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ISSN 1722-8360
di particolare interesse in questo fascicolo Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
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Diritto della banca e del mercato finanziario
• Informazione e attività bancaria • Amministrazione straordinaria e Alitalia • I fondi di risoluzione • Pagamenti on line
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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2016, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Elisabetta Bani, Concetta Brescia Morra, Vincenzo Vito Chionna, Gian Domenico Comporti, Vincenzo De Stasio, Gianluca Guerrieri, Antonia Irace, Raffaele Lenzi, Stefano Pagliantini, Alessandro Palmieri, Andrea Perrone, Antonio Piras, Andrea Pisaneschi, Gaetano Presti, Vincent Ribas, Antonella Sciarrone Alibrandi, Pietro Sirena, Onofrio Troiano, Francesco Vella.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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SOMMARIO 4/2017
PARTE PRIMA Saggi La procedura “Alitalia-bis” e il futuro dell’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, di Sido Bonfatti pag. 619 I fondi di risoluzione, di Gian Domenico Mosco » 665 Gli strumenti di pagamento nel contesto dei pagamenti on » 679 line, di Maurizio Onza Il reato di usura nei contratti di maturity facotring: un » 705 caso limite, di Angelo Spena
Dibattiti Informazione e attività bancaria – Incontro di studio del 13 giugno 2017 presieduto da Alessandro Nigro, con interventi di Marino Perassi, Sandro Amorosino, Vincenzo Meli, Antonella Sciarrone Alibrandi, Vincenzo Caridi, Sabino Fortunato
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Miti e realtà Le leggi di Murphy
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Autori
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Indici dell’annata - Parte prima
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Indici dell’annata - Parte seconda
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Norme
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redazionali
PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
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La procedura ”Alitalia-bis” e il futuro dell’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi* Sommario: Sez. I - Le procedure di Amministrazione straordinaria nel quadro normativo attuale e nelle prospettive di riforma. – 1. Premessa. La riemersione del problema di fondo sulla attualità dell’Amministrazione straordinaria. – 2. La procedura “Alitalia-bis”. – 3. Prospettive di riforma. – 4. Le origini della Amministrazione straordinaria. Funzioni e natura della procedura di Amministrazione straordinaria. – 5. Dalla “legge Prodi” alla “Prodi–bis.” – 6. Dalla Amministrazione straordinaria “normale” (delle imprese “grandi”) alla Amministrazione straordinaria “speciale” (delle imprese “di rilevanti dimensioni”). – 7. L’Amministrazione straordinaria (“normale” e “speciale”) delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali. – 8. Dalla Amministrazione straordinaria (“ordinaria” o “speciale”) delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali (al commissariamento straordinario e successivo assoggettamento) alla Amministrazione straordinaria “speciale” delle imprese “di interesse strategico nazionale” (in generale). Il “caso Ilva”. – 9. La Amministrazione straordinaria dell’ impresa “di interesse strategico nazionale” esercitata dall’ILVA S.p.a. – Sez. II - L’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese (c.d. Amministrazione straordinaria “normale”) in generale. – 10. “Procedura di insolvenza” e “Amministrazione straordinaria delle grandi imprese”. – 11. I presupposti di assoggettabilità alla “procedura di insolvenza delle grandi imprese”. – 12. Il procedimento di dichiarazione dello stato di insolvenza. – 13. Gli effetti conseguenti all’assoggettamento della grande impresa alla “procedura di insolvenza”. – 14. Lo sviluppo della “fase diagnostica” della “procedura di insolvenza” e l’accertamento del passivo. – 15. La conclusione della “fase diagnostica”. – 16. La (sub) procedura di Amministrazione straordinaria. In particolare: l’esercizio delle azioni revocatorie. – 17. Predisposizione, autorizzazione ed esecuzione del “Programma”. – 18. La disciplina della “vendita di aziende in esercizio”. – 19. Segue: derogabilità del criterio valutativo previsto per la vendita di aziende o di rami di azienda in esercizio (il “caso Merloni”). – 20. La cessazione dell’Amministrazione straordinaria. – 21. “Procedura di insolvenza” della grande impresa e “gruppo” di imprese. – 22. L’Amministrazione straordinaria “normale” delle grandi imprese insolventi operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali. – Sez. III - L’Amministrazione straordinaria delle imprese insolventi di rilevanti dimensioni (c.d. Amministrazione straordinaria “speciale”) in generale. – 23. I presupposti di ammissibilità alla procedura (“legge
* Il presente scritto costituisce una rielaborazione sintetica della voce “L’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese” destinata alla Enciclopedia del Diritto.
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Parmalat”; “legge Volareweb”; “legge Alitalia”). – 24. Il procedimento di ammissione alla procedura. – 25. Effetti dell’apertura della procedura e funzioni del commissario straordinario. – 26. L’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza e l’accertamento dello stato passivo. – 27. La disciplina delle azioni revocatorie fallimentari. – 28. La chiusura della procedura per “concordato”. – Sez. IV. - L’Amministrazione straordinaria delle imprese di rilevanti dimensioni (c.d. amministrazione straordinaria “speciale”) per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali. Prospettive di riforma. – 29. L’Amministrazione straordinaria “speciale” delle imprese di rilevanti dimensioni operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali.
Sezione I LE PROCEDURE DI AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA NEL QUADRO NORMATIVO ATTUALE E NELLE PROSPETTIVE DI RIFORMA 1. Premessa. La riemersione del problema di fondo sulla attualità dell’Amministrazione straordinaria. La (ennesima) crisi di quella che era conosciuta come la “Compagnia di bandiera” ha riproposto il tema della attualità della procedura (rectius: delle procedure) di Amministrazione straordinaria per la soluzione delle crisi di impresa caratterizzate (soltanto) dalla (relativa) entità della dimensione (sotto il profilo dell’occupazione; ovvero del fatturato; ovvero dell’indebitamento). Il tema, come è noto, è rappresentato dalla domanda se sia condivisibile il principio secondo il quale l’entità (relativa) della dimensione della “crisi” dell’impresa suggerisce di abbandonare le procedure concorsuali di diritto comune (di natura prettamente “giudiziale”), in favore dell’adozione di procedure concorsuali di diritto speciale (di matrice prettamente “amministrativistica”). Nulla a che fare, peraltro, con il tema – solo apparentemente analogo – della individuazione della tipologia di procedura concorsuale più efficacemente utilizzabile per la soluzione della “crisi” delle imprese soggette a vigilanza amministrativa (fin dalla autorizzazione all’esercizio della relativa attività economica) nel “durante”, per le quali si può porre il dubbio se mantenere o meno all’interno della “vigilanza” anche la disciplina delle situazioni di “difficoltà” – come è per le banche, e più in generale per gli intermediari finanziari e assicurativi. Qui stiamo parlando (soltanto) di imprese la cui dimensione (relativamente) “grande” pone l’esigenza di un contemperamento tra gli interessi
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tradizionalmente coinvolti dalle situazioni di “crisi” di qualsiasi debitore – interessi rappresentati dalle aspettative di soddisfacimento dei creditori – ed interessi di diversa natura (la difesa dei livelli occupazionali; la salvaguardia degli impianti produttivi; la regolarità della prestazione dei “servizi pubblici essenziali”; la difesa delle imprese operanti in settori “di interesse strategico nazionale”). Stiamo parlando – quindi – della ritenuta inattitudine delle procedure concorsuali di diritto comune (di natura giudiziale: ieri, l’amministrazione controllata; oggi, il concordato preventivo “in continuità aziendale”, o lo stesso fallimento con disposizione dell’esercizio provvisorio dell’impresa) a favorire il superamento o la composizione della crisi di una impresa “grande”: e della condividibilità o meno della scelta, non già di migliorare la disciplina di dette procedure per renderle funzionali al soddisfacimento della esigenza di “contemperamento” di cui si è detto, bensì di passare all’utilizzo di procedure diverse a matrice marcatamente amministrativistica.
2. La procedura “Alitalia-bis”. Come detto, l’attenzione sul problema di carattere generale della perdurante attualità della procedura (rectius: delle procedure) di Amministrazione straordinaria è stata risollevata in conseguenza della emersione del “caso Alitalia” (bis). A seguito della (ennesima) crisi del “Gruppo Alitalia”1, infatti, il Governo italiano è intervenuto con l’approvazione del d. m. (del MiSE) 2 maggio 2017, «Apertura della procedura di amministrazione straordinaria e nomina del Collegio commissariale della Società Alitalia-Società Aerea Italiana s.p.a.»; e del d.l. 2 maggio 2017, n. 55, «Misure urgenti per assicurare la continuità del servizio svolto da Alitalia S.p.A». Con il primo provvedimento il Ministro dello Sviluppo Economico, accertata la sussistenza dei requisiti dimensionali di cui all’art. 1 del decreto “Parmalat”, nonché dello stato di insolvenza denunciato dalla società, l’ha ammessa alla procedura di Amministrazione straordinaria, nominando contestualmente un collegio di tre Commissari straordinari,
1 Sulle cause delle crisi che da almeno 20 anni hanno colpito Alitalia v. Fiori, La “maledizione” Alitalia, in www.dirittobancario.it; Arrigo, Alitalia: fuori rotta da vent’anni, in www.lavoce.it
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«derogando, per motivi di urgenza, alle regole procedimentali per la nomina dei Commissari straordinari di cui alla propria direttiva 28 luglio 2016». Con il secondo provvedimento il Governo ha disposto un finanziamento oneroso di seicento milioni di euro, della durata di sei mesi, in favore di Alitalia (rectius: della procedura), «da utilizzare per le indilazionabili esigenze gestionali della società», da estinguersi entro sei mesi, «in prededuzione, con priorità rispetto ad ogni altro debito della Procedura». Tale “prededuzione” sembra rispondere a quanto previsto dall’art. 111, co. 2, prima parte, l.fall., secondo il quale sono considerati crediti prededucibili «quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge…». Non pare peraltro compatibile con la previsione dell’immediatamente successivo art. 111-bis, co. 3, secondo il quale «i crediti prededucibili vanno soddisfatti… tenuto conto delle rispettive cause di prelazione», così introducendo, in fatto, una fattispecie di “super prededuzione”. I Commissari straordinari sono tenuti a pubblicare, entro 15 giorni dalla pubblicazione del decreto-legge, «un invito per la raccolta di manifestazioni di interesse finalizzate alla definizione della procedura di Amministrazione straordinaria secondo gli indirizzi di cui alle lettere a), b) e b-bis), all’articolo 27, comma 2, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270». Nel momento in cui viene predisposto il presente contributo non sussistono ulteriori disposizioni, atte a caratterizzare (maggiormente) la procedura “Alitalia-bis” rispetto alla disciplina generale dell’Amministrazione straordinaria: ma non è detto che ciò non debba avvenire, in prosieguo, ed anche nel breve termine.
3. Prospettive di riforma. L’attualità della discussione sull’istituto dell’Amministrazione straordinaria non deriva soltanto dalla recente applicazione della stessa alla situazione di crisi (bis) del “Gruppo Alitalia”, ma anche dalla considerazione della pendenza di iniziativa di riforma, volte a dare nuova linfa a questa procedura. Il Parlamento, come è noto, è attualmente impegnato nell’esame di un disegno di legge2 concernente la riforma delle procedure concorsua-
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Trattasi del ddl. n. 3671-bis, recante la «Delega al Governo per la riforma della
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li, predisposto sulla base dei lavori della c.d. “Commissione Rordorf”. Dal testo originario del ddl è stata stralciata la disposizione (art. 15) avente ad oggetto la riforma della Amministrazione straordinaria. Tale disposizione è confluita oggi nel ddl n. 3671-ter, recante la «Delega al Governo in materia di Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza», anch’essa attualmente all’esame del Parlamento, unitamente alla Proposta di legge n. 867 (“Abrignani”), presentata il 30 aprile 2013, recante la «Disciplina delle procedure di Amministrazione straordinaria delle grandi imprese e dei complessi di imprese in crisi». Il testo della proposta di legge-delega predisposta all’esito della espressione dei pareri del Comitato per la legislazione, nonché delle Commissioni Permanenti competenti della Camera dei Deputati, prevede il conferimento al Governo di una delega a procedere alla riforma organica della disciplina della Amministrazione straordinaria (o meglio: delle Amministrazioni straordinarie), unificando la disciplina oggi contenuta nel d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (“Prodi-bis”) e nel d.l. 23 dicembre 2003, n. 347 (convertito con modificazioni dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39) – “Parmalat” –, come integrati dalle successive modificazioni (decreti “Alitalia” e successivi). La nuova Amministrazione straordinaria sarà ancora riservata alle imprese versanti in «uno stato di insolvenza»; presentanti «concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali»; caratterizzate da «un rilevante profilo dimensionale», da ancorare alla media del volume di affari degli ultimi tre esercizi e ad un numero di dipendenti pari almeno a 250 unità per la singola impresa, e ad almeno 800 unità, da calcolare cumulativamente in caso di contestuale richiesta di ammissione alla procedura di più imprese appartenenti al medesimo “gruppo”. Sotto un primo profilo, va osservato che non pare effettivamente chiaro se il presupposto “economico” di ammissione alla procedura (la sussistenza di «concrete prospettive» per il «recupero dell’equilibrio economico… la salvaguardia della continuità produttiva… e dell’occupazione diretta e indiretta») possa essere rispettato anche attraverso attività
disciplina della crisi di impresa e dell’insolvenza», approvato dalla Camera il 1° febbraio 2017; in esame al Senato dal 3 febbraio 2017 (in argomento v., ex multis, Cozzoli, L’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: un bilancio e le prospettive di riforma, in www.ilcaso.it, 5.04.2017, ove anche ampi riferimenti di dottrina); e poi sfociato nella legge 19 ottobre 2017, n. 155.
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di natura tipicamente liquidativa – dal punto di vista dei creditori della impresa insolvente –, come la cessione dell’azienda3. Rimane il fatto che se da una parte la insussistenza o il sopravvenuto venir meno «delle concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico» dell’impresa (anche ceduta a terzi, verrebbe da aggiungere) determinano la possibilità di conversione dell’ Amministrazione straordinaria in fallimento (art. 2, lett. q.)4; dall’altra parte tale effetto è ricollegato anche alla ipotesi di «mancata realizzazione del programma». La contemporanea presenza di queste due cause di conversione porta a ritenere che l’originario “programma”, la cui mancata realizzazione provoca la insorgenza della seconda, potesse essere rappresentato anche da un mero “Programma di cessione”. Sotto un secondo profilo va sottolineato che l’ammissione alla procedura continua a postulare la sussistenza di uno stato di insolvenza (giudizialmente accertato: infra): il chè contraddice il principio ispiratore di carattere generale del ddl n. 3671-bis di riforma della disciplina delle procedure concorsuali, che mira a favorire la emersione anticipata dello stato di “crisi”5. Tale “scollamento” era già rinvenibile con riguardo ai testi originali del ddl n. 3671-ter e della Proposta di legge n. 865, nei quali non era dato di cogliere alcun riferimento alle misure di allerta, prevenzione e monitoraggio tempestivo delle situazioni di “crisi”, previste dal ddl A.C. 3671-bis sulla riforma delle procedure concorsuali di diritto comune (art. 4): e la situazione non è mutata. Ciò precisato, occorre ora aggiungere che, dal punto di vista della struttura del procedimento, vanno segnalate le previsioni concernenti: (i) l’attribuzione della legittimazione attiva alla richiesta di apertura della procedura (con la domanda di accertamento giudiziale dello stato di insolvenza – infra –) non solo al debitore, ma anche ai creditori (oltre che al MiSE e al P.M.); (ii) l’attribuzione della competenza ad accertare e dichiarare lo stato di insolvenza, propedeutico all’eventuale, successiva ammissione alla Amministrazione straordinaria propriamente detta,
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Quella iniziativa definita nel Progetto “Abrignani” come «Programma di cessione dei complessi aziendali», e – per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali – «Programma di cessione dei complessi di beni e di contratti». 4 Per ragioni di comodità espositiva si continuerà ad utilizzare il termine “fallimento” in luogo della nuova denominazione di “liquidazione giudiziale ordinaria” proposta dal ddl n. 3671-bis. 5 In argomento Lamanna, Osservazioni sui progetti di legge di riforma dell’amministrazione straordinaria, in Il Fallimentarista 13.11.2013.
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alla sezione specializzata in materia di imprese del tribunale, che in caso di apertura della procedura per l’ammissione (eventuale) all’Amministrazione straordinaria, nomina un giudice delegato; (iii) la nomina del Commissario straordinario (ovvero, nei casi di eccezionale complessità, tre Commissari Straordinari)6 da parte del MiSE; (iv) l’attribuzione all’Organo commissariale della «amministrazione e rappresentanza» dell’impresa insolvente; (v) l’attribuzione al tribunale della competenza a disporre l’ammissione del debitore all’Amministrazione straordinaria («previa acquisizione del parere favorevole del MiSE»), laddove «risulti comprovata la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali»; (vi) l’attribuzione al tribunale della facoltà di conferire ad un professionista inserito nell’Albo dei Commissari straordinari «l’incarico di attestare, entro i successivi trenta giorni, la sussistenza del presupposto per il recupero dell’equilibrio delle attività imprenditoriali»; (vii) la previsione che, in alternativa, il tribunale dichiari il fallimento (rectius, la liquidazione giudiziale); (viii) l’attribuzione al MiSE della facoltà di disporre la ammissione immediata dell’impresa alla procedura di Amministrazione straordinaria («in via provvisoria», subordinatamente alla conferma successiva del tribunale), nella ipotesi di stato di insolvenza concernente: a) società quotate; ovvero b) imprese con almeno 1000 dipendenti e un volume di affari pari ad un multiplo “significativo” del corrispondente requisito “ordinario”7; (ix) l’attribuzione al MiSE della competenza a nominare il Comitato di sorveglianza, «da individuare tra i creditori». _ Sono inoltre previste numerose disposizioni rivolte a rendere più efficiente e più efficace la procedura, per lo più attraverso il recepimento delle recenti innovazioni apportate alla disciplina delle procedure di composizione delle crisi d’impresa di diritto comune. Vanno in tale direzione le previsioni di: (i) inserire «misure protettive» analoghe a quelle previste per il Concordato preventivo (a partire dalla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di ammissione
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Critica la mancata adozione del criterio della necessaria collegialità dell’Organo Commissariale Lamanna, Osservazioni, cit. 7 Trattasi in qualche modo di una soluzione di compromesso tra l’opzione (considerata in linea di principio quella preferibile: cfr. Lamanna, Osservazioni, cit.) di prevedere sempre una fase diagnostica, prima di procedere all’apertura della (sub) procedura di Amministrazione straordinaria (propriamente detta); e la propensione dell’autorità governativa a disporre, per le imprese che vi sono soggette e che versino beninteso in uno stato di insolvenza, la Amministrazione straordinaria, sempre e comunque.
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alla procedura); (ii) disciplinare le modalità con le quali il tribunale, su ricorso del Commissario straordinario e sentito il Comitato di sorveglianza, possa autorizzare la sospensione ovvero lo scioglimento dei contratti pendenti, nonché il pagamento di crediti pregressi strategici («al di fuori delle regole del riparto»). Analogamente a ciò è disposta la adozione di una disciplina volta a consentire al tribunale di autorizzare «l’esonero dalle azioni revocatorie per i pagamenti effettuati dall’imprenditore», la cui portata non è chiara. Posto infatti che la apertura della procedura postula l’accertamento dello stato di insolvenza dell’impresa, per cui le eventuali azioni revocatorie fallimentari dovranno essere promosse nei confronti dei pagamenti (o degli atti di disposizione posti in essere dal debitore, ovvero da terzi nei confronti del suo patrimonio) anteriori all’apertura della procedura; e posto che ciò impedisce di concepire la revocabilità di pagamenti effettuati posteriormente all’apertura della procedura (essendo d’altro canto sufficiente la “sanzione” della inopponibilità a rendere inefficaci i pagamenti illegittimi, perché effettuati dall’imprenditore spossessato ovvero dal Commissario straordinario non debitamente autorizzato); la norma non può che riferirsi a pagamenti effettuati dall’imprenditore prima della dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza, rientranti nel “periodo sospetto” e connotati dai caratteri normativi dell’assoggettabilità a revocatoria fallimentare, che il tribunale sarebbe legittimato ad “esentare” con disposizioni autorizzative specifiche (ovviamente a posteriori). Ciò che evoca la disciplina dei pagamenti dei cc.dd. fornitori strategici nell’ambito del procedimento dell’Accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall., laddove è prevista la possibilità che il tribunale autorizzi l’imprenditore ad effettuare il pagamento dei crediti pregressi (relativi, per l’appunto, a “fornitori strategici”), non già allo scopo di superare un divieto (che nella disciplina dell’Accordo di ristrutturazione non può essere considerato sussistente), bensì allo scopo di “blindare” il pagamento nei confronti del rischio revocatorio (art. 182-quinquies, co. 6, seconda parte)8. Sono altresì da segnalare le previsioni concernenti la legittimazione
8 Va segnalato che nella “Proposta Abrignani” tra gli effetti «dell’apertura dell’amministrazione straordinaria» è ricompresa anche la esercitabilità delle azioni revocatorie fallimentari da parte del Commissario straordinario, senza esclusione dell’ipotesi nella quale la procedura sia destinata a svilupparsi in funzione della realizzazione di un “Programma di ristrutturazione”, in ciò contraddicendo il senso delle direttive comunitarie in materia di concorrenza (cfr. Lamanna, Osservazioni, cit.)
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e le condizioni della richiesta di conversione dell’Amministrazione straordinaria in fallimento (legittimazione riservata al Commissario straordinario e al Comitato di sorveglianza, nonché «a una percentuale non irrisoria dei creditori», ma «non prima di un congruo termine, in modo da garantire la stabilità della procedura…»: condizioni rappresentate dalla «mancata realizzazione del programma, ovvero comprovata insussistenza o venir meno della concreta prospettiva di recupero dell’equilibrio economico»); e il coordinamento della disciplina dell’Amministrazione straordinaria con quello della procedura di concordato. Si dispone infatti – art. 2, lett. r) – che il legislatore delegato provveda a «disciplinare l’accesso delle imprese in Amministrazione straordinaria al Concordato, anche sulla base di proposte concorrenti». Poiché tale disposizione di delega concerne «l’accesso… al Concordato» delle imprese «in Amministrazione straordinaria», essa non è destinata ad incidere sul dibattito se una impresa assoggettabile ad amministrazione straordinaria (ma in fatto non ancora assoggettatavi) possa richiedere l’ammissione al Concordato preventivo, ed a quali condizioni. La disposizione sembra invece volere esprimere l’esigenza che la disciplina della proposta di Concordato (“successivo”) delle imprese che siano già state assoggettate alla Amministrazione straordinaria tenga conto delle recenti innovazioni intervenute in materia di “proposte concorrenti” nella procedura di Concordato preventivo di diritto comune (art. 163 l. fall.). Sempre in argomento meritano considerazione le osservazioni di ASSONIME sui ricordati progetti di legge c. 865 Abrignani e c. 3671-ter Governo. Nel corso della audizione del 17 novembre 2016 davanti alla Commissione X (attività produttive, commercio e turismo) della Camera dei Deputati, la associazione tra le Società Italiane per Azioni ha proposto: i. l’eliminazione di una procedura amministrativa di portata generale, con la previsione di un’ unica procedura per le grandi imprese insolventi, che presentino concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico, avviata e gestita in sede giurisdizionale, presso una sezione specializzata, regolata dalla legge fallimentare; ii. la limitazione dell’accesso all’Amministrazione straordinaria alle imprese effettivamente “grandi”, in quanto presentanti almeno uno dei seguenti requisiti: lavoratori in numero di almeno mille; passività per un ammontare complessivo di almeno un miliardo di euro; fatturato di almeno un miliardo di euro; “rilevanza strategica” secondo le valutazioni del MiSE; iii. l’individuazione del fulcro della procedura nel rapporto tra il cre-
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ditore e il debitore, in modo da garantire l’equilibrio tra i due diversi interessi; e iv. la caratterizzazione dell’accesso alla procedura per la snellezza e tempestività dei processi decisionali dell’autorità giudiziaria.
4. Le origini dell’Amministrazione straordinaria. Funzioni e natura della procedura. È opinione comune che la ragione della introduzione e del mantenimento nell’ordinamento concorsuale della procedura di Amministrazione straordinaria (o sarebbe più preciso dire: delle Procedure di Amministrazione straordinaria) debba essere ricercata nella esigenza di perseguire, in ipotesi di “crisi” di una impresa, in determinate situazioni, interessi anche diversi da quello ordinariamente investito dall’insolvenza di un soggetto, che è rappresentato dall’interesse al miglior soddisfacimento dei creditori9. Le “determinate situazioni” che possono richiedere (o che comunque richiedono, secondo quanto dispone il nostro ordinamento) il contemperamento dell’interesse dei creditori del soggetto “in crisi” con interessi di diversa natura, sono rappresentate da: (i) l’impatto della crisi sul c.d. “indotto” (principalmente i fornitori di merce e/o di servizi per i quali la cessazione dell’attività del cliente potrebbe generare un fenomeno di crisi “a catena”); (ii) l’impatto della “crisi” sul tessuto sociale nel quale l’impresa opera (con particolare riguardo alla salvaguardia dei livelli occupazionali); (iii) l’impatto della “crisi” sull’assetto economico del territorio di riferi-
9 Sulla disciplina generale delle procedure di Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi v. ora Di Marzio-Macario, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di Jorio e Cassani, V, Milano, 2017, p. 601 ss.; Meo, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso e Gabrielli, IV, Torino, 2014, p. 1061 ss.; Caiafa, L’amministrazione straordinaria, in Caiafa e Romeo, a cura di, Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, III, Trento, 2014, p. 325 ss.; Vona, Le amministrazioni straordinarie, ivi, p. 467 ss.; Marraffa, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e tutela dei creditori, Torino, 2012; Zanichelli, L’amministrazione straordinaria, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, III, Trento, 2009, p. 2010 ss.; Farenga, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Milano, 2005.
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mento (con particolare riguardo alle possibili conseguenze pregiudizievoli sulla integrità degli impianti produttivi); (iv) l’impatto della “crisi” sulla regolarità della prestazione di “servizi pubblici essenziali”; (v) l’impatto della “crisi” su imprese che gestiscono aziende “di interesse strategico nazionale”. In presenza di queste “situazioni” è normalmente condivisa l’esigenza di “tenere conto” anche di interessi diversi da quello del miglior soddisfacimento dei creditori dell’impresa in “crisi” (quali gli interessi del settore economico di riferimento; della tutela dei posti di lavoro; della capacità produttiva del Paese; della funzionalità dei servizi pubblici essenziali; della salvaguardia di impianti industriali di interesse strategico nazionale): ed è evidente che il primo e più importante profilo problematico posto da questo fenomeno è rappresentato dalla individuazione della “giusta misura” nella quale perseguire il soddisfacimento dei questi interessi, potenzialmente (ed in effetti normalmente) contraddittori con il perseguimento del miglior soddisfacimento dei creditori. Così che un primo giudizio sul carattere più o meno soddisfacente della disciplina di una procedura di Amministrazione straordinaria (intendendo per tale una “procedura di crisi” di una impresa, che si ponga come alternativa alla procedura di fallimento) deve avere come oggetto la ragionevolezza della “combinazione” delle misure rivolte a soddisfare i molteplici interessi coinvolti da “determinate situazioni” di crisi. Nelle “determinate situazioni” di crisi sopra richiamate, la presenza di interessi e di valori diversi da quelli (tipicamente “privatistici”) portati dai creditori dell’impresa in crisi, caratterizzati da una natura pubblicistica, o quanto meno generale, imporrebbe – da un punto di vista logico – di delineare una disciplina del superamento o della composizione della situazione di crisi, che: (i) prescindesse dall’arbitrio dei soggetti privati (in primo luogo, il soggetto “in crisi”) nel disporre o non disporre l’avvio della procedura funzionale a realizzare il (prevedibilmente difficile) contemperamento di interessi, di cui si è detto; (ii) prevenisse la reiterazione delle condotte produttive della situazione di crisi, affiancando o sostituendo chi ne è stato responsabile; (iii) assicurasse i presupposti atti a consentire ai creditori di avere una qualche voce in capitolo sulle modalità di superamento o di composizione della situazione di crisi; (iv) investisse le autorità preposte alla tutela degli interessi di natura pubblica (o quanto meno di carattere generale) – quindi la Pubblica Amministrazione in senso lato intesa – delle decisioni concernenti i
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modi e i tempi delle iniziative funzionali a realizzare il contemperamento di interessi di cui si è detto, e conseguentemente anche la valutazione della perdurante idoneità delle misure intraprese a conseguire tale obiettivo. Così che un secondo giudizio sul carattere più o meno soddisfacente della disciplina di una procedura di Amministrazione straordinaria (nel significato sopra precisato) deve avere come oggetto la coerenza della stessa con i caratteri sopra delineati, che da un punto di vista logico sembrerebbero quelli funzionali a soddisfare l’esigenza del “giusto contemperamento”10.
5. Dalla “legge Prodi” alla “Prodi-bis”. Nel corso degli anni ‘70 il nostro Paese fu investito da una grave crisi economica, che colpì anche importanti gruppi di imprese, chiamati ad una seria e problematica ristrutturazione economica, finanziaria e industriale. Tale genere di “crisi” evidenziò le insufficienze del “sistema concorsuale” introdotto dalla legge fallimentare del 1942. Ci si rese conto, infatti, che le procedure del fallimento, del concordato preventivo e dell’amministrazione controllata (nonché la procedura di liquidazione coatta amministrativa, comunque inaccessibile alle imprese di diritto comune, quali quelle investite dalla crisi richiamata), non offrivano strumenti adeguati per il perseguimento dell’obiettivo della ristrutturazione delle imprese: e ciò per una molteplicità di fattori. Il fallimento era (ed è) caratterizzato da una funzione essenzialmente liquidativa; il concordato preventivo, quando pure “piegato” a persegui-
10 Il giudizio sui risultati conseguiti alla introduzione nell’ordinamento concorsuale nazionale delle procedure di Amministrazione straordinaria non è uniforme. Secondo Cozzoli, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese: un bilancio e le prospettive di riforma, in www.ilcaso.it, «i numeri mostrano che la procedura di amministrazione straordinaria sia una modalità di gestione dell’insolvenza e dell’intervento pubblico ancora valido e attuale volto alla conservazione del patrimonio produttivo del Paese». Secondo Lamanna, Osservazioni sui progetti di riforme dell’amministrazione straordinaria, in Fallimentarista, 16.11.2016, invece, «l’opzione risanatoria nell’amministrazione straordinaria è stata sinora del tutto residuale dinanzi al prevalere dei casi in cui si è giunti alla presa e semplice cessione dei complessi produttivi», e «in molti casi l’attività dei commissari straordinari…non sembra essersi tradotta in risultati connotati da efficacia ed efficienza».
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re funzioni “conservative” anziché liquidative, era (ed è) riservato alla iniziativa discrezionale del debitore, e non può essere attivato contro la sua volontà; l’amministrazione controllata (oggi abrogata) andava ad aggiungere a tale connotato quelli: (i) di essere legata alla presenza di un presupposto di “risanabilità” nel breve periodo (un anno, al massimo due), con la conseguenza di non potersi prestare agevolmente ad un disegno di ristrutturazione dell’impresa, in situazioni di dissesto avanzato; e (ii) di produrre in favore dell’impresa in crisi degli effetti inadeguati a superare situazioni di difficoltà accentuata, comportando la sola “moratoria” delle passività pregresse, senza prevederne – di per sé – né una riduzione; né una “cristallizzazione” economica (nel senso che i debiti pregressi rimanevano produttivi di interessi, anche durante il periodo di “moratoria”); né un “consolidamento” finanziario (nel senso che le passività pregresse, per il capitale e per gli interessi maturati durante il periodo di “moratoria”, ritornavano immediatamente ed integralmente esigibili alla data di cessazione della procedura). La legge 3 aprile 1979, n. 95 (conosciuta sotto il nome di “leggeProdi”) intese apprestare, per le “grandi imprese”, una procedura ad hoc (chiamata “Amministrazione straordinaria”), che ne favorisse i processi di ristrutturazione finanziaria ed industriale, mirando (anche) alla salvaguardia dell’integrità degli organismi produttivi ed alla protezione dei livelli occupazionali: in ciò agevolata dalla previsione di significativi aiuti di Stato, rappresentati dalla disposizione secondo la quale «il Tesoro dello Stato può garantire in tutto o in parte i debiti che le società in amministrazione straordinaria contraggono con istituzioni creditizie per il finanziamento della gestione corrente e per la riattivazione ed il completamento di impianti, immobili ed attrezzature industriali» (art. 2-bis legge cit.). La nuova Procedura fu oggetto di molte critiche, incentrate in particolare: (i) sulla emarginazione del ruolo dell’autorità giudiziaria, in favore della accentuazione del ruolo dell’autorità amministrativa (il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato – oggi Ministero dello Sviluppo Economico: MiSE, legittimato a disporre l’assoggettamento della “grande impresa” in crisi alla procedura di Amministrazione straordinaria, e poi “motore” del Programma di ristrutturazione); e (ii) sulla automaticità dell’apertura di una procedura concorsuale “speciale” fondata su un presupposto (lo stato di insolvenza) che in condizioni normali avrebbe comportato l’assoggettamento dell’impresa al fallimento, a prescindere dalla sussistenza di qualsiasi giudizio prognostico sull’idoneità dell’Amministrazione straordinaria a conseguire la tutela, nel singolo caso di specie, di interessi di natura diversa dal “semplice” interesse al miglior soddisfacimento dei creditori.
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A ciò si aggiunsero le insuperabili censure della Corte di Giustizia delle Comunità Europee e della Commissione Europea, che giudicarono incompatibili con i principi affermati dal Trattato di Roma in materia di concorrenza (che vietano gli “aiuti di Stato” alle imprese nazionali) la ricordata garanzia del Tesoro per i finanziamenti concessi alle imprese assoggettate ad Amministrazione straordinaria; la previsione di ulteriori facilitazioni fiscali (art. 5-bis l. n. 95/1979); le agevolazioni di natura contributiva (art. 3 l. n. 19/1987); e, forse, la stessa attribuzione all’autorità amministrativa del potere discrezionale di autorizzare la continuazione dell’esercizio dell’impresa ad imprese oggettivamente insolventi, così consentendo la artificiosa permanenza sul mercato di soggetti normalmente destinati alla espulsione dallo stesso (mediante la dichiarazione di fallimento, preclusa – invece – dalla sottoposizione ad Amministrazione straordinaria), con conseguente alterazione del libero gioco della concorrenza. Con il decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (chiamato dai pratici “Prodi-bis”) il legislatore italiano ha inteso ovviare agli inconvenienti sopra segnalati. A tale scopo, esso ha abrogato (in linea di principio)11 la “legge Prodi”, sostituendola con la c.d.“Prodi-bis”, caratterizzata da importanti innovazioni: prima tra le quali il mantenimento dell’assoggettabilità al fallimento anche della “grande impresa” insolvente, allorché la auspicata ristrutturazione industriale si riveli non conseguibile alla data di apertura della procedura; o durante la stessa; o alla data della sua cessazione.
6. Dalla Amministrazione straordinaria “normale” (delle imprese “grandi”) alla Amministrazione straordinaria “speciale” (delle imprese di rilevanti dimensioni). Come avremo modo di rilevare nel prosieguo, nell’anno 2003, e poi anche successivamente, il legislatore italiano è intervenuto sulla disciplina della procedura di Amministrazione straordinaria per apportarvi modificazioni ritenute necessarie a renderla maggiormente funzionale
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Ma in materia di garanzie dello Stato per le imprese di amministrazione straordinaria vedi, ancora ai giorni nostri, l’art. 7–bis, d.l. 24 gennaio 2015, n. 3, che ha modificato il co. 2 dell’art. 2–bis del d.l. n. 26/1979, portando l’ammontare delle garanzie statali prestabili da 500 milioni di euro a 550 milioni.
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al soddisfacimento delle particolari esigenze emerse in occasione del dissesto del “Gruppo Parmalat”. La crisi di questo “Gruppo” avrebbe potuto essere affrontata “tranquillamente” – da un punto di vista giuridico – con il suo assoggettamento alla procedura di Amministrazione straordinaria, nella versione a quel momento in vigore. Il Governo, tuttavia, in considerazione delle dimensioni dell’impresa, ritenne necessario apportare importanti modifiche – come si vedrà – alla disciplina vigente, creando così i presupposti per l’affermazione di una procedura concorsuale delle imprese “grandissime” (“legge Parmalat”)12. Meno di un anno dopo il dissesto “Parmalat” si manifestò (o meglio, se ne evidenziò l’irreparabilità) il dissesto del vettore aereo “VolareWeb”. Anche questo “Gruppo” avrebbe potuto accedere “tranquillamente”, come il “Gruppo Parmalat”, alla Amministrazione straordinaria di cui al d. lgs. n. 270/1999, se non fossero emerse esigenze di natura “politica” (o comunque non certamente di natura tecnico-giuridica). Anche l’esigenza di conseguire immediati “effetti protettivi” nei confronti di azioni ostili dei creditori avrebbe potuto essere soddisfatta con l’immediata presentazione di una domanda di amministrazione controllata, suscettibile di successiva “conversione” nell’Amministrazione straordinaria. Il Governo non intese peraltro consentire che la sistemazione della crisi di questo “Gruppo” venisse perseguita mediante il ricorso ad una procedura concorsuale bensì già “speciale”, rispetto a quelle di diritto comune – come è l’Amministrazione straordinaria, a cospetto del fallimento –, ma per lo meno ormai istituzionalizzata: ma proseguì per la via già intrapresa per la sistemazione della crisi del “Gruppo Parmalat”. Anche per il Gruppo “VolareWeb” il Governo preferì praticare una soluzione “speciale”: peraltro tale “Gruppo” non presentava i requisiti dimensionali richiesti dalla “legge Parmalat”, né sotto il profilo occupazionale, né sotto quello dell’entità dell’indebitamento. Il Governo provvide allora – come vedremo – a ridurli, con l’effetto di consentire bensì a VolareWeb l’accesso immediato alla “nuova” Amministrazione straordinaria; ma con la conseguenza altresì di spalancare la strada per
12 I presupposti per l’applicabilità della nuova “variante” della Amministrazione straordinaria (come delineati dal decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347, che sarebbe poi stato conosciuto come “legge Parmalat” – o “legge Marzano”, dal nome del Ministro dell’Industria in carica all’epoca) erano infatti rappresentati dalla presenza di almeno mille dipendenti, nonché di un indebitamento di almeno mille milioni di euro. In argomento v., ex multis, Di Marzio e Macario, L’amministrazione straordinaria, cit., p. 747 ss.
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l’adozione della nuova “via amministrativa” alla sistemazione della crisi d’impresa anche a gruppi industriali di dimensioni tutt’altro che “grandissime”: così da indurre a qualificare la Amministrazione straordinaria ex “Parmalat” come la procedura delle imprese insolventi (tutt’al più) di “rilevanti dimensioni”. In conseguenza di quanto sopra riferito è divenuto necessario (o diviene comunque necessario per noi, a fini espositivi) distinguere tra la disciplina dell’Amministrazione straordinaria concernente le imprese insolventi di dimensioni soltanto “grandi” (che fa riferimento esclusivo alle disposizioni del d. lgs. n. 270/1999, e che con una convenzione terminogica chiameremo “Amministrazione straordinaria normale”); e la disciplina dell’Amministrazione straordinaria concernente le imprese insolventi qualificabili “di rilevanti dimensioni”, che fa riferimento diretto al d.l. n. 347/2003 (“legge Marzano” o “legge Parmalat”), come modificato dal successivo d.l. n. 281 del 29 novembre 2004 (“decreto VolareWeb”), e che in base alla medesima convenzione terminologica chiameremo “Amministrazione straordinaria speciale”.
7. L’Amministrazione straordinaria (“normale” e “speciale”) delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali. Nel corso dell’anno 2008 il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disciplina dell’Amministrazione straordinaria per la necessità di consentire l’accesso alla stessa (o meglio: un “primo” accesso) da parte delle società (insolventi) facente capo al “Gruppo Alitalia”. Come avremo modo di rilevare, anche tali imprese ben avrebbero potuto essere assoggettate alla disciplina dell’Amministrazione straordinaria “normale” (d.lgs. n. 270/1999), possedendone tutti i requisiti. Tuttavia il Governo ritenne più efficiente (o comunque preferibile), anche questa volta, la procedura di Amministrazione straordinaria “speciale” (d.l. n. 347/2003: “legge Parmalat”), come già “diluita” dal d.l. n. 281/2004 (“decreto VolareWeb”), e ciò benché il “Gruppo Alitalia” non ne presentasse tutti i necessari requisiti. In particolare, non si sarebbe potuto affermare che il fondamentale obiettivo del «recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali» avrebbe potuto essere conseguito attraverso la procedura «di cui all’articolo 27, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270» (che disciplina il “programma di ristrutturazione”), come avrebbe preteso la “legge Parmalat”, perché il Gruppo Alitalia non sarebbe stato in grado di attuare «la ristrutturazione economica o finanziaria dell’impresa sulla base di un piano di risanamento di durata non supe-
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riore a due anni», preteso dalla norma della “legge-Prodi-bis” richiamata. In conseguenza di ciò, il governo approvò il d.l. 28 agosto 2008, n. 134 (che sarebbe stato convertito, con modificazioni, dalla l. 27 ottobre 2008, n. 166), che modificò l’art. 1 della “legge Parmalat”, consentendo di avvalersi della procedura di Amministrazione straordinaria “speciale” anche alle imprese di rilevanti dimensioni che avessero inteso avvalersi (non solo del “programma di ristrutturazione” di cui alla “legge Prodibis, ma anche) del “programma di cessione dei complessi aziendali di cui all’articolo 27, co. 2, lett. a), del medesimo decreto” legislativo n. 270/1999 (cioè del c.d. “programma di cessione”). In tal modo la Amministrazione straordinaria “speciale” (ex “Parmalat”) diveniva disponibile anche per tutte le imprese (purché di rilevanti dimensioni) che fossero in grado di perseguire il «recupero dell’equilibrio economico» soltanto attraverso la esecuzione di un “programma di cessione”: e senza che dovessero presentare il connotato di operare nel settore dei servizi pubblici essenziali. Le integrazioni alla procedura di Amministrazione straordinaria “speciale” ex “Parmalat”, rese necessarie dalla volontà di consentirvi l’accesso anche da parte del “Gruppo Alitalia”, non riguardarono però soltanto i presupposti di ammissibilità (con la ricordata introduzione della possibilità di ricorrervi anche sulla base di un “programma di cessione”, anziché di un “programma di ristrutturazione”), ma si estesero alla considerazione degli effetti connessi alla particolarità del settore economico nel quale il “gruppo Alitalia” operava, vale a dire il settore dei servizi pubblici essenziali. Vennero così approvate, con il medesimo d.l. n. 134/2008 – come vedremo –, disposizioni speciali concernenti la procedura di Amministrazione straordinaria delle «società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali», che riguardarono tanto la procedura di Amministrazione straordinaria “normale” (andando cioè ad incidere sulla disciplina di cui al d.lgs. n. 270/1999 – “Prodi-bis”: v. ad esempio la disposizione di cui alla lett. b-bis) del co. 2 dell’art. 27), quanto la procedura di Amministrazione straordinaria “speciale” (andando cioè ad incidere sulla disciplina di cui al d.l. n. 347/2003 – “Parmalat”: v. ad esempio la disposizione di cui all’art. 2, co. 2).
8. Dalla Amministrazione straordinaria (“ordinaria” o “speciale”) delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali alla Amministrazione straordinaria “speciale” delle imprese “di interesse strategico nazionale” (in generale). Il “caso Ilva”.
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Negli anni più recenti una delle situazioni di crisi di maggiore rilevanza, tanto economica quanto sociale (e ambientale), è stata rappresentata dal dissesto dell’Ilva s.p.a. di Taranto. Anche a proposito di tale “crisi” potrebbero essere ripetute le considerazioni, già sviluppate per le situazioni di crisi “rilevanti” (per dimensioni e/o per tipologia) individuate in precedenza – “Parmalat”; “Alitalia” – concernenti: (i) la presumibile attitudine della procedura di Amministrazione straordinaria “normale “ a consentire la composizione della situazione di crisi anche dell’Ilva; (ii) la perdurante volontà del Governo di sottrarre anche l’insolvenza dell’Ilva all’Amministrazione straordinaria “normale” – con quanto di potere dell’Autorità Giudiziaria essa conserva – : ma di ciò si dirà in prosieguo; (iii) la cronica inadeguatezza di regolamentazioni rappresentate (nella sostanza) da “leggi-fotografia” a disciplinare adeguatamente fattispecie diverse da quella che le ha ispirate, nonostante l’apparente carattere generale; e infine (iv) la comprensibile ritrosia ad approvare una (ennesima) “legge-fotografia” per l’Ilva, con la conseguenza che generalizzando – nei termini che si dettaglieranno – le innovazioni normative concepite per l’Ilva, allo scopo di prevenire contestazioni di eccessiva “personalizzazione”, si è finito per creare un ennesimo sub-modello di Amministrazione straordinaria, questa volta diretto a disciplinare le situazioni di crisi delle «imprese di interesse strategico nazionale». La recente “variazione sul tema” in materia di Amministrazione straordinaria di cui stiamo parlando è stata preceduta da un intervento caratterizzato dall’identica struttura illustrata nelle pagine precedenti: una disciplina di carattere generale mirata a regolare – in realtà – una fattispecie particolare, rappresentata dalla situazione di “crisi” – genericamente intesa – della società Ilva s.p.a. Si intende alludere al provvedimento adottato dal Governo con l’approvazione del d.l. 4 giugno 2013, n. 61, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2013, n. 89, concernente: «Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale». Il provvedimento, premesso che «la continuità del funzionamento produttivo di stabilimenti di interesse strategico costituisce una priorità di carattere nazionale…»13, prevede e disciplina: (i) all’articolo 1), una procedura di “Commissariamento straordinario”
13 E aggiunge: «soprattutto in considerazione di prevalenti profili di protezione dell’ambiente e della salute e di salvaguardia dei livelli occupazionali».
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(disposta dal Consiglio dei Ministri su proposta del Presidente del Consiglio) nei confronti dell’ impresa: a) che impieghi un numero di lavoratori subordinati non inferiore a mille; b) che gestisca almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, ai sensi dell’art. 1 del d.l. 3 dicembre 2012, n. 20714; e c) la cui attività produttiva abbia comportato e comporti «pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute a causa dell’inosservanza reiterata della Autorizzazione Integrata Ambientale» (A.I.A)». Segue una disciplina particolarmente dettagliata della attività del Commissario straordinario e dei suoi effetti; poi (ii) all’articolo 2), il «commissariamento della s.p.a. ILVA», sulla base della statuizione (co. 1) che «i presupposti di cui al comma 1 dell’articolo 1 [commissariamento delle imprese che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale] sussistono per la s.p.a. ILVA». Seguono disposizioni specifiche per la conduzione del “Commissariamento ILVA”. Successivamente il Governo, con il d.l. 5 gennaio 2015, n. 1, ha inteso apportare un «rafforzamento della disciplina dell’Amministrazione straordinaria» per le imprese che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale (e quindi anche per l’ILVA). Tale “rafforzamento” è stato perseguito: i) accomunando le imprese de quibus a quelle «operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali», così assoggettandole alla Amministrazione straordinaria “speciale” (ex “Alitalia”); ii) rendendo più incisiva la procedura di Amministrazione straordinaria “speciale” stessa, attraverso l’introduzione di misure eccezionali (agevolazioni delle vendite a trattativa privata; disciplina di favore per il mantenimento delle necessarie autorizzazioni amministrative), che pertanto favoriscono ora tanto le imprese che gestiscono almeno uno stabi-
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La disposizione sopra richiamata riguarda gli stabilimenti di interesse strategico nazionale “individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri”: e prevede che quando presso uno di detti stabilimenti siano occupati un minimo di lavoratori subordinati (compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni) non inferiore a 200 da almeno un anno, il Ministro dell’Ambiente possa autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva per un periodo non superiore a 36 mesi, in sede di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), nell’ipotesi in cui “vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione”.
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limento di interesse strategico nazionale, quanto le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali; iii) “consolidando” anche all’interno della procedura di Amministrazione straordinaria effetti risalenti al precedente “Commissariamento straordinario” ex d.l. n. 61/2013 – se effettivamente disposto –, quali (a) la legittimazione del Commissario straordinario a presentare l’istanza per l’ammissione alla procedura di Amministrazione straordinaria “speciale”, e (b) la “esenzione” dall’azione revocatoria degli atti e dei pagamenti compiuti dal medesimo Commissario straordinario in pendenza del “Commissariamento straordinario” ex d.l. n. 61/2013; iv) sostenendo ulteriormente il processo di “recupero” dell’impresa attraverso la disposizione del collocamento in prededuzione dei crediti anteriori all’apertura della procedura, vantati da piccole e medie imprese per prestazioni necessarie al risanamento ambientale, alla sicurezza ed alla continuità dell’attività degli impianti produttivi essenziali15.
9. La Amministrazione straordinaria dell’impresa “di interesse strategico nazionale” esercitata dall’Ilva s.p.a. Nonostante l’aspirazione ad evitare, per quanto possibile, “leggi-fotografia”, il Governo non ha potuto fare a meno di dettare norme specifiche per la procedura di Amministrazione straordinaria della nota società Ilva s.p.a. di Taranto. Va premesso che a tale società devono ritenersi applicabili, innanzitutto, le disposizioni previste per [le imprese «operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali» e] le imprese «che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale». Ciò precisato, la più parte delle disposizioni specificamente dettate per la società Ilva s.p.a. (contenute, per quanto ci interessa in questa sede, nell’art. 2 d.l. n. 1/2015) riguarda la esecuzione degli interventi di risanamento ambientale e di realizzazione delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) da un punto di vista industriale: ma
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Sono dichiarati prededucibili altresì «i crediti anteriori relativi al risanamento ambientale, alla sicurezza e alla attuazione degli interventi in materia di tutela dell’ambiente e della salute previsti dal piano di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 Marzo 2014, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 105 dell’8 Maggio 2014».
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altre riguardano profili squisitamente giuridici (come una speciale forma di “esimente” penale e amministrativa: art. 2, co. 6, d.l. cit., ovvero la estensione dell’ “esimente“ penale di cui all’art. 217-bis, co. 1, l. fall. – cfr. art. 2, co. 7, d.l. cit.), anche funzionali ad agevolare il risanamento economico e finanziario della società (come le facilitazioni concesse alle imprese di autotrasporto e alle piccole imprese creditrici dell’Ilva: cfr. art. 2, co. 8-bis e 8-ter., d.l. cit.; la possibilità di impiegare somme sequestrate dall’autorità giudiziaria – art. 3, co. 1; la previsione della erogabilità di finanziamenti assistiti dalla garanzia dello Stato (art. 3, co. 1-ter); la possibilità di «definire tempestivamente pendenze tutt’ora aperte» – art. 3, co. 3)16.
Sezione II L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELLE GRANDI IMPRESE (C.D. AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA “NORMALE”) IN GENERALE. 10. “Procedura di insolvenza” e “Amministrazione straordinaria delle grandi imprese”. L’espressione “Amministrazione straordinaria” può ingenerare indesiderabili equivoci, che pare opportuno prevenire attraverso l’adozione di una convenzione terminologica. Per “Amministrazione straordinaria” si può intendere il complesso del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270: del resto il titolo di tale provvedimento normativo si riferisce alla «nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza …» Ma con l’espressione “Amministrazione straordinaria” si può intendere anche una delle due possibili fasi nella quale la procedura disciplinata dal decreto legislativo n. 270/1999 può evolvere: giacchè, come vedremo, una volta disposta quella che il titolo del decreto legislativo in esame denomina “amministrazione straordinaria”, la procedura, dopo una fase “prognostica”, prevede necessariamente la formale apertura (con decreto motivato del tribunale) dell’una o dell’altra di due distinte e successive “procedure” – che si raccordano con la prima come seconda fase di un procedimento di carattere unitario –. Tali (sub) procedure so-
16 In argomento v. Giordano, Caso “Ilva”: come cambia la procedura di amministrazione straordinaria, in www.ipsoa.it/quotidiano.
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no denominate, a loro volta: a) “fallimento” (disciplinata essenzialmente dalle disposizioni della vera e propria procedura di fallimento – r.d. 16 marzo 1942, n. 267 –, per le attività non ancora poste in essere) – dove non si possono ingenerare equivoci terminologici –; e b) “amministrazione straordinaria” (disciplinata da norme riferibili in linea di principio alla “legge Prodi” del 1979, ma poi significativamente innovate) – comportante invece, per l’appunto, il pericolo di equivoci terminologici per l’identità di espressione utilizzata anche per definire la fase precedente (che potremmo definire la “procedura – base”) –. Per tali ragioni adotteremo, nel prosieguo, una convenzione terminologica, in virtù della quale utilizzeremo l’espressione “procedura di insolvenza delle grandi imprese” per definire il complesso della disciplina introdotta dal d.lgs. n. 270/1999; e definiremo “dichiarazione giudiziale di insolvenza” la prima fase della procedura (“fase necessaria”); e “fallimento” ovvero “amministrazione straordinaria” la seconda fase della procedura, secondo che la prima fase sbocchi nell’una o nell’altra. Per “Amministrazione straordinaria”, insomma, si dovrà intendere quella sub-procedura nella quale la “dichiarazione giudiziale di insolvenza” può evolvere se, dopo un iniziale periodo “di osservazione” si accerti la sussistenza dei presupposti per perseguire la «conservazione del patrimonio produttivo mediante prosecuzione, riattivazione e riconversione delle attività imprenditoriali».
11. I presupposti di assoggettabilità alla “procedura di insolvenza delle grandi imprese”. Secondo gli articoli 1 e 2 del d.lgs. n. 270/1999, «l’amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente …» allorquando la stessa sia «soggetta alle disposizioni sul fallimento». Tale nozione è esplicitamente comprensiva della impresa individuale (art. 2), e delle società di persone (artt. 23-26) – con la conseguente estensione dei relativi effetti ai soci illimitatamente responsabili. Il requisito dell’assoggettabilità (in astratto) al fallimento comporta la esclusione delle imprese per le quali è prevista la liquidazione coatta amministrativa senza possibile concorso con il fallimento (banche, assicurazioni, s.i.m., s.g.r., società fiduciarie, ecc.). L’art. 2 fissa poi i requisiti in base ai quali l’impresa commerciale può essere definita “grande”: ed afferma che tale fenomeno ricorre in presenza dei due presupposti congiunti: a) di un numero di lavoratori subordinati non inferiore a duecento da almeno un anno; e b) di debiti
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per ammontare complessivo non inferiore ai due terzi tanto del totale dell’attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell’ultimo esercizio (dove è evidente che, in realtà, la sussistenza di un coefficiente particolarmente elevato tra indebitamento e patrimonio, e tra indebitamento e fatturato, da una parte non contribuisce in alcun modo ad individuare le dimensioni dell’impresa – anche una impresa di piccole dimensioni può risultare iperindebitata –; e dall’altra impedisce, paradossalmente, che possano essere sottoposte alla “procedura di insolvenza” imprese di più rilevanti dimensioni, ma… non sufficientemente indebitate!). Per ciò che concerne il presupposto oggettivo dell’assoggettabilità alla procedura in discussione, la legge la riserva alla impresa “insolvente” ovvero “in stato di insolvenza”. Non tutti sono d’accordo, peraltro, nel ritenere che tale nozione coincida con quella che rappresenta il presupposto del fallimento, come ricavabile dall’art. 5 l. fall. A tale proposito va però sottolineato che l’iniziativa per l’apertura della “procedura di insolvenza delle grandi imprese” è attribuita anche ai creditori (o al Pubblico Ministero): e non appartiene (ancora) alla “filosofia” del nostro ordinamento concorsuale che i creditori, o il Pubblico Ministero, o il tribunale d’ufficio, possano imporre all’imprenditore l’ingresso in una procedura concorsuale, allorchè esso versi in una condizione meno grave della insolvenza (quale delineata dall’art. 5 l. fall.). Inoltre va tenuto presente che: (i) laddove la prognosi sulla conservabilità del patrimonio produttivo dia esito negativo, l’impresa è dichiarata automaticamente fallita: ciò postula che la “insolvenza” posta alla base dell’apertura della “procedura” di “insolvenza” sia identica alla “insolvenza” posta alla base del (solo ritardato) fallimento; e (ii) la disciplina della “procedura di insolvenza” delle grandi imprese si rivela infatti perfettamente compatibile e congrua anche con le situazioni di crisi cc.dd. “irreversibili”, dal momento che anche per esse è concepibile il perseguimento delle «finalità conservative del patrimonio produttivo», mediante – se non altro – l’attuazione di un programma di «cessione dei complessi aziendali» – art. 27, co. 2, lett. a) –.
12. Il procedimento di dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza. Le peculiarità principali del procedimento di dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza nella Amministrazione straordinaria “normale” sono rappresentate da:
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a) il coinvolgimento dell’autorità amministrativa (oggi il Ministero dello Sviluppo Economico), che è invitata ad indicare al tribunale (del luogo nel quale l’impresa ha la sede) uno o tre commissari giudiziali, da nominare nel caso di dichiarazione dello stato di insolvenza; b) la facoltà del tribunale di affidare al Commissario giudiziale la gestione dell’impresa, sottraendola all’imprenditore. Per il resto devono essere principalmente segnalati: - la perdurante possibilità di apertura della procedura anche d’ufficio; - l’incomprensibile discrasia tra le due procedure in merito alla documentazione di cui si rende necessaria la produzione; - il regime delle impugnazioni del provvedimento reso sulla istanza di dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza, che non corrisponde più alla disciplina della impugnazione della sentenza di fallimento.
13. Gli effetti conseguenti all’assoggettamento della grande impresa alla “procedura di insolvenza”. Quanto agli effetti dell’apertura della “procedura di insolvenza della grande impresa”, occorre anzitutto osservare come gli stessi non incidano sulla continuazione dell’esercizio dell’impresa: al punto da indurre la dottrina ad affermare che la continuazione dell’attività imprenditoriale è obbligatoria, o comunque necessaria (dovendo il tribunale decidere solo se lasciarla all’imprenditore, oppure affidarla al commissario giudiziale), al fine di formulare la valutazione propedeutica sulla recuperabilità o meno dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali. Nel contempo non può essere trascurata la circostanza che l’apertura della procedura postula l’accertamento dello stato di insolvenza dell’impresa, con ciò che ne consegue in punto all’esigenza di garantire la parità del trattamento tra i creditori pregressi. La “necessità” della continuazione dell’esercizio dell’impresa (insolvente!) determina importanti conseguenze. In primo luogo, i rapporti pendenti alla data dell’apertura della procedura continuano, in linea di principio, secondo la disciplina di diritto comune. Essi non subiscono sospensione od interruzione, né sono soggetti al potere dell’imprenditore o del commissario giudiziale di provocarne lo scioglimento: solo, devono tenere conto dei concomitanti effetti speciali che si producono in considerazione della natura di procedura
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concorsuale di tale procedimento17. Quanto agli effetti più specificatamente prodotti dalla sentenza di insolvenza nei confronti dei creditori, vanno principalmente segnalati: 1) l’obbligo di assoggettamento delle pretese verso l’impresa insolvente al procedimento di accertamento dello stato passivo fallimentare; 2) la produzione di effetti propri del Concordato preventivo, in materia di disciplina dell’amministrazione dei beni dell’imprenditore durante la procedura; 3) la produzione di una serie di effetti propri del fallimento – attraverso un rinvio diretto (cfr. art. 18, co. 1), ovvero attraverso un rinvio agli artt. 168 e 169 l. fall., che rendono applicabili al concordato preventivo una serie di disposizioni fallimentari in materia di effetti della sentenza dichiarativa, quali: - la sospensione degli interessi secondo la disciplina degli artt. 54 e 55 l. fall.; - la disciplina della compensazione nel fallimento (art. 56 l.fall.)18; - la disciplina delle obbligazioni solidali nel fallimento (artt. 61-63 l. fall.); - il divieto di inizio o prosecuzione di azioni esecutive individuali nei confronti dell’impresa insolvente (art. 51 l.fall., richiamato dall’art. 168, reso anch’esso applicabile dall’art. 18, co. 1, cit.); - la inopponibilità ai creditori partecipanti alla “procedura di insolvenza” degli atti per i quali non risultino compiute, alla data di dichiarazione dello stato di insolvenza, le formalità necessarie, secondo il diritto comune, a renderli opponibili ai terzi (art. 45 l.fall.); - l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari (ma soltanto per l’ipotesi di intervenuta autorizzazione all’esecuzione di un “programma di cessione dei complessi aziendali”: art. 49 d.lgs. cit.: (infra).
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In particolare, l’esecuzione (anche) dei rapporti dovrà tenere conto del divieto di pagamento dei debiti progressi (art. 18, co. 2), che consegue normalmente a tutte le procedure che postulano l’accertamento della impossibilità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni. 18 A tale proposito si segnala la recente decisione di Trib. Padova, 3 maggio 2016 (in Fallimento, 2017, 85), secondo la quale «la disposizione dell’art. 54, l.fall. …deve essere interpretata nel senso che il capitale non produce interessi sia nei confronti della procedura che nei confronti del debitore, con la conseguenza che in caso di amministrazione straordinaria neppure si può porre la questione della prescrizione al diritto agli interessi». Più in generale, in argomento, v. Di Marzio e Macario, L’amministrazione straordinaria, cit., p. 646, ss.
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14. Lo sviluppo della “fase diagnostica” della “procedura di insolvenza” e l’accertamento del passivo. Tra le innovazioni più significative apportate dalla legge “Prodi-bis” alla precedente disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi va evidenziata la “giurisdizionalizzazione” delle attività funzionali all’accertamento del passivo dell’impresa. Secondo la disciplina previgente, coerentemente con quanto disposto per tutte le altre procedure concorsuali di carattere amministrativistico (le liquidazioni coatte amministrative delle banche, delle assicurazioni, delle sgr, delle s.i.m, eccetera), l’accertamento dei crediti pecuniari e dei “diritti reali mobiliari” nei confronti dell’impresa in amministrazione straordinaria veniva effettuato, in via preliminare, d’ufficio, dallo stesso commissario liquidatore. Con la legge “Prodi-bis”, invece, è pacifico che l’accertamento del passivo debba avvenire – sia nell’eventualità di evoluzione della “procedura di insolvenza” in fallimento (cfr. art. 31, co. 2); sia nell’eventualità di evoluzione in Amministrazione straordinaria (cfr. art. 53) – secondo le regole proprie dell’accertamento delle pretese vantate verso un imprenditore fallito: con la conseguenza di imporre, in via preliminare, l’obbligo di ciascun creditore (o preteso titolare di “diritti reali mobiliari”) di proporre formale domanda giudiziale di accertamento della propria pretesa di carattere individuale19. La tecnica utilizzata dal legislatore per assoggettare l’accertamento dei crediti vantati nei confronti di una impresa assoggettata alla “procedura di insolvenza delle grandi imprese” ad una disciplina corrispondente a quella della verifica dei crediti nel fallimento non è stata rappresentata, peraltro, da un semplice rinvio – che, come tale, oggi potrebbe essere considerato riferibile alle nuove disposizioni sull’accertamento dello stato passivo fallimentare –, ma da una parziale riproduzione delle disposizioni già dettate per l’accertamento del passivo fallimentare: disposizioni che potranno doversi continuare ad applicare anche in futuro – non essendo state allineate all’intervenuta riforma della disciplina del fallimento –, benché non più perfettamente in linea con le corrispondenti norme della verifica del passivo fallimentare20.
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In questa prospettiva è disposto che la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza debba assegnare ai creditori il termine per la presentazione delle domande di ammissione al passivo, e la data dell’adunanza davanti al giudice delegato per l’esame delle stesse. 20 In particolare, è possibile che non si possa fare a meno di concludere che il
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15. La conclusione della “fase diagnostica”. Secondo l’art. 28 d.lgs. n. 270/1999, entro 30 giorni dalla dichiarazione giudiziale di insolvenza il commissario giudiziale deve depositare nella Cancelleria del Tribunale, e deve contestualmente trasmettere al Ministero dell’Industria (ogni Ministero dello Sviluppo Economico: “MiSE”), una Relazione, contenente: a) la descrizione particolareggiata delle cause dell’insolvenza; b) la “valutazione motivata” sulla sussistenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali, da realizzarsi, in via alternativa: b1) «tramite la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad 1 anno» (“programma di cessione dei complessi aziendali”); oppure b2) «tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a 2 anni» (“programma di ristrutturazione”): art. 27 d. lgs. Entro 10 giorni dalla ricezione della Relazione del commissario giudiziale, il MiSE deve depositare nella Cancelleria del tribunale il proprio parere in ordine alla ammissione dell’impresa insolvente alla procedura di Amministrazione straordinaria (in alternativa all’altrimenti inevitabile assoggettamento al fallimento): art. 29. Entro 30 giorni dal deposito della Relazione del commissario giudiziale in Cancelleria, il tribunale, tenuto conto del parere del Ministero (e delle osservazioni che l’impresa insolvente e ciascun interessato può depositare), dichiara l’apertura dell’Amministrazione straordinaria, se sussistono le descritte condizioni, con decreto motivato; in caso contrario – sempre con decreto motivato – dichiara il fallimento, nominando il giudice delegato ed il curatore fallimentare (art. 30). Contro i decreti in esame è consentita la proposizione di reclamo, da parte di qualsiasi interessato, entro 15 giorni, alla Corte d’appello, che provvede in camera di consiglio, e nell’ipotesi di accoglimento del reclamo rimette gli atti al tribunale, perché questo provveda di conseguenza21.
procedimento delineato dal l. lgs. n. 270/1999 debba continuare ad essere circoscritto all’accertamento dei crediti e dei soli “diritti reali mobiliari”, come precisa l’art. 8, co. 1, lett. d), benché a seguito della riforma della legge fallimentare, attuata dal d. lgs. n. 5/2006 e seguenti provvedimenti, lo speciale procedimento di accertamento del passivo nel fallimento riguardi oggi anche i diritti reali immobiliari ed i diritti personali su beni mobili ed immobili nella disponibilità del debitore (art. 92 l. fall. novellato). 21 Occorre dunque sottolineare che la decisione se ammettere la grande impresa,
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16. La (sub) procedura di Amministrazione straordinaria. In particolare: l’esercizio delle azioni revocatorie. Se il tribunale dispone l’apertura della procedura di Amministrazione straordinaria, esso pronuncia contestualmente i provvedimenti opportuni ai fini della prosecuzione dell’esercizio dell’impresa, sino alla nomina del Commissario straordinario (che può essere unico, oppure costituito da un collegio di tre membri). A ciò provvede (entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto di apertura) il MiSE, che nomina altresì il Comitato di sorveglianza, «composto da tre o cinque membri», scelti tra i creditori chirografari e tra «persone particolarmente esperte nel ramo di attività esercitato dall’impresa o nella materia concorsuale»22. Quanto agli effetti conseguenti all’apertura dell’Amministrazione straordinaria, in parte si tratta della conferma e della continuazione di quelli già prodotti dalla dichiarazione dello stato di insolvenza. Così è, in particolare, per il divieto di inizio o prosecuzione di azioni esecutive sui beni dell’impresa (art. 48); per la “prededuzione” già disposta dall’art. 20 in favore dei crediti sorti per la continuazione dell’esercizio dell’impresa e la gestione del patrimonio del debitore e ribadita dall’art. 52 – che ne precisa la “ultrattività” anche nell’eventuale fallimento consecutivo –; per i rapporti giuridici pendenti, che continuano ad avere esecuzione salva l’introduzione di una facoltà di scioglimento in favore del Commissario straordinario (art. 50)23.
dichiarata insolvente ai sensi dell’art. 3 della “Prodi-bis”, all’Amministrazione straordinaria, oppure assoggettarla a fallimento, è attribuita all’autorità giudiziaria, senza che l’autorità amministrativa possa interferire sulla decisione oltre alla espressione del proprio “parere”. 22 Il MiSE esercita una attività di “vigilanza” sulla procedura, avvalendosi in ciò anche di esperti e di società specializzate, oltre che del personale della Guardia di Finanza (art. 37). Esso è investito del potere autorizzatorio per il compimento degli atti di alienazione e di affitto di azienda e di rami di azienda, e degli altri atti di amministrazione straordinaria elencati dall’art. 42. Il Ministero, inoltre, e soprattutto, vigila sulla redazione del “Programma” di cessione o di ristrutturazione, e ne autorizza – se del caso – l’esecuzione (infra). Il Comitato di sorveglianza è investito di funzioni essenzialmente consultive. 23 Per l’esercizio di tale facoltà non sono previsti termini precisi. Il contraente in bonis può «intimare al commissario straordinario di fare conoscere le proprie determinazioni nel termine di 30 giorni» (decorso il quale il contratto si intende sciolto): ma ciò dopo che il Ministro abbia autorizzato il “Programma” (di cessione o di ristrutturazione) predisposto dal Commissario.
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La apertura della Amministrazione straordinaria rende poi proponibili le azioni revocatorie fallimentari disciplinate dalle norme sul fallimento (art. 49): ma ciò solo per l’ipotesi di autorizzazione alla esecuzione di un “Programma di cessione” dei complessi aziendali, e non – invece – per l’ipotesi di predisposizione ed approvazione di un “Programma di ristrutturazione” aziendale (salvo l’intervento della successiva conversione dell’Amministrazione straordinaria in fallimento): sia perché l’Amministrazione straordinaria “ristrutturatrice” dell’azienda dovrebbe tendere al pagamento di tutti i creditori; sia perché l’imprenditore insolvente conserverebbe (quanto meno) la titolarità dell’impresa assoggettata ad Amministrazione straordinaria (e “ristrutturata”), e non dovrebbe potere beneficiare degli effetti della revocatoria di atti di disposizione da lui stesso compiuti24.
17. Predisposizione, autorizzazione ed esecuzione del “Programma”. Entro il termine di 60 giorni (prorogabile una sola volta per ulteriori 60 giorni) dalla data di apertura dell’Amministrazione straordinaria il Commissario straordinario deve predisporre un “Programma”, redatto secondo uno degli indirizzi alternativi indicati nell’art. 27 d.lgs. n. 270/1999 (“cessione” da realizzarsi entro un anno; “ristrutturazione” da conseguirsi
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L’introduzione di questa distinzione, sconosciuta alla “Legge-Prodi” (ma affacciata, anche sotto il suo vigore, da una parte della giurisprudenza, che riteneva necessario dovere limitare l’esercitabilità delle azioni revocatorie fallimentari alle ipotesi nelle quali il Ministero avesse revocata l’autorizzazione a dare esecuzione al Programma di “ristrutturazione” dell’impresa), ha originato non agevoli problemi interpretativi ed applicativi, tenuto conto che: (i) Il “Programma di ristrutturazione” può “convertirsi” in un “Programma di cessione” (o sboccare nel fallimento), e viceversa; (ii) il “periodo sospetto” dovrà essere sempre individuato nei sei mesi, nell’anno o nel biennio anteriori alla sentenza di dichiarazione dello stato di insolvenza (art. 49, co. 2): mentre la prescrizione incomincerà a decorrere dalla data di autorizzazione (originaria o successiva) alla esecuzione del “Programma di cessione”, o di dichiarazione del fallimento; (iii) Incerti sono i rapporti tra tale disciplina e le attività di accertamento dello stato passivo. I provvedimenti del giudice delegato pronunciati prima della redazione ed autorizzazione di un “Programma” che sia incentrato sulla “cessione dei complessi aziendali”, infatti, non potrebbero fondare l’esclusione del credito o della garanzia insinuati sulla (inammissibile) revocabilità del relativo titolo.
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entro due anni)25. Il “Programma” è autorizzato dal MiSE, sentito il Comitato di sorveglianza, entro 30 giorni dalla sua presentazione (o dalla data della decisione della Commissione europea alla cui autorizzazione soggiacciano eventualmente gli “aiuti di Stato” previsti dal “Programma” stesso): art. 58. Dopo l’autorizzazione da parte del Ministero il “Programma” è trasmesso al tribunale, per il deposito in Cancelleria (con esclusione delle eventuali parti la cui divulgazione anticipata potrebbe pregiudicarne l’attuazione). Il “Programma”, che può essere modificato in corso di esecuzione, od addirittura sostituito con un “Programma” alternativo fra quelli previsti dall’art. 27, è eseguito dal Commissario straordinario, che «compie tutte le attività dirette» a tale obiettivo (art. 61), pur rimanendo soggetto all’autorizzazione del Ministero per gli atti di amministrazione straordinaria elencati nell’art. 42.
18. La disciplina della “vendita di aziende in esercizio”. L’art. 63 d. lgs. n. 270/1990 disciplina l’esecuzione del “Programma” che trovi attuazione mediante la cessione dell’azienda o del ramo d’azienda (“in esercizio”): ed a tale proposito precisa che la valutazione del prezzo dell’azienda o del ramo ceduti (da effettuarsi a cura di «uno o più esperti nominati dal commissario straordinario»: art. 62, co. 3), «tiene conto della redditività, anche se negativa, all’epoca della stima e nel biennio successivo». La norma aggiunge che l’acquirente deve obbligarsi «a proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali ed a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all’atto della vendita» (che possono anche essere inferiori al numero comples-
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Secondo l’art. 4-bis d.lgs. n. 270/1999, aggiunto dall’art. 2, co. 1, d.l. 10 ottobre 2014, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2015, n. 183, «se in prossimità della scadenza del programma, anche in caso di proroga dei termini di cui all’articolo 66, la cessione non è ancora intervenuta, in tutto o in parte, il Ministro dello sviluppo economico può disporre, per una sola volta, un’ulteriore proroga del termine di esecuzione del programma per un periodo non superiore a dodici mesi, quando, sulla base di una specifica relazione, predisposta dal commissario straordinario, sentito il comitato di sorveglianza, l’attuazione del programma richiede la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa, senza pregiudizio per i creditori. Il provvedimento ministeriale di proroga è comunicato al tribunale competente ai fini dell’esercizio delle proprie attribuzioni ai sensi del presente decreto».
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sivo dei lavoratori impiegati dall’impresa, e comportare «modifiche delle condizioni di lavoro», se tali accordi intervengono anche con i rappresentanti dei lavoratori nell’ambito delle consultazioni relative al trasferimento di azienda previste dall’art. 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428). Per ciò che concerne la responsabilità per le passività pregresse, l’acquirente non risponde per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, anteriori al trasferimento, «salvo diversa convenzione». Le operazioni poste in essere in attuazione di un “Programma di cessione dei complessi aziendali”26 non costituiscono comunque trasferimenti di azienda, di ramo o di parti dell’azienda agli effetti previsti dall’articolo 2112 c.c. (che per i contratti di cessione d’azienda – o di ramo d’azienda – dispone la continuazione dei rapporti di lavoro in capo al cessionario; il mantenimento da parte dei lavoratori di tutti i diritti contrattuali; la responsabilità solidale del cedente e del cessionario per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento): art. 56, co. 3-bis.
19. Segue: derogabilità del criterio valutativo previsto per la vendita di aziende o di rami d’azienda in esercizio (il “caso Merloni”). In una fattispecie di particolare rilievo economico, produttivo e sociale27 si è posto il problema della validità del contratto di cessione dell’azienda o del ramo d’azienda “in funzionamento” per un prezzo inferiore a quello che sarebbe derivato dall’applicazione al valore del complesso industriale ceduto della redditività negativa riferita ad un solo biennio: e conseguente, invece, al riconoscimento di un deprezzamento connesso ai presumibili effetti di una redditività negativa protratta per un periodo maggiore (quattro anni). Nel caso di specie il tribunale competente, e successivamente la corte d’appello adita in sede di reclamo28, hanno dichiarato nullo il contratto di compravendita dell’azienda (previa disapplicazione di tutti gli atti am-
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Come anche le operazioni effettuate in attuazione dello speciale «programma di cessione di complessi di beni e contratti» concernente le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali: cfr. art. 27, co. 2-bis, d.lgs. cit. 27 La cessione dell’azienda facente capo alla società Merloni s.p.a. 28 Trib. Ancona, 20 settembre 2013, inedita; App. Ancona, 28 aprile 2014, in Fallimento, 2015, 579, con nota di Terenghi, Tutela giurisdizionale in sede liquidatoria dell’amministrazione straordinaria: la cessione dei complessi aziendali non può avere luogo “a qualsiasi prezzo”.
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ministrativi prodromici) facente capo alla società assoggettata ad Amministrazione straordinaria, in quanto era risultato che il prezzo applicato alla cessione era stato determinato valutando l’incidenza sul valore del complesso industriale di una redditività negativa riferita al quadriennio successivo29. La illegittimità dell’operazione è stata desunta dal tribunale dall’asserita imperatività del criterio di valutazione indicato dall’art. 63 d.lgs. n. 270/1999, che sarebbe espressione della volontà del legislatore «di contemperare, da una parte, gli obiettivi di mantenimento del complesso industriale e della forza lavoro, dall’altra, gli interessi dei creditori, che … trovano un riconoscimento nel limite temporale stabilito dalla norma»30. La decisione, che ha registrato reazioni difformi31, è stata peraltro riformata dalla Corte di Cassazione, non già per una differente valutazione del dato normativo di riferimento, bensì in conseguenza di «un fatto sopravvenuto, costituito dalla intervenuta entrata in vigore nelle more del giudizio dell’art. 11, comma 3 quinquies, della legge 21 febbraio 2014, n. 9, di conversione del d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, norma di interpretazione autentica dell’art. 63 del d. lgs. n. 270/1999, a tenore della quale “l’art. 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, si interpreta nel senso che, fermi restando gli obblighi di cui al comma 2 e di valutazione discrezionale di cui al comma 3, il valore determinato ai sensi del comma 1 non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita»32.
29 In fatto, il prezzo di vendita praticato era stato di 10,0 milioni di euro, su un valore di stima di circa 12,0 milioni, ed a a fronte di un prezzo stimabile di euro 55,00 milioni circa se determinato con decurtazione della redditività negativa riferita ad un solo biennio, coerentemente alla previsione dell’art. 63 d. lgs. n. 270/199. In argomento v. Zanichelli, Evoluzione dell’amministrazione straordinaria e puntualizzazioni giurisprudenziali, in Il nuovo diritto delle società, 2014, p. 145; Montanari, Giurisdizione in tema di vendite nell’Amministrazione straordinaria, in Fallimento, 2016, p. 419 ss. 30 Secondo il Tribunale, «il limite del biennio di riferimento per il calcolo della così detta “dote” indicato e considerato dal legislatore non è un termine neutro per i creditori, come tale esso non appare derogabile in loro danno, né può ritenersi rimesso alla libera determinazione della parti nella regolamentazione degli accordi negoziali per la cessione dell’azienda. (…omissis…). Lo sconto sul prezzo, non rispondendo ad esigenze di mantenimento della competitività dell’azienda sul mercato, non può essere posto a carico dei creditori oltre un certo limite; a tal fine è lo stesso legislatore a predeterminarlo e ad ancorarlo alla data della stima e del biennio successivo». 31 In senso perplesso la opinione di Zanichelli, Evoluzione, cit., p. 154. In senso positivo Terenghi, Tutela, cit. 32 Cass. SS.UU, 24 novembre 2015, n. 23894 (in Fallimento, 2016, 415, con nota di
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20. La cessazione dell’Amministrazione straordinaria. La procedura di Amministrazione straordinaria può cessare per tre ordini di ragioni: la conversione in fallimento; la “chiusura della procedura” propriamente detta; l’approvazione di un “concordato”. La conversione dell’Amministrazione straordinaria in fallimento (pronunciata dal tribunale con decreto motivato, soggetto a reclamo davanti alla corte d’appello, entro 15 giorni, da parte dell’imprenditore insolvente, del Commissario straordinario e di qualunque interessato: art. 71) può intervenire sia in corso di procedura, sia al termine della procedura. Si dà il primo caso, allorquando «in qualsiasi momento nel corso della procedura di amministrazione straordinaria, risulta che la stessa non può essere proseguita» (art. 69); si dà il secondo caso, allorquando sia trascorso il termine massimo previsto per il “Programma di cessione”, e i complessi aziendali non siano ancora stati, in tutto od in parte, ceduti a terzi (art. 70); ovvero quando sia trascorso il termine massimo previsto per il “Programma di ristrutturazione”, e l’imprenditore «non abbia recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» (art. 70)33. La chiusura della procedura è prevista invece (art. 74) nelle situazioni nelle quali: a) non sia stata proposta alcuna domanda di ammissione al passivo nei termini previsti;
Montanari, Giurisdizione in tema di vendita nella Amministrazione straordinaria; in Nuova giur. civ. comm., 2016, 771, con nota di Tarantino, La conseguenza dell’errata stima del complesso aziendale nel corso di una procedura di amministrazione straordinaria; in Diritto bancario, 2016, con nota di Casaccia, L’erronea perizia dell’esperto, ex art. 63 d. lgs. 270/1999, non viola una norma inderogabile). La Suprema Corte, nell’occasione, ha cassato la decisione impugnata con rinvio alla Corte d’appello in diversa composizione, chiamata a valutare se la mancata osservanza del criterio di cui all’art. 63, co. 1, d. lgs. n. 270/1999, «comporti effetti relativamente alla validità del negozio di cessione dell’azienda di natura diversa rispetto alla nullità». 33 L’attribuzione al tribunale della competenza a disporre la conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento, anche d’ufficio, «in qualsiasi momento … (qualora) risulta che la stessa non può essere utilmente proseguita», è stata prospettata come una sorta di “rivincita” dell’autorità giudiziaria sull’autorità amministrativa. Pur essendo dichiarato apertis verbis che l’Amministrazione straordinaria è soggetta alla Vigilanza del MiSE, infatti, emerge che la procedura è altresì soggetta ad un controllo stringente del tribunale, che ne può disporre «in qualsiasi momento» la cessazione, per conversione in fallimento, sulla base di una propria autonoma valutazione, anche in contrasto con quella del Commissario straordinario (infatti espressamente legittimato a proporre reclamo contro il decreto di conversione), e per esso del Ministero.
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b) l’imprenditore abbia «recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni», anche prima della scadenza del “Programma”; c) sia passata in giudicato la sentenza che approva il concordato; d) nell’ambito del programma di cessione dei complessi aziendali, tutti i creditori siano stati pagati o comunque soddisfatti; e) sempre nell’ambito del programma di cessione dei complessi aziendali, sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo. Il concordato, infine, può essere proposto dall’imprenditore insolvente o da un terzo, ed è autorizzato dal tribunale «tenuto conto della (sua) convenienza … e della sua compatibilità con il fine conservativo della procedura». Sono richiamate le disposizioni dettate per il concordato proposto in sede di liquidazione coatta amministrativa dell’impresa (art. 214 ss. l. fall.).
21. “Procedura di insolvenza” della grande impresa e “gruppo” di imprese. La legge “Prodi-bis” detta una disciplina speciale per l’insolvenza che si produca nei confronti di una impresa facente parte di un “gruppo” (artt. 80 ss.). Ai fini della disciplina in commento è necessario distinguere in via preliminare tra “procedura madre” e altre procedure di insolvenza. La “procedura madre” è, semplicemente, la procedura di insolvenza ex art. 3 d.lgs. n. 270/1999 dichiarata per prima: mentre non rileva la circostanza che essa sia stata aperta nei confronti della “capogruppo” o di una delle società (“figlie”) inserite nel gruppo. La disciplina speciale della Amministrazione straordinaria del “gruppo di imprese” riguarda principalmente tre fenomeni: a) la “estensione” dell’amministrazione straordinaria ad imprese (insolventi) che di per sé non presenterebbero i requisiti per esservi assoggettate; b) la “responsabilità nel caso di direzione unitaria”; c) le azioni revocatorie “infragruppo” (aggravate). Relativamente alla estensione dell’Amministrazione straordinaria successivamente all’apertura della “procedura madre”, la sussistenza delle “relazioni di gruppo” comporta l’assoggettabilità all’Amministrazione straordinaria delle imprese del “gruppo” (beninteso, se ed in quanto versanti in stato di insolvenza), oppure la conversione dei fallimenti, che fossero già pendenti, in Amministrazione straordinaria, anche in mancanza dei presupposti soggettivi previsti dall’art. 3 d.lgs. n. 279/1999,
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allorquando: a) sussistano «concrete prospettive di recupero»; oppure b) «quando risulti comunque opportuna la gestione unitaria dell’insolvenza» (la “estensione” o la “conversione” non sono pertanto più automatiche, come era previsto invece dalla “legge Prodi”). L’art. 90 d.lgs. n. 270/1999 afferma la responsabilità solidale degli amministratori delle società che hanno abusato della “direzione unitaria” delle imprese del gruppo, con gli amministratori della società che sia stata dichiarata insolvente, per i danni ad essa cagionati in conseguenza (dell’osservanza) delle direttive impartite. La norma è esplicita nel limitare, e insieme nel condizionare, l’affermazione della responsabilità per “direzione unitaria” agli amministratori delle società che hanno abusato della stessa: con ciò introducendo un presupposto che nella disciplina previgente era inespresso, ed oggetto di articolate discussioni. La norma pare chiara nel condizionare l’affermazione della responsabilità in discussione alla prova che “direzione unitaria” vi sia bensì stata, ma con modalità tali da concretizzarne un abuso: e da ciò si ricava il principio di carattere generale, secondo il quale l’attività di direzione (“unitaria”) e di coordinamento delle società del “gruppo” non è di per sé illecita, sin quando non comporti la produzione di un “danno ingiusto” alla società controllata. La legge non affronta e non risolve il problema relativo alla estensione della responsabilità “per direzione unitaria” alla stessa società controllante, i cui amministratori hanno impartito direttive alle società controllate, abusando del loro potere. In termini generali, il problema della responsabilità della società di capitali per gli effetti pregiudizievoli del fatto illecito dei propri amministratori deve probabilmente ricevere soluzione positiva, o sulla base del cosiddetto rapporto di “immedesimazione organica”; o sulla base dell’applicazione estensiva dell’art. 2049 cod.civ. Infine la speciale disciplina “di gruppo” dettata per l’assoggettamento di una o più imprese alla procedura di Amministrazione straordinaria investe il regime della revocabilità degli atti di disposizione “infragruppo”. Nel dettaglio, la disciplina della cosiddetta revocatoria fallimentare aggravata per gli atti compiuti fra imprese appartenenti al “gruppo” (evidentemente dettata al fine di colpire le eventuali operazioni di “svuotamento” compiute in danno delle società che si fosse deciso di abbandonare al loro destino) comporta l’allungamento ( da uno a tre anni e da due a cinque anni) del periodo entro il quale i singoli atti revocabili possono essere stati compiuti – né la durata di tali periodi è stata modificata in corrispondenza di quanto posto in essere, invece, per le azioni revocatorie fallimentari proponibili al di fuori dei rapporti
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infragruppo di imprese assoggettate alla “procedura d’insolvenza delle grandi imprese”: azioni revocatorie per le quali i “periodi sospetti” (di due anni e di un anno) già previsti dall’art. 67 fall. sono stati dimezzati dal d.l. n. 35/2005 -. Le fattispecie di revocabilità coincidono peraltro con quelle sottoponibili a revocatoria fallimentare secondo la legge fallimentare “ordinaria”.
22. L’amministrazione straordinaria “normale” delle grandi imprese insolventi operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali. Come abbiamo già riferito, nell’occasione di dovere affrontare la situazione di crisi del “Gruppo Alitalia” – per la precisione: la “crisi” dell’anno 2008 – il legislatore ha dettato una disciplina particolare per la procedura di Amministrazione straordinaria delle imprese «operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali» (d.l. 28 agosto 2008, n. 134, convertito con modificazioni dalla legge n. 166/2008 – “legge Alitalia” –). Tale disciplina speciale può riguardare tanto le imprese – operanti nel settore precisato – le cui dimensioni corrispondono a quelle delle imprese (“grandi” e come tali) assoggettabili all’Amministrazione straordinaria “normale” (legge Prodi-bis); quanto alle imprese (“di rilevanti dimensioni”, e come tali) ammissibili all’Amministrazione straordinaria “speciale” (“legge Parmalat”). Per ciò che concerne la procedura di Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (Amministrazione straordinaria “normale”), la prima peculiarità della disciplina concernente le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali riguarda le modalità con le quali possono essere perseguite le «prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali» che stanno alla base dell’Amministrazione straordinaria (cfr. art. 27 d.lgs. n. 270/1999). Mentre in generale, come abbiamo visto, l’equilibrio economico può essere perseguito attraverso un «programma di cessione dei complessi aziendali» (della durata di un anno), oppure attraverso un «programma di ristrutturazione» (della durata di due anni), per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali l’obiettivo in questione può essere perseguito anche «tramite la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad un anno», che viene definito «programma di cessione dei complessi di beni e contratti». La “legge Alitalia” ha poi introdotto per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali una disciplina speciale della procedura
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di consultazione aziendale che l’impresa deve condurre con le organizzazioni sindacali dei lavoratori (art. 5, co. 2-ter, d.l. n. 347/2003). Tale disciplina, benchè ospitata nella disciplina dell’Amministrazione straordinaria “speciale”, sembra infatti dover trovare applicazione (anche) nella disciplina dell’Amministrazione straordinaria “normale” delle imprese operanti in questo specifico settore (dei servizi pubblici essenziali).
Sezione III L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELLE IMPRESE INSOLVENTI DI RILEVANTI DIMENSIONI (C.D. AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA “SPECIALE”) IN GENERALE. 23. I presupposti di ammissibilità alla procedura (“legge Parmalat”; “legge VolareWeb”; “legge Alitalia”). Come detto, la prima “variante” della procedura di Amministrazione straordinaria, come espressa dal d.lgs. n. 270/1999 (“Prodi-bis”), trasse origine dalle modificazioni volute dal Governo per la gestione della crisi del “Gruppo Parmalat”, confluite nel d.l. n. 347/003; e produttive della procedura che abbiano denominato “Amministrazione straordinaria speciale”. La ammissione alla procedura introdotta dal d.l. 23 dicembre 2003, n. 347 (Amministrazione straordinaria “speciale”: “legge Parmalat”) poteva essere richiesta dall’imprenditore34 il quale: a) versasse “in stato di insolvenza”; b) occupasse da almeno un anno mille lavoratori subordinati; c) presentasse debiti per un ammontare complessivo non inferiore ad 1 miliardo di Euro; d) intendesse avvalersi della (sub) procedura di «risanamento per ristrutturazione», che la disciplina di cui al d.lgs n. 270/1999 prevede come uno dei due possibili svolgimenti della Amministrazione straordinaria – art. 27, co. 2, lett. b); e) appartenesse alla categoria delle «imprese soggette alle disposizioni sul fallimento».
34 Con il chè emerge il tratto essenziale della procedura in esame, che appare concepita come un “beneficio”, essendovi l’impresa assoggettabile solo nell’ipotesi in cui essa ne faccia domanda, mentre non vi può essere sottoposta d’autorità.
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Meno di un anno dopo il dissesto “Parmalat” si manifestò (o meglio, se ne evidenziò l’irreparabilità) il dissesto del vettore aereo “VolareWeb”. Il Gruppo VolareWeb non presentava peraltro i requisiti dimensionali richiesti dalla “legge Parmalat”, né sotto il profilo occupazionale, né sotto quello dell’entità dell’indebitamento: così che il Governo provvide a ridurli, con l’effetto immediato (come detto) di consentire bensì a VolareWeb l’accesso alla procedura della “nuova” Amministrazione straordinaria; ma anche con la conseguenza di spalancare la strada per l’adozione della “via amministrativa” alla sistemazione della crisi d’impresa anche a gruppi industriali di dimensioni tutt’altro che “rilevanti”. Le modificazioni apportate dal decreto legge 29 novembre 2004, n. 281, a quelle che il d.l. n. 347/2003 aveva già apportato alla disciplina originaria dell’Amministrazione straordinaria, furono principalmente le seguenti: a) il livello occupazionale deve essere costituito da almeno cinquecento lavoratori subordinati (e non più mille) – sempre compresi quelli ammessi alla C.I.G.; b) il livello di indebitamento deve raggiungere i trecento milioni di euro (e non più i mille milioni) – sempre compresi quelli derivanti dalla prestazione di garanzie; c) i requisiti di cui sopra possono essere presentati o singolarmente, oppure anche «come gruppo di imprese costituito da almeno un anno». Negli anni successivi alla crisi del “Gruppo VolareWeb” si manifestò e si accentuò la crisi (rectius: una delle ripetute crisi) di un altro importante gruppo industriale del nostro Paese: il “Gruppo Alitalia”, facente capo alla Compagnia di trasporto aereo qualificata come “compagnia di bandiera”, e caratterizzata dall’esercizio di una attività rientrante nel settore dei “servizi pubblici essenziali” – il servizio del trasporto aereo. Il Gruppo Alitalia sarebbe stato assoggettabile all’Amministrazione straordinaria “normale” (ex “legge Prodi-bis”): tuttavia il Governo intese gestirne la crisi attraverso il ricorso alla disciplina della Amministrazione straordinaria “speciale” (ex “legge Parmalat”). Anche questa volta, peraltro – sia pure per ragioni diverse dal Gruppo “VolareWeb” – il gruppo industriale in crisi non presentava il requisito per l’accesso alla “Parmalat”: ciò con riguardo al fattore rappresentato dalla necessità che il superamento della situazione di insolvenza dell’impresa fosse conseguibile con un “programma di ristrutturazione”, piuttosto che con un “programma di cessione dei complessi aziendali” di carattere liquidatorio – in quanto per le imprese del Gruppo Alitalia nessun’altra soluzione si rivelava disponibile se non proprio quella della cessione liquidatoria dei loro assets, e neppure di tutti –.
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Per conseguire l’obiettivo di assoggettare Alitalia alla procedura di Amministrazione straordinaria “speciale” – ex “legge Parmalat” – il Governo ha dovuto procedere alla modificazione dei presupposti generali di accesso alla procedura di amministrazione straordinaria “speciale”, con la consegunza che in questo modo anche tutte le altre imprese (di rilevante dimensione) che si sarebbero poi trovate nelle condizioni di Alitalia avrebbero potuto accedere all’amministrazione straordinaria “speciale”, pur senza possedere il requisito originariamente necessario della attitudine a realizzare un “Programma di ristrutturazione” industriale.
24. Il procedimento di ammissione alla procedura. La legittimazione a richiedere l’assoggettamento dell’impresa alla Amministrazione straordinaria delle imprese in stato di insolvenza di rilevanti dimensioni è riservata alla sola impresa medesima: ove essa non vi si persuada, la procedura non può essere disposta su iniziativa di terzi. Considerato che si deve trattare di una impresa “in stato di insolvenza”; che come tale può essere dichiarata insolvente dal tribunale su istanza di qualsiasi interessato; che tale dichiarazione giudiziale di insolvenza impone al Ministro di disporre l’Amministrazione straordinaria “normale” (ex d.lgs. n. 270/1999); che tale procedura è stata giudicata dalla Relazione al d.l. 23 dicembre 2003 n. 347 “inadeguata” a soddisfare esigenze di rilevanza generale (la garanzia dei creditori; la conservazione dell’avviamento e della posizione di mercato; ecc.); la attribuzione esclusiva della legittimazione attiva all’imprenditore interessato è difficilmente giustificabile. La domanda di ammissione alla procedura deve essere rivolta al MiSE, con “istanza motivata”, da comunicarsi contestualmente al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la sede principale, al quale deve essere contestualmente presentato (in conseguenza di una modificazione normativa sopravvenuta al d.l. n. 347/2003) ricorso per la dichiarazione dello stato d’insolvenza. Il decreto di ammissione alla procedura è poi comunicato “immediatamente” al competente tribunale. Il Ministro in carica, «valutati i requisiti di cui all’articolo 1», provvede con decreto (ove condivida la prospettazione dell’imprenditore) alla ammissione immediata dell’impresa alla procedura di amministrazione straordinaria, nonché alla nomina di un Commissario straordinario. Si coglie in questo punto la prima, effettiva esigenza soddisfatta dal d.l. 23 dicembre 2003, n. 347. Nel sistema della Amministrazione straordinaria ex d.lgs. n. 270/1999, la competenza ad accertare i presupposti di
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ammissibilità dell’impresa a perseguire il “risanamento” tramite ristrutturazione, è assegnata al Tribunale (art. 30), sulla scorta della “Relazione” predisposta dal Commissario giudiziale, designato dallo stesso Tribunale. Nella procedura di cui alla “legge Parmalat”, invece, la fase di “osservazione” dell’impresa insolvente è saltata; la nomina del Commissario giudiziale ad opera del tribunale è soppressa; la decisione sull’ammissibilità del “risanamento” per ristrutturazione è sottratta all’autorità giudiziaria per essere attribuita all’autorità amministrativa (quindi, politica: non a caso il decreto è emanato dal Ministro, e non già dal Ministero).
25. Effetti dell’apertura della procedura e funzioni del Commissario straordinario. Secondo l’art. 2, co. 2-bis, d.l. n. 347/2003, il decreto di cui al co. 2 determina lo spossessamento del debitore e l’affidamento al Commissario straordinario della gestione dell’impresa e dell’amministrazione dei beni dell’imprenditore insolvente. Determina altresì gli effetti di cui all’articolo 48 del d.lgs. n. 270 e gli articoli 42, 44, 45, 46 e 47 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267. Nelle controversie anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale dell’impresa, sta in giudizio il Commissario straordinario. Oltre a ciò, il Commissario straordinario è investito dalla “amministrazione dell’impresa” ammessa alla procedura di Amministrazione straordinaria “speciale” (fino alla dichiarazione dello stato di insolvenza): art. 3 d. lgs. n. 347/2003. Egli è altresì legittimato – quando ricorrono le condizioni da cui all’art. 81 d. lgs. n. 270/1999 – a richiedere al Ministro dello Sviluppo Economico la estensione della procedura ad altre società del “gruppo”35 presentando contestuale ricorso per la dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza al tribunale che ha dichiarato l’insolvenza dell’impresa già ammessa alla procedura “speciale”. A tali imprese «si applica la stessa disciplina» prevista per le imprese soggette ad Amministrazione stra-
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Per “imprese del gruppo” si intendono, ai fini della “estensione” in questione, «anche le imprese partecipate che intrattengono, in via sostanzialmente esclusiva, rapporti contrattuali con l’impresa sottoposta alle procedure previste dal presente decreto [n. 347/2003], per la fornitura di servizi necessari allo svolgimento dell’attività» (art. 3, co. 3, d. lgs. n. 347/2003).
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ordinaria “speciale” (art. 3, co. 3). Rimane peraltro la necessità, come presupposto della adozione del provvedimento di “estensione”, della dichiarazione giudiziale, da parte del tribunale precisato, dello stato di insolvenza dell’impresa del “gruppo” che si intende coinvolgere nella procedura di Amministrazione straordinaria.
26. L’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza e l’accertamento dello stato passivo. Secondo l’art. 4, co. 1, d.l. n. 347/2003, «il tribunale, con sentenza pubblicata entro quindici giorni dalla comunicazione del decreto» ministeriale di ammissione dell’impresa alla procedura, «dichiara lo stato d’insolvenza». Si deve ritenere che gli effetti della sentenza di accertamento giudiziale dell’insolvenza siano, nell’ambito della Amministrazione straordinaria “speciale”, particolarmente intensi, sommandosi a quelli (che già non fossero stati prodotti dal decreto di ammissione, ai sensi del sopraggiunto art. 2, co. 2-bis) previsti dall’art. 18 d. lgs. n. 270/1999, anche quelli previsti dall’art. 19, co. 3, essendo la gestione dell’impresa (oggi anche per il diritto positivo) sottratta all’imprenditore ed affidata al Commissario. Con una previsione aggiunta “in corso d’opera” l’art. 4, co. 1, afferma oggi in generale che «la sentenza [di accertamento dello stato di insolvenza] determina, con riferimento alla data del decreto di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, gli effetti di cui al decreto legislativo n. 270/1999, in quanto compatibili». Il d. lgs. n. 347/2003 afferma in via generale che «l’accertamento del passivo.. è disciplinato dall’articolo 53 del decreto legislativo n. 270/1999». Propedeutica a tale attività è la presentazione dello «elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione», cui deve provvedere il Commissario straordinario nell’ambito della trasmissione al giudice delegato (entro 180 giorni dalla data del decreto di nomina, eventualmente prorogati per non oltre 90 giorni) della “Relazione” delle cause dell’insolvenza (art. 4, co. 2). Il richiamato art. 53 d.lgs. n. 270/1999 rinvia poi alla disciplina dell’accertamento dello stato passivo in sede fallimentare (ivi compresa quella concernente i crediti verso una società con soci illimitatamente responsabili), “sostituito al Curatore il commissario straordinario”. Le innovazioni apportate, anche in argomento, alla disciplina della Amministrazione straordinaria “normale” (ex “legge Prodi-bis”) hanno indotto a
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denunciare – inter alia – «un arretramento evidente dei poteri riconosciuti al Giudice delegato»36.
27. La disciplina delle azioni revocatorie fallimentari. Come è noto, le azioni revocatorie fallimentari non sono proponibili, nell’ambito della procedura di Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, nell’ipotesi in cui (e sino a quando) il risanamento sia perseguito attraverso un programma di “ristrutturazione”: cio’ sia perchè tale programma dovrebbe condurre di per sè al soddisfacimento di tutti i creditori (e non pare che ad ottenere il conseguimento di tale risultato sarebbe di ostacolo la conclusione di accordi di remissione, totale o parziale, del credito, se liberamente pattuiti); sia perchè i proprietari della societa’ “ristrutturata”, che come tale non si estingue nè viene ceduta a terzi, potrebbero finire con il beneficiare della dichiarazione di inefficacia di atti da loro stessi posti in essere “in frode ai creditori”. Le azioni revocatorie divengono dunque proponibili nella sola ipotesi nella quale l’Amministrazione straordinaria “normale” imbocchi la strada della cessione degli apparati produttivi, od addirittura evolva in fallimento (ma in argomento v. comunque supra). L’art. 6 d.l. 23 dicembre 2003, n. 347 introduce una vistosa eccezione a tale principio, consentendo l’esercitabilita’ delle azioni revocatorie fallimentari «previste dagli articoli 49 e 91» del d.lgs. n. 270/1999, anche nella ipotesi di (autorizzazione alla) esecuzione del programma di ristrutturazione, «purchè si traducano in un vantaggio per i creditori». Tale disposizione ha generato peraltro rilevanti perplessita’ sotto diversi profili. In assenza di meccanismi che garantiscano il trasferimento dell’impresa a soggetti diversi dalla originaria “proprietà”, nonché l’esclusione di qualsiasi possibilita’ di rimborso (neppure) del capitale sociale ai soci, si introducono i presupposti di una estensione dei benefici dell’azione revocatoria (fallimentare) allo stesso soggetto che ha posto in essere (“fraudolentemente”) gli atti revocandi. In tale prospettiva, l’esercizio delle azioni revocatorie non assolverebbe più la funzione di reintegrare l’attivo distribuibile tra i creditori in funzione di un maggiore soddisfacimento delle
36 Caiafa, I poteri del Giudice delegato nell’Amministrazione straordinaria, in Fallimentarista, 15 gennaio 2013; in argomento v. anche Galletti, Amministrazione straordinaria: relazioni periodiche e poteri del Giudice delegato, ivi, 4 marzo 2013.
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loro pretese, ma costituirebbe una fonte di finanziamento “extra ordinem” per il risanamento della (propria) impresa dell’imprenditore insolvente: donde l’eccezione di illegittimità costituzionale per contrasto con il principio di tutela della libertà di concorrenza ricavabile dall’art. 41 Cost.
28. La chiusura delle procedura per “concordato”. La legge di conversione (legge 18 febbraio 2004, n. 39) del d.l. n. 347/2003 ha introdotto ex novo la disciplina di un “concordato” che il Commissario straordinario può prevedere nell’ambito del programma di ristrutturazione dell’impresa assoggettata alla Amministrazione straordinaria “speciale”, al fine di soddisfare i creditori37. Il “concordato” della legge “Parmalat” è particolarmente interessante anche e soprattutto perché ha recepito numerose proposte innovative che la dottrina ed i Progetti di riforma della legge fallimentare che si sono succeduti in questi ultimi anni avevano individuato come le più idonee a disciplinare procedure di “composizione negoziale” delle crisi di impresa; ed ha anticipato diverse delle innovazioni poi apportate alla legge fallimentare dal d.l. n. 35/2005 e successivi provvedimenti di riforma. Suddivisi (eventualmente) i creditori per “classi”, il Commissario straordinario può proporre loro la “ristrutturazione” delle rispettive pretese ricorrendo a “qualsiasi forma tecnica o giuridica” (in termini di scadenza, tasso di interesse, eventuali garanzie); nonché all’attribuzione ai creditori (anche limitatamente a talune “classi”, come sarà prevedibilmente per le banche) di azioni, quote, obbligazioni (convertibili o non), altri strumenti finanziari o non meglio precisati “strumenti finanziari e titoli di debito”, a soddisfacimento delle loro pretese pecuniarie. Qualora il programma di ristrutturazione che prevede il ricorso ad un “concordato” con i creditori sia approvato dal Ministro dello Sviluppo Economico, il Commissario straordinario propone al tribunale «istanza
37 Per un confronto tra la disciplina del “Concordato” nell’ambito della Amministrazione straordinaria “speciale” (ex “Parmalat”) e la Amministrazione straordinaria “normale” (ex Prodi-bis”) v. C. Pessina e A. Pessina, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi: il Concordato, in Il nuovo diritto delle società, 2013, p. 65 ss.; nonché Giordano, Il Concordato nell’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, in Fallimentarista, 2 febbraio 2015; Soresina, Il Concordato dell’Amministrazione straordinaria: conservazione dell’impresa ed equilibrio tra interessi contrapposti, ivi, 11 settembre 2014.
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di [definizione della procedura di Amministrazione straordinaria tramite] concordato». Le modalità essenziali del conseguente procedimento prevedono la possibilità del deposito in cancelleria di memorie e documenti da parte di ogni interessato; la facoltà di formulare istanza di ammissione da parte dei creditori che non risultassero compresi nell’elenco formato dal Commissario straordinario; il deposito dell’elenco dei creditori ammessi a votare il concordato, formato dal giudice delegato; le modalità ed i termini entro i quali i creditori sono chiamati ad esprimere il proprio voto. Il “concordato” si intende approvato se riporta il voto favorevole «dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi», nell’ipotesi in cui i creditori non siano stati suddivisi in “classi”; oppure – nel caso contrario – se riporta altresì il voto favorevole (si deve intendere: il voto conseguito con l’approvazione dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti appartenenti a ciascuna classe) di ogni classe; ovverosia, in caso di dissenso di una o più classi, con la valutazione di “convenienza” operata dal tribunale. La formazione di tali maggioranze è favorita dalla affermazione del principio secondo il quale i creditori che non votano «si ritengono consenzienti» (silenzio – assenso). Se il tribunale approva il “concordato”, la procedura di Amministrazione straordinaria si chiude; in caso contrario, il commissario straordinario può presentare al Ministro un programma di cessione dei complessi aziendali, che, se approvato, può comportare la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa per due anni. Se il programma di cessione non è presentato o non è approvato, il tribunale dispone la conversione della procedura in fallimento.
Sezione IV L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELLE IMPRESE DI RILEVANTI DIMENSIONI (C.D. AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA “SPECIALE”) PER LE IMPRESE OPERANTI NEL SETTORE DEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI. 29. L’Amministrazione straordinaria “speciale” delle imprese di rilevanti dimensioni operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali. Le prime peculiarità dell’Amministrazione straordinaria “speciale” delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali sono rappresentate dalle previsioni secondo le quali la ammissione imme-
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diata alla procedura può essere disposta «con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministero dello sviluppo economico», e «tale decreto può prescrivere il compimento di atti necessari al conseguimento delle finalità della procedura». Gli atti compiuti a seguito delle “prescrizioni” dell’autorità governativa sono destinati a mantenere i loro effetti anche in caso di accertamento della mancanza dei requisiti per l’apertura dell’Amministrazione straordinaria, in conseguenza del principio generale di salvezza degli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura (art. 4, co. 1-bis, d.l. n. 347/2003). In secondo luogo si introduce per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali (e per le imprese del relativo “gruppo”) una vistosa deroga alla procedura di liquidazione dell’attivo, disponendosi che il Commissario straordinario “individua” (o può individuare?) l’acquirente “a trattativa privata”, tra i soggetti che garantiscono la continuità nel medio periodo del servizio pubblico interessato e la rapidità dell’intervento. Sempre in tema di “realizzo” dell’attivo, per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali si prevede che le «operazioni di concentrazione connesse o contestuali o comunque previste nel programma» dal Commissario straordinario siano «escluse dalla necessità dell’autorizzazione di cui alla legge 10 ottobre 1990, n. 287», in materia di disciplina “antitrust”. La norma presenta tuttavia un interesse relativo, essendo precisato che la sua applicazione è limitata «alle operazioni effettuate entro il 30 giugno 2009»38. In materia di realizzazione di operazioni di cessione di azienda o di rami d’azienda viene resa più rapida la procedura di consultazione con le organizzazioni sindacali dei lavoratori (riducendo i termini della metà); è consentita la individuazione di un “perimetro di cessione” sulla
38 In materia di effetti dell’ammissione delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali alla Amministrazione straordinaria “speciale” si dispone il mantenimento delle autorizzazioni, certificazioni, licenze, concessioni, eccetera, concernenti l’esercizio e la conduzione delle attività svolte, per un periodo di sei mesi, e se ne prevede il trasferimento in capo al cessionario nelle ipotesi di cessione dell’azienda o di rami d’azienda. La disposizione è particolarmente importante perché nel settore dei servizi pubblici essenziali è frequente la previsione della decadenza dalle concessioni o licenze possedute, in caso di assoggettamento dell’impresa a procedure concorsuali, con il chè la prospettiva della continuazione dell’attività aziendale e della cessione dell’impresa a terzi, totale o parziale, risulterebbero irrimediabilmente compromesse.
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base di criteri più flessibili (e più discrezionali) di quanto non altrimenti consentito; sono concessi i benefici contributivi di cui alla legge n. 233/1991 in caso di assunzione o trasferimento di lavoratori già ammessi alla cassa integrazione straordinaria o in “mobilità”.
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I Fondi di risoluzione* Sommario: 1. I Fondi nazionali di risoluzione nella direttiva BRRD e il Fondo di risoluzione unico nel regolamento SRM. – 2. L’importanza dei Fondi di risoluzione nel nuovo assetto europeo della gestione e risoluzione delle crisi bancarie. – 3. La struttura finanziaria dei Fondi di risoluzione. – 4. L’attuazione della BRRD nell’ordinamento italiano e l’intervento del Fondo nazionale di risoluzione nella “crisi delle quattro banche” – 5. La natura giuridica del Fondo nazionale di risoluzione.
1. I Fondi nazionali di risoluzione nella direttiva BRRD e il Fondo di risoluzione unico nel regolamento SRM. Parlare di Fondi di risoluzione al plurale è necessario per varie ragioni1. La direttiva 59/2014 (c.d. Bank Recovery and Resolution Directive, BRRD) chiede a ciascun stato membro di predisporre un meccanismo di finanziamento della risoluzione che ha assunto in quasi tutti i paesi europei la forma di Fondo di risoluzione, anche se la direttiva dà la possibilità di istituire meccanismi di finanziamento con contribuzioni obbligatorie delle banche non detenute da un Fondo. Vi sono dunque più fondi di risoluzione nazionali.
* Il lavoro trova origine nell’omonima relazione svolta il 5 dicembre 2016 presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma nell’ambito della tavola rotonda “L’Unione bancaria europea e le ricadute sull’ordinamento nazionale” di presentazione del volume L’Unione bancaria europea, a cura di Chiti e Santoro, Pisa, 2016. Aggiornamenti sono forniti in nota. Grazie a Salvatore Lopreiato e Raffaele Felicetti. 1 Altrettanto, com’è noto, è ormai necessario fare con riguardo ai fondi di garanzia privati, del resto non solo più obbligatori, ma anche volontari; in argomento, da ultimo, Bentivenga, Il ruolo (incerto) dei sistemi di garanzia dei depositanti nel nuovo regime, in AGE 2/2016, p. 461 ss.
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Con riguardo all’area euro2, con il regolamento 806/2014 (c.d. regolamento Single Resolution Mechanism, SRM) è stato introdotto il “Meccanismo di risoluzione unico” che sotto il profilo strutturale si compone di un’autorità di risoluzione unica (il “Comitato Unico”, noto come Single Resolution Board)3 e di un Fondo di risoluzione unico. La costituzione del Fondo unico avviene lungo un periodo transitorio della durata di otto anni che porterà il Fondo, nel 2024, a disporre della dotazione finanziaria prevista dall’art. 69 del regolamento SRM (l’1% dei depositi protetti della zona euro, 55 miliardi circa, secondo le previsioni) attraverso il progressivo confluire delle risorse raccolte dai Fondi nazionali, che verranno meno una volta terminato il processo di unificazione. L’accordo intergovernativo che regola il passaggio delle risorse4 pone infatti per gli stati contraenti l’obbligo di trasferire irrevocabilmente al Fondo di risoluzione unico i contributi raccolti a livello nazionale a norma della BrrD e del regolamento SRM. Nell’arco del periodo transitorio si realizza una complessa coesistenza con i Fondi nazionali. Lo stesso Fondo unico è inizialmente articolato in comparti costituiti dai contributi versati dai Fondi nazionali. L’istituzione dei Fondi nazionali di risoluzione prevista dalla BrrD costituisce quindi, almeno per la zona euro, una fase provvisoria, ma anche nell’area euro fino al 2024 convivono più Fondi, quelli nazionali e quello unico.
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E agli altri stati che abbiano instaurato una cooperazione avvalendosi della facoltà di opt-in. L’art. 4 del regolamento n. 806/2014 (SRM) considera infatti stati membri partecipanti quelli dell’art. 2 del regolamento n. 1024/2013 (SSM), il quale fa espresso riferimento agli stati che abbiano instaurato una stretta cooperazione con l’Autorità di vigilanza (nel caso dell’SRM è l’autorità di risoluzione unica a concludere gli accordi; al momento nessuno stato si è avvalso di questa facoltà). 3 Il Single Resolution Board si compone di un presidente, di quattro membri eletti a tempo pieno e dei rappresentanti delle autorità di risoluzione nazionali con diritto di voto; la partecipazione dei rappresentanti dell’autorità di vigilanza unica (la Bce) e della Commissione europea è in qualità di osservatori permanenti. 4 Le perplessità che avevano portato alcuni stati (guidati dalla Germania) a revocare in dubbio la solidità della base giuridica utilizzata per la costituzione del meccanismo di risoluzione unico hanno indotto gli stati a disciplinare la costituzione del Fondo unico in un accordo intergovernativo (il c.d. accordo IGA), con la conseguenza che la disciplina sul Fondo è contenuta in due fonti, nel regolamento SRM e nell’accordo IGA.
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2. L’importanza dei Fondi di risoluzione nel nuovo assetto europeo di gestione e risoluzione delle crisi bancarie. I Fondi di risoluzione hanno un’importante funzione nel nuovo assetto europeo di gestione e risoluzione delle crisi bancarie. La “ristrutturazione”5 di una banca ha come fine la salvaguardia dell’interesse pubblico che risiede, tra l’altro, nel consentire la continuità non dell’ente come tale, ma delle sue funzioni e nell’assicurare la stabilità del sistema creditizio. Il che deve avvenire senza gravare, o gravando nella minore misura possibile, sui contribuenti, utilizzando dunque soprattutto le stesse risorse del settore bancario. Per attenuare gli effetti negativi della risoluzione, ormai necessariamente da realizzare attorno al bail-in, i Fondi danno supporto finanziario agli strumenti risolutivi e svolgono così una funzione spesso fondamentale per realizzare gli obiettivi della procedura6, proiettando la ristrutturazione verso il futuro ed esercitando un’importante funzione di stabilizzazione7. Il Fondo unico anche garantendo massa finanziaria e uniformità di prassi negli interventi. Si può dire, allora, che il Fondo è la seconda gamba della risoluzione, che dà equilibrio alla prima e più famosa, il bail-in e strumenti connessi.
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Così ridenomina, per esempio, la risoluzione nel ricostruire e analizzare il Single resolution mechanism, Del Gatto, Il Single resolution mechanism. Quadro d’insieme, in L’unione bancaria europea, cit., p. 267 ss; v. anche Galdella, Il bail in e il finanziamento delle risoluzioni bancarie, Banca, borsa, tit. cred., 2015, p. 587 ss. 6 L’Autorità di risoluzione può disporre dei Fondi nel rispetto di un doppio limite: l’utilizzo deve avvenire esclusivamente per il raggiungimento delle finalità della risoluzione e secondo i principi generali di questa, tenendo conto che il ruolo principale dei Fondi è quello di fornire un supporto alla risoluzione e, più specificamente, ai suoi strumenti (il sale of business, le bridge banks, la separazione good bank – bad bank, il bail-in). Per esempio i Fondi possono (i) garantire le attività o le passività dell’ente sottoposto a risoluzione, delle sue controllate, di un ente-ponte o di una società veicolo per la gestione delle attività; (ii) concedere finanziamenti agli stessi soggetti; (iii) acquistare attività dell’ente sottoposto a risoluzione; (iv) sottoscrivere capitale ed eseguire conferimenti e apporti al patrimonio di un ente-ponte o di una società veicolo per la gestione delle attività. 7 I Fondi possono anche esercitare una funzione suppletiva, seppur parzialmente, del bail-in. In situazioni eccezionali l’Autorità di risoluzione può decidere di escludere alcune passività da bail-in. Le perdite non trasferite alle passività escluse dovrebbero essere imputate alle altre passività; se ciò non avviene è consentito un intervento del Fondo di risoluzione. L’intervento non può superare un ammontare pari al 5% delle passività totali dell’ente ed è subordinato a un previo bail-in pari ad almeno l’8% delle passività.
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3. La struttura finanziaria dei Fondi di risoluzione. Dal punto di vista finanziario, per i Fondi di risoluzione nazionali previsti dalla direttiva 59/2014 è stabilito un livello-obiettivo pari anch’esso all’1% dei depositi protetti presenti sul territorio nazionale. Ancora in linea con quanto previsto dal regolamento SRM per il Fondo unico, le Autorità di risoluzione sono legittimate a richiedere alle banche il versamento di due tipi di contributi: (i) i contributi c.d. ex ante (ordinari), che costituiscono la principale fonte di risorse dei Fondi e che consentono d’avere a disposizione un patrimonio per il finanziamento della risoluzione non appena se ne presenti l’evenienza; (ii) i contributi c.d. ex post (straordinari) prelevabili qualora i contributi ex ante non risultino sufficienti a finanziare la risoluzione, nella misura massima del triplo del livello-obiettivo, dunque del 3% dei depositi8.
4. L’attuazione della BRRD nell’ordinamento italiano e l’intervento del Fondo nazionale di risoluzione nella “crisi delle quattro banche”. Il Fondo di risoluzione italiano è stato istituito con provvedimento 18 novembre 2015 della Banca d’Italia, individuata dal d.lgs. n. 72/2015 come Autorità di risoluzione nazionale, conformemente a quanto disposto dagli artt. 78 e segg. del d. lgs n. 180/2015 che ha recepito la direttiva BRRD. Il caso del Fondo italiano è particolare per via del rilevante intervento già effettuato dal Fondo per la risoluzione della c.d. crisi delle quattro banche. Il recepimento della direttiva BRRD e la conseguente istituzione del Fondo di risoluzione nazionale sono avvenuti nel pieno di questa crisi (che ha coinvolto Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerra-
8 L’ammontare del contributo dovuto varia da ente a ente. I contributi sono infatti calcolati ponendo in rapporto le passività di un intermediario – senza considerare i fondi propri e sottratti i suoi depositi protetti – alle passività c.d. aggregate (al netto di fondi propri e depositi protetti), per tali intendendosi le passività di tutti gli enti autorizzati nel territori dello stato membro. I contributi sono però risk based, il che significa che una volta (così) determinati i contributi sono corretti sulla base del profilo di rischio degli enti. Per le situazioni finanziariamente più onerose, è prevista la possibilità per l’Autorità di risoluzione di contrarre prestiti per il Fondo o altre forme di finanziamento (per esempio, emissione di obbligazioni).
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ra, tutte già in amministrazione straordinaria). Nel novembre 2015 le banche sono state poste in risoluzione ai sensi della nuova disciplina normativa con largo uso dei suoi strumenti risolutivi. Si è reso necessario un imponente intervento del neocostituito Fondo nazionale, anche perché si è fatto ricorso al c.d. burden sharing (al salvataggio partecipano gli azionisti e i portatori di strumenti di capitale, da noi di obbligazioni subordinate) ma non al bail-in, irrinunciabile come si sa dal 1° gennaio 2016. Il Fondo nazionale ha fornito supporto alle risoluzioni per un totale di circa 3,6/3,7 miliardi di euro9. Al momento del suo intervento il Fondo era costituito da pochi giorni, con la conseguenza che non vi era tempo per Banca d’Italia di riscuotere i contributi dal sistema bancario italiano. Per consentire al Fondo di operare si è dovuto ricorrere a un finanziamento ponte in più tranche a tassi di mercato, concesso da tre grandi banche (Intesa Sanpaolo, UBI e Unicredit, poi parzialmente ceduto dalle prime due a MPS e Banco Popolare). I primi 2,4 miliardi sono già stati rimborsati, gli altri lo saranno entro il prossimo giugno. Quanto ai contributi – ex ante ed ex post – richiesti all’insieme delle nostre banche nel 2015, questi ammontano a 2,4 miliardi di euro, di cui 588 milioni rappresentano l’ammontare della contribuzione ordinaria che deve essere versata annualmente e che dunque è stata o sarà versata anche quest’anno. Non sembra invece che ci sia spazio per ulteriori contributi straordinari.
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V. il Rendiconto del Fondo di risoluzione nazionale, Roma, 28 aprile 2016, in www. bancaditalia.it, pubblicazioni. Una parte della dotazione finanziaria – 1,8 miliardi – è stata impiegata per la costituzione del capitale di rischio degli enti-ponte. Si tratta essenzialmente della funzione prevista dall’art. 79, lett. d) del d.lgs. 180/2015, che consente al Fondo di risoluzione di «sottoscrivere capitale ed eseguire conferimenti e apporti al patrimonio di un ente-ponte o di una società veicolo per la gestione delle attività». Circa 1,7 miliardi sono stati inoltre utilizzati per coprire il deficit relativo alla cessione di attività e passività di ogni istituto alla rispettiva bridge bank: in questa situazione il Fondo di risoluzione è surrogato nel credito che gli enti ponte vantano nei confronti delle banche ormai in regime di l.c.a. Al momento lo stesso rendiconto del Fondo di risoluzione prospetta prudentemente l’impossibilità di recuperare tale cifra, con la conseguenza che l’importo è stato ascritto alle perdite di realizzo e, dunque, rilevato tra i costi nel conto economico. Infine, 136 milioni sono stati utilizzati ai sensi dell’art. 79, co. 1, lett. d) del decreto di recepimento, per fornire a REV Gestione Crediti s.p.a. il capitale necessario a operare.
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Va però ricordata la possibilità di richiedere il versamento, qualora non si riuscisse a coprire gli oneri di risoluzione, di altri contributi addizionali, aggiuntivi rispetto a quelli ordinari e straordinari, previsti non dalla direttiva BRRD ma dal d.l. 183/2015 e poi dalla legge di stabilità 2016 (art. 1, comma 848, l. 208/2015)10. Nella legge di stabilità 2017, approvata dalla Camera lo scorso 28 novembre, era inserita all’art. 76 una norma di interpretazione autentica del comma 848, ma la norma è stata stralciata per estraneità all’oggetto della legge11. Va anche considerato che le risorse dei Fondi nazionali aventi origine nei contributi ordinari e straordinari previsti dal regolamento SRM (non quelle costituite dai contributi addizionali) vanno progressivamente trasferite al Fondo unico. La percentuale di risorse da “mutualizzare” varia lungo il periodo transitorio. Per il primo anno (2016) il 40% delle risorse è già stato trasferito al costituendo Fondo Unico. Per il secondo anno, il 2017, verrà aggiunto un 20% di risorse, giungendo così al 60%. Il restante 40% sarà messo in comune nei restanti sei anni (2018-2024) secondo una percentuale fissa e uniforme del 6.67% annuo. È dunque importante, ma forse comunque non risolutiva, la quota di risorse che può derivare dalla vendita delle good banks, peraltro allo stato incerta quanto meno nel quantum, e da una maggiore valorizzazione dei crediti deteriorati il cui recupero è stato affidato alla c.d. bad bank (che banca non è) REV. Crediti ai quali i valutatori indipendenti delle attività e passività delle quattro banche hanno già applicato percentuali di svalutazione inferiori all’82% medio utilizzato in via provvisoria dalla Banca d’Italia. In definitiva, è più che verosimile che sia richiesta alle banche un’ulteriore contribuzione, questa volta addizionale12.
10 I contributi possono essere disposti entro il limite complessivo, inclusivo delle contribuzioni versate al Fondo di risoluzione Unico, previsto dagli artt. 70 e 71 del reg. UE 806/2014. Solo per il 2016 il limite è incrementato di due volte l’importo annuale dei contributi ex ante previsti dall’art. 70 del regolamento. 11 Ora, nondimeno, il c.d. decreto salva banche o salva risparmio (d.l. 23 dicembre 2016, n. 237 convertito, con modificazioni, nella l. 17 febbraio 2017, n. 15) disciplina all’art. 25 le «contribuzioni al Fondo di risoluzione nazionale». L’articolo chiarisce l’ambito soggettivo di applicazione dei contributi addizionali (co. 3) e il perimetro (assai ampio) della loro utilizzazione (co. 1); dà inoltre alla Banca d’Italia, entro dati limiti, la possibilità di conferire flessibilità temporale a determinazione/richiamo e versamento dei contributi (co. 2). 12 Come osserva anche Maccarone, I sistemi di garanzia dei depositi nel contesto regolamentare europeo, in L’unione bancaria europea, cit., p. 573 ss. In effetti, a fine
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5. La natura giuridica del Fondo nazionale di risoluzione. Qual è la natura giuridica del Fondo nazionale di risoluzione? Il d.lgs. 180/2015 (art. 78, co. 2) e il provvedimento istitutivo della Banca d’Italia del 18 novembre 2015 (art. 1) stabiliscono che il Fondo, istituito per l’appunto presso la Banca d’Italia, costituisce un «patrimonio autonomo distinto a tutti gli effetti» da quello della Banca e da ogni altro patrimonio dalla stessa gestito nonché da quello di «ciascun soggetto» che ha fornito le risorse raccolte nel Fondo. E aggiungono che il patrimonio risponde «esclusivamente» delle obbligazioni contratte in connessione con uno o più degli interventi indicati dall’articolo 79 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180. Infine, dispongono che sul Fondo «non sono ammesse azioni dei creditori della Banca d’Italia o nell’interesse degli stessi, né quelle dei creditori dei soggetti che hanno versato le risorse raccolte nei fondi o nell’interesse degli stessi». Le medesime fonti normative prevedono che sia la Banca d’Italia a disporre l’utilizzo del Fondo per le finalità di risoluzione (art. 79 reg.) e, più in particolare, che sia la Banca a gestire il Fondo in conformità con gli obiettivi e per il perseguimento delle finalità di risoluzione (art. 5, co. 1, del provvedimento istitutivo). La terminologia utilizzata richiama alla mente quella rinvenibile con riguardo ai fondi comuni di investimento nell’art. 36 t.u.f. Come ha avuto modo di chiarire la Cassazione in relazione a questi fondi nella nota sentenza n. 16605 del 201013, ne va esclusa la soggettività, pur in presenza di un fondo autonomo che ne è forse il principale indice, poiché manca «una struttura organizzativa minima, di rilevanza anche esterna» al quale questo sia riferibile. Un indice di questo tipo manca del tutto anche nella disciplina normativa del Fondo nazionale che – al pari dei Fondi comuni d’investimento – difetta di quegli “strumenti”, di quelle figure organizzative sue proprie, «che gli consentano di porsi direttamente in relazione con i terzi». È infatti la Banca d’Italia, in qualità di Autorità di risoluzione e di “gestore”, vale a dire quale figura esterna al Fondo,
dicembre 2016 sono già stati chiesti contributi addizionali per circa un miliardo e mezzo di euro. 13 Cass., 15 luglio 2010, n. 16605, in Foro it., 2011, 1853; v. Boggio, Fondi comuni di investimento, separazione patrimoniale, interessi protetti e intestazione di beni immobili, in Giur. it., 2011, p. 331 ss; Sansone, La natura giuridica del fondo comune di investimento: una questione superata?, in Società, 2011, p. 1057 ss.; Fantetti, Separazione e titolarità del patrimonio nei fondi comuni di investimento, in Resp. civ., 2011, p. 124 ss.
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ad assumere le decisioni (art. 5, co. 2, del provvedimento istitutivo) e a manifestarle ai terzi. In definitiva, va escluso che il Fondo sia un centro autonomo di imputazione di interessi, beni, rapporti giuridici, che sia dunque un soggetto di diritto14. Diversa è stata la scelta con riguardo al Fondo di risoluzione unico. Infatti, il proprietario del Fondo è il Comitato, l’Autorità di risoluzione unica (art. 67, co. 3, del regolamento n. 806/2014), e il Comitato è un’Agenzia dell’Unione espressamente dotata di personalità giuridica (art. 42, co. 1, del reg.), che beneficia in ciascuno stato membro «della più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche dall’ordinamento giuridico nazionale» (art. 42, co. 3). Dunque, nel caso del Fondo nazionale, un patrimonio autonomo senza un soggetto di diritto. O meglio, un patrimonio autonomo, distinto o, pur non richiamato dalla disciplina normativa del Fondo, separato? Nella nostra legislazione ormai non si attribuisce grande importanza alle «diverse sfumature di significato», per usare ancora le parole della rammentata sentenza della Cassazione, di questi termini, in genere adoperati come equivalenti, come suggerisce ancora la sentenza con riguardo ai fondi comuni di investimento. La tradizionale distinzione dottrinale15 tra patrimonio autonomo e patrimonio separato vuole che, con riguardo a una destinazione patrimoniale specifica, il primo ricorra nel caso di contitolarità del patrimonio da parte di una pluralità di soggetti, il secondo quando il patrimonio è riconducibile a un unico soggetto. La distinzione nasce infatti in un periodo storico nel quale la nostra dottrina non riusciva a dare adeguata spiegazione (al di fuori delle ipotesi di espressa e formale qualificazione di un soggetto collettivo come “persona giuridica”) al meccanismo – tipico delle società e degli altri
14 In questo senso v. ora anche Rulli, Fondi di risoluzione “obbligatori”: se non il contribuente, chi paga il costo della crisi bancaria?, in AGE 2/2016, p. 493 ss. 15 La distinzione risale a F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1962, p. 85 ss. e Id., Istituzioni di diritto civile, I, Napoli, 1945, 54: «in relazione ad una determinata destinazione specifica una pluralità di rapporti attivi e passivi facenti capo a più persone (patrimonio autonomo) o ad una persona (patrimonio separato) è costituita in unità e tenuta distinta dagli altri rapporti attivi e passivi delle stesse persone o della stessa persona». V., nello stesso senso, Biondi, I beni, in Trattato dir. civ. diretto da Vassalli, IV, t. 1, Torino, 1956, p. 117; Pino, Il patrimonio separato, Padova, 1950, p. 2 ss.
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contratti associativi16 – dell’imputazione di un patrimonio a un soggetto distinto dai conferenti per l’esercizio “in comune” di un’attività, meccanismo che veniva allora risolto nel concetto di “titolarità plurima” del patrimonio autonomo. Oggi, ormai riconosciuto che può esserci soggettività giuridica anche in mancanza di un formale riconoscimento di personalità, sembra preferibile parlare di patrimonio autonomo allorché il distacco di un determinato nucleo patrimoniale da uno o più dei patrimoni dai quali provengono le risorse che lo costituiscono si realizza attraverso la sua imputazione a un nuovo e distinto soggetto di diritto, ancorché sprovvisto di personalità giuridica17. È consigliabile parlare di patrimonio “separato”, invece, con riguardo a quelle fattispecie di destinazione patrimoniale per la cura di un determinato interesse che si attuano su un piano puramente oggettivo e che determinano la riserva di una porzione di patrimonio, caratterizzata da un vincolo di destinazione in favore di creditori speciali o titolati, senza che la riserva avvenga attraverso un’imputazione patrimoniale a un soggetto entificato. E ciò sia che il patrimonio separato faccia capo a un soggetto singolo, sia che si ricolleghi a più soggetti.
16 V. P. Ferro-Luzzi, I contratti associativi, Milano, 1976, spec. p. 295 ss.; v. anche, tra gli altri, Maiorca, Contratto plurilaterale, in Enc. giur., IX, Roma, 1988, p. 5. 17 Per una critica alla tradizionale contrapposizione tra patrimonio autonomo e separato cfr già M. Bigliazzi Geri, voce Patrimonio autonomo e separato, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 283-284, secondo la quale «la questione sembra, oggi, perdere ogni rilevanza a seguito della tendenza a riconoscere, nella fattispecie appena ricordata [i.e. il fondo comune delle associazioni non riconosciute] ed in altre analoghe (tali, in particolare, quelle delle società di persone, art. 2251 ss.), se non, ovviamente, una vera e propria personalità giuridica, almeno una soggettività, tale da non consentire di ritenere il sottostante fondo patrimoniale come di pertinenza di una pluralità di soggetti». V. anche Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 1988, III, t. 1, p. 178, secondo il quale «nelle associazioni in senso stretto, nelle società, siano esse di persone o di capitali, lucrative o cooperative, nei consorzi industriali con attività esterna […] le prestazioni delle parti compongono, anche se si tratta di associazione non riconosciuta […] o di società di persone […], un fondo comune dotato dei caratteri di un patrimonio autonomo»; Id., Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Comm. cod. civ., a cura di ScialojaBranca, Bologna-Roma, 1972, p. 12 ss. Mirzia Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, p. 199, distingue tra destinazioni personificate e non personificate, individuando il discrimen nel fatto che nelle prime la limitazione della responsabilità patrimoniale conseguente alla destinazione è realizzata per il tramite della creazione di un soggetto di diritto, mentre nelle seconde si assisterebbe alla frammentazione sul piano oggettivo di un patrimonio facente capo a un unico soggetto.
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Si tratta di fattispecie che, com’è noto, sono ormai numerose nel nostro ordinamento e comprendono anche figure di tipo prettamente produttivo-imprenditoriale, disseminate tra codice e leggi speciali. Tra le figure codicistiche, mi limito a segnalare i patrimoni destinati a uno specifico affare introdotti dalla riforma del 2003 nella disciplina della s.p.a. (art. 2447 c.c.), il fondo patrimoniale introdotto agli artt. 166-171 c.c. dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 in sostituzione dei vecchi istituti del patrimonio familiare e della dote, l’art. 2645-ter c.c. che disciplina addirittura una figura generale di atto negoziale di destinazione per realizzare interessi meritevoli di tutela18. Tra quelle previste dalla legislazione speciale, oltre ai vari fondi comuni, è emblematico il caso del contratto di rete senza soggettività con il quale sia istituito un fondo comune (l. 33/2009)19. Tornando al Fondo Nazionale di Risoluzione, esclusa la sua soggettività giuridica, il patrimonio “autonomo” sembra da riqualificare come “separato”, anche perché dalla disciplina positiva emerge con forza tanto la destinazione alla cura di un interesse precostituito, che assurge quasi a pre-condizione del fenomeno della separazione, quanto il “vincolo di indisponibilità” o “limite all’utilizzabilità” dei beni separati e attribuiti al
18 Ulteriori figure di separazione patrimoniale sono previste all’art. 512 c.c. che attribuisce ai creditori del defunto il diritto di richiedere la separazione dei beni del defunto da quelle dell’erede, e lo stesso principio opera quando sia stato nominato un curatore per l’eredità giacente, non ancora accettata dall’erede (art. 531 c.c.). Un’ipotesi di separazione patrimoniale tra beni ereditari e beni dell’amministratore è prevista dall’art. 643 c.c. per l’ipotesi che all’eredità sia chiamato un concepito (art. 462, co. 1, c.c.) o – in caso di successione testamentaria (art. 462, ult. co., c.c.) – un nascituro non ancora concepito ma figlio di una persona vivente, nonché in caso di donazione a favore di un concepito o a favore di un nascituro (art. 784 c.c.). Il codice civile prevede, infine, i fondi speciali per la previdenza e l’assistenza (art. 2117). La segregazione patrimoniale è inoltre tratto caratterizzante del trust secondo l’art. 11 della Convenzione de L’Aja 1° luglio 1985 (ratificata con l. 9 ottobre 1989, n. 364). 19 Le applicazioni dell’istituto della separazione patrimoniale sono state particolarmente frequenti nella legislazione speciale: dai fondi di investimento e dalle gestioni patrimoniali previste dal t.u.f. (d.lgs. n. 58/1998) e dal codice delle assicurazioni private (v. specialmente il Fondo di garanzia per le vittime della strada) ai fondi pensione (l. n. 124/1993 e n. 355/1995); alle leggi sulla cartolarizzazione dei crediti (l. n. 130/1999), sul finanziamento delle infrastrutture (l. n. 112/2002 di conversione del d.l. n. 63/2002), sulla cartolarizzazione degli immobili pubblici (d.l. 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, nella l. 23 novembre 2001, n. 410 e successive modifiche). Secondo alcuni, assume rilievo a questo riguardo anche il project financing (Codice dei contratti pubblici).
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patrimonio speciale, per tale intendendosi una limitazione al potere di disposizione di questi beni quale conseguenza della loro destinazione alla cura di un interesse precostituito, e dunque di una “funzionalizzazione” della destinazione20. Entrambi questi elementi sono sicuramente presenti nel caso del Fondo, come è emerso quando in precedenza si è richiamata, pur sinteticamente, la sua disciplina normativa. Occorre invece soffermarsi brevemente sull’ultimo dei tre elementi fondanti la separazione21, che è la specializzazione della responsabilità patrimoniale con la connessa riserva dei beni separati in favore dei creditori particolari. Una volta impressa una certa destinazione a una massa patrimoniale questa si separa dal restante patrimonio dell’originario titolare (e del soggetto, eventualmente diverso, chiamato a gestirlo) e viene riservata a garanzia delle ragioni dei creditori speciali, quelli cioè il cui titolo si fondi su obbligazioni contratte in stretta correlazione con la destinazione conferita al patrimonio separato. Il d.lgs 180/2015 e il provvedimento istitutivo della Banca d’Italia integrano appieno gli estremi della specializzazione di responsabilità sopradescritta, atteso che in entrambi gli atti normativi il Fondo viene configurato come patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello della Banca d’Italia e da quello di ciascun soggetto che al Fondo abbia fornito risorse. Soprattutto, si stabilisce espressamente che il patrimonio «risponde esclusivamente delle obbligazioni contratte per l’esercizio delle funzioni previste ai sensi del presente Capo» (in specie le funzioni dell’art. 79) e che sullo stesso «non sono ammesse azioni dei creditori della Banca d’Italia o nell’interesse degli stessi né quelle dei creditori dei soggetti che hanno versato le risorse raccolte nei fondi o nell’interesse degli stessi». Manca però un tassello alla specializzazione patrimoniale, dunque sicuramente sussistente. Non è detto espressamente che i creditori del Fondo possono rivalersi esclusivamente su questo, senza poter avanzare
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Secondo Pino, Patrimonio separato, cit., p. 21 «la particolarità della funzione in antitesi alla genericità propria del patrimonio del soggetto è la ragion d’essere della “separazione”». 21 Secondo la dottrina pressoché unanime: v., con varietà di sfumature, Bigliazzi Geri, voce Patrimonio autonomo, cit., p. 285; Mirzia Bianca, Vincoli, cit., p. 177; Salamone, Gestione e separazione patrimoniale, Padova, 2001, p. 19; Scano, Gli atti estranei allo specifico affare, Torino, 2010, pp. 12-13; Rojas Elgueta, Autonomia privata e responsabilità patrimoniale del debitore, Milano, 2012, p. 53 ss.
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pretese sui patrimoni vuoi dei conferenti le risorse, vuoi della Banca d’Italia, come sarebbe stato se la frase «risponde esclusivamente delle obbligazioni contratte per l’esercizio delle funzioni previste ai sensi del presente Capo» fosse stata così formulata: «per le obbligazioni contratte per l’esercizio delle funzioni previste dal presente Capo risponde esclusivamente il Fondo nazionale di risoluzione». Un disposto simile, ma dalla portata del tutto diversa. Anche in questo caso la regolamentazione del nostro Fondo si distacca da quella del Fondo Unico di Risoluzione. In relazione a quest’ultimo, che pure fa capo a una persona giuridica, con tutto ciò che questo di per sé implica, il regolamento UE N. 806/2014 ha sentito la necessità di ribadire espressamente che «in nessun caso il bilancio dell’Unione o i bilanci nazionali rispondono per le spese o le perdite del Fondo» (art. 67, co. 2). Occorre chiedersi, dunque, se la separazione patrimoniale, per essere tale, deve essere sempre perfetta, comportare cioè una piena limitazione di responsabilità, o può configurarsi anche come imperfetta, al pari di quanto accade con riferimento all’autonomia patrimoniale nel caso degli enti soggetti di diritto (per esempio, delle società di persone). È certo che soltanto con riferimento ad alcune fattispecie di patrimoni separati il legislatore prevede espressamente la limitazione della responsabilità. È il caso dei patrimoni destinati a uno specifico affare, in relazione ai quali l’art. 2447-quinquies c.c. dispone espressamente che qualora la deliberazione costitutiva del patrimonio «non disponga diversamente, per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato»22. Anche nel caso dei fondi comuni d’investimento – la regolamentazione dei quali, come si è detto, è echeggiata da quella del Fondo nazionale – l’art. 36 t.u.f. prevede che «delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la Sgr risponde esclusivamente col patrimonio del fondo medesimo». Come si sa, la disposizione è stata inserita da una novella del 2010, la legge 31 maggio 2010, n. 78: del tutto opportunamente, perché da lì a poco la citata sentenza della Cassazione n.16605/2010 avrebbe affermato, con riguardo al previgente testo, come fosse pacifico che «i creditori per obbligazioni contratte nell’interesse del fondo siano ammessi a rivalersi nei confronti della società di gestione, qualora i beni del fondo non risultassero sufficienti a soddisfare le loro ragioni».
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Salva la responsabilità illimitata per le obbligazioni derivanti da fatto illecito.
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Il dato positivo può dunque avvalorare la tesi, segnalata anche dall’analisi economica del diritto23, secondo la quale la preclusione ad aggredire (il o) i patrimoni generali da parte dei creditori speciali è un elemento solo eventuale della separazione, che non sempre è “bilaterale” o “biunivoca” o “perfetta”, ma può anche contemplare forme di garanzia dell’adempimento dei debiti relativi ai beni separati per mezzo delle risorse del patrimonio generale, così realizzando una sorta di canale di “comunicazione” tra patrimoni. Non manca, peraltro, chi considera la limitazione della responsabilità connaturata a questo modello di specializzazione, incentrato sulla presenza di un terzo gestore, o intermediario, al quale è affidata una serie di beni separati da patrimoni altrui. La tesi è sostenuta con riguardo agli stessi fondi comuni di investimento, tanto da considerare la disposizione aggiunta nel 2010 all’art. 36 t.u.f. una mera esplicitazione di una regola già implicita nel sistema24, e a vari altri patrimoni separati quali, per esempio, il Fondo di garanzia per le vittime della strada25 e il Fondo di garanzia notarile26. In definitiva, anche nel caso del Fondo Nazionale di risoluzione si potrebbe sostenere il carattere biunivoco alla separazione patrimoniale, dunque la limitazione di responsabilità, pur in mancanza di un’espressa previsione normativa. È certo, però, che se si seguisse la strada di regolamentazione per-
23 V. Hansmann, Kraakman, Organizational Law as Asset Partitioning, in European Economic Review (44), 2000, p. 807; Hansmann, Kraakman, Squire, Legal Entities, Asset Partitioning and the evolution of organizations, 2004, in http://www.law.umich.edu/ centersandprograms/lawandeconomics/workshops/Documents/Fall2004/hansmann. pdf); LoPuki, The Death of Liability, in Yale Law J., 106 (1996), p. 1 ss. 24 V. per es. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2010, p. 190, nt. 1; Troiano, sub artt. 36-37 – Fondi comuni di investimento. Struttura dei fondi comuni di investimento, in Il Testo Unico della Finanza, a cura di Fratini e Gasparri, Torino, 2012, t. I, p. 565 ss. 25 Art. 287 del Codice delle assicurazioni private (d. lgs n. 209/2005): v. Mormino, L’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile autoveicoli, in Responsabilità e assicurazione, a cura di Cavallo Borgia, in Trattato della responsabilità civile diretto da Franzoni, Milano, 2004, p. 341 ss. 26 Che risponde del danno derivante dal fatto-reato del notaio per il quale non operi la copertura assicurativa di legge: art. 21 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come modificato dall’art. 3 del d.lgs 4 maggio 2006, n. 182: in argomento Casu, sub artt. 18-24, in La legge notarile commentata, a cura di Casu e Sicchero, Torino, 2011, p. 108; Ivone, La responsabilità del notaio, in Il contratto preliminare, a cura di Capo, Musio e Salito, Padova, 2014, p. 1006 ss.
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corsa dai fondi comuni di investimento, introducendo una specifica norma di limitazione della responsabilitĂ anche per il Fondo nazionale, si realizzerebbe una soluzione piĂš chiara e sicura. Soluzione che appare comunque la piĂš equa considerate le funzioni assegnate al Fondo.
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Gli strumenti di pagamento nel contesto dei pagamenti on line* Sommario: 1. Premesse. – 2. Il pagamento nel codice civile. – 3. Dal pagamento “immediato” al pagamento “intermediato”. – 3.1. (Segue) Pagamento e procedimento di pagamento. – 3.2. (Segue) Procedimento di pagamento e veicoli elettronici. – 4. L’individuazione delle regole sul pagamento non “immediato”. – 5. Le regole legali “oltre” il codice civile. – 5.1. (Segue) La “riferibilità” del pagamento. – 5.2. (Segue) La rifiutabilità del pagamento e la liberazione del debitore. – 5.3. (Segue) La prova del pagamento. – 5.4. (Segue) I vizi del rapporto di scambio. – 6. Conclusioni: a) il pagamento del consumatore; b) la moneta elettronica ed il bit coin; c) la persistente utilità del codice civile.
1. Premesse. All’indagine sull’utilizzo on line degli strumenti di pagamento1 è opportuna una selezione dei problemi che attorno a quell’uso gravitano e
* Il lavoro sviluppa, con un percorso bibliografico essenziale, una relazione tenuta il 26 gennaio 2016, al convegno organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura, su Il documento informatico e la prova nel processo civile: un codice al passo con i tempi? 1 La locuzione «strumenti di pagamento» ha uno statuto normativo ormai ben definito: sia nel diritto dell’Unione europea [cfr., tra tutti, l’art. 4, n. 23, direttiva 2007/64/CE e, ora, l’art. 4, n. 14, direttiva (UE) 2015/2366; l’art. 2, n. 19, Reg. (UE) 2015/751] sia nel diritto domestico (i) di rango primario [ad esempio: l’art. 1, co. 1°, lett. s), d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11; gli artt. 120, co. 3, 126-quater, co. 3, lett. a), 126-quinquiesdecies, co. 8 e 9, e 146, co. 2 e 3, t.u.b; l’art. 8, co. 3, l. 27 gennaio 2012, n. 3 (sulla «composizione delle crisi da sovraindebitamento»); l’art. 1, co 2, lett. q), n. 1, d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 (in tema di antiriciclaggio); gli artt. 62 e 67-quaterdecies d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. cod. cons.); l’art. 5, co. 1 e 2-bis, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (sull’amministrazione digitale)]; e (ii) di rango secondario [cfr., esemplarmente, Banca d’Italia, Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti, 9 settembre 2017, Sezione VI, § 2, p. 38; Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica, 17 maggio 2016, Capitolo I, Sezione II, p. 11].
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che si concentra, inevitabilmente, sulla sua finalità, cioè, sul pagamento; scandagliando, allora, le soluzioni approntate dall’ordinamento giuridico in una prospettiva diacronica, tenendo conto dell’evoluzione delle modalità di pagamento a cui corrisponde una (oramai) assestata irrilevanza dello spazio e del tempo nell’esecuzione (e, prima ancora, nella formazione) del titolo sul quale il pagamento si basa. Evoluzione che si scorge, emblematicamente, nel linguaggio legislativo nel quale, da qualche anno2, alla parola «pagamento» è sempre più frequentemente anteposta quella, appunto, di «strumenti»: marcando il passaggio dalla connessione del pagamento con il numerario alla (possibile) connessione con altre res e non solo3. In effetti, più che altrove, la prassi degli affari in uno con il progresso della tecnica hanno costretto a risposte, a quei problemi, dapprima attraverso un adattamento, non sempre puntuale ed adeguato, delle regole dettate nel codice civile, a lungo le uniche all’interprete, teorico e pratico, disponibili; successivamente, attraverso l’introduzione legislativa di una disciplina, per un verso, complessa e non ancora messa a punto e, per l’altro, tanto minuziosa e dettagliata da rendere concreto l’interrogativo sull’utilità del ricorso al codice civile che, lo si anticipa, è stato pensato per pagamenti “immediati” a mezzo res qualificate. Ciò nondimeno, ed in certo senso contraddittoriamente, l’innovazione legislativa è per molti aspetti “muta” sulla ricostruzione giuridica o meglio sulle ricostruzioni giuridiche del pagamento con strumenti “diversi”, lasciando, si direbbe necessariamente, (taluni) conflitti di interesse privi di composizione e, così, legittimando l’invocazione, almeno in via residuale, della disciplina tracciata nel codice civile. Nel prosieguo, coerentemente, si procederà analizzando, prima, il diritto comune del pagamento (§ 2), poi, lo sviluppo degli strumenti “diversi” (§ 3), selezionando le nuove regole (§ 4), e, da ultimo, la nuova disciplina (§ 5); volutamente prescindendo da ricostruzioni giuridiche sulle quali si ragionerà nel finale (§ 6).
2. Il pagamento nel codice civile. Muovendo dall’identificazione del pagamento nel comportamento
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Nell’economia del lavoro si può rinviare alle fonti indicate nel testo e nelle note. Ultra, § 3.2.
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o complesso di comportamenti4 teso ad estinguere un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro5, dal punto di vista oggettivo – con “cosa” il pagamento è effettuato? – una previsione testuale del codice civile attribuisce alla moneta avente corso legale6 una valenza incontestabile. Incontestabile in due sensi: il pagamento (esatto ed integrale) con moneta avente corso legale7 non è utilmente rifiutabile dal creditore ed è, di per sé, idoneo ad adempiere l’obbligazione liberando il debitore. Questa valenza incontestabile è ancorata alla consegna “materiale” della moneta, pezzo monetario o carta moneta: ad uno spossessamento/impossessamento (solutionis causa) immediatamente attuato e “riconosciuto” da due agenti. D’onde l’obbligazione pecuniaria richiede, per l’estinzione, la dazione di una qualificata res: qualificata dal “riconoscimento”, esclusivo ed esibito con “autentica” sulla res, dell’Autorità statale. Lungo questa visuale, il pagamento è immediato e, di conseguenza, pure immediata è l’identificazione di “chi” paga e l’“integrale” ed “esatto” adempimento cui consegue, altrettanto immediatamente, la liberazione del debitore. Consegnati i pezzi monetari o la carta moneta, occorre verificarne il corso legale ed il “numero”, il quantum, eventualmente imputando il pagamento – e così l’estinzione dell’obbligazione con liberazione del debitore – ad uno o altro debito8. Il pagamento quale dazione di una res qualificata logicamente spiega: (i) la trasportabilità della res, da consegnare al “domicilio” del creditore9; (ii) la tendenziale irrilevanza (fungibilità) di chi consegna la res qualificata, aprendosi semmai il problema, inverso, di chi è destinatario della consegna. Ciò sia nella traiettoria del sostituto del creditore, per volontà (indicatario o rappresentante) o per autorità della legge o del giudice10; sia nella traiettoria di chi appare creditore11. E spiega anche
4 Essendo qui irrilevante la di esso qualificazione: se atto (ed eventualmente negozio) o fatto; oppure ancora attività. 5 In quanto tale, debito c.d. di valuta, o in quanto valore, debito c.d. di valore. 6 Art. 1277 c.c. 7 Anche quando l’obbligazione pecuniaria sia denominata in altra valuta, purché non sia stata apposta la clausola «effettivo» (o equivalente) e questa sia reperibile al momento della scadenza (artt. 1278 e 1279 c.c.); da parte l’ipotesi, logicamente distinta, della moneta avente valore «intrinseco» (art. 1280 c.c.). 8 Art. 1193 c.c. 9 Art. 1182, co. 3, c.c. 10 Art. 1188 c.c. 11 Art. 1189 c.c.
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(iii) la necessità della prova della consegna, quale atto (o meglio, fatto storicamente) immediato al quale si ha “diritto” (la quietanza)12.
3. Dal pagamento “immediato” al pagamento “intermediato”. A partire dal XIX secolo13 si assiste ad una diffusione, via via sempre più incisiva, di mezzi, meglio di strumenti di pagamento “diversi” dai pezzi monetari e dalla carta moneta, strumenti spesso nominati “sostitutivi” o “alternativi” al numerario. Diffusione stimolata, approssimando, tanto: (i) dall’assestamento socio-economico dell’intermediazione bancaria; quanto (ii) dalla presa d’atto di una “spiritualizzazione” della moneta che da res con valore intrinseco e successivamente con valore rappresentante un diritto di credito ad una ricchezza “materiale” detenuta dall’Autorità statale; da res, si diceva, la moneta inizia ad essere pensata e percepita14 quale valore (c.d. ideal unit) qualificato, in quanto misura solo “denominata” – e, appunto, qualificata: il corso legale – dall’Autorità statale15. Nell’uso di questi strumenti di pagamento “diversi” nella relazione debitore-creditore si innesta(no) uno, o più soggetti; alla materialità, alla “realità” della consegna – e quindi: all’immediatezza – del pagamento tra l’uno e l’altro sostituendosi un complesso di rapporti (non più “reali” ma) obbligatori che rende il pagamento intermediato da terzi. Intermediazione, poi, titolata in rapporti pre-instaurati che legittimano il debitore ad avvalersi, tendenzialmente in modo stabile, di terzi, la cui attività (di pagamento) è svolta in modo professionale. E, può sottolinearsi incidentalmente, il pagamento professionale di un terzo è, in thesi, estraneo all’adempimento del terzo previsto dall’art. 1180 c.c., la cui prospettiva è piuttosto quella di un intervento episodico ed il cui contenuto precettivo è concretamente marginale in prestazioni, qual è il pagamento di una somma di denaro, indifferenti alla personalità dell’agente. Questi rapporti pre-instaurati con professionisti del pagamento sono
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Art. 1199 c.c. Almeno guardando all’esperienza, nella forma moderna, degli assegni. 14 Non può dubitarsi che, nella moneta, la percezione di chi la usa sia un co-elemento della sua diffusione ed affermazione: v. ultra, § 6. 15 Che poi la denominazione possa essere comune a più Autorità statali (ad esempio: l’euro o il dollaro) è pur sempre una conseguenza dell’adesione dell’Autorità statale ad un sistema tra Autorità statali. 13
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il presupposto per consentire l’uso da parte del debitore di strumenti di pagamento “diversi”; a siffatti rapporti pre-instaurati normalmente (ma non necessariamente) accede pure il creditore, soprattutto se “creditore” (altrettanto) stabile, perché produttore professionale di beni e servizi. In via elementare: per “pagare con assegni bancari” è indispensabile la (preventiva) sottoscrizione di una c.d. convenzione assegni (che sia efficace al momento dell’operazione) con un istituto legittimato all’emissione a cui segue il rilascio del c.d. carnet; ma per l’incasso da parte del prenditore (creditore) alcun rapporto pre-costituito è richiesto. Sebbene l’assegno venga, quasi sempre, “versato” dal prenditore (creditore) presso un istituto in cui è in corso un rapporto di conto corrente: scompare, e questo è il punto, tra debitore e creditore il numerario sostituito da una movimentazione, intermediata da terzi, scritturale tra “conti” di quantum di moneta (sempre avente corso legale) in addebito o in accredito. 3.1. (Segue) Pagamento e procedimento di pagamento. Negli strumenti di pagamento “diversi” si sopprime l’immediatezza della consegna di una res qualificata sostituita dalla movimentazione intermediata di conti. La moneta non è tanto scambiata dalle parti: è movimenta tra le parti, con queste e l’ausilio di altri, il pagamento concentrandosi sulla consistenza di conti, movimentati secondo un’unità di misura prescelta. Soppressione e sostituzione rese possibili da una trama di rapporti obbligatori pre-instaurati con terzi, estranei al rapporto debito-credito e professionisti del pagamento16, che prestano un “servizio”, determinando una significativa curvatura dell’intervento dell’Autorità: questa in origine è tendenzialmente disinteressata ai singoli scambi solutionis causa della res, assicurando, della res, la qualificazione (siccome autenticità ed esclusività); successivamente, a cagione dell’ingerenza professionale in quello scambio – ingerenza che relega la consegna della res qualificata ad (eventuale) esito (tanto finale quanto) remoto dell’operazione – l’Autorità vigila sul “sistema” dell’intermediazione, dei “movimenti” della moneta, il singolo scambio essendo, proprio in quanto professionalmente intermediato, da riguardare in una prospettiva di complesso di scam-
16 Già negli anni ottanta del Novecento, la Banca d’Italia discorreva di “industria dei pagamenti”.
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bi, di movimentazioni, di “sistema” (dei pagamenti). Oggetto coerentemente di sorveglianza nazionale (e, indirettamente, transnazionale17) in ordine al «regolare funzionamento», alla «affidabilità», all’«efficienza» ed alla «tutela degli utenti»18; ed oggetto pure, sempre quale conseguenza dell’intermediazione professionale che rende l’intervento del terzo un “servizio di movimentazione” capace di formare un mercato, di una verifica concorrenziale (fra prestatori e verso i destinatari) dell’offerta di quel servizio19. Ne consegue, sotto altro punto di vista, che il pagamento diventa un “procedimento”, una pluralità coordinata di fatti ed atti, dunque un’attività, preordinata alla soddisfazione del creditore ed alla liberazione del debitore in cui alla consegna del numerario equivale l’accredito sul “conto” del creditore. La soppressione della consegna della res qualificata realizzata con lo sviluppo del pagamento in un procedimento, nel quale interviene un terzo professionista, d’altronde, si presta, stante la scomposizione in distinte fasi, ad una più agevole vigilanza sulla circolazione del numerario: cosicché del procedimento intermediato il legislatore ha imposto l’adozione per l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie di importo superiore ad una determinata soglia20, prescrivendo una disciplina ad hoc che ha dissociato ex lege la liberazione del debitore dalla soddisfazione del creditore, la prima realizzandosi con la comunicazione al creditore da parte del debitore dell’accettazione del quantum di moneta da parte del professionista del pagamento. Deve osservarsi che, in tal caso, l’accento non cade sulla movimentazione di “conti” bensì sull’intervento
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Sono infatti stabiliti i requisiti di sorveglianza per i sistemi di pagamento di «importanza sistemica»: Reg. della Banca centrale europea (UE) n. 795/2014. Ultra, nt. 28. 18 Art. 146 t.u.b. e Banca d’Italia, Disposizioni in materia di sorveglianza sui sistemi di pagamento al dettaglio, 18 settembre 2012. 19 In tema di costi di quell’intervento e di libertà di scelta del professionista che interviene. E, così, rispettivamente, sulle commissioni «interbancarie sulle operazione di pagamento basate su carta», si legga il Reg. (UE) 2015/751; sul trasferimento dei servizi di pagamento connessi al rapporto di conto di pagamento, si leggano gli artt. 126-decies e ss. t.u.b. introdotti dal d.lgs. 15 marzo 2017, n. 37, anche in funzione della continuità del “servizio” connesso al conto di pagamento. Concorrenza che, peraltro, viene presa in considerazione tra strumenti di pagamento: art. 3, co. 4, d.lgs. n. 11/2010 e art. 62, co. 1, cod. cons. 20 Nel d.l. 3 maggio 1991, n. 143 (conv. l. 5 luglio 1991, n. 197), «venti milioni» di lire. Nell’oggi, «tremila» euro (art. 49 d.lgs. n. 231/2007).
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di un terzo professionista: il debitore consegna il numerario al professionista e questo è, a sua volta, consegnato al creditore. Il pagamento diventa un procedimento a più “attori”, in cui – almeno in un caso testuale – il momento della liberazione del debitore prescinde dalla soddisfazione del creditore, dall’accredito del di lui “conto” o dalla consegna del numerario.
3.2. (Segue) Procedimento di pagamento e veicoli elettronici. Le fasi in cui il procedimento si scandisce possono essere compiute avvalendosi di veicoli elettronici e, per tale via, istantaneamente o quasi, recuperando, in un certo senso, l’immediatezza (fisica) tipica della consegna del numerario: in altri termini, la possibile incidenza del tempo, radicata nel procedimento (in ogni procedimento) che, in quanto tale, si compone di più fasi, è nel concreto neutralizzata dall’assistenza di veicoli elettronici. Lo stesso per lo spazio: proprio attraverso i veicoli elettronici e la conseguente concreta istantaneità si favorisce una delocalizzazione, più o meno accentuata, degli “attori” del procedimento. Nel dettaglio, la movimentazione di “conti” è eseguita da impulsi elettronici21. È il caso del pagamento con la carta rilasciata da un professionista del pagamento usata presso l’esercente/creditore, dove alla “strisciata” della carta nel “terminale” (c.d. P.O.S.) con indicazione di un codice personale (c.d. P.I.N.) consegue l’esecuzione, sempre intermediata, della movimentazione: l’addebito del conto collegato alla carta ed al P.I.N. e l’accredito del conto a cui il P.O.S. è collegato. Poco cambia, giuridicamente, quando si prescinde da un contatto fisico tra i veicoli (carte o altri strumenti) avvalendosi della c.d. lettura ottica (i sistemi c.d. contactless).
21 Gli impulsi elettronici possono svolgere una funzione di semplificazione anche qualora si utilizzino tecniche di pagamento tradizionalmente cartacee: così per la presentazione al pagamento dell’assegno in forma elettronica (art. 31, co. 3, r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 e regolamento della Banca d’Italia del 22 marzo 2016 e d.m. Economia e Finanza del 3 ottobre 2014, n. 205). Semplificazione dei pagamenti pure incentivata nei rapporti con la pubblica amministrazione obbligata ad «accettare (…) pagamenti spettanti a qualsiasi titolo attraverso sistemi di pagamento elettronico, ivi inclusi, per i micro-pagamenti, quelli basati sull’uso del credito telefonico» (art. 5, co. 1, d.lgs. n. 82/2005).
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Il veicolo elettronico, peraltro, non necessariamente deve essere dislocato presso l’esercente/creditore, potendo essere “domestico”: si tratta del c.d. P.O.S. connesso al sistema direttamente dal debitore. Ipotesi, quest’ultima, in cui il pagamento è, sì istantaneo (sebbene intermediato), ma richiede pur sempre l’uso, con contatto fisico o solo elettronico, di res al pagamento deputate (carta e c.d. P.O.S.). Non così quando l’attivazione della movimentazione prescinde dall’uso materiale dello strumento come tipicamente avviene in alcuni pagamenti on line, in cui per l’attivazione della movimentazione lo strumento di pagamento non è essenziale, coinvolgendo altre res (esemplarmente: telefoni mobili, computer) ed essendo sufficiente inserire, in queste res “indistinte” (proprie o altrui, domestiche o pubbliche) ed ad uso “a-specifico” (non essendo al pagamento deputate), numeri e lettere per avviare la movimentazione. All’uso dello strumento di pagamento si sostituisce la narrazione e digitazione di dati ed in ciò si risolve e dissolve lo strumento di pagamento22. La res è sostituita dall’accesso ad un veicolo elettronico indistinto ed a-specifico connesso ad un sistema, al quale pure accede (sincronicamente o non) il creditore, di trasmissione di dati da inserire nel veicolo e reperibili ovunque, in primis nella memoria “umana”.
4. L’individuazione delle regole sul pagamento non “immediato”. È evidente la lontananza di siffatti pagamenti dalla consegna di res qualificate e, in definitiva, dal loro immediato spossessamento/impossessamento. Lontananza dalla quale, con altrettanta evidenza, emerge l’urgenza di rintracciare regole diverse per risolvere quei problemi, per così dire, tipici selezionati poco fa: sulla valutazione dell’esatto ed integrale pagamento, sulla sua imputabilità e prova nonché sulla conseguente liberazione del debitore. Problemi che, appunto, la consegna “fisica” della res qualificata, ed il suo scambio, risolvono nell’immeditato. Non si tratta soltanto di sondarne il grado di equivalenza con la con-
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Sulla c.d. «carta “virtuale”» quale «carta prepagata, priva dunque di supporto materiale, che può essere facilmente generata dai siti di home banking dei singoli istituti di credito; prevede un codice PAN che la identifica ed una disponibilità, pari a quella di un’ordinaria carta di credito», v. ABF, n. 11189/2016.
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segna del numerario; equivalenza riconosciuta in parte dalla giurisprudenza che, dalle Sezioni Unite della Cassazione del 200723 (e del 201024), stima illegittimo il rifiuto del creditore al pagamento con assegni (circolare e bancario) se non adeguatamente motivato25. Equivalenza parziale essendo funzionale e non strutturale, dipendendo, vale a dire, non dallo strumento di pagamento “diverso” in sé ma dal comportamento non jure del creditore o dalla prova di un accordo anche tacito che deroghi alla consegna del numerario, “esclusiva” modalità, benché pattiziamente derogabile, di estinzione dell’obbligazione pecuniaria prevista dall’art. 1277 c.c.26. Al di là di questa posizione (parzialmente) innovativa della giurisprudenza e limitata ad uno strumento, l’assegno, prototipo storico di mezzo di pagamento “diverso” dal contante e disciplinato come tale27; al di là di ciò, le regole sul pagamento, in tali casi, devono ricercarsi altrove. Certamente nella disciplina pattizia, negli accordi che governano i rapporti pre-instaurati dal creditore e dal debitore con i professionisti del pagamento. Ma non solo. La tendenziale irrilevanza dello spazio nell’operazione di pagamento, sviluppata in procedimento, che rende inessenziale la presenza “fisica” (propria, di un rappresentante o di un terzo) presso il creditore, da un lato, e, dall’altro, la possibile istantaneità nell’esecuzione delle sue fasi, hanno stimolato, vieppiù in ragione della denominazione unica della moneta da “movimentare”, una regolamentazione di carattere transnazionale dei pagamenti: si allude, essenzialmente28, alla direttiva dell’Unione Europea29 che ha disciplinato i «servizi di pagamento nel mercato interno», attuata in Italia con il d.lgs. n. 11/2010, largamente semplificando i problemi di legge applicabile. Direttiva, si deve aggiungere, destinata ad essere sostituita, entro 13
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Cass., S.U., 18 dicembre 2007 n. 26617, in Foro it., 2008, 2, I, 503. Cass., S.U., 4 giugno 2010, n. 13658, in Banca dati De Jure. 25 Più di recente, Cass., 17 dicembre 2014, n. 26543, in Banca dati De Jure. 26 In questi termini, Cass., 30 settembre 2014, n. 20643. 27 Basta ricordare la disciplina dei cc.dd. termini acceleratori. 28 Il carattere transnazionale dei pagamenti richiede simmetricamente interventi transnazionali sul sistema dei pagamenti: tra i vari nell’ambito dell’Area Unica dei pagamenti in Euro (Single Euro Payments Area - SEPA), può ricordarsi la disciplina sulla definitività degli ordini (d.lgs. 12 aprile 2001, n. 210 che attua la direttiva 98/26/CE) intuitivamente imprescindibile per la “tenuta” del sistema. 29 Direttiva 2007/64/CE. 24
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gennaio 2018, dalla direttiva (UE) 2015/2366, nella quale, non a caso, si discorre di pagamento «a distanza», siccome «operazione (…) iniziata tramite internet o tramite un dispositivo che può essere utilizzato per comunicare a distanza»30. Tecniche, va da sé, elettive per l’esecuzione di contratti a “distanza” e poi “conclusi con mezzi elettronici”31; elettive ma non esclusive, poiché il pagamento di un contratto a distanza “concluso con mezzi elettronici” può ben eseguirsi con la (tradizionale) consegna materiale del numerario (pagamento c.d. in contrassegno), applicandosi, per questa fase esecutiva, le regole sulla traditio solutionis causa di res qualificate. Tecniche, quelle del pagamento a distanza, che pure, giova segnalarlo, potrebbero prestarsi – al ricorso di appropriate condizioni32 – a modalità di conclusione di tali contratti.
5. Le regole legali “oltre” il codice civile. Le regole legali, “oltre” il codice civile, si appuntano su tre aspetti: la disciplina, per così dire, “a monte” dell’accesso, riservato, alla prestazione dei servizi di pagamento, in linea con la rilevanza sistemica dell’intermediazione33; poi, via via sempre più a “a valle” e si tratta dei profili ai quali qui si rivolge l’attenzione, la disciplina dei rapporti che governano il procedimento di pagamento e quelle dell’uso degli strumenti di pagamento. Il linguaggio legale denomina gli “attori” del procedimento: utilizzatore o pagatore (il debitore, che dispone dello strumento di pagamento); utilizzatore o beneficiario (l’esercente/creditore del debito ex pretio conseguenza dell’acquisto del bene o della fruizione del servi-
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Art. 4, n. 6. Qualificazione di cui si avvale l’art. 51, co. 2, cod. cons. e che sembra capace di comprendere ogni ipotesi di contratto concluso attraverso l’uso di internet o, forse meglio, “in” internet. D’onde, per esempio, la prospettiva di «“immissione sul mercato” nel commercio elettronico» ai fini della vigilanza del mercato dei prodotti venduti on line, (Comunicazione della Commissione europea 2017/C250/01). E, più in generale, si avverte l’esigenza di disciplinare sia «determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale» (Proposta di direttiva 2015/0287); sia «determinati aspetti di contratti di vendita on line» (Proposta di direttiva 2015/0288). 32 È, de minimis, necessario che sia riconoscibile una proposta contrattuale e che l’attività di pagamento possa rilevare siccome accettazione (espressa – giacché trattandosi di una attività non è affatto escluso l’isolamento di una accettazione, appunto, espressa – o quale inizio di esecuzione). 33 V. supra, § 3.1. 31
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zio); prestatore di servizi di pagamento, il professionista del pagamento dell’uno (il prestatore/emittente lo strumento) e dell’altro (il prestatore del beneficiario)34. Le relazioni contrattuali, pre-instaurate, con i prestatori dei servizi di pagamento sono i «contratti quadro»35, contratti assoggettati a regole devianti, in primis sulla «trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti»36, e suscettibili di alterazioni sulla base dei soggetti partecipanti (consumatori e micro-imprese o non), della modalità di conclusione (a distanza o non) e della forma (scritta o equivalente informatico)37. Il discorso sulla disciplina legale prevista dal d.lgs. n. 11/2010 può essere indifferenziato sia dal punto di vista del mezzo (carta di credito, Pagobancomat, carte pre-pagate ecc.), applicandosi a «qualsiasi dispositivo personalizzato e/o insieme di procedure concordate tra l’utilizzatore e il prestatore di servizi di pagamento e di cui l’utilizzatore di servizi di pagamento si avvale per impartire un ordine di pagamento»38; sia dal punto di vista delle modalità dell’uso (con c.d. P.O.S., digitando numeri e password, ecc.). Indifferenza che si spiega per il dettaglio dei precetti della normativa (comunitaria e) nazionale, conseguenza dell’evoluzione del pagamento in procedimento e della scelta legislativa (invero non necessitata) di regolarne essenzialmente ogni “fase”; dettaglio, a sua volta, che rende: (i) residuale ogni regola, d’origine pattizia, contenuta nei contratti quadro, partecipi della nota standardizzazione dei servizi bancari e finanziari, ormai concepiti siccome “prodotti” isolati, e pertanto riconoscibili, per differenze di prezzo e di regolazione del prezzo; ed (ii) inconferente, in questo ambiente normativo, ogni ricostruzioni giuridica sugli strumenti di pagamento “diversi”. Si può, a questo punto, passare all’analisi delle soluzioni, direttamente o indirettamente ricavabili dal diritto introdotto con il d.lgs. n. 11/2010, ai quei problemi in apertura isolati ragionando sul pagamento in numerario.
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Su queste definizioni si veda l’art. 1 d.lgs. n. 11/2010. Contratti non sempre necessari: sono i pagamenti episodici, nel linguaggio legale definiti «operazioni di pagamento singole» [artt. 43 ss. direttiva (UE) 2015/2366 e Banca d’Italia, Trasparenza, cit. Sezione VI, § 4.2, p. 42 ss.]. 36 Artt. 126-bis ss. t.u.b. 37 Nell’ordine: art. 126-bis, co. 3, t.u.b.; Sezione V p. 30 ss., Sezione VI, § 4.1.2. p. 42 e Sezione VI, § 5.1. p. 43 s., Banca d’Italia, Trasparenza, cit. 38 Art. 1, lett. s), d.lgs. n. 11/2010. 35
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5.1. (Segue) La “riferibilità” del pagamento. Innanzitutto ci si deve interrogare sulla “riferibilità” del pagamento: chi è che paga e quali sono le conseguenze. Il pagamento quale procedimento (e poi) di movimentazione di “conti” può essere attivato da chi debitore non è o contro la sua volontà: e ciò senza che il creditore ne sia colpevolmente inconsapevole. Cosicché la “riferibilità” del pagamento si riflette sul problema delle tecniche per “riferire” al debitore l’uso dello strumento di pagamento e, di conseguenza, sul problema di come ripartire i rischi derivanti da anomalie di siffatto riferimento. Anomalie che possono riassuntivamente nominarsi “uso indebito”, in quanto “non riferibile”39, ed il cui quadro normativo40 può compendiarsi come segue. A) Il prestatore/emittente deve predisporre e mantenere in uso tecniche di “riferibilità” del pagamento al titolare dello strumento di pagamento (combinazioni di carta, password con indicatori specifici – maiuscolo, numero, ecc.); e, corrispondentemente, i codici (la concreta password ecc.) scelti dal titolare e connessi alle tecniche predisposte dal prestatore devono essere adeguatamente custoditi dal titolare stesso41 ed essere usati in conformità con il contratto quadro: sono, quindi, tecniche e codici che determinano l’accesso al e l’avvio del procedimento di pagamento, da predisporre, mantenere e custodire; obblighi, questi, l’inadempimento dei quali, sulla base degli stati soggettivi dell’agente, provoca allocazioni del rischio da uso indebito differenti. Più nel dettaglio: (i) il titolare deve usare le tecniche di riferibilità ed i relativi codici conformemente al contratto quadro, deve costudirle e deve comunicare non appena ne viene a conoscenza il fatto che ha provocato l’uso indebito (perdita dei codici) o l’uso indebito (ci si accorge dell’uso dei codici scelti); ed (ii) il prestatore/emittente deve assicurare
39 Locuzione che appare appropriata agli usi on line, qui preferita perché meno equivoca del linguaggio legislativo dove si discorre di “consenso” ed “autorizzazione” (i riferimenti normativi sono nella nota immediatamente successiva): in realtà, per l’integrazione della “riferibilità” del pagamento è sufficiente la non contestazione del titolare dell’avvio del procedimento. 40 Per i precetti, scomposti nel testo, si vedano gli artt. 5, 7, 8 e 12 d.lgs. n. 11/2010. 41 Ne deriva il tendenziale divieto di circolazione degli strumenti di pagamento “diversi”. Circolazione ipotizzabile, invece, per gli strumenti anonimi (ad esempio la “scheda” di ricarica per telefoni mobili attivabile da chiunque si trovi in una materiale relazione con essa).
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l’inaccessibilità (fin dalla loro predisposizione42) a terzi dei dispositivi personalizzati necessari per l’utilizzo dello strumento, apprestando adeguate modalità per consentire al titolare di effettuare la comunicazione sull’uso indebito, alla prova della quale lo stesso prestatore deve collaborare43; e, conseguentemente, il prestatore/emittente deve impedire utilizzi successivi a tale comunicazione (il c.d. blocco)44. B) Ne consegue una ripartizione dei rischi per l’uso indebito così articolata. B’) La condotta fraudolenta o il dolo e la colpa grave nell’uso da parte del titolare alloca su questo l’integrale rischio da uso indebito. E, per quanto qui interessa, nell’uso indebito, proprio perché connesso alla (non) “riferibilità”, devono comprendersi non solo le ipotesi della “clonazione” dello strumento di pagamento45 ma anche (i) il c.d. man-in-the-browser, con cui il debitore si viene a trovare di fronte ad una pagina digitale del tutto identica46 a quella che si “aprirebbe” nel caso di pagamento al “legittimo” creditore; (ii) il contiguo (e per certi versi simmetrico) c.d. furto di identità digitale, dove è il debitore ad essere “illegittimo” avendo qualcuno creato un alter ego virtuale del debitore “legittimo”; ed (iii) il c.d. phishing, quando si viene indotti, normalmente con una e-mail, a rivelare le tecniche di riferibilità. Tutte anomalie, tipiche dei pagamenti on line, che possono generare un avvio “non riferibile” del procedimento, la cui imputabilità per colpa (almeno grave) al titolare deve verificarsi caso per caso: sicché, esemplarmente, mentre nel c.d. phishing sembra, nell’oggi, agevole accreditare di colpa (grave) chi risponda alla e-mail rilasciando i codici47; viceversa, molto più difficile appare ravvisare quella colpa nel c.d. man-
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Del rischio del rilascio (sotto forma, spesso, di invio postale) dello strumento di pagamento e dei relativi codici o tecniche per la scelta dei codici è gravato il prestatore/ emittente. 43 Fornendo i «mezzi» per i 18 mesi successivi. 44 Sull’onere della prova, v. ultra, § 5.3. e nt. 69. 45 Una conferma si trae da Collegio di coordinamento dell’ ABF, n. 3947/2014. E pure gli assegni circolari possono essere “clonati”: ABF, n. 10110/2016. 46 Salvo marginali, impercettibili difformità. E vedi, infatti, quanto si dirà tra un attimo nel testo. 47 Cfr. ABF, n. 9177/2016, ABF, n. 9322/2016, ABF, n. 9343/2016, ABF, n. 9409/2016. Si tratta, infatti, di un fenomeno «ormai del tutto noto con l’effetto che qualunque utente dotato di normale avvedutezza e prudenza è in grado di non farsi trarre in inganno anche per il risalto che viene dato al fenomeno in tutti i siti degli intermediari»: ABF, n. 10306/2016.
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in-the-browser, dove la differenza rispetto alla pagina digitale riferibile al creditore “legittimo” è spesso racchiusa in un dettaglio non facilmente percepibile48. B’’) La comunicazione dell’uso indebito esonera integralmente del relativo rischio il titolare per gli utilizzi successivi, salvo condotte fraudolente; per gli utilizzi precedenti, invece, la conteggiabilità sul titolare è limitata ad una soglia49, purché non versi in dolo e colpa grave ed abbia adempiuto gli obblighi di custodia50. Epperò il rischio da uso indebito grava integralmente sul prestatore/emittente qualora non abbia predisposto gli strumenti idonei a garantire tale comunicazione, purché, more solito, non si diano condotte fraudolente. Ora, è evidente che nella valutazione degli stati soggettivi del titolare non può che essere rilevante la “sicurezza” delle tecniche di riferibilità previste dal prestatore/emittente: tanto più è tecnicamente “sicuro” il procedimento – cioè inaccessibile a terzi e vigilato (si pensi al servizio c.d. sms alert con il quale dell’avvio del procedimento il titolare è allertato con un c.d. sms51)
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Sul punto si legga ABF, n. 822/2014 e relazione ABF 5/2014, p. 74. Euro 150. Per una applicazione ad un caso di comportamento non gravemente negligente del titolare, v. ABF, n. 9120/2016. Parrebbe prescindere da ogni stato soggettivo ABF, n. 568/2017. 50 In caso di «furto, il titolare, contrattualmente tenuto a comunicare per iscritto quanto avvenuto, è responsabile per ogni conseguenza dannosa causata dall’illecito o dall’indebito uso della carta di credito a seguito del furto fino al momento della comunicazione» al prestatore/emittente; e questo perché il titolare «è obbligato a provvedere alla sua custodia, sia in funzione del corretto esercizio dei diritti di utilizzazione della stessa, sia per evitare ogni suo illecito impiego»: Trib. Palermo, Sez. spec. impr., 22 ottobre 2014, n. 5057, in Banca dati De Jure. 51 Tra le varie, si legga, per esempio, ABF, n. 4710/2015, ove si richiama il «Provvedimento Banca d’Italia del 5 luglio 2011, “Attuazione del Titolo II del Decreto legislativo n. 11 del 27 gennaio 2010 relativo ai servizi di pagamento”, il cui allegato tecnico, fra i requisiti degli strumenti “a maggior sicurezza”, annovera le metodologie di autenticazione multifattore (o “forte”)», ora prevista dalla direttiva (UE) 2015/2366; concludendo che «il metodo di autenticazione monofattore (….) non può (….) reputarsi soddisfacente», la condotta dell’emittente non essendo stata «improntata al rispetto degli standard regolamentari attualmente vigenti». Coerentemente, le «caratteristiche di sicurezza» possono «ridurre le responsabilità massime» da uso indebito: art. 12, co. 3, d.lgs. n. 11/2010. V. anche ABF, n. 9601/2016, per un caso di protezione ritenuta insufficiente perché fondata su un password statica; in senso analogo, ABF, n. 9767/2016. E rientra, secondo ABF, n. 11126/2016, «nei parametri attesi di diligenza (…) un meccanismo automatico di sicurezza tale che, trascorsi un certo numero di minuti d’inattività (e cioè senza effettuazione di operazioni o richiesta di informazioni) il collegamento si interrompa automaticamente e l’utente venga rimandato all’home page del sito, con 49
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– tanto più è possibile ipotizzare una qualche colpa52 del titolare nell’uso indebito53. Ipotizzare e provare, però, rifuggendo, come sempre si dovrebbe in assenza di una disposizione di rango primario, ipotesi di responsabilità c.d. oggettiva; responsabilità da rifuggire, simmetricamente, in ordine alla predisposizione della “sicurezza” del procedimento e, più in generale, a qualunque comportamento degli “attori” del procedimento di pagamento. Tanto più considerando che, nel contesto normativo, non solo della responsabilità c.d. oggettiva difettano disposizioni espresse; ma, soprattutto ed all’opposto, di espresso vi sono limiti generali applicabili, in funzione esimente, ad ogni ipotesi di allocazione del rischio e su tutti gli “attori” del procedimento54. B’’’) Sebbene il regime previsto dal d.lgs. n. 11/2010 di allocazione del
la necessità di procedere nuovamente con il login. La mancanza di tale protocollo di sicurezza» costituisce un inadempimento del prestatore «ai suoi obblighi di predisporre un adeguato sistema di presidi di sicurezza quanto ai tempi del collegamento di home banking». 52 La colpa grave è definita quale «violazione di quel grado minimo ed elementare di diligenza generalmente osservato anche dalle persone “ordinariamente trascurate”», relazione ABF 3/2012, p. 71. Richiama, specificamente nei pagamenti a mezzo carta di credito, la «giurisprudenza di legittimità secondo cui la stessa consiste in “un comportamento consapevole dell’agente che, senza volontà di arrecare danno agli altri, operi con straordinaria e inescusabile imprudenza o negligenza, omettendo di osservare non solo la diligenza media del buon padre di famiglia, ma anche quel grado minimo ed elementare di diligenza generalmente osservato da tutti”», Trib. Firenze, 19 gennaio 2016, in Banca dati De Jure. 53 Nulla esclude, ovviamente, un concorso di responsabilità, del titolare e del prestatore/emittente nell’approntamento e nell’efficienza dei dispositivi. Decidendo su un prelievo indebito di contante (il servizio c.d. Bancomat), per Cass., 19 gennaio 2016, n. 806, in Banca dati De Jure, si deve «valutare se il comportamento [del prestatore/ emittente] sia in ordine al riscontrato difetto di manutenzione e custodia, sia in ordine alla condotta accertata del responsabile presente nella sede della medesima, sia in ordine al prelievo largamente eccedente il plafond giornaliero possano integrare il difetto di diligenza e art. 1176 c.c., comma 2, anche a fronte del comportamento non osservante dell’obbligo contrattuale di non favorire la lettura del PIN e di provvedere al blocco immediato» (enfasi aggiunta); percorso argomentativo ritenuto «coerente con i principi affermati dall’ABF», relazione ABF 7/2016, p. 150. Specularmente, però, «l’intempestività della denuncia» da parte del titolare non esonera da responsabilità il prestatore/emittente in ordine alla adozione «delle misure necessarie a garantire la sicurezza del servizio [nella specie Bancomat] da eventuali manomissioni», Cass., 4 agosto 2016, n. 16333, in Banca dati De Jure. 54 Il caso fortuito, la forza maggiore e l’adempimento di obblighi di legge: art. 28 d.lgs. n. 11/2010.
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rischio riguardi il rapporto tra prestatore/emittente e titolare dello strumento di pagamento, restando muto o quasi sull’allocazione del rischio tra prestatore/emittente ed esercente/creditore, si deve ritenere che su quest’ultimo sussista un obbligo di “uso conforme” al contratto quadro dello strumento di pagamento, l’inadempimento (se almeno colposo) del quale dovrebbe comportare la sopportazione del rischio55: dunque, il beneficiario non può colpevolmente disinteressarsi di chi attiva il procedimento se di tale attivazione può essere consapevole56. Negli usi on line, tuttavia, non v’è dubbio che l’attivazione del procedimento resta, per l’esercente/creditore, anonima: la verifica sull’identificazione dell’avente diritto è automatica ed istantanea, coincidendo con la recezione delle informazioni (i codici di riferibilità) inviate da chi avvia il procedimento e di volta in volta narrate e trasmesse. L’esercente/creditore, in realtà, non può verificare la legittimità (lato sensu) di chi narra e trasmette i codici o di chi è intestatario dello strumento di pagamento57. Ciò nondimeno, non può escludersi che sull’esercente/ creditore on line gravi, in concorso (ed in via gradata) con il prestatore/ emittente, un obbligo sulla selezione delle tecniche di riferibilità e del veicolo di trasmissione, cooperando con quest’ultimo58; neppure potendosi
55 Giacché l’art. 7 d.lgs. n. 11/2010 [e segnatamente il primo comma, lett. a)] deve ritenersi applicabile anche all’esercente/creditore in quanto «utilizzatore». V. ultra, nt. 88. 56 Nel pagamento con carta di credito presso l’esercente/creditore, sintomatica è la difformità di genere tra il titolare della carta e chi, in quel momento, usa la carta, sottoscrivendo la nota spesa o digitando il c.d. P.I.N. 57 Non dissimili sono i ragionamenti della giurisprudenza per delineare la distribuzione della responsabilità nel rapporto tra prestatore/emittente ed esercente/ creditore. In questi sensi, è stato ritenuto, proprio in un’ipotesi di pagamenti on line, «irrilevante il fatto che [l’esercente/creditore] abbia registrato le transazioni solo dopo aver ottenuto l’autorizzazione [del prestatore/emittente], in quanto l’autorizzazione riguardava la validità della carta di credito, ma non implicava la valutazione preventiva della legittimità del suo utilizzo, non prevista nel contratto come onere a carico» del prestatore/emittente, Trib. Milano Sez. VI, 2 maggio 2013, in Banca dati Pluris. Si tratta di un principio che è stato predicato anche nel rapporto tra titolare e prestatore/emittente, ricostruito in termini di mandato, osservando che quest’ultimo non si trova «per le caratteristiche della dinamica insita nel pagamento mercè carta di credito, nella condizione di effettuare controlli, se non formali, in ordine alla effettiva legittimazione, in capo a colui che risulta mandante di operazioni di pagamento, a disporle»; di conseguenza, il prestatore/emittente adempie ai propri «obblighi di controllo formale (…) alla luce dell’esistenza di sottoscrizioni, in calce agli atti autorizzativi dei pagamenti, del tutto analoghe (…) a quella che connotava il precitato strumento di pagamento», App. Milano, 15 febbraio 2016, in Banca dati Pluris. 58 Può segnalarsi ABF, n. 805/2014, secondo cui gli «acquisti via internet mediante
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escludere una (pur sempre) concorrente responsabilità di chi presta il servizio on line (Internet provider), nei (ristretti) limiti previsti dalla disciplina vigente59. C) Regole pattizie, nei contratti quadro, possono alterare il regime giuridico appena passato in rassegna: alterazione, però, necessariamente limitata dal diritto scritto60. D) Altra questione, ben distinta dalla “riferibilità” e, pertanto, dall’uso indebito dello strumento di pagamento è la correttezza delle movimentazioni sui “conti” conseguenti all’utilizzo, che si dirigono nei rapporti “tra” prestatori di servizi di pagamento (del debitore e del creditore); questione qui trascurabile non presentando connotati specifici nei pagamenti on line61. Il quadro delineato è destinato a progredire con l’attuazione della direttiva (UE) 2015/2366, nella quale la “riferibilità” si rafforza sulla «autenticazione forte»62, alla quale sono tenuti i prestatori quando il de-
la comunicazione dei dati di una carta di credito che non può essere materialmente presentata al venditore comportano un inevitabile margine di rischio di subire frodi. Nei rapporti tra l’esercente un’attività commerciale e l’intermediario emittente una carta di credito, l’allocazione di tale rischio è affidata al contratto intercorso tra queste due parti». 59 Artt. 14 – 17 d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70. 60 Ne è esempio, nei contratti quadro tra esercente/creditore e prestatore/emittente, la clausola che titola questo a riaddebitare al primo l’importo contestato dal titolare della carta (il c.d. chargeback), la legittimità della quale non può che presupporre l’inadempimento degli obblighi di “uso conforme” dello strumento di pagamento; a meno di non voler cedere ad allocazioni di responsabilità c.d. oggettiva. Negli stessi sensi, la rilevanza degli stati soggettivi è stata ritenuta – con decisione sottratta ratione temporis all’efficacia del diritto scritto – elemento co-essenziale alla legittimità della clausola che addossi al debitore che agisca siccome consumatore il rischio da uso indebito: dovendosi riconoscere «uno spazio logico tra l’assenza di colpa da parte dell’utilizzatore, l’esistenza di una colpa non grave che comporta una sua responsabilità limitata nel massimale previsto e la sussistenza della colpa grave cui consegue la piena sua responsabilità; in caso contrario verrebbe allocato illegittimamente in capo al consumatore il rischio in relazione anche ad eventi a lui non ascrivibili ed, al limite, anche alle violazioni contrattuali compiute dall’istituto emittente», da Trib. Treviso, 10 ottobre 2011, in Banca dati Pluris; imponendo, pertanto, una disciplina pattizia sostanzialmente consimile a quella (di là a venire) legale. 61 La disposizione di riferimento è l’art. 25 d.lgs. n. 11/2010. 62 Art. 4, § 30. Si leggano anche gli Orientamenti finali sulla sicurezza dei pagamenti via internet emanati dall’European Banking Authority (GL/2014/12); nonché, per i profili tecnici, il Discussion paper (DP/2015/03) on future Draft Regulatory Technical Standards on strong costumer authentication and secure communication under the revised Payment Services Directive (PSD2).
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bitore opera (sostanzialmente) on line (accedendo ad un suo conto o disponendo un pagamento). Tale autenticazione forte deve combinare, in modo indipendente, due o più elementi (conoscenza: qualcosa che solo il titolare conosce; possesso: qualcosa che solo il titolare possiede; ed inerenza: qualcosa che caratterizza il titolare); e quando il pagamento è «a distanza» deve comprendere elementi che colleghino in maniera “dinamica” l’operazione ad uno specifico importo e beneficiario63. L’inadempimento di tale obbligo esonera (sempre salvo frode) il debitore da ogni rischio ed il beneficiario o il suo prestatore che non hanno accettato l’autenticazione forte devono rimborsare il danno causato al prestatore/emittente64. 5.2. (Segue) La rifiutabilità del pagamento e la liberazione del debitore. Poco v’è da segnalare sul problema della rifiutabilità del pagamento e sulla liberazione del debitore: sia perché la rifiutabilità di pagamenti con strumenti “diversi” dalla consegna del numerario non è predicabile (quantomeno) in tutti i casi nei quali l’uso dello strumento di pagamento “diverso” è imposto dall’ordinamento65; sia perché nei pagamenti conseguenti all’esecuzione di contratti a distanza in cui sia parte un consumatore, sul “sito di commercio elettronico” devono essere indicati, «in modo chiaro e leggibile (…) quali mezzi di pagamento sono accettati»66; di talché, se ammesso il pagamento on line, il rifiuto si apprezzerebbe non jure perché in contrasto con una disposizione mediatamente legale ma immediatamente convenzionale. Rispetto, poi, alla liberazione del debitore, al di là della circostanza che la movimentazione dei “conti” è, quando on line, sostanzialmente immediata, indici normativi sulla irrevocabilità dell’avvio del procedimento di pagamento (ricevuto dal prestatore ed immesso nel “sistema”) potrebbero rendere plausibile un’interpretazione che liberi il debitore divenuto irrevocabile l’avvio del procedimento di pagamento67.
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Art. 97. Art. 74. 65 Dunque: per le obbligazioni pecuniarie di importo superiore a 3.000 euro (supra, nt. 20) e per i pagamenti previsti dall’art. 15, co. 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in l. 17 dicembre 2012, n. 221. 66 Art. 51, co. 3, cod. cons. 67 Trattandosi di soluzione, per diritto scritto e sul piano dell’assetto di interessi, equivalente alle obbligazioni pecuniarie di importo superiore a 3.000 euro. 64
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5.3. (Segue) La prova del pagamento. Passando alle prove dei fatti e dei comportamenti nel procedimento, il regime legale: (i) alloca sul prestatore/emittente l’onere probatorio della autenticazione, corretta registrazione e contabilizzazione del procedimento e della mancanza di malfunzionamenti o altri inconvenienti nell’esecuzione; e (ii) per converso, rende l’uso, di per sé, neutro sulla prova della “riferibilità” al, o della condotta (almeno in colpa grave) inadempiente del, titolare68. Applicandosi, per quanto non espressamente disciplinato, le regole di diritto comune sull’onere dalla prova69. Tra gli elementi che possono rilevare quale prova del procedimento di pagamento – e specificamente on line – a diritto vigente70, una specifica rilevanza è da concedersi, nei rapporti tra debitore ed esercente/ creditore, al riscontro dell’ordine del consumatore in caso di commercio elettronico71, almeno in tutti i casi in cui l’ordine del consumatore si risolva direttamente nel pagamento. D’altra parte, come dimostra l’argomentazione di numerose decisioni dell’ABF, di ampio utilizzo, soprattutto ai fini degli stati soggettivi delle condotte, sono le presunzioni semplici, sempreché gravi precise e concordanti, pure essendo rilevanti criteri legali attinti aliunde72. Il valore probatorio resta governato dal diritto comune, almeno finché le tecniche di “riferibilità” non siano rese equivalenti alle firme elettroniche nelle diverse intensità previste dall’ordinamento. Ne consegue che: (i) nei rapporti “tra” prestatori (del debitore e del creditore) la documentazione delle movimentazioni si apprezza quale scrittura tra imprese,
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Art. 10 d.lgs. n. 11/2010. Quindi, per l’obbligazione di procedere, dopo la comunicazione dell’uso indebito della carta di credito, al “tempestivo” c.d. blocco la prova del diligente adempimento grava, secondo i principi sulla responsabilità contrattuale, sull’emittente: Trib. Salerno, sez. I, 9 maggio 2014, in Banca dati Pluris; Trib. Lucca, 22 aprile 2016, n. 875, in Banca dati De Jure. V. anche ultra, nt. 92. 70 Nella direttiva (UE) 2015/2366 centrale, in questi pagamenti, è l’obbligo di autenticazione forte imputando il pagamento ad un importo e ad un beneficiario: v. supra, § 5.1. 71 Art. 13, co. 2, d.lgs. n. 70/2003. 72 Si legga, per tutti, la relazione ABF 5/2014, p. 85 s., ove anche il riferimento alle ipotesi di frode informatica previste dall’art. 8 d.m. 30 aprile 2007, n. 112. Cfr. anche ABF n. 9900/2016, l’uso del criterio dell’«elevato grado di probabilità»; nonché ABF, n. 9975/2016 cit. in cui sostanzialmente dall’utilizzo di adeguati sistemi di protezione (cc. dd. a due o più fattori) si inferisce la colpa grave del titolare. 69
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su supporto informatico o non; e (ii) nei rapporti tra debitore e proprio prestatore, viceversa, il primo è esonerato dalla prova specifica sull’uso indebito: la contestazione del quale uso non può essere paralizzata dalla “registrazione” documentale dell’ordine di pagamento indebitamente impartito e/o pervenuto, “registrazione” che, d’altronde, neppure può provare, di per sé, gli stati soggettivi (esclusa la colpa lieve) del debitore medesimo. Insomma: le registrazioni (lato sensu) alle quali il prestatore è tenuto possono essere superate da prove (di qualunque tipo) del debitore: prove soggette al diritto comune. Si tratta di un regime, se non si vede male ed almeno rispetto alla irrilevanza dell’uso dello strumento di pagamento73, suscettibile di applicazione nei rapporti tra esercente/creditore e (proprio) prestatore ed anche in quelli tra esercente/creditore e prestatore/emittente74. Specifico connotato probatorio, concludendo, è assunto dalle informazioni sulle singole operazioni di pagamento effettuate che il prestatore deve rendere al debitore e al creditore secondo la disciplina sulla c.d. trasparenza75: in forma cartacea o su altro “supporto durevole” concordato preventivamente76; contenuto informativo che, per l’esercente/ creditore ed in caso di pagamento con la carta, si completa in ragione del monitoraggio delle commissioni del servizio77. Documentazione, l’una e l’altra, non sottratta, allo stato, alle regole di diritto comune sulle scritture private. 5.4. (Segue) I vizi del rapporto di scambio. La soppressione dell’immediatezza ed il coinvolgimento di terzi nel pagamento generano, da ultimo, un intuitivo problema sulla reazione
73 Ma forse anche rispetto alla contestazione sulla corretta esecuzione del servizio: art. 10, co. 1, d.lgs. n. 11/2010. 74 E v. ancora ultra, nt. 88. Certamente rende l’uso, di per sé, neutro sulla prova della “riferibilità” al, o della condotta (almeno in colpa grave) inadempiente del, titolare. Sull’uso da parte del prestatore del c.d. giornale di fondo, ABF, n. 9975/2016. 75 Supra, § 5. 76 Cioè: «qualsiasi strumento che permetta al cliente di memorizzare informazioni a lui personalmente dirette in modo che possano essere agevolmente recuperate durante un periodo di tempo adeguato ai fini cui sono destinate le informazioni stesse e che consenta la riproduzione immutata delle informazioni memorizzate», Banca d’Italia, Trasparenza, cit., Sezione I, § 3, p. 8. 77 Si veda il Reg. (UE) 2015/751.
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sul procedimento di pagamento dei vizi del fatto costitutivo dell’obbligazione pecuniaria tra solvens ed accipiens: se, vuol dirsi, il prestatore del servizio di pagamento del primo sia tenuto o non ad interrompere il procedimento avviato (possibilità consentita proprio dalla scomposizione in fasi pre-ordinate) qualora conosca o debba conoscere i vizi del – per antonomasia – contratto di scambio. La complessità teorica della questione è temperata dalla circostanza che la disciplina legale obbliga il prestatore di servizi di pagamento del debitore ad accreditare o a mettere a disposizione del creditore il quantum dovuto entro termini brevissimi78, rendendo le fasi quasi sincroniche. Il problema è ulteriormente semplificato, da un punto di vista operativo e nei contratti a distanza conclusi da consumatori, dal diritto di recesso79, obbligando il venditore alla restituzione del prezzo con gli stessi strumenti di pagamento utilizzati dal consumatore80. 6. Conclusioni: a) il pagamento del consumatore; b) la moneta elettronica ed il bit coin; c) la persistente utilità del codice civile. Tre battute conclusive. a) Quando ad utilizzare lo strumento di pagamento sia un debitore che agisca siccome consumatore, la disciplina legale del d.lgs. n. 11/2010 si arricchisce mobilitando, come s’è visto, le regole raccolte nel codice del consumo. Regole, invero, talora sovrapponibili ed altre volte da coordinare con quella81.
78 La fine della giornata operativa successiva all’avvio del procedimento: art. 20 d.lgs. n. 11/2010. 79 Art. 52 cod. cons. 80 Salvo patto contrario: art. 56 cod. cons. 81 Si allude all’obbligo del prestatore/emittente una «carta di pagamento» o uno «strumento di pagamento» di riaccreditare al consumatore i pagamenti in eccedenza rispetto al prezzo pattuito, in caso di uso fraudolento o comunque non autorizzato con diritto di addebito al professionista: artt. 62, co. 2, e 67-quaterdecies, co. 2 e 3, cod. cons., nella versione oggi vigente e conseguente all’attuazione, con d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, della direttiva (UE) 2011/83. Sono due disposizioni riferite, quella, ai contratti conclusi dal consumatore (indipendentemente dalla modalità di conclusione e dal suo oggetto), sebbene, nella versione originaria (introdotta dall’art. 8 d.lgs. 22 maggio 1999, n. 185 in attuazione della direttiva 97/7/CE e trasfusa quasi immutata nell’art. 56 cod. cons. pre-vigente) fosse confinata ai contratti a distanza (da ultimo, Cass., 7 aprile 2016, n. 6751, in Banca dati De Jure; e, per un caso di applicazione ai pagamenti on line, v. Trib. Milano, 2 maggio 2013 cit.); questa, al pagamento dei «servizi finanziari offerti a distanza». Difformità testuali disallineano le due disposizioni, specificamente sull’intensità dell’onere della prova dell’eccedenza o dell’uso
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E si arricchisce anche, quando l’addebito sul conto del consumatore non sia istantaneo (tipicamente nei pagamenti, on line o non, con carta di credito), lo spatium temporis tra l’avvio del procedimento e l’addebito a certe condizioni (nelle carte c.d. revolving) potendo qualificarsi quale «credito ai consumatori», soggetto alla pertinente disciplina82 che, per riprendere quando poco fa cennato nel § 5.4, titola l’opponibilità dell’inadempimento del contratto di scambio nel rapporto creditizio83. b) Su un diverso piano, rispetto ai pagamenti on line, sono da collocare la moneta elettronica ed il bit coin. La prima, dotata di uno statuto normativo, costituisce più che uno (strumento di pagamento “diverso”) una res elettronica qualificata ad emissione riservata84 che funge da numerario, oggetto, quindi, sempre di uno scambio (ma) elettronico e che, d’altronde, è comunque giuridicamente connessa al numerario (secondo un quantum memorizzato elettronicamente); essendo attribuito il «diritto di credito» al suo detentore nei confronti dell’emittente ed il diritto al rimborso «(...) in ogni momento (…) al valore nominale»85. Il secondo, il bit coin, è una tecnica che sopprime res ed intermediazione, tanto nello scambio quanto nell’emissione, l’una e l’altra sostituite da una immediatezza “virtuale”, accedendo ad un sistema a regolamentazione pattizia, la moneta risolvendosi nella condivisione, spontanea ed “aperta”86, di una formula matematica che determina l’unità di misura, il cui prezzo varia in ragione del numero degli scambi nel quale è utilizzata, per movimentare, senza intermediazioni, quantum di unità da un
indebito (lato sensu), soltanto nella seconda essendo espressamente previsto che sia il consumatore a “dimostrare” quelle anomalie (art. 67-quaterdecies, co. 2°, cod. cons.); verbo, questo, utilizzato anche nei contratti a distanza nel diritto pre-vigente all’attuazione della direttiva (UE) 2011/83. Ciò nonostante, la disciplina applicabile sulla ripartizione dell’onere della prova non sembra doversi differenziare e dovrebbe attingere alle regole sui servizi di pagamento di cui al d.lgs. n. 11/2010, considerando che: (i) la direttiva 2007/64/CE (agli artt. 89 e 90 n. 2) abroga i referenti comunitari degli articoli in questione (l’art. 56 – ora art. 62, co. 2 – e l’art. 67-quaterdecies, co. 2, cod. cons.); (ii) nulla, sul punto ed in relazione ai contratti diversi dalla offerta «a distanza di servizi finanziari», introduce la direttiva (UE) 2011/83; e (iii) il regime probatorio dei pagamenti nei «servizi finanziari offerti a distanza» (art. 67-quaterdecies, co. 3, cod. cons.) è largamente coincidente con quello previsto dal d.lgs. n. 11/2010. 82 Artt. 121 ss. t.u.b. 83 Art. 125-quinquies t.u.b. 84 Le banche e gli istituti di moneta elettronica: art. 114-bis, co. 1, t.u.b. 85 Artt. 1, co. 2, lett. h-ter), e 114-ter t.u.b. 86 Quale assenza di barriere all’accesso.
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aderente ad un altro ai fini dell’adempimento dell’obbligazione ex pretio. Si prescinde da qualunque rappresentazione o movimentazione di moneta avente corso legale essendo, appunto, il “corso”, la qualificazione non “legale” ma solo pattizia, frutto di una convenzione (nella forma dell’adesione ad un sistema “aperto” e poi elettronico) tra i partecipanti. Manca, insomma, il riconoscimento della moneta da parte di un terzo, essendo il bit coin destinatario di un potere di acquisto pattiziamente (ma non arbitrariamente) riconosciuto e, così, opponibile e “consumabile” solo tra chi pattiziamente lo riconosce: l’Autorità della “qualificazione” è pattizia, rendendo evidente la rilevanza della “percezione” dell’affidabilità della funzione solutoria del sistema; e legittimando una ricostruzione del pagamento con bit coin quale datio in solutum tra aderenti ad un contratto plurilaterale normativo87. c) Fin qui, lo si è detto più volte, alcuna proposta ricostruttiva del pagamento con strumenti “diversi” s’è avanzata. Ricostruzioni che avrebbero dovuto fondarsi su regole rinvenibili nel codice civile, essendo quelle di settore essenzialmente, sul punto, “mute” e strutturate su discipline applicabili a combinazioni di definizioni88: inquadrando, ad esempio, il pagamento con carta di credito nella delegazione di pagamento89 o nella cessione del credito o, ancora, in un accollo privativo. Si potrebbe quindi pensare che il codice civile, nei pagamenti e massimamente nei pagamenti on line, non svolga ruolo alcuno. Così, però, non è: perché, nonostante la regolamentazione legale dei servizi e sistemi di pagamento in vigore oggi e domani (dal 2018), zone prive di regole scritte restano. Non solo perché quelle regole sono in principio disapplicate in
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Del suggerimento ricostruttivo sono debitore al Prof. Paolo Spada che, ora come in tante altre occasioni, mi ha orientato e che, una volta in più, ringrazio. 88 La fattispecie, in tali casi, è polverizzata e destrutturata, componendosi di una pluralità di definizioni, assomigliando ad un puzzle da ricostruire, secondo i significati delle parole fissati nella singola normativa da applicare e così rilevanti solo in quella normativa. E talvolta il puzzle è ancora più complicato, ad una definizione corrispondendo due soggetti nella fattispecie concreta normalmente “contrapposti”: è il caso della locuzione «utilizzatore di servizi di pagamento» o «utilizzatore» che, secondo il testo legale, designa «il soggetto che utilizza un servizio di pagamento in veste di pagatore o beneficiario o di entrambi» [art. 1, lett. h), d.lgs. n. 11/2010]; complessità dalla quale potrebbero derivare ambiguità gravi: come quella di non considerare tenuto all’obbligo di uso conforme al contratto quadro dello strumento di pagamento l’esercente/creditore, contrariamente a quanto ricavabile dall’art. 7 d.lgs. n. 11/2010; o come quella di non applicare il regime legale della prova nei rapporti tra prestatore ed esercente/creditore, predicato, viceversa, dall’art. 10 d.lgs. n. 11/2010. 89 Così, di recente, App. Milano, 15 febbraio 2016 cit., e ABF, n. 9178/2016.
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taluni ipotesi90. Ma anche perché non tutto quelle regole risolvono: così, sempre esemplificando, in ordine al problema della liberatorità del pagamento trattato al § 5.2, alla soluzione del quale certamente utile è la riconduzione dell’operazione ad una delegazione di pagamento pre-accettata dal delegato. E, soprattutto, tornando al rischio da uso indebito di cui s’è discusso al § 5.1, resta priva di soluzione scritta la sua allocazione almeno in caso di titolare “incolpevole” o di esercente/creditore “incolpevole”. In difetto di una disciplina pattizia91 e se non si vuole ricorrere ad ipotesi normativamente (se non altro) incerte di responsabilità c.d. oggettiva, si dovrebbe ricostruire l’operazione avviata dal singolo strumento di pagamento secondo il diritto comune, attingendo, appunto, al codice civile: anche perché, sul piano sostanziale, tutti gli “attori” del procedimento hanno un interesse ad avvalersi di quella modalità di pagamento, titolare/debitore, esercente/creditore ed emittente/prestatore, interesse, grosso modo, a “semplificare il consumo”, ad “intercettare nuovi clienti” ed a “produrre professionalmente un servizio”. E scegliere quale sacrificare invocando questo o quel valore – riferendosi, per esempio, al “rischio di impresa” che, peraltro appare, in termini assoluti, condiviso tra esercente/creditore e prestatore/emittente – risulta pericolosamente a rischio di arbitrio92.
Maurizio Onza 90 Agli strumenti di pagamento cc.dd. a spendibilità limitata [art. 2, co. 2, lett. m), d.lgs. n. 11/2010 e Banca d’Italia, Trasparenza, cit., Sezione VI, § 3.1, nt. 1, p. 38]. Nonché ai casi, marginali, già oggi [art. 2, co. 2, lett. m), d.lgs. n. 11/2010] e ancor più domani [art. 3, lett. l), direttiva (UE) 2015/2366], di alcuni pagamenti con dispositivi di telecomunicazioni digitali o informatici, essenzialmente suonerie e simili [cc.dd. «micropagamenti» direttiva (UE) 2015/2366, considerando 15 e 16]. 91 Ipotesi rara ma non di scuola: ABF, n. 883/2013. 92 Si possono ricordare le soluzioni opposte, per l’uso indebito di carta di credito, di Trib. Firenze, 19 gennaio 2016, cit., e di Trib. Milano, 2 maggio 2013, cit. Secondo il primo, detratto l’importo soglia, «l’obbligo di rimborso [al titolare] non può che gravare sull’ente emittente (…) soggetto su cui in ultima analisi deve ricadere l’onere economico conseguente agli indebiti utilizzi»; la decisione, tuttavia, non esclude una responsabilità del gestore del conto sul quale transitavano le movimentazioni attivate dall’uso della carta (la “banca”), «per non aver rilevato la anomalia delle operazioni in contestazione» stante, nel caso concreto, «frequenza ed entità» dell’uso (poi rivelatosi indebito) distoniche con l’uso «del tutto saltuario» da parte del titolare; usi, frequenti ed per importi ingenti, che avrebbero «dovuto senz’altro porre sull’avviso la banca sulla necessità di effettuare opportune verifiche, contattando direttamente il titolare»; ciò nonostante, il giudice accoglie la domanda della banca «di manleva nei confronti» del prestatore/emittente, proprio perché l’uso indebito della carta «non può che gravare che sul soggetto emittente, ente che trae, sostanzialmente in via esclusiva, i vantaggi economici legati alla gestione della carta». Diversamente, la seconda sentenza sostiene che la clausola del contratto quadro tra prestatore/emittente ed esercente/creditore che si limiti a riprodurre l’art. 8
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Bibliografia essenziale Sulle obbligazioni pecuniarie restano imprescindibili gli studi di: AscarelObbligazioni pecuniarie, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1968, sub artt. 1277-1284; Di Majo, voce Pagamento (dir. priv.), in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981; Id., voce Obbligazioni pecuniarie, in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979; Id., Adempimento e rischio nei pagamenti pecuniari, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, 29/1993, p. 112 ss.; Inzitari, Delle obbligazioni pecuniarie, in Comm. cod. civ., Scialoja e Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2011, sub artt. 1277-1284. Tra i lavori consultati inoltre devono segnalarsi, tra gli altri, almeno: Aa.Vv., Internet e diritto civile, a cura di Perlingieri e Ruggeri, Napoli, 2015; Alcini, Le frontiere della contrattazione on line, in Jus civile, 2017, p. 67 ss.; Argentati, Commercio on line, nuovi diritti per i consumatori e ruolo dell’autorità amministrativa, in Riv. dir. impr., 2015, p. 21 ss.; Barillà, L’addebito diretto, Milano, 2014; Bartolini, Pagamento con carta di credito e chargeback: l’A.B.F. sul diritto al rimborso del cliente, in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 1586 ss.; Bravo, voce Commercio elettronico, in Enc. dir., Annali V, Milano, 2012; Borruso e Ciacci, Diritto civile e informatica, in Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del Notariato, diretto da Perlingieri, Napoli, 2004; Caggiano, Pagamenti non autorizzati tra responsabilità e restituzioni. Una rilettura del d. legisl. 11/2010 e lo scenario delle nuove tecnologie, in Riv. dir. civ., 2016, p. 459 ss.; Camardi, Delle Obbligazioni, a cura di Cuffaro, in Commentario del Codice civile, diretto da Gabrielli, Torino, 2012, sub art. 1180; Ciraolo, Pagamento fraudolento con carta di credito e ripartizione della responsabilità. Dagli orientamenti attuali alla li,
d.lgs. n. 185/1999 sulla tutela del consumatore nei contratti a distanza (supra, nt. 81) testimonierebbe la volontà delle parti di prevedere che «il rischio oggettivo dell’utilizzo fraudolento della carta di credito, non solo da parte dell’esercente, ma anche di terzi, gravi non già [sul prestatore/emittente], bensì sull’esercente[/creditore], il quale ha il rapporto diretto col cliente [titolare della carta] e si avvantaggia della possibilità di avvalersi del circuito delle carte di credito convenzionate per facilitare l’acquisto dei propri beni da parte dei terzi acquirenti». Giungendosi, allora, ad allocare il rischio sul prestatore/emittente o sull’esercente/creditore a seconda dell’applicazione o meno di regole sulla tutela del consumatore. Neppure pare da rinvenirsi il riconoscimento di una responsabilità c.d. oggettiva nell’iter argomentativo proposto da Cass., 3 febbraio 2017, n. 2950, in Banca dati De Jure, tutto concentrato sul problema della ripartizione dell’onere probatorio, concludendo che «anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (ciò che rappresenta interesse degli stessi operatori), appare del tutto ragionevole ricondurre nell’area del rischio professionale del prestatore di servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici da parte di terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo».
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revisione della PSD, in questa Rivista, 2017, p. 150 ss.; Di Nanni, Gli strumenti di pagamento sul commercio elettronico: verso la scomparsa della moneta cartacea, in Dir. giur., 2007, p. 499 ss.; Depretis, La responsabilità della banca per pagamento illegittimo di bonifico bancario, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, II, p. 192 ss.; De Stasio, Ordine di pagamento non autorizzato e restituzione della moneta, Milano, 2016; Id., Sul momento e sul luogo nel quale il beneficiario di un bonifico bancario acquista la disponibilità della somma oggetto dell’ordine di pagamento dell’ordinante, in Banca, borsa, tit. cred., 2017; II, p. 303 ss.; Dolmetta, Carte di credito e carte di debito, in Enc. giur. Diritto on line, 2015; Eroli, Carte di pagamento tipo “bancomat” e servizi bancari on line (home banking): la responsabilità per le operazioni contestate, in Diritto.it, 9 settembre 2010; Favale, La conclusione del contratto telematico, in Giur. merito, 2013, p. 2553 ss.; Frau, Home bancking, captazione di credenziali di accesso dei clienti tramite phishing e responsabilità della banca, in Resp. civ. prev. soc., 2015, p. 911 ss.; Gentili, voce Documento informatico, in Enc. dir., Annali V, Milano, 2012, p. 629 ss.; Guerrieri, La moneta elettronica. Profili giuridici dei nuovi strumenti di pagamento, Bologna, 2015; Irti, Un diritto incalcolabile, Torino, 2016; Libertini, Brevi note su concorrenza e servizi di pagamento, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, I, p. 181 ss.; Marino, Il pagamento “necessariamente intermediato” dell’obbligazione pecuniaria nella legislazione di derivazione europea: verso il superamento dell’unicità del modello codicistico della traditio pecuniae?, in Giustiziacivile.com, 19 marzo 2015; Maffeis, Ordini di pagamento e di investimento on line nella giurisprudenza di merito e nella fonte persuasiva dinamica dell’ABF, in Riv. dir. civ., 2013, p. 1273 ss.; Marasà, Utilizzo fraudolento di carta bancomat e diligenza professionale della banca, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, p. 396 ss.; Micheli, De Marchi, voce Assegno bancario (dir. priv.), in Enc. dir., III, Milano, 1958; Perfetti, La conclusione del contratto, in Tratt. dir. civ. comm, già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e contiunato da Schlesinger, Milano, 2016; Ruotolo, voce Internet (dir. internazionale), in Enc. dir., Annali VII, Milano, 2014; Santoro, I servizi di pagamento, in IANUS, 6/2012, p. 7 ss.; Spada, Introduzione al diritto dei titoli di credito: documenti circolanti, circolazione intermediata e password3, Torino, 2012; Toma, Strumenti elettronici di pagamento e dematerializzazione delle transazioni, in PMI, 8-9/2016, p. 33 ss.; Troiano, voce Contratto di pagamento, in Enc. dir., Annali V, Milano, 2012; Zucconi Galli Fonseca, L’incontro tra informatica e processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 1185 ss. Infine, per l’approfondimento di alcuni passaggi argomentativi proposti e per gli ulteriori necessari approfondimenti bibliografici, nazionali e non, sia consentito il rinvio a Onza, Estinzione dell’obbligazione pecuniaria e finanziamento dei consumi: il pagamento con la “carta”, Milano, 2013, e Id., voce Trasparenza (dei servizi di pagamento), in Dig. disc. priv., sez. comm., Agg. *******, Milano, 2015.
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Il reato di usura nei contratti di maturity factoring: un caso limite Sommario: 1. Individuazione del maturity factoring. – 2. Il caso esaminato: i crediti vantati dalle cliniche private per le prestazioni svolte in regime di accreditamento. – 3. La eventuale assoggettabilità alla disciplina in tema di usura: la normativa di riferimento. – 4. La soluzione del problema: la esclusione della applicazione delle norme in tema di usura in mancanza dell’elemento dell’anticipazione. – 5. La verifica della soluzione proposta alla luce della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. – 6. Conclusioni.
1. Individuazione del maturity factoring. Il maturity è principalmente un servizio attraverso il quale la società di factoring provvede all’accredito del valore nominale dei crediti oggetto di cessione alla scadenza naturale del credito stesso. Il vantaggio per il fornitore sarebbe quello di disporre con certezza del valore dei propri crediti alla scadenza degli stessi, programmando con precisione la gestione dei propri flussi di cassa. La cessione può essere proposta sia nella forma pro-solvendo che nella forma pro-soluto; in tal caso il rischio dell’insolvenza è a carico del factor. Normalmente il maturity ha ad oggetto crediti non scaduti e in tale ipotesi può prevedere l’anticipazione del corrispettivo anche prima della scadenza naturale dei crediti ceduti, con oneri finanziari a carico del fornitore. Nulla, però, esclude che il fornitore faccia ricorso a tale strumento anche per cedere crediti già scaduti, ma incagliati. Anche in tal caso ricorre l’utilità per il fornitore da un lato di trasferire al factor la gestione e l’incasso del credito, dall’altro di ridurre i costi di incasso, utilizzando la struttura e le competenze del factor. Il maturity è normalmente effettuato su debitori o conosciuti dalla società di factoring, o che rappresentino enti o Stato.
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Proprio per questa ragione e per la funzione che assolve di semplificazione dell’incasso dei crediti e di programmazione dei flussi di entrata, il maturity è frequentemente utilizzato nel settore sanitario dalle cliniche private convenzionate, per cedere al factor i crediti sorti nelle prestazioni eseguite in regime di accreditamento. È noto, infatti, il cronico ritardo con il quale il sistema sanitario nazionale usa far fronte a tali crediti. Tale situazione ha indotto le strutture private a ricorrere sempre più frequentemente al factoring, privilegiando lo strumento del maturity, data la sua flessibilità, per cedere i crediti vantati nei confronti del sistema sanitario, anche scaduti da tempo, e ciò proprio per far fronte alla carenza di liquidità che il loro prolungato mancato pagamento ha comportato.
2. Il caso esaminato: i crediti vantati dalle cliniche private per le prestazioni svolte in regime di accreditamento. Sembrano in particolare potersi ascrivere alla categoria del maturity alcuni schemi negoziali presenti nella prassi del settore, in cui oggetto di cessione alle società di factoring sono crediti di cliniche convenzionate non solo già scaduti e asseverati nella loro esistenza ed esigibilità dalla ASL, ma accompagnati anche da decreti ingiuntivi esecutivi e divenuti definitivi, che in precedenza ha ottenuto il creditore. La cessione avviene pro soluto, ha oggetto crediti già sorti e scaduti, comprende il credito ed i suoi accessori, nonché il rischio di insolvenza del debitore ceduto. Il prezzo di acquisto non è corrispondente al valore nominale del credito ceduto, ma è di poco inferiore (normalmente il suo 90%) e comprende tutti gli interessi già maturati prima della cessione e quelli che matureranno fino all’incasso del crediti, i quali sono trasferiti, unitamente al credito, alla società di factor 1. Altro elemento caratterizzante è il termine di pagamento del corrispettivo della cessione, che non è ancorato all’incasso del credito da parte del cessionario, e quindi a un evento incerto sia nell’an, che nel quantum, ma è a data certa, computato (normalmente cinque giorni lavorativi) dalla notifica della cessione al debitore ceduto.
1 Donde la perdita da parte del fornitore del 10% del valore nominale del suo credito oltre degli interessi già maturati e da maturarsi, che andranno a beneficio del factor, sempre che riesca ad incassarli dal debitore ceduto, ASL.
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Vi è pero anche una seconda tipologia di operazioni, alla quale pure ricorrono le cliniche convenzionate, che si differenzia dalla prima per una maggiore flessibilità dei termini del pagamento del corrispettivo. Questo è sempre stabilito in termini percentuali rispetto al valore nominale del credito ceduto (anche in tal caso mediamente il 90%), ma la sua corresponsione non avviene una sola volta, ma in due tranche: la prima di solito più consistente (circa il 90 % del prezzo pattuito) sempre a data certa, ossia ancorata alla notifica della cessione al debitore ceduto; la seconda, invece, legata all’effettivo incasso del credito, salvo comunque l’obbligo del cessionario di corrispondere il saldo del prezzo qualora il pagamento da parte del debitore non avvenga entro un termine più o meno lungo (normalmente computato ad anni) prestabilito nel contratto. Può indurre il cliente a privilegiare rispetto alla prima, tale secondo tipo di operazione, in cui il pagamento del prezzo della cessione è in qualche modo ancorato, sia pure in parte, all’incasso del credito, l’esclusione dalla cessione degli interessi già maturati e di quelli che matureranno sino al momento del pagamento da parte del debitore ceduto, che restano quindi a beneficio del cliente, sempre che l’adempimento avvenga nel termine contrattualmente previsto. Poiché in tal caso l’attività di riscossione del credito viene svolta dal factor anche nell’interesse del cliente (in quanto all’anticipato pagamento del debitore ceduto è collegato il versamento, prima della scadenza prevista, della seconda rata del corrispettivo pattuito, nonché la corresponsione degli interessi maturati a quella data e versati dal debitore ceduto), per tale attività di incasso è normalmente pattuita una commissione di gestione amministrativa anticipata per mese o frazione di mese pari a una determinata percentuale (normalmente lo 0,55%) del valore nominale del credito ceduto, che il cliente è tenuto a corrispondere fino all’avvenuto pagamento da parte del debitore ceduto e comunque fino al termine previsto per il pagamento del saldo del prezzo. In sintesi con la prima tipologia di operazioni il factor assume il rischio sia del mancato, che del ritardato pagamento del debitore ceduto. Dal momento della cessione il factor acquista il diritto alla riscossione di ogni importo maturato e maturando e con la stipula dell’operazione si chiude anche il rapporto con il cedente e quello tra il medesimo cedente e il debitore ceduto. Infatti, il termine del pagamento del corrispettivo è svincolato dall’incasso del credito, ma è ancorato alla notifica della cessione al debitore ceduto. Il cedente pertanto è del tutto indifferente alle vicende successive legate alla sorte del credito ceduto. Con la seconda tipologia di operazioni il factor assume solo il rischio dell’inadempimento del debitore ceduto. Quello del ritardato pagamento
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rimane almeno in parte a carico del cliente, il quale conserva un interesse relativo al futuro incasso del credito. Infatti all’anticipato pagamento del debitore ceduto è correlato sia il suo diritto a un anticipato (rispetto al termine contrattualmente previsto) versamento del saldo prezzo, sia l’incasso degli interessi maturati a quella data e riscossi dal cessionario. Le due categorie di operazioni, pur differenziandosi per taluni aspetti (modalità di pagamento in un’unica soluzione nella prima ipotesi, in due nell’altra; la corresponsione di una commissione di gestione amministrativa e il riconoscimento al cliente degli interessi riscossi dal debitore ove ciò avvenga entro un certo termine, solo nella seconda tipologia di operazioni), sembrano però nei loro tratti essenziali del tutto omologhe tra loro. Precisamente si tratta sempre di (1) cessioni pro soluto di (2) crediti non performing (3) scaduti e (4) non pagati, (5) acquistati ad un prezzo di poco inferiore rispetto al loro valore nominale, con le quali (6) il cessionario assume interamente il rischio di insolvenza del debitore ceduto e (8) che non danno mai luogo a posizioni debitorie per il cedente, se non in relazione alle commissioni amministrative nella seconda categoria di operazioni. Infatti, non solo la garanzia della solvenza del debitore ceduto è sempre a carico del cessionario, ma le somme versate dal cessionario al cedente prima dell’incasso del credito sono a titolo di pagamento del corrispettivo della cessione, e non di anticipazione (come tale remunerativa di un interesse) in attesa che con l’incasso del credito da parte del cessionario sorga il suo obbligo di versare il prezzo pattuito.
3. La eventuale assoggettabilità alla disciplina in tema di usura: la normativa di riferimento. Così descritto il contenuto delle operazioni, il problema che si pone è se ed in quali termini alle stesse si applichi la normativa in tema di usura. La risoluzione della questione postula un analisi che deve svolgersi a un duplice livello. Il primo livello è volto ad analizzare il contenuto del contratto di factoring, al quale vanno ascritte le operazioni di questo tipo. Il secondo livello è, invece, volto ad approfondire la normativa in materia di usura, con particolare attenzione alle regole di comportamento peculiari agli intermediari in factoring. È noto che il factoring è stato mutuato nel nostro ordinamento dall’esperienza dei paesi anglosassoni e costituisce un contratto che viene co-
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munemente definito come l’accordo mediante il quale un imprenditore (cedente) trasferisce o si impegna a trasferire a titolo oneroso ad una società specializzata (factor) i crediti, presenti e futuri, derivanti dall’esercizio dell’impresa nei confronti della propria clientela. La cessione dei crediti sorti nell’esercizio dell’impresa costituisce, dunque, il fulcro essenziale del contratto. A tale contenuto essenziale se ne aggiunge uno eventuale, in dipendenza delle diverse clausole che vengono inserite dalle parti nel contratto e che di norma impongono in capo al factor una serie di comportamenti funzionali agli interessi che il cliente intende perseguire con la conclusione dell’operazione. In funzione di tali interessi, pertanto, il contratto di factoring può avere diverso contenuto, il che influisce sulla individuazione della causa del contratto che può essere quella di: - un «contratto di scambio», in cui la cessione del credito assumerebbe un ruolo centrale, attuando nella sostanza una vendita dei crediti (prevalenza della causa vendendi); - un «contratto di finanziamento», in cui la cessione del credito svolge una mera funzione accessoria di garanzia della sua restituzione, essendo prevalente l’aspetto dell’anticipazione finanziaria; - un «contratto di mandato», in cui la cessione del credito è puramente strumentale alla volontà di attribuire al factor il compito e la legittimazione ad incassare i debiti dai terzi ceduti (prevalenza della causa mandandi); - un «contratto di assicurazione», che si configura quando il factor acquista crediti pro soluto assumendosi, dunque, il rischio d’insolvenza del debitore ceduto. Questa multiforme configurazione del factoring2 non solo ha indot-
2 Sulla causa del contratto di factoring, in funzione del suo concreto atteggiarsi nelle singole fattispecie negoziali e sui conseguenti problemi applicativi v. in dottrina: Perrone e Lupi, Acquisto di crediti pro soluto tra «servizi finanziari» e trading a rischio e pericolo dell’acquirente: una normativa da contestualizzare, in Dialoghi trib., 2015, p. 175 e ss.; D’oro, Il discrimen tra il factoring e il mandato, Nota a Cass., 3 dicembre 2012, n. 21603, in Giur. it., 2013, p. 1294 e ss.; Lupi, Atipico contratto di factoring e indebitamento per finanziare la spesa corrente, Nota a C. conti, sez. giur. reg. Abruzzo, 21 marzo 2012, n. 85, in Finanza loc., 2012, fasc. 3, p. 65 e ss.; Venuti, La rappresentazione in bilancio delle operazioni di factoring e di cartolarizzazione - Aspetti civilistici ed economici, in Riv. dott. commercialisti, 2010, p. 833 e ss.; Moramarco, Sulla qualificazione del contratto di factoring e sull’applicazione della normativa dettata dalla l. 21 febbraio 1991 n. 52 in materia di cessione di crediti d’impresa, Nota a Cass., sez. I, 13 febbraio 2004, n. 2782, in Dir. fallim., 2006, II, p. 46 e ss.
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to la giurisprudenza a fare riferimento ai fini della qualificazione del contratto e dell’individuazione della disciplina applicabile «all’intento negoziale delle parti che renda palese il risultato perseguito, valutando in particolare se esse abbiano optato per la causa vendendi, per quella mandandi o per altra ancora»3, ma è stata tenuta presente anche dalla Banca d’Italia, allorquando ha incluso le operazioni di factoring tra quelle soggette a rilevazione, ai fini della determinazione del tasso usura. Il discorso, quindi si sposta sul secondo livello della nostra analisi, volto a ricostruire la normativa in tema di usura. Anche qui è noto che il legislatore è intervenuto a disciplinare la materia con la legge 7 marzo 1996 n. 108, recante «disposizioni in materia di usura». Dopo avere nell’art. 1 sostituito l’art 644 del c.p., che nella sua attuale formulazione demanda alla legge la fissazione del limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurai (così il co. 3) e quindi ancora a un criterio oggettivo la configurazione del reato stesso, all’art. 2 (co. 4) individua tale limite. Questo è costituito dal tasso effettivo globale medio (in acronimo TEGM), risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, aumentato di un quarto, al quale si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali, con la ulteriore precisazione che la differenza tra tale limite (cd. tasso soglia) e il tasso medio non può comunque essere superiore a otto punti percentuali 4. Sempre nell’art. 2 vengono altresì delegate al Ministro del Tesoro (ora Ministro dell’Economia e delle Finanze, in acronimo MEF), il compimento delle attività necessarie alla fissazione del TEGM. Spetta cosi alla predetta Autorità, sentita la Banca d’Italia, il compito di «rilevare trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari (…) nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura» (così il co. 1), nonché «la classificazione delle operazioni per categorie omogenee, tenuto conto della natura, dell’oggetto, dell’importo, della durata, dei rischi e delle garanzie» (cosi il co. 2).
3
Cfr. Cass., 27 agosto 2004, n. 17116, in Mass. Foro it., 2004. Più recente Cass., 3 dicembre 2012, n. 21603 in Giur. it., 2013, 1291. 4 Cosi la norma nel testo modificato dalla lettera d) del comma 5 dell’art. 8, d.l. 13 maggio 2011, n. 70. Il limite oltre il quale il tasso era usurario nella originaria formulazione della norma era fissato nel TEGM, aumentato della metà.
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In realtà il Ministro del Tesoro ha fatto un uso parziale dell’ampia delega conferita dal legislatore, demandando la disciplina attuativa prevista nelle richiamate previsioni all’Ufficio Italiano dei Cambi ed alla Banca d’Italia dapprima ed, ora, alla sola Banca d’Italia, essendo le funzioni del primo confluite nella seconda. Infatti, nei decreti che il Ministero pubblica trimestralmente sulla Gazzetta Ufficiale, vi è una disposizione secondo la quale «le banche e gli intermediari finanziari (…) si attengono ai criteri di calcolo delle Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia»5. Pertanto, le «Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge dell’usura» della Banca d’Italia, in quanto fatte proprie dal Ministro nell’esercizio della delega conferita dal legislatore, sembrano ad avviso di chi scrive divenute vincolanti6.
5
Cfr. d.m. 23 settembre 1996 e successivi aggiornamenti. Tale opinione sulla natura vincolante dell’Istruzioni in tema di usura della Banca d’Italia sembra trovare ora il conforto anche di taluni settori della giurisprudenza. Il riferimento è al Trib. Milano, 21 ottobre 2014, in www.ilcaso.it per la quale «le Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia, oltre a rispondere alla elementare esigenza logica e metodologica di avere a disposizione dati omogenei al fine di poterli raffrontare, hanno anche natura di norme tecniche autorizzate, posto che, da un lato, l’attribuzione della rilevazione dei tassi effettivi globali alla Banca d’Italia è stata via via disposta dai vari decreti ministeriali annuali che si sono succeduti a partire dal D.M. 23/9/1996 per la classificazione in categorie omogenee delle operazioni finanziarie, e dall’altro lato i decreti ministeriali trimestrali con i quali sono resi pubblici i dati rilevati, all’art. 3 hanno sempre disposto che le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del tasso soglia, si attengono ai criteri di calcolo indicati nelle “Istruzioni” emanate dalla Banca d’Italia. Le Istruzioni in parola sono pertanto autorizzate dalla normativa regolamentare e sono necessarie per dare uniforme attuazione al disposto della norma primaria di cui all’art. 644, quarto comma c.p.». Conformi Trib. Verona, 19 novembre 2012, in Corr. merito, 2013, 146, con nota di Sangiovanni, e A.B.F., coll. coord., 30 aprile 2014, n. 2666, in Nuova giur. civ., 2014, I, 482, con nota di Volpe. Anche la Cassazione, recentemente, si è orientata sulla natura vincolante dei provvedimenti emanati dall’Autorità amministrativa in tema di usura, affermando che per il periodo precedente all’entrata in vigore dell’art. 2 bis d.l. n. 185 del 2008, allo scopo di valutare il superamento del tasso soglia nel periodo rilevante «non deve tenersi conto delle cms applicate dalla banca posto che i decreti ministeriali che hanno rilevato il tasso effettivo globale medio (TEGM) – dal 1997 al dicembre del 2009 – sulla base delle istruzioni diramate dalla Banca d’Italia, non ne hanno tenuto conto al fine di determinare il tasso soglia usurario (essendo ciò avvenuto solo dall’1 gennaio 2010)»: cfr. Cass., 22 giugno 2016, n. 12965, in www.ilcaso.it.; conf. Cass., 3 novembre, 2016, n. 22270, sempre in www.ilcaso.it. 6
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Orbene, le Istruzioni della Banca d’Italia (provvedimento Banca d’Italia del 29 luglio 2016)7, nell’operare una classificazione delle operazioni di finanziamento oggetto della rilevazione per categorie omogenee e nell’includere nella «categoria 5» il factoring, hanno cura di specificare che «rientrano in questa categoria di rilevazione gli anticipi erogati a fronte di un trasferimento di crediti commerciali effettuato con la clausola “pro solvendo” o “pro soluto”, dal soggetto titolare (impresa fattorizzata) a un intermediario specializzato (factor). Si ricomprendono in tale categoria tutti gli anticipi erogati a fronte di operazioni riconducibili a un rapporto di factoring, anche se non effettuate ai sensi della legge n. 52 del 1991»8. La rilevazione riguarda perciò sia le operazioni di cessione pro soluto9, quanto quelle pro solvendo, ma con la importante specificazione che è oggetto di segnalazione non l’operazione di factoring in tutto il
Diversa però è stata la posizione della giurisprudenza penale la quale, ai fini della configurazione del reato di usura, ha ritenuto di poter prescindere dalle Istruzioni della Banca d’Italia e quindi di includere sempre e comunque nel calcolo del TEG applicato dalla banca anche la cms. Tanto sulla base del rilievo che l’art. 644, co. 4, c.p. «impone di considerare rilevanti tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito», tra cui «rientra la commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo collegato all’erogazione del credito»: cfr. Cass. pen., 19 febbraio 2010, n. 12028, in Foro. it., 2010, II, 382, con nota di Di Landro; conf. anche Cass. pen., 14 maggio 2010, n. 28743, in Ced Cass., rv. 24786; Cass. pen., 23 novembre 2011, n. 46669, in Giust. pen., 2012, fasc. 3, II, 129, con nota Micheletti Prevalentemente critica verso l’orientamento sviluppatosi in sede penale la dottrina, per la quale si rimanda a: Sticchi, L’usura bancaria e i limiti del prevalente orientamento della giurisprudenza in tema di cms (commissione di massimo scoperto), in Riv. dir. comm., 2015, II, p. 255 ss.; Marcelli, L’usura della legge e l’usura della Banca d’Italia: nella mora riemerge il simulacro dell’omogeneità - La rilevazione statistica e la verifica dell’art. 644 c.p., in www.ilcaso.it, 2014; Serrao D’aquino, Questioni attuali in materia di anatocismo bancario, commissione di massimo scoperto ed usura, in Giur. merito, 2011, p. 1172 ss.; Cian, Il costo del credito bancario alla luce dell’art. 2 bis l. 2/2009 e della l. 102/2009: commissione di massimo scoperto, commissione di affidamento, usura, in Banca, borsa ,tit. cred., 2010, I, p. 182 ss.; Antonucci, La commissione del massimo scoperto fra usura, trasparenza e parziale divieto, in Nuova giur. civ., 2009, II, p. 319 ss.; De Poli, Costo del denaro, commissione di massimo scoperto ed usura, in Nuova giur. civ., 2008, II, p. 351 ss.; Ferro Luzzi, Ci risiamo a proposito dell’usura e della commissione di massimo scoperto, in Giur. comm., I, 2006, I, p. 671 ss. 7 Vedile nel sito della Banca d’Italia in www.bancaditalia.it. 8 Cfr. p. 6 9 Fortemente critico all’inclusione delle cessioni pro soluto tra le operazioni soggette a rilevazione ai fini dell’usura Cacciafesta, Cessione di crediti e legge antiusura, in Banche e banc., 2016, fasc. 3, p. 240 ss.
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suo contenuto, ma l’anticipo erogato a fronte della cessione del credito. Tanto sull’implicito presupposto che, attesa la molteplicità di funzioni che può assumere il factoring, non sempre il trasferimento del credito assolve a una funzione di finanziamento dell’impresa. Ed è sempre e soltanto con riferimento all’erogazione del finanziamento, che nelle Istruzioni della Banca d’Italia, vengono indicati taluni degli elementi di cui tener conto nelle operazioni di factoring, ai fini della determinazione del TEG. Rientrano, infatti, nel tasso praticato dalla società di factoring e concorrono alla formazione del TEG, tra l’altro «1) le spese di istruttoria e di revisione del finanziamento (per il factoring le spese di “istruttoria cedente”, per il revolving la quota annuale…)», sempre «per la parte direttamente connessa con il finanziamento»; «2) le spese di chiusura della pratica»; «6) le spese per servizi accessori, anche se forniti da soggetti terzi», sempre se «connessi con il contratto di credito» e più in generale «8) ogni altra spesa ed onere contrattualmente previsti», sempre se «connessi con l’operazione di finanziamento» 10. Al contrario, sono escluse dal calcolo del TEG: «e) i compensi per prestazioni di servizi accessori di tipo amministrativo non direttamente connessi con l’operazione di finanziamento» 11, puntualizzazione questa che ancora una volta è dettata dalla presa di coscienza da parte dell’Autorità di vigilanza, della molteplicità delle funzioni che può assolvere il factoring. Donde la necessità di scorporare dal calcolo quella componente del costo che non costituisce il corrispettivo di una prestazione finanziaria, ma di un servizio di tipo amministrativo, quale la gestione e l’incasso del credito. Il discorso a questo punto si sposta sul significato dei termini «anticipi», «finanziamento», «credito» impiegati nelle Istruzioni della Banca d’Italia, ossia se tali termini si riferiscono a qualsiasi erogazione di somme operata dal cessionario a favore del cedente in dipendenza della cessione dei crediti, oppure si riferiscono solo a quei trasferimenti di somme suscettibili di generare una posizione di debito a carico del cedente. Tecnicamente, infatti, l’erogazione di un fido, sotto forma di anticipazione del valore del credito ceduto, implica un obbligo di restituzione a carico del beneficiario ed implica il pagamento degli interessi. In relazione a questi due elementi si genera quindi una posizione di debito a carico del beneficiario.
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Cfr. p. 15. Cfr. p. 17.
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Orbene, con riferimento alle operazioni di trasferimento crediti, la creazione di una posizione a debito di un cliente potrà avvenire soltanto con riferimento a due tipologie di operazioni: (1) la cessione di crediti pro solvendo, perché in tale ipotesi garantendo il cedente la solvenza del debitore ceduto, in caso di inadempimento da parte di quest’ultimo, egli sarebbe tenuto a restituire quanto ricevuto dal cessionario, oltre gli intessi sulle somme anticipate dallo stesso; (2) la cessione pro soluto di crediti non ancora scaduti ed esigibili. In tal caso, infatti, il cessionario anticipa al cedente una somma di denaro rispetto alla data in cui il credito diventa esigibile, e in funzione di detta anticipazione il cedente è obbligato a versare al cessionario un interesse calcolato in funzione del lasso temporale intercorrente tra la data della anticipazione e quella della scadenza del credito. Donde una posizione a debito del cedente, costituita non dall’obbligo di restituire il capitale ricevuto a fronte delle cessione (non avendo egli garantito la solvenza del debitore ceduto), ma da quello di corrispondere gli interessi sulle somme che il cessionario gli ha anticipato rispetto alla scadenza del credito. Nella cessione, invece, di crediti pro soluto, già esigibili e scaduti, non si scorge alcuna forma di anticipo al cliente, capace di generare una sua posizione di debito. Il cedente, in sostanza, non è mai debitore di alcunché verso la società di factoring. Avvenendo il trasferimento dei crediti scaduti, senza alcuna garanzia da parte del cedente della solvenza del debitore ceduto, non solo non può sorgere l’obbligo di restituzione del capitale ricevuto, ma è impossibile anche solo calcolare un interesse, che costituisca una forma di remunerazione del capitale versato dal cessionario. Non vi è infatti alcun parametro temporale cui fare riferimento, atteso che l’effettivo incasso del credito è del tutto incerto, in ordine sia all’an che al quantum. Anzi, quando l’incasso del credito da parte del cessionario avviene prima del suo pagamento al cedente l’operazione genera un interesse negativo, come accade nella normale pratica commerciale dove frequentemente il dettagliante paga «chi gli ha fornito il bene dopo averne incassato il prezzo di rivendita»12.
12 Così Cacciafesta, Cessione, cit., p. 253, per il quale «dichiarare che un’operazione commerciale normalissima ha avuto un tasso di rendimento negativo significa fare un’affermazione cui è difficile attribuire un significato praticamente utile. Inoltre, l’utilizzo meccanico della normativa antiusura costringe alla conclusione paradossale che proprio nei casi in cui il cessionario è più fortunato egli risulta al di sopra di ogni sospetto. Un tasso negativo è infatti inferiore a ogni “soglia” positiva».
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In questa tipologia di operazioni, pertanto, le somme versate dal cessionario al cedente non costituiscono «anticipo», ma «corrispettivo» della vendita dei crediti, in quanto sinallagmaticamente collegate al solo trasferimento del credito, al pari di quanto avviene in un contratto di compravendita di qual si voglia altro bene suscettibile di valutazione economica. Tale distinzione tra «anticipo» e «corrispettivo» è ben presente anche alla stessa Banca d’Italia e la si rinviene anche negli altri documenti elaborati per la regolamentazione del fenomeno factoring. In particolare nel «Manuale per la compilazione delle segnalazioni di vigilanza per gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale» (approvato con Circolare Banca d’Italia n. 217 del 5 agosto 1996 e successivamente aggiornato fino al 13° aggiornamento del 20 gennaio 2015)13, si riporta tra le «Avvertenze Generali» un’ampia descrizione delle modalità di configurazione delle operazioni di factoring. È opportuno richiamare alcune puntualizzazioni essenziali fornite dalla Banca d’Italia e contenute nel predetto Manuale in merito all’impiego dei termini «anticipo» e «corrispettivo», e al loro significato, quali: - il termine «anticipo» è utilizzato per indicare le esposizioni connesse con le operazione di factoring pro solvendo 14, laddove: - il termine «corrispettivo» è utilizzato per indicare le esposizioni connesse con le operazioni di factoring pro soluto15; - le esposizioni acquisite con operazioni di factoring pro solvendo sono imputate ai soggetti cedenti; - le esposizioni acquisite tramite operazioni di factoring pro soluto vanno imputate ai debitori ceduti. Da tali puntualizzazioni è agevole ricavare che il termine «anticipo» è collegato esclusivamente alle «esposizioni» imputate ai cedenti, ossia a quelle attività dell’intermediario che generano una posizione a debito di questi ultimi. Ma il contenuto del Manuale è rilevante anche per segnalare un altro aspetto, che tornerà utile nel prosieguo della presente analisi. Viene infatti pacificamente ammesso dalla Banca d’Italia e viene riconosciuta come un’operazione del tutto conforme alla normativa in tema di usura, l’acquisto di crediti tramite operazioni di factoring, sia pro
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Vedilo nel testo aggiornato nel sito della Banca d’Italia in www.bancaditalia.it. Cfr. p. 26. 15 Cfr. p. 30. 14
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solvendo che pro soluto, ad un prezzo notevolmente inferiore al valore nominale dei crediti a causa della «deteriorata situazione del debitore ceduto» 16. Il riferimento deve intendersi sia ai non performing loans (crediti in sofferenza), che secondo la definizione che si rinviene sui motori di ricerca sono crediti di dubbia esigibilità vantati nei confronti di soggetto in stato di insolvenza, sia ai sub perfoming loans (crediti incagliati), quando lo stato di insolvenza del debitore è temporaneo e si auspica possa essere rimosso in un congruo periodo 17. Anche le Istruzioni della Banca d’Italia affrontano espressamente tale ultima questione, confermando appieno la liceità dell’acquisto di crediti deteriorati per un prezzo «notevolmente inferiore» al valore nominale. Sul presupposto che per la «deteriorata situazione del debitore» il corrispettivo della cessione si attesti a una cifra sensibilmente inferiore al valore nominale del credito ceduto, la Banca d’Italia, infatti, esclude dalla rilevazione le: «2) posizioni classificate a sofferenza», intendendosi per tali quelle «nei confronti di soggetti in stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazione sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall’azienda»; «3) le esposizioni oggetto di concessioni deteriorate», intendendosi per tali «le esposizioni che soddisfano la definizione di “Non performing exposures with forbearance measures” di cui all’Allegato V, Parte 2, paragrafo 180 del Regolamento di esecuzione (UE) n. 680/2014 della Commissione, e successive modificazioni e integrazioni» 18. Volendo tirare le fila dal compiuto excursus normativo si ha che: (1) le uniche operazioni di cessione di credito rilevanti ai fini della normativa sull’usura sono quelle in cui è possibile riscontrare un «anticipo», intendendosi per tale un’attività del cessionario nei confronti del cedente capace di generare a carico di quest’ultimo una posizione a
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Cfr. p. 31. Così infatti vengono definite nel citato Manuale le situazioni deteriorate: «singole esposizioni per cassa e impegni revocabili e irrevocabili a erogare fondi che soddisfano la definizione di “Non-performing exposures with forbearance measures” di cui all’Allegato V, Parte 2, paragrafo 180 degli ITS. Tali esposizioni rientrano, a seconda dei casi, tra le sofferenze, le inadempienze probabili, oppure tra le esposizioni scadute deteriorate e non formano una categoria a sé stante di attività deteriorate. Sono incluse anche le eventuali ristrutturazioni di esposizioni creditizie realizzate con un intento liquidatorio, da ricondurre fra le sofferenze» (cfr. p. 29). 18 Cfr. p. 8 17
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debito, ossia un obbligo di pagamento sotto forma di restituzione del capitale ricevuto (il che avviene nelle cessioni pro solvendo) o di pagamento degli interessi (il che avviene nelle cessioni sia pro soluto, che pro solvendo di crediti non ancora scaduti); (2) la situazione di palese e perdurante deterioramento dei crediti oggetto della cessione fa sì che le suddette operazioni possano correttamente prevedere un prezzo per l’acquisto dei crediti ben inferiore al loro valore nominale; (3) per tali ultime operazioni non ricorre l’obbligo di segnalazione all’Autorità di vigilanza, per quanto concerne la rilevazione periodica dei tassi.
4. La soluzione del problema: la esclusione della applicazione delle norme in tema di usura in mancanza dell’elemento dell’anticipazione. Alla stregua delle considerazioni che precedono può quindi trovare soluzione la questione se le norme in tema di usura si applichino anche alle operazioni in cui l’impresa di factoring acquista il diritto alla riscossione dei crediti e di tutti o parte degli interessi che derivano dagli stessi, a fronte del pagamento di un prezzo ai cedenti, che non dipende dall’effettiva riscossione del credito ceduto, e quindi fornendo la garanzia al cliente per l’eventuale inadempimento del debitore ceduto. In tali operazioni gli effetti che si realizzano tramite un’operazione di factoring pro soluto sono i seguenti: (1) il cedente si libera definitivamente del credito unitamente agli interessi già maturati su di esso e a tutti gli accessori connessi, e quindi anche degli interessi maturandi su detto credito, che diventano immediatamente esigibili dall’impresa di factoring; (2) per il perfezionamento di tale acquisto, il cessionario paga un prezzo che è commisurato al rischio di acquistare un diritto di credito nei confronti di un soggetto (il debitore ceduto) in stato di cronica difficoltà finanziaria, che potrebbe anche non essere in grado di onorare il suo debito. (3) Il «costo» di tale forma di contratto per il cedente è dato dalla differenza tra il valore nominale del credito, oltre agli interessi già scaduti al momento della cessione (ma esclusi gli interessi che ancora non sono maturati e che quindi non vanno computati), e il prezzo pagato dal cessionario. Nel caso il debitore ceduto non pagasse, o lo facesse con enorme ritardo, nulla dovrà mai essere pagato dal cliente alla impresa di factoring, avendo quest’ultima assunto a proprio carico il rischio di insolvenza del debitore ceduto.
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Tali caratteristiche delle operazioni eseguite dal factor sono estremamente rilevanti ai fini della qualificazione delle operazioni stesse. Sono, infatti, preponderanti le caratteristiche funzioni di un contratto (1) di scambio (ovvero compravendita di beni) e (2) di assicurazione (posto che i crediti sono acquistati dalla impresa pro soluto e il cedente si libera del rischio d’insolvenza del debitore ceduto, girandolo al cessionario). Non si rinviene, invece, in tali operazioni alcun elemento che possa ricondurre l’operazione ad un’attività di anticipazione e quindi di finanziamento. L’operazione di cessione, infatti, non genera mai alcuna posizione a debito del cliente, che nel momento stesso in cui si priva della titolarità del credito a benefici della cessionaria, esaurisce ogni rapporto con quest’ultima e resta del tutto indifferente alle successive vicende legate all’incasso del credito ceduto. Nelle operazioni in oggetto quindi, non si instaura alcun rapporto ulteriore tra il factor e il cliente che non sia la mera vendita del credito, né si assiste alla costituzione di rapporti di conto corrente che implicano la messa a disposizione da parte del cessionario in favore del cedente di fidi e/o di anticipazioni bancarie sotto forma del c.d. castelletto di sconto su future cessioni di crediti (scaduti o da scadere). Il factor si limita unicamente al pagamento di un prezzo a fronte del trasferimento del diritto di proprietà di uno o più crediti, i quali non sono mai crediti futuri o crediti non scaduti, ma sono crediti ampiamente scaduti e documentati da titoli esecutivi e non più impugnabili. In tal senso, ogni operazione di cessione di crediti riveste una propria autonomia e si esaurisce nella cessione di quel determinato credito. Pertanto, mancando ogni elemento di «anticipazione» finanziaria da parte del cessionario in favore dei cedenti, viene meno la possibilità stessa di applicare un interesse (sotto forma di sconto). In tal senso rileva quanto precisato al punto C5 delle Istruzioni della Banca d’Italia, «Calcolo dell’importo erogato», laddove si specifica che «nel caso di operazioni di factoring che non diano luogo a posizioni debitorie nei confronti del cedente il valore da prendere in considerazione è la somma degli anticipi erogati nel trimestre»19. Orbene, essendo inesistente nelle operazioni in esame ogni forma di «anticipo» erogato dal factor ai cedenti, manca la possibilità stessa di riconoscere un «importo erogato» in favore dei cedenti, suscettibile di generare a carico di quest’ultimo una posizione a debito sotto forma di obbligo di corrispondere gli interessi.
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Cfr. p. 18.
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Non deve poi trarre in inganno la circostanza che il prezzo pagato dal factor per l’acquisto dei crediti sia inferiore al loro valore nominale, così come accade per le operazioni di cessioni crediti concluse sotto forma di sconto o anticipo crediti, nelle quali l’interesse percepito dall’intermediario viene prededotto dalle somme che sono messe a disposizione del cliente. Tale assimilazione potrebbe indurre a ritenere che il minor prezzo pagato dal factor rispetto al valore nominale dei crediti acquistati, costituisca in realtà una diversa modalità di corresponsione degli interessi che sarebbero stati scalati dal corrispettivo versato dall’intermediario al momento della conclusione dell’operazione. Il contenuto delle operazioni esaminate esclude, tuttavia, la configurabilità di tale ipotesi ricostruttiva. I crediti acquistati dal factor, con tale tipologia di operazioni, sono normalmente quelli vantati dal fornitore nei confronti del sistema sanitario nazionale, da classificare come abbiamo visto tra i non perfoming loans, per il notorio stato di sofferenza che purtroppo caratterizza tale sistema. Lo scostamento, comunque lieve, tra prezzo corrisposto e valore nominale del credito, non è in funzione della prededuzione del tasso di interesse sulle somme che il factor corrisponde al cliente, come avviene normalmente per le operazioni di sconto, ma del valore di mercato del credito che, attesa la natura di cattivo pagatore del debitore, è oggettivamente inferiore al suo valore nominale. Nessun intermediario, infatti, procederebbe mai ad un finanziamento di un credito «non performing», come tutti quelli per i quali il creditore sia stato costretto, proprio a causa del mancato pagamento, a richiedere un decreto ingiuntivo. Conseguentemente il prezzo si forma a seguito della libera trattativa fra le parti, trattativa che tiene conto di tutte le componenti del credito ceduto, ivi compreso l’ammontare degli interessi incorporati nello stesso ed il rischio, che si assume il cessionario, del mancato, o quanto meno ritardato, pagamento del debitore, più che probabile, atteso l’esito infruttuoso della riscossione, testimoniato dai decreti ingiuntivi esecutivi e dalle iniziative giudiziarie inutilmente intraprese dal cedente. E sul punto, non è trascurabile il rilievo che tale forma di negoziazione ha l’avallo esplicito della stessa Autorità di vigilanza. Si è già detto sopra, infatti, che la Banca d’Italia, considera perfettamente lecita l’operazione di acquisto di crediti per un prezzo anche «notevolmente inferiore» al valore nominale per la «deteriorata situazione del debitore ceduto», e si è altresì precisato che tali acquisti sono esclusi dall’obbligo di segnalazione. Tanto sull’implicito presupposto che lo scarto tra prezzo versato e valore nominale, non costituisce l’interesse che l’intermediario
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percepisce sull’operazione e quindi non concorre alla determinazione del TEGM che l’intermediario applica sulle operazioni appartenenti alla stessa categoria, ma non aventi ad oggetto crediti non performing. Ma non basta. La stessa struttura negoziale delle operazioni di cessione poste in essere dal factor per tale tipologia di crediti rafforza la conclusione che il minor prezzo (rispetto al capitale più interessi) corrisposto, non costituisce la remunerazione sotto forma di interesse delle somme versate al cliente. Le cessioni di crediti, realizzate tramite operazioni di sconto o anticipo, sono sempre cessioni pro solvendo ed hanno ad oggetto crediti non ancora scaduti. Tali cessioni generano, quindi, posizioni a debito del cliente, dal momento che la banca, in caso di inadempimento del debitore ceduto, può chiedere al cedente la restituzione delle somme anticipate, oltre gli interessi. Le stesse, inoltre, presentano un collegamento molto stretto con il fattore «tempo», in quanto la banca, nel momento stesso in cui acquista i crediti, è in grado di calcolare il tempo intercorrente dalla data della sua anticipazione alla scadenza dei crediti ceduti, sul quale computare gli interessi che vengono pagati dal cliente tramite lo sconto sul valore nominale dei crediti stessi. La struttura delle operazioni qui esaminate è, invece, del tutto diversa. Non genera posizioni a debito del cedente, perché la cessione è pro soluto, e non consente alcun collegamento di quest’ultima con il fattore tempo. Essendo, infatti, i crediti scaduti, non vi è alcun parametro al quale ancorare il decorso del tempo e quindi il computo degli interessi da dedurre dal prezzo di acquisto. Né tale parametro temporale può essere costituito dalla data di incasso del credito. Questa, infatti, è per definizione incerta e quindi non è conosciuta o conoscibile dal factor al momento in cui acquista il credito. Donde la conseguenza che, anche materialmente, non vi è la possibilità di computare come interessi la differenza tra il minor prezzo corrisposto e il valore nominale del credito ceduto. Consegue da tutto ciò che le predette operazioni devono essere inquadrate come operazioni di pura e semplice compravendita di crediti contro un prezzo determinato, senza la creazione di alcun ulteriore rapporto di natura finanziaria o di anticipazione tra il cessionario e il cedente. Tale conclusione non muta neppure analizzando le caratteristiche della seconda tipologia di operazioni nella quale il factor acquista sempre pro soluto i crediti scaduti e immediatamente esigibili, pagando però il prezzo in due rate: - una, più consistente, al momento del perfezionamento della cessione; - l’altra, meno rilevante, entro un termine più o
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meno lungo dalla predetta cessione, salvo l’anticipato incasso del credito, nel qual caso la seconda rata viene corrisposta entro un termine normalmente breve dal pagamento del debitore ceduto. Altra peculiarità del tipo è il diritto del cedente a ricevere gli interessi maturati e corrisposti dal debitore ceduto, purché il pagamento del debito (in linea capitale e relativi interessi) avvenga prima della scadenza del termine di pagamento della seconda rata del prezzo. A fronte di tale attività amministrativa, consistente nella gestione e nell’attività di riscossione degli interessi, il cedente è tenuto a versare alla società di factoring una commissione di gestione mensile, pari ad una percentuale calcolata sul valore nominale dei crediti ceduti. Orbene, anche tale tipologia di operazioni, come quella prima esaminata, presenta le caratteristiche funzioni dì un contratto di scambio (ovvero compravendita di beni) e di assicurazione (poiché i crediti sono acquistati dalla società pro soluto, il cedente si libera del rischio d’insolvenza del debitore ceduto), alle quali però si aggiunge (a differenza della prima categoria) anche una funzione di mandato. Il factor, infatti, svolge attività di tipo amministrativo, volta all’escussione del credito e per tale attività, che è anche nell’interesse del cliente (per il risultato utile che costui consegue rappresentato dall’anticipato pagamento della seconda rata del prezzo e degli interessi corrisposti dal debitore ceduto), viene remunerato attraverso il pagamento di commissioni mensili. Non si rinviene, però, alcun elemento che possa essere ricondotto ad un’attività di anticipazione e quindi di finanziamento, soggetta all’obbligo di segnalazione e alla normativa antiusura. Infatti, anche in questo caso i crediti ceduti sono immediatamente esigibili e la cessione è pro soluto, con conseguente liberazione del cedente dall’obbligo di garantire l’adempimento del debitore. Non rileva neppure che il pagamento del prezzo sia eseguito dal cessionario in due tranche, posto che la seconda rata deve essere pagata comunque (ed indipendentemente dall’incasso del credito) entro un dato termine dal perfezionamento della cessione. La suddivisone del prezzo in due rate costituisce, quindi, solo una modalità di pagamento, ma non una forma di anticipazione dell’importo del credito, atteso che non genera alcuna posizione a debito del cliente. Il rischio dell’insolvenza del ceduto rimane a esclusivo carico del cessionario, che non solo non ha titolo per chiedere la restituzione al cliente del primo importo versato, ma neppure può liberarsi dall’obbligo di pagamento del secondo. Infine, ciò che il cedente paga mensilmente al factor è solo una commissione per la gestione amministrativa dell’attività di recupero credito svolta nel suo interesse, in quanto all’anticipato pagamento del debitore
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è connesso il versamento al cedente, anticipato rispetto al termine previsto in contratto, della seconda rata del prezzo, nonché ancora degli interessi maturati sul credito versati dal debitore. La commissione di gestione amministrativa, tuttavia, non ha alcuna rilevanza ai fini della determinazione del tasso soglia. Va, infatti, innanzitutto rilevato che la predetta commissione non è mai computata capitalizzandone l’importo, ed include anche la remunerazione della garanzia della solvenza del debitore ceduto che il factor assume nelle operazioni in esame. Altro aspetto degno di nota è che tale voce di costo non presenta alcun collegamento (né in relazione alla sua quantificazione, né alla tempistica per la sua decorrenza) con le somme versate dalla società di factoring al cliente per la cessione dei crediti. Essa infatti è calcolata sul valore nominale del credito ceduto e non sul prezzo di acquisto corrisposto dalla cessionaria. Pertanto non può essere considerata in alcun modo come una forma di remunerazione di una ipotetica anticipazione eseguita dal factor al cliente. Per finire tale commissione trova la sua giustificazione causale in un’attività di riscossione del credito che, come visto, è a vantaggio dello stesso cliente, il quale nel caso di incasso entro il termine contrattualmente previsto del credito ceduto, oltre a ricevere prima la parte residua del «prezzo», ha diritto a percepire gli interessi che la cessionaria ha riscosso dal debitore ceduto. Consegue dai suesposti rilievi che la commissione in parola è strettamente legata all’attività amministrativa di gestione e riscossione dei crediti e non è indice di un’attività finanziaria. Tanto ciò è vero che essa viene riconosciuta al factor fino al momento della completa riscossione del credito e della corresponsione al cliente degli interessi maturati sullo stesso e sempre che si realizzi il suo incasso entro il termine massimo previsto in contratto. Tale termine per il quale è dovuta la predetta commissione, coincide con lo stesso termine entro il quale da un lato il cliente conserva il diritto di ricevere gli interessi, dall’altro il factor, una volta che sia scaduto, è tenuto comunque a versare il saldo prezzo, anche se non ha incassato il credito dal debitore. Al venire meno quindi alla scadenza di tale termine del diritto del cliente a vedersi attribuiti gli interessi maturati sui crediti ceduti, corrisponde correlativamente l’esonero di quest’ultimo dall’obbligo di pagare la commissione, perché in tal caso l’attività di riscossione del credito non è più nel suo interesse, ma viene svolta dal factor esclusivamente per il proprio, essendo questi tenuto verso il cedente comunque a corrispondergli il saldo del prezzo.
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Dalla descritta natura della commissione di gestione amministrativa consegue che sottostante alla stessa non vi è un’attività finanziaria del factor per cui essa non entra nel calcolo del TEG. Lo confermano ancora una volta le Istruzioni della Banca d’Italia. Quest’ultime «con riferimento al factoring e al leasing» escludono dal calcolo del TEG «i compensi per prestazioni di servizi accessori di tipo amministrativo non direttamente connessi con l’operazione di finanziamento» (lettera e) del punto C4 20.
5. La verifica della soluzione proposta alla luce della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Tali conclusioni trovano significativo conforto anche negli studi dottrinari e giurisprudenziali in tema di limiti di applicazione della normativa antiusura alle operazioni di factoring. Così, infatti, si esprime Fabrizio Vanorio: «i contratti di factoring che possono prestarsi a pattuizioni usurarie sono quelli che prevedono erogazione di anticipi (o, al limite, assunzione di garanzia contro l’inadempimento dei debitori) da parte del factor su crediti già sorti od anche futuri. Ne consegue che il tasso di interesse da prendere in considerazione non può essere che quello che matura sugli anticipi o comunque sull’esposizione debitoria complessiva a carico del fornitore – cedente, laddove il c.d. purchase price, il prezzo che il factor si impegna a corrispondere al cedente, in genere pari al valore nominale dei crediti scaduti, comunque al netto di abbuoni di prezzo, deduzioni o compensazioni praticate dal debitore ceduto all’atto di pagamento, mal si presta ad essere valutato nell’ottica della maturazione di interessi poiché, appunto, non viene istituzionalmente scontato. Per quel che concerne, invece, la commissione dovuta al factor per i servizi prestati, questa dovrebbe tendenzialmente essere inclusa nel calcolo del tasso relativo all’esposizione debitoria del cedente, sebbene vada espunta dal computo, se attiene a servizi non finanziari. In definitiva, la norma sulla non maturazione di interessi potrebbe applicarsi estensivamente alle forme di factoring ascrivibili alla categoria di prestazione finanziaria in senso stretto» 21.
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Cfr. p. 17 In Il reato di usura ed i contratti di credito: un primo bilancio, in Contr. e impr., 1999, p. 533. 21
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Aderisce al pensiero dell’Autore anche la dottrina più recente. Pierangela Dagna afferma: «Nel caso del factoring, poi, la tipologia di contratto nella quale potrebbero essere pattuiti interessi usurai è quella che prevede la erogazione di anticipi o l’assunzione di garanzia contro l’inadempimento dei debitori da parte del factor su crediti già sorti o anche futuri. La estensibilità della norma che prevede la totale non debenza degli interessi, quindi, sarebbe possibile limitatamente alle forme di factoring ascrivibili alla categoria delle prestazioni finanziarie in senso stretto. Il tasso di interesse da considerare in tal caso è quello che matura sugli anticipi, o, comunque, sull’esposizione debitoria complessiva a carico del fornitore-cedente, mentre invece, il prezzo che il factor si impegna a corrispondere al cedente (il cd. purchase price) in genere pari al valore dei crediti scaduti e al netto di abbuoni di prezzo, deduzioni o compensazioni praticate dal debitore ceduto all’atto del pagamento, difficilmente si presta ad esser valutato nell’ottica della maturazione di interessi dal momento che non viene scontato»22. Corollario di tali lucide riflessioni dottrinarie è che se nell’operazione di factoring manca l’elemento finanziario dell’anticipazione, atteggiandosi in concreto come una mera compravendita del credito, è inapplicabile la stessa disciplina di cui all’art. 644 c.p. La dottrina, infatti, ribadisce come nella specifica fattispecie della «vendita del credito», il factor in realtà non assume mai le vesti di creditore del cedente. Il factor acquista il credito ed è obbligato verso il cedente a pagare il prezzo convenuto (il cd. purchase price); non è mai – né può esserlo in questa struttura contrattuale – creditore del cedente, potendo assumere la sola veste di debitore verso il cedente del prezzo del contratto. In tale ipotesi è quindi assente la stessa maturazione di interessi. Di tali rilievi fa applicazione anche la costante elaborazione giurisprudenziale, laddove si trova a risolvere la problematica dell’applicazione dell’art. 1815, co. 2, c.c. alle operazioni di factoring. Chiarisce, così, Cass., 21 ottobre 2010, n. 2159823, che gli unici interessi che è possibile prendere in considerazione ai fini della verifica della natura usuraria del tasso applicato all’operazione sono quelli che il factor riceve dal cedente a titolo di corrispettivo dell’anticipazione effettuata. È notevole il rilievo che nel caso all’esame del Supremo Col-
22 In Profili civilistici dell’usura, ne Il diritto degli affari, collana diretta da Inzitari, Padova, 2008, pp. 65-66. 23 In www.altalex.com.
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legio le somme versate dal factor al cedente risultavano «imputate ad anticipazione», prevedendosi la loro conversione in corrispettivo dopo la scadenza di un termine prestabilito dalla scadenza convenzionale dei crediti. Pertanto il factor, oltre agli interessi riscossi dal debitore ceduto per il ritardo nel pagamento, aveva comunque percepito gli interessi anche dal cedente per l’anticipazione effettuata. Orbene la Cassazione, nel confermare l’analoga decisione di App. Milano, sez. I civ. del 24 gennaio 2005, n. 102, ha affermato il principio per cui non è «giuridicamente possibile cumulare gli interessi addebitati al debitore ceduto per il ritardo nel pagamento, con gli interessi richiesti al cedente sui versamenti anticipati di quote di corrispettivo». Tanto in ragione del rilievo che «come osservato dalla Corte di merito e come va ribadito i titoli che il factor fa valere sono diversi ed eterogenei e da essi derivano due azioni distinte e non sovrapponibili: l’una contro il debitore ceduto per il credito relativo alla sorte capitale e agli interessi successivi alla cessione del credito, l’altra contro il cedente per il pagamento degli interessi, di natura corrispettiva, dovuti in relazione alle anticipazioni fatte sui corrispettivi non ancora esigibili ed eseguite con la diversa funzione causale di finanziamento del cedente». Sono evidenti le conseguenze che in tema di applicazione delle normativa antiusura alle operazioni esaminate sortiscono dai riferiti orientamenti dottrinari e giurisprudenziali. Poiché queste hanno tutte ad oggetto cessioni pro soluto di crediti scaduti e le somme pagate al cedente sono imputate a titolo di prezzo senza versamento di interessi corrispettivi da parte di quest’ultimo, ne deriva l’inapplicabilità dell’art. 1815, co. 2 c.c., nonché dello stesso art. 644 c.p. Gli unici interessi, infatti, che il factor percepisce sono quelli versati dal debitore ceduto al diverso titolo del ritardo nel pagamento, i quali come afferma la Cassazione non entrano nel calcolo dell’usura. Chiude il cerchio sulla inapplicabilità della norma penale, anche l’analisi del dato normativo. Il legislatore, infatti con il d.l. n. 394/2000, poi convertito dalla l. 28 febbraio 2001, n. 24, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2001, ha introdotto all’art. 1, co. 1 una norma di interpretazione autentica dell’art 644 c.p., stabilendo che «ai fini della applicazione dell’articolo 644 codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento». Alla stregua della richiamata norma deve quindi ritenersi che per poter concretamente calcolare il TEGM previsto dalla l. n. 108/96 e dall’art.
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644 c.p., è necessario poter applicare il computo del tempo nel momento in cui il contratto si conclude. L’elemento temporale non può invece essere legato alla data di incasso da parte del cessionario, trattandosi di un evento futuro e incerto nel suo realizzarsi e che non è neppure preventivabile o anche solo conoscibile dalle parti al momento in cui concludono l’operazione. Donde la conseguenza che legare il computo del tempo alla data dell’incasso del credito ceduto, oltre che logicamente non predicabile, darebbe luogo anche a una violazione della citata norma di interpretazione autentica, in quanto finirebbe per legare la configurabilità o meno del reato usurario al momento del pagamento che invece, per la stessa norma di interpretazione autentica, non rileva ai fini della sussistenza del reato usurario. È, dunque evidente che quando il parametro temporale, per il modo in cui si atteggia in concreto la fattispecie negoziale, non può trovare applicazione, questo costituisce il più chiaro indice della irrilevanza di tale fattispecie rispetto alla l. n. 108/96 e all’art. 644 c.p. Anche questa conclusione, trova l’avallo della giurisprudenza del Supremo Collegio. Afferma infatti Cass. pen., 26 febbraio 2010, n. 775224, che quando non esiste «un’unita di tempo su cui confrontarlo» il prezzo «non può avere natura di interesse». Rilevano i giudici che «l’interesse, infatti, rappresenta la remunerazione di una prestazione di denaro in funzione del tempo durante il quale il capitale viene utilizzato dal debitore». Alla stregua del richiamato principio consegue, quindi, ancora una volta che, non costituendo per le ragioni innanzi esposte le operazioni in esame una forma di finanziamento, atteggiandosi invece come atti di mera compravendita dei crediti e non rivenendosi nelle stesse una «unità di tempo» al quale parametrare il prezzo corrisposto dal fornitore al factor, alle medesime non si applica la normativa antiusura
6. Conclusioni Possono a questo punto sintetizzarsi le conclusioni delle presenti note: - le operazioni di maturity, aventi ad oggetto crediti scaduti ed esigibili, che sono concluse nella modalità del pro soluto, e nelle quali il
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pagamento del prezzo della cessione non è vincolato all’incasso del credito da parte del factor, non generano posizioni a debito dei clienti; - le somme versate dalla società di factoring al cliente non costituiscono quindi alcuna forma di anticipo o finanziamento di quest’ultimo, ma mero corrispettivo delle cessioni di credito; - avendo ad oggetto le cessioni esclusivamente crediti in sofferenza, cd. non performing loans, lo scarto tra prezzo di acquisto e valore nominale del credito non è in funzione della remunerazione (sotto forma di interessi) dell’importo versato dal factor, ma del ridotto valore di mercato del credito, legato alla natura di cattivo pagatore del debitore; - essendo tali crediti scaduti ed immediatamente esigibili, manca anche il parametro al quale ancorare il decorso del tempo e quindi il calcolo degli interessi da dedurre dal prezzo di acquisto, secondo la formula prevista da Banca d’Italia e dalla comune prassi. Donde in ogni caso l’impossibilità di computare come interessi la differenza tra il minor prezzo corrisposto e il valore nominale del credito ceduto; - le uniche operazioni concluse dal factor suscettibili di generare una posizione a debito del cliente sono quelle per le quali è prevista il pagamento di una commissione di gestione amministrativa, e limitatamente al pagamento di detta commissione. Essendo, tuttavia, tale commissione remunerativa solo del servizio gestione e incasso del credito svolto dal cessionario nell’interesse del cedente, essa non è indice dell’esistenza di un anticipo erogato dal primo al secondo, per cui va esclusa dal calcolo del TEG. Corollario di tali rilievi è che alle operazioni di cessione crediti di tale tipo, non costituendo attività finanziarie che generano posizioni a debito del cliente, non si applica l’art. 644 c.p.
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Informazione e attività bancaria
Il 13 giugno 2017 presso la Facoltà di Economia della Sapienza, Università di Roma, si è tenuto un incontro di studio, organizzato dalla rivista, dal Ce.di.b e dal Master in Diritto della crisi delle imprese, sul tema “Informazione e attività bancaria”. All’incontro, presieduto dal prof. Alessandro Nigro, professore ordinario fuori ruolo della Sapienza Università di Roma, sono intervenuti l’avv. Marino Perassi, avvocato generale della Banca d’Italia, il prof. Sandro Amorosino, professore ordinario fuori ruolo della Sapienza Università di Roma, il prof. Aldo A. Dolmetta, consigliere della Corte di Cassazione, il prof. Vincenzo Meli, dell’Università di Palermo, la prof.ssa Antonella Sciarrone Alibrandi, dell’Università Cattolica di Milano, il prof. Vincenzo Caridi, dell’Università di Siena, il prof. Sabino Fortunato, dell’Università di Roma Tre. Ne pubblichiamo gli atti *.
Introduzione. Alessandro Nigro La mia sarà, come al solito, un’introduzione piuttosto breve. Debbo naturalmente iniziare dai doverosi, ma sentiti, ringraziamenti. Alla Facoltà di economia e al Dipartimento di diritto ed economia delle attività produttive, che ci ospitano. Alla Casa Editrice Pacini, che sostiene queste nostre iniziative, devo dire con sempre maggiore impegno e sempre maggiore attenzione. Agli amici e colleghi che hanno accettato anche questa volta di intervenire come protagonisti del nostro periodico
* Manca la relazione del prof. Dolmetta: la trascrizione della registrazione è stata impossibile per ragioni tecniche.
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incontro di studio, oltre tutto in un momento particolarmente caldo dal punto di vista atmosferico. Ai presenti, per essersi a loro volta sacrificati nel venire, anche magari da fuori Roma, come è il caso del gruppo, e sottolineo gruppo, senese, che non manca mai di fare avvertire la sua presenza e il suo affetto. Venendo al tema del nostro incontro odierno, al tema dell’informazione. Credo di poter dire senza grosso timore di essere smentito, che quello dell’informazione è uno dei temi in assoluto più interessanti e più intriganti, in qualunque contesto lo si voglia esaminare. E lo è, comunque, quando lo si affronti sotto i profili giuridici. Personalmente, ho avuto più volte occasione, nei miei studi, di toccare il tema dell’informazione. Me ne sono occupato, per cominciare, quando ho trattato delle scritture contabili. Ricordo, a questo proposito, che quando andai a trovare per la prima volta il professor Galgano a Bologna – parlo ovviamente di un’epoca molto risalente – lui giustamente approfittò dell’occasione per coinvolgermi nel suo trattato, allora in gestazione, e mi propose, come argomento, le scritture contabili, destinato a trovare collocazione in uno dei primissimi volumi di quel trattato. Accettai, perché era quella, dati la persona, il contesto e tutto quanto, una di quelle tali proposte che non si possono rifiutare. Ma devo dire che sulle prime rimasi sgomento, perché ovviamente conoscevo il tema, avendo letto il bellissimo libro di Panuccio: però mi sembrava un tema fra i più aridi che si potessero immaginare. Poi, cominciando a studiarlo sul serio, ho iniziato, come spesso capita, ad appassionarmici ed ho tentato di dare un mio contributo personale proprio partendo dalla considerazione delle scritture contabili come struttura informativa e cercando, in particolare, di evidenziare una valenza dell’informazione che nella dottrina che trattava le scritture contabile non era particolarmente sottolineata, cioè quella che io ho chiamato la valenza organizzativa o organizzatrice dell’informazione. E non soltanto per chi la riceve, rispetto al quale il discorso è molto semplice perché l’informazione serve per la decisione, ma anche per chi la fornisce, che è un aspetto normalmente trascurato ma di estrema importanza. Detto in parole semplici, se io sono obbligato a dare una certa informazione necessariamente la mia condotta o preventiva o successiva o entrambe è condizionata da questo fatto, di dover fornire in futuro l’informazione o di aver dovuto fornire in passato l’informazione. Mi sono occupato, ancora, dell’informazione quando ho scritto, tra i primi in Italia, sulla trasparenza bancaria: e naturalmente la trasparenza è, prima di tutto, informazione. Infine, mi sono occupato dell’informazione nell’ambito di un Convegno organizzato fra gli altri da Vittorio Santoro su “crisi dell’impresa e informazione”: il che
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Informazione e attività bancaria
mi ha fatto scoprire dei profili piuttosto intriganti della disciplina delle crisi proprio in relazione al profilo dell’informazione. Il tema dell’informazione in campo giuridico è – dicevo – estremamente importante ed estremamente interessante. Anche perché, sul piano giuridico, vengono immediatamente in considerazione i diversi contenuti o le diverse valenze dell’informazione: cioè l’informazione come attività di informare o l’informazione come risultato di questa attività; e ancora l’informazione come oggetto di un diritto oppure l’informazione come oggetto di un potere oppure l’informazione come oggetto di un obbligo: quindi l’obbligo di informare, l’obbligo di informarsi, il diritto di informare, il diritto di essere informato, il diritto di informarsi. Sono tutte declinazioni ciascuna delle quali offre una serie notevole di problemi e di spunti. Con riferimento all’attività bancaria la valenza dell’informazione risulta, per così dire, moltiplicata, come in una sorta di gioco di specchi. L’attività bancaria è impresa, e l’impresa è anche informazione (ci sono, come è noto, teorie secondo le quali l’azienda – cioè la “controfaccia” statica dell’impresa – non è altro che una rete di informazioni). L’attività bancaria, poi, si svolge ormai solo in forma di società: e le società in quanto tali sono a loro volta strutture che consistono in gran parte di flussi informativi. L’attività bancaria, ancora, è una specie dell’attività finanziaria: e l’attività finanziaria è un’attività che ha come oggetto il denaro o equivalenti e trova fra le sue coordinate fondamentali due elementi, il tempo e, appunto, l’informazione. Infine, l’attività bancaria, lo stiamo vedendo in relazione alle recenti riforme, è un’attività soggetta ad un regime di vigilanza articolatissimo e gran parte dei meccanismi in cui tale regime si struttura sono meccanismi che danno vita a flussi informativi: fra le diverse autorità, e ce ne parlerà in particolare l’avvocato Perassi; fra vigilati e vigilanti; fra vigilati e controparti dirette; fra vigilati e mercato. Ovviamente resta ben lungi da noi la sola idea di potere dominare in un incontro di studio di due o tre ore tutta la serie infinita di profili, problemi, sottotemi che si possono prospettare mettendo insieme i due lemmi “informazione” e “attività bancaria”. Noi abbiamo cercato di isolare dei profili, alcuni fra i tanti che si potevano scegliere, nell’idea in qualche misura di saggiare un po’ il terreno, di fare dei “carotaggi”, con riferimento a profili caratterizzati o dalla novità (e qui, per esempio, un profilo di assoluta novità è quello che aprirà i nostri discorsi cioè dei flussi informativi nell’ambito del sistema complesso di vigilanza che vede da un lato la BCE e dall’altro le Banche centrali nazionali) oppure, se non da novità assoluta, quanto meno da prospettive di relativa novità (e qui dovrebbe svolgere un approfondimento Sandro Amorosino) oppure profili in qualche misura tradizionali, ma rispetto ai quali però si sono posti o si stanno ponendo
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delle prospettive un po’ diverse rispetto al passato (per esempio: il discorso della trasparenza o il discorso delle centrali dei rischi). Non c’è dunque nessuna ambizione totalizzante; ovviamente non c’è nemmeno l’ambizione di raggiungere risultati in qualche modo definitivi. Il nostro obiettivo è semplicemente quello di stimolare la curiosità e le riflessioni degli studiosi, nella convinzione – alla quale io ogni volta in questi convegni mi richiamo – che pensare e sollecitare il pensiero è cosa che fa sempre e comunque bene.
I. L’informazione nei rapporti di vigilanza. Cooperazione e scambio di informazioni tra BCE e Autorità nazionali nel Meccanismo Unico di Vigilanza. Marino Perassi 1. Il titolo di questo contributo prende lo spunto dai contenuti di una norma del Regolamento istitutivo del Meccanismo Unico di Vigilanza (MUV) l’art. 6, paragrafo 21, che riveste una funzione centrale nell’assicurare il buon funzionamento del sistema. In realtà il principio di leale cooperazione è un elemento fondamentale nel regolare l’azione degli Stati membri e dell’Unione europea nell’adempiere gli obblighi stabiliti dai Trattati, come sancito dall’art. 4.3 del Trattato UE, un principio applicabile nei rapporti fra le istituzioni degli stati e quelle dell’Unione, ovviamente in entrambe le direzioni. Non sorprende perciò la presenza di questo elemento nelle previsioni regolamentari del diritto dell’Unione relative all’esercizio di funzioni di controllo, come la tutela della concorrenza, fondata su un network di autorità2 ovvero di regolazione di settori vigilati, con riferimento alle
1 Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013 che attribuisce alla Banca Centrale Europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (c.d. Regolamento SSM o Regolamento MUV) art. 6.2: «Sia la BCE che le autorità nazionali competenti sono soggette al dovere di cooperazione in buona fede e all’obbligo di scambio di informazioni. Fatto salvo il potere della BCE di ricevere direttamente le informazioni comunicate su base continuativa dagli enti creditizi, o di accedervi direttamente, le autorità nazionali competenti forniscono in particolare alla BCE tutte le informazioni necessarie per l’assolvimento dei compiti attribuiti alla BCE stessa dal presente regolamento». 2 Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002; artt. 11-16.
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Informazione e attività bancaria
normative regolamentari che hanno istituito le varie autorità competenti per i settori bancario, assicurativo e per la tutela dei mercati (rispettivamente EBA, EIOPA e ESMA)3. Ma il diritto europeo derivato in queste materie non prevede solamente i doveri di cooperazione, ma anche obblighi di scambio di informazioni. Ciò è un portato necessario della attività di supervisione, che richiede per sua natura la disponibilità di grandi quantità di dati e di informazioni, periodicamente aggiornate da parte dei soggetti sottoposti a vigilanza. Questa prima considerazione va calata nella realtà dell’assetto istituzionale del MUV. Ci troviamo di fronte ad una struttura del tutto peculiare nel panorama del diritto amministrativo europeo; un sistema che vive di regole sue proprie, molto diverso da altri modelli esistenti e distante anche dall’impostazione dell’Eurosistema, composto in larga misura dalle stesse istituzioni presenti nel MUV, la BCE e le Banche Centrali Nazionali4. Una recentissima decisione del Tribunale UE5 ha offerto la prima lettura giurisprudenziale del sistema MUV. Si tratta, secondo i giudici di Lussemburgo, di un meccanismo in cui è stata attribuita alla BCE una competenza piena ed esclusiva nella materia della vigilanza prudenziale, tanto da escludere l’applicazione del principio di sussidiarietà. Per effetto della divisione dei ruoli che assegna alla vigilanza diretta della BCE le banche più significative ed alla competenza delle autorità nazionali quelle di minori dimensioni, si realizzerebbe un decentramento di compiti in origine attribuiti alla stessa BCE a favore delle autorità nazionali. Al di là dei quesiti sollevati da questa lettura delle norme istitutive del Meccanismo Unico di Vigilanza6, a questo punto emerge una primo
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Si veda il Regolamento (UE) n. 1093/2010 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 Novembre 2010, come successivamente integrato e modificato, art. 2.4; tale norma riguarda l’EBA, ma previsioni analoghe si trovano nei Regolamenti istitutivi delle altre Autorità. 4 Per una analisi della posizione della BCE nel quadro normativo concernente la politica monetaria, la vigilanza macroprudenziale e microprudenziale: Allemand, The ECB, the SSM and differentiated integration: the legal triangle of incompatibility ?, in From monetary union to Banking Union, on the way to Capital Markets Union. New opportunities for European integration, European Central Bank, Frankfurt am Main, 2015, p. 305 e ss.. Sulle peculiarità dell’Unione Bancaria nel quadro europeo di regolazione e supervision: Vesperini, La crisi e le nuove amministrazioni, in L’Unione Europea in crisi¸ a cura di Torchia, Milano, 2017, p. 79 e ss.. 5 Tribunale dell’Unione Europea, sentenza del 16 maggio 2017, caso T-122/15. 6 Per un commento alla sentenza: D’ambrosio - Lamandini, La “prima volta” del
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punto da tenere in considerazione: la BCE ha in ogni caso la responsabilità complessiva del funzionamento e della applicazione uniforme delle regole di vigilanza e la BCE deve perciò essere destinataria di costanti e dettagliati flussi informativi necessari per svolgere i suoi compiti7. 2. Prima di continuare su questo sentiero di analisi si impone una precisazione. Sino alla riforma del 2015, frutto della attuazione dei principi europei, nel nostro ordinamento le funzioni di vigilanza e di gestione delle crisi si ponevano in una soluzione di continuità, tanto che le relative previsioni trovavano una comune collocazione nel Testo Unico Bancario del 1993. Pensiamo alle varie disposizioni sugli interventi di vigilanza ed agli articoli del Titolo IV, sulla disciplina delle crisi. Gli strumenti di vigilanza e di gestione delle crisi degli intermediari bancari venivano utilizzati nella complessiva attività di supervisione finalizzata ad assicurare la sana e prudente gestione delle singole banche e del sistema nel suo complesso. Oggi il sistema è profondamente cambiato per effetto delle innovazioni introdotte a livello europeo8 e recepite a livello nazionale e nel nostro paese in particolare con i decreti legislativi nn. 180 e 181 del 2015, che hanno totalmente innovato il quadro di riferimento sugli interventi di vigilanza e di soluzione dalle crisi bancarie. Vigilanza e gestione delle crisi sono funzioni separate, da gestire utilizzando le diverse regole e procedure che il nuovo quadro normativo ha introdotto sia a livello sovranazionale che interno9. A livello europeo, assegnate le funzioni di vigilanza alla BCE nell’ambito del MUV, al Single Resolution Board (SRB) spettano i compiti di autorità di risoluzione; nel nostro paese l’Unità di Risoluzione è stata
Tribunale dell’Unione Europea in materia di Meccanismo di Vigilanza Unico, in corso di pubblicazione in Giur. Comm., 2017, II. 7 Figliolia, I rapporti con le banche centrali nazionali, in L’unione bancaria europea, a cura di Chiti e Santoro, Pisa, 2016, cap. 10, pag. 229 e ss.. 8 Direttiva n. 2014/59 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi, c.d. Direttiva BRRD; Regolamento UE n. 806/2014 del 15 luglio 2014, c.d. Regolamento SRM. 9 Sul nuovo sistema di risoluzione delle crisi, introdotto dalla normativa europea si vedano in generale: L’unione bancaria europea, a cura di Chiti e Santoro, cit. e Lamandini – Munoz, EU Financial law, Milano, 2016.
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istituita presso la Banca d’Italia, in una posizione organizzativa separata dalle funzioni di vigilanza10. Da qui la necessità che lo scambio di informazioni e la collaborazione siano assicurati anche con riferimento al rapporto fra autorità di vigilanza e di risoluzione, un rapporto che si sviluppa verso un area esterna rispetto all’ambito della vigilanza prudenziale e che risulta necessario per la corretta ed efficiente realizzazione delle finalità di entrambe le funzioni. Per questa ragione, in attuazione dell’art. 30 del Regolamento sul meccanismo unico di risoluzione (Regolamento SRM; artt. 30.7 ed in particolare 34.5) è stato stipulato un corretto Memorandum of Understanding between the Single Resolution Board and the European Central Bank in respect of cooperation and information11. Sulla base di tali disposizioni si tende a realizzare, oltre allo scambio di informazioni, un coordinamento fra le istituzioni, che eviti la duplicazione di richieste ed oneri per gli intermediari, permettendo al Single Resolution Board (SRB) di avvalersi di informazioni in possesso della BCE e delle autorità nazionali (NCA) (cfr. Memorandum, considerando n. 8) e prevedendo una circolarità delle informazioni dal SRB alla BCE ed alle NCA e viceversa (cfr. Memorandum, considerando n. 10). 3. Se la cooperazione fra le varie istituzioni che compongono il MUV è la chiave di lettura più corretta per comprenderne il funzionamento ed i rapporti interni, è del tutto naturale e conseguente che la normativa della BCE di attuazione dei principi del Regolamento istitutivo del MUV (la c.d. Framework Regulation o Regolamento quadro, su cui si veda infra) ribadiscano ed attuino il principio dello scambio di informazioni in senso bilaterale, dalle NCA alla BCE e da quest’ultima alle NCA. E l’efficiente coordinamento interno fra le varie entità componenti il sistema, presupposto per la collaborazione, si basa anche sul costante flusso informativo fra le stesse entità12.
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Cfr. d.lgs. 12 maggio 2015 n. 72, art. 3, che ha individuato la Banca d’Italia, quale autorità di risoluzione ai fini della partecipazione alla fase di avvio del Meccanismo di Risoluzione Unico (SRM) e l’art. 3 del D. Lgs. 16 novembre 2015, n. 180. 11 Disponibile sul sito della BCE, banking supervision. 12 Pacini, The way to the banking union and beyond: past, present and future role of coordination in financial supervision, in The Administrative Architecture of Financial Integration. Institutional Design, Legal Issues, Perspectives, edited by Chiti and Vesperini, Bologna, 2015, p. 165 e Figliolia, I rapporti con le banche centrali nazionali, op. loc. cit.
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Due procedure previste dal Regolamento MUV descrivono in modo chiaro il ruolo essenziale della cooperazione e dello scambio di informazioni fra soggetti appartenenti al MUV. La prima è l’autorizzazione all’attività bancaria, la c.d. concessione della licenza bancaria (art. 14.2 del Regolamento MUV), la seconda è rappresentata dal procedimento sanzionatorio avviato dalle NCA nelle proprie giurisdizioni su richiesta della BCE (art. 18.5 del Regolamento MUV), una delle fattispecie del complesso quadro di riferimento in materia sanzionatoria nell’Unione Bancaria. Del resto al momento dell’avvio del Meccanismo Unico di Vigilanza il patrimonio informativo concernente i soggetti vigilati era nella esclusiva disponibilità delle autorità nazionali e la sua condivisione all’interno del Meccanismo rappresentava un elemento fondamentale per l’avvio e l’efficiente funzionamento della vigilanza unica. Chiarissimo in questo senso il considerando n. 11 del Regolamento BCE del 16 aprile 201413: «Ai fini del corretto funzionamento dell’MVU, è essenziale che vi sia una piena cooperazione tra la BCE e le ANC e che le stesse condividano tutte le informazioni che possono incidere sui rispettivi compiti, in particolare le informazioni di cui si avvalgono le ANC in relazione a procedure che possono incidere sulla sicurezza e la solidità di un soggetto vigilato o sulle procedure di vigilanza in relazione a tali soggetti». Lo stesso Regolamento quadro contiene poi una serie di importanti norme. Iniziamo dal primo gruppo: mentre l’art. 20 si limita a riprodurre l’art. 6(2), primo sub-paragrafo, Regolamento MUV (obbligo di cooperazione leale e di scambio di informazioni), l’art. 21 dice qualcosa di più dell’art. 6(2), secondo sub-paragrafo. In particolare l’art. 21(1) Regolamento quadro riproduce sì l’art. 6(2), secondo sub-paragrafo, Regolamento MUV (obbligo delle NCAs di fornire alla BCE tutte le informazioni necessarie per lo svolgimento dei suoi compiti di vigilanza), ma vi aggiunge la duplice precisazione che ciò deve avvenire “in a timely and accurate manner” e che dette informazioni includono quelle raccolte nell’ambito delle attività di verifica e di ispezione in loco. Dal considerando n. 11 Regolamento quadro si evince che le informazioni oggetto di
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Regolamento (UE) n. 468/2014 della Banca Centrale Europea del 16 aprile 2014 che istituisce il quadro di cooperazione nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico tra la Banca Centrale Europea e le autorità nazionali competenti e con le autorità nazionali designate (Regolamento quadro sull’MVU); c.d. Framework Regulation.
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scambio sono quelle hanno un impatto sui rispettivi compiti, ma per quanto attiene all’obbligo delle NCAs verso la BCE potrebbero esservi incluse non solo quelle che riguardano la stabilità delle banche, ma anche quelle che possono comunque interagire con le procedure di vigilanza; ad esempio le informazioni raccolte dalle NCAs nell’esercizio di compiti attinenti alla vigilanza in materia di trasparenza bancaria. L’art. 21(2) Regolamento quadro a sua volta prevede l’obbligo speculare della BCE (non previsto nell’art. 6(2) Regolamento MUV) di fornire alle NCAs le informazioni da essa raccolte direttamente presso le banche; tali informazioni includono in particolare quelle necessarie alle NCAs nello svolgimento dei propri compiti di assistenza alla BCE; sicuramente quelli ex art. 6(3), ma verosimilmente anche quelli ex artt. 9(1), terzo sub-paragrafo, che presuppone la richiesta della BCE alle NCA di svolgere azioni di vigilanza secondo il quadro normativo nazionale – con il relativo flusso di ritorno informativo – e dell’art.18(5) Regolamento MUV, già menzionato, in materia sanzionatoria. Inoltre, ex art. 21(3) Regolamento quadro, la BCE assicura comunque alle NCAs l’accesso regolare a informazioni aggiornate necessarie alle stesse svolgere i loro compiti inerenti alla vigilanza prudenziale. Veniamo ora agli articoli da 139 a 141 Regolamento quadro, che dettano obblighi di scambio di informazioni in relazione alle informazioni richieste dalla BCA alle banche significative e in generale agli obblighi di reporting delle banche verso la BCE e le NCAs. Prima di richiedere le informazioni alle banche la BCE deve verificare se le NCAs non dispongano già di tali informazioni (art. 139(2) del Regolamento quadro). E ciò al fine di rispettare i principi di buona amministrazione e proporzionalità, evitando duplicazioni. Sebbene l’adempimento degli obblighi di reporting sia assicurato dalla BCE per le significant e dalle NCAs per le less significant (art. 140.2 del Regolamento Quadro) le NCA sono il punto di entrata di tutte le informazioni per tutte le banche. Lo steso principio vale per le informazioni richieste periodicamente dalla BCE (artt. 140 e 141 Regolamento quadro). La BCE si è avvalsa dei poteri conferiti dal quadro di riferimento per adottare apposita normativa in materia di trasmissione di dati e informazioni di vigilanza14.
14 Cfr. Decisione della BCE del 2 luglio 2014, (ECB/2014/29), come modificata dalla Decisione (UE) 2017/1493 della BCE del 3 agosto 2017, e Regolamento (UE) n. 2015/34 della BCE del 17 marzo 2015, anch’esso di recente emendato dalla ECB Regulation, 25
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Non solo, sulla base della normativa di attuazione sulla raccolta di dati emanata dalla BCE (art. 4 della Decisione della BCE del 2 luglio 2014) le NCA sono anche tenute a verificare la qualità ed affidabilità dei dati dei dati raccolti in vista della loro trasmissione alla stessa BCE, sulla base di principi e schemi standardizzati. Qualche conclusione su questi temi: a) le norme sullo scambio di informazioni tra BCE ed NCA in ambito MUV configurano quest’ultimo verso l’esterno quasi fosse un unico soggetto. Ne consegue che le regole dettate dalla Direttiva CRD IV sullo scambio di informazioni tra NCAs sono ribaltate15. Non c’è un segreto derogato dallo scambio tra autorità, ma viceversa uno scambio di informazioni regolare, sebbene nei limiti dello svolgimento dei compiti di ciascuna autorità; b) l’art. 27(1) Regolamento MUV e le disposizioni della Direttiva CRD IV cui esso implicitamente rinvia si applicano perciò al di fuori del MUV per le autorità terze rispetto ad esso; rispetto a queste nei limiti, più ristretti, della direttiva è consentito derogare al segreto; che c) si applica pienamente per le autorità al di fuori del MUV e del novero di quelle indicate nella Direttiva CRD IV. 4. Un argomento estremamente rilevante riguarda i rapporti fra BCE e MUV da un lato ed i soggetti estranei al sistema che possano essere interessati ad accedere alle informazioni in discorso; ciò in un contesto caratterizzato da una molteplicità di fonti, ma in assenza di un vero e proprio codice europeo del procedimento amministrativo16. Ciò rileva per due aspetti significativi: l’acquisizione di dati ed informazioni nell’ambito delle indagini penali e l’accesso alla documentazione da parte dei soggetti incisi dall’azione di vigilanza, in un contesto caratterizzato dal dovere di mantenere il segreto su tali informazioni sulla base di una norma primaria dello Statuto SEBC (art. 37.2) e di specifiche previsioni del Regolamento MUV (art. 27) e della Direttiva CRD IV (art. 53). In ambito penale ci troviamo di fronte ad un settore non armonizzato, dove ogni giurisdizione si muove sulla base delle proprie regole e sono
August 2017. Si veda anche la Decisione (UE) 2017/1198 della BCE del 27 giugno 2017 sulla comunicazione dei piani di finanziamento degli enti creditizi da parte delle autorità nazionali competenti alla Banca Centrale Europea. 15 Si veda la Direttiva n. 2013/36/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (c.d. Direttiva CRD IV), artt. 53 e ss.. 16 Wojcik, Primaty law requirements for administrative procedures in the case-law of the Court of Justice, in ESCB Legal Conference 2016, European Central Bank, Frankfurt am Main, 2017, pp. 212 e 216.
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le autorità nazionali a possedere le cognizioni utili ad interloquire con la magistratura inquirente ed una adeguata esperienza nella cooperazione con la magistratura, come riconosciuto espressamente dalla BCE nella propria Decisione relativa alla comunicazione di informazioni riservate nell’ambito di indagini penali17. È perciò del tutto conseguente che ai sensi dell’art. 136 del citato Regolamento quadro n. 468/2014 quando la BCE abbia motivo di sospettare la commissione di reati essa chieda alle NCA di deferire le relative questioni alle autorità penali competenti. E ciò vale anche in senso inverso, qualora gli inquirenti richiedano informazioni riservate alla BCE saranno le NCA a provvedere per conto della stessa BCE; mentre se tali informazioni pervengano alle NCA le medesime risponderanno direttamente consultando «ove possibile» la BCE. L’inciso (art. 3.1 della citata Decisione (UE) 2016/1162) non è casuale, ma esprime un principio di primazia delle norme di procedura penale nazionali rispetto alle regole di funzionamento interno del MUV. La normativa BCE18 disciplina poi le ipotesi di accesso alla documentazione in proprio possesso a seguito dell’azione di vigilanza, la cui riservatezza è coperta dalle già citate norme europee ed è finalizzata non solo ad assicurare la confidenzialità delle informazioni connesse alla supervisione, ma anche a permettere l’esercizio della stessa supervisione in piena indipendenza, al riparo da intrusioni e pressioni di organi esterni (cfr. la citata Decisione BCE del 4 marzo 2004, considerando n.3). Le previsioni sono ispirate alla piena trasparenza, salve alcune limitazioni, fra cui la riservatezza delle ispezioni di vigilanza; in particolare per quanto riguarda i flussi informativi fra BCE e NCA: «L’accesso a un documento elaborato o ricevuto dalla BCE per uso interno, come parte di deliberazioni e consultazioni preliminari in seno alla BCE stessa, o per scambi di opinioni tra la BCE e le BCN, le ANC o le AND (Autorità Nazionali Designate, in materia di vigilanza macroprudenziale n.d.a.), viene rifiutato anche una volta adottata la decisione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.
17 Decisione (UE) 2016/1162 della Banca Centrale Europea del 30 giugno 2016 (BCE/2016/19). 18 Decisione della Banca Centrale Europea del 4 marzo 2004 relativa all’accesso del pubblico ai documenti della Banca Centrale Europea (BCE/2004/3), come successivamente integrate e modificata, in particolare, per quanto riguarda le funzioni di vigilanza dalla Decisione BCE/2015/1 della Banca Centrale Europea del 21 gennaio 2015.
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L’accesso a documenti che contengono gli scambi di opinioni tra la BCE e altre autorità e organi pertinenti viene rifiutato anche una volta adottata la decisione, qualora la divulgazione del documento arrechi un serio pregiudizio all’efficace svolgimento dei propri compiti da parte della BCE, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione» (art. 4.3 della Decisione BCE del 4 marzo 2004). Il principio di scambio di collaborazione fra componenti del MUV e di scambio di informazioni fra BCE e NCA può portare queste ultime a detenere documenti della BCE, inerenti le funzioni di vigilanza, in considerazione del loro dovere di assistere la BCE19. Per questa ragione qualora sia rivolta ad una NCA una istanza di accesso ad un documento della BCE in suo possesso, la stessa NCE deve consultare la BCE in merito all’accesso, tranne che sia chiaro che il documento debba o non debba essere divulgato, ad esempio sulla base di precedenti consolidati. Anche se il tema principale di questo breve contributo è rappresentato dalla circolazione delle informazioni all’interno del Meccanismo Unico di Vigilanza sulla base dell’attuale quadro normativo, può essere utile in conclusione un cenno alla costituenda base dati relativa ai prestiti bancari a livello individuale nell’area dell’Euro, il c.d. sistema Anacredit (analytical credit datasets20), che sarà attiva nella seconda metà del 2018, fondato ancora una volta sulla collaborazione e sullo scambio di informazioni. Il suo scopo è raccogliere dati granulari sulla concessione del credito nell’area della moneta unica al fine di permettere alla BCE ed alle autorità nazionali di meglio svolgere le funzioni di politica monetaria e di vigilanza macroprudenziale, valutando ad esempio in modo completo e corretto i rischi di credito che possono emergere in un dato settore (ad esempio imprese di costruzioni in caso di bolle immobiliari) o in relazione a certi operatori. Una volta avviato il sistema, fondato sulla raccolta di dati dettagliati e pienamente comparabili, si potrà analizzare l’esposizione creditizia di un impresa nei confronti di tutte le banche dell’area dell’Euro, anche a livello transfrontaliero. I dati saranno gestiti dalla BCE ed accessibili dalle BCN che in questo modo saranno in grado di valutare il rischio
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Decisione (UE) 2015/811 della Banca Centrale Europea del 27 marzo 2015 relativa all’accesso del pubblico ai documenti della Banca Centrale Europea in possesso delle autorità nazionali competenti (BCE/2015/16), considerando n. 2. 20 Si veda a riguardo il Regolamento (UE) n. 2016/867 della Banca Centrale Europea del 18 maggio 2016, (BCE/2016/13).
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cui sono potenzialmente esposte le banche verso una o più imprese, a livello transfrontaliero. In sede di prima applicazione le segnalazioni riguarderanno le esposizioni delle sole imprese, escluse quindi le famiglie, per importi relativamente contenuti (€ 25000), ma non è esclusa una sua futura estensione, con il rispetto, ovviamente, delle regole sulla tutela della riservatezza delle singole persone fisiche.
Presidente Ringrazio l’avvocato Perassi per la sua esposizione, molto lineare e limpida, Mi permetto una sola osservazione riferita alla prima parte del suo discorso, nella quale ci ha dato la misura della, diciamo così, bizzarria di questa architettura europea imperniata sul meccanismo unico di vigilanza e sul meccanismo unico di risoluzione. Sembrerebbe che si parta dall’idea di una separazione funzionale fra l’attività di vigilanza prudenziale e l’attività di soluzione delle crisi: in realtà, secondo me, è una giustificazione a posteriori di una scelta politica fatta a priori, cioè quella di non attribuire alla Banca Centrale Europea anche la funzione di guida nella risoluzione delle crisi. Di qui, l’adozione di due meccanismi paralleli e simili, ma solo in parte. Soluzione che però zoppica da tutte le parti, perché se si va a vedere la disciplina delle crisi nella normativa europea ci si accorge che in quella normativa una serie di misure è previsto che siano adottate dalle autorità di vigilanza prudenziale, con problemi di collegamento appunto anche in relazione a questo profilo fra l’una autorità e l’altra autorità. Credo che si tratti di una architettura ampiamente barocca che meriterà prima o poi, se questo processo andrà avanti, una revisione in chiave di semplificazione, perché le ricadute di essa architettura sono appunto le rilevanti complicazioni proprio a livello di flussi informativi.
I doveri informativi dell’A.V. nei confronti dei soggetti vigilati. Sandro Amorosino Sommario: 1. Premessa. – 2. Tipologia degli obblighi informativi: nei rapporti “ordinari”. – 3. Il diritto di accesso ai documenti nell’ambito di procedure sanzionatorie. – 4. L’accesso agli atti di Banca d’Italia condizione per la “parità delle armi” nel procedimento. – 5. La questione della comunicazione dell’avvio del procedimento di rimozione.
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1. Premessa. Un recentissimo libro1 ha criticato la proliferazione degli obblighi informativi nella regolazione dei mercati e, più in generale, nei rapporti amministrativi e commerciali. Molti di questi sono posti a carico di amministrazioni pubbliche, nel senso più lato del termine. Tale proliferazione – ispirata ad una sorta di mitizzazione della trasparenza – moltiplica sovente il carico di lavoro degli organismi pubblici. Sono, dunque, condivisibili le critiche sull’inutile affastellamento di obblighi di disclosure d’ogni genere. Viceversa, vanno resi effettivi gli obblighi di ridurre al minimo le asimmetrie informative quando essi sono funzionali alla tutela del cittadino nei rapporti con la P.A. La chiave di accesso al tema dei doveri informativi delle Autorità di vigilanza nei confronti delle banche ed anche dei soggetti che, in vario modo, con esse hanno a che fare, può essere la classica dicotomia giuridica regola (della trasparenza/accessibilità) eccezione (motivata da ragioni preminenti di interesse generale; tali eccezioni devono essere strettamente funzionali alla tutela di un interesse pubblico primario).
2. Tipologie degli obblighi informativi: nei rapporti “ordinari”. Gli obblighi informativi nei confronti dei vigilati sono di vari tipi, cui corrispondono diverse funzioni. Vengono in rilievo – innanzitutto – nei rapporti ordinari (si pensi – ad esempio – alle note con cui B.I. chiede informazioni, ricorda adempimenti, indica misure correttive di comportamenti, risponde a quesiti o prospettazioni del vigilato). È un flusso comunicativo in funzione di compliance (per dirla in termini giuridici: in funzione di conformazione di comportamenti, sia preventiva che successiva). Tale funzione è speculare al dovere di informazione delle singole banche nei confronti della B.C.E. e della B.I.. Siamo quindi in presenza di rapporti interattivi2.
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Di Porto, La regolamentazione degli obblighi informativi, Napoli 2017, p. 39 ss. T arantola , Commento all’art. 51 in AA.VV., Commentario al TU delle leggi in materia bancaria e creditizia, dir. da F. Capriglione, Padova 2012, Tomo II, p. 601. 2
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In quest’ambito “ordinario” è di particolare rilievo il rapporto tra banca ed Autorità di vigilanza per ciò che concerne i piani di risanamento (recovery plans) che, in via precauzionale, le banche debbono predisporre (e, via via, aggiornare) e sottoporre all’approvazione dell’Autorità di vigilanza3. Si tratta – in termini dogmatici – di atti programmatici4 di comportamenti futuri ed eventuali aventi ad oggetto l’insieme coordinato delle misure da adottare negli scenari avversi in cui si determinino situazioni di difficoltà aziendale. Sono atti a contenuto previsionale redatti “a misura” dell’intermediario, sulla base dei modelli dell’E.B.A. Anche in questo caso si dà luogo ad una interlocuzione con l’Autorità di vigilanza che deve verificare la conformità del piano presentato ai criteri generali ed alla specifica situazione della banca, indicando – ove occorra – le modifiche ed integrazioni ritenute necessarie ai fini dell’approvazione. Le valutazioni dell’Autorità si fondano da un lato sull’autorappresentazione, da parte della banca, della propria situazione e sulla descrizione degli scenari avversi ipotizzati e, dall’altro, sulle informazioni in possesso dell’Autorità relative al funzionamento ed allo “stato di salute” della banca stessa ed agli scenari di mercato. È da ritenere che l’Autorità abbia il dovere non solo di motivare le proprie prescrizioni modificative, ma anche di informare la banca sui dati conoscitivi sui quali esse si fondano, ove siano sconosciuti alla banca stessa. Ciò proprio in relazione alla funzione precauzionale5 del recovery plan. In parole semplici: ove vi siano asimmetrie informative la banca vigilata deve esser posta a conoscenza dei dati od elementi che non è stata in grado di considerare ai fini della stesura del piano di risanamento.
3. Il diritto di accesso ai documenti nell’ambito di procedure sanzionatorie. Il secondo ambito che viene in rilievo è quello dei procedimenti sanzionatori e riguarda in origine l’Autorità nazionale ma ormai anche la BCE. Più di uno studioso ha evidenziato i molteplici profili di contrasto del “Regolamento sanzioni” di Banca d’Italia con l’art. 41 della Carta dei
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Rossano, La nuova regolazione delle crisi bancarie, Padova 2017, p. 71 ss. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, Bologna 1995, p. 281. Amorosino, La regolazione pubblica delle banche, Padova 2016, p. 82 ss.
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diritti fondamentali UE e con l’art. 6 della Convenzione EDU e, più in generale, con i principi del giusto procedimento. In questa sede si focalizza l’attenzione sulla questione del pieno accesso degli incolpati agli atti del procedimento, ivi compresi gli atti interni di Banca d’Italia. È superfluo sottolineare che diritto d’accesso (attuativo del principio di trasparenza6 e strumentale al diritto di partecipazione e, poi, di difesa) e obbligo d’informazione sono, se non speculari, quanto meno funzionalmente correlati. Il vigente “Regolamento sanzioni” di Banca d’Italia, approvato con provvedimento 3 maggio 2016, disciplina la materia dell’accesso agli atti del procedimento nel paragrafo 2 della Sezione II. Il testo è scarno e, per così dire, sotto tono: sembra quasi ispirato al motto “glissez… n’appuyez pas”, diretto ai pattinatori sul ghiaccio sottile dei laghi d’inverno, e ripreso da Santi Romano, in uno dei suoi “Frammenti”7: si afferma che il diritto di accesso «è riconosciuto con le limitazioni e le esclusioni previste in base alla legge n. 241/1990» ed avuta anche presente la tutela della riservatezza dei terzi. Per il suo esercizio il testo rinvia al regolamento di Banca d’Italia – adottato, con provvedimento 11 dicembre 2007, il quale – a sua volta – rinvia, in una sorta di “gioco dell’oca a ritroso”, al Regolamento per l’esclusione del diritto di accesso, adottato con provvedimento del Governatore del 16 maggio 1994. I casi di esclusione dell’accesso sono disciplinati dall’art. 24 della legge n. 241/1990 e s.m.i. Le tipologie di documenti esclusi dall’accesso sono riferite al loro oggetto, in primo luogo «gli atti coperti da segreto o divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge… e dalle pubbliche amministrazioni». Il t.u.b. (d.lgs. n. 385/1993) all’art. 7, co. 1, dichiara coperti dal segreto d’ufficio le informazioni ed i dati in possesso della Banca d’Italia in ragione della sua attività di vigilanza8. I commentatori sia dell’art. 24 della legge n. 241/1990, sia dell’art. 7 del t.u.b. si sono limitati a registrare come un dato di fatto normativo
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Chieppa e Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2017, p. 675. S. Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, (1947), ristampa Milano 1983, p. 117. 8 Montedoro, Commento all’art. 7 in AA.VV., Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova 2012, Tomo I, p. 87 ss. 7
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la segretezza, e quindi l’inaccessibilità, senza porsi eccessivi problemi sull’ampiezza e genericità delle esclusioni del diritto di accesso e sulla loro compatibilità con la tutela dei diritti primari alla partecipazione procedimentale ed alla (auto)difesa nel procedimento e in giudizio9. Dal canto suo il Regolamento del 1994 – all’art. 2, comma 1, lettera a) – sulla scia dell’art. 7 – ribadisce che «i documenti amministrativi … contenenti notizie, informazioni e dati in possesso della Banca d’Italia in ragione dell’attività di vigilanza informativa, regolamentare, ispettiva e di gestione delle crisi esercitate nei confronti delle banche, [sono] … coperti da segreto d’ufficio…». Alle richiamate disposizioni sono da aggiungere – come fonti che legittimano l’esclusione dall’accesso l’art. 41, comma 4, dello Statuto della Banca d’Italia e, sotto un profilo particolare, l’art. 53, par. 1, della Direttiva 2013/36/UE (v. infra). Per quanto riguarda la giurisprudenza il Consiglio di Stato, sin dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 7/2006, ha messo a fuoco la compresenza dialettica e paritaria di diritti ed interessi primari: all’accesso, alla riservatezza di terzi, alla tutela del segreto amministrativo (nelle sue declinazioni). Di recente la questione del necessario bilanciamento tra l’interesse pubblico alla riservatezza ed i diritti di partecipazione e di difesa è stata posta in modo incisivo da un’ordinanza del Consiglio di Stato (Sez. VI, 15 dicembre 2016, n. 4172) che ha rimesso alla Corte di Giustizia un’articolata questione pregiudiziale. La specifica vicenda contenziosa oggetto del giudizio amministrativo non riguardava un procedimento sanzionatorio, ma il diniego dell’accesso ai documenti, in possesso di Banca d’Italia, chiesti da un correntista della Banca Network Investimenti in l.c.a., il quale, nel 2012, si era visto rimborsare una somma quasi dimezzata rispetto all’ammontare del deposito (una sorta di burden sharing). L’istanza di accesso era quindi giustificata con l’esigenza di approfondimenti, finalizzati all’eventuale tutela in sede giurisdizionale. Banca d’Italia aveva opposto un diniego parziale perché la documentazione non ostensibile riguardava dati in suo possesso per finalità di vigilanza. L’interessato aveva proposto ricorso al TAR Lazio, il quale (con sentenza della Sez. III n. 13603/2015) l’aveva rigettato.
9 Alberti, I casi di esclusione dal diritto di accesso in AA.VV. Codice dell’azione amministrativa, a cura di M.A. Sandulli, Milano 2017, p. 1294 e Anna Romano, L’accesso ai documenti amministrativi in AA.VV., L’azione amministrativa, Torino 2016, p. 937 ss..
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Nel successivo giudizio d’appello la Banca d’Italia aveva eccepito che, ex art. 53, par. 1 della Direttiva 2013/36/UE …«nei casi concernenti un ente creditizio … soggetto a l.c.a. … le informazioni riservate che non riguardano i terzi … possono essere comunicate nell’ambito di procedimenti civili o commerciali» e, di conseguenza – sosteneva – era giustificato il diniego in quanto, all’atto dell’istanza di accesso, l’interessato non aveva ancora introdotto un procedimento civile. Nell’ordinanza i giudici di Palazzo Spada hanno enunciato il seguente principio generale: «segreto d’ufficio, riservatezza di dati … delle pubbliche amministrazioni e diritto alla loro conoscenza … operano su piani differenti che vanno equilibratamente coordinati tra loro, fermo in ogni caso che, a cospetto di determinati presupposti, il segreto d’ufficio non è di per sé automaticamente idoneo a ostacolare sempre la conoscenza dei dati e dei documenti … specie qualora il diritto alla conoscenza è preordinato all’esercizio di legittime tutele nelle diverse sedi giurisdizionali competenti”…”nella considerazione che solo attraverso una preventiva conoscenza dei dati e documenti anzidetti il soggetto interessato ad acquisirli per esigenze di giustizia è in grado di godere pienamente del proprio diritto di difesa». Viceversa – secondo Banca d’Italia – alla luce del richiamato art. 53 della Direttiva 2013/36: «risulterebbe recessiva, al punto da risultare sostanzialmente inesistente, la possibilità, da parte di un soggetto interessato, di attivare gli strumenti di conoscenza preventiva degli atti dell’amministrazione che l’ordinamento nazionale appronta, giacché tale possibilità di conoscenza diventerebbe effettiva solo dopo che un procedimento giurisdizionale civile o commerciale sia stato realmente iniziato». In questa sede va sottolineato come il Collegio abbia ritenuto che «s’impone uno spettro d’analisi più ampio di quello proposto dalla BdI, i cui capisaldi, in ultima analisi, si fermano all’art. 7, co. 3, TUB, all’art. 41, co. 4, dello Statuto della stessa BdI, all’art. 2, co. 1, del provvedimento del Governatore della BdI del 16.5.1994 e, in ultimo, all’art. 53, par. 1, della direttiva 2013/36/UE». Ciò in quanto: «Nell’ordinamento italiano la posizione giuridica soggettiva di chi chiede l’accesso a documenti di una amministrazione pubblica o ad altro ente od organismo equiparati ha ormai assunto natura e spessore di diritto pieno». «Inoltre, tra diverse fattispecie di accesso, una è stata individuata come particolarmente significativa, ossia quella dell’accesso per finalità c.d. defensionale, preordinato a valutare in anticipo (e prospetticamente), sulla scorta dei documenti acquisiti, termini e condizioni di una appropriata tutela nelle competenti sedi giurisdizionali».
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Di conseguenza il Collegio ha sollevato l’interrogativo se l’interpretazione restrittiva dell’art. 53 della direttiva, data da Banca d’Italia, si ponga «in rapporto di piena conformità con: –– con l’art. 15 del Trattato sull’Unione europea; – con l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, recante proposizioni aventi lo stesso valore giuridico dei trattati, posto che la sede giurisdizionale del Giudice amministrativo, quale foro di valutazione della legittimità o meno dei dinieghi di accesso a dati e documenti delle pubbliche amministrazioni, che si esprime secondo procedure improntate al principio dell’equo processo, ben può essere la sede di un equilibrato e contemperato componimento degli interessi, eventualmente contrapposti, fra il diritto di accesso e il diritto alla riservatezza di particolari dati o documenti; – con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (recante, si ripete, proposizioni aventi lo stesso valore giuridico dei trattati); – con l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (recante diritti fondamentali che fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali)». Sulla base di queste premesse il Consiglio di Stato si è interrogato – nel caso specifico – su come conciliare i richiamati principi europei di trasparenza e tutela dei diritti con le disposizioni della citata Direttiva e del Regolamento UE n. 1024/2013, sulla supervisione della BCE, che da un lato garantiscono il diritto d’accesso al fascicolo della BCE e dall’altro stabiliscono che esso non si estende alle informazioni riservate. In proposito ha ritenuto che «Un plausibile coordinamento fra tali proposizioni, apparentemente antinomiche, che si giustifichi sul piano innanzi tutto logico è quello per cui la riservatezza delle informazioni non può essere, di per se sola, motivo ostativo ad un accesso agli atti del fascicolo da parte della persona che vi sia interessata (accesso altrimenti mai possibile) e, dunque, che il bilanciamento fra accesso e conoscenza degli atti e, di contro, loro non ostensione per motivi di riservatezza è fattore da risolvere in concreto, di volta in volta, e giammai escluso in radice e da un punto di vista generale». La Sezione ha quindi rimesso alla Corte di Giustizia una serie di questioni pregiudiziali che riguardano specificamente la Direttiva ed il Regolamento sopracitati, incentrate sull’interrogativo se debba prevalere l’«intendimento limitativo …. della normativa europea in materia di funzioni di vigilanza sugli istituti creditizi, fino al punto da svuotare il medesimo principio di trasparenza anche in ipotesi ove l’interesse all’accesso risulti ancorato a interessi essenziali del richiedente»… o se invece
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le disposizioni del Regolamento UE n. 1024/2013 (e le norme nazionali ad esso conformi) «non siano da interpretare nelle finalità più ampie dell’articolo 15 della versione consolidata del Trattato sull’Unione Europea e, come tali, riconducibili ad un principio normativo generale del diritto dell’Unione, per cui l’accesso sia non restringibile, secondo un ragionevole e proporzionato bilanciamento delle esigenze del settore creditizio con gli interessi fondamentali del risparmiatore … nel senso che l’accesso possa essere consentito, in caso di istanza in tal senso proposta successivamente alla sottoposizione dell’istituto bancario alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, anche laddove l’istante non faccia richiesta d’accesso esclusivamente nell’ambito di procedimenti civili o commerciali».
4. L’accesso agli atti di Banca d’Italia condizione per la “parità delle armi” nel procedimento. È di immediata evidenza che l’ordinanza ha valenza generale, al di là del caso di specie. Appare anche innegabile che l’affermazione di principio della stretta strumentalità dell’accesso all’esercizio del diritto di difesa in giudizio si estende anche alla strumentalità dell’accesso agli atti del procedimento sanzionatorio all’esercizio del diritto di partecipazione al procedimento stesso e, dunque, alla pienezza dell’autodifesa in tale sede. Né si potrebbero opporre distinzioni formalistiche tra (difesa nel) procedimento sanzionatorio e (difesa nel) processo in quanto, com’è arcinoto, la Corte EDU, in ragione della loro forte afflittività, ha qualificato come “penali” le sanzioni amministrative, pecuniarie ed interdittive, irrogate dalle autorità di vigilanza “finanziarie” [Senza stare a ricordare la stretta analogia strutturale tra il procedimento (sanzionatorio) ed il processo (penale) messa in luce, sul piano dogmatico, già sessantacinque anni fa da Benvenuti10 e quasi cinquant’anni fa da Giannini11; analogia che vale ovviamente anche per l’accesso/partecipazione/difesa/ in entrambe le sfere]. La questione è tutt’altro che teorica perché nel corso del procedimento sanzionatorio “nazionale” i soggetti incolpati non hanno accesso né a tutti gli atti formati o acquisiti da Banca d’Italia all’esito del proce-
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F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo in Rass. Dir. Pubbl., 1952, p. 118 ss. 11 Giannini, Corso di diritto amministrativo, Vol. IV. I procedimenti amministrativi, Milano 1969, p. 12-13.
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dimento ispettivo (che sono il presupposto dell’avvio del procedimento sanzionatorio), né agli atti istruttori interni, che si formano “a monte” o nel corso del procedimento sanzionatorio stesso. Gli atti cui hanno accesso gli interessati sono, in pratica: le contestazioni iniziali, la proposta sanzionatoria e le eventuali richieste di supplemento istruttorio formulate dal Direttorio con la relazione integrativa dell’Ufficio e l’eventuale modifica della proposta sanzionatoria. È da ricordare che sino ad un recente passato non era conoscibile neppure la proposta sanzionatoria (cui, quindi, i sanzionandi non potevano replicare). La situazione è mutata12 a seguito delle note sentenze del Consiglio di Stato n. 1595 e n. 1596/2015 che hanno riguardato il “regolamento sanzioni” della Consob, del tutto “parallelo” a quello di Banca d’Italia, ed hanno indotto le due Autorità ad aggiornare le rispettive discipline della materia. Un esempio evidente dell’interpretazione restrittiva data, nella regolamentazione e nella prassi di Banca d’Italia, al diritto di accesso ai documenti dell’istruttoria sanzionatoria, riguarda la non conoscibilità della “Relazione riservata” (destinata agli uffici della Banca d’Italia), che viene redatta “in parallelo” alle contestazioni comunicate agli esponenti bancari ritenuti responsabili delle irregolarità riscontrate. Nei rari casi in cui tale questione è venuta in evidenza, nel corso di giudizi di opposizione a provvedimenti sanzionatori, la Banca d’Italia ha opposto un duplice ordine di argomentazioni alla conoscibilità di tale atto: – sotto il profilo formale la ritenuta non ostensibilità di tale documento, perché atto interno, coperto dal segreto d’ufficio; – sotto il profilo sostanziale l’affermata estraneità di esso rispetto al procedimento sanzionatorio, in quanto sarebbe ordinato a valutazioni ulteriori della Banca centrale. È agevole replicare – seguendo l’indirizzo del Consiglio di Stato – che non possono essere esclusi dal diritto di accesso atti e documenti che riguardano un procedimento potenzialmente pregiudizievole per l’interessato e che sicuramente rilevano ai fini della sua difesa. Nel merito appare infondata in fatto l’affermazione giusta la quale il contenuto della Relazione riservata “interna” non abbia nulla a che vedere con il procedimento sanzionatorio.
12 Sia consentito il rinvio a Amorosino, I principi del giusto procedimento e la procedura sanzionatoria della CONSOB e della Banca d’Italia in La regolazione pubblica … cit., p. 159 ss.
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È noto, infatti, che in essa sono contenute – suddivise in macrotematiche (ad esempio: il risk management), a loro volta articolate in subsettori – le valutazioni di merito relative alla riscontrata situazione della “banca sanzionanda”, espresse in un voto di sintesi – da uno a sei – in gradazione crescente di negatività. Più precisamente: dei voti attribuiti a ciascun subsettore viene fatta la media, non è dato sapere se semplice o ponderata, e la risultante è la valutazione attribuita alla macrotematica di riferimento, espressa in numeri interi, approssimati per eccesso. Successivamente viene fatta la media dei “voti” relativi a tutti i macrosettori ed al risultato numerico, approssimato sempre per eccesso (ad esempio: cinque), corrisponde un giudizio di sintesi relativo alla gravità delle disfunzioni complessivamente riscontrate. Da tale giudizio deriva, quasi meccanicamente, la graduazione delle sanzioni. Appare difficile, in conclusione, sostenere che un tale meccanismo sia estraneo al procedimento sanzionatorio.
5. La questione della comunicazione dell’avvio del procedimento di rimozione. Com’è noto i provvedimenti di amministrazione straordinaria, l.c.a., ed, ora, resolution non sono preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento13 ex art. 7, l. n. 241/1990. Ciò sulla base: – di un presupposto comune – la situazione critica, o più che tale, della banca; – della necessità di evitare comportamenti opportunistici della governance che sta per essere estromessa; – della finalità di intervenire rapidamente, anche se non sussiste l’urgenza cautelare, a tutela del risparmio. Si può discutere, ma questa è l’interpretazione consolidata. Diversa appare la questione per quanto riguarda i procedimenti di rimozione di esponenti bancari il cui presupposto, di norma, non è una situazione critica della banca, ma il pregiudizio che alla situazione stessa provoca il ruolo svolto da uno o più esponenti.
13 Chieppa e Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano 1993, Vol. II, p. 698 ss.
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Siamo in presenza di procedimenti ablatori personali14 in quanto incidono su un diritto della persona di svolgere l’attività di amministratore o dirigente di una certa banca. Sussistono, quindi, i presupposti per l’applicazione dell’art. 7 della legge sull’azione amministrativa, in relazione all’art. 41, co. 2, lett. a), della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, giusta il quale ogni persona ha il diritto «di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che rechi pregiudizio»15. Tanto più che, come è stato rilevato16, il provvedimento di rimozione ha natura ampiamente discrezionale essendo ordinato al ripristino di condizioni di sana e prudente gestione, pregiudicate, od anche solo messe a rischio, dalla “cattiva influenza”, di uno o più esponenti, sulla governance, intesa in senso lato, della banca. La sussistenza di tale presupposto deve essere puntualmente motivata perché la decisione della Banca d’Italia incide in senso fortemente pregiudizievole sulla situazione soggettiva del rimosso. Un onere motivazionale che, secondo qualche autore17 dovrebbe spingersi sino ad argomentare l’inadeguatezza di ogni altra misura diversa dalla rimozione. Tornando ai profili procedurali alla tesi della obbligatorietà della comunicazione di avvio del procedimento il TAR Lazio ha opposto18: – che il provvedimento non ha natura sanzionatoria [il che non ne muta l’effetto gravemente pregiudizievole]; – che rientra tra le misure di intervento precoce [il che – peraltro – comproverebbe l’assenza dell’estrema urgenza del provvedimento]; – che, più in generale, i principi della l. n. 241/1990 si applicano ai procedimenti di Banca d’Italia “in quanto compatibili” [ma non si spiega come e perché una pur rapidissima consultazione dell’interessato possa nuocere
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Giannini, Diritto Amministrativo, Milano 1993, Vol. II, p. 698 ss. Questo ed altri spunti sono tratti da uno scritto che A. Nigro, ha avuto la cortesia di inviarmi (nel quale qualifica la rimozione come un provvedimento con una funzione sostanzialmente sanzionatoria). 16 v. in tema Annunziata, Notarelle a margine della nuova disciplina sulla rimozione degli esponenti aziendali di banche ed intermediari in AA.VV., Regole del mercato e mercato delle regole, Milano 2016, p. 532; Antonucci, I poteri di removal degli esponenti aziendali nell’ambito del SSM in Banca, impresa, soc. 2016, p. 49 ss.; Ciraolo, La Banca d’Italia e il potere di rimozione degli esponenti aziendali, ibidem. 17 Castiello d’Antonio, L’amministrazione straordinaria delle banche nel nuovo quadro normativo. Profili sistematici in Analisi giur. ec. 2016, n. 2, p. 557 ss. 18 TAR Lazio, Sez. II, sent. n. 162/2017. 15
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all’interesse pubblico tutelato; tanto più che, in funzione cautelare, l’esponente bancario “indiziato” ben potrebbe essere sospeso dalle funzioni contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento]; – che, in particolare, i principi generali dell’azione amministrativa non si applicherebbero all’amministrazione straordinaria [ma l’omologazione tra l’A.S. e la rimozione è del tutto erronea in quanto la prima è una gestione coattiva sostitutiva, mentre la rimozione si esaurisce nell’allontanamento di uno o più soggetti e l’amministrazione rimane quella ordinaria, a meno che il removal investa tutti o la maggioranza degli amministratori]; – che la Carta dei diritti fondamentali si applica solo ai procedimenti sanzionatori [tesi totalmente erronea perché la Carta si applica a tutti i procedimenti che si possono concludere con un provvedimento pregiudizievole per la sfera personale o patrimoniale del cittadino]; – che la mancata comunicazione di avvio è giustificata con motivi di riservatezza a tutela del pubblico risparmio [ma identiche esigenze dovrebbero valere anche nel caso dell’avvio di un procedimento sanzionatorio, che invece viene pacificamente comunicato]. Come si vede la strada per radicare una prassi più garantistica in materia – in primis nell’interesse di Banca d’Italia alla trasparenza della sua azione – è ancora lunga [se si pensa che sono passati quasi trent’anni da quando la Commissione di studio presieduta da Mario Nigro presentò il testo di quella che – pur con “tagli e ritagli e frattaglie” – sarebbe divenuta la l. n. 241/1990].
II. L’informazione nei rapporti con la clientela Le informazioni sulla banca Vincenzo Meli 1. Quando il prof. Nigro, che ringrazio, mi ha gentilmente invitato a partecipare a questo incontro di studi, indicandomi come tema “Le informazioni sulla banca”, con molta sincerità mi ha sottolineato che si trattava di un tema tutto da costruire e la cosa mi, allo stesso tempo, preoccupato e incuriosito. È infatti sicuramente vero che nel coacervo di disposizioni poste a tutela del cliente di servizi bancari (non, attenzione, di servizi di investimento, per i quali obblighi informativi sull’intermediario sono ovviamente previsti), l’informazione sul soggetto che eroga servizi bancari, è, infatti, un profilo del tutto trascurato. La prima domanda che sorge spontanea è perché, di fronte alla moltiplicazione degli obblighi informativi su condizioni contrattuali, tassi, modalità di conclusione del contratto,
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consegna degli esemplari di esso, invio degli estratti conto e così via, non siano state introdotte anche norme che affrontino il tema dell’informazione sul soggetto che eroga i servizi? Eppure tal genere di informazioni può costituire, in principio, un elemento, di tipo reputazionale, che il cliente potrebbe considerare nell’orientarsi in un mercato concorrenziale. Provo a formulare alcune ipotesi per tale assenza. La prima è che, pur a fronte del forte segnale partito dagli Stati Uniti nel 2008, ancora un po’ c’è voluto in Europa per comprendere che le banche non sono casseforti inespugnabili, esenti dal rischio di pregiudicare non solo chi vi abbia investito (profilo sul quale si concentrò l’attenzione dei legislatori), ma addirittura i correntisti. Rischio che fino ad un certo punto è stato sottovalutato, anche grazie alla propaganda – delle quale in Italia si è fatto largo uso – delle virtù salvifiche in un fondo interbancario di tutela dei depositi; strumento che, in realtà, può funzionare – e comunque entro un limite di ammontare – in casi di default isolati e di soggetti di dimensioni limitate, ma che, di fronte a crisi ricorrenti ed importanti sarebbe destinato a rivelare tutta la sua insufficienza. Un’altra spiegazione è che in un sistema che ha abbracciato il modello anglosassone di regolazione, basato sulla previsione di obblighi puntuali dell’intermediario, l’informazione precontrattuale e anche quella da fornirsi nel corso dell’esecuzione del contratto appaiono più agevoli da declinare per quel che riguarda, appunto, gli aspetti oggettivi, cioè inerenti alle prestazioni, piuttosto che quelli soggettivi. Non solo perché di questi è già difficile individuare quelli rilevanti, ma anche perché la diffusione di informazioni sulla banca presenta problemi di riservatezza, più volte segnalati, così come rischi, veri o presunti, di ricadute tipo sistemico. Insomma, il rischio di dare informazioni che, non adeguatamente interpretate, possano avere degli impatti dannosi sul sistema, rende facile gioco quello di chi invoca prudenza e riservatezza fino alla reticenza. Ma di quali informazioni stiamo parlando? In estrema sintesi, potremmo dire di tutte quelle informazioni che possono: a) .influenzare il consumatore nella scelta della banca della quale divenire cliente; b) .influenzare la permanenza del cliente presso quella banca. Si tratta non solamente di informazioni funzionali alla efficiente gestione del contatto tra banca e cliente (queste, come vedremo, sono previste), ma anche di informazioni relative alle politiche della banca, alle sue scelte organizzative e gestionali, alle sue strategie di rischio, al suo andamento economico. Cercando di rispettare il tempo assegnatomi, il mio programma è il
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seguente: – guardando alla normativa di settore alla quale dobbiamo fare innanzitutto riferimento, verificherò se nelle disposizioni, di rango primario e secondario, a tutela della trasparenza, vi sia oggi qualche riferimento ad obblighi informativi relativi al soggetto che offre i servizi; – individuerò poi un altro plesso normativo, al quale potremmo fare riferimento, sempre nella ricerca di analoghi obblighi informativi; – accennerò alla normativa generale, in base alla quale si può, comunque, esigere il rispetto di obblighi di informazione – e di informazione adeguata e corretta – non tipizzati, riguardo al soggetto offerente un servizio; – infine, farò qualche rapidissima e non conclusiva considerazione sul possibile sistema rimediale. 2. Lo sguardo va rivolto, dunque, innanzitutto al t.u.b. e alle norme regolamentari che, sulla sua base, vengono emanate dalla Banca d’Italia. La sede privilegiata per la nostra osservazione è, ovviamente, il Titolo VI del t.u.b., “Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”, come scaturito dal d.lgs. n. 141/2010 e dalle successive modifiche che lo hanno integrato fino al 2016. Una breve precisazione preliminare si impone. Mentre le informazioni su oggetto, contenuto e condizioni contrattuali sono rilevanti per qualunque tipo di servizio che il cliente possa acquistare, quelle sul soggetto hanno per lo più rilevanza nel caso di servizi riguardanti operazioni passive della banca (o il lato passivo di operazioni di segno misto). Cioè quelle, secondo la tradizionale suddivisione, in cui è il cliente fornisce fondi alla banca, la quale diviene debitrice per la restituzione, come avviene nei depositi in conto corrente o nelle operazioni di deposito fruttifero. E ciò per l’ovvia considerazione che, in un rapporto obbligatorio, le qualità di un soggetto generalmente rilevano se questo è debitore, non se è creditore. Ora, disposizioni generali relative all’informazione sono contenute nell’art. 116, rubricato “Pubblicità”; nell’art. 117, rubricato “Contratti”; nell’art. 119, rubricato “Comunicazioni periodiche alla clientela”. In tali disposizioni, però, il t.u.b. declina l’obbligo di trasparenza nel rapporto tra banca e cliente senza considerare in alcun modo i profili soggettivi dell’intermediario. Così, l’art. 116 fornisce certo una regola generale di correttezza della pubblicità, ma questa appare limitata al «rendere noti in modo chiaro ai clienti i tassi di interesse, i prezzi e le altre condizioni economiche relative alle operazioni e ai servizi offerti, ivi compresi gli interessi di mora e
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le valute applicate per l’imputazione degli interessi»; l’art. 117 prescrive la forma scritta e obbliga a consegnare al cliente copia del contratto; l’art. 119 impone di fornirgli comunicazioni iniziali e periodiche «in merito allo svolgimento del rapporto». Insomma, difficile è trarre da tali norme primarie un obbligo esplicito di fornire informazioni sulla banca. Sulla base del Titolo VI del t.u.b. sono state però emanate nel 2009, e continuamente aggiornate, dalla Banca d’Italia, le disposizioni sulla “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”. Queste si aprono con l’affermazione che «La disciplina sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari persegue l’obiettivo, nel rispetto dell’autonomia negoziale, che siano resi noti ai clienti gli elementi essenziali del rapporto contrattuale e le loro variazioni, favorendo in tal modo anche la concorrenza nei mercati bancario e finanziario”. Si precisa quindi che le Disposizioni si applicano “a tutte le operazioni e a tutti i servizi disciplinati ai sensi del titolo VI del T.U. aventi natura bancaria e finanziaria offerti dagli intermediari». E, infatti, più avanti (Sez. II, § 1), si menzionano tra i servizi e operazioni, «depositi; certificati di deposito». Al § 3 è disposto che «Gli intermediari mettono a disposizione dei clienti “fogli informativi” contenenti informazioni sull’intermediario (…)». Tali informazioni sono individuate in tali termini dalla medesima disposizione: «I fogli informativi contengono almeno: — informazioni sull’intermediario (denominazione; iscrizione in albi e/o registri; indirizzo della sede legale; numero di telefono degli uffici ai quali il cliente si può rivolgere per ulteriori informazioni e/o per la conclusione del contratto; numero di fax; ove esistenti, sito internet e indirizzo di posta elettronica)». Disposizione analoga è prevista al § 4, in tema di informazione precontrattuale in tema di servizi o operazioni di pagamento: «Prima della conclusione del contratto gli intermediari forniscono ai clienti almeno le seguenti informazioni: a) informazioni sull’intermediario (denominazione; indirizzo della sede amministrativa o della succursale con sede in Italia; nel caso di offerta fuori sede, indirizzo del soggetto che entra in rapporto con il cliente; indirizzo, anche di posta elettronica, o altro recapito al quale il cliente può rivolgersi per chiedere all’intermediario ulteriori informazioni; indicazione della vigilanza ed estremi dell’iscrizione nell’albo)». Come si vede, si tratta di informazioni di natura semplicemente anagrafica, volte ad assicurare una efficiente gestione del contatto tra banca e cliente, che in nessun modo possono rilevare ai fini di una tutela del
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consumatore/cliente sotto il profilo della trasparenza. In definitiva, si conferma quanto premesso, e cioè che – per la normativa sulla trasparenza - in sede di contrattazione e di esecuzione del rapporto non esiste alcun obbligo di informare sulle caratteristiche del soggetto che offre i servizi. 3. Esiste però un secondo complesso di previsioni, nel quale ritroviamo ancora norme in tema di informazione al pubblico. Si tratta di quelle previsioni discendenti dalla nuova disciplina prudenziale per le banche e per le imprese di investimento contenuta nel Regolamento UE n. 575/2013 (cd. CRR - Capital Requirements Regulation, contenente riferimenti direttamente applicabili all’interno di ciascuno Stato membro), entrato in vigore il 1° gennaio 2014, e nella Direttiva 2013/36/UE (cd. CRD IV - Capital Requirements Directive), che hanno trasposto nell’ordinamento dell’Unione Europea gli standard definiti dal Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria che, l’8 luglio 2015, con la pubblicazione delle nuove linee guida Corporate governance principles for banks, ha ridefinito i principi di corporate governance per gli istituti di credito. Tale documento, com’è noto, si pone come risposta normativa alla revisione disciplinare sui profili di risk governance degli istituti di credito voluta dal Financial Stability Board (FSB) a partire dal febbraio 2013 e, alla luce di ciò, integra e sostituisce le precedenti linee guida – Principles for enahancing corporate governance – pubblicate dal Comitato nell’ottobre del 2010. Com’è parimenti noto, in linea con il previgente impianto di “Basilea 2”, gli interventi che vengono richiesti si basano su tre Pilastri. Il Terzo Pilastro è dato dalla trasparenza, prevedendosi specifici obblighi di informativa al pubblico riguardanti l’adeguatezza patrimoniale, l’esposizione ai rischi e le caratteristiche generali dei relativi sistemi di gestione, misurazione e controllo. Obiettivo della trasparenza in materia di corporate governance bancaria è quello di permettere agli azionisti, ai depositanti e alle altre parti interessate di ottenere le informazioni necessarie per monitorare e valutare i comportamenti di rischio intrapresi da coloro che dirigono l’istituto bancario. Per questo motivo, le linee guida richiedono a tutte le banche, in accordo con il principio di proporzionalità, di rendere pubbliche le informazioni che possano considerarsi utili e rilevanti ai fini di tale valutazione. A tale scopo le linee guida richiamano inoltre i principi di disclosure e trasparenza elaborati dall’OCSE nel 2004 materia di corporate governance. In particolare, per ciò che ci interessa, in relazione alla risk governance, viene richiesto agli istituti di credito di rendere pubblici gli elementi
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chiave concernenti i rischi derivanti dalle proprie esposizioni, nonché le strategie di gestione del rischio adottate, bilanciando tuttavia tale disclosure con la riservatezza richiesta dal tipo di informazione. CRR e CRD IV sono poi integrati da norme tecniche di regolamentazione o attuazione approvate dalla Commissione europea su proposta delle autorità europee di supervisione (norme di secondo livello) nonché dalle disposizioni emanate dalle autorità nazionali e dagli stati membri per il recepimento della disciplina comunitaria. Per ciò che riguarda il nostro ordinamento, con la pubblicazione della Circolare 285/l3 “Disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche” della Banca d’Italia e successivi aggiornamenti, sono state recepite nella regolamentazione nazionale le norme della CRD IV e indicate le modalità attuative della disciplina contenuta nel CRR, delineando un quadro normativo in materia di vigilanza prudenziale integrato con le disposizioni comunitarie di diretta applicazione. In questo quadro, la Circolare della Banca d’Italia ha integrato le norme del Regolamento UE n. 575/2013, Parte Otto e Parte Dieci, Titolo I, Capo 3 e i regolamenti della Commissione europea recanti le norme tecniche di regolamentazione o di attuazione, per disciplinare, tra l’altro (…) (i) i modelli uniformi per la pubblicazione delle informazioni riguardanti i Fondi Propri (ivi inclusi i modelli da utilizzare nel regime transitorio), (ii) gli obblighi di informativa in materia di riserve di capitale, (iii) i modelli uniformi per la pubblicazione delle informazioni riguardanti gli indicatori di importanza sistemica, (iv) l’informativa concernente le attività di bilancio prive di vincoli, (v) i modelli uniformi per la pubblicazione delle informazioni riguardanti la leva finanziaria e gli orientamenti dell’EBA (European Bank Authority), relativi alle modalità di applicazione da parte degli enti dei criteri di esclusività e riservatezza in ordine agli obblighi di informativa; alla valutazione della necessità di pubblicare con maggiore frequenza l’informativa al pubblico; al contenuto dell’informativa avente ad oggetto le attività vincolate e non vincolate. In particolare, ai nostri fini, possono rilevare in astratto: – la Parte Prima, Titolo IV, Capitolo 2 della Circolare 285/13 della Banca d’Italia, Sezione VI, per quanto attinente agli obblighi di informativa e di trasmissione dei dati inerenti le politiche e prassi di remunerazione e incentivazione; – la Parte Prima, Titolo III, Capitolo 2 della Circolare 285/13 della Banca d’Italia, per quanto inerente il recepimento della disciplina dell’informativa al pubblico richiesta dall’art. 89 della Direttiva 2013/36/UE (CRD IV); – le disposizioni in materia di Governo Societario della Banca d’Italia (di cui alla Circolare 285/13, Titolo IV, Capitolo 1, Sezione VII)
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sulla cui base devono essere fornite, a integrazione dei riferimenti in materia di sistemi di governance richieste dall’art. 435 (2) del CRR, ossia le informazioni inerenti agli assetti organizzativi e di governo societario; l’indicazione motivata della categoria di classificazione in cui è collocata la banca all’esito del processo di valutazione di cui alla Sezione 1, par. 4.1; specifiche informazioni sulla composizione degli organi e gli incarichi detenuti da ciascun esponente aziendale ed, infine, informazioni sulle politiche di successione eventualmente predisposte. In particolare, per ciò che ci interessa, in relazione alla risk governance, viene richiesto agli istituti di credito di rendere pubblici gli elementi chiave concernenti i rischi derivanti dalle proprie esposizioni, nonché le strategie di gestione del rischio adottate, bilanciando tuttavia tale disclosure con la riservatezza richiesta dal tipo di informazione. Con successivi aggiornamenti, la Banca d’Italia ha modificato in diversi punti la ricordata circolare n. 285/2013. In particolare, interessante ai nostri fini può risultare il 4° aggiornamento, pubblicato il 17 giugno 2014. A seguito di esso, è stata recepita nell’ordinamento italiano la disciplina relativa al country-by-country reporting contenuta nell’art. 89 della direttiva 2013/36/UE (CRD IV) (Parte Prima, Titolo III, Cap. II delle disposizioni di vigilanza per le banche Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, 4° aggiornamento - “Informativa al pubblico Stato per Stato”). Scopo di tale norma è quello di garantire una maggiore trasparenza riguardo alle attività delle banche e delle SIM, e in particolare agli utili realizzati, alle imposte pagate e ai contributi pubblici ricevuti. Gli obblighi di pubblicazione previsti dalla presente norma, da adempiere per singolo Paese ove le banche e le SIM sono insediate, vengono considerati un elemento importante della responsabilità sociale di tali enti nei confronti del pubblico. In particolare, a partire del 1° gennaio 2015, agli enti è richiesto di pubblicare, annualmente e specificamente per Stato di insediamento (UE o paese terzo) in cui sono presenti, le seguenti informazioni: a) denominazione, natura delle attività e località geografica; b) fatturato; c) numero di dipendenti su base equivalente a tempo pieno; d) utile o perdita prima delle imposte; e) imposte sull’utile o sulla perdita; f) contributi pubblici ricevuti. Tali informazioni andranno pubblicate in allegato al bilancio d’impresa ovvero al bilancio consolidato.
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Informazione e attività bancaria
Nell’ambito del processo di revisione e valutazione prudenziale, il provvedimento sopra citato prevede che la Banca d’Italia disponga di tutti i necessari poteri di intervento sull’attività delle banche. Gli interventi della Banca d’Italia sono di norma individuati tra i seguenti: – richiesta di informazioni aggiuntive, nonché obbligo di segnalazioni supplementari o più frequenti, anche sul capitale e sulle posizioni di liquidità; – obbligo di pubblicare le informazioni di cui alla Parte Otto CRR (informati va al pubblico) più di una volta l’anno, fissando altresì mezzi per la pubblicazione delle informazioni diversi rispetto al bilancio. Alle banche capogruppo può essere imposto di pubblicare annualmente, anche in forma sintetica, la descrizione della struttura giuridica, di governo e organizzativa del gruppo, al fine di valutare l’eventuale sussistenza nell’assetto proprietario, nei meccanismi di governance, nei dispositivi, processi e meccanismi interni, di condizioni ostative all’esercizio delle funzioni di vigilanza. Sempre a seguito del medesimo aggiornamento, sotto la rubrica Obblighi di informativa al pubblico titolo IV, capitolo 1, sezione VII, è previsto che le banche, in aggiunta agli obblighi informativi derivanti dalle disposizioni regolamentari dell’Unione Europea e dalle disposizioni prudenziali della Banca d’Italia, rendano pubbliche in modo chiaro e circostanziato e curano il costante aggiornamento delle seguenti informazioni: – informativa sulle linee generali degli assetti organizzativi e di governo societario adottati in attuazione delle disposizioni di questo Capitolo; – indicazione motivata della categoria in cui è collocata la banca all’ esito del processo di valutazione di cui alla Sez. I, par. 4.1; – numero complessivo dei componenti degli organi collegiali in carica e motivazioni, analiticamente rappresentate, di eventuali eccedenze rispetto ai limiti fissati nelle linee applicative della Sez. IV. Ripartizione dei componenti almeno per età, genere e durata di permanenza in carica; – numero dei consiglieri in possesso dei requisiti di indipendenza; numero dei consiglieri espressione delle minoranze, ove presenti; – numero e tipologia degli incarichi detenuti da ciascun esponente aziendale in altre società o enti; – numero e denominazione dei comitati endo-consiliari eventualmente costituiti, loro funzioni e competenze; – politiche di successione eventualmente predisposte, numero e tipologie delle cariche interessate; – per le banche popolari, numero di deleghe attribuibili a ciascun socio; se le deleghe attribuibili sono inferiori a cinque, vengono rese note le ragioni della scelta;
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– per le banche popolari quotate, percentuale di capitale sociale necessaria per presentare liste per la nomina dei consiglieri e per chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno dell’assemblea. Le banche pubblicano le informazioni sopraelencate sul proprio sito web. Le informazioni da pubblicare sul sito web della banca possono essere rese anche per rinvio ad altri documenti disponibili sul sito web medesimo, compreso lo statuto, purché l’informazione rilevante sia agevolmente consultabile e raggiungibile mediante un link puntuale ed evidente. Restano fermi gli altri obblighi di informazione al pubblico previsti ai sensi della parte IV del t.u.f. per le banche soggette alle disposizioni ivi contenute. Al di là degli obblighi di informativa interna, la Circolare 285/13 introduce nuovi obblighi di informativa nei confronti pubblico. Il testo delle norme in consultazione riferiva genericamente questi ultimi obblighi a “le modalità di attuazione delle presenti disposizioni”; in accoglimento di osservazioni formulate in sede di consultazione, le norme in materia contengono (ora) una puntuale elencazione delle informazioni che devono formare oggetto di pubblicazione sul sito web delle banche, se del caso mediante rinvio ad altri documenti presenti sullo stesso sito (ivi incluso lo statuto), purché di facile reperibilità. Nello specifico, devono essere rese pubbliche e costantemente aggiornate le informazioni riguardanti: (i) le linee generali degli assetti organizzativi e di governo societario adottati dalle banche in attuazione delle norme di cui alla Circolare 285/13 in materia di governo societario; (ii) le ragioni che hanno condotto alla classificazione della banca in una delle tre macrocategorie identificate dalla normativa (banche di maggior dimensioni o complessità operativa; banche intermedie; banche di minori dimensioni o complessità operativa); (iii) numero complessivo dei componenti gli organi collegiali (con ripartizione almeno per età, genere e durata di permanenza in carica) e motivazioni sottostanti l’eventuale eccesso di questo numero rispettò alle prescrizioni regolamentari; (iv) numero di consiglieri indipendenti; (v) ove esistenti, numero di consiglieri che costituiscono espressione delle minoranze; (vi) numero e tipologia degli incarichi detenuti da ciascun esponente aziendale in altre società o enti; (vii) numero e denominazione dei comitati endo-consiliari eventualmente costituiti, loro funzioni e competenze; (viii) politiche di successione eventualmente predisposte, numero e tipologie delle cariche interessate; (ix) per le banche popolari, numero di deleghe attribuibili a ciascun socio con specificazione, se le deleghe attribuibili sono inferiori a cinque, delle ragioni della scelta; (x) per le banche popolari quotate, percentuale di ca-
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pitale sociale necessaria per presentare liste per la nomina dei consiglieri e per chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno dell’assemblea. Le banche forniscono, infine, su base annuale, con la Nota integrativa al bilancio, un’informativa pubblica sulla posizione di liquidità e sui presidi di governo e gestione del rischio al fine di consentire ai partecipanti al mercato di avere un giudizio informato sulla solidità di tali presidi e sulla relativa esposizione. La natura e la profondità delle informazioni rese pubbliche devono essere proporzionate alla complessità della banca. 4. Mi fermo qui e mi chiedo, ma a quale “pubblico” sono dirette tali informazioni? È vero che, come ho detto, obiettivo dichiarato di questo complesso di disposizioni in tema di trasparenza relativa alla corporate governance bancaria è quello di permettere agli azionisti, ai depositanti e alle altre parti interessate di ottenere le informazioni necessarie per monitorare e valutare i comportamenti di rischio intrapresi da coloro che dirigono l’istituto bancario. È però del tutto evidente che tali informazioni, sebbene siano in teoria dirette anche alla clientela, sono dirette al mercato, rispetto al quale sono considerate necessarie per il buon funzionamento dei meccanismi concorrenziali di selezione degli intermediari. Come tali, i naturali destinatari non sono certo gli utenti finali dei servizi, bensì investitori professionali, analisti e consulenti, che possano, anche sulla loro base, orientare il pubblico (si spera in modo corretto…), analizzandole e trasformandole in valutazioni sintetiche. Comunque, non sono informazioni la cui consegna sia obbligatoria in sede pre-contrattuale o nel corso dell’esecuzione del rapporto. In sostanza, viene tracciata una linea di demarcazione tra informazioni che devono essere poste nella disponibilità pubblica e informazioni che devono essere positivamente fornite al pubblico, o, meglio, ai singoli soggetti che interagiscono con le banche quali clienti attuali o potenziali. Non voglio certo farmi paladino dell’opacità nei rapporti bancari (è indubbio che essa sia stata e sia un problema), ma è probabilmente comprensibile che sia così. L’alternativa all’opacità non è una malintesa trasparenza, consistente nella comunicazione non filtrata di informazioni dalle quali si possono ricavare segnali sbagliati e pericolosi, soprattutto in un’epoca, come la presente, in cui si scambia per una forma di democrazia diretta l’attribuzione a chiunque della facoltà di formulare giudizi disinformati e sommari. È inutile che ci si illuda che l’informazione tecnica sia un bene banale, accessibile e immediatamente comprensibile anche, per usare una celebre battuta morettiana, dalla casalinga di Treviso, dal pastore abruzzese, dal bracciante lucano (ma anche dal professore universitario, che non è certo posto al riparo dai pericoli di miscomprensione …).
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Si badi. Non è però inutile, a fini di tutela della clientela, che simili obblighi informativi comunque rivolti al pubblico siano previsti. Il momento in cui rilevano è, ovviamente, quello in cui si è verificato qualche fenomeno patologico. A mio avviso, la stessa affermazione di obblighi di informativa al pubblico può infatti essere considerata decisiva ai fini dell’attribuzione dell’onere della prova in merito alla conoscenza di dette informazioni, quando esse attengono a profili poi rivelatisi critici. In poche parole, si potrebbe sostenere che la banca si debba, certo, in linea di principio, limitare a rendere astrattamente conoscibili le informazioni, ma, laddove un problema di carente informazione si ponga come fonte di scelte errate, può essere costretta a provare che dette informazioni fossero concretamente conoscibili. 5. Ciò detto, esiste una normativa, che viene peraltro richiamata anche dalla Banca d’Italia, e che si affianca, con previsioni generali alle disposizioni regolamentari specifiche. Si tratta della normativa in materia di pratiche scorrette, contenuta nel Codice del consumo, applicata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato. In particolare, di essa rilevano le disposizioni in materia di pratiche ingannevoli, e cioè gli artt. 21 e 22. Il primo, rubricato “Azioni ingannevoli”, dispone che l’inganno vietato può anche riguardare «f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l’affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà’ industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti». Il secondo, rubricato “Omissioni ingannevoli”, considera ingannevole «una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso». Il tutto, poi è inquadrato in un generale obbligo di diligenza (cioè di correttezza) professionale (art. 20, co. 2), che è di per sé considerato precettivo. Si consideri che le pratiche commerciali prese in considerazione da detta normativa non si riducono alla pubblicità, ma abbracciano tutte le pratiche tra professionisti e consumatori (o microimprese) «poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto»,
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Non vi è dubbio che la scorrettezza possa consistere anche nel distorcere o nel tacere o nell’occultare alla clientela, presente o potenziale, quelle circostanze, inerenti al soggetto che offre il servizio, che, se note, avrebbero indotto il potenziale cliente a girare alla larga o il cliente attuale a recedere per tempo dal rapporto. Si tratta di norme che l’Autorità garante ha applicato e applica con estremo rigore, non considerando al sicuro il professionista sol perché si sia formalmente attenuto agli obblighi regolamentari (è però noto che una tensione si è spesso innescata tra l’organismo teso a fare largo uso del propri poteri, e la giurisprudenza amministrativa, tendente a limitare gli obblighi del professionista al rispetto delle normative di settore). 6. Se si parla di rimedi, indubbio è che gli obblighi di informazione delle banche siano ampiamente presidiati sul piano pubblicistico. La questione riguarda però i rimedi privatistici. Inefficace, a fini di tutela, è il ricorso ai rimedi demolitori. Se si parla del depositante, scarso sollievo può ricavare dal recesso o dall’annullamento del rapporto, una volta che i danni si siano verificati. È ovviamente possibile ipotizzare responsabilità risarcitorie a carico delle banche inadempienti, ma anche l’efficacia concreta di tali rimedi può rivelarsi illusoria. Quando il cliente scopre che le criticità non rivelate hanno irrimediabilmente pregiudicato l’integrità patrimoniale dell’istituto, fino ad intaccare la stessa possibilità di salvaguardare i depositi (situazione, per fortuna, fino ad oggi non realizzatasi), cercare di ottenere un risarcimento dalla stessa banca è impresa comprensibilmente destinata all’insuccesso. Ci si deve, dunque, chiedere se il cliente possa rivolgersi direttamente agli esponenti ed agli amministratori delle banche in questione. Avrei pochi dubbi per ciò che riguarda i primi. Non vedo perché il direttore di filiale reticente o bugiardo rispetto a circostanze, relative all’istituto, di cui sia a conoscenza non possa essere chiamato a rispondere dei danni al cliente destinatario della comunicazione omissiva o mendace. Per gli amministratori, ritengo possano darsi ipotesi di applicazione dell’art. 2395 c.c. Se, infatti, la norma si applica nel caso in cui, dissimulando dolosamente lo stato di dissesto della società, l’amministratore abbia indotto una banca ad accordare un fido, perché non dovrebbe applicarsi all’amministratore di banca che, agendo nello stesso modo, abbia indotto qualcuno ad affidarle il proprio denaro?
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Presidente Grazie a Vincenzo che è riuscito a dare un consistente contenuto alla etichetta da noi indicata. Vorrei soltanto aggiungere che sicuramente il percorso che lui prospetta è un percorso corretto sia in punto di identificazione dei titolari diciamo degli interessi protetti sia in punto di meccanismi di reazione. Credo però che la normativa di fonte comunitaria, che impone una serie di obblighi di comunicazione periodica quanto meno annuale su tutta una serie di elementi in aggiunta a quelli ricavabili dai bilanci, ma che possono essere forniti, dice il regolamento comunitario, in occasione del bilancio e questo collegamento non è casuale, in realtà sono stati pensati per un obiettivo molto chiaro: a mio modo di vedere, non si è pensato affatto ai contraenti delle banche, cioè al risparmiatore, al depositante ecc., si è pensato agli investitori, ai grossi investitori, quindi al mercato, in funzione dell’esigenza di ristabilire la fiducia degli stessi nella capacità della Banche di governare i rischi. Intendo dire che la normativa nasce con precise finalità: e questo rende non facile – anche se è possibile e anzi opportuno – utilizzarla sul terreno diverso dei rapporti con i contraenti.
III. L’informazione ai mercati Le centrali dei rischi: problemi e prospettive Antonella Sciarrone Alibrandi e Francesca Mattassoglio* Sommario: 1. La funzione di rilevazione centralizzata dei rischi creditizi di fronte alle sfide dell’oggi. – 2. La transizione verso una dimensione internazionale. – 2.1. Dal Memorandum of Understanding… – 2.2. (segue) al sistema europeo di informazione creditizia Anacredit. – 3. Verso l’ampliamento dei soggetti coinvolti nella rilevazione centralizzata dei rischi creditizi. – 4. Il crescente utilizzo dei big data nella determinazione del credit scoring: l’impatto sulle centrali dei rischi. – 6. Considerazioni conclusive.
1. La funzione di rilevazione centralizzata dei rischi creditizi di fronte alle sfide dell’oggi. Ben nota è la fase di profondo mutamento vissuta in questi anni dal sistema bancario (o, per meglio dire, dal sistema finanziario in senso lato) e causata da una molteplicità di fattori che spaziano, per quanto qui più interessa, da radicali novità intervenute nello scenario giuridico-
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economico (si pensi alla nascita della Banking Union) all’irrompere di innovazioni tecnologiche (big data, algoritmi, DLT, etc.) potenzialmente disruptive dei paradigmi tradizionali di intermediazione. In questo scenario di profondi cambiamenti anche il settore delle centrali dei rischi sta attraversando una fase di transizione. Proprio in ragione della necessità di rispondere alle esigenze di un mercato in continua evoluzione, infatti, le centrali dei rischi - ossia quei sistemi informativi creditizi, pubblici o privati, incaricati di raccogliere informazioni finanziarie relative al rischio di credito di persone fisiche e giuridiche – stanno vivendo, e sono destinate in futuro a vivere sempre di più, trasformazioni sia sotto il profilo delle modalità operative di funzionamento, sia, e più alla radice, riguardo al ruolo dalle medesime giocato nel contesto dell’erogazione del credito. Sulla base della appena riferita considerazione di fondo, si è scelto perciò di affrontare il tema delle centrali dei rischi nell’ambito di questo incontro di studio (e, nello specifico, all’interno di una sessione dedicata all’informazione ai mercati) dando spazio non tanto alle specifiche questioni giuridiche (più o meno nuove) che le centrali hanno suscitato in passato e continuano a suscitare nell’oggi, come attestato del resto dal cospicuo numero di pronunce giurisprudenziali e di provvedimenti dell’Arbitro Bancario Finanziario che le riguardano, quanto piuttosto ai nuovi orizzonti problematici che in questa materia si vanno aprendo. E da quest’angolo visuale, estendendo alla materia in discorso la nota frase di Bill Gates secondo cui «Banking is necessary, banks are not», non sembra esagerato ipotizzare che, a fronte della permanente, indiscutibile necessità della circolazione di informazioni attinenti al merito creditizio e dello svilupparsi di dinamiche del tutto nuove di acquisizione delle medesime, stiano per verificarsi mutamenti davvero incisivi su struttura e funzione dei tradizionali sistemi informativi creditizi, potenzialmente in grado di provocare, in un futuro più o meno prossimo, un sensibile ridimensionamento del loro ruolo. Per poter meglio comprendere la portata delle trasformazioni in atto, pare opportuno premettere qualche rilievo a proposito dell’attuale connotazione delle centrali dei rischi che si presentano di tratto eminente-
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La relazione, tenuta da Antonella Sciarrone Alibrandi all’incontro di studio è frutto delle riflessioni comuni delle due Autrici. In fase di stesura per iscritto della medesima, la redazione materiale dei parr. 1, 3, 5 è da attribuirsi a Antonella Sciarrone Alibrandi e quella dei parr. 2 e 4 è da attribuirsi a Francesca Mattassoglio.
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mente nazionale, nonché di ampia eterogeneità nella natura (in grado di riflettersi sulla funzione) e nelle modalità operative. Sotto il primo profilo, va rimarcato che, pur non essendo mancati in passato i tentativi di realizzare un sistema europeo di rilevazione centralizzata dei rischi creditizi, le centrali hanno, sino ad oggi, sempre mantenuto una forte caratterizzazione nazionale: e ciò nonostante l’avvenuta realizzazione, nel 2013, dell’Unione bancaria. Ciò comporta il permanere di profonde differenze tra i sistemi esistenti in ciascuno Stato membro, poiché questi ultimi sono il frutto di un processo di costituzione avvenuto con tempistiche e modalità molto diverse le une dalle altre e legato a «different national regulations or approaches, cultural preferences and traditions»1. Anche a livello extra-europeo, solo di recente la World Bank ha sentito l’esigenza di introdurre una serie di principi di carattere generale rivolti ai sistemi informativi creditizi2, sul presupposto che il credit reporting costituisca un elemento essenziale per la struttura finanziaria di ciascun Paese e, dunque, un’attività di pubblico interesse3, pur nella multiformità di modelli in cui esso si estrinseca. A proposito, invece, della differente natura che le centrali dei rischi possono avere, va rammentata la netta distinzione sussistente tra Centrali dei rischi gestite da una Banca centrale – conosciute anche come Public Credit Register – e Centrali dei rischi costituite sotto forma di società private, che vanno sotto il nome di Credit Bureaux. In alcuni Paesi, come ad esempio l’Italia, sono presenti entrambe le categorie di sistemi informativi creditizi. In altri, quali la Francia e il Belgio, operano
1 Per un quadro d’insieme sulle situazioni nazionali in tema di centrali dei rischi v. ACCIS, Survey of members, 2015, p. 10, consultabile alla pagina http://www.accis. eu/fileadmin/filestore/position_papers/REPORT_ACCIS_2015_SURVEY_OF_MEMBERS_ FINAL_30112015_compressed.pdf (si tratta di un Report realizzato dall’Association on Consumer Credit Information Suppliers); EGCH, Report of the Expert Group on Credit Histories, maggio 2009, p. 5, consultabile alla http://ec.europa.eu/internal_market/ consultations/docs/2009/credit_histories/egch_report_en.pdf (si tratta di un Report elaborato dall’European Group of Expert on Credit Histories, un gruppo di esperti costituito nel 2008 dalla Commissione per esprimere un parere in merito alle possibili misure da intraprendere per ottimizzare la circolazione delle informazioni relative ai consumatori nell’area dell’Unione Europea). 2 World Bank, General Principles for CR, 2011, http://documents.worldbank.org/ curated/en/662161468147557554/General-principles-for-credit-reporting. 3 World Bank, Financial Infrastructure Building Access Through Transparent and Stable Financial System, Financial Infrastructure Policy and Research Series, Washington D.C., 2009.
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esclusivamente soggetti pubblici;, mentre in altri ancora, quali la Gran Bretagna, sono previsti soltanto i credit bureaux privati4. L’appena richiamata distinzione tra natura pubblica o privata si riflette, altresì, sul piano funzionale. Una centrale dei rischi pubblica è il risultato di un sistema informativo che si è sviluppato sotto il controllo e la responsabilità della banca centrale, basato sull’acquisizione di informazioni sull’esposizione di singoli operatori bancari e spinto principalmente da esigenze collegate al miglioramento della stabilità del sistema finanziario nel suo complesso. In questa prospettiva si spiega il fatto che alle Centrali dei rischi pubbliche siano state inizialmente attribuite funzioni di tipo macroeconomico. Soltanto in un secondo momento, la raccolta di questo tipo di informazioni ha acquistato rilevanza anche nell’ottica dello svolgimento dell’attività dei singoli intermediari creditizi consentendo una miglior valutazione dei potenziali debitori. Di conseguenza, le Centrali sono via via venute a connotarsi sempre più per lo svolgimento di una funzione di tipo microeconomico, ormai ritenuta la finalità prevalente. E ciò in quanto, almeno sino ad oggi, sono proprio le molteplici informazioni gestite dalle Centrali dei rischi – e attinte in prevalenza da enti creditizi – a costituire il set di dati sulla base dei quali viene calcolato da ciascun intermediario che intende erogare credito il c.d. credit scoring, ossia quel punteggio finalizzato a prevedere il margine di rischio economico connesso all’erogazione dei finanziamenti ed eventualmente prevenire le situazioni di insolvenza. Diversamente, le Centrali dei rischi private si caratterizzano già in origine in funzione di risposta alle esigenze degli intermediari di acquisire una maggior conoscenza delle proprie potenziali controparti5, al fine di contrastare l’ampia asimmetria informativa che caratterizza il mercato creditizio, ove i noti fenomeni di adverse selection e moral hazard impediscono, per un verso, all’impresa erogatrice di conoscere i rischi legati alla scelta di un determinato futuro debitore (favorendo, in taluni casi, un più elevato
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Anche negli USA il settore è stato lasciato nelle mani di società private che hanno cominciato a operare a partire dall’800, poiché la presenza dei credit bureaux è stata subito avvertita come un elemento fondamentale per garantire effettiva concorrenza tra gli operatori. 5 Alcuni ordinamenti (fra cui la Gran Bretagna) hanno comunque caricato le centrali dei rischi private di specifici obblighi di condivisione delle informazioni con le autorità pubbliche, preposte alla vigilanza sul settore creditizio. Anche in questo caso, pertanto, può parlarsi di un duplice ruolo. In proposito v. anche nt 27.
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numero di inadempimenti) e, per un altro, ai soggetti più meritevoli, di ottenere tassi e condizioni più vantaggiose6. In entrambe le versioni (pubblica e privata), le centrali dei rischi costituiscono, ad ogni modo, un fondamentale strumento di riduzione degli squilibri informativi presenti sul mercato. Esse sono, infatti, in grado di attivare meccanismi di condivisione tra gli operatori relativi alle conoscenze personali sulle passate performance dei debitori, consentendo altresì l’assottigliarsi delle rendite di posizione derivanti dalle relazioni di credito, nonché l’accrescimento della quantità complessiva di informazione presente sul mercato, in virtù del valore aggiunto prodotto dall’integrazione delle singole fonti. A seconda però che la rilevazione centralizzata dei rischi creditizi costituisca l’esercizio di sole (o prevalenti) funzioni di vigilanza sul sistema bancario piuttosto che di sole (o prevalenti) funzioni di valutazione del merito di credito della clientela al fine di migliorare la qualità degli impieghi, ne derivano rilevanti conseguenze sul piano delle concrete modalità di esercizio delle attività delle centrali7. E ciò con riferimento sia alla tipologia dei dati oggetto di segnalazione, sia all’eventuale presenza di soglie quantitative di rilevanza, sia ancora alle categorie di soggetti coinvolti negli obblighi di comunicazione nonché ai contenuti assunti dai report elaborati. Da quest’angolo visuale, è opportuno rammentare (anche ai fini del discorso che verrà sviluppato in seguito) che, in una prima fase, le Centrali dei rischi pubbliche raccoglievano, unicamente da banche, informazioni relative ai soli debiti di importo molto rilevante, limitandosi poi a fornire alle banche medesime una reportistica di ritorno non particolarmente dettagliata8. Solo in seguito, con il diffondersi della tendenza a
6 Non è, peraltro, un caso il fatto che le centrali dei rischi si siano sviluppate soprattutto con il passaggio da un sistema in cui le banche facevano credito sulla base della relazione e della conoscenza personale e “concreta” del richiedente a un contesto connotato, invece, dall’assenza di relazioni personali tra le parti e ove la valutazione del merito di credito comincia ad essere effettuata sulla base di procedure automatizzate. 7 Cfr. Sciarrone Alibrandi, La rilevazione centralizzata dei rischi creditizi: ricostruzione evolutiva del fenomeno e crescita degli interessi, in Id, (a cura di), Centrali dei rischi. Profili civilistici, Milano, 2004, p. 6. 8 Siffatto mutamento nell’azione ben si evince ripercorrendo le delibere del CICR che sono intervenute a disciplinare l’azione della Centrale dei rischi gestita dalla Banca d’Italia, in particolare quella del 29 marzo 1994 e quella del giugno 2004: sul punto v. ancora Sciarrone Alibrandi, Centrale dei rischi e normativa di privacy: informazioni e controllo dell’interessato, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 458.
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utilizzare i dati anche per migliorare la valutazione del merito creditizio, la soglia di rilevanza è stata via via abbassata e gli obblighi di segnalazione sono stati estesi fino a ricomprendere anche categorie di soggetti diversi dalle banche cui, nel frattempo, è stato consentito l’esercizio dell’attività creditizia9. Le Centrali rischi private10, invece, raccolgono i dati provenienti esclusivamente dagli enti che hanno sottoscritto con loro specifici accordi contrattuali, il che comporta una minore completezza contenutistica rispetto ai registri pubblici ai quali tutti gli enti creditizi devono invece obbligatoriamente partecipare11. La minor completezza delle notizie raccolte tramite le banche dati private viene, però, di norma compensata dalla possibilità, per gli enti aderenti, di usufruire di un sistema di reportistica molto più preciso e dettagliato, rispetto a quello fornito dalle centrali pubbliche, che si accompagna anche all’offerta di numerosi, ulteriori servizi12. A fronte di un contesto così eterogeneo e frammentato, è possibile individuare tre principali filoni di trasformazione che stanno interessando la rilevazione centralizzata dei rischi creditizi, su cui ci si soffermerà nei prossimi paragrafi.
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Su questo profilo si v. più nel dettaglio il par. 3. Pellecchia, Trattamento di dati personali e indagini sulla solvibilità negli Stati Uniti: luci e ombre del Fair Credit Reporting Act, in Danno e resp., 2000, p. 763 ss.; Carretta, Il governo del cambiamento cultura in banca, Roma, 2002. 11 Sistemi di questo tipo pongono, peraltro, un delicato problema con riferimento al tipo di soggetto che concretamente svolge la funzione di gestore della banca dati. Molto spesso, infatti, sussistono relazioni giuridicamente rilevanti fra i gestori e singole banche o altri soggetti che svolgono direttamente attività di finanziamento: ipotesi queste in cui è evidentemente necessario porre particolare attenzione ai potenziali conflitti di interesse al fine di evitare il verificarsi di condotte discriminatorie nei confronti degli altri partecipanti al sistema informativo. 12 La tipologia di possibili servizi accessori è ben descritta (p. 10) dal già citato Report sulle centrali dei rischi elaborato dal EGCH nel 2009: «As additional services to their clients, CBs can issue several sorts of credit reports, depending on the information gathered, the type of credit application (consumer credit, mortgage credit, business loan, credit card, etc.) and, most importantly, the amount of detail requested by the creditor. Reports range from simple statements of past defaults or arrears (‘negative’ data) to detailed reports on the applicant’s assets and liabilities, guarantees, debt maturity structure, pattern of repayments, etc (‘positive’ data); within the limits of respective national provisions on data protection. … Some CBs also use statistical models to produce and sell ‘credit scoring’ services which are usually based on the whole credit bureau dataset or on a representative sample of the data. ….The type and structure of the information that they can provide to non-creditors differs between countries, and in some instances is regulated by domestic law». 10
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Il primo profilo di cambiamento riguarda la modificazione del perimetro di operatività dei sistemi informativi creditizi che, in forza di recenti regole europee, si vedono costretti – nel permanere di un ruolo importante attribuito a banche centrali e sistema bancario - ad abbandonare gli ambiti territoriali dei singoli Stati per aprirsi alla dimensione sovranazionale. Una seconda trasformazione che le centrali dei rischi stanno vivendo concerne, poi, l’ampliamento della tipologia dei soggetti chiamati a fornire (e corrispondentemente a ricevere) informazioni connesse con l’attività creditizia. Sino al recente passato, a dialogare con le centrali dei rischi erano ammesse le sole banche; ora la situazione è cambiata per effetto del progressivo ampliamento del novero dei soggetti ammessi a erogare credito, fra i quali sono oggi ricompresi assicurazioni e fondi comuni di investimento. E, sotto questo profilo, ulteriori novità si profilano all’orizzonte in connessione con il rapido diffondersi sul mercato, grazie alle opportunità offerte dalla tecnologia, di “entità” del tutto nuove, le cd. piattaforme di peer to peer lending, che pongono a loro volta problemi nuovi e rilevanti con riguardo alla circolazione di informazioni sul merito di credito. Da ultimo, infine, il fattore dell’innovazione tecnologica appare in grado di impattare sull’attuale assetto della rilevazione centralizzata di informazioni creditizie in misura assai più ampia rispetto all’appena accennato profilo legato all’ingresso di nuovi operatori (le piattaforme di lending) sul mercato del credito, andando potenzialmente a incidere in modo radicale sulle modalità di raccolta, gestione e analisi delle informazioni, soprattutto tramite i big data, riconducibili al più ampio concetto di data application13, e l’utilizzo di algoritmi. E, fra tutti quelli appena menzionati, è proprio quest’ultimo elemento di trasformazione quello che, come si vedrà, appare maggiormente in grado di mettere in discussione le caratteristiche e la centralità oggi rivestite dai sistemi informativi creditizi tradizionali.
13 Il Comitato di Basilea nel suo Consultative Document. Sound Practices: Implications of Fintech developments for banks and bank supervisors, Issued for comment by 31 October 2017, 7, dell’agosto 2017, p. 9 consultabile alla pagina https://www.bis.org/ bcbs/publ/d415.htm, indica con il termine “data application”, tutti quegli strumenti che implementano la capacità di analisi e di gestione dei dati (come la big data analysis, il machine learning, etc.).
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2. La transizione verso una dimensione internazionale. 2.1. Dal Memorandum of Understanding… Come si è anticipato, il primo profilo di mutamento di cui si vuole qui dare conto è costituito dalla decisione, assunta a livello europeo progressivamente in modo sempre più determinato, di dare vita a un sistema di centrali dei rischi che superi i limiti territoriali nazionali. In proposito, è necessario ricordare che, già a partire dagli anni ’90, l’ACCIS14 aveva incoraggiato lo scambio di dati tra i suoi membri. In questa prospettiva, numerose centrali rischi private di alcuni Paesi europei (fra cui, oltre all’Italia, anche Germania, Olanda, Belgio, Svezia, Polonia e Austria) hanno siglato, nel corso del tempo, una serie di accordi bilaterali (Credit Bureau Data Exchange Agreements o CBDE-Contract) per il reciproco scambio di informazioni; altre banche dati, invece, hanno consentito l’accesso cross-border ai loro aderenti finalizzato all’attività di lending15. Diversa, invece, è la situazione relativa alle Centrali dei rischi gestite dalle Banche centrali degli Stati membri dell’UE, che hanno dovuto attendere fino al c.d. Memorandum of Understanding16 siglato nel 2011 per attivare la circolazione dei dati relativi ai debitori, soprattutto in caso di operazioni cross-border, avvalendosi del sistema di registri centrali già operanti nei vari Paesi europei17. Nella prospettiva del Memorandum, le Centrali si devono reciprocamente fornire informazioni relative all’indebitamento di singoli debitori verso la propria Centrale rischi di origine, qualora l’esposizione debitoria superi la soglia di 25.000 euro ovvero previa specifica richiesta di una determinata parte. Le comunicazioni devono essere condotte, però, nel rispetto dei criteri e delle modalità previste dalla normativa nazionale applicabile alla singola Centrale di origine senza che sia richiesto un aggiustamento e/o un adattamento al diverso sistema previsto dalla Centrale con cui si dialoga. Ciò non deve stupire se si considera la situazione estremamente variegata, cui si è già fatto cenno, dei sistemi europei di credit repor-
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Cfr. nt. 1. EGCH, Report, cit., p. 19. 16 http://www.bancaditalia.it/statistiche/raccolta-dati/centrale-rischi/normativa-cr/ Memorandum_of_Understanding_10.pdf. 17 Austria, Belgium, Bulgaria, Czech Republic, France, Germany, Italy, Latvia, Lithuania, Portugal, Romania, Slovenia, Slovakia and Spain. 15
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ting, in termini di «different data content, definitions and registration criteria»18. Secondo il già citato studio condotto dall’EGCH, sarebbe stato impossibile, in fase di avvio di questo progetto, anche solo ipotizzare di poter istituire un unico sistema di registri e banche dati19, a causa della grande varietà di soluzioni esistenti: perciò, l’unica opzione realizzabile era, appunto, consentire un limitato accesso ai dati di ciascuna Centrale da parte degli intermediari stranieri. Pur avendo quindi il Memorandum posto le basi per un primo scambio di informazioni fra Centrali, non può dirsi che, in assenza di un’opera di armonizzazione tra le diverse discipline nazionali circa il trattamento e la raccolta dei dati20, il dialogo fra i differenti sistemi informativi creditizi avvenga con reciproca piena ed effettiva utilità. 2.2. (Segue) al sistema europeo di informazione creditizia Anacredit. Ben più ambizioso, invece, è il progetto Anacredit ossia un sistema di condivisione delle informazioni sui dati granulari del credito21, voluto dalla Banca Centrale Europea (BCE) e dalla medesima istituito con Regolamento UE n. 867/2016 del 18 maggio 2016, la cui andata a regime è prevista nel settembre 2018. La costituzione di tale sistema informativo rientra nell’ambito dei poteri attribuiti alla BCE e al Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) per il perseguimento degli obiettivi legati all’esercizio delle funzioni di
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http://www.bancaditalia.it/statistiche/raccolta-dati/centrale-rischi/normativa-cr/ Memorandum_of_Understanding_10.pdf. 19 Il primo ambizioso tentativo di introdurre un sistema accentrato a livello di segnalazione dei rischi è stato operato dall’art. 8, par. 1 della proposta di direttiva 2008/48/UE relativa al credito al consumo, ove si faceva riferimento alla necessità, per l’erogatore di credito, di consultare prima di ogni operazione di finanziamento una banca dati centralizzata per la valutazione della solvibilità. Tuttavia, in sede di conversione il richiamo a questa banca dati è stato cancellato. Per un maggior approfondimento, v. Piepoli, Sovraindebitamento e credito responsabile, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, p. 38 ss. 20 Il Memorandum ha, peraltro, avuto fin dall’inizio una limitata operatività, poiché soltanto otto Paesi membri lo hanno effettivamente siglato (Austria, Belgium, Czech Republic, France, Germany, Italy, Portugal, Romania and Spain). 21 Con tale termine ci si riferisce a quelle «informazioni dettagliate e individuali su strumenti che sono fonte di rischio di credito per istituti di deposito, società finanziarie diverse dagli istituti di deposito o società veicolo per la gestione delle attività, soggetti che sono tutti attivi nell’erogazione di credito su scala significativa». In proposito, si veda la Decisione BCE/2014/6 contenente misure organizzative preparatorie per la raccolta di dati granulari sul credito da parte del SEBC.
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politica monetaria, stabilità finanziaria, ricerca e produzione di statistiche22. Esso nasce, pertanto, in un’ottica macroprudenziale, sebbene il primo considerando del Regolamento n. 867/2016 riconosca che la raccolta di informazioni potrà essere utile anche nell’ambito dell’esercizio delle funzioni di vigilanza microprudenziale attribuite al Single Supervisory Mechanism, nonché per supportare la valutazione del merito creditizio degli operatori23. Al nuovo registro vengono, perciò, assegnate una pluralità di funzioni che dovranno essere perseguite secondo un processo articolato in più fasi, anche al fine di adeguarsi alle “significative eterogeneità”, caratterizzanti i sistemi di raccolta dati dei diversi Paesi membri24. In una prima fase, il sistema Anacredit sarà orientato a creare un set di dati granulari sui crediti rispondenti a una serie di “informazioni comuni armonizzate”25, sotto la responsabilità di ciascuna Banca centrale nazionale. In seguito, è prevista un’evoluzione del sistema fino a prevedere la vera e propria costituzione di una banca dati comune e condivisa, tra i Paesi dell’area euro, che riguarderà le informazioni su crediti segnalate dai soli enti creditizi, relativi a legal entities, qualora venga superata la soglia di 25.000 euro. Come nel Memorandum del 2011 resta fondamentale il ruolo svolto dalle Banche centrali nazionali e pure rimane fissata la medesima soglia quantitativa ai fini della rilevazione: l’attenzione è in questo caso posta però esclusivamente sui dati riguardanti le imprese, con esclusione delle persone fisiche26. Ciò si spiega poiché Anacredit è stato creato non già
22 Più precisamente, il potere della BCE poggia sull’art. 5, par. 1 dello Statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea e sull’art. 3 del reg. CE 2533/1998. 23 Soprattutto grazie ai dati ottenuti nell’ambito dei flussi di ritorno alle Centrali dei rischi nazionali che potranno andare ad arricchire i prodotti informativi nazionali destinati agli intermediari partecipanti alle singole Centrali (per questo profilo si v., più puntualmente l’art. 11 del Regolamento). 24 Va peraltro sottolineato che nel Regolamento UE 2016/867 (con cui viene istituito Anacredit) la BCE si occupa delle sole Centrali rischi pubbliche, ovvero solo di registri gestiti da una Banca Centrale Nazionale. 25 La consapevolezza che il sistema non avrebbe potuto funzionare in assenza di un preciso elenco relativo ad attributi e misure dei dati che caratterizzano gli strumenti ritenuti a rischio per gli operatori è maturata solo in un secondo momento. Nella già citata decisione BCE 2014/6, l’autorità bancaria sembrava propensa a ritenere che, in una prima fase, sarebbe stato sufficiente introdurre una serie di “requisiti minimi comuni”. 26 Il debitore dovrà essere più precisamente una legal entity ossia rientrare fra quei «soggetti diversi dalle persone fisiche e dai titolari di ditte individuali, quali ad esempio
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in funzione di impedire il sovra-indebitamento del richiedente (come il MOU), quanto al fine di raccogliere maggiori informazioni sulle attività creditizie soprattutto in un’ottica macroprudenziale, nonché per incentivare l’accesso al credito per le medie e piccole imprese27, delle quali si possiedono, in genere, solo dati limitati e parziali. In un orizzonte di più lungo periodo, tuttavia, il progetto della BCE (in particolare al considerando n. 12) prevede non soltanto la possibilità di estendere l’obbligo di segnalazione ad altri soggetti che svolgono attività di erogazione del credito (quali società veicolo, società finanziarie, etc.), ma anche l’inclusione in Anacredit dei dati relativi alle persone fisiche. Passaggio che a sua volta richiederà di affrontare la questione attinente alla tutela della privacy e dei dati personali dei singoli28.
le persone giuridiche, gli organismi privi di personalità giuridica che dispongono di autonomia decisionale e contabile, associazioni e fondi comuni di investimento, residenti e non residenti». 27 In una direzione analoga si muove anche il Regolamento n. 1945/2015 (The Small and Medium Sized Business Credit Information), entrato in vigore in Gran Bretagna il 1 gennaio 2016. Anche in questo caso, il legislatore ha voluto migliorare l’accesso alle informazioni relative alle SME, per garantire una maggior concorrenza tra gli operatori e migliorare l’accesso al credito per le società stesse, introducendo un sistema di scambio di informazioni creditizie relative alle sole piccole e medie imprese. A differenza del sistema europeo, però, gli obblighi informativi previsti dalla normativa anglosassone gravano soltanto su alcune banche, precedentemente individuate, che saranno tenute a dialogare unicamente con specifiche “credit reference agency”, previamente autorizzate dal Tesoro allo svolgimento della funzione di intermediario. La banca, in caso di richiesta di informazioni presentata da una di queste agenzie, è obbligata a fornire i dati, entro il termine di 30 giorni (art. 3). Le informazioni oggetto di trasferimento possono, inoltre, riguardare le sole imprese che hanno espressamente acconsentito, sottoscrivendo un accordo con la banca stessa, alla circolazione dei loro dati. Le informazioni acquisite da una credit reference agency potranno poi essere trasmesse, a richiesta, a un altro intermediario finanziario solo qualora quest’ultimo sia d’accordo con l’agenzia circa l’eventuale utilizzo delle informazioni e sia altresì disposto a pagare un corrispettivo. La circolazione di questi dati è, infatti, specificamente finalizzata ad aiutare gli intermediari finanziari nel decidere se erogare credito (in qualsiasi forma tecnica) a un certo soggetto, consentendo in particolare la valutazione della capacità di restituzione del prestito e la verifica dell’identità dei titolari dell’impresa. Nel trasferimento delle informazioni può anche essere coinvolta la Bank of England, qualora la medesima ne faccia richiesta, che, a sua volta, può portare i dati all’attenzione del Tesoro. In quest’ultimo caso, però, il Regolamento prevede che i dati medesimi non possano essere precisi al punto da consentire al Tesoro l’individuazione di una specifica impresa. 28 Il Regolamento 2016/679, General Data Protection Regulation, che entrerà in vigore nel maggio 2018, infatti, si applica ai soli dati delle persone fisiche.
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Ritornando alla prima fase, che, come si è detto si avvierà a settembre 2018, la limitazione della rilevazione ai soli creditidi elevato importo, erogati da banche a legal entities, si spiega anche in ragione del dettaglio che la circolazione delle informazioni andrà ad assumere. Il sistema impone, infatti, obblighi di segnalazione particolarmente gravosi per gli intermediari, posto che di ciascuna operazione di finanziamento censita dovranno essere forniti dati relativi a circa 100 diversi aspetti, con una circolazione di informazioni molto granulari e dettagliate29, con conseguenti nuovi e rilevanti costi di compliance per i soggetti coinvolti. Anacredit richiederà, inoltre, un ampio grado di armonizzazione tra le Centrali dei rischi pubbliche dei diversi Paesi convolti, ragione per cui la BCE si è impegnata non solo a indicare gli adempimenti procedurali da porre in essere, ma soprattutto a fissare regole comuni in termini di modalità di censimento da parte delle Centrali dei rischi nazionali30. In particolare, dovrà essere fatto un grande sforzo per raggiungere un patrimonio concettuale comune, dato il permanere dell’assenza, nell’attuale contesto dell’Unione bancaria, di definizioni univoche relative a profili di grande rilievo quali, ad esempio, il concetto di default o di non performing loan (NPL)31.
29 La Circolare della Banca d’Italia n. 297 del 16 maggio 2017 (Rilevazione dei dati granulari sul credito: istruzioni per gli intermediari segnalanti) prevede che ciascun intermediario sarà tenuto a segnalare una serie di informazioni (contenute nel modello o template), da inviare con frequenza mensile relative: 1. ai dati sullo strumento, dati finanziari, dati controparte – strumento, dati sulle responsabilità solidali; 2. Al Tasso di interesse Annuo Effettivo Globale (TAEG); 3. Alla Commissioni e Spese. Vi è poi un’altra serie di informazioni (rilevazione o survey) sempre da inviare con frequenza mensile relativa ai dati sul rischio di controparte, dati sul default della controparte, dati sulla protezione ricevuta, dati relativi a strumento – protezione ricevuta; infine, una terza rilevazione o survey con frequenza trimestrale relativa ai dati contabili. 30 Quanto questo passaggio sia complesso si coglie consultando il Manuale di istruzioni adottato dalla BCE - ossia l’Anacredit Reporting Manual – articolato in tre diverse parti: la prima contiene i criteri più generali previsti dal regolamento relativi agli obblighi segnaletici, ivi inclusa la modalità di funzionamento del modello dei dati coinvolti; la seconda riporta dettagliate istruzioni sugli obblighi di segnalazione; la terza, infine, introduce ulteriori specifiche relative a operazioni particolarmente complesse. 31 In proposito, si vedano EBC, Linee guida per le banche sui crediti deteriorati, del marzo 2017, in www.bankingsupervision.europa.eu, che richiama la definizione offerta dall’EBA al par. 145, dell’Allegato V, delle Norme tecniche di attuazione, secondo cui «sono considerate esposizioni deteriorate (Non Performing Exposure) quelle che soddisfano uno dei seguenti criteri o entrambi: 1. Esposizioni rilevanti scadute da oltre 90 giorni; 2. è considerato improbabile che il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie senza l’escussione di garanzie, indipendentemente dall’esistenza
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Si noti che questa esigenza è resa particolarmente forte dalla mancanza, con riguardo a questi concetti, di uniformità di definizioni tra le stesse fonti europee. Dato che i criteri segnaletici definiti nell’ambito delle Centrali dei rischi sono costruiti sulla base delle esigenze tipiche di un sistema informativo sul credito, non è difficile riscontrare, in alcuni casi, una divergenza dalle regole di compilazione delle segnalazioni di vigilanza o statistiche. Da quanto detto sin qui, ben si comprende che il cammino verso una piena integrazione, a livello europeo, dei sistemi informativi creditizi non solo è destinato a essere lungo e tortuoso ma, in questa fase, risulta anche appesantito dalla pluralità di costi e adempimenti che gravano sugli intermediari in ragione della duplicazione di strategie (Memorandum of Understanding e Anacredit) messe in campo a livello europeo. Da quest’angolo visuale, è perciò auspicabile che si giunga quanto prima a soluzioni di collaborazione/integrazione fra i due modelli, se non addirittura all’adozione di uno solo dei due.
3. Verso l’ampliamento dei soggetti coinvolti nella rilevazione centralizzata dei rischi creditizi. Un secondo fattore di evoluzione relativo alla rilevazione centralizzata dei rischi creditizi è senz’altro costituito, pur nella disomogeneità degli esempi offerti dai diversi contesti nazionali, dalla tendenza a estendere la tipologia di soggetti con cui le Centrali dei rischi dialogano. Anche sotto questo profilo, il panorama europeo offre una molteplicità di soluzioni tra loro diversificate spesso in ragione della natura pubblica o privata dei sistemi informativi creditizi oggi esistenti. Mentre, infatti, i Credit bureaux scambiano informazioni, potenzialmente, con tutti i soggetti sottoscrittori di un contratto di adesione (a prescindere dal fatto che questi ultimi siano banche, intermediari finanziari o altre categorie di operatori)32, un discorso a parte deve essere fatto per le Centrali dei rischi pubbliche. Come è noto, in Italia, l’obbligo di adesione alla Centrale dei rischi gestita dalla Banca d’Italia è stato limitato, almeno fino al recente pas-
di importi scaduti o dal numero di giorni di arretrato». 32 In proposito si veda ancora il rapporto ACCIS, 2015, p. 17 ove tra i cinque Paesi che presentano il sistema più vario in termini di raccolta di informazioni, si ricordano la Germania, la Gran Bretagna, la Svizzera, la Danimarca e la Polonia.
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sato, alle banche e agli intermediari finanziari autorizzati all’esercizio dell’attività di erogazione del credito, ex art. 106 t.u.b.33. Solo negli ultimi anni, si può riscontrare la tendenza, anche in ordinamenti come il nostro, ad ampliare il numero dei soggetti tenuti a dialogare con le Centrali dei rischi pubbliche: e ciò soprattutto a seguito delle iniziative finalizzate a individuare nuovi canali di accesso al credito per le PMI34. A questo riguardo, sempre con riferimento all’Italia, si devono richiamare le disposizioni contenute nel c.d. Decreto sviluppo35 che hanno, per l’appunto, esteso anche agli organismi di investimento collettivi del risparmio (OICR), alle imprese di assicurazione e alle società veicolo di cartolarizzazione la possibilità di svolgere attività di credito, con conseguente estensione anche degli obblighi di segnalazione alla Centrale Rischi gestita dalla Banca d’Italia, previsti per gli operatori tradizionali. Questione diversa e tuttora irrisolta è quella che, invece, riguarda quei nuovi soggetti coinvolti nell’attività di erogazione del credito che vanno sotto il nome di marketplaces lending (ossia piattaforme digitali che offrono attività e servizi, connessi all’erogazione di finanziamenti a privati e imprese) e che, allo stato, hanno più difficile accesso alle banche dati centralizzate36. Più in dettaglio, stando alle prime indagini svolte dalle autorità di settore sul punto37, tali piattaforme possono consultare i sistemi informativi
33 In altri Paesi (ad es. in Germania), invece, la raccolta delle informazioni è da tempo utilizzata anche per rispondere alle richieste di altre categorie di soggetti, quali i service provider delle utilities. 34 In proposito, può essere opportuno ricordare che la stabilità finanziaria delle PMI e soprattutto le loro modalità di finanziamento costituiscono uno degli obiettivi principali anche nell’ambito della c.d. Capital Market Union. 35 Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con Legge 11 agosto 2014, n. 116, come successivamente modificato. 36 Si noti che, in questo ambito, rientrano entità molto diverse le une dalle altre che si occupano di lending. Dal punto di vista del modello di business accanto a quelli ove le risorse sono costituite dal risparmio dei singoli (il vero e proprio peer to peer), si stanno affermando altri sistemi in cui i prestatori sono direttamente banche o imprese. Per un’attenta indagine sulle modalità di classificazione delle piattaforme di lending, v. Macchiavello, Una nuova frontiera del settore finanziario solidale: Microfinanza e Peer-to-peer lending, in Banca, impresa e società, 2013, fasc. 2, p. 277 ss.; nonché id., Microfinance and Financial inclusions. The Challange of Regulating Alternative Form of Finance, New York, 2017. 37 FSB, FinTech credit. Market structure, business models and financial stability implications, del 22 maggio 2017, www.fsb.org, secondo cui alcune piattaforme di peer to peer lending non possono contare su dati relativi a «income, wealth and total debt outstanding», etc.
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creditizi privati, previa sottoscrizione del relativo contratto di adesione, ma sono per lo più esclusi dall’accesso alle centrali pubbliche, salvo che non rientrino in una delle categorie sottoposte all’obbligo di segnalazione. Data l’attuale assenza di una disciplina comune a livello europeo per tali piattaforme, la loro inclusione o meno nell’ambito di un sistema centralizzato di informazione creditizia, viene, infatti, a dipendere unicamente dal modo in cui il legislatore nazionale ha deciso di inquadrare tali nuovi soggetti. In particolare, nel nostro ordinamento le piattaforme di lending sono state ad oggi per lo più ricondotte alla fattispecie degli istituti di pagamento (IP) e, di conseguenza, escluse dalla Centrale dei rischi gestita dalla Banca d’Italia; diversa, invece, è la situazione delle piattaforme che sono state autorizzate a operare ex art. 106 Tub. In prospettiva futura, un simile approccio al fenomeno dei marketplaces lending suscita però non poche perplessità. Se infatti, per un verso, tale esclusione appare ragionevole in considerazione del fatto che le piattaforme (almeno nel modello tradizionale) non dovrebbero erogare direttamente finanziamenti, bensì limitarsi – appunto in una logica peer to peer - a mettere in contatto i prestatori con i prenditori; d’altro canto, questa soluzione ignora che, molto spesso, le piattaforme in discorso offrono una serie di servizi aggiuntivi ai propri clienti tra cui, comunemente, la valutazione del merito creditizio attraverso l’elaborazione di un credit scoring. In altre parole, i market places, pur non assumendo direttamente il rischio di credito – e svolgendo quindi una funzione diversa da quella tipicamente bancaria –, svolgono nel mercato una funzione in senso lato di “intermediazione”, contribuendo comunque ad attenuare l’asimmetria informativa tra i soggetti, dal punto di vista economico, in deficit e in surplus attraverso una verifica e una validazione dei dati relativi alla meritevolezza creditizia del singolo richiedente un prestito38. Ed ecco perché, anche in questo caso, la possibilità per tali piattaforme di accedere alle centrali dei rischi può risultare fondamentale per assicurare l’efficienza del sistema. Vista la progressiva diffusione di que-
38 Non è certo questa la sede per analizzare, nel dettaglio, i profili relativi alle modalità di valutazione del merito creditizio. Qui può essere sufficiente rilevare come, fino a oggi, il legislatore europeo non si sia particolarmente interessato a questo profilo, limitandosi a prevedere - con esclusivo riferimento alla disciplina del credito al consumo di cui alla già citata direttiva 2008/48/UE – la necessità per i creditori di procedere alla valutazione del merito creditizio sulla base di informazioni “adeguate”, che possono essere fornite dal consumatore stesso, ovvero attraverso l’accesso a banche dati.
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sta tipologia di soggetti, si tratta peraltro, di un problema che si rende rà inevitabile affrontare nel prossimo futuro e non è un caso che, nell’ultimo anno, si sia assistito a una crescita esponenziale di interesse delle autorità di vigilanza (nazionali, europee e internazionali) in proposito. Va altresì rilevato che, in attesa di soluzioni più chiare sul piano regolatorio, molte piattaforme stanno cercando di gestire questa fase di incertezza e di superare i propri limiti informativi grazie all’utilizzo di dati alternativi, nuovamente sfruttando le molteplici opportunità loro offerte dall’innovazione tecnologica. Altro ambito che, al momento, sconta un grave deficit di regolazione e sul quale si cercherà di offrire qualche spunto nel paragrafo che segue.
4. Il crescente utilizzo dei big data nella determinazione del credit scoring: l’impatto sulle centrali dei rischi. Per completare il quadro sul periodo di transizione che stanno attraversando i sistemi di rilevazione centralizzata dei rischi creditizi, non si può omettere di fare riferimento all’impatto che l’utilizzo delle nuove tecnologie, al di là del già richiamato aspetto relativo all’ingresso di nuovi soggetti, potrà avere su questo tipo di attività39. Uno dei profili maggiormente influenzati dall’innovazione tecnologica degli ultimi anni riguarda, infatti, proprio le modalità con cui le informazioni, soprattutto di tipo personale, vengono prodotte, scambiate, raccolte e analizzate, sfruttando le potenzialità offerte dalla c.d. data driven economy40. È pertanto inevitabile che soprattutto una tecnologia
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Nel contesto finanziario, l’utilizzo dei Big data, unitamente all’AI (artificial intelligence) e al machine learning non comportano la creazione di nuovi prodotti o servizi, ma «are the catalyst that allows for the development of new innovative products and for Fintech companies to enter the banking markets», così Basel Committe on Banking Supervision, Consultative Document, Sound Practices, cit., 30. 40 In altre parole, sfruttano le potenzialità offerte dalla c.d. data driven economy, su cui v. Commissione Europea, Communication Building a European Data Economy, COM(2017) 9 final, Bruxelles, 10 gennaio 2017, http://eur-lex.europa.eu/content/news/ building_EU_data_economy.html; id., Toward a data-driven economy, COM(2014)442 final, Bruxelles, 2 luglio 2014, in http://www.kowi.de/Portaldata/2/Resources/fp/2014COM-Big-Data.pdf; id., Comunicazione Strategia per il mercato unico digitale in Europa, COM(2015)192 final, Bruxelles 6 maggio 2015, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/ IT/ALL/?uri=CELEX:52015DC0192; id., Comunicazione sulla revisione intermedia dell’attuazione della strategia per il mercato unico digitale. Un mercato unico digitale connesso per tutti, COM(2017)228 final, Bruxelles 10 maggio 2017, http://www.europarl.
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come quella dei Big data, ossia quel ramo dell’informatica che si riferisce alla gestione di data-set di eccezionale entità41, debba essere, sia pure brevemente, considerato in questa sede. Tradizionalmente, infatti, la determinazione del credit scoring avviene sulla base di una serie di informazioni (dette hard) in cui assumono un peso determinante la storia creditizia nonché l’esposizione debitoria del singolo, che possono essere ricostruite dall’intermediario soprattutto grazie alla consultazione dati contenuti nelle Centrali dei rischi. E fino a poco tempo fa non avrebbe potuto essere diversamente. Oggi, invece, l’utilizzo delle nuove tecnologie consente di ricorrere ad «alternative sources of data and alternative credit-scoring methodologies»42, ossia tecniche che consentono di ampliare (e talora addirittura sostituire) la tipologia tradizionale di informazioni a disposizione dei singoli operatori, ai fini della formulazione del giudizio sul futuro debitore, includendone di ulteriori, quali, ad esempio, quelli appartenenti alla sfera social (i c.d. dati soft)43, Questo discorso si collega, altresì, con quanto già detto a proposito delle nuove piattaforme di lending44. Esse, infatti, per ovviare alle no-
europa.eu/meetdocs/2014_2019/plmrep/AUTRES_INSTITUTIONS/COMM/COM/2017/0904/COM_COM20170261_IT.pdf. 41 Il concetto di Big Data si riferisce a quel nuovo ramo dell’informatica relativo «alla raccolta, all’analisi e all’accumulo ricorrente di ingenti quantità di dati, compresi i dati personali, provenienti da una serie di fonti diverse, che sono oggetto di un trattamento automatizzato mediante algoritmi informatici e tecniche avanzate di trattamento dei dati, che usano sia informazioni memorizzate sia in streaming, al fine di individuare determinate correlazioni, tendenze e modelli», almeno stando alla definizione adottata dal Parlamento Europeo nella sua Proposta di risoluzione sulle implicazioni dei Big Data per i diritti fondamentali: privacy, protezione dei dati, non discriminazione, sicurezza e attività di contrasto, consultabile alla pagina http://www.europarl.europa.eu/sides/ getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A8-2017-0044+0+DOC+XML+V0//IT#title1. 42 Ossia «on underlying analytical data models and alternative data sources, such as payment of medical bills and social media profiles, and therefore differ from standard credit scoring models which use only credit history and indebtedness as inputs», così sempre EBC, Guide to assessments of Fintech credit institution license applications, september 2017, http://www.bcnkingsupervision.europa.eu/loyalframework. 43 EBA, Report on innovative uses of consumer data by financial institutions, pubblicato il 28 giugno 2017, https://www.eba.europa.eu/documents/10180/1720738/Re port+on+Innovative+uses+of+data+2017.pd. Questa tendenza, peraltro, varia molto a seconda del Paese membro considerato e, soprattutto, dei tipi di dati hard che sono resi disponibili dai diversi sistemi di credit bureaux. In alcuni Paesi sono disponibili soltanto dati negativi, mentre in altri casi sono raccolte informazioni anche su quelli positivi. 44 FSB, FinTech credit: Market structure, business models and financial stability
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tevoli difficoltà nell’accesso alle centrali rischi pubbliche oltre che naturalmente, per scontare la scarsità del proprio patrimonio informativo storico45, hanno messo a punto una serie di sistemi di valutazione del merito creditizio, che poggiano sull’utilizzo di informazioni alternative rispetto a quelle solitamente impiegate dagli incumbent46. Di conseguenza, si può legittimamente ritenere che, sotto questo specifico punto di vista, i big data possano essere considerati potenzialmente distruptive nei confronti del ruolo fondamentale che le centrali dei rischi svolgono nell’ambito del sistema di informazione creditizia. Una dimostrazione di quanto questa tecnologia possa costituire un’efficace alternativa ai modelli tradizionali si evince anche dal fatto che ormai alcuni tra i più importanti Credit bureaux che operano nei servizi di credit scoring abbiano già messo a punto alcuni algoritmi quali, ad esempio, l’Experian Income Insight e l’Equifax Decision 36047, che propongono modelli “alternativi” di analisi, basati su un più ampio spettro di dati. Al momento, invece, le Centrali dei rischi pubbliche sembrano ancora lontane dallo sfruttare pienamente le capacità dei Big Data48, anche se appare probabile che nel prossimo futuro anch’esse potranno essere interessate dal fenomeno, in vista di una miglior gestione delle informazioni. In ogni caso, sia che questi sistemi “alternativi” siano utilizzati direttamente da una centrale dei rischi, sia da un soggetto che eroga credito, è evidente come si pongano tutta una serie di nuove questioni che dovranno presto essere affrontate poiché in concreto si traducono in profondi mutamenti nell’ambito dell’informazione creditizia. Il ricorso a siffatte metodologie consente notevoli vantaggi come la possibilità di mantenere costantemente aggiornata la situazione crediti-
implications, http://www.fsb.org/2017/05/fintech-credit-market-structure-business-modelsand-financial-stability-implications/, ricorda come molte piattaforme abbiano sviluppato tecniche di credit scoring grazie all’utilizzo di tecnologie innovative. 45 Packin e Yafit Lev-Aretz, On social credit ad the right to be unnetworked, in Columbia Business Law Review, 2016, 2, pp. 339-425. 46 Anche gli operatori tradizionali si stanno, però, interessando a questi aspetti. 47 Cfr. Robinson + Yu, Knowing the Score. New Data, Underwriting, and Marketing in the Consumer Credit Marketplace. A guide for Financial Inclusion Stakeholders, October, 2014, 13, consultabile sul sito https://www.teamupturn.org/static/files/Knowing_the_ Score_Oct_2014_v1_1.pdf. 48 Sul punto si vedano le osservazioni di IFC Report, Central banks’ use of and interest in “big data”, Survey conducted by the Irving Fisher Committee on Central Bank Statistics (IFC), October 2015, https://www.bis.org/ifc/publ/ifc-report-bigdata.pdf.
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zia del singolo (sia esso un privato, ovvero un’impresa, ora legata alla scadenza per lo più semestrale dei dati di bilancio) potendo intervenire lungo tutto il periodo di erogazione del credito e modificando, di conseguenza, il suo rating49. Le stesse autorità di vigilanza ritengono che l’impiego di simili tecnologie sarà fondamentale per la futura evoluzione di quest’ambito50, anche se al momento mancano prove certe circa la loro attendibilità51, non essendo ancora giunto a compimento un intero ciclo di finanziamento52. Ciononostante, è necessario porre una grande attenzione sulle modalità operative di questi algoritmi, spesso molto complessi, poiché come alcuni sottolineano53, in assenza di adeguati controlli e di una regolazione ad hoc, essi possono rischiare di acuire e rafforzare le tradizionali problematiche relative all’eccessiva segretezza e agli effetti discriminatori54 che le metodologie di scoring arrecano, oltre naturalmente a comportare nuovi rischi55. I big data, infatti, rappresentano qualcosa di diverso rispetto al precedente processo di digitalizzazione, grazie al quale l’intervento umano56
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Per i vantaggi che potrebbero essere offerti da questa metodologia nell’ambito bancario, v. EBA, Report of innovative uses of consumer data by financial institutions, del 28 giugno 2017, in https://www.eba.europa.eu/documents/10180/1720738/Report+ on+Innovative+uses+of+data+2017.pdf; ESA’s, Joint Committee, Consultation Paper on the Use of Big Data by Financial Institutions, aperto ai commenti fino al marzo 2017 e consultabile sul sito https://esas-joint-committee.europa.eu/Pages/News/EuropeanSupervisory-Authorities-consult-on-Big-Data.aspx 50 Esas, Discussion Paper, cit.; EBA, Report on innovative uses of consumer data, cit. 51 Alcune prove circa l’effettiva capacità dell’uso di questa tecnologia di migliorare la valutazione del merito creditizio, discende da un recente studio condotto da alcuni economisti proprio nell’ambito del P2P lending: Ge, Feng, Gu, Borrower’s default and self-disclosure of social media information in P2P lending, in Financial Innovation, 2016, 2(30), pp. 1-6. 52 FSB, Financial Stability Implication from Fintech. Supervisory and Regulatory Issues that Merit Authorieties’ Attention, June 2017, consultabile sul sito www.fsb.org. 53 Financial Stability Board, nel report sul Fintech del giugno 2017. 54 Questa è una tematica particolarmente affrontata soprattutto negli USA dove, negli ultimi anni è stata oggetto di un acceso dibattito, ex multis,. Schmitz, Secret consumer scores and segmentations: separeting “haves” from “have nots”, in Mich. St. I. Rev., 2014, p. 1411. 55 Cfr. Report by Robinson + Yu, Knowing the Score, cit. 56 Per una ricostruzione di questa evoluzione v. Ferretti, The “Credit Scoring pandemic” and the European Vaccine: Making Sense of Eu Data Protection Legislation, in Journal of Information, Law and Technology, 2009, p. 3 ss.; Handzic, Tjandrawibawa, Jeo, How Neural Networks Can Help Loan Officers to make better Informed Application Decisions, Jne Informing Science, 2003, p. 522, ss.
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era stato sostituito da una serie di procedimenti automatizzati basati su algoritmi. Essi non solo potrebbero accentuare la tendenza a escludere dai canali del prestito soggetti che già appartengono a fasce sociali più deboli o comunque a discriminarle57, ma potrebbero altresì consentire di individuare una serie di soggetti58 che potrebbero essere catalogati come “indesiderabili”, portando a un effetto di vera e propria “esclusione”59. Proprio per questo motivo, sarà indispensabile riflettere sulla tipologia di dati che possono essere acquisiti e successivamente impiegati per la determinazione del credit scoring, oltre a monitorare il processo automatizzato che consente di addivenire alla decisione finale, anche in vista della tutela delle posizioni dei valutati. Non a caso, le autorità di vigilanza (europee e internazionali60) hanno, negli ultimi tempi, cominciato a interessarsi alle modalità con cui i singoli operatori procedono alla suddetta valutazione e, più precisamente, si sono chieste se il loro processo decisionale si basi sulla consultazione di una centrale rischi ovvero se vengono utilizzate anche altre fonti di informazione61. In quest’ottica, trovano giustificazione le previsioni particolarmente dettagliate che sono state inserite nella proposta di Linee guida adottate dalla BCE lo scorso settembre 2017, sulle autorizzazioni per le c.d. Fintech banks62, ove si è proposto di introdurre una serie di controlli sulla fase di valutazione del merito creditizio condotta da questi soggetti. Si badi che l’autorità di vigilanza europea propone di inserire una procedura di controllo per tutti i soggetti che si apprestino a richiedere un’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria come Fintech bank, anche se esse utiliz-
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Sui possibili effetti discriminatori, v. anche Federal Trade Commission, Big Data: a tool for inclusion or exclusion, FTC, January 2016, consultabile sul sito http://www.ftc. gov; nonché ancora Barocas, Selbst, Selbst, Big Data’s Disparate Impact, 104 California Law Review 671 (2016). 58 FSUG, Paper on Assessment of current and future impact on Big Data on Financial Services, June 2016, https://ec.europa.eu/info/file/46888/download_en. 59 Esas, Discussione paper, cit. 60 Basel Committe on Banking Supervision, Consultative Document, Sound Practices: Implications of fintech developments, cit., 30. 61 Dette disposizioni paiono, peraltro, evocare le raccomandazioni avanzate anche dal Comitato di Basilea BCBS, Consultative Document, cit. 62 (Guide to assessments of fintech credit institution licence applications, in https:// www.bankingsupervision.europa.eu/legalframework/publiccons/pdf/licensing_and_ fintech/ssm.guide_on_assessment_for_licensing_of_fintech_credit_insts_draft.en.pdf).
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zeranno sistemi di valutazione del merito creditizio secondo metodologie tradizionali. Il timore è che i nuovi operatori, che si affacciano sul mercato del lending non abbiano, almeno all’inizio, il patrimonio di informazioni necessario per effettuare un’efficiente valutazione del merito creditizio (soprattutto con riferimento alle passate performance del potenziale debitore). In ragione di questa eventualità, l’autorità europea ritiene che sia indispensabile individuare una serie di procedure per il rilascio dei finanziamenti e per il loro rinnovo, teso a verificare «what type of data is used in the process of granting a loan and how data quality is assured». Detto processo dovrebbe altresì tener conto delle specificità di ciascun Paese membro. Qualora, invece, le Financial banks option per l’adozione di “alternative credit scoring system”, i controlli dovranno essere ancora più severi e mirati a individuare esattamente le modalità, le tipologie e i processi utilizzati. In altre parole, l’innovazione tecnologica, anche se non applicata direttamente all’ambito della valutazione del merito creditizio, giustifica comunque l’introduzione di una fase addizionale di assessment, che in precedenza non era mai stata richiesta.
5. Considerazioni conclusive. Alla luce delle osservazioni che precedono, pare plausibile ritenere che l’attuale periodo di trasformazione che le Centrali dei rischi stanno attraversando costituisca solo la prima fase di un processo ben più radicale. L’istituzione di Anacredit, in particolare, deve essere visto come il primo, seppur piccolo, passo verso un’effettiva integrazione, fra banche dati nazionali attraverso la costituzione di un sistema basato su unico registro centrale dei dati relativi sia alle legal entities, sia alle persone fisiche, con un conseguente abbassamento delle soglie di rilevanza. La futura costituzione di una comune banca dati imporrà, peraltro, di risolvere la spinosa questione dell’armonizzazione delle discipline attualmente in vigore nei diversi paesi membri a partire dai già richiamati problemi relativi alle stesse definizioni di concetti quali la sofferenza del credito, etc63.
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Sul tema si vedano le osservazioni poste dall’EBA a proposito della questione degli NPL, Report on the Dynamics and drivers of non_performing exposures in the EU banking sector, 22 July 2016, in https://www.eba.europa.eu/-/eba-provides-updates-onnpls-in-eu-banking-sector.
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In un orizzonte di più lungo periodo, tuttavia, gli aspetti sicuramente più delicati riguarderanno l’impatto dell’innovazione tecnologica sui sistemi di rilevazione centralizzata di informazioni creditizie. E ciò sia per la presenza di nuove “entità Fintech” che si affacciano all’attività di erogazione del credito proponendo un nuovo modello di intermediazione rispetto a quello che siamo abituati a conoscere – e che pur dovranno divenire parte integrante del sistema di rilevazione centralizzata dei rischi ereditizi64 –, quanto soprattutto per l’avanzare inarrestabile del fenomeno dei big data e dell’utilizzo dell’algoritmo in funzione decisionale. Quest’ultima è una trasformazione davvero radicale non solo del modo in cui i dati vengono raccolti e analizzati ma anche – e soprattutto – del modo attraverso cui si deciderà, in ultima analisi, se erogare credito oppure no. Di fronte a queste sfide, un ponderato intervento del regolatore, volto a governare i nuovi rischi insiti nell’innovazione tecnologica data dall’utilizzo di algoritmi in funzione decisionale, sembra essere del tutto auspicabile.
Concessione di credito e informazione al mercato Vincenzo Caridi 1. Comincio con il precisare che, a dispetto del titolo, la relazione che intendo svolgere non riguarderà la concessione di credito tout court, bensì il sostegno finanziario che la banca concede all’imprenditore sapendo o dovendo sapere che non ne sussistevano le condizioni economiche. In altri termini, utilizzerò l’informazione al mercato, collocata sullo sfondo di questa sessione del nostro incontro di studio, quale pri-
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Sebbene, già dall’anno prossimo, esse potranno trarre un primo importante beneficio dall’entrata in vigore della dir. 2015/2366 EU, (c.d. PSD2, Del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE) soprattutto nella parte in cui prevede che gli operatori bancari debbano mettere a disposizione degli altri soggetti che operano nell’ambito dei servizi di pagamento, le notizie relative ai conti di pagamento di ciascun singolo consumatore, in modo obiettivo, proporzionato e non discriminatorio, al fine di consentire loro di operare in modo «agevole ed efficiente». Così dispone l’art. 36, dir. 2015/2366 cit. Detta direttiva, di conseguenza, si muove verso l’affermazione di un sistema di open banking che richiederà agli operatori tradizionali di mettere a disposizione i dati attraverso sistemi sicuri, le c.d. API (Application Programming Interfaces), che renderanno possibile un accesso dinamico e aggiornato allo stato dei conti sia al cliente, sia a terze parti da lui stesso autorizzate.
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sma attraverso il quale guardare alla c.d. concessione abusiva di credito. In via del tutto preliminare, a giustificazione di una tale scelta, può osservarsi che il tema della concessione abusiva di credito, dopo quaranta anni dalla enucleazione della fattispecie nella nostra letteratura (Nigro 1978) e nonostante il fatto che in argomento, pur nell’ambito di un panorama giurisprudenziale non particolarmente nutrito, sia a più riprese intervenuta la Suprema Corte (Cass., sez, un., n. 7029/2006; n. 7030/2006; n. 7031/2006; Cass. n. 1313/2010; Cass. n. 17284/2010; Cass. n. 9983/2017; Cass. n. 11798/2017), non ha ancora trovato una condivisa sistemazione. Per restare agli aspetti più evidenti, dubbi permangono in ordine: al fondamento dell’antigiuridicità; al criterio di imputazione; al danno; infine, alla legittimazione all’esercizio dell’azione (questione quest’ultima che, detto per inciso, rappresenta ormai il punto di partenza del più recente dibattito in argomento), essendo peraltro discusso se si tratti di una fattispecie unitaria di tipo plurioffensivo o piuttosto di una gamma di fattispecie, in cui il sostegno finanziario si qualifica quale fatto materiale generatore di lesioni e pregiudizi tra loro distinti (Nigro 2011; Pinto 2011; Di Marzio 2015). Ed è appena il caso di sottolineare che, attesa la mancanza di referenti normativi specifici, la non univocità delle opinioni dottrinali contribuisce a rendere le soluzioni giurisprudenziali poco sicure e comunque in certo modo instabili. Ed allora, mentre sta prendendo corpo una nuova riforma del diritto della crisi delle imprese, è forse il caso di ribadire il rammarico, già autorevolmente espresso all’indomani della riforma fallimentare del 20052007 (Portale 2007), per il fatto che il legislatore, ancora una volta, non si sia per nulla preoccupato di disciplinare la fattispecie in questione. Ciò che, considerate le modifiche nel frattempo intervenute sul piano della disciplina del finanziamento dell’impresa in crisi (Nigro 2006; Id. 2011; Fortunato 2016a), sarebbe risultato in questa fase ancor più opportuno rispetto al momento di avvio del processo riformatore, quando in effetti il favor per il risanamento muoveva i suoi primi passi e non aveva ancora assunto, sul piano del diritto positivo, connotati ben definiti. 2. Ciò premesso, occorre partire dalla constatazione che la centralità del ruolo dell’informazione al mercato nella fattispecie di responsabilità da concessione abusiva di credito è un dato condiviso. Non è un caso che il prof. Fortunato, all’incontro di studio organizzato dalla Rivista e dal Ce.Di.B. nel 2015, nell’introdurre il tema della Sua relazione, avente ad oggetto proprio la responsabilità della banca nel finanziamento all’impresa in crisi, sottolineava come «le più mature elaborazioni giurisprudenziali … hanno individuato il nucleo fondamentale della fattispecie nella “informazione distorta al mercato” che il finan-
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ziamento concesso ad una impresa insolvente è in grado di trasmettere agli operatori economici, nella misura in cui essa crea una apparenza di solvibilità che finisce per ingannare i terzi che vengono a contatto con l’impresa sovvenuta» (Fortunato 2016b). Del resto, la centralità del momento informativo emerge già guardando alla elaborazione della figura in discorso nell’esperienza francese, dove la dannosità della concessione di credito operata dalla banca in maniera imprudente è tradizionalmente ricondotta alla circostanza che i creditori del sovvenuto vengono in tal modo «ingannati da una prosperità artificiale» (Gavalda et Stoufflet 1974; Rives-Lange et ContamineRaynaud 1995; Gavalda et Stoufflet 2005). Nello stesso ordine di idee si è peraltro collocata anche la dottrina italiana che per prima ha adattato al nostro sistema la fattispecie elaborata in Francia. Nel pioneristico studio al quale va riconosciuto questo merito, sebbene solo come argomento di rinforzo, si sottolineava infatti l’analogia tra la figura della concessione abusiva di credito e quella delle false informazione o assicurazioni che colposamente o dolosamente abbiano creato un legittimo affidamento su una situazione (di solvibilità) non corrispondente al vero (Nigro 1978). E sebbene non manchino autori che ne prescindono (Inzitari 2001; Viscusi 2004; Piscitello 2010), proprio la lesione dell’incolpevole affidamento dei terzi sulla solvibilità del proprio debitore cagionata dalla banca che conceda o mantenga credito sapendo o dovendo sapere che il sovvenuto è insolvente è posta al centro della maggior parte delle ricostruzioni della fattispecie proposte dalla dottrina italiana successiva, che in particolare l’ha valorizzata sul piano dell’antigiuridicità, parlando di lesione del credito dei doveri informativi gravanti sul finanziatore in ragione della posizione di privilegio sul mercato (Pisani 2005) o di lesione della libertà di autodeterminazione negoziale (Galgano 1987; Di Marzio 2004; Fortunato 2009; Di Marzio 2012; Di Marzio 2015), sulla base allora di ricostruzioni che, in ogni caso, presuppongono la portata informativa del contegno della banca finanziatrice. 3. A. Orbene, pur non intendendo negare la stretta relazione tra informazione al mercato e responsabilità da concessione abusiva di credito, io credo che la stessa vada oggi ricostruita su basi parzialmente diverse rispetto al passato, ed in particolare che vada ricostruita non tanto guardando al peculiare profilo professionale del finanziatore, quanto spostando l’attenzione sul soggetto finanziato, e dunque utilizzando l’angolo visuale della disciplina delle crisi. Del resto, questo cambio di prospettiva, in qualche modo sollecitato anche dalle riflessioni della dottrina più recente
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(Viscusi 2004; Nigro 2006; Fortunato 2009; Nigro 2011; Pinto 2011; Di Marzio 2015; Pinto 2017) e prima ancora dall’evoluzione che la figura in questione ha avuto nell’ordinamento di origine (cfr. art. L650-1 del Code de commerce francese, introdotto dalla Loi n° 2005-845 du 26 juillet 2005 de sauvegarde des entreprises), non dovrebbe sollevare particolari resistenze se si considera, da un lato, che se un elemento veramente tipico della concessione abusiva di credito vi è, questo è dato proprio dalla situazione di crisi (se non di insolvenza) del sovvenuto, e, dall’altro lato, che esso appare quasi obbligato in un contesto normativo nel quale la disciplina delle crisi, oggi chiaramente ispirata dal favor per il risanamento, come si sottolineava poc’anzi, trova un caposaldo anche e proprio nell’incentivo al finanziamento dell’impresa in crisi, il quale, sebbene sul piano applicativo si qualifichi principalmente quale finanziamento bancario, è significativamente preso in considerazione dal legislatore in termini oggettivi, guardando cioè alla situazione nella quale è concesso, più che al profilo soggettivo del concedente. Per rendersene conto, del resto, basta volgere l’attenzione alla norma (art. 182-quater, l.fall.) che, riconoscendo il beneficio della prededuzione nell’eventuale successivo fallimento ai crediti derivanti da finanziamenti erogati «in funzione» o «in esecuzione» di una soluzione concordata della crisi, può a pieno titolo riguardarsi come il manifesto del citato favor per il risanamento dell’impresa in crisi. Tale disposizione, introdotta nel 2010 (d.l. n. 78/2010), non solo, sul piano oggettivo, delimita il proprio ambito di applicazione mediante il riferimento ai finanziamenti «in qualsiasi forma effettuati», con una formulazione che si giustifica soprattutto se si ha riguardo al modo di operare dei finanziatori non professionali, ma, sul piano soggettivo, dopo la modifica del 2012 (cfr. d.l. n. 83/2012), ha esteso il raggio di azione della prededuzione piena, inizialmente circoscritto a banche e intermediari finanziari, ai finanziatori tout court, conservando invece ai soci finanziatori la peculiare posizione originaria, ai sensi della quale, in deroga agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., agli stessi può essere riconosciuta una prededuzione parziale (nella misura massima dell’80%). B. Prima di prospettare la mia idea, è però necessario che io chiarisca perché ritengo non soddisfacente la spiegazione secondo la quale la concessione abusiva di credito si risolverebbe in una lesione dell’incolpevole affidamento dei terzi in ordine alla solvibilità del sovvenuto. Ebbene, a mio parere, questa tesi non è condivisibile per almeno tre ordini di ragioni. a. In primo luogo, diversamente da quanto sembra presupporre la tesi in parola, nel caso di specie non si può parlare di una informazione al mercato in senso tecnico.
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Non lo si può fare innanzi tutto perché non siamo di fronte ad una informazione propriamente detta, posto che la concessione di credito ad un certo sovvenuto da parte della banca, pur avendo o potendo avere una valenza segnaletica, non integra una trasmissione di conoscenza, risolvendosi piuttosto in un contegno negoziale avente effetti solo latamente informativi. E se è vero che la circostanza non è risolutiva al fine di respingere l’idea della concessione di credito come lesiva dell’incolpevole affidamento dei terzi, posto che anche un contegno avente tale portata, a certe condizioni, può integrare una simile lesione, merita comunque di essere sottolineata, assumendo rilievo quantomeno sul piano della valutazione dell’incidenza causale del contegno della banca, dal momento che impone di prendere considerazione (anche) l’apporto causale del preteso danneggiato. Non lo si può fare, inoltre e soprattutto, perché il segnale generato dal contegno della banca non si qualifica come in incertam personam, ossia come diretto indistintamente agli operatori attuali e potenziali del mercato. Certo, come è stato autorevolmente notato (Nigro 2011), la valenza segnaletica della concessione di credito ad un imprenditore commerciale viene amplificata, con conseguente diffusione al mercato, dal bilancio del sovvenuto. E tuttavia, la relazione informativa relativamente impersonale che tale circostanza in effetti genera vede quale informante non più la banca che ha concesso credito, ma il sovvenuto medesimo. Il che mi pare induca ad escludere che la rilevanza dell’affidamento dei terzi, che qui non si intende certo negare, possa travalicare il piano degli effetti del contegno della banca, e dunque il piano del nesso di causa, per giungere a coinvolgere il piano dell’antigiuridicità di quel contegno. b. In secondo luogo e – direi – soprattutto, nel caso di specie non possono essere utilizzati gli schemi argomentativi tipici della riflessione sul danno da informazione al mercato finanziario, come invece presuppone l’idea che la concessione abusiva di credito si risolva nella lesione dell’affidamento dei terzi. Più precisamente, sul piano dell’antigiuridicità, non si rinviene nel caso che qui ne occupa un obbligo informativo gravante sulla banca di cui si possa ipotizzare la violazione. Il che, evidentemente, non impedisce di configurare un danno ingiusto (Nigro 1978), ma certo rende enormemente più complesso individuare l’ingiustizia nella lesione dell’affidamento incolpevole dei terzi. Sul piano del danno, poi, un affidamento tutelabile suscettibile di essere leso dalla abusiva concessione di credito è configurabile solo in capo ai c.d. “creditori successivi” all’erogazione del credito (Nigro 2011; Pinto 2011), ossia solo in capo a coloro che contrattano con il
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sovvenuto dopo che lo stesso sia stato finanziato, non invece in capo ai c.d. “creditori anteriori”, i quali, avendo contrattato con il sovvenuto prima del finanziamento, evidentemente su quest’ultimo non possono in alcun modo aver fatto affidamento. Con la conseguenza, allora, che, così concepita, la fattispecie lascia fuori una delle due classi di danneggiati cui invece è tradizionalmente riconosciuto diritto di azione contro la banca che ha abusivamente concesso credito (Stoufflet 1965). Il che poi è alla base della esigenza di enucleare fattispecie di responsabilità che, pur condividendo con quella in discorso l’elemento materiale dato dal sostegno finanziario ad una impresa insolvente o in crisi, se ne differenzierebbero sul versante dell’interesse leso (Nigro 2011; Pinto 2011; Di Marzio 2012). Infine, sul piano del nesso di causa, non essendo postulabili nel caso di specie meccanismi che permettono di presumere l’efficienza causale delle informazioni diffuse al mercato facendo leva sull’efficienza informativa di quest’ultimo, come avviene appunto nel discorso sull’informazione al mercato finanziario (Perrone 2003; Angelici 2014; Caridi 2012), i pretesi danneggiati – come detto, individuabili nei soli “creditori successivi” – dovranno sempre fornire la non agevole prova di aver effettivamente contrattato con il sovvenuto in quanto rassicurati dal fatto che lo stesso ha ottenuto credito da parte della banca convenuta. c. In terzo luogo, l’idea che la vuole fondata sulla lesione dell’affidamento dei terzi presuppone che la concessione abusiva di credito si configuri come una fattispecie di illecito propria della banca. È infatti evidente che in tanto si può sostenere che una informazione o anche un contegno informativo sia idoneo a ledere l’affidamento dei terzi in quanto il soggetto agente goda di fiducia, in quanto cioè sia un soggetto in grado di generare sul mercato segnali affidabili (Nigro 1978; Inzitari 2001; Nigro 2011; Pinto 2011). Tuttavia, una tale visione, escludendo che la concessione di credito possa essere fonte di responsabilità quando è operata da parte di soggetti diversi dai fornitori professionali di credito, lascia fuori fattispecie di finanziamento, da un lato, tutt’altro che infrequenti nella pratica, e, dall’altro, suscettibili di integrare un abuso al pari, e forse ancor più, del finanziamento bancario. Mi riferisco, in particolare, al finanziamento operato dai fornitori strategici mediante dilazioni di pagamento o rateizzazioni e a quello operato dai soci. Sul punto avrò modo di tornare più avanti. Per il momento basterà rilevare che se la particolare attenzione riservata al finanziatore bancario sul piano in considerazione trova giustificazione anche e proprio nel vantaggio informativo in ordine alla reale situazione economica del debitore che caratterizza la posizione della banca (Pisani 2005), la quale anzi
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deve oggi gestire quel vantaggio informativo sulla base di prescrizioni particolarmente rigorose, quali quelle dettate dai c.d. accordi di Basilea (Piscitiello 2011), non v’è ragione per non prendere in considerazione, come del resto la dottrina tedesca ha bene posto in luce (Engert 2005), la generalità dei creditori muniti di privilegio informativo, non potendo in particolare trascurarsi che in ordine alla conoscenza delle reali condizioni economiche del debitore una posizione di privilegio, spesso ancor più accentuata di quella della banca, è detenuta, appunto, dai fornitori strategici e soprattutto da taluni soci (talvolta essi stessi fornitori). Di talché, una opzione interpretativa, come quella qui avversata, che esclude in partenza dalla fenomenologia dell’abusivo sostegno finanziario all’impresa in crisi i finanziamenti provenienti da tali soggetti, anche alla luce del dato normativo (peraltro non solo domestico) – il quale, come si è in precedenza sottolineato, non opera (più) una selezione tra i finanziatori dell’impresa in crisi –, mi pare che rischi di operare una visione parziale, e comunque anacronistica, del fenomeno “concessione abusiva di credito”. 4. Tutto ciò, peraltro, non significa che la rilevanza sul piano dell’informazione al mercato della fattispecie di responsabilità da concessione abusiva di credito debba essere sminuita. Anzi, come tenterò di dimostrare, è mia opinione che il legame tra informazione e concessione abusiva di credito, sebbene si realizzi su un diverso piano, sia ancora più stretto rispetto a quello postulato dalla lettura sin qui criticata. A. Per rendersene conto occorre però, come ho detto, mutare angolo visuale, guardando al problema con la lente di ingrandimento del diritto della crisi, nell’ambito del quale, a mio parere, evidente appare la rilevanza giuridica della esteriorizzazione o emersione dell’insolvenza che invero oggi può declinarsi anche e proprio come esteriorizzazione o emersione del rischio di insolvenza, tanto da configurare la tempestiva rilevazione e gestione del dissesto mediante strumenti che ne importano la manifestazione al mercato quale oggetto di un preciso dovere gravante su coloro ai quali è affidata la gestione e il controllo dell’impresa. Il punto meriterebbe un approfondimento che non ho qui evidentemente il tempo di sviluppare. Può essere però utile segnalare che la configurabilità di una tale rilevanza, da tempo dimostrata dal dato comparatistico (per gli Stati Uniti v. la c.d. deeping insolvency doctrine; per l’ordinamento inglese v. la sec. 214 dell’Insolvency Act, che disciplina il c.d. wrongful trading; per l’ordinamento tedesco v. § 15a InsO, nonché §§ 64 GmbHG, 92 Abs. 2 e 93 Abs. 3, AktG; per l’ordinamento francese v. art. L631-4, Code de Com-
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merce; per l’ordinamento spagnolo v. art. 367, ap. 1, Ley de sociedades de capital), oltre che da una pluralità di iniziative adottate in sede di organizzazioni sovranazionali (Forum Europaeum 2011; Commissione Europea 2012; Uncitral 2013), trova oggi precise conferme tanto a livello di Unione europea, quanto a livello nazionale, dove peraltro i già significativi elementi rintracciabili de jure condito sono destinati ad arricchirsi in una prospettiva de jure condendo. a. Quanto al livello europeo, basterà qui ricordare che la Proposta di Direttiva sulle procedure di insolvenza [COM (2016) 723 final del 22.11.2016], da un lato, e la Direttiva sulla risoluzione delle crisi bancarie (c.d. BRRD: Direttiva 2014/59/UE del 15.5.2014), dall’altro, riservano una particolare attenzione proprio al tema della rilevazione precoce e della gestione tempestiva della crisi: la Proposta di direttiva prevede misure di allerta (art. 3) e procedimenti di ristrutturazione preventiva (art. 4 ss.), nell’ambito dei quali particolare attenzione è riservata ai finanziamenti all’impresa in crisi, nonché obblighi specifici in capo ai dirigenti in caso di probabilità di insolvenza (art. 18); mentre la BRRD dedica l’intero Capo I del Titolo II alla «Pianificazione del risanamento e della risoluzione» (art. 4 ss.). b. Quanto invece al livello nazionale, prendendo le mosse – come è naturale che sia – dalla disciplina vigente, su un primo versante, che potremmo dire di diritto concorsuale tradizionale, viene in evidenza la centralità che, nel sistema della legge fallimentare, ha sempre rivestito e riveste la manifestazione dello stato di insolvenza. Centralità che emerge, innanzi tutto, alla luce dell’art. 5 l.fall., laddove la rilevanza giuridica di tale condizione dell’imprenditore è collegata alla ricorrenza di fatti che la esteriorizzino, tra i quali in primo luogo gli inadempimenti; e che trova, poi, conferma nell’art. 10 l.fall., laddove, ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore cessato, è richiesto che l’insolvenza si manifesti entro l’anno dalla cessazione, chiarendo allora che lo stato rilevante è quello – e solo quello – che si manifesta (e che è dunque percepibile) all’esterno (Nigro 2010). In secondo luogo, vengono in rilievo gli artt. 217, co. 1, nn. 3 e 4 e 218 l.fall.: la prima disposizione, laddove sanziona penalmente tanto il compimento di operazioni imprudenti volte a ritardare il fallimento, quanto l’astenersi dal richiedere il fallimento che aggravi il dissesto; la seconda disposizione, laddove ritiene penalmente responsabile l’imprenditore e l’amministratore che continuino a ricorrere al credito dissimulando lo stato di dissesto o di insolvenza. Con la duplice rilevante precisazione (i) che il ricorso al credito può rappresentare l’elemento materiale anche e proprio dei reati di banca-
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rotta semplice di cui all’art. 217, co. 1, nn. 3 e 4, come dimostra il fatto che l’art. 218 fa salvi i «casi di cui agli articoli precedenti», e (ii) che entrambe la citate fattispecie criminose prendono in considerazione non solo l’insolvenza, ma anche il dissesto, espressione arcaica con la quale il legislatore fallimentare penale del ’42 intende riferirsi ad uno stato di preinsolvenza. Su un diverso piano, che si colloca invece nella prospettiva del moderno diritto della crisi delle imprese, la tempestiva rilevazione e poi la gestione del rischio di dissesto mediante strumenti compositivi di tipo negoziale che ne presuppongono la esteriorizzazione è non solo incentivata, ma è fatta oggetto di specifici obblighi e di doveri gravanti sui gestori dell’impresa. Viene in questo caso innanzi tutto in evidenza l’assetto normativo scaturito dalle riforme della legge fallimentare che si sono susseguite dal 2005 ad oggi, alla luce del quale emerge una articolata serie di strumenti che il legislatore fallimentare mette a disposizione dell’impresa onde consentire alla stessa di comporre la propria crisi: piani di risanamento attestati (art. 67, co. 3, lett. d, l.fall.); accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis l.fall.); concordato preventivo (art. 160 ss. l.fall.). Ed è importante sottolineare che si tratta di strumenti i quali tutti presuppongono o consentono la esteriorizzazione dello stato di difficoltà in cui versa l’impresa. Un assetto normativo, quello della composizione negoziale della crisi, che, peraltro, anche e proprio ai fini che qui interessano, va ricostruito avendo riguardo ai numerosi incentivi predisposti dal legislatore per il risanamento dell’impresa in crisi, i quali interessano direttamente o indirettamente anche il finanziamento di quest’ultima (Nigro 2011). Il riferimento è, evidentemente, alle esenzioni da revocatoria contemplate dall’art. 67, co. 3, lett. d), e) e g), l.fall.; alla prededuzione di cui al già citato art. 182-quater l.fall.; all’esenzione dai reati di bancarotta semplice di cui all’art. 217-bis, l.fall. Ossia a disposizioni che, completando il sistema, fungono da “cinghia di trasmissione” tra il diritto concorsuale tradizionale e il moderno diritto della crisi, laddove operano un allargamento delle maglie del “cordone sanitario” che il primo stringe intorno all’imprenditore in difficoltà finanziarie, subordinando tuttavia detto allargamento all’adozione da parte di quest’ultimo di uno degli strumenti messi a disposizione dal nuovo diritto della crisi delle imprese. Di talché, anche da questa prospettiva, il sistema si muove nel senso di incentivare la scelta del debitore di comporre la propria crisi attraverso uno dei percorsi normativamente prestabiliti, con conseguente tempestiva manifestazione al mercato del proprio attuale o potenziale stato di dissesto.
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Sempre sul versante del moderno diritto della crisi delle imprese, o, se si vuole, del c.d. diritto societario della crisi, vengono poi in evidenza i principi di corretta gestione societaria, i quali si specificano, per quanto qui interessa, da un lato, nella adeguatezza delle procedure interne di prevenzione e gestione della crisi, a loro volta momento di realizzazione di quegli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, che oggi nelle s.p.a. concorrono a definire sia i doveri degli organi di gestione (art. 2381, co. 3 e 5, c.c.) sia i doveri degli organi di controllo (art. 2403, co. 1, c.c. e 149, co. 1, lett. b, TUF; nonché art. 2409-terdecies, co. 1, lett. c, c.c.) (Montalenti 2014; Sacchi 2014), e, dall’altro, nella ragionevolezza delle scelte gestorie, la quale in questo contesto si declina anche e proprio sub specie di tempestiva selezione ed adozione dello strumento più adatto, tra quelli offerti dall’ordinamento, a governare la condizione di difficoltà in cui versa la società (Nigro 2013). c. L’assetto normativo appena descritto, come si è detto, è peraltro destinato ad arricchirsi a breve di previsioni che, recependo (e, per certi versi, anticipando) le indicazioni provenienti dall’Unione europea, si muovono in maniera ancor più decisa nella direzione della tempestiva rilevazione e manifestazione della crisi. La legge delega per la riforma organica del diritto della crisi delle imprese (Legge 19 ottobre 2017, n. 155), infatti, soprattutto nel dettare la disciplina delle procedure di allerta, conferma ed anzi specifica ulteriormente il quadro normativo, mediante l’introduzione di espliciti obblighi di segnalazione [art. 4, co. 1, lett. c) e d)], rilevazione ed intervento [art. 4, co. 1, lett. e) e, soprattutto, art. 14, co. 1, lett. b)], nonché mediante l’individuazione di responsabilità ad hoc [art. 4, co. 1, lett. f)], prevedendo peraltro l’introduzione di misure premiali per l’imprenditore che abbia tempestivamente (ossia al massimo entro sei mesi dall’insorgere di certi indici di allerta) rilevato e gestito la propria crisi tramite gli strumenti apprestati dal legislatore [art. 4, co. 1, lett. h)]. B. Orbene, a mio modo di vedere, una moderna concezione dell’illecito sostegno finanziario alle imprese non può non tener conto del sistema sommariamente descritto, con la conseguenza che dovrebbe affermarsi che la concessione di credito può dirsi oggi abusiva solo nella misura in cui pregiudica l’operatività di detto sistema, trovando allora in ciò la sua antigiuridicità. Questa affermazione trova riscontro su entrambi i piani presi in considerazione. Sul piano del diritto concorsuale tradizionale, escludendo che l’insolvenza possa manifestarsi mediante inadempimenti, la concessione di credito operata a favore di una impresa in crisi al di fuori di una
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tempestiva e ragionevole pianificazione della composizione del dissesto disattiva il meccanismo segnaletico presuntivo in ordine alla sussistenza di uno stato di insolvenza del sovvenuto e conseguentemente ritarda la esteriorizzazione dello stesso e dunque la dichiarazione di fallimento. Il che induce a dire che, da questo punto di vista, la concessione abusiva di credito, più che risolversi nella trasmissione di una informazione al mercato, impedisce che si diffonda al mercato l’informazione sull’insolvenza del sovvenuto, mettendo fuori gioco una dinamica informativa normativamente prevista (art. 5 l.fall.) e presidiata (artt. 217, co. 1, nn. 3 e 4, l.fall.). Con la terminologia del discorso sul danno da informazione, potremmo allora dire che la concessione abusiva di credito si risolve non già nella trasmissione di una informazione dannosa, ma nel concorso alla mancata trasmissione di una informazione dovuta. Sul piano del moderno diritto della crisi di impresa, invece, la imprudente concessione di credito all’impresa in crisi, proprio in relazione alla disattivazione del meccanismo segnaletico presuntivo di cui all’art. 5 l.fall., funge da incentivo perverso in ordine alla non tempestiva rilevazione e gestione della crisi da parte dei gestori, consentendo di omettere o ritardare il ricorso ad un adeguato strumento di composizione della stessa e così di differire il momento della esteriorizzazione della condizione di difficoltà in cui versa l’impresa. 5. Da quanto detto discende un profilo della responsabilità da concessione abusiva di credito eccentrico rispetto a quello proprio della concezione che fa perno sulla lesione dell’affidamento incolpevole dei terzi. Ed infatti. A. Innanzi tutto, emerge una fattispecie di responsabilità che presuppone che l’erogazione del credito sia avvenuta al di fuori di un percorso di composizione della crisi normativamente predeterminato, atteso che la responsabilità deve tendenzialmente essere esclusa se l’ausilio finanziario al debitore insolvente è stato concesso allorché lo stesso, avendo tempestivamente rilevato la propria crisi, abbia avviato un tale percorso (Vattermoli 2015). E ciò, prima ancora che in relazione alla esistenza di una attestazione di un esperto dotato di certi requisiti soggettivi e di una omologazione del tribunale – che, in effetti, colorando di ragionevolezza la pianificazione della soluzione della crisi prescelta, incidono solo sul versante dell’elemento soggettivo –, in relazione al venir meno della stessa antigiuridicità del contegno del finanziatore, posto che la esteriorizzazione della crisi, e con essa la neutralizzazione della portata lesiva
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dell’erogazione di credito, coincide in tal caso con l’avvio del tentativo di composizione (Di Marzio 2015). Sul punto sono però necessarie due precisazioni. La prima riguarda i c.d. finanziamenti “in funzione” (noti anche come “finanziamenti ponte”), i quali, alla luce di quanto appena detto, per godere dell’ombrello protettivo rappresentato dalla tempestiva e ragionevole pianificazione del componimento della crisi, dovranno essere erogati solo una volta che il deposito del ricorso per l’omologazione dell’accordo o per il concordato sia avvenuto e dunque solo una volta che alla crisi sia stata data pubblicità. La seconda riguarda, invece, i piani attestati di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), l.fall., i quali in effetti non sono di per sé idonei ad escludere la responsabilità del finanziatore, sebbene l’esistenza di una pianificazione del risanamento, la cui fattibilità sia attestata da un professionista qualificato e indipendente, può assumere rilievo sul piano dell’elemento soggettivo, inducendo a valutarlo con minor rigore. Ciò, ben inteso, a meno che sia il medesimo imprenditore a scegliere di esteriorizzare la crisi, procedendo all’iscrizione nel registro delle imprese della notizia circa l’adozione di un piano di risanamento e l’attestazione dello stesso da parte di un professionista (Vattermoli 2015). B. In secondo luogo, quella da concessione abusiva di credito emerge come responsabilità che presuppone necessariamente un concorso con gli amministratori dell’impresa sovvenuta, essendo abusiva, come si è detto, proprio in quanto si sostanzia nella erogazione di credito ad una impresa in crisi che abbia omesso di rilevare e gestire tempestivamente e ragionevolmente la medesima. In altri termini, la concessione abusiva di credito presuppone la responsabilità degli amministratori (eventualmente in concorso con controllori interni ed esterni) dell’impresa finanziata, potendo venire in rilievo solo a condizione che questi ultimi abbiano fatto ricorso al credito al di fuori ed a prescindere dalla tempestiva e ragionevole pianificazione di un percorso di superamento della crisi attraverso uno (rectius: il più adatto) degli strumenti “tipici” contemplati dall’ordinamento. In questa prospettiva, allora, la concessione abusiva di credito rappresenta l’altra faccia del ricorso imprudente al credito, e ciò – è bene precisarlo – a prescindere dal rilievo sul piano penale (ai sensi dell’art. 218 l.fall.), del contegno degli amministratori della società finanziata o di quello del funzionario della banca finanziatrice. C. Proprio in relazione al necessario concorso con gli amministratori dell’impresa sovvenuta, la responsabilità in discorso presenta poi una portata lesiva che si realizza in due direzioni: verso l’impresa finanziata e di riflesso verso i c.d. “creditori anteriori”, in conseguenza dell’aggra-
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vamento del dissesto che discende dalla prosecuzione dell’attività in difetto di continuità aziendale (Inzitari 2001; Viscusi 2004; Piscitello 2010; Pinto 2011); verso i c.d. “creditori successivi”, in capo ai quali si produce invece un danno diretto, rappresentato dall’aver contrattato con un soggetto con il quale non avrebbero intrattenuto rapporti se la crisi si fosse manifestata tempestivamente (Pinto 2011). Dal che discende che l’illecito in questione può essere fatto valere tanto dai “creditori successivi”, i quali potranno agire, ai sensi dell’art. 2043 c.c., nei confronti del finanziatore abusivo, e, ai sensi dell’art. 2395 c.c., nei confronti degli amministratori dell’impresa finanziata, quanto dal curatore del fallimento dell’impresa sovvenuta, il quale potrà invece agire, con un’unica azione, sia nei confronti degli amministratori, in forza della legittimazione che gli proviene dall’art. 43 l.fall. e 2494-bis c.c., sia, a titolo di concorso, nei confronti del finanziatore. D. Infine, la responsabilità che emerge dal discorso sin qui fatto, riguadagnando affinità con la figura conosciuta nell’ordinamento dal quale è stata importata, è una responsabilità che consegue ad un illecito che non è proprio della banca: una volta sganciata la concessione abusiva di credito dalla lesione dell’affidamento dei terzi incolpevoli determinata dalla distorta informazione del mercato, non si dovrebbe infatti far fatica ad ammettere che qualunque finanziatore può essere chiamato a rispondere di un tale illecito. L’affermazione richiede due brevi precisazioni. a. La prima attiene al rilievo che, anche adottando questa impostazione, deve essere riconosciuto alla professionalità del finanziatore. Il fatto che quest’ultimo non debba necessariamente essere un professionista del credito, infatti, non significa affatto che tale qualità soggettiva, se ricorrente, sia destinata a rimanere neutra ai fini della configurabilità di una sua responsabilità. Significa piuttosto che il terreno sul quale la stessa assumerà rilevo non è quello dell’antigiuridicità, ma, da una parte, come già rilevato, quello del nesso di causa, e, dall’altra, quello del criterio di imputazione, su questo secondo versante dovendosi concordare con il rilievo secondo cui, nel contesto in considerazione, il ruolo di valutatore professionale del merito creditizio del finanziatore è, per sua natura, destinato ad incidere sull’apprezzamento della rispondenza del contegno dallo stesso tenuto allo standard di comportamento esigibile (Viscusi 2004). b. La seconda precisazione va invece operata con specifico riferimento ai soci finanziatori. Si potrebbe obiettare infatti che il legislatore abbia scelto di governare il finanziamento del socio fatto in situazione di difficoltà patrimoniale o finanziaria della società sovvenuta con lo strumento della postergazione
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legale, la quale esclude in radice che i creditori subiscano un danno, posto che, aprendosi un concorso, gli stessi sono ex lege anteposti al finanziatore. Tuttavia, nella prospettiva che si è scelto di adottare, il danno che la concessione abusiva di credito può provocare non si limita a quello che si risolve nel fatto che i creditori preesistenti debbano concorrere con il finanziatore, ma si estende all’aggravamento del dissesto provocato dalla prosecuzione dell’attività in difetto di continuità aziendale. Allora si può sostenere che se la difficoltà patrimoniale o finanziaria in costanza della quale il socio finanzia la società cui partecipa si configura come una crisi vera e propria, suscettibile di pregiudicare, sebbene in prospettiva, la continuità aziendale, la responsabilità del socio per concessione abusiva di credito può essere esclusa solo se la stessa avviene nell’ambito di uno dei percorsi “tipici” di risanamento. Il che, sul piano positivo, sembra confermato dalla prededuzione parziale riconosciuta al socio finanziatore (“in esecuzione” o “in funzione”) dall’art. 182-quater, co. 3, l.fall. 6. Giungo alle conclusioni. La ricostruzione della fattispecie di responsabilità da concessione abusiva di credito operata utilizzando, quale lente di ingrandimento, l’informazione al mercato, da un lato, mi pare idonea a recepire i mutamenti intervenuti nella disciplina delle crisi delle imprese, mostrando peraltro di essere coerente anche con le prospettive di riforma di tale disciplina e, dall’altro, consente di spiegare perché sino ad oggi l’affermazione di una responsabilità diretta della banca per concessione abusiva di credito sia rimasta pressoché sconosciuta sul piano applicativo, mentre, sebbene con qualche incertezza, vada prendendo sempre più piede la configurazione di una responsabilità della banca finanziatrice in concorso con gli amministratori della società finanziata. Nota bibliografica Angelici, Su mercato finanziario, amministratori e responsabilità, in Riv. dir. comm., 2010, p. 1 ss.; Commissione europea, Piano d’azione: diritto europeo delle società e governo societario – una disciplina giuridica moderna a favore di azionisti più impegnati e società sostenibili, COM 2012/740; Caridi, Danno e responsabilità da informazione al mercato finanziario, Milano, 2012; Di Marzio, Ancora sulla fattispecie “concessione abusiva di credito”, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, p. 692 ss., in nota a Trib. Monza, 8 febbraio 2011; Di Marzio, Responsabilità dell’impresa bancaria per concessione abusiva di credito all’imprenditore insolvente, in ilfallimentrista.it, focus del 3.3.2015; Engert, Die Haftung für drittsch-
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digende Kreditgewährung, Müngen, 2005; Fortunato, Finanziamenti bancari alle imprese in crisi: responsabilità della banca, in questa Rivista, 2016, I, p. 138 ss.; Fortunato, Considerazioni sul finanziamento alle imprese in crisi, in Giur. comm., 2016, I, p. 587 ss.; Forum europaeum sul Diritto dei gruppi di società, Un diritto dei gruppi di società per l’Europa, in Riv. soc., 2011, p. 341; Gavalda et Stoufflet, Droit de la banque, Paris, 1974; Gavalda et Stoufflet, Droit bancaire 6, Paris, 2005; Galgano, Civile e penale nella responsabilità del banchiere, in Contratto impr., 1987, p. 1ss.; Inzitari, Le responsabilità della banca nell’esercizio del credito: abuso nella concessione e rottura del credito, in Banca, borsa, tit. cred., 2001, I; Montalenti, I doveri degli amministratori degli organi di controllo e della società di revisione nella fase di emersione della crisi, in Diritto societario e crisi d’impresa, a cura di Tombari, Torino, 2014, p. 35 ss.; Nigro, La responsabilità della banca per concessione «abusiva» di credito, in Le operazioni bancarie, a cura di Portale, I, Milano, 1978, p. 301 ss.; Nigro, “Privatizzazione” delle procedure concorsuali e ruolo delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 359 ss.; Nigro, Sub art. 5, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli e Santoro, Vol. I, Torino, 2010; Nigro, La responsabilità delle banche nell’erogazione del credito alle imprese “in crisi”, in Giur. comm., 2011, I, p. 305 ss.; Nigro, “Principio” di ragionevolezza e regime degli obblighi e della responsabilità degli amministratori di s.p.a., in Giur. comm., 2013, p. 457 ss.; Perrone, Informazione al mercato e tutele dell’investitore, Milano, 2003; Pinto, La responsabilità da concessione abusiva di credito fra unità e pluralità, in Giur. comm., 2011, II, p. 1161; Pinto, Abuso nell’erogazione del credito e finanziamento delle imprese in crisi, in L’abuso del diritto. Casi scelti tra principi, regole e giurisprudenza, a cura di Calamia, Torino, 2017, p. 261 ss.; Pisani, Erogazione del credito e flussi informativi, Torino, 2005; Piscitello, Concessione abusiva del credito e patrimonio dell’imprenditore, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 655 ss.; Portale, La legge fallimentare rinnovata: note introduttive (con postille sulla disciplina delle società di capitali), in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 368 ss.; Rives-Lange et Contamine-Raynaud, Droit bancaire 6, Paris, 1995; Sacchi, La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, in Diritto societario e crisi d’impresa, a cura di Tombari, Torino, 2014, p. 107 ss.; Stoufflet, L’ouverture de crédit peut-elle être source de responsabilité envers les tiers?, in Jurisclasseur périodique, 1965, I, p. 1882; Uncitral, Legislative Guide on Insolvency Lw – Part Four: Directors’ Obligation in the Period Approaching Insolvency, 2013; Vattermoli, Il creditore-banca nelle soluzioni negoziate della crisi, in Dir. banc., 2015, I, p. 199 ss.; Viscusi, Profili di responsabilità della banca nella concessione del credito, Milano, 2004.
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Considerazioni conclusive. Informazione e attività bancaria: l’evoluzione dei paradigmi. Sabino Fortunato Sommario: 1. Flussi informativi e paradigmi evolutivi. – 2. Vocazione polifunzionale dell’informazione e pretesa neutralità della stessa. – 3. Sul carattere necessariamente selettivo dell’informazione: scopo e destinazione. – 4. L’informazione come bene relazionale. Dal diritto soggettivo al documento informativo oggetto di “mandatory disclosure”. – 5. Attività bancaria e prodotti finanziari come informazione. – 6. Flussi informativi e sistema di vigilanza e controlli. Profili di criticità. – 7. Trasparenza bancaria e conformazione del mercato concorrenziale. In particolare sull’art. 117, co. 8, t.u.b. – 8. Trasparenza bancaria e neo-formalismo negoziale fra tutela del cliente e tutela del consumatore. – 9. Brevi considerazioni conclusive.
1. Flussi informativi e paradigmi evolutivi. L’indagine, suggerita dagli organizzatori del seminario, colloca in posizione centrale il complesso dei “flussi informativi” che a vari livelli si producono e devono essere prodotti nell’esercizio dell’attività bancaria. a. Innanzitutto la circolazione delle informazioni a livello di vertice del sistema bancario; e non più e non solo in ambito nazionale, ma ancor più in ambito comunitario, a seguito della costruzione di un Meccanismo Unico di Vigilanza per le imprese significative in termini sistemici, meccanismo incentrato sul ruolo sovranazionale della BCE e sulle deleghe conferite ed esercitate dalle Autorità di vigilanza nazionali. Qui il bene maggiormente tutelato è la stabilità finanziaria dell’intero sistema, un obiettivo a dimensione decisamente macroeconomica. b. Dal piano verticale si trascorre al piano orizzontale. V’è una circolazione dei flussi informativi destinata agli operatori del mercato finanziario, alle stesse banche e più in generale agli intermediari finanziari, ma anche alla clientela, ai fruitori dei servizi. Qui la funzione dell’informazione sembra svolgersi a vari livelli, ma principalmente nell’ottica di assicurare l’efficienza del mercato creditizio e finanziario e perciò pur sempre in una dimensione macroeconomica: utile agli intermediari per misurare il grado di rischio assunto a livello della complessiva attività aziendale e a livello del singolo cliente, ma utile altresì alla stessa clientela per valutare in termini concorrenziali l’offerta dei servizi forniti dalle imprese del settore. c. V’è da ultimo (ma non ultima) la dimensione microeconomica del rapporto individuale fra intermediario e cliente, l’aspetto più propriamente negoziale, in cui si impongono le regole sulla trasparenza ban-
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caria e sulla correttezza dei comportamenti fra intermediario e clientela e ancor più specificatamente nella erogazione del credito al consumo. Stabilità, concorrenza, tutela del cliente (risparmiatore-depositante ma anche imprenditore-prenditore) e tutela del consumatore hanno costituito volta a volta i “valori paradigmatici” intorno a cui si sono imposti e si sono accumulati gli obblighi e i doveri informativi connessi all’esercizio dell’attività bancaria, secondo alcuni autori anche e spesso in funzione integrativa degli obblighi delineati in un determinato ambito rispetto a quelli applicabili di sicuro ad altro ambito. Il tema, come è stato notato dall’amico Alessandro Nigro, soffre di un certo grado di frammentarietà; ma forse – e val la pena tentarne la ricostruzione – alcuni principi comuni e di vertice sono enucleabili. Dopo le ricche e interessanti relazioni sviluppate nel corso del seminario, ogni sintesi costituirebbe un inutile impoverimento della complessa articolazione dei contributi offerti. Donde l’opzione per il tentativo di offrire alcune linee guida sui paradigmi che hanno sorretto l’evoluzione della disciplina giuridica dell’informazione nell’esercizio dell’attività bancaria, pur prendendo spunto da quelle relazioni. Ricordo a me stesso che il tema mi ha parzialmente occupato con un saggio che risale all’ormai lontano 19951, quando l’argomento della “trasparenza bancaria” si era appena affacciato nel nostro ordinamento, trasfuso nel t.u.b. del 1993, dopo gli originari due corpi normativi che l’avevano introdotto (legge n. 154/1992 sulla “trasparenza” in generale; e legge n. 142/1992 sul credito al consumo). E quando premeva altresì l’attuazione della direttiva comunitaria CE/93/13 del 5 aprile 1993 per la disciplina delle “clausole abusive” inserite nei contratti stipulati con i consumatori e si discuteva della stessa collocazione sistematica di quelle disposizioni: farla seguire, nell’ambito della disciplina generale del contratto, agli artt. 1341 e ss. del codice civile (come poi accadde) ovvero introdurla nel libro V dedicato al lavoro, dopo la disciplina del lavoro autonomo come capitolo della “responsabilità del professionista”? Le vicende successive hanno confermato la tendenza basculatoria di queste regole, passate nel “codice del consumo” (artt. 33 e ss.), ma - quanto al “credito al consumo” - confluite poi nel t.u.b. con il d.lgs. n. 141/2010.
1 Pubblicato, peraltro, nel 1996: cfr. Fortunato, I contratti bancari: dalla trasparenza delle condizioni contrattuali alla disciplina delle clausole abusive, in questa Rivista, 1996, p. 14 ss.
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2. Vocazione polifunzionale dell’informazione e pretesa neutralità della stessa. Ed è sul primo versante del binomio “informazione-attività bancaria” che maggiormente si sono sviluppati i miei interessi scientifici, benchè sub specie generale della informazione contabile prodotta nella organizzazione d’impresa. Partendo dal versante dell’informazione, mi sembra che si possa formulare una prima osservazione a valenza generale: il dato informativo ha una vocazione polifunzionale, tende cioè a servire una molteplicità di interessi e di funzioni; ma allo stesso tempo non bisogna dimenticare che l’informazione in concreto non può soddisfare se non specifici bisogni dei destinatari. La tendenza polifunzionale del dato informativo determina spesso una certa confusione dei livelli nelle analisi degli interpreti, in cui per esempio la tutela del risparmio come espressione della sicurezza e dignità della persona (con i suoi profili previdenziali e ove emerge anche una certa esigenza di “riservatezza” e non solo di trasparenza) si dilata a tutela della stabilità finanziaria dell’intero settore imprenditoriale che quel risparmio raccoglie e gestisce. Di qui anche il postulato della neutralità del dato informativo, che stando all’ultima versione dei principi contabili nazionali (l’OIC 11 su “Finalità e postulati del bilancio d’esercizio”, in fase di finale approvazione da parte dell’Organismo Italiano di Contabilità) è considerato, benchè non espressamente previsto dalla legge, un “corollario della rappresentazione veritiera e corretta” e si traduce nella “neutralità da parte del redattore” nel processo di formazione del bilancio (e si potrebbe dire di qualsiasi dato informativo), processo che allora deve essere “scevro da distorsioni preconcette nell’applicazione dei principi contabili o da sperequazioni informative a vantaggio solo di alcuni dei destinatari primari del bilancio”. Segnalo che questa recente versione del principio di neutralità (nella formulazione del bilancio) costituisce una versione molto più asciutta della precedente (tutt’ora in vigore) e con qualche significativa correzione di indirizzo. Si pone l’accento su due profili: l’atteggiamento mentale del redattore, che non deve fare una applicazione scorretta dei principi contabili, mosso da non meglio precisate e troppo vaghe “distorsioni preconcette”; la necessità, pur nel riconoscimento che esistono “destinatari primari” del bilancio (anche qui non ulteriormente specificati), che non siano compiute “sperequazioni informative” a vantaggio solo di alcuni di essi. Nella tutt’ora vigente versione i profili evidenziati sono almeno quattro: innanzitutto si afferma la identificazione del principio di neutralità
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con quello di “imparzialità oggettiva” dell’informazione verso una imprecisata “moltitudine di destinatari”, “senza servire o favorire gli interessi o le esigenze di particolari gruppi”; in secondo luogo se ne declina l’aspetto soggettivo nell’ambito dei “processi di stima” che il dato informativo spesso implica, affermando che la neutralità comporta “imparzialità contabile” intesa “come l’applicazione competente ed onesta del procedimento di formazione del bilancio, che richiede discernimento, oculatezza e giudizio per quanto concerne gli elementi soggettivi”; in terzo luogo la neutralità viene invocata affinchè i processi valutativi non mirino all’attuazione di politiche di bilancio, mediante il livellamento dei risultati, volta a volta, a seconda dei periodi (favorevoli o sfavorevoli), costituendo o sciogliendo “riserve occulte”; infine si segnala la “incompatibilità” della inclusione di “valutazioni prospettiche dell’investitore” nelle valutazioni dei dati di bilancio sia di funzionamento sia altresì di cessione.
3. Sul carattere necessariamente selettivo dell’informazione: scopo e destinazione. Ho sempre sostenuto che in materia di informazione di bilancio il cd. principio di neutralità è inaccettabile, perché in contrasto con le stesse finalità informative (o scopi) del documento: una informazione a contenuto conservativo, basata sul principio prudenziale del costo storico tende a tutelare i bisogni informativi soprattutto dell’investitoreimprenditore; di contro un’informazione basata sui valori correnti (fair value) tende a tutelare i bisogni informativi degli investitori-operatori del mercato finanziario (risparmiatori o speculatori che siano). L’oggetto dell’informazione è inevitabilmente legata alla soddisfazione delle esigenze conoscitive di determinati destinatari piuttosto che di altri. E comunque l’invocazione del principio di neutralità è spesso basata su un equivoco: la neutralità come corretta applicazione dei principi che presiedono alla rilevazione e formazione del dato informativo coincide appunto con il principio di correttezza, sancito legislativamente. Ma esso non ha nulla a che vedere con la imparzialità intesa come selezione del dato informativo a vantaggio di alcuni destinatari piuttosto che di altri. Anzi, l’informazione di bilancio, come ogni altra tipologia di informazione, è necessariamente selettiva: essa tende a soddisfare il bisogno informativo di definite categorie di destinatari in relazione al contenuto stesso dell’informazione e allo scopo (o funzione) che essa vuole assolvere. Ma si tratta di un principio generale in materia di informazione. Secondo le tradizionali categorie civilistiche l’atto dell’informare si traduce
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in una “dichiarazione di scienza o di verità”, il che può favorire una certa tendenza a concepirla in termini di neutralità. Ma non bisogna mai dimenticare che l’informare presuppone a monte un processo selettivo del dato informativo sia sul piano dei contenuti sia sul piano delle modalità di rappresentazione. E questo processo selettivo deve essere necessariamente guidato dal bisogno informativo che il destinatario intende soddisfare, ovvero dal bisogno informativo tipizzato nella disciplina che ne impone l’obbligo o l’onere. Lo stesso termine “informazione” evoca un processo formativo che si gioca su due versanti soggettivi, come ogni atto di comunicazione (direbbero i cultori dello strutturalismo linguistico alla Saussurre): sul versante del comunicatore, il quale dà “forma”, articola e struttura il dato pensato; sul versante del destinatario che accoglie quel dato a sua volta per dare “forma” a un proprio convincimento, per strutturare una propria consapevolezza. Si può aggiungere un terzo componente che è il “comunicante” inteso come medium ovvero come mezzo segnaletico del processo comunicativo. Facciamo delle esemplificazioni. Se si guarda al livello di circolazione dei flussi informativi nell’ambito del MUV comunitario (Meccanismo Unico di Vigilanza), ci rendiamo conto che il criterio guida per la selezione dei dati informativi è in particolare la “sana e prudente gestione” dell’intermediario da autorizzare, da vigilare o da fare oggetto di provvedimenti in senso lato sanzionatori. Tale finalità di vigilanza permea dunque i contenuti della informazione che l’intermediario rende alle Autorità preposte per conseguire l’autorizzazione e mantenerla. Per le banche significative a livello sistemico, nella ripartizione dei compiti fra BCE e Autorità nazionali, i dati vengono raccolti in prima battuta da queste ultime e poi trasmessi alla BCE; e si tratta perlopiù di dati molto aggregati, poiché l’interesse perseguito è la stabilità finanziaria del sistema complessivo. Come si nota, è l’interesse pubblico tutelato a imporre il contenuto dell’informazione. Spesso accade che un dato informativo sia rilevante per la tutela di altro specifico interesse non affidato alla cura dell’Autorità che ne viene in possesso. Ci ha ricordato Perassi che, per esempio, fra i compiti della BCE non rientrano quelli collegati all’antiriciclaggio o alla trasparenza dei rapporti bancari; e che tuttavia in tal caso subentra il principio di collaborazione istituzionale, che impone la trasmissione dell’informazione all’Autorità nazionale preposta ai relativi compiti. Anche nell’ambito del diritto societario analogo obbligo di collaborazione sorge in capo agli organi e ai soggetti incaricati di differenti funzioni, che tuttavia si ritrovino a conseguire flussi informativi rilevanti non tanto per l’assolvimento dei propri compiti quanto di quelli di altro organo o soggetto. Penso ad esempio ai rapporti che possono instaurarsi
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fra l’organo di controllo interno e il soggetto incaricato della revisione contabile nell’ambito delle società di capitali. Ancor più evidente è la correlazione tra contenuto e modalità dell’informazione dovuta e bisogno informativo del destinatario nell’ambito della relazione negoziale, come accade per esempio con la nota classificazione della clientela per le prestazioni di servizi e attività di investimento e servizi accessori contenuta nel t.u.f. e nel Regolamento Consob Intermediari. La distinzione fra cliente al dettaglio, cliente professionale e controparte qualificata con la correlata diversificazione dei contenuti informativi a ciascuna categoria destinata trova fondamento proprio nella diversa esperienza e conoscenza che l’investitore dei servizi d’investimento e degli strumenti finanziari oggetto di tali servizi può vantare. Il bisogno informativo del destinatario è qui commisurato pur sempre ad una “categoria astratta”, più che alla condizione individuale del singolo cliente. Ma vi è una ulteriore tendenza che si spinge sino alla personalizzazione dell’informazione, come accade in particolare nel settore del “credito al consumo” e dunque rispetto alla figura del “consumatore”. L’art. 1 d.m. 3 febbraio 2011, infatti, precisa che “le informazioni e le spiegazioni previste dalla presente sezione sono rese in modo corretto, chiaro, completo e conciso, adeguato allo strumento di comunicazione impiegato, alle caratteristiche del contratto di credito, quando personalizzate, alle esigenze del consumatore, così da favorire il confronto tra le diverse offerte di credito sul mercato e consentire al consumatore decisioni informate e consapevoli in merito alla conclusione di un contratto di credito”. Al di là di una certa ridondanza terminologica (le “informazioni” si volgono in “spiegazioni”; le qualificazioni di correttezza, chiarezza, completezza e al contempo concisione si devono adeguare al mezzo comunicativo, alla tipologia dell’operazione negoziale, alle esigenze del consumatore), qui lo sforzo è di rendere il dato informativo quanto più aderente e funzionale possibile al contesto in cui esso è diretto a calarsi, contesto di cui è parte essenziale il destinatario in concreto della informazione. Mi sembra interessante evidenziare che in questa disposizione si pone l’accento – al fine di commisurare l’entità dell’obbligo informativo – anche sulle caratteristiche del mezzo informativo utilizzato e sul livello di complessità dell’operazione negoziale. L’informazione è dunque un “bene relazionale”, un bene che si qualifica e si costruisce nella concreta relazione comunicativa (al di là della questione se essa possa configurarsi come “bene giuridico” in senso
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stretto)2. E ciò può affermarsi anche quando quella relazione è tipizzata (operazione inevitabile in ogni norma giuridica) al suo massimo livello, quando cioè il dato informativo ha come destinatario il pubblico indistinto dei suoi potenziali fruitori.
4. L’informazione come bene relazionale. Dal diritto soggettivo al documento informativo oggetto di “mandatory disclosure”. Quest’ultimo rilievo mi dà lo spunto per compiere un’altra osservazione di carattere generale sulla informazione come bene giuridico relazionale: esso è gradualmente passato, in molteplici ambiti compreso quello della attività bancaria, da espressione di un “diritto soggettivo” del destinatario della relazione a manifestazione di un “obbligo (o anche onere) oggettivo” del comunicante, che si materializza in un “documento informativo”. La configurazione più tradizionale del bene informazione si è modellata sul diritto soggettivo alla informazione, sul potere riconosciuto, per esempio, al socio di acquisire dagli amministratori di una società personale tutte le informazioni che ritiene di dover acquisire, su propria iniziativa. Nella specie si tratta di un ampio potere di recente replicato in materia di s.r.l. con la riforma del 2003, ove è accentuata la personalizzazione del rapporto societario, ma fortemente limitato nelle altre società di capitali, ove prevale semmai il principio di riservatezza, nonostante una certa tendenza al rafforzamento di questo diritto di interpello ad esempio in sede extra-assembleare nelle società quotate ma pur sempre in funzione di una risposta da fornire in vista della convocata assemblea. Sta di fatto che il diritto soggettivo soffre di due limitazioni che ne rendono non pienamente efficiente l’utilizzo: da un canto la sua attivazione è rimessa alla iniziativa del titolare con gli inconvenienti connessi alla capacità di interpello dello stesso; d’altro canto permane comunque una asimmetria di posizioni che non è sempre agevolmente superabile con il solo esercizio del diritto soggettivo di informazione. Questo spiega perché l’informazione ha assunto sempre più un connotato oggettivo, a vari livelli, finendo per essere regolata in termini di
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Sul relativo dibattito nella civilistica v. Perlingieri, L’informazione come bene giuridico,, in Rass. dir. civ., 1990, p. 326 ss.; Zeno-Zencovich, Cosa, in Dig. disc. priv., sez. civ., III, Torino, 1988, p. 433; Id., Informazione (profili civilistici), in Dig., disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993, p. 420 ss.; Pecoraro, A proposito dell’informazione come bene, in Diritto e diritti, 2001 consultabile sul sito www.diritto.it
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“mandatory disclosure”, piuttosto che essere rimessa alla volontaria trasparenza del possessore dei dati informativi (anche per i noti fallimenti di mercato che alla “voluntary disclosure” si accompagnano), e per tradursi così in un documento scritto che l’obbligato è tenuto a redigere. Talvolta la norma primaria si limita a descrivere i contenuti fondamentali del documento; spesso fonti secondarie (soprattutto istruzioni e circolari di Autorità di vigilanza) elaborano più articolati modelli; molto spesso si assiste comunque ad un processo di “standardizzazione” da parte imprenditoriale o anche da parte di associazioni imprenditoriali di tali documenti informativi. Ovviamente la standardizzazione, parzialmente inevitabile rispetto a rapporti di massa e ad organizzazioni imprenditoriali complesse, può presentare il duplice rischio del difetto di personalizzazione e della mole eccessiva delle informazioni rese. La personalizzazione non è di per sé impedita, comunque, dalla standardizzazione, nel senso che il modulo è integrabile con quanto richiesto dal contesto reale della specifica relazione informativa; quanto al cumulo eccessivo di informazioni (che spesso equivale ad affogare gli elementi essenziali in una disarmante e scoraggiante mole di dati, per cui – secondo il teorema di Arrow – un eccesso di informazioni equivale ad assenza di informazioni), si è venuta sviluppando la tecnica di accompagnare il documento analitico con un documento di sintesi. Vi è un ulteriore aspetto che si accompagna a questo processo di oggettivizzazione dell’informazione: essa è divenuta sempre più un elemento essenziale dell’assetto organizzativo dell’impresa, soprattutto di quelle imprese in cui è coinvolto sotto vari profili il “pubblico risparmio”. Si tratta di un obbligo generale puntualizzato con riguardo ai compiti degli amministratori di società per azioni ma di certo esportabile ad ogni forma di impresa pur nei limiti di compatibilità con la natura e la dimensione della stessa. L’art. 2381 c.c. obbliga a curare l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile appunto in relazione alla natura e alle dimensioni dell’impresa (ripartendo i compiti fra predisposizione e cura in capo agli amministratori delegati, ovvero operativi, e valutazione di adeguatezza sulla base delle informazioni ricevute in capo all’intero c.d.a.; e onerando gli organi di controllo a farne analoga valutazione anche in termini di effettività: art. 2403 c.c.); e pone a carico di ciascun amministratore l’obbligo di “agire in modo informato” anche acquisendo dai delegati in sede consiliare le relative informazioni. I flussi informativi si inseriscono, dunque, nell’assetto organizzativo dell’impresa collettiva come strumento essenziale all’esercizio dell’attività. Essi non ne costituiscono solo il risultato in quanto dato informativo, a circolazione riser-
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vata o a circolazione esterna, ma diventano espressione di un’attività organizzativa dell’impresa. E ciò si impone ancor più nelle imprese che gestiscono pubblico risparmio o fanno appello al pubblico risparmio, ai molteplici fini di informazione interna ed esterna e di vigilanza prudenziale che l’ordinamento impone.
5. Attività bancaria e prodotti finanziari come informazione. L’informazione, peraltro, assume una propria specialità quando è collegata all’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria più in generale. A questo punto è opportuno spostare l’attenzione sul secondo versante del binomio oggetto del seminario. Nell’esercizio dell’attività bancaria i prodotti finanziari commercializzati dall’intermediario si identificano bene e spesso con l’informazione che li contrassegna: l’essenza di un prodotto finanziario è informazione, sia dal punto di vista della tipologia e contenuto dell’investimento che esso rappresenta sia dal punto di vista della solvibilità e quindi delle caratteristiche proprie dell’emittente o dello stesso distributore che si frappone nella circolazione del prodotto. Qualsiasi prodotto finanziario consegue il suo valore dalla quantità e qualità delle informazioni che incamera e che peraltro devono potersi espressamente manifestare ai potenziali clienti. Anche questo è un principio che ha una grande forza espansiva, nel senso che il mercato di qualsiasi merce si forma intorno a (e per effetto delle) informazioni che la merce è in grado di trasmettere. Ma il prodotto finanziario comporta un coinvolgimento attivo dell’emittente, nel senso che - mentre le merci individuabili in beni materiali possono subire un test oggettivo in forza delle loro caratteristiche fisiche e benché l’evoluzione tecnologica comporti sempre più una corretta e adeguata informazione sulle caratteristiche del prodotto per il suo sicuro utilizzo – i prodotti finanziari traggono il loro valore, starei per dire d’uso e di scambio, esclusivamente dall’apparato informativo che li connota. E questo complesso di informazioni è nella titolarità-disponibilità dell’emittente il prodotto finanziario, con una evidente asimmetria che si riflette sotto molteplici profili sulla posizione del cliente o potenziale cliente dei servizi bancari e finanziari. Nella tripartizione dei beni diffusasi negli anni Settanta – come ha ricordato Calliano – (seach goods come beni facilmente valutabili e confrontabili; experience goods come beni valutabili solo dopo l’utilizzo; credence goods come beni di difficile o impossibile valutazione forse se non dopo un lungo periodo di utilizzo), i prodotti finanziari si collocano con tutta probabilità sul terzo
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versante dei credence goods3. L’asimmetria si fonda non solo sul processo di raccolta e di elaborazione dei dati informativi, ma anche sulla complessità dei beni e servizi forniti, sui tempi di manifestazione delle effettive caratteristiche dei prodotti, sui poteri contrattuali delle parti e sull’accesso effettivo alle tutele giudiziarie e non. E come pure è stato osservato non vale a superare tali asimmetrie una generica e indistinta tutela del consumatore/utilizzatore dei servizi bancari e finanziari quale “consumatore medio”, trattandosi di una nozione che spesso aggrega interessi diversificati e bisognosi di tutele differenziate. Il valore del prodotto finanziario dipende non solo dal suo contenuto ma anche dallo stato di salute dell’emittente, donde la necessità di una informazione perlopiù diretta al pubblico sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’emittente ma anche del distributore che spesso si fa garante della collocazione sul mercato di quel prodotto (rinvio agli interessanti approfondimenti sul tema di V. Meli). Questo flusso di informazioni, talvolta personalizzate talaltra destinate a categorie di soggetti o al pubblico in generale, richiama l’esigenza di controlli e vigilanza e di rimedi e tutele efficienti.
6. Flussi informativi e sistema di vigilanza e controlli. Profili di criticità. I controlli, tuttavia, spesso appaiono accumularsi e sovrapporsi in organi e Autorità le cui attività finiscono per intersecarsi e creare più problemi e più inefficienze di quanti se ne vogliano risolvere. .L’ e s e m pio più evidente della esigenza di ripensamento dei sistemi di controllo e vigilanza sui flussi informativi prodotti dal complesso delle imprese ci deriva proprio dall’attività bancaria e finanziaria. Qui coesistono all’interno dell’impresa bancaria e finanziaria organismi preposti a tali verifiche con un cumulo di competenze francamente confusorio (preposti ai controlli interni in funzione delle esigenze gestorie, collegio sindacale o organismi alternativi di controllo, organismi di vigilanza imposti dalla disciplina antiriciclaggio, funzioni di compliance, etc.). Formazione, raccolta e conservazione dei continui flussi informativi sono poi soggette alla vigilanza di numerose Autorità nazionali e sovra-
3 Cfr. Caliano, Informazione e trasparenza nei contratti bancari e finanziari tra diritto dei consumatori e diritto europeo dei servizi bancari, in Riv. dir. banc., 11, 2014, p. 4 estratto on-line.
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nazionali. La Banca d’Italia, innanzitutto, che ha il compito di assicurare la stabilità degli intermediari e del sistema finanziario, e le cui competenze si inquadrano ormai nel comunitario Meccanismo Unico di Vigilanza (MUV). Com’è stato di recente osservato da Alessandro Nigro4, siamo di fronte ad un sistema “composito”, e non solo sul piano degli apparati di regolazione e vigilanza, ma anche sul piano delle norme e degli strumenti di tutela. Gli apparati di vigilanza ormai fanno capo alla Banca Centrale Europea, che ha competenza diretta sulle imprese più significative ovvero di rilevanza cd. sistemica ma che indirettamente, mediante la delega istituzionale alle Autorità nazionali (da noi appunto la Banca d’Italia), vigila su tutte le altre imprese bancarie. E come se non bastasse, non va dimenticato che la gestione delle crisi bancarie è scissa dalla vigilanza, venendo così affidata a livello comunitario al Single Resolution Board (SRB), che è autorità autonoma dalla BCE, unitamente alla Commissione europea. Peraltro per le imprese non significative la gestione delle crisi ritorna alla competenza delle Autorità di risoluzione nazionali, da noi individuata in apposito servizio autonomo della stessa Banca d’Italia (all’analisi di questi profili è dedicata la relazione dell’avv. Perassi; senza dimenticare le questioni di accesso dei vigilati che il sistema solleva e su cui si è soffermato Sandro Amorosino). Flussi informativi sono indirizzati altresì alla Consob, preposta alla vigilanza della trasparenza e correttezza delle negoziazioni del mercato finanziario; o ancora alle Autorità antitrust, all’Autorità garante per la protezione dei dati personali. Alla molteplicità delle Autorità si accompagna anche la molteplicità e il carattere “composito” delle fonti di produzione normativa, che spesso si traduce nella imposizione di ulteriori o più dettagliati obblighi informativi. Per restare al settore bancario, se è vero che fonte regolatoria principale restano le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, è altresì vero che le imprese bancarie devono ora tener conto del ruolo sovranazionale assolto dall’EBA (European Banking Authority) nel redigere il cd. Single Rulebook, una sorta di manuale di armonizzazione delle best practices di vigilanza nell’Unione Europea. Ma ovviamente non sfuggono neppure alla disciplina regolatoria di altre Autorità che per vari profili investono l’attività degli intermediari bancari e finanziari (Consob, Autorità garante per la protezione dei dati personali, etc.).
4 V. Nigro, Il nuovo ordinamento bancario e finanziario europeo: aspetti generali, Relazione tenuta al Convegno di Courmayeur, 22-23 settembre 2017 dedicato a “La banca nel nuovo ordinamento europeo: luci e ombre” e offertami in visione cortesemente dall’A.
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La complessità del sistema regolatorio e di vigilanza che si riflette sugli obblighi di produzione dei flussi informativi da parte delle imprese bancarie e finanziarie, oltre a costituire un costo eccessivo sul piano economico, può determinare confusione di ruoli tale da tradursi in inefficienze del sistema. L’Unione Bancaria europea tende ad attuare una rete organizzativa che ha già manifestato le sue crepe con riferimento alle più recenti crisi bancarie in Italia. La ben nota messa in risoluzione nel novembre 2015 delle quattro banche (Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti), che rappresentavano appena l’1% del mercato bancario nazionale, si è trasformata in una crisi quasi sistemica anche per la difficile trasmissione di dati informativi e il non sempre chiaro coordinamento fra le molteplici Autorità coinvolte nel governo della crisi. A ciò si è aggiunta la pretesa di escludere interventi pubblici o privati preventivi, questi ultimi addirittura anche sotto forma di interventi mutualistici come quelli del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositanti con la dubbia qualificazione degli stessi come aiuti di Stato. Del resto, anche la gestione dei Non Performing Loans (cd. crediti deteriorati) attraverso meri strumenti di mercato, rappresentati da iniziative di forma privatistica e ben spesso di sostanza pubblicistica, si sta rivelando sempre più illusoria. Le crisi bancarie non possono essere affrontate in una mera logica di mercato, come insegnano tutti gli interventi pubblici che si sono dipanati fra Stati Uniti e Paesi Europei dopo la grande recessione del 2007-2008. Il sistema “barocco”5 che si è venuto costruendo con l’attuale MUV e l’Unione Bancaria (e su cui peraltro si appuntano anche i rilievi) merita di essere fortemente semplificato e superato; parallelamente dovrebbe porsi mano ad un profondo ripensamento della materia dei cd. aiuti di Stato nello specifico settore bancario.
7. Trasparenza bancaria e conformazione del concorrenziale. In particolare sull’art. 117, co. 8, t.u.b.
mercato
Pur sempre restando al profilo macroeconomico, vi è una ulteriore questione che l’informazione sulle banche, sugli intermediari finanziari e
5 E v. anche le valutazioni già da me espresse in Fortunato, La vigilanza del mercato finanziario a livello comunitario, in AA.VV., L’ordinamento italiano del mercato finanziario tra continuità e innovazioni, Milano, 2015, p. 141 ss.
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sulle operazioni bancarie e finanziarie solleva: quella relativa alla conformazione del mercato finanziario in termini concorrenziali. La disciplina della trasparenza bancaria si è venuta sviluppando, infatti, nel passaggio dal mercato oligopolistico e amministrato, cui eravamo abituati sino agli anni ‘70-’80, al mercato concorrenziale che le direttive comunitarie hanno progressivamente imposto con il mutuo riconoscimento e poi con il recente sistema di autorizzazione unitaria per le banche sistemiche. La conformazione del mercato in termini concorrenziali è stata favorita in prima battuta dagli obblighi di pubblicità imposti alle banche e agli intermediari finanziari sui prodotti e sulle tariffe offerte in generale alla clientela. E poi soprattutto dall’utilizzo del potere riconosciuto a Banca d’Italia dall’art. 117, co. 8, t.u.b. di tipizzazione dei contratti bancari o secondo altri di “connessione denotativa” fra la denominazione contrattuale di date operazioni bancarie e il contenuto minimo obbligatorio che la tipologia del contratto denominato dovrebbe recare. È significativo che un potere forse ancora più penetrante veniva riconosciuto dalla legge bancaria del 1936 all’Ispettorato (poi Banca d’Italia) di fissare con proprie istruzioni “il limite dei tassi attivi e passivi” e le “condizioni delle operazioni di deposito e di conto corrente” nonchè le “provvigioni per i diversi servizi bancari” (art. 32 legge bancaria 1936). Un potere conformativo ben più invasivo dell’autonomia negoziale delle banche che, tuttavia, di fatto non venne mai adoperato. Il che è indicativo di un più ampio ruolo direttivo del mercato bancario assolto dalle Autorità in un clima di ampio dirigismo economico, che evidentemente non aveva bisogno di manifestarsi nei dettagli operativi sulle singole operazioni bancarie. Ben diverso il clima del mercato comunitario, ove il mercato concorrenziale gioca un ruolo fondamentale e ove invece è stato ampiamente esercitato il potere disciplinato dall’art. 107, co. 8, t.u.b., che alla Banca d’Italia consente di “prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato”, comminando la nullità dei “contratti difformi”. È un limite all’autonomia negoziale dettato da una fonte primaria in bianco, posto che il limite è poi in concreto disposto con norma regolamentare di una autorità amministrativa. Ma non pare limite illegittimo nella misura in cui esso tende ad eliminare possibili distorsioni del mercato concorrenziale e soprattutto opera sul piano della trasparenza delle condizioni contrattuali, sul piano insomma di una adeguata e corretta informativa del cliente. Il potere di “connessione denotativa”, così interpretato, non pone un freno alla innovazione dei prodotti finanziari, alla possibilità di introduzione anche di clausole atipiche, ma rende più chiaro il contenuto del negozio.
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In un mercato concorrenziale l’adeguata e corretta informazione del pubblico e del singolo cliente diventa elemento costitutivo dello stesso mercato e al contempo strumento di tutela del contraente.
8. Trasparenza bancaria e neo-formalismo negoziale fra tutela del cliente e tutela del consumatore. Siamo ormai alla soglia della dimensione microeconomica dell’informazione, alla conformazione non più e non tanto del mercato ma del singolo rapporto negoziale mediante l’imposizione di obblighi di comportamento dei contraenti anche sul piano informativo nella fase delle trattative e nella fase di conclusione-perfezionamento del contratto così come nella fase esecutiva. L’informazione diventa regola di validità del negozio stipulato, con conseguente nullità/annullabilità dell’atto, o resta mera regola di comportamento, con eventuale rimedio risarcitorio/risolutorio? Il formalismo negoziale che si rende veicolo informativo si mantiene sul piano della chiarezza sintattico-semantica del contenuto dell’affare e dunque sul piano interpretativo dell’atto negoziale o si trasforma in strumento di equità, di riequilibrio negoziale fra parti dotate di potere (non solo economico ma altresì situazionale) asimmetrico6? Siamo alla espressione di un formalismo o – se si preferisce – di un neo-formalismo (così in particolare Natalino Irti) in cui la forma del contratto non è più mero strumento di richiamo di attenzione nei confronti dei contraenti disponenti, di strumento volto ad accentuare la “consapevolezza” dell’atto e del consenso prestato, quale contrappeso alla ritrovata libertà di circolazione dei beni all’uscita dai vincoli feudali (si pensi alla forma scritta imposta a pena di nullità negli atti dispositivi di diritti immobiliari o negli atti di donazione); ma ad una forma che diventa veicolo informativo non solo a fini di consapevolezza dei contraenti ma altresì a fini di “riequilibrio” delle rispettive asimmetriche posizioni contrattuali. In questo caso il paradigma evolutivo non è tanto collegato alla tutela del mercato concorrenziale, o alla ottocentesca libera formazione del
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Per una aggiornata esposizione delle tematiche che ruotano su trasparenza e riservatezza nei contratti bancari cfr. da ultimo Caterini, La trasparenza bancaria, in I contratti bancari, a cura di Capobianco, in Trattato dei contratti diretto da RescignoGabrielli, Torino, 2017, p. 135 ss. ove ulteriori ampi riferimenti bibliografici.
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consenso (come giustamente ricorda Dolmetta), quanto alla emersione del fenomeno consumeristico in cui si vengono organizzando le istanze di tutela di gruppi organizzati della società civile sollecitata da un capitalismo sempre più aggressivo e che crea continuamente “nuovi bisogni”. Si passa così dalla tutela della generica categoria del “contraente debole” alla tutela della più connotata categoria del “consumatore” contrapposta a quella del “professionista”. La disciplina delle clausole vessatorie e del Codice del Consumo in generale (d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206) è indicativa di questa svolta. Ma nell’ambito bancario e finanziario il processo di personalizzazione delle tutele non sempre segue la rigida distinzione fra consumatore e professionista, spesso investendo il “cliente” tout court che è anche portatore di un valore costituzionalmente garantito in quanto “risparmiatore”. Nella prima ottica si muove per esempio la disciplina del credito al consumo, già regolata nel Codice del Consumo, ed in particolare dagli articoli 40-43, attualmente abrogati, perché sostituiti da una disciplina trasferita nel Testo unico bancario (dopo l’introduzione del d. lgs. 13 agosto 2010 n. 141, in attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, ma anche dopo il d. lgs. 21 aprile 2016, n. 72). La normativa è ora inserita negli articoli del t.u.b. da 120-quinquies a 120-noviesdecies, dedicati al “credito immobiliare ai consumatori”, e negli articoli da 121 a 126, dedicati al “credito ai consumatori”. Qui il cliente bancario-finanziario è quello che si rivolge al finanziamento non per esigenze di “investimento” in attività professionali, identificandosi nella “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (cfr. art. 120-quinquies, co. 1, lett. b) e art. 121, co. 1, lett. b) Tub). E non è un caso che questa disciplina sia collocata tutta sotto il Titolo VI del Tub, dedicata più in generale alla “trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”. Ed è così che la nozione di “cliente” di banche e intermediari finanziari evoca una più generale e comune disciplina in tema di pubblicità delle condizioni contrattuali (art. 116 t.u.b.) che, pur diretta al pubblico e pur non traducendosi in offerta pubblica ex art. 1336 c.c. (così l’ult. co. del citato art. 116), non è senza ricadute nella formazione del consenso contrattuale del singolo e specifico cliente. Ai clienti è rivolta la tutela che si traduce nell’obbligo di banca e intermediario finanziario di stipulare per iscritto, a pena di nullità, il contratto e di consegna di copia su supporto durevole di tale contratto sia nella fase delle trattative (ove pure si aggiunge il foglietto informativo) sia nella fase della conclusione.
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Un contratto che deve avere determinati contenuti vincolanti soprattutto con riguardo alle condizioni economiche del negozio, con il rischio di nullità parziali che restano comunque riempite da clausole legali sostitutive (art. 117 t.u.b.). È evidente che gli obblighi informativi dell’intermediario passano attraverso un rigido formalismo negoziale. La violazione di queste regole sembra tradursi nella nullità dell’atto, ma correttamente si tende a interpretare questa invalidità come nullità di protezione del cliente e dunque a legittimazione unilaterale e oggettiva, che non può di certo avvantaggiare l’intermediario inadempiente né valutarsi in relazione allo stato soggettivo di quest’ultimo. L’applicazione dell’istituto è oggettiva, prescinde dall’accertamento della colpa o della mala fede dell’intermediario. Talvolta è discusso se il rimedio più appropriato debba considerarsi l’invalidità del negozio o non piuttosto la mancata produzione di effetti definitivi. È così che, per esempio, nel caso di mancata consegna al cliente di copia del contratto concluso si discute se il rimedio debba individuarsi nella nullità per difetto di forma o non piuttosto nella mancata decorrenza dei termini entro cui il cliente può esercitare il proprio diritto di recesso. E così torna ad affacciarsi la distinzione fra regole di validità e regole di comportamento che note sentenze della Suprema Corte a Sezioni Unite (19 dicembre 2007, n. 26724 e n. 26725)7 hanno rispolverato in materia di contratti finanziari, con riguardo in particolare alla disciplina dettata nel Testo unico della intermediazione finanziaria del 1998 (e suoi successivi adeguamenti): una distinzione che non mi parrebbe da accogliere rigidamente, laddove sussistano negozi esecutivi di un unico contratto quadro, rispetto ai quali il mancato assolvimento degli obblighi informativi potrebbe tradursi in vizio del consenso del cliente se non in difetto di forma essenziale, come sembrano accennare anche le decisioni ricordate della stessa Cassazione. Come pure si rivela la debolezza argomentativa di quelle posizioni giurisprudenziali che attribuiscono valenza esimente per l’intermediario alla dichiarazione autoreferenziale del cd. operatore qualificato od operatore professionale nella sottoscrizione di contratti finanziari perlopiù
7 Sulle quali vedi Scognamiglio, Regole di validità e regole di correttezza nel nuovo diritto dei contratti, in AA.VV., La nuova disciplina dei mutui ipotecari. Il ruolo del notaio e la prassi bancaria, Milano, 2009, p. 5 ss. con ulteriori riferimenti.
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aventi ad oggetto derivati, rivelatisi speculativi e tutt’altro che di copertura nel loro concreto svolgimento, laddove le più recenti evoluzioni legislative tendono ad onerare l’intermediario di un obbligo di classificazione della clientela anche a prescindere dalle informazioni raccolte dal cliente (o piuttosto unilateralmente definite dalla stessa banca) e di valutazione a monte della appropriatezza dell’operazione a negoziarsi. A un diverso ambito di ragionamento mi sembra debba poi ascriversi la problematica nota come “concessione abusiva del credito”. L’attività di concessione del credito deve seguire regole di diligenza professionale la cui violazione potrebbe riflettersi in una non corretta informazione al mercato sulla solidità e stabilità finanziaria dell’imprenditore sovvenuto. Si è sostenuto sin dalle tre decisioni n. 7029-7030-7031/2006 della Suprema Corte a S.U. che esso non lede interessi di massa dei creditori della impresa insolvente (così non fondando la legittimazione del curatore nei confronti della banca finanziatrice), ma al più la posizione individuale dei singoli creditori che, facendo affidamento sull’apparenza di solidità finanziaria determinata dall’abusiva concessione di credito, hanno mantenuto i rapporti negoziali o hanno intrapreso nuovi rapporti negoziali con l’imprenditore finanziato (legittimandoli allora ad azioni individuali di responsabilità). Si tratta, in questa prospettazione, di responsabilità da “danno informativo” derivante da una erronea percezione della realtà economica e finanziaria del sovvenuto, in quanto tale incidente necessariamente sul patrimonio dei singoli terzi creditori indotti in errore con lesione della loro libertà di autodeterminazione negoziale8. Senonchè recentemente la Cassazione a sezione semplice (sez. I, 20/04/2017, n. 9983) ha ammesso la legittimazione del curatore, non già in rappresentanza della massa dei creditori ma quale avente causa dal debitore fallito, ad agire in responsabilità nei confronti della banca in correlazione all’azione ex art. 2393 c.c. verso gli amministratori della società sovvenuta, ove la banca venga chiamata a rispondere quale terzo responsabile solidale, ai sensi dell’art. 2055 c.c., del danno cagionato alla società fallita per effetto dell’abusivo ricorso al credito da parte degli amministratori della società stessa. In termini a mio avviso contraddittori la Cassazione da un canto esclude che il curatore fallimentare sia
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Cfr. anche App. Milano, 20 marzo 2015, n. 1229, in expartecreditoris.it, commentata da Fulcheri - Goitre, La concessione abusiva di credito da parte della banca: uno sguardo d´insieme, in NdS, 2016,… Mi permetto rinviare anche a Fortunato, La concessione abusiva di credito dopo la riforma delle procedure concorsuali, in Fall., 2009, p. 67 ss.
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Informazione e attività bancaria
legittimato a proporre, nei confronti della banca finanziatrice, azione da illecito aquiliano per il risarcimento dei danni causati ai creditori dall’abusiva concessione di credito diretta a mantenere artificiosamente in vita una impresa decotta, in quanto “nel sistema della legge fallimentare, una tale legittimazione ad agire in rappresentanza dei creditori è limitata alle azioni cd. di massa finalizzate, cioè, alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica. Al novero di dette azioni non appartiene quella che, analogamente all’azione ex art. 2395 c.c., costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore, la cui posizione poi è variamente articolata a seconda che si tratti di creditore antecedente o successivo all’attività di sovvenzione abusiva”, e ciò in linea con i ricordati precedenti delle Sezioni Unite del 2006. D’altro canto la Cassazione individua un profilo di responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2055 c.c. tra gli amministratori della società in stato di insolvenza e l’istituto bancario che non ottempera agli obblighi di diligenza imposti dal t.u.b. In tal caso, il fatto dannoso si identifica nel ritardo nell’emersione del dissesto e nel conseguente suo aggravamento prima dell’apertura della procedura concorsuale. Di qui il danno al patrimonio sociale, che determinerebbe per la banca l’insorgere dell’obbligazione risarcitoria in via solidale, in quanto gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità sono correlabili alla mala gestio degli amministratori di cui la banca si sarebbe resa compartecipe tramite l’erogazione dei finanziamenti, nonostante una condizione economica tale da non giustificarli (è in sostanza l’orientamento in cui si muove la relazione di Caridi)9. E tuttavia non riesco a comprendere come possa superarsi l’obiezione che le Sezioni Unite del 2006 ebbero a formulare rispetto ad una ipotesi di responsabilità della banca nei confronti del fallito, che – sia pure tramite
9 In questa linea di pensiero viene talvolta invocata Cass., 23 luglio 2010, n. 17284; e le stesse decisioni a Sezioni Unite del 2006. In realtà si tratta di obiter dictum, peraltro – quanto alla sentenza del 2010 - riferito a un caso di “ricorso abusivo al credito” più che di concessione abusiva del credito. Mi permetto rinviare per una più ampia disamina a Fortunato, La responsabilità delle banche nel finanziamento alle imprese in crisi, in questa Rivista, 2016, … Orientati sulle posizioni di Cass. n. 9883/2017: Trib. Messina, 2 settembre 2008, in NGCC, 2009, p. 864 ss. con nota critica di Puliatti, Abusiva concessione di credito, bancarotta fraudolenta per distrazione e risarcimento danni; … e in dottrina già Inzitari, L’abusiva concessione di credito: pregiudizio per i creditori e per il patrimonio del destinatario del credito, in ilcaso.it; e Bersani, La legittimazione del curatore fallimentare nell’azione di responsabilità nei confronti delle banche per la concessione abusiva di credito. La pronuncia delle Sezioni Unite, in Il fisco, 2006, p. 4662;
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Dibattiti
i propri amministratori e legali rappresentanti – abbia formulato istanza di erogazione del credito. In quella occasione si osservò che il soggetto insolvente è parte attiva del contratto di finanziamento, per cui “non può ragionarsi in termini di compensazione delle colpe, come pretende la curatela, giacché l’ipotesi di cui all’art. 1227 c.c. non può applicarsi ai casi in cui entrambe le parti del rapporto danno vita, consapevolmente, al medesimo illecito, riguardando la norma codicistica la fattispecie nella quale distinte condotte, diversamente efficienti a produrre l’evento di danno, ma tuttavia l’una avente titolo nella colpa, concorrono a produrre l’evento pregiudizievole”. L’impresa finanziata non subisce la condotta abusiva della banca ma, al contrario, “è coautrice dell’accordo abusivo”10. Come ho già osservato nel mio precedente scritto citato in nota, va subito sgombrato il campo dall’ipotesi dell’induzione all’inadempimento, “ipotesi in cui l’iniziativa proviene dal funzionario di banca per procurare un vantaggio all’ente creditizio, come nel caso in cui l’amministratore della società sia indotto a sottoscrivere un mutuo per trasformare una esposizione debitoria a breve in una esposizione a medio e lungo termine eventualmente garantita”. E parimenti sussisterà responsabilità in tutte quelle ipotesi in cui la banca si trovi ad espletare un’attività di controllo e dominio o addirittura di amministratore di fatto nei confronti del sovvenuto, per effetto di covenants o per l’effettiva soggezione determinata dall’esercizio di una sorta di potere direttivo in merito all’utilizzo del finanziamento erogato. Ma di per sé la pur non diligente erogazione del credito che faccia seguito alla domanda dell’amministratore della società sovvenuta, fonte di responsabilità per quest’ultimo verso la stessa società, benchè eventualmente in concorso col funzionario bancario a sua volta infedele nei confronti della propria banca e che comporterà in capo al medesimo
10 Così anche Di Marzio, Abuso e lesione, cit., p. 29. V’è anzi chi sottolinea che l’impresa finanziata subisce un vantaggio al momento del finanziamento, mentre è solo la successiva mala gestio degli amministratori a provocare un danno al patrimonio sociale, ponendosi sul piano del nesso causale come comportamento da solo determinante del danno: Castiello D’antonio, Il rischio per le banche nel finanziamento delle imprese in difficoltà: la concessione abusiva del credito, in Dir. fall., 1995, I, p. 523 ss.; e già Cass., 9 ottobre 2001, n. 12368, in ilcaso.it.; e nella giurisprudenza di merito Trib. Milano, 9 maggio 2001, in Questa rivista., 2002, I, p. 259, su cui adesivamente Robles, Erogazione “abusiva” di credito, responsabilità della banca finanziatrice e (presunta) legittimazione attiva del curatore fallimentare sovvenuto, in Banca borsa, 2002, II, p. 52. Per una ricostruzione della tematica v. Munari, Crisi di impresa e autonomia contrattuale nei piani attestati e negli accordi di ristrutturazione, Milano, 2012, p. 299 ss.
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Informazione e attività bancaria
funzionario responsabilità solidale, non può tradursi di per sé in responsabilità solidale della banca. La responsabilità solidale della banca dovrebbe trovare fondamento nell’art. 2049 c.c., secondo cui del “fatto illecito” compiuto da “domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”, ne rispondono anche “i padroni e i committenti”. Ma analogo meccanismo di imputazione funziona per l’operato degli amministratori o di chiunque abbia agito in nome e per conto della società finanziata (in forza dello stesso principio di immedesimazione organica). “Il che ci riporta – osservavo – allo schema di concorso nel compimento dello stesso fatto illecito tanto della banca quanto della società fallita e alle analoghe conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Unite, al fine di escludere – in forza del principio di “autoresponsabilità” – qualsiasi richiesta risarcitoria a nome della società finanziata nei confronti del finanziatore. Ed è davvero paradossale che il “ricorso abusivo al credito” (quale reato in cui la banca dovrebbe considerarsi “vittima” e parte offesa - posta la fattispecie che esige la prospettazione dissimulatoria del dissesto -), dovrebbe poi in sede civile e risarcitoria vedere la banca soccombente!
9. Brevi considerazioni conclusive. A conclusione di questa carrellata sulle varie funzioni dell’informazione in connessione all’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria e sui paradigmi che hanno guidato la disciplina che la governa, ritorna la domanda iniziale: l’informazione correlata all’attività bancaria è un bene in sé? È sempre e necessariamente da perseguire in termini di trasparenza? O l’atteggiamento deve essere più pragmatico e meno ideologizzato? In qualche modo la risposta è stata già fornita quando si è precisato il carattere relazionale del bene informazione. Ma vi è un ultimo versante da sottolineare soprattutto quando si rifletta, come ci hanno indotto a fare le osservazioni di Sciarrone Alibrandi sulle centrali dei rischi, sull’enorme flusso di informazioni che tendono ad accumularsi nelle molteplici banche dati poi utilizzate per i più disparati scopi, mercantili e non. Le centrali rischi nascono per esigenze di vigilanza, ma poi acquistano anche un ruolo interbancario, quale strumento di conoscenza degli intermediari per la valutazione del rischio di credito nei confronti dei clienti. Si sono allargate a banche dati gestite anche da privati; l’Unione Europea vorrebbe dar vita ad una centrale rischi di livello comunitario. Tutto questo non può che evocare un problema che è l’altro lato della trasparenza informativa, e cioè quello della “riservatezza” se non anche del segreto bancario.
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Dibattiti
Trasparenza e riservatezza – come osserva Caterini – sono due lati della stessa medaglia non necessariamente in contraddizione fra di loro: le informazioni sono elemento essenziale dell’attività delle imprese bancarie e finanziarie, ma non sempre la loro pubblicizzazione fa l’interesse generale. Vi sono situazioni in cui la riservatezza a tutela della clientela e dei risparmiatori è parimenti meritevole di tutela. La questione è ulteriormente complicata dalla continua innovazione della Information Technology che si va realizzando attraverso i cd. Big Data, definiti dalla Commissione Europea come “una grande quantità di tipi diversi di dati prodotti con un’alta velocità da un grande numero di fonti di diverso tipo. La gestione di tali aggregati di dati richiede oggi nuovi strumenti e metodi, come processori potenti, software e algoritmi”11. Si è giustamente osservato in proposito che “due sono le domande da porsi: se e come proteggere i Big Data, al fine anche di incentivarne lo sviluppo, e come proteggerci da essi e dalle loro applicazioni”12. Le problematiche oscillano fra proprietà intellettuale e tutela brevettuale, ma anche fra esclusione e diritto di accesso. La dimensione nazionale è certamente insufficiente ad affrontare questioni che sorgono nel mondo virtuale e globalizzato di Internet. Si impongono vere e proprie forme di “governo mondiale” dell’informazione in generale, da cui di certo non può restare espunta l’informazione economica prodotta nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria.
11 Cfr. CE, Towards a thriving data-driven economy, COM (2014) 442 Final, p. 4; ma v. anche OECD, Data-driven innovation: Big Data for growth and well-being, Paris, 2015. 12 E v. Nunziante, Big Data. Come proteggerli e come proteggerci. Profili di tutela tra proprietà intellettuale e protezione dei dati personali, in Law and Media Working Paper Series no. 06/2017; nonché Resta - Zeno-Zencovich (a cura di), La protezione transnazionale dei dati personali. Dai “Safe Harbour Principles” al “Privacy Shield”, Roma, 2016.
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MITI E REALTÀ
Le leggi di Murphy Leggi di Murray Non chiedere mai a un barbiere se hai bisogno di tagliarti i capelli. Non chiedere mai a un commerciante se il suo prezzo è buono. Leggi di Goldenstern Prendi sempre un avvocato ricco. Non comprare mai da un commerciante ricco. Legge del mercato Se qualcosa ha un solo prezzo, sarà un prezzo assurdo. Legge di Higdon Le decisioni giuste vengono dall’esperienza. L’esperienza viene dalle decisioni sbagliate. Legge dell’offerta Lo offerte speciali non lo sono. Legge di Gummidge Il costo di un’expertise è inversamente proporzionale al numero di parole comprensibili. Legge di John Per ottenere un prestito bisogna provare di non averne bisogno. Legge di Brown sul successo in affari La carta che usano i clienti è profitto. Quella che usiamo noi è perdita. Legge di Mark sui consulenti Un idiota e i tuoi soldi fanno presto ad andar d’accordo.
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Miti e realtà
Prima legge del free-lance Un lavoro urgente strapagato viene subito dopo che hai accettato un lavoro urgente pagato poco. Seconda legge del free-lance Tutti i lavori urgenti devono essere consegnati lo stesso giorno. Terza legge del free-lance Il lavoro urgente che hai finito stando sveglio tutta la notte andava bene anche tra un paio di giorni. Sesta legge di Parkinson Il progresso della scienza varia inversamente al numero di riviste pubblicate. Legge di Good Se hai un problema che deve essere risolto da una burocrazia, ti conviene cambiare problema. Legge di Tangorra sui giochi d’azzardo: Se non giochi non vinci, ma sicuramente risparmi. Legge di Scott Non percorrere mai il corridoio di un ufficio senza un pezzo di carta in mano. Legge di Juhani Un compromesso è sempre più costoso di una qualsiasi delle situazioni che media. Legge delle istituzioni L’opulenza dell’ufficio di rappresentanza è inversamente proporzionale alla solvenza della ditta. Legge di Robertson Le garanzie di qualità non garantiscono. Legge irrefutabile sui contratti sportivi Più lo paghi, peggio giocherà. Legge di Hanggi Più stupida è la tua ricerca, più verrà letta e approvata.
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Leggi di Murphy
Corollario Più importante è la tua ricerca, meno verrà capita. Leggi di Laffitte Un idiota povero è un idiota, un idiota ricco è un ricco. Legge di Amanda sulle amministrazioni Sono sempre tutti da qualche altra parte. Legge di Felson Rubare idee a una persona è plagio, rubarle a molte è ricerca. Legge di Rush sulla gravità del denaro La distanza alla quale cadono le monete da chi le lascia cadere è direttamente proporzionale al loro valore. Legge di Paulg Non importa quanto costa qualcosa, ma quanto forte è lo sconto. Legge dell’apertura mentale Anche la legge più conservatrice non sa resistere a un cambiamento in peggio. Prima legge di Sinteto Una garanzia di 60 giorni garantisce che il prodotto esploderà il sessantunesimo. Osservazione di Fox sui problemi aziendali Quando un problema se ne va, la gente che ci stava lavorando resta. [Da http://alex.primafila.net/var/murphy.html]
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AUTORI
Sandro Amorosino, prof. ord. fuori ruolo di Diritto dell’economia nell’Università Sapienza di Roma Sido Bonfatti, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Modena e Reggio Emilia Antonella Brozzetti, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università di Siena Mavie Cardi, ricercatore a t.d. di Economia degli intermediari finanziari nell’Università Link Campus di Roma Vincenzo Caridi, prof. ass. di Diritto commerciale nell’Università di Siena Francesco Ciraolo, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università di Messina Emanuele Cusa, prof. ass. di Diritto commerciale nell’Università di Milano Bicocca Sabino Fortunato, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università Roma Tre Aldo Laudonio, prof. ass. di Diritto commerciale nell’Università di Catanzaro Fabrizio Maimeri, prof. ord. di Diritto dell’economia nell’Università Telematica Guglielmo Marconi di Roma Vincenzo Meli prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università di Palermo Simone Mezzacapo, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università di Perugia Andrea Minto, dottore di ricerca e prof. a contratto nell’Università Ca’ Foscari di Venezia Gian Domenico Mosco, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università Luiss di Roma Alessandro Nigro, prof. ord. fuori ruolo di Diritto commerciale nell’Università Sapienza di Roma Michele Onorato, ricercatore di Diritto privato nell’Università Sapienza di Roma Maurizio Onza, prof. ass. di Diritto commerciale nell’Università di Brescia Marino Perassi, avvocato generale della Banca d’Italia Giovanni Romano, dottore di ricerca e prof. a contratto nell’Università di Siena Miguel Ruiz Muñoz, prof. titular di Derecho Mercantil nell’Università Carlos III di Madrid Brunella Russo, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università di Messina Antonella Sciarrone Alibrandi, prof. ord. di Diritto dell’economia nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
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Angelo Spena, ricercatore di Diritto dell’Economia nell’Università Federico II di Napoli Alberto Urbani, prof. ord. di Diritto dell’Economia nell’Università Ca’ Foscari di Venezia Daniele Vattermoli, prof. ord. di Diritto commerciale nell’Università Sapienza di Roma
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INDICI DELL’ANNATA
SAGGI
PARTE PRIMA
Bonfatti Sido, La procedura “Alitalia-bis” e il futuro dell’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi pag. Brozzetti Antonella, I nuovi “standard” per fronteggiare la crisi dei colossi finanziari di un mercato globale » Cusa Emanuele, L’intricato rapporto tra utili, perdite, riserve e imposte nelle banche di credito cooperativo » Laudonio Aldo, Le altre facce del crowdfunding » Maimeri Fabrizio, Trasformazione obbligata di banche popolari » Mezzacapo Simone, La nuova disciplina UE dei limiti alle interchange fees e delle business rules in materia di “pagamenti basati su carte”, tra regolamentazione strutturale del mercato interno e promozione della concorrenza » Minto Andrea, La quarta direttiva europea in materia di antiriciclaggio, tra luci, ombre e prospettive » Mosco Gian Domenico, I fondi di risoluzione » Onorato Michele, I rapporti pendenti nel concordato preventivo e i rapporti bancari così detti autoliquidanti » Onza Maurizio, Gli strumenti di pagamento nel contesto dei pagamenti on line » Ruiz Muñoz Miguel, Nuevo régimen jurídico de la retribución del los administradores de las sociedades de capital en el derecho español » Russo Brunella, Project finance. A comparative Analysis with Common Law Regulation » Spena Angelo, Il reato di usura nei contratti di maturity facotring: un caso limite » Urbani Alberto, La quarta direttiva europea in materia di antiriciclaggio, tra luci, ombre e prospettive »
619 203 437 261 11
455 119 665 529 679
27 333 705 119
DIBATTITI Informazione e attività bancaria – Incontro di studio del 13 giugno 2017 presieduto da Alessandro Nigro, con interventi di Marino Perassi, Sandro Amorosino, Vincenzo Meli, Antonella Sciarrone Alibrandi, Vincenzo Caridi, Sabino Fortunato
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Indici dell’annata
MITI E REALTÀ Le leggi di Murphy
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COMMENTI Amorosino Sandro, Incostituzionalità della riforma delle banche popolari per decreto legge e con l’attribuzione a Banca d’Italia di poteri regolamentari e derogatori “in bianco” Ciraolo Francesco, Pagamento fraudolento con carta di credito e ripartizione della responsabilità. Dagli orientamenti attuali alla revisione della PSD Romano Giovanni, La nullità del contratto quadro d’investimento per difetto di sottoscrizione dell’intermediario tra vestimentum negotii, “forma informativa” ed uso selettivo del rimedio di protezione. Aspettando le Sezioni Unite
INDICE ANALITICO DELLE DECISIONI Credito e risparmio Credito e risparmio – Banche popolari – Riforma – Art. 1 d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 – Questione di costituzionalità per contrasto con l’art. 77 Cost. – Non manifesta infondatezza Credito e risparmio – Banche popolari – Riforma – Art. 1 d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 – Questione di costituzionalità per contrasto con gli artt. 41, 42 e 117, co. 1 (in relazione al Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione EDU) Cost. – Non manifesta infondatezza Credito e risparmio – Banche popolari – Riforma – Art. 1 d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 – Questione di costituzionalità per contrasto con gli art. 1, 3, 95, 97, 23 e 42 Cost. – Non manifesta infondatezza
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Intermediazione finanziaria Intermediazione finanziaria – Contratto di prestazione di servizi di investimento – Requisito della forma scritta – Difetto di sottoscrizione dell’intermediario – Nullità – Questione di massima di particolare importanza
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Indici dell’annata
Strumenti elettronici di pagamento Strumenti elettronici di pagamento – Carte di credito – Smarrimento – Uso non autorizzato – Azione di rimborso nei confronti dell’emittente e dell’intermediario – Necessità per l’emittente e l’intermediario di fornire la prova che il titolare abbia agito con dolo o colpa grave denunciando tardivamente lo smarrimento – Sussistenza. Strumenti elettronici di pagamento – Carte di credito – Smarrimento – Uso non autorizzato – Azione di rimborso nei confronti dell’emittente e dell’intermediario – Necessità per il titolare di precisare la data e il luogo dello smarrimento o sottrazione per dimostrare la diligenza nella custodia – Non sussistenza. Strumenti elettronici di pagamento – Carte di credito – Smarrimento – Uso non autorizzato – Operazioni anomale per entità e frequenza – Azione di rimborso nei confronti dell’emittente e dell’intermediario – Obbligo per l’intermediario di rimborsare il titolare – Sussistenza – Obbligo per l’emittente di tenere indenne l’intermediario – Sussistenza. Strumenti elettronici di pagamento – Carte di credito – Smarrimento – Uso non autorizzato –Azione di rimborso nei confronti dell’emittente e dell’intermediario – Franchigia a carico del titolare – Applicazione della franchigia fissa sull’importo complessivo da rimborsare e non su ogni singola operazione non autorizzata – Necessità.
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2016 Cons. St., 15 dicembre 2016, n. 5277 Trib. Firenze, 19 gennaio 2016
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2017 Cass., 27 aprile 2017, n. 10447
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INDICE CRONOLOGICO DELLE DECISIONI
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Indici dell’annata
LEGISLAZIONE
PARTE SECONDA
Pegno mobiliare non possessorio e patto marciano nelle procedure concorsuali – D.l. 3 maggio 2016, n. 59 (convertito con modificazioni nella l. 30 giugno 2016, n. 119): Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione Note minime su pegno mobiliare non possessorio e patto marciano nel quadro delle procedure concorsuali, di Alessandro Nigro Crisi delle banche e interventi “precauzionali” – D.l. 23 dicembre 2016, n. 237 (convertito con modificazioni nella l. 17 febbraio 2017, n. 15): Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio Liquidità bancaria e ricapitalizzazioni: gli interventi precauzionali, di Mavie Cardi La liquidazione delle “banche venete” – D.l. 25 giugno 2017, n. 99 (convertito con modificazioni nella l. 31 luglio 2017, n. 121): Disposizioni urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e di Veneto Banca s.p.a. Una soluzione ad hoc per il dissesto di due banche venete, di Antonella Brozzetti
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NORME REDAZIONALI
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …
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Norme redazionali
4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.
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Norme redazionali
legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)
l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.
2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.
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Norme redazionali
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4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.
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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria
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