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SAGGI

Pluralismo dell’informazione politica sui media. Criticità ed esigenze di regolazione del web

di Brunella Bruno

Sommario: 1. Premessa: i recenti casi delle elezioni regionali italiane e delle elezioni USA. – 2. La situazione italiana. – 3. Dibattito USA. – 4. Emersione delle convergenze. – 5. Centralità del ruolo delle Istituzioni e delle Autorità nazionali ed europee.

Il contributo si propone, muovendo da un’analisi empirica, di rilevare la crescente esigenza di definizione di un nuovo quadro regolatorio in materia di pubblicazione e rimozione dei contenuti su internet illustrando le iniziative avviate in altri contesti e, in specie, in quello statunitense, e la centralità, in ambito europeo, del ruolo dei Parlamenti, dei Governi e delle Autorità nazionali, investiti della responsabilità di predisporre, con tempestività, misure adeguate di tutela. Nella consapevolezza della rapida evoluzione che si registra sul tema in esame, il presente lavoro vuole costituire una preliminare analisi per l’avvio di successivi approfondimenti che favoriscano, nella trama delle iniziative più complessive e generali che vanno delineandosi a livello europeo, una più nitida individuazione delle misure di intervento a livello nazionale, necessariamente integrate, in quanto involgenti una pluralità di settori ordinamentali, e, quindi, connotate da una interdisciplinarità di approccio. The contribution is set out following an empiric analysis in order to highlight the increasing need for a better understanding for a new regulation for publication and application on Internet following the trend in the USA taking into account the European Parliament role of government and national authorities responsible for rapid implementation. In the awareness of the rapid evolution that is recorded on the topic under examination, this contribution, therefore, intends to constitute a preliminary analysis for the launch of subsequent in-depth studies that favor, in the plot of more comprehensive and general initiatives that are taking shape at European level clearer identification of intervention measures at national level, necessarily integrated, as they involve a plurality of legal sectors, and, therefore, characterized by an interdisciplinary approach.

1. Premessa: i recenti casi delle elezioni regionali italiane e delle elezioni USA

La pubblicazione dei dati da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) sul monitoraggio dei telegiornali e dei programmi d’informazione durante l’ultima campagna elettorale (1) per l’elezione dei Presidenti di numerose Regioni, unitamente al dibattito statunitense sulla neutralità dei social media durante la recente campagna elettorale presidenziale, offrono lo spunto per alcune riflessioni sul delicato tema del pluralismo dell’informazione politica e sullo stato della relativa disciplina, con analisi comparata dei relativi approcci. Ripercorriamo in estrema sintesi i fatti: il 20 e 21 settembre 2020 i cittadini delle regioni Valle d’Aosta, Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia sono stati chiamati alle urne per il rinnovo dei rispettivi Consigli regionali (2), mentre negli USA, con un procedimento elettorale articolato e differenziato nei tempi e nei modi anche tra singoli Stati, si sono confrontati i due candidati dei rispettivi partiti, Repubblicano e Democratico, che da oltre un secolo concorrono per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America. Il parallelismo tra elezioni regionali italiane e Presidenziali USA può sembrare fuori luogo, ma fornisce un utile spunto per focalizzare l’attenzione sulle problematiche emergenti nello svolgimento delle competizioni elettorali in sistemi pure caratterizzati da significative differenze.

2. La situazione italiana

L’importanza politica delle elezioni regionali è stata senza dubbio rilevante (3) e particolarmente intenso è stato

(1) AGCOM, La campagna elettorale 2020. Elezioni regionali del 20 e 21 settembre 2020. Monitoraggio dei tg e dei programmi di informazione. Periodo: 6 agosto- 19 settembre 2020. Rinvenibile su <www.agcom. it>. (2) Le 7 regioni interessate dalle elezioni hanno una popolazione complessiva di circa 24,5 milioni di abitanti. (3) È sufficiente, al riguardo, un esame della prima pagina dei quotidiani del 22 settembre 2020, ad esito elettorale acclarato, disponibili sul sito: <https://www.dire.it/22-09-2020/505808-prime-pagine-quotidiani-22-settembre-2020/>.

l’impegno dell’AGCOM per garantire il rispetto del pluralismo d’informazione, come dimostra il monitoraggio pubblicato nel novembre scorso. È utile evidenziare quale sia, tuttavia, il “pluralismo” dell’informazione politica che la legge italiana tutela e quali sono i canali di comunicazione effettivamente monitorati. Senza approfondire, per necessaria sintesi, i numerosi richiami costituzionali al pluralismo e alla parità di opportunità, le fonti normative italiane sul pluralismo sono state essenzialmente prodotte nel quadriennio 1997-2000, determinando negli anni immediatamente successivi aggiustamenti e consolidamenti, ma in un quadro di sostanziale omogeneità. Con la legge n. 249 del 1997 (4), istitutiva dell’AGCOM, sono state attribuite all’Autorità vaste competenze, anche sanzionatorie, con riferimento, ai fini che in questa sede rilevano, all’osservanza delle norme in materia di equità di trattamento e di parità di accesso nelle pubblicazioni e nella trasmissione di informazione e di propaganda elettorale (5). Con la legge n. 28 del 2000 (6) sono state introdotte le disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica. Con la legge n. 150 del 2000 (7) il Parlamento ha regolato il ruolo della pubblica amministrazione nell’attività di informazione e comunicazione, anche al fine di perimetrare l’ambito di intervento del Governo e delle amministrazioni statali. Il decreto legislativo n. 177 del 2005 (8) ha consolidato in un “Testo unico della radiotelevisione” la normazione intervenuta negli anni immediatamente successivi alle riforme sopra indicate. Il decreto legislativo n. 44 del 2010 (9), infine, è significativamente intervenuto sul predetto Testo unico per adeguarlo all’intervenuta normazione europea sia in

(4) Legge 31 luglio 1997, n. 249, recante Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo. (5) Art. 1, comma 6, lett. b), n. 9, della legge 31 luglio 1997, n. 249. (6) Legge 22 febbraio 2000, n. 28, recante “Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica”. (7) Legge 7 giugno 2000, n. 150, recante “Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”. (8) Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, “Testo unico della radiotelevisione”, titolo poi mutato nel 2010 in “Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici”. (9) Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44, recante Attuazione della direttiva 2007/65/CE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive. materia di televisioni che di fornitura di servizi via internet, mutando, tra l’altro, il titolo del testo normativo in “Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici”. Il succinto elenco delle fonti introduce l’analisi del monitoraggio effettuato dall’AGCOM sulla predetta base normativa. Un primo elemento di riflessione riguarda la evidente prevalenza dell’attenzione italiana al sistema radiotelevisivo rispetto al mondo dei social media. Il monitoraggio è focalizzato sui canali informativi tradizionali, telegiornali e programmi di informazione, in linea con le prescrizioni normative. Prescrizioni, tuttavia, concentrate essenzialmente sulla Radio TV. Con ciò non dev’essere sottaciuto il ruolo tuttora decisivo nella pluralità d’informazione politica svolto dai media tradizionali; il monitoraggio AGCOM al riguardo è illuminante sul relativo peso: nel periodo elettorale considerato – 6 agosto 19 settembre 2020 - mediamente sono state in media giornalmente coinvolti circa 8,5 milioni di italiani, con punte di quasi 20 milioni in prima serata. Sotto il profilo dei contenuti, mediamente il 24,5% dei telegiornali (10) sono dedicati alla politica. Secondo il monitoraggio dell’AGCOM, nel periodo elettorale considerato, i due maggiori telegiornali italiani, Tg1 e Tg5, hanno assorbito circa il 43,5% dell’audience della prima serata, rivolgendosi direttamente a circa 7,5 milioni di persone a sera. Alla consuetudine informativa dei TG si affiancano i talk show aventi carattere di informazione politica, o comunque ospitanti personaggi politici, e classificati dall’AGCOM come programmi di approfondimento. Si tratta di programmi che riescono ad avere share rilevanti e che, dal monitoraggio AGCOM, per oltre la metà del tempo di trasmissione (52%) si occupano di argomenti e personaggi politici (11). I media tradizionali quindi, continuano a costituire asse portante della comunicazione politica italiana: il monitoraggio che da molti anni viene condotto dall’AGCOM è, dunque, un elemento di tutela dell’esercizio della democrazia e per il concreto attuarsi di quanto previsto dall’articolo 51 Cost.. La possibilità di poter “accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza” riguarda ovviamente anche la parità di opportunità che i media stessa devono poter offrire ai cittadini “dell’uno o dell’altro sesso”.

(10) Valore medio dei contenuti dei sei telegiornali di Rai e Mediaset. Fonte: nostra elaborazione su dati Monitoraggio AGCOM. (11) Monitoraggio AGCOM, cit., 90.

E il monitoraggio AGCOM evidenzia in questo campo i maggiori squilibri nell’informazione politica. Esaminando il tempo totale di parola offerto a soggetti politici e istituzionali nel corso dei telegiornali durante il predetto periodo elettorale, il monitoraggio AGCOM rileva la scarsa presenza delle candidate di sesso femminile: il 22% per i TG RAI e il 17% per i TG Mediaset, a testimonianza di un cammino ancora incompiuto per l’attuazione dell’art. 51 Cost.. L’azione di vigilanza nei confronti dei media tradizionali è dunque intensa e strutturata, grazie ad un assetto legislativo e organizzativo perfezionato nel corso dell’ultimo ventennio. Più complessa, invece, è la situazione del monitoraggio delle fonti informative attraverso i social media. Facebook, Twitter e Instagram, per citare i tre maggiori, ma anche la new entry Tik tok, costituiscono ancora un campo poco esplorato per la verifica delle condizioni di pari opportunità – in senso economico, sociale e di genere – per l’accesso alle cariche politiche. La legislazione italiana, come rilevato risalente a dieci anni fa nella sua più strutturata normazione, non ha finora affrontato in modo organico l’impiego massivo dei social nel corso di campagne elettorali. Il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (di seguito TUSMAR) all’articolo 2, sembra escludere dalla definizione di “servizio di media audiovisivo” i maggiori social (12). Eppure la capacità di influenza dei social nelle competizioni elettorali è ormai da anni un dato, tanto da parlare del “sorpasso” dei nuovi canali di comunicazione – in primis i social network – su qualunque altro mezzo utilizzato in passato per conquistare il consenso degli elettori (13). Le campagne di consenso on line, mutuando modelli statunitensi, sono divenute strumenti cardine

(12) Sancisce l’art. 2 del decreto legislativo n. 177/05 e s.m.i.: “Non rientrano nella definizione di “servizio di media audiovisivo”: i servizi prestati nell’esercizio di attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti Internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse; ogni forma di corrispondenza privata, compresi i messaggi di posta elettronica; i servizi la cui finalità principale non è la fornitura di programmi; i servizi nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale, quali, a titolo esemplificativo: a) i siti internet che contengono elementi audiovisivi puramente accessori, come elementi grafici animati, brevi spot pubblicitari o informazioni relative a un prodotto o a un servizio non audiovisivo; b) i giochi in linea; c) i motori di ricerca; d) le versioni elettroniche di quotidiani e riviste; e) i servizi testuali autonomi; f) i giochi d’azzardo con posta in denaro, ad esclusione delle trasmissioni dedicate a giochi d’azzardo e di fortuna;”. (13) Lezzi, Comunicazione social dei partiti e narrazione euroscettica nelle europee 2019, in Documenti IAI – Istituto Affari Internazionali, n. 15, agoper le competizioni elettorali e per il contatto diretto tra candidato ed elettore (14). La crescita esponenziale dell’importanza dei social è legata anche allo strumento di “visione”: lo smartphone ha sostituito da anni il televisore quale strumento di ricezione della comunicazione (15) ribaltando le gerarchie anche nelle fonti informative. Conseguentemente, l’importanza dei motori di ricerca, che il TUSMAR esclude dalla definizione di “servizio di media audiovisivo”, è aumentata a dismisura nel campo dell’informazione politica. L’Ordine dei Giornalisti italiani (16) ha stimato, nel 2019, che il 75% della pubblicità digitale era appannaggio di soli tre soggetti globali che nulla avevano a che fare con il mercato editoriale professionale, ma soprattutto che l’87 % di ogni query, ossia ricerca on line, veniva canalizzato da Google. E quando parliamo di ricerca on line inevitabilmente parliamo anche di accesso all’informazione politica. La carenza normativa in materia di pluralismo sui social è riscontrabile anche dalla ristretta operatività dell’AGCOM in tale settore. Sempre prendendo ad analisi l’ultima campagna elettorale regionale, che ha visto in concomitanza anche elezioni per i Sindaci di numerose città, l’intervento più significativo dell’AGCOM in tema di pluralismo e par condicio sui social ha riguardato la pagina Facebook del Sindaco di Venezia (17). La vicenda, in fatto, era la seguente. Il Sindaco di Venezia in carica, candidato alle elezioni comunali per essere riconfermato, pubblicava sul suo profilo facebook alcuni post relativi all’attività del Comune di Venezia durante il periodo di campagna elettorale, in violazione, secondo quanto contestato, della par condicio tra i candidati. Ciò in quanto il profilo facebook privato del Sindaco riportava la dicitura “Pagina ufficiale di L.B., Sindaco di Venezia”, pur essendo l’amministrazione comunale estranea al profilo in questione. Dall’esito dell’istruttoria è scaturita la Delibera AGCOM n. 543/20/cons. del 22 ottobre 2020, con

sto 2019, disponibile alla pagina web <https://www.iai.it/sites/default/ files/iai1915.pdf>. (14) CeperniCh, Le campagne elettorali al tempo della networked politics, Roma/Bari, 2017, 5. (15) AdreACtion, Marketing in a multiscreen world, 2014, disponibile alla pagina web: <http://boletines.prisadigital.com/Millward-Brown_AdReaction-2014_Global.pdf>. (16) Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, “Google: libertà di accesso su tutta l’informazione, a cominciare dagli algoritmi”, 9 gennaio 2019, disponibile alla pagina web: <https://www.odg.it/google-liberta-di-accesso-su-tutta-linformazione-a-cominciare-dagli-algoritmi/31734>. (17) Delibera AGCOM n. 543/20/cons. del 22 ottobre 2020 - Ordine nei confronti del Comune di Venezia per la violazione dell’art. 9 della legge 22 febbraio 2000, n. 28.

cui l’AGCOM, riconoscendo la violazione della norma sulla par condicio – art. 9 della legge n. 28/2000 che prevede che “dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni” –, ha imposto al Sindaco di Venezia di pubblicare sulla pagina facebook in questione un messaggio recante l’indicazione di non rispondenza a quanto previsto dall’articolo 9 della legge 22 febbraio 2000, n. 28 della comunicazione istituzionale realizzata durante la campagna elettorale. L’impegno argomentativo profuso dall’AGCOM nell’esplicitazione dei giustificativi alla base della determinazione adottata, il cui passaggio nodale è costituito dalla riferibilità della pubblicazione in contestazione al Sindaco nella sua veste istituzionale, con conseguente riconducibilità all’ambito applicativo della sopra indicata disposizione dell’art. 9 della l. n. 28 del 2000, rende evidente che, in assenza di una profonda revisione della disciplina normativa e procedurale, le potenzialità insite nei poteri di cui è attributaria la stessa Autorità faticano a trovare piena esplicazione nel contrasto delle fattispecie di informazione non corretta che si svolgono sui social. E l’efficacia degli interventi è determinata non solo dal perimetro della legittimazione all’esercizio di poteri di regolazione, vigilanza e sanzionatori ma anche dalla tempestività sia di intervento sia dell’ottemperanza alle misure disposte. L’attuazione dell’art. 51 della Costituzione sul terreno dei social media è, dunque, tutta da scrivere ed il legislatore nazionale sinora si è trovato nel dilemma, al pari del legislatore statunitense, di contemperare la libertà di espressione e indipendenza di internet – e quindi dei social – con la necessità di ottemperare al dettato costituzionale di pari opportunità di accesso alle cariche politiche (18).

3. Dibattito USA

Si è citato non casualmente il legislatore USA perché il dilemma di garantire una neutralità – e quindi pari op-

(18) Le tematiche giuridiche connesse all’uso dei social network (e dei loro strumenti) si arricchiscono di un ulteriore elemento di interesse derivante dal recente decreto “Semplificazioni”. L’attività della pubblica amministrazione, attuata anche mediante i social network, finisce per generare anch’essa una forma di responsabilità. Sul punto cfr. il saggio che segue, tripodi, Pubblico e privato dei Media-Social-Network. Un breve promemoria sulle responsabilità, in questa Rivista, 2021, 11. Più in generale, sul tema del diritto delle comunicazioni nell’era digitale, la bibliografia sarebbe sterminata. Si rinvia per un inquadramento del problema a G. Bruno, Principi fondamentali e sistema delle fonti, in G. Bruno (a cura di), Diritto delle comunicazioni, Torino, 2019, 1. portunità – dei social durante le competizioni elettorali è da anni un tema centrale del dibattito USA. Il 23 settembre 2020 il Dipartimento di Giustizia Statunitense ha inviato al Congresso la proposta di riforma del “Section 230 of the Communications Decency Act” del 1996 (19). La Section 230, nel regolare la responsabilità delle piattaforme on line in ordine ai contenuti da esse pubblicati, in appena 26 parole afferma che: “Nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi”. Emanata nel 1996 per favorire il commercio on line attraverso lo sgravio delle responsabilità delle piattaforme dai reclami basati su contenuti di terze parti ospitati dalla piattaforma, negli anni la norma ha consentito alle piattaforme, e anche ai social come Facebook e Twitter, una vasta deresponsabilizzazione in molteplici aspetti, sottolineata nel famoso tweet del Presidente USA Trump (20). Colpisce l’essenzialità e il lessico lapidario della legislazione USA, che con una sola frase ha sancito che le piattaforme non sono responsabili di ciò che viene pubblicato su di esse, potendo, anzi, gestire con ampia discrezionalità la pubblicazione o la rimozione dei contenuti presenti sulle piattaforme, senza nessuna conseguenza giudiziaria. Pochi giorni dopo il Tweet, il Presidente USA ha emanato un “Executive Order on Preventing Online Censorship (21)” L’Order sottende allo scopo di promuovere e tutelare la diversità dei punti di vista espressi nello spazio comunicativo digitale, incoraggiando l’adozione di parametri e strumenti atti a garantire la libertà di espressione. Le attività delle piattaforme Internet di selezione delle espressioni visualizzabili e pubblicabili sono state ricondotte dall’Order ad attività di creazione di contenuti, e non di semplici “contenitori”, con conseguente

(19) <https://www.justice.gov/opa/pr/justice-department-unveils-proposed-section-230-legislation>. Più in particolare la §230(c)(2) prevede che “nessun provider o utente di un servizio informatico interattivo può essere ritenuto responsabile per: (A) qualsiasi azione intrapresa volontariamente in buona fede per limitare l’accesso o la disponibilità di materiale che il provider o l’utente considera osceno, lascivo, turpe, eccessivamente violento, molesto o comunque discutibile, indipendente dal fatto che tale materiale sia costituzionalmente protetto o meno; o (B) qualsiasi azione intrapresa per consentire o rendere disponibile ai fornitori di contenuti informativi o ad altri i mezzi tecnici per limitare l’accesso al materiale descritto nel paragrafo (1)”. In tal modo è stata formalizzata la c.d. regola della protezione del buon samaritano (c.d. Good Samaritan protection). (20) “REVOKE 230!” — Donald J. Trump (@realDonaldTrump) May 29, 2020 (21) Per il testo integrale dell’Order v. <https://www.whitehouse.gov/ presidential-actions/executive-order-preventing-onlinecensorship/>.

esclusione della generalizzata immunità prevista dalla section230(c) (22). Con l’Order è stato, inoltre, richiesto all’Attorney General statunitense di formulare una bozza di legge limitativa delle tutele giuridiche approntate dalla section 230, bozza predisposta nel settembre 2020 e comunicata al Senato USA. Del pari, sono stati sollecitati gli interventi di due commissioni indipendenti, essendo stato richiesto alla Federal Communications Commission di formulare un regolamento per chiarire le condizioni in presenza delle quali le società informatiche perdono l’immunità predisposta dalla section230(c), ed alla Federal Trade Commission di avviare ricorsi in giudizio contro le società che dimostrano parzialità politica nel corso della moderazione dei contenuti pubblicati sui loro siti. La lettera dell’ Attorney General del Department of Justice al Presidente del Senato USA del 23 settembre 2020 (23) sulla necessità della riforma della Section 230 chiarisce esplicitamente le motivazioni dell’Amministrazione Trump sul tema:

“The beneficial role Section 230 played in building today’s internet, by enabling innovations and new business models, is undisputed. It is equally undisputed, however, that the internet has drastically changed since I 996. Many of today’s online platforms are no longer nascent companies but have become titans of industry. Platforms have also changed how they operate. They no longer function as simple forums for posting third-party content, but use sophisticated algorithms to suggest and promote content and connect users. Platforms can use this power for good to promote free speech and the exchange of ideas, or platforms can abuse this power by censoring lawful speech and promoting certain ideas over others”.

La Section 230 b) attualmente prevede che le piattaforme non devono “essere trattate come l’editore o il relatore di qualsiasi informazione fornita da [terze parti]”, mentre la Section 230 (c) protegge alcune decisioni di moderazione dei contenuti volontariamente assunte in buona fede. Secondo l’amministrazione proponente, la riforma consentirebbe alle piattaforme di moderare i contenuti ritenuti dalle stesse dannosi, senza essere automaticamente responsabili dei contenuti “censurati”. La riforma della Section 230 ha alimentato un intenso dibattito a livello anche di Congresso e Senato, con audizione, da parte di quest’ultimo, nel novembre 2020,

(22) Per un commento dell’Order, cfr. Corte costituzionale – Servizio studi, “Trump firma l’Executive Order on Preventing Online Censorship”, 29/05/2020, disponibile su <https://www.cortecostituzionale.it/ documenti/segnalazioni_corrente/Segnalazioni_1590750187396.pdf>. (23) <https://www.justice.gov/file/1319346/download>. di Mark Zuckerberg e Jack Dorsey, fondatori rispettivamente di Facebook e Twitter (24). Punto chiave della riforma del Section 230 è chiaramente la possibilità delle piattaforme internet, di censurare, senza responsabilità, contenuti dei social, nonché l’esistenza di potenziali pregiudizi nei loro algoritmi e nelle decisioni di moderazione dei contenuti. Su tali questioni Zuckerberg e Dorsey hanno sostanzialmente confermato la correttezza e la trasparenza dell’operato delle loro piattaforme, autoassolvendole dalle accuse di influire, anche solo indirettamente, sui comportamenti e sulle visualizzazioni degli utenti. La semplicità di approccio dei due CEO nel Senato USA, lontana dagli standard del dibattito italiano, è per alcuni versi giuridicamente disarmante: Dorsey, per esempio, ha sostenuto di dare agli utenti di Twitter una scelta più ampia negli algoritmi che decidono le visualizzazioni dei contenuti semplicemente consentendo agli utenti di scegliere di visualizzare i tweet in ordine cronologico, piuttosto che in base all’algoritmo di Twitter. Non va dimenticato che la customer satisfation è essenzialmente l’unica legge che guida le Company statunitensi e la semplicità d’uso dei social viene prima delle esigenze delle amministrazioni pubbliche. Il dibattito negli USA è tuttora aperto, anche sull’opportunità di intervenire normativamente sulla materia. Non v’è dubbio, tuttavia, che una modifica della Section 230 non potrà che avere effetti importanti ben oltre i confini statunitensi.

4. Emersione delle convergenze

Una limitazione negli USA dell’attuale completa indipendenza – rectius “impermeabilità” – delle piattaforme da ogni forma di controllo sui meccanismi di indicizzazione e di “censura” di contenuti non potrebbe non avere riflessi anche in altri contesti, incluso quello europeo. A livello nazionale sinora emerge l’impegno in sede giurisdizionale ad assicurare, con gli strumenti attualmente previsti, la tutela della libertà di contenuto delle piattaforme, ma inevitabilmente l’incidenza è riferita a singole fattispecie e con tempistiche non compatibili con le dinamiche di svolgimento dei rapporti in generale e con lo svolgimento delle competizioni elettorali in particolare (25).

(24) I due CEO erano stati già auditi in ottobre, in relazione a una controversia concernente su come, entrambe le piattaforme social, avessero gestito un articolo non verificato del New York Post sul presidente eletto Joe Biden e suo figlio, Hunter. Sull’audizione dei due Founders, e sulle ragioni fattuali del dibattito, cfr. anche <https://www.cnbc. com/2020/11/17/facebook-twitter-defend-election-moderation-practices-before-senate.html>. (25) Si reputa sufficiente ricordare, a tale proposito, che proprio in considerazione dei rilevanti interessi implicati nelle competizioni elettorali, il legislatore ha delineato, relativamente al contenzioso sulle operazioni

Al riguardo, si ritiene di richiamare l’ordinanza del Tribunale di Roma, Sez. Impresa, 12 dicembre 2019 (26) sulla disattivazione del profilo Facebook dell’Associazione Casapound, di cui si riportano alcuni passi:

“È evidente il rilievo preminente assunto dal servizio di Facebook (o di altri social network ad esso collegati) con riferimento all’attuazione di principi cardine essenziali dell’ordinamento come quello del pluralismo dei partiti politici (49 Cost.), al punto che il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano, come testimoniato dal fatto che la quasi totalità degli esponenti politici italiani quotidianamente affida alla propria pagina Facebook i messaggi politici e la diffusione delle idee del proprio movimento. Ne deriva che il rapporto tra FACEBOOK e l’utente che intenda registrarsi al servizio (o con l’utente già abilitato al servizio) non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati qualsiasi in quanto una delle parti, appunto FACEBOOK, ricopre una speciale posizione: tale speciale posizione comporta che FACEBOOK, nella contrattazione con gli utenti, debba strettamente attenersi al rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali finché non si dimostri (con accertamento da compiere attraverso una fase a cognizione piena) la loro violazione da parte dell’utente. Il rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali costituisce per il soggetto FACEBOOK ad un tempo condizione e limite nel rapporto con gli utenti che chiedano l’accesso al proprio servizio. Non è possibile sostenere che la responsabilità (sotto il profilo civilistico) di eventi e di comportamenti (anche) penalmente illeciti da parte di aderenti all’associazione possa ricadere in modo automatico sull’Associazione stessa (che dovrebbe così farsene carico) e che per ciò solo ad essa possa essere interdetta la libera espressione

elettorali devoluto alla giurisdizione amministrativa, riti improntati ad un criterio di celerità, con introduzione di una tutela anticipata avverso gli atti di esclusione (art. 129 c.p.a.) e l’eccezionale dimezzamento del termine per proporre ricorso contro gli esiti delle elezioni (art. 130 c.p.a.), oltre che di tutti gli altri termini del procedimento; cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 marzo 2016, n. 1190; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II bis, 18 maggio 2018, n. 555, entrambe reperibili sul sito istituzionale della Giustizia amministrativa. (26) Tribunale di Roma, sez. spec. impresa, 12 dicembre 2019, in questa Rivista, 2020, 63 ss., con commento di VenAnzoni, Pluralismo politico e dibattito pubblico alla prova dei social network, in Danno e resp., 2020, 487 ss., con nota di QuArtA, Disattivazione della pagina Facebook. Il caso CasaPound tra diritto dei contratti e bilanciamento dei diritti, e in Foro it., 2020, I, 722 ss. Nell’ordinanza con chiarezza viene evidenziato che la disattivazione di una pagina Facebook può essere eseguita dal gestore del social network soltanto a seguito di un giudizio di piena cognizione che accerti l’illiceità dei contenuti memorizzati, pena la violazione del principio costituzionale del pluralismo politico e del diritto alla libertà di espressione. del pensiero politico su una piattaforma così rilevante come quella di FACEBOOK”.

La decisione, di accoglimento del ricorso con ordine alla società di riattivazione della pagina dell’Associazione, è stata confermata, in esito al riesame proposto Facebook, con l’ordinanza collegiale della VII Sez. Civile del Tribunale di Roma (camera di consiglio del 29.04.2020) con la quale – disponendosi, tra l’altro, la correzione dell’iscrizione del procedimento come procedimento ordinario e non della sezione specializzata imprese –, è stato sottolineato che “se la posizione del gestore è riconducibile alla libertà di impresa tutelata dall’art. 41 della Costituzione, quella dell’utente è riconducibile, di fronte a contestazioni relative alle opinioni espresse sulla piattaforma, alla libertà di manifestazione del pensiero protetta dall’art. 21 e, di fronte a contestazioni relative alla natura ed agli scopi dell’associazione, all’art. 18 e quindi a valori che nella gerarchia costituzionale si collocano sicuramente ad un livello superiore”; ciò con la conseguenza che “la disciplina contrattuale non può lecitamente assumere quale causa di risoluzione del rapporto manifestazioni del pensiero protette dall’art. 21 né consentire l’esclusione di associazioni tutelate dall’art. 18” (27). A conclusioni opposte, e cioè, nel senso della legittimità della rimozione da parte di Facebook di profili di alcuni amministratori di numerose pagine riconducibili alle diverse articolazioni territoriali e non di un’organizzazione ritenuta particolarmente attiva nella propaganda razzista, xenofoba e antisemita, è addivenuto il medesimo Tribunale (28) – sezione diritti della persona

(27) Più in particolare, in sede di reclamo, il Tribunale di Roma, sez. XII, 29 aprile 2020, in questa Rivista (versione online), ha affermato la natura ordinaria del contratto con Facebook, pervenendo comunque al rigetto del ricorso giacché sarebbe preclusa all’autonomia privata la possibilità di comprimere l’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti. Da tale assunto si è tratto che l’esercizio del recesso non può andare a detrimento della libertà di associazione e di espressione, dovendo altrimenti configurarsi – in assenza di una giustificazione oggettiva che in concreto non si è ravvisata – un recesso illegittimo, che dunque, similmente a quanto accade nell’ambito lavoristico, dà corso alla tutela manutentivo-ripristinatoria del rapporto contrattuale. (28) Tribunale di Roma, sez. diritti della persona e immigrazione civile, 23 febbraio 2020, (e Tribunale di Siena, sez. unica civile, 19 gennaio 2020), in questa Rivista, 2020, 281 ss., con nota di SteLLA, Disattivazione ad nutum del profilo Faceboook: quale spazio per la tutela cautelare ex art. 700?. L’ordinanza romana è stata altresì pubblicata in Dir. dell’informazione e dell’informatica, 2020, 552 ss., con nota di MAzzoLAi, Hate speech e comportamenti d’odio in rete: il caso Forza Nuova c. Facebook. Sul punto di recente vedi Tribunale di Trieste; sezione civile; ordinanza 27 novembre 2020, n. 2032, in questa Rivista, 2021, 93, con nota di MAzzA, Facebook: l’ultimo episodio della saga chiude (ma non del tutto) le porte alla concessione della tutela d’urgenza, così massimabile “L’istanza cautelare di riattivazione degli accounts Facebook, avanzata a norma dell’art. 700 c.p.c., va respinta in rito giacché, non essendo garantita una tutela reale al termine della cognizione piena, è carente in radice un presupposto indefettibile per la concessione del rimedio d’urgenza. Nondimeno, Facebook deve restituire agli utenti i contenuti pubblicati sulla piattaforma prima del recesso”.

e immigrazione civile – attraverso puntuali riferimenti sia alla disciplina internazionale, europea e nazionale, (oltre che al Codice di Condotta UE del 2016 per contrastare l’illecito incitamento all’odio online, sottoscritto anche da Facebook, Microsoft, Twitter e YouTube, ai quali si sono aggiunti, dal 2018, Google+, Instagram, Snapchat e Dailymotion), sia alle plurime evidenze idonee a supportare la determinazione della piattaforma in ordine alla sussistenza dei presupposti per la rimozione dei contenuti dalla piattaforma. In sede giurisdizionale si riesce, tuttavia, allo stato, solo parzialmente a sopperire all’esigenza di un’evoluzione della normativa di riferimento, che impone anche un intervento “a monte” sulla stessa gestione dei motori di ricerca e delle connesse indicizzazioni, emergendo, come ineludibile, un impegno riformatore intersettoriale, di cui uno dei rilevanti tasselli è costituito dalla novellazione del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici.

5. Centralità del ruolo delle Istituzioni e delle Autorità nazionali ed europee

La conclusione del dibattito statunitense, che a seguito del cambio di Presidenza e di maggioranza in parlamento appare ora meno immediato, non costituisce una prospettiva soddisfacente, anche tenuto conto delle diverse sensibilità diffuse in quel contesto, evidenziate, del resto dalla circostanza che la Section 230 fu varata nel 1996 con il dichiarato scopo di far sviluppare il commercio on line. Occorrerà, inoltre, in quel contesto, attendere la stabilizzazione di un quadro di acceso fermento, al punto da avere indotto il fondatore di Facebook recentemente ad annunciare la drastica riduzione nel feed di notizie principali dei contenuti politici con eliminazione delle segnalazioni agli utenti delle pagine dei partiti e dei politici (29). In Europa Paesi come la Polonia hanno annunciato iniziative simili a quelle statunitensi per limitare l’impunibilità delle piattaforme in caso di censure o comportamenti che potrebbero intaccare la libertà di espressione (30), mentre il Governo tedesco ha espresso

(29) La nuova policy, allo stato pensata per il contesto statunitense, dovrebbe, poi, essere estesa a livello globale; cfr. <https://deadline. com/2021/01/facebook-ceo-mark-zuckerberg-politics-apple-regulation-and-virtual-reality-1234682078/>. Zuckerberg ha anche dichiarato: “On regulation overall, the point that I would to highlight is that it would be very helpful to us and the Internet sector for there to be clearer rules and expectations around some of these social issues, around how content should be handled, elections should be handled, what privacy norms the government wants to see in place. Because these questions all have tradeoffs”. (30) La notizia ha avuto risalto sulle principali testate giornalistiche e da parte delle agenzie di informazione dalle quali emerge la previsione, nel progetto predisposto, oltre che di un rigoroso impianto sanzionatorio, della istituzione di un “consiglio per la libertà di espressione” composto preoccupazioni per il comportamento avuto da social come Twitter nei recenti fatti USA sull’attacco al Congresso (31). La Commissione europea (32) ha avviato iniziative per promuovere una normativa organica sui servizi digitali, che porti chiarezza in merito alle responsabilità. Riconosce la stessa Commissione europea che l’esenzione di responsabilità per gli intermediari online è una pietra angolare della regolamentazione di internet: garantisce la possibilità di intervenire rapidamente contro i contenuti, i beni o i servizi illegali, ma fa anche sì che le piattaforme non siano incentivate a rimuovere contenuti legittimi e non siano obbligate a monitorare i propri utenti. Il nuovo intervento del legislatore europeo dovrebbe, in particolare mirare (33): - al rafforzamento ulteriore chiarimento delle condizioni per le esenzioni di responsabilità: le piattaforme e gli altri intermediari non sono responsabili del comportamento illecito degli utenti a meno che non siano a conoscenza di atti illeciti e non provvedano ad eliminarli; - all’armonizzazione delle norme relative all’eccezione di responsabilità, con uniformità in tutta l’UE, attraverso un regolamento direttamente applicabile; - a fornire nuovi chiarimenti sulle modalità di applicazione di tali condizioni alle regole concernenti la responsabilità per la tutela dei consumatori; - alla risoluzione del paradosso concernente le misure volontarie adottate dalle piattaforme di piccole dimensioni: le piattaforme conformi alla normativa non sono responsabili dei contenuti illeciti rilevati; - ad assicurare una maggiore certezza giuridica sull’interazione con le autorità: le ingiunzioni e gli ordini di accesso alle informazioni sugli utenti saranno sog-

da cinque membri, nominati per sei anni dal Parlamento tra personalità con requisiti di indipendenza, con il compito di esaminare, in tempi accelerati i reclami presentati dagli utenti; cfr. https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2021/01/15/polonia-una-legge-per-limitare-il-potere-dei-social-media-_e842f1c8-227b-4c6b-85fc-7622883cd72e.html. (31) <https://www.corriere.it/esteri/21_gennaio_11/merkel-trump-escluso-twitter-decisione-problematica-ba43cf5a-540a-11eb-ad41-ddad2172512f.shtml>. Da segnalare anche il rafforzamento dei poteri dell’autorità federale antitrust Bundes Netz Agentur (BNetzAg) secondo una linea di intervento che anticipa le misure previste da un’altra proposta della Commissione Ue, denominata Digital Markets Act. Tra le iniziative assunte dai singoli Stati, si evidenzia, sia pure con un più specifico scopo, quella avviata in Austria per l’approvazione di una legge nazionale contro l’hate speech. (32) Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on a Single Market For Digital Services (Digital Services Act) and amending Directive 2000/31/EC COM/2020/825 final. (33) Cfr. <https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/europe-fit-digital-age/digital-services-act-ensuring-safe-and-accountable-online-environment_it#quali-sono-le-prossime-tappe>.

getti a criteri minimi comuni, di modo che le piattaforme sappiano come comportarsi. I tempi di approvazione della legislazione europea appaiono, tuttavia, come spesso accade per questa materia, incompatibili con l’evoluzione del mercato digitale. Lo schema di regolamento dovrà infatti essere esaminato nei prossimi mesi da Parlamento europeo e Consiglio, seguendo la procedura legislativa ordinaria prevista dagli artt. 289 e 294 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Del pari, anche le recenti iniziative (34) di promozione ed illustrazione della Comunicazione COM(2020)790 sul “Piano di azione per la democrazia europea”, pubblicato il 3 dicembre 2020, se pure evidenziano la centralità che riveste un “nuovo slancio per la democrazia europea” quale priorità del programma 2019-2024 della Commissione europea, di cui la tutela dell’integrità delle elezioni e la promozione della partecipazione democratica costituiscono uno dei fondamentali obiettivi, non consente di preconizzare una tempestività di intervento. La stessa Commissione, infatti, ha pianificato una graduale attuazione del predetto Piano, incentrato su misure legislative e non, traguardando, in via prognostica, un completamento entro il 2023 ed è significativo anche evidenziare che lo stesso Piano individua, oltre che nelle Istituzioni UE, nei Governi e Parlamenti nazionali gli immediati destinatari in quanto ad essi spetta, in prima istanza, la responsabilità di garantire il buon funzionamento della democrazia, insieme ad altre autorità nazionali, partiti politici, società civile e piattaforme online. In attesa dell’attuazione dei sopra indicati processi, dunque, non solo non è esclusa ma dovrebbe essere perseguita una “via italiana” che, senza trascurare le linee in via di definizione e, allo stato, essenzialmente programmatiche dell’UE, in coerenza con il dettato costituzionale possa assicurare una più tempestiva risposta alle istanze illustrate: l’attuazione degli artt. 49 e 51 Cost. rimane, infatti, un elemento essenziale della nostra legislazione, al pari delle altre previsioni della Carta fondamentale implicate. Garantire pari opportunità a tutti i cittadini significa pure che le molteplici forme di intervento contenutistico, di profilazione e indicizzazione, che con velocità ormai quotidiana affiorano sui nostri smartphone, non possono essere decise automaticamente da algoritmi stabiliti oltreoceano, senza nessuna possibilità di intervento pubblico in caso di abuso. Da ultimo, anche la Francia ha espresso una matura consapevolezza in ordine alla necessità di un tempestivo intervento attraverso un emendamento al disegno di legge sui principi repubblicani, allo stato in discussione a livello di commissione nell’Assemblea nazionale, che prevede l’introduzione di obblighi di moderazione dei contenuti per i social network. L’iniziativa, in previsione del Digital Service Act, ricalca sotto alcuni aspetti le misure prefigurate a livello europeo, concentrandosi sia su specifici obblighi delle piattaforme sia sulla predisposizione di un impianto sanzionatorio adeguato, con previsione della irrogazione fino al 6% del fatturato annuale globale per infrazioni ripetute. Si prevede, inoltre, trasparenza sul funzionamento degli algoritmi di moderazione dei contenuti, in modo che il Conseil supérieur de l’audiovisuel (CSA) possa valutarne l’efficacia. (35) L’ormai nitida emersione degli obiettivi da perseguire e dei rischi da sterilizzare in funzione di una tutela effettiva e piena, che nel settore considerato è inscindibilmente dipendente dalla tempestività, consente, nelle trame dell’impianto che si va delineando a livello europeo, di individuare le linee di un auspicato intervento del legislatore nazionale che, attraverso l’integrazione di profili civilistici e pubblicistici, con il ricorso ad un rafforzamento delle attribuzioni di tutte le istituzioni coinvolte, inclusa l’AGCM, fornisca una risposta immediata a garanzie della salvaguardia del pluralismo in generale e di quello nell’informazione politica in particolare, senza trascurare l’introduzione di adeguati strumenti di tutela giurisdizionale, necessariamente accelerati e mirati.

(34) Il riferimento è, nello specifico, all’incontro che si è svolto in videoconferenza il 28 gennaio 2021, dei Presidenti delle Commissioni per gli affari europei dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo con la Vicepresidente della Commissione europea responsabile per la materia “Valori e trasparenza”. (35) Cfr. <https://www.lefigaro.fr/secteur/high-tech/loi-separatisme-ce-que-prevoit-le-gouvernement-contre-les-reseaux-sociaux-20210118>.

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