattare nella prima assemblea successiva al verificarsi di una delle cause di sospensione indicate al comma 1. Nelle ipotesi previste dalle lettere c) e d) del comma 1, la sospensione dalla funzione si applica in ogni caso per l’intera durata delle misure contemplate. Art. 12 (Cancellazione dal registro) 1. La cancellazione dal registro è disposta: a) su richiesta del gestore; b) a seguito della perdita dei requisiti prescritti per l’iscrizione; c) a seguito del mancato pagamento del contributo di vigilanza nella misura determinata annualmente dalla Consob; d) per effetto dell’adozione del provvedimento di radiazione ai sensi dell’articolo 23, comma 1, lettera b). 2. I gestori cancellati dal registro ai sensi del comma 1 possono esservi nuovamente iscritti a domanda, purché: a) nei casi previsti dal comma 1, lettere b) e c), siano rientrati in possesso dei requisiti indicati agli articoli 8 e 9, ovvero abbiano corrisposto il contributo di vigilanza dovuto; b) nel caso previsto dal comma 1, lettera d), siano decorsi tre anni dalla data della notifica del provvedimento di radiazione. Titolo III Regole di condotta Art. 13 (Obblighi del gestore) 1. Il gestore opera con diligenza, correttezza e trasparenza evitando che gli eventuali conflitti di interesse che potrebbero insorgere nello svolgimento dell’attività di gestione di portali incidano negativamente sugli interessi degli investitori e degli emittenti e assicurando la parità di trattamento dei destinatari delle offerte che si trovino in identiche condizioni. 2. Il gestore rende disponibili agli investitori, in maniera dettagliata, corretta, chiara, non fuorviante e senza omissioni, tutte le informazioni riguardanti l’offerta che sono fornite dall’emittente affinché gli stessi possano ragionevolmente e compiutamente comprendere la natura dell’investimento, il tipo di strumenti finanziari offerti e i rischi ad essi connessi e prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole. 3. Il gestore richiama l’attenzione degli investitori diversi dagli investitori professionali sull’opportunità che gli investimenti in attività finanziaria ad alto

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rischio siano adeguatamente rapportati alle proprie disponibilità finanziarie. Il gestore non diffonde notizie che siano non coerenti con le informazioni pubblicate sul portale e si astiene dal formulare raccomandazioni riguardanti gli strumenti finanziari oggetto delle singole offerte atte ad influenzare l’andamento delle adesioni alle medesime. 4. Il gestore assicura che le informazioni fornite tramite il portale siano aggiornate, accessibili almeno per i dodici mesi successivi alla chiusura delle offerte e rese disponibili agli interessati che ne facciano richiesta per un periodo di cinque anni dalla data di chiusura dell’offerta. 5. Il gestore assicura agli investitori diversi dagli investitori professionali il diritto di recedere dall’ordine di adesione, senza alcuna spesa, tramite comunicazione rivolta al gestore medesimo, entro sette giorni decorrenti dalla data dell’ordine. Art. 14 (Informazioni relative alla gestione del portale) 1. Nel portale sono pubblicate in forma sintetica e facilmente comprensibile, anche attraverso l’utilizzo di tecniche multimediali, le informazioni relative: a) al gestore, ai soggetti che detengono il controllo, ai soggetti aventi funzioni di amministrazione, direzione e controllo; b) alle attività svolte, ivi incluse le modalità di selezione delle offerte o l’eventuale affidamento di tale attività a terzi; c) alle modalità per la gestione degli ordini relativi agli strumenti finanziari offerti tramite il portale, anche con riferimento alle condizioni previste dall’articolo 17, comma 4; d) agli eventuali costi a carico degli investitori; e) alle misure predisposte per ridurre e gestire i rischi di frode; f) alle misure predisposte per assicurare il corretto trattamento dei dati personali e delle informazioni ricevute dagli investitori ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e successive modifiche; g) alle misure predisposte per gestire i conflitti di interessi; h) alle misure predisposte per la trattazione dei reclami e l’indicazione dell’indirizzo cui trasmettere tali reclami; i) ai meccanismi previsti per la risoluzione stragiudiziale delle controversie; j) ai dati aggregati sulle offerte svolte attraverso il portale e sui rispettivi esiti; k) alla normativa di riferimento, all’indicazione del collegamento ipertestuale al registro nonché alla sezione di investor education del sito internet della Consob e alla apposita sezione speciale del Registro delle Imprese prevista all’articolo 25, comma 8, del decreto; l) agli estremi degli eventuali provvedimenti sanzionatori e cautelari adottati dalla Consob; m) alle iniziative, che il gestore si riserva di adottare nei confronti degli emittenti in caso di inosservanza delle regole di funzionamento del portale; in caso di mancata predisposizione, l’indicazione che non sussistono tali iniziative.

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Art. 15 (Informazioni relative all’investimento in start-up innovative) 1. Il gestore fornisce agli investitori, in forma sintetica e facilmente comprensibile, anche mediante l’utilizzo di tecniche multimediali, le informazioni relative all’investimento in strumenti finanziari di start-up innovative, riguardanti almeno: a) il rischio di perdita dell’intero capitale investito; b) il rischio di illiquidità; c) il divieto di distribuzione di utili ai sensi dell’articolo 25 del decreto; d) il trattamento fiscale di tali investimenti (con particolare riguardo alla temporaneità dei benefici ed alle ipotesi di decadenza dagli stessi); e) le deroghe al diritto societario previste dall’articolo 26 del decreto nonché al diritto fallimentare previste dall’articolo 31 del decreto; f) i contenuti tipici di un business plan; g) il diritto di recesso, ai sensi dell’articolo 13, comma 5 e le relative modalità di esercizio. 2. Il gestore assicura che possano accedere alle sezioni del portale in cui è possibile aderire alle singole offerte solo gli investitori diversi dagli investitori professionali che abbiano: a) preso visione delle informazioni di investor education previste dall’articolo 14, comma 1, lettera k) e delle informazioni indicate al comma 1; b) risposto positivamente ad un questionario comprovante la piena comprensione delle caratteristiche essenziali e dei rischi principali connessi all’investimento in start-up innovative per il tramite di portali; c) dichiarato di essere in grado di sostenere economicamente l’eventuale intera perdita dell’investimento che intendono effettuare. Art. 16 (Informazioni relative alle singole offerte) 1. In relazione a ciascuna offerta il gestore pubblica: a) le informazioni indicate nell’Allegato 3 ed i relativi aggiornamenti forniti dall’emittente, anche in caso di significative variazioni intervenute o errori materiali rilevati nel corso dell’offerta, portando contestualmente ogni aggiornamento a conoscenza dei soggetti che hanno aderito all’offerta; b) gli elementi identificativi delle banche o delle imprese di investimento che curano il perfezionamento degli ordini nonché gli estremi identificativi del conto previsto dall’articolo 17, comma 6; c) le informazioni le modalità di esercizio del diritto di revoca previsto dall’articolo 25, comma 2; d) la periodicità e le modalità con cui verranno fornite le informazioni sullo stato delle adesioni, l’ammontare sottoscritto e il numero di aderenti. 2. Le informazioni indicate al comma 1 possono essere altresì fornite mediante l’utilizzo di tecniche multimediali. Il gestore consente l’acquisizione delle informazioni elencate al comma 1, lettera a), su supporto durevole.

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Art. 17 (Obblighi relativi alla gestione degli ordini di adesione degli investitori) 1. Il gestore adotta misure volte ad assicurare che gli ordini di adesione alle offerte ricevuti dagli investitori siano: a) trattati in maniera rapida, corretta ed efficiente; b) registrati in modo pronto e accurato; c) trasmessi, indicando gli estremi identificativi di ciascun investitore, secondo la sequenza temporale con la quale sono stati ricevuti. 2. Le banche e le imprese di investimento curano il perfezionamento degli ordini che ricevono per il tramite di un gestore e tengono informato quest’ultimo sui relativi esiti, assicurando il rispetto di quanto previsto al comma 6. 3. Le banche e le imprese di investimento che ricevono gli ordini operano nei confronti degli investitori nel rispetto delle disposizioni applicabili contenute nella Parte II del Testo Unico e nella relativa disciplina di attuazione. 4. Le disposizioni contenute nel comma 3 non si applicano quando ricorrano le seguenti condizioni: a) gli ordini siano impartiti da investitori-persone fisiche e il relativo controvalore sia inferiore a cinquecento euro per singolo ordine e a mille euro considerando gli ordini complessivi annuali; b) gli ordini siano impartiti da investitori-persone giuridiche e il relativo controvalore sia inferiore a cinquemila euro per singolo ordine e a diecimila euro considerando gli ordini complessivi annuali. 5. Il gestore acquisisce dall’investitore, con modalità che ne consentano la conservazione, un’attestazione con la quale lo stesso dichiara di non aver superato, nell’anno solare di riferimento, le soglie previste al comma 4. A tal fine rilevano gli importi degli investimenti effettivamente perfezionati per il tramite del portale al quale sono trasmessi gli ordini nonché di altri portali. 6. Il gestore del portale assicura che, per ciascuna offerta, la provvista necessaria al perfezionamento degli ordini sia costituita nel conto indisponibile intestato all’emittente acceso presso le banche e le imprese di investimento a cui sono trasmessi gli ordini, previsto dall’articolo 25. Art. 18 (Obblighi di tutela degli investitori connessi ai rischi operativi) 1. Il gestore assicura l’integrità delle informazioni ricevute e pubblicate dotandosi di sistemi operativi affidabili e sicuri. 2. Ai fini dell’adempimento di quanto previsto al comma 1 il gestore: a) individua le fonti di rischio operativo e le gestisce predisponendo procedure e controlli adeguati, anche al fine di evitare discontinuità operative; b) predispone appositi dispositivi di backup. Art. 19 (Obblighi di riservatezza) 1. Il gestore assicura la riservatezza delle informazioni acquisite dagli investitori in ragione della propria attività, salvo che nei confronti dell’emittente e

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per le finalità connesse con il perfezionamento dell’offerta, nonché in ogni altro caso in cui l’ordinamento ne imponga o ne consenta la rivelazione. Art. 20 (Obblighi di conservazione della documentazione) 1. Il gestore è tenuto a conservare ordinatamente per almeno cinque anni, in formato elettronico ovvero cartaceo, copia della corrispondenza e della documentazione contrattuale connessa alla gestione del portale, ivi inclusa: a) la ricezione degli ordini di adesione alle offerte svolte tramite il portale e l’esercizio dei diritti di recesso e di revoca; b) la trasmissione degli ordini alle banche e alle imprese di investimento ai fini della sottoscrizione degli strumenti finanziari oggetto dell’offerta; c) la ricezione delle conferme dell’avvenuta sottoscrizione degli strumenti finanziari oggetto dell’offerta; d) l’attestazione prevista dall’articolo 17, comma 5. Art. 21 (Comunicazioni alla Consob) 1. Il gestore trasmette senza indugio alla Consob le informazioni relative alle: a) variazioni dello statuto sociale; b) variazioni relative ai soggetti che detengono il controllo, con l’indicazione delle rispettive quote di partecipazione in valore assoluto e in termini percentuali, unitamente alla dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di onorabilità previsti dall’articolo 8; c) variazioni relative ai soggetti che svolgono le funzioni di amministrazione, direzione e controllo, con l’indicazione dei relativi poteri e delle eventuali deleghe assegnate, unitamente alla dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità previsti dall’articolo 9; d) comunicazioni ricevute ai sensi dell’articolo 10, comma 1; e) delibere di sospensione e di revoca dalla carica adottate ai sensi dell’articolo 11, comma 2. 2. Il gestore comunica senza indugio alla Consob le date di inizio, interruzione e riavvio dell’attività. 3. Entro il 31 marzo di ciascun anno il gestore trasmette alla Consob: a) la relazione sulle attività svolte e sulla struttura organizzativa secondo lo schema riportato nell’Allegato 2 evidenziando le variazioni intervenute rispetto alle informazioni già comunicate. Qualora non siano intervenute variazioni la relazione può non essere inviata, fermo restando che dovrà essere comunicata tale circostanza; b) i dati sull’operatività del portale con indicazione almeno delle informazioni aggregate relative alle offerte svolte nel corso dell’anno precedente e ai relativi esiti nonché ai servizi accessori prestati con riferimento alle stesse;

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c) i dati sui casi di discontinuità operativa e sulla relativa durata, unitamente alla descrizione degli interventi effettuati per ripristinare la corretta operatività del portale; d) i dati sui reclami ricevuti per iscritto, le misure adottate per rimediare a eventuali carenze rilevate, nonché le attività pianificate. Titolo IV Provvedimenti sanzionatori e cautelari Art. 22 (Provvedimenti cautelari) 1. La Consob, in caso necessità e urgenza, può disporre in via cautelare la sospensione dell’attività del gestore per un periodo non superiore a novanta giorni qualora sussistano fondati elementi che facciano presumere l’esistenza di gravi violazioni di legge ovvero di disposizioni generali o particolari impartite dalla Consob atte a dar luogo alla radiazione dal registro. Art. 23 (Sanzioni) 1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 50-quinquies, comma 7, primo periodo, del Testo Unico in materia di sanzioni pecuniarie, la Consob dispone: a) la sospensione dell’attività del gestore in caso di violazione delle regole di condotta previste dal titolo III; b) la radiazione dal registro in caso di: 1) svolgimento di attività di facilitazione della raccolta di capitale di rischio in assenza delle condizioni previste dall’articolo 24 ovvero per conto di società diverse dalle start-up innovative, comprese le start-up a vocazione sociale, come definite dall’articolo 25, commi 2 e 4 del decreto; 2) contraffazione della firma dell’investitore su modulistica contrattuale o altra documentazione informatica ovvero analogica; 3) acquisizione, anche temporanea, della disponibilità di somme di denaro ovvero detenzione di strumenti finanziari di pertinenza di terzi; 4) comunicazione o trasmissione all’investitore o alla Consob di informazioni o documenti non rispondenti al vero; 5) trasmissione a banche e imprese di investimento di ordini riguardanti la sottoscrizione di strumenti finanziari non autorizzati dall’investitore; 6) mancata comunicazione a banche e imprese di investimento dell’avvenuto esercizio, da parte dell’investitore, del diritto di recesso, ai sensi dell’articolo 13, comma 5, o di revoca, ai sensi dell’articolo 25; 7) reiterazione dei comportamenti che hanno dato luogo a un provvedimento di sospensione adottato ai sensi della lettera a); 8) ogni altra violazione di specifiche regole di condotta connotata da particolare gravità.

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PARTE III DISCIPLINA DELLE OFFERTE TRAMITE PORTALI Art. 24 (Condizioni relative alle offerte sul portale) 1. Ai fini dell’ammissione dell’offerta sul portale, il gestore verifica che lo statuto o l’atto costitutivo dell’emittente preveda: a) il diritto di recesso dalla società ovvero il diritto di co-vendita delle proprie partecipazioni nonché le relative modalità e condizioni di esercizio nel caso in cui i soci di controllo, successivamente all’offerta, trasferiscano il controllo a terzi, in favore degli investitori diversi dagli investitori professionali o dalle altre categorie di investitori indicate al comma 2 che abbiano acquistato o sottoscritto strumenti finanziari offerti tramite portale. Tali diritti sono riconosciuti per il periodo in cui sussistono i requisiti previsti dall’articolo 25, commi 2 e 4, del decreto e comunque per almeno tre anni dalla conclusione dell’offerta; b) la comunicazione alla società nonché la pubblicazione dei patti parasociali nel sito internet dell’emittente. 2. Ai fini del perfezionamento dell’offerta sul portale, il gestore verifica che una quota almeno pari al 5% degli strumenti finanziari offerti sia stata sottoscritta da investitori professionali o da fondazioni bancarie o da incubatori di start-up innovative previsto all’articolo 25, comma 5, del decreto. Art. 25 (Costituzione della provvista e diritto di revoca) 1. La provvista necessaria al perfezionamento degli ordini di adesione alle offerte è costituita nel conto indisponibile intestato all’emittente acceso presso le banche o le imprese di investimento a cui sono trasmessi gli ordini. La valuta di effettivo addebito non può essere anteriore alla data di sottoscrizione degli strumenti finanziari da parte degli investitori. 2. Gli investitori diversi dagli investitori professionali che hanno manifestato la volontà di sottoscrivere strumenti finanziari oggetto di un’offerta condotta tramite portale, hanno il diritto di revocare la loro adesione quando, tra il momento dell’adesione all’offerta e quello in cui la stessa è definitivamente chiusa, sopravvenga un fatto nuovo o sia rilevato errore materiale concernenti le informazioni esposte sul portale, che siano atti a influire sulla decisione dell’investimento. Il diritto di revoca può essere esercitato entro sette giorni dalla data in cui le nuove informazioni sono state portate a conoscenza degli investitori. 3. Nei casi di esercizio del diritto di recesso o del diritto di revoca, nonché nel caso di mancato perfezionamento dell’offerta, i fondi relativi alla provvista prevista al comma 1 tornano nella piena disponibilità degli investitori.

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Misure a sostegno dell’impresa start-up innovativa

ALLEGATO N. 1 ISTRUZIONI PER LA PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA DI ISCRIZIONE NEL REGISTRO DEI GESTORI E PER LA COMUNICAZIONE AI FINI DELL’ANNOTAZIONE NELLA SEZIONE SPECIALE A. Domanda per l’iscrizione nel registro 1. La domanda di iscrizione nel registro, sottoscritta dal legale rappresentante della società, indica la denominazione sociale, la sede legale e la sede amministrativa della società, la sede della stabile organizzazione nel territorio della Repubblica per i soggetti comunitari, il nominativo e i recapiti di un referente della società e l’elenco dei documenti allegati. 2. La domanda di iscrizione nel registro è corredata dei seguenti documenti: a) copia dell’atto costitutivo e dello statuto corredata da dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 della certificazione di vigenza rilasciata dall’Ufficio del registro delle imprese; b) elenco dei soggetti che detengono il controllo con l’indicazione delle rispettive quote di partecipazione in valore assoluto e in termini percentuali con indicazione del soggetto per il tramite il quale si detiene la partecipazione per le partecipazioni indirette; c) la documentazione per la verifica dei requisiti di onorabilità dei soggetti che detengono il controllo della società: i) per le persone fisiche: — dichiarazione sostitutiva di atto notorio/certificazione (ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445) attestante l’insussistenza di una delle situazioni di cui all’articolo 8 del Regolamento; — dichiarazione sostitutiva resa ai sensi dell’art. 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 della certificazione del registro delle imprese recante la dicitura antimafia. ii) per le persone giuridiche: — verbale del consiglio di amministrazione o organo equivalente da cui risulti effettuata la verifica del requisito in capo agli amministratori e al direttore ovvero ai soggetti che ricoprono cariche equivalenti nella società o ente partecipante. d) elenco nominativo di tutti i soggetti che svolgono le funzioni di amministrazione direzione e controllo; e) il verbale della riunione nel corso della quale l’organo di amministrazione ha verificato il possesso dei requisiti di professionalità e di onorabilità per ciascuno dei soggetti chiamati a svolgere funzioni di amministrazione, direzione e controllo corredato dei relativi allegati; f) una relazione sull’attività d’impresa e sulla struttura organizzativa redatta secondo lo schema riportato all’Allegato 2.

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Legislazione

B. Comunicazione per l’annotazione nella sezione speciale del registro 1. Le banche e le imprese di investimento autorizzate alla prestazione dei servizi di investimento comunicano, prima dell’avvio dell’attività, lo svolgimento del servizio di gestione di portale indicando la denominazione sociale, l’indirizzo del sito internet del portale, il corrispondente collegamento ipertestuale nonché il nominativo e i recapiti di un referente della società. La comunicazione è sottoscritta dal legale rappresentante della società. ALLEGATO 2 RELAZIONE SULL’ATTIVITA’ D’IMPRESA E SULLA STRUTTURA ORGANIZZATIVA A. Attività d’impresa Il gestore descrive in maniera dettagliata le attività che intende svolgere. In particolare, il gestore indica: 1. le modalità per la selezione delle offerte da presentare sul portale; 2. l’attività di consulenza eventualmente prestata in favore delle start-up innovative in materia di analisi strategiche e valutazioni finanziarie, di strategia industriale e di questioni connesse; 3. se intende pubblicare informazioni periodiche sui traguardi intermedi raggiunti dalle start-up innovative i cui strumenti finanziari sono offerti sul portale e/o report periodici sull’andamento delle medesime società; 4. se intende predisporre eventuali meccanismi di valorizzazione periodica degli strumenti finanziari acquistati tramite il portale ovvero di rilevazione dei prezzi delle eventuali transazioni aventi ad oggetto tali strumenti finanziari; 5. se intende predisporre eventuali meccanismi atti a facilitare i flussi informativi tra la start-up innovativa e gli investitori o tra gli investitori; 6. altre eventuali attività. B. Struttura organizzativa Il gestore del portale fornisce in maniera dettagliata almeno le seguenti informazioni: 1. una descrizione della struttura aziendale (organigramma, funzionigramma ecc.) con l’indicazione dell’articolazione delle deleghe in essere all’interno dell’organizzazione aziendale e dei meccanismi di controllo predisposti nonché di ogni altro elemento utile ad illustrare le caratteristiche operative del gestore; 2. l’eventuale piano di assunzione del personale e il relativo stato di attuazione, ovvero l’indicazione del personale in carico da impiegare per lo svolgimento dell’attività. In tale sede, andrà altresì specificata l’eventuale presenza di dipendenti o collaboratori che abbiano svolto attività professionali o attività accademiche o di ricerca certificata presso Università e/o istituti di ricerca, pubblici o privati, in Italia o all’estero, in materie attinenti ai settori della finanza aziendale e/o dell’economia aziendale e/o del diritto societario e/o marketing e/o nuove tecnologie e/o in materie tecnico-scientifiche, con indicazione dei relativi ruoli e funzioni svolti all’interno dell’organizzazione aziendale;

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Misure a sostegno dell’impresa start-up innovativa

3. le modalità, anche informatiche, per assicurare il rispetto degli obblighi di cui agli articoli 13, 14, 15 e 16 del presente regolamento; 4. i sistemi per gestire gli ordini raccolti dagli investitori ed in particolare per assicurare il rispetto delle condizioni previsti all’articolo 17, comma 2, del presente regolamento; 5. le modalità per la trasmissione a banche e imprese di investimento degli ordini raccolti dagli investitori; 6. una descrizione della infrastruttura informatica predisposta per la ricezione e trasmissione degli ordini degli investitori (affidabilità del sistema, security, integrity, privacy ecc.); 7. il luogo e le modalità di conservazione della documentazione; 8. la politica di identificazione e di gestione dei conflitti di interesse; 9. la politica per la prevenzione delle frodi e per la tutela della privacy; 10. l’eventuale affidamento a terzi: a. della strategia di selezione delle offerte da presentare sul portale, specificando l’ampiezza e il contenuto dell’incarico; b. di altre attività o servizi. In particolare, andranno specificate le attività affidate, i soggetti incaricati, il contenuto degli incarichi conferiti e le misure per assicurare il controllo sulle attività affidate e per mitigarne i rischi connessi; 11. l’eventuale presenza di incarichi di selezione delle offerte ricevuti da altri gestori, indicando l’ampiezza e il contenuto degli stessi; 12. la struttura delle commissioni per i servizi offerti dal gestore. L’allegato correda le disposizioni volte all’attuazione dell’articolo 50-quinquies, comma 5, lett. a) del Testo Unico e risponde anche alla finalità di costituire quel patrimonio informativo (che si aggiornerà periodicamente) a disposizione della Consob in grado di orientare e programmare l’azione di vigilanza. ALLEGATO 3 INFORMAZIONI SULLA SINGOLA OFFERTA 1. Avvertenza Il gestore assicura che per ciascuna offerta sia preliminarmente riportata con evidenza grafica la seguente avvertenza: “Le informazioni sull’offerta non sono sottoposte ad approvazione da parte della Consob. L’emittente è l’esclusivo responsabile della completezza e della veridicità dei dati e delle informazioni dallo stesso fornite. Si richiama inoltre l’attenzione dell’investitore che l’investimento in strumenti finanziari emessi da start-up innovative è illiquido e connotato da un rischio molto alto.”. 2. Informazioni sui rischi Descrizione dei rischi specifici dell’emittente e dell’offerta. 3. Informazioni sull’emittente e sugli strumenti finanziari oggetto dell’offerta

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a) descrizione dell’emittente, del progetto industriale con indicazione del settore di utilità sociale in caso di start-up innovative a vocazione sociale, del relativo business plan e indicazione del collegamento ipertestuale al sito internet dell’emittente ove reperire le informazioni richieste dall’articolo 25, commi 11 e 12, del decreto; b) descrizione degli organi sociali e del curriculum vitae degli amministratori; c) descrizione degli strumenti finanziari oggetto dell’offerta, dei diritti ad essi connessi e delle relative modalità di esercizio; d) descrizione delle clausole predisposte dall’emittente con riferimento alle ipotesi in cui i soci di controllo cedano le proprie partecipazioni a terzi successivamente all’offerta (le modalità per la way out dall’investimento, presenza di eventuali patti di riacquisto, eventuali clausole di lock up e put option a favore degli investitori ecc.) con indicazione della durata delle medesime, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 24. 4. Informazioni sull’offerta a) condizioni generali dell’offerta, ivi inclusa l’indicazione dei destinatari, di eventuali clausole di efficacia e di revocabilità delle adesioni; b) informazioni sulla quota eventualmente già sottoscritta da parte degli investitori professionali o delle altre categorie di investitori previste dall’articolo 24, con indicazione della relativa identità di questi ultimi; c) indicazione di eventuali costi o commissioni posti a carico dell’investitore, ivi incluse le eventuali spese per la successiva trasmissione degli ordini a banche e imprese di investimento; d) descrizione delle modalità di calcolo della quota riservata agli investitori professionali o alle altre categorie di investitori previste dall’articolo 24, nonché delle modalità e della tempistica di pubblicazione delle informazioni sullo stato delle adesioni all’offerta; e) indicazione delle banche e delle imprese di investimento cui saranno trasmessi gli ordini di sottoscrizione degli strumenti finanziari oggetto dell’offerta e descrizione delle modalità e della tempistica per l’esecuzione dei medesimi, nonché della sussistenza di eventuali conflitti di interesse in capo a tali banche e imprese di investimento; f) informazioni in merito al conto indisponibile acceso ai sensi dell’articolo 17, comma 6, alla data di effettivo addebito dei fondi sui conti dei sottoscrittori; g) informazioni in merito alle modalità di restituzione dei fondi nei casi di legittimo esercizio dei diritti di recesso o di revoca, nonché nel caso di mancato perfezionamento dell’offerta; h) termini e condizioni per il pagamento e l’assegnazione/consegna degli strumenti finanziari sottoscritti; i) informazioni sui conflitti di interesse connessi all’offerta, ivi inclusi quelli derivanti dai rapporti intercorrenti tra l’emittente e il gestore del portale, coloro che ne detengono il controllo, i soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione e controllo nonché gli investitori professionali o le altre cate-

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Misure a sostegno dell’impresa start-up innovativa

gorie di investitori previste dall’articolo 24, che hanno eventualmente già sottoscritto la quota degli strumenti finanziari ad essi riservata; j) informazioni sullo svolgimento da parte dell’emittente di offerte aventi il medesimo oggetto su altri portali; k) la legge applicabile e il foro competente; l) la lingua o le lingue in cui sono comunicate le informazioni relative all’offerta. 5. Informazioni sugli eventuali servizi offerti dal gestore del portale con riferimento all’offerta Descrizione delle attività connesse all’offerta svolte dal gestore del portale. *** [Sono inoltre definiti alcuni requisiti qualitativi della scheda dell’offerta] Le informazioni sull’offerta sono facilmente comprensibili da un investitore ragionevole e sono fornite attraverso l’utilizzo di un linguaggio non tecnico o gergale, chiaro, conciso, ricorrendo, laddove possibile, all’utilizzo di termini del linguaggio comune. Le informazioni sono altresì rappresentate in modo da consentire la comparabilità delle offerte svolte tramite il portale. La presentazione e la struttura del documento devono agevolarne la lettura da parte degli investitori, anche attraverso la scrittura in caratteri di dimensione leggibile. Tale documento è di lunghezza non superiore a cinque pagine in formato A4. Qualora vengano usati colori o loghi caratteristici della società, essi non compromettono la comprensibilità delle informazioni nei casi in cui il documento contenente le informazioni relative all’offerta venga stampato o fotocopiato in bianco e nero.

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documenti e informazioni

Risanamento e risoluzione delle crisi degli enti creditizi Una delle tappe fondamentali nel processo di creazione della Unione bancaria secondo il percorso delineato dalla Commissione europea (v. la Comunicazione 12 settembre 2012, in Dir. banc., 2012, II, p. 79 ss.) è rappresentata dalla istituzione di un “quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento”, costituito da un corpus unico di norme e di competenze, con il superamento quindi dell’attuale eterogeneità dei sistemi nazionali di soluzione delle crisi bancarie, volto a consentire agli Stati membri di prevenire l’insorgere di crisi bancarie e, ove tali crisi intervengano, di gestirle in maniera più ordinata ed efficace. La Commissione, nel giugno 2012, ha presentato una proposta di direttiva sul tema, che contiene una disciplina assai articolata e meritevole della più attenta considerazione Ne pubblichiamo (I) la Relazione di accompagnamento che illustra i punti salienti di tale disciplina. Pubblichiamo altresì (II) il parere reso sulla proposta dalla Banca Centrale Europea. [NOTA REDAZIONALE]

I Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica le direttive del Consiglio 77/91/CEE e 82/891/CE, le direttive 2001/24/CE, 2002/47/ CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE e 2011/35/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010 – Relazione

1. Contesto della proposta. La capacità delle autorità nazionali e unionali di gestire i problemi degli enti creditizi è stata messa a dura prova dalla crisi finanziaria. I mercati finanziari dell’Unione europea sono ormai integrati a tal punto

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Documenti e informazioni

che le crisi a livello nazionale in uno Stato membro possono trasmettersi rapidamente ad altri Stati membri. In questo contesto, nell’ottobre 2010 la Commissione ha emanato una comunicazione 1 contenente piani per un quadro unionale per la gestione delle crisi nel settore finanziario. Il quadro fornirebbe alle autorità strumenti e poteri comuni ed efficaci per prevenire le crisi bancarie, salvaguardando la stabilità finanziaria e riducendo al minimo le perdite a carico del contribuente in caso di insolvenza. A livello internazionale, i leader del G20 hanno sollecitato un riesame dei regimi di risoluzione delle crisi e del diritto fallimentare alla luce delle recenti esperienze, per garantire che essi consentano una liquidazione ordinata degli enti transfrontalieri grandi e complessi 2. A Cannes, nel novembre 2011 hanno approvato il documento del Consiglio per la stabilità finanziaria (Financial Stability Board, FSB) “Caratteristiche essenziali dei regimi efficaci di risoluzione delle crisi per gli enti finanziari” (“caratteristiche essenziali”) 3, che stabilisce gli elementi fondamentali che l’FSB reputa necessari ai fini di un regime efficace di risoluzione delle crisi e la cui attuazione dovrebbe consentire alle autorità di risolvere le crisi degli enti finanziari in maniera ordinata senza che ciò incida sul contribuente, che sarebbe altrimenti esposto a perdite derivanti dal sostegno alla solvibilità, pur tutelando allo stesso tempo la continuità delle funzioni economiche fondamentali degli enti. Nel giugno 2012 il G20 dovrebbe iniziare i lavori di valutazione dei progressi compiuti nell’applicazione di queste disposizioni nei diversi paesi. Nel giugno 2010 il Parlamento europeo ha adottato una relazione di iniziativa riguardante raccomandazioni sulla gestione transfrontaliera delle crisi nel settore bancario 4, in cui sottolinea la necessità di un quadro unionale per la gestione delle banche in dissesto e raccomanda di procedere verso una maggiore integrazione e coerenza in materia di obblighi e meccanismi per la risoluzione delle crisi di enti transfrontalieri. Nel dicembre 2010 il Consiglio ECOFIN ha adottato conclusioni 5 in cui sollecita l’istituzione di un quadro unionale per la prevenzione, gestio-

1 2.

COM(2010) 579 definitivo.

Dichiarazione dei leader G20 al vertice sui mercati finanziari ed economia mondiale, aprile 2009. 3 http://www.financialstabilityboard.org/publications/r_111104cc.pdf 4 (2010/2006(INI)). 5 17006/1/10.

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Risanamento e risoluzione delle crisi degli enti creditizi

ne e risoluzione delle crisi, sottolineando che dovrebbe applicarsi alle banche di ogni dimensione, migliorare la collaborazione transfrontaliera e consistere di tre pilastri (misure preparatorie e preventive, intervento precoce e strumenti e poteri di risoluzione delle crisi). Questi ultimi dovrebbero “prefiggersi di preservare la stabilità finanziaria tutelando la fiducia dei cittadini e del mercato, porre in primo piano la prevenzione e la preparazione, fornire strumenti di risoluzione credibili, consentire un’azione veloce e decisa, attenuare l’azzardo morale e ridurre quanto più possibile i costi complessivi a carico dei fondi pubblici assicurando un’equa ripartizione degli oneri tra le parti interessate degli istituti finanziari, contribuire a una risoluzione ordinata dei gruppi transfrontalieri, garantire la certezza giuridica, e limitare le distorsioni della concorrenza”. Inoltre un gruppo ad alto livello deve presentare alla Commissione, nella seconda metà del 2012, una relazione in cui esamina se l’adozione, in aggiunta alle riforme della regolamentazione attualmente in corso, di riforme strutturali delle banche unionali rafforzerebbe la stabilità finanziaria e migliorerebbe l’efficienza e la protezione dei consumatori 6. Le proposte del gruppo saranno valutate separatamente una volta completati i lavori. Infine, il 30 maggio 2012 la Commissione ha indicato che avvierà un processo per «definire le tappe principali verso un’unione economica e monetaria» «consistenti tra l’altro, nella transizione verso un’unione bancaria, comprendente una vigilanza finanziaria integrata e un regime unico di garanzia dei depositi» 7.

2. Esito della consultazione delle parti interessate e valutazioni dell’impatto. Nel periodo tra il 2008 e il 2012 i servizi della Commissione hanno organizzato una serie di consultazioni e discussioni con esperti e portatori di interesse riguardanti il risanamento e la risoluzione delle crisi delle banche. Nel quadro dell’ultima consultazione pubblica prima dell’adozione della proposta, nel gennaio 2011 è stato pubblicato un documento di lavoro dei servizi della Commissione che descrive nel det-

6. http://ec.europa.eu/internal_market/bank/group_of_experts/index_en.htm#Highlevel_Expert_Group 7 http://ec.europa.eu/europe2020/pdf/nd/eccomm2012_en.pdf

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taglio le opzioni potenziali considerate dai servizi della Commissione. La consultazione si è conclusa il 3 marzo 2011. Nell’aprile 2012 sono state organizzate, con esperti degli Stati membri, del settore bancario, del mondo accademico e di studi legali, discussioni mirate in merito ad uno degli strumenti di risoluzione delle crisi, il cosiddetto strumento di bailin o di riduzione del debito, che si sono concentrate sui parametri fondamentali dello strumento di riduzione del debito, incluse in particolare le soglie per l’attivazione della risoluzione, la portata del bail-in, il suo livello minimo potenziale, la risoluzione delle crisi dei gruppi nonché il grand fathering. I documenti relativi alle consultazioni pubbliche sono disponibili sul sito internet della Commissione europea 8. Su questa base la Commissione europea ha preparato la presente proposta legislativa, nonché una valutazione d’impatto della proposta, consultabile sul suo sito internet 9. Sono state prese in considerazione le osservazioni espresse dal comitato per la valutazione d’impatto nel suo primo e secondo parere del maggio e giugno 2011. Inoltre il testo della valutazione d’impatto è stato aggiornato per riflettere gli ultimi sviluppi nei forum internazionali ed incorporare i risultati delle discussioni sullo strumento del bail-in svoltesi nell’aprile 2012. In concreto, la valutazione d’impatto riveduta migliora la presentazione del contesto giuridico e istituzionale descrivendo le responsabilità delle autorità di vigilanza e di risoluzione delle crisi nazionali e le relazioni tra la proposta di bail-in e i previsti requisiti della CRD IV. Essa spiega meglio il contenuto delle opzioni, in particolare di quella relativa allo strumento di bail-in/riduzione del debito, nonché gli effetti dello strumento di bail-in sui costi di finanziamento delle banche e delle imprese non finanziarie (PMI). È stata inserita unasezione relativa alla coerenza della proposta con altre proposte di regolamentazione e sono state infine ulteriormente chiariti i meccanismi di monitoraggio e valutazione identificando gli indicatori più rilevanti da monitorare. Le conclusioni della valutazione d’impatto sono le seguenti: - La proposta di un quadro unionale di risoluzione delle crisi per il settore bancario raggiungerà gli obiettivi di rafforzare la stabilità finanziaria, ridurre l’azzardo morale, tutelare i depositanti e i servizi bancari essenziali, risparmiare denaro pubblico e proteggere il mercato interno degli enti finanziari;

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http://ec.europa.eu/internal_market/bank/index_en.htm http://ec.europa.eu/internal_market/bank/index_en.htm


Risanamento e risoluzione delle crisi degli enti creditizi

- Il quadro dovrebbe avere un impatto sociale positivo: in primo luogo perché riduce la probabilità di una crisi sistemica del settore bancario ed evita le perdite di welfare economico che fanno seguito a una crisi bancaria, e in secondo luogo perché riduce al minimo l’esposizione del contribuente a perdite derivanti dal sostegno agli enti in stato di insolvenza; - I costi per la messa in opera di un simile quadro derivano da un eventuale aumento dei costi di finanziamento per gli enti, a causa della rimozione dell’implicito sostegno statale, e dai costi relativi ai fondi di risoluzione delle crisi. Gli enti potrebbero trasferire tali costi maggiorati ai clienti o agli azionisti, facendo scendere i tassi sui depositi, aumentando i tassi sui prestiti e le commissioni bancarie o riducendo il rendimento del capitale. Tuttavia, la concorrenza potrebbe ridurre la capacità delle banche di trasferire la totalità dei costi. I vantaggi potenziali del quadro in termini di welfare economico a lungo termine, derivanti dalla riduzione della probabilità di una crisi sistemica, sono sostanzialmente più elevati del costo potenziale.

3. Spiegazione generale: un quadro di risanamento e risoluzione delle crisi. 3.1. La necessità di un quadro di risanamento e risoluzione delle crisi efficace. Le banche e le imprese di investimento (nel seguito “enti”) forniscono servizi fondamentali ai cittadini, alle imprese e all’economia nel suo insieme (raccolta dei depositi, erogazione dei prestiti e gestione dei sistemi di pagamento). Un elemento fondamentale per l’attività di questi enti è la fiducia e tali enti possono trovarsi rapidamente in crisi se i loro clienti e le loro controparti perdono la fiducia nella loro capacità di soddisfare i loro obblighi. In caso di fallimento le banche dovrebbero essere liquidate in base alle procedure di insolvenza ordinarie. Tuttavia, le interdipendenze esistenti tra gli enti creano il rischio di una crisi sistemica quando i problemi di una banca possono estendersi a cascata all’intero sistema. A causa di questo rischio sistemico e dell’importante funzione svolta dagli enti, le procedure ordinarie di insolvenza potrebbero non essere appropriate in alcuni casi e l’assenza di strumenti efficaci per la gestione degli enti in crisi ha richiesto troppo spesso l’impiego di fondi pubblici per ripristinare la fiducia in enti anche relativamente piccoli in

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modo da impedire che un effetto domino di enti in dissesto danneggi seriamente l’economia reale. Di conseguenza è necessario un quadro politico efficace per gestire i fallimenti bancari in modo ordinato ed evitare il contagio ad altri enti. La finalità di tale quadro sarebbe fornire alle autorità competenti strumenti e poteri comuni ed efficaci per prevenire le crisi bancarie salvaguardando la stabilità finanziaria e riducendo al minimo le perdite a carico del contribuente. 3.2. Preparazione e prevenzione, intervento precoce e risoluzione delle crisi. A tal fine la gamma di poteri a disposizione delle autorità pertinenti dovrebbe consistere di tre elementi: i) misure preparatorie e piani per ridurre al minimo i rischi di problemi potenziali (preparazione e prevenzione 10); ii) in caso di problemi incipienti, i poteri di arrestare il deterioramento della situazione della banca in fase precoce in modo da evitare l’insolvenza (intervento precoce); e iii) se l’insolvenza di un ente suscita preoccupazioni per quanto riguarda l’interesse pubblico (ai sensi degli articoli 27 e 28), uno strumento chiaro per risanare o liquidare la banca in modo ordinato preservando le sue funzioni essenziali e limitando al massimo l’esposizione dei contribuenti alle perdite in caso di insolvenza (risoluzione delle crisi). Nel loro complesso questi poteri costituiscono un quadro efficace per il risanamento e, laddove appropriato, la risoluzione delle crisi degli enti. Poiché la misura in cui una singola banca costituisca un rischio per la stabilità finanziaria non può essere accertata in anticipo, le autorità pertinenti dovrebbero disporre di tali poteri in relazione a qualsiasi banca, indipendentemente dalle dimensioni e dalla portata delle relative attività. 3.3. Risoluzione delle crisi – un regime speciale per gli enti in materia di insolvenza. Nella maggior parte dei paesi, le società bancarie e non bancarie in difficoltà finanziarie sono soggette a procedure di insolvenza ordinarie, che consentono o il risanamento della società (che implica una riduzione, concordata con i creditori, del suo debito) o la sua liqui-

10. “Prevenzione” in questo contesto significa evitare fallimenti disordinati che potrebbero causare un’instabilità finanziaria, non la preclusione del fallimento tout court.

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dazione e l’imputazione delle perdite ai creditori o entrambe le cose. In tutti i casi i creditori e gli azionisti non sono rimborsati appieno. Tuttavia l’esperienza di diverse crisi bancarie indica che le leggi in materia di insolvenza non sono sempre adatte a far fronte in modo efficiente al fallimento di enti finanziari in quanto non tengono conto adeguatamente della necessità di evitare distorsioni della stabilità finanziaria, mantenere servizi essenziali o proteggere i depositanti. In aggiunta le procedure di insolvenza sono lunghe e, in caso di risanamento, richiedono negoziati ed accordi complessi con i creditori, a potenziale detrimento dei debitori e dei creditori in termini di ritardi, costi e risultati. La risoluzione delle crisi costituisce un’alternativa alle procedure ordinarie di insolvenza e offre i mezzi per ristrutturare o liquidare una banca in dissesto e il cui fallimento creerebbe preoccupazioni sotto il profilo dell’interesse pubblico (in quanto minaccerebbe la stabilità finanziaria, la continuità delle funzioni essenziali di una banca e/o la sicurezza dei depositi, delle attività dei clienti e dei fondi pubblici) 11. Di conseguenza, la risoluzione delle crisi dovrebbe consentire di raggiungere, per gli enti, risultati analoghi a quelli delle procedure di insolvenza ordinarie tenuto conto delle regole unionali in materia di aiuti di Stato, in termini di imputazione delle perdite ad azionisti e creditori, salvaguardando nel contempo la stabilità finanziaria e limitando le perdite accollate ai contribuenti chiamati a finanziare le misure di sostegno alla solvibilità. Nel processo dovrebbe essere altresì garantita la certezza giuridica, la trasparenza e la prevedibilità per quanto riguarda il trattamento degli azionisti e dei creditori delle banche e dovrebbe essere preservato un valore che potrebbe essere altrimenti distrutto nella bancarotta. Inoltre, eliminando la certezza implicita del salvataggio pubblico degli enti, l’opzione della risoluzione delle crisi dovrebbe incoraggiare i creditori non assicurati a valutare meglio il rischio connesso ai loro investimenti. Inoltre, per poter centrare gli obiettivi globali del quadro di risoluzione delle crisi occorre che i relativi meccanismi di finanziamento nazionali siano in linea con le regole sugli aiuti di Stato.

11. Se le autorità valutano che la stabilità finanziaria e i contribuenti non sono a rischio, una banca (o parti di essa) potrebbe essere lasciata fallire normalmente.

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3.4. Trovare un punto di equilibrio tra la prevedibilità per gli investitori e la discrezionalità per le autorità. Per salvaguardare i diritti di proprietà esistenti, la risoluzione della crisi dovrebbe essere avviata quando la banca è molto vicina all’insolvenza, ovvero sull’orlo del fallimento. Tuttavia il giudizio sul punto di avvio della risoluzione della crisi può dipendere da diverse variabili e fattori collegati alle condizioni di mercato prevalenti o a questioni specifiche di liquidità o solvibilità, il che implica la necessità di un certo grado di discrezionalità per l’autorità di risoluzione delle crisi. Analogamente, le azioni concrete da adottare nel quadro della risoluzione non dovrebbero essere predeterminate per qualsiasi banca, ma dovrebbero essere adottate piuttosto sulla base delle circostanze concrete. Un quadro unionale con strumenti, principi e procedure omogenee è necessario per garantire una convergenza adeguata nelle modalità di attuazione da parte delle autorità nazionali. Nel delineare questo quadro occorre trovare un equilibrio tra la necessità di lasciare alle autorità di vigilanza la discrezionalità per tenere conto delle specificità di ciascun caso e la necessità di garantire parità di condizioni operative e preservare l’integrità del mercato unico. L’Autorità bancaria europea (ABE) dovrebbe essere investita di un ruolo chiaro, consistente nell’emanazione di orientamenti e norme tecniche che consentano un’applicazione uniforme dei poteri di risoluzione delle crisi, nella partecipazione alla pianificazione della risoluzione delle crisi di enti transfrontalieri e nello svolgimento di una mediazione vincolante tra le autorità di vigilanza nazionali in caso di disaccordi sull’applicazione del quadro. Infine, il buon esito della risoluzione delle crisi presuppone l’impiego di fondi sufficienti, ad esempio per l’emissione di garanzie o l’erogazione di prestiti a breve termine, volti a far sì che le parti essenziali di un’entità soggetta a risoluzione della crisi ritornino ad essere economicamente sostenibili. Questi fondi dovrebbero essere forniti in linea di massima dal settore bancario in modo equo e proporzionato e – nella misura del possibile, tenuto conto del costo economico – in anticipo. Considerate nel loro complesso, queste misure garantiscono che, a prescindere dall’azione di risoluzione della crisi intrapresa, i costi siano sostenuti principalmente dagli enti stessi e dai loro proprietari e investitori. 3.5. Il mercato interno – Trattamento dei gruppi transfrontalieri. I gruppi transfrontalieri sono composti da enti stabiliti in diversi Stati membri. Il quadro di risoluzione delle crisi riconosce l’esistenza di grup-

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pi transfrontalieri in Europa come uno dei fattori trainanti per l’integrazione dei mercati finanziari dell’Unione. Esso stabilisce regole speciali per i gruppi transfrontalieri per quanto riguarda la preparazione e la prevenzione (articoli 7, 8, 11, 12 e 15), l’intervento precoce (articolo 25) e la fase di risoluzione della crisi (articoli da 80 a 83) nonché il trasferimento delle attività tra entità affiliate ad un gruppo in periodi di dissesto finanziario (articoli da 16 a 22). Le regole sui gruppi mirano ad equilibrare l’esigenza di garantire che la risoluzione della crisi sia efficace per il gruppo nel suo insieme con la necessità di proteggere la stabilità finanziaria sia negli Stati membri in cui opera il gruppo che nell’Unione. Dotarsi di metodi efficaci per la risoluzione delle crisi dei gruppi transfrontalieri è l’unico modo per assicurare la stabilità finanziaria dell’Unione e migliorare di conseguenza il funzionamento del mercato interno anche in tempi di crisi. In particolare, e senza trascurare le garanzie necessarie per gli Stati membri ospitanti, attribuendo un ruolo preminente all’autorità di risoluzione delle crisi a livello di gruppo dovrebbe essere assicurata una risoluzione efficiente e rapida che minimizzi la perdita di valore per il gruppo. Nonostante il ruolo preminente attribuito all’autorità di risoluzione a livello di gruppo, gli interessi delle autorità di risoluzione delle crisi ospitanti saranno sufficientemente presi in considerazione grazie: a) alla conclusione di intese di cooperazione tra le autorità di risoluzione delle crisi tramite la creazione di collegi di tali autorità; b) al riconoscimento che occorre tenere conto della stabilità finanziaria in tutti gli Stati membri quando si prendono decisioni in materia di gruppi; c) alla definizione di un chiaro processo decisionale che consenta a tutte le autorità di manifestare le proprie opinioni, garantendo nel contempo che venga presa una decisione unica in materia di risoluzione delle crisi di un gruppo; e d) grazie all’istituzione di meccanismi per la composizione dei conflitti tra le autorità di risoluzione delle crisi (mediazione dell’ABE). L’ABE 12 svolgerà un ruolo di mediazione vincolante, come previsto dal regolamento (UE) n. 1093/2010, in particolare dall’articolo 19. In questo contesto si applicano tutte le regole pertinenti di tale regolamento, compresi l’articolo 38 e l’articolo 44, paragrafo 1.

12.

Per garantire che le autorità di risoluzione delle crisi siano rappresentate in seno all’ABE e mitigare i conflitti di interesse, il regolamento (UE) n. 1093/2010 è modificato onde includere le autorità nazionali di risoluzione delle crisi nel concetto di autorità competenti definito dal regolamento.

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Tutti questi meccanismi dovrebbero garantire che la risoluzione delle crisi di un gruppo, o il sostegno finanziario tra enti affiliati, non vada a detrimento di alcuna parte del gruppo e che non sia trascurata la stabilità finanziaria dello Stato membro in cui è ubicata una filiazione.

4. Elementi giuridici della proposta. 4.1 Base giuridica. La base giuridica della presente proposta è l’articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che consente l’adozione di misure di ravvicinamento delle disposizioni nazionali che hanno per oggetto l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno. La proposta armonizza le leggi nazionali sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento per quanto necessario a garantire che gli Stati membri siano in possesso dei medesimi strumenti e delle medesime procedure per affrontare dissesti sistemici. In questo modo, il quadro armonizzato dovrebbe promuovere la stabilità finanziaria nel mercato interno assicurando una capacità minima di risoluzione delle crisi degli enti in tutti gli Stati membri e agevolando la cooperazione tra le autorità nazionali quando si trovano ad affrontare il dissesto di gruppi bancari transfrontalieri. L’articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea costituisce pertanto la base giuridica appropriata. 4.2. Sussidiarietà. In virtù del principio di sussidiarietà di cui all’articolo 5, paragrafo 3, del trattato sull’Unione europea, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Solo un intervento a livello dell’Unione può garantire che gli Stati membri applichino misure sufficientemente compatibili quando si occupano di banche in dissesto. Sebbene il settore bancario dell’Unione sia fortemente integrato, i dispositivi di gestione delle crisi bancarie hanno carattere nazionale e si differenziano fortemente l’uno dall’altro. Attualmente, molti ordinamenti giuridici nazionali non conferiscono alle

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autorità i poteri necessari a procedere a una riduzione ordinata delle attività degli enti finanziari preservando contemporaneamente i servizi essenziali alla stabilità finanziaria e riducendo al minimo l’esposizione dei contribuenti a perdite derivanti dal sostegno alla solvibilità. Norme nazionali divergenti mal si prestano ad affrontare adeguatamente il problema della dimensione transfrontaliera delle crisi, complicando le intese di cooperazione tra lo Stato membro di origine e lo Stato membro ospitante. Inoltre, differenze significative tra le procedure nazionali per la risoluzione delle crisi potrebbero portare a rischi inaccettabili per la stabilità finanziaria e mettere a rischio l’efficace risoluzione delle crisi dei gruppi transfrontalieri. Dato che l’introduzione di meccanismi per la risoluzione delle crisi a livello di Unione richiede una forte armonizzazione delle pratiche e procedure nazionali, è opportuno che l’Unione proponga le necessarie azioni legislative. La risoluzione delle crisi è tuttavia strettamente legata a settori non armonizzati della legislazione nazionale, come il diritto in materia di insolvenza e di proprietà. Pertanto, la direttiva è lo strumento giuridico appropriato in quanto è necessario il suo recepimento per garantire che il quadro sia attuato in un modo da consentire il raggiungimento dell’effetto desiderato, all’interno delle specificità della pertinente legislazione nazionale. 4.3. Proporzionalità. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi stabiliti dai trattati. In linea di principio, una banca in dissesto è soggetta alle procedure ordinarie di insolvenza, come qualsiasi altra attività d’impresa. Il settore bancario, tuttavia, è diverso dalla maggior parte delle altre attività d’impresa in quanto svolge funzioni determinanti nel sistema economico ed è particolarmente vulnerabile alle crisi sistemiche. Date queste caratteristiche, la liquidazione di una banca può avere conseguenze più gravi rispetto all’uscita dal mercato di altre imprese. Ciò può giustificare il ricorso a norme e procedure speciali in caso di crisi bancaria. Dato che l’importanza sistemica del dissesto di una banca non può essere preventivamente determinata con certezza, il quadro proposto per la gestione della crisi è in linea di principio applicabile a tutti gli enti creditizi, a prescindere dalla loro dimensione e complessità. Se è certo che il fallimento di un ente la cui dimensione, importanza sul mercato e interconnessione sono di livello mondiale provocherebbe una grave

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perturbazione nel sistema finanziario globale e conseguenze economiche negative in diversi paesi, è chiaro anche che il fallimento simultaneo, nel quadro di una crisi diffusa, di molti piccoli enti che costituiscono una parte significativa del settore bancario di un paese potrebbe avere sull’economia effetti altrettanto devastanti. Il quadro assicura pertanto che le autorità di vigilanza e di risoluzione delle crisi siano dotate di regole e procedure speciali per gestire efficacemente il dissesto di qualsiasi tipo di banca in caso di rischio sistemico. Tuttavia, nel contesto dei piani di risanamento e di risoluzione delle crisi e nel ricorso ai vari strumenti a loro disposizione, è opportuno che le autorità nazionali tengano conto del rischio, delle dimensioni e delle interconnessioni dell’ente accertandosi che il regime sia applicato in modo appropriato. Le disposizioni sono pertanto proporzionate rispetto agli obiettivi preposti. Inoltre, le limitazioni del diritto di proprietà che l’esercizio dei poteri proposti può comportare devono essere in linea con la Carta dei diritti fondamentali, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia dell’Unione europea. È per questo motivo che il punto d’avvio della procedura di risoluzione delle crisi dovrebbe essere il più possibile prossimo all’insolvenza e l’esercizio dei poteri di risoluzione delle crisi dovrebbe limitarsi a quanto necessario per conseguire un obiettivo di interesse generale, segnatamente il mantenimento della stabilità finanziaria nell’Unione. 4.4. Presentazione dettagliata della proposta. 4.4.1. Oggetto e ambito di applicazione (articolo 1). La proposta affronta la gestione (preparazione, piani di risanamento e risoluzione) delle crisi, in relazione a tutti gli enti creditizi e ad alcune imprese di investimento. L’ambito di applicazione della proposta è identico a quello della direttiva sui requisiti patrimoniali (CRD) 13, che armonizza i requisiti prudenziali per gli enti finanziari appartenenti ad un gruppo bancario e le imprese di investimento. Le imprese di investimento devono far parte del quadro poiché, come è stato dimostrato dal caso Lehman Brothers, un loro fallimento può avere gravi conseguenze sistemiche. È altresì opportuno che i poteri delle autorità di risoluzione

13. Direttiva 2006/48/CE relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio e direttiva 2006/49/CE relativa all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi.

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della crisi si applichino anche alle società di partecipazione quando uno o più enti creditizi o imprese d’investimento filiazioni soddisfano le condizioni per la risoluzione della crisi e l’applicazione degli strumenti e dei poteri di risoluzione delle crisi all’entità madre è necessaria ai fini della risoluzione della crisi di una o più delle sue filiazioni oppure del gruppo nel complesso. 4.4.2. Autorità preposte alla risoluzione delle crisi (articolo 3). La proposta prevede che gli Stati membri conferiscano poteri di risoluzione delle crisi ad autorità amministrative pubbliche per garantire che gli obiettivi previsti possano essere raggiunti in modo tempestivo. La proposta non precisa l’autorità specifica da nominare in qualità di autorità preposta alla risoluzione delle crisi, in quanto ciò non è necessario per garantire un’efficace risoluzione e interferirebbe con le disposizioni costituzionali e amministrative dei singoli Stati membri. Ciascuno Stato membro è pertanto libero di designare in qualità di autorità preposta alla risoluzione, ad esempio, la banca centrale nazionale, l’autorità di vigilanza finanziaria, il sistema di garanzia dei depositi, il ministero delle finanze o un’autorità speciale. Le autorità preposte alla risoluzione delle crisi devono possedere adeguate competenze e risorse per gestire procedure di risoluzione di banche a livello nazionale e transfrontaliero. Vista la probabilità di conflitto di interessi, la separazione funzionale delle attività di risoluzione dalle altre attività delle autorità designate è obbligatoria. 4.4.3. Piani di risanamento e di risoluzione delle crisi (articoli da 5 a 13). Il ricorso ad azioni tempestive basate sui piani di risanamento può evitare che i problemi si aggravino e ridurre i rischi di dissesto bancario. Gli enti saranno tenuti a redigere piani di risanamento che stabiliscono modalità e misure che consentano di intervenire in fase precoce per ripristinarne la sostenibilità economica a lungo termine in caso di grave deterioramento della loro situazione finanziaria. I gruppi dovranno elaborare piani sia a livello di gruppo che per i singoli enti facenti parte del gruppo. Le autorità di vigilanza valuteranno e approveranno i piani di risanamento. I piani di risoluzione delle crisi consentiranno di applicare i meccanismi di risoluzione ad un ente riducendo al minimo l’esposizione del contribuente alle perdite derivanti dal sostegno alla solvibilità, pur tutelando le funzioni economiche fondamentali. Il piano di risoluzione della crisi, elaborato in tempi normali dalle autorità preposte alla risolu-

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zione delle crisi in cooperazione con le autorità di vigilanza, stabilirà le opzioni a disposizione per la risoluzione della crisi dell’ente a partire da vari scenari, inclusa una crisi sistemica. Tali piani dovrebbero comprendere dettagli sull’applicazione degli strumenti di risoluzione e su come garantire la continuità delle funzioni essenziali. Un piano di risoluzione della crisi di un gruppo dovrà includere sia un piano di risoluzione per il gruppo sia i singoli piani per gli enti al suo interno. 4.4.4. Poteri di affrontare o eliminare impedimenti alla possibilità di risoluzione delle crisi (articoli da 14 a 16). Sulla base del piano di risoluzione delle crisi, le autorità preposte alla risoluzione valutano la possibilità di risoluzione delle crisi per un ente o un gruppo. Se le autorità preposte alla risoluzione delle crisi individuano ostacoli significativi che si frappongono alla risoluzione delle crisi di un ente o di un gruppo, avranno il potere di obbligare l’ente o il gruppo ad adottare misure opportune per agevolare la risoluzione delle crisi. Tali provvedimenti possono includere: ridurre la complessità, grazie a modifiche alla struttura giuridica o operativa, per garantire che le funzioni essenziali siano giuridicamente ed economicamente separate da altre funzioni; elaborare accordi sui livelli di servizio per garantire la prestazione delle funzioni essenziali; stabilire dei limiti per le esposizioni singole o aggregate; imporre requisiti in materia di segnalazione; limitare o cessare le attività esistenti o proposte; restringere o impedire lo sviluppo di nuove aree di attività o prodotti; emettere ulteriori strumenti di capitale convertibili. La valutazione della possibilità di risoluzione delle crisi per i gruppi si fonda sul coordinamento, la consultazione e la valutazione congiunta tra le autorità preposte alla risoluzione delle crisi dei gruppi, le autorità preposte alla risoluzione delle crisi delle filiazioni, altre autorità competenti pertinenti e l’ABE. Il ruolo dell’ABE sarà determinante per garantire che la valutazione della possibilità di risoluzione delle crisi e l’uso di poteri di intervento preventivo da parte delle autorità competenti siano applicati uniformemente in tutti gli Stati membri. Concretamente, l’ABE dovrà elaborare norme tecniche che definiscano i parametri necessari per analizzare l’impatto sistemico dei piani di risoluzione delle crisi e norme tecniche che specifichino gli aspetti da esaminare per valutare la possibilità di risolvere le crisi di un ente o di un gruppo. 4.4.5. Sostegno finanziario intragruppo (articoli da 17 a 23). La proposta mira a superare le attuali restrizioni giuridiche al sostegno

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finanziario da parte di un’entità di un gruppo a favore di un’altra entità. Gli enti che operano all’interno di un gruppo potranno concludere accordi per fornire sostegno finanziario (in forma di prestiti, di garanzie o di conferimenti di attività utilizzabili in qualità di garanzia per operazioni) ad altre entità del gruppo in difficoltà finanziarie. La fornitura tempestiva di un simile sostegno finanziario può far fronte all’insorgere di problemi finanziari all’interno dei singoli membri del gruppo. L’accordo potrà essere approvato preventivamente dalle assemblee degli azionisti di tutte le entità partecipanti, secondo quanto previsto dalla normativa nazionale, e autorizzerà gli organi di gestione a fornire un sostegno finanziario, se necessario, entro i termini dell’accordo. Su questa base vi sarà maggiore certezza giuridica in quanto risulteranno chiare la tempistica e la modalità di fornitura del sostegno finanziario. Gli accordi sono volontari e consentono ai gruppi bancari di stabilire se le loro modalità siano nell’interesse del gruppo (un gruppo può essere più o meno integrato e perseguire in modo più o meno deciso una strategia comune) e di individuare le imprese che dovrebbero essere coinvolte nell’accordo (può essere opportuno escludere le imprese che esercitano attività più rischiose). A titolo di tutela, l’autorità di vigilanza dell’ente trasferente avrà il potere di vietare o limitare il sostegno finanziario secondo l’accordo, se tale trasferimento mette a repentaglio la liquidità o solvibilità del trasferente o la stabilità finanziaria. 4.4.6. Intervento precoce – Amministrazione speciale (articoli da 23 a 26) La proposta amplia i poteri delle autorità di vigilanza in modo che possano intervenire in una fase precoce in caso di deterioramento della situazione finanziaria o della solvibilità di un ente. I poteri contemplati nella proposta integrano quelli conferiti alle autorità di vigilanza di cui all’articolo 136 della direttiva sui requisiti patrimoniali. Questi poteri non derogano ai diritti o agli obblighi procedurali stabiliti in conformità al diritto societario. I poteri di intervento precoce comprendono la possibilità di richiedere all’ente di attuare le disposizioni e le misure previste nel piano di risanamento; elaborare un programma d’azione e un calendario per la sua attuazione; convocare direttamente un’assemblea degli azionisti, o richiedere all’organo di gestione di convocarla, proponendo l’ordine del giorno e l’adozione di talune decisioni; richiedere all’ente di elaborare un piano per la ristrutturazione dei debiti con i creditori. Inoltre, quando si ritiene che la solvibilità di un ente sia ad un livello di rischio sufficientemente elevato da giustificarlo, l’autorità di vigilan-

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za avrà il potere di nominare un amministratore straordinario per un periodo limitato. Compito principale dell’amministratore straordinario è risanare la situazione finanziaria dell’ente e provvedere a una sana e prudente gestione della sua attività. Un amministratore straordinario sostituirà l’alta dirigenza dell’ente e ne assumerà tutti i poteri, senza pregiudicare i diritti degli azionisti ordinari. Il potere di nominare un amministratore speciale costituirà un elemento di disciplina per la dirigenza e gli azionisti e rappresenterà un mezzo per promuovere soluzioni mutuate dal settore privato a problemi che, se non affrontati, potrebbero portare al dissesto di un ente. 4.4.7. Condizioni per la risoluzione delle crisi (articolo 27). La proposta stabilisce parametri comuni per le soglie di applicazione degli strumenti di risoluzione delle crisi. Le autorità possono intervenire quando un ente è insolvente o molto vicino a diventarlo nella misura in cui il non intervento comporta l’insolvenza dell’ente in un prossimo futuro. Al tempo stesso, è necessario garantire il ricorso a misure invasive solo quando l’interferenza con i diritti degli azionisti sia giustificata. Quindi, il ricorso alle misure di risoluzione delle crisi è giustificabile solo quando l’ente è in dissesto, o vi è la probabilità che lo sia, e non c’è altra soluzione per un risanamento entro limiti di tempo accettabili. Inoltre, il ricorso a misure di risoluzione delle crisi deve essere giustificato da motivi di interesse pubblico così come definiti all’articolo 28. 4.4.8. Principi generali – in particolare il principio secondo cui nessun creditore può essere svantaggiato (articolo 29). Il quadro stabilisce alcuni principi generali che le autorità preposte alla risoluzione delle crisi dovranno rispettare. Questi principi si riferiscono, tra l’altro, all’assegnazione delle perdite e al trattamento degli azionisti e dei creditori, nonché alle conseguenze che l’uso degli strumenti previsti potrebbe avere sulla gestione dell’ente. Il quadro stabilisce che le perdite, una volta individuate attraverso un processo di valutazione (articolo 30), debbano essere distribuite tra gli azionisti e i creditori dell’ente, in base alla gerarchia dei crediti stabilita nell’ambito di ciascun regime di insolvenza nazionale. Tuttavia, come osservato (cfr. punto 3), i regimi ordinari di insolvenza non tengono sufficientemente conto della stabilità finanziaria o di altri aspetti di interesse pubblico. Il quadro di risoluzione delle crisi stabilisce quindi alcuni principi per l’assegnazione delle perdite che dovranno essere rispettati indipendentemente da quanto stabiliscono i singoli regimi di insolven-

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za nazionali. Tali principi sono i seguenti: a) le perdite devono essere prima assegnate in toto agli azionisti e poi ai creditori; e b) i creditori della stessa categoria possono essere trattati in maniera diversa se ciò è giustificato da ragioni di interesse generale, in particolare per rafforzare la stabilità finanziaria. Questi principi si applicano a tutti gli strumenti di risoluzione delle crisi. Inoltre, per quanto riguarda lo strumento del bail-in, il quadro stabilisce una gerarchia dei crediti più dettagliata (articolo 43), che integrerà e se del caso sostituirà quella prevista dai diversi regimi di insolvenza nazionali. Nei casi in cui i creditori ricevono una somma inferiore a quella che avrebbero recuperato se l’ente fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza, le autorità devono assicurare loro che riceveranno la differenza. Questa eventuale compensazione sarà pagata attingendo al fondo di risoluzione delle crisi. Il principio secondo cui le perdite devono essere assegnate prima agli azionisti e poi ai creditori, unito all’obbligo di avviare azioni di risoluzione delle crisi prima di ricorrere ad un sostegno finanziario pubblico straordinario, consente, in linea di principio, di garantire l’efficacia dell’obiettivo di ridurre al minimo le perdite a carico del contribuente (articolo 29). 4.4.9 Valutazione (articolo 30). L’attuazione degli strumenti e dei poteri di risoluzione si basa sulla valutazione del valore reale delle attività e delle passività dell’ente vicino al dissesto. Per questo motivo, il quadro include una valutazione basata sul principio del “valore di mercato”, che garantirà che le perdite siano rilevate al momento in cui per l’ente viene avviata una procedura di risoluzione della crisi. Sarebbe opportuno che la valutazione fosse effettuata da un esperto indipendente, a meno che non vi siano ragioni d’urgenza, nel qual caso le autorità preposte alla risoluzione delle crisi procederebbero ad una valutazione provvisoria che sarebbe successivamente completata da una valutazione definitiva da parte di un esperto indipendente. Alle autorità preposte alla risoluzione delle crisi sono stati accordati i poteri necessari per modificare le proprie azioni di risoluzione della crisi 14 sulla base di eventuali discrepanze tra la valutazione provvisoria e quella definitiva.

14. Le autorità preposte alla risoluzione delle crisi, ad esempio, possono ritrasferire attività o passività trasferite ad un ente-ponte.

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4.4.10. Strumenti e poteri di risoluzione delle crisi (articoli da 31 a 64). Quando le condizioni che giustificano il ricorso alla risoluzione sono riunite, le autorità preposte possono utilizzare i seguenti strumenti di risoluzione delle crisi: (a) vendita dell’attività d’impresa; (b) “ente-ponte”; (c) separazione delle attività; (d) bail-in. Al fine di utilizzare tali strumenti, le autorità di risoluzione delle crisi avranno i poteri di assumere il controllo di un ente in dissesto o vicino al dissesto, assumere il ruolo degli azionisti e dell’organo di gestione, trasferire attività e passività e far rispettare i contratti. Gli strumenti di risoluzione possono essere applicati singolarmente o in combinazione. Tutti questi strumenti comportano un certo livello di ristrutturazione della banca. Tale ristrutturazione non è una caratteristica propria soltanto del bail-in. Lo strumento della separazione delle attività deve essere applicato in tutti i casi, insieme agli altri strumenti (articolo 32). L’uso di uno strumento di risoluzione delle crisi dovrà essere coerente con il quadro degli aiuti di Stato dell’Unione, laddove questo sia applicabile. Al riguardo, il ricorso al sostegno pubblico e/o l’uso dei fondi di risoluzione delle crisi per enti in dissesto dovranno essere notificati alla Commissione e saranno valutati in conformità con le disposizioni pertinenti in materia di aiuti di Stato per stabilirne la compatibilità con il mercato interno. La proposta contiene un insieme minimo di strumenti di risoluzione delle crisi che tutti gli Stati membri dovrebbero adottare. Tuttavia, le autorità nazionali saranno in grado di detenere, in aggiunta, gli strumenti e i poteri nazionali specifici necessari per occuparsi di enti in dissesto, se questi sono compatibili con i principi e gli obiettivi del quadro UE di risoluzione e del TFUE e se non ostano all’efficace risoluzione delle crisi a livello di gruppo 15. Le autorità nazionali di risoluzione delle crisi potranno usare tali strumenti e poteri nazionali solo dimostrando che nessuno degli strumenti (applicati singolarmente o in combinazione) previsti dal quadro UE consente loro di avviare azioni efficaci di risoluzione delle crisi. Lo strumento della vendita dell’attività d’impresa consente alle autorità preposte di procedere alla vendita dell’ente nella sua totalità, o di una

15. In questo senso uno strumento che consiste nel separare un ente dal resto del gruppo non sarebbe compatibile con il quadro.

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parte della sua attività, a condizioni di mercato, senza dover richiedere il consenso degli azionisti o soddisfare requisiti procedurali altrimenti applicabili. Per quanto possibile in simili circostanze, le autorità di risoluzione dovrebbero mettere sul mercato l’ente o le parti della sua attività che devono essere cedute. Lo strumento dell’ente-ponte permette alle autorità preposte alla risoluzione di trasferire la totalità o parte dell’attività di un ente a un’entità controllata da poteri pubblici. L’ente-ponte deve essere autorizzato in conformità con la direttiva sui requisiti patrimoniali e sarà gestito come un’impresa commerciale, entro i limiti fissati dal quadro degli aiuti di Stato. L’operatività di un ente-ponte è temporanea: il suo scopo è di vendere l’attività al settore privato quando le condizioni di mercato siano adeguate. Lo strumento della separazione delle attività ha come fine di consentire alle autorità preposte alla risoluzione di trasferire attività compromesse o problematiche a un veicolo di gestione dove tali attività verranno gestite e le loro problematicità risolte nel tempo. Le attività dovrebbero essere trasferite al valore di mercato o al valore economico a lungo termine (a norma dell’articolo 30) in modo che le perdite siano rilevate al momento del trasferimento. Al fine di ridurre al minimo le distorsioni della concorrenza e il rischio di azzardo morale, questo strumento dovrebbe essere utilizzato solo congiuntamente a un altro strumento di risoluzione. 4.4.11. Strumento del bail-in (articoli da 37 a 51). Lo strumento del bail-in consentirà alle autorità di risoluzione delle crisi di ridurre gli importi dovuti ai creditori di un ente in dissesto non garantiti e di convertire tali crediti in capitale. Lo strumento può essere utilizzato per ricapitalizzare un ente in dissesto o vicino al dissesto, consentendo alle autorità di ristrutturarlo attraverso la procedura di risoluzione e di ripristinarne la sostenibilità economica dopo la riorganizzazione e la ristrutturazione. Ciò consentirebbe una maggior flessibilità di risposta da parte delle autorità in caso di dissesto di enti finanziari grandi e complessi. Lo strumento verrebbe accompagnato dalla rimozione dell’organo di gestione responsabile dei problemi dell’ente in questione e dall’attuazione di un piano di risanamento. Le autorità di risoluzione delle crisi dovrebbero avere il potere di ricorrere al bail-in per tutte le passività dell’ente. Vi sono, tuttavia, alcune passività che sarebbero escluse ex-ante (quali ad esempio le passività garantite, i depositi coperti e le passività con scadenza residua inferiore a un mese). In via eccezionale e qualora esistesse la giustificata neces-

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sità di garantire le operazioni essenziali dell’ente, le sue aree di attività principali o la stabilità finanziaria (articolo 38) l’autorità di risoluzione potrebbe escludere le passività risultanti da derivati. L’applicazione armonizzata in tutta l’UE di questa possibile esclusione sarà garantita da atti delegati della Commissione. Per applicare lo strumento del bail-in le autorità preposte alla risoluzione delle crisi devono essere in grado di garantire che gli enti abbiano in bilancio una quantità sufficiente di passività che potrebbero essere soggette al bail-in. L’importo minimo sarà proporzionato e adattato per ciascuna categoria di enti sulla base del loro rischio o della composizione delle fonti di finanziamento (articolo 39). L’applicazione armonizzata in tutta l’UE di questo importo minimo sarà garantita da atti delegati della Commissione. A titolo di esempio, e sulla base di elementi di prova forniti dalla recente crisi finanziaria nonché di simulazioni effettuate con l’aiuto di modelli, il 10% del totale delle passività (oltre al patrimonio di vigilanza) rappresenterebbe una percentuale adeguata ai fini del bail-in. Come illustrato al punto 4.4.8, gli articoli 43 e 44 stabiliscono una gerarchia dettagliata che integra e se del caso sostituisce quella prevista dai diversi regimi di insolvenza nazionali. In linea di principio, i crediti degli azionisti dovrebbero essere esauriti prima di quelli dei creditori subordinati. È soltanto quando tali crediti sono esauriti che le autorità preposte alla risoluzione delle crisi possono imputare le perdite ai crediti di primo rango (articoli 43 e 44). Possono esserci casi, tuttavia, in cui le autorità preposte alla risoluzione potrebbero interferire nei diritti dei creditori senza aver prima esaurito i crediti degli azionisti. Si tratta di circostanze specifiche dello strumento del bail-in, che potrebbero verificarsi qualora un ente soggetto a risoluzione abbia del capitale residuo (in base alle condizioni per la risoluzione della crisi, un ente è in dissesto o a rischio di dissesto se ha esaurito tutto il proprio patrimonio o una parte sostanziale di esso). In questo caso, le autorità preposte alla risoluzione delle crisi potrebbero, dopo aver assegnato le perdite agli azionisti e ridotto o cancellato la maggior parte dei crediti degli azionisti, convertire in capitale i crediti subordinati e, se necessario, le passività di primo rango. Questa conversione dovrà avvenire in maniera tale da diluire significativamente i rimanenti crediti degli azionisti. 4.4.12. Restrizioni del diritto di recesso e protezioni per le controparti (articoli da 68 a 73 e articolo 77). Per un’efficace applicazione degli strumenti di risoluzione, è necessario che le autorità di risoluzione delle crisi possano imporre una sospensione temporanea dell’esercizio da parte di creditori e controparti

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dei diritti esecutori dei loro diritti e dei diritti di close-out, o di anticipare il termine o comunque recedere dai contratti nei confronti di un ente in dissesto. Tale sospensione temporanea, che dovrebbe durare al massimo fino alle 17.00 del giorno lavorativo successivo, fornisce alle autorità il lasso di tempo necessario ad individuare e valutare i contratti che devono essere trasferiti a una terza parte solvente, senza correre il rischio che il valore e il contenuto dei contratti finanziari cambino in seguito all’esercizio del diritto di recesso da parte delle controparti. I diritti di recesso per le controparti che restano con l’ente in dissesto riprendono normalmente corso alla fine del periodo di sospensione. Al contrario, il trasferimento a una terza parte solvente non deve considerarsi come un caso di inadempimento tale da giustificare il diritto di recesso. Queste necessarie restrizioni dei diritti contrattuali sono controbilanciate da una protezione per le controparti che consiste nel divieto per le autorità di frazionare obbligazioni, diritti e contratti collegati: se si procede a un trasferimento parziale di beni, è necessario trasferire la totalità dei contratti collegati oppure non trasferirli affatto. I contratti in questione comprendono: accordi di netting per close-out, accordi di compensazione, contratti di garanzia finanziaria con trasferimento del titolo di proprietà, accordi di garanzia e contratti di finanza strutturata. 4.4.13. Restrizioni applicabili ai procedimenti giudiziari (articoli 77 e 78). Ai sensi dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, le parti interessate hanno diritto a un giudice imparziale e a disporre di mezzi di ricorso efficaci nei confronti delle misure che le riguardano. Di conseguenza, occorre prevedere la possibilità di ricorso giurisdizionale avverso le decisioni prese dalle autorità di risoluzione delle crisi. Inoltre, sia per tutelare i terzi che hanno acquistato attività, diritti e passività dell’ente soggetto a risoluzione della crisi in virtù dell’esercizio dei poteri delle autorità in tal senso, sia per assicurare la stabilità dei mercati finanziari, il ricorso giurisdizionale non dovrebbe incidere sugli atti amministrativi e/o sulle transazioni conclusi in base a una decisione di risoluzione della crisi annullata. Occorre pertanto limitare le misure correttive applicate a una decisione indebita al riconoscimento alle persone lese di un indennizzo per i danni subiti. È inoltre necessario evitare l’avvio di altre azioni legali in relazione ad una banca soggetta a risoluzione di una crisi. A questo scopo, il quadro prevede che, prima che il giudice nazionale avvii le procedure di insolvenza relative ad un ente, ne informi l’autorità nazionale preposta alla

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risoluzione delle crisi, la quale ha il diritto, entro 14 giorni dalla notifica, di decidere di avviare un’azione di risoluzione della crisi nei confronti dell’ente interessato. 4.4.14. Risoluzioni transfrontaliere (articoli da 80 a 83). Il quadro di risanamento e risoluzione delle crisi tiene conto della natura transfrontaliera di alcuni gruppi bancari, con l’obiettivo di creare un quadro completo e integrato per il risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie nell’Unione. Di conseguenza, i piani di risanamento e risoluzione delle crisi devono essere preparati, concordati e attuati per l’intero gruppo, tenendo però conto delle peculiarità della struttura di ciascun gruppo e della ripartizione delle responsabilità tra le autorità del paese ospitante e quelle del paese di origine. Ciò sarà realizzato attraverso misure che richiederanno una più stretta cooperazione tra le autorità nazionali e la creazione di incentivi per l’applicazione di un approccio di gruppo in tutte le fasi di preparazione, risanamento e risoluzione. Saranno costituiti collegi di risoluzione con una leadership chiara e con la partecipazione dell’Autorità bancaria europea (ABE). L’ABE agevolerà la collaborazione tra le autorità e, se necessario, ricoprirà un ruolo di mediazione. L’obiettivo dei collegi è coordinare le misure preparatorie e di risoluzione tra le autorità nazionali per garantire soluzioni ottimali a livello UE. 4.4.15 Relazioni con paesi terzi (articoli da 84 a 89). Dato che molte banche e gruppi bancari dell’UE sono attivi in paesi terzi, un quadro efficace per la risoluzione delle crisi deve prevedere la cooperazione con le autorità di tali paesi. La proposta conferisce alle autorità dell’UE i poteri necessari a sostenere azioni esterne di risoluzione per una banca estera dissestata, conferendo efficacia al trasferimento delle sue attività e passività situate nell’UE o soggette alla sua giurisdizione. Tuttavia, tale sostegno viene fornito solo se l’azione estera garantisce condizioni eque e di parità di trattamento per creditori e depositanti locali e non compromette la stabilità finanziaria dello Stato membro. Le autorità dell’UE preposte alla risoluzione dovrebbero altresì avere il potere di applicare strumenti di risoluzione alle succursali nazionali di enti di paesi terzi, nel caso in cui la risoluzione separata si rendesse necessaria per ragioni di stabilità finanziaria o per la protezione dei depositanti locali. La proposta prevede che il sostegno alle azioni esterne di risoluzione delle crisi sia accordato nel caso in cui le autorità preposte alla risoluzione abbiano stretto un’intesa di cooperazione con

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le autorità preposte dei paesi terzi. Tali accordi dovrebbero costituire un mezzo per garantire un’efficace attività di pianificazione, decisione e coordinamento rispetto ai gruppi internazionali. È opportuno che l’ABE elabori e concluda accordi quadro amministrativi con le autorità dei paesi terzi a norma dell’articolo 33 del regolamento (UE) n. 1093/2010 e che le autorità nazionali concludano accordi bilaterali conformi, per quanto possibile, agli accordi quadro dell’ABE. 4.4.16 Finanziamento delle risoluzioni delle crisi (articoli da 90 a 99). La risoluzione delle crisi consente una migliore ripartizione dei costi tra azionisti e creditori quando le procedure di insolvenza sono ritenute inadeguate alla luce dei potenziali rischi alla stabilità finanziaria. È tuttavia possibile che ciò non sia sempre sufficiente e debba essere integrato da finanziamenti supplementari allo scopo, ad esempio, di fornire liquidità ad una banca-ponte. Sulla base delle esperienze passate, per ridurre al minimo l’esposizione dei contribuenti a perdite derivanti dal sostegno alla solvibilità, è necessario stabilire meccanismi di finanziamento finanziati dagli enti stessi. Gli articoli da 90 a 99 stabiliscono le disposizioni necessarie a tale scopo. L’articolo 89 prevede l’introduzione di meccanismi di finanziamento in ciascuno Stato membro. Gli obiettivi per i quali essi possono essere usati sono elencati all’articolo 89, paragrafo 2, e vanno dalle garanzie ai prestiti e ai contributi. Le perdite sono in primo luogo sostenute dagli azionisti e dai creditori, ma, in linea di principio, non si possono escludere altri meccanismi di finanziamento. L’articolo 90 stabilisce le regole sui contributi ai meccanismi di finanziamento e prevede contributi ex-ante integrati da contributi ex-post e, ove necessario, prestiti da enti finanziari o dalla banca centrale. Per assicurare che alcuni fondi siano sempre disponibili, e visto il carattere prociclico dei finanziamenti ex-post, viene stabilito un livello minimo, da raggiungere con contributi ex-ante nell’arco di dieci anni. Calcolato in base a modelli, l’obiettivo minimo ottimale è fissato all’1% dei depositi coperti. Per migliorare la resilienza dei meccanismi di finanziamento nazionali, l’articolo 97 prevede il diritto per i meccanismi nazionali di concedere prestiti alle loro controparti in altri Stati membri. Per tener conto della distribuzione delle competenze tra le varie autorità nazionali nella risoluzione delle crisi a livello di gruppo, l’articolo 98 stabilisce regole sui rispettivi contributi dei meccanismi nazionali di finanziamento alla risoluzione delle crisi a livello di gruppo. Tale contributo sarà basato su quello precedentemente concordato nell’ambito dei piani di risoluzione delle crisi a livello di gruppo. I meccanismi nazionali di finanziamento,

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insieme ai meccanismi di prestito e alla messa in comune dei meccanismi nazionali in caso di risoluzione delle crisi dei gruppi transfrontalieri (articolo 98) costituiscono un sistema europeo di meccanismi di finanziamento. L’articolo 99 tratta il ruolo dei sistemi di garanzia dei depositi nel quadro di risoluzione delle crisi. I sistemi di garanzia dei depositi possono essere chiamati a contribuire alla risoluzione delle crisi in due modi. In primo luogo, i sistemi di garanzia dei depositi devono contribuire a garantire la continuità dell’accesso ai depositi coperti. Sistemi di garanzia dei depositi sono attualmente presenti in tutti gli Stati membri, in linea con la direttiva 94/19/CE. Essi indennizzano i depositanti al dettaglio fino a 100 000 EUR per i depositi non disponibili, prima di diventare oggetto di surrogazione nelle procedure di liquidazione. La risoluzione delle crisi, da parte sua, evita la non disponibilità dei depositi coperti, cosa che dal punto di vista dei depositanti risulta preferibile. È pertanto auspicabile che il sistema di garanzia dei depositi contribuisca per un importo equivalente alle perdite che esso avrebbe dovuto sostenere nelle procedure ordinarie di insolvenza, come risulta dall’articolo 99, paragrafo 1. Affinché il finanziamento sia sufficiente, i sistemi di garanzia dei depositi sono integrati nella gerarchia dei crediti e hanno pari trattamento rispetto ai crediti non privilegiati non garantiti. I contributi dei sistemi di garanzia dei depositi devono essere in contanti, per assorbire le perdite relative ai depositi coperti. In secondo luogo, mentre gli Stati membri devono almeno usare i sistemi di garanzia dei depositi per fornire contanti che possano garantire il mantenimento dell’accesso ai depositi coperti, resta a loro discrezione scegliere come finanziare la risoluzione delle crisi: possono decidere di creare meccanismi di finanziamento separati dai sistemi di garanzia dei depositi, o di usare i loro sistemi di garanzia dei depositi anche come meccanismi di finanziamento a titolo dell’articolo 91. Tra i sistemi di garanzia dei depositi e la risoluzione delle crisi vi sono effetti di sinergia. L’esistenza di un quadro di risoluzione delle crisi che limita il contagio diminuisce il numero di dissesti bancari e, di conseguenza, le probabilità di ricorso ai sistemi di garanzia dei depositi. La proposta consente pertanto agli Stati membri di avvalersi dei sistemi di garanzia dei depositi ai fini della risoluzione delle crisi realizzando economie di scala. Quando i due meccanismi sono separati, il sistema di garanzia dei depositi è responsabile della protezione dei depositanti coperti alle condizioni di cui all’articolo 99, paragrafi da 1 a 4, mentre i meccanismi di finanziamento separati stabiliti a norma dell’articolo 91 forniscono un finanziamento supplementare. Invece, quando essi optano per un mec-

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canismo di finanziamento unico, questo sarà utilizzato sia per coprire le perdite relative ai depositi coperti che per altri scopi, a norma dell’articolo 92. In quel caso, il sistema di garanzia dei depositi deve rispettare tutte le condizioni sui contributi, i prestiti e la messa in comune di cui agli articoli da 93 a 98. In ogni caso, se il sistema di garanzia dei depositi ha versato un contributo e, in un secondo momento, si verifica il dissesto dell’ente soggetto a risoluzione delle crisi senza che il sistema di garanzia dei depositi disponga di fondi sufficienti per rimborsare i depositanti, il sistema di garanzia dei depositi deve dotarsi di dispositivi che gli consentano di ottenere immediatamente dai suoi membri gli importi corrispondenti. La presenza di aiuti di Stati nell’intervento dei fondi di risoluzione delle crisi è probabile a prescindere dal tipo di meccanismo di finanziamento nazionale (ossia esiste un fondo di risoluzione delle crisi distinto dal sistema di garanzia dei depositi, o il sistema di garanzia dei depositi viene utilizzato come fondo di risoluzione delle crisi). 4.4.17. Conformità agli articoli 290 e 291 del TFUE. Il 23 settembre 2009 la Commissione ha adottato le proposte relative ai regolamenti istitutivi dell’Autorità bancaria europea (ABE), dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (AEAP) e dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (AESFEM) 16. A questo proposito la Commissione desidera ricordare quanto da essa dichiarato all’atto dell’adozione dei regolamenti che istituiscono le Autorità europee di vigilanza relativamente agli articoli 290 e 291 del TFUE: “Riguardo alla procedura per l’adozione degli standard tecnici di regolamentazione, la Commissione sottolinea il carattere peculiare del settore dei servizi finanziari, derivante dalla struttura Lamfalussy ed esplicitamente riconosciuta nella dichiarazione 39 allegata al TFUE. La Commissione ha tuttavia seri dubbi sul fatto che le restrizioni al suo ruolo in materia di adozione di atti delegati e misure di esecuzione siano in linea con gli articoli 290 e 291 del TFUE. 4.4.18. Modifiche alla direttiva sulla liquidazione, alle direttive in materia di diritto societario e al regolamento ABE (articoli da 104 a 111). La direttiva 2001/24/CE dispone il riconoscimento reciproco e l’applicazione di misure per il risanamento e la liquidazione degli enti creditizi

16

COM(2009) 501, COM(2009) 502, COM(2009) 503.

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che hanno succursali in altri Stati membri. Scopo della direttiva è assicurare che un ente creditizio e le relative succursali in altri Stati membri siano risanati o liquidati in base ai principi di unità e di universalità mediante l’applicazione di una procedura d’insolvenza unica che tratti l’ente creditizio come una singola entità. Grazie all’unità e universalità della procedura si garantisce ai creditori l’uguaglianza di trattamento a prescindere da nazionalità, luogo di residenza o domicilio. Ai fini del pari trattamento dei creditori anche nelle procedure di risoluzione, la direttiva 2001/24/CE è modificata al fine di ampliarne il campo di applicazione alle imprese di investimento e per consentire l’uso degli strumenti di risoluzione a qualsiasi entità coperta dal regime di risoluzione. Le direttive dell’UE sul diritto societario contengono norme per la protezione degli azionisti e dei creditori. Alcune di queste norme possono ostacolare un rapido intervento da parte delle autorità preposte alla risoluzione. La seconda direttiva sul diritto societario prescrive che gli aumenti di capitale in una società per azioni siano approvati dall’assemblea, mentre la direttiva 2007/36 (la direttiva sui diritti degli azionisti) prevede un termine di 21 giorni per la convocazione della stessa assemblea. Non è pertanto possibile risanare rapidamente la situazione finanziaria di un ente creditizio mediante un aumento di capitale. La proposta modifica di conseguenza la direttiva sui diritti degli azionisti, per consentire all’assemblea di poter decidere in anticipo di abbreviare il termine per la convocazione dell’assemblea nella quale discutere dell’aumento del capitale in situazioni di emergenza. Tale autorizzazione farà parte del piano di risanamento. Ciò consentirà un intervento rapido, pur garantendo agli azionisti la facoltà di esercitare il loro potere decisionale. Inoltre, le direttive sul diritto societario stabiliscono che aumenti e riduzioni di capitale, fusioni e scissioni devono essere sottoposte all’approvazione degli azionisti e che, nel caso di un aumento di capitale sottoscritto mediante conferimenti in denaro, si applicano i diritti di prelazione. Inoltre, la direttiva sulle offerte pubbliche di acquisto impone offerte di acquisto obbligatorie quando un soggetto – compreso lo Stato – acquisisce quote in una società quotata superando la soglia di controllo (di solito, tra il 30% e il 50%). Per ovviare a tali ostacoli, la proposta consente agli Stati membri di derogare alle disposizioni che richiedono il consenso dei creditori o degli azionisti, o che possono ostacolare in altro modo la rapidità e l’efficacia della risoluzione. Affinché le autorità competenti della risoluzione delle crisi siano rappresentate nel Sistema europeo di vigilanza finanziaria istituito dal regolamento (UE) n. 1093/2010 e affinché l’ABE disponga delle conoscenze

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necessarie a svolgere i compiti previsti dalla presente direttiva, occorre modificare il regolamento (UE) n. 1093/2010 per includere le autorità nazionali di risoluzione delle crisi nella nozione di autorità competenti di cui a tale regolamento. 4.4.19. Entrata in vigore. La direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. Come da prassi comune, il termine di recepimento della direttiva è stabilito a 18 mesi, ossia il 31 dicembre 2014. Le disposizioni relative allo strumento del bail-in sono soggette ad un periodo di recepimento più lungo e saranno applicate dal 1° gennaio 2018. Tale data tiene conto dei cicli di scadenza dei debiti in essere, della necessità di evitare la riduzione della leva finanziaria e della necessità per gli enti di applicare nuovi requisiti patrimoniali entro il 2018. In conformità della Dichiarazione politica comune degli Stati membri e della Commissione sui documenti esplicativi, del 28 settembre 2011, gli Stati membri accompagneranno la notifica delle misure di esecuzione con tavole di concordanza. Ciò è giustificato dalla complessità della direttiva, che riguarda diversi aspetti e probabilmente richiederà una notevole varietà di misure di esecuzione, nonché dal fatto che alcuni Stati membri hanno già adottato leggi che, in parte, danno attuazione alla direttiva.

5. Incidenza sul bilancio. Le opzioni sopra illustrate avranno incidenza sul bilancio dell’Unione. La proposta imporrebbe all’ABE di: (i) elaborare circa 23 norme tecniche e 5 orientamenti; (ii) partecipare a collegi di risoluzione, decidere in caso di disaccordo e svolgere un ruolo di mediazione vincolante e (ii) prevedere il riconoscimento delle procedure di risoluzione delle crisi dei paesi terzi a norma dell’articolo 85 e concludere intese di cooperazione non vincolanti con i paesi terzi a norma dell’articolo 88. La pubblicazione delle norme tecniche sarà effettuata 12 mesi dopo l’entrata in vigore della direttiva, prevista tra giugno e dicembre 2013. La proposta della Commissione prevede per l’ABE funzioni di lungo termine, che richiederanno 5 posti aggiuntivi (agenti temporanei) dal 2014. Sono inoltre previsti 11 esperti nazionali distaccati (END) da assegnare a funzioni temporanee limitate al 2014 e 2015.

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II Parere della Banca Centrale Europea del 29 novembre 2012, in merito alla proposta di direttiva che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento

Introduzione e base giuridica Il 10 luglio 2012 la Banca centrale europea (BCE) ha ricevuto dal Consiglio dell’Unione europea una richiesta di parere in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica le direttive del Consiglio 77/91/CEE e 82/891/CEE, le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/ CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE e 2011/35/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010 1 (di seguito la «proposta di direttiva»). Il 27 luglio 2012, la BCE ha ricevuto dal Parlamento europeo una richiesta di parere in merito alla proposta di direttiva. La BCE è competente a formulare un parere sulla proposta di direttiva in virtù degli articoli 127, paragrafo 4, e 282, paragrafo 5, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in quanto la proposta di direttiva contiene disposizioni riguardanti il contributo del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario, la definizione e attuazione della politica monetaria dell’Unione e la promozione del regolare funzionamento dei sistemi di pagamento. Conformemente al primo periodo dell’articolo 17.5 del regolamento interno della Banca centrale europea, il Consiglio direttivo ha adottato il presente parere.

Osservazioni di carattere generale La BCE sostiene pienamente lo sviluppo di un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi nonché la rimozione degli ostacoli a una ge-

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COM(2012) 280 final.


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stione efficace delle crisi delle istituzioni finanziarie. Tutte le istituzioni finanziarie dovrebbero poter affrontare il dissesto in maniera ordinata, salvaguardando la stabilità del sistema finanziario nel suo complesso e riducendo al minimo costi pubblici e distorsioni economiche. La BCE sostiene in particolare una disciplina a livello dell’Unione per la risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento al fine di mantenere la stabilità finanziaria nell’Unione e di conseguenza garantire il funzionamento del mercato unico anche nei periodi di crisi. A tal fine, è essenziale l’elaborazione di strumenti comuni di supporto per la gestione del dissesto delle istituzioni finanziarie, quali i piani di risanamento e di risoluzione delle crisi, così come gli strumenti della banca-ponte, del bail-in, della vendita dell’attività d’impresa e della separazione delle attività. La BCE vede con favore che la proposta sia in linea con le caratteristiche essenziali dei regimi efficaci di risoluzione delle crisi per gli enti finanziari concordate a livello internazionale 2, che esortano alla convergenza dei regimi nazionali di risoluzione delle crisi con strumenti e poteri adeguati per una risoluzione efficace. L’attuazione di tali caratteristiche essenziali consente di intervenire tempestivamente per assicurare la continuità delle funzioni essenziali. La BCE è del parere che la direttiva in questione, rappresentando un passo molto importante verso un quadro integrato di risoluzione delle crisi per l’Unione, debba essere adottata in tempi brevi. Al contempo, saranno necessari ulteriori passi per creare un meccanismo unico di risoluzione delle crisi, che costituisce uno dei tre pilastri dell’unione bancaria. Di conseguenza, la BCE invita la Commissione a presentare urgentemente un’apposita proposta in merito a un Meccanismo europeo di risoluzione delle crisi indipendente, che includa aspetti relativi a un Fondo comune europeo per la risoluzione delle crisi. Tale Fondo sarebbe finanziato come minimo dalle istituzioni finanziarie. La coerenza tra questi tre pilastri è fondamentale per il successo dell’unione dei mercati finanziari.

2.

Si veda il documento «Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions» (Caratteristiche essenziali dei regimi efficaci di risoluzione delle crisi per gli enti finanziari) dell’ottobre 2011, disponibile sul sito del Consiglio per la stabilità finanziaria all’indirizzo http://www.financialstabilityboard.org nonché il documento «Report and Recommendations of the Cross-border Bank Resolution Group» (Relazione e raccomandazioni del gruppo sulla risoluzione transfrontaliera delle crisi nel settore bancario) del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, del marzo 2010, disponibile sul sito della Banca dei regolamenti internazionali all’indirizzo http://www.bis.org

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1. Definizione di risoluzione delle crisi. La proposta di direttiva definisce la risoluzione delle crisi come la ristrutturazione di un ente al fine di assicurarne la continuità delle funzioni essenziali, di preservare la stabilità finanziaria e di ripristinare la sostenibilità economica di tutto l’ente o di sue parti 3. La BCE è del parere che la risoluzione delle crisi esiga una gerarchia chiara. In tale contesto, gli enti in dissesto o a rischio di dissesto dovrebbero in linea di principio, fatta salva una decisione da parte delle autorità di risoluzione delle crisi, essere sottoposti a risoluzione utilizzando strumenti di risoluzione delle crisi quando lo si ritenga necessario e nell’interesse pubblico, compresa la prevenzione del rischio sistemico. Qualora l’autorità di risoluzione delle crisi ritenga che non sussistano aspetti di interesse pubblico, l’ente dovrebbe essere liquidato con la procedura ordinaria di insolvenza applicabile a tale ente secondo l’ordinamento nazionale. Infine, la ristrutturazione nell’ambito di una risoluzione della crisi in corso di attività dovrebbe essere contemplata soltanto ove ciò sia giustificato dall’interesse pubblico di preservare la stabilità finanziaria e nei casi in cui la risoluzione organizzata di un ente creditizio avesse l’effetto di danneggiare seriamente la stabilità del sistema finanziario, con un più elevato rischio di contagio transfrontaliero. La proposta di direttiva dovrebbe chiarire che l’obiettivo della risoluzione delle crisi non è preservare l’ente in dissesto come tale, bensì assicurare la continuità delle sue funzioni essenziali 4.

2. Condizioni per la risoluzione della crisi e valutazione della necessità di un sostegno finanzia­rio pubblico straordinario. 2.1. La proposta di direttiva dispone che una delle condizioni per l’avvio di una risoluzione della crisi sia che l’autorità competente o l’autorità

3

Si veda l’articolo 2, paragrafo 1, della proposta di direttiva.

Si veda il contributo del SEBC alla consultazione pubblica della Commissione sui dettagli tecnici di un possibile quadro dell’Unione per il risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie, maggio 2011, pagg. 4 e 5. Tutti i documenti della BCE richiamati sono disponibili nel sito Internet della BCE al seguente indirizzo http://www.ecb. europa.eu. Si veda altresì la modifica proposta dalla BCE n. 3. 4.

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di risoluzione della crisi determinino che l’ente è in dissesto o a rischio di dissesto 5. La BCE è del parere che la responsabilità di determinare se un ente sia in dissesto o a rischio di dissesto debba essere attribuita in modo chiaro all’autorità competente, nell’interesse di una pronta ed efficiente risoluzione della crisi. 2.2. La proposta di direttiva dispone inoltre che la necessità di aiuti di Stato da parte di un ente sia un indicatore di dissesto o di prossimità al dissesto. Tuttavia, lo stesso articolo della proposta di direttiva dispone che due tipi specifici di aiuti di Stato non costituiscono un indicatore di tale tipo 6. Mentre sostiene la durata massima di tale aiuto di Stato 7, la BCE rileva come un numero considerevole di enti creditizi e di imprese di investimento che attualmente ricevono aiuti di Stato sarebbero considerati in dissesto o a rischio di dissesto in base a tale indicatore. La BCE ritiene che la determinazione delle circostanze in presenza delle quali un ente è in dissesto o a rischio di dissesto dovrebbe essere basata unicamente sulla valutazione della sua situazione prudenziale. Pertanto, una particolare necessità di aiuti di Stato non dovrebbe, di per sé, costituire un criterio oggettivo adeguato 8, mentre le circostanze che sono alla base della concessione dell’aiuto di Stato dovrebbero essere ricomprese nella valutazione della situazione prudenziale dell’ente.

3. Coinvolgimento delle banche centrali nel risanamento e nella risoluzione delle crisi. 3.1. Le banche centrali hanno responsabilità in materia di stabilità finanziaria e macroprudenziale, nonché competenza in tema di mercati finanziari. A tale riguardo, dovrebbero essere coinvolte nel processo di risoluzione contribuendo al raggiungimento degli obiettivi della risoluzione della crisi, riducendo al contempo i rischi di effetti negativi indesiderati sullo svolgimento dei compiti di banca centrale e sul funzio-

5

Si veda l’articolo 27, paragrafo 2, lettera a) della proposta di direttiva. Si veda l’articolo 27, paragrafo 2, lettera d), punti i) e ii) della proposta di direttiva. 7. Si veda l’articolo 27, paragrafo 2, lettera d), secondo paragrafo, della proposta di direttiva. 8. Si veda l’articolo 27, paragrafo 2, lettera d), secondo paragrafo, della proposta di direttiva in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 26. Si vedano inoltre le modifiche proposte n. 2 e n. 8. 6

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namento dei sistemi di pagamento e di regolamento. In tale contesto, le banche centrali possono svolgere un ruolo nella valutazione dei piani di risanamento e di risoluzione delle crisi dal punto di vista della stabilità finanziaria, come ad esempio la valutazione della probabilità di eventi scatenanti che potrebbero condurre ad una riduzione sregolata della leva finanziaria. Le banche centrali possono anche essere coinvolte nella valutazione dei corsi di azione possibili per l’autorità di risoluzione delle crisi, dato che uno degli obiettivi principali è quello di evitare perturbazioni sistemiche 9. La BCE pertanto ritiene necessario che, nel caso in cui la banca centrale non coincida con l’autorità di risoluzione dalla crisi, l’autorità competente e l’autorità di risoluzione della crisi s’impegnino ad un adeguato scambio di informazioni con la banca centrale 10. 3.2. La proposta di direttiva dispone che i piani di risanamento preparati e aggiornati da un ente per il ripristino della situazione finanziaria a seguito di un deterioramento significativo non presuppongono l’accesso a un sostegno finanziario pubblico straordinario né il suo ottenimento. Tuttavia, comprendono, ove pertinente, un’analisi delle modalità e delle situazioni in cui l’ente può chiedere di accedere a meccanismi della banca centrale in condizioni di crisi, e le relative garanzie reali disponibili 11. La BCE tiene a sottolineare come tale disposizione non debba in alcun modo pregiudicare la competenza delle banche centrali di decidere, in modo indipendente e a loro piena discrezione, in merito alla fornitura di liquidità di banca centrale a enti creditizi non insolventi, sia nell’ambito di normali operazioni di politica monetaria sia in occasione di operazioni di finanziamento volte a fronteggiare gravi crisi di liquidità (emergency liquidity assistance), entro i limiti imposti dal divieto di finanziamento monetario a norma del trattato 12.

9. Si veda anche il contributo del SEBC alla consultazione pubblica della Commissione europea riguardante i dettagli tecnici di un possibile quadro per il risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie, maggio 2011, pag. 6, paragrafo 9. 10. A tale riguardo, l’articolo 74, paragrafo 3, lett. b) della proposta rappresenta un passo avanti nella giusta direzione, ma non è sufficiente ad assicurare uno scambio di informazioni e una collaborazione adeguati. Si vedano anche le modifiche proposte n. 4 e n. 23. 11. Si veda l’articolo 5, paragrafo 3, della proposta di direttiva; si veda inoltre l’articolo 9, paragrafo 2, della proposta di direttiva per quanto riguarda i piani di risoluzione delle crisi. 12. Si veda il rapporto sulla convergenza del 2012 predisposto dalla BCE, pag. 29. Si veda altresì la modifica proposta n. 1.

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3.3. La proposta di direttiva richiede che ogni Stato membro includa nel proprio insieme di strumenti per la risoluzione delle crisi il potere di istituire e gestire un ente-ponte e una società veicolo per la gestione delle attività. La proposta di direttiva dispone che l’ente-ponte sia interamente o parzialmente di proprietà di una o più autorità pubbliche, tra cui può essere inclusa la stessa autorità di risoluzione della crisi 13. Laddove una banca centrale funga da autorità di risoluzione della crisi 14, dovrebbe essere chiaro, per evitare ogni dubbio, che la banca centrale non assumerà né finanzierà in nessun caso alcuna obbligazione di tali enti. Il ruolo di una banca centrale in qualità di proprietario di tale ente deve rimanere in ogni circostanza coerente con il divieto di finanziamento monetario di cui all’articolo 123 del trattato, come completato dal regolamento (CE) n. 3603/93 del Consiglio 15. Questo divieto preclude, tra l’altro, qualsiasi finanziamento da parte della banca centrale di obbliga­zioni del settore pubblico nei confronti di terzi. Inoltre, tale ruolo deve essere svolto senza pregiudicare l’indipendenza della banca centrale, in particolare la sua indipendenza finanziaria e istituzionale. 3.4. La BCE rileva come la proposta di direttiva contenga solo i criteri minimi che gli enti-ponte e le società veicolo di gestione delle attività devono soddisfare per essere istituite dalle autorità pubbliche. La BCE desidera evidenziare come la trasparenza dei finanziamenti sia una delle questioni principali riguardanti la legittimità e la responsabilità per l’uso di fondi pubblici che l’Eurosistema ha interesse a salvaguardare. A tale riguardo, la BCE accoglie con favore che la proposta di direttiva preveda che i costi della risoluzione della crisi debbano essere sopportati in linea di principio da azionisti e creditori e, ove tali fondi non siano sufficienti, dai meccanismi di finanziamento 16. Tuttavia, la BCE sottolinea che, in linea con il divieto di finanziamento monetario, le banche centrali non possono finanziare tali meccanismi di finanziamento. In particolare ciò

13. Si vedano l’articolo 34, paragrafo 2, e l’articolo 36, paragrafo 2, della proposta di direttiva. 14 Si veda il parere della BCE CON/2011/39. 15. Si veda il regolamento (CE) n. 3603/93 del Consiglio, del 13 dicembre 1993, che fornisce le definizioni necessarie all’applicazione dei divieti enunciati all’articolo 104 e all’articolo 104 B, paragrafo 1, del trattato (GU L- 332 del 31.12.1993, p. 1. 16 Si veda l’articolo 92, paragrafo 2, della proposta di direttiva.

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riguarda l’elencazione dei mezzi di finanziamento alternativi17 nella proposta di direttiva 18.

4. Coinvolgimento delle autorità nazionali designate nella valutazione dei piani di risanamento. La proposta di direttiva dispone che le autorità competenti verifichino i piani di risanamento per assicurare, tra l’altro, la possibilità di attuazione efficace del piano in situazioni di crisi finanziaria senza provocare effetti negativi di entità significativa sul sistema finanziario, anche nel caso in cui altri enti mettano in atto piani di risanamento nello stesso periodo 19. Al fine di assicurare che tutti gli aspetti sistemici pertinenti siano presi in considerazione nel corso di tale verifica, compreso l’impatto complessivo dell’attuazione simultanea di più piani di risanamento che potrebbe condurre a com­portamenti prociclici o imitativi, la BCE ritiene necessario che le autorità competenti effettuino la valutazione in consultazione con le competenti autorità nazionali designate, qualora si tratti di autorità distinte 20.

5. Sostegno finanziario infragruppo. La proposta di direttiva dispone che gli Stati membri provvedano a che le entità di un gruppo possano concludere accordi per fornire sostegno finanziario infragruppo 21. La BCE riconosce i meriti di tale requisito, in particolare del fatto che tali accordi, una volta autorizzati dalle autorità competenti, siano sottoposti all’approvazione dell’assemblea degli azionisti di ciascuna entità del gruppo che si propone di aderirvi. La BCE rileva, tuttavia, come l’attuazione di tali accordi volontari negli ordinamenti giuridici nazionali sollevi complesse questioni giuridiche. Il loro avvio dipenderà anche da quanto le loro disposizioni si inquadrano ar-

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Si veda l’articolo 96 della proposta di direttiva. Si vedano il parere della BCE CON/2011/103, paragrafo 4, e il parere della BCE CON/2010/83, paragrafo 6.3 19 Si veda l’articolo 6, paragrafo 2, lettera b) della proposta di direttiva. 20 Si veda la modifica proposta n. 5. 21 Si vedano gli articoli da 16 a 22 della proposta di direttiva. 18.

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moniosamente nel diritto nazionale tributario, falli­mentare e societario, per esempio rispetto al principio secondo cui le operazioni infragruppo devono essere concluse alle condizioni di mercato (at arm’s length) 22. A tal fine, secondo la BCE potrebbe essere necessario ulteriormente valutare se debbano essere garantite disposizioni supplementari per assicurare la certezza giuridica e l’applicabilità delle operazioni infragruppo approvate e attuate in base a tali accordi volontari.

6. Lo strumento del bail-in e i poteri di riduzione. 6.1. La BCE accoglie con favore lo sviluppo del bail-in come meccanismo di riduzione o conversione del debito per assorbire le perdite di enti in dissesto o a rischio di dissesto. Il meccanismo del bail-in dovrebbe essere concepito in modo tale da essere in linea con le caratteristiche essenziali per la risoluzione efficace delle crisi concordate a livello internazionale 23, tra queste in particolare il potere in capo all’autorità di risoluzione delle crisi, nell’ambito di un regime di risoluzione della crisi, di attuare il bail-in di un’ampia gamma di passività secondo la gerarchia dei creditori che si applicherebbe in una liquidazione. La BCE supporta l’introduzione di tale strumento di bail-in da parte degli Stati membri a decorrere al più tardi dal 1 gennaio 2018 24. Ciò consentirebbe anche di lavorare ulteriormente sullo strumento del bail-in, in particolare sulla possibilità di introdurre un requisito minimo per un determinato livello di strumenti designati per il bail-in, pur sempre mantenendo l’ambito di applicazione generale del bail-in. Inoltre, la BCE intende contribuire all’ulteriore analisi delle implicazioni pratiche del bail-in quale strumento di risoluzione delle crisi, anche riguardo alla fattibilità di un’esecuzione rapida, alla capacità di rispettare l’ordine di preferenza (seniority

22. Il requisito che le operazioni infragruppo siano concluse a condizioni di mercato è un principio fondamentale del diritto societario in quasi tutti gli stati membri eccettuata la Spagna. Si veda la Relazione del 2008 predisposta da DBB law per la DG Mercato interno e servizi sui vincoli giuridici ai trasferimenti infragruppo, che ha evidenziato tale rischio. 23. Si veda il documento «Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions» (Caratteristiche essenziali dei regimi efficaci di risoluzione delle crisi per gli enti finanziari), dell’ottobre 2011, disponibile sul sito del Consiglio per la stabilità finanziaria all’indirizzo http://www.financialstabilityboard.org. 24 Si veda l’articolo 115, paragrafo 1, terzo comma, della proposta di direttiva.

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Documenti e informazioni

waterfall) nell’assorbimento delle perdite, i meccanismi di conversione o di riduzione (write down) 25, così come il possibile impatto sui mercati dei derivati. In tale contesto, la configurazione degli strumenti del bailin e della banca-ponte dovrebbe essere analizzata in modo congiunto, data la capacità del secondo strumento di riprodurre molti dei risultati del primo. 6.2. La BCE ritiene che le misure di risoluzione delle crisi dovrebbero essere adottate in circostanze che lo giustifichino e dovrebbero essere accompagnate da condizioni idonee a limitare l’azzardo morale 26. Come affermato in precedenza, gli enti in dissesto o a rischio di dissesto dovrebbero, in linea di principio, essere liquidati secondo le procedure di insolvenza ordinarie e, ove lo si ritenga necessario, dovrebbero essere liquidate utilizzando gli strumenti di risoluzione delle crisi. In questo quadro, i poteri di bail-in, quale strumento di risoluzione delle crisi, dovrebbero essere utilizzati prevalente­mente per la risoluzione delle crisi degli enti che hanno raggiunto un punto di non sostenibilità economica. La BCE ritiene che la possibilità di bail-in per mantenere un ente in dissesto o a rischio di dissesto in corso di attività (c.d. «going concern») 27 dovrebbe essere considerata solamente in casi eccezionali e giustificati. La BCE è sempre favorevole all’uso dello strumento del bail-in in combinazione con la sostituzione della dirigenza e la conseguente ristrutturazione dell’ente e delle sue attività in modo tale da fronteggiare le cause del dissesto 28. 6.3. La proposta di direttiva dispone che l’Autorità bancaria europea (ABE) riferisca alla Commissione in merito all’ottemperanza da parte de-

25. Si veda il contributo del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) alla consultazione pubblica della Commissione europea riguardante i dettagli tecnici di un possibile quadro per il risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie, maggio 2011, p. 4. 26. Si veda anche il contributo del SEBC alla consultazione pubblica della Commissione europea riguardante i dettagli tecnici di un possibile quadro per il risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie, maggio 2011, p. 5. 27. L’espressione «in corso di attività» (going concern) è utilizzata per descrivere la situazione in cui un ente continua a operare durante la risoluzione della crisi senza prospettiva di liquidazione in un futuro prossimo. Tale concetto si contrappone a quello di «gone concern» in cui le funzioni bancarie vitali sono preservate ma in seno a un’entità giuridica diversa da quella sottoposta a risoluzione della crisi e in via di liquidazione. 28 Si veda il considerando 46 della proposta di direttiva.

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Risanamento e risoluzione delle crisi degli enti creditizi

gli enti del requisito di mantenere l’importo aggregato di fondi propri e passività ammissibili espresso in percentuale delle loro passività totali 29. La BCE invita a proseguire il lavoro per valutare se i requisiti minimi in materia di bail-in debbano essere espressi in percentuale delle passività totali o in percentuale delle attività ponderate per il rischio. La seconda opzione ha il merito di tener conto dei rischi che gravano sulle attività dell’ente. La BCE raccomanda che sia l’ABE a condurre tale valutazione. La BCE raccomanda inoltre che l’ABE fornisca alla Com­missione una valutazione dell’impatto di tale requisito sugli enti e sul fatto se sia o meno opportuna l’introduzione di un requisito volto a vietare o limitare che all’interno del settore bancario siano detenuti strumenti idonei al bail-in. 6.4. La proposta di direttiva dispone che, prima di avviare qualsiasi azione di risoluzione della crisi, le autorità di risoluzione della crisi esercitino il potere di riduzione 30. Pertanto, la riduzione degli strumenti di capitale è un potere di risoluzione delle crisi 31 che appare applicabile prima che un ente entri in fase di risoluzione della crisi. La BCE è favorevole a che le autorità abbiano il potere di ridurre gli strumenti di capitale prima di avviare la risoluzione della crisi. Nella prospettiva della ricapitalizzazione degli enti, la BCE raccomanda che ciò sia chiarito espressamente nella proposta di direttiva, per evitare qualsiasi dubbio. Sarebbero anche auspicabili uno studio di casi e una simulazione dell’attuazione dello strumento del bail-in, per chiarire le interdipendenze tra le varie fasi del processo di bail-in.

7. Finanziamento della risoluzione delle crisi e volume ottimale dei meccanismi di finanziamento. 7.1. Un quadro per la risoluzione delle crisi adeguato dovrebbe garantire che i costi della risoluzione delle crisi siano sopportati innanzitutto dagli azionisti e dai creditori dell’ente in fase di risoluzione della crisi e dal settore privato nel suo complesso. La BCE, pertanto, accoglie favorevolmente che gli strumenti e i poteri di risoluzione delle crisi di cui

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Si veda l’articolo 39, paragrafo 6, della proposta di direttiva. Si veda l’articolo 51, paragrafo 1, della proposta di direttiva. 31 Si veda l’articolo 56, paragrafo 1, lettera f) della proposta di direttiva. 30

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Documenti e informazioni

alla presente proposta di direttiva consentano alle autorità di addossare il peso finanziario della risoluzione delle crisi sugli azionisti e i creditori. Inoltre, la proposta di direttiva introduce due fonti supplementari di finanziamento della risoluzione delle crisi: i meccanismi di finanziamento nazionali e i contributi dei sistemi di garanzia dei depositi (deposit guarantee schemes, DGS) 32. 7.2. Mentre riconosce i vantaggi di fonti supplementari di finanziamento della risoluzione delle crisi, la BCE è del parere che l’ambiziosa proposta di istituire un sistema europeo di meccanismi di finanziamento non risolverà importanti questioni relative alla risoluzione delle crisi transfrontaliere. L’esistenza di 27 meccanismi nazionali soggetti al controllo delle rispettive autorità nazionali è complicato ulteriormente dal sistema di prestiti proposto, carente dal punto di vista della chiarezza su alcuni dettagli importanti, quali i diritti e gli obblighi degli erogatori di mutui e dei mutuatari.

8. Uso dei sistemi di garanzia dei depositi nel finanziamento della risoluzione delle crisi. 8.1. La proposta di direttiva dispone che il sistema di garanzia dei depositi (DGS) cui l’ente è affiliato risponda fino all’ammontare delle perdite che esso avrebbe dovuto sostenere se l’ente fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza 33. Il trattamento dei depositi coperti nell’ambito del trasferimento alla banca-ponte può avere un forte impatto sul coinvolgimento dei DGS. Il grado di partecipazione di un DGS alle misure di risoluzione della crisi influirà, a parità delle altre condizioni, sul livello di finanziamento richiesto alle altre due fonti disponibili, cioè i meccanismi di finanzia­mento e i creditori non garantiti. Tale incertezza tra creditori può aumentare il rischio di che i creditori, i clienti e altre controparti pongano in essere una corsa al ritiro preventivo dei propri fondi, il che, se realizzato, nuocerebbero all’obiettivo principale del regime stesso.

32.

Articolo dalle banche tale riguardo 33 Si veda

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96. Nella misura in cui i meccanismi finanziari riceveranno anche prestiti centrali si potrebbe configurare un finanziamento monetario. Si veda a il paragrafo 3.4 e la modifica n. 29. l’articolo 99, paragrafo 1, della proposta di direttiva.


Risanamento e risoluzione delle crisi degli enti creditizi

8.2. La proposta di direttiva, consente agli Stati membri di prevedere che i mezzi finanziari disponibili dei sistemi di garanzia dei depositi (DGS) stabiliti nel loro territorio possano essere usati per finanziare la risoluzione delle crisi 34. La BCE, mentre supporta tale disposizione che consente sinergie tra i DGS e il finanziamento della risoluzione delle crisi, considera della massima importanza che ciò non com­prometta in alcun modo la funzione fondamentale del DGS nella protezione dei depositi assicurati. La BCE accoglie con favore che la proposta di direttiva attribuisca la priorità al rimborso dei depositanti coperti da parte del DGS nel caso in cui sia richiesto al DGS di utilizzare i mezzi finanziari disponibili per finanziare la risoluzione delle crisi e, al contempo, esercitare la sua funzione ordinaria di rimborso dei depositanti assicurati e i mezzi finanziari disponibili siano insufficienti per soddisfare tutte queste richieste 35. In tale contesto, la BCE incoraggia ad assicurare la certezza del diritto definendo chiaramente il ruolo del DGS nel finanziamento della risoluzione delle crisi, indipendentemente da quale strumento di risoluzione delle crisi si scelga e dalle modalità di applicazione delle misure. La proposta di direttiva richiede agli Stati membri di garantire che, conformemente al diritto nazionale che disciplina la procedura ordinaria di insolvenza, i sistemi di garanzia dei depositi abbiano parità di trattamento rispetto ai crediti non garantiti non privilegiati 36. Tale approccio non sembra coerente con il fatto di consentire agli Stati membri di stabilire un rango di priorità tra crediti rispetto per i depositi coperti dal DGS. Attualmente sei Stati membri, tra cui la Bulgaria 37, la Grecia 38, la

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Si veda l’articolo 99, paragrafo 5, della proposta di direttiva. Articolo 99, paragrafo 8, della proposta di direttiva. 36 Si veda l’articolo 99, paragrafo 2, della proposta di direttiva. 37. Al DGS è attribuito il rango di creditore privilegiato dall’articolo 94, paragrafo 1, della legge sull’insolvenza delle banche (Darjaven vestnik n. 92 del 27.9.2002). 38. Il rango di creditore privilegiato è attribuito al depositante dall’articolo 4, paragrafo 16, della legge n. 3746/2009 di recepimento della direttiva 2005/14/CE sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e della direttiva 2005/68/CE relativa alla riassicurazione e altre disposizioni (FEK A 27 del 16.2.2009). L’articolo 13a, paragrafo 4 stabilisce il rango del DGS. 35

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Documenti e informazioni

Lettonia 39, l’Ungheria 40, il Portogallo 41 e la Romania 42, hanno garantito un grado di priorità ai crediti che il DGS ha acquisito per surrogazione dopo aver rimborsato le somme corrispondenti ai depositi garantiti, in tal modo contribuendo ulteriormente a garantire che sia sempre disponibile finanziamento sufficiente per il DGS. Le opinioni in merito all’impatto di assegnare un rango privilegiato divergono notevolmente, dato che si ritiene che un rango privilegiato dei depositanti possa avere un impatto sui costi di finanziamento disponibili per le banche e che sarà maggiore lo sforzo degli altri creditori per garantire i propri crediti. Dall’altro lato, ciò sarebbe in qualche modo mitigato dal fatto che i crediti prioritari si estendano unicamente ai depositi garantiti. Inoltre, un regime legale che stabilisca un rango di priorità dei depositanti garantiti dovrebbe facilitare l’uso delle misure di risoluzione delle crisi previste dalla proposta di direttiva (per esempio, lo strumento della vendita dell’attività d’impresa, lo strumento dell’ente-ponte). Dal punto di vista della stabilità finanziaria, la priorità dei crediti relativi ai depositi garantiti è vista con favore anche perché riduce il rischio di corse agli sportelli bancari, le perdite potenziali dei depositanti garantiti in fase di liquidazione e l’eccessivo indebolimento del DGS.

39. Legge del 5 ottobre 1995 sugli enti creditizi (LV 163(446) del 24.10.1995). L’articolo 192, paragrafo 1, ha introdotto il rango privilegiato per i depositanti garantiti il 21 maggio 1998. 40. Legge CXII del 1996 relativa agli enti creditizi e alle istituzioni finanziarie e, più in particolare, il Capo XV della legge recante disciplina dettagliata dei sistemi di garanzia dei depositi. Il rango privilegiato di tutti i crediti relativi ai depositi, e non solo di quelli garantiti, è stabilito dall’articolo 183, paragrafo 1 della legge. 41. Si veda l’articolo 166-A della versione consolidata del decreto legge n. 298/92 del 31 dicembre 1992 relativo al quadro giuridico degli enti creditizi e società finanziarie (D.R. n. 30, I del 10.2.2012). 42. Ordinanza governativa n. 10/2004 sulle procedure di amministrazione controllata e il fallimento degli enti creditizi e successive modifiche e integrazioni, in particolare l’articolo 38 attribuisce un diritto privilegiato, una volta regolate le spese relative alla procedura di fallimento, ai crediti derivanti dai depositi garantiti, tra cui i crediti del DGS derivanti dal rimborso dei depositanti garantiti (Monitorul Oficial al României, Parte Uno, n. 84 del 30.1.2004).

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Risanamento e risoluzione delle crisi degli enti creditizi

9. Divulgazione di materiali per la commercializzazione. La proposta di direttiva prevede che qualsiasi divulgazione al pubblico della commercializzazione dell’ente in fase di risoluzione della crisi che sta vendendo in tutto o in parte le proprie attività d’impresa attraverso lo strumento della vendita dell’attività d’impresa può essere ritardata. La BCE ritiene che la divulgazione di informazioni idonee a influenzare il prezzo relativo a strumenti finan­ziari negoziati sui mercati finanziari possa dover essere ritardata anche durante l’applicazione di altri strumenti di risoluzione delle crisi. Le relative disposizioni della proposta di direttiva dovrebbero essere ampliate in una norma generale valida nell’applicazione di qualsiasi strumento di risoluzione delle crisi, laddove l’interesse dell’ente possa giustificare un ritardo nella divulgazione di informazioni idonee a influenzare il prezzo.

10. Ulteriore armonizzazione delle norme sul risanamento e la risoluzione delle crisi. 10.1. La BCE è favorevole allo sviluppo di un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi anche per istituzioni finanziarie diverse dalle banche aventi un’importanza sistemica, quali ad esempio le com­pagnie di assicurazione e le infrastrutture di mercato. Tale aspetto dovrebbe essere coordinato con altre iniziative internazionali. 10.2. Gli sforzi per un’ulteriore leggera armonizzazione delle leggi nazionali sull’insolvenza tra gli Stati membri dovrebbero continuare. L’attuale diversità delle leggi sull’insolvenza, per esempio in relazione all’ordine di priorità delle pretese dei creditori, ha un notevole impatto sull’attuazione degli strumenti di risoluzione delle crisi e in particolare sul realizzo delle attività e delle passività detenute dalle società veicolo della risoluzione della crisi.

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Indici dell’annata PARTE SECONDA

legislazione Cassa Depositi e Prestiti e fondazioni bancarie – D.l. 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, conv. dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, art. 36; Consiglio di Stato, Commissione speciale, parere 7 novembre 2012; Statuto della Cassa Depositi e Prestiti s.p.a., con nota redazionale

pag.

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Disposizioni attuative del Regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente gli strumenti derivati OTC, le controparti centrali e i repertori di dati sulle negoziazioni – L. 6 agosto 2013, n. 97, recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea – Legge europea 2013, art. 33, con osservazioni di Francesco Mazzini

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79

Giustizia digitale – D.l. 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, conv. dalla l. 17 dicembre 221, art. 17

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Giustizia digitale e procedure concorsuali, di Alessandro Nigro e Daniele Vattermoli

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Il primo passo verso l’Unione bancaria europea: il Regolamento UE n. 1024/2013 – Regolamento 15 ottobre 2013, n. 1024, del Consiglio, che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi, con osservazioni di Daniele Vattermoli

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Misure a sostegno dell’impresa start-up innovativa – D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni nella l. 17 dicembre 2012, n. 221 e successivamente ulteriormente modificato dall’art. 9, co. 6 e 16-bis del d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito anch’esso con modificazioni nella l. 9 agosto 2013, n. 99); Consob, delibera 26 giugno 2013, n. 18592 – Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start up innovative tramite portali on line, con osservazioni di Vincenzo Caridi

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Indici dell’annata

Obbligazioni degli esponenti bancari – D.lgs. 1 settembre 1983, n. 385, testo unico delle leggi in materia bancaria e finanziaria, art. 136 come modificato dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, conv. dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, con nota redazionale

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3

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DOCUMENTI E INFORMAZIONI Risanamento e risoluzione delle crisi degli entri creditizi – Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti crediti e delle imprese e che modifica le direttive del Consiglio 77/91/CEE e 82/891/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/ CE, 2007/36/Ce e 2011/35/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010 (Relazione); Parere della Banca Centrale Europea del 29 novembre 2012 in merito alla proposta di direttiva, con nota redazionale

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Norme redazionali

I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)

II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …

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Norme redazionali

4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).

III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.

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Norme redazionali

legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)

l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.

2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.

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Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista della cooperazione Riv. coop. Rivista delle società Riv. soc. Rivista del diritto commerciale Riv. dir. comm. Rivista del notariato Riv. not. Rivista di diritto civile Riv. dir. civ. Rivista di diritto internazionale Riv. dir. internaz. Rivista di diritto privato Riv. dir. priv. Rivista di diritto processuale Riv. dir. proc. Rivista di diritto pubblico Riv. dir. pubbl. Rivista di diritto societario RDS Rivista giuridica sarda Riv. giur. sarda Rivista italiana del leasing Riv. it. leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Riv. trim. dir. proc. civ. Vita notarile Vita not.

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4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesin­ger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cu­ra di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, To­rino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Tori­no, Tratt. soc. per az., diretto da Co­lombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume

IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.

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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria Cedola di sottoscrizione - Abbonamento 2014 (4 fascicoli): € 110,00 Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................

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