14 minute read

commento di Andrea Carinci

può dimostrarla producendo copia della stessa, senza che abbia l’onere di depositarne né l’originale, anche in caso di disconoscimento, in quanto lo stesso non produce gli effetti di cui all’art. 215 c.p.c., comma 2, e potendo quindi il giudice avvalersi di altri mezzi di prova, comprese le presunzioni; né la parte è onerata della produzione della copia integrale, non essendovi alcuna norma che lo imponga o che ne sanzioni l’omissione con la nullità della stessa o della sua notifica (Cass., Sez. VI, 11 ottobre 2018, n. 25292). 2.3 - Questo principio è conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il disconoscimento, ai sensi dell’art. 2719 c.c., della conformità tra una scrittura privata e la copia fotostatica, prodotta in giudizio non ha gli stessi effetti - una volta effettuato - di quello della scrittura privata, previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2. Se, difatti, in caso di disconoscimento della scrittura privata, in mancanza di verificazione, è preclusa l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione di cui all’art. 2719 c.c. non impedisce al giudice di accertare la conformità della copia all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass., Sez. V, 8 giugno 2018, n. 14950; Cass., Sez. III, 20 agosto 2015, n. 16998; Cass., Sez. III, 19 dicembre 2019, n. 33769; Cass., Sez. VI, 27 marzo 2014, n. 7267; Cass., Sez. III, 21 novembre 2011, n. 24456; Cass., Sez. III, 21 aprile 2010, n. 9439; Cass., Sez. I, 3 febbraio 2006, n. 2419; Cass., Sez. I, 15 giugno 2004, n. 11269). 2.4 - Ne consegue che, in tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., il giudice, che escluda, in concreto, l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, in ragione della riscontrata mancanza di tale certificazione, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso (Cass., Sez. VI, 11 ottobre 2017, n. 23902; Cass., Sez. V, 4 ottobre 2018, n. 24323). 2.5 - La sentenza impugnata, nella parte in cui si è limitata a prendere atto del disconoscimento della relata di notifica all’originale senza accertare in ogni caso la conformità all’originale anche mediante altri mezzi di prova, non ha fatto buon governo di tali principi. 3 - Il ricorso va accolto nei termini di cui in motivazione, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

IL COMMENTO

di Andrea Carinci

Sommario: 1. Il caso di specie. – 2. Ragioni di interesse della decisione. – 3. Vizio di notifica. – 4. O vizio dell’atto? – 5. Conclusioni.

Il presente contributo prende in esame una recente pronuncia della Suprema Corte che viene a risolvere un contrasto recentemente emerso nella giurisprudenza di merito circa la necessità o meno della firma elettronica nella cartella di pagamento notificata via PEC. La Corte conclude per escludere detta necessità, sull’assunto che la cartella di pagamento non debba essere firmata. Si tratta, però, di una conclusione che non tiene in debito conto la complessiva disciplina applicabile e che, come tale, avrà verosimilmente bisogno di essere meglio meditata. The essay scrutinizes a recent judgement of the Supreme Court regarding the digital signature of the Cartella di pagamento (i.d. the act used for the enforced payment of taxes). The Court concludes denying the necessity of a digital signature, considering that the Cartella di pagamento must not be signed. However, this is a conclusion that can’t be considered as conclusive, by the fact that it ignores all the rules, regarding the digital documents, that should be considered.

1. Il caso di specie

La contribuente impugnava una serie di estratti di ruolo, nonché un precedente avviso di accertamento ed una intimazione di pagamento, deducendo, tra l’altro, la mancata notificazione delle cartelle di pagamento e, così, contestando la pretesa impositiva. La CTP di Napoli accoglieva parzialmente il ricorso in relazione a una delle cartelle di pagamento. La CTR della Campania,

investita dell’impugnazione della sentenza, accoglieva l’appello della contribuente. Ad avviso della CTR, mancava infatti la prova della notificazione delle cartelle di pagamento, alla stregua delle specifiche tecniche richieste dalla legge, con particolare riferimento alla mancanza della sottoscrizione digitale (estensione “.p7m”) nel documento allegato alle mail trasmesse a mezzo PEC. Per l’effetto, la CTR aveva ritenuto inesistente la notificazione delle cartelle, non sanata dalla indicazione, nell’oggetto delle PEC, dei numeri delle cartelle. L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso in Cassazione; la causa veniva decisa in camera di Consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. Ad esito del giudizio, la Suprema Corte concludeva escludendo che la firma digitale costituisca una condizione di legittimità e validità della cartella di pagamento notificata a mezzo PEC.

2. Ragioni di interesse della decisione

Come osservato, la Suprema Corte, con la sentenza qui in rassegna, conclude – peraltro in modo lapidario – nel senso che la cartella di pagamento notificata a mezzo PEC non deve necessariamente essere sottoscritta digitalmente, né con estensione PAdES né CAdES. E ciò, essenzialmente, dal momento che «la cartella di pagamento non deve essere necessariamente sottoscritta da parte del funzionario competente». Sennonché, nonostante la premessa da cui la Corte prende le mosse costituisca, oramai, un risultato acquisito in seno alla giurisprudenza della Suprema Corte, tant’è che sono richiamati numerosi precedenti (1), l’approdo cui giunge non pare altrettanto convincente. Si tratta di una questione che sta assumendo un diffuso interesse nella pratica, dove si registrano posizioni estremamente diversificate: accanto a pronunce di merito, che impongono la firma digitale alla cartella di pagamento (2), ve ne sono altre che, come la Suprema Corte, sono invece dell’avviso che non occorra alcuna firma (3). È certamente opportuno, quindi, un chiarimento, che possa mettere ordine; un chiarimento che, tuttavia, necessita di un impianto argomentativo più articolato di quello offerto dalla Suprema Corte, per poter essere convincente e seguito.

(1) Ex multis Cass. 4 dicembre 2019, n. 31605; Cass. 29 agosto 2018, n. 21290. (2) CTP Vicenza n. 615/2/17; CTP Milano n. 1023/1/17; cfr. BorGoGLio, Cartella nulla se non notificata via PEC con il file giusto, in <Eutekne. info>, 2017. (3) CTP Palermo n. 798/3/17.

3. Vizio di notifica

Va detto, innanzitutto, che la notifica a mezzo PEC della cartella di pagamento solleva almeno due distinte questioni. Quella della notifica come procedimento e quella dell’atto oggetto di notifica. Questo perché, con la notifica a mezzo PEC, non solo viene introdotta una peculiare modalità di trasmissione dell’atto ma, a ben vedere, prima e soprattutto una modalità particolare di confezionamento dell’atto da notificare. In merito alle modalità di notifica, non vi è discussione alcuna che la cartella di pagamento possa essere notificata a mezzo PEC. Ai sensi dell’art. 26, co. 2, D.P.R. n. 602/1973, «la notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta. In tali casi, si applicano le disposizioni dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600» (4). La posta elettronica certificata costituisce, quindi, una modalità di notifica assolutamente valida agli effetti di legge, parificata ad una raccomandata con avviso di ricevimento, con attestazione di invio e di consegna dei documenti informatici. Se così è, ecco allora che la questione, in questo caso, diviene solo quella attinente al regolare svolgimento della relativa procedura: la corretta individuazione dell’indirizzo di posta cui inviare l’atto ovvero, del caso, il compiuto assolvimento delle peculiari modalità previste per il caso di mancato recapito (casella di destinazione satura, indirizzo di destinazione non valido o inattivo), ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973 espressamente richiamato. Altra questione, che il tema della notifica può porre, è poi quella delle conseguenze derivanti dall’utilizzo, ai fini della notifica della cartella da parte dell’Agente della riscossione, di un indirizzo di posta elettronica certificata non presente sulla piattaforma IPA. Sul punto si registra un conflitto in seno alla giurisprudenza di merito. Secondo un primo orientamento, la cartella inviata impiegando un indirizzo non presente in IPA è nulla (5); ciò, alla stregua di un ragionamento che valorizza il combinato disposto di una serie di previsioni (l’art. 3-bis della L. 53/94, che prescrive l’utilizzo di un

(4) Cfr. ConiGLiAro, Rivoluzione digitale: connessi, ma non del tutto, tra notifiche via pec e consegne cartacee, in Il fisco, 2020, 2044. (5) CTP Roma n. 2799/7/2020; CTP Napoli n. 5232/23/2020.

indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi; l’art. 6-bis del D.Lgs. n. 82/2005, che istituisce il pubblico elenco degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti nonché l’indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi (IPA); l’art. 16-ter del D.L. n. 179/2012, laddove prevede che, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale, si intendono per pubblici elenchi l’IPA, il Reginde e l’INI-PEC. Secondo un diverso orientamento, invece, l’impiego di un indirizzo non presente in IPA non determinerebbe affatto la nullità della notifica, in mancanza di una sanzione espressa (6); fermo, in ogni caso la sanatoria per raggiungimento dello scopo (7). Va osservato, in ogni caso, che possibili vizi nella notifica, difficilmente potranno integrare ipotesi di inesistenza della notifica stessa (8); sicché, e per l’effetto, si tratta di vizi suscettibili di sanatoria, ai sensi dell’art 156 c.p.c., per raggiungimento dello scopo, che si suole individuare nella mera proposizione del ricorso avverso la cartella (9).

4. O vizi dell’atto?

Più articolata si mostra, invece, la questione con riferimento al secondo profilo. Come osservato, l’impiego della PEC ha comportato un naturale ripensamento della forma dell’atto notificato, posto che, con tale modalità di notifica, viene inviato un documento informatico e non analogico. Con specifico riferimento alla cartella di pagamento, è stato così osservato che la notifica può avvenire, indifferentemente, allegando al messaggio PEC sia una copia informatica dell’atto originario (cd. atto nativo digitale) sia una copia per immagini, su supporto informatico,

(6) CTP Foggia n.447/2/2020. (7) CTR Lazio n.2138/6/2020. In argomento, cfr. BoAno, A rischio la notifica della cartella da una PEC non presente nell’IPA, <Eutekne.info>, 2020; CAnCeddA, Invalida la notifica PEC da indirizzo non inserito in pubblici elenchi, in Il fisco, 2020, 4892. (8) Come noto, le ipotesi di inesistenza della notifica sono state circoscritte ai soli casi di assenza degli elementi costitutivi essenziali, integrati dall’attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato e dalla consegna, da concepire come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione (Cass. SS.UU. del 20 luglio 2016, n. 14916). (9) Più in generale, la Suprema Corte di Cassazione ha in diverse occasioni rilevato come l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata, non ne comporta la nullità se la consegna in via telematica dell’atto ha, in ogni caso, prodotto il risultato della sua conoscenza, determinando così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. SS.UU. del 28 agosto 2018, n. 23620; Cass. SS.UU. del 18 aprile 2016, n. 7665). di un documento originale cartaceo (cd. copia informatica) (10). In ogni caso, dal momento che vengono in considerazione documenti informatici, diventa inevitabile verificarne la corretta conformazione, predisposizione e validazione, ai sensi del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, CAD): si tratta, invero, di atti redatti su supporto informatico, per cui diviene naturale verificarne la correttezza alla stregua del predetto Codice. Ebbene, se così è, ci si rende subito conto che il ragionamento seguito dalla Suprema Corte appare, forse, eccessivamente sbrigativo (11). Va osservato, difatti, come all’interno del CAD, l’impiego della firma elettronica non sia relegato alla funzione tradizionale di individuare semplicemente l’autore di un atto. Qui, piuttosto, la firma digitale assolve ben altre e, dato il contesto, più importanti funzioni. In particolare, scopo della firma elettronica diviene quella di «garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento», oltre che, certamente, anche assicurare «in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore» (12). Innanzitutto, quindi, sicurezza, integrità ed immodificabilità, prima ancora che riferibilità dell’atto. Dalla lettera delle norme emerge, così, un’ideale imprescindibilità della firma digitale. Ai sensi dell’art. 20 del CAD, infatti, il documento informatico, per ciò intendendosi «il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti» (13), soddisfa il requisito della forma scritta solo se ed in quanto vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata. In mancanza di una firma digitale, l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta, oltre che il suo valore probatorio, sono liberamente valutabili da giudice, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità ritraibili dal documento (14). In questo modo, la firma digitale diviene elemento costitutivo dell’atto, nel senso che, in via di principio, in sua assenza l’atto non può considerarsi come avente forma scritta. Tant’è che è poi demandato alla valutazione del giudice verificare se è possibile evincere altrimenti

(10) Cass. del 27 novembre 2019, n. 30948. Cfr. per le predette definizioni lett. i-bis) ed i-ter) dell’art. 1 del CAD. (11) In argomento CAnCeddA, Sul formato del file trasmesso via PEC contrasto tra collegi di merito, in Il fisco, 2019, 385; BorGoGLio, Per la validità della notifica via PEC della cartella di pagamento basta la ricevuta di avvenuta consegna, in Il fisco, 2019, 391. (12) Art. 20 CAD. (13) Art. 1, lett. p) CAD. (14) Art. 20 CAD.

il soddisfacimento del requisito di forma, ma sempre e solamente alla stregua di un giudizio in ordine alle caratteristiche di sicurezza, integrità ed immodificabilità dell’atto. Con riferimento alla firma digitale, va poi osservato che la sottoscrizione del documento elettronico può essere apposta con le firme CAdES e PAdES (15). La differenza attiene al formato in concreto impiegato, che comporta che, mentre nella firma CAdES, per la cui verifica e visualizzazione del documento occorrono appositi software, la sottoscrizione è immediatamente verificabile già dall’estensione del file, nel caso della firma PAdES, che utilizza l’estensione ‘.pdf’ e che può pertanto essere letta con un qualsiasi software di lettura, per la verifica della firma dovrà procedersi ad un riscontro più puntuale. Altro profilo da considerare attiene, poi, alla copia dell’atto. Questo perché, con la notifica a mezzo PEC, viene notificata solo la copia dell’atto e non anche l’originale. Ragione per cui occorre che detta copia venga attestata come conforme. In particolare, come detto innanzi, l’atto notificato può essere copia digitale di originale analogico oppure copia informatica di originale digitale. La notifica della cartella può assumere entrambe le forme predette (16). Sennonché, a seconda della forma prescelta cambia il regime in concreto applicabile, concepito per riconoscere conformità e quindi valore alla copia, rispetto all’originale. Se si tratta di copia di un originale analogico, torna applicabile l’art. 22 del CAD (commi 2 e 3), ai sensi del quale la copia ha lo stesso valore dell’originale se la conformità è attestata da un pubblico ufficiale ovvero non è espressamente disconosciuta. Se, invece, si tratta di copia di un originale digitale, ai sensi dell’art. 23 occorre anche qui l’attestazione ovvero l’assenza di un espresso disconoscimento; tuttavia, è possibile sopperire alla sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale mediante l’utilizzo di un contrassegno tramite il quale accedere al documento informatico. Tutto ciò, a tacer d’altro, rende evidente la necessità di verificare, di volta in volta, se la cartella notificata costituisce copia digitale di un originale informatico oppure mera scansione in pdf di un originale analogico; questo perché, alla stregua del CAD, l’efficacia della copia prescrive formalità differenti.

5. Conclusioni

Il breve itinerario tracciato ha messo in evidenza - si ritiene - l’opportunità di un’ulteriore riflessione sul tema della notifica a mezzo PEC della cartella di pagamento. La soluzione professata dalla Suprema Corte, che liquida la questione alla stregua del consolidato insegnamento per cui la cartella di pagamento non necessita di alcuna sottoscrizione (17), trascura la disciplina applicabile ai documenti informatici, di cui al Codice dell’Amministrazione digitale. La soluzione al problema impone, invece, un percorso argomentativo più articolato quanto e soprattutto attento e consapevole del mutato quadro normativo. Solo in questo modo sembra possibile addivenire ad una soluzione compiuta di un problema che, l’utilizzo sempre più massivo dei documenti digitali, non può che rendere sempre più pressante.

(15) Le firme digitali di tipo ‘CAdES’ (estensione ‘.p7m’) e di tipo ‘PAdES’ (estensione ‘.pdf’) sono ammesse entrambe e ritenute equivalenti; cfr. Cass., SS.UU., 27 aprile 2018, n. 10266; Cass. 15 novembre 2019, n. 29770; Cass. 18 luglio 2019, n. 19434. (16) CAnCeddA, Ok alla notifica PEC di copia per immagine della cartella analogica, in Il fisco, 2020, 183. (17) Ex plurimis Cass. 8 ottobre 2019, n. 25099; Cass. 22 gennaio 2018, n. 1545.

This article is from: