Saggi
ISSN 1722-8360
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DI PARTICOLARE INTERESSE IN QUESTO FASCICOLO
Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
4/2020
Diritto della banca e del mercato finanziario
Prodotti assicurativi: disciplina Consob e IVASS Criptovalute Interessi e procedure concorsuali
ottobre-dicembre
4/2020 anno XXXIV
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Pacini
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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2019, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Niccolò Abriani, Lucia Calvosa, Concetto Costa, Giacomo D’Attorre, Giuseppe Ferri jr., Carlo Felice Giampaolino, Gianluca Guerrieri, Marco Maugeri, Massimo Miola, Umberto Morera, Stefania Pacchi, Michele Perrino, Marco Speranzin, Mario Stella Richter jr.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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SOMMARIO 4/2020
PARTE PRIMA Saggi La tutela dell’investitore in prodotti di investimento assicurativi nella nuova disciplina Consob, di Maria Elena Salerno Le criptovalute nell’UEM: da monete private non regolamentate a potenziale valuta, di Nicola Ruccia La funzione di controllo e il comitato per il controllo sulla gestione nelle società bancarie monistiche, di Brando Maria Cremona
pag. 565 » 625 » 651
Commenti Interessi e procedure concorsuali – Cass. 19 giugno 2020, 11963; Cass., 9 luglio 2020, n. 14527 » 689 Il decorso e la prescrizione degli interessi maturati in pendenza di procedure concorsuali, di Marco Anellino » 726
Miti e realtà Flores sententiarum – Epigrammi – Neoproverbi
» 751
Autori
» 755
Indici dell’annata – Parte prima
» 757
PARTE SECONDA Documenti e informazioni
Governo e controllo dei prodotti assicurativi – Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, Regolamento del 4 agosto 2020 recante disposizioni in materia di requisiti di governo e controllo dei prodotti assicurativi ai sensi del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (codice delle assicurazioni private) » 133 La disciplina del “governo e controllo” del prodotto assicurativo ed i suoi riflessi sul governo societario di imprese » 146 di assicurazione ed intermediari, di Ciro G. Corvese Indici dell’annata – Parte seconda
» 183
Norme redazionali » 185 Codice etico » 191
PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
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La tutela dell’investitore in prodotti di investimento assicurativi nella nuova disciplina Consob Sommario: 1. Il quadro normativo di riferimento e il riparto di funzioni regolamentari tra Consob e IVASS. – 2. Ambito di applicazione della normativa Consob. – 3. Obblighi informativi e regole di condotta. – 3.1. Generali: criteri generali di comportamento, doveri informativi, obblighi organizzativi, obblighi in materia di conflitti di interesse – 3.2. Specifici: distribuzione assicurativa e consulenza, adeguatezza e appropriatezza. – 4. La disciplina degli incentivi. – 5. La product governance: obblighi per i distributori di prodotti di investimento assicurativi. – 6. Riflessioni conclusive alla luce dell’emergenza Covid-19.
1. Il quadro normativo di riferimento e il riparto di funzioni regolamentari tra Consob e IVASS. Il tema oggetto di indagine si inquadra all’interno della normativa, di matrice europea e nazionale, che regola lo svolgimento dell’attività di distribuzione di prodotti di investimento assicurativi da parte di intermediari disciplinati dal t.u.f. e abilitati alla distribuzione assicurativa e riassicurativa dal Codice delle Assicurazioni Private (di cui al d.lgs. n. 209/2005 – d’ora in avanti c.a.p.). Di questa normativa occorre pertanto offrire una panoramica per individuare le coordinate di riferimento della nostra analisi. A livello europeo, il framework regolativo si regge su tre pilastri: una direttiva e due regolamenti. Ai fini della relativa applicazione, la direttiva è oggetto di attuazione da parte della legislazione italiana, mentre i due regolamenti sono direttamente applicabili dal 1° ottobre 2018. Più in dettaglio, la direttiva n. 2016/97/UE, Insurance Distribution Directive (di seguito IDD), contiene le regole relative all’avvio e allo svolgimento dell’attività di distribuzione assicurativa e riassicurativa. Si noti bene che, a differenza della MiFID II (Markets in Financial Instru-
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ments Directive II)1 presa a modello dalla direttiva in materia assicurativa per la parte di nostro interesse, la IDD è una direttiva di armonizzazione minima2, che pertanto consente agli stati membri di prevedere nella legislazione nazionale requisiti più rigorosi rispetto a quelli richiesti dalla legge europea attraverso l’introduzione di misure di gold plating. Le norme della direttiva (normativa di primo livello) oggetto della nostra attenzione sono contenute nel Capo V, che disciplina gli obblighi informativi e le regole di condotta posti a presidio dello svolgimento dell’attività di distribuzione assicurativa tout court. A queste si aggiungono requisiti normativi supplementari, stabiliti nel Capo VI, applicabili in modo specifico alla distribuzione di prodotti di investimento assicurativi o Insurance – Based Investment Products (d’ora in poi IBIPs).
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Per una disamina delle novità introdotte dalla MiFID II si rinvia a: Capriglione, Prime riflessioni sulla MiFID II (tra aspettative degli investitori e realtà normativa), in Riv. trim. dir. econ., 2015, n. 2, I, pp. 72 ss.; Troiano, Motroni, a cura di, La Mifid 2: rapporti con la clientela, regole di governance, Padova, 2016. Con riferimento specifico alle innovazioni apportate alla disciplina della tutela dell’investitore in strumenti finanziari v.: Perrone, Servizi di investimento e tutela dell’investitore, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, I, pp. 1 ss.; Annunziata, Il recepimento di MiFID II: uno sguardo di insieme tra continuità e discontinuità, in Riv. soc., 2018, n. 4, pp. 1100 ss.; Salerno, La tutela dell’investitore in strumenti finanziari nella MiFID II: problemi di enforcement della disciplina, in Regole e Mercato, a cura di Mancini, Paciello, Santoro, Valensise, Torino, 2016, tomo I, pp. 427 ss.; Id., La disciplina in materia di protezione degli investitori nella MIFID II: dalla disclosure alla cura del cliente, in Dir. banc., 2016, I, pp. 437 ss.; Siclari, La consulenza finanziaria “indipendente” prevista dalla Mifid II alla prova dei fatti, ivi, pp. 515 ss.; Perrone, Servizi di investimento e regole di comportamento. Dalla trasparenza alla fiducia, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, I, pp. 31 ss. 2 Il principio dell’armonizzazione minima è stato introdotto dall’Atto unico europeo del 1986/87 insieme ai due principi del mutuo riconoscimento (delle normative nazionali) e del home country control (con riguardo alla vigilanza prudenziale). Invero, l’applicazione di tali principi si è con il tempo rivelata inefficace ai fini della realizzazione di un effettivo level playing field di natura regolatoria tra intermediari e mercati. (sul punto, v., da ultimo, Capriglione, Regolazione europea post-crisi e prospettive di ricerca del ‘diritto dell’economia’: il difficile equilibrio tra politica e finanza, in Riv. trim. dir. econ., I, 2016, n. 1, pp. 6 ss.) per cui, con riferimento specifico all’area finanziaria, dall’inizio del nuovo secolo si sta tentando di arrivare progressivamente all’armonizzazione massima delle regole attraverso l’utilizzo della procedura regolatoria c.d. Lamfalussy. Per maggiori dettagli su tale procedura mi si consenta di rinviare, anche per i riferimenti bibliografici ivi riportati, a Salerno, Global financial governance. The feasible future, Torino, 2018, pp. 161 ss. Sullo sviluppo del meccanismo di regolamentazione centralizzato a livello europeo, v, tra gli ultimi, Amorosino, I modelli ricostruttivi dell’ordinamento amministrativo delle banche: dal mercato “chiuso” alla “regulation” unica europea, in Banca, borsa, tit. cred, 2016, I, pp. 391 ss.
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Completano l’apparato regolatorio europeo nella materia di nostro interesse due regolamenti della Commissione Europea (normativa di secondo livello), di diretta applicazione negli stati membri. Il primo, il regolamento (UE) n. 2017/2358, si occupa dell’attività di distribuzione di tutti i prodotti assicurativi, integrando e dettagliando le disposizioni della IDD concernenti i requisiti in materia di governo e controllo del prodotto per le imprese di assicurazione e i distributori di prodotti assicurativi. Il secondo, il regolamento (UE) n. 2017/2359, si applica soltanto alla distribuzione di IBIPs, integrando gli obblighi di informazione e le norme di comportamento nello svolgimento di tale attività previsti dalla IDD3. Con riferimento al contesto nazionale, il recepimento del diritto comunitario in materia è avvenuto, a livello primario, con il d.lgs. n. 68/2018 che, in attuazione della IDD, ha apportato modifiche sia al c.a.p. sia al t.u.f. Segnatamente, tra le innovazioni al t.u.f., segnaliamo, ai nostri fini, quelle che hanno inciso sulle disposizioni contenute nell’art. 25-ter, cioè su: i) la disciplina applicabile alla distribuzione di prodotti di investimento assicurativi, individuata mediante un rinvio integrale alle disposizioni contenute nel Titolo IX del c.a.p. e alla normativa europea di area assicurativa direttamente applicabile (co. 1); ii) i poteri attribuiti alla Consob in relazione alla distribuzione di IBIPs da parte dei soggetti dalla stessa vigilati (co. 2); iii) le modalità di esercizio del potere regolamentare (co. 2-bis). In pratica, tenuto conto del riparto di competenze di vigilanza tra Consob e IVASS, sancito dalla legge di delegazione europea 2016-2017 e conforme a un approccio di tipo settoriale o soggettivo, il t.u.f. (art. 25-ter, co. 2) attribuisce alla Consob il potere di regolamentare gli obblighi informativi e le norme di comportamento che soggetti sottoposti alla sua vigilanza sono tenuti a osservare nella distribuzione di IBIPs.
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Sulla disciplina comunitaria in materia di tutela dell’investitore in prodotti di investimento assicurativi, v.: Corvese, La tutela dell’investitore in prodotti finanziari assicurativi tra il ritorno alla vigilanza settoriale e la necessità di livellare il piano di gioco fra il mercato mobiliare e il mercato assicurativo, in Regole e mercato, cit., pp. 477 ss., in part. pp. 502 ss.; Corrias, La direttiva UE 2016/97 sulla distribuzione assicurativa: profili di tutela dell’assicurando, in Ass., 2017, 1, pp. 9 ss.; Marino e Pantaleo, Distribuzione di prodotti di investimento assicurativi: le nuove regole di condotta europee, in dirittobancario.it, gennaio 2018, pp. 1 ss.; Landini, Distribuzione assicurativa da IDD al decreto attuativo passando per EIOPA e IVASS, in Dir. merc. ass. fin., 2018, n. 3, pp. 183 ss.
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Specularmente, il c.a.p. (art. 121-quater) riconosce all’IVASS la potestà regolamentare in materia di distribuzione di IBIPs da parte dei soggetti dallo stesso vigilati. In aggiunta, al fine di garantire uniformità nella disciplina in materia di distribuzione di IBIPs a prescindere dal canale distributivo utilizzato e la coerenza e l’efficacia complessiva del sistema di vigilanza sui prodotti di investimento assicurativi nonché il rispetto della normativa europea direttamente applicabile, la legge richiede a ciascuna delle due autorità di settore di esercitare il proprio potere regolamentare in coordinamento con l’altra: la Consob “sentito l’IVASS” quanto alla distribuzione di prodotti di investimento assicurativi da parte dei soggetti sottoposti alla sua diretta vigilanza e l’IVASS “sentita la Consob” con riguardo alla distribuzione di IBIPs effettuata dalle imprese di assicurazione in via diretta e dagli altri intermediari assicurativi (agenti e broker assicurativi). Sulla base dei poteri regolamentari loro conferiti dalle norme di rango primario sia la Consob sia l’IVASS hanno di recente emanato la disciplina secondaria applicabile alla distribuzione di IBIPs. Noi ci occuperemo della normativa di competenza della Consob, contenuta nella delibera n. 21466 (pubblicata in G.U. n. 201 del 12 agosto 2020) che entrerà in vigore il 31 marzo 20214. Per quanto detto in precedenza, la disciplina regolamentare della Consob in materia di obblighi informativi e norme di comportamento per la distribuzione di prodotti di investimento assicurativi da parte degli intermediari dalla stessa vigilati è coerente con l’omologa disciplina applicabile ai soggetti sottoposti a vigilanza IVASS, racchiusa nella normativa primaria di cui al Titolo IX del c.a.p. e ai regolamenti europei di diretta applicazione (regolamenti UE nn. 2358 e 2359/2017) e nella normativa secondaria di competenza IVASS, in particolare il regolamento n. 40/2018, anch’esso di recente modificato in forza del provvedimento IVASS n. 97 del 4 agosto 2020 (pubblicato in G.U., n. 201 del 12 agosto 2020) che entrerà in vigore il 31 marzo 20215.
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Tale delibera tiene conto delle osservazioni dei partecipanti alla consultazione (disponibili al link http://www.consob.it/web/area-pubblica/consultazioni?viewId=consul tazioni_concluse) pervenute in risposta al documento sottoposto alla consultazione del mercato in data 23 settembre 2019. Anche la data di entrata in vigore della nuova disciplina, originariamente prevista per il 1° aprile 2020, viene nella delibera in esame, come suggerito dai rispondenti, posticipata al 31 marzo 2021. 5 Sugli obblighi informativi e le regole di comportamento applicabili a soggetti sottoposti a vigilanza IVASS nello svolgimento dell’attività di distribuzione assicurativa e riassicurativa v., per tutti, Farenga, Manuale di diritto delle assicurazioni private6, Torino,
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2. Ambito di applicazione della normativa Consob. Dando per assunto che la disciplina Consob in materia di obblighi informativi e regole di condotta dei soggetti abilitati alla distribuzione di IBIPs ha come finalità la protezione degli investitori nel mercato finanziario (vel rectius, nel suo segmento mobiliare)6, ai fini dell’esatta individuazione del perimetro di applicazione della stessa, occorre fornire qualche precisazione in merito al contenuto e alla portata di tre nozioni: quella di “attività di distribuzione assicurativa”, quella di “prodotto di investimento assicurativo” e quella di “soggetti abilitati” allo svolgimento di tale attività. L’attività di distribuzione assicurativa (e riassicurativa), ai sensi dell’art. 106 del c.a.p. così come modificato dal decreto di attuazione della IDD, consiste a) nel proporre prodotti assicurativi e riassicurativi o b) nel prestare assistenza e consulenza o c) compiere altri atti preparatori relativi alla conclusione di tali contratti o d) nella conclusione di tali contratti, ovvero e) nella collaborazione alla gestione o all’esecuzione, segnatamente in caso di sinistri, dei contratti stipulati. Rientra inoltre nell’attività di distribuzione assicurativa f) la fornitura, tramite un sito internet o altri mezzi (c.d. siti di comparazione), di informazioni relativamente a uno o più contratti di assicurazione, anche confrontati o ordinati, sulla base di criteri eventualmente scelti dal cliente, in termini di premi ed eventuali sconti applicati o di ulteriori caratteristiche del contratto, se il cliente è in grado di concludere direttamente o indirettamente lo stesso. Concorre alla precisazione di tale concetto l’art. 107 del c.a.p. che, conformemente al dettato comunitario, esclude la configurabilità come attività di distribuzione assicurativa e riassicurativa delle seguenti attività: a. la fornitura di informazioni a titolo accessorio a un cliente nel contesto di un’altra attività professionale; b. la gestione di sinistri per un’impresa di assicurazione o riassicurazione su base professionale o le attività di liquidazione sinistri e di consulenza in materia di sinistri;
2019, pp. 134 ss. 6 Sulla ratio e sull’evoluzione della disciplina in materia di tutela degli investitori in prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione si veda. per tutti, Gobbo, Commento sub art. 25-bis, in Commentario t.u.f. Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni, a cura di Vella, Torino, 2012, I, pp. 302 ss., in part. pp. 303 s.
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c. la mera fornitura di dati e informazioni su potenziali assicurati a intermediari assicurativi o riassicurativi, o a imprese di assicurazione o di riassicurazione; d. la mera fornitura a potenziali assicurati di informazioni su prodotti assicurativi o riassicurativi, su un intermediario assicurativo o riassicurativo, su un’impresa di assicurazione o riassicurazione; e. l’attività di distribuzione assicurativa esercitata da intermediari assicurativi a titolo accessorio, a certe condizioni. L’attività di distribuzione assicurativa (che può essere svolta anche mediante tecniche di comunicazione a distanza, tra cui call center e siti internet) rileva ai fini della disciplina di nostro interesse solamente quando abbia ad oggetto un particolare prodotto e sia svolta da una determinata categoria di intermediari. Quanto al primo punto, l’ambito oggettivo di applicazione della normativa è connesso alla definizione di “prodotto di investimento assicurativo” contenuta nel t.u.f. (art. 1, co. 1, lett. w-bis.3), da ultimo modificata per esigenze di adeguamento al regolamento PRIIPs - Packaged Retail and Insurance-based Investment Products (regolamento (UE) n. 2014/1286). La nuova definizione sostituisce la precedente nozione di “prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione”, ossia i prodotti assicurativi di ramo III e V7, divenuta oramai obsoleta riferendosi esclusivamente a un sottoinsieme di prodotti rientranti ora nella nuova nozione europea di IBIPs8. Attraverso tale modifica all’individuazione analitica dei prodotti compresi nella precedente nozione subentra una definizione di carattere generale incentrata su due elementi qualificanti. Il primo di tali elementi ha una valenza positiva: in forza del richiamo espresso all’art. 4, n. 2), del regolamento (UE) n. 1286/2014, tale nozione include «tutti i prodotti assicurativi che presentano una scadenza o un valore di riscatto e in cui tale scadenza o valore di riscatto è esposto in tutto o in parte, in modo diretto o indiretto, alle fluttuazioni del mercato». Il secondo elemento di qualificazione ha una valenza negativa: non rientrano in tale nozione tutti i prodotti assicurativi “puri”, ossia: 1) i prodotti assicurativi non vita;
7 Per una compiuta ricostruzione di tale nozione e dei limiti della stessa si rinvia, anche per la bibliografia ivi riportata, a Corvese, La tutela, cit., pp. 480 ss. Sulla nuova categoria dei prodotti di investimento assicurativo e sulle incertezze applicative che questa non è riuscita a sanare v. Brizi, Le nuove categorie normative in materia di prodotti assicurativi finanziari, in Danno resp., 2019, n. 1, pp. 24 ss. 8 La classificazione nei rami vita è contenuta nell’art. 2, co. 1, del c.a.p.
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2) i contratti assicurativi vita, qualora le prestazioni previste dal contratto siano dovute soltanto in caso di decesso o per incapacità dovuta a lesione, malattia o disabilità; 3) i prodotti pensionistici che offrono all’investitore un reddito pensionistico con finalità integrativa; 4) i regimi pensionistici aziendali o professionali ufficialmente riconosciuti; 5) i singoli prodotti pensionistici per i quali il diritto nazionale richiede un contributo finanziario del datore di lavoro e nei quali il lavoratore o il datore di lavoro non può scegliere il fornitore o il prodotto pensionistico. La scelta compiuta dal legislatore comunitario e, a catena, nazionale di sostituire al precedente elenco, soggetto al rischio di rapida obsolescenza, una nozione generale di prodotto di investimento assicurativo consente all’interprete di ricondurre a questa le singole fattispecie già esistenti o che saranno create in conseguenza dello sviluppo tecnologico e dell’evoluzione del mercato. In pratica, sulla base dei due parametri di individuazione sopra menzionati, oggi la categoria degli IBIPs comprende: i prodotti assicurativi ramo I (polizze rivalutabili a gestione separata), ramo III (polizze unit e index linked), ramo V (operazioni di capitalizzazione), nonché i prodotti c.d. multiramo, cioè quelli che combinano due rami vita – di solito ramo I e ramo III – come componente di investimento9. Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, il decreto di recepimento della IDD ha introdotto nel t.u.f. (art. 1, co. 1, lett. w-bis) la definizione di “soggetti abilitati alla distribuzione assicurativa”. Questa comprende gli intermediari assicurativi iscritti nella sezione d) del registro unico degli intermediari assicurativi ex art. 109 del c.a.p. e i soggetti omologhi dell’Unione europea che operano in Italia in regime di libertà di stabilimento iscritti nell’elenco annesso a tale registro. Trattasi in sostanza di banche, intermediari finanziari non bancari, società di intermediazione mobiliare (nome utilizzato dal legislatore italiano per indicare le imprese di investimento nazionali), imprese di investimento europee, e Poste italiane s.p.a., anche quando operano con i collaboratori di cui
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Sulla varietà di modelli presenti sul mercato v., ex multis: Piras, Le polizze variabili nell’ordinamento italiano, Milano, 2011; Corrias, L’assicurato-investitore: prodotti, offerta e responsabilità, in Ass., 2011, pp. 387 ss.; Camedda, La tutela precontrattuale dei sottoscrittori di polizze linked stipulate prima delle riforme del t.u.f., in Banca, borsa, tit. cred., 2014, II, pp. 448 ss., in part. pp. 450 ss., nota a Trib. Napoli, 17 aprile 2013, n. 5060; Volpe Putzolu, Le polizze linked nel diritto europeo e nel diritto italiano, ivi, 2016, pp. 213 ss.; Pirilli, Le polizze unit linked (ancora) al vaglio della giurisprudenza, in Resp. civ. prev., 2017, pp. 574 ss., nota a App. Milano, 11 maggio 2016, n.1800.
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alla sezione E del registro10. In proposito, è bene precisare sin da subito che, atteso che l’attività di distribuzione assicurativa può essere svolta attraverso forme di collaborazione orizzontale11, la normativa regolamentare prevede che, in tali casi, gli obblighi informativi e le regole di condotta ricadano sul distributore che intrattiene il rapporto diretto con il cliente, senza che ciò pregiudichi il riparto di competenze tra IVASS e Consob, per cui i soggetti coinvolti in tale catena risponderanno ciascuno alla propria autorità di riferimento per la violazione della normativa sulla distribuzione assicurativa. Una volta individuato il perimetro di applicazione, passiamo all’analisi del contenuto delle nuove norme dettate dalla Consob. Il provvedimento regolamentare si sostanzia nella completa riscrittura del Libro IX del regolamento intermediari che, nella versione oggetto di sostituzione, in virtù del precedente art. 25-ter del t.u.f. (ante recepimento IDD), prevedeva l’applicazione delle disposizioni di derivazione MiFID II alle imprese di assicurazione e ai soggetti abilitati all’intermediazione assicurativa nello svolgimento dell’attività di realizzazione, offerta e consulenza avente a oggetto i prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione. Le nuove disposizioni, raggruppate nella rinnovata rubrica “Obblighi di informazione e norme di comportamento per la distribuzione di prodotti di investimento assicurativi”, sono finalizzate a recepire, a livello di normazione secondaria, la IDD e si applicano alla distribuzione di IBIPs da parte dei soggetti abilitati alla distribuzione assicurativa sottoposti a vigilanza Consob, con esclusione dunque dall’area di attenzione del nuovo Libro IX delle imprese di assicurazione che svolgono la medesima attività distributiva con riferimento al medesimo prodotto (l’IBIP) soggette, invece, a vigilanza regolamentare IVASS. Atteso il carattere di armonizzazione minima della IDD, la nuova normativa include una disciplina per quanto possibile in linea con quella applicabile alla prestazione dei servizi e attività di investimento di derivazione MiFID II, contenuta, oltre che negli artt. 21-24 del t.u.f., nel
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Sulla base delle previsioni contenute nell’art. 109 del c.a.p., la disciplina del registro unico elettronico degli intermediari assicurativi e riassicurativi, che si compone di sei sezioni, è rimessa all’IVASS. L’autorità di vigilanza per il segmento assicurativo ha provveduto con il regolamento n. 40/2018. 11 Ai sensi dell’art. 2, co., 1, lett. i) del regolamento IVASS n. 40/2018 per “collaborazione orizzontale” si intente la collaborazione tra intermediari operativi iscritti nelle sezioni A, B e D del registro degli intermediari assicurativi o, per gli intermediari comunitari, nell’elenco annesso a tale registro.
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regolamento intermediari (Libro III, Parte II, e Libro IV)12. La Consob giustifica tale scelta sulla base di due fondamentali motivazioni. La prima è rinvenibile nella necessità di garantire agli investitori in IBIPs un livello di tutela omogeneo a quello che agli stessi è riconosciuto nell’ambito della prestazione dei servizi e delle attività di investimento13. E ciò appare ancor più ragionevole là dove si consideri che la distribuzione di IBIPs da parte dei soggetti abilitati potrà avvenire occasionalmente e/o autonomamente oppure nell’ambito di un rapporto contrattuale di tipo continuativo inerente alla prestazione di un servizio di investimento a cui gli stessi siano autorizzati (di esecuzione di ordini per conto dei clienti, di collocamento di strumenti finanziari, di consulenza in materia di investimenti, di gestione di portafogli, ecc.). La seconda ragione è connessa all’esigenza degli intermediari di operare attraverso processi quanto più possibile uniformi, contenendo i costi e gli oneri che su questi ricadono a fini di adeguamento alla nuova disciplina. La formalizzazione di questo orientamento si riscontra nel provvedimento Consob allorché, tenuto conto del carattere polifunzionale degli intermediari che rientrano nel campo di applicazione della disciplina e della conseguente possibilità per gli investitori di accedere presso lo stesso intermediario a diversi prodotti e servizi, si impone all’operatore polifunzionale di considerare in modo unitario tutta la gamma di prodotti/servizi offerti ai fini della definizione in maniera uniforme e coordinata dei comportamenti da assumere nel rapporto con i singoli clienti.
12 Per l’analisi di taglio sistematico dell’insieme delle regole di condotta destinate agli intermediari abilitati alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento v., per tutti, Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2020, pp. 131 ss. 13 Gran parte della dottrina condivide la scelta del legislatore di procedere a un progressivo avvicinamento delle due discipline onde garantire tutele sostanzialmente speculari a fenomeni giuridici che, di fatto, espongono il contraente ai medesimi rischi. Cfr.: Berti De Marinis, La natura delle polizze assicurative a carattere finanziario e la tutela dell’assicurato-investitore, in Resp. civ. prev., 2018, pp. 1518 ss., in part. pp. 1525 ss.; Corrias, L’assicurato-investitore, cit., pp. 394 ss.; Id., Informativa contrattuale e trasparenza nei contratti di investimento tra testo unico finanziario e codice delle assicurazioni, in Resp. civ. prev. 2017, pp. 265 ss.; Camedda, La tutela, cit., pp. 455 ss. In generale, considerano indispensabile e opportuna l’adozione da parte del legislatore di un approccio cross-settoriale in materia al fine di prevenire potenziali arbitraggi regolamentari: Rabitti, Prodotti finanziari tra regole di condotta e di organizzazione. I limiti di MiFID II, in Riv. dir. banc, 2020, suppl. al fasc. 1, pp. 145 ss., in part. pp. 149 ss.; Perrone, Servizi di investimento, cit., pp. 11 ss.
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Nel seguito analizzeremo le aree di disciplina più rilevanti della normativa contenuta nel nuovo Libro IX del regolamento Consob in materia di intermediari. Essa si articola in sei parti. Di là dalla prima parte dedicata, come da tradizione britannica, alle disposizioni definitorie con funzione determinatoria o eliminatoria, le parti del regolamento possono essere suddivise in due gruppi di norme, di cui l’uno include regole di trasparenza e correttezza, che si estrinsecano in obblighi informativi e comportamentali (parte seconda), e l’altro contiene disposizioni di stampo più propriamente organizzativo, con la previsione di regole di governo societario, per la gestione dei conflitti di interesse, inerenti alle modalità tecniche di svolgimento dell’attività (parte terza, quarta, quinta e sesta).
3. Obblighi informativi e regole di condotta. Analogamente alla disciplina di matrice comunitaria relativa alla prestazione di servizi e attività di investimento, la normativa in tema di obblighi informativi e regole di condotta nello svolgimento dell’attività di distribuzione assicurativa e riassicurativa si caratterizza per il passaggio da un sistema di tutela dell’investitore basato semplicemente sulla disclosure (trasparenza) a un modello volto all’effettiva “cura” del cliente ispirato alla c.d. suitability doctrine di stampo anglosassone, in cui le esigenze del cliente assumono un ruolo centrale e determinante nella regolazione del comportamento dell’intermediario14. Tale impostazione si riflette sulla regolamentazione Consob di nostro interesse. La nostra analisi si snoderà lungo due direttrici: la prima concernente i doveri informativi e le regole di comportamento a carattere generale, cioè applicabili a qualsivoglia modalità di svolgimento dell’attività di distribuzione assicurativa e riassicurativa; la seconda relativa agli obblighi informativi e di condotta di natura specifica, ossia graduati in funzione delle modalità di esecuzione dell’attività, segnate dalla presenza o dall’assenza di consulenza. Le regole Consob sul punto si allineano a e
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Sui limiti e inefficienze della disciplina europea orientata alla trasparenza si veda da ultimo Perrone, Servizi di investimento e tutela dell’investitore, cit., pp. 2 ss. Per approfondimenti su tale cambiamento di impostazione della disciplina comunitaria mi si consenta il rinvio a Salerno, La disciplina in materia di protezione degli investitori nella MiFID II: dalla disclosure alla cura del cliente?, in Dir. banc., 2016, I, pp. 437 ss.
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integrano le disposizioni della IDD (artt. 17 ss.), le norme di recepimento di quest’ultima incluse nel c.a.p. (Capo III, III-bis e III-ter) e quelle contenute del regolamento europeo n. 2017/2359, che disciplinano a livello primario gli obblighi informativi e le regole di comportamento nello svolgimento dell’attività di distribuzione assicurativa e riassicurativa in generale e in particolare di quella avente a oggetto IBIPs. Per completezza di indagine faremo riferimento, ove espressamente richiamato dal provvedimento Consob di nostro specifico interesse e ove necessario o opportuno, anche al contenuto della normativa primaria appena citata. 3.1. Generali. Le regole di portata generale che governano lo svolgimento dell’attività di distribuzione assicurativa e riassicurativa possono essere esaminate articolandole in: criteri generali di comportamento; doveri informativi; obblighi organizzativi; obblighi in materia di conflitti di interesse15. I criteri generali di comportamento sono rinvenibili nella normativa primaria in materia assicurativa che si applica a tutti i distributori di prodotti assicurativi, ergo anche a quelli destinatari della regolamentazione Consob. L’art. 119-bis del c.a.p. si apre con una norma manifesto, in base alla quale i distributori di prodotti assicurativi devono comportarsi “con equità, onestà, professionalità, correttezza e trasparenza nel miglior interesse dei contraenti”. Invero, la previsione non fa che riprodurre principi e clausole generali di diritto comune già di per sé applicabili alla materia di nostro interesse. Il legislatore speciale ha, tuttavia, ritenuto opportuno richiamare i principi generali di matrice civilistica al fine di sottolineare come questi concorrano insieme alle norme speciali alla determinazione dello standard comportamentale degli intermediari abilitati alla distribuzione assicurativa. La sostituzione, rispetto alla precedente disciplina di settore, del canone della “diligenza”, quale parametro di valutazione del comportamento correlato all’attività professionale specificamente svolta ai sensi dell’art. 1176 c.c., con quello dell’equità, più attento alla valutazione del caso concreto e al bilanciamento dei diritti e obblighi delle due parti del contratto, non significa che il primo non trovi più applicazione nella materia in esame. Così come troveranno applicazione
15 Cfr. per le regole di comportamento generali in materia di servizi di investimento v.: Annunziata, La disciplina, cit., pp. 133 ss.; Costi, Il mercato mobiliare, Torino, 2018, pp. 142 ss.
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al segmento del mercato finanzio oggetto di attenzione altre clausole generali, come appunto quella di diligenza o ancora di buona fede, non espressamente richiamate dalla legislazione speciale. Il rimando poi al miglior interesse dei contraenti non richiede particolari chiarimenti, collocandosi agilmente nell’obiettivo regolatorio della disciplina in esame, rappresentato dalla tutela del contraente debole nei rapporti di natura finanziaria, nella fattispecie dalla protezione dell’investitore in prodotti di investimento assicurativi. In altre parole, il best interest del cliente rappresenta, in generale, il principio cardine che deve improntare la condotta di tutti i distributori nell’offerta di contratti assicurativi. Le clausole generali di cui sopra si concretizzano ed esplicitano nel rispetto, prima della conclusione di qualunque tipo di contratto assicurativo, di tre regole di comportamento fondamentali, imposte alla generalità dei distributori assicurativi dall’art. 119-ter del c.a.p., inserito con il recepimento della IDD. La prima è la know your customer rule, che si sostanzia nell’obbligo del distributore di acquisire dal contraente ogni informazione utile a identificare le richieste e le esigenze assicurative di quest’ultimo (demands and needs test). La seconda è la know your merchandise rule, che si estrinseca nel dovere del distributore di conoscere tutte le caratteristiche del prodotto assicurativo ai fini dell’adempimento dell’obbligo di fornire al cliente informazioni oggettive sul medesimo in una forma comprensibile, onde consentirne l’assunzione di una decisione (di investimento) informata. La terza è la suitability rule, che si basa sul corretto adempimento dei precedenti obblighi e si esplica nel dovere del distributore assicurativo di proporre un prodotto che sia innanzitutto coerente con le richieste e le esigenze assicurative del contraente. Ai criteri generali di comportamento per i distributori si affiancano doveri informativi di portata generale finalizzati a garantire la massima trasparenza nel rapporto distributore-cliente16. La delibera Consob si occupa dell’obbligo a carico dei distributori di IBIPs rientranti nella categoria dei soggetti abilitati di fornire ai clienti o potenziali clienti informazioni, comprese le comunicazioni pubblicitarie relative ai prodotti
16 Sulla tutela informativa accordata all’investitore in prodotti di investimento finanziari prima della prima della loro espressa qualificazione legislativa come prodotti finanziari si veda, anche per la dottrina e la giurisprudenza ivi riportate, Camedda, La tutela, cit., pp. 455 ss. Sul tema, v. anche Corrias, Informativa precontrattuale e trasparenza tra testo unico finanziario e codice delle assicurazioni, in Resp. civ. prev., 2017, n. 1, pp. 265 ss.
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distribuiti, specificandone, in uno con la normativa primaria, requisiti generali, contenuto, frequenza e modalità. Quanto ai requisiti generali, la disciplina di vigilanza ripropone il disposto europeo e nazionale di rango primario, imponendo ai distributori di fornire alla clientela informazioni imparziali, chiare e non fuorvianti. Tali requisiti devono caratterizzare l’informativa erogata in tutte le fasi del rapporto, precontrattuale, di conclusione e di esecuzione; non solo ma la loro portata non si esaurisce all’interno del rapporto, estendendosi alle “comunicazioni pubblicitarie e promozionali” che, per loro natura, non presumono l’esistenza di una relazione contrattuale tra cliente e distributore. Le regole Consob si soffermano poi sui doveri informativi che incombono sul distributore in fase precontrattuale, cioè prima dell’effettuazione dell’operazione. Oltre ai requisiti di cui sopra, si richiede, in linea con la normativa primaria, che tali informazioni debbano essere fornite in una forma comprensibile, nel linguaggio e nel contenuto, e debbano essere appropriate in modo che il cliente possa ragionevolmente comprendere la natura dei servizi, il tipo di prodotto di investimento assicurativo e i rischi associati per assumere decisioni con cognizione di causa. Integrazioni di dettaglio alla normativa primaria riguardano il contenuto e le modalità di fornitura dell’informativa precontrattuale. Per ciò che concerne l’oggetto, questo è specificato con riferimento a tre profili: l’intermediario abilitato all’attività di distribuzione assicurativa, il prodotto di investimento raccomandato o offerto e i costi e oneri a carico del cliente. La comunicazione concernente il soggetto abilitato include una serie informazioni dirette alla sua corretta identificazione. A tal fine, la disciplina richiede l’indicazione della denominazione sociale, della sede legale e recapiti, degli eventuali siti internet attraverso cui è promossa o svolta l’attività, del registro degli intermediari assicurativi in cui è iscritto, di eventuali partecipazioni qualificate (per “partecipazione qualificata” si intende una partecipazione superiore al 10 del capitale sociale o dei diritti di voto nella partecipata o che consente di esercitare un’influenza notevole sulla medesima) detenute in altre imprese di assicurazione e viceversa. L’informativa diretta alla chiara individuazione del prodotto di investimento assicurativo raccomandato o offerto e dell’attività di distribuzione assicurativa erogata concerne: le attività prestate e le loro caratteristiche; l’eventuale distribuzione del prodotto mediante consulenza e le specificità di quest’ultima (se fondata su un’analisi di un numero sufficiente di
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prodotti di investimento assicurativi disponibili sul mercato17, se fornita su “base indipendente” e le relative motivazioni, se obbligatoria in quanto connessa a prodotti complessi, se gratuita ai sensi della disciplina sulla consulenza obbligatoria, se caratterizzata da una valutazione periodica di adeguatezza dei prodotti offerti o raccomandati); l’esistenza di vincoli di esclusiva per la distribuzione di prodotti di una o più imprese di assicurazione oppure di potenziali relazioni d’affari con le medesime, specificandone la denominazione, la natura e la fonte dei conflitti di interesse non contrastabili attraverso adeguati presidi organizzativi; le strategie di investimento proposte; la presenza di forme di collaborazione orizzontale18; l’esistenza di forme di tutela del patrimonio del cliente (premi) (separazione patrimoniale, fideiussione bancaria, ecc.); l’ammontare e la natura delle remunerazioni e degli incentivi eventualmente percepiti dal distributore. Infine, con riguardo a costi e oneri a carico del cliente, la normativa in materia di obblighi informativi è diretta alla corretta e chiara percezione da parte di quest’ultimo del costo dell’attività. A tal fine la comunicazione ad opera del distributore deve contenere l’importo del compenso dovuto dal cliente e/o le sue modalità di calcolo, con l’indicazione del costo dell’attività di distribuzione, dell’eventuale consulenza, del prodotto di investimento assicurativo raccomandato o offerto in vendita, nonché l’individuazione delle modalità di pagamento, includendo anche i pagamenti tramite terzi. In aggiunta, tutte le voci di costo devono essere presentate in maniera aggregata oppure, su richiesta del cliente, analiti-
17 Invero, accogliendo le richieste di chiarimento pervenute dai alcuni partecipanti alla consultazione (v. la relazione illustrativa della Consob alla delibera in esame, pp. 7 s. e 15, disponibile al link http://www.consob.it/web/area-pubblica/consultazioni?viewId =consultazioni_concluse), la delibera Consob riduce le tre forme di consulenza originariamente indicate nel documento di consultazione del 23 settembre 2019 – quella “base” o “non indipendente”, prevista dall’art. 1, co. 1, lett. m-ter), c.a.p., quella “fondata su un’analisi imparziale e personale”, prevista dall’art. 119-ter, co. 4, c.a.p., e quella “su base indipendente”, prevista dall’art. 24-bis, co. 2, t.u.f. – a due inquadrando la “consulenza fondata su un’analisi imparziale e personale” nell’ambito dell’attività di consulenza tout court di cui all’art. 1, co. 1, lett. m-ter), c.a.p. (ossia la consulenza non indipendente). 18 In proposito, nella delibera in esame, gli obblighi dei collaboratori, che nel documento per la consultazione erano sparsi in più articoli, sono stati raggruppati in un’unica disposizione generale volta a dettare una disciplina maggiormente organica della fattispecie della collaborazione orizzontale. Questa disposizione sancisce il principio secondo cui gli obblighi previsti dalle varie discipline di settore – i. e. informativi, in materia di adeguatezza, appropriatezza, incentivi, conflitti di interesse, product governance, ecc. – ricadono sul soggetto che intrattiene il rapporto diretto con il cliente.
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camente, per consentire allo stesso di conoscere il costo complessivo e il suo effetto cumulato sul rendimento dell’investimento nonché di evitare il fenomeno dei costi occulti. Frequenza e modalità di fornitura delle informazioni di natura precontrattuale sono disciplinate in maniera diversa in funzione del loro contenuto. Le informazioni relative al distributore, che per loro natura sono destinate a rimanere invariate a seguito dell’effettuazione delle singole operazioni, possono essere trasmesse prima di ogni operazione oppure una tantum al momento dell’instaurazione del rapporto contrattuale tra cliente e distributore, qualora, in virtù della peculiare natura (polifunzionale) di quest’ultimo quale intermediario abilitato alla prestazione di servizi di investimento, tale rapporto assuma carattere unitario e continuativo in virtù della sottoscrizione di un contratto-quadro per la prestazione dei servizi di investimento, sulla base del quale ogni operazione diventi un atto esecutivo di tale contratto. Le informazioni relative al prodotto di investimento assicurativo o all’attività di distribuzione assicurativa, poiché suscettibili di variazioni nell’oggetto a seconda della singola operazione effettuata di volta in volta, devono essere date prima della relativa effettuazione. Quanto alle modalità di fornitura dell’informazione, la normativa regolamentare parla di un apposito documento da consegnare o trasmettere al cliente, e, con riferimento specifico alle informazioni relative all’intermediario distributore, ne impone altresì la pubblicità, anche mediante l’uso di apparecchiature tecnologiche, nei locali oppure sul sito internet del soggetto abilitato. Da ultimo, nell’ottica di attuare un innalzamento del livello di disclosure a favore dei clienti, tenuto conto del carattere di armonizzazione minima della IDD, la delibera Consob provvede all’omogeneizzazione delle regole applicabili alla distribuzione di IBIPs in relazione a quelle concernenti la prestazione dei servizi di investimento, attraverso il rinvio alla normativa delegata MiFID II (regolamento (UE) n. 2017/565) e, in particolare, alle regole in materia di: requisiti relativi a informazioni corrette, chiare e non fuorvianti; requisiti generali per le informazioni fornite ai clienti; informazioni ai clienti e potenziali clienti sull’impresa di investimento e i servizi che offre; informazioni sugli strumenti finanziari; informazioni sui costi e gli oneri connessi; informazioni fornite a norma della direttiva UCITS (Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities, direttiva n. 2014/91/UE in materia organismi di investimento collettivo in valori mobiliari) e del regolamento PRIIPs; informazioni sulla consulenza in materia di investimenti.
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Invero, l’interesse (quasi ossessivo) del regolatore per il profilo esaminato in termini di ampiezza dell’oggetto e puntuale indicazione dei modi e dei tempi di adempimento degli obblighi informativi, se da una parte appare apprezzabile con riferimento alla finalità di tutela dell’assicurato, potrebbe dall’altra risultare eccessivo in termini di aggravio dei costi per l’intermediario e per la clientela stessa su cui sono verosimilmente traslati nonché in termini di rallentamento dei tempi di distribuzione del prodotto. Tale consapevolezza ha indotto la Consob a prevedere nella delibera in esame che la consegna del KID (Key Information Document, ossia il documento contenente le informazioni chiave per i prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati ai sensi del regolamento PRIIPs19) e del DIP aggiuntivo IBIPs (Documento Informativo Precontrattuale Aggiuntivo per i prodotti d’investimento assicurativi, disciplinato dal regolamento IVASS n. 41/2018) possono sostituire l’adempimento degli obblighi informativi concernenti il prodotto di investimento assicurativo, qualora tali documenti contengano tutte le informazioni sul prodotto previste nella disciplina regolamentare. Passando all’analisi degli obblighi organizzativi a carico dei distributori assicurativi oggetto della nuova normativa Consob, si sottolinea che la IDD e i regolamenti delegati non contengono disposizioni in materia di governo societario per i distributori di IBIPs. Tuttavia, la Consob, legittimata dalla natura di armonizzazione minima della regolamentazione europea di stampo assicurativo, estende l’applicazione agli intermediari abilitati alla distribuzione di IBIPs, con gli opportuni adattamenti alla materia specifica, le regole previste per i medesimi soggetti in riferimento alla prestazione dei servizi di investimento. L’adozione di questa misura di gold plating trova, nell’opinione dell’autorità di vigilanza per il settore mobiliare, giustificazione nella necessità di coerenza con quanto attualmente previsto dal regolamento intermediari con riguardo alla distribuzione di prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione (art. 132, co. 1). Il provvedimento in esame, nella parte terza, ai fini dell’applicazione ai distributori di IBIPs sottoposti a vigilanza Consob, opera un rinvio alle regole di corporate governance previste nel regolamento intermediari, segnatamente a quelle in materia di procedure interne, controllo di con-
19 Sul contenuto di tale documento v., per tutti, Santoro, La tutela dell’investitore in strumenti finanziari in prodotti di investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (PRIIPs), in Regole e mercato, cit., pp. 525 ss., in part. pp. 529 ss.
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formità, trattamento dei reclami e operazioni personali, la cui declinazione è rinvenibile nel regolamento (UE) 2017/565 (artt. 21, 22, 26, 28 e 29). In proposito, si evidenzia in dottrina20 l’importanza che le nome di governo societario rivestono anche nella disciplina delle regole di condotta, là dove l’adempimento degli obblighi comportamentali a carico degli intermediari è rimesso tra l’altro all’adozione di procedure organizzative interne adeguate in base alle quali l’intermediario è tenuto a stabilire ex ante tempi e modalità del proprio agire nei confronti del cliente. In altre parole, la proceduralizzazione del comportamento diventa strumentale all’adempimento degli obblighi di condotta e, dunque, rilevante sotto il profilo esterno del rapporto con l’investitore. Nell’ambito di tali presidi organizzativi, la nuova regolamentazione Consob richiama espressamente le disposizioni sulle procedure di controllo interno contenute nel regolamento intermediari che a sua volta rinvia al regolamento europeo di cui sopra (artt. 21 e 22). Al riguardo, in linea di principio21, si impone all’intermediario l’adozione di una struttura organizzativa composta da tre sezioni separate, autonome e senza vincoli reciproci di subordinazione. La prima – c.d. funzione di compliance – si occupa del controllo di conformità, che consiste nel monitoraggio dell’adeguatezza ed efficacia delle procedure interne nonché nella consulenza e assistenza alle diverse funzioni aziendali ai fini dell’adempimento dei relativi obblighi. Alla seconda – c.d. funzione di gestione del rischio – compete l’attività di risk management, che si sostanzia nell’individuazione, nel controllo e nella gestione delle varie tipologie di rischio alle quali è esposto l’intermediario (di tipo finanziario, operativo, legale, o di altro genere). Infine, la terza – c.d. funzione di revisione interna – è destinata a un’attività di monitoraggio di più alto livello, dovendo esaminare e valutare l’adeguatezza e l’efficacia dei sistemi, dei meccanismi di controllo interno e dei dispositivi dell’intermediario. L’obbligo per i distributori di adottare politiche e procedure interne adeguate è previsto dalla normativa europea (art. 28) anche per assicurare un efficace, trasparente e tempestivo trattamento dei reclami dei clienti o potenziali clienti. La policy di trattamento dei reclami, ap-
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Cfr. Annunziata, La disciplina, cit., p. 139. Nel senso che l’applicazione del principio di proporzionalità (principio giuridico che prescrive l’adeguatezza dei mezzi impiegati al fine voluto) di matrice europea consente agli intermediari di minori dimensioni di implementare soluzioni semplificate rispetto a quella di base. 21
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provata dall’organo di gestione, fornisce informazioni chiare, accurate e aggiornate in merito al processo di trattamento dei reclami che deve essere affidato a una funzione appositamente preposta e responsabile delle indagini (tale compito può essere svolto dalla funzione di compliance). Gli intermediari comunicano ai clienti o potenziali clienti la propria posizione riguardo al reclamo e li informano delle opzioni a loro disposizione, inclusa l’eventuale possibilità di rinviare il reclamo a un organismo di risoluzione alternativa delle controversie (organismo ADR – Alternative Dispute Resolution22) o di intentare una causa civile. Comunicazioni sui reclami e sul trattamento dei reclami sono dovute alle autorità competenti interessate e, se esistente in ambito nazionale, a un organismo ADR. Sempre in tema di procedure, il regolamento (UE) n. 2017/565 (art. 29) impone ai distributori l’obbligo di adottare dispositivi adeguati a impedire l’insorgere di conflitti di interesse dallo svolgimento di operazioni personali da parte di esponenti aziendali, dipendenti o, in genere, “soggetti rilevanti”23, che hanno accesso a informazioni privilegiate oppure riservate riguardanti clienti o operazioni con o per clienti. All’area normativa che incide sulle modalità di organizzazione interna del soggetto abilitato può essere ricondotto altresì l’obbligo per quest’ul-
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L’espressione ADR (Alternative Dispute Resolution) viene utilizzata per indicare le procedure extragiudiziali di arbitrato e di conciliazione volte alla risoluzione delle controversie che coinvolgono il consumatore, in generale, e il “consumatore di servizi finanziari”, in particolare. Sulle ADR in campo bancario e finanziario si vedano, tra gli ultimi: Pellegrini, Le ADR (Alternative Dispute Resolution) in ambito bancario e finanziario, in Manuale di diritto bancario e finanziario2, a cura di Capriglione, Padova, 2019, pp. 613 ss.; Rispoli Farina, Sistemi alternativi di soluzione delle controversie nel settore finanziario. Pluralità di modelli ed effettività della tutela, in Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dalla istituzione della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, a cura di Molo, 2015, pp. 299 ss.; Luiso, La Direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, pp. 1299 ss. 23 Il regolamento europeo n. 2017/565 qualifica come “soggetto rilevante” in relazione all’impresa di investimento uno dei seguenti soggetti: a) amministratore, socio o equivalente, dirigente o agente collegato dell’impresa; b) amministratore, socio o equivalente o dirigente di un agente collegato dell’impresa; c) dipendente dell’impresa o di un suo agente collegato, nonché ogni altra persona fisica i cui servizi sono a disposizione e sotto il controllo dell’impresa o di un suo agente collegato e che partecipa allo svolgimento dell’attività da parte dell’impresa; d) persona fisica che partecipa direttamente alla prestazione di servizi all’impresa di investimento o al suo agente collegato nel quadro di un accordo di esternalizzazione avente per oggetto la prestazione di servizi di investimento e l’esercizio di attività di investimento da parte dell’impresa.
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timo di conservazione delle registrazioni inerenti a tutte le attività e operazioni effettuate. Anche in questo caso, la Consob si avvale della facoltà di gold plating, attesi la mancanza nella disciplina assicurativa europea di disposizioni in materia (ad eccezione delle registrazioni delle valutazioni di adeguatezza e di appropriatezza) e il carattere di armonizzazione minimale della stessa. La disciplina applicabile ai soggetti abilitati alla distribuzione di IBIPs è modellata su quella prevista nel regolamento intermediari per i medesimi soggetti nella prestazione dei servizi di investimento. Come espressamente dichiarato nella normativa regolamentare, tale dovere in capo ai soggetti abilitati è posto per finalità di vigilanza, onde consentire alla Consob di verificare il rispetto delle norme in materia di distribuzione di prodotti di investimento assicurativi e, in particolare, l’adempimento degli obblighi nei confronti dei clienti o potenziali clienti. Nel dettaglio, la disciplina in materia contiene indicazioni in merito al tempo di conservazione e al contenuto delle registrazioni nonché alle misure organizzative interne da adottare ai fini del corretto adempimento di tale obbligo. Quanto al periodo di conservazione delle registrazioni, la normativa secondaria prevede un lasso temporale minimo di cinque anni suscettibile di estensione a sette anni se richiesto dalla Consob (fanno eccezione le registrazioni delle valutazioni di adeguatezza e di appropriatezza il cui periodo di conservazione è legato al tempo di durata del rapporto distributore-cliente). Le registrazioni conservate sono fornite ai clienti interessati su loro richiesta. L’oggetto delle registrazioni include: le conversazioni telefoniche o comunicazioni elettroniche riguardanti le operazioni concluse e anche quelle non giunte a conclusione nello svolgimento dell’attività di distribuzione assicurativa; gli ordini trasmessi dai clienti attraverso canali diversi da quello telefonico, a condizione che sia impiegato un supporto durevole quale posta, fax, posta elettronica; le conversazioni intercorse alla presenza del cliente riportate in verbali o annotazioni scritte. Anche in quest’ambito, come dicevamo, la normativa condiziona le modalità organizzative dell’intermediario, imponendo l’adozione di misure ragionevoli per le registrazioni, cioè apparecchiature idonee, nonché per impedire al personale di effettuare, trasmettere o ricevere su apparecchiature private conversazioni telefoniche e comunicazioni elettroniche che non sia in grado di registrare o copiare24. A ciò si aggiunge
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In proposito, nelle risposte pervenute in sede di consultazione, si sottolineano i ri-
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l’obbligo per i soggetti abilitati di informare la clientela delle registrazioni, conversazioni o comunicazioni telefoniche tra loro intercorrenti; obbligo che può essere assolto una tantum prima dell’inizio del rapporto contrattuale. L’inosservanza di tale prescrizione impedisce al soggetto abilitato di svolgere per telefono l’attività di distribuzione assicurativa. L’ultimo gruppo di regole a cui deve essere improntata la condotta dei soggetti abilitati alla distribuzione assicurativa tout court impone obblighi in materia di conflitti di interesse. La disciplina sui conflitti di interesse prevista nella delibera Consob risulta in linea con la pertinente normativa europea e le corrispondenti disposizioni di recepimento contenute nel c.a.p. (artt. 119-bis e 121-quinquies). Quello del conflitto di interessi tra cliente e intermediario rappresenta un tema cruciale e controverso nella regolamentazione delle attività del mercato finanziario25. Nella consapevolezza che il conflitto di interessi non può essere eliminato in quanto connaturato allo svolgimento di attività finanziarie soprattutto da parte di soggetti polifunzionali, il tradizionale approccio del legislatore alla materia tende a dettare norme volte alla gestione piuttosto che all’eliminazione delle situazioni di conflitto, inducendo l’intermediario ad agire – nonostante il conflitto – in modo trasparente e nel miglior interesse del proprio cliente. Di conseguenza, la disciplina dei conflitti di interesse si muove “per obiettivi”, dettando regole comportamentali non rigide ma elastiche, ossia adattabili alle specifiche situazioni concrete, fermo restando l’obbligo di assicurare il raggiungimento dello scopo indicato26. Nella medesima linea si colloca l’assetto regolatorio in materia di conflitti di interesse connessi allo svolgimento dell’attività di distribuzione di IBIPs da parte dei soggetti abilitati sottoposti a vigilanza Consob. La normativa richiede a tali soggetti di: – adottare misure organizzative e ammnistrative ragionevoli volte a “evitare”, ovvero, ai sensi della disciplina europea (art. 28, IDD), a “rilevare, prevenire, gestire e divulgare” i conflitti di interesse tra intermediario/distributore e cliente;
levanti costi di attuazione che l’applicazione della normativa sulle registrazioni comporta per l’intermediario, data l’enorme mole di dati da conservare. 25 Il tema dei conflitti di interesse, è da sempre oggetto di riflessione e dibattito da parte della dottrina che lo ha analizzato nell’ambito delle normative speciali. In proposito si rinvia, anche per riferimenti bibliografici riportati, a Salerno, La disciplina, cit., pp. 448 ss. 26 Cfr. Annunziata, La disciplina, cit., pp. 140 e 143.
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– informare i clienti, su supporto durevole e in modo chiaro e dettagliato in relazione alle caratteristiche del cliente, di ogni situazione di conflitto, qualora le misure adottate non siano sufficienti a evitare in maniera assoluta il rischio di nuocere agli interessi dei clienti; – adottare sistemi di retribuzione e di incentivazione diretti a evitare modalità di remunerazione e di incentivazione del personale oppure l’imposizione al medesimo di target di vendita che potrebbero indurlo a non agire nel migliore interesse del cliente, raccomandando un prodotto non adatto oppure meno adatto di altri alle esigenze del cliente. Dall’uso dei verbi “evitare” e “prevenire” accanto ai verbi “identificare” e “gestire” emerge il tentativo del legislatore comunitario di affiancare a un sistema di rimedi ex post, volto a fronteggiare a valle (“gestire”) situazioni in grado di generare conflitti di interesse, un sistema di rimedi ex ante, destinato a impedire a monte (“prevenire”) la creazione delle medesime27. Il passaggio da una logica di mera gestione a una logica di prevenzione del conflitto fa perno, da una parte, su obblighi di tipo organizzativo diretti a imporre all’intermediario l’implementazione di presidi organizzativi adeguati allo scopo e, dall’altra, in mancanza o insufficienza dei primi, ancora una volta su un obbligo di disclosure del conflitto nei confronti del cliente potenzialmente leso. Sotto il primo profilo si rimette al distributore il compito di identificare le situazioni di conflitto che le norme europee e nazionali28, conservando sul punto un’impostazione tradizionale, si astengono, in linea di massima, dall’individuare puntualmente, fornendo esclusivamente criteri minimali per la relativa valutazione ad opera dell’intermediario29. La “identificazione” dei conflitti si basa, dunque, su un processo di autovalutazione da parte dell’intermediario, che è tenuto alla completa mappatura delle situazioni di conflitto, attuali e potenziali, che lo coinvolgono o coinvolgono soggetti ad esso collegati («soggetti rilevanti») ovvero coinvolgono attività di differente natura svolte (es. bancaria e mobiliare).
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Cfr. Salerno, La disciplina, cit., p. 449. La rinuncia da parte del legislatore all’identificazione di precise situazioni di conflitto di interessi ha portato la dottrina a qualificare la normativa in materia come “disciplina senza fattispecie”. Cfr. D’Alessandro, Il conflitto di interessi nei rapporti tra socio e società, in Giur. comm., 2007, I, pp. 5 ss. Sull’ argomento si veda, da ultimo, anche per i riferimenti ivi riportati, Cataudella, Nota breve sulla «fattispecie», in Riv. dir. civ., 2015, I, pp. 245 ss. 29 I criteri minimi alla base della identificazione dei conflitti da parte dell’intermediario sono indicati nell’art. 3, co. 2, del regolamento (UE) n. 2017/2359. 28
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Pertanto, già l’insufficiente individuazione delle situazioni di conflitto costituirebbe una violazione delle regole di condotta in materia30. Una volta individuate le situazioni di conflitto, sorge l’obbligo per l’intermediario di elaborare una “politica di gestione”, intesa come procedura scritta (art. 4, regolamento n. 2017/2359), di tali situazioni conflittuali diretta a evitare il rischio che queste possano danneggiare l’investitore. Anche con riguardo alla politica di gestione dei conflitti, la normativa si limita al suo contenuto minimale; contenuto che si ispira al criterio dell’indipendenza dei soggetti coinvolti in attività o operazioni dalle quali può sorgere un conflitto di interessi attraverso l’adozione della tecnica dei cc.dd. “chinese walls” (art. 5, regolamento n. 2017/2359). Rispetto alla disciplina di derivazione MiFID II, è interessante notare che la normativa di stampo assicurativo, nazionale ed europea, non contempla in modo esplicito, tra le situazioni di potenziale conflitto, i benefici monetari e non monetari percepiti da terzi. Tale scelta, nell’opinione espressa dalla Commissione europea in sede di emanazione del regolamento n. 2017/2359, trova giustificazione nella necessità di “rispecchiare meglio le differenze fra il trattamento degli incentivi nella direttiva “IDD” e quelli contenuti nella direttiva MiFID II”, con particolare riferimento al diverso criterio di inammissibilità degli incentivi previsto dalle due normative31. Nel quadro delineato, la disclosure nei confronti dell’investitore della situazione conflittuale, su cui si imperniava il modello tradizionale di regolazione dei conflitti di interesse, viene a occupare una posizione residuale di last resort measure (rimedio di ultima istanza) rispetto al ruolo attribuito ai presidi organizzativi interni. Ciò implica che, da una parte, se le misure organizzative sono considerate sufficienti al superamento del conflitto, l’intermediario non è obbligato alla disclosure, e, dall’altra e specularmente, che la predisposizione di presidi organizzativi adeguati è sempre dovuta anche in presenza della discolsure. In altre parole, la comunicazione al cliente della situazione di conflitto non può essere utilizzata dal distributore in alternativa o sostituzione delle misure organizzative e, di conseguenza, essa non esime l’intermediario da responsabilità per aver operato in conflitto di interessi nell’ipotesi di mancanza o inadeguatezza di tali misure32.
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Cfr. Annunziata, La disciplina, cit., p. 141. Sul punto si rinvia al paragrafo 4. Cfr. Annunziata, La disciplina, cit., p. 143 s.
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In definitiva, il nuovo modello di regolazione dei conflitti di interessi di derivazione comunitaria affida in primo luogo alla capacità dell’intermediario la gestione dei potenziali conflitti attraverso la predisposizione di misure organizzative e amministrative idonee ad azzerare il rischio che situazioni di conflitto possano nuocere agli interessi dei clienti. È in questa linea di idee che la Consob si muove nel dare la propria soluzione regolatoria al problema, spinoso e controverso, del potenziale conflitto di interessi derivante dalla contemporanea assunzione da parte di un intermediario (soprattutto bancario) del ruolo di beneficiario o vincolatario delle prestazioni assicurative e di quello di distributore del relativo contratto. Anche con riferimento a questa ipotesi, la delibera in esame lascia ai soggetti abilitati alla distribuzione di IBIPs sottoposti a vigilanza Consob il compito di identificare e gestire i conflitti, che possano incidere negativamente sull’interesse del cliente. L’unico limite posto dalla regolamentazione alla discrezionalità dell’intermediario è dato dall’indicazione dei parametri di valutazione delle situazioni di conflitto, attuale e potenziale, riconducibili alla fattispecie considerata dalla norma, che impone, appunto, al distributore di tener conto della contestualità dell’operazione e della situazione finanziaria del contraente ai fini dell’identificazione e della gestione dei conflitti. La disposizione de qua, di stampo squisitamente nazionale, risulta rilevante perché la Consob, accogliendo le critiche degli operatori, si disallinea, seppur limitatamente alla distribuzione di IBIPs da parte di banche, intermediari finanziari non bancari e imprese di investimento, nazionali e comunitarie, rispetto alla corrispondente normativa IVASS ex art. 55 del regolamento n. 40/2018, confermata anche nel testo modificato dal provvedimento n. 97/2020. La regolamentazione IVASS, con riferimento a un ambito di applicazione soggettivo e oggettivo più esteso riguardando tutti i prodotti assicurativi e tutti i distributori assicurativi, quindi anche le banche, gli intermediari finanziari e le imprese di investimento che distribuiscono prodotti assicurativi c.d. “puri”, elimina a monte la possibilità che si delinei una situazione di conflitto tra attività bancaria e assicurativa33, vietando in modo assoluto ai distributo-
33 Sul problema del conflitto di interessi derivante dall’interferenza tra attività bancaria e assicurativa si vedano, tra gli altri: Corrias, Le polizze collegate ai mutui: spunti di riflessione, in Riv. trim. dir. econ, 2019, n. 1, pp. 135 ss.; Idem, Collegamenti ed interferenze tra le attività bancaria ed assicurativa, in Riv. giur. sarda, II, 2018, pp. 1 ss.; Marano, La banca come intermediario assicurativo “polifunzionale”, in Le assicurazioni abbinate ai finanziamenti, a cura di Marano-Siri, Milano, 2016, pp. 17 ss.; Dolmetta,
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ri assicurativi tout court di assumere, direttamente o indirettamente, la contemporanea qualifica di beneficiario o vincolatario delle prestazioni assicurative e di distributore del relativo contratto, in forma individuale o collettiva. Al fine di sottolineare l’importanza della disposizione per l’operatività dei soggetti abilitati alla distribuzione assicurativa, ripercorriamo brevemente le tappe evolutive della normativa in materia di distribuzione di polizze assicurative abbinate a contratti di mutuo e di prestito – note all’estero come polizze CPI (Credit Protection Insurance) o, in termini più ampi, come PPI (Payment Protection Insurance)34. Preliminarmente, occorre evidenziare che, nel caso di vendita abbinata di polizze assicurative e credito, si crea una relazione trilaterale teoricamente idonea a soddisfare le esigenze e gli interessi dei soggetti coinvolti: impresa di assicurazione, soggetto erogatore del credito e cliente35. Da un lato, all’impresa di assicurazione emittente derivano vantaggi dalla maggiore facilità di collocamento sul mercato del proprio prodotto per il tramite dell’intermediario che eroga il credito, con conseguente riduzione dei costi di distribuzione e aumento della capacità di accesso al pubblico. Dal canto suo, l’intermediario attraverso le polizze riceve la garanzia di restituzione da parte del cliente delle rate del mutuo o del finanziamento erogato in caso di avveramento del rischio assicurato (c.d. rischio di credito, inteso come rischio di insolvenza del debitore in un’operazione di prestito), senza contare le provvigioni che lo stesso riceve grazie alla vendita di tali polizze, cioè le provvigioni ricavate dall’attività di intermediazione assicurativa. Quanto al cliente, il suo interesse all’operazione discende dalla riduzione sia dei costi di ri-
Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, pp. 64 ss.; Sciarrone Alibrandi, Il diritto del sistema finanziario, in Diritto commerciale, a cura di Cian, Torino, 2013, pp. 785 ss. 34 Sull’argomento la dottrina è oramai copiosa. Tra gli ultimi contributi, si segnalano, anche per i riferimenti ivi riportati: Camedda, I contratti di assicurazione collegati a mutui e finanziamenti. L’obbligo di rimborso del premio assicurativo in caso di estinzione anticipata del finanziamento, in Riv. dir. banc., 2018, n. 4, pp. 1 ss.; Tina, Contratti di finanziamento personale e polizze assicurative: l’estinzione anticipata del finanziamento (art. 125-sexies t.u.b.) mediante attivazione della copertura assicurativa, in Giur. comm., 2018, I, pp. 789 ss.; Quarta, Assicurazione e costo totale del credito. Rilevanza della payment protection insurance nel computo del TAEG, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, I, pp. 17 ss. 35 Cfr. Argentati, Polizze assicurative abbinate al credito e tutela del cliente: analisi critica dei più recenti sviluppi normativi, in Ilcaso.it, pp. 3 s.
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cerca delle combinazioni desiderate sia del costo della copertura offerta che, se abbinata a un finanziamento, è spesso inferiore a quello che si sosterrebbe stipulando i due contratti separatamente. Ma purtroppo esiste un rovescio della medaglia rappresentato dall’emergere di potenziali conflitti di interesse tra intermediario e cliente connessi al collegamento negoziale tra il contratto bancario e il contratto assicurativo. Da tale consapevolezza è scaturita tutta una serie di interventi legislativi e regolamentari che, considerato l’oggetto, ha implicato il coinvolgimento di una pluralità di competenze, dall’Antitrust (a tutela del consumatore dalle pratiche commerciali scorrette) alle autorità di vigilanza dei vari segmenti del mercato finanziario (Banca d’Italia, Consob e IVASS), con inevitabili rischi di sovrapposizione e mancanza di coordinamento, se non addirittura di incompatibilità degli interventi di vigilanza36. La prima disciplina dei contratti di assicurazione collegati al credito risale al regolamento ISVAP n. 35/2010, che stabilisce obblighi informativi e regole di trasparenza in favore degli assicurati, rivelatisi ben presto insufficienti ai fini del superamento dei conflitti d’interessi nella distribuzione di prodotti assicurativi abbinati a mutui e finanziamenti. Pertanto, l’ISVAP interviene nuovamente con il provvedimento n. 2946/2011 in cui si codifica un divieto generale per gli intermediari di rivestire contestualmente il ruolo di distributore e beneficiario/vincolatario di una polizza assicurativa attraverso una presunzione assoluta della sussistenza di un conflitto di interessi tra l’intermediario e il cliente sottoscrittore della polizza. Il provvedimento suscita, come prevedibile, la reazione degli operatori che, nel 2012, si concretizzata in un ricorso al TAR del Lazio presentato da un intermediario finanziario operante nel leasing e dalla rispettiva associazione di categoria (Assilea); ricorso finalizzato a chiedere l’annullamento del provvedimento ISVAP. Il tribunale accoglie il ricorso dichiarando l’illegittimità della disposizione regolamentare ISVAP in quanto basata sulla presunzione a monte di una situazione conflittuale senza alcuna valutazione del caso concreto37.
36 Per una compiuta analisi dei provvedimenti in materia si rinvia a Argentati, Polizze, cit., pp. 7 ss. 37 V. TAR Lazio, sentenza n. 7229/2012, in Dir. econ. ass., 2013, n. 2, pp. 234 ss., con nota di Capussi, Il provvedimento ISVAP del 6 dicembre 2011. Nota critica all’art. 48, comma 1-bis del Regolamento ISVAP n. 5/2006 dopo la sentenza del T.A.R. Lazio 7229/2012. Il contenzioso in materia ha avuto successivamente un notevole incremento soprattutto davanti all’ABF. Sul punto si rinvia ai riferimenti riportati da Corrias, Le polizze, cit., p.
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Non a caso, nello stesso periodo della pubblicazione del provvedimento ISVAP, il legislatore interviene con due decreti emergenziali: i c.d. decreti salva-Italia e cresci-Italia, diretti a limitare la portata del divieto fissato dalla normativa regolamentare. Il primo (d.l. n. 201/2011), attraverso un’integrazione al Codice del Consumo (d.lgs. n. 206/2005 – art. 12, co. 3-bis), in sintesi, qualifica come pratica scorretta non la situazione in sé che la banca o l’intermediario finanziario distribuiscano coperture assicurative in occasione della concessione di un mutuo, ma la circostanza che in tale ipotesi l’intermediario obblighi il proprio cliente a stipulare una specifica polizza assicurativa dallo stesso distribuita condizionando la sottoscrizione di un contratto di mutuo alla stipula della polizza38. Il secondo decreto (d.l. n. 1/2012) riduce ulteriormente la portata del divieto, introducendo una norma volta a disciplinare il settore delle polizze assicurative connesse non più soltanto ai mutui ma anche alle operazioni di credito al consumo39. Con tale intervento si riconosce in via legislativa agli intermediari la possibilità di subordinare l’erogazione del mutuo (o del credito al consumo) alla sottoscrizione di una polizza assicurativa in presenza di certe condizioni: presentazione da parte dell’intermediario di almeno due preventivi di polizza provenienti da due diversi gruppi assicurativi non legati al medesimo; il diritto del cliente di rifiutare i contratti di assicurazione sulla vita offerti dall’intermediario e di scegliere liberamente sul mercato la polizza assicurativa ramo vita; l’obbligo per l’intermediario di accettare l’eventuale scelta operata dal cliente, senza poter variare le condizioni offerte per l’erogazione del mutuo immobiliare o del credito al consumo. Tale previsione normativa subisce modifiche marginali con la l. n. 124/2017 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza) che elimina la necessità di due preventivi e amplia le ipotesi in cui l’intermediario è tenuto ad accettare la polizza presentata dal cliente senza variare le condizioni del mutuo. Il recepimento della IDD nel nostro ordinamento non incide direttamente sulla fattispecie considerata, occupandosi di questa solo indirettamente attraverso la disciplina della “vendita abbinata” di prodotti
136, nt. 1 e 2. 38 Cfr. Argentati, Polizze, cit., p. 9. 39 Per approfondimenti sul punto si rinvia a Siri, La protezione dell’assicurato mutuatario nel codice del consumo, in Le assicurazioni abbinate ai finanziamenti, a cura di Marano-Siri, pp. 50 ss., in part. p. 75.
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assicurativi e finanziari in cui si richiede agli intermediari, ogni qualvolta un contratto assicurativo sia accessorio ad altro prodotto o servizio offerto, di garantire all’acquirente la possibilità di acquisto disgiunto (cfr. il nuovo art. 120-quinquies del c.a.p.)40. Sul piano regolamentare, l’IVASS si è di recente occupato della materia nel 2018 nell’ambito del regolamento n. 40 emanato ai sensi del Titolo IX del c.a.p. (art. 106), con lo scopo precipuo di revisionare e razionalizzare le disposizioni di settore, contenute nei precedenti regolamenti, alla luce delle novità introdotte dalla IDD in materia di distribuzione assicurativa e riassicurativa. Con tale provvedimento l’IVASS ha confermato, all’art. 55, per tutti i distributori e per tutti i prodotti assicurativi l’obbligo di astenersi dall’assumere direttamente, indirettamente, o attraverso rapporti di gruppo o di affari, la contemporanea qualifica di beneficiario o vincolatario delle prestazioni assicurative e di distributore della relativa polizza. E, non ostanti le numerose critiche, l’istituto di vigilanza per il settore assicurativo non ha modificato il proprio orientamento nemmeno nel recente provvedimento n. 97/2020 di modifica al regolamento n. 40/2018, giustificando tale scelta sulla base dei risultati della verifica d’impatto della regolamentazione in materia di conflitti di interesse41. Come dicevamo, l’omologo e contestuale provvedimento Consob oggetto di disamina adotta un’ottica differente in parziale condivisione delle critiche all’imposizione di un divieto generale e indifferenziato, peraltro in via regolamentare, senza alcuna possibilità di valutazione del caso concreto. In base alla nuova disciplina, pertanto, per la distribuzione di prodotti di investimento assicurativi da parte di banche, SIM e intermediari finanziari non bancari, non troverà più applicazione il tanto contestato art. 55, co. 2, del regolamento IVASS n. 40/2018, naturalmente limitatamente alla distribuzione di IBIPs42. In conformità all’approccio
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Sulla disciplina europea delle pratiche di vendita abbinata si rinvia al paragrafo
3.2. 41
V. la relazione al provvedimento n. 97/2020, disponibile al link https://www.ivass. it/normativa/nazionale/secondaria-ivass/normativi-provv/2020/provv_97/index.html, p. 13. 42 Il disallineamento tra le due normative appare di scarsa rilevanza pratica atteso che le imprese di assicurazione solo di rado si trovano nella contemporanea posizione di intermediari distributori e di vincolatari o beneficiari della garanzia. Inoltre, il fatto che la nuova disciplina non troverà applicazione in riferimento alla distribuzione dei prodotti assicurativi non di investimento (c.d. prodotti assicurativi “puri”) dimostrerebbe che
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adottato in generale nella disciplina sul conflitto di interessi, la Consob, anche con riguardo alla vendita di prodotti assicurativi abbinati a finanziamenti, rimette ai distributori, nella redazione della conflict policy, il compito di specificare per ciascun rapporto contrattuale se la contemporanea qualifica di beneficiario o vincolatario della polizza incida negativamente sull’interesse del contraente. Nelle operazioni in questione la composizione del conflitto di interessi immanente in cui viene a trovarsi il distributore e, quindi, la tutela del cliente sono affidate al rispetto dei due criteri, della contestualità dell’operazione e della situazione finanziaria del contraente, che l’intermediario è tenuto a prendere a riferimento per la propria valutazione. Per completezza di indagine, ricordiamo il recente intervento di moral suasion delle due autorità di vigilanza per i settori assicurativo e mobiliare che, con una lettera congiunta al mercato del marzo 202043, al fine di aumentare il livello di correttezza e trasparenza nei confronti dei clienti, invitano le banche e gli intermediari finanziari, da una parte, e le imprese di assicurazione produttrici, dall’altra, a adottare specifici comportamenti per l’offerta di prodotti abbinati a finanziamenti44. Già nel 2015 la Banca d’Italia e l’IVASS avevano fornito indicazioni al mercato sulle misure a tutela dei clienti richieste con riferimento alle polizze abbinate ai finanziamenti45. Su tali misure incide la comunicazione del 2020 per dar conto delle modifiche della normativa di rango primario nel frattempo intervenute, segnatamente delle nuove norme in mate-
l’opportunità dell’originaria disciplina IVASS (divieto assoluto) stava nella repressione di altro fenomeno distributivo. Cfr. Zitiello, La nuova disciplina delle polizze a pegno, in We Wealth, 7 novembre 2019, p. 82. 43 Ivass – Banca D’italia, Offerta di prodotti abbinati ai finanziamenti, 17 marzo 2020 (https://www.ivass.it/normativa/nazionale/secondaria-ivass/lettere/2020/17-03/Comunicazione_BI_IVASS_Polizze_abbinate_17.3.20.pdf. 44 Fra i contratti offerti in abbinamento ai finanziamenti, il documento indica come particolarmente rilevanti le coperture assicurative: 1) a protezione del credito (polizze vita e/o danni volte a garantire il rimborso del finanziamento, c.d. PPI – Payment Protection Insurance); 2) a protezione di un bene dato in garanzia (ad. es. polizza scoppio e incendio connessa con un mutuo immobiliare). Parimenti, specifica attenzione merita il collocamento, in abbinamento al finanziamento, di polizze che non presentano alcun collegamento funzionale con il finanziamento stesso (c.d. “polizze decorrelate”). 45 Ivass – Banca D’italia, Polizze abbinate ai finanziamenti (PPI). Misure a tutela dei clienti, 26 agosto 2015 (reperibile all’indirizzo https://www.ivass.it/consumatori/azionitutela/indagini-tematiche/documenti/Report_indagine_costi_PPI.pdf03/Comunicazione_BI_IVASS_Polizze_abbinate_17.3.20.pdf).
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ria di product governance46. Le autorità rammentano ai soggetti indicati che il mancato rispetto, formale e sostanziale, delle regole vigenti, oltre a comportare l’applicazione delle sanzioni e misure di rimedio previste per la violazione degli obblighi di condotta verso la clientela, può esporre gli operatori a significativi rischi legali e di reputazione, con l’eventuale possibilità di un incremento dei requisiti patrimoniali richiesti dalle competenti autorità. Di conseguenza, si sollecitano gli intermediari a adottare e applicare procedure organizzative e di controllo interno che assicurino nel continuo una valutazione dei rischi (anche legali e di reputazione) connessi all’offerta contestuale o in abbinamento di più contratti e si indicano le azioni che organi direttivi e di controllo degli intermediari dovrebbero implementare in particolare con riguardo ai seguenti elementi: «a) la qualificazione della polizza come obbligatoria (in quanto essenziale per la concessione del prestito ovvero per ottenerlo a determinate condizioni) o facoltativa; b) il collocamento, in abbinamento al finanziamento, di polizze che non presentano alcun collegamento funzionale con il finanziamento stesso (c.d. “polizze decorrelate”); c) il controllo delle reti distributive e il monitoraggio dei fenomeni di mis-selling; d) i conflitti di interessi e il livello dei costi; e) la corretta gestione delle richieste di estinzione anticipata (anche parziale) dei finanziamenti e delle conseguenti iniziative sulle polizze abbinate». 3.2. Specifici. I criteri generali che regolano il comportamento dei soggetti abilitati alla distribuzione di IBIPs (obbligo di operare con onestà, equità, professionalità, correttezza e trasparenza, al fine di servire al meglio gli interessi dei clienti) così come i doveri informativi, sono specificati e diversamente graduati in funzione di tre elementi: le modalità di svolgimento dell’attività di distribuzione assicurativa; il grado di complessità (rischiosità) del prodotto di investimento assicurativo offerto o raccomandato; le diverse esigenze di protezione e tipologie di assicurati. Nella normativa regolamentare Consob (così come in quella omologa dell’IVASS) la condotta dell’intermediario/distributore è improntata a regole più o meno severe a seconda che la distribuzione di IBIPs si connoti per la presenza o l’assenza di consulenza; consulenza che diventa obbligatoria allorché la distribuzione abbia a oggetto prodotti di investimento
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Di cui ci occuperemo nel paragrafo 5.
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assicurativi complessi. Più in dettaglio, in aggiunta alla regola generale di suitability di rango primario ai sensi della quale “Qualsiasi contratto proposto deve essere coerente con le richieste e le esigenze assicurative del contraente” (art. 119-ter del c.a.p.), la Consob individua, conformemente alle disposizioni legislative in materia di requisiti supplementari per la distribuzione di IBIPs (v. Capo VI, IDD e Titolo IX, Capo III-ter, c.a.p.), due modalità di valutazione di tale coerenza che fanno perno sulle nozioni di “adeguatezza” e “appropriatezza”. Con riferimento a tali concetti la valutazione di coerenza del prodotto al cliente attraversa due livelli di approfondimento corrispondenti a due diverse articolazioni della know your customer rule: conoscenza del cliente nella sua massima estensione per la valutazione di adeguatezza e conoscenza ridotta dell’assicurato per la valutazione di appropriatezza. Un’ulteriore differenziazione delle regole di condotta connesse alle modalità di svolgimento dell’attività è rinvenibile nella normativa europea in materia assicurativa (IDD e regolamento n. 2017/2359). Questa, sulla scia della MiFID II, lascia agli stati membri la facoltà di prevedere, con riguardo agli operatori nel proprio territorio, la derogabilità agli obblighi di acquisizione delle informazioni dal cliente e, di conseguenza, di valutazione di coerenza, nell’ipotesi di svolgimento dell’attività di distribuzione in modalità execution only, ossia in presenza di determinate condizioni, segnatamente quella legata alla struttura del prodotto distribuito (l’operazione riguarda prodotti assicurativi che abbiano come sottostante strumenti finanziari non complessi, l’attività sia eseguita su iniziativa del cliente; sia fornita al cliente un’informativa chiara in merito alla mancanza della valutazione di adeguatezza; il rispetto da parte dell’intermediario degli obblighi in materia di conflitto di interessi). Quanto alla differenziazione delle regole in funzione delle tipologie di clientela, la normativa assicurativa primaria si limita a rinviare a quella secondaria la relativa disciplina, mentre, come è noto, nella normativa applicabile ai servizi di investimento di derivazione MiFID II la modularizzazione di tali regole è ancorata alla distinzione, basata su parametri oggettivi e predeterminati, degli investitori nelle categorie dei clienti al dettaglio, con riguardo ai quali i doveri di comportamento che incombono sugli intermediari trovano massima applicazione, dei clienti professionali, per i quali tali regole sono solo in parte applicate, e delle
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controparti qualificate, nei confronti delle quali si rileva la pressoché totale disapplicazione delle regole di condotta47. Fatte queste precisazioni, concentriamo la nostra attenzione sulle norme in materia di valutazione di compatibilità delle caratteristiche del prodotto di investimento assicurativo alle caratteristiche del cliente contenute nel nuovo Libro IX del regolamento intermediari. Poiché ai sensi di tale disciplina la fornitura di consulenza nell’ambito dello svolgimento dell’attività di distribuzione assicurativa e riassicurativa rappresenta la scriminante del regime comportamentale, più o meno stringente, applicabile al distributore e, specularmente, più o meno garantista nei confronti del cliente, è d’obbligo un richiamo alle norme che individuano i tratti caratterizzanti la nozione di “consulenza”48. È bene sottolineare sin da subito che la definizione di consulenza fornita dal legislatore è unitaria, a variare sono le modalità di fornitura del servizio “su base indipendente o “non indipendente”, con o senza valutazione periodica di adeguatezza, ecc.) che, nella nostra analisi, rilevano solamente ai fini della disciplina degli incentivi. Rinviamo, quindi, alla parte concernente le regole sugli incentivi la disamina dei modelli operativi in cui può articolarsi la consulenza, soffermandoci ora sulla sua nozione generale49. Il c.a.p. (art. 1, co. 1, lett. m-ter), conformemente al disposto comunitario (art. 1, co. 1, n. 15, IDD), definisce la consulenza in campo assicurativo come «l’attività consistente nel fornire raccomandazioni personalizzate ad un cliente, su richiesta dello stesso o su iniziativa del distributore, in relazione ad uno o più contratti di assicurazione». In aggiunta, l’art. 119-ter, co. 2, del c.a.p. stabilisce che «Se viene offerta una consulenza prima della conclusione del contratto, il distributore di prodotti assicurativi fornisce al contraente una raccomandazione personalizzata contenente i motivi per cui un particolare contratto è ritenuto più indicato a soddisfare le richieste e le esigenze del contraente medesimo».
47 Per approfondimenti su tali nozioni v., per tutti, Annunziata, La disciplina, cit. pp. 161 ss. 48 Sulla nozione di consulenza in materia di investimenti finanziari si vedano, fra gli altri: Zitiello, La consulenza in materia di investimenti alla luce della Direttiva Mifid, in Studi sul rapporto tra banca e cliente. Trasparenza, MIFID, Corporate Bond, a cura di Greco, Pisa, 2008, pp. 137 ss.; Amorosino, Profili pubblicistici della disciplina dell’attività di consulenza finanziaria, in AA.VV., Scritti in onore di Francesco Capriglione, Tomo I, Padova, 2010, pp. 429 ss.; Sciarrone Alibrandi, Il servizio di “consulenza in materia di investimenti”: profili ricostruttivi di una nuova fattispecie”, ibidem, pp. 597 ss. 49 Cfr. Salerno, La disciplina, cit., p. 448.
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Come si evince dal dettato della legge i tratti distintivi della definizione si rinvengono nella personalizzazione della raccomandazione o del consiglio e nella sua natura determinata. Ai fini della specificazione di questi due parametri, qualche elemento di giudizio in più è contenuto nella normativa in materia di imprese di investimento, con riferimento alle quali l’attività di consulenza in materia di investimenti, quando abbia a oggetto strumenti finanziari, rientra tra i servizi di investimento il cui esercizio è sottoposto ad autorizzazione. In proposito, quanto alla “personalizzazione”, il regolamento (UE) n. 2017/565 (art. 9) stabilisce che si configura come personalizzata una raccomandazione: a) fatta a una persona nella sua qualità di investitore o potenziale investitore o nella sua qualità di agente di un investitore o potenziale investitore; b) presentata come adatta per tale persona, o basata sulla considerazione delle caratteristiche di tale persona; c) non rivolta esclusivamente al pubblico. Con riguardo alla forma e al contenuto (oggetto) della raccomandazione, la normativa europea in materia di servizi di investimento specifica che la consulenza consiste nella proposta di: a) comprare, vendere, sottoscrivere, scambiare, riscattare, detenere un determinato strumento finanziario o assumere garanzie nei confronti dell’emittente rispetto a tale strumento; b) esercitare o non esercitare il diritto conferito da un determinato strumento finanziario di comprare, vendere, sottoscrivere, scambiare o riscattare uno strumento finanziario. Le specificazioni di cui sopra in merito al carattere “personale” della consulenza consentono di differenziare tale attività da altre che, pur concretizzandosi in consigli e proposte di investimento, assumono carattere “generale”, perché rivolte a più soggetti, o comunque non basate sulla considerazione specifica delle esigenze e delle caratteristiche di un determinato investitore e presentate come adatte al medesimo. Presentano carattere di generalità, ad esempio, l’attività di ricerca in materia di investimenti, l’analisi finanziaria o altre forme di raccomandazioni generali riguardanti operazioni in strumenti finanziari o, nel nostro caso, di prodotti di investimento assicurativi. Viceversa, forme di comunicazione della raccomandazione in qualche modo personalizzate (come ad esempio la e-mail) potrebbero rientrare nella nozione di consulenza. Quanto al secondo elemento qualificante, quello della determinazione del prodotto, dal dettato normativo si evince che la consulenza si sostanzia nel rilascio di consigli specifici, ossia riferiti a un particolare prodotto di investimento (assicurativo e/o finanziario). Pertanto, è esclusa dalla definizione l’attività di consulenza generica configurabile nel rilascio di proposte e raccomandazioni in merito a categorie, gruppi o tipologie generali di contratti o a semplici asset class.
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In definitiva, con riguardo all’ambito di applicazione della disciplina oggetto di indagine, gli elementi da considerare per verificare se alla distribuzione assicurativa si accompagni altresì la consulenza, con conseguente sottoposizione del distributore/consulente a un regime comportamentale più rigido, sono rintracciabili nelle seguenti variabili: – forma della raccomandazione: proposta e non mera informazione; – natura della raccomandazione: personalizzata e adeguata, non rivolta alla generalità del pubblico; – oggetto della raccomandazione: specifico, riguardante cioè un determinato prodotto di investimento assicurativo, e non generico relativo a classi di strumenti e configurabile come consulenza “generica” non riservata50. A tali variabili si aggiunge un ulteriore elemento qualificante la nozione di consulenza tout court, direttamente ricavabile dalla delibera in esame e soprattutto dal contenuto della connessa relazione illustrativa (pp. 7 e 15). La Consob, infatti, accogliendo le richieste di chiarimento pervenute dai partecipanti alla consultazione, riconduce la consulenza “fondata su un’analisi imparziale e personale”, ossia “sull’analisi di un numero sufficiente di contratti di assicurazione disponibili sul mercato” – di cui all’art. 119-ter, co. 3, del c.a.p. – alla nozione generale di consulenza, sul presupposto implicito che la raccomandazione, anche se prestata con riguardo ad un unico prodotto, debba essere sempre “imparziale” nel senso che deve essere formulata sempre nell’interesse esclusivo del cliente, senza condizionamenti derivanti dall’eventuale ristrettezza dei prodotti raccomandati o dall’eventuale ricezione di commissioni da produttori e fornitori. L’“imparzialità” nel senso indicato, os-
50 Occorre ricordare che, a causa delle difficoltà pratiche di differenziare la consulenza da altre attività similari, ergo di individuare le ipotesi in cui la stessa si pone in posizione strumentale rispetto allo svolgimento di altre attività finanziarie, il CESR (il Comitato dei regolatori per il mercato mobiliare oggi sostituito dall’ESMA) ha pubblicato una serie di chiarimenti relativamente al servizio di consulenza (Understanding the definition of advice under MiFID Q&As, 19 aprile 2010, CESR/10-293, https://www.esma. europa.eu/sites/default/files/library/2015/11/10_293.pdf). In particolare, ai fini dell’esatta individuazione del perimetro del servizio di consulenza occorre, secondo il CESR, prendere in considerazione quattro parametri fondamentali: 1) la distinzione tra raccomandazione e semplice informazione; 2) l’oggetto della raccomandazione; 3) il concetto di informazione personale, nonché la rilevanza di eventuali disclaimer nella documentazione inviata agli investitori; 4) le modalità di invio delle raccomandazioni ai clienti, con particolare riguardo all’ipotesi di invio di una medesima raccomandazione a più soggetti contemporaneamente.
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sia di proposta effettuata nell’esclusivo interesse dell’investitore, diventa dunque un requisito intrinseco alla prestazione di consulenza. Chiarita la portata della nozione di consulenza, passiamo all’esame delle modalità in cui la suitability rule (proposta di contratti coerenti con le esigenze assicurative del cliente), contemplata dalla normativa primaria con riguardo ai contratti assicurativi in generale (art. 119-ter c.a.p.) e con riferimento agli IBIPs oggetto di distribuzione da parte degli intermediari sottoposti a vigilanza IVASS (art. 121-septies c.a.p.), si dispiega nelle due ipotesi specifiche prese in considerazione dalla disciplina regolamentare Consob: quella del soggetto abilitato alla distribuzione di IBIPs che fornisce consulenza sui prodotti; quella di svolgimento dell’attività di distribuzione di IBIPs in assenza di consulenza. In entrambi i casi, si impone al distributore una valutazione di compatibilità del prodotto al cliente più estesa e approfondita rispetto alla verifica di coerenza imposta dal c.a.p. con riferimento alla generalità dei prodotti assicurativi distribuiti da intermediari di qualunque natura (assicurativi, bancari e finanziari). A tal fine, si delineano le regole alla base della valutazione di compatibilità da parte del distributore; regole che attengono all’individuazione dei parametri di valutazione, alle modalità di verifica e agli obblighi informativi a questa connessi. In considerazione del fatto che, in presenza di consulenza, le scelte di investimento del cliente derivano da suggerimenti dell’intermediario, il regime regolatorio risulta più stringente in questa ipotesi in cui il processo di valutazione imposto all’intermediario prende convenzionalmente il nome di valutazione di adeguatezza (suitability, nel testo inglese delle direttive europee). Nel caso in cui la consulenza sia assente, la regolamentazione meno rigorosa impone una procedura di verifica detta valutazione di appropriatezza (appropriateness, nel testo inglese delle direttive europee). Preliminare e strumentale a entrambe le modalità di valutazione, e in generale all’adempimento dell’obbligo di suitability imposto dal c.a.p. a tutti i distributori per la generalità dei contratti assicurativi, è la profilatura “assicurativa” del cliente. La determinazione del profilo assicurativo del potenziale assicurato rappresenta la base della valutazione di “coerenza” del prodotto al cliente richiesta dalla legge (art. 119-ter, c.a.p.) e il presupposto indispensabile per la costituzione del rapporto contrattuale intermediario-cliente in ambito assicurativo. La profilatura assicurativa costituisce, dunque, un’attività necessaria e prodromica rispetto alla conoscenza del cliente sotto il profilo finanziario e alla conseguente applicazione delle altre forme di tutela previste dalla legge (valutazione di adeguatezza, valutazione di appropriatezza, doveri informativi specifici). La conoscenza delle richieste e dei bisogni assicurativi del cliente impo-
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ne l’acquisizione preventiva, rispetto alla conclusione del contratto, da parte del soggetto abilitato di tutte le informazioni utili a tal fine. Nello specifico, nell’ambito del demands and needs test, i distributori chiedono notizie al cliente sulle sue caratteristiche personali e esigenze assicurative, che includono, ove pertinenti, specifici riferimenti all’età, allo stato di salute, all’attività lavorativa, al nucleo familiare, alla situazione finanziaria (limitatamente al regime di adeguatezza) e assicurativa e alle sue aspettative in termini di copertura e durata del prodotto assicurativo, anche tenendo conto di eventuali coperture assicurative già in essere, del tipo di rischio, delle caratteristiche e della complessità del prodotto offerto. Sulla base delle informazioni ricevute i distributori effettuano, ai sensi della normativa assicurativa, la “valutazione di coerenza” del contratto al cliente sotto il profilo assicurativo. Completa questa prima fase prodromica alla conclusione dell’operazione, o meglio alla creazione del rapporto contrattuale cliente-distributore, l’obbligo a carico di quest’ultimo di consegnare al cliente una dichiarazione di coerenza del prodotto con le richieste ed esigenze assicurative del cliente, c.d. dichiarazione di rispondenza51. La valutazione di coerenza riportata nella dichiarazione di rispondenza costituisce un elemento peculiare e necessario alla sottoscrizione dei contratti assicu-
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Nella versione definitiva della norma, la Consob accoglie il suggerimento dei rispondenti alla consultazione di eliminare la duplice sottoscrizione – da parte del distributore e del contraente – della dichiarazione rispondenza, imposta nel documento di consultazione (cfr. relazione illustrativa, pp. 9 e 47). Quest’incombenza, al di là del fatto di non essere prevista né nella normativa europea di stampo assicurativo (IDD e regolamento (UE) 2017/2359) né in quella relativa ai servizi di investimento (MiFID II) con riguardo alla dichiarazione di adeguatezza, avrebbe infatti comportato un aggravio operativo sia per il cliente, aumentando il numero di firme da apporre, sia per l’intermediario-distributore, anche in considerazione della possibilità per quest’ultimo di servirsi, nello svolgimento dell’attività di distribuzione, di tecniche di comunicazione a distanza oppure di consulenti abilitati all’offerta fuori sede, che di norma non hanno il potere di firmare in nome e per conto dell’intermediario per il quale operano. In aggiunta, viene eliminato l’obbligo di informativa al cliente, richiesto dal c.a.p., dei motivi sottesi a tale rispondenza nonché dell’eventuale distribuzione al di fuori del mercato di riferimento individuato dal produttore secondo le norme sulla product governance (gli obblighi di product governance che ricadono sul distributore sono trattati nel paragrafo 5); informativa ritenuta, nelle osservazioni pervenute, oltre che ridondante, perché assorbita dall’obbligo di indicare le motivazioni di coerenza nella dichiarazione di adeguatezza e nel rendiconto di valutazione periodica di adeguatezza, anche fuorviante per il cliente che difficilmente riesce a comprendere come un’operazione, pur effettuata al di fuori del mercato di riferimento, possa essere valutata come adeguata.
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rativi, in quanto finalizzata alla proposta di un contratto compatibile, in prima battuta, esclusivamente con i bisogni assicurativi del potenziale assicurato. A riprova di ciò si pone la constatazione che, nella fase di avvio del rapporto contrattuale intermediario-cliente, le richieste e le esigenze finanziarie dell’investitore non emergono a livello normativo come necessarie e indispensabili ai fini della proposta, da parte del distributore, di un contratto assicurativo “coerente”. Che poi la conoscenza del profilo finanziario del cliente, nelle fasi successive dirette alla conclusione del contratto, diventi necessaria con riferimento specifico alla distribuzione di prodotti che presentano anche una componente finanziaria, ciò non toglie che il presupposto fondamentale per dar vita al rapporto contrattuale distributore-cliente attiene soltanto al profilo assicurativo di quest’ultimo. Questo significa che, per i prodotti nei quali la componente finanziaria è prevalente rispetto a quella assicurativa, come negli IBIPs di ramo III, la raccomandazione dell’intermediario di tali prodotti risulta “coerente”, e quindi legittima, solamente qualora dal demands and needs test emergano esigenze assicurative del cliente connesse a finalità di risparmio/investimento e non di protezione (copertura del rischio morte, invalidità o malattie gravi) oppure di previdenza/pensione complementare, in riferimento alle quali sarebbe invece coerente consigliare prodotti assicurativi “puri”52.
52 Sulla natura dei prodotti di investimento assicurativi è ancora acceso il dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Si segnala nella giurisprudenza di merito la prevalenza delle decisioni che attribuiscono natura finanziaria e non assicurativa alle polizze in discorso (v., tra le ultime: Trib. Treviso, 3 febbraio 2014, in Dirittobancario.it.; Trib. Rimini, 3 aprile 2015, in www.ilcaso.it; App. Milano, 11 maggio 2016, in Resp. civ. prev., 2017, p. 574; App. Bologna, 28 luglio 2016, in www. ilcaso.it; Trib. La Spezia, 7 giugno 2017, www. ilcaso.it; Trib. Taranto, 7 luglio 2018, in Leggi d’Italia; Trib. Salerno, 24 maggio 2016, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, II, 779 ss. Contra, da ultimo, Trib. Brescia, 13 giugno 2018, in Ilsocietario.it, 9 aprile 2019. In dottrina la natura assicurativa delle polizze di ramo III è sostenuta da Volpe Putzolu, Le polizze Unit linked ed Index linked (ai confini dell’assicurazione sulla vita), in Ass., 2000, I, pp. 233 ss., in part. pp. 243 ss..; Id., Le polizze linked tra norme comunitarie, in Tuf e codice civile, ivi, 2012, pp. 399 ss., in part. pp. 413 s.; Id., Le polizze, cit., pp. 213 ss.). Quanto alla giurisprudenza di legittimità si segnalano tre sentenze della Cassazione, del 2012, del 2018 e del 2019 (Cass., 18 aprile 2012, n. 6061, in Corr. giur., 2013, 767 ss., con nota di Sangiovanni, La Cassazione sull’equiparazione delle polizze unit linked a strumenti finanziari; Cass. [ord.], 30 aprile 2018, n. 10333, in Foro it., 2018, I, 3173 ss. Per un commento v. Berti De Marinis, La natura delle polizze assicurative a carattere finanziario e la tutela dell’assicurato-investitore, in Resp. civ. prev., 2018, pp. 1518 ss.; Cass., 5 marzo 2019, n. 6319. Quest’ultima sentenza è stata commentata da: Policaro, Il labile confine tra prodotti finanziari ed assicurativi, in Giur. comm.,
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Fin qui le regole di comportamento comuni alla distribuzione (con e senza consulenza) della generalità dei prodotti assicurativi e, quindi, anche dei prodotti di investimento assicurativi da parte di qualsivoglia intermediario. A queste si aggiungono regole di condotta supplementari per la distribuzione di IBIPs, che per gli intermediari soggetti a vigilanza
2018, II, pp. 1310 ss.; Guffanti, Le polizze unit linked: un contratto a causa mista, in Le Società, 2019, pp. 1397 ss.; Tarantino, Polizze unit linked: necessaria una componente assicurativa collegata alla aspettativa di vita del contraente, in Dir. e giust., 2019, 43, pp. 2 ss.; Procopio, La rilevanza della natura oggettiva delle polizze assicurative sulla vita ai fini del riconoscimento di taluni benefici fiscali ed extrafiscali, in Giur. comm., 2020, II, pp. 290 ss.; Robustella, Le polizze Unit Linked e la concreta ricorrenza del “rischio demografico”, in Riv. dir. banc., 2020, n. 2, II, pp. 17 ss.) che non sono riuscite a mettere un punto fermo alla questione. In sintesi, la Suprema Corte, ai fini del giudizio sull’eventuale violazione della normativa a tutela dell’investitore, ritiene che di là dal “nomen iuris” attribuitogli, il contratto rientra: nello schema della polizza assicurativa sulla vita, qualora il rischio avente ad oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato (c.d. rischio assicurativo) sia assunto dall’assicuratore; viceversa, in uno strumento finanziario, se il rischio di “performance” (rischio finanziario) viene per intero addossato all’assicurato. Occorre rilevare che la posizione della Cassazione si pone in aperto contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia europea (cfr. C. Giust. UE, 31maggio 2018, causa C-542/2016, in Foro it., 2018, IV, p. 381 ss.), come sottolineato dalla giurisprudenza di merito intervenuta successivamente sull’argomento (cfr. Trib. Bergamo, 21 novembre 2019, in www.ilsole24ore.com). La Corte europea, contrariamente a quanto stabilito dalla Cassazione nel 2019, ritiene che, ai fini della riconducibilità di un contratto alla nozione di contratto di assicurazione, «è sufficiente che sia previsto il pagamento di un premio da parte dell’assicurato e, in cambio di tale pagamento, la fornitura di una prestazione da parte dell’assicuratore in caso di decesso o del verificarsi di un altro evento di cui al contratto in discorso», discostandosi dunque dal criterio della ripartizione del “rischio” alla base dell’individuazione della natura del contratto. Ciò trova conferma nell’attuale formulazione dell’art. 25-ter, co. 1, t.u.f. che, da una parte, riconduce tutta la disciplina dell’intermediazione delle polizze unit linked, indipendentemente dal canale distributivo (intermediari assicurativi o intermediari bancari e finanziari), nell’ambito della disciplina e del controllo di stampo assicurativo, e, dall’altra, limita la vigilanza regolamentare della Consob alla materia degli obblighi informativi e delle regole di condotta applicabili ai soggetti dalla stessa vigilati, con conseguente esclusione degli operatori assicurativi. In linea di principio, per la dottrina i principali indici rivelatori della natura assicurativa del rapporto sono il riferimento al rischio demografico e l’entità di capitale versato garantito. Sul punto v., ex multis: Martina, I prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione e i prodotti previdenziali di terzo pilastro, in La crisi dei mercati finanziari: analisi e prospettive, a cura di Santoro, Milano, 2012, pp. 485 ss.; Capriglione, Le polizze «unit linked»: prodotti assicurativi con finalità di investimento, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, pp. 426 ss.; Corrias, La natura delle polizze linked tra previdenza, risparmio e investimento, in Ass., 2016, I, pp. 225 ss.; Nazzaro, La causa delle polizze unit e index linked, in Dir. merc. ass. fin., 2016, pp. 59 ss.; Volpe Putzolu, Le polizze linked nel diritto europeo e nel diritto italiano, in Ass., 2016, pp. 213 ss.
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Consob sono stabilite nella parte II, titolo II della delibera oggetto di attenzione53. Analizziamone il contenuto. Nella distribuzione di IBIPs accompagnata da consulenza, ricade sul distributore l’obbligo di eseguire una “valutazione di adeguatezza”, ossia di verifica della compatibilità tra le caratteristiche del prodotto e le “esigenze finanziarie” del cliente nella loro massima estensione. È in questa fase che il distributore è tenuto a effettuare ai fini della valutazione, in aggiunta a quella “assicurativa”, anche la profilatura “finanziaria” del cliente, basata sull’acquisizione di informazioni da quest’ultimo54 in merito alle sue conoscenze ed esperienze in materia di investimenti del tipo IBIP raccomandato (livello di istruzione e professione; tipologie di servizio, transazione, prodotto di investimento assicurativo o strumento finanziario con cui ha familiarità; natura, numero, valore, frequenza, e periodo di effettuazione delle transazioni in prodotti di investimento assicurativi o in strumenti finanziari), alla sua situazione finanziaria inclusa la capacità di sostenere le perdite (fonte e consistenza del reddito regolare; attività, incluse attività liquide; investimenti e beni immobili; impegni finanziari regolari), e ai suoi obiettivi di investimento inclusa la tolleranza al rischio (orizzonte temporale di conservazione dell’investimento; preferenze in materia di rischio (rischio oggettivo); profilo di rischio; finalità dell’investimento). L’adeguatezza è stimata soprattutto in funzione della capacità di rischio e della tolleranza al rischio del cliente. Nell’ipotesi di inadeguatezza oppure di mancanza o insufficienza delle informazioni fornite dal cliente, la normativa europea [art. 9, par. 5 e 6, regolamento (UE) n. 2017/2359, espressamente richiamato nella delibera] sancisce l’obbligo dell’intermediario di astenersi dal fornire consulenza, quindi dal proporre il prodotto (c.d. “efficacia bloccante” dell’adeguatezza). In linea generale, l’intermediario non è tenuto a verificare la veridicità e la completezza delle informazioni fornite dal cliente, a meno che tali informazioni non siano palesemente inesatte, incomplete o superate, nel qual caso il distributore/consulente ha il dovere di chiedere l’integrazione o la sostituzione delle informazioni in suo possesso (art. 54 del
53 Per la distribuzione di IBIPs ad opera di intermediari di natura assicurativa regole di condotta supplementari sono previste nella normativa assicurativa ex art. 121-septies e regolamento IVASS n. 40/2018 54 Il contenuto informativo attinente ai parametri di identificazione del profilo di rischio dell’investitore è specificato nella normativa europea di diretta applicazione (regolamento (UE) n. 2017/2359).
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regolamento europeo n. 2017/565, richiamato nella disciplina Consob di nostro interesse). L’obbligo di integrazione e aggiornamento del profilo del cliente è espressamente imposto all’intermediario nell’ambito di rapporti contrattuali con la clientela di tipo continuativo (per esempio la prestazione di un servizio continuativo di consulenza in materia di investimenti), ai fini della valutazione della permanenza nel tempo dell’adeguatezza. A tale scopo, la normativa richiede l’adozione di politiche e procedure adeguate e dimostrabili che stabiliscano la frequenza e il contenuto degli aggiornamenti. La fase della valutazione di adeguatezza si chiude con l’obbligo per il distributore/consulente di fornire al cliente, su supporto durevole, prima dell’operazione o immediatamente dopo a certe condizioni (i.e. l’operazione sia eseguita attraverso l’utilizzo di un mezzo di comunicazione a distanza che ritardi la consegna della dichiarazione, ci sia il consenso del cliente al ritardo nella comunicazione, il distributore abbia dato al cliente la possibilità di differire la transazione a un momento successivo alla consegna della dichiarazione), una dichiarazione di adeguatezza, che specifichi la consulenza prestata e le ragioni per cui la raccomandazione corrisponda alle preferenze, agli obiettivi e alle altre caratteristiche del cliente. Infine, una volta conclusa l’operazione con la sottoscrizione del contratto assicurativo, i soggetti abilitati alla distribuzione assicurativa, che, nell’ambito di un rapporto continuativo di consulenza in materia di investimenti (in IBIPs e altri strumenti finanziari) con il cliente, hanno assunto nei suoi confronti l’obbligo di compiere la valutazione periodica dell’adeguatezza dei prodotti finanziari e assicurativi di sua pertinenza, forniscono al cliente rendiconti periodici contenenti una dichiarazione aggiornata che indichi i motivi per cui il prodotto continui a corrispondere alle preferenze, agli obiettivi e alle altre caratteristiche del medesimo (rendicontazione periodica di adeguatezza). La norma implica una valutazione nel continuo dell’attualità dell’adeguatezza in considerazione dei possibili mutamenti nelle esigenze assicurative e finanziarie degli investitori e nelle caratteristiche di rischio dei prodotti. A tal fine, si impone, oltre all’obbligo di aggiornamento del profilo del cliente, altresì l’obbligo di fornire informazioni durante l’esecuzione del contratto sui prodotti di pertinenza del cliente. La normativa europea, cui si conforma la disciplina di vigilanza Consob, richiede all’intermediario di fornire al cliente una rendicontazione periodica, su supporto durevole e con cadenza almeno annuale, dei servizi forniti e delle transazioni effettuate per conto del medesimo. Il rendiconto include, ove rilevanti, le spese totali associate a questi servizi e transazioni, nonché il valore di ciascuna
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attività di investimento sottostante. L’obbligo legale di rendicontazione periodica dei prodotti di pertinenza del cliente e della permanenza nel tempo dell’adeguatezza (dei rischi associati ai prodotti al profilo di rischio dell’investitore) è chiaramente finalizzato a limitare le potenziali perdite per il cliente e, specularmente, a migliorare il rapporto fiduciario con l’intermediario. A conclusione di questa disamina, ci preme evidenziare alcuni profili della normativa che ne aumentano l’efficacia a fini di protezione dell’investitore55. Innanzitutto, nel raccomandare o offrire un determinato prodotto di investimento assicurativo, la specificazione ad opera del distributore delle motivazioni di compatibilità di tale prodotto al profilo del cliente deve essere fornita per iscritto e comunicata al cliente sia in caso di esito positivo (adeguatezza) sia in caso di esito negativo (inadeguatezza) della valutazione di conformità. Il processo valutativo deve avvenire confrontando ciascuna caratteristica (tipologia, oggetto, dimensione, frequenza, mercato di riferimento) dello specifico prodotto raccomandato o offerto con il profilo di rischio del potenziale cliente, tenuto conto dell’intero portafoglio del medesimo. Ciò implica, da una parte, che, al momento della raccomandazione o dell’offerta, l’informativa sul prodotto non può limitarsi a una descrizione generale e generica della natura e dei rischi connessi alla tipologia di asset (polizze rivalutabili, polizze unit e index linked, polizze multiramo, ecc.) cui questo appartiene, ma deve essere riferita ai rischi che caratterizzano lo specifico IBIP oggetto di consulenza e, dall’altra, che il contenuto della motivazione deve includere l’indicazione della compatibilità o meno di ogni profilo dello specifico prodotto alla competenza ed esperienza, alla situazione personale, patrimoniale e finanziaria e agli obiettivi di investimento del cliente. In secondo luogo, nell’ambito di un rapporto continuativo di consulenza in materia di investimenti, la comunicazione di tale motivazione dettagliata deve avvenire prima di ogni transazione e ad intervalli periodici oppure al verificarsi di eventi attinenti al profilo di rischio del cliente e/o a quello del prodotto che possano determinare una variazione nel precedente giudizio di adeguatezza. In aggiunta, per la comunicazione
55 Per approfondimenti sul punto, mi si consenta di rinviare a Salerno, Sul contenuto e la forma della valutazione di adeguatezza delle operazioni in strumenti finanziari e dei relativi obblighi informativi nella disciplina pre-MiFID, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, II, pp. 415 ss., in part. p. 419 ss., nota a Cass., 26 agosto 2016, n. 17353.
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preventiva e periodica delle ragioni di coerenza è obbligatorio l’utilizzo della forma scritta. Da ultimo, ai fini della conclusione del contratto, la mancanza o insufficienza di informazioni dal cliente e l’eventuale giudizio di inadeguatezza bloccano l’operazione, nel senso che impediscono di offrire consulenza (raccomandazione); cosa che non è superabile nemmeno con il consenso scritto del cliente. I tratti particolarmente garantisti per il cliente della disciplina della distribuzione assicurativa accompagnata da consulenza hanno indotto la Consob a richiedere obbligatoriamente la consulenza quando l’attività di distribuzione assicurativa abbia a oggetto IBIPs non rientranti nella categoria degli IBIPs non complessi. Invero, tale prescrizione di elevato rigore suscita non poche perplessità. Innanzitutto, la stessa, eliminando ogni possibilità di valutazione delle specificità del caso concreto e segnatamente dell’effettivo bisogno di protezione dell’investitore (connesso alla sua natura professionale), potrebbe rivelarsi, da un lato, dannosa per l’intermediario in termini di aumento dei costi di compliance e, dall’altro, superflua, se non addirittura controproducente (per esempio, rallentando i tempi dell’investimento), per il cliente. In secondo luogo, attesa la mancanza a livello normativo di una definizione univoca e generale di prodotti di investimento assicurativi complessi, l’obbligo de quo rischia di avere una portata molto estesa, con conseguente aumento degli oneri a carico degli intermediari. In aggiunta, la scelta di correlare l’applicazione di un regime più gravoso per i distributori a una nozione aleatoria potrebbe rilevarsi estremamente pericolosa in termini di potenziale eccessiva ingerenza dell’organo di vigilanza nelle decisioni aziendali dell’intermediario, rimettendo in sostanza nelle mani dell’autorità il potere di ricondurre le situazioni concrete alla fattispecie considerata dalla norma. Senza contare, infine, i dubbi di legittimità che suscita la previsione a livello regolamentare di una disposizione a carattere eccezionale rispetto al dettato comunitario in cui non si rinviene alcuna norma che imponga l’affiancamento alla clientela di un consulente per la distribuzione di prodotti complessi. Ed è forse nella consapevolezza di tali incertezze e perplessità che la Consob, nella versione definitiva del regolamento, ha accolto le richieste di alcuni partecipanti alla consultazione; richieste finalizzate, da una parte, ad ampliare il perimetro dei prodotti non complessi (rispetto ai quali non vige l’obbligo di consulenza) e, dall’altra, a valorizzare i modelli di business fondati su un rapporto intermediario-cliente di natura continuativa, atteso che la prestazione di consulenza in materia di investimenti su tutte le componenti del portafoglio dell’investitore (strumenti finanziari e IBIPs) garantisce una mag-
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giore tutela rispetto alla consulenza obbligatoria IDD, che, al contrario, si configura come una consulenza “spot”, limitata cioè alla vendita di un singolo IBIP. Sulla base di tali osservazioni, la norma finale, innanzitutto, evita, attraverso il rinvio sul punto alla regolamentazione IVASS, ogni tentativo di identificazione di criteri di individuazione dei prodotti complessi56, sul presupposto che la complessità di un IBIP è una valutazione che spetta in prima battuta e in astratto all’ideatore del prodotto (da cui i distributori ricevono la lista degli IBIPs rispetto ai quali sussiste l’obbligo di consulenza) e solo successivamente al distributore, che potrebbe ulteriormente dettagliare o inasprire la valutazione del produttore in considerazione delle caratteristiche reali della clientela. In secondo luogo, si stabilisce che, nell’ipotesi in cui la prestazione di una consulenza (spot) su IBIPs si inserisca nell’ambito di un più ampio e continuativo rapporto di consulenza in materia di investimenti caratterizzato da una valutazione periodica dell’adeguatezza, non trovi applicazione l’art. 121-septies, co. 2, del c.a.p., secondo cui la consulenza obbligatoria non deve gravare economicamente sul cliente, consentendo di converso agli intermediari di ricevere pagamenti diretti dai clienti sotto forma di commissioni esplicite come remunerazione dell’attività prestata57. E veniamo alla distribuzione di IBIPs svolta senza consulenza. In questo caso il legislatore prevede il regime più attenuato dell’appropriatezza, imponendo al distributore una valutazione di compatibilità tra prodotto e cliente basata su una conoscenza di quest’ultimo ridotta, giacché limitata alle informazioni inerenti alle sue conoscenze ed esperienze in campo finanziario. Pertanto, il giudizio di appropriatezza non insiste sulla valutazione della capacità finanziaria del cliente né dei suoi obiettivi di investimento. Regole meno stringenti rispetto a quelle in materia di
56 Ai sensi della normativa comunitaria (art. 16, regolamento (UE) n. 2017/2359, che veniva espressamente richiamato nel documento di consultazione al fine di perimetrare l’ambito applicativo della consulenza obbligatoria, un prodotto di investimento assicurativo è considerato non complesso se soddisfa tutti i criteri che seguono: a) include un valore di scadenza minimo garantito per contratto, corrispondente almeno all’importo versato dal cliente al netto dei costi; b) non presenta alcuna clausola, condizione o motivo scatenante che consenta all’impresa di assicurazione di alterarne materialmente natura, rischio o profilo di pay-out; c) prevede opzioni di riscattare o di realizzo a valori prestabiliti; d) non include alcun onere esplicito o implicito avente l’effetto che il riscatto o qualsiasi altra forma di realizzo, per quanto tecnicamente possibile, possa provocare uno svantaggio irragionevole al cliente; e) non presenti una struttura che renda difficoltoso per il cliente capire il rischio assunto. 57 V. relazione illustrativa alla delibera, pp. 8 e 52 ss.
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adeguatezza sono previste anche nell’ipotesi di esito negativo della valutazione: nel caso in cui il prodotto sia giudicato non appropriato oppure nell’ipotesi di insufficienza o mancanza delle informazioni dal cliente, sussiste l’obbligo per l’intermediario di comunicare al cliente, attraverso una dichiarazione58, la non appropriatezza o l’impossibilità di procedere con la valutazione; il cliente potrà decidere di dare ugualmente esecuzione all’operazione, cioè di sottoscrivere il contratto assicurativo (c.d. “consenso informato specifico” del cliente). Infine, qualora l’impresa proponga un pacchetto di prodotti o servizi (cross selling) comprendente IBIPs, la valutazione di adeguatezza/ appropriatezza deve essere eseguita con riferimento all’intero pacchetto. In tale ipotesi, si aggiunge l’obbligo per il distributore di informare il cliente dell’eventuale possibilità di acquistare le varie componenti separatamente, dei costi e oneri di ciascuna componente, del modo in cui l’interazione tra le diverse componenti modifichi i rischi associati a ciascuna di esse separatamente. Al riguardo, l’ESMA - European Securities and Markets Authority, in collaborazione con l’EBA - European Banking Authority e l’EIOPA - European Insurance and Occupational Pensions Authority, ha pubblicato nel 2015 gli orientamenti per la valutazione e la vigilanza delle pratiche di vendita abbinata (Guidelines on cross-selling practices) alle quali nel 2016 si è conformata la Consob, attuandole a livello nazionale attraverso l’incorporazione nelle proprie prassi di vigilanza59. In estrema sintesi, il fondamentale strumento a cui si affida il regolatore europeo per ridurre i pericoli per il cliente connessi alle pratiche di vendita abbinata è quello della trasparenza, in termini di potenziamento delle informazioni da parte dell’intermediario su prezzi, costi e rischi associati a tali modalità di vendita.
58 Anche in questa disposizione, l’obbligo di sottoscrizione da entrambe le parti viene eliminato nella versione definitiva del regolamento in quanto fonte di un aggravio operativo non bilanciato da benefici particolarmente apprezzabili (v. relazione illustrativa, p. 51). 59 Le Guidelines dell’ESMA (in tutto dieci) sono finalizzate a: a) migliorare il contenuto di informativa sui prezzi, costi e le altre informazioni fornite nel caso di vendita abbinata; b) assicurare la tempestiva comunicazione delle informazioni rilevanti; c) migliorare la comprensione del cliente; d) affrontare gli aspetti di formazione e di remunerazione del personale; e) chiarire l’applicazione di qualsiasi diritto di recesso post vendita collegato all’acquisto di uno dei prodotti.
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4. La disciplina degli incentivi. Nell’ambito della disciplina degli incentivi acquistano rilievo le diverse modalità operative in cui l’attività di consulenza può articolarsi. Di esse il legislatore europeo ha preso atto mosso dall’esigenza di regolare situazioni affatto diversificate nei rapporti tra intermediari e clienti, che impongono la predisposizione di strumenti di tutela differenziati, più o meno stringenti, in funzione del diverso grado di fiducia e del diverso bisogno di protezione della clientela. Dalla tipizzazione “commerciale” si passa alla tipizzazione normativa di specifiche modalità di svolgimento della consulenza allo scopo di favorire la transizione da un modello di consulenza “orientato al prodotto”, caratterizzato da una serie di criticità (forzatura nella profilatura del rischio del cliente, inefficienze nella effettiva rappresentazione del profilo di rischio del cliente, inefficienze nella distribuzione dei prodotti finanziari, scarsa personalizzazione della raccomandazione, inefficienze nel monitoraggio del cliente e dell’adeguatezza, insufficiente informativa (reportistica standard), basso livello di professionalità del consulente, scarsa trasparenza dei costi legati alla consulenza) a un modello di consulenza “orientato al cliente”, in vista di una più ampia ed efficace tutela dell’investitore in strumenti finanziari60. Partendo da una nozione di consulenza unitaria mutuata dalle direttive e precedentemente analizzata61, la legislazione nazionale contenuta nel t.u.f. e nel c.a.p. recepisce e disciplina, conformemente alla normativa europea di stampo finanziario (MiFID II e regolamento (UE) n. 2017/565) e assicurativo (IDD e regolamento (UE) n. 2017/2359), le diverse configurazioni operative in cui la stessa può strutturarsi; configurazioni operative che sono prese in considerazione dalla Consob nella disciplina dedicata agli incentivi di cui alla delibera oggetto della nostra attenzione. Chiaramente la regolamentazione per l’area finanziaria che il provvedimento Consob richiama deve essere adeguata, sotto il profilo terminologico, alla materia assicurativa. La normativa comunitaria per la prestazione di servizi di investimento, recepita a livello primario nel t.u.f. (art. 24-bis) e a livello secondario nel regolamento intermediari (art. 54), contempla tre tipi di consulenza in materia di investimenti: il servizio di consulenza “su base indipendente”, il servizio di consulenza “su base non indipendente” e il servizio
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Cfr. Salerno, La disciplina, cit., pp. 448 s. V. paragrafo 3.2.
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di consulenza “ibrida” (indipendente e non indipendente insieme). In realtà, la MiFID II individua esclusivamente i tratti caratterizzanti la consulenza su base indipendente, dettando le regole di comportamento e gli obblighi informativi che ricadono sul soggetto che la fornisce, mentre è dal regolamento europeo n. 2017/565 che emerge il riferimento alle altre due modalità di prestazione del servizio, i cui elementi qualificati si ricavano per sottrazione dalla definizione del servizio di consulenza su base indipendente62. Le condizioni richieste dall’art. 24-bis, co. 2, del t.u.f. (espressamente richiamato nella delibera Consob) per la prestazione del servizio di consulenza “su base indipendente” sono: – l’obbligo da parte dell’intermediario di valutare una congrua gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato, sufficientemente diversificati per tipologia ed emittenti o fornitori (requisito dell’imparzialità dell’intermediario rispetto al prodotto), e non limitati agli strumenti emessi o forniti dall’intermediario medesimo ovvero da entità che con esso hanno stretti legami o rapporti legali o economici tali da compromettere l’indipendenza del servizio prestato (requisito dell’indipendenza dell’intermediario rispetto al prodotto); – il divieto per l’intermediario di accettare o trattenere onorari, commissioni o altri benefici monetari o non monetari (inducements) pagati o forniti da terzi rispetto alla prestazione del servizio (quindi, obbligo di remunerazione del servizio fee only a carico del cliente), ad eccezione di benefici non monetari di entità minima purché 1) diretti al miglioramento della qualità del servizio offerto ai clienti, 2) per la loro portata e natura, non pregiudichino il rispetto del dovere di agire nel migliore interesse dei clienti e 3) siano chiaramente comunicati ai clienti63. Di particolare importanza per l’erogazione di consulenza su base indipendente è l’obbligo per l’intermediario di definire e adottare un processo di selezione del prodotto allo scopo di valutare e confrontare una congrua gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato. La procedura di selezione è regolata analiticamente al fine di garantire l’effettiva imparzialità e indipendenza nella scelta del prodotto da offrire
62 Sull’argomento mi si consenta di rinviare, anche per la bibliografia ivi riportata, a Salerno, La disciplina, cit., pp. 448 ss. 63 Le suddette previsioni sono integrate da quelle recate dal regolamento (UE) n. 2017/565 (art. 52).
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o raccomandare64. Qualora tra prodotti non sia possibile il confronto, l’intermediario che fornisce consulenza non si presenta come consulente indipendente. L’intermediario può offrire contemporaneamente consulenza “su base indipendente” e “su base non indipendente” purché, oltre a doveri di informativa, rispetti regole di tipo organizzativo finalizzate ad assicurare che i due tipi di consulenza e di consulenti siano chiaramente distinti l’uno dall’altro, di modo che i clienti non rischino di incorrere in confusione circa il tipo di consulenza che ricevono e ottengano il tipo di consulenza adeguato al proprio profilo. Venendo alla normativa di stampo assicurativo solamente il più recente provvedimento IVASS n. 97/2020 fa riferimento al concetto di consulenza su base indipendente disciplinandone la percepibilità degli incentivi. La IDD (art. 20) e sulla sua scorta il c.a.p. (art. 119-ter) e l’IVASS (art. 59, regolamento n. 40/2018) fanno riferimento a un’unica modalità articolazione della consulenza, ossia quella “fondata su analisi imparziale e personale” (cioè «fondata sull’analisi di un numero sufficiente di contratti di assicurazione disponibili sul mercato, che [...] consenta di formulare una raccomandazione personalizzata, secondo criteri professionali, in merito al contratto assicurativo adeguato a soddisfare le esigenze del contraente») che, come già detto, la Consob, nella delibera oggetto di indagine, ricomprende nella nozione di consulenza tout court (di cui all’art. 1, co. 1, lett. m-ter, c.a.p.), in ragione della presenza dei due elementi caratterizzanti quest’ultima nozione: quello della “imparzialità” (nel senso di formulazione della raccomandazione sempre e solo nell’interesse del cliente) e quello della “personalizzazione”. In tal modo, la nozione generale di consulenza viene a configurarsi come consulenza “non indipendente”, in quanto mancate del connotato della “indipendenza” nei termini precedentemente indicati (v. relazione illustrativa, p. 21 ss.). In altre parole, la delibera Consob riduce le tre forme di consulenza originariamente previste nel documento di consultazione del 23 settembre 2019 (“base” o “non indipendente”, “fondata su un’analisi imparziale e personale”, “su base indipendente”) a due, quella “base” o “non indipendente” (ossia quella generale che comprende quella “fondata su un’analisi imparziale e impersonale”) e quella “su base indipendente”, in
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Il processo di selezione è disciplinato dall’art. 53 del regolamento (UE) n. 2017/565.
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relazione alle quali articola la nuova disciplina degli incentivi applicabile alla distribuzione di IBIPs da parte dei soggetti abilitati. Anche per la normativa in questione l’autorità di vigilanza per il settore mobiliare si avvale della facoltà di gold plating consentita dal carattere di armonizzazione minima della normativa europea di stampo assicurativo. D’altro canto, la stessa regolamentazione assicurativa si è mossa nella medesima direzione nel recepire la disciplina europea degli incentivi in materia di distribuzione assicurativa e riassicurativa all’interno del c.a.p. (art. 121-sexies) e del rinnovato regolamento IVASS n. 40/2018. In sostanza la regolamentazione Consob ricalca quanto sul tema stabilito nella normativa di derivazione MiFID II per la prestazione dei servizi di investimento di cui al regolamento intermediari (parte II, titolo V). L’impostazione tradizionale della regolamentazione finanziaria ricomprendeva la materia degli incentivi (“inducements”) nell’ambito della disciplina del conflitto di interessi, in quanto la loro percezione può ben dar vita a situazioni generatrici di conflitti di interesse tra intermediari e clienti. È a partire dall’emanazione della MiFID che il legislatore ha ritenuto opportuno disciplinare la materia in modo autonomo, dettando regole di comportamento e di trasparenza che l’intermediario deve rispettare nella ricezione e nel pagamento di incentivi, indipendentemente dalla sussistenza di un conflitto in senso tecnico65. Le nuove regole costituiscono dunque un’ulteriore specificazione dei canoni generali di onestà, equità, professionalità, correttezza e trasparenza a cui deve essere improntata la condotta del distributore nel perseguimento del miglior interesse del cliente. In tale ottica si pone anche il nuovo regime che incide sui meccanismi di remunerazione dell’attività di distribuzione assicurativa di IBIPs, segnatamente quella svolta mediante consulenza su base indipendente. Tale regime, in linea con l’orientamento comunitario, manifesta una forte diffidenza verso gli incentivi, per cui, in linea di principio, questi sono vietati, salvo le eccezioni normativamente previste. In aggiunta, là dove consentita, la percezione di incentivi monetari e non monetari è sottoposta a stringenti obblighi di trasparenza che dovrebbero contribuire a rendere esplicito ai clienti il costo effettivamente pagato per l’attività ricevuta. Di tali costi sia cliente sia il distributore devono necessariamente tener conto nella scelta tra modalità indipendente e non indipendente della consulenza.
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Cfr. Annunziata, La disciplina, cit., p. 154.
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Vediamo in dettaglio la nuova disciplina. Con riferimento all’attività di distribuzione di IBIPs tout court o mediante consulenza senza alcuna specificazione, ai soggetti abilitati è vietato pagare o percepire compensi o commissioni oppure benefici non monetari a o da qualsiasi soggetto diverso dal cliente o da una persona che agisca per conto di questi, salvo il verificarsi di due condizioni di ammissibilità. La prima, a valenza positiva, è rappresentata dallo scopo di accrescimento della qualità dell’attività attribuibile ai pagamenti e benefici (nella IDD tale condizione è prevista in negativo, cioè in termini di assenza di ripercussioni negative sulla qualità dell’attività; è quindi meno stringente). La seconda, a valenza negativa, è costituita dall’assenza di ripercussioni negative sul dovere di agire in modo equo, onesto e professionale nel migliore interesse del cliente. Alle due condizioni di ammissibilità si aggiunge un obbligo di disclosure nei confronti del cliente, imponendosi al distributore la comunicazione chiara, completa, accurata e comprensibile, prima dello svolgimento dell’attività, dell’esistenza, della natura e dell’importo degli incentivi percepiti o pagati o, qualora l’importo non possa essere accertato, del metodo di calcolo di tale importo. Si comunicano, inoltre i meccanismi di trasferimento degli incentivi al cliente, qualora il trasferimento sia previsto. Infine, i pagamenti o benefici che consentono o sono necessari allo svolgimento dell’attività – come ad esempio i costi di custodia, le competenze di regolamento e cambio, i prelievi obbligatori o le competenze legali – e che, per loro natura, non possono entrare in conflitto con il dovere del distributore di servire al meglio gli interessi dei suoi clienti, non sono soggetti agli obblighi in materia di incentivi. È opportuno sottolineare che la legittimità degli incentivi riguarda sia incentivi ricevuti sia quelli corrisposti. Inoltre, le tre condizioni di ammissibilità degli incentivi (accrescimento della qualità del servizio, assenza di pregiudizi all’obbligo di servire al meglio gli interessi dei clienti, disclosure nei riguardi del cliente) devono verificarsi contestualmente e non in alternativa66. Queste regole generali sugli incentivi diventano ancora più stringenti in situazioni di potenziale conflitto di interessi tra intermediario e cliente. Più precisamente, nello svolgimento dell’attività di distribuzione assicu-
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La disciplina regolamentare in esame specifica il contenuto delle condizioni di ammissibilità degli incentivi attraverso il rinvio all’art. 53 del regolamento intermediari.
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rativa mediante consulenza “su base indipendente”, la percezione degli incentivi è vietata del tutto, ad eccezione degli incentivi non monetari e di modesta entità (ad esempio: pubblicazioni; eventi formativi, ecc.) nel rispetto delle tre condizioni di ammissibilità previste in via generale. In aggiunta, con riferimento alla ricezione di incentivi di natura monetaria, sussiste l’obbligo per il distributore di trasferire integramente al cliente, non appena ragionevolmente possibile, l’ammontare delle somme ricevute a titolo di incentivo. Tale trasferimento si realizza sulla base di specifiche policy, che ne stabiliscono modi e tempi, ed è comunicato al cliente attraverso modalità adeguate. La normativa individua nella ragionevolezza e nella proporzionalità i requisiti generali di ammissibilità dei benefici non monetari, a cui si aggiunge un elenco chiuso di elementi che, al ricorrere degli altri presupposti, possono costituire benefici non monetari di minore entità ammissibili. Trattasi di: informazioni e documentazione concernente IBIPs o l’attività di distribuzione; materiale scritto da terzi, pagato e commissionato da un emittente per promuovere una nuova emissione o per produrre materiale in via continuativa; partecipazione a convegni, seminari o altri eventi formativi sul prodotto, ospitalità di un valore minimo ragionevole. Per tali incentivi si prevede un obbligo di informativa al cliente prima dello svolgimento dell’attività o della consulenza su base indipendente. Da ultimo, la disciplina regolamentare detta presupposti rigorosi per l’esclusione dalla categoria degli incentivi e, quindi, per la legittima ricevibilità della fornitura da parte di terzi di ricerca in materia di investimenti in IBIPs. In particolare, la ricerca non si qualifica come incentivo (e, come tale, è ammissibile) qualora i soggetti abilitati alla distribuzione assicurativa che ne usufruiscano provvedano a pagare tale prestazione ai terzi fornitori direttamente e a proprio carico, o imputando il costo della ricerca a un “conto di pagamento” aperto ad hoc e finanziato da uno specifico onere per la ricerca a carico dei clienti. In tale ultima ipotesi, la disciplina dettaglia i criteri che il menzionato conto deve soddisfare, tra cui rilevano la preventiva definizione di un budget per le spese di ricerca e l’accordo con il cliente sull’importo della “commissione di ricerca” e sulla frequenza con cui questa sarà addebitata.
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5. La product governance: obblighi per i distributori di prodotti di investimento assicurativi. Al fine di contestualizzare l’analisi degli obblighi dei distributori connessi alla disciplina del governo del prodotto contenuti nel provvedimento Consob, occorre richiamare brevemente la normativa assicurativa in materia di controllo e governo del prodotto di matrice europea (art. 25, IDD e regolamento (UE) n. 2017/2358) recepita nel c.a.p. (art. 30-decies) e, a livello secondario, nel regolamento IVASS n. 45 del 4 agosto 2020 (pubblicato in G.U., 12 agosto 2020, n. 201), c.d. regolamento POG (Product Oversight and Governance), che entrerà in vigore il 31 marzo 2021. In passato le regole a tutela dell’investitore finanziario si concentravano sulla fase di distribuzione del prodotto, prevedendo obblighi comportamentali e informativi per il soggetto a diretto contatto con gli investitori. Gli eventi scaturiti dalla crisi finanziaria hanno messo in luce l’insufficienza delle disposizioni attinenti esclusivamente al processo di “vendita” dei prodotti; a queste, pertanto, il legislatore europeo ha aggiunto, dapprima nel settore finanziario e successivamente in ambito assicurativo, una normativa specifica inerente al processo di creazione ed elaborazione del prodotto. In definitiva, al fine di ridurre il rischio che, anche solo potenzialmente, prodotti e servizi non adeguati siano destinati a certe fasce di clientela, la disciplina in materia di product governance interviene sulle tre fasi che caratterizzano il ciclo di vita (product lifecycle) di un prodotto (finanziario e/o assicurativo): quella di concepimento e realizzazione, quella di commercializzazione e distribuzione e quella post distribuzione. Con riferimento all’area assicurativa, vediamo brevemente cosa prescrive la normativa contenuta nel c.a.p. e nel regolamento POG di IVASS per gli ideatori dei prodotti assicurativi, segnatamente di IBIP67. La deli-
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Per un esame di tale disciplina, v.: Lolli, Monacelli, Le disposizioni in materia di “governo del prodotto” nell’ambito della nuova disciplina sulla distribuzione assicurativa, in Dirittobancario.it, aprile 2018; Sinasi D’Arpe, Riflessioni sul governo e controllo del prodotto nel mercato assicurativo, in Dir. merc. ass. fin., 2018, n. 3, pp. 59 ss.; Landini, Le ‘Preparatory Guidelines’ di EIOPA in relazione agli obblighi in materia di governo e controllo del prodotto da parte delle imprese di assicurazione e dei distributori di prodotti assicurativi, in Dir. merc. ass. fin., 2016, n. 1, pp. 411 ss.; Id., Appropriatezza, adeguatezza e meritevolezza dei contratti di assicurazione, in Ass., 2017, I, pp. 39 ss.
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bera Consob, come già detto, si limita a disciplinare le regole in materia di governo del prodotto solo con riguardo ai distributori di IBIPs sottoposti alla sua vigilanza. La normativa in tema di governo del prodotto che incide sulla fase genetica è finalizzata a garantire “in anticipo” e “in astratto” la coerenza tra le caratteristiche del prodotto realizzato e le esigenze di un determinato target di clientela. Si impone, infatti, alle imprese di assicurazione (product manufactures) l’innovativo compito di adottare, esercitare e controllare, prima della distribuzione o commercializzazione, per ogni prodotto assicurativo (o significativa modifica di quelli esistenti) un “processo di approvazione del prodotto” (product approval process) che ne individui: in positivo, il “mercato di riferimento” inteso come un gruppo di clienti che condividono caratteristiche comuni a un livello astratto e generalizzato, alle cui esigenze, caratteristiche e obiettivi il produttore deve adeguare le caratteristiche del prodotto da realizzare (c.d. target di riferimento positivo); in negativo, le categorie di clienti alle quali il prodotto non può essere distribuito, in quanto aventi esigenze, caratteristiche e obiettivi non compatibili generalmente con il prodotto assicurativo (c.d. target di riferimento negativo). Il grado di dettaglio degli obiettivi di investimento, segnatamente della tolleranza al rischio, della situazione finanziaria, in particolare della capacità di sopportare le perdite, e delle esperienze e conoscenze della clientela “virtuale” che va a costituire il mercato di riferimento aumenta in funzione della complessità del prodotto da realizzare. A tal fine, il processo di approvazione del prodotto garantisce che tutti i rischi rilevanti associati al mercato di riferimento siano stati analizzati e che la prevista strategia distributiva68 sia coerente con il mercato di riferimento individuato. Inoltre, sulle fabbriche di prodotto ricade l’obbligo di assumere tutte le misure necessarie affinché il prodotto ideato sia distribuito al target identificato e di trasmettere ai distributori di prodotti assicurativi tutte le informazioni rilevanti sul prodotto assicurativo e sul processo di approvazione del prodotto, compreso il mercato di riferimento individuato. Le regole inerenti alla seconda fase (distribuzione) sono dirette ad assicurare che il prodotto sia “concretamente” distribuito al target di mercato individuato in seguito alla verifica ex ante, vale a dire prima
68 Intesa come individuazione del/i canale/i di offerta del prodotto tra i seguenti quattro: i) execution only; ii) servizi esecutivi in appropriatezza; iii) consulenza in materia di investimenti; iv) gestione di portafogli.
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della conclusione del contratto, dell’effettiva compatibilità del prodotto con le caratteristiche e esigenze dello specifico cliente (suitability rule). Tale finalità è perseguita attraverso la previsione di obblighi a carico dei distributori, su cui tra breve ci soffermeremo. Infine, nella fase post distribuzione, la disciplina è volta a garantire la verifica regolare della coerenza nel tempo tra caratteristiche dello specifico prodotto ed esigenze del target di clientela a cui esso è destinato nonché il permanere dell’idoneità della prevista strategia distributiva, attraverso l’imposizione ai distributori dell’obbligo di riesaminare regolarmente i prodotti offerti o commercializzati, tenendo conto di qualsiasi evento che possa incidere sui rischi potenziali per il mercato di riferimento originario. Sulla base di questa premessa, necessaria ai fini dell’inquadramento sistematico degli obblighi in materia di governo e controllo degli IBIPs che ricadono sui distributori disciplinati dal t.u.f., passiamo all’analisi delle relative norme contenute nel provvedimento Consob69. Sul punto la normativa ricalca quella di stampo assicurativo inclusa nel c.a.p. e nel regolamento POG per i distributori assicurativi in generale. In aggiunta, essa rinvia alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2017/2358 direttamente applicabile. Sui distributori di IBIPs disciplinati dalla Consob ricadono i seguenti obblighi generali: – conoscere i prodotti di investimento assicurativi distribuiti; – valutarne la compatibilità con le esigenze della clientela; – distribuirli nel mercato di riferimento individuato dal produttore; – fare in modo che la distribuzione avvenga solo quando ciò sia nell’interesse del cliente; – riesaminare regolarmente gli IBIPs distribuiti, tenendo conto di: a) qualsiasi evento che possa incidere significativamente sui rischi potenziali per il mercato di riferimento, al fine quantomeno di valutare se il prodotto di investimento assicurativo resti coerente con le esigenze di tale mercato e se la prevista strategia distributiva continui a essere
69 Nella versione finale del regolamento, la Consob ha ritenuto opportuno precisare che gli obblighi di product governance che ricadono sui soggetti abilitati alla distribuzione assicurativa trovano applicazione anche nelle ipotesi di distribuzione di IBIPs realizzati da imprese di assicurazione con sede legale in un altro Stato membro. Tale previsione è finalizzata ad assicurare un adeguato livello di tutela dei clienti italiani indipendentemente dalla nazionalità dei prodotti collocati.
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appropriata, nonché b) l’eventuale revisione del prodotto effettuata dal produttore; – adottare opportune misure per ottenere le informazioni sul prodotto di investimento assicurativo e sul suo processo di approvazione, compreso il relativo mercato di riferimento individuato dal produttore, per comprendere le caratteristiche e il mercato di riferimento identificato per ciascun prodotto. Questi obblighi generali sono poi dettagliati all’interno di tre ambiti in cui può essere ripartita la normativa sul governo del prodotto che ricade sui distributori: quello della disciplina dei flussi informativi tra le imprese di assicurazione produttrici e i distributori, quello della disciplina dei meccanismi di distribuzione degli IBIPs e quello della disciplina del ruolo degli organi sociali. Nella prima area rientrano le norme che regolano lo scambio di informazioni tra produttori e distributori prima e dopo la distribuzione del prodotto. Presupposto necessario per lo svolgimento dell’attività di distribuzione è la compiuta conoscenza delle caratteristiche dei prodotti da distribuire che solo l’impresa produttrice possiede. Il flusso informativo dal produttore al distributore in merito alle caratteristiche degli IBIPs oggetto di potenziale distribuzione si realizza ponendo in capo ai distributori l’obbligo di acquisire dai produttori le informazioni necessarie a comprendere e conoscere adeguatamente i prodotti che intendono distribuire e a definire il mercato di riferimento effettivo70, il mercato di riferimento negativo effettivo e la propria strategia di distribuzione (sul significato di tale espressioni v. infra). Un flusso informativo inverso (dal distributore al produttore) deriva dall’obbligo del distributore di comunicare all’impresa di assicurazione produttrice il mercato di riferimento effettivo e il target negativo effttivo per la sottoposizione di questi, prima della distribuzione del prodotto, a verifiche di coerenza da parte del produttore. Tale obbligo informativo nei confronti del produttore sussiste anche dopo la distribuzione del prodotto, nel caso in cui questa sia avvenuta, subordinatamente alla sussistenza delle condizioni poste dalla legge, al di fuori del mercato di riferimento del produttore (informativa
70 Tali informazioni sono contenute nella c.d. “scheda prodotto” che il produttore deve a consegnare al distributore. Il contenuto di tale informativa riguarda: il processo di approvazione del prodotto; il target di mercato; la strategia distributiva prevista; le principali informazioni sulle caratteristiche tecniche del prodotto (e.g. rischi, costi, costi impliciti); le circostanze che possono causare un conflitto di interesse a danno del cliente.
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su meccanismi di distribuzione71), oppure nell’ipotesi di eventuale identificazione di un nuovo mercato di riferimento effettivo dovuta a un’erronea individuazione precedente o al fatto che il prodotto non soddisfi più le condizioni del mercato di riferimento effettivo originariamente specificato (attraverso l’informativa sul prodotto di investimento assicurativo72). Da ultimo, i soggetti abilitati alla distribuzione assicurativa sono tenuti a fornire informazioni sulle vendite degli IBIPs e, se del caso, informazioni sul riesame (di coerenza) dei prodotti ai soggetti che realizzano il prodotto per supportare i controlli, il monitoraggio e il processo di revisione degli IBIPs svolti da questi ultimi. La disciplina dei meccanismi di distribuzione dei prodotti assicurativi è sostanzialmente finalizzata ad assicurare che gli IBIPs siano concretamente distribuiti ai soli clienti rientranti nel mercato di riferimento del produttore. A tal fine gli intermediari distributori sono tenuti, in primo luogo, a individuare un mercato di riferimento effettivo (c.d. target positivo effettivo) e le ulteriori categorie di clienti a cui il prodotto non può essere distribuito (c.d. target negativo effettivo). Il target positivo effettivo e il target negativo effettivo possono coincidere con quelli del produttore o rappresentare una specificazione degli obiettivi di investimento, della capacità di sopportare le perdite e della esperienza e conoscenza identificati dal produttore per la delimitazione del mercato di riferimento; specificazione che, in pratica, va a ridurre l’insieme dei potenziali destinatari del prodotto (ovvero ad aumentare l’insieme dei clienti a cui il prodotto non può essere distribuito). La strategia di distribuzione (i.e. distribuzione con o senza consulenza nelle sue diverse configurazioni) del prodotto deve essere coerente con il mercato di riferimento effettivo. Una volta definiti i due target e comunicati al produttore, ricade sul distributore, da una parte, l’obbligo di indirizzare la distribuzione al target positivo effettivo o identificato dal produttore
71 Il contenuto dell’informativa al produttore sui meccanismi di distribuzione concerne: il numero delle vendite fuori target; circostanze che provano che la vendita fuori target ha in ogni caso rispettato i bisogni e le esigenze assicurative dei clienti (per ogni singola vendita); il riepilogo dei reclami ricevuti con riferimento a uno specifico prodotto; gli esiti dei monitoraggi periodici effettuati rispetto alla strategia distributiva. 72 Le informazioni al produttore sul prodotto di investimento assicurativo riguardano. le circostanze che hanno indotto il soggetto abilitato alla distribuzione assicurativa a ritenere un prodotto non più in linea con gli interessi, gli obiettivi e le caratteristiche del mercato di riferimento del produttore; altre circostanze legate al prodotto di Investimento assicurativo che possano arrecare danno al cliente.
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e, dall’altra, il divieto di distribuire IBIPs ai clienti che si inquadrano nel mercato di riferimento negativo dai medesimi individuato o nel target market negativo del produttore. Mentre il divieto è assoluto, si riconosce al distributore la possibilità di distribuire IBIPs a clienti che non appartengono al mercato di riferimento effettivo dal medesimo specificato o al mercato di riferimento individuato dal produttore a due condizioni: 1) tali prodotti corrispondano alle richieste e alle esigenze assicurative di quei clienti (verifica di coerenza); 2) tali prodotti siano adeguati o appropriati per quei clienti (verifica di adeguatezza/appropriatezza)73. La strategia distributiva adottata è riportata in un documento scritto che è messo a disposizione del personale addetto. Qualunque strategia di distribuzione specifica, definita o applicata dai distributori, è, in ogni caso, conforme alla strategia di distribuzione e al mercato di riferimento del soggetto che realizza prodotti assicurativi. Essa deve essere riesaminata e aggiornata onde assicurarne la coerenza nel tempo con il mercato di riferimento effettivo o definito dal produttore. Allo stesso scopo, i distributori sono tenuti a riesaminare regolarmente i prodotti di investimento, tenendo conto di qualsiasi evento che possa incidere sui rischi potenziali per il mercato di riferimento, al fine di verificare il permanere della loro coerenza con le caratteristiche del mercato di riferimento e, di conseguenza, dell’adeguatezza della strategia di distribuzione prevista74. Veniamo, infine, alle regole applicabili ai distributori nell’ambito della disciplina riguardante compiti e responsabilità degli organi sociali in materia di governo e controllo degli IBIPS75. Le norme di vigilanza incidono
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Più precisamente, la normativa richiede sempre una valutazione di adeguatezza qualora si tratti di distribuzione di IBIPs complessi. Per la distribuzione di IBIPs non complessi, si richiede in una valutazione di adeguatezza oppure di appropriatezza a seconda, rispettivamente, della presenza o assenza di consulenza. 74 Per i criteri di individuazione del mercato di riferimento da parte del produttore e del distributore si fa riferimento al documento ESMA (35-43-620), Guidelines on MiFID II product governance requirements, 5 febbraio 2018, disponibile al link https://www.esma. europa.eu/document/guidelines-mifid-ii-product-governance-requirements. 75 In seguito alle osservazioni pervenute in sede di consultazione in merito al riparto di competenze tra autorità dello Stato membro di origine e autorità dello Stato membro ospitante (v. relazione illustrativa, pp. 13 s.), la normativa in esame specifica che le disposizioni di natura organizzativa non si applicano ai soggetti operanti in Italia in libera prestazione di servizi. Conseguentemente, tali operatori, nella definizione dei propri presidi organizzativi, sono tenuti a rispettare criteri e principi previsti nello Stato membro di origine, a cui compete anche la relativa attività di vigilanza. Resta fermo, per i
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sull’organizzazione interna dei soggetti abilitati alla distribuzione assicurativa attraverso la definizione del ruolo della funzione di supervisione strategica e della funzione di controllo di conformità nella definizione delle misure e delle procedure per la distribuzione degli IBIPs. Nello specifico, la funzione di supervisione strategica ha la responsabilità ultima dell’osservanza delle norme sui meccanismi di distribuzione e sull’individuazione del mercato di riferimento effettivo e approva il documento scritto sui meccanismi di distribuzione. La funzione di controllo di conformità alle norme è investita del compito di monitorare lo sviluppo e la revisione periodica delle procedure e delle misure adottate per la distribuzione degli IBIPs, nonché dell’obbligo di redigere una relazione annuale sulle verifiche effettuate in ordine alla corretta definizione dei meccanismi di distribuzione, del mercato di riferimento effettivo e della strategia di distribuzione. Tale relazione è messa a disposizione della Consob su richiesta di quest’ultima. Inoltre, i soggetti abilitati devono garantire che il personale sia in possesso delle conoscenze e competenze necessarie per comprendere le caratteristiche e i rischi dei prodotti assicurativi che intendono distribuire, nonché le esigenze, le caratteristiche e gli obiettivi del mercato di riferimento. I criteri di formazione, aggiornamento e verifica dei requisiti di conoscenza e competenza del personale sono dettati dalla Consob nel documento esaminato. La norma finale della parte della disciplina degli obblighi dei distributori di IBIPs in materia di product governance è dedicata al principio di proporzionalità, in base al quale gli obblighi previsti si applicano in modo appropriato e proporzionato alla natura del prodotto e al correlato mercato di riferimento. La regolamentazione appena esaminata è direttamente funzionale all’adempimento dell’obbligo generale dei soggetti abilitati alla distribuzione assicurativa di rispettare le istruzioni impartite dalle imprese di assicurazione per le quali operano. In particolare, i distributori sono tenuti trasmettere all’impresa di assicurazione tutte le informazioni necessarie per redigere il “Documento unico di rendicontazione annuale” completo anche di tutti i costi e oneri connessi all’attività di distribuzione, previ-
medesimi soggetti, l’obbligo di rispettare le norme regolanti l’accesso al mercato italiano e le prescrizioni dettate dal presente regolamento con riferimento alle altre disposizioni contenute nel Libro IX.
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sto dal regolamento IVASS n. 41 nel testo recentemente modificato dal provvedimento n. 97/2020.
6. Riflessioni conclusive alla luce dell’emergenza Covid-19. A conclusione della nostra indagine non possiamo sottacere l’impatto che la crisi pandemica mondiale necessariamente avrà sulle regole a tutela del cliente previste nella MiFID II, su cui quelle in commento sono sostanzialmente modellate. Il contesto preso in considerazione da quest’ultime è inevitabilmente mutato. L’impoverimento di ampie fasce di clientela e la modifica nelle modalità di relazione tra questa e gli intermediari, così come l’effetto della crisi sull’economia e sui rischi associati ai prodotti incideranno sicuramente sulle diverse fasi contemplate nella product regulation76. Quanto allo stadio di concepimento del prodotto, (c.d. product governance), non c’è dubbio che il cambiamento degli scenari di mercato assunti a riferimento delle politiche di governo dei prodotti implicherà una verifica e un aggiornamento dei mercati di riferimento e delle strategie di distribuzione dei produttori, da questi definiti nel contesto precrisi attraverso strumenti di misurazione del rischio predisposti per la produzione di prodotti in periodi di mercato regolari (non patologici). Con riguardo alla fase distributiva, la crisi, da una parte, comporterà una modifica dei mercati effettivi specificati dai distributori e, dall’altra, richiederà una maggiore sensibilità dei consulenti nell’identificazione e valutazione dei nuovi bisogni della clientela, della sua tolleranza al rischio e soprattutto della sua capacità di sopportare perdite impreviste, onde determinarne la profilatura ai fini dell’adeguatezza e guidarne le scelte di investimento con oggettività e imparzialità. Nella mutata congiuntura il cliente potrebbe, infatti, non essere in grado di valutare in modo concreto la propria situazione né di fornire la propria collaborazione attiva nella definizione della sua profilatura, anche in ragione delle limitazioni agli spostamenti e, di conseguenza, ai contatti interpersonali intermediario-cliente imposti dalla legislazione emergenziale. Considerazioni analoghe valgono per la fase post-distributiva, là dove l’intermediario sarà chiamato, da un lato, a riprofilare la clientela (privati,
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Cfr. Annunziata, La distribuzione di prodotti di investimento e l’emergenza sanitaria. Una proposta., in Dirittobancario.it, 4 maggio 2020, passim.
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imprese di qualsiasi dimensione) per tener conto dell’impatto della crisi sulle sue prospettive reddituali e di liquidità, e, quindi, sulla sua propensione al rischio e sulla sua capacità di sopportare le perdite, e, dall’altro, a procedere a un riesame delle caratteristiche e dei rischi dei prodotti già immessi sul mercato alla luce delle mutate condizioni per verificare il permanere della coerenza degli stessi con le caratteristiche del mercato di riferimento e dell’adeguatezza della strategia di distribuzione originariamente previste dai produttori. Nella situazione di emergenza in cui ci troviamo, la soluzione ai problemi segnalati non può che tradursi nella previsione di sospensioni, deroghe e eccezioni alla normativa vigente (v. obbligo di sottoscrizione del cliente per i contratti finanziari e assicurativi77; obblighi di agire nel migliore interesse della clientela ecc.). Questo però induce a chiederci se non sia opportuno procedere a un ripensamento più profondo e a più ampio raggio dell’apparato di regole a protezione dell’investitore in strumenti finanziari che vada oltre la necessità di trovare soluzioni tempestive agli attuali problemi congiunturali. Ripensamento che si sostanzi nell’abbandono dell’attuale approccio regolativo, direi quasi “ossessivo”, basato sulla previsione di norme estremamente puntuali e dettagliate – che, tra l’altro, paradossalmente si rivelano in numerosi casi inefficaci nel loro intento di tutela dell’investitore come se non ci fossero (eccesso equivale a mancanza)78 – a favore di un modello di regolamentazione, semplificato sotto il profilo quantitativo ma qualitativamente potenziato, che proceda per principi e standards e di conseguenza sia più malleabile e adattabile (responsive) ai mutamenti delle esigenze del mercato79.
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77 V. art. 33 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (in Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 128 del 19 maggio 2020, SO n. 21/L), coordinato con la legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77 (G.U. n.180 del 18-7-2020 – Suppl. Ordinario n. 25), recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché’ di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19». 78 Cfr. con specifico riferimento agli obblighi informativi, Greco, L’onere/obbligo informativo: dalla normazione paternalistica all’information overload(ing), in Resp. civ. e prev., 2017, pp. 398 ss. 79 Cfr. Rabitti, Prodotti finanziari tra regole di condotta e di organizzazione. I limiti di MiFID II, cit., pp. 176 s.
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Abstract Il saggio si occupa della disciplina regolamentare Consob in materia di obblighi informativi e presidi comportamentali che ricadono sugli intermediari dalla stessa vigilati nella distribuzione di prodotti di investimento assicurativi. Tale disciplina, di derivazione comunitaria, si allinea tendenzialmente all’omologa normativa applicabile ai soggetti sottoposti a vigilanza IVASS, in omaggio a un approccio regolativo cross-settoriale imposto dalla progressiva attenuazione dei confini tra prodotti finanziari e tra canali di distribuzione degli stessi e, dunque, finalizzato a prevenire potenziali arbitraggi regolamentari e a garantire parità di trattamento a intermediari di diversa natura e lo stesso livello di protezione degli investitori indipendentemente dal soggetto emittente e dal canale di distribuzione del prodotto finanziario.
*** The essay deals with the Consob regulation about disclosure obligations and conduct of business rules concerning intermediaries supervised by the securities authority in the distribution of insurance-based investment products. Generally, this regulation is in compliance with the corresponding legislation regarding intermediaries subject to IVASS supervision. Therefore, such a legal framework is aligned to a cross-sectorial regulatory approach due to the progressive blurring of boundaries among financial products and channels of distribution and, consequently, devoted to preventing potential regulatory arbitrages and guaranteeing a level playing field for different kinds of intermediaries and the same degree of investors’ protection regardless of financial product manufacturer and distributor.
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Le criptovalute nell’UEM: da monete private non regolamentate a potenziale valuta Sommario: 1. Cenni sull’origine del fenomeno. – 2. Le caratteristiche generali della moneta e le peculiarità delle criptovalute. – 3. La carenza di un quadro normativo organico. – 4. L’emissione da parte della BCE. – 5. Segue: l’impatto sulla definizione e sull’attuazione della politica monetaria. – 6. Segue: e quello sui sistemi di pagamento. – 7. Conclusioni.
1. Cenni sull’origine del fenomeno. Le criptovalute sono quelle monete che, non esistendo in forma fisica, si generano e si scambiano, esclusivamente, per via telematica. La loro crescente diffusione è stata originariamente determinata, anche nell’Unione, dall’insofferenza dei loro utilizzatori verso la regolazione e il controllo del sistema economico da parte delle autorità pubbliche, sia nazionali che sovranazionali. Siffatta insofferenza trae origine dal c.d. movimento della Cryptoanarchy1. Quest’ultimo – sorto circa trent’anni fa negli Stati Uniti e sviluppatosi, successivamente, anche in Europa – aveva per obiettivo principale la realizzazione, mediante l’anonimato e la crittografia delle operazioni poste in essere, di un sistema di navigazione nella rete svincolato da qualsiasi forma di controllo pubblico e, più in generale, d’ingerenza statale2. I suoi sostenitori, infatti, ritenevano che le procedure c.d. peer to peer3 per-
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May, The Crypto Anarchist Manifesto, 1988, reperibile online. Perugini, Distributed Ledger Technologies e sistemi di Blockchain: Digital Currency, Smart Contract e altre applicazioni, Vicalvi, 2018, pp. 31 ss. 3 Con tale locuzione si indica, nelle telecomunicazioni, un modello di rete informatica privo di determinate gerarchie di sistema, suscettibile di avviare e completare una transazione. Un tipico esempio è rappresentato dalla rete per la condivisione di file (c.d. file sharing). Sul tema cfr., Peer-to-Peer Systems and Applications, a cura di Steinmetz e Wherle, Berlin-Heidelberg, 2005. 2
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mettessero – quandanche in linea potenziale – il raggiungimento di livelli di democraticizzazione dei mercati tali da mettere in discussione il monopolio pubblico sul relativo controllo4. Il sistema delle criptovalute, sostanzialmente, avrebbe annullato la necessità dell’intermediazione di soggetti terzi nelle transazioni tra privati e avrebbe ridotto l’intervento statale sul mercato della moneta oltre che sulla gestione dei sistemi digitali di pagamento5. Nel corso del tempo, la disintermediazione nella raccolta dei capitali di rischio – favorita dall’incalzare del potere della rete e dall’evoluzione della tecnologia blockchain6 – ha innescato l’auspicato processo di democraticizzazione finanziaria, caratterizzandolo per una considerevole riduzione dei costi di transazione, per l’implementazione della rapidità degli scambi e la sostanziale eliminazione della possibilità di sequestro e confisca delle criptovalute. Un’altra, fondamentale, motivazione alla base della creazione delle criptovalute, in generale, e di quella più nota – il Bitcoin – in particolare, è stata quella di ovviare a taluni meccanismi macroeconomici sottesi al controllo di moneta da parte delle Banche centrali attraverso le c.d. operazioni di mercato aperto7, che non richiedono l’esistenza di un rapporto di conversione con un metallo. Siffatte operazioni – il cui valore è, dunque, illimitato – consistono nell’acquisto o nella vendita di titoli di Stato e possono generare delle spinte, rispettivamente, inflazionistiche o deflazionistiche. La quantità di Bitcoin, invece – in considerazione del sistema con il quale è stato creato – benché assolutamente consistente, è limitata8. Proprio per questa peculiarità, esso sembra essere stato concepito recependo gli orientamenti della Scuola austriaca di economia9 e, in particolare, le teorie sulla denazionalizzazione della moneta10.
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May, The Cyphernomicon, 1994, reperibile online. D’agostino, Operazioni di emissione, cambio e trasferimento di criptovaluta: considerazioni sui profili di esercizio (abusivo) di attività finanziaria a seguito dell’emanazione del D. Lgs. 90/2017, in Riv. dir. banc., 1/2018, p. 6. 6 Trattasi, in estrema sintesi, di una tecnologia digitale basata su un registro condiviso e immutabile per riportare analiticamente delle transazioni e consolidare un rapporto di fiducia tra i suoi utenti. In tema cfr. Quiniou, Blockchain: The Advent of Disintermediation, London, 2019. 7 Infra, par. 5. 8 La quantità di Bitcoin è stata prefissata in 21 milioni di unità. 9 Sulla Scuola austriaca di economia v. Butler, Austrian Economics: A Primer, London, 2011. 10 von Hayek, The Nationalization of Money: An Analysys of the Theory and Practise of Concurrent Currencies, London, 1976. Per un approfondimento del rapporto tra l’idea 5
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Quando ancora non si ravvisava la possibilità – o, se si vuole, la necessità – che le Banche centrali emettessero criptovalute, si sosteneva che le stesse finissero, sostanzialmente, per non governarle11. Questa posizione, tuttavia, sebbene ampiamente condivisibile, anche alla luce di un successivo, discreto, attivismo di alcune di esse – che sarà successivamente richiamato12 – ci sembra, per certi versi, superata.
2. Le caratteristiche generali della moneta e le peculiarità delle criptovalute. In estrema sintesi, la moneta, a prescindere dalla sua forma, assolve a tre differenti funzioni. La prima è quella di strumento di pagamento poiché viene generalmente accettata quale mezzo di scambio nelle compravendite con un valore in cui tutta la collettività confida. La seconda è quella di unità di conto dato che misura il valore delle cose in maniera univoca e rappresenta, quindi, il parametro di riferimento per il confronto in termini omogenei di beni e servizi. La terza è quella di riserva di valore considerato che, mantenendo il suo valore nel tempo e attraverso il risparmio, può essere accumulata permettendo di conservare ricchezza. La natura della moneta, nel corso del tempo, è mutata. Originariamente, essa ha avuto la forma di “moneta merce”, ossia di un oggetto, fabbricato con un determinato materiale, che aveva un valore di mercato come, ad esempio, le monete d’oro. Successivamente, aveva la forma di “moneta rappresentativa”, costituita, cioè, da banconote che potevano essere convertite in una certa quantità di oro o argento. Attualmente, ha la forma di “moneta fiduciaria” che, diversamente da quella rappresentativa, non è convertibile e quindi non ha valore intrinseco. Quest’ultima forma ha corso legale poiché è riconosciuta come strumento di pagamento in forza di legge. Il monopolio della sua emissione è detenuto dalle Banche centrali e i suoi utilizzatori confidano che queste ultime manterranno stabile nel tempo il suo valore altrimenti essa non potreb-
hayekiana di moneta e il Bitcoin, cfr. Nisticò, Criptovalute, sovranismo e sistema monetario, in Working papers Dip. sc. soc. econ. Sapienza Università di Roma, n. 8/2019. 11 Di Vizio, Lo statuto giuridico delle valute virtuali: le discipline e i controlli. Tra oro digitale ed ircocervo indomito, Atti del Convegno annuale «Bitgeneration. Criptovalute tra tecnologia, legalità e libertà», Fondazione Cav. Lav. Carlo Pesenti e Fondazione Corriere della Sera, Milano, 2018, p. 2. 12 Infra, par. 4.
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be fungere né da strumento di pagamento, né da unità di conto e né da riserva di valore. Siffatta forma di moneta, nota col termine di valuta, garantirebbe l’universale efficacia liberatoria o solutoria di qualsiasi obbligazione pecuniaria con conseguente impossibilità, per il creditore, di rifiutarla qualora fosse offerta in pagamento per l’adempimento di un debito. La valuta sarebbe, quindi, una relativamente recente species del più ampio, e molto più antico, genus di moneta13. A questo punto, occorre domandarsi se le criptovalute posseggano le suddette caratteristiche generali della moneta. La risposta è, a nostro avviso, positiva. Infatti, considerando l’impiego che ne viene fatto, ossia quello di strumento di pagamento nonché unità di conto per beni e servizi, reali e/o virtuali, appare possibile rinvenire, in esse, le prime due tradizionali funzioni testé menzionate. Anche la terza, quella di riserva di valore, è facilmente riscontrabile ben potendosi costituire depositi di criptovalute allo scopo di tesaurizzarle14. Occorre, tuttavia, sottolineare che se l’accostamento o, se si vuole, l’identificazione, delle criptovalute – primariamente il Bitcoin – con gli strumenti di investimento abbia rappresentato la ragione fondamentale della loro diffusione, esse non sono annoverate nell’elenco tassativo degli strumenti finanziari stabilito con la Direttiva MIFID II15. Le criptovalute, però, sino a quando non vengono emesse da una Banca centrale, non sono monete aventi corso legale in forza della sovranità di uno Stato (o più Stati) e quindi sono prive del suddetto valore
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Sul tema cfr. Giuliano, L’adempimento delle obbligazioni pecuniarie nell’era digitale, Torino, 2018, pp. 152 ss. 14 A conclusioni differenti giunge la BCE, ancorché fondi il suo ragionamento su presupposti statistici ed econometrici piuttosto che giuridici. Essa, benché ammetta che le criptovalute adempiono alle tre funzioni tradizionali della moneta, sostiene che: i) quella di mezzo di scambio è limitata perché hanno un livello molto basso di accettazione tra gli individui e le imprese; ii) l’elevata volatilità dei tassi di cambio, comunque, permette loro di fungere da riserva di valore, sia nel breve che nel lungo termine; iii) la conseguente debolezza del loro potere d’acquisto, tuttavia, le rende inadatte come unità di conto. Cfr. Banca Centrale Europea, Virtual currency schemes – a further analysis, Frankfurt am Main, 2015, p. 24. 15 Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE (rifusione). Sulla tassatività dell’elencazione in questione cfr. Costi, Il mercato mobiliare, Torino, 2016, pp. 123 ss. Per una ricostruzione dei motivi in base ai quali il Bitcoin è stato accostato agli strumenti di investimento cfr. Vardi, “Criptovalute” e dintorni: alcune considerazioni sulla natura giuridica dei Bitcoin, in Dir. inform., 2015, pp. 443 ss., pp. 446-447.
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solutorio che rappresenta l’espressione maggiormente significativa della c.d. Teoria statale della moneta16. Esse, quindi, sono considerate delle monete private circolanti all’interno di quella determinata e circoscritta comunità che riconosce loro le anzidette funzioni tradizionali della moneta. Appare possibile affermare, dunque, che le criptovalute, sebbene la loro denominazione possa generare confusione circa la relativa natura, rappresentano una forma di moneta ma non di valuta17. Anzi, riteniamo che per il legislatore dell’Unione esse non costituirebbero nemmeno una forma di moneta e non perché «non [ne posseggono] lo status giuridico»18 ma perché questi, nell’enuclearne le caratteristiche, si limita ad affermare, tra le altre peculiarità, che possono «essere spesso utilizzate come mezzo di pagamento, (…) come mezzo di scambio [che è la stessa cosa], (…), come prodotti di riserva di valore (…)» senza però riconoscerne la funzione di unità di conto19. Le criptovalute, inoltre, quantomeno con riferimento all’ordinamento giuridico dell’Unione, non rappresentano nemmeno una forma di moneta elettronica20. Quest’ultima, infatti, è definita quale valore monetario elettronicamente e/o magneticamente memorizzato a spendibilità generalizzata, costituito da un credito nei confronti dell’emittente formatosi dietro ricevimento di fondi allo scopo di effettuare operazioni di
16 Cfr. Knapp, Staatliche Theorie des Geldes, Leipzig, 1905, in cui si sottolineava il ruolo dello Stato nella determinazione del valore della moneta poiché esso può creare pura carta moneta riconoscendola quale moneta a corso legale. All’uopo si formulava il concetto di chartalism, derivante dal latino charta – nel senso di biglietto – contrapposto a quello di metallism, proprio del sistema Gold Standard (all’epoca vigente), in base al quale il valore dell’unità di moneta dipende dalla quantità di metallo prezioso in essa contenuto e che può essere scambiato in oro. 17 Secondo la BCE, invece, non essendo una forma di moneta non sono, evidentemente, nemmeno una forma di valuta. Cfr. Banca Centrale Europea, Virtual currency schemes, cit., p. 24. 18 Direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE, art. 1, par. 2, lett. d). 19 Id., Considerando n. 10. 20 Direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009 concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE. Sul tema v. Guerrieri, La moneta elettronica. Profili giuridici dei nuovi strumenti di pagamento, Bologna, 2015.
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pagamento – indipendentemente da eventuali obblighi sottostanti tra il pagatore o il beneficiario – e accettato da persone fisiche o giuridiche diverse dall’emittente medesimo21. Questi deve essere un soggetto autorizzato22 e deve rimborsare il menzionato valore monetario, su richiesta del relativo detentore, in qualsiasi momento e al valore nominale23. Proprio la restituzione nelle anzidette modalità attribuisce a questa forma di moneta il «carattere specifico di sostituto elettronico delle monete e delle banconote, utilizzabile per effettuare pagamenti generalmente di piccoli importi e non come strumento di risparmio»24. Anche la moneta elettronica, comunque, non ha corso legale. Essa non lo avrebbe nemmeno se fosse emessa da una Banca centrale. Quest’ultima, nell’ipotesi remota in cui lo facesse, agirebbe alla stregua di una qualsiasi banca commerciale e non in veste di Autorità monetaria25. Sebbene siano accomunate dal non avere corso legale, le criptovalute si distinguono nettamente dalla moneta elettronica – sia sotto il profilo tecnologico sia, soprattutto, sotto quello giuridico26. L’emissione delle prime determina, in ogni caso, la nascita di una nuova moneta mentre quella della seconda si sostanzia, semplicemente, nella sostituzione di uno strumento di pagamento (contante o scritturale) con un altro (elettronico)27. Osserviamo, inoltre, come la vigilanza prudenziale – intesa quale attività di controllo diretta a prevenire i rischi di insolvenza – sull’attività degli emittenti della moneta elettronica sia oggetto di una disciplina alquanto dettagliata28 mentre con riferimento alle criptovalute vi sia un vero e proprio vuoto normativo.
21
Direttiva 2009/110/CE, cit., art. 2, par. 2. Id., art. 10. 23 Id., art. 11, par. 2. 24 Moliterni, Criptovaluta, valuta digitale, moneta elettronica e modelli di circolazione, in Le nuove frontiere dei servizi bancari e di pagamento fra PSD 2, criptovalute e rivoluzione digitale, a cura di Maimeri e M. Mancini, Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, n. 87, 2019, pp. 183 ss., p. 195. 25 Rahmatian, Credit and Creed: A Critical Legal Theory of Money, Abingdon, 2019, p. 125. 26 Sulla distinzione in questione cfr. Capaccioli, Criptovalute e bitcoin: un’analisi giuridica, Milano, 2015, pp. 108 ss. 27 N. Mancini, Bitcoin: rischi e difficoltà normative, in Banca, impresa, soc., 2016, pp. 111 ss., p. 116. 28 Direttiva 2009/110/CE, cit., Titolo II. 22
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Recentemente, si è manifestata una certa confusione tra criptovalute e moneta elettronica dovuta alla creazione di talune forme delle prime, c.d. stablecoin, che presentano diverse similitudini con la seconda. Siffatta confusione è stata generata dalla garanzia unilaterale – fornita dai loro ideatori – di provvedere a un determinato accantonamento in moneta reale per ciascuna unità delle stesse introdotta sul mercato e, quindi, dalla creazione di una sorta di riserva29. Trattasi, tra gli altri, del caso di Tether, una criptovaluta ideata con l’obiettivo di essere una sostituta stabile della moneta a corso legale. Il suo acquisto ha luogo attraverso la conversione di denaro – sia contante che bancario – in essa, a valore legato al prezzo delle valute maggiormente stabili quali il dollaro statunitense, l’euro o lo yen. Il suddetto accantonamento, in altri termini, dovrebbe limitare i rischi connessi alla volatilità30 e alla complessità intrinseche alle criptovalute per equipararli o, quantomeno, approssimarli a quelli delle valute fiat31. Riteniamo, tuttavia, che la garanzia rappresentata dal suddetto accantonamento, sebbene rappresenti una forma di tutela per il possessore di Tether – quantomeno con riferimento al suo andamento – non sia equiparabile a quella, peculiare alla moneta elettronica, di rimborso ex lege al valore nominale da parte dell’emittente32. Possiamo, pertanto, concludere che tra quest’ultima e il Tether permangano delle differenze sostanziali. Nell’ambito delle stablecoin riteniamo, inoltre, opportuno un breve riferimento a Libra, la criptovaluta di Facebook. Sebbene sia stata annunciata nel 2019, essa non è ancora operativa a causa dell’opposizione di diverse Autorità pubbliche – in primo luogo di vigilanza finanziaria – sia nazionali che internazionali. Ciò sembrerebbe dovuto, fondamentalmente, alla constatazione che la stessa possa interferire con le singole valute e/o politiche monetarie, anche in considerazione del potenziale raggiungimento, peraltro in tempi relativamente contenuti, di un bacino di 2,5 miliardi di utenti, ossia pari al numero degli iscritti al suddetto social
29 V. Dell’Erba, Stablecoins in Cryptoeconomics. From Initial Coin Offerings (ICOs) to Central Bank Digital Currencies (CBDCs), in New York University Journal of Legislation and Public Policy, 2019, pp. 1 ss. 30 Banca Centrale Europea, Virtual currency schemes, cit., p. 23. 31 Con tale locuzione si individuano, nel linguaggio tecnico, le monete a corso legale o forzoso. Sulla funzione dell’accantonamento in oggetto cfr. Geva, The Law of Electronic Funds Transfers, New York, 2019, p. 104. 32 Sui rischi propri delle stablecoin cfr. Bank of England, Discussion Paper: Central Bank Digital Currency Opportunities, Challenges and Design, London, 2020, p. 17.
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network. La sua struttura nonché i suoi meccanismi di funzionamento e oscillazione di valore non hanno, pertanto, configurazione definitiva33. Nel corso del tempo, le criptovalute sono state anche considerate – in alcune ipotesi con una certa audacia – degli strumenti di pagamento34, una forma di Hayek money35, dei beni immateriali36, delle commodities37 nonché dei prodotti finanziari38. Tralasciando l’analisi dei singoli profili comparativi, appare possibile affermare come la loro ampia diffusione permetta di includerle nella categoria delle c.d. monete complementari alternative. Queste ultime, il cui impiego trova il proprio fondamento – esclusivamente – su base consensuale e, quindi, sulla volontà dei relativi utilizzatori, rientrano nel novero dei mezzi di scambio liberamente scelti dall’autonomia delle parti e, per estensione, della comunità in cui circolano39. Esse sono anche considerate, più puntualmente, “monete private” o “monete dei privati” e lo sono poiché la medesima comunità riconosce loro le accennate funzioni tradizionali della moneta40. La condivisione di questa posizione, congiuntamente alla constatazione che una moneta privata non possa avere corso legale in forza della sovranità di uno Stato, ci permette di corroborare la tesi precedentemente sostenuta secondo
33 In tema cfr. Zetzsche, Buckley, Arner, Regulating LIBRA: The Transformative Potential of Facebook’s Cryptocurrency and Possible Regulatory Responses, in European Banking Institute Working Paper Series, 2019; Mezzacapo, La nuova “crypto-attività” e infrastruttura finanziaria globale “Libra”: analisi della fattispecie e profili regolamentari nel diritto dell’UE, in questa Rivista, 2020, pp. 35 ss. 34 Girino, Criptovalute: un problema di legalità funzionale, in Riv. dir. banc., 2018, pp. 733 ss., pp. 758 ss. In senso contrario v. Bocchini, Lo sviluppo della moneta virtuale: primi tentativi di inquadramento e disciplina tra prospettive economiche e giuridiche, in Dir. inform., 2017, pp. 27 ss. 35 Ametrano, Hayek Money: the Cryptocurrency Price Stability Solution, 2016, reperibile online. 36 Burlone e De Caria, Bitcoin e altre criptomonete, Milano, 2014, Capaccioli, Criptovalute, cit., p. 118; Pernice, Digital currency e obbligazioni pecuniare, Napoli, 2018, p. 252. 37 Selgin, Shyntetic Commodity Money, in Journ. fin. stab., 2013, p. 1 ss.; Perugini e Maioli, Bitcoin tra moneta virtuale e commodity finanziaria, 2014, reperibile online, p. 12. 38 Carrière, Le “criptovalute” sotto la luce delle nostrane categorie giuridiche di “strumenti finanziari”, “valori mobiliari” e “prodotti finanziari”; tra tradizione e innovazione, in Riv. dir. banc., 2019, pp. 117 ss., pp. 154 ss. 39 Vardi, Criptovalute, cit., p. 448. 40 Moliterni, Criptovaluta, cit., p. 189.
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cui le criptovalute, sebbene la loro denominazione possa trarre in inganno, non possono essere ritenute delle valute ma delle semplici monete.
3. La carenza di un quadro normativo organico. L’ordinamento giuridico dell’Unione, attualmente, non dispone di un quadro normativo organico concernente le criptovalute. A livello di fonti primarie, ciò ci sembra giustificato dalla circostanza che i Trattati – nella versione in vigore – siano stati stipulati anteriormente alla loro creazione e richiedano, di per sé, procedure di revisione complesse e alquanto farraginose. A livello di diritto derivato, riteniamo che le Istituzioni abbiano colto, appieno, la loro importanza nel mercato finanziario interno41 benché siano orientate a mantenere, almeno per il momento, un atteggiamento abbastanza prudente a causa degli intrinseci rischi che esse comportano42. L’inquadramento giuridico afferente alla circolazione e all’impiego delle criptovalute all’interno dell’UEM appare attività complessa. Benché la loro origine – la rete – sia univoca, diverse sono, invece, le relative configurazioni. Esse, come accennato, possono essere considerate, tra l’altro: contante virtuale, strumento di pagamento, titolo finanziario, bene immateriale o documento informatico43. Ciascuna di queste categorie si distingue nettamente dalle altre per delle peculiarità che, in talune circostanze, potrebbero essere persino in contrasto tra loro. Si aggiunga che anche le funzioni ad esse assimilabili sono molteplici e possono essere ricondotte, peraltro, a quelle proprie della moneta intesa nella sua tradizionale accezione, ossia: mezzo di pagamento, unità di conto e riserva di valore44. Risulta, pertanto, alquanto difficoltoso individuare la disciplina da applicarsi sia all’attività degli operatori del relativo mercato che alle loro interazioni. Sotto il primo profilo si pensi alla normativa antiriciclaggio, a quella tributaria e di monitoraggio fiscale, nonché al contrasto dell’abusivismo nell’intermediazione creditizia e finanziaria e
41 Sul ruolo delle criptovalute nel mercato finanziario interno cfr. Haentjens e de Gioia-Carabellese, European Banking and Financial Law, London-New York, 2020, pp. 50 ss. 42 Consiglio Ecofin, Draft Joint Statement by the Council and the Commission on Stablecoins, 13571/19, Bruxelles, 6 novembre 2019. 43 Supra, par. 2. 44 Supra, par. 2.
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alla tutela, sia del contraente che del consumatore. Sotto il secondo profilo il riferimento è alle possibili relazioni, interferenze e sovrapposizioni sia con le monete correnti che con l’economia reale. La carenza di una disciplina organica concernente l’emissione, l’impiego e la circolazione delle criptovalute nell’ordinamento giuridico dell’Unione ci sembra sostanzialmente dovuta alla suddetta complessità – nonché ai rischi, che come accennato, esse comportano – piuttosto che alla volontà del legislatore di trascurare un fenomeno di rilevanza via via crescente. Si consideri, infatti, che sono stati censiti circa 2000 tipi di criptovalute. L’unico riferimento normativo in vigore è contenuto nella c.d. V Direttiva antiriciclaggio e, segnatamente, nell’art. 1, paragrafi 2, lett. d) e 2945. La prima disposizione, in particolare, fornisce una definizione di valute virtuali, quale «rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente». Siffatta definizione – sostanzialmente analoga a quella formulata in precedenza dalla BCE46 – piuttosto che delineare, in positivo, i connotati delle criptovalute, sembra escluderne perentoriamente alcuni e relativamente altri. Ci riferiamo, nel primo caso, all’emissione e alla garanzia da parte di una Banca centrale nonché al relativo status giuridico e, nel secondo, al collegamento con una moneta di conto. La medesima definizione, inoltre, ci sembra stigmatizzare la funzione delle criptovalute, ossia mezzo di scambio suscettibile di trasferimento elettronico. Riteniamo che attraverso la norma in esame il legislatore si limiti ad accettare, se non addirittura a subire, l’esistenza delle valute virtuali,
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Direttiva (UE) 2018/843, cit. Sotto il profilo in questione la suddetta direttiva è stata analizzata, ex multis, da Accinni, Regole antiriciclaggio e risvolti penalistici dell’operatività in valute virtuali, in Riv. soc., 2018, pp. 1516 ss.; Bixio, Le valute virtuali nella V Direttiva antiriciclaggio, in Corr. trib., 2018, pp. 1987 ss.; Pacillo, Le valute virtuali alla luce della V Direttiva Antiriciclaggio, in Riv. trim. dir. trib., 2018, pp. 631 ss.; Razzante, Bitcoin e criptovalute. Profili fiscali, giuridici e finanziari, Rimini, 2018; Sabella, Vendita di società “ready made” ed obblighi di verifica della clientela nella disciplina sulla prevenzione di riciclaggio e finanziamento del terrorismo: contrasto all’anonimato e valute virtuali, in DPCE online, 2018, pp. 539 ss. Sul tema, più generale, dell’impiego di criptovalute per finalità di riciclaggio cfr. Sicignano, Bitcoin e riciclaggio, Torino, 2018. 46 Banca Centrale Europea, Virtual currency schemes, cit., pp. 4 e 25.
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considerandole un mero mezzo di pagamento poiché esclude, a priori, la possibilità di intervenire in taluni dei loro aspetti salienti. Esso, inoltre, trascurando completamente di regolamentare la loro circolazione nonché la sorveglianza sulle stesse, finisce per sottovalutarne l’impatto sia nel sistema economico dell’UEM sia nel relativo mercato finanziario47. Eppure, la stessa BCE ha ammesso che le criptovalute potrebbero apportare dei vantaggi – sebbene senza specificarne la natura – rispetto agli strumenti di pagamento tradizionali, soprattutto per le transazioni all’interno di comunità virtuali e di sistemi circoscritti nonché per le operazioni transfrontaliere48. Anche la giurisprudenza è molto limitata e riguarda, pressoché esclusivamente, i profili tributari delle criptovalute49. La Corte, tuttavia, ancorché fugacemente, le ha definite – riferendosi ai Bitcoin – quali valute non tradizionali, ossia diverse dalle monete con valore liberatorio50.
4. L’emissione da parte della BCE. La crescente diffusione delle criptovalute, nel corso degli ultimi anni, rappresenta una vera e propria rivoluzione nell’economia monetaria monitorata da numerose Banche centrali, tra le quali la BCE. Anzi, alcune di esse51 – e, da ultima, proprio la BCE52 – hanno via via manifestato la possibilità, se non l’intenzione, di emetterle, sebbene delle prime ge-
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Sull’approccio dell’Unione in materia v. Valente, Bitcoin and Virtual Currencies Are Real: Are Regulators Still Virtual?, in Intertax, 2018, pp. 541 ss. 48 Banca Centrale Europea, Virtual currency schemes, cit., p. 33. 49 Sentenza della Corte del 22 ottobre 2015, in causa C-264/14, Skatteverket c. Hedquist, ECLI:EU:C2015:178. Sul punto cfr. Capaccioli, Nota a sentenza della Corte di Giustizia UE C-264/14, in Il Fisco, 2015, pp. 4270 ss.; Costa, Profili fiscali delle operazioni di acquisto e vendita di Bitcoin, in Riv. dott. comm., 2017, pp. 467 ss.; Perugini, Distributed, cit., p. 116 ss.; Bal, Developing a Regulatory Framework for the Taxation of Virtual Currencies, in Intertax, 2019, p. 219 ss.; Conte, Criptovalute e l’applicazione delle disposizioni tributarie, in Le nuove frontiere dei servizi bancari e di pagamento fra PSD 2, criptovalute e rivoluzione digitale, a cura di Maimeri e M. Mancini, cit., p. 243 ss.; Kollmann, The VAT Treatment of Cryptocurrencies, in EC Tax Rev., 2019, n. 3, pp. 164 ss. 50 Causa C-264/14, cit., p.to 49. Sul valore liberatorio della moneta v. supra, par. 2. 51 A livello europeo v. Central Bank of Iceland, Rafkróna?, in Central Bank Digital Currency Interim Report, Reykjavik, 2018; Sveriges Riksbank, The Riksbank’s E-Krona Project Report 2, Stockholm, 2018; Bank of England, Discussion paper, cit. 52 Banca centrale europea, Innovation and its impact on the European retail payment landscape, Frankfurt am Main, 2019.
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neriche ipotesi fossero state presagite dalla dottrina economica più autorevole già a partire dalla metà degli anni ’8053. All’uopo è stata introdotta la locuzione Central Bank Digital Currencies (CBDCs) con la quale si indicano le loro due peculiarità54. La prima – comune alla moneta tradizionale – è quella di rappresentare un credito nei confronti dell’Autorità centrale. La seconda – esclusiva della loro configurazione – è quella di essere, appunto, digitali. In realtà, le CBDCs, all’interno dell’UEM, esistono già ed operano attraverso il decentramento operativo caratteristico del Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC)55. La loro circolazione, però, è limitata al rapporto, “mediato” dalle Banche centrali nazionali, che intercorre tra la BCE e le banche commerciali56. Queste ultime, infatti, detengono crediti digitali – sotto forma di depositi – nei confronti delle rispettive Banche centrali nazionali che a loro volta detengono crediti digitali, sempre sotto forma di depositi, nei confronti della BCE. Le questioni in esame, quindi, piut-
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Tobin, Financial Innovation and Deregulation in Perspective, in Boj Monetary and Economic Studies, 1985, pp. 19 ss. 54 A nostro avviso, data la funzione che assumerebbero nel sistema monetario, sarebbe più opportuno indicarle come Digital Base Money (DBM), non fosse altro perché sarebbe più immediato distinguerle dalle criptovalute emesse da soggetti privati. Invero, il primo a individuarle con questi termini è stato Mersch, Digital Base Money: an assessment from the ECB’s perspective, 2017, reperibile online. Effettivamente, la base monetaria digitale, qualora emessa, rappresenterebbe la “terza” parte della base monetaria – denominata anche moneta ad alto potenziale – locuzioni con cui, in economia, si indicano le passività a vista di una Banca centrale, ossia il denaro circolante (banconote e monete metalliche) e le riserve bancarie detenute dagli istituti di credito presso la medesima Banca centrale. Sul punto cfr. Bindseil, Tiered CBDC and the financial system, in Banca centrale europea, Working Papers Series, Frankfurt am Main, 2020, p. 4. Sulla composizione tradizionale della base monetaria cfr. Bagella, L’Euro e la politica monetaria, Torino 2014, pp. 5 ss. 55 Il SEBC, ai sensi dell’art. 282, par. 1, TFUE e dell’art. 1, co. 1, Prot. SEBC, è composto dalla BCE oltre che dalle Banche centrali nazionali di tutti gli Stati membri dell’Unione. Al suo vertice vi è l’Autorità centrale. Il decentramento operativo trova il suo fondamento giuridico nell’art. 12, par. 1, co. 3, Prot. SEBC, secondo cui: «per quanto possibile ed opportuno, (…), la BCE si avvale delle banche centrali nazionali per eseguire operazioni che rientrano nei compiti del SEBC». In tema cfr., da ultimo, Antoniazzi, La Banca Centrale Europea tra politica monetaria e vigilanza bancaria, Torino, 2013, pp. 1-48. 56 Riserve e conti di regolamento, infatti, sono disponibili negli Stati membri per le c.d. “controparti di politica monetaria”, ossia quegli istituti finanziari direttamente rilevanti per l’attuazione della politica monetaria, come quelli che accettano depositi, a cui generalmente è già concesso l’accesso ai depositi della BCE e alle sue strutture di prestito.
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tosto che concernere l’emissione di CBDCs riguarderebbero l’estensione della medesima emissione nei riguardi di una più ampia gamma di soggetti – segnatamente imprese e individui – consentendo anche a loro di tenere conti digitali presso l’Istituto centralizzato di nazionalità o cittadinanza. In altri termini, attraverso le CBDCs si amplierebbe ulteriormente l’accesso al denaro digitale della BCE ma non alle modalità con cui essa interviene nel mercato monetario. I motivi connessi all’emissione di CBDCs sarebbero diversi ma non tutti avrebbero la stessa rilevanza. Preliminarmente, si osserva una costante diffusione dei pagamenti elettronici attraverso specifici strumenti – tra cui, a mero titolo esemplificativo, si annoverano i bonifici, le carte di credito, quelle di debito e quelle prepagate – che ne incoraggerebbero l’impiego57. Peraltro, in alcuni Stati membri dell’Unione – soprattutto Svezia e Danimarca – è stata registrata una diminuzione sistematica dell’uso del contante a favore dei medesimi pagamenti elettronici. In ogni caso, il crescente utilizzo di questi ultimi non ha ancora comportato una riduzione sostanziale della domanda del contante medesimo che, negli ultimi anni, ha persino – e di gran lunga – superato quella della produzione economica58. Pertanto, la sostituzione delle banconote con CBDCs quale naturale conseguenza dello sviluppo tecnologico appare una giustificazione, per il momento, poco convincente59. Una motivazione maggiormente persuasiva è che la diffusione di criptovalute (private) potrebbe fare emergere nuovi, temibili e, soprattutto, anonimi concorrenti nei servizi di pagamento e nell’intermediazione. Pertanto, la BCE perderebbe parte delle sue entrate ma, soprattutto, comprometterebbe la sua leadership nelle suddette attività oltre che la sua autorevolezza nel sistema monetario dell’UEM e in quello globale. Un’ulteriore motivazione, ancora più ragguardevole, è che l’emissione delle criptovalute (private) percepite come più affidabili – le c.d. stablecoin60 – necessita di denaro depositato presso una banca commerciale che, come è noto, è soggetta al rischio d’insolvenza. Imprese e individui, pertanto, potrebbero preferire di detenere dei crediti nei con-
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Bindseil, Tiered, cit., pp. 4 e 33. Bech, Faruqui, Ougaard e Picillo, Payments are a-changin’ – but cash still rules, in BIS Quarterly Rev., 2018, 3, pp. 67 ss. 59 Bank for International Settlements, Committee on Payments and Market Infrastructures, Distributed ledger technology in payment, clearing and settlement: An analytical framework, Basel, 2017. 60 Supra, par. 2. 58
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fronti della propria Banca centrale nazionale – e, quindi, per il suddetto meccanismo, della BCE – piuttosto che verso una commerciale. Sotto questo profilo, le CBDCs contribuirebbero a rendere il mercato finanziario più sicuro garantendone maggiormente l’equilibrio, con implicazioni positive sul mercato monetario e sul sistema economico in generale. L’esistenza di diversi e abbastanza validi motivi per l’emissione di CBDCs da parte dell’Autorità centrale non conduce, tuttavia, ad affermarne la necessità. Quest’ultima, a nostro avviso, deve essere valutata alla luce dell’impatto che essa avrebbe su due tra i compiti fondamentali del SEBC enunciati dall’art. 127, par. 2 TFUE. Trattasi di quello della definizione e dell’attuazione della politica monetaria dell’Unione e di quello della promozione del regolare funzionamento dei sistemi di pagamento. Ulteriori importanti implicazioni vi sarebbero anche con riferimento ai settori dell’intermediazione finanziaria e delle operazioni transfrontaliere oltre che alla stabilità finanziaria. Rileviamo, in ogni caso, di essere in presenza di un vuoto normativo. Pertanto, l’emissione di CBDCs da parte della BCE richiede l’intervento del legislatore. A questo punto, occorre domandarsi a quale rango ciò debba avvenire. Preliminarmente, si rammenta che ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. c) TFUE, l’Unione ha competenza esclusiva nel settore della politica monetaria per gli Stati membri che adottano l’euro. Se le CBDCs fossero considerate una semplice parte della base monetaria61 si potrebbe, affrettatamente, concludere che non ravvisandosi un accrescimento delle competenze dell’Unione, il diritto alla relativa emissione potrebbe essere attribuito alla BCE attraverso una norma secondaria, analogamente a quanto avvenuto per il conferimento, sempre all’Autorità centrale, della funzione di vigilanza prudenziale nell’UEM. L’art. 128 TFUE, però, afferma che le banconote in euro sono «le uniche (…) aventi corso legale nell’Unione». Dovendo avere, anche le CBDCs, questa peculiarità, altrimenti sarebbero considerate alla stessa stregua di una mera criptovaluta62, alla BCE sarebbe attribuito un diritto esclusivo a cui corrisponderebbe un accrescimento di competenza – anch’essa esclusiva – dell’Unione, evidentemente per gli Stati membri la cui moneta è l’euro. Di conseguenza, il conferimento, in capo all’Autorità centrale, del diritto di
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Supra, nota 54. Supra, par. 2.
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emettere CBDCs deve avere luogo attraverso la procedura di revisione ordinaria dei Trattati prevista dall’art. 48, paragrafi 2-5, TUE63.
5. Segue: l’impatto sulla definizione e sull’attuazione della politica monetaria. L’emissione di CBDCs deve essere valutata alla luce dell’obiettivo principale del SEBC – sancito dall’art. 127, par. 1, TFUE – rappresentato dal mantenimento della stabilità dei prezzi, ovvero la salvaguardia del valore della moneta nel tempo, che istituzionalizza l’impegno all’equilibrio monetario nell’UEM64. In generale, la ricerca della stabilità monetaria implica la prevenzione dei fenomeni di inflazione e deflazione intesi, rispettivamente, come crescita e calo del livello generale dei prezzi65. Nel caso di specie essa costituisce il vincolo fondamentale con cui, nei Trattati, è stata impostata l’UEM e origina dalla convinzione di rappresentare un bene pubblico che, lungi dall’ostacolare una crescita sostenibile dell’economia reale, ne favorisce concretamente lo sviluppo66. L’impatto in questione è direttamente correlato alla dimensione dell’accesso alle CBDCs da parte dei soggetti operanti nel mercato monetario – banche, investitori istituzionali, imprese e individui – e all’attrattività, intesa come rimuneratività, del loro impiego, quali attività da detenere in portafoglio. Esse rappresenterebbero una nuova e liquida passività della BCE per cui particolare attenzione dovrebbe essere rivolta, a nostro avviso, alla loro interazione con i meccanismi di trasmissione del tasso ufficiale di sconto ai mercati monetari e a quelli creditizi.
63 In tema di revisione dei Trattati v. Villani, Istituzioni di Diritto dell’Unione europea6, Bari, 2020, pp. 64 ss. 64 Sulla portata della norma in questione, sebbene con posizioni alquanto differenti, cfr. ex multis, Herdegen, Price Stability and Budgetary Restraints in the Economic and Monetary Union: the Law As Guardian of Economic Wisdom, in Comm. Mar. Law Rev., 1998, pp. 9 ss.; Malatesta, La Banca centrale europea, Milano, 2003, p. 34; Baroncelli, Il governo economico e monetario nel Trattato di Lisbona, in Europa, Costituzione o Trattato per suo Fondamento?, a cura di Fracanzani e Baroncelli, Napoli, 2010, pp. 153 ss., p. 159. 65 Per un’ampia e articolata disamina del tema v. Ball e Doyle, Inflation, London, 1968. 66 Palley, Unione Monetaria Europea: una guido vetero-keynesiana ai problemi, in Mon. cred., 1997, pp. 303 ss., pp. 305-307.
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Di recente, la BCE ha affermato che le CBDCs avrebbero un impatto sull’attuazione della politica monetaria senza, tuttavia, specificare in che modo e in che misura67. In linea generale, riteniamo che ciò avrebbe luogo in termini limitati68. Quest’ultima ha luogo attraverso la regolazione della liquidità della BCE, resa disponibile al sistema bancario al fine di soddisfarne il fabbisogno derivante, tra le altre cose, dalle richieste di banconote da parte del pubblico e dagli obblighi di riserva per le banche commerciali. Stabilendo i costi di accesso a tali fondi, l’Autorità centrale determina il livello dei tassi di interesse sul mercato interbancario influenzando il livello dei tassi sui depositi e sui prestiti praticati dagli istituti di credito alle imprese e alle famiglie. Per la suddetta attuazione, la BCE dispone di diversi strumenti. Taluni sono previsti a livello di fonti primarie, in particolare, dal Protocollo SEBC69. Trattasi delle operazioni di credito e di mercato aperto70 e delle prescrizioni, per gli enti creditizi, di detenere riserve minime in conti presso l’Eurosistema71. Il medesimo Protocollo, inoltre, prevede la possibilità, per la BCE, di utilizzare altri metodi operativi di controllo monetario72. Questi ultimi, tra cui si annoverano le operazioni attivabili su richiesta delle controparti, sono stati introdotti nel mercato monetario non già mediante norme di diritto derivato bensì attraverso atti di soft law73. Vi sono, infine, le c.d. misure non convenzionali, tra le quali le più controverse sono le Outright Monetary Transactions74. L’emissione di CBDCs da parte della BCE implica il soddisfacimento, sempre da parte sua, della relativa domanda. I flussi che sarebbero generati movimenterebbero la quantità delle corrispondenti riserve nel sistema esattamente allo stesso modo di quelli in banconote e in depositi dell’Autorità centrale detenuti dalle controparti monetarie. Riteniamo, pertanto, che le CBDCs non altererebbero i meccanismi di base per
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Banca Centrale Europea, Innovation, cit., p. 3. Ad analoga considerazione, sebbene basata su presupposti diversi, giunge Bindseil, Tiered, cit., pp. 6 ss. 69 Il Protocollo SEBC, come è noto, ha lo stesso rango dei Trattati. 70 Prot. SEBC, art. 18. 71 Id., art. 19. 72 Id., art. 20. 73 Banca Centrale europea, Indirizzo del 20 settembre 2011 sugli strumenti e sulle procedure di politica monetaria dell’Eurosistema, par. 1.3.2. 74 Cfr. Sentenza della Corte di giustizia, del 16 giugno 2015, causa C-62/14, Peter Gauweiler e al. c. Deutscher Bundestag, ECLI:EU:C:2015:400. 68
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l’attuazione della politica monetaria. La domanda delle stesse sarebbe, quindi, soltanto un altro elemento da considerare algebricamente nelle immissioni e negli assorbimenti di liquidità al fine di determinarne le relative condizioni e controllare l’andamento dei tassi di interesse. A questa conclusione, tuttavia, giungiamo soltanto nell’ipotesi in cui il valore unitario delle CBDCs (c.d. CBDC), rispetto a quello dell’euro, sia prefissato – possibilmente in rapporto 1:1 – e immodificabile. Diversamente, vi sarebbero due andamenti – l’uno per l’euro e l’altro per la CBDC – eventualmente disgiunti che renderebbero molto più complessa la suddetta attuazione della politica monetaria conformemente all’obiettivo di cui all’art. 127, par. 1, TFUE. Occorrerebbe, inoltre, tenere in considerazione due peculiarità. In primo luogo, a seconda del saggio di sostituzione – tra le banconote e i depositi con le CBDCs – potrebbe essere richiesto un bilancio della BCE più o meno ampio per l’attuazione della politica monetaria. Qualora tale saggio di sostituzione fosse relativamente elevato, peraltro, i finanziamenti delle banche commerciali potrebbero ridursi, con effetti potenzialmente dannosi sia sul livello del credito a imprese e individui sia sulla crescita. In seconda istanza, la volatilità complessiva dei fattori esogeni potrebbe essere condizionata, il che, a causa di un meccanismo circolare, potrebbe influenzarne la prevedibilità. Riteniamo che, quantomeno per ragioni di cultura economica nonché di fiducia verso lo sviluppo delle tecnologie digitali, il suddetto saggio di sostituzione dovrebbe essere, almeno in una prima fase, alquanto modesto. In ogni caso, se attualmente gli individui e le imprese possono utilizzare il denaro della BCE solo sotto forma di banconote, l’introduzione delle CBDCs consentirebbe loro di detenerne anche altro in formato elettronico e di utilizzarlo, anch’esso, per effettuare pagamenti. Di conseguenza, aumenterebbe la disponibilità di moneta dell’Autorità centrale, consentendone l’impiego in una gamma molto più ampia di situazioni rispetto alla liquidità fisica. Ciò implicherebbe un bilancio più ampio della BCE benché essa continuerebbe ad avere la sua ordinaria discrezionalità – pari, cioè, a quella ascrivibile alle banconote – nella scelta delle attività in suo possesso per soddisfare la domanda di CBDCs. Gli effetti complessivi delle CBDCs sulla struttura dei tassi di interesse sono molto difficili da prevedere e dipendono da molti fattori. In questa fase potrebbe soltanto intuirsi che esse, se attrattivamente rimunerate, potrebbero avere un certo impatto sulla composizione del portafoglio delle attività degli investitori istituzionali in altri strumenti liquidi e a basso rischio, come i titoli di Stato a breve termine e i pronti contro termine assistiti da garanzie sovrane. Qualora i suddetti investitori istituzionali potessero detenerle senza limitazioni quantitative, il relativo tasso di in-
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teresse contribuirebbe alla determinazione di una soglia minima dei tassi del mercato monetario alquanto rigida75.
6. Segue: e quello sui sistemi di pagamento. Come accennato76, l’emissione di CBDCs deve essere valutata anche alla luce dell’impatto che avrebbe sui sistemi di pagamento, la cui promozione del regolare funzionamento rappresenta – ex art. 127, par. 2, TFUE – uno dei compiti fondamentali del SEBC. Preliminarmente, si rammenta che per l’assolvimento del suddetto compito il SEBC, tra le altre attività, fornisce servizi di pagamento e regolamento per le operazioni in titoli, gestisce il sistema dei pagamenti di importo rilevante in euro – c.d. Target 277 – oltre che un meccanismo per l’uso transfrontaliero delle garanzie – c.d. CCBM78. Esso, inoltre, definisce gli standard sia per i suddetti sistemi di pagamento che per i relativi strumenti, per i sistemi di compensazione e per quelli di regolamento delle operazioni in titoli. Infine, monitora le infrastrutture di mercato e stabilisce i requisiti per la loro continuità operativa. Sulle menzionate attività l’emissione di CBDCs potrebbe assumere, a nostro avviso, un ruolo effettivamente rilevante. Essa, per un verso, potrebbe apportarvi significativi benefici ma, per altro verso, potrebbe rappresentare la causa di diversi rischi. Sotto il profilo infrastrutturale, le CBDCs rafforzerebbero la capacità dei sistemi di pagamento nell’UEM di adattarsi all’evoluzione tecnologica in atto divenuta, nel corso degli ultimi anni, sempre più incalzante. A titolo esemplificativo, si osserva come alla possibile interruzione delle transazioni effettuate su piattaforme private – talvolta avvenuta, anche per mere ragioni tecniche – si potrebbe in parte ovviare mediante pagamenti in valuta digitale, soprattutto laddove l’uso del denaro contante fosse in gran parte scomparso79.
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Duffie e Krishnamurthy, Adapting to Changes in the Financial Market Landscape, 2016, reperibile online. 76 Supra, par. 4. 77 Adamsky, Redefining European Economic Integration, Cambridge, 2018, pp. 141148. 78 Banca Centrale Europea, Correspondent Central Banking Model, Frankfurt am Main, 2014. 79 Bank for International Settlements, Central Bank Digital Currencies, Basel, 2018, p. 7.
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Esse, di contro e nonostante operino attraverso la tecnologia blockhain80, sarebbero soggette a rischi di frodi e malware81. Questi, sebbene caratterizzino quasi tutti i sistemi di pagamento, nel caso di specie rappresenterebbero un fattore particolarmente delicato poiché le CBDCs, oltre ad essere accessibili a qualsiasi individuo o impresa, si distinguono per un’estrema vulnerabilità. Gli effetti connessi ai suddetti rischi potrebbero essere particolarmente significativi a causa della semplicità con cui considerevoli quantità di denaro sono elettronicamente trasferibili. La realizzazione di sistemi efficaci per ridurli, lungi dall’essere avvenuta, costituirebbe un prerequisito fondamentale per la loro emissione. Poiché una disfunzione nei servizi di pagamento erogati dal SEBC avrebbe un impatto fortemente negativo nel sistema economico dell’UEM, i sistemi in questione dovrebbero corrispondere a requisiti molto stringenti in termini di affidabilità, invulnerabilità e resilienza. Particolare attenzione, inoltre, dovrebbe essere prestata per i pagamenti al dettaglio transfrontalieri che, generalmente sono più lenti, meno trasparenti e più costosi di quelli nazionali82. In definitiva, al tema della sicurezza informatica sono attualmente correlate le esigenze operative più importanti, non solo per la BCE ma anche per le banche commerciali e gli altri operatori finanziari attivi nell’UEM. Sotto il profilo economico, le CBDCs renderebbero i sistemi di pagamento più efficienti, con particolare riferimento ai relativi costi operativi83. I cambiamenti nel comportamento dei consumatori in merito ai pagamenti, infatti, mostrano come essi scelgano di adottare le tipologie che ritengono più pratiche e sicure – come le carte di credito – anche se potrebbero avere costi, sotto forma di commissioni, più elevati per le imprese che li ricevono. Siccome tali costi sono trasferiti ai consumatori medesimi, vi sarebbero benefici netti sia per loro che per gli operatori economici con cui interagiscono84. Soprattutto, il ruolo delle CBDCs sarebbe paragonabile a quello delle tradizionali riserve delle Banche centrali nei sistemi di regolamento
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Supra, par. 1. Trattasi di un programma, documento ovvero messaggio di posta elettronica suscettibile di danneggiare un sistema informatico, sia a livello di hardware che di software. Sul tema v. Noorani, On the Detection of Malware on Virtual Assistants Based on Behavioral Anomalies, Philadelphia, 2019. 82 Bank for International Settlements, Cross-border retail payments, Basel, 2018. 83 Banca Centrale Europea, Innovation, cit., p. 3. 84 Bank of England, Discussion paper, cit., p. 18. 81
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interbancario e potrebbe migliorare la gestione dei rischi nelle transazioni85. Infatti, le operazioni effettuate attraverso esse, anziché mediante infrastrutture facenti capo alle banche commerciali o agli altri operatori finanziari, potrebbero contribuire al contenimento dei rischi di intermediazione e liquidità dei sistemi medesimi agevolando, tra l’altro, la funzione dell’Autorità centrale di monitoraggio dell’attività finanziaria. Sostanzialmente, la loro introduzione permetterebbe a un numero maggiore di fornitori di servizi di pagamento di collegarsi direttamente ai sistemi di regolamento della BCE anziché di essere costretto a operare attraverso le piattaforme delle banche più grandi e specificamente attrezzate. Di conseguenza, il dissesto di una di queste ultime non comprometterebbe i pagamenti amministrati dagli istituti più piccoli che si troverebbero, tra l’altro, a operare in un mercato più aperto e maggiormente concorrenziale, in ossequio allo spirito generale dei Trattati. In altri termini, consentire a più imprese di stabilirsi direttamente nel mercato finanziario, utilizzando la moneta dell’Autorità centrale nei conti di cassa digitali, per un verso ridurrebbe il rischio di intermediazione e di liquidità all’interno del sistema di pagamento86 e, per altro verso, renderebbe il sistema medesimo maggiormente competitivo. Per converso, si dovrebbero considerare le implicazioni della loro mancata emissione. Innanzitutto, le piattaforme digitali private avrebbero più ampia possibilità, quantomeno in linea potenziale, di effettuare transazioni in euro. I risparmiatori, inoltre, potrebbero trovarsi ad affrontare, in misura maggiore, i suddetti rischi di intermediazione e liquidità che deriverebbero non solo dall’esposizione verso le medesime piattaforme digitali private ma, soprattutto, dall’anonimato delle stesse87. Le CBDCs potrebbero offrire ulteriori vantaggi. Dato che esse implicano la tracciabilità digitale, potrebbero agevolare l’applicazione delle norme volte a combattere il riciclaggio di denaro e a contrastare il finanziamento delle attività illecite e del terrorismo88. Non a caso, la prima preoccupazione del legislatore dell’Unione in tema di criptovalute, ma-
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Bank for International Settlements, Distributed Ledger Technology in Payment, Clearing and Settlement – an Analytical Framework, Basel, 2017. 86 Dyson e G. Hodgson, Digital Cash: Why Central Banks Should Start Issuing Electronic Money, in Positive Money, 2016, p. 10. 87 Bank for International Settlements, Central Bank, cit., p. 8. 88 Anche se è stato osservato che attualmente non è particolarmente chiara la configurazione di CBDCs suscettibili di contrastare siffatti fenomeni. Cfr. Bank for International Settlements, Central Bank Digital Currencies, cit., p. 9.
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nifestata nella Direttiva 2019/843/UE89, è stata proprio quella di contenere il rischio che esse potessero contribuire all’aumento dei suddetti fenomeni90. Siffatta prerogativa avrebbe, tuttavia, impatto contenuto poiché i sistemi di pagamento formale solo raramente vengono impiegati per transazioni afferenti ad attività illecite o finalizzate a eludere il controllo delle autorità pubbliche. Il loro utilizzo, infine, potrebbe contribuire a migliorare la c.d. inclusione finanziaria. Trattasi di quel processo volto, per un verso, ad accrescere la disponibilità, per la collettività, di servizi finanziari adeguati e a costi accessibili – con un impatto positivo diretto sul benessere dei meno abbienti – e, per altro verso, a migliorare il funzionamento del settore finanziario nel suo complesso stimolando, di conseguenza, la crescita economica e riducendo i livelli di povertà e disuguaglianza91. Sebbene il miglioramento in questione non rientri tra gli obiettivi del SEBC, le CBDCs potrebbero creare quel collegamento diretto tra la BCE e i cittadini europei – soprattutto laddove l’utilizzo del denaro contante sta diminuendo92 – che potrebbe favorire la comprensione da parte loro del ruolo dell’Autorità centrale nell’Unione e della necessità di averla configurata quale Istituzione indipendente dalle altre93. Sotto questo profilo sarebbe, quantomeno in parte, attenuato il problema del deficit democratico nell’UEM94. La BCE, tuttavia, potrebbe trovarsi nella condizione di gestire numerose richieste di transazione da parte di altrettanto numerosi clienti, compresi quelli che ad oras non rientrano nel suo
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Supra, par. 1. De Giorgi, Criptovalute: l’approccio dei policy makers, in Le nuove frontiere dei servizi bancari e di pagamento fra PSD 2, criptovalute e rivoluzione digitale, a cura di Maimeri e M. Mancini, cit., pp. 205 ss., p. 208. 91 Sul tema v. Gomel, Bernasconi, Cartechini, Fucile, Settimo e Staiano, a cura di, Inclusione finanziaria. Le iniziative del G20 e il ruolo della Banca d’Italia, in Questioni di economia e finanza, Banca d’Italia, 2011. 92 Supra, par. 2. È stato autorevolmente osservato che anche la liquidità ha un ruolo importante nell’inclusione finanziaria. Laddove il denaro viene utilizzato in modo meno diffuso, non vi è alcuna garanzia che l’attuale fornitura, da parte del settore privato, di sistemi di pagamento elettronici e/o digitali possa soddisfare le esigenze di tutti gli utenti. Cfr. Bank of England, Discussion paper, cit., p. 18. 93 Mersch, Why Europe still needs cash, 2017, reperibile online. 94 Sul tema sia consentito il richiamo a Ruccia, Alcune riflessioni sul deficit democratico nell’UEM, in Dialoghi con Ugo Villani, a cura di Triggiani, Cherubini, Ingravallo, Nalin, Virzo, Bari, 2017, pp. 661 ss. 90
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novero; condizione rispetto alla quale non ci sembra ancora sufficientemente preparata. Qualora le CBDCs fossero impiegabili nelle operazioni transfrontaliere, potrebbe aumentare la loro domanda a detrimento di quella di euro. Siffatta circostanza, a sua volta, potrebbe rendere instabili gli aggregati monetari e alterare la scelta dei relativi strumenti da parte degli operatori. Soprattutto, verrebbero meno – dal punto di vista sostanziale – le tradizionali distinzioni tra operatori residenti e non residenti e tra transazioni interne e internazionali. Per esempio, un istituto di credito potrebbe utilizzarle per fornire l’equivalente funzionale di conti offshore. Tale evenienza sarebbe particolarmente rischiosa per due motivazioni. La prima è che tendenzialmente si favorirebbero operazioni illecite. La seconda è che si comprometterebbe, sotto il profilo reputazionale, il ruolo della BCE sia nel sistema finanziario dell’UEM sia in quello internazionale. Infatti, più lo strumento è anonimo – e il meccanismo di trasferimento decentralizzato – maggiori saranno le opportunità del relativo impiego in attività elusive. A queste criticità dovrebbero aggiungersi le difficoltà nella gestione del costituendo rapporto, peraltro di non semplice configurazione, tra l’Autorità centrale e quelle nazionali – segnatamente giudiziarie e fiscali – nei cui confronti potrebbe insorgere l’obbligo di fornire informazioni e documenti sui nuovi interlocutori. Notevole attenzione, inoltre, dovrebbe essere rivolta alla protezione dei dati personali95, con particolare riferimento alle informazioni ottenute a seguito di operazioni tra privati, attività che potrebbe richiedere la formulazione di politiche cui sinora l’istituto di emissione non è mai stato preposto. Oltre ai benefici, tuttavia, dovrebbero essere valutati anche i costi che l’emissione di CBDCs implica. Innanzitutto, le banche commerciali potrebbero perdere una considerevole quota di mercato nei servizi di pagamento a favore della BCE. Ciò darebbe luogo alla c.d. disintermediazione del settore bancario96. In altri termini, si verificherebbe una contrazione dei loro ricavi a cui corrisponderebbe un incremento di quelli dell’Autorità centrale. Ciò potrebbe alterare le condizioni concorrenziali nel mercato in questione – da sempre aperto, nell’Unione, ai
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Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati). 96 Bindseil, Tiered, cit., pp. 9 ss.
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privati – compromettendone il relativo funzionamento nei modi previsti dai Trattati. In conclusione, l’emissione di CBDCs implicherebbe una diminuzione dei ricavi delle banche commerciali, soprattutto quelle maggiormente significative, dovuta all’interazione di due fattori opposti. Il primo è rappresentato dall’ingresso di nuovi erogatori dei servizi in questione che si interfaccerebbero direttamente con la BCE senza dover ricorrere ad esse. Di conseguenza, aumenterebbe il numero delle imprese – prestatrici di tali servizi – operanti nel relativo mercato. Il secondo è costituito dalla posizione ricoperta dall’Autorità centrale nel più articolato mercato creditizio. Essa sarebbe chiamata ad assumere un ruolo, nell’UEM, più ampio dell’attuale ma, per certi versi, snaturato poiché a quello di istituzione preposta al controllo del sistema dei pagamenti si aggiungerebbe quello di operatore nel sistema medesimo, in un’evidente commistione funzionale. Le suddette banche commerciali potrebbero tentare di mantenere la loro reddittività aumentando sia le commissioni sui loro servizi che i tassi d’interesse applicati alle loro concessioni di credito oppure riducendo quelli riconosciuti nelle operazioni di raccolta. Sebbene la suddetta diminuzione dei ricavi appaia di difficile determinazione, possiamo affermare che l’introduzione delle CBDCs avrà ragionevolmente un effetto traslativo dei profitti nel mercato dei sistemi di pagamento con dei potenziali effetti distorsivi sulla concorrenza. Infine, ammettendo che l’emissione di CBDCs incoraggi i trasferimenti monetari dalle istituzioni private alla BCE, si dovrebbe riconoscere che, nell’eventualità di uno shock negativo sull’economia97, le famiglie e gli operatori finanziari tenderebbero a trasformare i loro depositi in titoli di Stato oppure a trasferirli verso istituti finanziari percepiti come più sicuri, tra i quali si annovera sicuramente l’Autorità centrale. Siccome quest’ultima, nella sua nuova funzione, consentirebbe percorsi digitali immediati, di valore anche considerevole e senza la necessità d’intermediazione, l’equilibrio nel mercato dei depositi e, di conseguenza, dei finanziamenti al dettaglio, potrebbe essere compromesso. Paradossalmente, quindi, nelle situazioni di instabilità le CBDCs, intrinsecamente prive di rischio, finirebbero per arrecare pregiudizio alla stabilità del sistema finanziario.
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Trattasi di un evento non prevedibile o difficilmente prevedibile che influenza, nel caso di specie negativamente, l’andamento nel tempo delle principali variabili del sistema economico. Cfr. Lisi, Introduzione ai modelli economici fondamentali, Torino, 2017, pp. 163 ss.
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7. Conclusioni. Le criptovalute, nell’ordinamento giuridico dell’Unione, non sono disciplinate dalle fonti primarie e lo sono in misura alquanto ridotta nel diritto derivato. Anche la Corte di giustizia non ha fornito contribuiti significativi in materia essendosi limitata ad analizzarne soltanto alcuni profili fiscali. Sebbene in esse siano rinvenibili le caratteristiche generali della moneta – strumento di pagamento, unità di conto e riserva di valore – se non sono emesse da una Banca centrale non hanno corso legale e quindi non possono essere considerate una valuta. A ben guardare, per il legislatore dell’Unione, non rappresenterebbero nemmeno una forma di moneta poiché non riconosce loro la funzione di unità di conto. Non devono neanche essere assimilate alla moneta elettronica – oggetto di una puntuale disciplina unionale – dato che ne differiscono sia sotto il profilo tecnologico sia, soprattutto, sotto quello giuridico. La suddetta carenza normativa non ha impedito la loro crescente diffusione e l’interesse, da parte della BCE, nel valutare, al pari di altre Banche centrali, la possibilità di emetterle. È stata, pertanto, introdotta la locuzione Central Bank Digital Currencies (CBDCs). In realtà, esse già esistono benché limitatamente nel rapporto intercorrente tra la BCE e le banche commerciali. Queste ultime detengono crediti digitali, sotto forma di depositi, verso le rispettive Banche centrali nazionali che a loro volta ne detengono altri nei confronti della BCE. La questione analizzata, pertanto, verte sull’estensione del loro impiego anche alle imprese e agli individui che diverrebbero, quindi, interlocutori diretti delle Banche centrali nazionali e, indiretti, dell’Autorità centrale. L’emissione di CBDCs richiede l’intervento del legislatore a livello di fonti primarie. Il combinato disposto degli articoli 3, par. 1, lett. c) e 128, TFUE, afferma che l’Unione ha competenza esclusiva nel settore della politica monetaria per gli Stati membri dell’UEM al cui interno le banconote in euro sono le uniche aventi corso legale. Siccome quest’ultima peculiarità è necessaria alla configurazione delle CBDCs – altrimenti sarebbero considerate delle mere criptovalute – all’Unione, per il tramite della BCE, sarebbe attribuita una nuova competenza esclusiva. Ciò, ai sensi dell’art. 48, paragrafi 2-5, TUE richiede la procedura ordinaria di revisione dei Trattati. La medesima emissione, comunque, deve essere valutata alla luce del diritto primario vigente e, in particolare, dell’art. 127, paragrafi 1 e 2, TFUE. La prima disposizione individua nel mantenimento della stabilità dei prezzi l’obiettivo principale del SEBC. Siccome i flussi di CBDCs agireb-
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bero sulla quantità delle corrispondenti riserve allo stesso modo di quelli in banconote e in depositi della BCE detenuti dalle controparti monetarie, non vi sarebbero alterazioni nei meccanismi di attuazione della politica monetaria. La domanda di CBDCs rappresenterebbe, esclusivamente, un elemento ulteriore da includere nel calcolo delle variazioni di liquidità allo scopo di determinare l’andamento dei tassi di interesse. L’ipotesi prevede, comunque, la fissazione di un valore unitario immutabile delle CBDCs medesime rispetto all’euro. Occorrerebbe, inoltre, tenere in considerazione che, a seconda del saggio di sostituzione tra le due valute, potrebbe essere richiesto un bilancio dell’Autorità centrale più o meno ampio e che, almeno in una prima fase – per ragioni di cultura economica e di fiducia nelle tecnologie digitali – tale saggio di sostituzione dovrebbe essere piuttosto modesto. La seconda disposizione stabilisce i compiti fondamentali del SEBC tra i quali si annovera quello di promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento. Sotto questo profilo l’impatto delle CBDCs sarebbe rilevante sia per i benefici che per i rischi che potrebbero apportare, entrambi, attualmente, oggetto di monitoraggio da parte della BCE che, all’uopo, ha istituito un’apposita task force. A livello infrastrutturale le CBDCs incoraggerebbero l’adattamento dei suddetti sistemi di pagamento all’evoluzione tecnologica in atto. I temuti rischi di frodi e malware, peraltro, sarebbero mitigati quantomeno parzialmente dall’impiego della blockchain. A livello economico, esse renderebbero i sistemi di pagamento più efficienti ottimizzando i relativi costi operativi. Consentendo un’interlocuzione diretta con la BCE, più operatori finanziari potrebbero stabilirsi direttamente nel mercato interno di riferimento, impiegandole nei conti di cassa digitali. Ciò ridurrebbe i rischi di intermediazione e di liquidità e aumenterebbe la competitività nel suddetto mercato. A tal proposito, però, occorre sottolineare la potenziale diminuzione dei ricavi delle banche commerciali dovuta, oltre a quanto testé asserito, anche all’incremento di quelli dell’Autorità centrale, in considerazione del rapporto diretto che quest’ultima stabilirebbe con individui e imprese. Proprio in virtù di tale rapporto, nell’eventualità di uno shock negativo sull’economia, gli individui, le imprese e gli operatori finanziari sarebbero indotti a investire i lori risparmi e/o capitali in titoli emessi dagli Stati membri oppure da istituti finanziari ritenuti particolarmente sicuri, tra cui indubbiamente la BCE. Dato che le CBDCs permetterebbero operazioni rapide, senza la necessità d’intermediazione e di valore elevato, anche in questo caso l’equilibrio nel mercato dei depositi e, conseguentemente, in quello dei crediti, potrebbe essere compromesso. In definitiva, nelle situazioni di instabilità esse, benché
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intrinsecamente prive di rischio, avrebbero paradossalmente degli effetti negativi sulla stabilità del sistema finanziario. Le CBDCs potrebbero offrire ulteriori vantaggi. Implicando la tracciabilità digitale, faciliterebbero l’applicazione della disciplina in materia di antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento delle attività illecite nonché del terrorismo. Esse, inoltre, contribuirebbero al miglioramento della c.d. inclusione finanziaria. Infine, renderebbero maggiormente efficienti i sistemi di pagamento transfrontalieri tradizionalmente ritenuti farraginosi, costosi e poco trasparenti.
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Abstract Il diritto dell’Unione europea presenta un sostanziale vuoto normativo afferente alle criptovalute. Ciò non ha impedito la loro crescente diffusione oltre che l’interesse della BCE nel valutare la possibilità di emetterle. Oggetto del presente articolo è la disamina, sotto il profilo giuridico, di tale evenienza. A tal fine si procede, innanzitutto, alla comparazione delle loro caratteristiche con quelle della moneta considerata nella sua tradizionale accezione. Successivamente si valuta se, e a quale livello, la loro emissione da parte dell’Autorità centrale richieda l’intervento del legislatore. Infine, le si analizza con riferimento al diritto primario vigente, allo scopo di valutarne l’impatto sulla definizione e sull’attuazione della politica monetaria dell’UEM, sui relativi sistemi di pagamento oltre che sul mercato bancario interno.
*** European Union law showcases a substantial regulatory gap as far as cryptocurrencies are concerned. This drawback has not prevented them from fastgrowing, nor has this been a factor hindering the ECB from potentially issuing them in future. This paper is aimed to analyse, from a legal point of view, the latter scenario. To this end, it firstly compares their characteristics with those of “money” regarded in its traditional meaning. Subsequently, it assesses whether, and to what extent, their issuance by the ECB would require the legislature to “step up to the plate”. Finally, it examines the cryptocurrencies with reference to the primary law in force, in order to assess their impact on the definition and implementation of the monetary policy within the EMU, on the related payment systems as well as on the internal banking market.
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La funzione di controllo e il comitato per il controllo sulla gestione nelle società bancarie monistiche Sommario: Le funzioni del compitato per il controllo sulla gestione: osservazioni preliminari. – 2. Le peculiarità del modello monistico: doveri e poteri nella funzione di controllo. – 2.1. Segue. I poteri nella funzione di controllo. – 3. La funzione di controllo nelle società bancarie. – 3.1. Segue. I rapporti con il comitato controllo e rischi. – 4. Riflessoni conclusive.
1. Le funzioni del comitato per il controllo sulla gestione: osservazioni preliminari. Come noto, sin dalla sua introduzione nell’ordinamento giuridico italiano il modello monistico1 ha destato forti perplessità in relazione al significativo ridimensionamento del ruolo del collegio sindacale e alla contestuale attribuzione di buona parte delle funzioni di quest’ultimo ad un comitato composto esclusivamente da amministratori. Tali perplessità si erano intensificate a causa del frequente ricorso, per fissare la normativa atta a disciplinare il sistema monistico, alla tecnica del rinvio a disposizioni dettate con riferimento al sistema di amministrazione e controllo tradizionale2. Ciò generava l’impressione che al comitato per
1 Per una recente ed accurata descrizione dei dati relativi alla diffusione del modello monistico, v. Stella Richter jr., Le opportunità del sistema monistico per il diritto societario, in Riv. soc., 2019, pp. 517 s. Cfr. altresì Assonime, Sul modello monistico di governo societario, Note e Studi 2/2019, in Riv. soc., 2019, pp. 548 ss. 2 Sull’uso o (forse, più correttamente) abuso della tecnica in parola, Alvaro, D’Eramo, Gasparri, Modelli di amministrazione e controllo nelle società quotate. Aspetti comparatistici e linee evolutive. Quaderno Giuridico Consob n. 7, maggio 2015, alle p. 22 s., a p. 40, a p. 82 e a p. 96. Gli AA. rammentano come «[i]l ricorso alla tecnica del rinvio [sia] stato altresì criticato dalle Associazioni di categoria in sede di analisi della bozza
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il controllo sulla gestione3 venissero attribuite dopotutto le medesime competenze dei sindaci e che, di conseguenza, l’introduzione del sistema monistico portasse a coniare una nuova “etichetta” in relazione a funzioni dell’organo di controllo invero già disciplinate4. La circostanza tuttavia che tali competenze fossero riconducibili a quei soggetti che, nel modello tradizionale, sono sottoposti al controllo dei sindaci avrebbe, secondo alcune voci dottrinali, condotto ad una situazione di accentuato conflitto per i membri del comitato per il controllo sulla gestione5.
di decreto legislativo sulla riforma delle società di capitali (d.lgs. 29-30 settembre 2002»; cfr. Audizione Assonime, in Riv. soc., 2002, 1594; Audizione ABI, ivi, 1608; Audizione Confindustria, ivi, p. 162 e spec. a p. 22, n. 64). 3 Tra i contributi dottrinali dedicati ad approfondire funzioni e ruolo del comitato, Guaccero, Commento sub artt. 2409 sexiesdecies-noviesdecies, in Società di capitali. Commentario, diretto da Niccolini, Stagno D’Alcontres, Napoli, 2004, p. 924 ss.; Ghezzi, Commento sub art. 2409-sexiesdecies, in Sistemi alternativi di amministrazione e controllo, a cura di Ghezzi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2005, pp. 191 ss.; Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, in Sistemi alternativi di amministrazione e controllo, a cura di Ghezzi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2005, p. 247 ss.; Mosca, I principi di funzionamento del sistema monistico. I poteri del comitato di controllo, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa, Portale, Torino, 2006, p. 385 ss.; Lorenzoni, Il comitato per il controllo sulla gestione nel sistema monistico: alcune riflessioni comparatistiche, in Giur. comm., 2006, I, pp. 66 ss.; Valensise, Commento sub artt. 2409-sexiesdecies e 2409-noviesdecies, in La riforma delle società. Aggiornamento commentato, a cura di Sandulli, Santoro, Torino, 2007, pp. 740 ss.; Regoli, La funzione di controllo nel sistema monistico, in Aa. Vv., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Piras, Torino, 2007, p. 584 ss.; Buffa Di Perrero, I “controlli” nel modello monistico, in Aa. Vv., Studi giuridici per Piergaetano Marchetti, Milano, 2011, pp. 133 ss.; Mancuso, Commento sub art. 2409-sexiesdecies, in Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, diretto da Abbadessa, Portale, Milano, 2016, pp. 1960 ss. 4 In questi termini, Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, in Commentario alla riforma delle società, in Sistemi alternativi di amministrazione e controllo, a cura di Ghezzi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2005, p. 278. 5 Fortunato, I controlli nella riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2003, p. 887. Nel nutrito dibattito dottrinale successivo all’introduzione del sistema monistico, si sono registrate interpretazioni delle nuove norme codicistiche orientate nel senso di negare ai membri del comitato la possibilità di prendere parte alla formazione delle delibere consiliari del Consiglio di amministrazione, determinando in tal modo una negazione del ruolo di amministratore, pur rivestito da tali soggetti, per approdare ad una concezione del loro compito quali “controllori” che finiva per coincidere con quelli di sindaci de facto: così Valensise, Commento sub art. 2409-septiesdecies, in La riforma delle società
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Inoltre, nella sua versione finale, il disposto codicistico relativo alle funzioni dell’organo di controllo all’interno del modello monistico solo parzialmente accenna alle competenze del collegio sindacale6. Ad ogni modo, per poter offrire una valida soluzione alle summenzionate critiche che hanno avuto ad oggetto il comitato7, si rende necessario collocare le funzioni a quest’ultimo attribuite in un alveo di compatibilità con le peculiarità del monistico stesso, la più importante delle quali è rappresentata dalla contemporanea presenza, all’interno del Consiglio di amministrazione, di due categorie di amministratori: esecutivi e non esecutivi8. Tale bipartizione è a propria volta conseguenza del richiamo al
– Commentario, a cura di Sandulli, Santoro, Torino, 2003, p. 736. Tale posizione è stata tuttavia respinta da altra dottrina, che a più riprese si è occupata del tema. In questo senso, Fortunato, I controlli nella riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2003, p. 887; Providenti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, in Commentario al codice civile, a cura di Lo Cascio, Milano, 2003, p. 401; Salinas, Commento sub art. 2409-octiesdecies, in Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, vol. VI, p. 1230. Vi è inoltre chi opportunamente evidenzia la «mancanza di stabilità dei componenti del comitato di controllo sulla gestione», considerandolo però un problema che colpisce, assumendo una visione più ampia, «tutti gli amministratori che svolgono funzioni in senso lato di controllo […] soprattutto in quelle ipotesi in cui all’interno dell’organo amministrativo (o, se si vuole, dell’organo cui sono affidate le funzioni di supervisione strategica) si enucleano figure specialmente vocate a svolgere un ruolo chiaramente “dialettico” o addirittura uffici (…) con compiti di verifica, di approfondimento, di monitoring e magari anche di vero e proprio controllo» (Stella Richter jr, Divagazioni su alcuni orientamenti notarili in tema di sistema monistico e revoca dei componenti del comitato per il controllo. Note a margine rispetto ai materiali del Convegno di Firenze del 25 novembre 2016, tenutosi in occasione dei nuovi orientamenti dell’osservatorio societario del Consiglio notarile dei distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, in Riv. not., 2016, pp. 1070 ss., alle p. 1071 s.). A margini degli orientamenti della prassi notarile, dunque, l’A. auspica l’«incremento del grado di stabilità della posizione degli amministratori con particolari attribuzioni di controllo (anche da intendersi in senso lato) […] attraverso l’affinamento delle modalità di esercizio del potere, che è anche sviluppo dello strumentario per il controllo (di legittimità) della relativa correttezza; un compito, essenzialmente culturale». 6 Al riguardo, rileva Stella Richter jr., Le opportunità del sistema monistico per il diritto societario, in Riv. soc., 2019, a p. 524, che la funzione di controllo «non [può] essere intes[a] in modo monolitico e astratto, e dunque a prescindere dal modello prescelto». 7 Si veda, anche per una ricostruzione in ottica funzionale del ruolo del comitato per il controllo sulla gestione, Morello, Il comitato per il controllo sulla gestione tra dipendenza strutturale ed autonomia funzionale, in Riv. dir. comm., 2005, pp. 739 ss. 8 Tale distinzione non è priva di criticità, come nota Barachini, Tutela delle minoranze e funzione gestoria, in Giur. comm., 2018, I, pp. 576 ss. Per quanto concerne invece l’intestazione al plenum della prerogativa di indirizzo e controllo dell’attività di gestione svolta dagli amministratori “esecutivi” muniti di deleghe, Sacchi, Amministrazione
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modello anglosassone9, che vede la presenza di comitati endoconsiliari (audit committees) con il compito di rendere maggiormente efficiente il novero di controlli che detto organo è chiamato a svolgere. Tra i pregi del modello monistico, in quest’ottica, deve ascriversi la rinnovata centralità che esso ha attribuito al sistema di controllo interno10,
e controllo nell’impresa azionaria dopo la riforma del 2003, in Impresa e mercato. Studi dedicati a Libertini, a cura di Di Cataldo, Meli, Pennisi, Milano, 2015, p. 574; Giannelli, Il consiglio di amministrazione, in La governance nelle società di capitali. A dieci anni dalla riforma, coordinato da Marchetti, Santosuosso, Milano, 2013, p. 82; Abbadessa, Profili topici della nuova disciplina della delega, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Campobasso, diretto da Abbadessa, Portale, vol. 2, Torino, 2006, pp. 502 ss. In relazione al ruolo degli amministratori non esecutivi nelle società bancarie, v. Houben, Il dovere di agire in modo informato degli amministratori non esecutivi delle banche, in Banca, impr., soc., 2018, pp. 263 ss. e Calandra Buonaura, L’amministrazione della società per azioni nel sistema tradizionale, Torino, 2019, pp. 314 ss. 9 L’introduzione in Italia dell’audit committee è dovuta alle previsioni del Codice di Autodisciplina in materia di corporate governance. Nell’ambito del presente paragrafo (per approfondimenti, v. infra paragrafo 3.1), rileva tuttavia osservare come il ruolo del comitato per il controllo sulla gestione si qualifichi in un’accezione più intensa rispetto a quello attribuito al comitato controllo e rischi. Come evidenziato da autorevole dottrina, quest’ultimo rappresenterebbe infatti una «mera articolazione operativa con funzioni ispettive, istruttorie e consultive del consiglio di amministrazione, non qualificabile quale organo delegato all’esercizio di un segmento della funzione di vigilanza imposta dall’intero collegio ex art. 2392, comma 2, c.c.», funzione di vigilanza che quindi non potrebbe essere fatta oggetto di una delega, nemmeno parziale, anche a soggetti già investiti in via generale del suo perseguimento perché membri del Consiglio di amministrazione. In questo senso, Montalenti, Corporate Governance, consiglio di amministrazione, sistemi di controllo interno: spunti per una riflessione, in Riv. soc., 2002, p. 830. 10 Tale espressione viene difatti utilizzata per la prima ed unica volta nell’ambito del codice civile all’interno dell’art. 2409-octiesdecies, norma relativa alle competenze del comitato per il controllo sulla gestione. A tale primo utilizzo non corrisponde tuttavia una totale estraneità del sistema di controlli interno nel quadro dell’ordinamento societario italiano; rimarcava l’importanza di tale elemento, seppur indirettamente, l’art. 149, co. 1, lett. b) t.u.f., il quale ha annoverato nel ventaglio di doveri attribuiti ai collegi sindacali delle società quotate la vigilanza sull’adeguatezza della struttura organizzativa, del sistema di controllo interno, e del sistema amministrativo e contabile. In proposito, v. Abriani, Indipendenza ed autonomia del Comitato per il controllo sulla gestione tra disciplina legale e regole statutarie, in AGE, 2016, p. 145. Tale elencazione si pone in un’ottica di primario rilievo, «se si prende atto che ciò su cui vigila l’organo di controllo è materia di primaria e precipua competenza degli amministratori» (così Marchetti, Sistema monistico. Introduzione, in Riv. soc., 2019, p. 512). In argomento, v. anche Latella, Sistemi dei controlli interni e organizzazione delle società per azioni, Torino, 2018.
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superando così la storica dicotomia tra le funzioni di amministrazione e controllo, a lungo imperante in dottrina11. Il comitato per il controllo sulla gestione si caratterizza pertanto, in questo senso, come organo deputato a unificare i compiti di controllo di merito e di legittimità. In altri termini, esso si contraddistingue per un ruolo peculiare, diverso da quello che il sistema tradizionale attribuisce all’organo di vigilanza puro (il collegio sindacale), chiamato ad affiancare l’organo amministrativo, con funzioni gestorie e di supervisione strategica nonché di vigilanza di merito12.
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Il tema dei controlli rappresenta uno degli ambiti maggiormente dibattuti nella letteratura degli ultimi anni. Per un ulteriore approfondimento, ex multis, v. Latella, Sistema dei controlli interni e organizzazione delle società per azioni, Torino, 2018, passim; Simonini, L’Organismo di Vigilanza: difficile convivenza nel sistema dei controlli interni, in Resp. amm. soc. enti, 2015, pp. 89 ss.; Racugno, I controlli interni, in Riv. dir. comm., 2015, pp. 37 ss.; Abriani, Collegio sindacale e comitato per il controllo interno e la revisione contabile nel sistema policentrico dei controlli, in Riv. dir. soc., 2013, pp. 2 ss.; Balzola, I controlli interni nelle società per azioni quotate: il ruolo del collegio sindacale, in Giur. it., 2013, pp. 2419 ss.; Stella Richter jr., La funzione di controllo del consiglio di amministrazione nelle società per azioni, in Riv. dir. soc., 2012, pp. 663 ss.; Libonati, Notarelle a margine dei nuovi sistemi di amministrazione della società per azioni, in Riv. dir. soc., 2008, pp. 281 ss.; Calandra Buonaura, I modelli di amministrazione e controllo nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003, I, pp. 563 ss.; Montalenti, Corporate governance, consiglio di amministrazione, sistemi di controllo interno: sunti per una riflessione, in Riv. dir. soc., 2002, pp. 803 ss. Con riguardo specificatamente alla realtà bancaria, D’Ambrosio, Perassi, Il governo societario nelle banche, in Aa. Vv., Le società commerciali: organizzazione, responsabilità e controlli, a cura di Vietti, Assago, 2014, pp. 209 ss.; Costi, Vella, Banche, governo societario e funzioni di vigilanza. Quad. ric. giur. Banca d’Italia, n. 62, Roma 2008; Onado, Economia e regolamentazione del sistema finanziario, Bologna, 2008, pp. 199 ss.; Mirone, Regole di governo societario e assetti statutari delle banche tra diritto speciale e diritto generale, in Banca, impr., soc., 2017, pp. 33 ss.; Montalenti, Amministrazione e controllo nelle società per azioni tra codice civile e ordinamento bancario, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, pp. 707 ss.; Id., Il sistema di controlli interni nell’ordinamento bancario, in Id., Impresa Società di capitali Mercati finanziari, Torino, 2017, pp. 263 ss.; P. Abbadessa, L’amministrazione delle società bancarie secondo il sistema tradizionale, in La governance delle società bancarie. Convegno in memoria di Niccolò Salanitro, a cura di Di Cataldo, Milano, 2014, pp. 7 ss.; Stella Richter jr., I sistemi di controllo delle banche tra ordinamento di settore e diritto comune. Notazioni preliminari, in Riv. soc., 2018, pp. 320 ss. 12 Abriani, Indipendenza ed autonomia del Comitato per il controllo sulla gestione tra disciplina legale e regole statutarie, in AGE, 2016, p. 145; Ferro-Luzzi, L’esercizio d’impresa tra amministrazione e controllo, in AGE, 2007, pp. 245 ss. In argomento, si rammenta che “controllo” e “vigilanza” – nonostante siano utilizzati con una certa disinvoltura dal legislatore come sinonimi – invero presenterebbero una differenziazione. La vigilanza si connoterebbe infatti di una accezione più intensa
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Al riguardo, costituisce un dato acquisito «la circostanza che amministrazione e controllo non costituiscano più funzioni fra loro nettamente distinte, ma rappresentino piuttosto i due versanti di un unico sistema nell’ambito del quale gli assetti fanno parte integrante della gestione»13. Il controllo (e l’organo chiamato all’assolvimento di tale imprescindibile funzione) si eleva così a elemento fondamentale per gli assetti organizzativi di una qualsiasi società, essendo fortemente connesso alle funzioni di gestione e supervisione strategica che da esso in buona parte dipendono, e fondando il proprio concreto agire sugli stessi assetti organizzativi che la funzione di controllo è deputata a monitorare14.
rispetto al mero controllo, consistente «in una sintetica e generale sorveglianza su quelle aree già oggetto dei poteri-doveri dell’organo di controllo» (così Riganti, L’evoluzione del sistema di controlli interni nell’impresa bancaria, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 305). In argomento, e specificatamente sulla configurazione dei termini “controllo” e “vigilanza”, cfr. Russo, S.p.a.: una “regola d’uso” per “controllo” e “vigilanza”?, in Nuovo dir. soc., 2014, pp. 62 ss.; Montalenti, Amministrazione e controllo nelle società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. soc., 2013, pp. 42 ss. Il tema si inquadra a pieno titolo nell’ambito della governance bancaria, come rileva Stella Richter jr., I sistemi di controllo delle banche tra ordinamento di settore e diritto comune. Notazioni preliminari, in Riv. soc., 2018, p. 324. Da ultimo, v. Calandra Buonaura, L’impatto della regolamentazione sulla governance bancaria, in Banca, impr., soc., 2019, p. 41, secondo il quale uno dei vantaggi offerti dall’esercizio della funzione di controllo nell’ambito del monistico consiste nella “evoluzione del consiglio di amministrazione da managing board a monitoring board”, garantendo in tal modo «una maggiore qualità e tempestività del flusso informativo che gli amministratori non esecutivi sono in grado di acquisire». 13 In questi termini, Abriani, Indipendenza ed autonomia del Comitato per il controllo sulla gestione tra disciplina legale e regole statutarie, in AGE, 2016, p. 146, riprendendo Ferro-Luzzi, Per una razionalizzazione del concetto di controllo, in I controlli societari. Molte regole, nessun sistema, a cura di Bianchini, Di Noia, Milano, 2010, pp. 129 ss. Secondo tale orientamento, l’organo amministrativo, pur non essendo titolare primario della funzione di controllo, è tuttavia investito del compito di predisporre un’adeguata struttura di controllo all’interno delle strutture societarie, a cui si affianca un dovere di verifica della corretta funzionalità dello stesso. In tema v. altresì Libertini, Scelte fondamentali di politica legislativa e indicazioni di principio nella riforma del diritto societario del 2003, in Riv. soc., 2008, pp. 232 ss.; Fortunato, Commento all’art. 2409-septies, in Commentario al codice civile, a cura di Niccolini, Stagno-D’Alcontes, Napoli, 2004, p. 864, che così si esprime su tale dinamica evolutiva: «deve sicuramente condividersi l’idea – che si è fatta strada in dottrina – secondo cui l’amministrazione e il controllo non possono essere viste come attività del tutto distinte, ma devono ritenersi aspetti di uno stesso sistema integrato. In concreto non può esservi corretta amministrazione, senza un adeguato sistema di controlli». 14 Stella-Richter jr., La funzione di controllo del consiglio di amministrazione nelle società per azioni, in Riv. soc., 2012, pp. 663 ss. In argomento, si v. altresì Varrasi, I controlli nei sistemi alternativi, in Giur. it., 2013, p. 2427.
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Il presente scritto si propone dunque di esaminare le caratteristiche del comitato per il controllo sulla gestione nel contesto del sistema monistico, con particolare attenzione per l’ambito bancario, contesto nel quale l’organo in questione esplica i propri tratti distintivi ed in cui il sistema di amministrazione e controllo in esame trova, nella prassi attuale, la sua più significativa concreta applicazione. Nello specifico, il lavoro si sofferma sulle prerogative della funzione di controllo nel modello monistico e sui poteri-doveri dell’organo (paragrafo 2), sulle cifre distintive del contesto bancario e, dunque, sulla declinazione che questi compiti assumono (paragrafo 3), nonché sui rapporti con il comitato per il controllo dei rischi (paragrafo 3.1), il cui rilievo è crescente e la cui applicazione risulta sempre più ampia. Il contributo che l’articolo si propone di apportare alla dottrina esistente è individuabile anzitutto nel tentativo di risposta ad una serie di interrogativi: l’eventuale estensione dell’ambito della funzione di controllo attribuita dal legislatore al comitato per il controllo sulla gestione rispetto a quella propria dei sindaci nel sistema tradizionale; l’impatto che l’affidamento di tale compito riservato ad amministratori può esercitare su autonomia ed efficacia nell’esercizio del controllo stesso (funzione che in ogni caso è affidata al comitato per il controllo sulla gestione nel sistema monistico); la profondità della vigilanza nel sistema monistico proprio rispetto ad altri modelli di governance. Quindi, esso focalizza la propria attenzione sul comitato di controllo della gestione nell’ambito bancario che, rispetto all’ambito delle società chiuse, si caratterizza per maggiore incisività del legislatore e minore grado di autonomia organizzativa demandata in capo agli organi sociali.
2. Le peculiarità del modello monistico: doveri e poteri nella funzione di controllo. L’art. 2409-octiesdecies c.c. stabilisce i doveri di vigilanza del comitato per il controllo sulla gestione, che è dunque chiamato a vigilare sull’adeguatezza: i) della struttura organizzativa; ii) del sistema di controllo interno; iii) del sistema amministrativo e contabile, come pure sulla sua idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione15.
15 Per una analisi del principio di “adeguata organizzazione” dell’impresa nel diritto societario generale e nelle società bancarie in particolare, Luciano, Adeguatezza organiz-
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L’efficace svolgimento di tali attività di controllo consente di agevolare il compito del consiglio di amministrazione nella valutazione dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società (art. 2381, co. 3, c.c., espressamente richiamato con riferimento al sistema monistico dall’art. 2409-noviesdecies c.c.), non rendendolo totalmente dipendente dalle informazioni ed analisi provenienti dagli organi delegati16. In questo senso è necessario chiedersi se la funzione di controllo attribuita dal legislatore al Comitato per il controllo sulla gestione (d’ora innanzi, anche CCG) sia più o meno estesa di quella propria dei sindaci nel sistema tradizionale, e se la circostanza che sia affidata ad amministratori ne ridimensioni l’autonomia e l’efficacia. In altri termini, si tratta di stabilire se i doveri attribuiti al comitato concretamente realizzino una forma di vigilanza sull’amministrazione da valutare dunque in termini comparativi con il collegio sindacale, ovvero una forma di vigilanza di natura consultiva ed ancillare alla amministrazione, strumentale all’attività del board17.
zativa e funzioni aziendali di controllo nelle società bancarie e non, in Riv. dir. comm., 2017, pp. 317 ss. 16 Al riguardo, rileva Abriani (Corporate governance e sistema monistico: linee evolutive, in Riv. soc., 2019, p. 535) come la “dipendenza strutturale dell’organo di controllo interno al board” costituisca «un punto di forza, sul piano funzionale, del controllo monistico sulla gestione». In argomento, v. anche Regoli, La funzione di controllo nel sistema monistico, in Aa. Vv., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Piras, Torino, 2007, p. 602. 17 In questi termini, Schiuma, Il sistema monistico: il consiglio di amministrazione e il comitato per il controllo sulla gestione, in La governance nelle società di capitali a dieci anni dalla riforma, diretto da Vietti, Milano, 2010, p. 506. Il dibattito risulta delicato anche al fine di comprendere il ruolo del comitato per il controllo sulla gestione quale organo di controllo nell’ambito delle discipline specialistiche poste da t.u.f. e t.u.b., e dalle relative disposizioni regolamentari secondarie. Si sottolinea come autorevoli esponenti della dottrina vedano la funzione di controllo esercitata dal CCG quale mera «specializzazione di quella amministrativa, da essa quindi non separata» (Angelici, Le società per azioni: principi e problemi, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da Cicu, Messineo, Milano, 2012, p. 372). In senso conforme Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, in Commentario alla riforma delle società, in Sistemi alternativi di amministrazione e controllo, a cura di Ghezzi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2005, p. 284, secondo i quali la qualifica di organo di controllo attribuita al comitato per il controllo sulla gestione appare “impropria”. Sostengono tali Autori che «il controllo sulla gestione è infatti svolto dal consiglio di amministrazione e, in particolare, dai membri non esecutivi del medesimo. A tal fine esso costituisce il comitato per il controllo sulla gestione, che riunisce alcuni
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Il dato testuale della norma permette di ritenere che quella del CCG sia una vigilanza sull’adeguatezza dell’organizzazione societaria complessivamente intesa, idonea a rappresentare correttamente i fatti gestori ed estesa indirettamente alle azioni di tutti quei soggetti chiamati a rendere l’organizzazione societaria “adeguata”. E dunque la funzione di controllo di cui è investito il CCG appare senza dubbio peculiare, posto che esso è chiamato, a differenza del collegio sindacale, ad esplicare la propria attività servendosi di amministratori. Tale specificità permette di qualificare la vigilanza svolta dal comitato come orientata primariamente al sostegno di una corretta ed efficace gestione18. Pur essendo il CCG un organo che “vigila per consigliare”19, ciò però non presuppone una necessaria ancillarità al consiglio di amministrazione20. I due organi sarebbero invece paraordinati, con un riparto di fun-
amministratori non esecutivi con il compito di approfondire determinate funzioni di controllo facenti capo al consiglio». In questo senso, la funzione di controllo attribuita al comitato andrebbe interpretata nel quadro dell’art. 2381 c.c., per mezzo del quale vengono previsti ai consiglieri non esecutivi specifici obblighi volti a consentire loro di vigilare sull’andamento della gestione. Tale impostazione è fatta propria da altri Autori della dottrina immediatamente successiva alla riforma del diritto societario del 2003 (al riguardo, Mosco, Commento sub art. 2381, in Commentario al codice civile, a cura di Niccolini, Stagno-D’Alcontes, Napoli, 2004, p. 600 ss.; Fortunato, I controlli nella riforma delle società, in Il nuovo diritto delle società di capitali e delle società cooperative, a cura di Rescigno, Sciarrone Alibrandi, Milano, 2004, pp. 889 ss.). 18 Schiuma, Il sistema monistico: il consiglio di amministrazione e il comitato per il controllo sulla gestione, in La governance nelle società di capitali a dieci anni dalla riforma, diretto da M. Vietti, Milano, 2010, p. 508. 19 In tal senso, Presti, Di cosa parliamo quando parliamo di controllo?, in I controlli societari. Molte regole, nessun sistema, a cura di Bianchini, Di Noia, Milano 2010, p. 146, che distingue così il comitato per il controllo sulla gestione dal collegio sindacale, chiamato a vigilare “per riferire” (all’assemblea dei soci e, sussistendone i presupposti, alle Autorità di Vigilanza), e dal consiglio di sorveglianza, che “vigila per agire”, essendo dotato del potere di revoca dei membri del consiglio di gestione. 20 Osserva Schiuma (Il sistema monistico, cit., p. 509) come l’idea della subordinazione del CCG sia conseguenza di un «pedissequo trasferimento sul terreno del sistema monistico del dibattito sul riparto dei controlli nel sistema tradizionale, un dibattito nell’ambito del quale, per risolvere il problema della asserita sovrapposizione tra le funzioni di monitoraggio del collegio sindacale e degli amministratori senza delega, la questione è stata impostata per lo più cercando di stabilire a chi spettasse il controllo di vertice, di ultima istanza: un controllo che spetterebbe al collegio sindacale nel tradizionale e che si vorrebbe allora in capo al Consiglio di amministrazione nel sistema monistico, stante l’eliminazione del collegio sindacale». Tale eventualità, oltre a ridurre pericolosamente il ruolo quale organo di controllo di cui è investito il comitato per il controllo sulla gestione, appare inoltre incompatibile con i recenti sviluppi della normativa secondaria
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zioni di natura orizzontale: il Comitato per il controllo sulla gestione è chiamato ad agevolare il Consiglio di amministrazione nello svolgimento di una corretta e trasparente gestione delle attività sociali. L’attività di vigilanza del comitato resterebbe così caratterizzata dal principio del duty of care mantenendo, in quanto esercitata da amministratori senza alcuna prerogativa gestoria, pieno rispetto della business judgement rule21. Il carattere ancillare dell’attività di vigilanza svolta dal CCG si rinviene in primo luogo nel dovere di vigilare sul “sistema di controllo interno”22. In tale contesto il comitato dovrà accertarsi se il sistema approntato all’interno dell’organizzazione societaria sia atto a garantire un costante flusso informativo tra le funzioni di controllo e gli organi sociali, individuare le principali fonti di rischio e assicurare che ogni operazione sociale sia adeguatamente rappresentata nelle scritture contabili, secondo canoni di trasparenza e veridicità23. Il dovere di vigilanza sul sistema di
adottata dalla Banca d’Italia in materia bancaria. In tale sede, difatti, l’organo di controllo, e così anche il comitato per il controllo sulla gestione nel sistema monistico, viene di fatto investito di un ruolo centrale all’interno del sistema dei controlli, rinforzandone parallelamente autonomia e poteri (si pensi alla necessaria designazione da parte dell’assemblea, o all’obbligo di prevedere espressamente in sede statutaria poteri di ispezione e controllo per il CCG). 21 Regoli, La funzione di controllo nel sistema monistico, in Aa. Vv., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Piras, Torino, 2010, p. 591. Specificatamente sulla business judgement rule, cfr. Allen, Kraakman, Commentaries and cases on the law of the business organizations, New York, 2016, pp. 229 ss.; Johnson, Unsettledness in Delaware corporate law: business judgment rule, corporate purpose, in Delaware J. Corp. Law, 2013, vol. 38, n. 2, pp. 405-451; Told, Business Judgment Rule: a Generally Applicable Principle?, in Eur. Bus. Law Rev., 2015, vol. 26, n. 5, pp. 713 ss.; Sharfman, The Importance of the Business Judgment Rule, in NYU J. Law & Business, 2017, vol. 14, n. 1, pp. 27 ss. 22 Rientrano nella nozione di “controlli interni” le regole, le procedure, e gli accorgimenti organizzativi preposti al fine di garantire un efficiente e corretto esercizio dell’attività sociale, nel rispetto di tutte le disposizioni vigenti e nella piena consapevolezza dei principali rischi gestionali. In questa prospettiva, i controlli interni sono preposti a incanalare l’esercizio delle attività di tutti gli organi sociali verso canoni di correttezza e compliance, fornendo al tempo stesso strumenti volti a individuare i processi suscettibili di miglioramento (cfr. Presti, Collegio sindacale e sistema dei controlli nel diritto societario comune e speciale, Milano, 2002, pp. 9 ss.) Con riferimento all’Italia, la versione del luglio 2018 del Codice di Autodisciplina sottolinea come «il sistema di controllo interno e di gestione dei rischi” sia “costituito dall’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte a consentire l’identificazione, la gestione, e il monitoraggio dei principali rischi» (art. 7.P.1). 23 In tal senso, Mosca, I principi di funzionamento del sistema monistico. I poteri del comitato di controllo, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco
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controllo interno si completa con la vigilanza sull’adeguatezza degli assetti organizzativi. Tali assetti dovranno essere calibrati in ragione delle dimensioni societarie, delle attività esercitate, delle strategie operative perseguite, nonché dei mercati cui ci si rivolge. In questo contesto, compito del comitato per il controllo sulla gestione, quale organo posto al centro dell’intero sistema di controlli e dei flussi informativi, sarà pertanto vigilare su tali assetti e monitorarli, nell’ottica di rilevarne eventuali inefficienze o difetti suscettibili di miglioramento, consigliando poi al consiglio di amministrazione di adottare le misure correttive considerate adeguate24. L’attività di vigilanza del CCG si qualifica quindi come vigilanza continua, svolta parallelamente alle attività gestorie25, che si compone di momenti sia ex ante sia ex post, avente ad oggetto efficacia ed effettività delle scelte organizzative poste in essere dal Consiglio di amministrazione26. Essa si distingue quindi rispetto a quella esercitata dal collegio sindacale, non essendo limitata a segnalare le inadeguatezze rilevate, ma suggerendo i passi da compiere per giungere ad una soluzione27. Emerge così una ulteriore peculiarità del sistema monistico rispetto agli altri sistemi di amministrazione e controllo: i controllori, rivestendo al tempo stesso anche il ruolo di controllati-amministratori, possono entrare nel merito delle questioni, comprendere i meccanismi organizzativi
Campobasso, diretto da Abbadessa, Portale, Torino, 2006, pp. 750 ss.; Schiuma, Il sistema monistico, cit., p. 527. 24 Stella Richter jr., La funzione di controllo del consiglio di amministrazione, in Riv. dir. soc., 2012, pp. 663 ss. 25 Schiuma, Il sistema monistico, cit., p. 528. 26 In argomento, Pedersoli, Il collegio sindacale nelle società per azioni bancarie, Milano, 2018, p. 222, ove l’A. rileva come tale dimensione trovi giustificazione «nella “doppia “natura” del sistema dei controlli interni nelle banche: e cioè quella di dover svolgere un tipo di controllo che è orientato sia all’“efficienza della gestione” – orientato a favore dei managers in quanto diretto a fornire loro le informazioni di cui gli stessi necessitano per migliorare i processi organizzativi e decisionali e le performance della società – sia alla “corretta gestione” – effettuato “sull’amministrazione” in quanto diretto ad acquisire informazioni sulla correttezza della gestione e sul modo in cui la stessa è contabilmente descritta». 27 In merito, rileva Abriani, Corporate governance e sistema monistico: linee evolutive, in Riv. soc., 2019, p. 541, come la dialettica dei componenti il comitato per il controllo sulla gestione si sostanzi in un take part in the board, per sua natura differente dal «pur scrupoloso attend che impegna il collegio sindacale ai sensi dell’art. 2405 del codice civile». Sul punto, l’A. rinvia altresì a Stella Richter jr., Partecipare, intervenire e assistere alle adunanze degli organi collegiali delle società azionarie, in Riv. soc., 2013, p. 892.
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da adottare in misura molto più approfondita e diretta rispetto agli altri organi di controllo, posto che concorrono direttamente alla loro adozione, e conseguentemente offrire la propria vigilanza-consulenza in tempo reale, ottimizzando le tempistiche di adozione delle decisioni e consentendo un ulteriore momento di ponderazione non basato unicamente su valutazioni di carattere gestorio28. La vigilanza si qualifica come più penetrante nel sistema monistico proprio perché l’esercizio del controllo in questo caso non presuppone l’estraneità dei controllori alla gestione e la dicotomia tra amministrazione e controllo, quanto piuttosto uno stretto collegamento tra le due funzioni: la seconda non si limita però a individuare gli errori e le inefficienze della prima, ma indica anche quali azioni intraprendere per rimediare29. 2.1. Segue. I poteri nella funzione di controllo. Nel delineare le caratteristiche del sistema di amministrazione e controllo monistico, la legge delega per la riforma del diritto societario aveva stabilito che al comitato per il controllo sulla gestione venissero attribuiti adeguati poteri di informazione ed ispezione (art. 4, co. ottavo, lett. d). L. 366/2001)30. Tali poteri si sarebbero rivelati funzionali non solo
28 Si consideri inoltre come il ruolo del comitato per il controllo sulla gestione possa essere ulteriormente valorizzato mediante un ampliamento statutario delle funzioni al medesimo attribuite: in tal senso, v. Abriani, Corporate governance e sistema monistico: linee evolutive, in Riv soc., 2019, p. 542. 29 In questo senso, è possibile che le valutazioni dei membri del comitato si spingano a sindacare scelte di merito, di opportunità e di convenienza effettuate dal consiglio di amministrazione o dagli organi delegati. Si tratta tuttavia di scelte attinenti in questo caso all’organizzazione dell’attività sociale, e dunque non direttamente connesse al compimento di operazioni dal carattere marcatamente gestorio. Fermo restando che l’attività di consulenza e ponderazione del comitato è volta a fornire il Consiglio di amministrazione di un fondamento informativo più approfondito sul quale prendere le proprie decisioni, la competenza all’adozione di queste ultime permarrebbe tuttavia saldamente nelle mani dell’organo amministrativo (Calandra Buonaura, I modelli di amministrazione e controllo nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003, I, pp. 535 ss., a pp. 540 ss.). 30 Sull’impatto della riforma rispetto ai controlli societari, con particolare riguardo rispettivamente per le «duplicazioni e/o sovrapposizioni che creano incertezze sulle aree di competenza e, quindi, di responsabilità dei diversi organi competenti» e per la «natura e la collocazione del comitato per il controllo sulla gestione», Malguzzi, Il sistema dei controlli e il flusso delle informazioni delle società quotate. Conclusioni. Il ruolo cruciale dell’internal audit e Rigotti, I modelli di amministrazione monistico e dualistico: aspetti peculiari e casi di applicazione, in Riv. dott. comm., 2007, pp. 111 ss.
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al corretto ed adeguato esercizio dei doveri di monitoraggio attribuiti all’organo di controllo, ma altresì a far fronte alle più analitiche e dettagliate verifiche richieste dall’art. 2408 c.c., potenzialmente seguite da una richiesta di convocazione dell’assemblea o da una denunzia al tribunale ai sensi dell’art. 2409, co. 7, c.c. Dal punto di vista del flusso informativo che il comitato per il controllo sulla gestione è tenuto ad instaurare con il Consiglio di amministrazione, è possibile notare in primo luogo come l’appartenenza dei membri del CCG a entrambi gli organi favorisca, rispetto a quanto previsto in relazione al modello tradizionale, la circolazione delle informazioni31. Tuttavia, nell’ambito delle prerogative del comitato per il controllo sulla gestione necessarie onde rendere pienamente efficiente ed efficace tale flusso informativo, manca ogni richiamo, nell’art. 2409-octiesdecies c.c. all’art. 2403-bis c.c., che disciplina i poteri del collegio sindacale nelle società chiuse32. La scelta del legislatore appare in tale caso una scelta consapevole, confermata dagli interventi in materia di società quotate, i quali hanno sostanzialmente equiparato i poteri del comitato per il controllo sulla gestione a quelli del collegio sindacale, pur lasciando invariato il quadro normativo relativo alle società chiuse. In quest’ottica, sembrerebbe così che il legislatore abbia ritenuto sufficienti, al fine di svolgere la funzione
31 Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, in Sistemi alternativi di amministrazione e controllo, a cura di Ghezzi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2005, p. 311. 32 Si noti invece che, con riguardo al modello dualistico, i co. 2 e 3 dell’art. 2403-bis c.c. sono espressamente richiamati dall’art. 2409-quaterdecies c.c., relativo al consiglio di sorveglianza. Data altresì la diversità strutturale dell’organo di controllo nel sistema monistico dal collegio sindacale non sembra possibile poter applicare l’art. 2403-bis c.c. superando il vaglio di compatibilità imposto dall’art. 223-septies disp. att. c.c. Cfr. Guaccero, Di Marcello, Codice civile, società quotate, banche, intermediari e assicurazioni: un solo monistico?, in AGE, 2016, p. 112; Calandra Buonaura, I modelli di amministrazione e controllo nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003, I, pp. 535 ss., a pp. 547 ss.; Olivieri, Appunti sui sistemi di controllo nelle società per azioni “chiuse”, in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze. Studi in onore di Giuseppe Zanarone, diretto da Benazzo, Cera, Patriarca, Torino, 2011, pp. 522 ss. Si consideri inoltre che, tra le norme espressamente richiamate dall’art. 2409-noviesdecies c.c. (e dunque applicabili al monistico), non compare nemmeno l’art. 2403 c.c., in tema di dovere dell’organo di controllo di vigilare. Considera “fake opinion” il fatto che per tale mancato richiamo il comitato non sia chiamato, in quanto organo di controllo, a vigilare sull’osservanza della legge, e dello statuto, nonché sull’osservanza dei principi di corretta amministrazione, Marchetti, Sistema monistico. Introduzione, in Riv. soc., 2019, p. 514.
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di membro del comitato per il controllo sulla gestione, i poteri che a tali soggetti sono già attribuiti in virtù del loro ruolo di amministratori33. In forza dell’art. 2381, co. 6, c.c., gli amministratori sono infatti singolarmente tenuti ad agire in modo informato e possono altresì richiedere che gli organi delegati riferiscano in consiglio sulla gestione della società34. Per le società chiuse di maggiori dimensioni, e dunque dalla crescente complessità operativa, appare necessario provvedere a risolvere tali lacune sul piano dei poteri attribuiti al comitato per il controllo sulla gestione tramite apposite disposizioni statutarie. In particolare, si dovrebbero assumere quali parametri di riferimento le disposizioni contenute nell’art. 151-ter t.u.f., specificatamente dedicato al CCG delle società quotate, e le disposizioni di cui all’art. 10 del Codice di Autodisciplina, con relativo Commento35. Per quanto riguarda l’esercizio di poteri ispettivi e di controllo da parte del comitato nelle società chiuse, pesa soprattutto il mancato richiamo del primo comma dell’art. 2403-bis, c.c., ai sensi del quale i sindaci possono anche individualmente procedere ad atti di ispezione e controllo. Nel tentativo di porre almeno parziale rimedio a tale lacuna, negli anni immediatamente successivi alla Riforma, parte della dottrina ha sostenuto che la vigilanza sulla gestione, tradotta nel dovere di agire informato, abbia a gravare individualmente su ogni singolo componente del Consiglio di amministrazione. Tale prospettiva permetteva lo svolgimen-
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Cfr. Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, in Sistemi alternativi di amministrazione e controllo, a cura di Ghezzi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2005, p. 312; Franzoni, Le società. Gli amministratori e i sindaci, Torino, 2002, pp. 561 ss. 34 I poteri attribuiti ai sindaci dalla disciplina riguardante il sistema tradizionale appaiono tuttavia più incisivi. Tutti i sindaci sono infatti tenuti a partecipare alle riunioni del Consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo, ove esistente; in aggiunta, il collegio sindacale riceve ogni centottanta giorni una relazione da parte degli organi delegati riguardante il generale andamento della gestione e la sua prevedibile evoluzione nonché le operazioni effettuate dalla società o dalle controllate che risultino di maggior rilievo (cfr. art. 2381, co. 5, c.c.). Ai sensi dell’art. 2403-bis c.c., il collegio sindacale può anche svolgere un ruolo più attivo e chiedere direttamente agli amministratori informazioni sul compimento delle operazioni sociali ovvero riguardanti affari determinati, anche riferibili a società controllate (cfr. art. 2403-bis, co. 2, c.c.). Infine, i sindaci possono scambiare dati e informazioni con i corrispettivi organi di controllo delle società controllate e, in forza dell’art. 2409-septies c.c., richiedere e ottenere in via tempestiva informazioni da parte del soggetto incaricato di svolgere il controllo contabile. 35 Così Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, cit., p. 313.
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to della fase istruttoria, preliminare all’assunzione di decisioni da parte dell’organo amministrativo, da parte di ciascun singolo amministratore, legittimando in questo modo il compimento di verifiche, ispezioni e controlli36. Se al singolo, e quindi anche ai membri del Comitato per il controllo sulla gestione, era permesso esercitare in forma individuale poteri di ispezione e verifica, a maggior ragione si doveva riconoscere una loro attribuzione al comitato inteso in senso collegiale37. Questa ricostruzione, volta ad incentrare i controlli e l’esercizio dei relativi poteri sul consiglio di amministrazione, relegando il comitato per il controllo sulla gestione ad una funzione quasi ancillare, è stata oggetto di forti critiche. Ritenuta non compatibile con la ratio della riforma stessa38, tale lettura si espone anche a notevoli ostacoli di carattere pratico, posto che, all’esercizio di poteri ispettivi in forma individuale da parte dell’amministratore membro del CCG, il comitato esecutivo o gli amministratori delegati possono opporre esigenze di segretezza, frustrando l’esito di tali atti di controllo. Al singolo consigliere in tal caso non rimarrebbe che sollevare la questione in sede consiliare, sollecitando il plenum ad adottare le deliberazioni necessarie per superare l’ostracismo attuato dagli organi delegati39.
36 Libonati, Notarelle a margine dei nuovi sistemi di amministrazione della società per azioni, in Riv. soc., 2008, pp. 302 ss., secondo cui i componenti del comitato per il controllo sulla gestione potrebbero esercitare tutti i poteri “standard” propri dell’amministratore non esecutivo, tra i quali rientrerebbero altresì iniziative individuali di ispezione e controllo su quanto avvenga all’interno della società. Tale linea di pensiero riconduce il mancato richiamo dell’art. 2403-bis, co. 1, c.c. da parte dell’art. 2409-octiesdecies, co. 6, c.c. alla circostanza che «i componenti il comitato di controllo hanno infatti pieni poteri di indagine per esplicare la loro funzione di controllo e di vigilanza: e nell’ambito di una dialettica interna all’organo amministrativo ben potranno anche chiedere, rectius pretendere, che gli amministratori esecutivi forniscano al consiglio informazioni quando ritengano necessario un giudizio collegiale su vicende che ritengano rilevanti» (a p. 305). Cfr. anche Magnani, Commento sub art. 2409-octiesdecies, in Il nuovo diritto, a cura di Maffei, Alberti, vol. II, Padova, 2005, p. 1191. 37 Così Fortunato, I controlli nella riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2003, p. 889, secondo il quale «soprattutto non sembra che ai membri del comitato, in quanto amministratori, debbano riconoscersi poteri inferiori a quelli che spettano ad ogni amministratore, semmai superiori e congrui alle particolari funzioni di controllo affidate». Nello stesso senso anche Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, cit., p. 313. 38 Montalenti, Le regole di governance delle società per azioni: il punto di vista del giurista, in La riforma delle società di capitali. Aziendalisti e giuristi a confronto, a cura di Abriani, Onesti, Milano, 2004, pp. 51 ss. 39 Tra le deliberazioni potenzialmente adottabili potrebbe valersi di quella di revoca della delega gestoria. Si ricorda che, al fine di evitare di incorrere in responsabilità qua-
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Si potrebbe da ultimo sostenere che il comitato delle società chiuse possa comunque, quindi anche in mancanza di una espressa previsione in tal senso, procedere ad atti di controllo ed ispezione, essendo l’esercizio di tale potere strettamente connesso ad un pieno adempimento del dovere di vigilare sull’adeguatezza degli assetti organizzativi della società40. In questo senso, gli artt.150, co. 3-5, e 151-ter t.u.f., che regolano i poteri di indagine e informazione del comitato per il controllo sulla gestione delle società per azioni quotate, potrebbero considerarsi una specificazione di regole generali, applicabili perciò a tutte le società, anche non quotate41. Se si accogliesse tale interpretazione, al comitato per il controllo sulla gestione delle società chiuse verrebbe riconosciuto il potere di compiere atti ispettivi, da esercitare in via necessariamente collegiale, pur conservando la possibilità di delegare il compimento di specifici atti ispettivi ad un singolo componente designato, come previsto per le società quotate dall’art. 151-ter, co. 4, t.u.f. Ad ogni modo, risulta preferibile affiancare all’attività di applicazione analogica degli articoli sopra richiamati, apposite disposizioni statutarie che risultino in grado di fugare in via definitiva e completa ogni dubbio circa la reale portata delle prerogative ispettive ed informative del Comitato per il controllo sulla gestione nelle società chiuse42. Con riguardo invece alle società quotate, la disciplina dei poteri del comitato per il controllo sulla gestione è contenuta nell’art. 151-ter t.u.f., che completa l’opera di armonizzazione della disciplina dei poteri applicabili agli organi di controllo dei sistemi alternativi con quella relativa al collegio sindacale, e si pone, come accennato, nell’ottica di soddisfare
lora la proposta di delibera venga rigettata, l’amministratore che ha portato la questione all’attenzione del consiglio dovrà far constare il proprio dissenso nelle forme previste dalla legge. Cfr. Franzoni, Le società. Gli amministratori e i sindaci, Torino, 2002, p. 255. 40 Cfr. Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, cit., p. 313. 41 Tale orientamento risulta sostenuto da Guaccero, Di Marcello, Codice civile, società quotate, banche, intermediari e assicurazioni: un solo monistico?, in AGE, 2016, pp. 111 ss.; Di Marcello, Sistema monistico e organizzazione delle società di capitali, Milano, 2013, pp. 224 ss.; e, con riguardo ad alcuni poteri, Montalenti, Il controllo sulla gestione, in La società per azioni, Abriani, Ambrosini, Cagnasso, Montalenti, Padova, 2010, p. 698. Contra, tuttavia con solo riferimento all’art. 151-ter t.u.f., Mosca, I principi di funzionamento del sistema monistico. I poteri del comitato di controllo, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa, Portale, Torino, 2006, p. 755. 42 Di questo avviso, Marchetti, Sistema monistico. Introduzione, in Riv. soc., 2019, pp. 511 ss.
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l’esigenza di disporre prescrizioni puntuali, non consistenti in meri rinvii, che tengano in adeguata considerazione le complessità e le caratteristiche proprie del sistema monistico all’interno delle società quotate43. Se tale norma equipara i poteri attribuiti al comitato a quelli di cui è investito il collegio sindacale, tuttavia, essa individua al contempo forti differenze con riguardo ai poteri di cui è titolare ciascun membro dell’organo di controllo nel sistema monistico. Infatti, nel sistema tradizionale, i sindaci delle società quotate possono procedere ad atti di ispezione e controllo anche individualmente, senza dover essere appositamente delegati o autorizzati dal collegio. Tale prospettiva appare invece preclusa nell’ambito del sistema monistico, posto che non si può equiparare l’e-
43 L’articolo in esame attribuisce al comitato un incisivo potere informativo che consiste nella facoltà di richiedere, anche in forma individuale, notizie ed informazioni sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari sia agli amministratori della società sia agli organi di amministrazione e controllo delle società controllate. Le notizie così ottenute dovranno poi essere estese a tutti i membri dell’organo, così da garantire una informativa “di natura collegiale”. Ma non si tratta dell’unico potere informativo attribuito al comitato per il controllo sulla gestione nell’ambito delle società quotate: l’art. 150, co. 5, t.u.f. affida infatti al CCG alcune prerogative proprie del collegio sindacale, tra cui il potere di ricevere dalla società di revisione i dati e le informazioni rilevanti per l’espletamento delle proprie funzioni e il potere di sollecitare informazioni ai preposti alle funzioni di controllo interno (esercitabile in forma individuale ed indipendentemente da una legittimazione collegiale da parte dei singoli membri del comitato). Non solo. Ciascun componente dell’organo può richiedere al Presidente del comitato la convocazione dell’organo medesimo (art. 151-ter, co. 2, t.u.f.), che dovrà essere effettuata – di regola – “senza ritardo”. Detta prerogativa trova corrispondenza nella disciplina del collegio sindacale ex art. 151 t.u.f. e del consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico ex art. 151-bis t.u.f. La disposizione in parola (art. 151-ter t.u.f.) pone però anche altre questioni: ciascun componente del comitato per il controllo sulla gestione delle società quotate viene altresì investito del potere di convocare direttamente il consiglio di amministrazione o il comitato esecutivo, previa comunicazione al Presidente del Consiglio di amministrazione (comma terzo); il comitato per il controllo sulla gestione può altresì «avvalersi di dipendenti della società per l’espletamento delle proprie funzioni», anche in questo caso previa comunicazione al Presidente del Consiglio di amministrazione (rafforzando sensibilmente l’incisività dei controlli esercitabili dal Comitato per il controllo sulla gestione e legittimando un uso sistematico delle strutture interne da parte dell’organo di controllo, con potenziali rischi di interferenza con le mansioni e l’organizzazione del personale decise dal management e dagli amministratori esecutivi) (comma terzo). Da ultimo, il comitato per il controllo sulla gestione, collegialmente o delegando un proprio membro, dispone anche di poteri più propriamente ispettivi, nonché legati allo scambio di informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo ed all’andamento generale dell’attività sociale.
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sercizio in forza di delega da parte dell’organo ad un esercizio in forma individuale slegato da ogni legittimazione da parte del plenum44. Nel sistema monistico è così necessaria, al fine di consentire al singolo il corretto ed efficace esercizio dei poteri ispettivi in forma individuale, non soltanto una deliberazione preventiva con la quale il Comitato per il controllo sulla gestione determina di far uso di tali poteri attribuiti dal t.u.f., ma altresì una seconda deliberazione con cui viene espressamente conferita la delega all’esercizio di tali poteri ad un determinato membro dell’organo stesso45. Per garantire un efficace esercizio di tale potere per mezzo della delega la dottrina sottolinea come sia preferibile che questa non venga rilasciata con riferimento a singoli atti circoscritti, bensì investa il soggetto delegato anche di una certa discrezionalità, così che questi possa procedere con un accettabile grado di flessibilità ed autonomia al compimento dei propri compiti nella forma via via ritenuta più adatta46. Alla luce di quanto precede, l’operatività del comitato risulta essere appesantita dalla regola dell’esercizio collegiale o tramite delega dei poteri ispettivi, comportando pertanto tempi più dilatati per l’assunzione di decisioni e maggiori rigidità formali, inerenti soprattutto alla necessità di giungere ad un accordo interno prima di intraprendere qualunque azione47. Inoltre, a differenza di quanto previsto con riferimento al collegio sindacale, al comitato per il controllo sulla gestione delle società quotate non è esplicitamente attribuito il potere di convocazione dell’assemblea
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Ne deriverebbe così che i membri del comitato non disporrebbero di poteri più ampi rispetto a quelli attribuiti a qualunque altro amministratore non esecutivo. Cfr. Irrera, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, 2005, p. 246. 45 In proposito osservano Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, cit., p. 316, che, conformemente all’interpretazione dell’analogo potere individuale previsto per il collegio sindacale delle società chiuse dall’art. 2403-bis c.c., il membro delegato ad esercitare il potere di compiere atti di ispezione e controllo è titolare della facoltà di operare una selezione sui dati raccolti, così da riportare nella propria relazione all’organo riguardante l’attività svolta solamente quelle informazioni ritenute rilevanti. 46 Sottolineano Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, cit., p. 317, come la delega possa contenere l’autorizzazione al compimento di atti ispettivi e di controllo senza contenere vincoli relativi a specifiche operazioni od indagini. Cfr. altresì Regoli, Commento all’art. 151-ter, in Il Testo Unico della Finanza, a cura di Fratini, Gasparri, Torino, 2012, p. 2057 ss. 47 Cfr. Mosca, I principi di funzionamento del sistema monistico. I poteri del comitato di controllo, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa, Portale, Torino, 2006, p. 756; Regoli, Commento all’art. 151-ter, cit., p. 2060.
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dei soci48. Mancando dunque una disciplina specifica, si ritiene che il potere di convocazione dell’assemblea risulti disciplinato dalle norme codicistiche di diritto comune, dettate con riguardo alle società non quotate che abbiano optato per il sistema monistico49. In tali società, il comitato per il controllo sulla gestione risulta legittimato a convocare l’assemblea nel caso in cui, nel quadro del procedimento di denuncia dei soci ex art. 2408 c.c. (applicabile al monistico poiché richiamato dall’art. 2409-octiesdecies, co. 6, c.c.), ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità in relazione ai quali si riscontri una urgente necessità di provvedere (art. 2406, co. 2, c.c.). Un’ulteriore ipotesi nella quale sarebbe configurabile un potere di convocazione si avrebbe nel caso disciplinato dall’art. 2367, comma 2, c.c.50. Non è invece richiamata la facoltà di convocazione disciplinata dall’art. 2406, comma 1, c.c., ai sensi della quale il collegio sindacale procede a convocare l’assemblea in caso di omissione o ritardo da parte degli amministratori51. Uno specifico flusso informativo tra il comitato per il controllo sulla gestione e gli organi delegati è altresì previsto dall’art. 150, co. 1 e 2, t.u.f. Ai sensi del relativo combinato disposto, gli organi delegati sono tenuti a riferire al comitato tempestivamente, secondo modalità stabilite in via statutaria ma con periodicità almeno trimestrale, «sull’attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario, e patrimoniale, effettuate dalla società o dalle società controllate». Particolare risalto in tale relazione andrà posto con riguardo alle operazioni nelle quali gli amministratori abbiano un interesse, per conto proprio o di ter-
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Tale potere è disciplinato per il collegio sindacale nell’ambito del sistema tradizionale dall’art. 151, co. 2, t.u.f. In tal caso, il presupposto è la preventiva comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, e, in caso di esercizio in forma individuale, l’impulso da parte di almeno due sindaci. 49 In questo senso, Regoli, Commento all’art. 151-ter, cit., p. 2060; Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, cit., p. 302; Guaccero, Commento all’art. 2409-sexiesdecies, in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini, Stagno-D’Alcontes, Napoli, 2004, pp. 922 ss. 50 Così Regoli, Commento all’art. 151-ter, cit., p. 2061; Ghezzi, Rigotti, Commento sub art. 2409-octiesdecies, cit., p. 303. 51 Ciò indurrebbe a ritenere non praticabile una applicazione in via analogica di tale disposizione al comitato per il controllo sulla gestione. In questo senso, Ghezzi, Rigotti, Commento all’art. 151-ter, cit., p. 302; Regoli, La funzione di controllo nel sistema monistico, in Aa. Vv., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Piras, Torino, 2007, pp. 599 ss.
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zi, o che siano influenzate dal soggetto che esercita attività di direzione e coordinamento sulla società52. Tale disposizione concerne un flusso informativo anch’esso specificatamente rivolto al comitato per il controllo sulla gestione che, se posto in relazione con le disposizioni appena analizzate di cui all’art. 151-ter t.u.f., disegna il perimetro dei flussi informativi ad esso riferiti in misura particolarmente estesa. Nella medesima prospettiva si collocano altresì i commi 3 e 4 del medesimo art. 150 t.u.f., applicabili al CCG in virtù del comma 5. In tali norme, si prevede sia un’interlocuzione reciproca tra il comitato per il controllo sulla gestione e il revisore legale (co. 3) sia un contatto diretto tra l’organo di controllo e il soggetto preposto al controllo interno (co. 4). Il quadro che emerge dall’analisi delle disposizioni in materia di poteri attribuiti al comitato per il controllo sulla gestione nell’ambito delle società quotate permette di delineare la posizione informativa degli amministratori membri dell’organo con funzione di controllo in via più incisiva rispetto a quella dei semplici amministratori non esecutivi53.
3. La funzione di controllo nelle società bancarie. La funzione di controllo nell’ambito della disciplina speciale54 dettata per le banche assume un ruolo di primo piano55, essendo qualificata
52 Cfr. Valensise, Spigolature sul comitato per il controllo sulla gestione del sistema monistico, in AGE, 2016, p. 182. 53 Cfr. Valensise, Spigolature, cit., p. 189; Regoli, La funzione di controllo, cit., p. 584. 54 Sull’esistenza di un vero e proprio diritto speciale delle banche organizzate in forma di società per azioni, v. Stella Richter jr., I sistemi di controllo delle banche tra ordinamento di settore e diritto comune. Notazioni preliminari, in Riv. soc., 2018, p. 326, secondo il quale tale diritto si caratterizzerebbe «per una netta differenziazione rispetto al diritto comune delle imprese societarie proprio in ragione di una (assai) più marcata presenza di norme di stampo pubblicistico, di una pervasiva funzione di regolamentazione affidata ad autorità pubbliche e per una ricca serie ulteriore di prescrizioni di vigilanza». Più diffusamente da parte dello stesso autore sul medesimo argomento, v. Stella Richter jr., A proposito di bank government, corporate governance, e Single supervisory Mechanism governance, in questa Rivista, 2016, pp. 772 ss. Nella dottrina straniera, Armour et al., Bank governance, ECGI Working Paper n. 316/2016, pp. 1 ss.; Macey, O’Hara, The Corporate Governance of Banks, Federal Reserve Bank of New York Policy Rev., 1/2016, pp. 82 ss. Per quanto riguarda invece il fenomeno di overregulation in ambito bancario, v. Mirone, Regole di governo societario e assetti statutari elle banche tra diritto speciale e diritto generale, in Banca, impr., soc., 2017, pp. 33 ss. 55 In argomento, ex multis, Calandra Buonaura, L’impatto della regolamentazione
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quale una delle tre funzioni rilevanti per la vigilanza svolta dalla Banca d’Italia, unitamente alla funzione gestoria e alla funzione di supervisione strategica56. Ai sensi della Circolare 285/201357, l’organo con funzione di controllo (nel caso di adozione del monistico, il comitato per il controllo sulla gestione) è chiamato a vigilare sulla osservanza delle norme di legge, regolamentari e statutarie, nonché sulla corretta amministrazione, sulla adeguatezza degli assetti organizzativi e contabili della banca, e sulla funzionalità del sistema dei controlli interni58. Al fine di adempiere
sulla governance bancaria, in Banca, impr., soc., 2019, pp. 27 ss.; Mirone, Regole di governo societario e assetti statutari delle banche tra diritto speciale e diritto generale, in Riv. ODC, 2017, n. 2, consultabile all’indirizzo rivistaodc.eu; Portale, La corporate governance delle società bancarie, in Riv. soc., 2016, pp. 48 ss.; Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012; Brescia Morra, Il diritto delle banche, Bologna, 2016; Calandra Buonaura, Il ruolo dell’organo di supervisione strategica e dell’organo di gestione nelle disposizioni di vigilanza sulla corporate governance e sui sistemi di controllo interno delle banche, in Banca, impr., soc., 2015, pp. 19 ss.; Frigeni, Prime considerazioni sulla normativa bancaria in materia di supervisione strategica, in Banca, borsa, tit. cred, 2015, I, pp. 485 ss.; Portale, Amministrazione e controllo nel sistema dualistico delle società bancarie, in Riv. dir. civ., 2013, pp. 25 ss.; Schwizer, Internal governance. Nuove regole, esperienze e best practice per l’organizzazione dei controlli interni nelle banche, Milano, 2013; Minto, La governance bancaria tra autonomia privata ed eteronomia, Padova, 2012; Calandra Buonaura, Crisi finanziaria, governo delle banche e sistemi di amministrazione e controllo, in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze, a cura di Benazzo, Cera, Patriarca, Torino, 2011, pp. 651 ss. Cfr., da ultimo, anche con riguardo ai controlli interni in ambito bancario, Scotti Camuzzi, Le nuove disposizioni di vigilanza sul sistema dei controlli interni delle banche. Un commento introduttivo, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, pp. 147 ss. 56 Per un approfondimento storico sull’evoluzione della disciplina regolamentare di Banca d’Italia in materia, Montalenti, Il sistema dei controlli societari: un quadro d’insieme, in Giur. it., 2013, p. 2175 ss. Cfr. altresì Marchetti, Disposizioni di vigilanza su organizzazione e governo societario delle banche, in Riv. soc., 2012, pp. 413 ss. 57 Si veda la Circolare 17 dicembre 2013 n. 285, Parte Prima, Titolo IV, Capitolo I, Sezione III, punto 3.1. Per una approfondita analisi, v. Tomasi, Sistema dei controlli interni e responsabilità della banca (11° Aggiornamento 21 Luglio 2015 della Circ. 17 Dicembre 2013, n. 285), in Nuove leggi civ. comm., 2017, pp. 1062 ss. Di fatto, le società bancarie godono di una capacità di autodeterminazione dei propri assetti organizzativi fortemente circoscritta. Ciò soprattutto alla luce della necessità di garantire il perseguimento della sana e prudente gestione, che si traduce nel mantenere stabilità ed efficienza del sistema bancario nel complesso: sul punto, Minto, La speciale natura dell’incarico amministrativo in banca tra limitazioni alla discrezionalità organizzativa e vincoli sull’agire in modo informato, in Giur. comm., 2015, I, p. 36. 58 Del resto, se si pone a mente il fatto che l’attività gestoria di per sé richiede lo svolgimento periodico di verifiche sulla stessa, allo stesso modo la Circolare prevede che l’organo di controllo debba essere coinvolto nell’iter decisionale di tutta quella serie di
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con efficacia tali compiti, il comitato dovrà inoltre approntare un sistema di efficace ed incisiva interazione con tutte le strutture e le funzioni in cui si articola il sistema dei controlli interni nell’ambito della società bancaria, con particolare riferimento alle sezioni di internal audit, risk management, e compliance59. L’organo di controllo interno è inoltre chiamato a verificare l’adeguatezza e la coerenza del processo di determinazione del capitale interno (ICAAP) rispetto ai requisiti posti dalla normativa in materia60.
aspetti che riguardano la materia di cui è investito, tra cui si ricorda la nomina e revoca dei responsabili delle funzioni aziendali interne nonché la definizione degli assetti essenziali della cornice complessiva del sistema dei controlli interni. Al riguardo, Mirone (Regole di governo, cit., pp. 74 s.) giunge a constatare che, nel complesso, all’organo di controllo spetterebbe un ruolo di indirizzo. Al riguardo, Pedersoli (Il collegio sindacale nelle società per azioni bancarie, Milano, 2018, p. 228) rileva come la principale differenza tra il collegio sindacale nelle società bancarie rispetto al medesimo organo di controllo nelle società chiuse sia proprio il coinvolgimento nella predisposizione degli assetti di controllo. Cfr., da ultimi, Calandra Buonaura, L’impatto della regolamentazione sulla governance bancaria, in Banca, impr., soc., 2019, 41, per il quale «[i]l comitato per il controllo sulla gestione, in quanto composto da amministratori, ha certamente una maggiore capacità di influire sul processo decisionale di quanto sia consentito ad un organo di controllo esterno che a tale processo non partecipa direttamente». L’A. tuttavia non ritiene di poter abbracciare acriticamente tale conclusione e sottolinea come la compartecipazione alle decisioni dell’organo amministrativo da parte dei membri del comitato per il controllo sulla gestione monistico possa «rappresentare una remora all’esercizio di questa funzione o condurre ad una paralisi decisionale in tutti i casi in cui la decisione da adottare, pur non essendo palesemente illegittima o contraria a principi di corretta amministrazione, può presentare aspetti di criticità», e Stella Richter jr., Variazioni sul sistema monistico per le società quotate, in AGE, 2019, a p. 550. 59 Specificatamente sul ruolo del risk management nel contesto bancario, Bianchi, Bilanci, operazioni straordinarie e governo dell’impresa, Milano, 2013, pp. 433 ss.; Pedersoli, Il collegio sindacale nelle società per azioni bancarie, Milano, 2018, pp. 225 s. 60 In questo senso, De Pra, Il nuovo governo societario delle banche, in Nuove leggi civ. comm., 2015, pp. 525 ss. Negli ultimi anni, il tema del governo dei rischi all’interno delle istituzioni finanziarie ha assunto dimensioni sempre più rilevanti. Ciò ha condotto ad un aumento delle differenze che già contraddistinguevano la governance bancaria rispetto a quella comune, e alla predisposizione di una serie di procedure e requisiti per le banche fortemente specializzati e diversi da quelli in vigore per le società non bancarie. Si è avuto modo così di osservare che la risk governance in ambito bancario si lega alla normativa comunitaria dettata in materia di adeguatezza patrimoniale, divenendo al tempo stesso un elemento irrinunciabile dei processi di revisione e di audit interno connessi alla valutazione dei rischi e alla conseguente determinazione del corretto livello di dotazione patrimoniale da mantenere. Sull’importanza del “rischio” nel contesto del governo societario di una banca, Frigeni, La governance bancaria come risk governance: evoluzione della regolamentazione internazionale e trasposizione nell’ordinamento
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Fase iniziale e imprescindibile per il corretto esercizio della funzione di controllo all’interno delle società bancarie è quella ricognitiva, che consiste nella raccolta da parte dell’organo di controllo di dati ed informazioni riguardanti l’attività sociale. Nello specifico, i membri del CCG61 sono destinatari di una serie di flussi informativi almeno semestrali da parte degli organi gestori delegati, ai sensi della disciplina contenuta nell’art. 2381, comma 6, c.c. e, in forza dell’art. 150, co. 4, t.u.f., in combinato disposto con il comma 5, sono destinatari di flussi informativi anche da parte delle funzioni aziendali di controllo. La Circolare 285/2013 conferma tale impostazione, attribuendo all’organo di controllo la prerogativa di avvalersi delle strutture di controllo interno nell’esercizio delle proprie attività e prevedendo che queste ultime debbano indirizzare al comitato per il controllo sulla gestione «adeguati flussi informativi periodici o relativi a specifiche situazioni o andamenti aziendali»62. Ciò che potrebbe apparire come una mera facoltà in capo all’organo di controllo viene delineato dalla Circolare 285/2013 come vero e proprio obbligo: il comitato per il controllo sulla gestione è così tenuto ad avvalersi dei flussi informativi provenienti dalle varie funzioni interne di controllo, senza tuttavia precludere la possibilità che nell’adempimento dei propri doveri possa ricorrere ad ulteriori e diverse fonti di informazione63. Nell’ambito della vigilanza ricognitiva, tale strutturazione dei flussi informativi delinea una sequenza temporale dei controlli nella quale è attribuito, a monte, al comitato per il controllo sulla gestione il ruolo di “coordinatore”64 del sistema dei controlli, mentre, a valle, il
italiano, in Regole e Mercato, a cura di Mancini et al., vol. 1, Torino, 2016, pp. 45 ss. 61 In relazione al sistema monistico, si sottolinea come all’agosto 2019, tra le società bancarie che siano al tempo stesso quotate solamente due abbiano optato per tale modello di amministrazione e controllo. Lo scarso interesse è tuttavia compensato dal peso e dall’importanza relativa di tali istituti (Intesa Sanpaolo S.p.A. e UBI Banca S.p.A.). Sulle prospettive future di adozione del monistico nell’ambito bancario, Abriani, Banche e sistema monistico: l’ultimo sarà il primo?, 6 dicembre 2018, consultabile all’indirizzo www.dirittobancario.com. 62 Circolare 17 dicembre 2013 n. 285, Parte Prima, Titolo IV, Capitolo I, Sezione III, punto 3.1. 63 Cfr. De Pra, Il nuovo governo societario delle banche, in Nuove leggi civ. comm., 2015, pp. 525 ss. 64 Montalenti, I controlli societari: recenti riforme, antichi problemi, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, I, p. 543, secondo il quale «il problema del coordinamento tra organi e funzioni è questione strettamente connessa al tema delle sovrapposizioni, ma è meritevole di autonoma considerazione. Gli operatori si chiedono, infatti, come coordinare l’interno meccanismo dei controlli e cioè i rapporti tra funzioni (le diverse fattispecie
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compito di segnalare agli organi con funzione di supervisione strategica e di gestione le carenze e le irregolarità riscontrate. In questo modo la disciplina regolamentare posta dalla Banca d’Italia permette di raggiungere un pieno raccordo tra i diversi organi societari, tutti coinvolti a vario titolo e con proprie competenze nell’attività di controllo in senso lato65 della società bancaria. Tale impostazione rappresenta una significativa innovazione migliorativa66 finalizzata a conseguire quella efficacia ed efficienza67 dei controlli che dipende in ultima analisi da una costante e tempestiva attività di scambio e comunicazione delle informazioni.
di controllo) e i diversi organi ad essi deputati (sindaci, revisori, amministratori indipendenti, amministratori di minoranza, leading indipendent director, comitato audit, preposto al controllo interno, responsabile dei documenti contabili, organismo di vigilanza… ecc.). Problema che si acuisce nei settori vigilati – banche e assicurazioni – ove si aggiungono le norme speciali, primarie e secondarie, e le Istruzioni dell’Organo di vigilanza». Sul tema, v. altresì De Pra, Il nuovo governo societario delle banche, in Nuove leggi civ. comm., 2015, pp. 525 ss., il quale ritiene di dover necessariamente configurare il ruolo dell’organo con funzione di controllo, alla luce dei doveri assegnatili dalla circolare 285/2013, quale “coordinatore” dell’insieme dei controlli societari propri di un istituto bancario. In argomento, v. anche Marchetti, Controllo e gestione nel sistema dualistico, in Sistema dualistico e governance bancaria, a cura di Abbadessa, Cesarini, Torino, 2009, p. 163. Più recentemente, Libertini, La funzione di controllo nell’organizzazione della società per azioni, con particolare riguardo ai c.d. sistemi alternativi, in Riv. soc., 2014, pp. 1077 ss. 65 Così Ferro, Luzzi, Riflessioni in tema di controllo, in Diritto, mercato ed etica. Dopo la crisi. – Omaggio a Piergaetano Marchetti, a cura di Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2010, pp. 309 ss.; più recentemente, sempre sulla necessità di valutare la nozione di controllo in senso ampio, soprattutto con riguardo agli istituti bancari, si veda ScottiCamuzzi, Le nuove disposizioni di vigilanza sul sistema dei controlli interni delle banche. Un commento introduttivo, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, II, pp. 171 ss.; Minto, Assetti organizzativi adeguati e governo del rischio nell’impresa bancaria, in Giur. comm., 2014, I, pp. 1180 ss.; Nicastro, Le innovazioni normative introdotte da Basilea 3, in Banche e banc., 2011, pp. 155 ss. 66 Così Montalenti, Amministrazione e controllo nella società per azioni tra codice civile e ordinamento bancario, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, p. 727; De Pra, Il nuovo governo societario delle banche, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 575, che così argomenta la significatività di tale miglioramento normativo: «1) concretizza la finalizzazione del controllo di gestione; 2) stabilisce un ruolo attivo dell’organo con funzione di controllo per la correzione di debolezze, anomalie, criticità e violazione di normative; 3) istituisce il canale formale di connessione con l’organo con funzione di supervisione strategica e di gestione affinché questi, nell’ambito delle rispettive competenze, trasformino l’oggetto delle verifiche in decisioni correttive». 67 Per “efficienza” si deve intendere il rapporto ottimale tra risorse impiegate e la realizzazione di un sistema di controllo efficace (Cantino, Corporate governance, misurazione della performance e compliance del sistema di controllo interno, Milano, 2007,
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L’istituzione di un così forte legame tra l’organo con funzione di controllo e le funzioni aziendali appare allineata rispetto a quanto stabilito nella premessa della Circolare 285/2013, laddove si prevede che le norme contenute nel capitolo dedicato al governo societario siano volte a disciplinare «il ruolo e il funzionamento degli organi di amministrazione e controllo e il rapporto di questi con la struttura aziendale»68. Una seconda fase dell’attività di controllo risulta essere quella valutativa, contesto in cui il CCG analizza la coerenza delle determinazioni gestorie in tema di organizzazione societaria, di controlli interni, e di risk appetite framework, sia rispetto alla normativa primaria e secondaria sia alle disposizioni dettate da Banca d’Italia69. Con specifico riferimento ai controlli interni, la materia è oggetto di una disciplina molto dettagliata, che incide in misura significativa sull’autonomia del consiglio di amministrazione nel delineare i tratti organizzativi dell’istituto stesso, richiedendo così un attento e delicato compito di verifica all’organo di controllo. In particolare, in tutti gli istituti bancari risulta obbligatoria la presenza di funzioni aziendali di controllo interne quali compliance, risk management, ed internal audit70. Tali funzioni, costituenti veri e propri centri autonomi di controllo su singoli aspetti delle attività sociali71, sono rispettivamente dedicate alla verifica della conformità a norme, al processo di gestione dei rischi72 e alla valutazione della completezza,
p. 62). 68 Cfr. Circolare 17 dicembre 2013 n. 285, Parte Prima, Titolo IV, Capitolo I, Sezione I, punto I. 69 Il punto è sottolineato da Presti, Società del settore finanziario e collegio sindacale: un puzzle normativo per un’identità sfuggente, in Collegio sindacale e sistema dei controlli nel diritto societario comune e speciale, Milano, 2002, pp. 2 ss. Per un’analisi dell’«organico corpo di “Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche, prendendo anche in considerazione le ipotesi nelle quali queste ultime adottino, anziché il modello tradizionale […], quello monistico o dualistico», Costi, Governo delle banche e potere normativo della Banca d’Italia, in Giur. comm., 2008, I, pp. 1270 ss. 70 Per una approfondita disamina, si rinvia a Luciano, Adeguatezza organizzativa e funzioni aziendali di controllo nelle società bancarie e non, in Riv. dir. comm., 2017, pp. 317 ss. 71 Frigeni, La governance delle società bancarie, in Atti del Convegno regole e mercato, Siena, Università di Siena, 7-9 aprile 2016, p. 30. 72 Al riguardo Pedersoli, Il collegio sindacale nelle società per azioni bancarie, Milano, 2018, p. 207, che efficacemente riassume i principali rischi cui è assoggettata una banca: (i) rischio di credito; (ii) rischio di controparte; (iii) rischio di mercato; (iv) rischio operativo; (v) rischio di tasso di interesse; (vi) rischio di liquidità; (vii) rischio
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adeguatezza, funzionalità e affidabilità della struttura dei controlli aziendali. L’istituzione di tali funzioni, fermo restando il rischio di produrre sovrapposizioni di competenze e potenziali difficoltà di coordinamento con gli organi sociali, viene ad incidere sull’attività di verifica demandata al comitato per il controllo sulla gestione, rappresentando un’indispensabile struttura organizzativa della quale l’organo di controllo dovrà servirsi per esplicare efficacemente i propri doveri. A questo proposito, si ritiene di condividere l’orientamento dottrinale secondo il quale alla suddivisione della funzione di controllo tra vari “dipartimenti” non si accompagni un ridimensionamento dell’organo di controllo, che rimarrebbe sempre titolare del dovere di vigilanza sull’intera società e quindi anche sull’insieme di attività sottoposte allo specifico vaglio di ogni singola funzione73. Tale interpretazione appare altresì coerente con la giurisprudenza prevalente: sul piano sanzionatorio si continua infatti a registrare un atteggiamento di estremo rigore nei confronti dei componenti degli organi di controllo74, oggetto di sanzioni anche qualora le violazioni contestate attengano ad ambiti rientranti nella sfera di intervento diretto delle funzioni interne75. In questo scenario, appare condivisibile l’osservazione che ritiene l’oggetto della vigilanza da parte dell’organo di controllo debba porre
strategico; (viii) rischio di compliance; e (ix) rischio reputazionale. 73 Cfr. Sfameni, Commento sub art. 149 t.u.f., in Le società per azioni: codice civile e norme complementari, diretto da Abbadessa e Portale, Milano, 2016, pp. 4223 ss. 74 Inter alia, Cass., 22 gennaio 2018, n. 1529, che stabilisce come l’organo di controllo non debba limitarsi a compiti di “alta vigilanza” meramente formale, interpretando in modo riduttivo e burocratico le proprie funzioni; al contrario, «ai componenti […] compete la costante verifica della legittimità e della correttezza di tutte le decisioni dell’organo amministrativo, con l’obbligo di verificare carenze organizzative generali e di prevenire e contenere i possibili rischi aziendali specie di depatrimonializzazione». In argomento, v. Mosco, Lopreiato, Doveri e responsabilità di amministratori e sindaci nelle società di capitali, in Riv. soc., 2019, pp. 117 ss.; Formisani, La responsabilità dei revisori legali e il vincolo solidale con gli organi sociali, in Giur. comm., 2019, I, pp. 50 ss.; Fiore, Corporate Governance. Considerazioni sulle nuove forme di comportamento del collegio sindacale nelle società quotate, in Riv. dott. comm., 2019, pp. 29 ss. Nello specifico, sulle responsabilità dei componenti il comitato per il controllo sulla gestione, Mancuso, Il comitato di controllo sulla gestione nel modello monistico: problemi in tema di responsabilità dei componenti e invalidità delle decisioni, in Riv. soc., 2017, pp. 733 ss. 75 Cfr. Frigeni, La governance delle società bancarie, in Atti del Convegno regole e mercato, Siena, Università di Siena, 7-9 aprile 2016, pp. 31 ss. e Schwizer, Le nuove regole di corporate governance e dei controlli interni: quale impatto sulla gestione delle banche?, in Banca, impr., soc., 2015, I, pp. 7 ss.
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mente a completezza, adeguatezza, funzionalità ed affidabilità di processi, come pure ad idoneità degli aspetti organizzativi, onde attuare regole tecniche relative alla più efficiente e funzionale predisposizione del sistema dei controlli e della gestione dei rischi, guidando ed incentivando l’insieme degli attori nella cornice dei controlli societari ad un agire corretto e trasparente76. Una terza fase nell’attività svolta dal comitato per il controllo sulla gestione è rappresentata dall’esercizio dei poteri reattivi, di cui tale organo è investito al fine di porre rimedio a eventuali violazioni o irregolarità riscontrate. Nell’ambito del settore bancario, parallelamente all’attività di segnalazione svolta nei confronti dell’assemblea, disciplinata dagli artt. 2429, co. 2, c.c. e 153 t.u.f., la Circolare 285/2013 introduce altresì obblighi di comunicazione nei confronti del consiglio di amministrazione. In particolare, l’organo con funzione di controllo è tenuto, fermi restando i doveri informativi nei confronti della Banca d’Italia, a segnalare agli organi con funzioni di supervisione strategica e di gestione le carenze e le irregolarità riscontrate, potendo al tempo stesso altresì richiedere l’adozione di idonee misure correttive e verificandone nel tempo l’efficacia. L’introduzione di tale peculiare dovere di comunicazione “interna” presente nelle disposizioni emanate da Banca d’Italia sembra attribuire riconoscimento ad una sorta di intervento nelle forme della “moral suasion”, da parte di quei membri del consiglio di amministrazione aventi funzioni di controllo, nei confronti del consiglio nel suo plenum77. Se il sistema monistico risulta caratterizzato da un potere dei componenti l’organo di controllo delle società chiuse in grado di incidere su quelle scelte di natura gestoria, pur attinenti all’assetto organizzativo e del sistema dei controlli interni della società, senza che ciò comporti invasioni in sfere amministrative, nel settore bancario tali poteri risultano rafforzati dall’introduzione dell’obbligo di comunicazione di cui si è appena detto, soprattutto con riguardo alla possibilità non solo di segnalare in concreto le carenze e violazioni verificatesi, ma anche di ri-
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Mondini, Il ruolo dell’organo di controllo nelle nuove regole sulla corporate governance e sul sistema dei controlli interni, in Banca, impr., soc., 2015, I pp. 39 ss.; Petronzio, Spagnoli, Le nuove Disposizioni di vigilanza per le banche sul governo societario, in Diritto Bancario, giugno 2014, p. 17. 77 Frigeni, La governance delle società bancarie, in Atti del Convegno regole e mercato, Siena, Università di Siena, 7-9 aprile 2016, p. 32; Montalenti, Amministrazione e controllo nella società per azioni tra codice civile e ordinamento bancario, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, pp. 707 ss.
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chiedere idonee misure correttive78. Tale precisazione presuppone infatti una analisi delle irregolarità che non si fermi al vulnus singolarmente considerato, ma si occupi anche degli accorgimenti di carattere organizzativo e procedurale che possono efficacemente risolvere la situazione verificatasi79. In quest’ottica, l’ulteriore dovere di vigilare sull’efficacia delle misure adottate da parte del Consiglio di amministrazione risulta complementare ad una attività di collaborazione e consiglio che pare implicita nella normativa regolamentare in ambito bancario80. 3.1. (segue) I rapporti con il comitato controllo e rischi. Il Codice di Autodisciplina ha introdotto nell’ambito delle società quotate la prassi, già comune agli ordinamenti societari più avanzati del panorama occidentale, di articolare il plenum consiliare in comitati interni, contrassegnati da carattere tecnico e con funzioni propositive, istruttorie e consultive. Con specifico riferimento alla funzione di controllo, e ai rapporti che possono instaurarsi tra tali comitati endoconsiliari ed il comitato per il controllo sulla gestione, il comitato consultivo che rileva maggiormente è rappresentato dal comitato controllo e rischi. Soffermandosi su un aspetto solo in apparenza terminologico, la disciplina riguardante la revisione contabile81 ha previsto che, negli enti di interesse pubblico e quindi anche nelle banche e nelle società quotate,
78 Abriani, Il ruolo del collegio sindacale nella governance del nuovo millennio, in La governance nelle società di capitali, diretto da Vietti, Milano, 2013, pp. 329 ss. 79 Frigeni, La governance, cit., p. 33. 80 Sfameni, Commento sub art. 149 TUF, in Le società per azioni: codice civile e norme complementari, diretto da Abbadessa e Portale, Milano, 2016, pp. 4223 ss. sottolinea come la normativa posta dalla Banca d’Italia configuri una vigilanza di carattere continuativo e collaborativo per tutti i sistemi di amministrazione e controllo, non solo per il monistico. Il modello monistico tuttavia, a differenza degli altri sistemi di governance, si distingue per essere dotato di un organo di controllo, quale il comitato per il controllo sulla gestione, già orientato dalla normativa di diritto comune ad una vigilanza con tali caratteristiche. Cfr. Schiuma, Il sistema monistico, cit., p. 508; Mosca, I principi di funzionamento del sistema monistico. I poteri del comitato di controllo, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa, Portale, Torino, 2006, pp. 740 ss; Presti, Di cosa parliamo quando parliamo di controllo?, in I controlli societari. Molte regole, nessun sistema, a cura di Bianchini, Di Noia, Milano 2010, p. 147.; Calandra Buonaura, Il ruolo, cit., p. 19 ss. 81 Il riferimento è al d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, in attuazione della direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, e che abroga la direttiva 84/253/CEE.
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la vigilanza sul processo di informativa finanziaria, sull’efficacia dei sistemi di controllo interno, di revisione interna e di risk management, nonché sulla revisione legale dei conti e sull’indipendenza del revisore legale sia esercitata dal “comitato per il controllo interno e la revisione contabile”, che si identifica, nel sistema monistico, con il comitato per il controllo sulla gestione82. In forza di tale intervento normativo, all’organo di controllo sono state attribuite funzioni in larga parte coincidenti con quelle riservate dal Codice di Autodisciplina al “comitato per il controllo interno”. Per quanto concerne le funzioni del comitato controllo e rischi, il Codice di Autodisciplina raccomanda in primo luogo lo svolgimento da parte di quest’ultimo di un’attività consultiva a vantaggio del consiglio di amministrazione83. Inoltre, con specifico riferimento al sistema monistico, il criterio 10.C.2 enuclea due principi ai quali gli emittenti sono tenuti ad uni-
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Gasparri, I controlli interni nelle società quotate. Gli assetti della disciplina italiana e i problemi aperti, in Quad. giur., Consob, Roma, 2013, IV, pp. 46 ss.; Abriani, L’organo di controllo (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza, comitato per il controllo della gestione), in Corporate governance e «sistema dei controlli» nella s.p.a. Quaderno Cesifin, n. 55, a cura di Tombari, Torino, 2013, p. 103. In argomento, anche per un raccordo con le norme di comportamento degli organi di controllo delle società quotate, Fiore, Corporate Governance. Considerazioni sulle nuove forme di comportamento del collegio sindacale nelle società quotate, in Riv. dott. comm., 2019, pp. 29 ss. 83 Nel dettaglio, tale comitato dovrà: a) fornire al Consiglio di amministrazione dei pareri obbligatori considerati privi di efficacia vincolante, con lo scopo di consentire una deliberazione più informata e consapevole in relazione alla materia del sistema dei controlli interni, in modo che i principali rischi afferenti all’emittente e alle sue controllate risultino correttamente identificati, adeguatamente misurati, gestiti e monitorati; b) valutare con cadenza almeno annuale l’adeguatezza del sistema di controllo interno rispetto alle caratteristiche dell’impresa e al profilo di rischio assunto; c) approvare con cadenza almeno annuale il piano predisposto dal responsabile della funzione di internal audit, sentito l’organo di controllo e l’amministratore incaricato del sistema di controllo interno; d) descrivere, nella relazione sul governo societario, le principali caratteristiche del sistema di controllo interno, esprimendo la propria valutazione sull’adeguatezza dello stesso; e) valutare i risultati esposti dal revisore legale nella eventuale lettera di suggerimenti e nella relazione sulle questioni fondamentali emerse in sede di revisione legale; f) nominare e revocare il responsabile della funzione di internal audit, verificare l’adeguatezza delle risorse allo stesso assegnate per l’espletamento delle proprie responsabilità, nonché definire la relativa remunerazione coerentemente con le politiche aziendali (cfr. 7.C.1). Per una completa disamina delle singole attribuzioni del comitato controllo e rischi, Provasoli, Razionalizzazione del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, in Riv. dir. comm., 2012, pp. 603 ss. Cfr. altresì Vicari, Amministratori di banche e gestione dei crediti, in Giur. comm., 2018, I, pp. 557 ss.
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formarsi. Il primo, indicato al criterio 10.C.2, lett. a), stabilisce come gli articoli del Codice riferiti al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale trovino applicazione, “in linea di principio”, rispettivamente al consiglio di amministrazione e al comitato per il controllo sulla gestione o ai loro componenti. Il secondo criterio, disposto al punto 10.C.2, lett. b), prevede, in aggiunta, che le funzioni attribuite al comitato controllo e rischi possano essere attribuite al comitato per il controllo sulla gestione. L’unica condizione rinvenibile nel Codice di Autodisciplina in tal senso è che il comitato per il controllo sulla gestione rispetti i criteri di composizione relativi al comitato controllo e rischi stabiliti dall’art. 7 del Codice di Autodisciplina. Riferimento che sembra in particolare relativo al principio 7.P.4, in forza del quale i membri del comitato controllo e rischi devono possedere il requisito dell’indipendenza84. A ben vedere tuttavia, i membri del comitato per il controllo sulla gestione, ai sensi dell’art. 2409-septiesdecies c.c. già sono caratterizzati dal possesso del requisito di indipendenza, dunque tale condizione posta dal Codice di Autodisciplina perderebbe di ogni rilievo pratico. In tale prospettiva, si è osservato in dottrina come la concezione di indipendenza contenuta nelle previsioni autoregolamentari non si dimostri diversa rispetto a quella disciplinata dal codice civile85. L’opportunità di attribuire il ruolo e le funzioni del comitato controllo e rischi al comitato per il controllo sulla gestione risponderebbe così all’esigenza di “evitare la compresenza, all’interno del consiglio di amministrazione, di due comitati con funzioni, seppur non uguali, evi-
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Precisamente, la composizione interamente da parte di indipendenti è obbligatoria solo qualora l’emittente sia controllato da altra società quotata, o sia soggetto ad attività di direzione e coordinamento; il comitato potrà, in caso contrario, essere composto solamente da una maggioranza di consiglieri non esecutivi indipendenti (tra i quali designare il presidente). In ogni caso, almeno un membro del comitato controllo e rischi deve possedere una adeguata esperienza in materia contabile e finanziaria o di gestione dei rischi, valutata ed accertata dal Consiglio di amministrazione al momento della nomina (cfr. 7.P.4.). V. altresì Giannelli, Il consiglio di amministrazione, in La governance nelle società di capitali a dieci anni dalla riforma, diretto da Vietti, Milano, 2013, pp. 85 ss. 85 Così Rulli, Sistema monistico e codici di autodisciplina: indipendenza, ma non solo, in AGE, 2016, p. 132; Valensise, Spigolature sul comitato per il controllo sulla gestione del sistema monistico, in AGE, 2016, p. 189. Cfr. altresì Facchin, Il controllo nella società per azioni: concorrenza tra modelli, in Contr. impr., 2004, p. 376, secondo il quale il disegno organizzativo relativo al comitato controllo e rischi del Codice di Autodisciplina «trova agevole collocazione nel sistema monistico».
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dentemente simili, soluzione ritenuta poco funzionale e possibile fonte di inefficienza” (commento sub art. 10 del Codice di autodisciplina). Tuttavia, la Circolare n. 285/201386, sulla base di quanto stabilito dall’art. 76 della direttiva CRD IV, introduce una disciplina speciale per quanto riguarda l’istituzione di comitati endoconsiliari all’interno dell’organo con funzione di supervisione strategica della società bancaria (in caso di adozione del sistema monistico, riferibile al consiglio di amministrazione). In particolare, vengono dettate disposizioni dettagliate per le banche di maggiori dimensioni o complessità operativa, destinate a rientrare nell’ambito di vigilanza diretta della BCE. Con riguardo a tali soggetti, sono da istituire tre comitati specializzati in tema di nomine, remunerazioni e rischi. Per le banche definite “intermedie” è prevista come obbligatoria la sola istituzione del comitato rischi, mentre con riguardo alle banche di minori dimensioni l’istituzione di comitati non è obbligatoria, dovendo tuttavia la loro eventuale costituzione essere considerata dall’organo di supervisione strategica sulla base di “concrete esigenze”. Entrando nel merito della composizione di tali comitati, la Circolare stabilisce che tutti i membri debbano essere sprovvisti di deleghe esecutive ed in maggioranza indipendenti, prevedendo altresì un limite al numero totale (non più di 3-5 componenti). Per le banche maggiori tale articolazione ricalca in gran parte quella prevista dal Codice di autodisciplina, con in più l’estensione a tutti i comitati della regola secondo la quale il presidente deve essere un indipendente (prevista in ambito autoregolamentare con solo riferimento al comitato controllo e rischi)87. Volgendo l’attenzione più specificatamente al comitato rischi in ambito bancario, quest’ultimo si qualifica in primo luogo per essere lo strumento privilegiato di applicazione delle norme dettate dall’Autorità di Vigilanza in materia di rischi e controllo interno88. In questo senso,
86 Circolare 17 dicembre 2013 n. 285, Parte Prima, Titolo IV, Capitolo I, Sezione IV, punto 2.3. 87 Calandra Buonaura, Il ruolo, cit., pp. 25 ss. Secondo l’Autore, la circostanza che i presidenti di ciascun comitato debbano rivestire la qualifica di indipendenza finirebbe per depotenziare e ridurre il ruolo del presidente del consiglio di amministrazione, nella sua «funzione di collegamento tra consiglio e management e di garante della dialettica interna, del bilanciamento dei poteri e dell’adeguatezza dei flussi informativi che al medesimo viene assegnata, sacrificandolo al mito, invero declinante, dell’amministratore indipendente». 88 De Pra, Il nuovo governo societario delle banche, in Nuove leggi civ. comm., 2015,
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tale articolazione del Consiglio di amministrazione è chiamata a svolgere un ruolo ben più approfondito, con riguardo alla risk governance, del comitato controllo e rischi in ambito autoregolamentare89. Il comitato rischi della società bancaria, infatti, assolverebbe in via principale ad un dovere di supporto a tutte le attività connesse con la corretta ed efficace determinazione del risk appetite framework, attribuite dalla Circolare 285/2013 all’organo di supervisione strategica90. In questo senso, tale comitato endoconsiliare è investito di prerogative e competenze che esulano dall’ambito di intervento dell’organo di controllo, il quale è chiamato sì ad intervenire negli ambiti del sistema di controllo interno, ma solo quale soggetto esercitante attività di controllo e vigilanza, e non quale
pp. 525 ss. Per quanto riguarda il ruolo delle Autorità di Vigilanza nel contesto della governance societaria, per tutti, Marchetti, Il crescente ruolo delle autorità di controllo nella disciplina delle società quotate, in Riv. soc., 2016, pp. 33 ss. Più specificatamente in relazione al ruolo della Consob, cfr. Luchena, I controlli della Consob e la revisione contabile obbligatoria, in Riv. dir. comm., 2005, pp. 1061 ss. In merito, osserva Pedersoli (Il collegio sindacale nelle società per azioni bancarie, Milano, 2018, p. 235), riprendendo Mirone (Temi e problemi in materia di governo societario delle banche, in Banca, impr., soc., 2017, p. 17), che nell’ambito bancario si stia assistendo ad un generale appiattimento dei sistemi di amministrazione e controllo, soprattutto in considerazione del fatto che le linee guida emesse dall’EBA siano costruite sulla base del modello monistico (maggiormente diffuso sul piano internazionale). 89 Calandra Buonaura, Il ruolo, cit., p. 26. 90 In particolare, Banca d’Italia stabilisce che il comitato rischi: i) individua e propone, avvalendosi del contributo del comitato nomine, i responsabili delle funzioni aziendali di controllo da nominare; ii) esamina preventivamente i programmi di attività (compreso il piano di audit) e le relazioni annuali delle funzioni aziendali di controllo indirizzate all’organo; iii) esprime valutazioni e formula pareri all’organo sul rispetto dei principi cui devono essere uniformati il sistema dei controlli interni e l’organizzazione aziendale e dei requisiti che devono essere rispettati dalle funzioni aziendali di controllo, portando all’attenzione dell’organo gli eventuali punti di debolezza e le conseguenti azioni correttive da promuovere; iv) verifica che le funzioni aziendali di controllo si conformino correttamente alle indicazioni e alle linee dell’organo; v) valuta il corretto utilizzo dei principi contabili per la redazione dei bilanci d’esercizio e consolidato, e a tal fine si coordina con il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili e con l’organo di controllo. Con particolare riferimento ai compiti in materia di gestione e controllo dei rischi, il comitato supporta altresì l’organo con funzione di supervisione strategica per ciò che concerne la definizione e approvazione degli indirizzi strategici e delle politiche di governo dei rischi. Nell’ambito del risk appetite framework, il comitato svolge invece l’attività valutativa e propositiva necessaria affinché l’organo con funzione di supervisione strategica possa definire e approvare gli obiettivi di rischio e la soglia di tolleranza (cfr. Circolare 17 dicembre 2013 n. 285, Parte Prima, Titolo IV, Capitolo I, Sezione IV, punto 2.3.3).
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articolazione ancillare, di supporto informativo ed istruttorio al Consiglio di amministrazione91. Una necessaria bipartizione tra organo di controllo e comitato rischi è d’altra parte presupposta dalla stessa Circolare 285/2013, laddove, con riferimento a tali due organi, essa stabilisce che «il comitato e l’organo con funzione di controllo scambiano tutte le informazioni di reciproco interesse e, dove opportuno, si coordinano per lo svolgimento dei rispettivi compiti»92. In aggiunta, si richiede che almeno uno dei componenti dell’organo di controllo partecipi ai lavori del comitato93. Tale previsione esclude la possibilità di attribuire al comitato per il controllo sulla gestione nell’ambito delle società bancarie adottanti il sistema monistico il ruolo del comitato rischi ai sensi della normativa bancaria ed ai sensi del principio 10.C.2, lett. b), del Codice di Autodisciplina, in tal caso ritenuto non operante. Il comitato rischi rappresenta infatti una articolazione ricavata da un organo, quale quello di supervisione strategica, diverso dall’organo con funzione di controllo. La necessaria alterità di tali due organi, confermata inoltre da quelle previsioni che si occupano di delineare una proficua e costante collaborazione fra tali due importanti protagonisti nella materia della gestione del rischio, presuppone così che i comitati costituiti in seno al secondo
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In tal senso, Frigeni, La governance, cit., pp. 21 ss. Secondo l’Autore, l’articolazione del consiglio di amministrazione (quale organo investito della funzione di supervisione strategica nell’ambito del sistema monistico) nel comitato rischi, funzionale a garantire un corretto ed efficace esercizio della funzione di risk governance, non presenta altresì tutte le premesse per garantire l’effettivo conseguimento di tale obiettivo. Considerato che il governo dei rischi si divide a sua volta nelle attività di risk appetite (approvazione ed individuazione degli obiettivi ideali di rischio) e di risk accountability, l’accentramento di entrambe in seno ad un unico comitato, data la loro complessità ed ampiezza, non sembra secondo l’Autore «idoneo a consentire il loro efficiente svolgimento da parte degli amministratori “non esecutivi” chiamati a farne parte, anche sotto il profilo della disponibilità di tempo che finisce per essere richiesta ai componenti il comitato». 92 Circolare 17 dicembre 2013 n. 285, Parte Prima, Titolo IV, Capitolo I, Sezione IV, punto 2.3.3. 93 In argomento, v. Parmeggiani, Il collegio sindacale e il comitato per il controllo interno: una convivenza possibile?, in Giur. comm., 2009, I, p. 331, il quale rileva – pur immaginando quale organo di controllo il collegio sindacale – che «così facendo ciascuno dei due organi sarebbe immediatamente messo al corrente dell’attività dell’altro e verrebbe così incentivato un loro agire armonico, che si sostanzi nell’apporto congiunto delle competenze di entrambe le tipologie di controllori e quindi in una più completa tutela dell’interesse sociale». Cfr. altresì Bertolotti, I sindaci, in Aa. Vv., Le nuove s.p.a., diretto da Cagnasso, Panzani, vol. 4, Bologna, 2012, pp. 295 s.
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non possano essere soppressi per attribuirne le funzioni al primo94, considerato altresì che la disciplina dei comitati endoconsiliari in ambito bancario è contenuta non in una fonte autoregolamentare ad adesione volontaria, ma in una produzione normativa ad opera di un’Autorità di Vigilanza, come tale obbligatoria e vincolante per tutti gli istituti sottoposti alla potestà di quest’ultima95.
4. Riflessioni conclusive. Le considerazioni che precedono evidenziano come il comitato per il controllo sulla gestione, quale organo investito della funzione di controllo, sia chiamato ad un’opera continua di dialogo e confronto con gli altri organi sociali, con i comitati endoconsiliari e con le strutture interne molto più profonda ed incisiva di quanto già non sia nell’ambito delle società quotate esercitanti attività d’impresa diversa da quella bancaria96. In merito, emblematica è altresì la ratio sottintesa dall’intera costruzione comunitaria del Single Supervisory Mechanism97 (al cui interno si
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Si noti altresì che i membri del comitato controllo e rischi nelle società bancarie devono soddisfare esigenze di professionalità specifiche, non previste con riguardo all’organo con funzione di controllo. Nel dettaglio, tali componenti devono possedere «conoscenze, competenze ed esperienze tali da poter comprendere appieno e monitorare le strategie e gli orientamenti al rischio della banca». Cfr. Circolare 17 dicembre 2013 n. 285, Parte Prima, Titolo IV, Capitolo I, Sezione IV, punto 2.3.3. V. altresì, sul tema, Rulli, Sistema monistico e codici di autodisciplina: indipendenza, ma non solo, in AGE, 2016, p. 143; Calandra Buonaura, Il ruolo, cit., p. 25. 95 Sui poteri di controllo della Consob (e sulla rilevanza del parere del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo sulla gestione), Luchena, I controlli della Consob e la revisione contabile obbligatoria, in Riv. dir. comm.¸ 2005, pp. 1061 ss. 96 Sul punto, cfr. altresì Stella Richter jr., I sistemi di controllo delle banche tra ordinamento di settore e diritto comune. Notazioni preliminari, in Riv. soc., 2018, p. 328, che rileva come anche la società bancaria «come ogni impresa, […] vive di controlli; nel senso che si sostanzia essenzialmente in una organizzazione di funzioni di carattere amministrativo (o gestorio) preordinate a un fine, in un sistema cioè che non può prescindere da sistematiche verifiche di conformità alle istruzioni date». In questo senso, il controllo sarebbe “coessenziale” all’amministrazione, non essendo invece a quest’ultima contrapposto. In argomento, v. anche Ferro-Luzzi, L’esercizio di impresa tra amministrazione e controllo, in AGE, 2007, pp. 231 ss. e Montalenti, Il sistema dei controlli interni: profili critici e prospettive, in Riv. dir. comm., 2010, pp. 935 ss. 97 Inter alia, nella letteratura nazionale, sul meccanismo in parola, Capriglione, La nuova gestione delle crisi bancarie tra complessità normative e logiche di mercato, in
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inquadra l’agire dell’organo di controllo su una società bancaria): rendere compartecipi dell’attività di controllo più soggetti, ciascuno con un ruolo diverso e definito, al fine di non concentrare i poteri in una sola struttura e di valorizzare adeguatamente le funzioni interne di controllo, in linea teorica le più vicine alle potenziali fonti di rischio. Ciò significa che, anche all’interno dell’impresa bancaria, il controllo è divenuto un elemento coessenziale all’esercizio dell’impresa, e come tale caratterizzante anche le attività svolte in seno al consiglio di amministrazione98. Per altro verso, l’organo di controllo nelle banche è chiamato ad esplicare la propria attività di vigilanza in via continuativa, collaborando intensamente con i comitati endoconsiliari, soprattutto con riferimento ad ambiti come il risk appetite framework, i controlli interni, e la gestione dei rischi, caratterizzati da elevato livello di tecnicità. In questa prospettiva, l’attribuzione della funzione di controllo a soggetti chiamati in primis a possedere i requisiti professionali necessari al fine della nomina alla carica di amministratori, peculiare del monistico, supera le carenze e le inefficienze che in questo caso potrebbero riscontrarsi in seno al collegio sindacale99. In tale ultimo organo, infatti, è più facile riscontrare una mancanza delle competenze professionali e tecni-
Contr. impr., 2017, pp. 772 ss., spec. par. 1; Amorosino, I modelli ricostruttivi dell’ordinamento amministrativo delle banche: dal mercato “chiuso” alla “regulation” unica europea, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, I, pp. 391 ss., spec. par. 6; Gualandri, Un anno del “Single Supervisory Mechanism” – SSM: prime valutazioni, in Banca, impr., soc., 2016, pp. 9 ss.; Macchia, Modelli di coordinamento della vigilanza bancaria, in Riv. trim dir. pubb., 2016, pp. 367 ss.; Brescia Morra, La nuova architettura della vigilanza bancaria in Europa, in Banca, impr., soc., 2015, pp. 73 ss. 98 Cfr. Montalenti, Amministrazione e controllo nella società per azioni tra codice civile e ordinamento bancario, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, pp. 707 ss. 99 Verrebbe dunque da chiedersi, a questo punto, se il controllo che si otterrebbe con il sistema monistico sia uguale a ciò invece offerto dal sistema tradizionale. Un’interessante presa di posizione al riguardo si registra da parte di Marchetti, Sistema monistico. Introduzione, in Riv. soc., 2019, p. 515: «La risposta è “no”. […] [P]er definizione, il controllo del monistico è […] qualcosa di diverso che si articola diversamente, operando in una fase molto più avanzata del controllo del sistema tradizionale. […] Nel sistema monistico il controllo diventa una espressione fisiologica di una medesima visione dell’amministrazione. Ed è vera l’intuizione […] per cui nel sistema monistico si ha una circolazione delle informazioni molto più rapida, al fine anche del controllo, di quella che emerge, viceversa, nonostante la partecipazione del collegio sindacale al consiglio di amministrazione, nel sistema tradizionale».
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che necessarie al fine di una piena ed efficace conoscenza del business bancario100. La partecipazione di più organi alla funzione di controllo porta inoltre inevitabilmente con sé il rischio di sovrapposizioni ulteriori (rispetto a quelle che già si registrano nel panorama dei controlli societari) e di inutili duplicazioni. Al contempo, i vantaggi derivanti da una maggiore compenetrazione fra gestione e controllo e da una capacità di svolgere tanto attività di gestione quanto funzione di controllo invitano a cogliere gli aspetti positivi di tale situazione101.
Brando Maria Cremona Abstract L’attuale crescente diffusione del sistema monistico di governance, in particolare nell’ambito bancario, offre lo spunto per analizzare – riconsiderando anche i timori della dottrina coeva alla Riforma – le caratteristiche del comitato per il controllo sulla gestione. Nello specifico, l’articolo pone mente alle prerogative della funzione di controllo nel modello monistico e ai poteri-doveri dell’organo, alle specificità che lo caratterizzano nel contesto bancario e, quindi, alla coniugazione dei suoi compiti, come pure ai rapporti con il comitato per il controllo dei rischi. Detta disamina risulta prodromica ad affrontare, per un verso, alcune questioni controverse (tra cui la complessità della vigilanza nel sistema monistico rispetto ad altri modelli di governance), per altro verso, talune peculiarità dell’ambito bancario, che si distingue per una maggiore pervasività dell’attività del legislatore e un ridimensionamento del grado di autonomia organizzativa affidata agli organi sociali.
*** The current growth of the one-tier corporate governance model, particularly in the banking sector, offers the cue to analyse – also assessing the fears of the
100 In argomento, Calandra Buonaura, L’impatto, cit., p. 42. Operando una riflessione sull’efficace esercizio della funzione di controllo, l’A., con lucida sintesi, evidenzia che, al netto di ulteriori considerazioni, quest’ultimo dipenda «dalla capacità e dalla competenza di chi l’esercita più che dal modello organizzativo adottato». 101 Sottolineano altresì i vantaggi della co-partecipazione alla funzione di vigilanza, Sfameni, Commento sub art. 149 TUF, in Le società per azioni: codice civile e norme complementari, diretto da Abbadessa e Portale, Milano, 2016, pp. 4223 ss. e Frigeni, La governance, cit., p. 39 ss. Permane ad ogni modo, nell’ottica di alcuni autori, la sensazione di una accentuata compressione dell’autonomia di impresa, che si legge in filigrana in Stella Richter jr., I sistemi, cit., p. 334 e Calandra Buonaura, Il ruolo, cit., p. 32.
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academic literature dating back to the 2003 Corporate Law Reform – the characteristics of the Audit Committee. Specifically, the article addresses the control features of the one-tier model and its powers and duties, the specific features that mark it out in the banking context and, therefore, the combination of its tasks, as well as its interaction with the Risk Control Committee. This overview is aimed at dealing, on the one hand, with some controversial issues (including the intricacies of supervision in the one-tier system compared to other governance models), and, on the other hand, with some distinguishing traits of the banking sector, which is known for a greater pervasiveness of the legislator’s activities and a downsizing of the degree of autonomy entrusted to the corporate bodies.
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COMMENTI
Interessi e procedure concorsuali I Corte di Cassazione, Sezione prima, sentenza 19 giugno 2020, n. 11963; Pres. Didone, Est. Amatore, P.M. De Matteis (concl. diff.); Soc. NPL XXX s.r.l. c. Soc. AAA s.p.a. in liquidaz., Soc. BBB s.p.a. in amm. straord. e soc. CCC s.p.a. in a.s. (Cassa App. Venezia 6 marzo 2018) Fallimento – Interessi – Sospensione ai soli fini della procedura – Maturazione al di fuori della procedura – Prescrizione – Domanda di insinuazione al passivo – Interruzione fino alla fine della procedura. (Cod. civ., art. 2943, 2945; l. fall., artt. 55, 94). Amministrazione straordinaria – Interessi – Sospensione ai soli fini della procedura – Maturazione al di fuori della procedura – Prescrizione – Esecutività dello stato passivo – Interruzione fino alla fine della procedura. (Cod. civ., art. 2943, 2945; l. fall., art. 55, 209; l. 3 aprile 1979, n. 95, amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, art. 1) La dichiarazione di fallimento sospende il decorso degli interessi solo ai fini della procedura, mentre gli stessi continuano a maturare al di fuori di essa; la domanda del creditore di ammissione al passivo interrompe la relativa prescrizione fino alla chiusura della procedura. (1) L’apertura dell’amministrazione straordinaria sospende il decorso degli interessi solo ai fini della procedura, mentre gli stessi continuano a maturare al di fuori di essa; l’esecutività dello stato passivo interrompe la relativa prescrizione fino alla chiusura della procedura. (2) II Corte di Cassazione, Sezione prima, sentenza 9 luglio 2020, n. 14527; Pres. Didone, Est. Dolmetta, P.M. De Matteis (concl. diff.); Soc. NPL XXX s.r.l. c. Soc. AAA s.p.a. in liquidaz., Soc. BBB s.p.a. in amm. straord. e Soc. CCC s.p.a. (Cassa App. Venezia 8 novembre 2017)
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Fallimento – Interessi – Sospensione ai soli fini della procedura – Maturazione al di fuori della procedura – Prescrizione – Domanda di insinuazione al passivo – Interruzione fino alla fine della procedura. (Cod. civ., art. 2943, 2945; l. fall., art. 55, 94). Amministrazione straordinaria – Interessi – Sospensione ai soli fini della procedura – Maturazione al di fuori della procedura – Prescrizione – Esecutività dello stato passivo – Interruzione fino alla fine della procedura. (Cod. civ., art. 2943, 2945; l. fall., art. 55, 209; l. 3 aprile 1979, n. 95, amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, art. 1) La dichiarazione di fallimento sospende il decorso degli interessi solo ai fini della procedura, mentre gli stessi continuano a maturare al di fuori di essa; la domanda del creditore di ammissione al passivo interrompe la relativa prescrizione fino alla chiusura della procedura. (1) L’apertura dell’amministrazione straordinaria sospende il decorso degli interessi solo ai fini della procedura, mentre gli stessi continuano a maturare al di fuori di essa; l’esecutività dello stato passivo interrompe la relativa prescrizione fino alla chiusura della procedura. (2) I (Omissis) Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la società ricorrente principale NPL XXX s.r.l. - lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e art. 105 c.p.c., co. 2, - si duole della dichiarata ammissibilità dell’intervento adesivo dipendente delle due società sopra indicate, e cioè della BBB SPA in a.s. e della CCC spa in a.s. Si osserva che l’utile ovvero l’attivo spettante alle due società, quali socie della soc. AAA in liq, in caso di rigetto della domanda di pagamento degli interessi post-fallimentari, sarebbe meramente eventuale ed incerto, e dunque come tale integrante un mero interesse di fatto del tutto inidoneo a supportare
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l’intervento in causa delle due socie della AAA, tornata in bonis. 2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 208 e 94, nonché dell’art. 2935 c.c., art. 2943 c.c., nn. 1 e 2, art. 2945 c.c., n. 2, e art. 2948 c.c., n. 4), in punto di interruzione della prescrizione degli interessi nel corso della procedura. Evidenzia la società ricorrente che, anche sulla base degli insegnamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità, la domanda di insinuazione al passivo determina l’interruzione della prescrizione del credito insinuato, e dunque, nel caso di specie, anche degli interessi richiesti successivamente alla chiusura della procedura concorsuale.
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3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2943 c.c., art. 2945 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4), nonché della L. Fall., artt. 51 e 55. Si evidenzia che la corte territoriale era incorsa in un ulteriore violazione di legge in ordine alla ritenuta decorrenza della prescrizione degli interessi in corso di procedura, in relazione principalmente al disposto normativo di cui all’art. 2935 c.c., secondo il quale “la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. Si osserva che, nel caso di specie, durante la pendenza della procedura concorsuale, il diritto alla percezione degli interessi endocorsuali non può essere legalmente fatto valere dal suo titolare né nei confronti della massa (trattandosi di un diritto sospeso l. fall., ex art. 55) né direttamente nei confronti del fallito, stante il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive o cautelari individuali nei confronti del fallito medesimo, avendo il fallito perduto la disponibilità del suo patrimonio e la capacità processuale, con la conseguenza che ogni atto compiuto da costui è totalmente privo di efficacia. Evidenzia ancora la ricorrente che, non essendo esigibile nei confronti del fallito, il pagamento degli interessi endoconcorsuali, allora non decorrerebbe neanche la prescrizione del diritto che non può essere fatto valere che dopo la chiusura della procedura. 4. Con il quarto motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., n. 4, e art. 2944, c.c., in punto di quantificazione degli interessi.
5. Con il quinto motivo la società ricorrente articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, in relazione alla dichiarata inammissibilità della produzione documentale in appello. 6. Con ricorso incidentale la soc. AAA in liquidazione propone tre motivi di censura alla sentenza ex adverso impugnata. 6.1 Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, da un lato, violazione di legge in relazione alla pronuncia della corte di merito riguardante la dichiarata maturazione di interessi endococorsuali in pendenza della procedura di amministrazione straordinaria, e ciò con particolare riferimento alla L. fall., artt. 42, 43, 44, 51 e 55, L. fall., art. 120, comma 3, e L. fall., 216, nonché in relazione agli artt. 1224 e 1284 c.c. e, dall’altro, omesso esame di fatti ed argomentazioni decisivi in relazione alla decisione della controversia. Si evidenziano i seguenti profili di censura: a) errata applicazione da parte della corte di merito della L. fall., art. 120, alle procedure di amministrazione straordinarie di cui al D.L. n. 26 del 1979, in assenza di una norma che espressamente richiami la disciplina della procedura fallimentare; b) la mancata valutazione del profilo che la dichiarazione di fallimento preclude al fallito, ai sensi della L. fall., art. 42, qualsivoglia possibilità o facoltà di operare pagamenti, per capitale ed interessi, nel corso della procedura; c) la regola della sospensione del decorso degli interessi di cui alla L. fall., art. 55 è espressione del principio della cristallizzazione delle pretese dei creditori e della par condicio cre-
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ditorum, con l’ulteriore conseguenza che il disposto normativo da ultimo citato deve essere letto in combinato disposto della L. fall., art. 120, comma 3; d) tale ultima norma, allorquando richiama la parte non soddisfatta dei “crediti per capitale ed interessi”, si riferisce ai crediti ammessi al passivo e dunque non può essere utilizzata come argomento a sostegno della tesi perorata nel provvedimento impugnato, e ciò anche in ragione di quanto espressamente disposto dalla L. fall., art. 120, comma 4, che richiama, per la prova del credito, il decreto ovvero la sentenza relativi all’ammissione al passivo del creditore non integralmente soddisfatto in sede di riparto; e) la mancata valutazione dell’annullamento dell’effetto esdebitatorio del fallimento nei riguardi del fallito che continuerebbe a rispondere dei debito residui con i suoi beni; f) gli effetti negativi della maturazione degli interessi collegati al protrarsi della procedura ricadrebbero sulla sfera patrimoniale del fallito, senza che quest’ultimo possa incidere sui tempi della procedura e senza che il ritardo nel pagamento possa essere imputabile al fallito, al quale è negata la possibilità di effettuare pagamenti, ai sensi della L. fall., art. 44 e L. fall., art. 216, comma 3, medesima legge; g) il ritenuto maturarsi del credito collegato al mancato pagamento degli interessi corrispettivi violerebbe il disposto di cui all’art. 1282 c.c., non potendosi ritenere il credito sottostante esigibile; h) l’avversa tesi violerebbe l’art. 6 e l’art. 1 del primo protocollo addizionale Cedu, nonché gli artt. 2, 3 e 42 Cost.; i) il riferimento al fideiussore del fallito era improprio perché quest’ultimo, a differenza del fallito, continua a mantenere la dispo-
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nibilità del proprio patrimonio e ha, dunque, la possibilità di pagare gli interessi in via di maturazione nel corso della procedura. 6.2 Con il secondo motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, da un lato, violazione di legge in relazione al profilo della dichiarata validità ed efficacia delle cessioni dei crediti con la conseguente legittimazione attiva della NPL XXX a richiedere la riscossione dei crediti per interessi endoconcorsuali, e ciò con riferimento all’art. 1418 c.c., comma 2, art. 1325 c.c., nn. 2 e 3, e art. 1346 c.c., in combinato disposto della L. fall., artt. 55 e 120 e artt. 1260 e segg. c.c., nonché dell’art. 24 Cost. e art. 81 c.p.c., e, dall’altro, omesso esame di fatti ed argomentazioni decisive in relazione alla decisione della controversia. 6.3 Con il terzo motivo sempre articolato nel ricorso incidentale della AAA, si denuncia l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto dimostrata la pretesa creditoria per capitale sulla cui base è stato azionato il credito per interessi, e ciò per violazione degli artt. 115, 2710 e 2697 c.c. e art. 2729 c.c., commi 1 e 2. 6.4 Propongono ricorso incidentale anche le soc. BBB in a.s. e CCC in a.s., con il quale reiterano i tre motivi di censura già sollevati dalla AAA in liquidazione. 7. Occorre esaminare, subito, il primo motivo del ricorso principale. 7.1 Esso è in realtà infondato. Come già sopra ricordato, la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l’intervento adesivo dipendente di BBB s.p.a. in a.s. e della CCC s.p.a. in a.s. quali socie della AAA s.p.a. in liquida-
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zione, evocata in giudizio per essere condannata a pagare gli interessi cd. post-fallimentari, maturati successivamente alla sua ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria: secondo la tesi della ricorrente l’interesse dei soci, a vedere arricchita la loro sfera patrimoniale, è di mero fatto essendo il diritto alla liquidazione della quota e il diritto alla distribuzione degli utili meramente potenziale. 7.1.1 Sul punto, è utile ricordare che la giurisprudenza espressa da questa Corte ha precisato che “Con riguardo agli atti compiuti da una società di capitali, il socio riceve una tutela diretta del proprio interesse a preservare il patrimonio sociale limitatamente ai propri rapporti interni con l’ente, e solo in alcuni casi (artt. 2377, 2379 e 2408 c.c.), mentre, nei rapporti esterni, detta tutela è solo indiretta e mediata, non essendo egli portatore di un interesse autonomo rispetto a quello della società, ma assorbito in questo, e non potendo, quindi, esercitare un’azione individuale, ma solo aderire alle azioni proposte dalla società, a sostegno delle ragioni di questa. L’intervento in causa del socio, pertanto, non può essere qualificato, in tali ipotesi, come principale, ma solo come adesivo, e le domande da lui proposte possono essere accolte esclusivamente nei limiti in cui esse coincidono con quelle della società” (Cass. 82/2000). 7.1.2 Va ulteriormente precisato che, sempre secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte l’interesse richiesto per la legittimazione all’intervento adesivo dipendente nel processo in corso fra altri soggetti (art. 105 c.p.c., comma 2, c.p.c.), deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuva-
to deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tal che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere – anche solo in via indiretta o riflessa – pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1111 del 24/01/2003). Detto altrimenti, l’intervento adesivo dipendente del terzo è consentito ove l’interveniente sia titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti o da esso dipendente e non di mero fatto, attesa la necessità che la soccombenza della parte determini un pregiudizio totale o parziale al diritto vantato dal terzo quale effetto riflesso del giudicato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25145 del 26/11/2014). Deve tuttavia ritenersi che il socio di una società di capitali è titolare, già prima che divenga esigibile il suo diritto alla quota di liquidazione, di una situazione giuridica direttamente tutelata (Cass. 11959/2010), il che manifesta l’esistenza in capo ai soci di un interesse giuridicamente protetto ad un esito favorevole alla parte adiuvata. 7.1.3 Ciò posto, la motivazione impugnata risulta in parte qua corretta, atteso che tra le società intervenienti e la S. sussiste un rapporto giuridico sostanziale (le prime sono socie della seconda), per il quale la condanna al pagamento dei richiesti interessi comporterebbe la definitiva perdita patrimoniale della partecipata, con inevitabili conseguenze sulle sfere patrimoniali delle socie. 8. A questo punto ragioni di pregiudizialità logica consigliano di esaminare, per primi, i ricorsi incidentali.
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8.1 Occorre tuttavia una breve premessa in ordine alla disciplina applicabile ratione temporis. 8.1.1 Va evidenziato che la soc. AAA in liquidazione è stata sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria il 23.12.1983 e, dunque, la disciplina applicabile è quella dettata dalla legge sulla amministrazione straordinaria del 1979, prima del D.Lgs. n. 270 del 1999 (cd. Prodi bis), nonché quella di cui alla legge fallimentare, nella versione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, precedente alle modifiche del D.Lgs. n. 5 del 2006. Orbene, L. n. 95 del 1979, art. 1, comma 3, dispone, invero, che la procedura per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è disciplinata dagli artt. 195 e ss. e dalla L. fall., art. 237. Ne consegue che, alle imprese in amministrazione straordinaria si applica, inoltre, sempre in virtù del richiamo contenuto nella L. n. 95 del 1979, art. 1, comma 3, L. fall., art. 201 e, dunque, la L. fall., art. 55, compreso nella sezione II del capo III del titolo II (appositamente richiamata nell’art. 201 cit.) (così, anche Cass. 8160/2000). 8.1.2 Oggetto di dibattito è, invece, l’applicazione della L. fall., art. 120, all’amministrazione straordinaria. Anche in questo caso, tuttavia, la soluzione preferibile è quella positiva. 8.1.2.1 L. fall., art. 120, comma 2 (attuale comma 3), (nella vecchia formulazione, qui applicabile ratione temporis) dispone, verbatim, che “i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta per capitale e interessi”. Va ricordato che, nella disciplina della liquidazione coatta amministra-
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tiva, cui faceva riferimento l’amministrazione straordinaria disciplinata dalla Legge Prodi, manca un espresso richiamo all’intero Capo VIII del Titolo II della legge fallimentare (ovverosia agli artt. 118 e 123). Sul punto, va precisato che la L. n. 95 del 1979, art. 6, comma 5, – la cui disciplina normativa prevedeva che la chiusura fosse disposta, anche ai sensi della L. fall., art. 118, nn. 2 e 4, – è stato, invero, introdotto dal D.L. 9 dicembre 1986, n. 835, art. 4, (conv. nella L. 6 febbraio 1987, n. 19) e risulta, pertanto, applicabile alle procedure successive alla data della sua entrata in vigore. Ciò non toglie che ragioni di ordine sistematico impongano l’applicazione all’amministrazione straordinaria dell’intero statuto della chiusura del fallimento e, dunque, anche della L. fall., art. 120. Tale conclusione è, peraltro, avvalorata da opinione espressa sul punto da autorevole dottrina. 8.1.2.2 Non è dunque apprezzabile la tesi sostenuta dai controricorrenti (e ricorrenti in via incidentale) secondo cui il mancato richiamo formale alla L. fall., art. 120, significa che, con la chiusura della procedura di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria, i debiti non pagati si estinguano e che, pertanto, i creditori non riacquistino il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta per capitale e interessi. 8.1.2.3 Sul punto, va osservato, in primis, che se si accettasse l’ipotesi secondo cui il debitore – sottoposto, nella specie, ad amministrazione straordinaria – possa, a chiusura della procedura (per di più di carattere
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amministrativo), essere liberato, senza espressa previsione di legge, dai propri preesistenti debiti, si correrebbe il rischio di scardinare il sistema improntato sul principio generale della responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c. 8.1.2.4 Come correttamente osservato anche dalla Procura generale nella requisitoria scritta (che qui si richiama verbatim) “Nella sostanza, il mancato richiamo della L. fall., art. 120, è bilanciato dalla mancanza di un’espressa previsione della liberazione dai debiti con la chiusura della procedura. Il che vale a dire che la chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, di per sé sola, non produce – in difetto di espressa previsione di legge – l’effetto dell’esdebitazione del soggetto già sottoposto alla procedura”. Deve, dunque, ritenersi che la L. fall., art. 120, altro non sia che la codificazione del più generale principio in base al quale, per effetto delle riacquistate capacità del fallito di amministrare e disporre del suo patrimonio dopo la chiusura della procedura, i creditori debbono poter far valere le loro azioni individuali su tutti i beni, che, in qualsiasi modo, dovessero pervenire al fallito. 8.1.2.5 Ne consegue, ancora, come ulteriore corollario, che la chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, qualora non operi, in quanto espressamente prevista l’esdebitazione (in questo senso, si legga l’attuale richiamo, contenuto nella L. fall., art. 120, comma 3, alla L. fall., art. 142), comporta la reviviscenza del diritto ad agire verso il debitore per la parte non soddisfatta dei crediti, sia per capitale, sia per interessi.
Deve dunque ritenersi che, tra gli effetti della chiusura dell’amministrazione straordinaria, non vi è compresa la liberazione dalle obbligazioni non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare, di talché i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore anche per la parte non soddisfatta dei loro crediti, sia per capitale che per interessi, ciò comportando la possibilità per il creditore di far valere il suo credito nei confronti del debitore ritornato “in bonis”. 8.2 Ciò premesso, i ricorsi incidentali, sopra descritti, vanno rigettati. 8.2 In ordine al primo e centrale profilo di doglianza che riguarda l’affermazione del decorso degli interessi nel corso della procedura fallimentare, la Corte ritiene che le censure dei ricorrenti incidentali siano infondate. 8.2.1 Sul punto, va ricordato che la L. fall., art. 55, comma 1, enuncia la regola di carattere generale della sospensione degli interessi, siano essi legali o convenzionali, corrispettivi o compensativi, sui crediti chirografari. Secondo la dottrina maggioritaria, la sospensione opererebbe ai soli effetti del concorso e fino alla chiusura del fallimento, con la conseguenza che gli interessi stessi continuerebbero a decorrere senza alcuna sospensione nei rapporti tra debitore e singoli creditori, e cioè fuori del concorso fallimentare, potendo essere pretesi dai creditori stessi in caso di revoca del fallimento ovvero dopo la chiusura del medesimo, ai sensi della L. fall., art. 120, comma 3. Orbene, la dottrina è solita giustificare la sospensione degli interessi come effetto della cd. cristallizzazione della massa passiva alla data della dichiarazione di fallimento.
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In favore della tesi qui accolta, militano diversi e decisivi argomenti. 8.2.1 In primo luogo, la lettera della norma sopra ricordata, e cioè della L. fall., art. 55, non lascia dubbi sulla volontà del legislatore a far ritenere che la disposta sospensione del decorso degli interessi valga solo all’interno del concorso e non si estenda anche ai rapporti singolari tra ciascun creditore ed il fallito. Ed invero, la L. fall., art. 55, (applicabile anche all’amministrazione straordinaria oggi in esame, in virtù dei richiami di cui alla L. n. 95 del 1979, art. 1 e L. fall., n. 201, in tema di liquidazione coatta amministrativa, come sopra osservato: cfr. p. 8.1.2) dispone, verbatim, “la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento”. La disposizione normativa in esame è chiara nello stabile la “sospensione” del decorso degli interessi solo “agli effetti del concorso”, interessi che, pertanto, continuano a maturare al di fuori del concorso e dunque nei rapporti tra il singolo creditore e debitore sottoposto a procedura concorsuale, e ciò secondo le consuete regole di cui all’art. 1282 c.c., ovvero le convenzioni stabilite tra le parti. Sul punto è condivisibile l’argomentazione spesa dalla corte lagunare laddove evidenzia che, qualora il legislatore avesse voluto escludere la maturazione degli interessi in senso assoluto durante il concorso, allora lo avrebbe detto esplicitamente, non utilizzando, dunque, la limitata espressione “sospensione” degli interessi, ed anzi statuendo espressamente che il credito avrebbe cessato di produr-
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re interessi definitivamente in conseguenza dell’apertura del concorso. 8.2.2 Del resto, tale soluzione è stata già “incidentalmente” accolta dalla giurisprudenza di questa Corte in altro precedente (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2608 del 05/02/2014, ove è stato affermato: “...Tale affermazione non tiene conto di un principio tanto risalente quanto pacifico sia nella dottrina unanime che nella giurisprudenza: quello secondo cui il R.D. n. 267 del 1942, art. 55, là dove stabilisce che il corso degli interessi è sospeso nel periodo compreso tra la dichiarazione di fallimento e la chiusura dello stesso, rileva solo nei confronti della curatela ed ai soli effetti del concorso. Nei confronti del fallito, invece, gli interessi continuano a decorrere anche durante la procedura, e gli interessi potranno essere domandati dopo la chiusura del fallimento se e quando dovesse tornare in bonis (Sez. 2, Sentenza n. 12262 del 03/12/1997, in motivazione): prova ne sia che, anche durante la pendenza del fallimento, gli interessi maturati dopo l’apertura di esso restano dovuti dagli eventuali fideiussori del fallito (ex permultis, Sez. 1, Sentenza n. 11228 del 28/08/2000; Sez. 3, Sentenza n. 7603 del 14/08/1997). Il che non potrebbe spiegarsi, data l’accessorietà dell’obbligazione del fideiussore, se non presupponendo che gli interessi dovuti dal debitore principale continuano a maturare dopo l’apertura del fallimento, sebbene non siano dovuti da quest’ultimo”). 8.2.3 Sul punto occorre, anche, richiamare un’autorevole opinione dottrinaria secondo la quale la sospensione degli interessi di cui alla L. fall., art.
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55, equivale “ad una sorta di inesigibilità temporalmente limitata al concorso”, tanto ciò è vero che il credito ben potrà essere azionato nei confronti del fallito, non appena tornato in bonis e sempre che il credito stesso non sia oggetto di esdebitazione, e ciò anche per la parte maturata in corso di procedura. Ne rappresenta un’ulteriore dimostrazione la circostanza che, in caso di riapertura del fallimento, i crediti dei creditori già insinuati possono essere maggiorati della richiesta degli interessi, che sono maturati dalla prima sentenza di fallimento sino alla riapertura. 8.2.4 Del resto, è fermo in dottrina (ed anche in giurisprudenza) il principio secondo cui la sospensione degli interessi riguarda esclusivamente il soggetto fallito ovvero che si trovi in stato di insolvenza e non può avvantaggiare gli eventuali suoi fideiussori ovvero coobbligati che siano in bonis, e ciò proprio in ragione della circostanza che il “blocco” degli interessi, nella sede concorsuale, non riguarda la loro maturazione, ma esclusivamente la loro esigibilità nei confronti del fallito (Cass. 12 novembre 1981, n. 5985; Cass. 2608/2014, cit. supra). 8.2.4.1 Ma se è indiscutibile che gli interessi maturino nei confronti del fideiussore ovvero del coobbligato nel corso della procedura concorsuale del debitore principale (cfr. anche in tal senso Cass. 7603/1997 e Cass. 11228/2000) e che, in ogni caso, continui a persistere l’accessorietà dell’obbligazione del fideiussore rispetto a quella del debitore principale, secondo il disposto normativo di cui all’art. 1941 c.c., allora la diversa tesi perorata dai controricorrenti non riesce a spiegare l’effetto distorsivo di
ritenere, da un lato, liberato il debitore principale sottoposto a procedura concorsuale dell’obbligazione di interessi maturati in corso di procedura e, dall’altro, di affermare la contemporanea persistenza della corrispondente obbligazione del fideiussore per il medesimo credito. Detto altrimenti, si libererebbe il debitore sottoposto a procedura concorsuale della obbligazione di interessi che non è a carico della procedura, ma nello stesso tempo il fideiussore dovrebbe rispondere della medesima obbligazione, con la conseguenza inevitabile di un ingiustificato trattamento di favore del solo debitore sottoposto alla procedura concorsuale, non previsto dalla legge ed anzi confliggente con il principio generale della responsabilità patrimoniale decretato dall’art. 2740 c.c.. 8.2.4.2 Ma ciò che non può essere dimenticata è la natura accessoria della fideiussione. Ed invero, l’art. 1941 c.c., comma 1, così recita: “La fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore”. Norma quest’ultima che, se rettamente interpretata in relazione all’obbligo di pagamento degli interessi endoconcorsuali L. fall., ex art. 55, a carico del fideiussore, non può non portare a far ritenere che il debitore, ancorché fallito, continui anch’egli ad essere obbligato al pagamento degli interessi la cui esigibilità è temporalmente sospesa; interessi, dunque, il cui pagamento – diversamente opinando – non potrebbe essere richiesto al fideiussore perché la richiesta sarebbe contraria proprio al disposto normativo di cui all’art. 1941 c.c. 8.2.4.3 Né convince la spiegazione fornita alla diversità di trattamento tra debitore principale e fideiussore
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in relazione al pagamento degli interessi endoconcorsuali fondata sulla disponibilità del patrimonio da parte di quest’ultimo e dunque sulla possibilità di adempiere alla prestazione di pagamento, possibilità invece non esistente per il fallito, che è assoggettato, invece, allo spossessamento di cui alla L. fall., art. 42. In realtà, l’argomento non coglie nel segno, posto che il fallito potrà adempiere al suo obbligo di pagamento solo dopo la chiusura ovvero la revoca della procedura concorsuale, e dunque proprio nel momento in cui, tornando in bonis, avrà di nuovo la disponibilità dei suoi beni la cui liquidazione potrà garantire l’adempimento del pagamento degli interessi continuati a maturare nel corso della procedura e divenuti esigibili solo nel momento della chiusura della procedura concorsuale. 8.2.5 Del resto, non vi è dubbio che la ratio sottesa alla regola della sospensione dell’esigibilità degli interessi decretata dalla L. fall., art. 55, vada rintracciata nell’esigenza di cristallizzazione del passivo, al fine di garantire, nel migliore dei modi, la par condicio creditorum, in modo tale, cioè, da rendere accertabile l’entità complessiva dei debiti concorsuali, svincolati dall’insorgenza di ulteriori crediti accessori. Ciò non determina in alcun modo, secondo la lettera della norma dettata dalla L. fall., art. 55, alcun effetto estintivo dei diritti di credito accessori derivanti da interessi connessi ai crediti chirografari ammessi al passivo, ma solo un effetto di temporanea inesigibilità degli stessi sino alla chiusura della procedura, inesigibilità che, tuttavia, non comporta un effetto preclu-
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sivo alla maturazione degli interessi nel corso della procedura stessa. 8.2.5.1 Può dunque affermarsi, in conclusione, che il principio della cristallizzazione ha chiaramente una “portata interna” alla procedura concorsuale, come si ricava dal tenore della norma in questione la cui lettera dispone la sospensione degli interessi agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, “così escludendo che debba allo stesso modo operarsi decidendo sui rapporti creditore-debitore al di fuori della procedura” (Cass. 12262/1997, in motivazione; cfr. anche Cass. 6953/2008, Cass. 6672/2005). 8.2.5.2 Ne consegue, ancora, che l’affermazione secondo cui la sospensione del corso degli interessi, agli effetti del concorso, equivalga ad una sorta di “inesigibilità temporalmente limitata al concorso” non significa, in realtà, ammettere che i crediti pecuniari idonei a produrre interessi cessino, con l’apertura della procedura, di generare interessi, e ciò in ragione del fatto che il sopravvenire della procedura non rende infruttiferi i crediti pecuniari, bensì rende solo la pretesa agli interessi post-fallimentari inopponibile al patrimonio liquidato ed agli organi della procedura concorsuale. Così, il debito degli interessi matura nel corso della procedura in capo al debitore fallito, il quale con la chiusura del fallimento riacquista, insieme al libero esercizio dei propri diritti, anche l’eventuale patrimonio residuo, con la conseguenza che, come già sopra affermato, i creditori potranno, pertanto, una volta chiuso il fallimento, azionare le loro pretese creditorie sul patrimonio del debitore fallito tornato in bonis.
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8.2.6 Una conferma sistematica all’opzione interpretativa qui accolta si rintraccia – a differenza di quanto osservato dai controricorrenti – proprio nel disposto normativo di cui alla L. fall., art. 120, (oggi) comma 3. Orbene, la norma da ultimo citata statuisce che – in tema di “effetti della chiusura” – “i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi, salvo quanto previsto dagli artt. 142 e seguenti”. Sul punto, va precisato la L. fall., art. 120, comma 2 (attuale comma 3), (nella vecchia formulazione, qui applicabile ratione temporis) disponeva (in modo sostanzialmente invariato) che “i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta per capitale e interessi”. 8.2.6.1 Secondo quanto sopra affermato e seguendo l’opinione invalsa nella dottrina maggioritaria, i creditori hanno, dunque, diritto di ottenere dal debitore tornato in bonis anche il pagamento di tutti gli interessi maturati durante la procedura, proprio perché la disposizione normativa di cui alla L. fall., art. 55, comma 1, ha effetto solo endofallimentare e riguarda i rapporti tra fallito e singoli creditori all’interno del concorso. Deve, dunque, ritenersi che la norma sopra ricordata di cui alla L. fall., art. 120, rappresenti un corollario applicativo, in sede fallimentare, del più generale principio della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., principio applicabile – per quanto sopra ricordato – anche all’amministrazione straordinaria.
Sarebbe, infatti, contrario al principio di responsabilità patrimoniale ammettere che il debitore fallito tornato in bonis non risponda del pagamento degli interessi e che sia esentato per sempre dalla relativa obbligazione pecuniaria, a fronte, peraltro di un regime normativo in materia fallimentare che, da un lato, prevede, alla L. fall., art. 55, comma 1, solo l’effetto di sospendere “agli effetti del concorso” l’esigibilità degli interessi (ai fini della cristallizzazione della debitoria concorsuale) e, dall’altro, stabilisce espressamente, alla L. fall., art. 120, comma 3, la possibilità di richiedere al debitore tornato in bonis il pagamento di capitale ed interessi non soddisfatti. 8.2.6.2 Né sarebbe accettabile la tesi secondo cui la norma dettata dal predetto L. fall., art. 120, comma 3, si riferisca solo “ai crediti per capitale e interessi” ammessi allo stato passivo e non soddisfatti, e non già a tutti crediti per capitale e interessi e, dunque, anche a quelli – come nel caso in esame – per interessi non ammessi al passivo perché non esigibili nel corso della procedura. In realtà, tale opzione interpretativa, oltre a non avere un sicuro riscontro normativo, collide con la ratio sottesa alla norma ora in esame, atteso che non si comprende per quale ragione dovrebbe verificarsi la sussistenza di un residuo credito relativo a soggetti insinuati al passivo per capitale ed interessi anteriori alla dichiarazione di fallimento e non soluti verso il fallito, che tuttavia sarebbe ancora dotato di un residuo attivo. Ed invero, la condizione da ultimo descritta impedisce, sino al pagamento dei crediti ammessi, la chiusura della procedura
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ovvero ne determina, a date condizioni, la riapertura quando si accerti l’esistenza di un residuo attivo. 8.2.6.3 Del resto, va aggiunto che proprio l’eccezione prevista dall’art. 120, comma 3 (nuova formulazione), relativa alla possibilità di esdebitazione del fallito conferma la regola della maturazione degli interessi in corso di procedura, per i quali la medesima norma dispone expressis verbis il libero esercizio dei relativi diritti sostanziali e processuali, dopo la chiusura del fallimento. 8.2.7 Non risultano ostative all’accoglimento della tesi della maturazione degli interessi sui crediti chirografari nel corso della procedura neanche le argomentazioni legate, da un lato, alla non imputabilità al debitore fallito dei tempi della procedura concorsuale (tempi nel corso dei quali maturerebbero gli interessi) e, dall’altro, alla non esigibilità del debito principale produttivo di interessi. 8.2.7.1 Sotto il primo profilo, va osservato che la causa dell’apertura della procedura dell’insolvenza è pur sempre riconducibile al debitore e al suo comportamento inadempiente alle obbligazioni contratte (che determinano, tra l’altro, lo squilibrio patrimoniale e finanziario dell’impresa conducente all’accertamento dell’insolvenza), sicché non può ritenersi che il maturarsi degli interessi, nel corso della procedura concorsuale, sia fatto non imputabile al debitore fallito. Del resto, va aggiunto che il pericolo di ritardi nella chiusura della procedura fallimentare imputabili agli organi di quest’ultima (ed in particolare al curatore fallimentare) può essere contenuto, sul piano patrimoniale,
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attraverso la possibilità di azioni di responsabilità esperibili nei confronti del curatore stesso. Volendo, poi, spostare il discorso sulla tematica più estesa degli istituti di carattere generale di matrice civilistica, va osservato come, in realtà, nell’ipotesi di mora credendi (art. 1207 c.c., comma 1) si registri un caso codificato di non debenza degli interessi, fattispecie che tuttavia non si attaglia alla dichiarazione di fallimento che, per quanto si è ora chiarito, è invece riconducibile a condizioni e situazioni comunque imputabili alla sfera volitiva del debitore. 8.2.7.2 Sotto un secondo profilo di riflessione, va precisato che è proprio la L. fall., art. 55, comma 2, a statuire che i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, “agli effetti del concorso”, alla data di dichiarazione di fallimento, sicché i relativi crediti devono considerarsi esigibili all’interno del concorso e secondo le peculiari regole previste dalla legge fallimentare. Quanto appena precisato toglie respiro anche all’altra obiezione sollevata dai controricorrenti, e cioè che, ai sensi dell’art. 1282 c.c., comma 1, solo i “crediti liquidi ed esigibili” di somme di denaro producono interessi corrispettivi di pieno diritto, posto che, per un verso, i crediti nei confronti del fallito devono ritenersi esigibili, all’interno del concorso, già al momento della dichiarazione di fallimento e che, per altro verso, i medesimi crediti producono, pertanto, interessi durante la procedura, con la sola peculiarità – per quanto sopra spiegato – che quest’ultimi potranno essere richiesti al termine della procedura concorsuale al fallito tornato in bonis, secondo
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quanto disposto dalla L. fall., art. 55, comma 1. Occorre infatti distinguere il piano dell’esigibilità del credito, sul cui capitale maturano interessi secondo la regola dettata dalla norma da ultimo citata (esigibilità che, all’interno del concorso, è determinata proprio dalla dichiarazione di fallimento), dal piano della “sospensione temporanea” della esigibilità degli interessi che maturano nel corso della procedura sui crediti nei confronti del fallito che, come detto, con la dichiarazione di fallimento, diventano tutti esigibili, sempre secondo, però, le regole del concorso. 8.2.7.3 Né risulta di ostacolo a questa ricostruzione l’obiezione secondo cui la mancata disponibilità del patrimonio da parte del fallito (che ne è stato spossessato, ai sensi della L. fall., art. 42) renderebbe inesigibili i crediti, generatori di interessi, nei confronti del fallito. Sul punto, va precisato che, se è vero, per quanto sopra detto che, ai fini dell’apertura del concorso, la dichiarazione di fallimento determina ex sé la esigibilità di tutti i crediti nei confronti del fallito, è altrettanto indiscutibile che la sopra descritta “temporanea sospensione” dell’esigibilità degli interessi maturati in corso di procedura viene meno proprio allorquando il fallito, tornando in bonis, riacquista la disponibilità del suo patrimonio residuo, e ciò dopo che, fisiologicamente, tale disponibilità era stata trasferita in favore del curatore per consentire la liquidazione concorsuale dei beni. 8.2.8 Deve dunque affermarsi che, secondo la L. fall., art. 55, comma 1, la sospensione del decorso degli interessi vale solo all’interno del concorso e
non si estenda anche ai rapporti singolari tra ciascun creditore ed il fallito. Gli interessi, pertanto, continuano a maturare al di fuori del concorso e dunque nei rapporti tra il singolo creditore e debitore sottoposto a procedura concorsuale, e ciò secondo le consuete regole di cui all’art. 1282 c.c. ovvero le convenzioni stabilite tra le parti. 8.3 Ma anche il secondo motivo (corrispondente al primo motivo proposto da BBB in a.s.) è infondato. Infatti, il primo motivo del ricorso proposto da BBB in a.s e il secondo proposto Società AAA in liquidazione censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto la legittimazione attiva di NPL XXX s.r.l. sulla scorta delle cessioni di credito. 8.3.1 In primo luogo, l’argomento fondante la tesi dell’invalidità dell’atto di cessione dei crediti per indeterminatezza dell’oggetto risulta, in parte sconfessato, da quanto già sopra affermato in relazione al primo motivo, e cioè che, durante il corso della procedura concorsuale, gli interessi continuano a maturare nei rapporti tra fallito e singoli creditori, di talché anche l’oggetto della cessione, riguardante gli interessi cd. postfallimentari, deve ritenersi determinato e comunque determinabile. 8.3.2 In secundis, l’interpretazione dei predetti contratti di cessione è stata correttamente eseguita dalla corte distrettuale con valutazione in fatto che non è censurabile in cassazione, secondo la dedotta e sopra ricordata violazione di legge. Sul punto, non è inutile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda
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denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (così, ex plurimus, Cass. 28319/2017). 8.4 Il secondo motivo del ricorso proposto da BBB in a.s ed il terzo proposto AAA in liquidazione censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto provati in causa i crediti azionati. Essi sono invece inammissibili. 8.4.1 Sotto un primo profilo di riflessione, le censure non colgono la ratio decidendi della motivazione impugnata che – pur ritenendo tardiva la produzione documentale in appello e non opponibile a S. la documentazione riguardante i piani di riparto della procedura di amministrazione straordinaria – evidenzia come il fatto costitutivo del credito già monitoriamente azionato fosse costituito dall’ammissione al passivo di due crediti chiro-
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grafari, come tali idonei a far maturare gli interessi qui reclamati. Orbene, tale circostanza è stata ritenuta non contestata (ovvero non adeguatamente) contestata dalla corte di appello, così come del resto non era stata specificatamente contestata l’entità complessiva degli interessi reclamati. 8.4.2 Sotto altro profilo, va evidenziato come la parte ricorrente non lamenti tanto la violazione delle regole in punto di presunzioni semplici, quanto piuttosto l’apprezzamento in fatto da parte della corte di merito della documentazione attestante il credito azionato in sede giudiziale. Sul punto, non può neanche essere dimenticato che in tema di ricorso per cassazione, la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018). 9. Va ora esaminato il ricorso principale. 9.1 Esso va accolto nei limiti qui di seguito precisati. Il secondo e terzo motivo del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente. Per quanto già sopra ricordato, la Corte lagunare aveva ritenuto prescritto il diritto agli interessi corrispettivi post-fallimentari, in ragione del decorso del termine quinquennale ex art. 2948 c.c., n. 4.
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La corte ha fondato tale decisione, da un lato, sulla circostanza che l’invio della lettera raccomandata L. fall., ex art. 208, ovvero la formazione dello stato passivo da parte del commissario non aveva prodotto alcun effetto interruttivo del termine prescrizionale del credito per interessi post-fallimentari (posto che gli accessori non esigibili nei confronti della procedura avrebbero dovuto essere richiesti direttamente al debitore); e, dall’altro, perché, stante il carattere relativo della perdita della capacità processuale del fallito nel periodo compreso tra la dichiarazione di fallimento e la chiusura della procedura, ne sarebbe discesa la conseguenza che il creditore avrebbe potuto convenire in giudizio il fallito personalmente, per chiedere nei suoi confronti la condanna al pagamento di un credito estraneo alla procedura fallimentare, da far valere subordinatamente al ritorno in bonis del convenuto. La questione di fondo e prioritaria riguarda, in realtà, il profilo della sospensione nell’esigibilità dei crediti da interessi post-fallimentari L. fall., ex art. 55, co. 1 e la decorrenza della prescrizione, secondo quanto disposto dall’art. 2935 c.c. Il ricorrente principale sostiene, cioè, che – in considerazione del fatto che, per un verso, il corso di tutti gli interessi sui crediti chirografari rimane sospeso durante la procedura fallimentare e, per altro verso, la domanda di ammissione allo stato passivo L. fall., ex art. 94, produce l’interruzione della prescrizione con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura la decorrenza del termine di prescrizione del diritto agli interessi cd. Post – fallimentari non potrebbe che
farsi coincidere con la chiusura della procedura, sussistendo fino a tale momento un ostacolo legale all’esercizio del diritto – espressamente sancito dalla L. fall., art. 120 – che impedisce il corso della prescrizione. 9.1.1 Deve essere chiarito, in premessa, che la disciplina del codice civile sulla sospensione della prescrizione, prevista agli artt. 2941 ss. c.c. (che, peraltro, riveste carattere tassativo), non contiene principi dai quali è possibile dedurre la sospensione della prescrizione del credito degli interessi post-fallimentari per la durata della procedura di fallimento. 9.1.2 Occorre, inoltre, precisare che non è possibile affermare la predetta sospensione secondo il disposto di cui alla L. fall., art. 55, prevedendo tale disposizione solo l’esclusione della produzione e maturazione degli interessi agli effetti del concorso, mentre nessun principio può essere dedotto in relazione alla prescrizione del credito degli interessi. 9.1.3 Sul punto, la ricorrente invoca il disposto normativo di cui alla L. fall., art. 120, per dedurne che, fino alla chiusura della procedura, sussiste un impedimento legale all’esercizio del diritto che non consentirebbe il decorso del termine prescrizionale: secondo questa prospettazione, il termine di prescrizione non potrebbe mai iniziare a maturare per il fatto che il diritto non può essere esercitato (come prevede l’art. 2935 c.c.). 9.1.3.1 Tale assunto non è condivisibile proprio perché non è esatto che il credito per interessi sia totalmente inesigibile durante il fallimento. Sul punto deve essere chiarito che se è pur vero che il detto credito, per il disposto di cui alla L. fall., art. 55, è
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“fuori del concorso” e, dunque, non può essere ammesso al passivo (e così realizzato sull’attivo fallimentare), è altrettanto vero che, fuori dal fallimento, esso è esistente ed esigibile, secondo la naturale maturazione degli interessi, tanto ciò è vero che il creditore ben potrà, in costanza di fallimento, agire in giudizio nei confronti del fallito per l’accertamento di tale credito e la condanna al pagamento di esso: tale pronuncia sarà destinata ad avere efficacia esecutiva in riferimento al momento in cui il fallito sarà tornato in bonis, posto che il divieto di azioni esecutive e cautelari L. fall., ex art. 51 riguarda soltanto i beni compresi nel fallimento (Cass. 31843/2019; Cass. 2608/2014). 9.1.3.2 Così, va detto che – prima della chiusura della procedura – non è da escludersi che la condanna pronunciata a carico del fallito possa costituire titolo per un’azione esecutiva su beni non acquisiti all’attivo fallimentare. A ciò va aggiunto che tra i beni non compresi nel fallimento, aggredibili con azioni esecutive e cautelari, in costanza di fallimento, vi possono essere, oltre ai beni di cui alla L. fall., artt. 46 e 47, anche i beni pervenuti al fallito durante il fallimento e non acquisiti dal curatore L. fall., ex art. 42, comma 3, e i beni (già esistenti nel patrimonio del fallito alla data della dichiarazione di fallimento) non acquisiti all’attivo o rimessi nella disponibilità del debitore, per effetto di rinuncia alla liquidazione da parte del curatore L. fall., ex art. 104 ter, comma 7, sui quali, peraltro, quest’ultima disposizione (introdotta con il D.Lgs. n. 5 del 2006) espressamente consente che i creditori “in deroga a quanto
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previsto nell’art. 51, possono iniziare azioni esecutive o cautelari”. 9.1.3.3 Ne consegue che non residuano dubbi sulla possibilità che i creditori, durante la procedura fallimentare, possano agire in executivis nei confronti del fallito, purché su beni non compresi nel fallimento, e, per far ciò, possano, dunque, procurarsi titoli esecutivi giudiziali, esercitando azioni condannatorie a carico del fallito. 9.1.3.4 Per quanto concerne, più specificatamente, la costituzione in mora dell’impresa in amministrazione straordinaria, pur richiamando la Legge Prodi la L. fall., artt. 195 ss. e, dunque, L. Fall. art. 44, (a sua volta richiamato nella L. Fall., art. 200), deve tuttavia osservarsi che, pacificamente, il creditore può convenire in giudizio il fallito personalmente, per chiedere nei suoi confronti la condanna al pagamento di un credito estraneo alla procedura, da far valere subordinatamente al ritorno in bonis del convenuto (cfr., tra le altre, Cass. 2608/2014, cit. supra). 9.1.3.5 Del resto, la perdita di legittimazione processuale in capo al fallito, per effetto della dichiarazione di fallimento, non è assoluta ma relativa, e non comprende, dal punto di vista oggettivo, i diritti e le azioni esclusi dal fallimento; e dal punto di vista soggettivo, i diritti e le azioni proposti da creditori che, in luogo di partecipare al concorso, abbiano scelto di soddisfarsi sull’eventuale patrimonio che residuerà alla distribuzione dell’attivo (c.d. tutela post-fallimentare). Così, è stato ammesso che il creditore del fallito possa convenirlo in giudizio in proprio, chiedendo espressamente una condanna da intendersi
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eseguibile solo nell’ipotesi in cui questi dovesse ritornare in bonis (Cass. 5727/2004). Del pari, è stato affermato che il fallito possa essere convenuto in giudizio con una domanda fondata su un rapporto di cui gli organi fallimentari si siano disinteressati, e diretta ad ottenere una condanna da far valere dopo la chiusura del fallimento (Cass. 3245/2003). 9.1.3.6 Ne consegue che – come correttamente osservato anche dalla Procura generale nella requisitoria scritta – “... se il creditore può convenire in giudizio personalmente il fallito per chiedere nei suoi confronti la condanna al pagamento di un credito “estraneo” può, a più forte ragione, costituirlo in mora per un debito “estraneo” alla procedura” (così, quanto affermato da Cass. 11966/2018 deve, dunque, interpretarsi nel senso che non è possibile la costituzione in mora solo per un debito “interno” alla procedura). Quanto si è fin qui detto vale, naturalmente, anche per l’impresa in amministrazione straordinaria, come sostenuto peraltro dalla dottrina. 9.1.3.7 Ma se così è, allora non può certo dubitarsi che – non sussistendo ipotesi tipizzate di sospensione della prescrizione degli interessi cd. postfallimentari e non potendosi neanche affermare l’assenza di un diritto di azione da parte dei creditori per un credito estraneo alla procedura (e tali sono gli interessi postfallimentari L. fall., ex art. 55) – decorra la prescrizione anche per tali crediti da interessi, prescrivendo, invero la L. fall., art. 55, comma 1, solo una “temporanea” e (per quanto sopra osservato) “limitata” loro non esigibilità nei confronti del fallito.
9.2 Ciò posto e chiarito, occorre verificare la sussistenza o meno di efficaci atti interruttivi del decorso della prescrizione. Va, dunque, esaminata la questione dell’applicabilità all’amministrazione straordinaria dell’effetto interruttivo permanente previsto dalla L. fall., art. 94. 9.2.1 Sul punto, va ricordato come la corte di merito avesse ritenuto necessario un atto di interruzione della prescrizione azionato direttamente nei confronti della società debitrice in a.s. da parte dei creditori (e ciò per lo meno “in sede extragiudiziale”), non riconoscendo, dunque, efficacia interruttiva alla domanda di ammissione al passivo. Ebbene, occorre qui richiamare, in termini generali, la giurisprudenza pacifica espressa da questa Corte secondo cui la dichiarazione di fallimento non sospende né interrompe il termine della prescrizione per l’esercizio delle azioni creditorie e che soltanto la presentazione delle istanze per la insinuazione del credito nel passivo fallimentare, equiparabile all’atto con cui si inizia un giudizio, determina l’interruzione della prescrizione con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, in applicazione del principio generale fissato dall’art. 2945 c.c., comma 2 (cfr., anche, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11269 del 22/11/1990). 9.2.1 Sul punto, va tuttavia precisato, come premessa, che la domanda di ammissione al passivo presentata per il credito da capitale deve ritenersi avere efficacia interruttiva anche in relazione agli interessi che ne costituiscono un accessorio e, dunque, anche per gli interessi postfallimenta-
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ri, maturati fuori concorso, posto che quest’ultimi non possono ritenersi avulsi dal credito cui ineriscono e che è oggetto di ammissione al passivo, continuando tali interessi a maturare, nel corso della procedura, e risultando la loro esigibilità solo temporalmente “sospesa”. Del resto, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che l’interruzione della prescrizione per pendenza di lite sull’esistenza del credito si comunichi agli interessi relativi allo stesso, non potendosi agire per il conseguimento di essi fino a quando il credito cui si riferiscono non sia accertato mediante definizione del giudizio che lo contesta, con la conseguenza che il termine di prescrizione stabilito dall’art. 2948 n. 4 c.c. è interrotto, fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, anche riguardo agli interessi (Sez. 3, Sentenza n. 61 del 07/01/1982; conf. 20/72; cfr. anche Cass. 14 giugno 1993 n. 11071). 9.2.2 Ciò chiarito in termini generali, occorre, tuttavia, calare i principi sopra riaffermati alla fattispecie oggi in esame, che riguarda un’amministrazione straordinaria. 9.2.2.1 Ebbene, la L. fall., art. 94, non è richiamato dalla disciplina della liquidazione coatta e, dunque, dell’amministrazione straordinaria. Va anche ricordato che l’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa, come di amministrazione straordinaria, non determina alcun effetto sospensivo o interruttivo del decorso della prescrizione, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4209/2004) ed anche dalla dottrina. Ebbene, la fattispecie concretamente sottoposta all’esame di questa
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Corte riguarda, dunque, l’ipotesi di debitore assoggettato ad amministrazione straordinaria: con riferimento alla versione disciplinare originaria dettata per questa procedura (D.L. n. 30 del 1979, convertito in L. n. 95 del 1979; cfr. sopra, n. 1; com’è noto, il D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 53, comma 1, ha poi stabilito che “l’accertamento del passivo prosegue sulla base delle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, secondo il procedimento previsto dalla L. fall., artt. 93 ss.”). Ora, l’art. 1, comma 4, della citata legge prevede, per quanto non diversamente stabilito, l’applicazione degli articoli della legge fallimentare dedicati alla procedura di liquidazione coatta amministrativa (artt. 195 e ss.). Nel concreto, il riferimento, qui in interesse, va agli snodi determinati dalle norme degli artt. 207 e ss., secondo la versione all’epoca vigente (nelle sue linee di base, peraltro, non dissimile da quella che risulta nell’oggi vigente): comunicazione del commissario liquidatore ai singoli creditori delle “somme risultanti a credito di ciascuno secondo le scritture contabili e i documenti dell’impresa” (art. 207, comma 1); richiesta di “riconoscimento di propri crediti” da parte dei creditori che non hanno ricevuto la detta comunicazione, nonché eventuali “osservazioni (e) istanze” da parte dei creditori che la comunicazione hanno invece ricevuto (art. 208; art. 207, comma 3); formazione dello stato passivo da parte del commissario, con conseguente deposito in cancelleria e connessa esecutività del medesimo (art. 209, comma 1); eventuale proposizione delle opposizioni e impugnazioni, ai sensi della L. fall., artt. 98 e
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100, (versione vigente al tempo), “con ricorso al presidente del tribunale” (art. 209, comma 2). 9.2.2.2 Ritiene il Collegio che la diversa (rispetto a quella propria dell’esecuzione fallimentare) conformazione della procedura di verifica del passivo delineata dalla L. fall., artt. 207 e ss., non sia sostanzialmente di ostacolo a ravvisare l’applicazione, pure nell’ambito di quest’ultima, di quanto desumibile dalla norma della L. fall., art. 94. Non sia di ostacolo, più precisamente, a ricollegare alla partecipazione del creditore alla relativa procedura l’effetto di “interruzione permanente” della prescrizione che risulta per l’appunto stabilito da questa disposizione. Secondo i termini che si vengono ora a tratteggiare. 9.2.2.3 Ostativa al riguardo non è – va messo opportunamente in luce – la circostanza che, secondo la ferma giurisprudenza di questa Corte, la fase di verifica dei crediti di cui alla L. fall., artt. 207 e 208 e L. fall., art. 209, comma 1, ha, diversamente da quanto avviene nel fallimento, natura amministrativa e non giurisdizionale (quest’ultima sussistendo solo nella fase eventuale delle opposizioni e impugnazioni). In effetti, le pronunce di questa Corte, che si sono soffermate su questo profilo, non hanno mai toccato, né sfiorato, lo specifico tema, qui in rilievo, dell’interruzione della prescrizione (Cass., SS.UU., 1 ottobre 2008, n. 25174 concerne la conformazione del termine di impugnazione; Cass., 13 settembre 2017, n. 21216 attiene alla procura conferita al difensore; Cass., 26 marzo 2015, n. 6060 riguarda il tema delle domande tardive; Cass., 15
febbraio 2016, n. 2917 si occupa del rapporto tra la domanda presentata in sede di insinuazione e quella in sede di opposizione). Non mancano, d’altra parte (e, volendo, soprattutto), pronunce che hanno esplicitamente affermato l’applicazione della L. fall., art. 94, al contesto della procedura di verifica delineata nella L. fall., art. 207 e 208 e L. fall., 209, comma 1. Il riferimento in particolare va, con diretto riguardo alla procedura di amministrazione straordinaria, alle sentenze di Cass. n. 8515/1996 e di Cass. n. 9766/1997 (entrambe relative a fattispecie di creditori non fatti oggetto di comunicazione da parte del commissario e presentatori di istanze di insinuazione tardiva L. fall., ex art. 101, versione dell’epoca). Va, altresì, con relazione immediata alla procedura di liquidazione coatta, alle sentenze di Cass. n. 17955/2003 e di Cass. n. 4209/2004 (anch’esse concernenti casi di creditori presentatori di istanze di insinuazione tardiva). 9.2.2.4 A supporto della soluzione adottata dalle pronunce or ora richiamate va rilevato che la proposizione di un’istanza, che possieda natura giudiziale (art. 2945 c.c., comma 2), non può essere considerata condizione esclusiva, indispensabile, per la produzione del c.d. effetto permanente della prescrizione. Prevede, invero, la norma dell’art. 2945 c.c., comma 4, “nel caso di arbitrato la prescrizione non corre dal momento della notificazione dell’atto contenente la domanda di arbitrato sino al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non è più impugnabile”.
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È importante notare, a questo proposito, che – come puntualmente osservato in dottrina – la detta efficacia permanente prescinde propriamente dall’eventuale passaggio in giudicato del lodo; e quindi prescinde in toto dal decreto del tribunale che eventualmente venga a “concedere”, su richiesta della parte interessata, l’esecutorietà del lodo medesimo (cfr. l’art. 825 c.p.c.). Non può essere però dimenticato che, secondo la giurisprudenza di vertice espressa da questa Corte (Cass. Sez. Un., ord. n. 24153 del 25.10.2013), l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994 n. 25 e dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario. Tuttavia, non meno importante è osservare che la pronuncia di Cass., 5 dicembre 2001, n. 15410 ha ritenuto applicabile la disposizione dell’efficacia permanente di cui all’art. 2945 c.c., comma 4, anche alle fattispecie di arbitrato irrituale (nel caso di specie, al procedimento di perizia contrattuale instaurato dall’assicurato con lettera raccomandata contenente la designazione del proprio tecnico, come accettata dall’assicuratore mediante indicazione del proprio perito). 9.2.2.5 Per altro verso va ancora notato che l’esperimento del “procedimento di mediazione”, previsto dal D.Lgs. n. 28 del 2010, come condizione di attivazione di tutta una serie di processi civili, viene “dal momento della comunicazione alle altre parti” automaticamente a produrre “sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”.
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In relazione a questa ipotesi – e ad altre, correnti specialmente in materia previdenziale e in materia di diritto del lavoro –, è stato significativamente osservato che il sistema vigente presenta più casi in cui l’azione giudiziaria possa essere instaurata solo dopo l’effettuazione di un “procedimento extragiudiziario, non necessariamente contenzioso” e che, in tali evenienze, la tendenza è quella ad equiparare, in tema di efficacia permanente della prescrizione, alla domanda giudiziale l’istanza rivolta al soggetto competente a definire la fase extragiudiziaria. Alla base di questa tendenza sta – come ha provveduto a chiarire la pronuncia di Cass., SS.UU., 16 novembre 1999, n. 783 (con immediato riferimento alla fattispecie disciplinata dalla norma del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112) – il “principio secondo cui la necessità di esperire una procedura giudiziaria per realizzare il diritto non deve danneggiare il titolare”: tale esigenza è “viva” – si è proseguito – “anche quando la realizzazione del diritto soggettivo presupponga l’esperimento necessario di una procedura amministrativa, come avviene di frequente nelle obbligazioni pubbliche e viene soddisfatta o in funzione pretoria oppure... attraverso la legge”. In applicazione sostanziale di questi principi, la recente pronuncia di questa Corte, 5 marzo 2019, n. 6343 ha stabilito che “in tema di risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo, la domanda di annullamento dell’atto proposta avanti al giudice amministrativo... esprime la volontà del danneggiato di reagire all’azione autoritativa illegittima e, quindi, interrompe per tutta la durata del processo amministrativo il termine di prescri-
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zione dell’azione risarcitoria, successivamente esercitata dinnanzi al giudice ordinario”. 9.2.2.6 A positivo conforto della soluzione adottata dalle sopra citate pronunce di questa Corte (ultimo capoverso, p. 9.2.2.3) – e che qui viene condivisa – milita, d’altro canto, pure un evidente rilievo di ordine sistematico. In effetti, nel sistema vigente la regolamentazione propria della procedura fallimentare si pone, tra le altre cose, (pure) come fulcro informatore della disciplina delle altre procedure di origine e tratto (più o meno marcatamente) amministrativo. Milita altresì, e più in particolare, la constatazione che la norma della L. fall., art. 209, comma 2, richiama – per le opposizioni e impugnazioni dei crediti non ammessi nello stato passivo dell’amministrazione straordinaria – la normativa della L. fall., artt. 98 e seg., che è scritta per la procedura fallimentare (secondo quanto già accennato sopra, nel p. 9.2.2.1). Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, invero, il giudizio di opposizione, pur non potendosi identificare nella struttura dell’appello, possiede comunque una natura propriamente impugnatoria (cfr., per tutte, Cass., n. 31 luglio 2017, 19003). Ora, quest’uniformità dei procedimenti di impugnazione pare, tra l’altro, dare per presupposto una parificazione, almeno sostanziale, degli esiti delle rispettive fasi di accertamento dei crediti e degli effetti dalle stesse prodotti. Né si vede, anche in via correlata, la ragione che – sotto il profilo della partecipazione al concorso – possa giustificare un trattamento differenziato tra creditori comunque ammessi allo stato passivo e creditori
che, in quanto esclusi, hanno dovuto proporre opposizione. 9.2.2.7 Ferma questa somma di rilievi, si tratta adesso di individuare l’estensione in cui risulta predicabile, nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria (secondo la sua versione originaria, tuttora sostanzialmente in essere per la procedura di liquidazione coatta), l’effetto di interruzione permanente della prescrizione di cui alla disposizione della L. fall., art. 94. La questione si pone, naturalmente, per i creditori la cui partecipazione al concorso segua in via immediata alla comunicazione del commissario L. fall., ex art. 207, comma 1, non essendo invero dubitabile – sulla base delle considerazioni sopra effettuate – che la disciplina di cui alla L. fall., art. 94, si applichi senz’altro alle posizioni comunque legate all’espressa manifestazione di una richiesta da parte del singolo creditore (e riconducibili, dunque, alle situazioni considerate nelle norme della L. fall., art. 209, comma 2, L. fall., art. 208 e L. fall., art. 207, comma 3). 9.2.2.8 Il Collegio ritiene che la regola dell’interruzione permanente della prescrizione, di cui alla L. fall., art. 94, venga a trovare applicazione anche nei confronti delle posizioni creditorie appena emarginate. È da osservare, in proposito, che la mancata formalizzazione di una domanda da parte delle posizioni creditorie in esame viene nella sostanza a dipendere dalla peculiare struttura organizzativa che connota la relativa procedura. Al principio dell’impulso della domanda, che governa l’esecuzione fallimentare (cfr. le norme della L. fall., art. 93 e L. fall., art. 118,
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comma 1, n. 1), si sostituisce la regola dell’impulso d’ufficio” che tipicamente connota la procedura di liquidazione coatta, quale calco base della versione originaria di quella di amministrazione straordinaria (cfr. Cass. S.U., 26 marzo 2015, n. 6060). In un simile contesto di riferimento specifico, la formale presentazione di una domanda da parte del creditore si manifesta – prima ancora che non necessaria – non utile e, a ben guardare, neppure opportuna. Nella valutazione del legislatore, invero, risulta normale (nel senso dell’id quod plerumque accidit) che le risultanze documentali dell’impresa in liquidazione – sulla base delle quali il commissario forma le comunicazioni da inviare ai vari interessati (cfr. l’ultima parte del primo periodo dell’art. 207, comma 1) – corrispondano ai termini oggettivi delle pretese creditorie (non a caso la citata pronuncia delle Sezioni Unite considera semplici “temperamenti” dell’officiosità della procedura di verifica le “facoltà” di “intervento” del creditore previste dalla L. fall., art. 207, comma 3, e L. fall., art. 208). 9.2.2.9 È da aggiungere che la soluzione qui adottata risulta altresì imposta dal principio di ragionevolezza ovvero (e altrimenti detto) da quello della parità di trattamento. Non è infatti oggettivamente pensabile che il creditore – che non ha nulla da obiettare alle risultanze documentali espresse dall’impresa in liquidazione sia posto in una posizione deteriore (ovvero sia discriminato) rispetto a quella del creditore che tale non viene considerato (anche solo per misura o grado) dalla medesima documentazione. Neppure è pensabile che i creditori ammessi de plano siano posti in
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posizione diversa e peggiore rispetto a quella di coloro che, per far valere il loro titolo, abbiano dovuto svolgere delle specifiche contestazioni (su quest’ordine di rilievi v. già sopra, l’ultimo periodo del p. 9.2.2.6). 9.2.2.10 Resta ancora da puntualizzare che – per i creditori di cui si sta discorrendo – l’effetto interruttivo della prescrizione viene a prodursi (solo) al tempo in cui diventa esecutivo l’elenco dei creditori ammessi ai sensi della L. fall., art. 209, comma 1. Secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, è soltanto con il deposito in cancelleria che il detto elenco “non può più essere variato, né revocato” (cfr., in specie, Cass., 12 febbraio 2008, n. 3380). Occorre pertanto una rilettura da parte della Corte di appello della vicenda processuale alla luce dei principi qui affermati, in relazione al secondo e terzo motivo del ricorso principale, che vanno accolti nei limiti di cui in motivazione. 10. Il quarto motivo è assorbito. 11. Il quinto motivo è invece inammissibile in quanto la società ricorrente non ha interesse ad impugnare la statuizione della corte lagunare in relazione alla dichiarata tardività della produzione documentale in appello, posto che, sotto un primo preliminare profilo, tale statuizione non costituisce un capo autonomo della sentenza e, sotto altro profilo di osservazione, occorre ricordare che, sul punto, la odierna parte ricorrente è risultata vincitrice in ordine al proposto appello incidentale con la conseguenza che la medesima parte non è legittimata ad impugnare la detta statuizione. A ciò va aggiunto che il motivo difetta di autosufficienza, requisito per il
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quale il deducente ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (così, Cass. 13625/2019). Ciò non è avvenuto da parte dell’odierno ricorrente. Occorre pertanto affermare i seguenti principi di diritto: “Secondo la l. fall., art. 55, comma 1, la sospensione del decorso degli interessi vale solo all’interno del concorso e non si estende anche ai singoli rapporti correnti tra ciascun creditore ed il fallito. Gli interessi, pertanto, continuano a maturare al di fuori del concorso e dunque nei rapporti tra il singolo creditore e debitore sottoposto a procedura concorsuale”. “La prescrizione degli interessi sui crediti chirografari ai sensi della L. fall., art. 55, comma 1, matura anche nel corso della procedura concorsuale”. (Omissis) Motivi della decisione 8. Il motivo di ricorso presentato dalla NPL XXX denunzia “violazione e falsa applicazione L. n. 95 del 1979, art. 1, comma 3, L. Fall., artt. 51, 54, 93, 94, 120, 201, 203 e 208, nonché dell’art. 2935 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
“La prescrizione dei crediti da interessi maturati sui crediti chirografari, ai sensi della L. fall., art. 55, comma 1, viene interrotta, nella procedura fallimentare, dalla domanda di insinuazione al passivo con effetto permanente per tutto il corso della procedura. Nella diversa ipotesi di amministrazione straordinaria, sottoposta alla disciplina originaria di cui alla L. n. 95 del 1979, come avviene anche nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, l’esecutività dello stato passivo depositato dal commissario ai sensi della L. fall., art. 209, comporta interruzione della prescrizione con effetto permanente, per tutto il corso della relativa procedura concorsuale, anche per i creditori ammessi a diretto seguito della comunicazione inviata dal commissario ai sensi della L. fall., art. 207, comma 1”. In conclusione, va accolto, nei limiti e nei termini che sono stati indicati, il ricorso principale. Vanno respinti i ricorsi incidentali. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata con rinvio alla Corte di appello di Venezia, che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. (Omissis) II Uguale formulazione possiede il motivo presentato dalla soc. CCC s.p.a. 9. Il motivo del ricorso incidentale proposto dalla AAA s.p.a. è stato intestato “violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 42, 43, 44, 51, 55, art. 120, comma 3, art. 216; artt. 1282, 1224 e 1284 c.c., nonché, per altro verso, omesso esame di fatti e argo-
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mentazioni decisive per la risoluzione della presente controversia”. Il motivo di ricorso incidentale formulato dalle s.p.a. BBB s.p..a (per errore denominato “appello incidentale”, a p. 11 dell’atto) richiama le norme della L. Fall., artt. 42, 44, 54, 55, 120, 201, L. n. 95 del 2016, art. 1, nonché degli artt. 1224 e 1282 c.c., lamentando vizio di violazione di legge, per avere la Corte di Appello male interpretato queste disposizione ed “erroneamente ritenuto che nel corso della procedura concorsuale continuino a maturare gli interessi sui crediti chirografari nei confronti del debitore e che tali interessi rappresentino così un credito verso il debitore liberamente azionabile una volta chiusa la procedura”. 10.- Non dissimili nei contenuti, i ricorsi incidentali pongono una problematica che risulta logicamente antecedente a quella rappresentata dal ricorso principale e dal ricorso proposto dalla CCC s.p.s. La relativa questione va pertanto presa in esame prima delle restanti altre. 11. Sostengono dunque i ricorrenti incidentali che la Corte veneziana ha errato nel ritenere la produzione degli interessi cc.dd. post-fallimentari a carico del debitore in pendenza di procedura. “Tale tesi” – si assume – “è in contrasto con il disposto normativo”: che invece indica la “non decorrenza degli interessi, siano essi corrispettivi o moratori, sui crediti ammessi allo stato passivo”. 11.1. A sostegno di tale assunto, i ricorrenti incidentali affermano, anzitutto, che la norma della L. Fall., art. 120, comma 3, non è applicabile alla procedura di amministrazione straor-
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dinaria, in quanto non espressamente richiamata dalla normativa di specifico riferimento. Del resto, anche la norma della L. Fall., art. 55 – si sottolinea – non risulta specificamente richiamata dalla L. n. 95 del 1979. I ricorrenti affermano, inoltre, che comunque la Corte veneziana ha errato nell’interpretare la norma della L. Fall., art. 55. E questo sotto molteplici punti di vista (cfr. da n. 11.1. a n. 11.6.). 11.2. Un primo profilo attiene all’interpretazione della disposizione della L. Fall., art. 55. Trattasi di “norma a struttura incompleta”, si dice, che regola solo l’“ipotesi di interessi prodotti nel corso del processo fallimentare e quindi nei rapporti con la “massa” dei creditori”. “L’ipotesi di ‘interessi al di fuori del concorso’ non è disciplinata” da questa disposizione, ma da altra e integrativa normativa (secondo quanto viene riferito nel prossimo n. 11.3). Perciò, non risulta in nessun modo possibile – si precisa – leggere la disposizione della L. Fall., art. 55, attraverso e nella luce informante dell’argomento a contrario. 11.3. Un secondo profilo prende le mosse dal rilievo della sentenza per cui, pendente la procedura, il credito per gli interessi non è esigibile, né pagabile dal fallito: “lo spossessamento subito dal debitore a norma della L. Fall., art. 42, impedisce al creditore di chiedere l’adempimento” al fallito; “il pagamento eventualmente da questi effettuato comunque (è) inefficace L. Fall., ex art. 44, nonché addirittura sanzionato penalmente, quale atto di bancarotta fraudolenta, ai sensi della L. Fall., art. 216, comma 3”.
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Il rilievo è corretto, si assume. Da questa osservazione, tuttavia, la Corte veneziana non ha tratto l’inferenza che pure – ritengono i ricorrenti incidentali – ne segue inevitabilmente nell’ambito del sistema vigente: “non può essere dimenticato, infatti, che il requisito imprescindibile e primo per la produzione degli interessi è, ai sensi dell’art. 1282 c.c., l’esigibilità del debito principale”. 11.4. Sotto un profilo ulteriore, i ricorrenti incidentali rilevano che la lettura della L. Fall., art. 55, deve tenere conto in modo particolare del fatto che la “durata della procedura fallimentare non può in alcun modo andare a danno del debitore, né può rappresentare il presupposto per la liquidazione di una somma a titolo risarcitorio o comunque di copertura e ristoro dello svantaggio economico conseguente al mancato incasso del credito... in quanto la procedura fallimentare e i tempi della procedura stessa non potranno essere assimilati a un inadempimento del debitore fallito, con conseguente esclusione della stessa configurabilità della produzione di interessi”. 11.5. Sotto un altro profilo ancora, i ricorrenti incidentali affermano che il richiamo effettuato nella sentenza impugnata alla pronuncia di questa Corte n. 2608/2014 “non è convincente e anzi è erroneo”. Tale pronuncia – si rileva – riguarda il “fideiussore in bonis del debitore principale fallito”, mentre la questione qui in esame concerne il “debitore che sia sottoposto a procedura concorsuale”. A differenza di quest’ultimo - si incalza -, il primo “conserva la piena disponibilità del proprio patrimonio e dunque può e anzi è onerato di provvedere al pagamento garantito”;
“successivamente, può procedere se del caso all’ammissione allo stato passivo secondo le forme, le modalità e i tempi previsti dalla L. Fall., artt. 61 e segg.”. 11.6. Da ultimo, i ricorrenti incidentali assumono che pure la norma della L. Fall., art. 120, comma 3 (ove ritenuta applicabile) conferma la tesi della non produzione di alcun interesse nella fase concorsuale. Tale norma – si spiega – “si riferisce ai soli crediti verso il fallito che si siano formati anteriormente all’apertura del concorso e che si sono cristallizzati con la declaratoria di esecutività dello stato passivo fallimentare, vale a dire soltanto ai crediti per capitale ovvero per interessi maturati anteriormente alla data di dichiarazione di fallimento e che hanno trovato riconoscimento nel passivo”. 12. I ricorsi incidentali non sono fondati e non possono, quindi, essere accolti. 13. Il primo punto di cui occorre occuparsi attiene all’individuazione della normativa di riferimento della fattispecie in esame, posto in specie che i ricorrenti incidentali mettono in discussione l’applicabilità della norma dell’art. 120, comma 3; come anche di quella della L. Fall., art. 55 (sopra, n. 11.1.). È pacifico, in materia, che nel caso in questione trova applicazione la L. n. 95 del 1979, nella sua versione originaria, la procedura di amministrazione straordinaria della (omissis) essendo stata avviata nel 1983. Ora, l’art. 1, comma 3 di tale legge stabilisce, tra l’altro, l’applicazione della L. Fall., artt. 195 e segg., così rinviando alla disciplina della liquidazione coatta amministrativa. La quale, a
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sua volta, dichiara (cfr. l’art. 201) la diretta applicazione delle disposizioni del titolo II, capo II, sezione II della stessa L. Fall. Dunque, tra le altre, pure di quella della L. Fall., art. 55. Alla rilevata applicazione di questa sezione II consegue, poi, pure l’applicazione in fattispecie della disposizione dell’art. 120, comma 3: la regola base, che viene ivi fissata (per cui, con la chiusura della procedura “i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore...”), si pone infatti come disposizione che pone termine agli “effetti del fallimento per i creditori” di cui appunto alle norme della L. Fall., artt. 51 e segg. Non appare infatti ipotizzabile che tali effetti durino per un tempo indefinito (pur dopo l’avvenuta chiusura della procedura). D’altro canto, neppure è stata prevista l’esdebitazione quale regola generale di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria. 14. Ciò posto, va adesso osservato che non risulta condivisibile l’opinione per cui quella dell’art. 55, è norma “a struttura incompleta”, che è promossa dai ricorrenti incidentali (sopra, n. 11.2.): quale norma, cioè, che si occupa solo di una parte della fattispecie (quella interna alla procedura, impregiudicato il resto). La norma dell’art. 55, in realtà, è chiara e univoca nell’esprimere una volontà legislativa precisa e compiuta. La proposizione normativa utilizzata (“la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi... agli effetti del concorso”) implica positivamente una distinzione disciplinare tra gli effetti endofallmentari e gli effetti esofallimentari. Se il regime degli interessi fosse identico tanto all’interno
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della procedura, quanto fuori dalla medesima – come pure sostengono i ricorrenti incidentali (per i quali, gli interessi non corrono in ogni campo e in ogni caso) – una simile distinzione non avrebbe senso alcuno. Per gli effetti esofallimentari non v’è, per vero, alcun rinvio “in bianco” ad altra e ipoteca norma (o anche a un preteso principio del sistema). La disposizione dell’art. 55, regola l’intera fattispecie. Nel contesto di una disciplina già specificamente intesa a regolare gli “effetti del fallimento” – cioè, del concorso – “per i creditori”, quale è quella di cui alla sezione II (L. Fall., artt. 51 e segg.,), l’ulteriore, puntuale indicazione che la “sospensione degli interessi” vale solo agli “effetti del concorso”, di cui all’art. 55, mostra propriamente, e anzi sottolinea, che fuori dal concorso una simile sospensione non c’è. Non propone, poi, profili di contraddizione con quanto appena osservato la norma della L. Fall., art. 120, comma 3, là dove dispone che con la chiusura della procedura, i “creditori riacquistano il libero esercizio... per la parte non soddisfatta del loro crediti per capitale e interessi”. In realtà, la lettura dei ricorrenti incidentali, che limita la portata della disposizione ai soli interessi maturati prima della dichiarazione di fallimento (sopra, n. 11.6), risulta sostanzialmente frutto di una precompressione: nel senso appunto che suppone necessariamente una particolare – e non condivisibile – lettura dell’art. 55. Il testo dell’art. 120, non legittima un simile approccio; e, anzi, di per sé lo smentisce, posto se non altro che il richiamo operato agli “interessi” non va oltre l’indicazione del loro genere
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(altrimenti detto, è onnicomprensivo, risultando senz’altro riferibile, di conseguenza, non solo agli interessi maturati prima dell’apertura della proceduta, ma anche a quelli maturati dopo). 15. L’orientamento della giurisprudenza di questa Corte appare da tempo consolidato nel ritenere che la norma della L. Fall., art. 55, concerne il corso degli interessi solo per l’ambito della procedura, lasciando invece aperta la loro maturazione riguardo al rapporto extrafallimentare corrente tra creditore e debitore. Si veda in proposto già la pronuncia di Cass., 27 gennaio 1975, n. 315, per la quale “con la dichiarazione di fallimento si sospende di diritto il decorso degli interessi quanto meno per i crediti chirografari”: “si tratta di una sospensione limitata ai fini del concorso, talché si è fondatamente sostenuto che, una volta chiuso il fallimento, i creditori possono chiedere al fallito in sede post-fallimentare il pagamento della residua somma non ricevuta nella ripartizione dell’attivo, calcolati gli interessi come normalmente e ordinariamente prodottisi anche in rapporto al tempo della pendenza del processo di fallimento”. Nella stessa direzione sostanziale si vedano inoltre, tra le altre, le pronunce di Cass., 3 dicembre 1997, n. 12262; di Cass., 30 marzo 2005, n. 6672; di Cass., 14 marzo 2008, n. 6953; di Cass., 5 febbraio 2014, n. 2608. 16. Come già sopra si è segnalato (n. 11.5), i ricorrenti incidentali hanno contestato la pertinenza della pronuncia per ultimo citata – e a cui si era propriamente richiamata la sentenza della Corte di Appello ai connotati
propri della fattispecie concretamente in giudizio. Come puntualmente segnala il controricorso al ricorso incidentale, la fattispecie oggetto di esame dalla pronuncia n. 2608/2014 fa riferimento a una richiesta di pagamento degli interessi maturati in pendenza di una procedura di fallimento aperta nei confronti di un fideiussore, relativamente al debito attinente alla garanzia. Si tratta, quindi, di caso di sostanza analoga a quello qui in esame. La citata pronuncia di questa Corte propone – è questo, piuttosto, lo spunto da rimarcare – un profilo ulteriore a sostegno della ricostruzione adottata dalla Corte territoriale, e qui confermata. “Nei confronti del fallito” – annota dunque la sentenza n. 2608/2014 “gli interessi continuano a decorrere anche durante la procedura e gli potranno essere domandati dopo la chiusura del fallimento”: “prova ne sia che, anche durante la pendenza del fallimento, gli interessi maturati dopo l’apertura di esso restano dovuti dagli eventuali fideiussori del fallito” (cfr. su questo punto, tra le più recenti, Cass., 8 agosto 2013, n. 18951). “Il che non potrebbe spiegarsi, data l’accessorietà dell’obbligazione del fideiussore, se non presupponendo che gli interessi dovuti dal debitore principale continuano a maturare dopo l’apertura del fallimento”. In effetti, stante il principio sancito dalla norma dell’art. 1941 c.c., per potere predicare l’eventualità di situazioni in cui la fideiussione viene chiamata a operare (anche) in duriorem causam (“in eccedenza”, cioè, rispetto a quanto riscuotibile dal debitore principale) occorre la presenza di una
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specifica disposizione di legge che un simile risultato venga espressamente a legittimare (come accade nelle disposizioni dell’art. 135, comma 2 e art. 142, comma 2, comunemente ritenute, del resto, norme affatto eccezionali): disposizione, nella specie, per contro mancante. 17.1. Neppure risulta condivisibile l’ulteriore affermazione dei ricorrenti incidentali, per cui “il requisito imprescindibile e primo per la produzione degli interessi è, ai sensi dell’art. 1282 c.c., l’esigibilità del debito principale” (cfr. sopra, nel n. 11.3). L’esigibilità del credito non può essere considerata condizione necessaria per la produzione degli interessi. Non lo è, propriamente, per gli interessi c.d. compensativi, che cioè si ritraggono – secondo la formulazione dell’art. 821 c.c., comma 3 – come “corrispettivo del godimento che altri abbia” di un capitale. Così è per gli interessi nella vendita ex art. 1499 c.c. (“salvo diversa pattuizione, qualora la cosa venduta e consegnata al compratore produca frutti o altri prodotti, decorrono gli interessi sul prezzo, anche se questo non è ancora esigibile”). Così è pure, sempre ad esempio, per gli interessi nel mutuo ex art. 1815 c.c., comma 1 (“salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuatario”), che è operazione – come è ben noto – in cui il “termine per la restituzione” (ovvero l’esigibilità del credito) “si presume stipulato a favore di entrambe le parti” (salvo unicamente il caso che, nel concreto, il mutuo venga a titolo gratuito e quindi senza produzione di nessun interesse compensativo; cfr. la norma dell’art. 1816 c.c.).
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Che anzi questa tipologia di interessi (c.d. compensativi) viene a maturare, giorno per giorno, proprio perché – e nella misura in cui – il debito capitale (o principale) non è (ancora) esigibile. 17.2. D’altro canto, è pure da tenere presente in materia che la norma dell’art. 1182 c.c., comma 3, assicura che, nel sistema vigente, le obbligazioni pecuniarie sono – almeno in termini di principio – delle obbligazioni portables. Sì che è il mero fatto della (infruttuosa) scadenza del termine fissato per l’adempimento della prestazione a fare decorrere gli interessi moratori, secondo appunto il brocardo per cui, in questo caso, dies interpellat pro homine. Neanche da quest’angolo visuale, quindi, l’esigibilità del credito (assunta questa, naturalmente, nei termini di figura a sé stante, autonoma) può essere considerata situazione in linea di principio necessaria – e, come tale, ipoteticamente rilevante per il tema degli interessi post-fallimentari – ai fini della produzione di interesse. 18. Per completare l’esame delle ragioni esposte dai ricorsi incidentali, è ancora da rilevare che la soluzione adottata dal legislatore, di consentire la maturazione degli interessi pur in pendenza di una procedura fallimentare non risulta sprovvista di giustificazioni. È vero che la durata della procedura non risponde a una colpa del debitore, come sottolineano i ricorrenti incidentali (n. 11.4.). È pure vero, però, che fermarsi a questa constatazione implica proporre una visuale ridotta, sostanzialmente unilaterale, del tema (al di là della constatazione che, comunque, l’ipotesi di ritardi col-
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posi del curatore espone quest’ultimo alla responsabilità L. Fall., ex art. 38). La durata della procedura non risponde neanche a una colpa del creditore. Che pure sopporta, per l’intero periodo della stessa, gli stringenti effetti di cui alla L. Fall., artt. 51 e segg., dalla chicane data dal blocco delle azioni esecutive in poi. E che non solo non può chiedere la prestazione al fallito, ma da questi nemmeno può riceverla ovvero trattenerla (visto il meccanismo di inefficacia stabilito dalla norma della L. Fall., art. 44, che conduce senz’altro alla restituzione di quanto ricevuto). Ciò che, tra l’altro, esclude in radice l’idea di ogni eventuale accostamento della fattispecie in esame a quella data dalla mora credendi: solo l’assenza di un concreto “motivo legittimo” di ricevere la prestazione potendo comportare, nel sistema vigente, l’eccezionale misura di cessazione della produzione degli interessi, che risulta prevista dell’art. 1207 c.c., comma 2. Non si può trascurare, poi, che la fattispecie fatta oggetto di disciplina dalla norma della L. Fall., art. 55, fa propriamente riferimento alle ipotesi in cui il rapporto obbligatorio risulti già gravato dal correre degli interessi – a seconda delle circostanze concrete, poi da classificare come compensativi o corrispettivi o moratori – e per se stesso destinato a gravarsene in via ulteriore sino all’estinzione dell’obbligazione relativa. Una disposizione che stabilisse la cessazione degli interessi anche fuori dall’ambito fallimentare verrebbe dunque a determinare un sicuro e oggettivo depauperamento della posizione creditoria: al ricorrere di una situazione – qual è quella del fallimento del
debitore – che, in termini di normalità almeno, il creditore non crea, quanto piuttosto subisce; e che comunque, nel contesto del rapporto obbligatorio, resta situazione oggettivamente imputabile, e dunque riferibile, alla posizione debitoria (come si vede, il discorso prescinde, in sé e per sé, da ogni richiamo al c.d. principio del favor creditoris, che parte della dottrina tuttora ritiene essere parte fondante dello schema sistematico adottato dal legislatore del 1942). 19.- Il motivo di ricorso principale, che è stato distintamente presentato dalla soc. NPL XXX e dalla soc. CCC s.p.a., censura la statuizione della Corte veneziana che ha ritenuto prescritto il credito c.d. post-fallimentare azionato da queste società (cfr. sopra, n. 6). 19.1. In proposito, sostengono in prima battuta i ricorrenti principali che “il credito per interessi ‘può essere fatto valere’ – nel senso di possibilità di esercizio legale, che appare letteralmente esclusa dalla L. Fall., art. 120 – solo laddove attraverso l’esercizio del diritto sia possibile conseguire la relativa soddisfazione”; l’“inizio della prescrizione può essere determinato solo attraverso la necessaria coincidenza del mancato adempimento da parte del debitore e il mancato assolvimento, da parte del creditore, dell’onere di sollecitare la controparte”. In questo senso va dunque letto – si sostiene – il portato normativo di cui all’art. 2935 c.c. Perciò, il dies a quo della decorrenza della prescrizione del credito per interessi si fissa nel momento di chiusura della procedura concorsuale. 19.2. La norma dell’art. 120 – si viene in via ulteriore ad annotare – è esplicita nello stabilire che solo con
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la chiusura del fallimento i creditori “riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore”. Tale disposizione, del resto, fa seguito – si precisa ancora – allo svolgimento di una procedura connotata, da un lato, dallo spossessamento del debitore (con tutte le conseguenze che sul piano del rapporto obbligatorio corrente con il singolo creditore ne derivano). Dall’altro, dal fatto che “la presentazione della domanda di ammissione al passivo” comporta l’“interruzione della prescrizione del credito, con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura”. 20. Il motivo va accolto, nei limiti e secondo i termini che qui di seguito vengono esposti (cfr., in particolare, i prossimi numeri 25, 26, 29, 34, 35 e 37). 21. A tale proposito va subito messo in evidenza che non può ritenersi corretta la tesi (principale, per così dire) dei ricorrenti principali per cui all’inesigibilità della prestazione degli interessi, maturandi in corso di procedura, si associa in automatico il “blocco” dell’operare della prescrizione (cfr. sopra, il n. 19.1.). La giurisprudenza di questa Corte ha invero sviluppato, e da tempi risalenti, un orientamento che abilita il creditore a ottenere in via extrafallimentare – e, tuttavia, nel periodo di svolgimento della relativa procedura – un provvedimento di condanna nei confronti del fallito, da eseguirsi allorché questi ritorni in bonis. 22. Si vedano in questa direzione, tra le altre, Cass. 24 marzo 2011, n. 6734 (“il creditore che si mantenga estraneo alla procedura concorsuale ben può agire contro il fallito per ottenere un provvedimento che, pur
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non essendo opponibile al momento, alla massa dei creditori, diviene esigibile quando il debitore ritorna in bonis”; “ne consegue che, se il fallito non si difende a seguito della notifica di un decreto ingiuntivo da parte di un creditore per un credito estraneo alla massa, il provvedimento, decorso i termini di opposizione, diviene definitivo e acquista esecutività dopo la chiusura del fallimento”); Cass., 27 aprile 1981, n. 2542 (idem); Cass., 26 giugno 2012, n. 10640 (che ha ritenuto sufficiente la dichiarazione del creditore dell’“intenzione di avvalersi di un’eventuale condanna solo in esito al ritorno in bonis”); Cass. n. 2608/2014 (idem). Ma pure è da richiamare, sempre nella medesima prospettiva sostanziale, le pronunce di Cass., 19 luglio 2016, n. 14737 (“gli artt. 2941 e 2942 c.c., non prevedono... che, tra il fallito e i terzi, la prescrizione rimanga sospesa”; perciò, “in caso di inerzia del curatore, il fallito è, in via eccezionale, legittimato ad agire per far valere i suoi diritti senza che i terzi possano opporgli la sua incapacità processuale, prevista esclusivamente a tutela dell’interesse della massa dei creditori”); e di Cass. 23 marzo 2004, n. 5727 (“il fallito perde la capacità processuale solo per i rapporti patrimoniale compresi nel fallimento”, sì che ha “interesse a riassumere il processo, per evitare che gli effetti ex art. 653 c.p.c. si verifichino nei suoi confronti e gli possano essere opposti quando tornerà in bonis”). 23. Neppure è da escludere, a ben vedere, che – pure in costanza dello svolgimento di una procedura concorsuale – la condanna pronunciata nei confronti del debitore possa costituire
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titolo per un’azione esecutiva: fuori dal perimetro tracciato dalla norma della L. Fall., art. 51 e, quindi, con riferimento ai “beni” che risultano non “compresi nel fallimento”. Vengono in particolare considerazione, a questo proposito, la norma della L. Fall., art. 42, comma 3 (beni sopravvenuti e non ricompresi nel compendio, in quanto ritenuti “superiori al presumibile valore di realizzo” i costi occorrenti per il relativo e “acquisto e conservazione”) e quella della L. Fall., art. 104 ter, comma 8 (come introdotto con la riforma del 2006 e con riguardo ai beni per i quali l’“attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente”). Quest’ultima norma è espressa, del resto, nell’abilitare i creditori alla promozione delle “azioni esecutive o cautelari sui beni rimessi nella disponibilità del debitore”. 24. Posta questa serie di osservazioni, non è dunque da dubitarsi che il credito relativo agli interessi c.d. post-fallimentari risulti soggetto (anche) durante il tempo di svolgimento della procedura – al correre della prescrizione. 25. Diverso rilievo deve essere riconosciuto all’ulteriore profilo che è stato richiamato dai ricorrenti principali (cfr. il n. 19.2.), come relativo alle conseguenze della partecipazione del creditore al passivo concorsuale rispetto al correre della prescrizione del credito agli interessi c.d. post-fallimentari. Riguardo alla tematica così sollevata, sembra opportuno fermare dapprima l’attenzione sulla disposizione della L. Fall., art. 94, in quanto tale, come scritta cioè nella sede inerente alla procedura di fallimento (per i termini e modi di applicazione del principio
ivi desumibile alla procedura che qui in concreto interessa, si veda dal n. 28 in poi). E poi proseguire procedendo alla disamina specificamente attinente alla disciplina dell’amministrazione straordinaria. A mente della disposizione dell’art. 94, dunque, la domanda di insinuazione al passivo “produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento”. 26. Ritiene il Collegio che la presentazione della domanda di insinuazione nel passivo fallimentare sia da considerare atto per sé idoneo a interrompere il corso della prescrizione inerente al credito relativo agli interessi c.d. post-fallimentari, con gli effetti permanenti di cui alla norma appena citata (per il rilievo generale che la dichiarazione di fallimento non sospende, né interrompe il corso della prescrizione e per quello ulteriore, per cui la presentazione della domanda di insinuazione al passivo è atto idoneo a produrre l’interruzione, v. già Cass., 22 novembre 1990, n. 11297, nonché, tra le altre, Cass., 26 settembre 1996, n. 8515; Cass., 8 ottobre 1997, n. 9766; Cass., 25 novembre 2003, n. 17955; Cass., 2 marzo 2004, n. 4209). Secondo i principi, invero, l’atto di interruzione della prescrizione per il credito capitale (ovvero principale) estende i suoi effetti al credito per interessi, in ragione del carattere accessorio di questa seconda obbligazione (cfr. Cass., 7 gennaio 1982, n. 61; Cass., 15 marzo 2007, n. 6047; Cass., 4 settembre 2003, n. 12924). Per il rilievo, poi, che, “ai fini dell’interruzione della prescrizione, è sufficiente la mera comunicazione del fatto costitutivo della pretesa”, si veda Cass., 25 novembre 2015, n. 24054.
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27. Non potrebbe valere in contrario osservare che il credito relativo agli interessi post-fallimentari è destinato a (potere) essere soddisfatto in un momento successivo, quando il fallito sarà tornato in bonis, laddove la domanda di insinuazione è ovviamente rivolta a ottenere l’immediato pagamento di quanto spettante al creditore. Infatti, non si può non prendere atto, in proposito, delle (forti) peculiarità proprie della fattispecie oggetto di giudizio. Ammettere, per questo credito, il correre della prescrizione durante il tempo di svolgimento della procedura concorsuale implica, all’evidenza, consentire la possibilità di atti interruttivi della prescrizione medesima. Peraltro, il credito per tali interessi non risulta oggettivamente esigibile durante il tempo della procedura: perciò, l’atto interruttivo della prescrizione non può in ogni caso risolversi com’è per contro normale – in una richiesta di immediato pagamento (sembra trascurare questo particolare aspetto della materia, peraltro non eludibile, la pronuncia di Cass., 16 maggio 2018, n. 11966, per la quale, in pendenza di fallimento, l’atto di costituzione in mora relativo a un debito del fallito deve in ogni caso essere valutato come “inefficace”). Di conseguenza, l’atto interruttivo della prescrizione del credito per interessi post-fallimentari non può che essere posto in essere “ora per allora”. Così come avviene del resto, si è visto sopra (n. 22), per i rapporti giudiziali che, in pendenza di procedura, vengano a coinvolgere direttamente la persona del debitore. 28. La fattispecie concretamente sottoposta all’esame di questa Corte
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riguarda, peraltro, l’ipotesi di debitore assoggettato non già a fallimento, bensì ad amministrazione straordinaria: e con riferimento alla versione disciplinare originaria dettata per questa procedura (D.L. n. 30 del 1979, convertito in L. n. 95 del 1979; cfr. sopra, n. 1; com’è noto, D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 53, comma 1, ha poi stabilito che “l’accertamento del passivo prosegue sulla base delle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, secondo il procedimento previsto dalla L. Fall., artt. 93 segg.”). Ora, dell’art. 1, comma 4 della citata Legge prevede, per quanto non diversamente stabilito, l’applicazione degli articoli della L. Fall., dedicati alla procedura di liquidazione coatta amministrativa (artt. 195 e segg.). Nel concreto, il riferimento, qui in interesse, va agli snodi determinati dalle norme degli artt. 207 e segg., secondo la versione all’epoca vigente (nelle sue linee di base, peraltro, non dissimile da quella che risulta nell’oggi vigente): comunicazione del commissario liquidatore ai singoli creditori delle “somme risultanti a credito di ciascuno secondo le scritture contabili e i documenti dell’impresa” (art. 207, comma 1); richiesta di “riconoscimento di propri crediti” da parte dei creditori che non hanno ricevuto la detta comunicazione, nonché eventuali “osservazioni (e) istanze” da parte dei creditori che la comunicazione hanno invece ricevuto (art. 208; art. 207, comma 3); formazione dello stato passivo da parte del commissario, con conseguente deposito in cancelleria e connessa esecutività del medesimo (art. 209, comma 1); eventuale proposizione delle opposizioni e impugnazioni ai sensi della L. Fall., artt. 98 e
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100 (versione vigente al tempo), “con ricorso al presidente del tribunale” (art. 209, comma 2). 29. Ritiene il Collegio che la diversa (rispetto a quella propria dell’esecuzione fallimentare) conformazione della procedura di verifica del passivo delineata dalla L. Fall., artt. 207 e segg., non sia sostanzialmente di ostacolo a ravvisare l’applicazione, pure nell’ambito di quest’ultima, di quanto desumibile dalla norma della L. Fall., art. 94. Non sia di ostacolo, più precisamente, a ricollegare alla partecipazione del creditore alla relativa procedura l’effetto di “interruzione permanente” della prescrizione che risulta per l’appunto stabilito da questa disposizione. Secondo i termini che si vengono ora a tratteggiare. 30. Ostativa al riguardo non è – va messo opportunamente in luce la circostanza che, secondo la ferma giurisprudenza di questa Corte, la fase di verifica dei crediti di cui alla L. Fall., artt. 207, 208 e art. 209, comma 1, ha, diversamente da quanto avviene nel fallimento, natura amministrativa e non giurisdizionale (quest’ultima sussistendo solo nella fase eventuale delle opposizioni e impugnazioni). In effetti, le pronunce di questa Corte, che si sono soffermate su questo profilo, non hanno mai toccato, né sfiorato, lo specifico tema, qui in rilievo, dell’interruzione della prescrizione (Cass., SS.UU., 1 ottobre 2008, n. 25174 concerne la conformazione del termine di impugnazione; Cass., 13 settembre 2017, n. 21216 attiene alla procura conferita al difensore; Cass., 26 marzo 2015, n. 6060 riguarda il tema delle domande tardive; Cass., 15 febbraio 2016, n. 2917 si occupa del
rapporto tra la domanda presentata in sede di insinuazione e quella in sede di opposizione). Non mancano, d’altra parte (e, volendo, soprattutto), pronunce che hanno esplicitamente affermato l’applicazione della L. Fall., art. 94, al contesto della procedura di verifica delineata nella L. fall., artt. 207, 208 e art. 209, comma 1. Il riferimento in particolare va, con diretto riguardo alla procedura di amministrazione straordinaria, alle sentenze di Cass. n. 8515/1996 e di Cass. n. 9766/1997 (entrambe relative a fattispecie di creditori non fatti oggetto di comunicazione da parte del commissario e presentatori di istanze di insinuazione tardiva L. Fall., ex art. 101, versione dell’epoca). Va altresì, con relazione immediata alla procedura di liquidazione coatta, alle sentenze di Cass. n. 17955/2003 e di Cass. n. 4209/2004 (pure concernenti casi di creditori presentatori di istanze di insinuazione tardiva). 31. A supporto della soluzione adottata dalle pronunce or ora richiamate va rilevato che la proposizione di un’istanza, che possieda natura giudiziale (art. 2945 c.c., comma 2), non può essere considerata condizione esclusiva, indispensabile, per la produzione del c.d. effetto permanente della prescrizione. Prevede infatti la norma dell’art. 2945 c.c., comma 4, “nel caso di arbitrato la prescrizione non corre dal momento della notificazione dell’atto contenente la domanda di arbitrato sino al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non è più impugnabile”. È importante notare, a questo proposito, che – come puntualmente os-
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servato in dottrina – la detta efficacia permanente prescinde propriamente dall’eventuale passaggio in giudicato del lodo; e quindi prescinde in toto dal decreto del tribunale che eventualmente venga a “concedere”, su richiesta della parte interessata, l’esecutorietà del lodo medesimo (cfr. l’art. 825 c.p.c.). Non meno importante è osservare pure che la pronuncia di Cass., 5 dicembre 2001, n. 15410 ha ritenuto applicabile la disposizione dell’efficacia permanente di cui all’art. 2945 c.c., comma 4, anche alle fattispecie di arbitrato irrituale (nel caso di specie, al procedimento di perizia contrattuale instaurato dall’assicurato con lettera raccomandata contenente la designazione del proprio tecnico, come accettata dall’assicuratore mediante indicazione del proprio perito), pure sottolineando, in materia, che “anche nell’arbitrato irrituale, al pari di quanto accade nell’arbitrato rituale, la pronuncia arbitrale ha natura di atto di autonomia privata, configurandosi pur sempre la devoluzione ad arbitri come rinuncia all’azione giudiziaria e alla giurisdizione dello Stato” (per il rilievo che, nell’arbitrato rituale, l’“autonomia delle parti si manifesta... come atto incidente sull’esercizio del potere di azione” connesso a un diritto, che sia disponibile, si veda Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24153). 32. Per altro verso va ancora notato che l’esperimento del “procedimento di mediazione”, previsto dal D.Lgs. n. 28 del 2010, come condizione di attivazione di tutta una serie di processi civili, viene “dal momento della comunicazione alle altre parti” automaticamente a produrre “sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”.
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In relazione a questa ipotesi – e ad altre, correnti specialmente in materia previdenziale e in materia di diritto del lavoro –, è stato significativamente osservato che il sistema vigente presenta più casi in cui l’azione giudiziaria può essere instaurata solo dopo l’effettuazione di un “procedimento extragiudiziario, non necessariamente contenzioso” e che, in tali evenienze, la tendenza è quella ad equiparare, in tema di efficacia permanente della prescrizione, alla domanda giudiziale l’istanza rivolta al soggetto competente a definire la fase extragiudiziaria. Alla base di questa tendenza sta – come ha provveduto a chiarire la pronuncia di Cass., SS.UU., 16 novembre 1999, n. 783 (con immediato riferimento alla fattispecie disciplinata dalla norma del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112) – il “principio secondo cui la necessità di esperire una procedura giudiziaria per realizzare il diritto non deve danneggiare il titolare”: tale esigenza è “viva” – si è proseguito – “anche quando la realizzazione dei diritto soggettivo presupponga l’esperimento necessario di una procedura amministrativa, come avviene di frequente nelle obbligazioni pubbliche e viene soddisfatta o in funzione pretoria oppure... attraverso la legge”. In applicazione sostanziale di questi principi, la recente pronuncia di questa Corte, 5 marzo 2019, n. 6343 ha stabilito che “in tema di risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo, la domanda di annullamento dell’atto proposta avanti al giudice amministrativo... esprime la volontà del danneggiato di reagire all’azione autoritativa illegittima e, quindi, interrompe per tutta la durata del processo amministrativo il termine di prescri-
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zione dell’azione risarcitoria, successivamente esercitata dinnanzi al giudice ordinario”. 33. A positivo conforto della soluzione adottata dalle sopra citate pronunce di questa Corte (ultimo capoverso n. 30) – e che qui viene condivisa – milita, d’altro canto, pure un evidente rilievo di ordine sistematico. In effetti, nel sistema vigente la regolamentazione propria della procedura fallimentare si pone, tra le altre cose, (pure) come fulcro informatore della disciplina delle altre procedure di origine e tratto (più o meno marcatamente) amministrativo. Milita altresì, e più in particolare, la constatazione che la norma dell’art. 209, comma 2, richiama – per le opposizioni e impugnazioni dei crediti non ammessi nello stato passivo dell’amministrazione straordinaria la normativa dell’artt. 98 e segg., che è scritta per la procedura fallimentare (secondo quanto già accennato sopra, nel n. 28). Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, invero, il giudizio di opposizione, pur non potendosi identificare nella struttura dell’appello, possiede comunque una natura propriamente impugnatoria (cfr., per tutte, Cass., n. 31 luglio 2017, 19003). Ora, quest’uniformità dei procedimenti di impugnazione pare, tra l’altro, dare per presupposto una parificazione, almeno sostanziale, degli esiti delle rispettive fasi di accertamento dei crediti e degli effetti dalle stesse prodotti. Né si vede, (pure) in via correlata, la ragione che – sotto il profilo della partecipazione al concorso – possa giustificare un trattamento differenziato tra creditori comunque ammessi allo stato passivo e creditori
che, in quanto esclusi, hanno dovuto proporre opposizione. 34. Ferma questa somma di rilievi, si tratta adesso di individuare l’estensione in cui risulta predicabile, nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria (secondo la sua versione originaria, tuttora sostanzialmente in essere per la procedura di liquidazione coatta), l’effetto di interruzione permanente della prescrizione di cui alla disposizione della L. Fall., art. 94. La questione si pone, naturalmente, per i creditori la cui partecipazione al concorso segue in via immediata alla comunicazione del commissario L. Fall., ex art. 207, comma 1, non essendo invero dubitabile – sulla base delle considerazioni sopra effettuate – che la disciplina di cui alla L. Fall., art. 94, si applichi senz’altro alle posizioni comunque legate all’espressa manifestazione di una richiesta da parte del singolo creditore (e riconducibili, dunque, alle situazioni considerate nelle norme della L. Fall., art. 209, comma 2, art. 208 e art. 207, comma 3). 35. Il Collegio ritiene che la regola dell’interruzione permanente della prescrizione, di cui all’art. 94, venga a trovare applicazione anche nei confronti delle posizioni creditorie appena emarginate. È da osservare, in proposito, che la mancata formalizzazione di una domanda da parte delle posizioni creditorie in esame viene nella sostanza a dipendere dalla peculiare struttura organizzativa che connota la relativa procedura. Al principio dell’impulso della domanda, che governa l’esecuzione fallimentare (cfr. le norme della L. Fall., art. 93 e art. 118, comma
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1, n. 1), si sostituisce la regola dell’“impulso d’ufficio” che tipicamente connota la procedura di liquidazione coatta, quale calco base della versione originaria di quella di amministrazione straordinaria (cfr. Cass. S.U., 26 marzo 2015, n. 6060). In un simile contesto di riferimento specifico, la formale presentazione di una domanda da parte del creditore si manifesta – prima ancora che non necessaria – non utile e, a ben guardare, neppure opportuna. Nella valutazione del legislatore, invero, risulta normale (nel senso dell’id quod plerumque accidit) che le risultanze documentali dell’impresa in liquidazione – sulla base delle quali il commissario forma le comunicazioni da inviare ai vari interessati (cfr. l’ultima parte del primo periodo del comma 1 dell’art. 207) – corrispondano ai termini oggettivi delle pretese creditorie (non a caso la citata pronuncia delle Sezioni Unite considera semplici “temperamenti” dell’officiosità della procedura di verifica le “facoltà” di “intervento” del creditore previste dall’art. 207, comma 3 e art. 208). 36. È da aggiungere che la soluzione qui adottata risulta altresì imposta dal principio di ragionevolezza ovvero (e altrimenti detto) da quello della parità di trattamento. Non è infatti oggettivamente pensabile che il creditore – che non ha nulla da obiettare alle risultanze documentali espresse dall’impresa in liquidazione – sia posto in una posizione deteriore (ovvero sia discriminato) rispetto a quella del creditore che tale non viene considerato (anche solo per misura o grado) dalla medesima documentazione. Neppure è pensabile che i creditori ammessi de plano
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siano posti in posizione diversa e peggiore rispetto a quella di coloro che, per far valere il loro titolo, abbiano dovuto svolgere delle specifiche contestazioni (su quest’ordine di rilievi v. già sopra, l’ultimo periodo del n. 33). 37. Resta ancora da puntualizzare che – per i creditori di cui si sta discorrendo – l’effetto interruttivo della prescrizione viene a prodursi (solo) al tempo in cui diventa esecutivo l’elenco dei creditori ammessi ai sensi della L. Fall., art. 209, comma 1. Secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, è soltanto con il deposito in cancelleria che il detto elenco “non può più essere variato, né revocato” (cfr., in specie, Cass., 12 febbraio 2008, n. 3380). 38. Si devono, di conseguenza enunciare i principi di diritto qui di seguito esposti. “Secondo la L. Fall., art. 55, comma 1, la sospensione del decorso degli interessi vale solo all’interno del concorso e non si estende anche ai singoli rapporti correnti tra ciascun creditore ed il fallito. Gli interessi, pertanto, continuano a maturare al di fuori del concorso e dunque nei rapporti tra il singolo creditore e debitore sottoposto a procedura concorsuale”. “La prescrizione degli interessi maturati sui crediti chirografari ai sensi della L. Fall., art. 55, comma 1, matura anche nel corso dello svolgimento della procedura concorsuale”. “La prescrizione dei crediti da interessi maturati sui crediti chirografari, ai sensi della L. Fall., art. 55, comma 1, viene interrotta, nella procedura fallimentare, dalla domanda di insinuazione al passivo con effetto permanente per tutto il corso della procedura. Nel-
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la diversa ipotesi di amministrazione straordinaria, sottoposta alla disciplina originaria di cui alla L. n. 95 del 1979, come avviene anche nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, l’esecutività dello stato passivo depositato dal commissario ai sensi della L. Fall., art. 209, comporta interruzione della prescrizione con effetto permanente, per tutto il corso della relativa procedura concorsuale, anche per i creditori ammessi a diretto seguito della comunicazione inviata dal com-
missario ai sensi della L. Fall., art. 207, comma 1”. 39. In conclusione, va accolto, nei limiti e nei termini che sono stati indicati, il ricorso principale. Vanno respinti i ricorsi incidentali. Di conseguenza, va cassata la sentenza impugnata e la controversia va rinviata alla Corte di Appello di Venezia che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità. (Omissis)
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(1-2) Il decorso e la prescrizione degli interessi maturati in pendenza di procedure concorsuali Sommario: 1. I casi in analisi. 2. Interessi ed effetti del fallimento. Il quadro normativo. 3. Il decorso degli interessi in corso di procedura. Aspetti problematici. 4. Il regime della prescrizione dei crediti per interessi endoconcorsuali. 5. Interessi endoconcorsuali ed esdebitazione. 6. Il caso della amministrazione straordinaria. 7. Conclusioni e valutazioni de jure condendo.
1. I casi in analisi. Le sentenze in commento sono state emesse a breve distanza di tempo l’una dall’altra e rappresentano l’esito di due vicende parallele definite dalla Corte di Cassazione in maniera uniforme con motivazioni in gran parte coincidenti. Le controversie hanno avuto origine dal ricorso per decreto ingiuntivo presentato da alcuni creditori chirografari al fine di ottenere la condanna della società in amministrazione straordinaria tornata in bonis al pagamento degli interessi maturati nel corso della procedura. Il Tribunale di Padova1 accoglieva le opposizioni a decreto ingiuntivo e respingeva le domande di condanna, ritenendo che gli interessi sui crediti chirografari non maturino nel corso della procedura e che di conseguenza il credito vantato fosse insussistente. I creditori proponevano appello ed i giudizi venivano decisi dalla Corte di Appello di Venezia. Pur non condividendo le statuizioni del Giudice del primo grado, la Corte rigettava le domande, ritenendo che il credito per interessi fosse prescritto ai sensi dell’art. 2948, co. 1, n. 4, c. c. in quanto il relativo termine era decorso senza che i creditori avessero richiesto il pagamento delle somme dovute. A questo punto, le sentenze emesse dalla Corte veneziana venivano impugnate innanzi al Giudice di legittimità, che cassava entrambi i provvedimenti. La Corte di Cassazione ha ritenuto, in primo luogo, che la dichiarazione di fallimento non interrompe né sospende la maturazione degli
1 Cfr. Trib. Padova, 3 maggio 2016, in Il fallimento, 2017, I, pp. 88 e ss. e Trib. Padova, 17 marzo 2017, in Il fallimento, 2018, II, pp. 254 e ss.
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interessi endoconcorsuali tra il singolo creditore e il debitore sottoposto a procedura concorsuale e, in secondo luogo, che tanto la domanda di insinuazione al passivo nella procedura fallimentare quanto l’esecutività dello stato passivo depositato dal commissario ex legge n. 95/1979, comportano l’interruzione, per la durata della procedura, della prescrizione del diritto di credito per gli interessi endoconcorsuali. Con le pronunce in esame la Suprema Corte ha preso posizione rispetto ad argomenti che non avevano sino ad ora trovato una consolidata definizione giurisprudenziale2. D’altra parte, tali questioni assumono rilevanza concreta solo nei rari casi3 in cui la procedura si chiuda con un surplus attivo ovvero qualora il debitore torni in bonis. Tuttavia, le pronunce rese dalla Corte di Cassazione suscitano egualmente un interesse per diversi ordini di ragioni. In primo luogo, perché, per quanto raro, non è da escludersi che si verifichino ipotesi di ritorno in bonis del debitore come nell’ambito delle procedure di amministrazione straordinaria disciplinate dalla legge del 1979 che stanno venendo solo ora a conclusione, nonché nella procedura di liquidazione coatta amministrativa4.
2 Stando a quanto ci risulta, un primo risalente precedente può rinvenirsi in Cass., 27 gennaio 1975, in Foro it., 1975, pp. 1761 e ss. ove la Corte si pronunciò a favore della produzione di interessi endoconcorsuali. Un secondo precedente si rinviene nella giurisprudenza di merito in Trib. Milano, 10 maggio 2012, in Dir. fall., 2012, I, 6, pp. 693 e ss. ove il Giudice si è occupato di valutare l’ammissibilità della domanda di insinuazione al passivo per interessi endoconcorsuali. La vicenda riguardava la domanda tardiva di insinuazione al passivo per gli interessi sui crediti chirografari maturati in corso di procedura, presentata dal creditore già insinuato per il capitale a seguito dell’avanzo di un surplus attivo. Il tribunale, argomentando correttamente, ha escluso la ammissibilità della domanda di insinuazione per gli interessi ritenendo che essi non potessero in ogni caso essere esigibili all’interno della procedura, e che dovessero del caso essere corrisposti dal debitore tornato in bonis. 3 Si tratta di ipotesi piuttosto rare, anche considerando che la chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo determina, ai sensi dell’art. 118 n. 4, l. fall., la cancellazione della società dal registro delle imprese e la sua conseguente estinzione; sul punto vedi Cass., 22 magio 2019, n. 13921, reperibile su www.cortedicassazione.it. È giusto il caso di notare che i soci di società di capitali rimarranno esposti verso i creditori esclusivamente nella misura di quanto ricevuto in ragione della liquidazione fallimentare che, se la stessa si chiude per insufficienza dell’attivo, sarà tendenzialmente pari a zero. 4 La liquidazione coatta amministrativa realizza tipicamente un concorso a insolvenza eventuale da cui possono derivare casi di chiusura della procedura con surplus attivo nei quali si pone il problema della destinazione delle somme residue: sul punto vedi Ricci, Liquidazione coatta amministrativa con residuo attivo: quid faciendum?, in Giur.
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In secondo luogo, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al d.lgs. 14/2019, non ha apportato modifiche sostanziali alla disciplina di cui all’art. 55 l. fall. e data la lunga vacatio legis si possono immaginare – ed anzi, come si dirà nel prosieguo del presente lavoro, sarebbero auspicabili – interventi de jure condendo. Da ultimo, il tema presenta una certa rilevanza pratica nell’ambito dei rapporti bancari ove gli interessi rappresentano, nelle operazioni bancarie c.d. attive, proprio il corrispettivo delle prestazioni effettuate dall’ente creditizio5. A fronte delle pronunce rese dalla Suprema Corte occorre interrogarsi circa due questioni principali. La prima, attiene alla maturazione stessa degli interessi endoconcorsuali6, messa in dubbio dall’orientamento espresso dal Tribunale di Padova e da alcuni interventi della dottrina7. La seconda, riguarda il particolare rapporto tra prescrizione e interessi maturati in corso di procedura.
2. Interessi ed effetti del fallimento. Il quadro normativo. Come sottolineato da autorevole dottrina8, il codice civile individua i presupposti della produzione degli interessi sulla base di una con-
Comm., 2007, I, p. 265. Nel senso della rilevanza del tema concreto rispetto alle procedure di amministrazione straordinaria, v. Fabiani, Gli interessi post-fallimentari alla prova dell’eccedenza di attivo nella “vecchia” amministrazione straordinaria, in Il fallimento, 2017, I, pp. 88 e ss. 5 Sul punto cfr. Caridi e Vattermoli, Interessi e commissioni nei rapporti bancari (Incontro di studio del 25 giugno 2014), in Dir. banc, 2014, pp. 671 e ss. 6 Si preferisce questa dizione a quella, decisamente più utilizzata, di interessi postfallimentari, poiché oggetto di analisi è la sorte degli interessi maturati in costanza della procedura concorsuale e non, come potrebbe far intendere quest’ultima espressione, successivamente alla sua chiusura. 7 In più occasioni, avverso la maturazione di interessi endoconcorsuali, vedi Inzitari, I cosiddetti interessi postfallimentari: sospensione agli effetti del concorso ed inesigibilità nei confronti del debitore tornato in bonis, in Cagnasso e Panzani, Crisi d’impresa e procedure concorsuali, I, Torino, 2016, p. 1137; Id., Interessi postfallimentari, in Contr. e impr., 2015, II, pp. 295-313. 8 V. Inzitari, Delle obbligazioni pecuniarie, sub artt. 1277-1284, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 2011, pp. 265 ss.; Simonetto, voce Interessi, in Enc. dir., XVII, Roma, 1989, pp. 1 ss.; Libertini, voce Interessi, in Enc dir., XXII, Milano, 1972, pp. 95 ss.
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cezione naturalistica della proprietà, definendoli quali frutti civili del godimento che altri abbia del capitale. Per converso la disciplina degli interessi è contenuta nelle disposizioni di cui agli artt. 1282 c.c., collocate nel libro quarto «Delle obbligazioni» ed in particolare nella sezione «Delle obbligazioni pecuniarie». La collocazione sistematica delle norme che si occupano di interessi tradisce una visione giuridica per la quale la proprietà costituisce il perno del sistema produttivo; tale concezione tuttavia si confronta necessariamente con la concretezza dei traffici economici e quindi con il diritto delle obbligazioni. L’art. 1282 c.c., dunque, stabilisce il principio per il quale i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, mentre l’art. 1284 c.c. definisce un particolare regolamento della misura degli interessi. Dall’esame della disciplina codicistica è possibile estrapolare la funzione che gli stessi assumono nell’ambito dell’ordinamento. Essi costituiscono la controprestazione del vantaggio di cui un soggetto gode nel poter disporre in un dato momento di una determinata somma di denaro in luogo di un altro. In relazione alle circostanze del caso concreto tale funzione si colora di sfumature differenti, tanto che nella visione tradizionale gli interessi si distinguono in corrispettivi, compensativi e moratori9. La disciplina dell’esecuzione collettiva si inserisce in questo quadro di riferimento e porta con sé esigenze differenti da quelle tipiche dell’esecuzione individuale. Qualora il soggetto insolvente sia un imprenditore fallibile l’attuazione della garanzia patrimoniale e la tutela dei diritti di
Gli interessi si qualificano come corrispettivi quando costituiscono la retribuzione del vantaggio di poter godere in un determinato momento di una somma altrui, si qualificano compensativi quando riequilibrano la posizione del soggetto privato di un certo valore, si qualificano come moratori quando funzionali a risarcire il danno da mancato pagamento; sul punto cfr. Ferrara, Il fallimento, Milano, 1974, p. 316; Branca, Istituzioni di diritto privato, Bologna, 1975, p. 333; Inzitari, Interessi. Legali, corrispettivi, moratori, usurari anatocistici, Milano, 2017. La distinzione valida in astratto, come spesso accade, si dimostra maggiormente problematica quando viene calata nella realtà concreta, dato che l’ambito di applicazione di interessi corrispettivi e moratori è suscettibile di sovrapporsi. Sui problemi posti dal coordinamento degli artt. 1224 e 1282 c.c., in riferimento alla sovrapposizione dell’ambito di applicazione di interessi corrispettivi e moratori, cfr. Libertini, voce Interessi, cit., pp. 98 e ss.; Giorgianni, L’inadempimento. Corso di diritto civile, Milano, 1970; C.M. Bianca, Inadempimento delle obbligazioni, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1979, sub artt. 1218-1229, pp. 285 e ss. 9
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credito ai sensi degli artt. 2740 e 2741 c.c. comporta la predisposizione di un complesso procedimento collettivo. Al contrario, nei casi di esecuzione individuale il rispetto degli articoli 2740 e 2741 c.c. non necessita di una disciplina organica, e si risolve principalmente garantendo ai creditori il diritto di intervento nella procedura esecutiva. Le diverse esigenze sottese nell’esecuzione collettiva ed individuale si riflettono anche nella disciplina degli effetti dell’esecuzione nei confronti dei creditori e, in particolare, in merito agli interessi maturati successivamente alla costituzione del vincolo esecutivo. Mentre nulla è disposto in materia di pignoramento10, la legge fallimentare, come accennato, ne detta una disciplina specifica. La norma chiave in materia di effetti del fallimento sui debiti pecuniari è l’art. 55 l. fall., la quale contiene due disposizioni di primaria rilevanza. La prima è quella per la quale tutti i debiti pecuniari si considerano scaduti agli effetti del concorso, la seconda è quella per la quale «la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento […]». Ulteriore regola posta dall’art. 55, utile a chiarirne la funzione, è quella del terzo comma che disciplina le modalità di partecipazione al concorso dei crediti condizionali. Il dato letterale ed il quadro sistematico in cui si inserisce l’enunciato normativo11 ne evidenziano la funzione, che è quella di regolare la partecipazione al concorso da parte dei creditori che vantano crediti aventi ad oggetto somme di denaro12.
10 In materia di esecuzione individuale è principio consolidato che l’impossibilità di procedere al pagamento e la temporanea indisponibilità delle somme dovute in ragione di pignoramenti o sequestri non implica la sospensione del decorso degli interessi in favore del creditore. Ciò in quanto l’intangibilità delle somme ritenute non fa venir meno il vantaggio che il debitore ottiene dal trattenerle, mentre il criterio dell’esigibilità di cui all’art. 1282 c. c. va riferito alle qualità intrinseche del credito, quali il termine e la condizione, cfr. Cass., 22 dicembre 2011, n. 28204, in Foro it., rep., 2011, voce Interessi, n. 4. 11 Si pensi a quanto disposto dall’art. 59 l. fall. circa la conversione agli effetti del concorso dei crediti aventi ad oggetto una prestazione diversa dal denaro e a quanto disposto dall’art. 96 l. fall. circa l’efficacia limitata al concorso delle risultanze del procedimento di accertamento del passivo e delle decisioni emesse rispetto ai giudizi di cui all’art. 99 l. fall. 12 Sul punto cfr. Sanzo, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, a cura di Cagnasso e Panzani, Milano, 2016, pp. 1074 e ss.; Celentano, Gli effetti del fallimento per il fallito e per i creditori, in Fallimento ed altre procedure concorsuali, a cura di Panzani e Fauceglia, Milano, 2009, p. 516; Ambrosini, Cavalli e Jorio, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Il fallimento, Padova, 2008, pp.
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Ed invero. In primo luogo, essa risponde alla necessità di assicurare la par condicio creditorum ed il rispetto del principio della cristallizzazione del passivo13. In secondo luogo, la disposizione dovrebbe essere funzionale alla razionalizzazione delle modalità di attuazione della garanzia patrimoniale, in quanto il calcolo volta per volta degli interessi dovuti a ciascun creditore renderebbe più laboriosa la procedura, nonostante il più delle volte la percentuale di soddisfo sia tale da non coprire l’intera somma spettante al creditore14. Ecco allora che si delineano due piani paralleli che coesistono nel campo giuridico e si influenzano a vicenda: quello sostanziale, che rimane tendenzialmente impregiudicato dalle risultanze del concorso e quello procedimentale, che definisce le modalità di soddisfazione dei creditori al fine di escutere una garanzia patrimoniale insufficiente alla immediata realizzazione dei loro interessi.
3. Il decorso degli interessi in corso di procedura. Aspetti problematici. Il problema relativo alla maturazione degli interessi in corso di procedura è stato trascurato da parte della dottrina in considerazione, come già detto sopra, delle rare ipotesi in cui vi è, all’esito della procedura concorsuale, un surplus da assegnare ai creditori. Tuttavia, la questione è foriera di una serie di dubbi e problematiche, anche inerenti al coordinamento della disciplina sostanziale con quella fallimentare, che la rende meritevole di approfondimento15. La Suprema Corte nelle sentenze in commento ha affrontato direttamente la questione. Nel motivare l’ammissibilità della produzione di interessi endoconcorsuali, il Collegio ha valorizzato elementi di carattere letterale e sistematico propri della legge fallimentare, spostandosi successivamente sul
359 e ss. 13 Cfr. Fabiani e Nardecchia, a cura di, Commento all’art. 55 l. fall., in Legge fallimentare, formulario commentato, Milano, 2014, p. 517. 14 Inzitari, Interessi postfallimentari, cit., p. 297. 15 Cfr. Lamanna, sub art. 55, in Il nuovo diritto fallimentare, a cura di Jorio, Bologna, 2006. Per un’ampia panoramica sull’argomento vedi Benedetti, Il concorso dei creditori, in Panzani, a cura di, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, I, Torino, 2012, p. 342.
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piano sostanziale per occuparsi della esigibilità del debito principale, dalla quale dipende la maturazione degli interessi stessi. Un primo argomento, valorizzato in maniera parzialmente difforme dalle due pronunce in esame, attiene all’interpretazione dell’inciso «agli effetti del concorso», contenuto nel primo comma dell’art. 55 l. fall. e riferito alla sospensione degli interessi endoconcorsuali. Entrambe le decisioni sono concordi nell’affermare che a seguito della dichiarazione di fallimento gli interessi continuino a maturare al di fuori del concorso. Nella prima sentenza in commento16, tuttavia, si afferma che l’inciso in esame ha l’effetto di limitare la portata della disposizione, in modo che essa nulla disponga sul piano esofallimentare. Gli interessi pertanto dovrebbero continuare a maturare sul piano sostanziale conformemente alle norme dettate dal codice civile. Nella seconda sentenza17 in analisi il Giudice valorizza maggiormente l’interpretazione a contrario dell’art. 55 l. fall. Secondo questa chiave di lettura la disposizione sarebbe una norma a “struttura completa” dalla quale può trarsi in positivo la regola della maturazione degli interessi sul piano extraconcorsuale. La discrasia di vedute è sottile ma non di poco conto. L’impostazione che trae dall’art. 55. l. fall. l’esistenza di una norma positiva circa la maturazione degli interessi sul piano sostanziale è stata oggetto di ripetute critiche in dottrina18. In particolare si è obiettato che la disposizione non è diretta a disciplinare la fonte o la produzione degli interessi, quanto piuttosto la regolarità del concorso in ragione del prin-
Cfr. Cass., 19 giugno 2020, n. 11983, ove testualmente si legge: «La disposizione normativa in esame è chiara nello stabilire la “sospensione” del decorso degli interessi solo “agli effetti del concorso”, interessi che per tanto continuano a maturare al di fuori del concorso […] secondo le consuete regole di cui all’art. 1282 c. c. ovvero le convenzioni stabilite dalle parti». 17 Cfr. Cass., 9 luglio 2020, n. 14527, ove la Corte afferma che: «Non risulta condivisibile l’opinione per cui quella dell’art. 55 è norma interposta “a struttura incompleta”, quale norma, cioè, che si occupa solo di una parte della fattispecie (quella interna alla procedura, impregiudicato il resto) […] per gli effetti esofallimentari non v’è, per vero, alcun rinvio in bianco ad altra ipotetica norma (o anche ad un preteso principio del sistema). […] l’ulteriore, puntuale indicazione che la sospensione degli interessi vale solo agli effetti del concorso […] sottolinea che fuori dal concorso una tale sospensione non c’è». 18 In questo senso cfr. Inzitari, Interessi post-fallimentari, cit, pp. 299 e ss. 16
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cipio della cristallizzazione fallimentare. Da essa, dunque, non potrebbe trarsi alcunché rispetto alla produzione di interessi endoconcorsuali. La ricostruzione a mio avviso coglie nel segno e mette in luce ciò che già si è evidenziato nel paragrafo precedente. Le disposizioni che definiscono le modalità di partecipazione al concorso non sono idonee a proiettare i loro effetti in ambito esofallimentare. Dunque, dall’interpretazione dell’art. 55 l. fall. non può trarsi alcuna regola positiva circa la maturazione degli interessi endoconcorsuali sul piano sostanziale. Il ragionamento della Corte si sposta poi sul piano sistematico, ove vengono valorizzati gli argomenti tratti dagli effetti della chiusura del fallimento e dalla posizione dei fideiussori del fallito. In entrambe le sentenze, infatti, si valorizza il dato tratto dall’art. 120 l. fall. per il quale a seguito della chiusura del fallimento «i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi». Anche in questo caso si pone il problema di definire l’ambito di applicazione della disposizione. Secondo l’impostazione della Cassazione, la norma conferma che una volta chiuso il concorso i creditori riacquistano il diritto di agire in giudizio anche per la parte di interessi maturata in pendenza di procedura, proprio perché la disposizione fa riferimento agli interessi senza porre alcuna distinzione. Secondo un’attenta dottrina19 l’ambito di applicazione dell’art. 120 l. fall. non potrebbe in realtà essere esteso oltre quanto dovuto al creditore in ragione della sua insinuazione al passivo. La disposizione, infatti, avrebbe come riferimento i crediti rimasti insoddisfatti attraverso l’espletamento della procedura. Dunque anch’essa sarebbe riferibile esclusivamente al concorso e non potrebbe quindi fornire argomenti a sostegno dell’azionabilità del credito per interessi endoconcorsuali. Il Giudice di legittimità, da ultimo, conferma la propria tesi attraverso la posizione del fideiussore del fallito ed afferma che il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il fideiussore del fallito è
Inzitari, Interessi post-fallimentari, cit, pp. 299 e ss. Contra cfr. Fabiani, Gli interessi post-fallimentari alla prova dell’eccedenza dell’attivo nella “vecchia” amministrazione straordinaria, cit., p. 91, ove l’autore che poiché l’art. 120 si riferisce genericamente agli interessi «non pare che si possa escludere che gli interessi siano, anche, quelli maturati durante la procedura». Sul punto in maniera parzialmente difforme vedi infra par. 4. 19
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tenuto a corrispondere gli interessi maturati in pendenza di procedura, implichi necessariamente la produzione degli interessi anche nei confronti del debitore20. L’obbligazione del fideiussore, infatti, è accessoria e non avrebbe modo di esistere in caso di inesistenza di quella del debitore principale. Sotto questo profilo il ragionamento della Suprema Corte “prova troppo”, nel senso che esso trae conferma delle proprie premesse dalla constatazione dell’orientamento giurisprudenziale formatosi circa le sue conseguenze. Dire che il credito per interessi matura poiché si ritiene responsabile il fideiussore significa invertire i termini della questione e quindi non apporta un argomento valido a sostegno della tesi. Le disposizioni della legge fallimentare di cui si è detto, quindi, non sembrano fornire elementi forti per la soluzione della questione che non può essere risolta esclusivamente sul piano fallimentare, implicando necessariamente un riferimento alle norme di diritto sostanziale. Come evidenziato nel paragrafo precedente, le disposizioni volte a regolamentare la partecipazione al concorso producono i loro effetti solo sul piano interno disciplinando le modalità attraverso le quali è possibile attuare collettivamente la garanzia patrimoniale del fallito. Tra queste disposizioni rientra a pieno titolo la norma di cui all’art. 55 l. fall., che infatti contempla non solo la sospensione del computo degli interessi in corso di procedura ma anche la scadenza anticipata delle obbligazioni ai fini del concorso e le modalità di partecipazione alla procedura dei titolari di diritti di credito condizionati. Discorso parzialmente diverso vale per quelle disposizioni che sono dettate in funzione dell’esecuzione collettiva, ma che proprio per assicurare il perseguimento delle sue peculiari esigenze producono effetti anche sul piano extraconcorsuale. Tra queste rientrano quelle di cui agli artt. 51 e 120 l. fall., la prima sospendendo il diritto di soddisfarsi individualmente al di fuori della procedura, la seconda ponendo fine al vincolo di destinazione insistente sul patrimonio del fallito. La cessazione della procedura abilita i creditori ad agire individualmente nei confronti del debitore, ma non può considerarsi alla stregua della fonte dell’obbligo di corrispondere gli interessi. Con la chiusura del fallimento
Sulla posizione del fideiussore del fallito rispetto agli interessi endoconcorsuali, cfr. Cass., 05 febbraio 2014, n. 2608, reperibile in www.ilcaso.it; Cass., 28 agosto 2000, n. 11228, in Danno e responsabilità, 2001, III, pp. 317-322; Cass, 14 agosto 1997, n. 7603, reperibile in www.pluris.it. 20
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il piano procedurale e quello sostanziale cessano di coesistere dal punto di vista cronologico consentendo l’avvio di forme di escussione individuale del patrimonio del fallito; è però sul piano sostanziale che occorre verificare se il credito per gli interessi endoconcorsuali sia effettivamente esistente.21 L’indagine si sposta, quindi, sulla verifica dei presupposti di cui all’art. 1282 c.c., come correttamente rileva la Suprema Corte nell’una delle due sentenze in commento22. La disposizione espressamente stabilisce che i crediti liquidi ed esigibili producono interessi di pieno diritto. È proprio la sussistenza del requisito della esigibilità che ha dato luogo ai maggiori dubbi interpretativi, in quanto parte della dottrina23 ha ritenuto che i crediti concorsuali debbano ritenersi inesigibili e come tali improduttivi di interessi. Secondo questo orientamento il fenomeno dello spossessamento subito dal fallito farebbe venir meno la possibilità per quest’ultimo di adempiere ed il corrispondente potere del creditore di pretendere l’adempimento. Inoltre, posta l’impossibilità del debitore di adempiere, verrebbe meno anche la funzione stessa degli interessi quale godimento della somma detenuta. Per quanto argute e sensate, le tesi descritte non sembrano potersi accogliere. Come esattamente rilevato dalla Cassazione24, l’instaurazione del concorso non fa venir meno l’esigibilità del credito, ma ne modula le caratteristiche in funzione della soddisfazione collettiva. In altri termini, il credito concorsuale rimane esigibile all’interno della procedura e secondo le modalità da essa definite. Il credito, quindi, diviene inesigibile in via extraconcorsuale e soltanto rispetto ai beni compresi nel fallimento, che possono non rappresentare l’interezza del patrimonio del debitore. Sul punto, inoltre, occorre segnalare l’esistenza di una posizione giurisprudenziale e dottrinaria parzialmente divergente, che tende a sottolineare come l’esigibilità del credito non sia caratteristica necessaria ai fini della maturazione degli interessi25.
Cfr. Inzitari, Interessi post-fallimentari, cit, pp. 299 e ss. Si tratta di Cass., 19 giugno 2020, n. 11983, ove espressamente la Corte rinvia per la determinazione della disciplina degli interessi all’art. 1282 c.c., cfr. supra nota 14. 23 Cfr. Inzitari, Interessi post-fallimentari, cit, pp. 299 e ss. 24 In particolare nella sentenza del 19 giugno 2020, n. 11983. 25 Nello specifico vedi la seconda tra le sentenze in commento, Cass., 9 luglio 2020, n. 14527, nella quale la corte mette in evidenza che in materia di interessi compensativi il requisito della esigibilità non è necessario alla loro decorrenza, ed anzi essi spettano 21 22
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Quanto alla funzione propria degli interessi occorre rilevare che essa è riconnessa all’esigibilità del credito e non alla disponibilità materiale della somma di denaro. Il debitore lucra un vantaggio dalla mancata restituzione della somma tanto nel caso in cui essa permanga presso di lui, tanto nel caso in cui essa sia stata investista e produca una rendita, tanto nel caso in cui essa sia stata spesa o sia resa indisponibile26. Infatti, in ciascun caso l’utilità lucrata dal debitore corrisponde nel godere, nell’aver goduto o nell’aver avuto la possibilità di godere in un dato momento di una liquidità riferibile ad altri. Per questa ragione, che ricorre anche nel caso in cui intervenga il fallimento del debitore con il conseguente spossessamento, gli interessi endoconcorsuali matureranno. D’altra parte, come ben evidenzia la Suprema Corte nelle sentenze in commento, il fatto che il ritardo nel pagamento non dipenda immediatamente dalla condotta dello spossessato non incide sulla decorrenza degli interessi. Il fallimento del debitore, con il relativo tempo di esplicazione della procedura, rimane oggettivamente imputabile e riferibile al debitore. Nel riequilibrio delle rispettive posizioni, dunque, la durata della procedura deve essere comunque posta a carico del debitore, posto che il creditore è del tutto esente da qualsivoglia responsabilità in merito. Infine, qualora l’eccessiva durata della procedura sia dovuta alla colpa del curatore, il debitore potrà agire nei confronti di questi ai sensi dell’art. 38 l. fall. Sembra dunque lecito concludere che gli interessi endoconcorsuali maturano giorno per giorno in ragione delle norme civilistiche, data l’esigibilità concorsuale del credito e l’irrilevanza sul piano sostanziale dell’art. 55 l. fall. e delle norme che disciplinano la partecipazione dei creditori del fallito alla procedura. La maturazione degli interessi non contraddice la loro funzione, in quanto il debitore pur spossessato si è nel tempo avvantaggiato di una liquidità di competenza altrui.
proprio in quanto il credito è inesigibile. Sul punto, inoltre, cfr. Fabiani, Gli interessi postfallimentari, cit., p. 90, ove l’autore sottolinea che l’inesigibilità fallimentare non coincide con l’esigibilità necessaria ai fini della produzione di interessi, correttamente argomentando che «ferma l’inesigibilità del credito, gli interessi post-fallimentari continuano a maturare nei confronti del debito privilegiato, ipotecario e pignoratizio […] Assumere che il credito ammesso in via chirografaria non è in grado di generare interessi perché il credito non è esigibile contraddice la regola di cui all’art. 54 l. fall.». 26 Cfr. supra, nota 8.
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4. Il regime della prescrizione dei crediti per interessi endoconcorsuali. Una volta concluso a favore della sussistenza del diritto di credito per interessi endoconcorsuali occorre porsi il problema della sua prescrizione. Risulta quindi fondamentale individuare il dies a quo del termine prescrizionale, la relativa durata e gli eventuali atti dotati di efficacia interruttiva o sospensiva. Occorre premettere che di per sé il fallimento non sospende il decorso della prescrizione, posto il principio di tipicità delle cause di sospensione e la particolare ratio cui rispondono27. Anche in questo caso conviene iniziare l’analisi dal dato normativo. Vengono dunque in rilievo gli artt. 2935 e 2948, n. 4 c.c., nonché l’art. 2943 c. c. La prima delle disposizioni citate pone il noto principio generale per il quale la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. La seconda fissa il termine prescrizionale per il credito da interessi in cinque anni. L’ultima tra le disposizioni ricordate definisce l’effetto interruttivo della proposizione della domanda giudiziale e dell’atto di messa in mora. Parte della dottrina ha ritenuto che il problema della prescrizione possa risolversi a monte in ragione del fatto che il diritto ad ottenere il pagamento degli interessi endoconcorsuali non sarebbe azionabile fin tanto che dura il concorso. Da un lato, infatti, tali interessi non possono essere soddisfatti all’interno della procedura, dall’altro, il creditore non potrebbe agire per il pagamento neanche in via extraconcorsuale. In base al principio generale di cui all’art. 2935 c. c., dunque, il dies a quo del termine prescrizionale dovrebbe essere collocato alla chiusura della
27 Le cause di sospensione della prescrizione sono tipizzate dall’art. 2941 c. c. La ratio della disposizione risiede nel tutelare il creditore che sia legato al proprio debitore da una particolare relazione, che possa influire rispetto all’esercizio della facoltà di porre in essere atti interruttivi della prescrizione. Si tratta, quindi, di ipotesi eccezionali insuscettibili di applicazione analogica. Sul punto cfr. Ruperto, Prescrizione e decadenza, in Bigiavi, a cura di, Giur. sist. civ. comm., Torino, 1985, p. 123; Azzariti e Scarpello, Della prescrizione e della decadenza, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, BolognaRoma, 1977, sub artt. 2934-2969, p. 245. In giurisprudenza cfr. Cass., 4 giugno 2007, n. 12953. Il fallimento non rientra tra le cause di sospensione tipiche della prescrizione e non può esservi compreso in via analogica.
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procedura, momento dal quale ai sensi dell’art. 120 l. fall. i creditori riacquistano il libero esercizio delle proprie azioni28. La tesi per quanto logica e lineare è stata superata dalla Suprema Corte, in entrambe le pronunce annotate, con argomenti non sempre convincenti. La chiave di volta rispetto al superamento dell’ostacolo posto dall’art. 2935 c.c. risiede nel fatto che, secondo una giurisprudenza di legittimità piuttosto diffusa, ai creditori del fallito non è precluso l’esperimento di un’azione di accertamento o di condanna nei confronti del fallito29. La pendenza della procedura concorsuale implica esclusivamente l’impossibilità di dare esecuzione alla pronuncia ottenuta sui beni compresi nel fallimento, residuando tra l’altro la possibilità di agire in via esecutiva sui beni che ne sono esclusi30. In questi termini il credito per interessi endoconcorsuali sarebbe azionabile già in via extraconcorsuale prima della chiusura della procedura pur nella impossibilità di agire in via esecutiva sui beni compresi nel fallimento. Per tale ragione il termine di prescrizione inizierebbe a decorrere immediatamente. Secondo parte della dottrina31, la facoltà di ottenere una condanna del fallito per il pagamento degli interessi endoconcorsuali implicherebbe a maggior ragione la possibilità di interrompere il decorso della prescrizione mediante un atto di messa in mora stragiudiziale.
Caridi e Vattermoli, Interessi e commissioni, cit., pp. 671 e ss. Il trasferimento della legittimazione processuale dal fallito al curatore ha la funzione di tutelare gli interessi del ceto creditorio, pertanto il trasferimento non avrà ragione di operare per tutti quei rapporti e quelle vicende processuali insuscettibili di ledere gli interessi dei creditori. Tanto avviene qualora essi agiscano al fine di procurarsi un titolo giudiziario spendibile successivamente alla chiusura del fallimento, non opponibile alla massa. Tali principi sono accolti dalla giurisprudenza della Suprema Corte, in proposito vedi Cass., 5 dicembre 2019, n. 31843, reperibile in www.pluris.it, secondo la quale: «è ammesso che il creditore del fallito possa convenirlo in giudizio in proprio, chiedendo espressamente una condanna da intendersi eseguibile solo nell’ipotesi in cui questi dovesse ritornare in bonis». In senso conforme, tra le altre, cfr. Cass., 05 febbraio 2014, n. 2608, reperibile in www.ilcaso.it. 30 Tanto si ricava dagli artt. 42 co. 3 e 43 l. fall., come correttamente messo in evidenza delle sentenze in commento. Le esigenze connesse alla esecuzione collettiva non si manifestano per quei beni che ne restano esclusi, sui quali quindi è ammessa l’esecuzione individuale dei creditori. Sul punto cfr. Cass, 19 gennaio 1984, n. 460. 31 Fabiani, Gli interessi post-fallimentari, cit., p. 94. Contra Inzitari, Interessi postfallimentari, cit. 28 29
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Questa conclusione, tuttavia, per quanto presenti un indubbio vantaggio pratico, è stata criticata dalla prevalente giurisprudenza32 sulla base della considerazione che non può essere dotata di efficacia una richiesta di pagamento a cui il debitore non può, perché gli viene vietato dalla legge stessa, dare seguito. Un’intimazione di pagamento, alla quale per legge non potrà corrispondere l’adempimento del debitore, non potrà dunque valere come atto interruttivo della prescrizione nonostante potrebbe contrariamente opinarsi che il creditore tramite l’intimazione al fallito diriga la sua volontà non tanto al pagamento, quanto propriamente all’effetto indiretto della messa in mora. Posto che secondo la Corte di Cassazione il termine prescrizionale decorre in pendenza della procedura e che la sua durata ai sensi dell’art. 2948, n. 4 c. c. è di cinque anni, occorre dunque domandarsi se l’efficacia interruttiva della prescrizione possa ricollegarsi ad atti ulteriori rispetto alla proposizione della domanda giudiziale. L’attenzione dell’interprete non può che focalizzarsi sulla domanda di insinuazione al passivo, dato che ai sensi dell’art. 94 l. fall. essa produce i medesimi effetti della domanda giudiziale per tutta la durata del fallimento. Tale atto, quindi, è dotato di una valenza tanto interruttiva, quanto sospensiva della prescrizione. Si pongono allora due ordini di problemi che attengono all’ambito di produzione di tali effetti. Nello specifico ci si chiede se essi possano estendersi ai crediti per interessi non compresi nel petitum della domanda di insinuazione ed addirittura ai crediti per interessi non ancora maturati.
Per la prevalente giurisprudenza infatti l’impossibilità che all’intimazione ad adempiere corrisponda un pagamento priva di efficacia l’atto che non potrà produrre gli effetti della messa in mora e quindi non sarà idoneo ad interrompere la prescrizione; cfr. Cass., 16 maggio 2018, n. 11966, reperibile in www.ilcaso.it., ove la corte espressamente afferma che «sarebbe del tutto inefficace un atto di costituzione in mora compiuto nei confronti di una società già fallita che, ai sensi della l. fall., art. 44, non può eseguire pagamenti», e ove viene espresso il seguente principio di diritto: «Nel caso di impresa sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, l’atto di costituzione in mora proveniente dal creditore è parimenti inefficace, sia se compiuto direttamente nei confronti dell’impresa già ammessa alla procedura, perché essa non può più eseguire pagamenti, ai sensi del d.lgs. n. 270 del 1999, art. 49, – che richiama la l. fall., art. 44, sia se indirizzato al suo commissario straordinario, il quale non ha la libera disponibilità dei diritti e degli obblighi dell’impresa in procedura, determinando l’interruzione della prescrizione del credito soltanto la presentazione della domanda di insinuazione nello stato passivo». 32
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La Suprema Corte nelle sentenze in commento ha ritenuto che l’efficacia interruttiva della domanda del capitale si estenda anche al credito per interessi, essendo questo accessorio a quello del capitale, e che produca i suoi effetti anche rispetto agli interessi endoconcorsuali non ancora maturati. Tuttavia, la Corte svolge un ragionamento quanto meno criticabile. La Cassazione muove dal presupposto che la prescrizione degli interessi post-fallimentari decorra in corso di fallimento (motivo per cui si ritiene preferibile parlare di interessi endoconcorsuali) e che dunque debbano ammettersi atti interruttivi della stessa giungendo alla conclusione che l’atto interruttivo debba avere necessariamente efficacia «ora per allora», così motivando l’attribuzione di tali effetti alla domanda di insinuazione al passivo. A mio avviso, così opinando, la Corte ancora una volta sovrappone premesse e conseguenze del proprio ragionamento. Il fatto che la prescrizione decorra non può essere motivo per giustificarne l’interruzione attraverso atti che non dovrebbero considerarsi dotati di tale efficacia. Occorre allora ben individuare quale sia l’atto che possa produrre tali effetti. La caratteristica della accessorietà del credito per interessi si manifesta sul piano della genesi dell’obbligazione e non sul piano estintivo33. L’estinzione del credito mediante imputazione del pagamento al capitale non spiega alcun effetto rispetto all’esistenza dell’obbligo di corrispondere interessi già maturati. Allo stesso modo l’estinzione del credito per ragioni differenti dall’adempimento, quali ad esempio la prescrizione, non dovrebbe spiegare effetti rispetto al credito per interessi maturati34. Da questo punto di vista il credito per capitale e quello per interessi sono autonomi. L’atto interruttivo della prescrizione del credito per capitale ne eviterà l’estinzione, così che continueranno a maturare gli interessi
33 In questo senso cfr. Inzitari, Interessi postfallimentari, cit.; Fabiani, Gli interessi post-fallimentari, cit., p. 93. 34 In giurisprudenza esclude che l’interruzione della prescrizione del credito per capitale spieghi effetti nei confronti del credito per interessi Cass., 30 marzo 2001, n. 4704, reperibile in www.diritto.it, ove testualmente: «L’accessorietà sta dunque a significare il collegamento genetico con l’obbligazione principale; ma una volta maturati, in funzione di tale collegamento, gli interessi costituiscono un’obbligazione autonoma, le cui vicende sono indipendenti da quella dell’obbligazione principale e possono formare oggetto di separati atti giuridici. L’individuazione del nesso di accessorietà non può, quindi, comportare la identità di regime giuridico prescrizionale tra debito di interessi e debito principale». In senso conforme cfr. Cass., 3 dicembre 1997, n. 13097, in Giurisprudenza italiana, 1998, I, 5-12; Cass, 20 settembre 1991, n. 9800, reperibile in www.pluris.it.
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dovuti o inizieranno a prodursi gli interessi moratori. Viceversa l’intimazione di pagamento del capitale non sembra poter spiegare effetti rispetto al termine di prescrizione del credito per interessi, tanto più per un credito non ancora venuto ad esistenza, non essendo gli stessi maturati. La domanda di insinuazione al passivo non può che contenere, a pena di inammissibilità, la richiesta di pagamento del capitale e degli interessi maturati sino al momento della dichiarazione di fallimento35. Che gli effetti della domanda di insinuazione al passivo siano rivolti solo al capitale e agli interessi maturati alla data del fallimento (se richiesti), sembra essere confermato dal fatto che in sede di riapertura del fallimento i crediti post-fallimentari dovranno necessariamente formare oggetto di una nuova domanda ai sensi dell’art. 122 l. fall.36. Non si vede in definitiva, anche a voler riconoscere l’effetto interruttivo della domanda di insinuazione rispetto ai crediti per interessi già maturati, come essa possa produrre effetti rispetto a crediti per interessi endoconcorsuali che al momento della sua proposizione sono inesistenti. A mio avviso, la soluzione al problema deve essere fornita partendo dal dato dal quale il ragionamento ha preso le mosse, eliminando l’elemento di contraddizione presente nelle argomentazioni della Corte. Si è detto che il credito per interessi endoconcorsuali matura sul piano sostanziale e che, nonostante il divieto di azioni esecutive individuali, la prescrizione decorre in ragione del fatto che il diritto può essere azionato ottenendo in via giudiziale l’accertamento e la condanna del debitore. Se questa tesi è corretta, allora dovrebbe coerentemente ritenersi, nonostante ciò comporti un onere per il creditore, che l’unico atto interruttivo della prescrizione ammissibile debba essere rivolto al debitore37 e consista nella domanda giudiziale proposta in via esofallimentare al fine di perseguire un risultato concretamente utile ai fini della futura riscossione del credito consistente nell’ottenimento di un titolo da spendere una volta che il debitore, temporaneamente impossibilitato ad adempiere, sia tornato in bonis.
In questo senso cfr. Trib. Milano, 10 maggio 2012, in Dir. fall., 2012, I, 6, 693 e ss. Vedi P. Sandulli, sub art. 122, in Commentario alla legge fallimentare, a cura di Cavallini, Milano, 2010. 37 Sul fatto che l’atto interruttivo debba necessariamente avere quale destinatario il debitore cfr. Inzitari, Natura e prescrizione del credito per interessi post-fallimentari, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, I, p. 89, della stessa opinione Fabiani, Gli interessi postfallimentari, cit., p. 93. 35 36
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5. Interessi endoconcorsuali ed esdebitazione. Le controversie sulle quali è stata chiamata a pronunciarsi la Suprema Corte non coinvolgevano i profili connessi all’esdebitazione del fallito, dunque le pronunce in esame non si sono occupate del tema. Tuttavia, gli effetti dell’esdebitazione potrebbero in astratto interferire con la disciplina degli interessi endoconcorsuali. La questione potrebbe divenire ancor più rilevante nell’ambito del codice della crisi e dell’insolvenza, che supera il tradizionale presupposto soggettivo dell’esdebitazione, per il quale il beneficio è accessibile solo al fallito persona fisica38. La chiusura della procedura in assenza di domande di insinuazione al passivo o in caso di integrale soddisfacimento dei creditori comporterà l’obbligo del curatore di convocare gli organi sociali per le decisioni conseguenti, eliminando ogni forma di automatismo tra chiusura del fallimento ed estinzione della società. Allo stesso tempo la riforma estende il beneficio dell’esdebitazione anche a tali soggetti giuridici39. In via ipotetica potrebbero darsi dei casi in cui l’impresa, anche sotto forma di società di capitali, conservi un surplus attivo dopo la chiusura della procedura, ed essendo al contempo debitore degli interessi maturati in corso di fallimento faccia domanda per accedere all’esdebitazione. Questa eventualità rende il tema degno di analisi. Secondo un orientamento minoritario40 gli effetti dell’istituto in esame si estenderebbero anche ai debiti per interessi maturati in corso di procedura, in ragione del loro carattere accessorio rispetto al credito per il capitale.
38 Ante codice della crisi, parte della dottrina auspicava già l’estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto, non ravvisando ragioni idonee a giustificarne la limitazione alle persone fisiche. Cfr. sul punto Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi. Le procedure concorsuali4, Bologna, 2017, p. 276: «L’esdebitazione può essere concessa solo al fallito che sia persona fisica (e quindi, è da ritenere, anche al socio illimitatamente responsabile fallito in estensione del fallimento della società). Di questa limitazione – anche se comune a molti ordinamenti – non è ben chiara la ratio, dal momento che anche rispetto ai soggetti non persone fisiche dichiarati falliti si può in via di principio predicare la possibilità di (e l’interesse a) un fresh start dopo la chiusura di una procedura di insolvenza». 39 In maniera approfondita sul punto, anche con riferimento alle nuove prospettive aperte dalla riforma del diritto della crisi d’impresa, cfr. Vattermoli, L’esdebitazione tra presente e futuro, in Riv. dir. comm., 2018, III, pp. 477 e ss. 40 Lamanna, sub art. 55, cit., p. 800.
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Questa tesi non convince del tutto ed infatti la prevalente dottrina41 esclude che l’esdebitazione, pur operando sul piano della garanzia patrimoniale ai sensi dell’art. 2740, comma 2 c.c., costituisca un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento; il rapporto obbligatorio infatti non si estingue ma sopravvive all’esdebitazione. Tanto si ricava in ragione dell’interpretazione42 letterale e sistematica delle disposizioni degli artt. 14-terdecies, comma 4, l. n. 3/2012 e 143 l. fall. nei quali si afferma che il giudice, accertate le condizioni poste dalla legge, «dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente»; norma replicata dal nuovo art. 278, co. 1 c.c.i., ai sensi del quale l’esdebitazione «comporta l’inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti»; ebbene l’inesigibilità è un concetto ben diverso dall’estinzione. Un’ulteriore conferma della sopravvivenza del rapporto obbligatorio all’esdebitazione è presente nell’art. 142, ult. co., l. fall. ove è previsto che «sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, fideiussori e degli obbligati in via di regresso». La ratio dell’istituto si ravvisa nella concessione di una seconda opportunità all’imprenditore “onesto ma sfortunato”43, consentendogli di reimpiegare le esperienze maturate nell’avviamento di una nuova attività d’impresa con possibili benefici sul piano macroeconomico44. D’altronde, avrebbe poco senso gravare un soggetto del peso delle obbligazioni rimaste insolute a seguito della liquidazione del suo intero patrimonio utile. Di fatto, ciò significherebbe estromettere il debitore fallito dalla possibilità stessa di produrre o accumulare nuova ricchezza, posto che i suoi sforzi sarebbero costantemente rivolti a ripagare i debiti anteriori all’intera liquidazione del suo patrimonio. In un’ottica moderna del diritto della crisi, dunque, l’ordinamento si preoccupa di allocare in maniera efficiente i costi del fallimento, considerato quale concretizzazione di un rischio tipico dell’attività di impresa e privato della storica caratterizza-
Sul punto cfr. Panzani, L’esdebitazione, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di Jorio e Sassani, III, Milano, 2016, pp. 698 e ss.; Santoro, sub art. 143, in La legge fallimentare, La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, M. Sandulli e Santoro, II, Torino, 2010. 42 Vedi sul punto, Vattermoli, L’esdebitazione, cit. 43 Tale condizione è valutata sulla base dei requisiti di accesso al beneficio, di cui all’art. 142 l. fall. 44 Vedi sul punto, Vattermoli, L’esdebitazione, cit. 41
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zione di stigma sociale45. Ecco allora che nell’ottica della condivisione del rischio di impresa o della assunzione del rischio di credito, il residuo passivo del fallimento viene fatto gravare sui coobbligati, sui fideiussori e sugli obbligati in via di regresso, che restano responsabili per l’intero anche nel caso in cui l’imprenditore acceda al beneficio, ed in ultima istanza sui suoi creditori anteriori alla procedura46. Ciò conferma che l’effetto dell’esdebitazione non è quello di estinguere l’obbligazione principale, ma piuttosto quello di rendere inesigibili le obbligazioni concorsuali nei confronti del solo debitore fallito, a margine dell’esecuzione sul suo patrimonio attuata in funzione del soddisfacimento dei creditori. Venendo ai crediti per interessi endoconcorsuali nell’attuale sistema normativo essi non rientrano tra i crediti concorsuali rimasti insoddisfatti al termine della liquidazione giudiziale del patrimonio del fallito. Essi sono inesigibili nel corso della procedura, non possono essere ammessi al passivo e quindi non sono qualificabili come debiti concorsuali residui. Si è inoltre sottolineato47 che l’esdebitazione perderebbe di significato se consentisse al debitore di reimpiegare risorse anteriori alla procedura a proprio vantaggio sottraendole ai creditori, come avverrebbe nel caso in cui vi fosse un residuo attivo non destinato alla soddisfazione dei crediti per interessi sorti nel corso della procedura. Considerando gli interessi endoconcorsuali come crediti successivi alla procedura, sembrerebbe quindi corretto concludere che essi non rientrino nell’ambito di applicazione dell’esdebitazione.
In questo senso cfr. il Considerando n. 20 della Raccomandazione della Commissione Europea del 12 marzo 2014, su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza, nel quale si legge: «Gli effetti del fallimento, in particolare la stigmatizzazione sociale, le conseguenze giuridiche e l’incapacità di far fronte ai propri debiti sono un forte deterrente per gli imprenditori che intendono avviare un’attività o ottenere una seconda opportunità, anche se è dimostrato che gli imprenditori dichiarati falliti hanno maggiori probabilità di avere successo la seconda volta. È opportuno pertanto adoperarsi per ridurre gli effetti negativi del fallimento sugli imprenditori, prevedendo la completa liberazione dai debiti dopo un lasso di tempo massimo». 46 Come messo in evidenza dalla dottrina, «in ultima istanza, il costo [dell’esdebitazione] viene sopportato dai creditori anteriori alla concessione del beneficio, a tutto vantaggio, a ben vedere, dei creditori futuri», cfr. Vattermoli, L’esdebitazione, cit, p. 2. Proprio per questo motivo è ragionevole che i creditori successivi non si avvantaggino del surplus attivo della procedura a svantaggio dei creditori anteriori. 47 Caridi e Vattermoli, Interessi e commissioni, cit., pp. 671 e ss. 45
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6. Il caso della amministrazione straordinaria. Giunti a questo punto dell’analisi è necessario concentrare l’attenzione sul caso specifico affrontato dalla Corte di Cassazione nelle sentenze in commento, ossia sulla amministrazione straordinaria per come disciplinata dal D.l. n. 30/1979 convertito in legge n. 95/1979. La legge del 1979 disciplinava l’amministrazione straordinaria mediante un rinvio alle norme della liquidazione coatta amministrativa. Ai nostri fini, dunque, rilevano particolarmente gli artt. 201 e 207-209 l. fall. applicabili ratione temporis. La prima norma estende alla procedura gli effetti prodotti dalla dichiarazione di fallimento per i creditori e con essi i principi del concorso pur in assenza di insolvenza. La vicenda degli interessi maturati nel corso della procedura è dunque disciplinata dalle medesime norme e dagli stessi principi applicabili in materia di interessi endoconcorsuali. Il secondo gruppo di disposizioni disciplina il concorso in maniera peculiare facendo in modo tale che l’autorità giudiziaria rimanga estranea al procedimento di accertamento del passivo, formato d’ufficio dal commissario giudiziale nell’ambito di un procedimento (per l’appunto) amministrativo. Non vi è alcun rinvio all’art. 94 l. fall. e la richiesta di riconoscimento del credito avanzata dai creditori dovrebbe essere sprovvista di quella particolare efficacia tipica della domanda giudiziale che l’art. 94 l. fall. attribuisce alla domanda di accertamento del passivo. Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto che l’esecutività dello stato passivo depositato dal commissario ai sensi dell’art. 209 l. fall. comporti l’interruzione della prescrizione dei crediti per interessi post-procedura e la sospensione della medesima per tutto il corso del procedimento. I motivi sono esposti in maniera identica in entrambe le pronunce. La Suprema Corte evidenzia che l’art. 209, comma 2, l. fall. richiama il regime dell’art. 98 l. fall. per le opposizioni e impugnazioni dei crediti non ammessi allo stato passivo. Il rinvio implicherebbe l’estensione dell’art 94 l. fall. anche all’accertamento dei crediti nella amministrazione straordinaria. Tali istanze produrrebbero pertanto gli effetti della domanda giudiziale, tra i quali quello interruttivo e sospensivo della prescrizione. A questo punto, la Cassazione afferma che sarebbe irragionevole ritenere che tali effetti si producano solo qualora emerga l’esigenza di dar luogo a giudizi impugnatori e non nei casi in cui il credito sia ammesso d’ufficio su richiesta del creditore. L’esigenza di omogeneità nella produzione di tali effetti spinge la Corte a concludere che l’esecutività dello stato passivo produca i medesimi effetti interruttivi e sospensivi, definendo la situazione debitoria.
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La tesi della Cassazione sembra quantomeno criticabile nei passaggi in cui considera applicabile in via analogica l’effetto interruttivo della domanda giudiziale. Le norme che ne estendono la portata dovrebbero essere considerate norme eccezionali e pertanto non suscettibili di applicazione analogica. Inoltre, la dottrina48 tradizionalmente tendeva ad escludere che il deposito dello stato passivo, così come la richiesta di partecipazione al concorso, potesse essere dotato della stessa efficacia interruttiva e sospensiva della domanda giudiziale, potendo il primo al massimo valere quale ricognizione di debito. Tuttavia, ciò che in questa sede sembra più rilevante si pone a monte del ragionamento. Anche per il caso della amministrazione straordinaria, pur ammettendo l’estensione dell’ambito di applicazione dell’art. 94 l. fall., si dovrebbe giungere alle medesime conclusioni esposte precedentemente49. L’ammissione o la richiesta di ammissione al passivo per il capitale e gli interessi maturati fino al momento della cristallizzazione della massa passiva non dovrebbe in ogni caso produrre effetti sul piano sostanziale per crediti per interessi maturati in corso di procedura. Anche in questo caso, dovrebbe pertanto, a mio avviso, riconoscersi efficacia interruttiva solo alla domanda giudiziale avanzata sul piano extraconcorsuale.
7. Conclusioni e valutazioni de jure condendo. Come già enunciato in apertura della trattazione, la migliore chiave di lettura per approcciarsi alla questione in esame sembra essere quella della differenziazione del piano processuale da quello sostanziale, distinguendo gli effetti delle norme che si proiettano esclusivamente all’interno della procedura, da quelli che esplicano una funzione di coordinamento tra il piano esofallimentare e quello procedurale.
La dottrina è tradizionalmente attestata su queste conclusioni, ex pluribus cfr. CaD’Antonio e Falcone, Le liquidazioni coatte amministrative, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, a cura di Vassalli, Luiso e Gabrielli, IV, Torino, 2014, p. 742. In giurisprudenza cfr. Cass., 6 novembre 1996, n. 9697, in Informazione prev., 1996, 1396; Cass., 26 settembre 1996, n. 8515, in Il fallimento, 1997, p. 185. 49 Cfr. supra par. 4. 48
stiello,
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Gli interessi endoconcorsuali maturano sul piano extrafallimentare ed è su tale piano che ne deve pertanto essere richiesto il pagamento al debitore. La domanda giudiziale volta ad ottenere l’accertamento o la condanna del debitore al pagamento di tali interessi è l’unico atto idoneo ad interromperne la prescrizione non potendo – per i motivi segnalati50 – spiegare effetti l’atto di messa in mora stragiudiziale diretto al debitore in corso di procedura. L’effetto interruttivo non può riferirsi nemmeno alla domanda di insinuazione al passivo. Nonostante l’art. 94 l. fall. coordini il piano procedurale con quello sostanziale, proiettando i suoi effetti al di fuori del fallimento, esso non può trovare applicazione rispetto a crediti non ancora venuti ad esistenza e non compresi nell’oggetto della domanda, come sono quelli relativi agli interessi endoconcorsuali. In conclusione, si ritiene che i creditori potranno agire nei confronti del debitore tronato in bonis per ottenere il pagamento degli interessi endoconcorsuali non prescritti. Non sfuggono, tuttavia, le implicazioni controverse che una tale soluzione comporta. Data la durata media dei procedimenti, l’ammontare dei debiti per interessi sarebbe tale da comportare il più delle volte una nuova insolvenza, cui potrebbe seguire l’apertura di una nuova procedura concorsuale51. Inoltre, al debitore tornato apparentemente in bonis a seguito della chiusura del fallimento sarebbe restituito l’eventuale surplus attivo, ledendo gli interessi dei creditori anteriori52. Infine, come è emerso nel corso della trattazione, la distinzione tra il piano procedurale e quello esofallimentare, nel quale maturano gli interessi endoconcorsuali, comporta evidenti problemi interpretativi. Questi elementi di inefficienza, spingono a considerare soluzioni alternative rispetto a quelle oggi normativamente previste. Dato il particolare momento di riforme che caratterizza il diritto fallimentare, vale la pena chiedersi se non possano essere individuate soluzioni che consentano una più efficacie gestione della procedura.
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V. supra nota 31. Vedi Inzitari, Interessi post-fallimentari, cit. Caridi e Vattermoli, Interessi e commissioni, cit.
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Una possibile alternativa al sistema ad oggi vigente risiede nella valorizzazione dello strumento della postergazione53. Più specificamente, gli interessi endoconcorsuali potrebbero essere ricondotti nell’alveo della procedura concorsuale subordinandone il pagamento alla previa soddisfazione di tutti gli altri crediti ammessi al passivo. In tal modo il principio della cristallizzazione verrebbe rispettato, non consentendo che crediti sorti successivamente alla costituzione del vincolo di destinazione fallimentare interferiscano con la soddisfazione dei crediti concorrenti. Al contempo la soddisfazione degli interessi maturati nel corso della procedura verrebbe assoggettata alle regole del concorso, superando i problemi di ordine pratico e giuridico suscitati dalla astrazione degli interessi endoconcorsuali dal procedimento. I benefici sarebbero diffusi. In primo luogo, i creditori del fallito potrebbero contare ai fini della loro soddisfazione sul patrimonio assoggettato alla procedura. In secondo luogo, il debitore potrebbe senza dubbio accedere ai benefici della esdebitazione anche con riferimento ai debiti per interessi endoconcorsuali rimasti insoddisfatti. In terzo luogo, si eviterebbe il paradosso di giungere ad una nuova insolvenza in seguito alla chiusura di una procedura concorsuale, evitando una inutile moltiplicazione dei costi. Da ultimo, l’attrazione degli interessi maturati nel corso della procedura all’ambito concorsuale risolverebbe le incertezze interpretative relative all’estensione applicativa delle disposizioni della legge fallimentare, facendo venir meno gli argomenti attualmente impiegati per negare la maturazione degli interessi, riconoscendosi al contempo agli atti endoprocessuali piena efficacia interruttiva della prescrizione del relativo credito.
Marco Anellino
53 Sul punto cfr. Caridi e Vattermoli, Interessi e commissioni, cit., nel quale gli autori svolgono una approfondita analisi comparatistica delle soluzioni adottate in diversi ordinamenti europei ed esxtracomunitari al termine della quale concludono che sarebbe opportuno «coniugare la regola della sospensione degli interessi endoconcorsuali con quella della subordinazione assoluta del credito per gli stessi; regola, quest’ultima, attivabile solo nella remota ipotesi in cui la massa attiva risultasse sufficiente a soddisfare tutti i restanti crediti concorrenti».
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Marco Anellino
Abstract In base all’art. 55 l. fall. il decorso degli interessi sui crediti chirografari resta sospeso ai fini del concorso per tutta la durata della procedura. Le sentenze in commento offrono l’occasione di riflettere sul problema della maturazione di tali interessi sul piano sostanziale, ossia nei rapporti tra singolo creditore e debitore al di fuori della procedura, nonchÊ sulle questioni inerenti alla maturazione della prescrizione del diritto a richiederne il pagamento e agli atti interruttivi della stessa.
*** Article 55 of the Italian Bankruptcy Law sets out the general rule of suspension of post-petition interest, but only for the purposes of insolvency proceedings. The decisions of the Corte di Cassazione deal with the issue of the regulation of the claim for post-petition interest in the relationship between creditor and debtor; in particular, they deal with acts that interrupt the prescription of such claim.
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MITI E REALTÀ
Flores sententiarum BUROCRAZIA Est modulus in rebus. [M. Marchesi, Il dottor Divago, Milano, 2013, p. 129] SPA Modus dividendi. CIVILTÀ DEI CONSUMI A rate, frates. COL DENARO FAI CARRIERA Cum “grano” salis. [Id., p. 130] RITORNO DAL SUPERMARKET Pelata refero. [Id., p. 131] SPECULAZIONE EDILIZIA Area jacta est. [Id., p. 133] COMPROMESSO Honoris pausa. LE TASSE DEI RICCHI Una pocum. Id., p. 134] IL FILOSOFO DEVE EVITARLO Cogitus interruptus. [Id., p. 137]
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Miti e realtà
CONDOMINIO Homo condomini lupus. MOTTO DEL SOCIO Alter frego. [Id., p. 138] FATTURA Iva missa est. [Sacha, inedito, alla maniera di Marchesi] NOTAIO Rogito, ergo sum. [Id.] Epigrammi AVANTI, MARKET! Sei stato al Supermarket? Hai fatto le tue compere? Bene. Hai consumato il tuo brodo? Quante volte? Due? Poche. Per penitenza Consumerai un brodo Ftar e tre brodi Trebig tutte le mattine e due minestre Alligoni alla sera. Viziosetto, tu non consumi abbastanza! Va’ con Dio Moloch, va’ … [M. Marchesi, Il dottor Divago, cit., p. 52] PREVIDENTE Manda il capitale all’estero a imparare le lingue
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Flores sententiarum - Epigrammi - Neoproverbi
quando le ha imparate ci va anche lui. [Id., p. 103] Neoproverbi Chi troppo vuole firma cambiali. [M. Marchesi, Il dottor Divago, cit., p. 205] Firma ad avallo fregatura aperta. [Id., p. 206] Uomo avvisato porta i soldi in Svizzera. [Id., p. 209]
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AUTORI
Marco Anellino, notaio in Roma Filippo Annunziata, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università Bocconi di Milano Antonella Brozzetti, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università di Siena Ciro G. Corvese, prof. ass. di Diritto commerciale nell’Università di Siena Brando Maria Cremona, dottorando di ricerca Ilaria Franci, consulente legale in materia bancaria e finanziaria Giovanni Fumarola, cultore di Diritto commerciale nell’Università degli studi di Brescia Riccardo Ghetti, prof. a contratto di Diritto commerciale nell’Università di Bologna Roberto Marcelli, consulente in materia bancaria e finanziaria, presidente Assoctu Francesca Mattassoglio, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università di Milano Bicocca Luis Manuel C. Méjan, prof. di Derecho civil y mercantil nell’Instituto Tecnològico Autonòmo de Mèxico di Città del Messico Lourdes Melero Bosch, prof. di Derecho mercantil nell’Universidad de La Laguna, Tenerife Simone Mezzacapo, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università di Perugia Enrico Minervini, prof. ord. di Diritto dell’economia nell’Università di Roma Tor Vergata Alessandro Nigro, prof. ord. fuori ruolo di Diritto commerciale nell’Università Sapienza di Roma Eugenio Prosperi, dottorando di ricerca Maria Elena Salerno, prof. ass. di Diritto dell’economia nell’Università di Siena Nicola Ruccia, prof. a contratto di Diritto europeo dell’ambiente nell’Università Politecnico di Bari Vittorio Santoro, prof. ord. fuori ruolo di Diritto commerciale nell’Università di Siena
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INDICI DELL’ANNATA PARTE PRIMA SAGGI Annunziata Filippo, “Madamina il catalogo è questo…” La disclosure delle informazioni privilegiate, tra regole speciali e disciplina dell’organizzazione di impresa pag. Brozzetti Antonella, La riforma apprestata con l’investment firms regulation e directive (ifr/ifd): prime osservazioni ruotanti intorno al nuovo assetto bipolare della regolazione europea e alla nuova definizione di ente creditizio » Cremona Brando Maria, La funzione di controllo e il comitato per il controllo sulla gestione nelle società bancarie monistiche » Ghetti Riccardo, Agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi tra sistema e problema » Mattassoglio Francesca, La valutazione “innovativa” del merito creditizio del consumatore e le sfide per il regolatore » Méjan Luis Manuel C., Regla de la prioridad absoluta » Melero Bosch Lourdes V., La responsabilità del finanziatore per concessione irresponsabile del credito nell’ordinamento spagnolo » Mezzacapo Simone, La nuova “crypto-attività” e infrastruttura finanziaria globale “Libra”: analisi della fattispecie e profili regolamentari nel mercato interno dell’UE » Minervini Enrico, Note sull’art. 119 t.u.b. » Nigro Alessandro, I principi generali della nuova riforma “organica” delle procedure concorsuali » Ruccia Nicola, Le criptovalute nell’UEM: da monete private non regolamentate a potenziale valuta » Salerno Maria Elena, La tutela dell’investitore in prodotti di investimento assicurativi nella nuova disciplina Consob » Santoro Vittorio, Tentativi di sviluppo di un mercato secondario delle quote di società a responsabilità limitata »
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391 651 465 187 119 87
35 165 11 625 565 23
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Indici dell’annata
FATTI E PROBLEMI DELLA PRATICA Marcelli Roberto, Finanziamenti con piano di ammortamento: vizi palesi e vizi occulti
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Amministrazione straordinaria Amministrazione straordinaria – Interessi – Sospensione ai soli fini della procedura – Maturazione al di fuori della procedura – Prescrizione – Esecutività dello stato passivo – Interruzione fino alla fine della procedura
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Assicurazioni (impresa) Assicurazioni (impresa) – Impresa di assicurazione comunitaria – Libertà di prestazione di servizi – Esercizio di attività assicurativa in Stato europeo diverso dallo Stato d’origine – Provvedimento dell’Autorità dello Stato ospitante – Divieto di stipulare contratti – Motivazioni – Mancanza del requisito di onorabilità da parte del socio di controllo – Inammissibilità – Annullamento del provvedimento
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COMMENTI Anellino Marco, Il decorso e la prescrizione degli interessi maturati in pendenza di procedure concorsuali Corvese Ciro G., Limiti al controllo del Paese d’origine e poteri dell’autorità di vigilanza del Paese ospitante nel diritto delle assicurazioni europeo ed italiano Franci Ilaria, La conferibilità delle criptovalute alla luce dell’attuale dibattito circa il loro inquadramento giuridico Fumarola Giovanni, Asta dei diritti di opzione e prelazione dell’inoptato negli aumenti di capitale delle società quotate Marcelli Roberto, Ammortamento alla francese: equivoci alimentati da semplicismo e pregiudizio
INDICE ANALITICO DELLE DECISIONI
Contratti bancari Contratti bancari – Mutui – Ammortamento c.d. “alla francese” – Interessi anatocistici – Produzione - Esclusione Contratti bancari – Mutui – Ammortamento c.d. “alla francese” – Indeterminatezza del tasso di interesse – Esclusione – Applicazione di tasso superiore a quello contrattuale – Esclusione
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Indici dell’annata
Fallimento Fallimento – Interessi – Sospensione ai soli fini della procedura – Maturazione al di fuori della procedura – Prescrizione – Domanda di insinuazione al passivo – Interruzione fino alla fine della procedura
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Società a responsabilità illimitata Società a responsabilità illimitata – Aumento di capitale – Conferimento di moneta virtuale – Ammissibilità – Esclusione
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Società per azioni Società per azioni – Società per azioni quotate – Aumento del capitale sociale – Sottoscrizione – Termine finale – Fissazione da parte del consiglio di amministrazione – Successiva anticipazione da parte dello stesso consiglio – Illegittimità – Fattispecie
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2016 Trib. Milano, 16 gennaio 2016
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2018 Cons. St., sez. IV, 8 febbraio 2018, n. 837 App. Brescia, 24 ottobre 2018, n. 207
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2020 Cass., sez. I, 19 giugno 2020, n. 11963 Cass., sez. I, 9 luglio 2020, n. 14527 App. Roma, 30 gennaio 2020
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INDICE CRONOLOGICO DELLE DECISIONI
MITI E REALTÀ La foire aux cancres (III) Flores sententiarum – Epigrammi – Neoproverbi
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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni
DOCUMENTI E INFORMAZIONI
Governo e controllo dei prodotti assicurativi Pubblichiamo, seguito da un commento di Ciro G. Corvese, il Regolamento dell’Ivass del 4 agosto 2020 su “Governo e controllo dei prodotti assicurativi”. Sul sito web della rivista (si veda http://www.dirittobancaemercatifinanziari.it) abbiamo messo a disposizione dei lettori, oltre al Regolamento, anche la Relazione di accompagnamento ed il documento “Politica di governo e controllo dei prodotti assicurativi” allegato al medesimo Regolamento. *** Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni – Regolamento del 4 agosto 2020 recante disposizioni in materia di requisiti di governo e controllo dei prodotti assicurativi ai sensi del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (codice delle assicurazioni private e successive modifiche e integrazioni). L’istituto Per La Vigilanza Sulle Assicurazioni, Vista la legge 12 agosto 1982, n. 576 e successive modifiche e integrazioni, concernente la riforma della vigilanza sulle assicurazioni; Visto l’articolo 13 del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modifiche nella legge n. 135 del 7 agosto 2012, concernente disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini e recante l’istituzione dell’IVASS; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 12 dicembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie generale – n. 303 del 31 dicembre 2012, che ha approvato lo Statuto dell’IVASS, entrato in vigore il 1° gennaio 2013; Visto il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni e integrazioni, recante il Codice delle Assicurazioni Private, e, in particolare, gli articoli 30-decies e 121-bis; Visto il decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221 recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”;
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Documenti e informazioni
Visto il Regolamento IVASS n. 3 del 5 novembre 2013, sull’attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 23 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, in materia di procedimenti per l’adozione di atti regolamentari e generali dell’IVASS; Visto il Regolamento Delegato (UE) 2017/2358 della Commissione del 21 settembre 2017 che integra la Direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i requisiti in materia di governo e controllo del prodotto per le imprese di assicurazione e i distributori di prodotti assicurativi; Vista la legge 25 ottobre 2017, n. 163, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – legge di delegazione europea 2016-2017 e, in particolare, l’articolo 5; Visto il Regolamento IVASS n. 38 del 3 luglio 2018 recante disposizioni in materia di governo societario di cui al Titolo III (Esercizio dell’attività assicurativa) del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni e integrazioni recante il Codice delle Assicurazioni Private; Visto il Regolamento IVASS n. 40 del 2 agosto 2018 recante disposizioni in materia di distribuzione assicurativa e ri-assicurativa di cui al Titolo IX (Disposizioni Generali in materia di distribuzione) del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 – Codice delle Assicurazioni Private; Considerata la necessità di dare attuazione alla normativa nazionale e dell’Unione europea; Sentita la Consob, Commissione nazionale per le società e la borsa, adotta il seguente REGOLAMENTO INDICE: Capo I – Disposizioni generali. – Art. 1 (Fonti normative). – Art. 2 (Definizioni). – Art. 3 (Ambito di applicazione). – Capo II – Requisiti di governo e controllo dei prodotti assicurativi applicabili ai produttori. – Art. 4 (Principi generali). – Art. 5 (Ruolo dell’organo amministrativo e della funzione di verifica di conformità alle norme). – Art. 6 (Mercato di riferimento). – Art. 7 (Processo di approvazione del prodotto). – Art. 8 (Test del prodotto). – Art. 9 (Monitoraggio e revisione del prodotto assicurativo). – Art. 10 (Flussi informativi). – Capo III – Requisiti di governo e controllo dei prodotti assicurativi applicabili ai distributori. – Art. 11 (Meccanismi di distribuzione). – Art. 12 (Mercato di riferimento effettivo). – Art. 13 (Scambio informativo con i produttori). – Art. 14 (Ruolo degli organi sociali e delle funzioni aziendali di controllo degli intermediari di cui al comma 2, lettera d), dell’articolo 109 del Codice). – Art. 15 (Sistemi interni di controllo dell’attività di distribuzione assicurativa degli intermediari di cui al comma 2, lettere a), b) e f), dell’articolo 109 del Codice). – Art. 16 (Rapporti di collaborazione). – Capo IV – Disposizioni finali. – Art. 17 (Pubblicazione ed entrata in vigore) Allegato 1 – Politica in materia di governo e controllo dei prodotti assicurativi. Capo I Disposizioni generali Art. 1 (Fonti normative)
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Regolamento IVASS 4 agosto 2020
1. Il presente Regolamento è adottato ai sensi degli articoli 5, comma 2, 30-decies, comma 7, 121-bis, comma 2, e 191 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 e successive modifiche e integrazioni, recante il Codice delle Assicurazioni Private. Art. 2 (Definizioni) 1. Ove non diversamente specificato, ai fini del presente Regolamento valgono le definizioni dettate dal decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 e successive modifiche e integrazioni. In aggiunta si intende per: a) “Codice”: il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni e integrazioni, recante il Codice delle Assicurazioni Private; b) “collaborazione orizzontale”: collaborazione tra intermediari operativi iscritti nelle sezioni A, B, D del Registro degli intermediari assicurativi, anche a titolo accessorio, e riassicurativi di cui all’articolo 109 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, o nell’Elenco annesso al Registro di cui all’articolo 116-quinquies del medesimo decreto, ai sensi dell’articolo 22, comma 10, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221; c) “contraente” o “cliente”: la persona fisica o giuridica in favore della quale un distributore svolge attività di distribuzione assicurativa; d) “intermediario emittente”: nell’ambito della collaborazione orizzontale, con riferimento al prodotto distribuito, l’intermediario titolare dell’incarico di distribuzione da parte dell’impresa emittente o con la quale abbia rapporti d’affari; e) “intermediario produttore di fatto”: l’intermediario assicurativo che realizza prodotti assicurativi quando sussistono i presupposti e le condizioni di cui all’articolo 3 del Regolamento (UE) 2017/2358; f) “intermediario proponente”: nell’ambito della collaborazione orizzontale, con riferimento al prodotto distribuito, l’intermediario che entra in contatto con il contraente; g) “Regolamento (UE) 2017/2358”: il Regolamento Delegato (UE) 2017/2358 della Commissione del 21 settembre 2017 che integra la direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i requisiti in materia di governo e controllo del prodotto per le imprese di assicurazione e i distributori di prodotti assicurativi; h) “soggetto che realizza prodotti assicurativi” o “produttore”: i) l’impresa di assicurazione; ii) l’intermediario produttore di fatto; i) “mercato di riferimento negativo”: le categorie di clienti per le cui esigenze, caratteristiche e obiettivi, il prodotto non può essere distribuito, secondo quanto previsto dall’articolo 30-decies, comma 4, del Codice. Art. 3 (Ambito di applicazione) 1. Il presente Regolamento disciplina l’elaborazione e l’attuazione dei processi di approvazione dei prodotti assicurativi nonché i relativi meccanismi di distribuzione. 2. Le disposizioni del presente Regolamento si applicano:
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Documenti e informazioni
a) con specifico riferimento ai Capi II e III, alle imprese di assicurazione con sede legale nel territorio della Repubblica Italiana; b) con specifico riferimento ai Capi II e III, alle sedi secondarie nel territorio della Repubblica italiana di imprese di assicurazione con sede legale in uno Stato terzo; c) con specifico riferimento al Capo II, agli intermediari produttori di fatto; d) con specifico riferimento all’articolo 10 e al Capo III, agli intermediari assicurativi di cui al comma 2, lettere a), b), c), d), e) e f) dell’articolo 109 del Codice e agli intermediari con residenza o sede legale in un altro Stato membro dell’Unione europea che siano iscritti nell’Elenco annesso al Registro di cui all’articolo 116-quinques del Codice, inclusi gli addetti all’interno dei locali dell’intermediario per il quale operano, nonché alle imprese di assicurazione e relativi dipendenti, che distribuiscono prodotti assicurativi diversi dai prodotti di investimento assicurativo; e) con specifico riferimento all’articolo 10 e al Capo III, agli intermediari assicurativi di cui al comma 2, lettere a), b) e c) dell’articolo 109 del Codice e agli intermediari con residenza o sede legale in un altro Stato membro dell’Unione europea che siano iscritti nell’Elenco annesso al Registro di cui all’articolo 116-quinques del Codice, inclusi gli addetti all’interno dei locali dell’intermediario per il quale operano e i soggetti collaboratori di cui al comma 2, lettera e), dell’articolo 109 del Codice, nonché alle imprese di assicurazione e relativi dipendenti, che distribuiscono prodotti di investimento assicurativo. 3. Ferma restando la responsabilità del singolo produttore sul governo e controllo dei prodotti assicurativi, quando i soggetti di cui al comma 2, lettere a) e b), appartengono a un gruppo, le disposizioni di cui all’articolo 5, commi 3 e 4, si applicano in modo proporzionato a livello di ultima società controllante italiana, secondo quanto previsto dal Regolamento IVASS n. 38 del 2018. A tal fine, l’ultima società controllante redige un’apposita politica recante le modalità di coordinamento dei processi di approvazione dei prodotti assicurativi dei produttori appartenenti al gruppo. 4. I produttori e gli intermediari rispettano gli obblighi di cui al presente Regolamento in modo appropriato e proporzionato, tenendo conto del livello di complessità di ogni prodotto assicurativo e del correlato mercato di riferimento. 5. In coerenza con quanto previsto dall’articolo 121-ter del Codice, le disposizioni del presente Regolamento non si applicano ai prodotti assicurativi che consistono nell’assicurazione dei grandi rischi. Capo II Requisiti di governo e controllo dei prodotti assicurativi applicabili ai produttori Art. 4 (Principi generali) 1. I produttori elaborano e attuano un processo di approvazione per ciascun nuovo prodotto assicurativo e per ogni modifica significativa di un prodotto assicurativo esistente, prima che sia commercializzato o distribuito, in coerenza
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Regolamento IVASS 4 agosto 2020
con le disposizioni dell’articolo 30-decies del Codice e degli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 del Regolamento (UE) 2017/2358. Art. 5 (Ruolo dell’organo amministrativo e della funzione di verifica di conformità alle norme) 1. L’organo amministrativo delle imprese di assicurazione ha la responsabilità ultima dell’osservanza delle norme sul processo di approvazione dei prodotti assicurativi. 2. Ai fini di cui al comma 1, l’organo amministrativo approva e rivede, almeno una volta l’anno, la politica in materia di governo e controllo dei prodotti assicurativi di cui all’articolo 4 del Regolamento (UE) 2017/2358. La politica contiene almeno gli elementi di cui l’Allegato 1. 3. La funzione di verifica di conformità alle norme delle imprese di assicurazione monitora lo sviluppo e la revisione periodica delle procedure e delle misure di governo dei prodotti assicurativi, al fine di individuare i rischi di mancato adempimento degli obblighi previsti dalla normativa vigente, inclusa la normativa europea direttamente applicabile, anche da parte dell’intermediario produttore di fatto. 4. La relazione della funzione di verifica della conformità alle norme di cui all’articolo 30 del Regolamento IVASS n. 38 del 2018 contiene gli elementi relativi alle verifiche e alle analisi effettuate sulla corretta definizione e sull’efficacia di tutte le fasi della procedura di approvazione e revisione di ciascun prodotto, incluse le informazioni sui prodotti assicurativi realizzati, sulla strategia di distribuzione, nonché sull’attività di distribuzione diretta svolta dall’impresa, evidenziando eventuali criticità. 5. Le imprese di assicurazione mettono a disposizione dell’IVASS, su richiesta di quest’ultima, la politica di cui al comma 2, gli elementi di cui al comma 4, nonché la documentazione relativa al processo di approvazione di ciascun prodotto di cui all’articolo 30-decies, comma 3, del Codice. 6. Nel caso degli intermediari produttori di fatto: a) l’organo amministrativo o il corrispondente organo dell’intermediario è responsabile del processo di approvazione dei prodotti assicurativi e applica la politica definita dall’impresa di assicurazione ai sensi del comma 2; b) l’intermediario monitora lo sviluppo e la revisione periodica delle procedure di governo dei prodotti assicurativi per le finalità di cui al comma 3 e fornisce all’impresa di assicurazione gli elementi necessari a redigere la relazione di cui al comma 4. Art. 6 (Mercato di riferimento) 1. In coerenza con quanto previsto dall’articolo 5, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2017/2358, nella definizione del mercato di riferimento con sufficiente grado di dettaglio i produttori considerano, ove appropriati, almeno i seguenti elementi: a) le tipologie di clienti cui è rivolto il prodotto; b) i rischi cui sono esposte le tipologie di clienti cui è rivolto il prodotto;
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Documenti e informazioni
c) le esigenze e gli obiettivi dei clienti cui è rivolto il prodotto; d) le caratteristiche del prodotto, con particolare riferimento alle garanzie e alle esclusioni e limitazioni delle garanzie; e) in relazione alla complessità del prodotto, il livello di conoscenza del cliente; f) l’età del cliente, il profilo occupazionale e la sua situazione familiare. 2. Ai fini di cui al comma 1, con riferimento ai prodotti d’investimento assicurativi, i produttori considerano anche la conoscenza teorica e l’esperienza pregressa rispetto a tali prodotti e ai mercati finanziari e assicurativi, nonché alle esigenze, alle caratteristiche e agli obiettivi dei clienti. 3. Con riferimento ai prodotti d’investimento assicurativi, i produttori stabiliscono se un prodotto risponde alle esigenze, alle caratteristiche e agli obiettivi del mercato di riferimento, esaminando, inoltre, i seguenti elementi: a) la coerenza del profilo di rischio/rendimento del prodotto con il mercato di riferimento; b) la rispondenza del prodotto all’interesse del cliente, prestando attenzione a eventuali conflitti determinati da un modello di business redditizio per il produttore e svantaggioso per il cliente; c) la situazione finanziaria del cliente, inclusa la capacità di sostenere perdite. 4. Sulla base degli elementi di cui ai commi precedenti, i produttori individuano anche i clienti che rientrano nel mercato di riferimento negativo, secondo quanto previsto dall’articolo 30-decies, comma 4, del Codice, considerando, a tal fine, anche le esclusioni e limitazioni delle garanzie del prodotto assicurativo, nonché tenendo conto degli obblighi a contrarre previsti dalla normativa. 5. I produttori adottano ogni misura ragionevole e procedure organizzative adeguate per assicurare che: a) il prodotto assicurativo sia distribuito, anche quando la distribuzione è effettuata mediante i soggetti di cui all’articolo 107, comma 4, del Codice, ai clienti all’interno del mercato di riferimento individuato e non sia distribuito a clienti che rientrano nel mercato di riferimento negativo; b) fatto salvo quanto previsto dalla lettera c), l’eventuale distribuzione a clienti che non rientrano nel mercato di riferimento individuato sia realizzata a condizione che il cliente non appartenga al mercato di riferimento negativo e il prodotto corrisponda alle richieste e alle esigenze assicurative del cliente e, sulla base della consulenza fornita prima della conclusione del contratto, sia adeguato. c) con riferimento ai prodotti d’investimento assicurativi non complessi di cui all’articolo 16 del Regolamento (UE) 2017/2359, l’eventuale distribuzione a clienti che non rientrano nel mercato di riferimento individuato sia realizzata a condizione che il cliente non appartenga al mercato di riferimento negativo e il prodotto corrisponda alle richieste e alle esigenze assicurative del cliente e sia adeguato o appropriato. 6. Nell’ambito dell’attività di cui all’articolo 8, paragrafo 4 del Regolamento (UE) 2017/2358, i produttori verificano periodicamente il rispetto da parte dei
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Regolamento IVASS 4 agosto 2020
distributori degli obblighi previsti dal comma 5. Nel caso di collaborazione orizzontale, le verifiche sono svolte nei confronti dell’intermediario emittente e hanno ad oggetto anche il rispetto degli obblighi previsti dal comma 5 da parte degli intermediari proponenti. Nel caso in cui la verifica abbia dato esito negativo, si applica l’articolo 8, par. 5, del Regolamento (UE) 2017/2358. 7. I produttori verificano che il mercato di riferimento effettivo e il mercato di riferimento negativo effettivo individuati dal distributore siano coerenti con il mercato di riferimento e con il mercato di riferimento negativo individuati ai sensi del presente articolo. Nel caso in cui la verifica ha esito negativo, adottano ogni misura necessaria per assicurare tale coerenza. Art. 7 (Processo di approvazione del prodotto) 1. In coerenza con l’articolo 4 del Regolamento (UE) 2017/2358, i produttori istituiscono, attuano e mantengono procedure e misure idonee a garantire che la realizzazione di prodotti assicurativi rispetti gli obblighi in materia di conflitto di interessi, anche per quanto riguarda i sistemi di remunerazione e incentivazione. 2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 8, paragrafi 2 e 3, del Regolamento (UE) 2017/2358 e dall’articolo 30-novies del Codice, prima di decidere se procedere alla commercializzazione di un prodotto assicurativo, i produttori: a) valutano l’adeguatezza dei singoli canali di vendita in relazione al mercato di riferimento e alla complessità del prodotto; b) individuano istruzioni relative all’attività di distribuzione assicurativa. Articolo 8 (Test del prodotto) 1. In coerenza con l’articolo 6 del Regolamento (UE) 2017/2358 e fermi restando gli obblighi informativi previsti dal Codice e dalle disposizioni di attuazione, i produttori valutano i costi e gli oneri da applicare al prodotto assicurativo, esaminando tra l’altro i seguenti elementi: a) che l’ammontare dei costi e degli oneri sia compatibile con le esigenze, gli obiettivi e le caratteristiche del mercato di riferimento e tale da consentire un adeguato valore per il cliente; b) che la struttura dei costi e degli oneri sia adeguatamente trasparente per il mercato di riferimento, non occulti i costi e gli oneri e non risulti troppo complessa da comprendere. 2. Con specifico riferimento ai prodotti di investimento assicurativi i produttori valutano, inoltre: a) che i costi e gli oneri non compromettano le aspettative di rendimento del prodotto di investimento assicurativo; b) se il prodotto di investimento assicurativo possa rappresentare una minaccia per il buon funzionamento o per la stabilità dei mercati finanziari e del mercato assicurativo o per la tutela degli assicurati o per l’integrità e l’ordinato funzionamento dei mercati. 3. I produttori svolgono, ove rilevante in base alle caratteristiche del prodotto, un’analisi di scenario per valutare il rischio che il prodotto di investimento
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assicurativo produca risultati negativi per i clienti finali e in quali circostanze ciò può accadere. A tal fine, il prodotto di investimento assicurativo viene valutato almeno alla luce delle seguenti circostanze negative: a) un deterioramento del contesto di mercato; b) le difficoltà finanziarie del produttore o dei soggetti terzi coinvolti nella realizzazione e/o nel funzionamento del prodotto di investimento assicurativo o il verificarsi di un altro rischio di controparte; c) la non sostenibilità del prodotto di investimento assicurativo sul piano commerciale. Articolo 9 (Monitoraggio e revisione del prodotto assicurativo) 1. L’attività di monitoraggio nel continuo e di revisione regolare del prodotto di cui all’articolo 7, del Regolamento (UE) 2017/2358: a) include la verifica della correttezza delle valutazioni effettuate prima della commercializzazione del prodotto ai sensi degli articoli 7 e 8; b) include la verifica sui canali di vendita al fine di valutarne la congruità, in particolare con riferimento alla vendita non effettuata in coerenza con quanto previsto ai sensi dall’articolo 6 e agli altri rischi collegati all’attività di distribuzione; c) comprende anche la distribuzione effettuata mediante i soggetti di cui all’articolo 107, comma 4, del Codice; d) esamina anche il numero e la tipologia di reclami presentati. 2. Nel processo di monitoraggio e revisione dei prodotti assicurativi immessi sul mercato effettuato ai sensi dell’articolo 7 del Regolamento (UE) 2017/2358, i produttori, con specifico riferimento ai prodotti di investimento assicurativi, identificano, altresì, gli eventi cruciali in grado di incidere sul rischio potenziale o sulle aspettative di rendimento del prodotto, in particolare i livelli di rendimento del prodotto assicurativo tali da rendere necessaria una revisione del prodotto, tenuto conto delle aspettative di rendimento dei clienti. 3. In esito all’attività di monitoraggio e revisione del prodotto di cui all’articolo 7, del Regolamento (UE) 2017/2358, i produttori adottano misure appropriate e correttive, consistenti, tra l’altro: a) nella fornitura ai clienti e ai distributori di adeguate informazioni sugli eventi cruciali identificati, sui relativi effetti sul prodotto assicurativo e sulle misure correttive adottate; b) nella revisione del processo di approvazione del prodotto assicurativo; c) nella sospensione o interruzione dell’emissione di ulteriori contratti relativi al prodotto assicurativo; d) nella modifica del prodotto assicurativo; e) nel contattare l’intermediario per valutare modifiche riguardanti il processo di distribuzione; f) nei casi di maggiore gravità, nell’interruzione del rapporto di distribuzione con l’intermediario. 4. I produttori informano prontamente l’IVASS nel caso in cui gli esiti del processo di revisione determinino l’adozione delle misure di cui al comma 3.
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Art. 10 (Flussi informativi) 1. Ai fini del pieno rispetto degli obblighi di cui al Regolamento (UE) 2017/2358 e al presente Regolamento, le imprese di assicurazione e i distributori identificano tramite accordo la direzione, il contenuto, la periodicità, le modalità di scambio delle informazioni relative allo svolgimento delle rispettive attività e necessarie per adempiere ai rispettivi obblighi. 2. L’identificazione dei flussi informativi di cui al comma 1: a) è finalizzata a guidare il distributore nella conoscenza del prodotto e ad assicurare che la distribuzione sia rivolta a clienti appartenenti al mercato di riferimento di cui all’articolo 6; b) è finalizzata a favorire l’adempimento da parte del distributore dell’obbligo di cui all’articolo 11 del Regolamento (UE) 2017/2358; c) è soggetta a revisione periodica; d) favorisce l’esercizio dell’azione di vigilanza sul pieno rispetto degli obblighi di cui al Regolamento (UE) 2017/2358 e al presente Regolamento da parte delle Autorità di vigilanza competenti. In presenza di un intermediario produttore di fatto, l’identificazione di cui ai commi 1 e 2 è effettuata dall’impresa di assicurazione congiuntamente con l’intermediario produttore di fatto. Capo III Requisiti di governo e controllo dei prodotti assicurativi applicabili ai distributori Art. 11 (Meccanismi di distribuzione) 1. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 10 del Regolamento (UE) 2017/2358, i distributori conoscono i prodotti distribuiti, valutano la compatibilità con le esigenze e le richieste del cliente, distribuiscono il prodotto ai clienti rientranti nel mercato di riferimento individuato dal produttore ai sensi dell’articolo 6, e fanno in modo che i prodotti siano distribuiti solo quando ciò sia nell’interesse del cliente, anche quando la distribuzione è effettuata mediante i soggetti di cui all’articolo 107, comma 4, del Codice. 2. Prima della sottoscrizione del contratto, i distributori acquisiscono dal contraente e, con riferimento alle polizze collettive, dall’aderente nelle modalità e nei limiti previsti dall’articolo 66 del Regolamento IVASS n. 40 del 2018, tutte le informazioni necessarie per valutarne l’appartenenza al mercato di riferimento o al mercato di riferimento negativo individuati dal produttore ai sensi dell’articolo 6. 3. Ai fini di cui all’articolo 11, del Regolamento (UE) 2017/2358, il distributore adotta procedure idonee a individuare il momento in cui il prodotto non risponda più agli interessi, agli obiettivi e alle caratteristiche del mercato di riferimento individuato dal produttore ai sensi dell’articolo 6, nonché alle altre circostanze relative al prodotto che aggravino il rischio di pregiudizio per il cliente. A tal fine effettua verifiche periodicamente, anche con riferimento alla
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distribuzione effettuata mediante i soggetti di cui all’articolo 107, comma 4, del Codice. 4. Fermi restando gli obblighi di verifica e di monitoraggio del produttore previsti dall’articolo 9 e dell’articolo 8, paragrafo 4, del Regolamento (UE) 2017/2358 i distributori: a) non distribuiscono prodotti assicurativi ai clienti che appartengono al mercato di riferimento negativo individuato dal produttore; b) fatto salvo quanto previsto dalla lettera c), possono distribuire prodotti assicurativi a clienti che non rientrano nel mercato di riferimento individuato dal produttore, purché i clienti non appartengano al mercato di riferimento negativo e tali prodotti corrispondano alle richieste e alle esigenze assicurative di quei clienti e, sulla base della consulenza fornita prima della conclusione del contratto, siano adeguati.; c) possono distribuire prodotti d’investimento assicurativi non complessi di cui all’articolo 16 del Regolamento (UE) 2017/2359 a clienti che non rientrano nel mercato di riferimento individuato dal produttore, purché i clienti non appartengano al mercato di riferimento negativo e tali prodotti corrispondano alle richieste e alle esigenze assicurative di quei clienti e siano adeguati o appropriati. 5. Fermi restando gli obblighi informativi precontrattuali, gli intermediari quando distribuiscono un prodotto assicurativo a clienti che non appartengono al mercato di riferimento comunicano al produttore se il prodotto assicurativo è distribuito al di fuori del mercato di riferimento ai sensi del comma 4, lettere b) e c). 6. Gli intermediari che distribuiscono prodotti commercializzati da imprese di assicurazione con sede legale in uno Stato membro operanti in regime di stabilimento o di libera prestazione di servizi nel territorio della Repubblica italiana adottano tutti i presidi necessari per garantire che i prodotti assicurativi siano distribuiti in conformità al presente regolamento, siano conformi alle norme europee ed italiane e rispondano alle esigenze, alle caratteristiche e agli obiettivi del mercato di riferimento effettivo individuato. Art. 12 (Mercato di riferimento effettivo) 1. Gli intermediari adottano adeguate misure e procedure per assicurare che i prodotti assicurativi che intendono distribuire siano coerenti con le esigenze, le caratteristiche e gli obiettivi del mercato di riferimento e che la strategia di distribuzione prevista sia coerente con tale mercato, oltre che con la strategia distributiva individuata dall’impresa di assicurazione. 2. Gli intermediari identificano e valutano in modo appropriato la situazione e le esigenze dei clienti, al fine di garantire che gli interessi di questi ultimi non siano compromessi da pressioni commerciali ovvero da interessi dell’intermediario. 3. Gli intermediari individuano le ulteriori categorie di clienti ai quali il prodotto non può essere distribuito (mercato di riferimento negativo effettivo). 4. Il mercato di riferimento effettivo di cui al comma 1 e il mercato di riferimento negativo effettivo di cui al comma 3 sono una specificazione del mercato di riferimento e una estensione del mercato di riferimento negativo individuati dal produttore.
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5. Il mercato di riferimento effettivo di cui al comma 1 e il mercato di riferimento negativo effettivo di cui al comma 3 sono comunicati all’impresa di assicurazione, prima della relativa distribuzione. 6. Gli intermediari riesaminano regolarmente i prodotti assicurativi distribuiti tenendo conto di qualsiasi evento che possa incidere significativamente sui rischi potenziali per il mercato di riferimento nonché della eventuale revisione del prodotto effettuata dal produttore, al fine di valutare almeno se il prodotto assicurativo resti coerente con le esigenze del mercato di riferimento effettivo di cui al comma 1 e se la prevista strategia distributiva continui a essere appropriata. A tal fine, effettuano verifiche regolari anche con riferimento alla distribuzione effettuata mediante i soggetti di cui all’articolo 107, comma 4, del Codice. 7. Gli intermediari, anche a seguito delle indicazioni e valutazioni ricevute dal produttore, riconsiderano il mercato di riferimento effettivo e/o aggiornano le procedure e le misure adottate qualora rilevino di aver erroneamente identificato il mercato di riferimento effettivo per un prodotto assicurativo ovvero qualora il prodotto assicurativo non soddisfi più le condizioni del mercato di riferimento effettivo. 8. Gli intermediari comunicano al produttore l’eventuale individuazione di un nuovo mercato di riferimento effettivo in esito alla riconsiderazione di cui al comma 7. 9. A seguito delle valutazioni di cui ai commi 1, 2 e 3, il mercato di riferimento effettivo e il mercato di riferimento negativo effettivo possono coincidere con il mercato di riferimento e il mercato di riferimento negativo individuati dal produttore. In tal caso non si applicano i commi 6 e 8. 10. In caso di collaborazione orizzontale, ciascun intermediario, tenuto conto della rispettiva clientela, definisce il proprio mercato di riferimento effettivo di cui ai commi 1 e 2 e il mercato di riferimento negativo effettivo di cui al comma 3, secondo quanto previsto dal comma 4. 11. Il presente articolo non si applica all’intermediario di cui al comma 1 qualificabile come intermediario produttore di fatto. Art. 13 (Scambio informativo con i produttori) 1. Nell’ambito dell’accordo relativo all’identificazione dei flussi informativi di cui all’articolo 10, i distributori acquisiscono dai produttori le informazioni necessarie per comprendere e conoscere adeguatamente i prodotti che intendono distribuire, al fine di garantire che gli stessi siano distribuiti conformemente alle esigenze, alle caratteristiche e agli obiettivi del mercato di riferimento individuato ai sensi dell’articolo 6. 2. I distributori utilizzano le informazioni ottenute ai sensi del comma 1, nonché quelle relative ai propri clienti, al fine di identificare la strategia di distribuzione, nonché, per gli intermediari di cui al comma 2, lettera d), dell’articolo 109, del Codice, anche al fine di identificare il mercato di riferimento effettivo di cui all’articolo 12.
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Art. 14 (Ruolo degli organi sociali e delle funzioni aziendali di controllo degli intermediari di cui al comma 2, lettera d), dell’articolo 109 del Codice) 1. L’organo amministrativo degli intermediari di cui al comma 2, lettera d), dell’articolo 109 del Codice, ha la responsabilità ultima dell’osservanza delle norme sui meccanismi di distribuzione e sulla definizione del mercato di riferimento effettivo e approva il documento scritto sui meccanismi di distribuzione di cui all’articolo 10 del Regolamento (UE) 2017/2358. 2. La funzione di controllo di conformità alle norme degli intermediari di cui al comma 1 monitora lo sviluppo e la revisione periodica delle procedure e delle misure adottate per la distribuzione dei prodotti assicurativi, al fine di individuare i rischi di mancato adempimento degli obblighi previsti dal Capo III del Regolamento (UE) 2017/2358 e dal presente Regolamento. 3. La funzione di controllo di conformità alle norme degli intermediari di cui al comma 1 redige annualmente una relazione relativa alle verifiche effettuate sulla corretta definizione del mercato di riferimento effettivo e della strategia di distribuzione, nonché sulla correttezza ed efficacia dei meccanismi di distribuzione, evidenziando eventuali criticità. 4. Gli intermediari di cui al comma 1 mettono a disposizione dell’IVASS, su richiesta di quest’ultimo, il documento scritto sui meccanismi di distribuzione di cui all’articolo 10 del Regolamento (UE) 2017/2358 e la relazione di cui al comma 3. 5. Gli intermediari di cui al comma 1 garantiscono che il personale e i collaboratori siano in possesso delle competenze necessarie per comprendere le caratteristiche e i rischi dei prodotti assicurativi che intendono distribuire nonché le esigenze, le caratteristiche e gli obiettivi del mercato di riferimento. Art. 15 (Sistemi interni di controllo dell’attività di distribuzione assicurativa degli intermediari di cui al comma 2, lettere a) b) e f), dell’articolo 109 del Codice) 1. Gli intermediari di cui all’articolo 109, comma 2, lettere a), b) e f), del Codice: a) monitorano i rischi di mancato adempimento degli obblighi previsti dall’articolo 121-bis del Codice, dal Capo III del Regolamento (UE) 2017/2358 e dal presente Regolamento, ivi compresa la verifica della correttezza ed efficacia dei meccanismi distributivi definiti dal documento scritto di cui dell’articolo 10, del medesimo Regolamento; b) evidenziano eventuali criticità derivanti dal monitoraggio di cui alla lettera a); c) assicurano la completezza dei flussi informativi previsti dalla normativa. 2. Gli intermediari di cui al comma 1 mettono a disposizione dell’IVASS, su richiesta di quest’ultimo, il documento scritto sui meccanismi di distribuzione di cui all’articolo 10 del Regolamento (UE) 2017/2358 e la documentazione relativa alle verifiche di cui al comma 1.
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3. Negli intermediari di cui al comma 1, l’unità o la struttura di cui all’articolo 10, paragrafo 5, del Regolamento (UE) 2017/2358 ha caratteristiche coerenti con la dimensione dell’intermediario e la complessità dell’attività svolta. Art. 16 (Rapporti di collaborazione) 1. Gli intermediari di cui al comma 2, lettere a), b), d) e f), dell’articolo 109 del Codice: a) forniscono agli intermediari di cui al comma 2, lettera e), dell’articolo 109 del Codice le informazioni relative al mercato di riferimento e alla strategia distributiva adottata dal produttore o dall’intermediario che ha conferito l’incarico di collaborazione; b) individuano le modalità di ricezione delle informazioni acquisite dagli addetti all’attività di intermediazione di cui al comma 2, lettera e), dell’articolo 109 del Codice o operanti all’interno dei locali di cui gli intermediari si avvalgono; c) verificano che l’attività di distribuzione effettuata dagli intermediari di cui al comma 2, lettera e), dell’articolo 109 del Codice sia coerente con il mercato di riferimento e con la strategia di distribuzione adottata dal produttore e dall’intermediario che ha conferito l’incarico di collaborazione. 2. Gli intermediari effettuano le attività di cui al comma 1 quando distribuiscono i prodotti assicurativi tramite gli addetti operanti all’interno dei locali dell’intermediario medesimo. 3. Le imprese di assicurazione effettuano le attività di cui al comma 1 quando distribuiscono i propri prodotti assicurativi tramite gli intermediari di cui al comma 2, lettera c), dell’articolo 109 del Codice. 4. Gli intermediari operativi di cui al comma 2, lettere a), b) e d), dell’articolo 109 del Codice che svolgono attività di collaborazione orizzontale sono congiuntamente responsabili per la violazione degli obblighi previsti dal Capo III del Regolamento (UE) 2017/2358. 5. In caso di collaborazione orizzontale, gli intermediari assicurano che: a) le informazioni relative ai prodotti assicurativi ricevute dal produttore siano trasmesse dall’intermediario emittente all’intermediario proponente; b) le definizioni del mercato di riferimento effettivo e del mercato di riferimento negativo effettivo di cui all’articolo 12 siano comunicate prima della relativa distribuzione: 1) dall’intermediario emittente all’intermediario proponente; 2) dall’intermediario proponente all’intermediario emittente; 3) dall’intermediario emittente all’impresa di assicurazione; c) il produttore possa ottenere le informazioni sulla distribuzione dei prodotti assicurativi necessarie ad adempiere agli obblighi previsti dal Regolamento (UE) 2017/2358 e dal presente regolamento, con particolare riferimento alle vendite ai clienti che non appartengono al mercato di riferimento. Capo IV Disposizioni finali Art. 17 (Pubblicazione ed entrata in vigore)
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1. II presente Regolamento è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, nel Bollettino e sul sito internet dell’IVASS ed entra in vigore il 31 marzo 2021.
La disciplina del “governo e controllo” dei prodotti assicurativi ed i suoi riflessi sul governo societario di imprese di assicurazione e di intermediari Sommario: 1. Premesse. – 2. Il quadro normativo di riferimento e profili di sistematicità della materia. – 3. Alcune questioni preliminari: ambito soggettivo e oggettivo di applicazione. – 4. Il processo di approvazione del prodotto: fasi e principi. – 5. Il mercato di riferimento. – 6. Il test del prodotto. – 7. I controlli successivi alla produzione: il monitoraggio e la revisione del prodotto. – 8. Il rapporto fra produttori e distributori: premessa. – 8.1. Il flusso di informazioni fra produttori e distributori ed il monitoraggio dei canali di distribuzione. – 8.2. I meccanismi di distribuzione del prodotto. – 9. I riflessi della politica del governo e controllo del prodotto sul governo societario dei produttori, dei produttori di fatto e di taluni intermediari. – 9.1. Premessa. – 9.2. Le funzioni e le responsabilità dell’organo competente del produttore e dell’intermediario produttore di fatto. – 9.3 Gli effetti del processo di approvazione del prodotto sul governo societario degli intermediari di cui all’art. 109, co. 2 del c.a.p.
1. Premesse. Con il regolamento n. 45 del 4 agosto 2020 (d’ora in avanti Regolamento in commento) l’Ivass ha dettato disposizioni in materia di requisiti di governo e controllo dei prodotti assicurativi ai sensi del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (d’ora in avanti c.a.p.) ed, in particolare, dell’art. 30-decies del c.a.p. Quest’ultima norma è stata introdotta nel c.a.p. dal d.lgs. 21 maggio 2018, n. 68 in attuazione dell’art. 25 della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 gennaio 2016 sulla distribuzione assicurativa (d’ora in avanti IDD)1.
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Sul punto v. Marano, Quale mercato per l’intermediazione assicurativa? Riflessioni sulle possibili modifiche all’IMD, in Ass., 2011, p. 207 e Id. L’intermediazione assicurativa. Mercato concorrenziale e disciplina dell’attività, Torino, 2013. Tra i contributi più recenti, cfr. Candian, Il recepimento della IDD in Italia: primo commento
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Ciro G. Corvese
Al pari di quanto previsto nella MiFID22, al fine di ridurre il rischio che i prodotti assicurativi commercializzati e/o distribuiti non siano adeguati al cliente finale, la nuova disciplina in materia di, se si vuole utilizzare la terminologia anglosassone, product oversight governance o più brevemente POG, introdotta dalla IDD, incide sulle tre fasi che caratterizzano il ciclo di vita di un prodotto finanziario: quella del concepimento e realizzazione, finalizzata a garantire “in anticipo” la coerenza tra le caratteristiche del prodotto finanziario realizzato e le esigenze di un determinato target di mercato, quella della distribuzione e commercializzazione e quella post-distribuzione. In breve, la nuovissima legislazione impone ai produttori ed anche all’intermediario produttore “di fatto” l’innovativo compito di adottare, esercitare e controllare, prima della distribuzione o commercializzazione, per ogni prodotto assicurativo e per ogni significativa modifica di quelli esistenti, un “processo di approvazione del prodotto” che, fra l’altro, specifichi il target di clienti finali all’interno della specifica categoria di clientela (al dettaglio, professionale, qualificata) (c.d. target di mercato), garantisce che tutti i rischi rilevanti associati a tale target siano stati analizzati e
al decreto di attuazione approvato in esame preliminare dal Governo, consultabile al link https://www.dirittobancario.it/editoriali/albina-candian/il-recepimento-della-idditalia-primo-commento-al-decreto-di-attuazione-approvato-esame-preliminare; Hazan, L’assicurazione “responsabile” e la responsabilità dell’assicuratore: quali prospettive dopo IDD?, in Danno e resp., 2017, pp. 630 ss.; Landini, Distribuzione assicurativa da IDD al decreto attuativo passando per EIOPA e IVASS, in Dir. merc. ass. fin., 2018, pp. 183 ss. e Sanase D’Arpe, Riflessioni sul governo e controllo del prodotto nel mercato assicurativo, ivi, pp. 59 ss.; Corvese, La tutela dell’investitore in prodotti finanziari assicurativi tra il ritorno alla vigilanza settoriale e la necessità di livellare il piano di gioco fra il mercato mobiliare ed il mercato assicurativo, in Regole e Mercato, a cura di Mancini, Paciello, Santoro, Valensise, Torino, 2016, pp. 478 ss.; Marano, Customer protection and product oversight and governance of insurance products, in the EU, in Reforms and New Challenges in Insurance Law, Belgrado, 2016, pp. 260 ss.; Id., La Product Oversight Governance, in Il nuovo Regolamento IVASS sull’accesso agli atti - La distribuzione assicurativa, Quaderno IVASS, n.8/2017, pp. 91 ss.; Corrias, La direttiva UE 2016/97 sulla distribuzione assicurativa: profili di tutela dell’assicurando, in Ass., 2017, pp. 9 ss. e Landini, Appropriatezza, adeguatezza e meritevolezza dei contratti di assicurazione, ivi, pp. 39 ss. 2 Il collegamento con la MiFID2 è così forte che è stato coniato il termine “mifidizzazione del diritto delle assicurazioni” (v. Marano, https://www.tuttointermediari. it/lanalisi-di-marano-sulla-mifidizzazione-del-diritto-delle-assicurazioni/). Sul punto cfr. anche Antonucci, Le regole del mercato finanziario: la tutela del risparmiatore tra passato, presente e futuro, in Janus, n. 19/2019 e Salerno, L’enforcement della disciplina in materia di tutela del contraente debole nei mercati finanziari, ibidem.
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assicuri la coerenza della prevista strategia distributiva con il mercato di riferimento preventivamente individuato. Sui produttori incombe anche l’obbligo di assumere tutte le misure necessarie affinché il prodotto ideato sia distribuito al target identificato (previsione della strategia distributiva). Il Regolamento in commento, che si compone di 17 articoli, completa la disciplina in materia di governo e controllo del prodotto dettata dal Regolamento (UE) n. 2017/23583 e si occupa, in estrema sintesi di: 1) disciplinare il processo di approvazione dei prodotti assicurativi, individuando – nel rispetto del principio di proporzionalità – precisi obblighi in capo al produttore, chiamato, in particolare, a identificare con sufficiente grado di dettaglio, il mercato di riferimento di un prodotto assicurativo e le categorie di soggetti ai quali il prodotto non può essere distribuito, adottando le misure idonee per assicurare che il prodotto assicurativo sia distribuito al mercato di riferimento individuato; 2) disciplinare l’attività di distribuzione dei prodotti assicurativi, graduando – in applicazione del principio di proporzionalità – gli obblighi in capo agli intermediari iscritti alle diverse sezioni del RUI coinvolti nell’attività distributiva e 3) prevedere disposizioni specifiche per i processi di approvazione e distribuzione del prodotto aventi ad oggetto i prodotti di investimento assicurativi. Il Regolamento in commento contiene solo parte delle norme regolanti il governo e controllo del prodotto assicurativo; infatti esso si inserisce in un più ampio complesso di norme nazionali ed europee di cui occorre dare subito conto.
2. Il quadro normativo di riferimento e profili di sistematicità della materia. Iniziando dalla normativa domestica, la prima norma da considerare è l’art. 30-decies del c.a.p. rubricato “Requisiti di governo e controllo del
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Regolamento delegato (UE) 2017/2358 della Commissione del 21 settembre 2017 che integra la direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i requisiti in materia di governo e controllo del prodotto per le imprese di assicurazione e i distributori di prodotti assicurativi. Sul punto v. Frigessi di Rattalma, Gli atti delegati nel diritto comunitario e nella direttiva IDD, in Ass., 2017, p. 25 ss.
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Ciro G. Corvese
prodotto applicabili alle imprese di assicurazione e agli intermediari che realizzano prodotti assicurativi da vendere ai clienti”. La collocazione dell’articolo citato assume una notevole importanza ai fini della sua interpretazione; infatti, è l’ultimo degli articoli dedicati al sistema di governo societario, materia che ha ottenuto una speciale attenzione con il d.lgs. 12 maggio 2015, n. 74, decreto che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva n. 138/2009/CE (nota come Solvency II). Prima del 2015 alla struttura organizzativa era dedicata una sola norma, l’art. 30 rubricato requisiti organizzativi dell’impresa; ora vi sono ben undici norme dirette alla regolazione del governo societario delle imprese di assicurazione ed esattamente gli articoli dal 30 al 30-decies del c.a.p. Si richiama l’attenzione del lettore alla circostanza che l’attuazione della direttiva Solvency II ha imposto una modifica del sistema di governo societario posto che, fra le molte innovazioni, è stato radicalmente modificato il criterio della vigilanza: dal cd principle-based approach si è passati al cd risk-based approach. Senza voler entrare troppo nello specifico, ciò che qui rileva è che anche l’art. 30-decies del c.a.p., rectius il governo e controllo del prodotto, rientra nella disciplina più ampia del sistema di governo societario e che tale collocazione è stata scelta proprio in attuazione della IDD. Da ciò discende, sempre nell’ottica della sistematicità, che le regole sul governo e controllo del prodotto devono essere interpretate anche alla luce dei riflessi che esse possono avere sul governo societario sia dei produttori che dei distributori. Del resto lo stretto collegamento fra i due profili appena citati era stato messo chiaramente in evidenza dall’IVASS nella lettera al mercato del 4 settembre 2017 nella quale si legge: «La disciplina in materia di product governance recata dalla normativa assicurativa europea rientra nelle più ampie disposizioni di governance delle imprese di assicurazione definite nella Direttiva Solvency II, che richiedono di gestire l’attività dell’impresa di assicurazione in modo sano e prudente adottando un sistema adeguato di gestione del rischio. Pertanto la disciplina sulla governance delle imprese di assicurazione, integrata dalla disciplina POG, va intesa come processo unitario, da gestire in maniera coerente in relazione a tutti i prodotti dell’impresa in un’ottica più generale di tutela del consumatore». All’art. 30-decies del c.a.p., che assume carattere di norma generale per l’argomento che qui si tratta, vanno aggiunte altre due norme, sempre del c.a.p., introdotte per disciplinare i necessari obblighi connessi ai flussi informativi fra produttori e distributori di prodotti assicurativi non realizzati in proprio.
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Si tratta degli artt. 121-bis e 121-ter del c.a.p.: il primo è dedicato ai “Requisiti di governo e controllo del prodotto applicabili ai distributori di prodotti assicurativi non realizzati in proprio”, il secondo è relativo a “Disposizioni particolari in materia di governo e controllo del prodotto”. Importante è anche la disposizione contenuta nell’art. 184 del c.a.p. in quanto prevede sia le misure cautelari che quelle interdittive connesse agli obblighi posti dalle norme precedenti; misure che hanno come obiettivo principale la protezione degli assicurati, obiettivo indicato come principale nell’art. 3 del c.a.p. A tal fine l’IVASS persegue la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione e riassicurazione, nonché, unitamente alla CONSOB, ciascuna secondo le rispettive competenze, la loro trasparenza e correttezza nei confronti della clientela. Altro obiettivo della vigilanza, ma subordinato al precedente, è la stabilità del sistema e dei mercati finanziari. La normativa primaria deve essere integrata con la normativa secondaria dettata dall’IVASS con il Regolamento in commento, adottato ai sensi, fra l’altro, dell’art. 30-decies, co.7 del c.a.p. In realtà il co. 7 citato dispone che «L’IVASS, sentita la Consob, adotta le disposizioni attuative del presente articolo in modo da garantire uniformità alla disciplina applicabile alla vendita dei prodotti d’investimento assicurativo a prescindere dal canale distributivo e la coerenza e l’efficacia complessiva del sistema di vigilanza sui prodotti di investimento assicurativi, ai sensi ed in coerenza con quanto disposto all’art. 5, co. 1, lett. b), n. 1, della legge 25 ottobre 2017, n. 163». Al co. 7 è stata attuazione con il provvedimento dell’IVASS n. 97 del 4 agosto 20204 al quale fa da pandant la delibera CONSOB n. 29 luglio
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Il provvedimento citato nel testo introduce: - modifiche e integrazioni al regolamento ISVAP n. 23 del 9 maggio 2008 concernente la disciplina della trasparenza dei premi e delle condizioni di contratto nell’assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e natanti, di cui all’articolo 131 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - codice delle assicurazioni private. - modifiche e integrazioni al regolamento ISVAP n. 24 del 19 maggio 2008 concernente la procedura di presentazione dei reclami all’ISVAP di cui all’articolo 7 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 – codice delle assicurazioni private e la procedura di gestione dei reclami da parte delle imprese di assicurazione e degli intermediari di assicurazione. - modifiche e integrazioni al regolamento IVASS n. 38 del 3 luglio 2018 recante disposizioni in materia di sistema di governo societario di cui al titolo III (esercizio dell’attività assicurativa) e in particolare al capo i (disposizioni generali), articoli 29bis, 30, 30-bis, 30-quater, 30-quinques, 30-sexies, 30-septies, nonché di cui al titolo XV
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2020 n. 21466 che modifica il regolamento intermediari nella parte della distribuzione dei prodotti d’investimento assicurativi, cioè a quei prodotti noti con un acronimo inglese IBIPs (Insurance Based Investment Products). Alla disciplina italiana deve essere aggiunta la disciplina europea e, nello specifico, gli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 del Regolamento (UE) n. 2017/2358. Per chiarezza e completezza espositiva, si deve ricordare che la materia di cui si tratta era stata anticipata dall’IVASS con una lettera al mercato del 4 settembre 2017 emanata a seguito di due iniziative dell’EIOPA. Con la prima iniziativa del 13 aprile 2016 l’EIOPA aveva pubblicato sul proprio sito internet le “Preparatory Guidelines on product oversight and governance arrangements by insurance undertakings and insurance distributors”. Tali Preparatory Guidelines (nel prosieguo “linee guida”) – emanate ai sensi dell’art. 9, par. 2 e dell’art. 16 del Regolamento istitutivo di EIOPA – hanno lo scopo di fornire alle Autorità nazionali indicazioni per agevolare la preparazione del mercato assicurativo europeo all’applicazione della IDD e dei relativi Atti Delegati, consentendo un’armonizzazione dei mercati finanziari e assicurativi che garantisca un level playing field nel rispetto delle specificità dei singoli settori5. La seconda iniziativa intitolata Technical Advice on possible delegated acts concerning the Insurance Distribution Directive (di seguito “Technical Advice”) inviata il 1° febbraio 2017 da EIOPA alla Commissione Europea fornisce indicazioni circa la figura del manufacturer de facto. Si prevede che un intermediario assicurativo è considerato “produttore”
(vigilanza sul gruppo), e in particolare al capo III (strumenti di vigilanza sul gruppo), articolo 215-bis (sistema di governo societario del gruppo), del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - codice delle assicurazioni private – modificato dal decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 74, conseguente all’attuazione nazionale delle linee guida emanate da EIOPA sul sistema di governo societario. - modifiche e integrazioni al regolamento IVASS n. 40 del 2 agosto 2018 recante disposizioni in materia di distribuzione assicurativa e riassicurativa di cui al titolo IX (disposizioni generali in materia di distribuzione) del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 – codice delle assicurazioni private. - modifiche e integrazioni al regolamento IVASS n. 41 del 2 agosto 2018 recante disposizioni in materia di informativa, pubblicità e realizzazione dei prodotti assicurativi ai sensi del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - codice delle assicurazioni private 5 V. Landini, Le preparatory Guidelines di EIOPA in relazione agli obblighi in materia di governo e controllo del prodotto da parte delle imprese di assicurazione e dei distributori di prodotti assicurativi, in Dir. merc. ass. fin., 2016, pp. 416 ss.
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ove svolga un ruolo decisionale nella progettazione e sviluppo di un prodotto assicurativo per il mercato. In definitiva egli si qualifica come manufacturer de facto quando, sia nella realizzazione di un nuovo prodotto sia nella modifica di un prodotto esistente, ne determini autonomamente gli elementi significativi (ad es. la copertura, i costi, i rischi, le prestazioni e le garanzie), rispetto ai quali l’impresa di assicurazione, che assume i relativi rischi, non apporti modifiche sostanziali.
3. Alcune questioni preliminari: ambito soggettivo e oggettivo di applicazione. Ai sensi dell’art. 30-decies, co. 1 del c.a.p. «le imprese di assicurazione e gli intermediari che realizzano prodotti assicurativi da vendere ai clienti, elaborano e attuano un processo di approvazione per ciascun prodotto assicurativo e per ogni modifica significativa di un prodotto assicurativo esistente, prima che sia “commercializzato o distribuito” ai clienti, in conformità alle disposizioni del presente art. e alle disposizioni dell’Unione europea direttamente applicabili». Si pongono innanzitutto alcune questioni in punto di definizioni rilevanti ad individuare l’ambito oggettivo e l’ambito soggettivo di applicazione. Partendo dall’ambito oggettivo, ai sensi dell’art. 30-decies del c.a.p. il processo di approvazione deve riguardare, testualmente, “ciascun prodotto assicurativo”. La definizione di prodotto assicurativo è fornita dall’art. 1, co. 1, lett. ss) del c.a.p.. Per prodotti assicurativi si devono intendere tutti i contratti emessi da imprese di assicurazione nell’esercizio delle attività rientranti nei rami vita o nei rami danni come definiti all’art. 2 dello stesso c.a.p.. Diversa è la definizione fornita dall’art. 1, co. 1, lett. ss-bis) del c.a.p., di prodotto di investimento assicurativo – che sostituisce la precedente definizione di “prodotto finanziario emesso dalle imprese di assicurazione”, un prodotto ai sensi dell’art. 4, par. 1, n. 2), del Regolamento (UE) n. 1286/2014, ossia un prodotto assicurativo che presenta una scadenza o un valore di riscatto e in cui tale scadenza o valore di riscatto è esposto in tutto o in parte, in modo diretto o indiretto, alle fluttuazioni del mercato. Tale definizione non include: 1) i prodotti assicurativi non vita elencati all’allegato I della direttiva 2009/138/CE (Rami dell’assicurazione non vita);
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2) i contratti assicurativi vita, qualora le prestazioni previste dal contratto siano dovute soltanto in caso di decesso o per incapacità dovuta a lesione, malattia o disabilità; 3) i prodotti pensionistici che, ai sensi del diritto nazionale, sono riconosciuti come aventi lo scopo precipuo di offrire all’investitore un reddito durante la pensione e che consentono all’investitore di godere di determinati vantaggi; 4) i regimi pensionistici aziendali o professionali ufficialmente riconosciuti che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/41/ CE o della direttiva 2009/138/CE; 5) i singoli prodotti pensionistici per i quali il diritto nazionale richiede un contributo finanziario del datore di lavoro e nei quali il lavoratore o il datore di lavoro non può scegliere il fornitore o il prodotto pensionistico. Ragionando per insiemi, la definizione di prodotto assicurativo rappresenta l’insieme più grande all’interno del quale troviamo il sottoinsieme “prodotto di investimento assicurativo”. Pertanto, ad una prima lettura, la disciplina del processo di approvazione del prodotto trova applicazione per tutti i prodotti assicurativi, ivi compresi i prodotti di investimento assicurativi (IBIPs)6, anche se per questi il legislatore ha previsto, come vedremo, anche norme speciali. Spostando l’attenzione all’ambito soggettivo, occorre chiarire chi sono i produttori. L’art. 2, co. 1, lett. h) del Regolamento in commento, definisce il “soggetto che realizza prodotti assicurativi” o “produttore”: a) l’impresa di assicurazione e b) l’intermediario produttore di fatto. Per “intermediario produttore di fatto” si intende l’intermediario assicurativo che realizza prodotti assicurativi quando sussistono i presupposti e le condizioni di cui all’art. 3 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 [art. 2, co. 1, lett. e) del Regolamento in commento)]. L’art. 3, cit., che reca nella rubrica “Realizzazione di prodotti assicurativi” prevede che ai fini dell’art. 25, par. 1, della direttiva (UE) 2016/97, gli intermediari assicurativi sono considerati soggetti che realizzano prodotti assicurativi laddove un’analisi globale della loro attività mostri che
6 V. Siri, I contratti assicurativi di investimento dopo il recepimento della Direttiva IDD, consultabile al link, http://www.dirittobancario.it/news/assicurazioni/i-contrattiassicurativi-di-investimento-dopo-il-recepimento-della-direttiva-idd.
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gli stessi svolgono un ruolo decisionale nella progettazione e nello sviluppo di un “prodotto assicurativo per il mercato” (par. 1). Un ruolo decisionale viene assunto in particolare laddove gli intermediari assicurativi determinino in modo autonomo le caratteristiche essenziali e gli elementi principali di un prodotto assicurativo, compresa la relativa copertura, le tariffe, i costi, il mercato di riferimento, i diritti di risarcimento e di garanzia, che non sono sostanzialmente modificati dall’impresa di assicurazione che fornisce la copertura per il prodotto assicurativo (par. 2). Si specifica altresì che la personalizzazione e l’adeguamento dei prodotti assicurativi esistenti nell’ambito delle attività di distribuzione assicurativa per i clienti individuali, nonché la progettazione di contratti su misura sulla base delle richieste di un singolo cliente, non rientrano nella definizione di realizzazione di prodotti assicurativi (par. 3). Infine, un intermediario assicurativo e un’impresa di assicurazione che siano entrambi soggetti che realizzano prodotti assicurativi ai sensi dell’art. 2 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 delegato devono firmare un accordo scritto che specifica la loro collaborazione nel rispettare i requisiti previsti per detti soggetti di cui all’art. 25, par. 1, della IDD, le procedure tramite cui gli stessi concordano l’individuazione del mercato di riferimento e i loro ruoli rispettivi nel processo di approvazione del prodotto (art. 25, cit., par. 4).
4. Il processo di approvazione del prodotto: fasi e principi. Il processo di approvazione del prodotto, come regolato dall’art. 30-decies del c.a.p., concerne due diverse fasi: una prima fase riguarda l’approvazione del prodotto prima che questo sia commercializzato o distribuito sul mercato di riferimento (appartengono a questa prima fase, la creazione del prodotto ed il test del prodotto); una seconda fase attiene al monitoraggio e alla revisione del prodotto medesimo. Circa la fase di pre-commercializzazione o di pre-distribuzione, l’art. 30-decies del c.a.p. dispone l’obbligo di elaborare ed attuare il processo di approvazione del prodotto assicurativo ma nulla specifica in merito: a) al contenuto del processo; b) ai criteri da seguire nella sua elaborazione; c) agli obiettivi che l’elaborazione e l’attuazione del processo perseguono e, infine, d) alla specifica funzione e alle responsabilità che conseguono in ipotesi di inadempimento degli obblighi suddetti.
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Relativamente a questi aspetti maggiori informazioni si ricavano sia dall’art. 4 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 che dall’art. 7 del Regolamento in commento. L’art. 4, par. 2, del Regolamento (UE) n. 2017/2358 prevede che il processo in parola deve contenere misure e procedure che devono riguardare: la progettazione dei prodotti assicurativi; il monitoraggio dei prodotti assicurativi; la revisione e la distribuzione dei prodotti assicurativi e le azioni correttive relative ai prodotti assicurativi che generano un pregiudizio ai clienti. Le misure e le procedure devono essere proporzionate al livello di complessità e ai rischi correlati ai prodotti nonché alla natura, alla portata e alla complessità dell’attività pertinente del soggetto che realizza prodotti assicurativi [art. 4, par. 1, del Regolamento (UE) n. 2017/2358). Il processo di approvazione del prodotto viene definito in un documento scritto (“politica in materia di governo e di controllo del prodotto”) che è reso disponibile al personale addetto (art.4, par. 2, del Regolamento (UE) n. 2017/2358). Ai sensi dell’art. 9 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 le azioni pertinenti adottate dai soggetti che realizzano prodotti assicurativi in relazione al loro processo di approvazione del prodotto sono debitamente documentate, conservate ai fini di audit e rese disponibili alle autorità competenti su richiesta. Circa i criteri da seguire nella elaborazione del processo di approvazione del prodotto, il Regolamento in commento specifica all’art. 7, co. 2, che i produttori devono: a) valutare l’adeguatezza dei singoli canali di vendita in relazione al mercato di riferimento e alla complessità del prodotto; b) individuare istruzioni relative all’attività di distribuzione assicurativa. Viene fatta salva la norma che disciplina gli strumenti del sistema di gestione dei rischi sulle tariffe contenuta nell’30-novies del c.a.p. Riguardo poi agli obiettivi da perseguire attraverso il processo di approvazione del prodotto, l’art. 4, par. 3, del Regolamento (UE) n. 2017/2358 dispone che il processo di approvazione del prodotto: a) garantisce che la progettazione dei prodotti assicurativi deve: i) tenere conto degli obiettivi, degli interessi e delle caratteristiche dei clienti; ii) non arrecare danno ai clienti; iii) impedire o attenuare il pregiudizio per il cliente; b) supporta una gestione corretta dei conflitti di interesse. Infine, circa le strutture dei produttori, le loro funzioni e le responsabilità, l’art. 4, par. 4, del Regolamento (UE) n. 2017/2358 prevede che l’unità o la struttura all’interno dei soggetti che realizzano prodotti as-
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sicurativi responsabile per la realizzazione di detti prodotti svolge le seguenti funzioni: a) approva ed è responsabile in ultima analisi della definizione, dell’attuazione e della revisione del processo di approvazione del prodotto; b) verifica di continuo la conformità interna rispetto a tale processo. I soggetti che realizzano prodotti assicurativi e che incaricano un terzo di progettare i prodotti per conto loro restano pienamente responsabili della conformità rispetto al processo di approvazione del prodotto (art.4, par. 4, del Regolamento (UE). n. 2017/2358). Il Regolamento in commento dedica un’intera norma al profilo delle funzioni, si tratta dell’art. 5 rubricato “Ruolo dell’organo amministrativo e della funzione di verifica di conformità alle norme” ma il profilo sarà trattato ampiamente più avanti7.
5. Il mercato di riferimento. Un profilo di particolare rilievo della disciplina del processo di approvazione del prodotto è rappresentato senza dubbio dall’obbligo di individuare “mercato di riferimento” che, come detto in precedenza, rileva con riferimento a due fronti: a) dal punto di vista del prodotto e b) dal punto di vista del potenziale cliente di quel prodotto. Ai sensi del co. 4 dell’art. 30-decies del c.a.p., il processo di approvazione del prodotto deve individuare per ciascun prodotto: a) un mercato di riferimento e b) le categorie di clienti ai quali il prodotto non può essere distribuito Una prima riflessione: l’art. 30-decies richiede la previsione di un target c.d. negativo ossia come definito dall’art. 2, co. 1, lett. i) del Regolamento in commento: «le categorie di clienti per le cui esigenze, caratteristiche e obiettivi, il prodotto non può essere distribuito, secondo quanto previsto dall’art. 30-decies, co. 4, del c.a.p.». La prima domanda che si pone all’interprete è come mai il legislatore italiano nell’attuare la IDD ha ritenuto indispensabile inserire la previsione specifica del target negativo, posto che nella citata direttiva non vi è alcun riferimento a tale target. Si potrebbe pensare che la previsione sia contenuta nel Regolamento (UE) n. 2017/2358; infatti l’art. 5, par. 2 di quest’ultimo regolamento par-
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V. infra parr. 9 ss.
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la di target negativo ma lo riferisce, come è corretto, all’ipotesi dei cd. IBIPs prevedendo che: «2. I soggetti che realizzano prodotti assicurativi possono, in particolare per quanto riguarda i prodotti di investimento assicurativi, individuare gruppi di clienti le cui esigenze, caratteristiche e obiettivi non sono compatibili generalmente con il prodotto assicurativo» (cd. target negativo). Ed allora sulla base di quale principio il legislatore italiano ha potuto estendere la norma piuttosto rigorosa del target negativo? Per rispondere a questo interrogativo bisogna ricordare che la IDD è una direttiva di armonizzazione minima (tanto si legge nel considerando n. 3 della direttiva citata8) e come tale ammette che nella sua attuazione gli stati membri possano prevedere regole più stringenti e, senza alcun dubbio, l’obbligo di prevedere all’interno del processo di approvazione del prodotto un target negativo non può che essere considerato tale. Procediamo con gli altri profili. Ai sensi dell’art. 5, par. 1 del Regolamento (UE) n. 2017/2358, il mercato di riferimento è individuato a un livello sufficientemente dettagliato tenendo conto: a) delle caratteristiche, b) del profilo di rischio, c) della complessità e d) della natura del prodotto assicurativo. Cosa vuol dire l’espressione «sufficiente grado di dettaglio»? A rispondere a questa domanda è l’art. 6, co. 1 del Regolamento in commento il quale dispone che: «1. In coerenza con quanto previsto dall’art. 5, co. 1, del Regolamento (UE) n. 2017/2358, nella definizione del mercato di riferimento con sufficiente grado di dettaglio i produttori considerano, ove appropriati, almeno i seguenti elementi: a) le tipologie di clienti cui è rivolto il prodotto; b) i rischi cui sono esposte le tipologie di clienti cui è rivolto il prodotto; c) le esigenze e gli obiettivi dei clienti cui è rivolto il prodotto; d) le caratteristiche del prodotto, con particolare riferimento alle garanzie e alle esclusioni e limitazioni delle garanzie; e) in relazione alla complessità del prodotto, il livello di conoscenza del cliente; f) l’età del cliente, il profilo occupazionale e la sua situazione familiare».
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«La presente direttiva mira tuttavia a un’armonizzazione minima e non dovrebbe pertanto impedire agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più rigorose per tutelare i consumatori, a condizione che tali disposizioni siano coerenti con il diritto dell’Unione, compresa la presente direttiva» (considerando n. 3 della direttiva citata nel testo).
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Circa le finalità del processo, l’art. 30-decies, co. 4, del c.a.p. dispone che esso deve: garantire che tutti i rischi specificamente attinenti a tale mercato di riferimento siano stati analizzati e che la strategia di distribuzione prevista sia coerente con il mercato di riferimento stesso e b) adottare ogni ragionevole misura per assicurare che il prodotto assicurativo sia distribuito al mercato di riferimento individuato. Quest’ultimo punto necessita di una spiegazione per la quale viene in aiuto l’art. 5, par. 3 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 nel punto dove specifica che i soggetti che realizzano prodotti assicurativi progettano e commercializzano soltanto prodotti assicurativi compatibili con le esigenze, le caratteristiche e gli obiettivi dei clienti che appartengono al mercato di riferimento. A questo punto la questione è individuare quali sono i presupposti sulla base dei quali si verifica la compatibilità. Quando valutano se il prodotto assicurativo è compatibile con un mercato di riferimento, i soggetti che realizzano prodotti assicurativi tengono conto del livello di informazioni disponibili per i clienti che appartengono a tale mercato e delle loro conoscenze in materia finanziaria. I soggetti che realizzano prodotti assicurativi garantiscono che il personale coinvolto nella progettazione e nella realizzazione di prodotti assicurativi abbia le competenze, la conoscenza e l’esperienza necessarie per comprendere correttamente i prodotti assicurativi venduti, nonché gli interessi, gli obiettivi e le caratteristiche dei clienti che appartengono al mercato di riferimento (art. 5, par. 4, Regolamento (UE) n. 2017/2358). Come anticipato il legislatore comunitario detta una disciplina speciale della definizione di mercato di riferimento quando i “produttori” devono realizzare prodotti d’investimento assicurativi. Come già accennato in precedeza con riferimento al cd target negativo, il regolamento UE dispone che «I soggetti che realizzano prodotti assicurativi possono, in particolare per quanto riguarda i prodotti di investimento assicurativi, individuare gruppi di clienti le cui esigenze, caratteristiche e obiettivi non sono compatibili generalmente con il prodotto assicurativo» [c.d. target negativo, v. art. 5, par. 2 del Regolamento (UE) n. 2017/2358]. L’individuazione del mercato di riferimento diventa più complessa quando l’oggetto del processo di approvazione concerne non un semplice prodotto assicurativo ma prodotti d’investimento assicurativi. In tal caso il Regolamento in commento prevede criteri ulteriori per individuare il mercato di riferimento (v. art. 6). Riguardo ai prodotti d’investimento assicurativi (IBIPs) i produttori devono: considerare anche la conoscenza teorica e l’esperienza pregres-
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sa rispetto a tali prodotti e ai mercati finanziari e assicurativi nonché alle esigenze, alle caratteristiche e agli obiettivi dei clienti (art. 6, co. 2 del Regolamento in commento). Sempre con riferimento ai prodotti d’investimento assicurativi, i produttori stabiliscono se un prodotto risponde alle esigenze, alle caratteristiche e agli obiettivi del mercato di riferimento, esaminando, inoltre, i seguenti elementi: a) la coerenza del profilo di rischio/rendimento del prodotto con il mercato di riferimento; b) la rispondenza del prodotto all’interesse del cliente, prestando attenzione a eventuali conflitti determinati da un modello di business redditizio per il produttore e svantaggioso per il cliente; c) la situazione finanziaria del cliente, inclusa la capacità di sostenere perdite (art. 6, co. 3 del Regolamento in commento). Ed è proprio sulla base di questi elementi che i produttori devono individuare anche i clienti che rientrano nel target negativo, secondo quanto previsto dall’art. 30-decies, co. 4, del c.a.p., considerando, a tal fine, anche le esclusioni e limitazioni delle garanzie del prodotto assicurativo (art. 6, co. 4 del Regolamento in commento).
6. Il test del prodotto. Rientra fra le attività da svolgersi prima della commercializzazione o distribuzione del prodotto assicurativo anche il test del prodotto, materia disciplinata sia a livello europeo dall’art. 6 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 sia dall’art. 8 del Regolamento in commento. Ai sensi di quest’ultima norma, innanzitutto, i soggetti che realizzano prodotti assicurativi testano i propri prodotti in modo appropriato, svolgendo anche le analisi degli scenari se del caso, prima di immetterli sul mercato o adattarli in maniera significativa, o anche nel caso in cui il mercato di riferimento sia notevolmente cambiato. In secondo luogo, attraverso il test del prodotto il produttore valuta se il prodotto assicurativo soddisfa le esigenze, gli obiettivi e le caratteristiche individuati per il mercato di riferimento nell’arco della sua durata di vita. In terzo luogo, i produttori effettuano il test sui loro prodotti in termini qualitativi e, a seconda del tipo, della natura del prodotto assicurativo e dei relativi rischi di pregiudizio per i clienti, in termini quantitativi. Infine, le attività connesse al test obbligano i produttori a immettere sul mercato prodotti se i risultati del test mostrano che essi non soddisfano le esigenze, gli obiettivi e le caratteristiche identificati per il mercato di riferimento.
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In coerenza con l’art. 6 appena esaminato e fermi restando gli obblighi informativi previsti dal c.a.p. e dalle disposizioni di attuazione, l’art. 8 del Regolamento in commento aggiunge altre informazioni. I produttori devono valutare i costi e gli oneri da applicare al prodotto assicurativo, esaminando tra l’altro i seguenti elementi: a) l’ammontare dei costi e degli oneri sia compatibile con le esigenze, gli obiettivi e le caratteristiche del mercato di riferimento e tale da consentire un adeguato valore per il cliente; b) la struttura dei costi e degli oneri sia adeguatamente trasparente per il mercato di riferimento, non occulti i costi e gli oneri e non risulti troppo complessa da comprendere. L’art. 8, cit. detta poi una disciplina specifica diretta ai prodotti di investimento assicurativi, prevedendo che: 1) i produttori valutano che i costi e gli oneri non compromettano le aspettative di rendimento del prodotto di investimento assicurativo; 2) i produttori devono svolgere, ove rilevante in base alle caratteristiche del prodotto, un’analisi di scenario per valutare il rischio che il prodotto di investimento assicurativo produca risultati negativi per i clienti finali e in quali circostanze ciò può accadere. A tal fine, il prodotto di investimento assicurativo viene valutato almeno alla luce delle seguenti circostanze negative: a) un deterioramento del contesto di mercato; b) le difficoltà finanziarie del produttore o dei soggetti terzi coinvolti nella realizzazione e/o nel funzionamento del prodotto di investimento assicurativo o il verificarsi di un altro rischio di controparte e c) la non sostenibilità del prodotto di investimento assicurativo sul piano commerciale.
7. I controlli successivi alla produzione: il monitoraggio e la revisione del prodotto. All’attività che deve essere svolta dai produttori e dai “produttori di fatto” prima della commercializzazione e della distribuzione dei prodotti assicurativi fa seguito l’attività di monitoraggio e revisione del prodotto come disciplinate: a) dall’art. 30-decies, co. 5 e 6 del c.a.p.; b) dall’art. 7 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 e c) dall’art. 9 del Regolamento in commento. Ai sensi dell’art. 30-decies, co. 5 del c.a.p., i produttori ed i produttori di fatto comprendono e riesaminano regolarmente i prodotti assicurativi che commercializzano o distribuiscono, tenendo conto di qualsiasi evento che possa incidere significativamente sui rischi potenziali per il
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mercato di riferimento individuato. Il riesame è finalizzato a valutare se il prodotto continui ad essere coerente con le esigenze del mercato di riferimento e se la prevista strategia distributiva continui a essere adeguata. Il co. 6 dell’art. 30-decies del c.a.p. prevede anche un’attività di revisione del processo di approvazione del prodotto per garantire che tale processo sia ancora valido e aggiornato. I produttori devono modificare il processo di approvazione del prodotto laddove risulti necessario (v. anche art. 4, par. 6, del Regolamento (UE) n. 2017/2358). L’attività di monitoraggio e revisione del prodotto assicurativo è disciplinata in modo più dettagliato dall’art. 7 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 il quale prevede che: in primo luogo, i soggetti che realizzano prodotti assicurativi monitorino di continuo e rivedano regolarmente i prodotti assicurativi che hanno immesso sul mercato per identificare gli eventi che potrebbero influenzare sostanzialmente le caratteristiche principali, la copertura del rischio o le garanzie di tali prodotti; in secondo luogo, i medesimi soggetti devono valutare se i prodotti assicurativi continuano a essere coerenti con le esigenze, le caratteristiche e gli obiettivi del mercato di riferimento individuato e se tali prodotti sono distribuiti nel mercato di riferimento o se invece arrivino a clienti che si trovano all’esterno di tale mercato; in terzo luogo, i soggetti che realizzano prodotti assicurativi devono determinare gli intervalli adeguati per la revisione regolare dei loro prodotti assicurativi, tenendo conto della dimensione, della portata, della durata contrattuale e della complessità di tali prodotti, nonché dei loro rispettivi canali di distribuzione e di qualunque fattore esterno rilevante come per esempio i cambiamenti alle norme giuridiche applicabili, gli sviluppi tecnologici o i cambiamenti della situazione di mercato; infine, i soggetti che realizzano prodotti assicurativi che individuano, nel corso della durata di vita di un prodotto assicurativo, eventuali circostanze correlate a tale prodotto suscettibili di arrecare pregiudizio al cliente detentore di tale prodotto devono adottare misure appropriate per attenuare la situazione ed evitare l’ulteriore ripetersi di eventi negativi. Detti soggetti devono informare immediatamente i distributori di prodotti assicurativi e i clienti interessati riguardo all’azione correttiva intrapresa. La disciplina in commento è stata completata con l’art. 9 del Regolamento in commento che ha dettato disposizioni più puntuali prevedendo, innanzitutto, che l’attività di monitoraggio e revisione del prodotto di cui all’art. 7, del Regolamento (UE) n. 2017/2358, poc’anzi ricordato: a) è effettuata con cadenza almeno annuale;
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b) include la verifica sui canali di vendita al fine di valutarne la congruità, in particolare con riferimento alla vendita non effettuata in coerenza con quanto previsto ai sensi dall’art. 6 e agli altri rischi collegati all’attività di distribuzione; c) comprende anche la distribuzione effettuata mediante i soggetti di cui all’art. 107, co. 4, del c.a.p. Con specifico riferimento ai prodotti d’investimento assicurativo, è previsto che nel processo di monitoraggio e revisione dei prodotti assicurativi immessi sul mercato effettuato ai sensi dell’art. 7 del Regolamento (UE) n. 2017/2358, i produttori devono identificare, altresì, gli eventi cruciali in grado di incidere sul rischio potenziale o sulle aspettative di rendimento del prodotto, in particolare i livelli minimi di rendimento del prodotto assicurativo al di sotto dei quali, tenuto conto delle aspettative di rendimento dei clienti, è necessario procedere ad una revisione del prodotto. Infine, in relazione alle misure appropriate e correttive da apportare in esito all’attività di monitoraggio e revisione del prodotto di cui all’art. 7, par. 3, del Regolamento (UE) n. 2017/2358, i produttori adottano dette misure, consistenti, tra l’altro: a) nella fornitura ai clienti ovvero ai distributori di adeguate informazioni sugli eventi cruciali identificati, sui relativi effetti sul prodotto assicurativo e sulle misure correttive adottate; b) nella revisione del processo di approvazione del prodotto assicurativo; c) nella sospensione o interruzione dell’emissione di ulteriori contratti relativi al prodotto assicurativo; d) nella modifica del prodotto assicurativo; e) nel contattare l’intermediario per valutare modifiche riguardanti il processo di distribuzione; f) nei casi di maggiore gravità, nell’interruzione del rapporto di distribuzione con l’intermediario. I produttori devono informare l’IVASS nel caso in cui gli esiti del processo di revisione determinino l’adozione delle citate misure.
8. Il rapporto fra produttori e distributori: premessa. Veniamo così al secondo profilo rilevante per la disciplina del governo e controllo del prodotto, ossia il rapporto fra produttori e distributori e soprattutto il ruolo che hanno questi ultimi nella suddetta disciplina. Il mercato di riferimento, di cui abbiamo già detto prima, rileva non solo
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nel momento della realizzazione del prodotto ma anche nella fase della distribuzione e la sua individuazione obbliga ad uno stretto collegamento fra produttore e distributore. Ai sensi dell’art. 6, co. 5 del Regolamento in commento all’interno del processo di approvazione del prodotto, i produttori devono adottare ogni misura ragionevole e procedure organizzative9 adeguate al fine di assicurare che: a) il prodotto assicurativo sia distribuito, anche quando la distribuzione è effettuata mediante i soggetti di cui all’art. 107, co. 4, del c.a.p., ai clienti all’interno del mercato di riferimento individuato e non sia distribuito a clienti che rientrano nel target negativo; b) fatto salvo quanto previsto dalla lettera c), l’eventuale distribuzione a clienti che non rientrano nel mercato di riferimento individuato sia realizzata a condizione che il cliente non appartenga al mercato di riferimento negativo e il prodotto corrisponda alle richieste e alle esigenze assicurative del cliente e, sulla base della consulenza fornita prima della conclusione del contratto, sia adeguato (lettera aggiunta in fase successiva). b) con esclusivo riferimento ai prodotti di investimento assicurativi, l’eventuale distribuzione a clienti che non rientrano nel mercato di riferimento in relazione al profilo di rischio, di rendimento e alla situazione finanziaria, sia realizzata a condizione che il cliente non appartenga al target negativo e il prodotto corrisponda alle richieste e alle esigenze assicurative del cliente e sia adeguato o appropriato. Il rapporto fra produttori e distributori si estrinseca soprattutto sul piano dei flussi di informazione che vanno dai primi ai secondi e viceversa, sul monitoraggio dei canali di distribuzione da parte dei produttori e sui meccanismi di distribuzione del prodotto. 8.1. Il flusso di informazioni fra produttori e distributori ed il monitoraggio dei canali di distribuzione. Nel rapporto fra produttori e distributori quello che rileva, in primis, è il flusso di informazioni che i produttori devono fornire ai distributori10.
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Da notare che le misure e le procedure ora richieste, già previste in generale per il processo di approvazione del prodotto, ora devono essere qualificate; infatti le misure devono essere ragionevoli e le procedure devono riguardare l’organizzazione. 10 Come si legge nel Considerando n. (9) del Regolamento UE n. 2017/2358, «Per garantire informazioni e una consulenza adeguate ai clienti, i soggetti che realizzano
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Prima della emanazione del Regolamento in commento, la materia era disciplinata solo dall’art. 8 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 che regola, in particolare il flusso di informazioni. In primo luogo, viene disposto che i soggetti che realizzano prodotti assicurativi selezionino attentamente canali di distribuzione adeguati per il mercato di riferimento, tenendo conto delle caratteristiche particolari dei prodotti assicurativi pertinenti. In secondo luogo, i produttori devono fornire ai distributori di prodotti assicurativi tutte le informazioni adeguate sui prodotti assicurativi, sul mercato di riferimento individuato e sulla strategia di distribuzione suggerita, compresi i dati sugli elementi e sulle caratteristiche principali dei prodotti assicurativi, sui rischi e i costi, inclusi i costi impliciti, nonché qualunque circostanza che possa causare un conflitto di interesse a discapito del cliente. In terzo luogo, l’art. 8, cit. indica le caratteristiche delle informazioni che devono essere chiare, complete e aggiornate ed, inoltre, dette informazioni devono consentire ai distributori di prodotti assicurativi di: a) comprendere i prodotti assicurativi; b) capire il mercato di riferimento individuato per i prodotti assicurativi; c) individuare qualunque cliente le cui esigenze, caratteristiche e obiettivi non siano compatibili con il prodotto assicurativo; d) svolgere attività di distribuzione per i prodotti assicurativi in questione servendo al meglio gli interessi dei loro clienti secondo quanto prescritto nell’art. 17, par. 1, della IDD. Ora, dei flussi informativi fra produttore e distributore si occupa anche il Regolamento in commento all’art. 10 nel quale, oltre ad essere disciplinati i flussi informativi tra le imprese di assicurazione produttrici
prodotti assicurativi dovrebbero selezionare distributori di prodotti assicurativi in possesso della conoscenza, dell’esperienza e della competenza necessarie per comprendere le caratteristiche di un prodotto assicurativo e il mercato di riferimento individuato. Per la stessa ragione dovrebbero, nel quadro della legislazione nazionale applicabile alla relazione con i distributori di prodotti assicurativi in questione, monitorare ed esaminare su base regolare se il prodotto assicurativo viene distribuito in conformità degli obiettivi dei meccanismi di governo e controllo del prodotto e prendere adeguate misure correttive laddove si accerti il mancato rispetto. Questo non dovrebbe comunque impedire ai distributori di prodotti assicurativi di distribuire prodotti assicurativi ai clienti che non appartengono a quel mercato di riferimento, purché la valutazione individuale al punto di vendita giustifichi la conclusione che tali prodotti corrispondono alle esigenze e alle necessità di quei clienti e, se del caso, che i prodotti di investimento assicurativi sono idonei o adeguati per il cliente».
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e i distributori, si pone in capo alle prime l’obbligo di identificare con i distributori – in uno specifico documento soggetto a revisione periodica – il contenuto, la periodicità, le modalità di scambio e le rispettive responsabilità delle informazioni relative allo svolgimento delle rispettive attività. In primo luogo, ai fini del pieno rispetto degli obblighi di cui al Regolamento (UE) n. 2017/2358 e del Regolamento in commento, le imprese di assicurazione e i distributori devono identificare la direzione, il contenuto, la periodicità, le modalità di scambio [prima: e le rispettive responsabilità delle informazioni relative allo svolgimento delle rispettive attività] delle informazioni relative allo svolgimento delle rispettive attività e necessarie per adempiere ai rispettivi obblighi. In secondo luogo, l’identificazione dei flussi informativi di cui sopra: a) è finalizzata a guidare il distributore nella conoscenza del prodotto e ad assicurare che la distribuzione sia rivolta a clienti appartenenti al mercato di riferimento di cui all’art. 6 del Regolamento in commento; b) è finalizzata a favorire l’adempimento da parte del distributore dell’obbligo di cui all’art. 11 del Regolamento (UE) n. 2017/2358; c) è soggetta a revisione periodica e d) favorisce l’esercizio dell’azione di vigilanza sul pieno rispetto degli obblighi di cui al Regolamento (UE) n. 2017/2358 e al Regolamento in commento da parte delle Autorità di vigilanza competenti. Infine, in presenza di un intermediario produttore di fatto, l’identificazione di cui ai co. 1 e 2 è effettuata dall’impresa di assicurazione congiuntamente con l’intermediario produttore di fatto. La materia dei flussi informativi fra produttori e distributori è disciplinata anche da due norme del c.a.p.: l’art. 121-bis e l’art. 121-ter. La prima norma stabilisce al co. 1, che i distributori di prodotti assicurativi non realizzati in proprio devono adottare opportune disposizioni per ottenere dai soggetti di cui all’art. 30-decies, co. 1, le informazioni di cui all’art. 30-decies, co. 5, e per comprendere le caratteristiche e il mercato di riferimento individuato per ciascun prodotto assicurativo. A questa fa da pendant la disposizione di cui all’art. 30-decies, co. 6 del c.a.p. in base al quale i produttori trasmettono ai distributori di prodotti assicurativi tutte le informazioni rilevanti sul prodotto assicurativo e sul processo di approvazione del prodotto, compreso il relativo mercato di riferimento individuato L’art. 121-ter del c.a.p. prevede, innanzitutto, una deroga alla disciplina in materia di governo e controllo del prodotto di cui agli articoli 30-decies e 121-bis prevedendo che essa non trova applicazione per i prodotti assicurativi che consistono nell’assicurazione dei grandi rischi.
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Inoltre, fatta salva l’applicazione alle imprese di assicurazione e agli intermediari che realizzano prodotti assicurativi da vendere ai clienti delle disposizioni di cui all’art. 30-decies del c.a.p. e relative disposizioni di attuazione, in caso di distribuzione di prodotti assicurativi attraverso i soggetti di cui all’art. 107, co. 4, del c.a.p.11 l’impresa di assicurazione o l’intermediario che se ne avvale: a) stabilisce le modalità di accertamento dell’appartenenza dell’assicurato al mercato di riferimento individuato; b) adotta procedure idonee a garantire l’acquisizione delle informazioni relative alle ipotesi in cui il prodotto non risponda più agli interessi, agli obiettivi e alle caratteristiche del mercato di riferimento, nonché alle altre circostanze relative al prodotto che aggravino il rischio di pregiudizio per il cliente. Il secondo profilo rilevante per i rapporti fra produttori e distributori attiene al monitoraggio dei canali di distribuzione. Ai sensi dell’art. 8, par. 4 del Regolamento (UE), n. 2017/2358 i soggetti che realizzano prodotti assicurativi devono: 1) adottare le misure appropriate per monitorare che i distributori di prodotti assicurativi agiscano in conformità agli obiettivi del processo di approvazione del prodotto di detti soggetti; 2) verificare su base regolare se i prodotti assicurativi siano distribuiti nei mercati di riferimento individuati. L’obbligo di monitoraggio non si estende ai requisiti normativi generali a cui i distributori di prodotti assicurativi devono attenersi quando svolgono attività di distribuzione assicurativa per clienti individuali;
11 Ai sensi dell’art. 107, co. 4 del c.a.p. «È esclusa dalla disciplina del presente Titolo l’attività di distribuzione assicurativa esercitata da intermediari assicurativi a titolo accessorio, laddove siano soddisfatte congiuntamente le seguenti condizioni: a) l’assicurazione è accessoria ad un prodotto o servizio e ne copre: 1) i rischi di perdita, deterioramento, danneggiamento del prodotto fornito o il mancato uso del servizio prestato dal fornitore; o 2) la perdita o il danneggiamento del bagaglio e altri rischi connessi con un viaggio prenotato presso tale fornitore; b) l’importo del premio versato per il contratto assicurativo, calcolato proporzionalmente su base annua, non è superiore a 600 euro; c) in deroga alla lettera b), qualora l’assicurazione sia complementare rispetto a un servizio di cui alla lettera a) e la durata di tale servizio sia pari o inferiore a tre mesi, l’importo del premio versato per persona non è superiore a 200 euro».
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3) adottare appropriate azioni correttive quando ritengono che la distribuzione dei loro prodotti non sia conforme agli obiettivi del loro processo di approvazione del prodotto. È previsto, infine, che le attività di monitoraggio devono essere ragionevoli, tenuto conto delle caratteristiche e del quadro giuridico dei rispettivi canali di distribuzione; A tale disciplina fa rinvio esplicito l’art. 6, co. 6 del Regolamento in commento, ai sensi del quale nell’ambito dell’attività di cui all’art. 8, par. 4 del Regolamento (UE) n. 2017/2358, i produttori verificano periodicamente il rispetto da parte dei distributori degli obblighi previsti dal co. 5. Nel caso di collaborazione orizzontale, le verifiche sono svolte nei confronti dell’intermediario emittente e hanno ad oggetto anche il rispetto degli obblighi previsti dal comma 5 da parte degli intermediari proponenti. Nel caso in cui la verifica abbia dato esito negativo, si applica l’art. 8, par. 5, del Regolamento (UE) n. 2017/2358. Nel comma successivo si prevede che i produttori verificano che il mercato di riferimento effettivo e il mercato di riferimento negativo effettivo individuati dal distributore siano coerenti con il mercato di riferimento e con il mercato di riferimento negativo individuati ai sensi del presente articolo. Nel caso in cui la verifica ha esito negativo, adottano ogni misura necessaria per assicurare tale coerenza. 8.2. I meccanismi di distribuzione del prodotto. Rilevanti per il governo e controllo del prodotto e, soprattutto, per i rapporti fra produttori e distributori sono anche le norme che disciplinano i cd “meccanismi di distribuzione del prodotto” che sono definiti nell’art. 10, par. 1 del Regolamento UE n. 2017/2358 come le misure e le procedure messe in atto dai distributori «per ottenere dal soggetto che realizza il prodotto assicurativo tutte le informazioni necessarie sui prodotti assicurativi che intendono offrire ai loro clienti e per comprendere pienamente tali prodotti, tenendo conto del livello di complessità e dei rischi legati ai prodotti, nonché della natura, della portata e della complessità dell’attività pertinente del distributore». Anche per detti meccanismi la disciplina del Regolamento europeo appena citata deve essere coordinata con le nuovissime norme presenti nel Regolamento in commento. Nello specifico occorre considerare: a) gli artt. 10, 11 e 12 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 e b) gli artt. 11, 12 e 13 del Regolamento in commento.
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Il Regolamento (UE) n. 2017/2358 prevede che i distributori di prodotti assicurativi definiscono i meccanismi di distribuzione del prodotto in un documento scritto e lo rendono disponibile al personale addetto. Sono indicate anche le finalità dei meccanismi, ossia essi: a) mirano ad evitare e ad attenuare il pregiudizio per il cliente; b) supportano una gestione corretta dei conflitti di interesse; c) garantiscono che gli obiettivi, gli interessi e le caratteristiche dei clienti siano debitamente tenuti in considerazione. I meccanismi di distribuzione del prodotto devono garantire che i distributori di prodotti assicurativi ottengano dal soggetto che realizza tali prodotti le informazioni necessarie ai sensi dell’art. 8, par. 2, del Regolamento (UE) n. 2017/2358. Qualunque strategia di distribuzione specifica definita o applicata dai distributori di prodotti assicurativi è conforme alla strategia di distribuzione definita e al mercato di riferimento individuato dal soggetto che realizza prodotti assicurativi. Il Regolamento europeo appena citato disciplina alcuni profili che vanno ad incidere sui rapporti fra produttore e distributore. Innanzitutto si prevede che l’unità o la struttura all’interno dei soggetti che realizzano prodotti assicurativi responsabile per la distribuzione assicurativa approva ed è responsabile in ultima analisi della definizione, dell’attuazione e della revisione dei meccanismi di distribuzione del prodotto e verifica la conformità interna agli stessi. In secondo luogo, i distributori di prodotti assicurativi rivedono regolarmente i loro meccanismi di distribuzione del prodotto per garantire che gli stessi siano ancora validi e aggiornati. Detti distributori modificano, se del caso, i meccanismi di distribuzione del prodotto. I distributori di prodotti assicurativi che hanno definito o applicano una specifica strategia di distribuzione modificano, se del caso, tale strategia, in considerazione del risultato della revisione dei meccanismi di distribuzione del prodotto. Al momento di rivedere i loro meccanismi di distribuzione del prodotto, i distributori di prodotti assicurativi verificano che i prodotti assicurativi siano distribuiti sul mercato di riferimento individuato. I distributori di prodotti assicurativi determinano intervalli appropriati per la revisione regolare dei loro meccanismi di distribuzione del prodotto, tenendo conto della dimensione, della portata e della complessità dei diversi prodotti assicurativi interessati. Infine, per supportare i controlli del prodotto eseguiti dai soggetti che realizzano prodotti assicurativi, i distributori di prodotti assicurativi forniscono ai soggetti che realizzano prodotti assicurativi, su richiesta,
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le informazioni sulle vendite pertinenti, incluse, se del caso, le informazioni sui controlli regolari dei meccanismi di distribuzione del prodotto. L’art. 11 del Regolamento in commento aggiunge ulteriori obblighi a carico degli intermediari, i quali, fatto salvo quanto previsto dall’art. 10 del Regolamento (UE) n. 2017/2358, gli intermediari devono: a) conoscere i prodotti distribuiti, b) valutare la compatibilità con le esigenze e le richieste del cliente, c) distribuire il prodotto ai clienti rientranti nel mercato di riferimento individuato dal produttore ai sensi dell’art. 6, e d) fare in modo che i prodotti siano distribuiti solo quando ciò sia nell’interesse del cliente, anche quando la distribuzione è effettuata mediante i soggetti di cui all’art. 107, co. 4, del c.a.p. Inoltre, prima della sottoscrizione del contratto, i distributori acquisiscono dal contraente tutte le informazioni necessarie per valutare l’appartenenza del contraente stesso al mercato di riferimento o al target negativo individuati dal produttore ai sensi dell’art. 6 del Regolamento in commento12. Questione di notevole rilevanza è quale disciplina applicare nel caso in cui i distributori di prodotti assicurativi acquisiscono consapevolezza del fatto che un prodotto assicurativo non sia in linea con gli interessi, gli obiettivi e le caratteristiche del mercato di riferimento individuato o del fatto che altre circostanze legate al prodotto possano arrecare danno al cliente. Secondo la disciplina europea il distributore deve informare prontamente il soggetto che realizza prodotti assicurativi e, se del caso, modificare la sua strategia di distribuzione per quel prodotto assicurativo [v. art. 10 del Regolamento (UE) n. 2017/2358]. La risposta alla questione suesposta fornita dal Regolamento in commento risulta più complessa ed articolata. In primo luogo, l’art. 11, co. 3, prevede che, ai fini di cui all’art. 11, del Regolamento (UE) n. 2017/2358, il distributore deve adottare procedure idonee a garantire l’individuazione delle ipotesi in cui il prodotto non risponda più agli interessi, agli obiettivi e alle caratteristiche del mercato di riferimento individuato dal produttore ai sensi dell’art. 6, nonché alle altre circostanze relative al prodotto che aggravino il rischio di pregiudizio per il cliente. A tal fine il distributore è obbligato ad effettuare veri-
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V. supra par. 5.
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fiche periodicamente, anche con riferimento alla distribuzione effettuata mediante i soggetti di cui all’art. 107, co. 4, del c.a.p. In secondo luogo, fermi restando gli obblighi di verifica e di monitoraggio del produttore previsti dall’art. 9 e dell’art. 8, par. 4, del Regolamento (UE) n. 2017/2358, i distributori: a) non distribuiscono prodotti assicurativi ai clienti che non appartengono al mercato di riferimento o appartengono al target negativo individuati dal produttore; b) fatto salvo quanto previsto alla successiva lett. c), possono distribuire prodotti d’investimento assicurativi a clienti che non rientrano nel mercato di riferimento in relazione al profilo di rischio, di rendimento e alla situazione finanziaria, purché i clienti non appartengano al target negativo e tali prodotti corrispondano alle richieste e alle esigenze assicurative di quei clienti e, sulla base della consulenza fornita prima della conclusione del contratto, siano adeguati13; c) possono distribuire prodotti d’investimento assicurativi non complessi di cui all’art. 16 del Regolamento (UE) n. 2017/2359 a clienti che non rientrano nel mercato di riferimento individuato dal produttore, purché i clienti non appartengano al mercato di riferimento negativo e tali prodotti corrispondano alle richieste e alle esigenze assicurative di quei clienti e siano adeguati o appropriati. In terzo luogo, gli intermediari quando distribuiscono il prodotto d’investimento assicurativo a clienti che non appartengono al mercato di riferimento comunicano al produttore se il prodotto assicurativo è distribuito al di fuori del mercato di riferimento ai sensi del co. 4, lett. b) e c). Nella stesura definitiva del Regolamento in commento, è stato previsto che gli intermediari che distribuiscono prodotti commercializzati da imprese di assicurazione con sede legale in uno Stato membro operanti in regime di stabilimento o di libera prestazione di servizi nel territorio della Repubblica italiana adottano tutti i presidi necessari per garantire che i prodotti assicurativi siano distribuiti in conformità alle norme del Regolamento in commento, siano conformi alle norme europee ed italiane e rispondano alle esigenze, alle caratteristiche e agli obiettivi del mercato di riferimento effettivo individuato.
13 Dopo la consultazione è stato inserito l’inciso «sulla base della consulenza fornita prima della conclusione del contratto» ed è stato lasciato l’esclusivo riferimento alla adeguatezza eliminando il requisito della appropriatezza.
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Nei meccanismi di distribuzioni rilevano due importanti parametri: il primo è il mercato di riferimento effettivo ed il secondo è il mercato di riferimento negativo effettivo; entrambi tali parametri sono una specificazione del mercato di riferimento ed una estensione del mercato di riferimento negativo individuati dal produttore e devono essere comunicati all’impresa di assicurazione prima della relativa distribuzione (v. art. 12, co. 4 e 5 del Regolamento in commento). L’individuazione del mercato di riferimento effettivo è affidata all’art. 12, co. 1 del Regolamento in commento: gli intermediari adottano adeguate misure e procedure per assicurare che i prodotti assicurativi che intendono distribuire siano coerenti con le esigenze, le caratteristiche e gli obiettivi del mercato di riferimento e che la strategia di distribuzione prevista sia coerente con tale mercato, oltre che con la strategia distributiva individuata dall’impresa di assicurazione. Detti intermediari devono identificare e valutare in modo appropriato la situazione e le esigenze dei clienti, al fine di garantire che gli interessi di questi ultimi non siano compromessi da pressioni commerciali ovvero da interessi dell’intermediario. Per il secondo parametro, ossia il mercato di riferimento negativo effettivo, è previsto che gli intermediari devono individuare le ulteriori categorie di clienti ai quali il prodotto non può essere distribuito (art. 12, co. 3 del Regolamento in commento). Una volta individuati i due parametri la disciplina dettata dal Regolamento in commento è completata da altre importanti disposizioni arricchite dopo la fase di consultazione. Gli intermediari devono riesaminare regolarmente i prodotti assicurativi distribuiti tenendo conto di qualsiasi evento che possa incidere significativamente sui rischi potenziali per il mercato di riferimento nonché della eventuale revisione del prodotto effettuata dal produttore, al fine di valutare almeno se il prodotto assicurativo resti coerente con le esigenze del mercato di riferimento effettivo di cui al co. 1 e se la prevista strategia distributiva continui a essere appropriata A tal fine, effettuano verifiche con cadenza almeno annuale, anche con riferimento alla distribuzione effettuata mediante i soggetti di cui all’art. 107, co. 4, del c.a.p. (art. 12, co. 6 del Regolamento in commento). Gli intermediari, anche a seguito delle indicazioni e valutazioni ricevute dal produttore, riconsiderano il mercato di riferimento effettivo e/o aggiornano le procedure e le misure adottate qualora rilevino di aver erroneamente identificato il mercato di riferimento effettivo per un prodotto assicurativo ovvero qualora il prodotto assicurativo non soddisfi più le condizioni del mercato di riferimento effettivo (art. 12, co.
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7 del Regolamento in commento). Ed in esito alla riconsiderazione, gli intermediari comunicano al produttore l’eventuale individuazione di un nuovo mercato di riferimento effettivo (art. 12, co. 8 del Regolamento in commento). I commi 9, 10 e 11 dell’art. 12 del Regolamento in commento sono stati introdotti a seguito della consultazione pubblica. Innanzitutto, è stata prevista la possibilità della coincidenza, a seguito delle valutazioni di cui ai commi 1, 2 e 3, fra, da un lato, il mercato di riferimento effettivo e il mercato di riferimento negativo effettivo e, dall’altro, il mercato di riferimento e il mercato di riferimento negativo individuati dal produttore. Qualora si verifichi detta coincidenza trovano applicazione i co. 6 e 8 della norma in commento (art. 12, co. 9 del Regolamento in commento). In secondo luogo, in caso di collaborazione orizzontale, ciascun intermediario, tenuto conto della rispettiva clientela, definisce il proprio mercato di riferimento effettivo di cui ai co. 1 e 2 e il mercato di riferimento negativo effettivo di cui al co. 3, secondo quanto previsto dall’art. 12, cit., co. 4. Infine, è stata introdotta un’esenzione dall’applicazione di tutte le norme in tema di mercato di riferimento effettivo (prima della consultazione l’inapplicabilità riguardava solo i co. 1-4 dell’art. 12) per l’intermediario qualificabile come intermediario produttore di fatto. Nella disciplina dei meccanismi di distribuzione inevitabile non prevedere una norma che regoli gli scambi di informazione fra produttori e distributori. Infatti questi ultimi devono nell’ambito dell’accordo relativo all’identificazione dei flussi informativi di cui all’art. 10, acquisire dai produttori le informazioni necessarie per comprendere e conoscere adeguatamente i prodotti che intendono distribuire, al fine di garantire che gli stessi siano distribuiti conformemente alle esigenze, alle caratteristiche e agli obiettivi del mercato di riferimento individuato ai sensi dell’art. 6 del Regolamento in commento (v. art. 13, co. 1). I distributori utilizzano le informazioni ottenute ai sensi del co. 1, nonché quelle relative ai propri clienti, al fine di identificare la strategia di distribuzione, nonché, per gli intermediari di cui al co. 2, lett. d), dell’art. 109, del c.a.p., anche al fine di identificare il mercato di riferimento effettivo di cui all’art. 12 (art. 13, co. 2). Infine l’art. 12 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 prevede una norma in tema di documentazione disponendo che le azioni pertinenti adottate dai distributori di prodotti assicurativi in relazione ai loro meccanismi di distribuzione del prodotto sono debitamente documentate, conservate ai fini di audit e rese disponibili alle autorità competenti su richiesta.
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9. I riflessi della politica del governo e controllo del prodotto sul governo societario dei produttori, dei produttori di fatto e di taluni intermediari. 9.1. Premessa. Aver imposto la realizzazione di un processo di approvazione per ciascun prodotto assicurativo che si intende commercializzare e/o distribuire ha prodotto inevitabilmente importanti riflessi sul governo societario di tutti i produttori e in special modo sul sistema dei controlli interni14. La regolamentazione secondaria domestica distingue le norme in tre gruppi: a) quelle che regolano le funzioni e le responsabilità dell’organo competente del produttore; b) altre indirizzate all’intermediario produttore di fatto e c) altre, infine, rivolte agli intermediari di cui all’art. 109 del c.a.p. 9.2. Le funzioni e le responsabilità dell’organo competente del produttore e dell’intermediario produttore di fatto. A. Ruolo dell’organo amministrativo e della funzione di verifica di conformità delle norme dei produttori. Prima di entrare in medias res, occorre anche premettere che le disposizioni dettate in materia di governo societario relativamente al controllo e governo del prodotto vanno ad aggiungersi alle regole previste per il governo societario delle imprese di assicurazioni come regolato dagli artt. 30 ss. del c.a.p. e dal regolamento IVASS n. 38/201815, recentemente modificato dall’IVASS con il provvedimento n. 97 del 4 agosto 202016.
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Sul sistema dei controlli interni delle assicurazioni v. Montalenti, Il sistema dei controlli interni nel settore assicurativo, in Ass., 2013, pp. 193 ss. 15 Il regolamento citato nel testo reca disposizioni in materia di sistema di governo societario di cui al titolo III (esercizio dell’attività assicurativa) e in particolare al Capo I (disposizioni generali), articoli 29-bis, 30, 30-bis, 30-quater, 30-quinques, 30-sexies, 30-septies, nonché di cui al Titolo XV (vigilanza sul gruppo), e in particolare al capo III (strumenti di vigilanza sul gruppo), articolo 215-bis (sistema di governo societario del gruppo), del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - Codice delle assicurazioni private - modificato dal decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 74, conseguente all’attuazione nazionale delle linee guida emanate da EIOPA sul sistema di governo societario. 16 v. supra nt. 4.
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L’organo amministrativo delle imprese di assicurazione ha la responsabilità ultima dell’osservanza delle norme sul processo di approvazione dei prodotti assicurativi (art. 5, co.1). Posto che le imprese di assicurazione, al pari di qualsiasi società per azioni, possono adottare uno dei tre modelli di amministrazione e controllo previsti dal codice civile, nel caso di adozione del modello tradizionale o del modello monistico la responsabilità ricadrà sul consiglio di amministrazione; nel caso di scelta del modello dualistico, la responsabilità sarà del consiglio di gestione. La responsabilità è connessa al rispetto di tutte le norme viste in precedenza e che riguardano il processo di approvazione del prodotto. È pertanto inevitabile la ripercussione che le nuove funzioni attribuite all’organo gestorio delle imprese di assicurazioni produttrici di prodotti assicurativi avranno in termini di competenze e professionalità dei componenti dell’organo gestorio17. Si aggiunge, inoltre che, ai fini delle norme precedenti, l’organo amministrativo approva e rivede, almeno una volta l’anno, la politica in materia di governo e controllo dei prodotti assicurativi di cui all’art. 4, parr. 4 e 5 del Regolamento (UE) n. 2017/235818. La politica contiene almeno gli elementi di cui l’Allegato 1 al Regolamento in commento. Tra le funzioni che compongono il sistema di governo societario, come disciplinato dal regolamento IVASS n. 38/2018, la funzione di verifica della conformità alle norme, nota anche come funzione di compliance, assume, per i profili che qui interessano una notevolissima importanza. Con riferimento alle attribuzioni della funzione in parola, l’IVASS nella predisposizione del Regolamento in commento ha dovuto scegliere fra due opzioni regolamentari ed è stata preferita quella di rafforzare il ruolo della funzione di verifica della conformità prevedendo: a) compiti
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Sul punto v. Minto, Nuove responsabilità amministrative nel governo dei rischi dell’impresa di assicurazione: brevi riflessioni a margine del recente aggiornamento della disciplina sul sistema dei controlli interni, in questa Rivista, 2014, I, pp. 655 ss. 18 Ai sensi dell’art. 4, par. 4, l’unità o la struttura all’interno dei soggetti che realizzano prodotti assicurativi responsabile per la realizzazione di detti prodotti svolge le seguenti funzioni: a) approva ed è responsabile in ultima analisi della definizione, dell’attuazione e della revisione del processo di approvazione del prodotto; b) verifica di continuo la conformità interna rispetto a tale processo. Il successivo par. 5 prevede che i soggetti che realizzano prodotti assicurativi e che incaricano un terzo di progettare i prodotti per conto loro restano pienamente responsabili della conformità rispetto al processo di approvazione del prodotto.
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attivi di analisi della conformità ai requisiti di governo e controllo dei prodotti assicurativi e individuazione delle criticità riscontrate e b) adeguata reportistica interna che integra la relazione di cui all’articolo 30 del Regolamento IVASS n. 38 del 2018. Nonostante le criticità che da tale opzione discendono, come, ad esempio, compiti aggiuntivi per le imprese di assicurazione, limitazione delle scelte gestionali dell’impresa di assicurazione, incremento di informazioni di governance relative anche agli aspetti più specifici che riguardano la POG e nuove competenze richieste in materia di distribuzione assicurativa. È stato previsto che la funzione di verifica di conformità alle norme delle imprese di assicurazione deve monitorare lo sviluppo e la revisione periodica delle procedure e delle misure di governo dei prodotti assicurativi, al fine di individuare i rischi di mancato adempimento degli obblighi previsti dalla normativa vigente, inclusa la normativa europea direttamente applicabile, anche da parte dell’intermediario produttore di fatto (co. 3). Inoltre, la relazione annuale della funzione di verifica della conformità alle norme dell’impresa di assicurazione produttrice (già prevista dall’art. 30 del Regolamento IVASS n. 38 del 2018) contiene gli elementi relativi alle verifiche e alle analisi effettuate sulla corretta definizione e sull’efficacia di tutte le fasi della procedura di approvazione e revisione di ciascun prodotto. Tali elementi devono anche essere riportati nella relazione sulla distribuzione di cui all’art. 46, co. 4, del Regolamento IVASS n. 40 del 2018 laddove funzionali al corretto controllo della rete distributiva. La relazione di cui all’art. 30, del Regolamento IVASS n. 38 del 2018, deve contenere gli elementi relativi alle verifiche e alle analisi effettuate sulla corretta definizione e sull’efficacia di tutte le fasi della procedura di approvazione e revisione di ciascun prodotto, incluse le informazioni sui prodotti assicurativi realizzati, sulla strategia di distribuzione, nonché sull’attività di distribuzione diretta svolta dall’impresa, evidenziando eventuali criticità (co. 4). Infine, le imprese di assicurazione mettono a disposizione dell’IVASS, su richiesta di quest’ultima, la politica in materia di governo e controllo dei prodotti assicurativi e gli elementi di cui all’art. 5, co. 4 del Regolamento in commento, nonché la documentazione relativa al processo di approvazione di ciascun prodotto di cui all’art. 30-decies, co. 3, del c.a.p. (v. art. 5, co. 5 del Regolamento in commento). B. Le regole sul governo societario previste per i produttori di fatto. Quando l’analisi dell’attività dell’intermediario mostra che lo stesso
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svolga un ruolo decisionale nella progettazione e nello sviluppo di un prodotto assicurativo – fattispecie prevista dall’art. 3 del Regolamento Delegato POG e riportata nell’art. 2, co. 1, lett. e), del Regolamento in commento – la responsabilità del processo di approvazione dei prodotti assicurativi viene incardinata anche in capo all’organo amministrativo (o altra struttura equivalente) dell’intermediario produttore, il quale è tenuto ad applicare la politica di governo e controllo dei prodotti assicurativi che l’organo amministrativo dell’impresa di assicurazione produttrice deve approvare ai sensi del presente schema di regolamento. Viene altresì attribuita alla funzione di verifica della conformità alle norme dell’impresa di assicurazione produttrice il compito di monitorare lo sviluppo e la revisione periodica delle procedure e delle misure di governo dei prodotti assicurativi. È previsto, infine, che l’intermediario produttore di fatto monitora lo sviluppo e la revisione periodica delle procedure di governo dei prodotti assicurativi al fine di individuare i rischi di mancato adempimento degli obblighi previsti dalla normativa vigente e fornisce all’impresa di assicurazione gli elementi necessari a redigere, con specifico riferimento alla procedura di approvazione e revisione di ciascun prodotto, la relazione di cui all’art. 30 del Regolamento IVASS n. 38 del 2018 (art. 5, co. 6). 9.3. Gli effetti del processo di approvazione del prodotto sul governo societario degli intermediari di cui all’art. 109, co. 2 del c.a.p. Le regole di governo societario che rilevano ai fini della disciplina di governo e controllo del prodotto individuano come destinatari anche gli intermediari di cui all’art. 109, co. 2 del c.a.p. Si tratta dei seguenti intermediari: a) gli agenti di assicurazione, in qualità di intermediari che agiscono in nome o per conto di una o più imprese di assicurazione o di riassicurazione; b) i mediatori di assicurazione o di riassicurazione, altresì denominati broker, in qualità di intermediari che agiscono su incarico del cliente e senza poteri di rappresentanza di imprese di assicurazione o di riassicurazione; c) i produttori diretti che, anche in via sussidiaria rispetto all’attività svolta a titolo principale, esercitano l’intermediazione assicurativa nei rami vita e nei rami infortuni e malattia per conto e sotto la piena responsabilità di un’impresa di assicurazione e che operano senza obblighi di orario o di risultato esclusivamente per l’impresa medesima;
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d) le banche autorizzate ai sensi dell’art. 14 del t.u.b., gli intermediari finanziari inseriti nell’elenco speciale di cui all’artt. 106 e 114-septies del t.u.b., le società di intermediazione mobiliare autorizzate ai sensi dell’art. 19 del t.u.f., la società Poste Italiane - Divisione servizi di bancoposta, autorizzata ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. 14 marzo 2001, n. 144476; e) i soggetti addetti all’intermediazione, quali i dipendenti, i collaboratori, i produttori e gli altri incaricati degli intermediari iscritti alle sezioni di cui alle lett. a), b) e d) per l’attività di intermediazione svolta al di fuori dei locali dove l’intermediario opera; f) gli intermediari assicurativi a titolo accessorio, come definiti dall’art. 1, co. 1, lett. cc-septies del c.a.p. Il legislatore secondario ha dettato norme in materia di governo societario diverse a seconda degli intermediari nel senso che: 1) per gli intermediari di cui all’art. 109, co. 2, lett. d) del c.a.p. sono state previste norme che regolano il ruolo degli organi sociali e delle funzioni aziendali di controllo degli intermediari di cui all’art. 109, co. 2, lett. d) del c.a.p. (art. 5 del Regolamento in commento); 2) agli intermediari di cui al co. 2, lettere a) b) e f), dell’art. 109 del c.a.p. sono dedicate norme relative ai sistemi interni di controllo dell’attività di distribuzione assicurativa degli intermediari e, infine, 3) per tutti gli intermediari sono previste disposizioni che regolano i rapporti di collaborazione. A. Ruolo degli organi sociali e delle funzioni aziendali di controllo degli intermediari di cui all’art. 109, co. 2, lett. d) del c.a.p.. Il Regolamento in commento si occupa di introdurre regole attinenti al governo societario anche per gli intermediari di cui all’art. 109, co. 2, lett. d) del c.a.p., ossia le banche autorizzate ai sensi dell’art. 14 del t.u.b., gli intermediari finanziari inseriti nell’elenco speciale di cui all’art. 106 e 114-septies sempre del t.u.b., le società di intermediazione mobiliare autorizzate ai sensi dell’art. 19 del t.u.f., la società Poste Italiane - Divisione servizi di bancoposta, autorizzata ai sensi dell’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 2001, n. 144. 1. L’organo amministrativo di detti intermediari: a) ha la responsabilità ultima dell’osservanza delle norme sui meccanismi di distribuzione e sulla definizione del mercato di riferimento effettivo e
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b) approva il documento scritto sui meccanismi di distribuzione di cui all’art. 10 del Regolamento (UE) n. 2017/235819. 4. Gli intermediari di cui al co. 1 mettono a disposizione dell’IVASS, su richiesta di quest’ultimo, il documento scritto sui meccanismi di distribuzione di cui all’art. 10 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 e la relazione di cui al co. 3. 5. Gli intermediari di cui al co. 1 garantiscono che il personale e i collaboratori siano in possesso delle competenze necessarie per comprendere le caratteristiche e i rischi dei prodotti assicurativi che intendono distribuire nonché le esigenze, le caratteristiche e gli obiettivi del mercato di riferimento. Il Regolamento in commento si concentra, poi, sulla funzione di controllo della conformità o compliance, specificando determinate attività da compiere: a) monitorare lo sviluppo e la revisione periodica delle procedure e delle misure adottate per la distribuzione dei prodotti assicurativi, al fine di individuare i rischi di mancato adempimento degli obblighi previsti dal Capo III del Regolamento (UE) n. 2017/2358 e del Regolamento in commento (co. 2); b) redigere annualmente una relazione relativa alle verifiche effettuate sulla corretta definizione del mercato di riferimento effettivo e della strategia di distribuzione, nonché sulla correttezza ed efficacia dei meccanismi di distribuzione, evidenziando eventuali criticità (co. 3). B. Sistemi interni di controllo dell’attività di distribuzione assicurativa degli intermediari di cui al co. 2, lettere a) b) e f), dell’art. 109 del c.a.p. Differenti regole di governo societario e, nello specifico, regole attinenti ai sistemi interni di controllo dell’attività di distribuzione assicurativa (v. art. 15 del Regolamento in commento), ricadono sugli intermediari di cui al co. 2, lettere a) b) e f), dell’art. 109 del c.a.p. ossia: a) gli agenti di assicurazione, in qualità di intermediari che agiscono in nome o per conto di una o più imprese di assicurazione o di riassicurazione; b) i mediatori di assicurazione o di riassicurazione, altresì denominati broker, in qualità di intermediari che agiscono su incarico del cliente e senza poteri di rappresentanza di imprese di assicurazione o di riassicurazione e f) gli intermediari assicurativi a titolo accessorio, come definiti dall’art. 1, co. 1, lettera cc-septies) del c.a.p.. Detti intermediari devono:
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V. supra par. 8 ss.
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a) monitorare i rischi di mancato adempimento degli obblighi previsti dall’art. 121-bis del c.a.p., dal Capo III del Regolamento (UE) n. 2017/2358 e dalle norme del Regolamento in commento, ivi compresa la verifica della correttezza ed efficacia dei meccanismi distributivi definiti dal documento scritto di cui dell’art. 10, del medesimo Regolamento; b) evidenziare eventuali criticità derivanti dal monitoraggio di cui alla lett. a); c) assicurare la completezza dei flussi informativi previsti dalla normativa. d) mettere a disposizione dell’IVASS, su richiesta di quest’ultimo, il documento scritto sui meccanismi di distribuzione di cui all’art. 10 del Regolamento (UE) n. 2017/2358 e la documentazione relativa alle verifiche di cui al co. 1. Infine, è previsto altresì che l’unità o la struttura interna all’intermediario responsabile per la distribuzione assicurativa [v. art. 10, par. 5, del Regolamento (UE) n. 2017/2358] deve avere caratteristiche coerenti con la dimensione dell’intermediario e la complessità dell’attività svolta. C. Rapporti di collaborazione. Infine, il Regolamento in commento prevede, infine, stretti rapporti di collaborazione fra tutti gli intermediari indicati al co. 2, lett. a), b), d) e f), dell’art. 109 del c.a.p. e quelli che sono indicati alle lett. e) del medesimo comma. I primi intermediari devono: a) fornire agli intermediari di cui al co. 2, lett. e), dell’art. 109 del c.a.p. le informazioni significative relative al mercato di riferimento e alla strategia distributiva adottata dal produttore o dall’intermediario che ha conferito l’incarico di collaborazione; b) individuare le modalità di trasmissione nei loro confronti delle informazioni acquisite dagli addetti all’attività di intermediazione di cui al co. 2, lett. e), dell’art. 109 del c.a.p. o operanti all’interno dei locali di cui gli intermediari si avvalgono; c) verificare che l’attività di distribuzione effettuata dagli intermediari di cui al co. 2, lett. e), dell’art. 109 del c.a.p. sia coerente con il mercato di riferimento e con la strategia di distribuzione adottata dal produttore e dall’intermediario che ha conferito l’incarico di collaborazione. Una volta dettate queste regole generali in merito ai rapporti di collaborazione, l’art. 16 del Regolamento in commento, prevede alcune norme speciali: in primo luogo, le imprese di assicurazione devono effettuare le attività sub a), b) e c) quando distribuiscono i propri prodotti assicurativi tramite gli intermediari di cui al co. 2, lett. c), dell’art. 109 del c.a.p.;
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in secondo luogo, gli intermediari operativi di cui al co. 2, lettere a), b) e d), dell’art. 109 del c.a.p. che svolgono attività di collaborazione orizzontale sono responsabili per la violazione degli obblighi previsti dal Capo III del Regolamento (UE) n. 2017/2358. Infine, sono previsti obblighi anche a carico degli intermediari coinvolti nella collaborazione orizzontale20 che devono comunque: a) assicurare che le informazioni significative relative al prodotto di investimento assicurativo vengano trasferite dal soggetto che lo realizza al soggetto abilitato alla distribuzione assicurativa finale; b) qualora il soggetto che realizza il prodotto di investimento assicurativo richieda informazioni sulle vendite del prodotto di investimento assicurativo al fine di adempiere agli obblighi previsti dal Regolamento (UE) n. 2017/2358, consentire a quest’ultimo di acquisire quanto richiesto.
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Abstract L’elaborato ha ad oggetto l’analisi della recentissima disciplina in materia dei requisiti di governo e controllo dei prodotti assicurativi. L’analisi è svolta con riferimento non solo al regolamento n. 45 del 4 agosto 2020 con il quale l’IVASS ha dettato specifiche disposizioni in materia ma anche alla disciplina primaria dettata dal Cap e, in particolare, all’art. 30-decies unitamente alle norme disposte dal Regolamento delegato (UE) n. 2017/2358 che integra la direttiva europea 2016/97 più nota come Insurance Distribution Directive. Obiettivo del lavoro è anche quello di verificare gli effetti delle norme citate sulla governo societario non solo delle imprese di assicurazione produttrici ma anche degli intermediari produttori di fatto e degli altri intermediari assicurativi.
20 Per “collaborazione orizzontale” ai sensi dell’art. 2, co. 1 del Regolamento in commento si intende la “collaborazione e tra intermediari operativi iscritti nelle sezioni A, B, D del Registro degli intermediari assicurativi, anche a titolo accessorio, e riassicurativi di cui all’articolo 109 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, o nell’Elenco annesso al Registro di cui all’articolo 116-quinquies del medesimo decreto, ai sensi dell’articolo 22, comma 10, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221”.
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*** The paper deals with the analysis of the recent discipline of the product oversight and governance requirements for insurance undertakings and insurance distributors. The analysis is carried out with reference not only to Regulation no. 45 of 4 August 2020 with which the Italian Institute for Insurance Supervision (IVASS) has issued specific provisions in the matter but also to the primary discipline dictated by the Italian Codice delle Assicurazioni Private (CAP) and, in particular, to art. 30-decies together with the rules laid down by Delegated Regulation (EU) No. 2017/2358, which integrates the European Directive no. 2016/97 better known as the Insurance Distribution Directive. The objective of the work is also to verify the effects of the above-mentioned rules on corporate governance not only of the insurance companies manufacturing insurance products but also of the insurance intermediaries.
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Indici dell’annata
PARTE SECONDA LEGISLAZIONE La revisione del secondo pilastro dell’Unione bancaria da parte del Reg. UE 2019/877, c.d. SRMR2 – Regolamento (UE) 2019/877 del 20 maggio 2019 che modifica il Regolamento (UE) n. 806/2014 per quanto riguarda la capacità di assorbimento delle perdite e di ricapitalizzazione per gli enti creditizi e le imprese di investimento pag.
3
Il pacchetto bancario sul rafforzamento del quadro prudenziale e di gestione delle crisi: la revisione del Meccanismo unico di risoluzione, secondo pilastro dell’Unione bancaria, tramite il regolamento (UE) 2019/877, di Antonella Brozzetti
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43
Il credito su pegno negli USA – New York Uniform Commercial Code, art. 9; Code of Alabama, title 5, chapter 19A; New York General Business Laws, art. 5, par. 49; New Hampshire Revised Statutes, title XLI, chapter 444: 5; Florida Statutes, title XXXIII, chapter 539
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95
Your Money and Your Life: how loose legislation and financial needs have mande pawnbrokers thriving, di Eugenio Prosperi
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Le azioni revocatorie concorsuali nello schema di decreto correttivo del Codice della crisi – I. Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 14/2019, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (art. 20); II. Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo (art. 20), con osservazioni di Alessandro Nigro
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75
Governo e controllo dei prodotti assicurativi – Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, Regolamento del 4 agosto 2020 recante disposizioni in materia di requisiti di governo e controllo dei prodotti assicurativi ai sensi del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (codice delle assicurazioni private)
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La disciplina del “governo e controllo” del prodotto assicurativo ed i suoi riflessi sul governo societario di imprese di assicurazione ed intermediari, di Ciro G. Corvese
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DOCUMENTI E INFORMAZIONI
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NORME REDAZIONALI
a. I contributi proposti per la pubblicazione (saggi, note a sentenza, ecc.) debbono essere inviati, in formato elettronico (word), al Direttore responsabile prof. avv. Alessandro Nigro al seguente indirizzo email alessandro.nigro@tiscali.it È indispensabile l’indicazione nella prima pagina (in alto a destra) dell’indirizzo email, per l’invio delle bozze. b. I contributi proposti per la pubblicazione sono preventivamente vagliati dalla Direzione. Quelli che superano tale vaglio vengono trasmessi, in forma anonima, ad uno dei componenti della apposita struttura di revisione, coordinata dal prof. Daniele Vattermoli. Il revisore rimette al coordinatore la sua relazione che, in forma anonima, è trasmessa al Direttore il quale, se la relazione è positiva, autorizza la pubblicazione del contributo.
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto
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Norme redazionali
corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. … 4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile codice di commercio
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c.c. c.comm.
Norme redazionali
Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall. legge cambiaria l.camb. testo unico t.u. testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) t.u.b. testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58) t.u.f. 2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc.
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Norme redazionali
Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur. Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm.
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Norme redazionali
Rivista della cooperazione Rivista delle società Rivista del diritto commerciale Rivista del notariato Rivista di diritto civile Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista di diritto societario Rivista giuridica sarda Rivista italiana del leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile
Riv. coop. Riv. soc. Riv. dir. comm. Riv. not. Riv. dir. civ. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. RDS Riv. giur. sarda Riv. it. leasing Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.
4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria
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