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PUBBLICO E PRIVATO DEI MEDIA-SOCIAL-NETWORK. UN BREVE PROMEMORIA SULLE RESPONSABILITÀ

di Enzo Maria Tripodi

Sommario: 1. Premessa. – 2. I social network/social media: avanti a piccoli passi, con qualche incomprensione di fondo. – 3. Le regole per l’utilizzo dei social network da parte delle pubbliche amministrazioni. – 4. Segue: le regole per i dipendenti pubblici ed il “travaso” delle decisioni della giurisprudenza. – 4.1 L’utilizzo dei social network da parte della pubblica amministrazione. – 4.2 L’utilizzo dei social network da parte del lavoratore sul luogo di lavoro. – 4.3 L’utilizzo dei social network da parte del lavoratore fuori dall’ambito lavorativo. – 4.4. Il diritto di critica del lavoratore sui social network. – 4.5 Alcune fattispecie penali relative ai social network. – 5. Riannodando i fili: verso il legittimo affidamento e la responsabilità da social in ambito pubblico.

Le tematiche giuridiche connesse all’uso dei social network (e dei loro strumenti) si arricchiscono di un ulteriore elemento di interesse derivante dal recente decreto “Semplificazioni”. Il nostro percorso assume, come paradigmatico, il comportamento della pubblica amministrazione e dei loro dipendenti, esaminato in stretta connessione con le poche indicazioni normative ed una breve rassegna delle più numerose pronunce dei giudici. La conclusione è che l’attività della pubblica amministrazione, attuata anche mediante i social network, finisce per generare una responsabilità di natura contrattuale. The legal issues related to the use of social networks (and their tools) are enriched by an additional element of interest deriving from the recent “Semplification” Decree. The path assumes, as paradigmatic, the behavior of the public administration and their employees, examined in close connection with the few regulatory indications and a brief review of the - most numerous - judges’ decisions. The conclusion is that the activity of the public administration, also implemented through social networks, ends up generating a contractual liability.

1. Premessa

Il Decreto c.d. “Semplificazioni”, tra le varie modifiche che contiene, ne prevede una che costituirebbe a pieno titolo la “cornice” (giuridica) di questo contributo (1). L’art. 3-bis della l. n. 241 del 1990 (2), prevedeva che «Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l’uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati». Un “rinvio”, quasi timido, verso l’utilizzo di strumenti al passo con l’evoluzione tecnologica, benché la temporalmente coincidente emanazione del Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. n. 82 del 2005. Noto anche come “CAD”) avrebbe implicato, sin da subito, altra impostazione, nonostante si fosse messa mano ad una legge “storica” del nostro diritto amministrativo (3). Il passaggio alla modernità pare compiuto con la recente modifica che sposta decisamente il fuoco dall’incentivazione (riferita, peraltro, scorrettamente, alla sola telematica) ad una indicazione, all’insegna delle performative

(1) D.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120. (2) Inserito dall’art. 3, comma 1, l. 11 febbraio 2005, n. 15, in sede di “revisione” della disciplina generale sul procedimento amministrativo. (3) Per un bilancio recente, ConteSSA - GreCo (a cura di), L’attività amministrativa e le sue regole (a trent’anni dalla Legge n. 241/1990), Piacenza, 2020. utterances di Austiniana memoria, secondo la quale le pubbliche amministrazioni «agiscono mediante strumenti informatici e telematici». Un comando, quindi, non un mero ‘manifesto’ di intenzioni. Evidenti sembrano le implicazioni che, per un verso, rafforzano (e sostengono) il percorso in atto verso una compiuta amministrazione digitale e, per l’altro, spingono nella direzione di una amministrazione pubblica totalmente rinnovata. Si tratta, infatti, di strade – prima o poi confluenti – che, al momento, si atteggiano su piani affatto differenti. Un conto è, con palese evidenza, la (ormai ineludibile) necessità che la pubblica amministrazione gestisca le procedure e le risultanze della propria azione con gli strumenti più moderni che sono, semplicemente, al suo servizio; altro “ripensare” apparati per i quali l’innovazione diventa parte integrante e costitutiva del suo funzionamento, come sta avvenendo nelle prospettazioni – anche su questo versante – dell’Intelligenza artificiale (4).

(4) Sulla pubblica amministrazione “digitale”, da ultimo, v. CAVALLo perin - GALettA (a cura di), Il diritto dell’amministrazione pubblica digitale, Torino, 2020 e, in sintesi, notAri, Il percorso della digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche: ambiti normativi mobili e nuovi modelli di governance, in Giorn. dir. amm., 2020, 21 ss. Per una lettura diacronica dell’evoluzione, piace, tra una moltitudine, richiamare ieLo, L’agenda digitale: dalle parole ai fatti, Torino, 2015. L’argomento, in relazione alle derive dell’Intelligenza artificiale, comunque, sta diventando particolarmente fecondo di contributi, molti dei

quali in colleganza con i dicta di C. Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 881, in Giur. it., 2020, 1738; C. Stato, Sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270 (in questa Rivista, 2019, 377 ss., seguita dal commento di CriSCi, Evoluzione tecnologica e trasparenza nei procedimenti “algoritmici”); C. Stato, Sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 8472 (in Nuova giur. civ. comm., 2020, 809) e C. Stato, Sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 8474 (in questa Rivista, 2020, 333, con commento di FerrAri, La complessità della digitalizzazione e dell’uso degli algoritmi nella PA, ivi, 337). Ad ogni modo, con riferimento unicamente ai più recenti ed in mero ordine cronologico v.: AuBy, Administrative Law Facing Digital Challenges, in Eur. Rev. of Digital Admin. & Law, 2020, 7 ss.; CAVALLAro, Imputazione e responsabilità delle decisioni automatizzate, in Eur. Rev. of Digital Admin. & Law, 2020, 69 ss.; oroFino, The Implementation of the Transparency Principle in the Development of Electronic Administration, in Eur. Rev. of Digital Admin. & Law, 2020, 123 ss.; MuLA - MAGGio, Strumenti negoziali per l’utilizzo di dati pubblici, in GAMBino - StAzi (a cura di), La circolazione dei dati, Pisa, 2020, 151 ss.; CAVALLo perin, Ragionando come se la digitalizzazione fosse data, in Dir. amm., 2020, 305 ss.; SoLA, L’automatizzazione dell’azione amministrativa, in <www.federalismi.it>, 2020; MAGLione, La Pubblica Amministrazione “al varco” dell’Industria 4.0: decisioni automatizzate e garanzie procedimentali in una prospettiva human oriented, in <www.federalismi.it>, 2020; di MArtino, Intelligenza artificiale, garanzie dei privati e decisioni amministrative: l’apporto umano è ancora necessario? Riflessioni a margine di Cons. Stato 8 aprile 2019, n. 2270, in Riv. internaz. studi eur., 2019, 48 ss.; MuSeLLi, La decisione amministrativa nell’età degli algoritmi: primi spunti, in <http://www.astrid-online.it/static/upload/1-20/1-2020-musselli1.pdf>; VerniLe, Verso la decisione amministrativa algoritmica, in Riv. dir. media, 2020, 2, 137 ss.; rAGAneLLi, Decisioni pubbliche e algoritmi: modelli alternativi di dialogo tra forme di intelligenza diverse nell’assunzione di decisioni amministrative, in <www.federalismi.it>, 2020; BenettAzzo, ICT e nuove forme di interazione tra cittadino e Pubblica Amministrazione, in Riv. dir. media, 2020, 2, 262 ss.; pArdoLeSi - dAVoLA, Algorithmic legal decision making: la fine del mondo (del diritto) o il paese delle meraviglie?, in Quest. giust., 2020, 1, 104 ss.; SoLA, La giurisprudenza e la sfida dell’utilizzo di algoritmi nel procedimento amministrativo, in <https://www.giustamm.it/ga/ id/2020/2/25828/g>; CiVitAreSe MAtteuCCi, Umano troppo umano. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, in Dir. pubbl., 2019, 5 ss.; CArLoni, Algoritmi su carta. Politiche di digitalizzazione e trasformazione digitale delle amministrazioni, in Dir. pubbl., 2019, 363 ss.; CAVALLAro - SMorto, Decisione pubblica e responsabilità dell’amministrazione nella società dell’algoritmo, in <www.federalismi.it>, 2019; GALettA - CorVALàn, Intelligenza Artificiale per una Pubblica Amministrazione 4.0? Potenzialità, rischi e sfide della rivoluzione tecnologica in atto, in <www.federalismi.it>, 2019; MAnCAreLLA, Algoritmo e atto amministrativo informatico: le basi nel CAD, in questa Rivista, 2019, 469 ss.; deLGAdo, Automazione, intelligenza artificiale e pubblica amministrazione: vecchie categorie concettuali per nuovi problemi?, in Istituz. del federalismo, 2019, 643 ss.; SiMonCini, Profili costituzionali della amministrazione algoritmica, in Riv. trim. dir. pubbl., 2019, 1149 ss.; VACCAri, Note minime in tema di Intelligenza Artificiale e decisioni amministrative, in <www.giustamm.it>, 2019; otrAnto, Decisione amministrativa e digitalizzazione della p.a., in <www.federalismi.it>, 2018. Per profili operativi v. BACCi - Frieri - SpArACo, Trasformazione digitale & smart working nella pubblica amministrazione. Visioni e pratiche, Rimini, 2020; QuAttrone - nACCAri CArLizzi, L’intelligenza artificiale nella Pubblica Amministrazione, un percorso verso il data management, in <https://www. ai4business.it/intelligenza-artificiale/lintelligenza-artificiale-nella-pubblica-amministrazione-un-percorso-verso-il-data-management/>. Sui temi dell’intelligenza artificiale, in termini più ampi, senza particolari approfondimenti tecnici, si possono inoltre consultare: trezzA, Diritto e intelligenza artificiale, Pisa, 2020; FAro - FroSini - peruGineLLi (a cura di), Dati e algoritmi. Diritto e diritti nella società digitale, Bologna, 2020; proietti, La responsabilità nell’intelligenza artificiale e nella robotica. Attuali e futuri scenari nella politica del diritto e nella responsabilità contrattuale, Milano, 2020; ALpA (a cura di), Diritto e intelligenza artificiale, Pisa, 2020; tAddei eLMi - ContALdo (a cura di), Intelligenza artificiale. Algoritmi giuridici. Ius condendum o “fantadiritto”?, Pisa, 2020 (ove GorGA, L’intelligenza Artificiale nella Pubblica Amministrazione, 137 ss.); doriGo (a cura di), Il ragionamento In questa direzione – anche per quello che si dirà in seguito – appare degna di essere rimarcata un’altra previsione, sempre ad opera del citato Decreto, laddove si stabilisce che «I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della-collaborazione e della buona fede» (5). Un apparente “luogo comune” di portata ben superiore di quanto sembri ad una prima, disattenta, lettura. E i social network (e social media), di cui si parlerà di qui ad un presso, rientrano, a pieno titolo, in quell’humus tecnologico del quale necessariamente prendere atto, probabilmente quale ricaduta dell’impiego da parte delle pubbliche amministrazioni non solo del “diritto dei privati”, ma pure dei loro strumenti.

2. I social network/social media: avanti a piccoli passi, con qualche incomprensione di fondo

Secondo una definizione ad ampio spettro, i social network sono identificati come «un servizio informatico on line che permette la realizzazione di reti sociali virtuali. Si tratta di siti internet o tecnologie che consentono agli utenti di condividere contenuti testuali, immagini, video e audio e di interagire tra loro. Generalmente i social network prevedono una registrazione mediante la creazione di un profilo personale protetto da password e la possibilità di effettuare ricerche nel database della struttura informatica per localizzare altri utenti e organizzarli in gruppi e liste di contatti. Le informazioni condivise variano da servizio a servizio e possono includere dati personali, sensibili (credo religioso, opinioni politiche, inclinazioni sessuali ecc.) e professionali. Sui social network gli utenti non sono solo fruitori, ma anche cre-

giuridico nell’era dell’intelligenza artificiale, Pisa, 2020; ruFFoLo (a cura di), Intelligenza artificiale. Il diritto, i diritti, l’etica, Milano, 2020 (ove pAtroni GriFFi, Intelligenza artificiale: amministrazione e giurisdizione, 475 ss.); uriCChio - riCCio - ruFFoLo (a cura di), Intelligenza artificiale tra etica e diritti, Prime riflessioni a seguito del Libro bianco dell’Unione europea, Bari, 2020; CALzoLAio, La decisione nel prisma dell’intelligenza artificiale, Milano, 2020; AVAnzini, Decisioni amministrative e algoritmi informatici. Predeterminazione, analisi predittiva e nuove forme di intelligibilità, Napoli, 2018. Per una lettura illustrativa, è sufficiente LonGo - SCorzA, Intelligenza Artificiale, L’impatto sulle nostre vite, diritti e libertà, Milano, 2020. Si segnalano, infine, il Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale al servizio del cittadino, del marzo 2018, a cura della Task force sull’Intelligenza Artificiale dell’AgID, in <https://ia.italia.it/assets/librobianco.pdf> (sul quale v. treSCA, I primi passi verso l’Intelligenza Artificiale al servizio del cittadino: brevi note sul Libro Bianco dell’Agenzia per l’Italia digitale, in Riv. dir. media, 2018, 3, 240 ss.) e Gruppo di esperti MISE sull’intelligenza artificiale, Proposte per una strategia italiana per l’intelligenza artificiale, luglio 2019, in <www.mise.gov.it>. Si omettono, comprensibilmente, i riferimenti ad analoghe iniziative assunte in sede europea. (5) Comma 2-bis dell’art. 1 della l. n. 241 del 1990, inserito dall’art. 12, comma 1, lett. 0a), del d.l. n. 76 del 2020, come convertito dalla l. n. 120 del 2020. Disposizione analoga è nell’art. 10 della l. n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente).

atori di contenuti. La rete sociale diventa un ipertesto interattivo tramite cui diffondere pensieri, idee, link e contenuti multimediali» (6). La definizione, proprio per il suo raggio d’azione estremamente allargato, consente di cogliere la differenza tra social network e social media. Questi ultimi consistono in mezzi di comunicazione – in genere su piattaforme (7) – che rendono possibile l’interazione dei rispettivi utenti riguardo un determinato argomento; i social network, invece, costituiscono, anche se collegati ad una tematica specifica, una forma di (infra)struttura sociale (8). Nella loro dimensione di strumento di “dialogo” hanno consentito, quasi subito, di ‘ragionarli’ quale forma di “contatto” sia nell’ambito privatistico che in quello pubblicistico. Sul versante business, c’è ben poco che si possa aggiungere in queste righe che non sia già noto ai più. I social network costituiscono una delle maggiori forme di remunerazione (e di controllo) che i big players

(6) treCCAni, Enciclopedia on line, Voce Social network, all’indirizzo: <http://www.treccani.it/enciclopedia/social-network>. (7) Sulle “piattaforme” v. CAnepA, I mercanti dell’era digitale. Un contributi allo studio delle piattaforme, Torino, 2020; Conti, Lineamenti di diritto delle piattaforme digitali, vol. I, Rimini, 2020. Considerazioni generali in AMMAnnAti, Verso un diritto delle piattaforme digitali?, in <www.federalismi. it>, 2019. (8) I social network /social media, sulla base di una loro classificazione per macro-aree rispetto all’offerta (vedi <http://en.wikipedia.org/wiki/ Social_networking_websites>), si distinguono nei seguenti ambiti generali: 1. Relazione Strumenti che permettono all’utente di relazionarsi con altri e per comunicare, raccogliere e divulgare informazioni ai componenti della propria community. Spesso utilizzata dalle aziende per la sola comunicazione. Tale tipologia di Social Media include: - portali di blogging e microblogging (Twitter, Tumblr); - reti sociali (Facebook; Badoo); - reti professionali (LinkedIn); - portali per l’organizzazione di eventi (Meetup, Evite). 2. Condivisione di interessi Strumenti che permettono all’utente di condividere informazioni e dati multimediali (musica, foto, video, etc.) in modo da garantire un’ampia divulgazione delle informazioni condivise. Le informazioni che tale tipologia di Social Media permette di condividere includono: - foto (Flickr, Instagram, Pinterest); - video (YouTube); - musica (Last.fm, Soundcloud; Pandora); - presentazioni (Slideshare); - geolocalizzazione (Foursquare); - navigazione (Waze). 3. Collaborazione Strumenti che permettono all’utente di collaborare con i membri della community e di coordinarsi. Tale tipologia di Social Media include: - piattaforme per la condivisione di informazioni (Wikis, Forum); - strumenti per la gestione documentale (Google Drive); - strumenti per le riunioni a distanza (Google Meet; Microsoft Teems; Zoom; Webex meet); - media per la gestione di informazioni provenienti da una varietà di fonti differenti (Delicious, Feed aggregator); - online gaming (World of Warcraft); - simulazione sociale (Second Life). di Internet hanno a loro disposizione. Anche gli utenti “professionali” – cioè quelli che non li utilizzano per mero diletto – ne hanno colto le potenzialità, specie per poter realizzare, compiutamente, quella customers relationship che presuppone un effettivo dialogo one-toone per la personalizzazione di prodotti e servizi; ciò ha costituito, per molti anni, uno dei ‘feticci’ di Internet. L’obiettivo di una comunicazione ‘globale’, infatti, si scontrava con la materiale impossibilità per un soggetto (nel caso di specie una impresa) di poter realmente interagire con i suoi interlocutori, donde situazioni, più o meno efficacemente simulate, grazie ad aggregazioni statistiche, attraverso le quali si aveva l’idea – ma solo l’idea – di un contatto diretto. Sarà forse per la suggestione dell’agire iure privatorum della pubblica amministrazione che anche quest’ultima non solo ne acquisisce lo strumentario giuridico ma pure le ‘infrastrutture’ e lo stesso “ambiente” nel quale è immerso ora il mondo appannaggio dei soggetti privati. Questo mix tra pubblico e privato, mediato – è il caso di dire – dal social, va tenuto presente poiché genera delle ripercussioni nella compresenza, sullo stesso mezzo, di persone fisiche che ‘rappresentano’ una istituzione pubblica e le stesse persone che, in momenti temporali che possono anche sovrapporsi, rappresentano la rispettiva esperienza di vita, con dinamiche e conseguenze non del tutto perfettamente circoscrivibili. L’ambito pubblico, proprio a cagione di detta compresenza, si configura, quindi, quale sorta di “riassunto” delle problematiche con, in più, va da sé, l’assolvimento delle finalità dell’operare per interessi di livello più elevato di quelli, diciamo, connotati da un prevalente individualismo. L’operare con gli strumenti ‘privatistici’ – laddove consentito – non dovrebbe, infatti, far perdere di vista la matrice giuridica specifica del contesto pubblicistico, a cominciare dall’ovvio richiamo ai canoni del buon andamento e imparzialità dell’agire amministrativo, secondo lo stilema fondamentale di cui, in primis, all’art. 97 cost. Dacché è stato progressivamente avviato il “popolamento” dei social anche da parte delle pubbliche amministrazioni, innestando, ad una iniziale attività di tipo meramente “promozionale”, forme sempre più marcate di “dialogo” bidirezionale, funzionale alla stessa conduzione delle attività amministrative (9). Per la comunicazione monodirezionale – priva, fisiologicamente, di una possibile interazione ‘significativa’ – l’adeguamento alla telematica della pubblica amministra-

(9) Per le statistiche mondiali (con focus specifici sui singoli paesi) sull’uso di Internet e gli utenti di social network cfr. Digital 2020, realizzato da We are social e Hotsuite, in <https://wearesocial.com/digital-2020> (il Report sull’Italia è in <https://wearesocial.com/it/digital-2020-italia>).

zione ha fatto ricorso all’utilizzo dei siti web istituzionali che, pur mimando, in qualche misura, le logiche di tipo business, restano ancora oggi ancorati ad una sostanziale staticità (o, meglio, ad una ridotta variabilità), posto l’obiettivo “dichiarativo” dei loro contenuti. Ne è una riprova il livello medio (per non dire scadente) del loro aggiornamento che viene effettuato, senza particolare attenzione alla coerenza con il tessuto semantico complessivo, finendo per tradursi in un ‘patchwork’, fino al momento in cui viene decisa la periodica revisione integrale del sito. Revisione che, spesso, soggiace più alle regole dell’‘immagine’ e del ‘marketing’ (restiamo, cioè, nel citato ambito business) che non della sistematicità dell’impianto che, pur nella forma, resta pur sempre un’espressione del “potere pubblico” (10). Il marketing suggerisce un approccio friendly, per cui è stato tutto sommato scontato trasporre le indicazioni contenute nei paludati siti web istituzionali in una cornice “social”. I cittadini-utenti, pertanto, con limitate funzioni di reale “interlocuzione”, in un “ambiente” a loro conosciuto e frequentato, vi trovano le informazioni più recenti e la relativa documentazione (11). Come è stato giustamente osservato, alla progressiva proliferazione di pagine e profili “social” ufficialmente utilizzati come account istituzionali di PA ed Enti pubblici, non è seguita la predisposizione di adeguati meccanismi di ascolto e interazione in grado di completare il passaggio «passando da una tradizionale concezione “analogica”, basata su un sistema comunicativo autoreferenziale e verticale ad una moderna concezione “digitale”, espressione di una relazione dinamica e orizzontale con i cittadini, non più soltanto fruitori passivi di informazioni, ma, al contempo, co-creatori di contenuti distribuiti e accessibili in ambiente virtuale a tutta la comunità degli utenti» (12). In effetti, si constata che le pubbliche amministrazioni, seguono il flusso dei loro interlocutori, “mimando” le dinamiche web, senza che vi sia – alla base – una valutazione ponderata delle tipologie, delle modalità e delle conseguenze che comporta l’uso di social network. Ogni social, infatti, ha una sua ‘struttura’ ed una “idea” rappresentativa del ‘contatto’ che sviluppa con i propri utenti. Facebook, non è uguale a Twitter, né entrambi assomigliano per nulla a YouTube. Andrebbe, pertanto, sviluppato un coerente codice comunicativo affinché quanto la pubblica amministrazione vuole ‘rappresentare’ sia coerente con lo strumento. Altrimenti lo strumento si riduce ad una forma senza alcuna sostanza. Al momento, invece, l’atteggiamento che si coglie e che si tratta di una mera presenza ‘statica’ in cui il solo incremento (se lo strumento è utilizzato correttamente) è di natura informativa. Per una social-pa si è ancora molto lontani, anche perché, se poi la logica dei social viene seguita fino in fondo, occorre tener conto accuratamente della gestione delle richieste ma anche del conseguente feedback (13). Non solo – come già accade – vanno ‘registrate’ le “domande” ma poi vanno anche valutate le “reazioni”. Un sistema di pa-advisor è molto distante dalle “faccine” che piacevano all’ex Ministro Brunetta e le conseguenze della web reputation potrebbero essere, neanche a dirlo, molto gravose. L’utilizzo dei social network ha tuttavia incrementato a dismisura le potenzialità di “dialogo” con gli interessati generando, altresì, una progressiva spinta verso la fornitura di servizi pubblici se (ancora) non propriamente on demand, di certo connotati da una maggiore possibilità di customizzazione. E’ il caso, per esempio, della sanità digitale, laddove – attraverso apposite app – si possono prenotare e pagare le visite, nonché gestire l’attesa, il videoconsulto e, infine, ricevere i relativi referti via web (14). Il riferimento alle app non è peregrino poiché queste spesso costituiscono – per gli smartphone – chiave di accesso ed elemento dei “servizi” dei social stessi. Due esempi, giustapposti, varranno ad illustrare, semmai servisse, quanto appena indicato. La nota app per il tracciamento dei soggetti risultati positivi al Coronavirus (l’app “Immuni”), deve molto del suo limitato successo – lasciando perdere altre questioni – alla sua mancata integrazione con il sistema sanitario nazionale (e, soprattutto, regionale), per cui risulta ‘scollegata’ alle piattaforme – anche social – di coloro che, poi, avrebbero dovuto materialmente “prendere in carico” l’utente positivo (o sospetto tale). La miscellanea

(10) Si pensi, ad esempio, al “vezzo” dei loghi adottati dalle pubbliche amministrazioni (cfr., di recente, quello dell’ANAC e del Garante privacy). (11) Vale un mero richiamo all’abitudine dell’attuale Presidente del Consiglio di utilizzare i social (per esempio la sua pagina personale su Facebook), per le comunicazioni sull’emergenza da Coronavirus (abitudine, a ragione, stigmatizzata. Cfr., tra tanti, zApponini, Tutti contro Conte (e la sua comunicazione). Cronaca di una debàcle, in < https://formiche. net/2020/03/conte-coronavirus-facebook-comunicazione/>). (12) GuArnACCiA - ALù, Pubblica amministrazione e social media. Criticità e prospettive future, in CASSAno - preViti (a cura di), Il diritto di Internet nell’era digitale, Milano, 2020, 1003 ss. (13) Conti - pietrAnGeLo - roMAno (a cura di), Social media e diritti. Diritto e social media, Napoli, 2018 e, più di recente, LoVAri, Social media e pubblica amministrazione tra diritti e doveri: una prospettiva sociologica, in Riv. it. informat. e diritto, 2019, 87 ss. (14) V., per esempio, CoSMAi - perrone, Digital Health - Come app, telemedicina, intelligenza artificiale stanno ridisegnando l’assistenza sanitaria, Milano, 2020. Per un quadro ufficiale più recente (si fa per dire, posta la risalenza del set dei dati di riferimento) della diffusione degli strumenti ICT in ambito pubblico cfr. ISTAT, Pubblica amministrazione locale e ICT – anno 2018, Report diffuso nell’aprile 2020, in <https://www.istat.it/it/files//2020/04/Report_Ict_AP_LOCALI_2018.pdf>.

tra ‘on line’ (Immuni) e l’’off line’ (le telefonate da fare, con esiti approssimativi) è la prova di un discorso interrotto perché, ad un certo punto, si vorrebbe seguire una logica affatto diversa, segno evidente che si è dimenticata una occhiata, anche se distratta, al quadro d’insieme. Con il d.P.C.m. 18 ottobre 2020 e con il decreto c.d. “Ristori” si è, rispettivamente, ‘connessa’ detta app ai dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali (Asl, Ats o Usl), nonché istituito «un servizio nazionale di supporto telefonico e telematico alle persone risultate positive al virus SARS-Cov-2, che hanno avuto contatti stretti o casuali con soggetti risultati positivi o che hanno ricevuto una notifica di allerta attraverso l’applicazione ‘Immuni’». Meglio tardi che mai. L’altrettanto nota app “Io”, spinta dalla promessa di un parziale cashback per gli acquisti effettuati con sistemi di pagamento digitali, forse avrà una sorte più rosea (15). Tacendo le difficoltà tecniche del sistema ed i problemi di privacy (16), questa ‘risorsa’ è stata concepita, ai sensi dell’art. 64-bis del CAD, per costituire l’accesso ai servizi resi disponibili, in chiave digitale, dalle pubbliche amministrazioni. In una logica, quindi, di più ampio respiro, in linea con gli obiettivi di digitalizzazione, semplificazione e qualità dei servizi della Pubblica amministrazione, slogan immancabile di ogni Governo degli ultimi venti anni (17).

3. Le regole per l’utilizzo dei social network da parte delle pubbliche amministrazioni

Come spesso accade per le tematiche riguardanti Internet (e ciò che in esso vi ruota), è invalsa una (non) scelta (politica) di ‘riservare’ la disciplina regolatoria all’ambito contrattuale, lasciando fuori quadro la costruzione di un set di indicazioni giuridiche (18). La tecnica ha,

(15) Il progetto Cashback, è stato istituito dall’art. 1, commi 288 ss. della l. 27 dicembre 2019, n. 160 e successivamente emendato dai decreti “Rilancio” e “Agosto” (dd.ll. n. 34 del 2020 e n. 104 del 2020). Sono poi seguiti, da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il d.m. 24 novembre 2020, n 156 e la Comunicazione di avvio del 4 dicembre 2020. (16) Sempre, tra tanti, v. rApetto, Il masochismo di Stato: app Io e cashback meglio di un feroce bondage, in <https://www.infosec.news/2020/12/08/ editoriale/il-masochismo-di-stato-app-io-e-cashback-meglio-di-un-ferocebondage/>. (17) Se ne parla, ovviamente, anche nel recente Piano nazionale italiano per la ripresa e la resilienza (PNRR), nonché nel Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione 2020-2022, scaricabile da <https:// www.agid.gov.it/it/agenzia/piano-triennale>. (18) Per i rapporti con i social network, in prima approssimazione, v. la sintetica ricostruzione di C. perLinGieri, Profili civilistici dei social networks, Napoli, 2014; CAMiLLetti, Alcune considerazioni sui profili giuridici dei social network, in Contratti, 2017, 451 ss.; qualche osservazione anche da parte di MAriAni, I social network, in CeLentAno (a cura di), Manuale breve di informatica del giurista, II ed., Pisa, 2020, 52 ss. Per le relazioni sui social v. VittAdini, Social media studies. I social media alla soglia della maturità: storia, teorie e temi, Milano, 2018. per il momento, sopravanzato il diritto, lasciando campo libero alle (poche) grandi società che monopolizzano l’ambiente digitale in cui oggi tutti intendono agire (19). Anche per i social network, quindi, non si registra una regolamentazione specifica, almeno minimale, riguardante – per quello che qui interessa – il loro impiego da parte delle pubbliche amministrazioni (20). Esistono, tuttavia, delle disposizioni generali sulla pubblica amministrazione “digitale” che possono fornire, se non altro, alcuni principi base per un primo orientamento. Quando si parla di “pubblica amministrazione digitale” non può non sorgere un immediato collegamento con il già menzionato Codice dell’amministrazione digitale le cui modifiche più recenti (ad es. con il d.lgs. n. 217 del 2017) perseguono l’obiettivo di promuovere e rendere effettivi i diritti di cittadinanza digitale. Il Codice è stato quindi rafforzato – quale carta di cittadinanza digitale – con disposizioni volte ad attribuire a cittadini e imprese i diritti all’identità e al domicilio digitale, alla fruizione di servizi pubblici on line e mobile oriented, a partecipare effettivamente al procedimento amministrativo per via elettronica e a effettuare pagamenti on line. Ad es. per accedere ai servizi online dell’INPS, dal 1° ottobre 2020, è obbligatorio possedere un’identità digitale (lo SPID). La “conoscibilità” dell’operato della pubblica amministrazione, a parte quanto indicato nella l. n. 241 del 1990, è poi dettato dal d.lgs. n. 33 del 2013, recante il Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (21). Ed appare evidente che anche la “presenza” strutturata sui social, così come quella attraverso siti istituzionali, sia parte integrante della comunicazione cui è fatto obbligo alle pubbliche amministrazioni, in quanto la conoscibilità delle loro attività (e la possibilità di partecipazione) appaiono ora ricondotti al rapporto tra Stato e cittadini, che prescinde dalla effettiva presenza di un rapporto “di servizio”, quale cittadino-utente (non è un caso che

(19) Com’è risaputo, le società che gestiscono piattaforme di social network capitalizzano enormemente la disponibilità dei dati personali resi fruibili gratuitamente dagli utilizzatori. Per ogni aspetto (critico) riferimenti scontati sono zuBoFF, Il capitalismo della sorveglianza, Roma, 2019; SAdin, Critica della ragione artificiale, Roma, 2019; hArAri, Homo Deus. Breve storia del futuro, Firenze-Milano, 2017. (20) Cfr. le osservazioni di CArotti, Algoritmi e poteri pubblici: un rapporto incendiario, in Giorn. dir. amm., 2020, 5 ss. Più in generale, per considerazioni critiche sul rapporto Internet/diritti, v. CeLotto, I “non” diritti al tempo di internet, in questa Rivista, 2019, 235 ss. (21) FAini, Tecnologie informatiche, pubblica amministrazione e cittadinanza digitale, in CASSAno - preViti (a cura di), Il diritto di Internet nell’era digitale, op. cit., 1141 ss.

l’accesso civico, di cui al citato d.lgs. n. 33 del 2013, prescinda da un interesse specifico del richiedente) (22). Restando all’ambito puramente “comunicativo” viene considerato applicabile anche quanto previsto dalla l. n. 150 del 2000 che, nel dettare la Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni, con lungimiranza, non ha indicato un numero “chiuso” di possibili strumenti, lasciando lo spazio, per il perseguimento delle specifiche finalità di cui all’art. 1, comma 5, all’impiego di «ogni mezzo di trasmissione idoneo». Ne risultano compresi, pertanto, anche nuovi strumenti derivanti da applicazioni informatiche e telematiche (si pensi, per es., alle già menzionate app), tra i quali, per l’appunto, i social network (23). Al termine del nostro percorso si vedrà se la comunicazione sia destinata a restare tale.

4. Segue: le regole per i dipendenti pubblici ed il “travaso” delle decisioni della giurisprudenza

Se ora volgiamo lo sguardo all’uso dei social network da parte dei dipendenti pubblici, ci troviamo di fronte ad una situazione affatto variegata. Da una parte ci sono le norme contrattuali che regolamentano l’utilizzo delle diverse piattaforme ma, dall’altra parte, vi sono gli obblighi discendenti dalla condizione – che, per certe situazioni, può essere peculiare (come nel caso degli appartenenti alle forze dell’ordine o ai corpi militari) – derivante dalle regole applicabili al pubblico impiego. Tutto ciò è reso ancor più complesso dall’intrecciarsi di due situazioni che possono, reciprocamente, interrelarsi come già rappresentato: l’uso del social network relativo al ‘profilo’ dell’ente pubblico contrapposto (o, comunque, in potenziale contrasto) a quello del dipendente, impiegato nella sua vita privata. Ai social network possono accedere – come utenti – infatti anche i dipendenti pubblici che possono liberamente esprimere le proprie opinioni facendo attenzione a non violare il Codice di comportamento, di cui al d.P.R. n. 62 del 2013. La par-

(22) roSSA, Trasparenza e accesso all’epoca dell’amministrazione digitale, in CAVALLo perin - GALettA; Il diritto dell’amministrazione pubblica digitale, op. cit., 247 ss.; teSSAro - Bertin, Come cambia la trasparenza amministrativa dopo il GDPR e il nuovo Decreto Privacy, Rimini, 2019. (23) Su tale uso si segnala – quale riferimento ormai “storico” – il Vademecum “Pubblica Amministrazione e social media”, realizzato dal Formez e pubblicato nel dicembre 2011 dal Ministero per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione che, senza alcun carattere vincolante, fornisce alcune raccomandazioni e suggerimenti (Il Vademecum è riportato in <https://docs.google.com/file/d/0B-9LwViHbVWkZXJCT0h5cXNMR3M/edit?pli=1>). Il Vademecum reputa positiva la presenza “social” in quanto, oltre agli aspetti comunicativi, risponde agli obiettivi di “cittadinanza digitale”, attuata per il tramite delle tecnologie (cfr. l’art. 3 e 9 del CAD). Il Vademecum è stato successivamente aggiornato in tALAMo - di CoStAnzo - CrudeLe (a cura di), Social media e PA, dalla formazione ai consigli per l’uso, Roma, 2018. tecipazione ai social – seppur come “soggetto privato” – avviene in uno spazio pubblico, per cui il dipendente è tenuto a mantenere il contegno ed un comportamento che non leda gli interessi ed il rispetto dell’Ente. La questione è stata ribadita, da ultimo, anche dall’ANAC, con la delib. n. 177 del 2020, relativa alle «Linee guida in materia di Codici di comportamento delle amministrazioni pubbliche» (24). Per la disciplina dell’utilizzo dei social network, quale ‘ambiente’ di lavoro, molte pubbliche amministrazioni si sono dotate di uno specifico strumento regolamentare, denominato “Social media policy” (25). Si tratta, per lo più di primi “modelli organizzativo-gestionali”, su una materia culturalmente (e giuridicamente) molto scivolosa, come comprovato, senza bisogno di ulteriori glosse, dalla nuova versione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ad opera del Jobs Act, che ha indotto ad una comprensibile prudenza nel tagliare le gambe a strumenti che pur si vuole che siano utilizzati. Nel quadro sommariamente descritto diventa quindi giocoforza trasformare in “regole” (o, quantomeno, in “indirizzi”), le indicazioni di provenienza giurisprudenziale, restando nei limiti di una rassegna di mero orientamento (26). Non è questa la sede idonea per una disamina più articolata che richiederebbe di provare a ricondurre “a sistema” indicazioni che scontano, anche per i nostri giudici, i limiti di soluzioni a problemi contingenti, sulla base di un quadro particolarmente

(24) L’utilizzo dei social può inoltre generare dei rischi (in primis reputazionali) alla PA, per cui deve essere tenuto presente sia con riferimento ai temi della sicurezza telematica e del trattamento dei dati personali, sia di quelli inerenti il Piano anticorruzione e trasparenza. Sul fronte della sicurezza, in particolare, l’utilizzo dei social network, sia esso in ambito pubblico che privato, è particolarmente critico, specie quando ad accedere ai social è il dipendente attraverso suoi dispositivi personali. I principali rischi sono i seguenti: a) violazione dei profili di identificazione delle persone; b) profilazione dei “contatti” sui social; c) acquisizione di informazioni personali attraverso i dati personali ed altre informazioni ‘postate’ (es: la geolocalizzazione); d) divulgazione involontaria di notizie e documenti che dovrebbero restare riservati; e) reati digitali (stalking, furto di identità, frodi informatiche, etc.). CLUSIT, Rapporto 2020 sulla sicurezza ICT in Italia, in <https://clusit.it/ rapporto-clusit/>; CLUSIT, La sicurezza nei social media. Guida all’utilizzo sicuro dei Social Media per le aziende del Made in Italy, in <https://social. clusit.it/_files/download/sicurezza_social_media.pdf>. Vale la pena di osservare che tra i prodigi dell’Intelligenza artificiale vi sono proprio gli usi criminali, in particolare utilizzando l’IA secondo il modello Crime-as-a-Service (CaaS). (25) Per un esempio v. la Social media policy del Ministero dello Sviluppo economico in <https://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/ social-media-policy>, nonché quella del Ministero Affari Esteri, in <https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2016/02/social_media_guidelines.pdf>. (26) Indicazioni “ragionate” su altri precedenti sono fornite da FALLetti, I social network: primi orientamenti giurisprudenziali, in Corr. giuridico, 2015, 992 ss.

fluido. La ‘stratificazione’ degli orientamenti, in effetti, può celare delle incomprensioni di fondo, per le quali sembra ancora lontano un idoneo intervento regolamentare (27).

4.1. L’utilizzo dei social network da parte della pubblica amministrazione

Nell’ambito dell’utilizzo dei social network da parte delle pubbliche amministrazioni vi rientrano, tra le ipotesi più note, le seguenti situazioni: a) acquisizione di informazioni per ‘profilare’ i soggetti in vista di selezioni/colloqui di assunzione; b) uso dei social network quale mezzo di comunicazione tra i dipendenti e l’Ente; c) controlli sull’utilizzo da parte dei dipendenti di Internet/social. Rispetto al primo ambito è prassi consueta, per i responsabili del reclutamento di personale, compiere una verifica delle informazioni fornite dai candidati (per es. tramite il curriculum), controllando le loro attività “social”. Emergono, rispetto a questa forma di ‘controllo’, alcuni evidenti risvolti inerenti la tutela della personalità del candidato, più volte richiamati all’attenzione dal Garante. Sulla materia, l’art. 8 della l. n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) prevede il divieto per il datore di lavoro di compiere indagini, ai fini dell’assunzione – così come nel corso dello svolgimento del rapporto – sulle opinioni filosofiche, religiose, politiche o sindacali del lavoratore (che, tra l’altro costituiscono dati “particolari” ai sensi dell’art. 9 del Regolamento UE n. 679 del 2016 - GDPR), nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale. Il sopra citato divieto di indagini per i datori di lavoro, richiamato dall’art. 113 del Codice privacy (d.lgs. n. 196 del 2003) (28), è confermato anche dall’art. 10 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (c.d. Legge Biagi) ed esteso anche alle agenzie per il lavoro e altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati, che raccolgono e trattano dati dei candidati anche attraverso portali e siti Internet. Non mancano però le conseguenze anche a carico di colui che, su un social network “professionale”, inserisce un curriculum nel quale sono indicati dei requisiti soggettivi in realtà non posseduti ai fini di una selezione

(27) L’espressione va intesa cum grano salis, poiché innesterebbe tutto il dibattito, per nulla sopito, del rapporto tra le regole giuridiche e quelle tecniche (o tecnologiche). Per qualche spunto fecondo cfr. irti, Il tessitore di Goethe (per la decisione robotica), in Riv. dir. proc., 2018, 1177 ss. (28) L’articolo recita: «Resta fermo quanto disposto dall’articolo 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché dall’articolo 10 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276». per una assunzione a tempo determinato. Ne è seguito il recesso da parte datoriale, contestato con la richiesta di reintegrazione o di risarcimento del danno, richieste entrambe non accolte dal giudicante (29). Rispetto al secondo ambito, si segnala una decisione in cui un dipendente pubblico, in luogo di rappresentare le difficoltà emerse durante la prestazione lavorativa con i mezzi consueti, ha ‘esternato’ il suo disagio attraverso un ‘post’ sulla sua “bacheca Facebook” (30). Il TAR – nel confermare la sanzione disciplinare comminata – ha fatto presente come «i social network in particolare Facebook non possono essere considerati come siti privati, in quanto non solo accessibili ai soggetti non noti cui il titolare del sito consente l’accesso, ma altresì suscettibili di divulgazione dei contenuti anche in altri siti». Il dipendente può senz’altro manifestare il suo giudizio critico ma «ha utilizzato una modalità non consentita in quanto in grado di nuocere al prestigio dell’amministrazione» (31). Infine, l’argomento inerente i controlli delle amministrazioni sull’uso di Internet da parte dei dipendenti.

(29) Il ricorrente, mentendo, ha infatti violato il dovere di correttezza e buona fede durante le trattative. Trova applicazione, pertanto l’art. 1227 c.c.: «se si decurta dall’entità del risarcimento tutto l’ammontare di danno che sarebbe stato evitato se il ricorrente, comportandosi diligentemente e in modo corretto, avesse rispettato l’avviso di selezione (astenendosi dal partecipare a una gara che, palesemente, era rivolta ad altri soggetti, ovvero, facendo emergere sin da subito la mancanza del requisito richiesto nell’avviso), si giunge ad elidere completamente l’emolumento risarcitorio». Così, Trib. Trapani, sez. lav., 2 ottobre 2019, n. 522, in questa Rivista, 2020, 105 ss., con commento di SerrApiCA, Selezione per il reclutamento del personale delle società pubbliche e falso curriculum su LinkedIn, ivi, 108 ss. (30) Nel caso di specie si trattava di un appartenente ad un corpo militare che, durante il servizio di vigilanza in occasione di Expo 2015 a Milano, aveva stigmatizzato la precaria situazione della tendopoli in cui era alloggiato il personale, allagatasi con la pioggia. La situazione deve, pertanto, tener conto della particolare situazione degli appartenenti alle forze miliari, soggetti ad alcuni più stringenti limiti riguardo alcuni diritti (come quello di espressione e di critica). Cfr. in particolare il d.lgs. n. 60 del 2010, ed il d.P.R. n. 90 del 2010. (31) T.a.r. Friuli Venezia Giulia, 12 dicembre 2016, n. 562, in Dir. giust., 2016, 102, 15 ss., con nota di MiLiziA. In termini non dissimili, una sentenza della Suprema Corte che ha ribadito che «Il diritto alla libera manifestazione del pensiero, infatti, che dev’essere riconosciuto anche agli appartenenti alle forze armate, trova il suo limite giuridico nell’esigenza di tutela del decoro e del prestigio delle istituzioni, per cui la critica che trascenda nel gratuito oltraggio fine a se stesso integra gli estremi del vilipendio. Inoltre, l’inserimento della frase in questione in una bacheca Facebook è sufficiente ad integrare il requisito della pubblicità del messaggio vilipendioso, trattandosi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque elevato di persone» (Cass. pen., sez. I, 13 agosto 2019, n. 35988). Nel caso di specie, ad un ufficiale di marina è stata confermata la condanna per vilipendio della Repubblica, ex art. 81 c.p.m.p. La sentenza è pubblicata in questa Rivista, 2019, 765 ss., con commento di CreSCioLi, Il vilipendio commesso su Facebook tra vecchie e nuove problematiche, ivi, 767 ss.

La tematica è molto complessa poiché si trova in un crocevia tra l’“ordinario” impiego di strumenti telematici (compreso l’accesso ad Internet) per lo svolgimento della prestazione lavorativa, ed i controlli “a distanza” che sono consentiti, entro limiti divenuti incerti, a seguito della (malaccorta) revisione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ad opera del c.d. Jobs Act. In via generale, il Garante – con le Linee guida per l’utilizzo della posta elettronica e internet nei luoghi di lavoro – ha suggerito l’adozione di un apposito disciplinare nel quale regolare, tra l’altro: - se e quando determinati comportamenti non sono tollerati rispetto alla navigazione in rete (ad esempio, download di software o di file musicali), oppure alla tenuta di file estranei all’attività lavorativa nella rete interna; - in quale misura è consentito utilizzare, anche per ragioni personali, servizi di posta elettronica o di rete, indicandone le modalità e l’arco temporale di utilizzo; - le disposizioni sull’utilizzo della posta elettronica “di servizio” ed i limiti al suo accesso da parte dell’amministrazione. Secondo la Suprema corte – indipendentemente dall’adozione di un codice disciplinare – è legittimo il licenziamento del dipendente che sul computer aziendale abbia installato un programma che consenta il download di foto e filmati pornografici (32). I controlli effettuati dal datore di lavoro – continua la Cassazione – non attengono al “controllo” dell’attività, quanto alla tutela del patrimonio aziendale, soprattutto se, nell’indagine, la verifica aveva riguardato il traffico dei dati di connessione, senza alcuna visione (o acquisizione) dei dati scaricati (33). Da ultimo, la Cassazione ha considerato legittimo il licenziamento di un dipendente che aveva effettuato interrogazioni su alcuni conti correnti dei clienti senza che tali operazioni risultassero giustificate da comprovate ragioni di servizio. La condotta contestata è stata rilevata mediante i controlli sugli strumenti IT ed i programmi software utilizzati dai lavoratori, che erano stati espressamente indicati dal datore di lavoro quale mezzo di verifica degli adempimenti in materia di tutela dei dati personali dei clienti (34). Di diverso avviso, invece, qualora l’accertamento degli accessi ad Internet ed alla posta elettronica sia avvenuto attraverso l’installazione di uno specifico programma informatico non autorizzato da un accordo sindacale o dall’Ispettorato del lavoro. In questo caso il licenziamen-

(32) Cass., sez. lav., 11 agosto 2014, n. 17859, in C.E.D. Cass., 2014. (33) Cass., sez. lav., 28 maggio 2018, n. 13266, in Foro it., 2018, I, 2357; Cass., sez. lav., 15 giugno 2017, n. 14862, in Leggi d’Italia, 2017. (34) Cass., 24 febbraio 2020, n. 4871. to disciplinare del lavoratore, accusato di avere reiteratamente visitato siti internet per fini extra lavorativi, è stato considerato illegittimo (35).

4.2. L’utilizzo dei social network da parte del lavoratore sul luogo di lavoro

Sul luogo di lavoro, la disponibilità di strumenti connessi ad Internet (per tacere dello smartphone), rendono possibile al dipendente utilizzare social network durante l’orario di servizio. Su questa problematica, la giurisprudenza oscilla tra una valutazione negativa ed una valutazione che cerca di tener in debito conto l’“ambiente” telematico in cui siamo tutti immersi (36). Sulla legittimità del licenziamento del dipendente troppo “connesso”, il Tribunale di Milano, fin dal 2001, aveva stabilito che il comportamento del lavoratore che si connette a Internet lungamente durante l’orario di lavoro e per un lungo periodo di tempo, qualora non dipenda da necessità lavorative, legittima il licenziamento per giusta causa, integrando tale comportamento un rilevante inadempimento degli obblighi contrattuali (37). Lo stesso collegio giudicante ha rigettato il ricorso di un dipendente licenziato per avere illegittimamente utilizzato Facebook ed Internet sul luogo di lavoro (38). Successivamente la Corte di Appello di Ancona ha rilevato l’illiceità del comportamento di un lavoratore che abbia trascorso del tempo per collegarsi per scopi personali ad Internet e a consultare i documenti scaricati con la rete telefonica pagata dall’azienda (39). Anche le decisioni di legittimità hanno ribadito, in più occasioni, come il continuo accesso ad Internet o alla propria pagina personale Facebook possa giustificare il licenziamento (40). Più di recente la Cassazione, con la sentenza 1 febbraio 2019, n. 3133, ha statuito che è legittimo il licenziamento di una impiegata part time che, nell’arco di soli

(35) Cass., sez. lav., 23 febbraio 2010, n. 4375, in Lav. giur., 2010, 992 ss., con nota di BArrACo - SitziA, Il problema dei “controlli difensivi” del datore di lavoro: estne saepe ius summum malitia? (36) SeGhezzi, I social network e le nuove frontiere dell’illecito disciplinare, in Lav. giur., 2018, 556 ss. (37) Trib. Milano, 14 giugno 2001, in Not. giur. lav., 2001, 470 ss. (38) Trib. Milano, ord., 1 agosto 2014. Nel caso di nella specie il lavoratore aveva scattato una foto all’interno dell’azienda per poi pubblicarla sul social network, condendola con frasi altamente offensive nei confronti del datore di lavoro, e aveva fatto più volte accesso a siti di carattere pornografico in giorni e orario di lavoro. (39) App. Ancona, 1 agosto 2003, in Lav. giur., 2004, 135 ss. (40) È il caso di un dipendente che si era connesso per fini personali ad Internet per 27 volte nell’arco di due mesi, restando collegato per 45 ore complessive (Cass., sez. lav., 13 giugno 2017, n. 14862, in Leggi d’Italia, 2017).

18 mesi, aveva effettuato circa 6.000 accessi ad Internet estranei all’ambito lavorativo, di cui almeno 4.500 circa sul suo profilo personale Facebook (41). Anche gli screenshot dei messaggi – relativi a “conversazioni” su Facebook con lo smartphone aziendale – sono stati considerati validi a provare la condotta del dipendente infedele che rivelava notizie aziendali e riservate ad imprese concorrenti (42). Non mancano tuttavia decisioni di segno opposto che tentano di effettuare un equilibrio tra l’uso di Internet e l’effettivo danno cagionato al datore di lavoro. Si consideri, infatti, che non è impossibile effettuare la prestazione lavorativa richiesta, sfruttando i fisiologici “tempi morti” per aprire le proprie connessioni. Il Tribunale di Firenze, per esempio, ha ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato nei confronti di un dipendente che su 163 giorni nei quali ha effettuato almeno un collegamento a Internet in orario di lavoro, ha dedicato a tale attività mediamente circa 56 minuti giornalieri (43); il licenziamento è stato annullato anche sul presupposto che il datore di lavoro aveva sempre consentito un accesso alla rete Internet per motivi extra lavorativi, sia pure nei limiti della ragionevolezza e purché il sistema non fosse tenuto occupato per tempi eccessivi. Analogamente, la Corte di Cassazione, ha confermato l’illegittimità del licenziamento di un lavoratore che aveva dapprima scaricato sul computer aziendale alcuni file e poi utilizzato un programma di file sharing per condividerli con estranei, sul presupposto che il CCNL di riferimento, pur ricomprendendo tra i comportamenti passibili di sanzione disciplinare l’utilizzo improprio delle strumentazioni aziendali, vi riconduceva unicamente l’irrogazione di una sanzione conservativa; inoltre era stato valutato che dalla condotta del lavoratore non era emerso alcun danno per il datore di lavoro (44). Parimenti illegittimo è stato considerato il licenziamento di un lavoratore per l’uso del computer aziendale, delle reti informatiche aziendali e della casella di posta

(41) La sentenza è pubblicata in questa Rivista, 2019, 81 ss., seguita dal commento di LAnzArA, Reiterati accessi a facebook, controlli del datore e licenziamento disciplinare, ivi, 83 ss., nonché in <https://www.altalex. com/documents/news/2019/02/07/social-network-licenziamento>, con commento di roMAni, Troppo tempo su Facebook? Ok al licenziamento. Il precedente specifico è Trib. Brescia, 13 giugno 2016, n. 782. (42) Trib. Bari, 10 giugno 2019, n. 2636, in <https://uniolex. com/wp-content/uploads/2019/06/Tribunale-di-Bari-sentenza-2636-del-10-giugno-2019.pdf>. (43) Trib. Firenze, 7 gennaio 2008, n. 1218. (44) Cass., sez. lav., 26 novembre 2013, n. 26397, in Prat. lav., 2014, 154 ss.; in Giur. it., 2014, 2523 ss., con nota di FoGLiA, Licenziamento disciplinare e sindacato giudiziale della proporzionalità. elettronica se il datore di lavoro non prova un danno ulteriore (45).

4.3. L’utilizzo dei social network da parte del lavoratore fuori dall’ambito lavorativo

Un lavoratore dipendente – specie se pubblico – deve prestare attenzione anche ai suoi comportamenti fuori dell’orario di servizio, poiché può realizzare delle condotte contrarie all’immagine del datore di lavoro (46). Il licenziamento è stato considerato legittimo, per esempio, nelle seguenti fattispecie: - esercizio della prostituzione su siti Internet da parte di un dipendente pubblico (47); - inserimento nel proprio profilo personale Facebook di una foto nella quale il dipendente è ritratto mentre impugna un’arma (48); - inserimento su siti Internet, da parte della dipendente di una compagnia aerea, di foto pornografiche e di annunci contenenti offerte di prestazioni sessuali che identifichino la propria qualità di hostess e la compagnia datrice di lavoro (49). La Cassazione ha poi ravvisato gli estremi della diffamazione nella diffusione di un messaggio offensivo attraverso l’uso di Facebook per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone e, di conseguenza, integrando giusta causa di licenziamento (50).

(45) Cass., sez. lav., 2 novembre 2015, n. 22353, in Leggi d’Italia, 2015. Nello specifico, non era risultato in giudizio che la navigazione in Internet del dipendente avesse determinato una significativa sottrazione di tempo all’attività di lavoro. (46) Alcune amministrazioni hanno fornito specifiche istruzioni ai dipendenti. V., per es., la circolare del Ministero dell’Interno, 24 ottobre 2019, n. 555DOC/C/SPEC/SPMAS/5428/19, recante «Utilizzo dei social network e di applicazioni di messaggistica da parte degli operatori della Polizia di Stato» (scaricabile dall’indirizzo: <https://www.asaps. it/68240-_ministero_dellinterno_utilizzo_dei_social_network_e_di_applicazioni_di_messaggi.html>) e, in precedenza, la circolare del Ministero della Giustizia, 20 febbraio 2015, n. 3660/6110, contenente «Precisazioni sull’uso dei social network da parte del personale dell’Amministrazione» (in <https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_8_1.wp?facetNode_1=0_28&facetNode_2=4_10&previsiousPage=mg_1_8&contentId=SDC1122254>). (47) Cass., sez. lav, 22 giugno 2016, n. 12898, in Foro it., 2016, I, 2746. (48) Trib. Bergamo, 24 dicembre 2015, in Lav. giur., 2016, 474 ss., con nota critica di CoSAttini, I comportamenti extralavorativi al tempo dei social media: “postare” foto costa caro. Sullo stesso tema, Trib. Bergamo, 14 settembre 2016, in Arg. dir. lav., 2017, 493 ss. con commento di CuSuMAno, Rilevanza disciplinare dei comportamenti extralavorativi e diffusione di immagini a mezzo ‘ social network’. (49) Trib. Roma, 28 gennaio 2009, in Riv. it. dir. lav., 2010, II, 32 ss. (50) Cass., sez. lav., 27 aprile 2018, n. 10280, in Foro it., 2018, I, 2424; in Giur. it., 2018, 1956 ss., con nota di toSi - puCCetti, Post denigratorio su Facebook, la leggerezza che per pubblicità diventa giusta causa. Nello stesso senso è anche Trib. Ivrea, 28 gennaio 2015, in Lav. giur., 2015, 837 ss.

L’”amicizia” su Facebook non è stata però considerata legittima causa di astensione in un concorso pubblico (51).

4.4. Il diritto di critica del lavoratore sui social network

L’esercizio del diritto di critica rispetto al datore di lavoro – soprattutto se connesso a rivendicazioni sindacali – è ammesso, per cui appare “ritorsivo” il licenziamento del lavoratore. Nel caso di specie si trattava di una chat non aperta a tutti (52). E’ stato poi ritenuto illegittimo anche il licenziamento per condotte diffamatorie nei confronti di un dipendente, eletto nella rappresentanza sindacale aziendale, che in una chat su Facebook, riservata agli iscritti al sindacato, aveva espresso giudizi pesanti sul suo datore di lavoro, in quanto il contenuto di queste conversazioni deve essere considerato come corrispondenza privata (53). Diversa la situazione in cui le critiche su Facebook sono consistite in una «gratuita ed esorbitante denigrazione», e sarebbero state caratterizzate dalla «precisa intenzione di ledere, con l’attribuzione di un fatto oggettivamente

Trib. Milano 1° agosto 2014 (in Riv. it. dir. lav., 2015, II, 75 ss., con nota di iAQuintA - inGrAo), ha stabilito che: «È legittimo il licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore che abbia insultato il proprio datore di lavoro su Facebook in quanto l’insulto non può essere considerato uno sfogo inelegante o intercalare di routine, ma una condotta idonea ad incrinare il vincolo di fiducia tra le parti del rapporto, soprattutto quando, data la pubblicità del profilo Facebook, lo stesso risulti visibile ad un numero significativo di contatti e senz’altro a tutti coloro che, conoscendo il lavoratore, siano in grado di comprendere a chi sia rivolto il turpiloquio». Diversamente, è stata dichiarata l’illegittimità, per violazione del principio di proporzionalità, del licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore per aver pubblicato sulla propria pagina Facebook una critica alla clientela del proprio datore di lavoro che è rimasta visibile soltanto ad un numero ristretto di persone e per un breve periodo (Trib. Ascoli Piceno, 19 novembre 2013, in Riv. it. dir. lav., 2015, II, 75 ss.). (51) Nel caso di specie – riguardante un concorso scolastico – il T.a.r. ha stabilito che «il funzionamento di Facebook consente di entrare in contatto con persone che nella vita quotidiana sono del tutto sconosciute»; inoltre, « non è chi non veda che nell’odierno modo di comunicare, qualunque occasione conviviale, anche del tutto episodica, può essere “catturata” con il telefono cellulare e repentinamente pubblicata sul social network». Pertanto – conclude la sentenza – laddove il riferimento alla “abitualità” della commensalità esclude, per pura logica, l’occasionalità della stessa, non è certo Facebook in sé che può concretizzare una delle cause di incompatibilità previste dall’art. 51 c.p.c., né, tanto meno, l’amicizia su Facebook può essere considerata indice di commensalità abituale (T.a.r. Cagliari, sez. I, 3 maggio 2017, n. 281, in Guida dir., 2017, 22, 42 ss.; in precedenza, con analoghe conclusioni, cfr. T.a.r. Genova, sez. II, 3 settembre 2014, n. 1330, in Foro amm., Il, 2014, 2382 ss.). (52) Cass., sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2499, in Arg. dir. lav., 2017, 762 ss., con commento di MAtAreSe. (53) Cass., sez. lav., ord., 10 settembre 2018, n. 21965, in Foro it., 2018, I, 3927 ss.; in Giur. it., 2019, 137 ss., con nota di toSi - puCCetti, Chat Facebook: se la riservatezza legittima la denigrazione del datore di lavoro. diffamatorio, la reputazione del proprio datore di lavoro» (54). Anche i “post” e i “like” possono generare delle conseguenze, come nel caso di un magistrato che aveva commentato, in termini non lusinghieri il Sindaco (55). Sui “like”, invece, si segnala una decisione che ha rilevato la valenza negativa del commento “mi piace” ad una notizia pubblicata su Facebook che «può ben comportare un danno all’immagine dell’amministrazione, e pertanto assume rilevanza disciplinare» (56).

4.5. Alcune fattispecie penali relative ai social

network (57)

Alcune fattispecie alle quali si riconnettono responsabilità penali valgono anche per i comportamenti tenuti sui social network. Tra questi meritano una menzione, quanto a ricorrenza, ad eccezione dell’ultimo, almeno quelli di seguito descritti. A) Il reato di diffamazione (art. 595 cod. pen.). L’offesa all’altrui reputazione – comunicando con più persone (è il caso dei “post” su Facebook) – è anche aggravata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un determinato fatto, e se l’offesa è diffusa col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (58). Sulla questione, la

(54) Cass., sez. lav., 31 maggio 2017, n. 13799, in Guida dir., 2017, 26, 69 ss. In termini analoghi il comportamento del dipendente che ha postato sulla propria “bacheca” su Facebook frasi ingiuriose nei confronti dell’azienda per cui lavorava e nei confronti del datore di lavoro che – seppur non aperta a tutti – ha conosciuto l’accaduto in quanto inserito nella cerchia di “amici” del dipendente (Cass., sez. lav., 27 aprile 2018, n. 10280, in Foro it., 2018, I, 2424 ss.; in Giur. it., 2018, 1956 ss., con commento di

toSi - puCCetti.

(55) Cass., sez. un., 31 luglio 2017, n. 18987, in Quod. giur., 2017. Ciò che conta – hanno ribadito i giudici – è l’immagine del magistrato, proprio in quanto dipendente del Ministero della Giustizia, immagine che risulta lesa dalla sua condotta, e ciò a prescindere dal fatto che il post non sia stato percepito come diffamatorio dal destinatario. (56) T.a.r. Milano, Sez. III, ord., 3 marzo 2016, n. 246, in Foro it., 2016, 9, III, 504 ss.; in Lav. giur., 2017, 381 ss., con nota di Cottone, Social network: limiti alla libertà d’espressione e riflessi sul rapporto di lavoro (il “like”). (57) Per una trattazione esaustiva dei crimini informatici v. il Trattato AA.VV., Cybercrime, a cura di CAdoppi - CAneStrAri - MAnnA - pApA, Torino, 2019, cui adde iASeLLi (a cura di), Investigazioni digitali, Milano, 2020. In sintesi si può consultare AMAto MAnGiAMeLi - SArACeni, I reati informatici. Elementi di teoria generale e principali figure criminose, II ed., Torino, 2019; piCotti, I diritti fondamentali nell’uso ed abuso dei “social network”: aspetti penali, in Giur. mer., 2012, 2522 ss. Qualche notazione anche in MAinini, Diritto penale web e social network, in Dir. ind., 2019, 183 ss. (58) Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2015, n. 24431, in Foro it., 2015, II, 691 ss. Più di recente v. Cass. pen., sez. V., 23 luglio 2020, n. 22049, in questa Rivista, 2020, 701 ss., con commento di CreSCioLi, Profili penali della creazione di un falso profilo Facebook a scopo diffamatorio, ivi, 703. La questione si presenta singolare in virtù del fatto che, per la “sostituzione”, non sia sta utilizzata una fotografia (o comunque una immagine) del dan-

Suprema Corte ha affermato che: «la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma del codice penale, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche del social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica» (59). Successivamente è stato ribadito che: «Il legislatore, pur mostrando di aver preso in considerazione la esistenza di nuovi strumenti di comunicazione, telematici ed informatici, non ha ritenuto di dover mutuare o integrare la lettera della legge con riferimento a reati (e, tra questi certamente quelli contro l’onore la cui condotta consiste nella (o presuppone la) comunicazione dell’agente con terze persone). E tuttavia, che i reati previsti dagli

neggiato, quanto una sua caricatura, evidentemente sufficiente a consentirne comunque l’identificazione (sebbene dalla decisione questo non sia chiaro). Diverso sarebbe giungere alla conseguenza che in “profilo” sui social una persona non possa impiegare una immagine di “fantasia” che lo rappresenti, senza con ciò danneggiare alcuno. Cass. pen., sez. V, 22 gennaio 2019, n. 2823, ha ritenuto che il blogger risponda a titolo di concorso, ex art. 110 c.p., nella diffamazione aggravata commessa dal terzo per non aver opportunamente filtrato i commenti degli utenti omettendo di provvedere alla cancellazione dei post ingiuriosi. La sentenza è pubblicata in questa Rivista, 2019, 155 ss., con il commento di BeneVento, L’apposizione di filtri ai commenti degli utenti non esclude il concorso del blogger nella diffamazione, ivi, 157 ss. Su questa impostazione esprime perplessità Cass. pen., sez. V., 20 marzo 2019, n. 12546, in questa Rivista, 2019, 575, seguita dal commento di GuerCiA, Responsabilità del blogger per fatto illecito altrui: la Suprema Corte percorre la “via” della pluralità di reati. (59) Cass. pen., sez. I, 2 gennaio 2017, n. 50, in <https://www.altalex. com/documents/news/2017/01/03/facebook-social-network>, con commento di iASeLLi, Facebook: l’offesa in bacheca è diffamazione aggravata. Nella stessa occasione, la Suprema Corte ha posto l’accento sul fatto che la circostanza secondo cui l’accesso al social network richieda all’utente una procedura di registrazione «non esclude la natura di “altro mezzo di pubblicità” richiesta dalla norma penale per l’integrazione dell’aggravante, che discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall’indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia (come si verifica nel caso della stampa, che integra un’autonoma ipotesi di diffamazione aggravata), in puntuale conformità all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte che ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 595 c.p. nella diffusione della comunicazione diffamatoria col mezzo del fax e della posta elettronica indirizzata a una pluralità di destinatari». articoli 594 e 595 c.p. possono essere commessi anche per via telematica o informatica, è addirittura intuitivo; basterebbe pensare alla cosiddetta trasmissione via e-mail, per rendersi conto che è certamente possibile che un agente, inviando a più persone messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica del delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse)» (60). Quanto al danno risarcibile, un giudice di merito, non ha ritenuto che la diffamazione, attraverso un ‘post’, determini un automatico insorgere del danno non patrimoniale da lesione dell’immagine e della reputazione della persona offesa: «la sussistenza del danno non patrimoniale, quale conseguenza pregiudizievole (ossia, una perdita ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., quale norma richiamata dall’art. 2056 c.c.) di una lesione suscettibile di essere risarcita, deve essere oggetto di allegazione e di prova, sebbene, a tale ultimo fine, possano ben utilizzarsi anche le presunzioni semplici, là dove, proprio in materia di danno causato da diffamazione, idonei parametri di riferimento possono rinvenirsi, tra gli altri, dalla diffusione dello scritto, dalla rilevanza dell’offesa e dalla posizione sociale della vittima» (61). B) La sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.). E’ il caso dei profili personali fake che su Internet abbondano. Non si tratta tuttavia di quelle misure funzionali a mantenere l’anonimato (con l’utilizzo di nomi e dati non veritieri), quanto della situazione in cui un soggetto si spacci per altro, creando un profilo con i dati personali di quest’ultimo. La sostituzione di persona si configura quale reato se si induce qualcuno in errore, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri

(60) Cass. pen., sez. V, 27 dicembre 2000, n. 4741, in Danno e resp., 2001, 602 ss., con commento di SArAVALLe; in Cass. pen., 2001, 1832 ss., con nota di peruSiA. Per una delle prime decisioni di risarcimento danni per diffamazione compiuta attraverso Facebook v. Trib. Monza, sez. IV, 2 marzo 2010, n. 770 (in Giur. merito, 2010, 2443 ss.) secondo cui l’utente del social network destinatario di un messaggio lesivo della propria reputazione, dell’onore e del decoro, ha diritto al risarcimento del danno morale o non patrimoniale da porre a carico dell’autore del messaggio medesimo. (61) Trib. Bologna, sez. III, 5 luglio 2019, n. 1605, in questa Rivista, 2019, 743 ss., seguita dalla nota di torMen, La diffamazione a mezzo Facebook e i danni risarcibili. In tema di quantificazione del danno, App. L’Aquila, 13 novembre 2019, n. 1888 (in questa Rivista, 2020, 53 ss., con commento di peron, Applicazione dei parametri adottati dalle Tabelle di Milano per il risarcimento del danno da diffamazione tramite Facebook): «L’attore ha, quindi, diritto al risarcimento del danno alla reputazione, di natura non patrimoniale e come tale richiesto, non essendo dubitabile la portata diffamatoria della pubblicazione sul social Facebook delle suddette espressioni lesive. In tal senso la Corte reputa di fare governo di quanto contenuto nelle Tabelle dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, aggiornate al 2018, per la liquidazione di siffatta tipologia di danno ove la diffamazione sia avvenuta a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa, tra questi ultimi figurando evidentemente il social Facebook».

un danno. La fattispecie, riguardando anche la dichiarazione di un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, fa salva l’applicazione delle sanzioni previste dagli altri delitti contro la fede pubblica. Notazione, quest’ultima, di particolare rilievo nel caso di dipendenti pubblici. La Cassazione ha sottolineato la valenza pubblica della fattispecie, in quanto «si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia di un determinato destinatario, così come il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome» (62). In questa direzione sono stati ravvisati gli estremi oggettivi della “sostituzione di persona” nel caso in cui l’imputato aveva creato un profilo sul social network “Badoo” riproducente l’effige della persona offesa, con una descrizione tutt’altro che lusinghiera e con tale falsa identità usufruiva dei servizi del sito, consistenti essenzialmente nella possibilità di comunicazione in rete con gli altri iscritti (indotti in errore sulla sua identità) e di condivisione di contenuti. Quanto all’elemento soggettivo (ossia al dolo specifico richiesto dalla norma), questo è stato riscontrato poiché da «un lato era sussistente il fine di ottenere dei vantaggi di natura non patrimoniale, ritraibili dall’attribuzione di una diversa identità, che l’imputato utilizzava per intrattenere rapporti con altre persone (essenzialmente ragazze) o per soddisfacimento di una propria vanità; dall’altro la condotta era idonea a ledere l’immagine e la dignità della persona offesa» (63). Più di recente la Suprema corte ha inquadrato la fattispecie della creazione di un falso account, diffondendo i dati di altra persona, proprio nell’ambito dell’illecito trattamento di dati personali di cui all’art. 167 del Co-

(62) Cass. pen., sez. V., 8 novembre 2007, n. 46674, in Dir. Internet, 2008, 249 ss., con commento di CAtuLLo, Rilevanza penale dell’identità virtuale. (63) Cass. pen., sez. V., 23 aprile 2014, n. 25774, in Dir. pen. e processo, 2014, 810 ss., con nota di CorBettA. Per altre ipotesi di sostituzione di persona collegate ad attività “digitali” v. Cass. pen., sez. V, 29 aprile 2013, n. 18826, in Altalex, 2013; Cass. pen., sez. V, 28 novembre 2012, n. 18826, in Dir. pen e processo, 2013, 648 ss.; Cass. pen., sez. III, 15 dicembre 2011, n. 12479, Armellini, in C.E.D. Cass., 2012. Per un quadro del tema v. CipoLLA, Social network, furto di identità e reati contro il patrimonio, in Giur. merito, 2012, 2672 ss. Sulla questione si segnala una decisione in decisa controtendenza. La Suprema corte ha ritenuto legittima la condotta di un datore di lavoro che ha creato un falso profilo con il quale ha tratto in inganno il lavoratore al fine di provare l’abuso degli strumenti informatici messi a sua disposizione. Nel caso di specie, con un falso profilo femminile, sono state intrattenute lunghe conversazioni su Facebook, durante l’orario di lavoro al fine di provare lo svolgimento di attività non ammessa durante l’orario di servizio (Cass., sez. lav., 27 maggio 2015, n. 10955, in Lav. giur., 2015, 896 ss., con commento di AMAto, Legittimità del controllo difensivo occulto attraverso i social networks; in Arg. dir. lav., 2015, 1303 ss., con nota di oLiVeLLi, Lo “stratagemma” di Facebook come controllo difensivo occulto: provocazione o tutela del patrimonio aziendale?). dice privacy. Si tratterebbe, inoltre – rimarca il collegio – di un reato di natura permanente «caratterizzandosi per la continuità dell’offesa arrecata dalla condotta volontaria dell’agente, il quale ha la possibilità di far cessare in ogni momento la propagazione lesiva dei dati medesimi» (64). C) Pubblicare (‘postare’) immagini altrui. La pubblicazione di immagini altrui – che si configura quale dato personale (65) – può contrastare, oltre al GDPR, anche con altre normative, tra le quali il diritto di autore (l. n. 633 del 1941) e le privative industriali (per es. il marchio, di cui al d.lgs. n. 30 del 2005) (66). Il consenso alla pubblicazione (che per la disciplina sul diritto di autore è comunemente indicato come “liberatoria”), non è necessario in alcune situazioni, connaturate da un interesse generale alla conoscenza (67), a condizione che l’esposizione o la messa in commercio

(64) Cass. pen., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 42565, in questa Rivista, 2020, 135 ss., con nota di de LiA, Della rilevanza penale della creazione abusiva dell’account e del successivo inserimento di dati personali altrui su un social network, ivi, 137 ss. (65) Dato personale il cui utilizzo può generare particolari situazioni (si pensi ai minori), ovvero quando rappresenta situazioni “particolari” (esempio: portatori di handicap). Per la diffusione di immagini di minori v. Trib. Rieti, ord., 7 marzo 2019, in Fam. e dir., 2019, 591 ss., con commento di ForCiniti, Tutela cautelare e d’urgenza e diffusione di immagini di soggetti minori sui social networks; Trib. Mantova, ord., 19 settembre 2017 e Trib. Roma, ord., 23 dicembre 2017, in Fam. e dir., 2018, 380 ss., con nota di nitti, La pubblicazione di foto di minori sui social network tra tutela della riservatezza e individuazione dei confini della responsabilità genitoriale; Trib. Roma, Sez. I, 23 dicembre 2017, in Resp. civ. 2018, 589 ss., con commento di peron, Sul divieto di diffusione sui social network delle fotografie e di altri dati personali dei figli; C. perLinGieri, La tutela dei minori di età nei “social networks”, in Rass. dir. civ., 2016, 1324 ss. Si ricorda che l’art. 2-quinquies del D.Lgs. n. 196/2003 (introdotto dal d.lgs. n. 101 del 2018, per l’adeguamento al GDPR) prevede che i minori, possano validamente prestare il loro consenso al trattamento dei dati personali solo a partire dai 14 anni, in attuazione dell’art. 8, par. 1 del Regolamento, mutando l’orientamento precedente che confermava la soglia minima dei 16 anni. La norma aggiunge, altresì, che il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a 14 anni è lecito, a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale (Cfr. Trib. Bari, sez. II, ord. 7 novembre 2019, in questa Rivista, 2020, 87 ss., con nota di MAGGi, Consenso e tutela del diritto all’immagine del minore: tra diritto della personalità e protezione dei dati personali. In dottrina v. anche CAGGiAno, “Privacy” e minori nell’era digitale. Il consenso al trattamento dei dati dei minori all’indomani del Regolamento UE 2016/679, tra diritto e tecno-regolazione, in Familia, 2018, 3 ss.; nAddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, in Dir. inf., 2018, 27 ss.). (66) Per un esempio, riferito al linking (abusivo) effettuato da un social network v. Trib. Roma, sez. spec. imprese, 15 febbraio 2019, in questa Rivista, 2019, 315 ss., con nota di CASSAno, Un precedente di responsabilità del social network per attività abusiva di linking, ivi, 321 ss. (67) Secondo l’art. 97, della l. n. 633 del 1941, il consenso non è richiesto quando: a) il soggetto è ripreso in virtù di qualche ufficio pubblico che ricopre; b) se è ripreso per ragioni di giustizia o di polizia, oppure per scopi scientifici, didattici, culturali; c) se la riproduzione è legata a fatti, avvenimenti, cerimonie di pubblico interesse o che comunque si sono svolte in pubblico.

delle immagini non arrechi danno alla reputazione ed al decoro della persona ritratta (art. 97, comma 2) (68). A parte i “rimedi” previsti dalle discipline speciali, anche il trattamento illecito di dati personali è soggetto alle sanzioni penali, di cui al citato art. 167 del d.lgs. n. 196 del 2003 (69). D) Violenza sessuale attraverso social. Considerato che, al momento, si tratta di un unicum, non si può tralasciare di menzionare una recente sentenza con la quale la Suprema Corte ha applicato la nozione di “atto sessuale” – e quindi ravvisare il reato di violenza sessuale aggravata – anche all’ipotesi in cui tra l’autore del reato e la vittima vi sia stato il solo scambio, via whats app, di immagini e messaggi a contenuto erotico. Secondo la Corte, data la minore età della persona offesa, l’offesa si è compiutamente realizzata con riferimento al bene giuridico della libertà sessuale ed in specie del diritto ad uno sviluppo libero ed equilibrato in questa delicata sfera della persona (70).

5. Riannodando i fili: verso il legittimo affidamento e la responsabilità da Social in ambito pubblico

Il percorso sin qui disordinatamente condotto – tanti e tali sono gli stimoli e le deviazioni che probabilmente andavano assecondati – si conclude riannodando i fili dipanati in premessa. In un clima denso di strumenti “social”, in cui anche la pubblica amministrazione prova

Sul tema v. MontALdo, Il ritratto fotografico digitale tra diritto d’autore, diritti della persona e tutela della privacy, in Resp. civ., 2010, 2369 ss. In termini più generali deLL’Arte, Diritto della comunicazione e dell’informazione, Milano, 2020, 35 ss. (68) Cfr. anche l’art. 10 c.c., nonché trottA, Social network e tutela dell’immagine, in Dir. ind., 2010, 282 ss. Le immagini, se evidenti del comportamento tenuto, possono peraltro essere utilizzate quale prova per l’addebito della separazione coniugale. Un esempio di mancata prova (non particolarmente convincente, dato che il presunto amante si trovava nudo sul letto della moglie del ricorrente) è fornito da App. L’Aquila, 16 dicembre 2019, n. 2060, in questa Rivista, 2020, 273 ss., con commento di AuLino, Le immagini estratte dai social network quali prove dell’infedeltà coniugale ai fini della domanda di addebito. (69) Sul tema v. MASSAro (a cura di), Diritto penale e privacy, Pisa, 2020; Brizzi, Privacy. La tutela penale dei dati personali, Milano, 2020. Una prima applicazione dei nostri giudici è quella di Trib. Bologna, sez. pen., 10 gennaio 2019, in questa Rivista, 2019, 365 ss., con commento di SAntAnGeLo, Il trattamento illecito di dati all’indomani del Regolamento privacy. Prime ipotesi applicative, ivi, 370 ss. (70) La massima è la seguente: «Il delitto di violenza sessuale può essere realizzato anche tramite minacce che costringano una minore ad uno scambio di selfie e messaggi sessualmente espliciti via whats app, senza contatto fisico con la vittima, poiché integrano atti che ne coinvolgono la corporeità sessuale e sono idonei a compromettere il bene primario della sua libertà individuale nella prospettiva di soddisfare od eccitare l’istinto sessuale dell’agente». Così Cass. pen., sez. III, 8 settembre 2020, n. 25266, in questa Rivista, 2020, 683, seguita dal commento di piCotti, La violenza sessuale via Whats App, ivi, 685 ss. in qualche modo a misurarsi, come devono essere intesi i principi della «collaborazione e della buona fede»? Perché se è vero che la direzione normativamente indicata – e quindi giuridicamente doverosa – è verso una adozione ‘ordinaria’ di tali strumenti (e, qui, vale il richiamo, in veste segnaletica, alle app “Immuni” ed “Io”), allora occorre chiedersi se il “dialogo” non generi ulteriori considerazioni, in cui le parti del medesimo debbano essere chiaramente edotte che lo strumento utilizzato si sposta da logiche più o meno di marketing a logiche provvedimentali o, al meno, di informazioni e dichiarazioni di intendimenti (dal lato pubblico), ovvero di istanze e dichiarazioni (dal lato privato). I principi di collaborazione e di buona fede (ora, come detto, contenuti nell’art. 1, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990) sono il portato di un percorso giurisprudenziale che si snoda attorno ad uno dei temi tipici del rapporto tra la pubblica amministrazione ed il privato, ossia non tanto quello del silenzio (o dell’inerzia), quanto quello di un ‘movimentismo’ istruttorio, in cui il “dialogo” (esempio: la richiesta di chiarimenti ed ulteriori documenti), non arriva al “dunque”, lasciando l’interessato, per così dire, in ‘sospeso’. L’effetto evidente è quello di ricondurlo, scientemente o meno, alla condizione di “sottoposto” e non a quella se non di partner, almeno di cliente. Tutto ciò nonostante la sbandierata configurazione dell’esercizio dell’azione amministrativa nell’alveo delle regole del diritto “comune”, cioè del diritto civile. La conclusione di detto percorso – prima dell’approdo alla modifica legislativa – è suggellato dalla decisione 28 aprile 2020, n. 8236, con la quale le Sezioni unite della Cassazione hanno compiutamente esplicitato i termini della responsabilità della pubblica amministrazione per l’affidamento che questa ha ingenerato nel soggetto privato (71). La sentenza ha chiarito la natura giuridica della responsabilità e la giurisdizione alla quale spetti la relativa valutazione. Quanto alla natura giuridica, richiamando i principi espressi nelle ordinanze gemelle nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 (72), l’affidamento del privato nella correttezza della condotta della pubblica amministrazione «è una

(71) Per primi commenti v. CoMporti, La responsabilità relazionale a tutela degli affidamenti dei cittadini, in Giur. it., 2020, 2530 ss.; BonteMpi, La lesione dell’affidamento incolpevole radica (sempre) la giurisdizione ordinaria, in Giorn. dir. amm., 2020, 805 ss.; SCoGnAMiGLio, Sulla natura della responsabilità della pubblica amministrazione da lesione dell’affidamento del privato sorto a seguito di un comportamento della medesima, in Corr. giuridico, 2020, 1025 ss. (72) Cass., sez. un., ordd., 23 marzo 2011, n. 6594, 6595 e 6596, in Foro it., 2011, I, 2387; in Corr. giuridico, 2011, 933, con nota di di MAjo; in Giur. it., 2012, 192, con commento di CoMporti, La concentrazione delle tutele alla prova dell’effettività. La decisione n. 6595/2011 è altresì commentata da MASerA, in Urb e app., 2011, 915 ss.

situazione autonoma, tutelata in sé, e non nel suo collegamento con l’interesse pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica, che si sostanzia (…), nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in sostanza, di un’aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione fondata sulla buona fede». La buona fede finisce quindi per essere in stretta correlazione con l’art. 97 cost., per cui la posizione “di forza” in cui si trova la pubblica amministrazione deve essere mitigata dalla consapevolezza «dell’impatto che l’azione amministrativa produce sempre sulla sfera dei cittadini e delle imprese ed orientato al confronto leale e rispettoso della libertà di determinazione negoziale dei privati» (73). In un modello di pubblica amministrazione “paritaria” – in cui le parti concorrono, ciascuna secondo i rispettivi diritti e doveri, alla gestione di una “funzione” di interesse della (e per la) collettività – trovano applicazioni gli stessi canoni, di matrice civilistica, concernenti la correttezza e la buona fede «la cui violazione fonda una responsabilità da lesione dell’affidamento del privato che prescinde dalla valutazione di legittimità o illegittimità (ed anche dalla stessa esistenza) di un atto di esercizio del potere amministrativo». Si tratta – continua il ragionamento delle Sezioni unite – di una responsabilità da contatto sociale qualificato (74), in cui il danno si è creato tra soggetti che hanno stabilito una relazione tra loro, regolata dall’ordinamento giuridico e che trova un caposaldo fondante nell’art. 2 cost. (75). Se questa norma implica un generale dovere di solidarietà sociale a carico di tutti i consociati, a maggior ragione grava più intensamente su quei soggetti investiti

Le tre ordinanze sono state confermate dalle seguenti pronunce, richiamate in motivazione: Cass., sez. un., ord., 4 settembre 2015, n. 17586 (in Danno e resp., 2015, 1083); Cass., sez. un., ord., 22 maggio 2017, n. 12799 (in C.E.D. Cass., 2017); Cass., sez. un., ord., 22 giugno 2017, n. 15640 (in C.E.D. Cass., 2017); Cass., sez. un., ord., 2 agosto 2017, n. 19171 (in Leggi d’Italia, 2018); Cass., sez. un., ord., 23 gennaio 2018, n. 1654 (in C.E.D. Cass., 2018); Cass., sez. un., ord., 2 marzo 2018, n. 4996 (in Corr. giuridico, 2018, 568); Cass., sez. un., ord., 24 settembre 2018, n. 22435 (in Leggi d’Italia, 2019); Cass., sez. un., ord., 13 dicembre 2018, n. 32365 (in Leggi d’Italia, 2019); Cass., sez. un., ord., 19 febbraio 2019, n. 4889 (in Foro it., 2019, I, 4066); Cass., sez. un., ord., 8 marzo 2019, n. 6885 (in C.E.D. Cass., 2019); Cass., sez. un., ord., 13 maggio 2019, n. 12635 (in C.E.D. Cass., 2019). (73) Così C. Stato, Sez. VI, 6 marzo 2018, n. 1457, punto 9.2. della motivazione (in Leggi d’Italia, 2018). (74) Per una ricostruzione del tema v. rAVASio, Principi e regole di azione non scritti. L’obbligo di buona fede e la responsabilità da contatto sociale qualificato, in ConteSSA - GreCo (a cura di), L’attività amministrativa e le sue regole, cit., 59 ss. (75) Per il valore della ‘relazione’ v. CAStronoVo, La “civilizzazione” della pubblica amministrazione, in Europa e dir. priv., 2013, 639. di particolari “prerogative” (76): «Vi è quindi un quid pluris rispetto al generale precetto del neminem laedere; non si tratta della generica “responsabilità del passante”, ma della responsabilità che sorge tra soggetti che si conoscono reciprocamente già prima che si verifichi un danno; danno che consegue non alla violazione di un dovere di prestazione ma alla violazione di un dovere di protezione, il quale sorge non da un contratto ma dalla relazione che si instaura tra l’amministrazione ed il cittadino nel momento in cui quest’ultimo entra in contatto con la prima». Il “contatto” va inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 c.c. dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione, bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione (secondo quanto indicato agli artt. 1175, 1176 e 1337 c.c.) (77). Posto che si tratta di un contatto “qualificato” e che la responsabilità aquiliana cede il posto alla responsabilità di tipo contrattuale, si conclude – riaffermando i principi enunciati da due recenti precedenti (78) – «che la responsabilità che grava sulla pubblica amministrazione per il danno prodotto al privato a causa delle violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa non sorge in assenza di rapporto, come la responsabilità aquiliana, ma sorge da un rapporto tra soggetti – la pubblica amministrazione e il privato che con questa sia entrato in relazione – che nasce prima e a prescindere dal danno e nel cui ambito il privato non può non fare affidamento nella correttezza della pubblica amministrazione. Si tratta, allora, di una responsabilità che prende la forma dalla violazione degli obblighi derivanti da detto rapporto e che, pertanto, va ricondotta allo schema della responsabilità relazionale,

(76) La Cassazione rinvia al Consiglio di Stato: «(…) da chi esercita una funzione amministrativa, costituzionalmente sottoposta ai principi di imparzialità e di buon andamento (art. 97 Cost.), il cittadino si aspetta uno sforzo maggiore, in termini di correttezza, lealtà, protezione e tutela dell’affidamento, rispetto a quello che si attenderebbe dal quisque de populo». Così C. Stato, ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5, in Foro it., 2018, III, 453; in Giur. it., 2018, 1983, con nota di CoMporti. Regole di comportamento per un ripensamento della responsabilità dell’amministrazione; in Corr. giuridico, 2018, 1547, con commento di triMArChi BAnFi, La responsabilità dell’amministrazione per il danno da affidamento nella sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 5 del 2018 e in Urb. e app., 2018, 639, con nota di GiAGnoni. (77) Cass. 6 ottobre 2015, n. 19883 (in Foro it., 2016, I, 604), ritiene applicabili anche alla pubblica amministrazione i criteri di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. (78) Si tratta di Cass. 12 luglio 2016, n. 14188 (in Notariato, 2016, 477; in Corr. giuridico, 2016, 1504, con nota di CiCero, La responsabilità (pre) contrattuale come responsabilità da contatto sociale; in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1451, con commento di iuLiAni, La Cassazione riafferma la natura contrattuale della responsabilità precontrattuale; in Giur. it., 2016, 2565, con nota di di MAjo, La culpa in contrahendo tra contratto e torto; in Danno e resp., 2016, 1051, con osservazioni di CArBone; in Contratti, 2017, 35, con nota di pirAino), poi ripresa anche da Cass. 27 ottobre 2017, n. 25644 (in Foro it., 2018, I, 998).

o da contatto sociale qualificato, da inquadrare nell’ambito della responsabilità contrattuale; con l’avvertenza che tale inquadramento, come segnalato da autorevole dottrina, non si riferisce al contratto come atto ma al rapporto obbligatorio, pur quando esso non abbia fonte in un contratto» (79). . Quanto al riparto della giurisdizione, la Suprema Corte effettua una conseguente evoluzione. Il danno di cui si tratta non è generato da un provvedimento amministrativo (che può anche mancare) ma è causato dal comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione che ha leso l’affidamento del privato a seguito del contatto sociale qualificato intercorso tra le parti. La legittimità (o illegittimità) del provvedimento – qualora esistente – è posta su un altro piano: nel “contatto sociale” l’amministrazione non ha ancora posto in essere alcun atto di esercizio del potere amministrativo ed il “rapporto” è retto dalle regole civilistiche. Corollario inevitabile, l’affermazione della giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. A questo punto è agevole conferire un diverso significato all’utilizzo di social network, social media, app e dintorni. Se prima – a vario “spessore” – le conseguenze circa il loro utilizzo erano individuate nell’ambito di disposizioni o fattispecie specifiche, ora la situazione è destinata a cambiare, facendo cadere l’alibi che trova nel “provvedimento” l’unico strumento di “dialogo” della pubblica amministrazione. Alla luce di quanto detto, probabilmente anche il Consiglio di Stato, non sottovaluterebbe gli effetti del twitter con il quale il Ministro dei Beni e delle attività e del turismo ha dichiarato la sospensione dei lavori di ristrutturazione di una piazza storica nel Comune di La Spezia (80). Resta, per chiudere, almeno una domanda in sospeso. Siamo proprio certi che vi sia stata una reale consapevolezza di questi potenziali effetti?

(79) Si farebbe torto al lettore indicare le conseguenze del passaggio da una responsabilità di tipo extracontrattuale ad una di tipo contrattuale. Questo passaggio – patrocinato dalla formula “contatto sociale qualificato” – è letto criticamente da quanti vi vedono null’altro che un modo attraverso il quale i giudici civili hanno creato un sistema di tutela ‘parallelo’ a quello dell’illecito aquiliano, aggirandone le strettoie in termini di limiti probatori e di prescrizione. Per tutti, cfr. zACCAriA, Der aufhaltsame Aufstieg des sozialen Knotakts (la resistibile ascesa del “contatto sociale”), in Riv. dir. civ., 2013, 107. (80) I giudici di Palazzo Spada, seppur riconosciuta l’importanza delle nuove tecnologie per comunicare l’attività amministrativa, hanno ribadito la centralità dei principi di tipicità degli atti della pubblica amministrazione e del legittimo affidamento del cittadino nella cui sfera giuridica si producono gli effetti dell’attività amministrativa. Le attività di comunicazione sono, pertanto, di diverso valore rispetto a quelle relative all’esercizio della funzione amministrativa (C. Stato, sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 769, in Giorn. dir. amm., 2015, 523 ss., con nota di SGueo, La comunicazione di un Ministro attraverso un social network integra gli estremi di un atto amministrativo?). Attestato sulla responsabilità aquiliana, invece, T.a.r. Liguria, sez. I, 3 gennaio 2019, n. 11, in questa Rivista, 2019, 203 ss., seguita dal commento di peLLeGAttA, Responsabilità civile per il danno da tweet: sospensione dei lavori e inadempimento contrattuale indotti da dichiarazioni su social network rese da parte di un Ministro della Repubblica, ivi, 205 ss.

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