Rivista trimestrale 2 • giugno 2017
Il diritto penale
globalizzazione della
Diretta da: Ranieri Razzante e Giovanni Tartaglia Polcini
In evidenza: Europa e lotta alle mafie. Il salto di qualità oggi possibile e il contributo dell’Italia. Antonio Balsamo Il rinnovato impegno dello Stato della Città del Vaticano nell’adeguamento del proprio modello penalistico, con specifico riferimento al contrasto alla corruzione ed alla lotta alla criminalità finanziaria e al terrorismo internazionale Pierpaolo Rivello La responsabilità della banca nell’erogazione del credito. Cenni e riflessioni. Alessandro Parrotta - Andrea Racca Prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista: le nuove misure all’esame del Parlamento Eliana Pezzuto
Pacini
Indice In evidenza a cura di Ranieri Razzante - Giovanni Tartaglia Polcini, Sull’antiriciclaggio un dialogo ancora aperto................................................................................................................................................... » 131
Editoriale a cura di Pialuisa Bianco..................................................................................................................... » 133
Saggi Antonio Balsamo, Europa e lotta alle mafie. Il salto di qualità oggi possibile e il contributo dell’Italia.............................................................................................................................................. » 135 Pierpaolo Rivello, Il rinnovato impegno dello Stato della Città del Vaticano nell’adeguamento del proprio modello penalistico, con specifico riferimento al contrasto alla corruzione ed alla lotta alla criminalità finanziaria e al terrorismo internazionale.............................................................. » 153 Adelmo Manna, Il difficile dialogo fra corti europee e corti nazionali. Nel diritto penale: analisi di due casi problematici (Taricco e Contrada) ...................................................................................... » 167 Alessandro Parrotta - Andrea Racca, la responsabilità della banca nell’erogazione del credito. Cenni e riflessioni................................................................................................................................ » 191 Paola Porcelli, The liability of legal persons for foreign bribery......................................................... » 203 Walter Rotonda - Luca Ciccotti, Nigeria: aspetti economici e di sicurezza ...................................... » 219 Walter Rotonda - Luca Ciccotti, Le organizzazioni non governative in Kosovo................................ » 225
Giurisprudenza Europea
Gran Camera CEDU, 15 dicembre 2016, (dep. 15 dicembre 2016), n. 16483/12, con nota di Andrea Racca, CEDU: l’Italia condannata per detenzione illegittima di migranti irregolari. Dubbi e riflessioni sulla sentenza della Gran Camera CEDU, sent. 15 dicembre 2016 n.16483/12............ » 229
Nazionale Civile Sent. Sez. U., 3 maggio 2016 (dep. 29 luglio 2016), N. 15812, con nota di Nikita Micieli De Biase, I controlimiti nell’ambito del principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali dell’uomo...................................................................................................................... » 233
Internazionale Corte Costituzionale, 23 novembre 2016 (deposito 26 gennaio 2017), Ordinanza n. 24 del 2017, con nota di Marilisa De Nigris, Caso Taricco: la Corte Costituzionale dispone un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ................................................................ » 235
Osservatorio Europeo
Eliana Pezzuto, Prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista: le nuove misure all’esame del Parlamento ........................................................................ » 237
Internazionale Redazione, G7 Taormina Leaders’ Communiqué ................................................................................ » 241
Nazionale Marilisa De Nigris, Il termometro della corruzione in Italia .............................................................. » 249 Marta Patacchiola, Revisione dei ruoli delle Forze di Polizia.............................................................. » 251
Normativo Andrea Strippoli Lanternini, Modifiche sostanziali e procedurali al regime della prescrizione ......... » 255
Focus Gruppo italo-russo per il contrasto al narcotraffico a cura di Giovanni Tartaglia Polcini e Ranieri Razzante Italian deliverables, di Andrea Giannotti e Massimo Labartino – A latin american survey according to the united nations guidelines in the field of countering drug trafficking and transnational crime networks, di Massimo Labartino – Parallelismo tra mercati e traffici: una nuova metodologia di approccio proattivo mediante la proposta di riconversione delle aree di produzione, di Federica Tondin – The italian fiu, di Ranieri Razzante – Introduction - capacity building and law enforcement: a new deal against drug trafficking, Di Giovanni Tartaglia Polcini – An historical overview of the phenomenon, Di Giuseppe Panzarella................................. » 257
In
evidenza
Sull’antiriciclaggio un dialogo ancora aperto Stiamo attendendo il varo del decreto legislativo di attuazione della direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, e recante modifica delle direttive 2005/60/ CE e 2006/70/CE e attuazione del regolamento (UE) n. 2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e che abroga il regolamento (CE) n. 1781/2006. Il provvedimento del Governo riscrive il D.lgs. n. 231/2007, concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo ed il D.lgs. n. 109/2007, recante misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo, oltre a contenere altre disposizioni in materia valutaria e finanziaria. Le principali innovazioni contenute nella direttiva da recepire rispetto al regime vigente riguardano: l’estensione dell’approccio basato sul rischio (risk-based approach); un nuovo regime di obblighi rafforzati e semplificati di adeguata verifica della clientela; nuove misure sulla trasparenza e sull’accesso a informazioni sulla titolarità effettiva anche di società, enti e trust; l’abolizione della c.d. “equivalenza positiva” dei Paesi terzi; la previsione di un ampio spettro di sanzioni amministrative, efficaci, proporzionate e dissuasive; l’ampliamento ed il rafforzamento della cooperazione tra le Unità di informazione finanziaria; un nuovo quadro funzionale per le Autorità europee di vigilanza. Con riferimento alla definizione di “persone politicamente esposte”, vengono inserite le figure del sindaco di comune non capoluogo di provincia, del parlamentare europeo, dell’amministratore di impresa partecipata in misura prevalente o totalitaria dal comune e del direttore generale di ASL o azienda ospedaliera. Non dovranno rientrare nella categoria i funzionari di livello medio o inferiore, raccogliendo in merito le indicazioni della direttiva (UE) 2015/849. Per quel che riguarda gli obblighi di segnalazione delle autorità di vigilanza, si richiede che vengano inseriti tra i soggetti destinatari, oltre alla UIF, anche la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNA). Essa potrà chiedere direttamente alla UIF ulteriori elementi informativi e di analisi relativi alle segnalazioni di operazioni sospette individuate come di proprio interesse. In tema di obblighi di adeguata verifica della clientela per operazioni di importo inferiore a 15.000 €, si allarga il novero di quelle da censire per i prestatori di servizi di pagamento e gli emittenti di moneta elettronica, nel senso di prevedere che essi siano tenuti a rispettare gli obblighi di adeguata verifica e conservazione per le operazioni occasionali con importo sotto le soglie previste dalla disposizione solo per le operazioni effettuate per il tramite di agenti in attività finanziaria o soggetti rientranti nella categoria “soggetti convenzionati e agenti”. Inoltre, gli obblighi di adeguata verifica non dovranno applicarsi all’attività di incasso di fondi svolta su incarico di prestatori di servizi di pagamento sulla base di un contratto di esternalizzazione e all’attività di pagamento di tributi, beni e servizi di interesse generale, né ai pagamenti dovuto a pubbliche amministrazioni. In riferimento agli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette (SOS), è scomparsa (dalla prima formulazione del testo) la previsione delle c.d. “SOS tardive”, che considerava (pericolosamente!) “automaticamente tardiva” la segnalazione di un’operazione per il solo fatto che essa sia stata effettuata successivamente all’avvio di un’ispezione da parte delle autorità competenti o, in ogni caso, decorsi 30 giorni dal compimento dell’operazione. Viene introdot131
In evidenza
ta, inoltre, la fattispecie penale sulla mancata osservanza degli obblighi di adeguata verifica prevedendo la punizione anche della condotta di colui che utilizza i dati falsi o le informazioni non veritiere relativi al cliente. Anche per le sanzioni amministrative si ribadisce (rectius: rinnova) il principio (giuspenalistico) che nessuno può essere assoggettato a simili sanzioni per un fatto che, secondo il presente decreto, non costituisce violazione punibile, salvo che la sanzione sia già stata irrogata con provvedimento definitivo. In tale caso, il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato. Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, ivi compresa l’applicabilità dell’istituto del pagamento in misura ridotta, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”. Ma la vera innovazione del decreto riguarda la nascita della c.d. “banca dati” dei titolari effettivi nel Registro delle imprese di cui all’articolo 2188 del Codice Civile e nel Registro delle persone giuridiche private di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 10 febbraio 2000, n. 361. Bisognerà tornare con attenzione alle condizioni per il suo utilizzo, che potrebbe pregiudicare il segreto bancario, quello fiduciario e la privacy laddove si ammettesse, come previsto, un accesso anche a persone diverse dagli intermediari e dai soggetti obbligati all’antiriciclaggio. Sul tema del riciclaggio e dell’antiriciclaggio si registrano pericolosi arbitraggi normativi, sia in Europa che in molti Stati extra-UE. Con degli strascichi negativi ed inesorabili sulle indagini e sui processi, anche per noi in Italia. Un reato transnazionale per definizione, che va trattato con risposte internazionali non solo lasciate alla spontanea (e spesso confusa ed incompleta) attuazione di direttive UE e del Gafi, bensì con una seria ed effettivamente collaborazione giudiziaria e di polizia Nel prossimo numero della Rivista daremo conto del nuovo assetto che prenderà la legislazione di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, con uno sguardo comparatistico dapprima europeo e poi internazionale. Anche in questo numero segnaliamo, senza tema di smentite, i numerosi e tutti qualificati saggi che insistono sulla proiezione internazionale del crimine e delle conseguenti azioni della Giurisprudenza. Ci auguriamo un sempre positivo riscontro e ringraziamo gli Autori ed i Redattori. I Direttori Giovanni Tartaglia Polcini e Ranieri Razzante
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Editoriale
Il diritto nel disordine globale Dopo la fine della Guerra Fredda era prevalsa, soprattutto in Europa, una visione ottimistica. Appariva probabile un nuovo tipo di ordine mondiale. Il progressivo retrocedere degli interessi degli stati-nazione avrebbe favorito la cooperazione sovranazionale. La fine dei conflitti ideologici che avevano attraversato tutto il Novecento avrebbe prodotto una incalzante armonizzazione culturale. La libera espansione di scambi e commerci sostituito la maggior parte delle controversie e il diritto avrebbe più facilmente trionfato sul torto. Era un’idea seduttiva, celebrata da Robert Cooper – forse lo studioso che più ha influenzato l’evoluzione istituzionale europea dell’epoca – come una forma di collettiva pulsione all’auto-accettazione di regole universali, senza bisogno che nessuno le imponesse. Un’idea seduttiva, ma così radicale da essere illusoria. Nata da un equivoco: aver scambiato la contingente condizione di felice, espansiva e pacifica stabilità mondiale seguita alla scomparsa dello storico nemico dell’Occidente, l’impero sovietico, con una svolta permanente dell’umanità. Per quanto noi possiamo desiderare o immaginare che un ordine mondiale possa essere stabilito una volta per tutte, grazie alla sua superiore virtù, esso lo è pro tempore grazie a una leadership capace di garantire l’equilibrio del potere nel mondo e garantire il controllo dei conflitti. Confondere il mondo reale con uno schema teoretico di sicurezza e legalità espone al rischio di un pericoloso riduzionismo. Nessuna evoluzione democratica può saltare la distanza tra un sistema codificato di legalità internazionale e la pura moralità. Aggrapparsi agli assoluti in genere produce inefficacia o incoerenza. Sarebbe così rassicurante poter confinare ogni nostra decisione, ogni azione alle situazioni in cui ogni nostra posizione morale, legale e sanzionatoria (e perfino militare, trattandosi di contesto internazionale) si armonizzano alla perfezione rendendo legittimità e sopravvivenza equipollenti. La disillusione, seguita a tanto ottimismo, è sotto gli occhi di tutti. Non c’è stata l’attesa ridistribuzione del potere mondiale tra l’occidente e il resto del mondo, non il condiscendente ridimensionamento del potere americano a favore delle potenze emergenti, ma un singolare paradosso. La supremazia americana, economica e militare è rimasta intatta, ma l’ordine mondiale costruito 70 anni fa da e attorno al potere degli Stati Uniti fluttua pericolosamente nell’instabilità. Quell’ordine non si è spontaneamente sciolto in una forma di universalismo condiviso e trasformato in un contagioso ordine morale. Il mondo è invece precipitato nel disordine globale. La difficoltà di ricalibrare il sistema internazionale, di rinegoziarlo con le potenze emergenti e di rafforzarlo nei confronti delle minacce asimmetriche, non riconducibili a entità statali, ha creato un vuoto di potere nel quale avanzano inaspettati protagonisti. Questo disordine, acuito dalla svogliatezza americana di esercitare il proprio ruolo nello scenario globale o di esercitarlo incongruamente, dall’insussistenza europea e dall’opportunismo delle potenze emergenti, ha alterato ogni tipo di relazione internazionale in vigore a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Nessuna potenza o gruppo di potenze appare oggi in grado di fornire la leadership necessaria a fronteggiare le crescenti sfide e responsabilità transnazionali. Non il declino dell’America, non il presunto tramonto dell’Occidente, è alla radice di tanto disordine, ma il venir meno di quel senso di responsabilità globale che aveva associato per decenni l’interesse degli Stati Uniti (e dell’intero Occidente) all’interesse di un crescente numero di attori nel mondo e che è stata la sintesi morale e giuridica, non solo politica ed economica, della prima fase della globalizzazione. Si moltiplicano le tensioni politiche, economiche, militari. Si aggravano i principali problemi globali: il terrorismo, l’esplosione demografica, le migrazioni di massa, i mutamenti climatici, l’instabilità finanziaria. Il processo di globalizzazione, pesantemente contestato, è entrato in
Editoriale
crisi, i mercati tendono a frammentarsi, riprendono forza le spinte protezioniste e nazionaliste. La costante ricerca di un mondo più stabile resta tuttavia irrinunciabile e va ben oltre la protezione fisica, perché stabilità ed equilibrio sono la precondizione di un mondo più libero. È possibile ricostruirne le basi di intesa prima che la situazione degeneri ulteriormente? Chi e con quali accordi sarà in grado di farlo? Senza questa premessa sarebbe difficile comprendere che genere di impegno comporta edificare un sistema di diritto compatibile con il contesto mondiale globalizzato e tuttavia scombinato, nel quale la dimensione sovranazionale deve trovare una espressione giuridica efficace e senza dimenticare che questa, ahimè, non esaurisce tutto lo spettro delle relazioni in essere. Molte aree del mondo non hanno mai condiviso o sono state riluttanti nell’accettare l’idea originata in Occidente di un ordine liberale fondato sul diritto e di una legittimità ancorata alla legalità. E questi contrasti non si aggiusteranno da soli nel turbolento contesto attuale. Reclamare una legittimità percepita in declino senza definire un sistema a lungo termine di obiettivi, interessi e mezzi per realizzarli, non metterà in sicurezza l’equilibrio mondiale. Un’ulteriore complicazione consiste nel fatto che attualmente sono proliferati soggetti, fonti istituzioni e modalità del diritto. Sono circa 2000 i regimi regolatori globali (e questi superano di gran lunga il numero degli Stati circa 200, diverse centinaia le organizzazioni governative internazionali: come possono convivere tanti attori e tanti schemi in uno spazio globale senza un principio unificante, una gerarchia delle norme, una separazione dei poteri e delle funzioni, spesso in concorrenza con sistemi giuridici che provengono dall’assetto precedente? E quale ruolo svolgono le circa 200 corti sovranazionali? Da dove emergeranno i futuri super-regolatori globali? Come sarà possibile armonizzare le diverse normative in base a principi riconosciuti universalmente validi? Come una cultura giuridica in progress riuscirà a sorvolare le differenze e i poteri regionali sui quali si sta riorganizzando la mappa planetaria? Una simile condivisione di obiettivi, ancora una volta, è impossibile senza leadership. E il primo compito di questa è garantire la maggiore approssimazione possibile alla sicurezza comune nel mondo reale, nel quale esistono tante inconciliabili differenze e così pochi meccanismi giuridici e diplomatici capaci di armonizzarle. Le relazioni globali sono un campo di gioco di straordinaria ambiguità, dove i dilemmi reali non si esauriscono nella scelta tra diritto e torto. Per definizione ci troviamo nel regno della pura soggettività, il terreno più scivoloso che ci sia. E dunque come conciliare l’arte di ammorbidire le intenzioni e le priorità dei vari players sul piano internazionale (ciò che è proprio della politica estera e della diplomazia, il cui fine è accontentarsi del male minore) con l’obiettivo di legalizzare le attività esaltate dal circuito globale (finanza, commerci, appalti transnazionali) e perseguire terrorismo, mafie, traffico di droga, di organi, di esseri umani, di dati informatici ecc. anch’essi esaltati dal circuito globale? Come configurare i necessari organi di garanzia, come includere nuovi stakeholder nella creazione di una rete di legalità internazionale e di una condivisa legittimità capace di ridimensionare il disordine globale? Riuscire a influenzare il comportamento delle persone, dei gruppi, dei popoli o delle diverse nazioni e delle diverse aree regionali all’interno del mondo interconnesso, senza annichilirli, è forse il più complesso tra i compiti umani, la base del vero potere come diceva John Locke. Il fulcro è riuscire a creare situazioni nelle quali altri paesi, altri soggetti, vogliano fare ciò che è nell’interesse del mondo. Servendosi di vari strumenti, è possibile creare equilibri regionali e globali, senza usurpare le interne strutture. In altre parole non ci sarà efficace costruzione giuridica (compreso il diritto penale) al tempo del disordine globale senza diplomazia e senza leadership adeguate. Pialuisa Bianco
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Antonio Balsamo
Europa e lotta alle mafie Il salto di qualità oggi possibile e il contributo dell’Italia
Sommario: 1. La strategia comune contro la criminalità organizzata e il terrorismo nella recente legislazione europea. – 2. Per una nuova definizione di criminalità organizzata a livello europeo. – 3. Il concorso esterno nella prospettiva comparatistica. – 4. Il sistema delle misure di prevenzione patrimoniali nel contrasto alle mafie in movimento. – 5. Il progetto di riforma del Codice antimafia: gli aspetti qualificanti… – 6. …E gli aspetti perfettibili. – 7. Le misure di indagine e di prevenzione tra mafia e antiterrorismo. Abstract The ongoing development of a common strategy of the European Union to combat terrorism and organised crime offers Italy a meaningful opportunity to contribute to the enhancement of patrimonial measures, modern investigative techniques and preventive instruments against both criminal phenomena, following the lesson of Giovanni Falcone, who remarked that it is possible to achieve the most important results just by respecting the rules of democracy. L’attuale sviluppo di una strategia comune dell’Unione Europea nel contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata offre all’Italia una significativa opportunità di contribuire al rafforzamento delle misure patrimoniali, delle più moderne tecniche investigative e degli strumenti di prevenzione contro entrambi questi fenomeni delittuosi, seguendo la lezione di Giovanni Falcone che evidenziava come i risultati più importanti possano essere ottenuti proprio rispettando le regole della democrazia.
1. La strategia comune contro la criminalità organizzata e il terrorismo nella recente legislazione europea. In una fase storica nella quale l’Unione Europea incontra serie difficoltà a rispondere alle attese dei popoli che la costituiscono, un importante segnale di speranza è costituito dall’attività normativa che le istituzioni comunitarie stanno sviluppando negli ultimi mesi in materia di contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo internazionale. Su questi temi si sta assistendo ad un vero e proprio salto di qualità nell’approccio a due fenomeni criminali che in passato venivano nettamente distinti ma sono adesso percepiti come oggetto di una strategia comune, anche sul piano delle attività di indagine. Di particolare interesse, sotto questo profilo, appare la Direttiva (UE) 2017/541 del 15 marzo 2017 sulla lotta contro il terrorismo, che muove dalla premessa che «il commercio illecito di armi da fuoco, petrolio, sostanze stupefacenti, sigarette, nonché merci e beni culturali contraffatti, come pure il traffico di esseri umani, il racket e l’estorsione sono diventati mezzi di finanziamento redditizi per i gruppi terroristici», esplicita che «in questo contesto, i legami sempre più stretti tra criminalità organizzata e gruppi terroristici costituiscono una crescente minaccia per la sicurezza dell’Unione e dovrebbero pertanto essere presi in considerazione
Antonio Balsamo
dalle autorità degli Stati membri coinvolti in procedimenti penali» (“considerando” n. 13), e stabilisce quindi che «gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le persone, le unità o i servizi incaricati delle indagini o dell’azione penale per i reati di cui agli articoli da 3 a 12» (cioè i reati di terrorismo, i reati riconducibili a un gruppo terroristico e i reati connessi ad attività terroristiche) «dispongano di strumenti di indagine efficaci, quali quelli utilizzati contro la criminalità organizzata o altre forme gravi di criminalità» (art. 20), evidenziando che «detti strumenti dovrebbero comprendere, ad esempio, la perquisizione di beni personali, l’intercettazione di comunicazioni, la sorveglianza discreta, compresa la sorveglianza elettronica, la captazione, la registrazione e la conservazione di audio all’interno di veicoli o di luoghi privati o pubblici, nonché di immagini di persone all’interno di veicoli e luoghi pubblici, e indagini finanziarie», e sottolineando altresì che «il ricorso a tali strumenti, conformemente al diritto nazionale, dovrebbe essere mirato e tenere conto del principio di proporzionalità nonché della natura e della gravità dei reati oggetto d’indagine, e dovrebbe rispettare il diritto alla protezione dei dati personali» (“considerando” n. 21). Nella proposta di direttiva, dunque, la considerazione della omogeneità dei mezzi di finanziamento di questi due fenomeni delittuosi si accompagna all’obbligo, per gli Stati europei, di estendere al terrorismo gli strumenti di indagine previsti per criminalità organizzata, comprese le tecniche investigative ad alto contenuto tecnologico e le indagini finanziarie. A ben vedere, lo sviluppo di un complesso di strumenti di indagine efficace e moderno nei confronti del terrorismo, in conformità al modello già sperimentato per la lotta alle mafie, trova un solido fondamento nella rilevazione di una serie di aspetti significativi che, nel presente momento storico, sembrano accomunare i due fenomeni criminali, entrambi caratterizzati da una ibrida polivalenza (con la conseguente necessità di una pluralità di chiavi di lettura, che spaziano dalla sociologia e dall’antropologia culturale all’economia e alla scienza politica), da connotati che superano la dimensione delittuosa e svelano la radicata persistenza di modelli culturali di comportamento, dalla compresenza di elementi di innovazione ed elementi di continuità (sicché alla dimensione transnazionale si accompagna il radicamento nei tradizionali contesti di appartenenza), dalla combinazione di attività economiche legali e illegali, dalla intensa potenzialità di destabilizzazione del sistema democratico1. L’intersecarsi dei rispettivi percorsi del finanziamento del terrorismo e del riciclaggio mafioso è stato posto in risalto dagli esperti della materia, che hanno altresì evidenziato come il terrorismo possa contare sul supporto finanziario proveniente da attività economiche lecite, da imprese commerciali, da contribuzioni volontarie di gruppi che si ispirano a forme di solidarietà sociale o religiosa; la complessità del fenomeno è accresciuta dalla circostanza che il finanziamento delle organizzazioni terroristiche può avvenire non solo mediante tecniche di riciclaggio, ma anche attraverso l’utilizzo di canali informali e lo sfruttamento dell’economia legale2.
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Si tratta di un insieme di elementi caratterizzanti che sono stati enucleati, con riferimento alla criminalità organizzata, da G. Fiandaca, Criminalità organizzata e controllo penale, in Indice pen., 1991. 2 Cfr. P. M. Dell’osso, Il coordinamento delle indagini in materia di riciclaggio e di repressione del finanziamento del terrorismo, in G. Melillo, A. Spataro, P. L. Vigna (a cura di), Il coordinamento delle indagini di criminalità organizzata e terrorismo, Milano, 2004, 345-346, che sottolinea la possibilità che il finanziamento del terrorismo internazionale avvenga attraverso “circuiti bancari informali” come i sistemi Hawala e Hundi, i quali consentono di evitare
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Europa e lotta alle mafie
Appare quindi particolarmente importante il percorso avviato dall’Unione Europea con due proposte, presentate dalla Commissione il 21 dicembre 2016, ed aventi ad oggetto rispettivamente un Regolamento relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca3, ed una Direttiva sulla lotta al riciclaggio di denaro mediante il diritto penale. I due atti normativi programmati, che costituiscono attuazione degli impegni assunti nel piano d’azione di lotta contro il finanziamento del terrorismo del febbraio 2016, sono sicuramente idonei a produrre un salto di qualità anche nel contrasto alla criminalità organizzata, e contengono previsioni di particolare utilità per la soluzione di alcuni problemi riscontrabili nell’ordinamento italiano con riguardo alla fattispecie penale di autoriciclaggio e alla circolazione nello spazio giuridico europeo delle misure di prevenzione patrimoniali.
2. Per una nuova definizione di criminalità organizzata a livello europeo. Un primo settore in cui il contributo italiano potrebbe rivelarsi particolarmente importante è quello della definizione di criminalità organizzata. Significativa è, al riguardo, l’evoluzione che si è riscontrata nel dibattito giuridico europeo negli ultimi anni. Com’è noto, l’impegno delle istituzioni comunitarie per armonizzare e ravvicinare le legislazioni nazionali ha condotto all’adozione della Decisione Quadro 2008/841/GAI del 24 ottobre 2008 relativa al contrasto alla criminalità organizzata. L’art. 1 di tale atto normativo contiene le definizioni giuridiche del fenomeno in esame, esplicitando che «per “organizzazione criminale” si intende un’associazione strutturata di più di due persone, stabilita da tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere reati punibili con una pena privativa della libertà (…) non inferiore a quattro anni (…) per ricavarne, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale», e specificando che «per “associazione strutturata” si intende un’associazione che non si è costituita fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella composizione o una struttura articolata». L’approccio “minimalista” della decisione quadro, sicuramente mosso dalla considerazione delle differenti tradizioni normative in materia di reato associativo presenti negli Stati membri4 (precisamente, l’associazione criminale dei sistemi di civil law e la conspiracy dei sistemi di common law), ha formato oggetto di incisive critiche da parte della dottrina. Si è segnalato, anzitutto,
le normali procedure bancarie, pur riuscendo a spostare grandi quantità di denaro in tutto il mondo, spesso senza lasciare traccia del percorso seguito. Su quest’ultimo tema, v. anche S. Dambruoso, Il coordinamento internazionale delle indagini in materia di terrorismo transnazionale, in G. Melillo, A. Spataro, P.L. Vigna, op. cit., p. 316-317. Il rapporto di complementarietà tra il terrorismo internazionale e l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio è sottolineato da F. Roberti, Il coordinamento delle indagini in materia di delitti commessi con finalità di terrorismo, in G. Melillo, A. Spataro, P.L. Vigna (a cura di), op. cit., p. 263-264. 3 Per un approfondito commento a tale proposta v. A. M. Maugeri, Prime osservazioni sulla nuova “Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca”, in www.penalecontemporaneo.it, 21/2/2017. 4 V. sul tema E. Aprile, F. Spiezia, Cooperazione giudiziaria penale nell’Unione Europea prima e dopo il trattato di Lisbona, Milano, 2009, 14.
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Antonio Balsamo
come la suddetta definizione contenga una descrizione estremamente limitata delle caratteristiche tipiche della criminalità organizzata, anche sotto il profilo del modus operandi (mancando ogni riferimento ad elementi come l’intimidazione e la violenza, ed essendo indicato in termini molto sfuggenti il requisito della potenziale durata del gruppo). Di conseguenza la definizione de qua rischia di entrare in tensione con i principi di legalità, di chiarezza e di proporzionalità della norma penale, assume una ridotta capacità selettiva rispetto alle diverse conformazioni criminali organizzate, è suscettibile di riferirsi a gruppi che non costituiscono una minaccia significativa per i beni giuridici penalmente tutelati, e presenta una “estremità inferiore” assai vicina alla figura del concorso di persone. Ulteriori problemi sono generati dalla scelta di procedere ad una selezione solo “quantitativa” dei “reati scopo” dell’organizzazione criminale, senza tenere conto delle notevoli differenze riscontrabili tra le politiche sanzionatorie dei diversi Stati membri. Tale scelta, infatti, determina un ulteriore ampliamento del campo di applicazione del concetto di organizzazione criminale. Un’alternativa avrebbe potuto essere rappresentata dalla previsione di un elenco di reati riconosciuti come tipici della criminalità organizzata5. È quindi progressivamente maturata nelle istituzioni europee la consapevolezza che una nozione così ampia di criminalità organizzata non svolge alcuna effettiva funzione di armonizzazione dei sistemi penali nazionali. Muovendo dalla considerazione dell’«impatto estremamente limitato esercitato sui sistemi legislativi degli Stati membri dalla decisione quadro 2008/841/GAI sul crimine organizzato, la quale non ha apportato significativi miglioramenti né alle legislazioni nazionali né alla cooperazione operativa volta a contrastare la criminalità organizzata», la risoluzione sulla criminalità organizzata nell’Unione Europea, adottata dal Parlamento europeo il 25 ottobre 2011, ha quindi chiesto alla Commissione di presentare «una proposta di direttiva che contenga una definizione di criminalità organizzata più concreta e che individui meglio le caratteristiche essenziali del fenomeno, in particolare focalizzando l’attenzione sulla nozione chiave di organizzazione e altresì tenendo conto dei nuovi tipi di criminalità organizzata» ed identifichi una serie di reati tipici per i quali, indipendentemente dalla pena massima prevista negli ordinamenti degli Stati membri, sia configurabile la fattispecie associativa. La stessa risoluzione ha invitato la Commissione a predisporre una proposta di direttiva sulla punibilità del reato associativo di stampo mafioso, concentrando il baricentro di disvalore del reato sulla forza di intimidazione e sulla capacità di incidere sul sistema economico, amministrativo, elettorale e dei servizi pubblici. Sulla stessa linea si colloca l’invito – rivolto dal Parlamento europeo alla Commissione con la risoluzione del 23 ottobre 2013 sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro – a presentare una proposta legislativa che stabilisca una definizione comune di criminalità organizzata, formulata in modo da ricomprendere sia il reato di partecipazione ad un’organizzazione criminale transnazionale, sia quello di partecipazione ad un’organizzazione di stampo mafioso. Le esigenze sottese a queste prese di posizione del Parlamento europeo, in realtà, si ricollegano alla più generale questione della determinatezza della nozione di criminalità organiz-
5
Sull’argomento cfr. F. Calderoni, La decisione quadro dell’Unione Europea sul contrasto alla criminalità organizzata e il suo impatto sulla legislazione degli Stati membri, in S. Alfano, A. Varrica, (a cura di) Per un contrasto europeo al crimine organizzato e alle mafie. La risoluzione del Parlamento Europeo e l’impegno dell’Unione Europea, F. Angeli, Milano, 2012, 15 ss.
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zata, la quale rischia di divenire “talmente generica da abbracciare le attività criminose più disparate purché realizzate da soggetti che concorrano, con un minimo di organizzazione, nella preparazione e/o esecuzione dei reati”6. Si tratta, all’evidenza, di un tema che meriterebbe una adeguata attenzione da parte del legislatore, alla luce delle importanti specificità che si riconnettono a tale nozione sul piano dell’applicazione di regole processuali nelle quali si rispecchiano in profondità i valori dello Stato di diritto. È certamente condivisibile l’intenzione di delineare una strategia comune di contrasto contro la “circolazione di modelli criminali” che caratterizza l’evoluzione delle mafie a livello internazionale, sempre più contrassegnate dall’infiltrazione nel tessuto economico e istituzionale, fino a svuotare dall’interno il funzionamento dei principi della libera concorrenza e della democrazia. In questo modo sarebbe fortemente agevolata la cooperazione giudiziaria internazionale, che potrebbe imperniarsi su un reato associativo presente nei diversi ordinamenti, invece che su singoli reati-scopo spesso difficili da provare, e che comunque non esauriscono il disvalore della partecipazione ad una organizzazione criminale. Sullo sfondo di questa linea di tendenza, vi è però un problema che è stato da tempo avvertito dalla più autorevole dottrina: quello di conciliare la costruzione di una fattispecie incriminatrice di portata generalissima, comprensiva di nuove forme di criminalità collettiva, con la scelta – riscontrabile, con particolare chiarezza, nell’art. 416 bis c.p. – di definire l’associazione di tipo mafioso pur sempre in base a parametri sociologicamente riferibili soprattutto alle mafie “classiche”7. Si tratta di una questione che non potrà rimanere irrisolta se si vuole assegnare alla nuova normativa penale di matrice europea una valenza ben più rilevante di una fattispecie “simbolico-espressiva”. Prendendo le mosse da una accurata analisi dell’attività delle mafie italiane all’estero, è stato acutamente osservato che l’idea che un’efficace azione di contrasto richieda necessariamente una legislazione antimafia modellata su quella del nostro ordinamento nazionale è attraente, ma «si fonda sull’erroneo presupposto che le organizzazioni criminali tendano ad operare nello stesso modo in ciascun territorio»8. Sembra quindi preferibile la scelta di promuovere una armonizzazione delle legislazioni attorno all’incriminazione di un modello di comportamento il cui disvalore è largamente percepito nei diversi contesti nazionali, come la alterazione delle “regole del gioco” dell’economia di mercato mediante dinamiche violente o intimidatorie. Si riuscirebbe, in questo modo, ad inserire nei vari ordinamenti una fattispecie capace di focalizzare la capacità di condizionamento esercitata delle organizzazioni mafiose sul tessuto imprenditoriale, inquadrandola nel contesto della tutela penale di un valore protetto sia a livello costituzionale sia a livello “eurounitario”, quale è la libertà di concorrenza, intesa non solo come diritto fondamentale del singolo ma anche come elemento ordinatore dell’economia, capace di incidere fortemente sull’organizzazione sociale degli Stati membri a salvaguardia delle libertà individuali.
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G. Fiandaca, Criminalità organizzata e controllo penale, in Ind. pen., 1991, cit., p. 5. G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, Bologna, 2008, 485. 8 P. Campana, Understanding Then Responding to Italian Organized Crime Operations across Territories, in Policing, 2013. 7
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3. Il concorso esterno nella prospettiva comparatistica. A ben vedere, i processi di riforma che si delineano sullo scenario europeo possono rappresentare l’occasione anche per una riflessione innovativa sul modello di incriminazione racchiuso nell’art. 416 bis c.p., in funzione del potenziamento della sua portata applicativa. Ne resta confermata, sul piano dell’interpretazione, giudiziaria, la centralità da attribuire non ai caratteri esteriori, ma al nucleo centrale del “metodo mafioso”, volto a produrre un effetto di spartizione economico-politica attraverso le più varie strategie di intimidazione. Un significativo riferimento all’area coperta, nell’ordinamento italiano, dalla figura del concorso esterno, è contenuta nella risoluzione sulla criminalità organizzata nell’Unione Europea, adottata dal Parlamento europeo il 25 ottobre 2011, che ha richiesto alla Commissione «che venga esaminata con maggior rigore la questione della criminalizzazione di qualsiasi forma di sostegno alle organizzazioni criminali». L’opzione di politica penale indicata dal Parlamento europeo, a proposito del trattamento da riservare alle forme di contiguità alla criminalità organizzata, è quindi quella favorevole alla qualificazione come reato della generalità delle condotte inquadrabili nell’ampia nozione di “sostegno”. Si tratta di un risultato che può essere perseguito attraverso una pluralità di soluzioni tecniche. La prima, analoga a quella accolta nel nostro ordinamento, consiste nell’innesto sulla fattispecie associativa delle regole ordinarie in tema di concorso di persone nel reato. È questa la strada seguita dall’ordinamento francese, dove, con il codice del 1994, alla tradizionale fattispecie della “associazione di malfattori” non è stata più affiancata la speciale ipotesi criminosa (prevista già dal codice napoleonico del 1810) concernente gli aiuti ad essa apportati dall’esterno, sulla base dell’assunto che per la punibilità di queste ultime condotte sia sufficiente applicare la regola generale in tema di “complicità”, inserita nella disciplina del concorso criminoso. Una seconda soluzione, prevalente nel panorama comparatistico a livello europeo, consiste, invece, nell’espressa tipizzazione di una speciale fattispecie di sostegno o contiguità rispetto ad organizzazioni criminali. In questo senso si sono orientati i codici penali del Belgio e del Lussemburgo, che, oltre a mantenere le tradizionali figure della associazione di malfattori e dell’aiuto ad essa prestato dall’esterno, hanno introdotto alla fine degli anni ’90 del secolo scorso le fattispecie della “organizzazione criminale”, stabilendo la punibilità non solo di “chiunque ne fa attivamente parte”, ma anche di chi “partecipa alla preparazione o alla realizzazione di qualsiasi attività lecita dell’organizzazione criminale”, e di chi “partecipa a qualsiasi decisione nel quadro delle attività dell’organizzazione criminale con la consapevolezza di contribuire agli obbiettivi di essa”. Una descrizione legale più analitica delle condotte di contiguità all’associazione è contenuta nel codice penale portoghese, che prevede la punibilità di “chi appoggia l’associazione”, in particolare “fornendo armi, munizioni o strumenti di delitto, protezione o locali per le riunioni, o qualsiasi aiuto al fine del reclutamento di nuovi elementi”. Nel codice spagnolo si riscontra, invece, una disciplina differenziata delle condotte di contiguità rispettivamente per l’associazione criminale “comune” e per quella di matrice politico-terroristica. Con riguardo alla prima, viene assoggettato a pena “chiunque con la sua cooperazione economica o di qualsiasi altro tipo, in ogni caso rilevante, favorisce la fondazione, l’organizzazione o l’attività dell’associazione illecita”. Invece, con riguardo alla seconda tipologia associativa, il legislatore fornisce una definizione sintetica del “collaboratore esterno” punibile, individuato nel soggetto che “effettua, ottiene o facilita un atto di collaborazione alle attività o alle finalità” dell’organizzazione politico-terroristica; quindi elenca varie ipotesi di collaborazione, riguardanti, tra l’altro le “attività d’indagine e la vigilanza su persone, beni o impianti”, la “costruzione, predisposizione, cessione o utilizzazione di depositi, alloggiamenti”,
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“l’occultamento o il trasferimento di persone affiliate all’associazione”; infine, inserisce una norma di chiusura vistosamente onnicomprensiva, inquadrando nella nozione di collaborazione punibile “qualsiasi altra forma equivalente di cooperazione, aiuto, intervento, economico o di altro genere, alle attività” delle suddette organizzazioni. L’effetto estensivo della punibilità è ulteriormente accresciuto dall’applicazione delle regole generali sul concorso di persone alle fattispecie associative, comunemente ammessa dalla dottrina prevalente in Spagna. Alle stesse conclusioni giunge la dottrina maggioritaria in Germania, dove pure il codice penale sancisce, per le associazioni criminali “comuni” e per quelle terroristiche, la punibilità non solo di chi “partecipa come membro”, ma anche di chi le “sostiene” dall’esterno. Viene generalmente ammessa la rilevanza penale di ulteriori condotte per effetto della funzione “integrativa” svolta dalla regola generale in tema di complicità, inserita nella disciplina del concorso di persone. La fattispecie del “sostegno” nei confronti dell’organizzazione criminale è specificamente tipizzata anche dal codice penale svizzero, dove si precisa che il sostegno deve riguardare le attività criminali dell’associazione. Nel codice penale austriaco, si esplicita che la condotta di partecipazione all’associazione è integrata sia da “chi realizza una condotta punibile nell’ambito degli scopi criminali dell’associazione”, sia da chi “partecipa consapevolmente alle attività dell’associazione attraverso l’apprestamento di informazioni o di valori patrimoniali o in altra maniera, in modo da agevolare l’associazione o le sue azioni criminose”. Dal panorama comparatistico emerge quindi la netta prevalenza di una tecnica di criminalizzazione diretta soprattutto “a includere” quanto più possibile, invece che a selezionare le condotte ritenute maggiormente pericolose tra quelle in qualche modo connesse all’operare di una organizzazione criminale9. È appena il caso di segnalare la continuità tra tale orientamento e le linee-guida tracciate dalla risoluzione adottata dal Parlamento europeo il 25 ottobre 2011. Il riscontro di una indubbia adeguatezza sul piano della formulazione legislativa non esaurisce però il tema della effettività del contrasto delle forme di sostegno alle organizzazioni criminali: a questa prima verifica condotta sulla law in the books deve, infatti, accompagnarsene un’altra relativa alla law in action, per stabilire in che misura le condotte di contiguità siano realmente percepite e colpite dal sistema penale.
4. Il sistema delle misure di prevenzione patrimoniali nel contrasto alle mafie in movimento. La capacità dello Stato di esercitare una efficace azione di contrasto nei confronti delle “mafie in movimento” dipende, in larga misura, dalla funzionalità del sistema delle misure di prevenzione patrimoniali. Già nella prima fase di costruzione del “diritto della criminalità organizzata” nel nostro paese si era sottolineato che «il vero tallone d’Achille delle organizzazioni mafiose è costituito dalle
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Su tutti i riferimenti comparatistici v. C. Visconti, Sui modelli di incriminazione della contiguità alle organizzazioni criminali nel panorama europeo: appunti per un’auspicabile (ma improbabile?) riforma “possibile”, in Fiandaca, Visconti (a cura di), Scenari di mafia. Orizzonte criminologico e innovazioni normative, Torino, 2010, 189 ss.
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tracce che lasciano dietro di sé i grandi movimenti di denaro, connessi alle attività criminose più lucrose», con la conseguenza che «lo sviluppo di queste tracce, attraverso un’indagine patrimoniale che segua il flusso di denaro proveniente dai traffici illeciti, è quindi la strada maestra, l’aspetto decisamente da privilegiare nelle investigazioni in materia di mafia, perché è quello che maggiormente consente agli inquirenti di costruire un reticolo di prove obiettive, documentali, univoche, insuscettibili di distorsioni, e foriere di conferme e riscontri ai dati emergenti dall’attività probatoria di tipo tradizionale»10. Questa prospettiva, nella quale efficienza e garanzia sono visti come due fattori capaci di rafforzarsi a vicenda, mantiene tutta la sua validità. Il motto follow the money, fatto proprio da Giovanni Falcone più di trent’anni fa, appare oggi quanto mai attuale: analizzando i flussi di ricchezza illegale si trova la criminalità organizzata, anche quando essa si presenta con un connotati diversi dal passato. Va anzi osservato che tra gli aspetti più significativi del sistema prevenzionistico ridisegnato dalle riforme degli anni 2008-2009 e dal “Codice antimafia” vi è la sua estensione oltre i tradizionali confini della criminalità di tipo mafioso. Un dato che emerge con chiarezza dalla prassi giudiziaria più recente è la centralità progressivamente assunta dalle misure patrimoniali anticorruzione. La modernità di questo approccio emerge con chiarezza dalle linee di tendenza riscontrabili nel dibattito giuridico e politico nel contesto nazionale ed europeo, in coerenza con una sensibilità collettiva di cui si è fatto interprete, al massimo livello istituzionale, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale nel discorso di insediamento del 3 febbraio 2015 ha affermato con forza: «La lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute». Sono parole che tutta la società italiana attendeva di sentire, e che alimentano la speranza di costruire un futuro migliore per il nostro Paese. Oggi il sistema italiano delle misure patrimoniali rappresenta un importante modello su cui costruire le future politiche europee di contrasto alla criminalità organizzata. Nel momento in cui l’Unione europea, con la Direttiva 2014/42/UE, del 3/4/2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato, ha compiuto un decisivo passo avanti nell’armonizzazione della normativa di settore, essa ha proposto agli Stati membri, per quanto attiene alla fase della destinazione dei beni, un solo modello: quello dell’utilizzazione per scopi di interesse pubblico o sociale, che trova la sua espressione più rilevante nell’esperienza italiana e che muove dalla consapevolezza – ben presente nei magistrati che hanno dedicato la loro vita al contrasto della criminalità organizzata – dei «limiti invalicabili della risposta giudiziaria alla mafia»11. Da qui nasce la convinzione che la lotta alla mafia, per essere veramente efficace, deve divenire un patrimonio comune al mondo istituzionale e alla società civile nella loro interezza. Al tempo stesso, però, emerge una forte esigenza di rinnovamento dello stesso sistema, nel segno della trasparenza e della “responsabilità sociale” della giustizia. Un fondamentale passo avanti in questa direzione sarebbe rappresentato dall’approvazione definitiva della riforma del “Codice antimafia”, già approvata, in prima lettura, dalla Camera dei deputati in data 11 novembre 2015, a larga maggioranza, ed approvata con modifiche dal Senato il 6 luglio 2017. Il funzionamento dell’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, e della loro destinazione sociale, rappresenta, con ogni probabilità, il principale terreno su cui si giocherà, nel prossimo futuro,
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G. Falcone, G. Turone, Tecniche di indagine in materia di mafia, in Riflessioni ed esperienze sul fenomeno mafioso, Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 1983. 11 P. Borsellino, Prefazione a R. Chinnici, L’illegalità protetta. Attività criminose e pubblici poteri nel meridione d’Italia, Palermo, 1990.
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la legittimazione “esterna” della lotta alla mafia anche nel processo di integrazione giuridica europea, oltre che nella dimensione nazionale. È una occasione che lo Stato non deve perdere.
5. Il progetto di riforma del Codice antimafia: gli aspetti qualificanti… La concreta possibilità di un organico intervento di riforma del “Codice antimafia” è adesso quindi offerta dal testo unificato che è ritornato, per l’approvazione definitiva, all’esame della Camera dei deputati dopo essere passato al vaglio del Senato. Si tratta di un progetto che accompagna alla modernità dell’approccio l’attenzione ai problemi emersi nella prassi, e rappresenta un contributo di alto livello alla costruzione di un sistema di “diritto della criminalità organizzata” capace di far compiere un vero e proprio salto di qualità sul piano della considerazione internazionale della realtà giudiziaria italiana. Gli aspetti più qualificanti del testo unificato sono espressione di un disegno unitario e coerente, funzionale al conseguimento di obiettivi di forte valenza strategica, come quelli di: - modernizzare la disciplina dell’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche, introducendo altresì la nuova misura del controllo giudiziario delle aziende; - accrescere l’efficienza e la trasparenza dell’amministrazione giudiziaria; - potenziare in modo mirato la funzionalità dell’ANBSC, concentrando il suo ruolo sulla destinazione dei beni (su cui si è registrato negli ultimi tempi un importante impulso, grazie all’opera del Direttore dell’Agenzia) e sulla gestione degli stessi nella fase successiva al secondo grado di giudizio; una innovazione, questa, che può rappresentare la chiave di volta di un rinnovato dialogo interistituzionale, oltre che un netto progresso sul piano della continuità ed efficacia dell’attività gestoria, rispetto all’attuale situazione; - razionalizzare la disciplina di numerosi istituti bisognosi di una accurata revisione ed integrazione per rimuovere le incertezze emerse in sede applicativa (quali l’esecuzione del sequestro; la tutela dei terzi; il rapporto tra misure di prevenzione, misure cautelari personali e stato di detenzione). In numerose previsioni del testo di riforma, è visibile l’intento di cristallizzare normativamente le migliori prassi emerse nella realtà giudiziaria. Si tratta di una linea di tendenza coerente con una importante caratteristica che ha contrassegnato le più significative tappe della costruzione di un “diritto della criminalità organizzata” in Italia, che rappresenta il frutto di una serie di intense, drammatiche, feconde stagioni di dialogo tra politica e giurisdizione, le quali hanno accompagnato la storia sociale e politica del Paese. È appena il caso di segnalare la rilevanza che può attribuirsi all’approvazione definitiva della riforma nella presente fase storica, nella quale, da un lato, il sistema italiano di sequestro e confisca delle aziende nelle quali vengono investiti i proventi illegali è considerato come un importante modello su cui costruire le future politiche europee di contrasto alla criminalità organizzata (cfr. da ultimo, le conclusioni del Final Report del Progetto OCP – Organised Crime Portfolio, finanziato dalla Commissione Europea e realizzato da Transcrime), ma, dall’altro lato, emerge una forte esigenza di rinnovamento dello stesso sistema, nel segno della trasparenza e della “responsabilità sociale” della giustizia12.
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Sul tema, si rinvia a A. Balsamo, La riforma del Codice antimafia: le nuove misure di prevenzione, le modifiche all’organizzazione giudiziaria, i profili processuali, in Il Penalista, 2016.
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Tra le novità che meritano una valutazione sicuramente positiva, possono menzionarsi: a) la configurazione delle misure di prevenzione anti-stalking, che colmano un vuoto di tutela delle vittime vulnerabili; b) la previsione di tribunali distrettuali della prevenzione, specializzati e con estrazione multidisciplinare; c) l’ampliamento del potere di proposta del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; d) il raccordo informativo tra le diverse autorità proponenti; e) le modifiche al procedimento di prevenzione; f) la disciplina della rivalutazione della pericolosità a seguito di detenzione; g) la modifica di alcuni punti critici della regolamentazione in tema di sequestro e di confisca anche al fine di assicurare la continuità dell’attività delle aziende dopo la confisca; h) la valorizzazione di strumenti di bonifica aziendale in alternativa a quelli ablatori, con la introduzione di nuove misure imperniate su una “vigilanza prescrittiva”.
6. … e gli aspetti perfettibili. Se un primo bilancio del testo di riforma risulta ampiamente positivo, deve però aggiungersi che non mancano alcuni aspetti perfettibili, su cui possono formularsi le seguenti proposte di modifica: a) estendere le misure di prevenzione patrimoniali alle frodi comunitarie Nell’art. 4, primo comma, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, potrebbe essere aggiunto il seguente comma: i-quarter) ai soggetti indiziati di uno dei delitti di cui agli articoli 322-ter e 640-quater del codice penale. Attraverso questa innovazione, secondo quanto è stato sottolineato dal Prof. Nicola Selvaggi, si renderebbero applicabili le misure patrimoniali anche alle frodi comunitarie per le quali manca la prova della commissione abituale, che condiziona il ricorso alle categorie di pericolosità generica di cui alle lettere a), b) e c) della norma. Verrebbe così valorizzato il modello italiano di “processo al patrimonio” anche per la tutela degli interessi dell’Unione Europea, con prevedibili riflessi positivi sul piano degli sviluppi della normativa sovranazionale, dove da tempo si discute della armonizzazione delle legislazioni sulla confisca in rem. Una analoga operazione estensiva potrebbe essere attuata anche per altre forme di criminalità contrassegnate da elevato livello di pericolosità, con connesso allarme sociale. b) disciplinare compiutamente la struttura del procedimento di prevenzione Nell’art. 7 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 potrebbero essere aggiunti i seguenti commi: Il tribunale, immediatamente dopo la costituzione delle parti, ammette le prove rilevanti, escludendo quelle vietate dalla legge o superflue. Possono essere altresì utilizzati ai fini della decisione gli atti e i documenti depositati unitamente al deposito della proposta, quelli successivamente prodotti dalle parti e quelli acquisiti d’ufficio dal giudice. Resta fermo il diritto di ciascuna delle parti di ottenere l’esame delle persone le cui dichiarazioni sono contenute negli atti e documenti prodotte da altre parti, a meno che l’esame stesso sia divenuto impossibile. Durante l’esame, il presidente, anche di ufficio, interviene per assicurare la pertinenza delle domande, escludendo quelle che risultano superflue tenuto conto del contenuto degli atti e documenti acquisiti. La perizia non è soggetta ai limiti temporali previsti dagli articoli 227 e 508 del codice di procedura penale.
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Al riguardo, occorre premettere che nel testo di riforma non vengono affrontate – se non in piccola parte – alcune delle questioni – come quelle attinenti all’esercizio del diritto alla prova, alle modalità di conduzione dell’attività istruttoria, al regime di conoscibilità degli atti formati dall’accusa – che appaiono più rilevanti per la compiuta realizzazione di un “giusto processo di prevenzione”. La ulteriore modifica qui proposta muove dall’idea che, per costruire linee-guida capaci di orientare l’interprete, ma anche per potenziare la collaborazione giudiziaria internazionale, appare necessario disciplinare compiutamente il procedimento di prevenzione nel segno dell’efficienza e della garanzia. Occorre, infatti, integrare la disciplina del procedimento di prevenzione, rafforzandone, al tempo stesso, la funzionalità e gli aspetti garantistici discendenti dal necessario rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Si suggerisce, pertanto, di introdurre una regolamentazione che “cristallizza” a livello normativo le migliori prassi seguite nelle realtà giudiziarie dove è stata massima l’efficacia dell’intervento patrimoniale antimafia, nella consapevolezza che i più significativi colpi al potere della criminalità organizzata sono stati inferti proprio rispettando pienamente i principi dello Stato di diritto, come non si stancava di ricordare Giovanni Falcone. Un effetto positivo di tali modifiche consiste nell’accresciuta possibilità di circolazione nello spazio giuridico europeo delle misure patrimoniali, la cui regolamentazione evidenzierebbe senza alcun dubbio la completa attuazione degli standard internazionali di tutela dei diritti fondamentali. La prima modifica proposta è finalizzata ad attuare pienamente nel procedimento di prevenzione il diritto alla prova e il diritto al contraddittorio secondo le indicazioni desumibili dall’art. 6 CEDU, senza però estendere a questo settore la regola della separazione funzionale delle fasi che, oltre ad essere estranea alle previsioni convenzionali, costituisce una peculiarità tipica della fase dibattimentale del processo penale, e non può quindi trovare applicazione nell’ambito di un procedimento modellato su quello di esecuzione. La disciplina del potere del presidente di assicurare la pertinenza delle domande nel corso dell’esame testimoniale, prevista dall’art. 499 comma 6 c.p.p., viene qui integrata con la precisazione che tale potere si estende all’esclusione delle domande che risultano superflue tenuto conto del contenuto degli atti e documenti acquisiti. Si tratta di una precisazione opportuna per evitare che l’assunzione delle prove dichiarative possa essere strumentalizzata per esiti meramente dilatori, senza alcuna concreta utilità sul piano dimostrativo. Occorre, poi, escludere l’applicabilità dei limiti temporali previsti dal codice di rito per la perizia; si tratta di una precisazione necessaria tenuto conto della particolare complessità che contrassegna gli accertamenti tecnici nella materia della prevenzione patrimoniale, in cui il termine di sei mesi appare del tutto insufficiente per una valutazione approfondita delle risultanze bancarie e aziendali, in modo da escludere ogni valutazione sommaria che comporterebbe notevoli pregiudizi per le ragioni sia dell’accusa che della difesa. c) accrescere le garanzie nel giudizio di legittimità Nell’art. 10 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 il comma 3 potrebbe essere così modificato: Avverso il decreto della corte d’appello, è ammesso ricorso in cassazione, per i motivi di cui all’art. 606 del codice di procedura penale, da parte del pubblico ministero, dell’interessato e del suo difensore, entro dieci giorni. La Corte di cassazione provvede, in camera di consiglio, entro trenta giorni dal ricorso, osservando le forme previste dall’art. 127 del codice di procedura penale. Il ricorso non ha effetto sospensivo. La modifica proposta rimuove la limitazione – ormai difficilmente giustificabile – secondo cui il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di Appello è ammesso soltanto per 145
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violazione di legge, con la conseguenza che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), c.p.p., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello. La incerta linea di confine tra motivazione illogica e motivazione inesistente o meramente apparente, quale emerge dal “diritto vivente”, rappresenta una chiara dimostrazione della necessità di ammettere il ricorso per cassazione avverso i decreti di prevenzione per gli stessi motivi previsti per le sentenze. La identità della natura sostanziale dei suddetti provvedimenti rende, infatti, irragionevole una netta distinzione tra gli stessi quanto alla natura del giudizio di legittimità. A tale estensione dei possibili motivi potrebbe aggiungersi la previsione della procedura camerale partecipata, analogamente a quanto avviene nel giudizio di legittimità per le misure cautelari personali. Si tratta di una innovazione che tende a sfuggire alla tentazione di «sacrificare alla lotta ai numeri anche un valore centrale quale quello del contraddittorio», come ha persuasivamente osservato il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione nella sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016 a proposito dell’analoga questione dell’applicazione della procedura camerale non partecipata per il giudizio di legittimità sulle misure cautelari reali. Non va, poi, sopravvalutato il rischio di un appesantimento del giudizio di cassazione in materia di misure di prevenzione. Da un lato, infatti, già adesso le misure sono soggette a numerosi ricorsi che prospettano come ipotesi di mancanza di motivazione profili che in realtà attengono alla logicità della stessa. Dall’altro, la procedura camerale partecipata agevola un dialogo più semplice e pratico tra le parti, disincentivando il ricorso a lunghi atti scritti. d) accrescere la trasparenza nell’amministrazione dei beni sequestrati 1) L’ultimo periodo dell’art. 35 comma 3 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, potrebbe essere sostituito dal seguente: Non possono altresì assumere l’ufficio di amministratore giudiziario, né quelli di coadiutore o diretto collaboratore dell’amministratore giudiziario, i creditori o debitori del magistrato che conferisce l’incarico, del suo coniuge o dei suoi figli, né le persone legate da uno stabile rapporto di collaborazione professionale con il coniuge o i figli dello stesso magistrato, né i prossimi congiunti, i conviventi, i creditori o debitori del personale di cancelleria che assiste lo stesso magistrato. In proposito, occorre premettere che, a seguito delle audizioni effettuate il 19 maggio 2016 presso la Commissione Giustizia del Senato, è stata estesa – raccogliendo, in particolare, le indicazioni formulate dallo scrivente con una memoria depositata in tale occasione – la gamma delle situazioni che generano una incompatibilità ad assumere l’incarico di amministratore giudiziario, coadiutore o diretto collaboratore dello stesso. Si è trattato di una modifica di notevole importanza pratica e volta ad evitare qualsiasi rapporto di cointeressenza economica tra tali soggetti e la famiglia del magistrato. Una analoga regolamentazione viene dettata anche per il Dirigente di cancelleria destinato ad assisterlo. Sembra però opportuno inserire nell’ambito di applicazione della norma anche il restante personale di cancelleria, così da realizzare una piena trasparenza dell’operato dell’amministrazione della giustizia nel suo complesso. 2).L’art. 42 comma 4 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, potrebbe essere modificato nei seguenti termini: 4. La determinazione dell’ammontare del compenso, la liquidazione dello stesso e del trattamento di cui all’articolo 35, comma 8, nonché il rimborso delle spese sostenute per i coa-
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diutori, sono effettuati dal cancelliere sulla base delle indicazioni fornite con decreto motivato dal tribunale, su relazione del giudice delegato. Il compenso degli amministratori giudiziari è liquidato sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14. Come rilevato nella relazione della relazione della Commissione ministeriale incaricata di elaborare una proposta di interventi in materia di criminalità organizzata, presieduta dal Prof. Giovanni Fiandaca, la modifica del comma 4 è finalizzata a rimuovere una vistosa anomalia del sistema italiano, in cui, a differenza di quanto avviene in pressoché tutti gli altri ordinamenti europei, le attività di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice sono effettuate dallo stesso organo giudicante e non dalla cancelleria. Si realizza così un evidente appesantimento del carico di lavoro dell’autorità giudiziaria, senza alcun apprezzabile miglioramento qualitativo dei provvedimenti, che non a caso rientrano nelle competenze del personale di cancelleria in pressoché tutti gli altri Stati dell’Unione Europea. Una volta emanate le tabelle per la liquidazione dei compensi, è logico che la relativa attività applicativa debba essere attribuita alla cancelleria, la quale può provvedervi sulla base delle indicazioni fornite dal giudice circa i parametri da prendere in considerazione con riguardo al valore del patrimonio, alla complessità del compito gestionale e al diligente impegno dell’amministratore. Si tratta di una regolamentazione che potrà favorire la realizzazione del principio di ragionevole durata del processo, valorizzando la professionalità del personale di cancelleria e sgravando i magistrati di compiti che negli altri ordinamenti, giustamente, non sono loro attribuiti. A ciò si aggiunge un indubbio vantaggio derivante dalla divisione dei compiti tra chi conferisce l’incarico e chi liquida i relativi compensi, evitando ogni concentrazione di funzioni che non giova all’efficienza né alla credibilità della giustizia.
7. Le misure di indagine e di prevenzione tra antimafia e antiterrorismo. La magistratura e le forze dell’ordine state chiamate ad affrontare, negli ultimi anni, il complesso tema del contrasto del terrorismo internazionale. In questo settore, l’intero sistema giudiziario italiano ha adottato una linea capace di coniugare la fermezza nella reazione contro uno dei più gravi fenomeni criminali degli ultimi decenni con il pieno rispetto delle garanzie processuali e dei principi di civiltà su cui si fonda lo Stato di diritto. È la stessa linea che si è rivelata vincente nella lotta alla criminalità organizzata, anche quando essa ha assunto le forme del terrorismo mafioso, che in Sicilia colpiva non solo i magistrati, le forze dell’ordine, gli imprenditori, i giornalisti, ma anche quegli esponenti del mondo politico – come Pio La Torre e Piersanti Mattarella – che in anni difficilissimi hanno sentito la responsabilità di riaffermare con forza, in prima persona, i valori su cui si fonda la nostra Costituzione. Una significativa valorizzazione dei principi portanti dell’esperienza italiana è visibile con chiarezza nella Direttiva (UE) 2017/541 del 15 marzo 2017 sulla lotta contro il terrorismo. Alla circolazione degli strumenti di indagine tra criminalità organizzata e terrorismo si accompagnano, nella direttiva, la prevenzione della radicalizzazione attraverso una pluralità di interventi che attribuiscono un ruolo di rilievo alla società civile (proprio come è avvenuto in Italia quando le principali forze politico-sociali hanno compiuto una precisa scelta di isolamento nei confronti del terrorismo politico degli anni ’70), la programmazione di una strategia congiunta tra Stati, Commissione europea e provider internet per combattere la radicalizzazio147
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ne online, la previsione di un obbligo di scambio di informazioni tra gli Stati non solo per la repressione ma anche per la prevenzione dei fenomeni terroristici. Si tratta di un complesso di previsioni rispetto alle quali il sistema italiano ha tutte le caratteristiche per fungere da modello di riferimento. Tra le più importanti innovazioni introdotte negli ultimi anni nella materia in esame, vi è il complesso di competenze assegnate al Procuratore Nazionale Antimafia - e adesso anche Antiterrorismo – con il decreto-legge 18 febbraio 2015 n. 7, convertito dalla legge 17 aprile 2015, n. 43, grazie alle quali «il sistema giudiziario antiterrorismo possiede ora gli strumenti per assicurare il coordinamento investigativo, la circolazione delle informazioni e la condivisione delle conoscenze»13. A ciò si aggiungono i poteri di proposta delle misure di prevenzione patrimoniali che lo stesso atto legislativo ha attribuito alla DNAA, così colmando una evidente lacuna contenuta nella disciplina previgente. La riforma legislativa del 2015 poggia su una duplice consapevolezza. Anzitutto, si è acquisita coscienza del fatto che «in un contesto criminale, quale quello del terrorismo internazionale, caratterizzato da “molecolarità” delle strutture e “pulviscolarità” delle condotte, composto da “non-Stati” e “territori indefiniti” diventa indispensabile unificare la raccolta delle informazioni, permettere una tempestiva condivisione delle stesse, coordinarne l’impiego (anche attraverso la graduazione della conoscibilità) e, infine, sviluppare sistemi di elaborazione e di analisi che tengano conto della complessità dei “big data”, ossia del sistema delle informazioni relative alla criminalità organizzata di ogni tipo»14. Inoltre, la “totale compenetrazione” tra criminalità organizzata e terrorismo internazionale ha rafforzato la convinzione che il contrasto giudiziario a questi due fenomeni deve essere condotto in stretta connessione e con spirito unitario tra tutte le istituzioni coinvolte, pur nel rigoroso rispetto dei ruoli15. La legislazione italiana ha così confermato la propria scelta completamente alternativa rispetto al modello del “diritto penale del nemico”, evitando di cadere in quella pericolosa deriva verso la “degiurisdizionalizzazione” e la deroga agli standard di tutela dei diritti fondamentali che rappresenta una ricorrente tentazione a fronte delle emergenze criminali. Ciò non toglie, tuttavia, che un monitoraggio del “diritto vivente”, quale emerge dall’esperienza giudiziaria, evidenzi l’opportunità di introdurre modifiche normative e organizzative in tre settori: la disciplina processuale dei nuovi strumenti di indagine resi possibili dall’evoluzione tecnologica, la cooperazione giudiziaria internazionale, la prevenzione. Il Ministro della Giustizia ha manifestato una costante attenzione al tema in esame, sostenendo con forza la proposta di istituzione di una Procura europea come risposta strutturale all’emergenza del terrorismo. Una misura, questa, che rappresenterebbe uno straordinario salto di qualità nell’intervento giudiziario a livello internazionale. Quanto alle modifiche normative e organizzative che si rivelerebbero sicuramente utili all’interno dell’ordinamento italiano, va anzitutto sottolineato che la modernizzazione delle tecniche investigative in rapporto all’evoluzione tecnologica, alle dinamiche relazionali globali connesse ai fenomeni terroristici, e al rapido progresso delle forme di elusione delle captazioni, per effetto della inaccessibilità di determinate reti o della adozione di sistemi di criptazione delle comunicazioni, richiede la introduzione di una disciplina volta a chiarire in
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F. Roberti, Il coordinamento nazionale delle indagini contro il terrorismo, in Kostoris, Viganò (a cura di), Il nuovo ‘pacchetto’ antiterrorismo, Torino, 2015. 14 F. Roberti, Il coordinamento nazionale delle indagini contro il terrorismo, cit. 15 F. Roberti, Terrorismo internazionale. Contrasto giudiziario e prassi operative, in www.questionegiustizia.it
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modo inequivocabile la rispettiva area di applicazione dei diversi strumenti di indagine – precisamente, intercettazione di telecomunicazioni, intercettazione di flussi e sequestro di dati informatici – al fine di consentire agli organi investigativi e giudiziari di adottare immediatamente le iniziative processuali appropriate, senza compiere atti viziati da nullità o inutilizzabilità e quindi suscettibili di vanificare il lavoro degli inquirenti. Si tratta di una regolamentazione assolutamente indispensabile in un momento in cui si riscontra un netto ridimensionamento delle distinzione tra telecomunicazioni e flussi informatici (si pensi, ad esempio, alle conversazioni effettuate attraverso applicazioni come WhatsApp)16, mentre la normativa introdotta nel Codice di Procedura Penale appare frutto di interventi non coordinati tra loro e spesso contrassegnati dall’impiego di termini generici e astratti, molto lontani dall’uso comune come pure dal linguaggio tecnologico. Da ciò discendono una serie di incertezze applicative sulla individuazione della disciplina processuale appropriata, cui sta cercando di porre rimedio la giurisprudenza17, che però avrebbe bisogno di un intervento chiarificatore del legislatore per giungere a risultati univoci. A ciò dovrebbe accompagnarsi una revisione della disciplina del sequestro di dati informatici, volta ad escludere espressamente la necessità della immediata consegna al destinatario del decreto di sequestro di dati informatici, stabilendo, al tempo stesso, un appropriato regime di garanzia ai fini dell’accesso “differito” al controllo da parte del Tribunale del Riesame, così da impedire il verificarsi di cause di nullità in questa delicatissima materia. Per quanto attiene alla disciplina della cooperazione giudiziaria internazionale per le intercettazioni su utenze telefoniche e flussi informatici all’estero, occorre prendere in attenta considerazione le possibili conseguenze dell’applicazione dell’art. 20 della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione Europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e ratificata con l. 21 luglio 2016, n. 149. La ratifica della Convenzione comporta la necessità di definire, nell’ambito della progettata riforma del libro XI del Codice di Procedura Penale, i presupposti per l’attivazione delle procedure di cooperazione giudiziaria in materia di intercettazioni. La scelta che appare preferibile è quella di circoscrivere l’area di applicazione della Convenzione di Bruxelles alle sole ipotesi di comunicazioni avvenute esclusivamente all’estero, in coerenza con la ratio della stessa Convenzione, finalizzata a facilitare lo svolgimento delle indagini per i reati transnazionali, e sulla base delle indicazioni univocamente offerte dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, la cui conformità alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo è stata riconosciuta dalla Corte di Strasburgo con la decisione emessa il 23 febbraio 2016 nel caso Capriotti c. Italia. Sotto questo profilo, la riforma in itinere del libro XI del Codice di Procedura Penale rappresenta una occasione importante per predisporre una chiara e completa regolamentazione del rapporto tra la cooperazione internazionale e i più moderni strumenti investigativi, in termini capaci di potenziare il contrasto dei reati transnazionali, anche di matrice terroristica. Una ulteriore prospettiva che meriterebbe una attenta considerazione da parte del legislatore, segnatamente nell’ambito della riforma del Codice antimafia, è quella della valorizzazione del controllo preventivo sul terrorismo.
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La circostanza che ormai il flusso informatico è la modalità generale mediante cui si realizzano anche le intercettazioni telefoniche era stata evidenziata dalle Sezioni Unite già negli anni 1998-2000. V. Cass. Sez. Unite, 13 luglio 1998 n. 21, Gallieri, e Cass. Sez. Unite, 23 febbraio 2000 n. 6, D’Amuri. 17 Cass., Sez. IV, 28 giugno 2016, n. 40903, Grassi e altri.
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Mentre nel campo della criminalità organizzata le misure di prevenzione, personali e patrimoniali, hanno conosciuto un notevole sviluppo negli ultimi anni, lo stesso non è avvenuto nel settore del terrorismo, neppure dopo l’intervento normativo (il già citato decreto-legge 18 febbraio 2015 n. 7, convertito dalla legge 17 aprile 2015, n. 43) finalizzato a contrastare il fenomeno dei foreign fighters. Eppure, l’esame del fenomeno e lo studio delle soluzioni accolte in altri ordinamenti rende evidente che la lotta al terrorismo non può essere combattuta soltanto con gli strumenti “classici” del diritto penale, ma richiede anche l’uso del sistema prevenzionistico. Non è un caso, del resto, che proprio nella materia della lotta al terrorismo si registri l’adozione, in ordinamenti giuridici tra loro assai diversi, di tipologie analoghe di misure preventive personali. Sul punto, va segnalata la più recente tendenza dell’ordinamento inglese, dove la predisposizione di nuovi strumenti di contrasto del terrorismo si è tradotta nell’introduzione delle Terrorism Prevention and Investigation Measures, prevista dal Terrorism Prevention and Investigation Measures Act (TPIMA) del 2011. Al riguardo si è sottolineato che, per rendere possibile una efficace applicazione delle misure di prevenzione antiterrorismo anche nell’ordinamento italiano, occorrerebbe però ridefinire la relativa fattispecie di pericolosità in un duplice senso: a) da un lato, rendendola applicabile anche agli autori di atti esecutivi (e non solo di atti preparatori) dei reati contrassegnati da finalità di terrorismo anche internazionale; b) dall’altro lato, includendovi anche i soggetti che si limitino a dichiarare pubblicamente, ad esempio su internet, la loro adesione ai proclami fondamentalisti18. Attraverso la prima modifica (che è stata adesso inserita nel testo di riforma del Codice antimafia approvato dal Senato), come evidenziato nella relazione della Commissione Fiandaca19, la portata applicativa delle fattispecie di pericolosità verrebbe estesa in modo da implementare anche nel campo del terrorismo un intervento prevenzionistico parallelo all’intervento penale, analogamente a quanto avviene nell’ambito della criminalità di stampo mafioso, dove, non a caso, si è in presenza di una vasta ed efficace operatività delle misure personali e patrimoniali, in quanto il procedimento di prevenzione non è rimasto affatto circoscritto ad uno spazio “residuale” rispetto a quello penale: le stesse condotte concrete hanno, infatti, formato oggetto di un duplice intervento giurisdizionale, focalizzato rispettivamente sulla responsabilità personale e sugli aspetti economico-patrimoniali, nonché sugli ulteriori fattori di pericolosità sociale, connessi ad una realtà criminale complessa, nella quale gli aspetti individuali e quelli collettivi si intrecciano in modo spesso inestricabile. Verrebbero meno così gli effetti paradossali della attuale strutturazione della fattispecie di pericolosità relativa ai foreign fighters, che consente di applicare le misure di prevenzione, e il connesso divieto di espatrio, a chi si limita ai primi preparativi per prendere parte ad un conflitto in territorio estero, ma non anche al soggetto che inizia ad attuare l’intento programmato, ed appare ormai in procinto di lasciare il territorio nazionale. Il processo penale e il procedimento di prevenzione potrebbero così divenire le due componenti di un sistema integrato di contrasto delle nuove forme di manifestazione del fenomeno terroristico.
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Sul tema v. F. Roberti, Terrorismo internazionale. Contrasto giudiziario e prassi operative, cit. In Diritto Penale Contemporaneo, 12 Febbraio 2014.
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A questo primo intervento di riforma se ne potrebbe accompagnare un altro, seguendo l’ordine di idee sviluppato in una significativa riflessione del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo20, che ha sottolineato l’opportunità di un adeguamento normativo volto a includere tra i destinatari delle misure di prevenzione anche i soggetti che, pur non ponendo (ancora) in essere atti preparatori obiettivamente rilevanti e diretti alla commissione di atti di terrorismo, si presentano tuttavia già pericolosi, in quanto esprimono pubblicamente, su internet, la loro adesione ai proclami fondamentalisti e il loro incitamento all’esecuzione di atti di terrorismo, lanciati via web da altri soggetti. Una ulteriore innovazione di notevole rilievo consisterebbe nella modernizzazione delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale in modo da apprestare una reazione mirata agli specifici aspetti di pericolosità insiti nell’attuale fenomeno terroristico: se il luogo di manifestazione di pericolosità è il web, occorre inibirne l’accesso al potenziale terrorista sorvegliato speciale. Inoltre, come ha segnalato il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, potrebbero essere immaginate delle nuove modalità attuative della sorveglianza speciale con l’utilizzo di tecnologia innovativa con strumenti elettronici di controllo; tale tecnologia potrebbe consentire di contenere la pericolosità dei soggetti sottoposti alla sorveglianza speciale e ottimizzare l’utilizzo delle risorse per il loro controllo, prevedendo altresì misure restrittive per il mancato rispetto delle prescrizioni imposte21. Anche sotto questo profilo, appare molto significativa l’esperienza delle Terrorism Prevention and Investigation Measures, che comprendono il monitoraggio su movimenti, comunicazioni e altre attività del soggetto, con mezzi elettronici odi altro genere (Monitoring measure). Si tratta, oltretutto, di una concretizzazione delle indicazioni espresse dalla importante sentenza emessa il 23 febbraio 2017 dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso De Tommaso c. Italia, che, come sottolineato dalla migliore dottrina, può rappresentare uno stimolo vitale per ripensare le misure di prevenzione personali e patrimoniali22.
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F. Roberti, Terrorismo internazionale. Contrasto giudiziario e prassi operative, cit. F. Roberti, Terrorismo internazionale. Contrasto giudiziario e prassi operative, cit. 22 In questo senso A.M. Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica: la Corte europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in Diritto Penale Contemporaneo, 6/3/2017. 21
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Il rinnovato impegno dello Stato della Città del Vaticano nell’adeguamento del proprio modello penalistico, con specifico riferimento al contrasto alla corruzione ed alla lotta alla criminalità finanziaria e al terrorismo internazionale. Sommario: 1. Considerazioni generali. – 2. La legge n. CXXVII del 2010, concernente “la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo”. – 3. La creazione dell’Autorità di Informazione Finanziaria (A.I.F.). – 4. Il rispetto delle Raccomandazioni del Comitato Moneyval. – 5. Alcuni recenti interventi normativi. – 6. Il Motu Proprio dell’8 agosto 2013 “La promozione dello sviluppo” e l’istituzione del Comitato per la Sicurezza Finanziaria (Co.Si.Fi). – 7. La l. n. XVIII dell’8 ottobre 2013. – 8. Gli accordi bilaterali. – 9. La cooperazione internazionale. Abstract In this article the Author underlines the steady increase by the Vatican City State in the effort aimining at opposing the more serious criminal activities, also by strengthening its internal control structures. Con questo articolo l’Autore esamina il costante incremento da parte dello Stato della Città del Vaticano dello sforzo diretto a contrastare i più gravi fenomeno criminali, anche mediante il rafforzamento delle proprie strutture di controllo.
1. Considerazioni generali. Negli anni più recenti lo Stato della Città del Vaticano si è attivamente operato per rendere maggiormente efficaci, attraverso una serie di riforme normative, gli strumenti di contrasto alle forme più insidiose di finanziamento ad attività illecite e di riciclaggio. La piena consapevolezza del fatto che la lotta alle diverse tipologie di criminalità finanziaria deve essere realizzata a livello globale, stante l’insufficienza di “risposte” limitate al piano strettamente nazionale, ha comportato l’adeguamento ad una serie di previsioni internazionali finalizzate al raggiungimento di tale scopo. Ciò peraltro, come ben è stato messo in luce anche nella Relazione del Promotore di Giustizia per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2017 (e dunque dell’ottantesimo anno di
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funzionamento del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano), ha suscitato talune perplessità. Infatti, la parziale “rinuncia” ad ambiti di autonomia, imposta ad ogni Nazione per effetto dell’adesione ad ordinamenti sovranazionali, potrebbe essere fonte di maggiore preoccupazione per uno Stato, come quello della Città del Vaticano, portatore di valori assolutamente peculiari1. Proprio per questo, nella tradizionale analisi del sistema di gerarchia delle fonti, non basta osservare come l’art. 1 della legge n. LXXI dell’ottobre 2008 attribuisca all’ordinamento canonico la connotazione di «prima fonte normativa», ma occorre aggiungere che in tal caso, più di quanto avviene per qualunque altro Stato, massima deve essere la cura volta a verificare che il rinvio alle normative sovranazionali non si ponga in contrasto con le connotazioni ispiratrici della legislazione interna, come del resto chiaramente esplicitato dall’art. 1, n. 4 della legge sovramenzionata, volta a subordinare il recepimento delle disposizioni di diritto internazionale e delle varie previsioni degli Accordi e Trattati ad una verifica di conformità ai principi dell’ordinamento canonico. Al contempo, tuttavia, proprio i principi ideali di giustizia che connotano lo Stato della Città del Vaticano rendono sotto molti aspetti più agevole l’adeguamento alle regole di trasparenza finanziaria e di lotta alla corruzione ed al riciclaggio imposte a livello transnazionale, giacché i risultati che in tal modo si intendono perseguire sono connaturati a tale visione etica. Il denaro dei “corrotti” è denaro sottratto al flusso “regolare”, e drena possibili iniziative a favore della collettività. Queste considerazioni sono state mirabilmente sviluppate dal Motu Proprio Ai nostri tempi dell’11 luglio 2013, con cui si è sottolineata l’importanza degli accordi internazionali in tema di contrasto alla criminalità finanziaria, in quanto essi «costituiscono mezzi di effettivo contrasto delle attività criminose che minacciano la dignità umana, il bene comune e la pace» e che rappresentano, purtroppo, soprattutto in certi Stati, un vero e proprio modus vivendi per alcune fasce della società. L’attuale Sommo Pontefice ebbe a sottolineare, alcuni anni or sono, che «la corruzione non è un atto, ma uno stato, uno stato personale e sociale, nel quale uno si abitua a vivere»2, e dette considerazioni sono state ribadite dal Santo Padre nella Bolla Misericordiae vultus dell’11 aprile 2015, per l’indizione del Giubileo straordinario della misericordia, ove, al punto 19, la corruzione è stata definita come una piaga della società che tutti i fedeli devono combattere attivamente. L’impegno dello Stato della Città del Vaticano nel fronteggiare questi fenomeni criminali si è esplicato mediante una duplice attività, strettamente intercorrelata. Da un lato, infatti, vi è stata una progressiva adesione agli strumenti internazionali ritenuti maggiormente efficaci per la realizzazione di questa finalità. Tale processo è stato indubbiamente accelerato per effetto dell’adesione, avvenuta nel dicembre del 2009, alla Convenzione monetaria europea, che ha reso necessaria l’adozione di un impegno ad uniformare la legislazione dello Stato della Città del Vaticano a determinati parametri comunitari, concernenti tra l’altro l’introduzione di mezzi di contrasto al riciclaggio.
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G. Dalla Torre, G. Boni, Il diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, Torino, 2014, 149. J. M. Bergoglio, Corrupción y pecado. Algunas reflexiones en torno al tema de la corrupción, Buenos Aires, 2005; trad. it. Guarire dalla corruzione, Bologna, 2013, 23.
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Parallelamente, e talora proprio in adeguamento ad impegni assunti in ambito internazionale, sono state introdotte, in virtù di una serie di recenti interventi legislativi, delle misure a livello “interno” maggiormente calibrate alle nuove realtà.
2. La legge n. CXXVII del 2010, concernente “la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo”. Un passaggio fondamentale in questo cammino evolutivo è indubbiamente stato rappresentato dalla l. n. CXXVII, promulgata il 30 dicembre 2010 dal Santo Padre Papa Benedetto XVI, mediante il Motu Proprio “La Sede Apostolica”. Grazie a tale legge sono state rafforzate, o in alcuni casi introdotte ex novo, delle incriminazioni coessenziali alla tutela di uno Stato chiamato, al pari di tutta la comunità internazionale, a fronteggiare fenomeni di eccezionale virulenza quali quelli della corruzione e del diffondersi della minaccia terroristica. In questa luce assumono particolare rilievo i quattro Punti del Considerando posto a premessa della legge. Nel primo di essi viene ribadita l’importanza che lo Stato della Città del Vaticano attribuisce alla lotta ai fenomeni di criminalità finanziaria, stante il loro elevatissimo disvalore e le ricadute da essi provocate sull’intero settore dell’economia; viene infatti affermato che «il riciclaggio dei proventi di attività illecite e, altresì, lo sfruttamento del sistema finanziario per trasferire fondi di provenienza criminosa o anche denaro di provenienza lecita a scopo di finanziamento del terrorismo minano alla base le fondamenta della società civile costituendo una minaccia per l’integrità, il funzionamento regolare, la reputazione e la stabilità dei sistemi finanziari». Il successivo Considerando pone l’accento sulla necessità di una cooperazione internazionale per fronteggiare questi fenomeni; infatti, «il riciclaggio dei proventi di attività criminose ed il finanziamento del terrorismo avvengono sovente a livello internazionale» e pertanto «le misure adottate esclusivamente a livello di singola giurisdizione, senza coordinamento né cooperazione internazionale, finirebbero per avere effetti limitati». L’ulteriore Considerando sottolinea la valenza di un efficace adeguamento delle normative interne ai protocolli ed agli standard internazionali, rilevando che «ogni Stato e Giurisdizione, in ragione delle peculiarità transazionali dei fenomeni del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, deve fornire il proprio contributo introducendo nelle legislazioni interne regole e presidi coerenti con i principi e gli standard concordati a livello internazionale comunitario contro il riciclaggio ed il finanziamento del terrorismo». È stato, infine, rimarcato il particolare rilievo che ha assunto per lo Stato della Città del Vaticano la Convenzione monetaria con l’Unione europea del 17 dicembre 2009 (2010/C 28/05), volta a prevedere, tra l’altro, come indicato nell’ultimo punto del Considerando «l’introduzione di presidi in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo». Al fine di rendere effettivi e di tradurre normativamente detti principi sono state previste specifiche misure al riguardo. In particolare, nel capitolo II della legge, “Disposizioni penali in materia di riciclaggio” l’articolo 3 “Riciclaggio” ha operato l’inserimento nel libro II “Dei delitti in ispecie”, titolo X “Dei delitti contro la proprietà” capo V “Della ricettazione, del riciclaggio e dell’autoriciclaggio”, dell’art. 421 bis, il cui primo comma stabilisce che «Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 421, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da un reato grave, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, ovvero impiega in attività economiche o 155
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finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da un reato grave, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro mille ad euro quindicimila». L’art. 421 bis stabilisce, inoltre, che «la fattispecie delittuosa sussiste anche se le attività che hanno generato il denaro, i beni o le altre utilità da riciclare si sono svolte nel territorio di un altro Stato». È stata, poi, delineata una forma di confisca obbligatoria ed una “per equivalente”; infatti, ai sensi dell’ultima parte del citato art. 421 bis «Nei casi di condanna è obbligatoria la confisca dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto dell’attività delittuosa, tranne che essi appartengano a persone estranee al reato. Il giudice, nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca, ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato». Con riferimento alla lotta al terrorismo, in virtù dell’art. 4 della legge: “Associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione” è stato disposto l’inserimento dell’art. 138 bis: «Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia persone o associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione è punito con la reclusione da cinque a quindici anni»3. A sua volta il successivo articolo 5 “Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale” ha introdotto l’art. 138 ter: «Chiunque, fuori dai casi di cui all’articolo 138 bis, arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da sette a quindici anni». L’art. 6 “Addestramento ad attività con finalità di terrorismo” ha operato l’inserimento dell’art. 138 quater: «Chiunque, fuori dai casi di cui all’articolo 138 bis, addestri o comunque fornisca istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La stessa pena si applica nei confronti della persona addestrata»4. L’art. 7 “Attentato per finalità terroristiche o di eversione” ha introdotto l’art. 138 quinquies: «Chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione, attenta alla vita od alla incolumità di una persona, è punito, nel primo caso, con la reclusione non inferiore ad anni venti e, nel secondo caso, con la reclusione non inferiore ad anni sei». Infine, l’art. 8 “Atti di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi” ha operato l’inserimento dell’art. 138 sexies: «Salvo che costituisca più grave reato, chiunque per finalità di terrorismo compie qualsiasi atto diretto a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali, è punito con la reclusione da due a cinque anni».
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Al fine di un’analisi comparata con la normativa introdotta in materia dal legislatore italiano v., in generale, F. Fasani, Le nuove fattispecie antiterrorismo: una prima lettura, in Dir. pen. proc., 2015, 926 ss.; A. Valsecchi, Le modifiche alle norme incriminatrici in materia di terrorismo, in R.E. Kostoris, F. Vigano’ (a cura di), Il nuovo “pacchetto” antiterrorismo, Torino, 2015, 3 ss. Per quanto concerne una recente applicazione giurisprudenziale del corrispondente reato, previsto dalla legge italiana, di cui all’art. 270 quinquies c.p. “Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale”, v. Cass. pen., Sez. V, ud. 19 luglio 2016, dep. 9 febbraio 2017, ric. Hamil, in Dir. pen. proc., 2017, 626 ss., con nota di R. Bartoli, L’autoistruzione è più pericolosa dell’addestramento e dell’istruzione: verso un sovvertimento dei principi?, ivi, 629 ss.
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Il rinnovato impegno dello Stato della Città del Vaticano
La legge n. CXXVII del 2010 ha, inoltre, delineato ulteriori disposizioni volte a permettere alla legislazione dello Stato della Città del Vaticano di affiancarsi alle Nazioni maggiormente attente nella tutela degli interessi finanziari e nella repressione degli illeciti concernenti detto settore. Al riguardo va in particolare segnalato l’art. 9 “Malversazione a danno dello Stato”, con cui è stato inserito l’art. 416 bis; l’art. 10 “Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”, volto ad introdurre l’art. 416 ter; l’art. 11 “Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”, volto ad inserire l’art. 416 quater; l’art. 12 “Abuso di informazioni privilegiate”, che ha dato vita all’art. 299 bis; ed infine l’art. 13 “Manipolazione del mercato”, riguardante il nuovo art. 299 ter. L’attenzione della legislazione vaticana nei confronti delle nuove forme di criminalità organizzata è ulteriormente avvalorata dalla previsione di due peculiari reati contravvenzionali. Occorre, infatti, menzionare l’art. 18 “Tutela dell’ambiente”, che ha inserito l’art. 472 bis, diretto a sanzionare le attività di inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o sotterranee e l’inquinamento atmosferico; e l’art. 19 “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, con cui è stato introdotto il nuovo art. 472 ter.
3. La creazione dell’Autorità di Informazione Finanziaria (A.I.F.). Alla configurazione di nuove fattispecie criminose doveva essere affiancata, come in effetti è avvenuto, la previsione di “robuste” strutture organizzative di monitoraggio, vigilanza, prevenzione e contrasto alle forme di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. In quest’ottica appare pienamente coerente l’istituzione, in virtù dell’art. 33 della legge n. CXXVII del 2010, dell’Autorità di Informazione Finanziaria (A.I.F.). Come indicato nel Motu Proprio di Benedetto XVI, mediante tale struttura la Santa Sede si è allineata alla «comunità internazionale che si sta sempre più dotando di principi e strumenti giuridici che permettano di prevenire e contrastare il fenomeno del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo». Questo organismo è stato dotato di ampi poteri, sia ispettivi, sia sanzionatori (essendo stato autorizzato, ai sensi dell’art. 39, n. 4, ad irrogare, in caso di violazioni, delle sanzioni amministrative pecuniarie) che ne hanno fatto un funzionale strumento di intelligence finanziaria. Ovviamente, per poter operare in maniera efficiente e credibile, esso doveva veder garantita una condizione di assoluta, effettiva autonomia ed indipendenza, e tale esigenza è stata pienamente rispettata. L’importanza ed il ruolo di detto Istituto sono stati ulteriormente rafforzati in virtù della Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio “La promozione dello sviluppo” dell’8 agosto 2013 del Sommo Pontefice Papa Francesco; in attuazione del Motu Proprio la legge n. XVIII dell’8 ottobre 2013, sulla quale ci soffermeremo nel prosieguo della nostra trattazione, ha affidato all’A.I.F. la «vigilanza e regolamentazione prudenziale degli enti che svolgono professionalmente un’attività di natura finanziaria». Poco dopo, con Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio del Sommo Pontefice Francesco è stato approvato, il 15 novembre 2013, il nuovo Statuto di tale ente. Ai sensi dell’art. 2 (Funzioni) l’A.I.F. svolge, in piena autonomia e indipendenza, le seguenti funzioni: «a) vigilanza e regolamentazione a fini prudenziali degli enti che svolgono professionalmente un’attività di natura finanziaria; b) vigilanza e regolamentazione al fine della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; c) informazione finanziaria». In base alla legge n. XVIII l’A.I.F., come già osservato, può irrogare, previa contestazione degli addebiti, numerose sanzioni amministrative, che vanno dai richiami scritti alle sanzioni
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pecuniarie, sospensive ed interdittive; l’art. 48 alla lett. J) attribuisce inoltre all’A.I.F. il potere di sospendere l’esecuzione di attività finanziarie sospette, ed alla successiva lett. k) prevede in tali casi anche la possibilità di operare il blocco preventivo di conti, fondi ed altre risorse economiche.
4. Il rispetto delle Raccomandazioni del Comitato Moneyval. Questo percorso virtuoso si è sviluppato in aderenza alle Raccomandazioni del Comitato Moneyval, e cioè dell’organo di monitoraggio del Consiglio d’Europa, il Comitato di esperti sulla valutazione delle misure di lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Infatti, con la Risoluzione CM/Res (2011)5 “Resolution on the participation of the Holy See (including the Vatican City State) in the mutual evaluation processes and procedures of the Committee of Experts on the Evaluation of Anti-Money Laundering Measures and the Financing of Terrorism (MONEYVAL)” il Consiglio dei Ministri nella seduta del 6 aprile 2011 aderì alla richiesta, formulata nel febbraio dello stesso anno dalla Santa Sede (incluso lo Stato della Città del Vaticano) “to participate fully in the evaluation processes of MONEYVAL and to be subject to its procedures”. Inizialmente, nel Mutual Evaluation Report del 4 luglio del 2012 e nel primo Progress Report del 9 dicembre 2013 vennero rilevate alcune lacune e manchevolezza, pur dandosi atto, già nel Report del 2012, della fattiva volontà e del massiccio sforzo di adeguamento ai parametri internazionali, essendo stato sottolineato che «Le Autorità della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano hanno percorso molta strada in un periodo molto breve e gran parte dei pilastri del sistema di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo sono stati stabiliti». La Santa Sede ha poi operato al fine di far venire meno le criticità che erano state evidenziate nel Report del 2012. In particolare, per quanto concerne la lamentata mancanza di vigilanza prudenziale, il problema è stato risolto assegnando all’A.I.F. la “vigilanza e regolamentazione prudenziale degli enti che svolgono professionalmente un’attività di natura finanziaria”. Alla luce di queste iniziative il secondo Report, adottato a Strasburgo l’8 dicembre 2015 all’esito della Quarantanovesima Assemblea Plenaria di MONEYVAL, ha confermato l’impegno profuso dallo Stato della Città del Vaticano nell’adeguamento alle Raccomandazioni. Va osservato come in precedenza il Comitato del MONEYVAL nutrisse dei dubbi sulla capacità dell’apparato giudiziario dello Stato della Città del Vaticano a fronteggiare forme così complesse di criminalità, che richiedono doti specifiche di expertise da parte del personale chiamato ad occuparsi di dette tematiche. Questo dato è stato posto bene in luce nel Report del 2015, ove si afferma che «The 2012 mutual evaluation report noted that the Gendarmerie at that time had no specialized financial department … This review has raised questions on the current resourcing and capacities of the Promoter and the Gendarmerie to pursue financial and ML investigations and in a timely manner». Già antecedentemente alla stesura del secondo Report, del 2015, le Autorità vaticane evidenziarono tuttavia come, a seguito di una serie di concrete iniziative, volte ad incrementare tra l’altro il numero dei soggetti impegnati nelle investigazioni di carattere finanziario, buona parte di tali perplessità potesse ormai dirsi eliminata. In effetti nel predetto Report leggiamo che: «The authorities indicated that the Promoter of Justice has been strengthened by the appointment of two assistant prosecutors… In addition, the authorities have advised that, due to 158
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the significant increase in internal financial investigations over the last few years, the Gendarmerie and the Promoter have now dedicated special staff to this work, 4-6 of which are in the Gerdarmerie». La situazione, sotto questo aspetto, è ulteriormente migliorata nel 2016, a seguito della ristrutturazione e rimodulazione dell’Ufficio del Promotore di Giustizia, per effetto della quale è stata istituita, a partire dall’ottobre di tale anno, una specifica Sezione, all’interno di detto Ufficio, dedicata ai reati in materia economico-finanziaria, particolarmente impegnata nelle tematiche del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo, affidata alla direzione del Promotore Aggiunto. Al contempo è stata rafforzata la Sezione di polizia giudiziaria operante presso il Corpo della Gendarmeria, mediante l’arrivo di ufficiali provenienti dalla Guardia di Finanza e dall’Arma dei Carabinieri dello Stato italiano. Potrà in tal modo essere perseguito un obiettivo indicato nei Report di Moneyval, rappresentato dall’incremento dei procedimenti da parte delle Autorità giudiziarie dello Stato della Città del Vaticano riguardanti questi settori della criminalità.
5. Alcuni recenti interventi normativi. L’attività di contrasto alla criminalità, anche nel rispetto di ben precisi obblighi derivanti dall’adesione a Trattati internazionali, e di rinnovamento dell’ordinamento e delle strutture giudiziarie dello Stato della Città del Vaticano, già operata con decisione sotto il Pontificato di Benedetto XVI, ha trovato nuova linfa e straordinario vigore con il Pontificato di Papa Francesco. La data dell’11 luglio 2013, di pochi mesi posteriore all’inizio di tale Pontificato, costituisce al riguardo un momento di decisivo importanza. In tale giorno infatti il Santo Padre Francesco ha adottato un Motu Proprio in materia penale, di grande rilevanza. In pari data, la Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano ha approvato una “trilogia” di leggi: la legge n. VIII, recante “Norme complementari in materia penale”; la legge n. IX, recante “Modifiche al Codice Penale ed al Codice di Procedura Penale”; la legge n. X, recante “Norme generali in tema di sanzioni amministrative”. In particolare, con la legge n. VIII, si è provveduto a dare finalmente attuazione ad alcune Convenzioni internazionali, tra cui: le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949; la Convenzione internazionale del 1963 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale; la Convenzione del 1983 contro la tortura ed ogni trattamento inumano o degradante. Al riguardo sono stati introdotti una serie di specifici reati. Va menzionato l’art.1 della legge (Discriminazione razziale); l’art. 2 (Tratta di persone); l’art. 3 (Tortura); l’art. 10 (Genocidio); l’art. 15 (Altri delitti contro l’umanità), che sanziona «Chiunque commette, nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro la popolazione civile, uno dei seguenti delitti: a) omicidio; b) sterminio; c) riduzione in schiavitù; d) deportazione o trasferimento forzato della popolazione; e) imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale; f) tortura; g) stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di pari gravità; h) persecuzione contro un gruppo o una collettività dotata di propria identità, ispirata da ragioni di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso o di sesso, o da altre ragioni universalmente riconosciute come non permissibili ai sensi del diritto internazionale; i) sparizione forzata delle persone; j) segregazione forzata (apartheid); k) altri atti inumani diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale». 159
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Sempre in quest’ottica, occorre segnalare l’espressa previsione, in virtù dell’art. 17, dei “Crimini di guerra”. Al fine di ottemperare alle disposizioni contenute nella Convenzione del 1989 sui diritti del fanciullo, sono state parimenti delineate delle specifiche fattispecie di reati posti in essere contro i minori; in particolare vanno menzionate quelle di cui all’art. 5 (Vendita di minore); dell’art. 6 (Prostituzione minorile), in base al quale viene punito «Chiunque induce un minore alla prostituzione minorile ovvero gestisce, organizza, controlla, favorisce o sfrutta la prostituzione minorile», con un aggravamento di pena se il minore ha un’età inferiore ai quattordici anni; dell’art. 7 (Violenza sessuale su minori); dell’art. 8 (Atti sessuali con minori); dell’art. 10 (Pedopornografia); dell’art. 11 (Detenzione di materiale pedopornografico); dell’art. 12 (Arruolamento di minori), in base al quale «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque arruoli, addestri o impieghi un minore per delinquere o in un gruppo armato, è punito con la reclusione da tre a sei anni». La necessità di un’efficace contrasto alle varie forme di terrorismo ha ispirato il titolo V della legge n. VIII, dedicato appunto ai “Delitti in materia di terrorismo o di eversione”. Segnaliamo in particolare l’art. 19 (Assistenza con finalità di terrorismo o di eversione); l’art. 20 (Assistenza agli associati); l’art. 21 (Arruolamento e addestramento con finalità di terrorismo o di eversione); l’art. 22 (Attentato con finalità di terrorismo o di eversione); l’art. 23 (Finanziamento del terrorismo);l’art. 24 (Presa d’ostaggi con finalità di terrorismo o di eversione). Parimenti di estrema rilevanza ed attualità appare l’introdotto titolo VI, concernente i “Delitti mediante ordigni esplosivi o concernenti materiali nucleari”, nel cui ambito risulta ricompreso l’art. 26 (Atti di terrorismo o di eversione con ordigni esplosivi); l’art. 27 (Uso di un ordigno esplosivo); l’art. 28 (Maneggio di materiale nucleare); l’art. 29 (Appropriazione illecita di materiale nucleare); l’art. 30 (Minacce mediante materiale nucleare). L’allineamento della legislazione dello Stato della Città del Vaticano alle riforme operate da molte Nazioni, tra cui l’Italia, che hanno condotto ad individuare e prevedere forme di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche derivanti da reato, ha indotto a modificare l’originaria previsione, contenuta nella legge n. CLXVI dell’aprile del 2012, che limitava detta responsabilità con esclusivo riferimento ai reati concernenti il riciclaggio ed il finanziamento del terrorismo. Si è, pertanto, pervenuti alla stesura, nell’ambito della legge n. VIII, del titolo IX, dedicato appunto a questa tematica. Infatti, all’interno del predetto titolo IX, l’art. 46 (Responsabilità della persona giuridica) al primo comma stabilisce, in via generale, che «La persona giuridica è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo della stessa; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)». Il terzo comma dell’art. 46 della norma esclude, in conformità a quanto previsto da buona parte delle legislazioni, la responsabilità della persona giuridica che possa dimostrare di aver previamente adottato degli adeguati “modelli organizzativi”; è infatti così disposto: «Se il reato è stato commesso da soggetti indicati nel comma 1, lettera a), la persona giuridica non risponde se prova che: a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi». Con la contestuale legge n. IX si è inteso operare invece una radicale “riscrittura”, tra l’altro, dei delitti contro la Pubblica Amministrazione. Alcuni esempi al riguardo appaiono estremamente indicativi di quest’opera di riassetto. L’art. 13 (Peculato) della legge n. IX ha integralmente sostituito l’art. 168 del codice penale. Analogamente l’art. 14 (Concussione per costrizione) ha sostituito il testo dell’art. 169, comma 160
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1, c.p., così come l’art. 15 (Concussione per induzione) ha sostituito l’art. 170, comma 1, c.p. L’art. 16 (Corruzione impropria) a sua volta ha integralmente sostituito il testo dell’art. 171 c.p., e l’art. 17 (Corruzione propria) ha sostituito l’art. 172, comma 1, c.p., così come l’art. 19 (Abuso d’ufficio) ha sostituito il testo dell’art. 175 c.p. Degna di particolare rilievo è la disamina dell’art. 20 (Traffico di influenze), con cui è stato integralmente sostituito il testo dell’art. 204 del codice penale, precedentemente rubricato come “Millantato credito”; in base all’attuale versione l’art. 204 del codice penale è ora incriminato, tra l’altro, e salvo che il fatto costituisca un reato più grave «il pubblico ufficiale, il pubblico ufficiale straniero o il funzionario di un’organizzazione internazionale pubblica o ogni altra persona che solleciti o accetti, direttamente o indirettamente, un indebito vantaggio per sé o per altri al fine di abusare della sua influenza reale o supposta per ottenere un indebito vantaggio da un’amministrazione o da un’autorità pubblica dello Stato o della Santa Sede». Vengono in tal modo colpiti comportamenti gravemente lesivi del buon funzionamento e dell’imparzialità dell’amministrazione della Santa Sede. Va parimenti ricordato l’art. 25 (Associazione criminale) che ha integralmente sostituito l’art. 248 c.p.; nonché l’art. 26 (Frode negli appalti pubblici), che, interpolando il precedente testo del’art. 299 c.p., ha operato un significativo inasprimento delle sanzioni, mediante l’innalzamento delle soglie edittali; infatti, mentre precedentemente il reato era punito da un minimo di tre mesi ad un massimo di un anno, ora la sanzione varia da un minimo di un anno ad un massimo di cinque anni; dunque quella che era la soglia massima è divenuta il minimo edittale. Estremamente innovativo appare poi l’art. 28 (Corruzione nel settore privato), con cui è stato introdotto il nuovo art. 419-bis. Infine, con diretto interesse per la nostra trattazione, va menzionato l’art. 30 (Riciclaggio e auto-riciclaggio), per effetto del quale all’art. 421-bis del codice penale è stato aggiunto il seguente comma 1-bis: «Agli effetti del presente articolo per “reato presupposto” si intende ogni fattispecie di reato punita dalla legge penale, nel minimo, con la reclusione o l’arresto pari o superiore a sei mesi, o nel massimo, con la reclusione o l’arresto pari o superiore ad un anno». La legge n. IX ha inoltre introdotto, al titolo II, delle rilevanti modifiche al codice di procedura penale. Fondamentale al riguardo appare l’art. 35 (Giusto processo e presunzione di innocenza) che, come chiaramente indicato dalla sua rubrica, ha imposto l’adeguamento del sistema processuale penale dello Stato della Città del Vaticano alle regole del giusto processo (ed all’osservanza del principio dello speedy trial, mediante la previsione della clausola volta ad imporre un “termine ragionevole” per la durata del processo) ed ha finalmente sancito anche in tale sistema la presunzione di innocenza. È stato, infatti, introdotto l’art. 350-bis del codice di procedura penale, che così dispone: «Ogni imputato ha diritto ad un giudizio da svolgersi secondo le norme del presente codice ed entro un termine ragionevole, tenuto conto della complessità del caso, nonché degli accertamenti da compiere e delle prove da acquisire. Ogni imputato è presunto innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata». La consapevolezza dell’assoluta necessità di favorire la cooperazione transnazionale in campo giudiziario ha poi condotto alla previsione dell’art. 37 (Cooperazione giudiziaria), che ha integralmente sostituito il precedente disposto dell’art. 635 del codice di procedura penale; e dell’art. 38 (Assistenza giudiziaria), che ha parimenti integralmente sostituito il precedente art. 636 c.p.p. Ultima di questa ideale “trilogia” è la legge n. X, recante “Norme in materia di sanzioni amministrative”. Particolarmente significativo, oltre all’art. 11 (Tipologia di sanzioni amministrative), appare l’art. 6 (Obbligati in solido e responsabilità amministrativa delle persone 161
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giuridiche), il cui terzo comma prevede che «Se la violazione è commessa dal rappresentante legale o dal dipendente di una persona giuridica, di un ente o di un soggetto che svolgano professionalmente un’attività di natura economica o finanziaria, nell’esercizio delle proprie funzioni o mansioni, la persona giuridica, l’ente o il professionista è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questi dovuta». Come già detto, alla data dell’11 luglio 2013 vi fu anche il Motu Proprio “Ai nostri tempi” di Papa Francesco, avente ad oggetto la “giurisdizione degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano in materia penale”. In virtù di tale Motu Proprio la giurisdizione degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano è stata estesa ad una numerosa serie di soggetti, equiparati, a tali fini, ai “pubblici ufficiali”. Infatti, ai sensi del punto 3 del predetto Motu Proprio «Ai fini della legge penale vaticana sono equiparati ai “pubblici ufficiali”: a) i membri, gli officiali e i dipendenti dei vari organismi della Curia Romana e delle Istituzioni ad essa collegate; b) i legati pontifici ed il personale di ruolo diplomatico della Santa Sede; c) le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, nonché coloro che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo degli enti direttamente dipendenti dalla Santa Sede ed iscritti nel registro delle persone giuridiche canoniche tenuto presso il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; d) ogni altra persona titolare di un mandato amministrativo o giurisdizionale nella Santa Sede, a titolo permanente o temporaneo, remunerato o gratuito, qualunque sia il suo livello gerarchico».
6. Il Motu Proprio dell’8 agosto 2013 “La promozione dello sviluppo” e l’istituzione del Comitato per la Sicurezza Finanziaria (Co.Si.Fi). Dobbiamo ora esaminare i contenuti del Motu Proprio del Sommo Pontefice Francesco “Per la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e della proliferazione di armi di distruzione di massa”. Nell’incipit del Motu Proprio si osserva che la promozione dello sviluppo umano «richiede una profonda riflessione sulla vocazione dei settori economico e finanziario al fine ultimo della realizzazione del bene comune» e si afferma che per tale motivo la Santa Sede «partecipa agli sforzi della Comunità internazionale volti alla protezione e alla promozione dell’integrità, stabilità e trasparenza dei settori economico e finanziario e alla prevenzione ed al contrasto delle attività criminali». Viene al riguardo sottolineato come Papa Francesco, in continuità con l’azione già intrapresa col Motu Proprio del 30 dicembre 2010 “per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario” del proprio predecessore, Papa Benedetto XVI, abbia voluto «rinnovare l’impegno della Santa Sede nell’adottare i principi e adoperare gli strumenti giuridici sviluppati dalla Comunità internazionale, adeguando ulteriormente l’assetto istituzionale al fine della prevenzione e del contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e della proliferazione delle armi di distruzione di massa». In virtù di tali premesse è stato disposto, all’art. 1, che i Dicasteri della Curia Romana e gli altri organismi ed enti dipendenti dalla Santa Sede, nonché le organizzazioni senza scopo di lucro aventi personalità giuridica canonica e sede nello Stato della Città del Vaticano siano tenuti ad osservare le leggi dello Stato della Città del Vaticano «in materia di: a) misure per la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; b) misure contro i soggetti che minacciano la pace e la sicurezza internazionale; c) vigilanza prudenziale degli enti che svolgono professionalmente un’attività di natura finanziaria». 162
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Il successivo art. 2 ha stabilito, come già abbiamo osservato in precedenza, che l’Autorità di Informazione Finanziaria debba svolgere «la funzione di vigilanza prudenziale degli enti che svolgono professionalmente un’attività di natura finanziaria». L’art. 3 ha operato un’ulteriore estensione della giurisdizione degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano, disponendo che essi esercitino «la giurisdizione nelle materie sopra indicate anche nei confronti dei Dicasteri e degli altri organismi ed enti dipendenti dalla Santa Sede, nonché delle organizzazioni senza scopo di lucro aventi personalità giuridica canonica e sede nello Stato della Città del Vaticano». Infine, in virtù dell’art. 4, è stato istituito il Comitato di Sicurezza Finanziaria (Co.Si.Fi.) «con il fine di coordinare le Autorità competenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano in materia di prevenzione e di contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e della proliferazione di armi di distruzione di massa». Le funzioni assegnate a detto organismo sono dunque di straordinario rilievo, e vengono delineate dall’art. 2 dello Statuto allegato al Motu Proprio. In base a detta norma il Co.Si.Fi.: «a) stabilisce criteri e modalità per l’elaborazione della valutazione generale dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e della proliferazione di armi di distruzione di massa; b) approva la valutazione generale dei rischi e il suo regolare aggiornamento; c) individua le misure occorrenti per la gestione ed il contenimento dei rischi; d) coordina l’adozione ed il regolare aggiornamento di politiche e procedure per la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e della proliferazione di armi di distruzione di massa; e) promuove l’attiva collaborazione e lo scambio di informazioni tra le Autorità competenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano; f) assicura agli organismi interessati un’informazione appropriata sui rischi rilevati». L’importanza di tali funzioni si riflette sul livello di estremo rilievo dei suoi componenti. Ai sensi dell’art. 1 dello Statuto il Comitato di Sicurezza Finanziaria è composto da: «a) l’Assessore per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, che lo presiede; b) il Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati; c) il Segretario della prefettura per gli Affari Economici; d) il Vice-Segretario Generale del Governatorato; e) il Promotore di Giustizia presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano; f) il Direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria; g) il Direttore dei Servizi di Sicurezza e di Protezione Civile del Governatorato».
7. La l. n. XVIII dell’8 ottobre 2013. La legge n. XVIII dell’8 ottobre 2013 è stata definita da più di un commentatore come una sorta di “testo unico in materia finanziaria”, e rappresenta uno snodo importante nel cammino di adeguamento dell’ordinamento vaticano ai parametri internazionali fissati dal Financial Action Task Force ed alle indicazioni provenienti dalla Divisione Moneyval del Consiglio d’Europa. Un aspetto particolarmente significativo di detta legge è indubbiamente rappresentato dallo sforzo volto a far sì che la tutela del segreto in ambito finanziario non costituisse più un ostacolo alle indagini volte all’accertamento di eventuali illeciti in materia. L’attenzione va dunque focalizzata in particolare sul titolo II della legge “misure di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo”, il cui art. 6 dispone che il segreto d’ufficio ed il segreto in materia finanziaria non devono inibire né limitare «a) l’attuazione degli obblighi stabiliti dalla presente legge da parte dei soggetti a ciò tenuti; b) l’accesso all’informazione da parte delle autorità competenti; c) la collaborazione tra le autorità competenti e lo scambio di informazioni a livello internazionale; d) lo scambio di informazioni tra i soggetti obbligati, anche a livello internazionale». 163
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L’analisi del testo della legge evidenzia inoltre la particolare attenzione dedicata alla necessità delle segnalazioni delle attività sospette all’Autorità di Informazione Finanziaria (A.I.F.), che a sua volta è tenuta ad analizzarle e può approfondirne la disamina, in virtù dei suoi penetranti poteri istruttori. Laddove, a seguito di tale approfondimento, emerga un fondato motivo per sospettare il compimento di attività di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, l’A.I.F. deve trasmettere un circostanziato rapporto al Procuratore di giustizia e può sospendere l’esecuzione delle transazioni e delle operazioni sospette per un periodo massimo di cinque giorni lavorativi. Va osservato come la legge, dedicando un apposito titolo alle “Misure contro i soggetti che minacciano la pace e la sicurezza internazionale” si sia collocata nel solco già tracciato dalla precedente legge n. CXXVII. Per effetto della legge n. XVIII la competenza alla predisposizione di quella che può essere definita come una black list è stata attribuita al Presidente del Governatorato, che si avvale del coordinamento operato dalla Segreteria di Stato. Nei confronti dei soggetti iscritti in tale black list scatta automaticamente il divieto di fornitura di beni, risorse economiche e servizi finanziari, e l’A.I.F. è tenuta in tal caso a disporre immediatamente il blocco dei beni.
8. Gli accordi bilaterali. Il primo aprile del 2015 è stata sottoscritta la Convenzione fiscale con l’Italia, tendente ad una reciproca collaborazione e scambio di informazioni, in un’ottica di “trasparenza”, concernente i soggetti fiscalmente residenti in Italia ma titolari di attività finanziarie nello Stato della Città del Vaticano, in piena attuazione al disposto dell’art. 16, primo alinea, del Trattato del Laterano. Con la predetta Convenzione la Santa Sede si è impegnata a fornire allo Stato italiano le «informazioni verosimilmente rilevanti … per l’amministrazione o l’applicazione del diritto interno relativo alle imposte di qualsiasi natura o denominazione», escludendo la possibilità di opporre al riguardo il vincolo del segreto in materia finanziaria. Detto impegno, riguardando le sole informazioni “verosimilmente rilevanti” esclude invece l’adesione a richieste indiscriminate di dati. Si è inoltre prevista, nei confronti di una serie di categorie di soggetti indicati nella Convenzione, qualora detentori di attività finanziarie presso enti vaticani, una regolamentazione concernente gli «obblighi di determinazione e versamento delle imposte sui redditi di capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria nonché, qualora dovuta, dell’imposta sulle attività finanziarie detenute all’estero». I soggetti che possono essere interessati da tale provvedimento sono: i chierici ed i membri degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica; i dignitari, gli impiegati, i salariati, anche non stabili, ed i pensionati della Santa Sede e degli altri enti ecclesiastici; gli Istituti di Vita Consacrata, le Società di Vita Apostolica e gli altri enti con personalità giuridica canonica o civile vaticana. È stata così delineata una procedura di “regolarizzazione” con gli stessi effetti stabiliti dalla l. n. 186 del 2014 introdotta in Italia per permettere l’emersione ed il rientro dei capitali detenuti all’estero. La “regolarizzazione” è stata prevista per i redditi di capitale ed i redditi diversi di natura finanziaria, con esclusione dei redditi di impresa e fondiari. Altro significativo modello di cooperazione è quello derivante dalla sottoscrizione, avvenuta il 10 giugno 2015, dell’Accordo tra Santa Sede e Stati Uniti d’America, onde rendere 164
Il rinnovato impegno dello Stato della Città del Vaticano
possibile lo scambio di informazioni fiscali in conformità al Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA). L’accordo riguarda, tra l’altro, tutti gli enti che svolgono professionalmente attività di natura finanziaria nell’ambito dello Stato vaticano. In base ad un successivo Protocollo di intesa sottoscritto nel novembre del 2015 il potere di controllo concernente il corretto adempimento di questi obblighi informativi è stato attribuito all’A.I.F.
9. La cooperazione internazionale. Il riconoscimento, da parte dello Stato della Città del Vaticano, del fatto che la corruzione e la criminalità finanziaria non possono essere combattuti efficacemente se si prescinde da un contesto di collaborazione interstatuale hanno indubbiamente favorito, come già abbiamo avuto modo di osservare, un processo virtuoso ispirato anche alla necessità di adeguamento alle raccomandazioni di varie organizzazioni internazionali, in un’ottica di maggiore efficienza e capacità operativa. Oltre ai dati già forniti, va menzionata in particolare l’adesione in data 7 ottobre 2008 all’Interpol. L’impegno di collaborazione tra autorità vaticane e straniere è poi stato ribadito dalla legge n. IX del 2013, volta a favorire l’assistenza giudiziaria ed a delineare come eccezionali le ipotesi di rifiuto di assistenza giudiziaria, ammissibili unicamente qualora venga esplicitato, con adeguata motivazione, che la richiesta di assistenza può arrecare pregiudizio alla sovranità, alla sicurezza, all’ordine pubblico o ad altri interessi fondamentali dello Stato della Città del Vaticano, o ad indagini o procedimenti penali ivi pendenti, o laddove le condotte per le quali procede lo Stato richiedente non siano considerate come reato dalla legge vaticana. L’art. 40, lett. d) della legge ha, inoltre, precisato che «nei casi espressamente previsti dalle convenzioni internazionali ratificate, non potrà essere invocato il segreto bancario per respingere una domanda di assistenza giudiziaria». Sempre in quest’ottica di cooperazione assume un valore significativo, e non certo meramente simbolico, il deposito da parte del Cardinale Segretario di Stato, in data 19 settembre 2016, dello strumento di ratifica della Convenzione dell’O.N.U. contro la corruzione, approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nell’ottobre del 2003.
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Il difficile dialogo fra corti europee e corti nazionali nel diritto penale: analisi di due casi problematici (Taricco e Contrada)* Sommario: 1. Introduzione. – 2. La sentenza Taricco della Corte di giustizia della Comunità Europea e la teoria dei c.d. controlimiti. – 2.1. L’ordinanza della Corte costituzionale n. 24 del 2017. – 3. La sentenza Contrada della Corte Europea dei diritti dell’uomo ed il fin de non-recevoir manifestato sinora dalla giurisprudenza nazionale. – 3.1. L’atteggiamento negativo della giurisprudenza della Cassazione nei casi Ciancio e Dell’Utri. – 4. Conclusioni: la difficoltà non solo di un dialogo fra le Corti ma, conseguentemente, della creazione di uno spazio giudiziario europeo realmente condivisibile, pur nel rispetto, auspicabile, dei c.d. controlimiti. Abstract The author analyzes two really problematic cases, because they involve a difficult dialogue between European Courts and National Courts under criminal law, namely the Taricco case and the Contrada case. The first, as is well known, concerns a case of tax fraud, in particular c.d. Carousel fraud, in the case of VAT on export for which the Cuneo Gip has involved the European Court of Justice which, according to art. 325 T.F.U.E. which prescribes proportionate but above all effective and dissuasive sanctions, has ordered that Articles 160 and 161 should not be applied to the Italian penal court, in particular the increase of only ¼ because in this way the protection of the European Community’s financial interests would not be effective. The Court of Appeals of Milan first and the Third Section of the Cassation then, after the initial adherence to the ECJ’s decree, instead sent the acts to the Constitutional Court by acting the c.d. “counter-boundary theory”, according to which, however, if the ruling of a European Court of Justice violates the supreme values of the law of a State, it must not be applied by the State itself. Invested the Constitutional Court of the matter, the latter responded by an order in which he fully accepted the theory of counterboundary, and in fact considered that the ECJ ruling violated the principle of strict legality both in terms of its determination and of the unreasonableness of the criminal law, bearing in mind that the prescriptive institution in our case belongs to substantive criminal law and not to criminal procedural law. The Constitutional Court, however, obviously not to intensify the dialogue between the Courts and, above all, in the perspective of not easily obtaining an explicit recognition at Community level of counter-boundary theory, preferred to postpone the matter to the ECJ for a new examination . As for the Contrada case, accused and convicted of an external competition in a mafia-type association, before the intervention of the United Criminal Court Sections of the Supreme Court of Cassation in this matter, first occurred in 1995, tre ECHR condemned the Italian State in so far as it is considered that the institute concerned by the case-law of the court and also and consequently considered the sentence contrary to the principle of predictability of judicial decisions, according to art.7 of the European Court of Human Rights. The case law of the Cassation, in the case of Ciancio and Dell’Utri, did not follow the ECHR’s statement, believing that, on the contrary, the external competition possesses a precise legal basis constituted by the combined provision of art. 110 and art. 416 bis c.p. This latter argument is even taken for granted, because the problem lies in the fact that the articles in question are vague and indefinite, and this concerns in particular art. 110 either because it irrationally divides all competitors, or because it is an empty clause. If he adds that the same art. 416 bis is now interpreted in two very different ways from the same jurisprudence, that is to say, on the one hand, in a more assured way as a crime of harm and, secondly, above all to mafia organizations operating in the North Center, as an abstract-concrete danger of crime which, at least, according to the author, was right by the European Court of Human Rights to point out that the legal phenomenon of the external competition, in spite of its original legal basis, has become a judge-made law, precisely because jurisprudence, with particular reference to art. 110, filled the regulatory vacuum that the author has previously found. Nevertheless, the Court of Cassation, in particular in the Ciancio case, rejected the questions of constitutional lawfulness relating to the institution of the external competition, with particular reference to the hypothetical contradiction with the principle of strict legality and its corollaries. There is nothing but wait for the legislature to intervene, although unlikely, at least in the short and medium term, as even the same four judgments of the Criminal Chapters of the Court of Cassation do not seem to have completely fought the problems of constitutional order related to this controversial legal phenomenon, which increasingly takes on a typical dimension of the special part of the criminal code despite the reference to the art. 110 c.p., belonging to the general part of the code. Lastly, Cass., Sect. I, July 6, 2017, Ric. Contrada, revoked the condemnation of the same Contrada for exterior competition ex art 416 bis cp., precisely on the basis of Contrada judgment of the ECHR, 14.4.2015, Contrada c. Italy. *
Testo, riveduto ed ampliato, con l’aggiunta delle note,della Relazione tenuta il 25 febbraio 2016 ai “Giovedì della procedura penale”, organizzati dal Prof. Alfredo Gaito e di prossima pubblicazione in AA.VV., Processus criminalis europeus.]
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L’autore analizza due casi davvero problematici, perché comportano per l’appunto un difficile dialogo tra Corti europee e Corti nazionali nell’ambito del diritto penale, cioè a dire il caso Taricco e quello Contrada. Il primo, com’è noto, riguarda un caso di frode fiscale, in particolare c.d. frodi carosello, in materia di Iva all’esportazione per cui il Gip di Cuneo ha coinvolto la Corte di Giustizia della Comunità Europea che, in base all’art. 325 T.F.U.E. che prescrive sanzioni proporzionate, ma soprattutto efficaci e dissuasive, ha ordinato di disapplicare gli articoli 160 e 161 c.p. al giudice penale italiano, in particolare l’aumento solo di ¼ perché in tal modo la tutela degli interessi finanziari della Comunità Europea non sarebbe per l’appunto efficace. La Corte d’Appello di Milano prima e la Terza Sezione della Cassazione poi, quest’ultima dopo un’iniziale adesione al dictum della CGCE, hanno invece inviato gli atti alla Corte costituzionale facendo agire la teoria c.d. dei controlimiti, in base alla quale se la pronuncia di una Corte Europea viola però i valori supremi dell’ordinamento di uno Stato, non deve essere applicata dallo Stato medesimo. Investita la Corte costituzionale della questione, quest’ultima ha risposto con un’ordinanza in cui ha accettato in pieno la teoria dei c.d. controlimiti ed ha infatti ritenuto che la pronuncia della CGCE violasse il principio di stretta legalità sia sotto il profilo della determinatezza che sotto quello della irretroattività della norma penale, tenendo conto che l’istituto della prescrizione nel nostro ordinamento appartiene al diritto penale sostanziale e non già al diritto processuale penale. La Corte costituzionale tuttavia, evidentemente per non inasprire il dialogo fra le Corti e soprattutto nella prospettiva, non facile, di ottenere un esplicito riconoscimento anche a livello comunitario della teoria dei controlimiti, ha preferito rinviare la questione alla CGCE, per un nuovo esame. Per quanto riguarda, invece il caso Contrada, imputato e condannato per concorso esterno in associazione di tipo mafioso, prima dell’intervento delle Sezioni Unite penali della Corte Suprema di Cassazione in materia, avvenuto la prima volta nel 1995, ha visto condannato lo Stato italiano in quanto ritenuto l’istituto in oggetto di creazione giurisprudenziale ed anche e conseguentemente ritenuto la condanna in contrasto con il principio di prevedibilità delle decisioni giudiziarie, di cui all’art. 7 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La giurisprudenza della Cassazione, nel caso Ciancio ed in quello Dell’Utri, non ha seguito il dictum della CEDU ritenendo al contrario che il concorso esterno possiede una precisa base normativa costituita dal combinato disposto tra l’art. 110 e l’art. 416 bis c.p.. Quest’ultima tesi, è addirittura scontata, perché il problema risiede nel fatto che gli articoli in esame sono oltremodo vaghi ed indeterminati, e ciò in particolare riguarda l’art. 110 sia perché parifica irrazionalmente tutti i concorrenti, sia perché costituisce una clausola vuota. Se a ciò ai aggiunge che lo stesso art. 416 bis viene interpretato ormai in due modi assai diversi dalla stessa giurisprudenza, cioè da un lato in senso più garantista come reato di danno e dall’altro con riferimento soprattutto alle organizzazioni mafiose operanti nel Centro Nord come reato di pericolo astratto-concreto, ne consegue che, ad avviso, quanto meno, dell’autore, ha avuto ragione la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a segnalare che il fenomeno giuridico del concorso esterno, nonostante la sua originaria base normativa, è divenuto di création prétorienne, proprio perché la giurisprudenza, con particolare riguardo all’art. 110, ha colmato quel vuoto normativo che abbiamo in precedenza rilevato. Ciò nonostante la Corte di Cassazione, in particolare nella sentenza Ciancio, ha respinto le questioni di legittimità costituzionale attinenti all’istituto del concorso esterno, con particolare riguardo all’ipotizzato contrasto con il principio di stretta legalità ed i suoi corollari, per cui a questo punto non resta che attendere un intervento del legislatore, seppure poco probabile, almeno nel breve e nel medio periodo, giacché anche le stesse quattro sentenze delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione non sembrano aver fugato del tutto i problemi anche di ordine costituzionale attinenti a questo controverso fenomeno giuridico, che sempre più va assumendo una dimensione tipica della parte speciale del codice penale nonostante il riferimento ancora all’art. 110 c.p., a appartenente invece alla parte generale del codice. Da ultimo, tuttavia, la Cass., sez. I, 6.7.2017, ric. Contrada, ha revocato la sentenza di condanna dello stesso Contrada per concorso esterno ex art 416 bis c.p., proprio in base al principio espresso nella sentenza della CEDU, 14.4.2015, Contrada c. Italia.
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Il difficile dialogo fra corti europee e corti nazionali nel diritto penale: analisi di due casi problematici
1. I rapporti tra giurisprudenza nazionale e comunitaria sono notoriamente assai difficoltosi, tanto è vero che una recente e stimolante opera in argomento si intitola proprio “Il giudice nel labirinto”1. Cerchiamo di individuare più in profondità le ragioni di tale difficoltà di rapporti, tenendo conto che, almeno a livello normativo, gli artt. 10 e 117 della Costituzione dovrebbero comunque assicurare una “concordia discors”. L’art. 10, in quanto stabilisce la necessità che l’ordinamento giuridico italiano si conformi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e l’art. 117, comma 1°, così come sostituito dall’art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2003, in quanto afferma che la potestà legislativa sia statale che regionale, deve essere esercitata non solo nel rispetto della Costituzione stessa, ma anche dei vincoli derivanti sia dall’ordinamento comunitario, che dagli obblighi internazionali. Ciò nonostante, il difficile dialogo fra le Corti deriva, almeno a nostro avviso, dal differente ruolo e soprattutto funzione che giuocano rispettivamente da un lato la Corte Suprema di Cassazione e la Corte costituzionale e, dall’altro, la Corte Europea di diritti dell’uomo e la Corte di giustizia della Comunità europea. La Corte Suprema di Cassazione si caratterizza infatti, seppure in linea puramente tendenziale, per costituire un’autorità giudiziaria in genere più attenta alla tenuta general-preventiva del sistema e, conseguentemente, anche alla tutela delle vittime, piuttosto che ai diritti fondamentali della persona, tanto è vero che nel ragionamento ermeneutico portato avanti dalla Suprema Corte sovente il metodo teleologico predomina, cosicché assistiamo ad interpretazioni di carattere “estensivo”, che talvolta trasmodano in un’interpretazione di carattere cripticamente analogico. La Corte costituzionale, al contrario, si mostra più orientata a favore di una sempre maggior tutela ed emersione dei diritti dell’uomo, soprattutto in campo processuale penale, ma non solo, al pari della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, da un lato e, quel che più rileva in questa sede, della Corte Europea dei diritti dell’uomo, dall’altro. La Corte di giustizia della Comunità Europea, da ultimo, risulta invece più orientata verso un approccio in cui prevalgono interessi economico-istituzionali della CEE, per cui, come si dimostrerà anche nel corso delle riflessioni che seguono, il dialogo fra le Corti si fa senza dubbio molto complesso anche a causa dei diversi orientamenti che abbiamo delineato2. In questa sede intendiamo affrontare due casi paradigmatici di conflittualità, il primo relativo alla sentenza Taricco della Corte di giustizia della Comunità Europea, in rapporto alla teoria dei c.d. contro limiti e il secondo relativo alla sentenza Contrada della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in rapporto all’atteggiamento di sostanziale “resistenza” o, comunque, di non recepimento da parte della giurisprudenza nazionale, nonché di atteggiamento per certi versi riduzionistico anche da parte di taluni settori, seppur qualificati, della stessa dottrina.
1
V. Manes, Il giudice nel labirinto – Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali, Roma, 2012. Sia consentito, per maggiori approfondimenti sul tema ed anche per riferimenti ad altri casi giudiziari controversi, come ad esempio quello relativo al problema della “confisca senza condanna”, il rinvio a A. Manna, Introduzione alle problematiche relative all’interpretazione nella giustizia penale, in Id. (a cura di), Il problema dell’interpretazione nella giustizia penale, Pisa, 2016, 23 ss., e, quivi, 33 ss. 2
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2. La sentenza Taricco della Corte di giustizia della Comunità Europea e la teoria dei c.d. controlimiti. Iniziamo le nostre riflessioni sui due casi “difficili” con riferimento alla sentenza Taricco3. Tale sentenza ha stabilito la disapplicazione, da parte del giudice italiano, delle norme di cui agli artt. 160, ultimo comma, e 161, comma 2, c.p., per contrasto con l’art. 325, § 1, TFUE, con l’art. 2, § 1, Convenzione PIF, nonché con la direttiva 2006/112, in combinato disposto con l’art. 4, § 3, TUE. Il caso atteneva al reato di frode fiscale in materia di Iva all’esportazione nel senso che dall’applicazione delle disposizioni nazionali in materia di interruzione della prescrizione sarebbe conseguito, in un numero considerevole di casi, l’impunità penale a fronte di fatti costitutivi di una frode grave, perché tali fatti risulterebbero generalmente prescritti prima che la sanzione penale prevista dalla legge potesse essere inflitta con decisione giudiziaria definitiva4. In tale situazione, le misure previste dal diritto italiano per combattere contro la frode e le altre attività illegali, che ledono gli interessi finanziari dell’Unione – nella specie si trattava di c.d. «frodi carosello» – non possono essere considerate efficaci e dissuasive, e quindi risultano in contrasto con la normativa comunitaria innanzi indicata. La sentenza dei giudici di Lussemburgo trae origine, a sua volta, dal provvedimento del Gup del Tribunale di Cuneo – che infatti ha sollevato la relativa questione dinanzi alla Corte di Giustizia della Comunità Europea – che nel suo provvedimento aveva, fra l’altro, sostenuto come “la durata del procedimento rende […] l’impunità in Italia non un caso raro ma la norma”5. In argomento è tuttavia necessario intendersi in quanto la Corte di giustizia non ha prescritto al giudice italiano di procedere tout court alla disapplicazione dell’art. 161, comma 2, c.p., per contrasto, in particolare, con l’art. 325 TFUE, ma ha imposto di farlo nella misura in cui si riscontri che tale normativa italiana, laddove assicura un prolungamento solo
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C. Giust. UE, sent. 8 settembre 2015, (Grande Sezione), Taricco, causa C-105/14, su cui v., con particolare ampiezza, A. Venegoni, La sentenza Taricco: una ulteriore lettura sotto il profilo dei riflessi sulla potestà legislativa dell’Unione in diritto penale nell’area della lotta alle frodi, in www.penalecontemporaneo.it, 29 ottobre 2015; nonché O. Mazza, Scelte politiche “europee” e limiti costituzionali in tema di prescrizione del reato, in Arch. Pen., 2015, 775 ss.; nonché S. Civello, Il “dialogo” fra le quattro corti: dalla sentenza “Varvara” (2013) della CEDU alla sentenza “Taricco” (2015) della CGUE, ivi, 783 ss.; S. Recchione, Dal dialogo tra le Corti alla resa dei conti, ivi, 807 ss.; SG.D.alcuni, Il dialogo fra Corti: dalla “giurisprudenza fonte” alla “giurisprudenza argomento”, ivi, 818 ss.; L. Filippi, Il conflitto tra la Corte Europea e la Consulta, ivi, 840 ss.; S. Marcolini, La prescrizione del reato tra diritto e processo: dal principio dei legalità sostanziale a quello di legalità processuale, in CP, 2016, 362 ss.; E. Lupo, La primauté del diritto dell’UE e l’ordinamento penale nazionale – Riflessioni sulla sentenza Taricco, in www.penalecontemporaneo. it, 29 febbraio 2016, 1 ss.; V. Maiello, Prove di resilienza del nullum crimen: Taricco versus contro limiti, in CP, 2016, 1250 ss.; confronta altresì C. Paonessa, L. Zilletti (a cura di), Dal giudice garante al giudice disapplicatore delle garanzie – I nuovi scenari della soggezione al diritto dell’Unione europea: a proposito della sentenza della Corte di giustizia Taricco, Pisa, 2016; nonché i contributi sul tema apparsi in A. Manna (a cura di), Il principio di stretta legalità tra giurisprudenza nazionale e comunitaria, Pisa, 2016, spec. 111 ss. 4 Su tale questione C. Amalfitano, Da una impunità di fatto a una imprescrittibilità di fatto della frode in materia di imposta sul valore aggiunto?, in www.sidi-isil.org, 22 settembre 2015, par. 6. 5 Gup Cuneo, 17.1.2014, 13, ultimo rigo. Amplius P. Davigo, Una prescrizione vi salverà, in Micromega, fasc. 7/2014, in http://temi.repubblica.it/.
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di un quarto dell’intervallo base, “impedisce di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di frodi gravi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea”6. Va rilevato che il procedimento penale a carico del Sig. Taricco, che ha dato luogo all’intervento della Corte di Giustizia, è stato caratterizzato da molteplici ritardi, che non hanno nulla a che vedere con il, seppur ridotto, termine prescrizionale, dovuto alla famigerata legge ex Cirielli del 2005, bensì alla soppressione della sede giurisdizionale in cui il procedimento era originariamente incardinato e quindi di nullità “procedurali che facevano regredire il procedimento alla fase delle indagini preliminari”7 ed infine da errori di notifica. Da qui uno scarto di circa sei anni dall’inizio delle indagini sino allo svolgimento della stessa udienza preliminare, di fronte al quale sia l’accusa, rivolta alle difese, di essersi adoperate per raggiungere la prescrizione, tradisce una mancata comprensione del ruolo del difensore, sia che la prescrizione del reato, come abbiamo dimostrato, non appare nel caso di specie, imputabile al ridotto termine prescrizionale ed in particolare all’aumento soltanto di un quarto nel caso di interruzione della prescrizione , bensì ad eventi di tutt’altra natura, quali quelli che abbiamo in precedenza indicato8. Tornando al dictum della Corte di giustizia della Comunità europea va rilevato come lo strumento giuridico, adottato nella sentenza su sollecitazione dell’Avvocato Generale Julienne Kokott, per superare il conseguente divieto di retroattività in malam partem, è consistito nel qualificare la prescrizione come condizione di procedibilità, anziché di punibilità, tale per cui non sarebbe soggetta al principio di stretta legalità ed al conseguente corollario relativo all’irretroattività delle norma penale sfavorevole, bensì al diverso principio, di natura processuale, del c.d. tempus regit actum. La conclusione cui è giunta la Corte di giustizia di Lussemburgo poggia anche, ad esempio, sull’ordinamento francese e su quello anglosassone, ove in entrambi la prescrizione ha natura processuale, anziché sostanziale, ma sotto questo profilo, non ha tenuto conto che nel diritto penale italiano non solo la prescrizione è disciplinata nel codice penale sostantivo e non già in quello processuale, ma anche che la dottrina e la giurisprudenza hanno in genere sostenuto come la prescrizione costituisca un istituto di diritto penale sostantivo, in quanto attiene alla sfera della punibilità che, secondo alcuni, addirittura integrerebbe il quarto elemento del reato, oltre, cioè, il fatto, l’antigiuridicità e la colpevolezza9. Ciò spiega, evidentemente, perché in primo luogo la Corte d’Appello di Milano ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale, affinché decidesse se la prescrizione, così come intesa nella
6
Sul punto, D. Micheletti, Premesse e conclusioni della sentenza Taricco – Dai luoghi comuni sulla prescrizione al primato in malam partem del diritto europeo, in C. P aonessa , L. Zilletti (a cura di), op.cit., 57 ss., e quivi 59. 7 Lo rammenta anche il Gup Cuneo, 17.1.2014, 9, che tuttavia si astiene dal menzionare le ragioni tecniche di tale regressione. 8 Sul punto, di nuovo, D. Micheletti, op.cit., 62. 9 Sulla prescrizione, in generale, ed anche nel senso che rientri nella punibilità intesa quale quarto elemento del reato, sia consentito, anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici e giurisprudenziali, il rinvio a A. Manna, Corso di diritto penale. Parte generale, 3°, Padova, 2015, 571 ss., nonché anche 559 ss.; per tale tesi, v., comunque autorevolmente già, G. Marinucci, E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, 4a, Milano, 2012, 171 ss. e spec. 177 ss.; più in particolare sulla prescrizione, cfr. F. Giunta, D. Micheletti, Tempori cedere. Prescrizione del reato e funzioni della pena nello scenario della ragionevole durata del processo, Torino, 2003.
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sentenza Taricco, contrastasse o no con il principio di stretta legalità, attivando conseguentemente la teoria c.d. dei “controlimiti”10. L’atteggiamento della nostra Suprema Corte di Cassazione è stato, invece, “ondivago”, nel senso che in un primo tempo aveva aderito e sostenuto la tesi della Corte di giustizia della disapplicazione della norma, in particolare dell’aumento soltanto di un quarto del termine prescrizionale, per effetto dell’intervento di un atto interruttivo11. Tale orientamento, come peraltro anche quello della Corte di Lussemburgo, si può anche comprendere, ma solo a livello di politica criminale, in quanto in effetti la riforma del 2005 in tema di prescrizione ha provocato l’effetto di favorire, con la riduzione del termine prescrizionale indicata, ben inteso per i primari, di favorirne l’impunità, giacché in effetti non è agevole, soprattutto in relazione a procedimenti penali che comportano complesse indagini, esaurire i tradizionali tre gradi del giudizio, senza che prima intervenga la causa di non punibilità relativa, appunto, alla prescrizione. Ciò spiega, infatti, perché un attento studioso del calibro di Francesco Viganò, si è chiesto se sia valsa la pena trascinare la Corte costituzionale in un conflitto frontale dagli effetti dirompenti con la Corte di Giustizia, per difendere l’«impresentabile» disciplina della prescrizione, a trarre vantaggi dalla quale sarebbero gli autori di condotte che sottraggono ingenti risorse finanziarie all’Unione12. Questi ultimi, tuttavia, costituiscono profili di politica criminale, di competenza del legislatore, che mettono in secondo piano proprio la teoria dei contro-limiti, che, nel caso di specie, risulta invece funzionale, da un lato, ad assicurare il monopolio democratico delle regolazione dei presupposi della punibilità e dall’altro il principio di irretroattività in malam partem13. Evidentemente considerazioni di tal fatta, legate alla più volte menzionata teoria dei c.d. controlimiti, ha indotto la Corte di Cassazione a mutare successivamente orientamento ed inviare, quindi, anch’essa la questione alla Corte costituzionale14. Va, infatti, rilevato come la materia dei contro-limiti possegga in primo luogo uno spazio di tutela anche a livello europeo, sulla base dell’art. 4.2 TUE, pur se non può non rilevarsi come sulla materia non possa non gravare l’ipoteca iscritta dalla sentenza Melloni15 nella quale, come è noto, Lussemburgo ha offerto una lettura dei rapporti tra la primazia del diritto europeo ed i superiori livelli di garanzia in ambito nazionale, che ha ingenerato l’amara “impressione che il bisogno indisponibile di assicurare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione, al fine di
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Corte d’Appello di Milano, II Sezione penale, ord. 18 settembre 2015, Pres. Maiga, Est. Lo Curto, in www.penalecontemporaneo.it, 21 settembre 2015, con nota di F. Viganò, Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte d’Appello di Milano sollecita la Corte costituzionale ad azionare i contro limiti, 1 ss., ove sono riportati anche ulteriori contributi, sia dello stesso Viganò che di altri Autori, apparsi sulla medesima rivista. 11 Cass., III Sezione penale, sent. 17 dicembre 2015, n. 3105, in Arch.pen. on line, 2015, con nota di S. Treglia. 12 F. Viganò, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di IVA? Primato del diritto UE e nullum crimen in un’importante sentenza della Corte di giustizia, in www.penalecontemporaneo.it, 14 settembre 2015, 14; del pari critico circa la tesi dei “controlimiti”, A. Bernardi, Dogmatica penale, “giuridismo”, fonti sovranazionali, in A. Cadoppi (a cura di), Cassazione e legalità penale, Roma, 2017, 145 ss. e, quivi, 156. 13 Così anche V. Maiello, Prove di resilienza del nullum crimen: Taricco versus controlimiti, in C. Paonessa, L. Zilletti (a cura di), op. cit., 33 ss. e, quivi, 42. 14 Cass., III Sezione penale, Pres. Grillo, Rel. Riccardi, ord. 30 marzo 2016, dep. 8 luglio 2016, ric. C.M., S.F.P, B.M, F.P., su cui S. Di Paola, Frodi tributarie “gravi”, prescrizione penale e disapplicazione del diritto interno: nuovi dubbi e qualche certezza?, in Foro it., 2016, II, 236 ss. 15 In argomento, C. Amalfitano, Mandato di arresto europeo: reciproco riconoscimento vs diritti fondamentali, in www.penalecontemporaneo.it, 4 luglio 2013.
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essere come si conviene appagato, non possa arrestarsi davanti ad alcuno ostacolo, foss’anche dato dai principi fondamentali del diritto interno (dei c.d. “contro-limiti”)”16. In secondo luogo, ed è ciò che più rileva in questa sede, anche i giudici della Consulta hanno riconosciuto che le limitazioni di sovranità derivanti dall’adesione dell’Italia all’ordinamento europeo ex artt. 10 e 117, comma 1, Cost., incontrano, come noto, il “controlimite” dei “principi supremi” dell’ordinamento, come è stato ribadito dalla stessa Corte costituzionale in particolare in occasione delle c.d. “sentenze gemelle”17. Tale teoria, d’altro canto, come suol dirsi, viene da lontano, ovverosia da altre due sentenze della Corte costituzionale, rispettivamente del 1973 e del 1984, nonché da due sentenze della Corte costituzionale tedesca, rispettivamente Solange 1 e 2, in base alle quali la medesima Corte si riserva una prerogativa di controllo di costituzionalità sugli atti comunitari “fintanto che il diritto comunitario non consentirà un livello di protezione dei diritti fondamentali equivalente a quello garantito dalla legge fondamentale nazionale”18. Stabilito ciò, riteniamo che la sentenza Taricco sollevi fondatamente un problema di attivazione della teoria dei controlimiti, in quanto incide in particolare sul principio di stretta legalità lungo tre direttrici fondamentali: a) La riserva assoluta di legge, in quanto l’effetto della decisione della Corte di Lussemburgo consiste in un’estensione sostanziale dell’area della punibilità, non sostenuta, però, da fonti adeguatamente legittimate sul piano democratico. Costituisce, infatti, orientamento piuttosto pacifico che la scelta sui termini prescrizionali rientri nella discrezionalità del legislatore, non sanzionabile dalla Corte costituzionale con interventi in malam partem19. Inoltre, non solo il riferimento alla fonte europea, ovverosia all’art. 325 TFUE, integra una disposizione normativa dal carattere essenzialmente politico-criminale, ma, conseguentemente, l’attribuzione al giudice di un potere di disapplicazione, peraltro ben conosciuto in sede europea20, nel caso di specie non appare però “logicamente determinato”, bensì il frutto di una valuta-
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Così, testualmente, A. Ruggeri, La Corte di giustizia ed il bilanciamento mancato (a margine della sentenza Melloni), in Dir.un.eur., 2013, 401; in argomento, cfr. anche V. Maiello, op.cit., 39. 17 Così in particolare E. Belfiore, Scenari “vecchi” e “nuovi” nei rapporti tra Corte di giustizia e Corte costituzionale, in C. Paonessa e L. Zilletti (a cura di), op. cit., 145 ss e, quivi, 148-149, che tuttavia conclude il suo stimolante saggio con una nota di scetticismo circa il fatto che la Corte costituzionale, chiamata a decidere la questione “Taricco”, possa davvero accogliere la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dalla Corte d’Appello di Milano, che, poi, dalla Corte Suprema di Cassazione, ritenendo non infondata la prospettiva di una dichiarazione di inammissibilità della questione, seppur limitatamente alle ipotesi di prescrizioni non ancora maturate, in ordine alle quali i giudici della Consulta potrebbero decidere direttamente sulla base della sola sentenza della Corte di giustizia. Lo stesso Autore, tuttavia, ha cura di rilevare come non dovrebbe, invece, sorgere questione in ordine alle prescrizioni già maturate, giacché le stesse dovrebbero risultare praticamente “blindate” dalla garanzia offerta dall’art. 25, comma 2, Cost. Constateremo in prosieguo come le previsioni del chiaro Autore si siano rivelate, fortunatamente, troppo pessimiste. 18 Così, testualmente, G. Flora, Poteri del giudice europeo e disarticolazione degli assetti istituzionali degli Stati membri, in C. Paonessa e L. Zilletti (a cura di), op.cit., 167 ss. e, quivi, 169; nonché, a livello monografico, in particolare, C. Sotis, Il diritto senza codice: uno studio sul sistema penale europeo vigente, Milano, 2007. 19 Cfr. Corte cost., sentt. 393/2006, 72/2008, 324/2008, Trib. Milano, ord. 5 novembre 2012. 20 Cfr., in particolare, già G. Grasso, Comunità europee e diritto penale. I rapporti tra l’ordinamento comunitario e i sistemi penali degli Stati membri, Milano, 1989; cui adde, più di recente, in particolare, G.D. Salcuni, L’europeizzazione del diritto penale. Problemi e prospettive, Milano, 2011.
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zione estremamente discrezionale, compiuta da organi di tipo giurisdizionale, che è proprio ciò che l’art. 25, comma 2, Cost., intenderebbe evitare21. b) La determinatezza, in quanto gli effetti della sentenza Taricco riguarderebbero fattispecie criminose da individuarsi con riguardo ad un concetto vago, quale quello di “gravità della frode”. D’altro canto, anche l’indicazione dei reati tributari interessati appare labile, in quanto l’art. 325, par. 1, TFUE, fa riferimento in generale ad “altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’unione”. c) Il divieto di applicazione retroattiva della norma penale, in quanto si prefigura un’applicazione del regime di prescrizione modificato in modo peggiorativo per il reo, anche a fatti commessi prima di tale modifica22. Tanto ciò è vero, che da parte dei giudici di Lussemburgo si utilizza una sorta di escamotage giuridico, per evitare il contrasto, in particolare, con il principio di irretroattività in malam partem, consistente, come abbiamo in precedenza rilevato, nel concepire l’istituto della prescrizione come di carattere processuale anziché sostanziale, in tal modo consentendo l’applicazione di un principio di diritto intertemporale tutt’affatto diverso, cioè a dire il “tempus regit actum”. Quest’ultima ricostruzione della prescrizione in chiave processuale, contrasta però con la giurisprudenza della nostra Corte costituzionale che infatti ha riconosciuto un fondamento costituzionale alla delimitazione temporale dello ius puniendi23 nonché l’esistenza di un margine di discrezionalità politica nella sua quantificazione24 ed intervenendo in modo cogente solo per eliminare le asimmetrie più macroscopiche25, il tutto però senza mai ridurre il livello delle garanzie e sempre nel rispetto delle prerogative parlamentari26. Tutto quanto sinora affermato non conduce però ad una applicazione senz’altro “vincente” della teoria dei controlimiti in quanto i valori costituzionali sono generalmente considerati bilanciabili secondo lo stesso orientamento della Corte costituzionale. In base a quest’ultimo, infatti, “tutti i diritti costituzionalmente protetti sono soggetti al bilanciamento necessario ad assicurare una tutela unitaria e non frammentata degli interessi costituzionali in gioco, di modo che nessuno di essi fruisca di una tutela assoluta ed illimitata e possa, così, farsi «tiranno»”27.
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In tal senso anche L. Eusebi, Nemmeno la Corte di giustizia dell’Unione europea può erigere il giudice a legislatore, in C. Paonessa, L. Zilletti (a cura di), op.cit., 93 ss. 22 Cfr. per tali tre profili del principio di stretta legalità che si assumono violati, A. Vallini, Un’ingerenza grave in un sistema discriminatorio, in C. Paonessa e L. Zilletti (a cura di), op.cit., 127 ss e, quivi, 129; sul tema cfr. anche F. Febbo, Sentenza Taricco e “post Taricco”: art. 25 co. 2 Cost. come controlimite?, in A. Manna (a cura di), op.cit., 113 ss.; contra, nel senso che la irretroattività della norma penale sfavorevole potrebbe trovare eccezioni, proprio come quelle in tema di prescrizione, ove, cioè, non è coinvolta direttamente la norma incriminatrice, seppure in modo per noi non convincente, D. Pulitanò, Intervento in Aa.Vv., Tarexit? La rivincita della legalità penale. A proposito di Corte costituzionale ord. n. 24/2017, Firenze, 3 aprile 2017, in quanto l’art. 25, comma 2, per la sua formulazione, non appare consentire eccezioni. 23 Corte cost., 14 febbraio 2013, n. 23, in Giur. cost., 2013, 384 ss., con nota di O. Mazza, L’irragionevole limbo processuale degli imputati “eternamente giudicabili”. 24 Corte cost., 19 maggio 2014, n. 143, in Giur. cost., 2014, 2371 ss., con nota di C. Piergallini, Il fondamento della prescrizione nel diritto penale (ancora una volta) all’esame della Consulta. 25 Sempre Corte cost., sent. n. 143/2014, cit. 26 Corte cost., 14 gennaio 2015, n. 45, in Giur. cost., 2015, 370 ss., con nota di D. Micheletti, “Eterni giudicabili”: dal monito alla dichiarazione d’illegittimità costituzionale; dello stesso v. anche Id., Premesse e conclusioni, etc. cit., 57. 27 Corte cost., sent. n. 85/2013 e, da ultimo, n. 63/2016.
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Come quindi è stato esattamente rilevato28, bisogna allora richiamare la figura dei c.d. valori supremi. Come è noto, infatti, la Corte costituzionale ravvisa nella stessa Carta costituzionale taluni “valori supremi”, non suscettibili di bilanciamento e, quindi, non “negoziabili” e, pertanto, sovraordinati rispetto ad altri valori costituzionali. Ad esempio sono ritenuti tali il bene della vita e della libertà personale e la salvaguardia dell’integrità costituzionale delle istituzioni della Repubblica29. Per quanto più direttamente qui interessa, anche il diritto alla tutela giurisdizionale, ex art. 24 Cost., va annoverato tra i “principi supremi” dell’ordinamento costituzionale, essendo intimamente connesso con la struttura democratica dello Stato30. Orbene, qualunque vulnus al principio di stretta legalità va a scapito sia della libertà personale, che della relativa tutela giurisdizionale, per cui il recepimento, nel nostro ordinamento, della disapplicazione retroattiva dei termini prescrizionali, dovrebbe essere precluso in quanto contrastante con i valori supremi della legalità, della libertà personale e della tutela giurisdizionale, quest’ultima ex art. 24 e 111 della Costituzione. Pertanto la Corte costituzionale avrebbe già solide basi per accogliere la teoria dei controlimiti in relazione alla sentenza Taricco della Corte di giustizia della comunità europea, per cui ci sentiamo di esprimere un, seppur moderato, ottimismo tenendo anche conto della recente sentenza della stessa Corte costituzionale31, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 159, comma 1, c.p., nella parte in cui, «ove lo stato mentale dell’imputato sia tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e questo venga sospeso, non esclude la sospensione della prescrizione quando è accertato che tale stato è irreversibile». La sentenza in analisi sottolinea infatti l’irragionevolezza della tendenziale perennità della condizione di giudicabile dell’imputato, dovuta alla sospensione della prescrizione. La ratio della prescrizione – precisa infatti la sentenza – è legata all’affievolimento progressivo dell’interesse della comunità alla punizione del comportamento illecito ed al conseguente diritto all’oblio dei cittadini, laddove il reato non si rilevi così grave da escluderne la tutela. Una dimensione sostanziale, pertanto, dell’istituto della prescrizione32 che, per l’appunto, conforta il nostro seppur moderato ottimismo, laddove la moderazione tiene conto del fatto che non è facile prevedere un esito positivo dallo “scontro frontale” fra le due Corti, che tuttavia, come rilevato in apicibus, seguono “guidelines”, e, quindi, assolvono a funzioni di tutela, del tutto distinte. D’altro canto, la primazia del diritto europeo non può allo stato risultare senza limiti, giacché bisogna tener conto che l’Unione europea non ha ancora dato luogo, quanto meno, ad una federazione fra Stati, per cui residua la sovranità dei singoli Stati, che, in materia di “valori supremi” non potrebbe che prevalere, giacché, altrimenti, rischierebbero di risultare prevalenti preoccupazioni di politica criminale, legate alla funzionalità economica dell’UE, rispetto alla stessa legalità penale. Quest’ultima, infatti, come noto, deriva dal principio illuminista della separazione dei poteri, su cui si fonda lo Stato moderno, anche se bisogna
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In particolare e di recente da F. Sgubbi, Il principio di stretta legalità tra giurisprudenza nazionale e comunitaria, in A. Manna (a cura di), op.cit., 133 ss. e, quivi, 135. 29 Corte cost., sent. n. 1/2013. 30 Corte cost., sent. n. 18/1982; nonché, più di recente, Corte cost., sent. n. 238/2014. 31 La n. 45 del 2015. 32 Così, quasi testualmente, F. Sgubbi, op.loc.ult. cit.
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aggiungere, con rammarico, che assistiamo attualmente anche nel nostro Paese alla crisi del potere legislativo, tant’è che un costituzionalista del calibro di Gustavo Zagrebelsky ha giustamente affermato che la situazione politico-istituzionale attuale, a seguito anche della riforma del bicameralismo e della legge elettorale, è caratterizzata dal c.d. “tempo dell’esecutivo”33.
2.1. L’ordinanza della Corte costituzionale n. 24 del 2017. La Corte costituzionale, con ordinanza del 26 gennaio 2017 n. 2434, ha sostanzialmente accettato la teoria dei controlimiti ed anzi l’ha fatta propria, tenendo anche conto che, come abbiamo in precedenza osservato, deriva da un orientamento costante della stessa Corte costituzionale. Più in particolare l’ordinanza della Corte fa riferimento alla tesi c.d. dei valori supremi nel senso che, almeno ad avviso della Corte stessa, lo spazio giudiziario europeo dovrebbe tenere conto dei valori supremi valevoli presso l’ordinamento di ogni singolo Sato aderente, qui con particolare riferimento al principio di stretta legalità. La Corte costituzionale infatti del principio in esame mette in risalto soprattutto il corollario relativo alla determinatezza perché il riferimento dovuto alla Corte di Giustizia dell’Unione europea alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’UE ed in un “numero considerevole di casi”, contrasterebbe appunto con il principio di determinatezza, anche se sullo sfondo emergono pure la riserva assoluta di legge in quanto la disapplicazione nel caso di specie avrebbe comportato un intervento “paralegislativo” dello stesso giudice penale, nonché il divieto di retroattività della norma penale, nella misura in cui si intenda definire la prescrizione un istituto di diritto processuale anziché di diritto sostanziale. È pur vero che in altri ordinamenti, come ad esempio in quello francese, la prescrizione integra un istituto di diritto processuale e quindi vale la diversa regola del tempus regit actum, ma appunto nel diritto penale italiano la prescrizione non solo a livello di collocazione sistematica, ma per le ragioni anche in precedenza ricordate, costituisce un istituto di diritto penale sostantivo che, come tale, non può che essere sottoposto alla regola costituzionale, di cui all’art. 25, comma 2, dell’irretroattività della norma penale sfavorevole. Nonostante la sostanziale adesione alla teoria dei contro limiti, tuttavia la Corte costituzionale italiana con l’ordinanza in epigrafe si pone in una posizione mediana rispetto alla Corte costituzionale spagnola ed a quella tedesca. Mentre infatti la prima aderisce toto corde al dic-
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Cfr., in argomento, G. Zagrebelsky, con F. Pallante, Loro diranno, noi diciamo – Vademecum sulle riforme istituzionali, Bari, 2016; G. Azzariti, Contro il revisionismo costituzionale – Tornare ai fondamentali, Bari, 2016, spec. 243 ss.. Da ultimo, sulla interpretazione “europeisticamente” orientata e le resistenze giurisprudenziali, cfr. F.R. Dinacci, Interpretazione “europeisticamente” orientata: tra fonti normative e resistenze giurisprudenziali, in Cass. pen., 2016, 3055 ss. e, con riguardo alla sentenza Taricco ed alla teoria dei c.d. controlimiti, 3056 ss; nonché sui rapporti tra legalità e giustizia penale, F.C. Palazzo, Principio di legalità e giustizia penale, in ibid, 2695 ss.; e, con riguardo alle relazioni esistenti tra processo penale italiano e processo sovranazionale, G. Spangher, Processo criminale italiano e processo sovranazionale, in ibid, 3052 ss.. Sul tema v. anche, ora, A. Gaito, D. Chinnici (a cura di), Regole europee e processo penale, Milano, 2016, spec. 5 ss. 34 In FI, 2017, I, 394 ss., con nota di Perrino, in op. cit., 402-403; in argomento cfr. più ampiamente F.C. Palazzo, La Consulta risponde alla “Taricco”: punti fermi, anzi fermissimi, e dialogo aperto, in DPP, 2017, 285 ss., cui si rinvia anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici.
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tum della CGCE e quindi è favorevole alla disapplicazione della norma penale da parte del giudice penale stesso, la Corte costituzionale tedesca invece non solo riconosce la teoria dei contro limiti ma è giunta a dichiarare illegittima la pronuncia della CGCE, proprio perché in contrasto con la teoria in oggetto. La Corte costituzionale italiana invece, con l’ordinanza più volte menzionata, si è posta in una posizione mediana perché pur accettando e facendo propria la teoria dei controlimiti, tuttavia ha preferito un rinvio alla CGCE, affinché decida in ultima istanza la delicata problematica giuridica posta qui all’attenzione. A nostro avviso l’orientamento della Corte costituzionale italiana possiede una valenza metagiuridica ed anche una di carattere più strettamente tecnico-giuridico. La valenza meta-giuridica è dovuta, almeno a nostro giudizio, all’intento, di carattere politico-giudiziario, di evitare uno “scontro frontale” con la CGCE, evidentemente nell’ottica di preservare quanto possibile uno spazio giudiziario europeo. La Corte costituzionale, tuttavia, ha fatto propria la teoria dei controlimiti e quindi evidentemente accanto alla valenza meta-giuridica, sussiste anche un preciso interrogativo che a nostro giudizio la Corte costituzionale ha posto alla CGCE, cioè a dire, come risulta dai tre quesiti posti alla stessa Corte, se la creazione di uno spazio giudiziario europeo comporti o no l’accettazione, da parte delle giurisprudenze sovranazionali, della materia dei contro limiti, come espressione dei principi fondanti ogni singolo Stato nazionale che, come tali, dovrebbe essere preservati soprattutto in una prospettiva, di cui al famoso manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, della futura federazione degli Stati Uniti d’Europa, di cui abbiamo già fatto menzione. Sul punto ed in conclusione sia però consentito esprimere una certa dose di scetticismo sulla prossima pronuncia della CGCE, in quanto, se è pur vero che la materia dei controlimiti possiede in primo luogo uno spazio di tutela anche a livello europeo sulla base dell’art. 4.2 TUE, non può di contro non rilevarsi come in materia non può non gravare l’ipoteca scritta dalla sentenza Melloni, nella quale, com’è noto, Lussemburgo ha offerto una lettura dei rapporti tra la primazia del diritto europeo ed i superiori livelli di garanzia in ambito nazionale che ha ingenerato l’amara «impressione che il bisogno indisponibile di assicurare l’uniforme applicazione del diritto dell’unione, al fine di essere come si conviene appagato, non possa arrestarsi davanti ad alcuno ostacolo, foss’anche dato dai principi fondamentali del diritto interno (dei c.d. “controlimiti”)» 35.
3. La sentenza Contrada della Corte Europea dei diritti dell’uomo ed il fin de nonrecevoir manifestato sinora dalla giurisprudenza nazionale. Il secondo caso difficile, che infatti ha provocato anche qui una sorta di conflitto tra giurisprudenza comunitaria e giurisprudenza nazionale, ma di segno del tutto opposto, rispetto
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Così, testualmente, C. Amalfitano, op.loc.ult.cit. La CGCE crediamo dovrà pure tener conto che, nel frattempo, il legislatore italiano ha varato la legge 23 giugno 2017, n. IO3, che, in tema di disciplina della sospensione della prescrizione, ha stabilito, modificando l’art. 159 cp., la sospensione di diciotto mesi tra primo e secondo grado e di altri diciotto mesi tra secondo e terzo grado di processo, nel caso di doppia condanna, del corso della prescrizione. In argomento, L. Della Ragione, La nuova disciplina della prescrizione, in G. Spangher, La riforma Orlando, Pisa, 2017, 57 ss.
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alla sentenza Taricco, riguarda la recente sentenza Contrada c. Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo36 che ha già suscitato una giustificata eco37. Ciò, a nostro avviso, non solo in rapporto alla sentenza stessa ed ai suoi enunciati, ma anche in relazione agli effetti della sentenza della Corte EDU sul diritto penale italiano38. Con la sentenza in esame lo Stato italiano è stato condannato per violazione dell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che stabilisce, com’è noto, la prevedibilità delle decisioni giudiziarie, principio strettamente collegato con quello di legalità. Osserva, infatti, la Corte EDU che la condanna di Contrada per concorso esterno in associazione di tipo mafioso, per fatti commessi tra il 1979 ed il 1988, viola il principio della «prevedibilità della decisione giudiziaria», in quanto il diritto vivente non si sarebbe ancora cristallizzato, mediante l’intervento della Cassazione a Sezioni Unite penali del 1995, Demitry39, cui sono succedute altre tre sentenze, sempre delle SS.UU. penali, sino al 200540. In tal modo la Corte europea mostra di privilegiare il diritto vivente rispetto al diritto scritto e ciò, a nostro avviso, per la seguente, importante ragione. Evidentemente, la Corte si rende conto che il «fenomeno giuridico» del concorso esterno, possiede comunque una sua base normativa, fornita dagli artt. 110 e 416 bis del codice penale. Mentre però il delitto di associazione di tipo mafioso, nonostante tutto, appare conforme al principio di stretta legalità, non altrettanto è a dirsi per l’art. 110 c.p., che, limitandosi a parificare quoad poenam l’apporto di tutti i concorrenti nel concorso di persone nel reato, così dimostrando come il legislatore del ’30 abbia privilegiato una concezione unitaria, anziché differenziata, prevista invece nel codice penale del 188941, risulta inevitabilmente un contenitore «vuoto», anche per le ragioni che ap-
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Affaire Contrada c. Italia (n. 3), Requête n. 66655/13, arrêt del 14 aprile 2015. Il governo italiano ha chiesto che l’affaire fosse rinviato alla Grande Camera, a norma dell’art. 43 della Convenzione, ma la richiesta è stata rigettata il 14 settembre 2015. 37 Cfr., ad es., Civello S. Conigliaro, La Corte EDU sul concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso, in Dir. pen.cont., 4 maggio 2015; O. Di Giovine, Antiformalismo interpretativo: il pollo di Russell e la stabilizzazione del precedente giurisprudenziale, in www.penalecontemporaneo.it, 12 giugno 2015; S. Giordano, Il “concorso esterno” al vaglio della Corte EDU: prime riflessioni sulla sentenza Contrada c. Italia, in Arch.pen., 2015, 1 ss.; V. Maiello, La Consulta e la Corte EDU attestano la matrice giurisprudenziale del concorso esterno, in DPP, 2015, 1019; G. Marino, La presunta violazione da parte dell’Italia del principio di legalità ex art. 7 CEDU: un discutibile approccio ermeneutico o un problema reale?, in Dir.pen.cont., 3 luglio 2015; D. Pulitanò, Paradossi della legalità. Fra Strasburgo, ermeneutica e riserva di legge, in ibid, 12 luglio 2015. 38 Su tale particolare prospettiva cfr. F.C. Palazzo, La sentenza Contrada e i cortocircuiti della legalità, in DPP, 2015, 1061 ss.; nonché G.A. De Francesco, Brevi spunti sul caso Contrada, in CP, 2016, 12 ss.; dello stesso, più in generale, v. anche Id., Legislazione, giurisprudenza, scienza penale: uno schizzo problematico, in ibid, 85 ss.; M. Donini, Il caso Contrada e la Corte EDU. La responsabilità dello Stato per carenza di tassatività/tipicità di una legge penale retroattiva di formazione giudiziaria, in RIDPP, 2016, 346 ss.; nonché sia consentito il rinvio anche a A. Manna, La sentenza Contrada ed i suoi effetti sull’ordinamento italiano: doppio vulnus alla legalità penale?, in Id (a cura di), op.cit., 97 ss. nonché anche in www.penalecontemporaneo.it. 39 Cass. Pen., SS.UU., 5.10.1995, Demitry in FI, II, 1995, 422 ss., con nota di G. Insolera. 40 Cass. Pen., SS.UU., 27.9.1995, Mannino (I), in CP, 1996, 1087, con nota di E. Amodio; Cass. Pen., SS.UU., 30.10.2002, Carnevale, in FI, 2003, II, 453 ss., con nota di G. Di Chiara; Cass. Pen., SS.UU., 12.7.2005, Mannino (II), in CP, 2005, 3732 ss. 41 In argomento, per tutti, S. Seminara, Tecniche normative e concorso di persone nel reato, Milano, 1987, che infatti mostra tutti i limiti della concezione unitaria, per privilegiare decisamente e giustamente quella di carattere differenziato.
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profondiremo in seguito, per cui ciò spiega il contrasto giurisprudenziale tra i pronunciamenti che negavano la configurabilità di una figura generale di concorso esterno in associazione di tipo mafioso e quelli che invece la ammettevano, sino a che, appunto, non è giunta la sentenza delle Sezioni Unite penali del 1995, ric. Demitry, che per la prima volta ha risolto il contrasto giurisprudenziale, stabilendo ai più alti vertici l’ammissibilità di un concorso esterno nel reato associativo. Tuttavia, la sentenza Contrada della Corte EDU, se per la prima volta pone in discussione, a livello europeo, l’istituto del concorso esterno, che invece ormai costituiva ius receptum nella giurisprudenza italiana, non tiene nel dovuto conto che non è sufficiente l’intervento delle Sezioni Unite penali per cristallizzare, a livello di prevedibilità, il fenomeno giuridico in oggetto, perché basterà riflettere sull’origine del concorso esterno, sulla sua disciplina in alcune determinate ipotesi previste nel codice penale e sul contrasto esistente tra le stesse Sezioni Unite penali della Cassazione, per rendersi conto come la sentenza Contrada costituisca soltanto il punto di partenza, e non già quello di arrivo, in materia. Per quanto riguarda le origini del concorso esterno, dobbiamo riferirci a due sentenze del 1875, nei confronti di «associazioni di malfattori» così chiamate perché venivano mutuate dal codice penale Napoleone del 1810, ove la Corte di Cassazione di Palermo individuò questo fenomeno del concorso esterno che poi ha trovato successive e numerose applicazioni42. Ciò che, tuttavia, più preme rilevare è che, dopo queste prime avvisaglie giurisprudenziali, il codice penale del 1930 ha previsto alcune ipotesi di concorso esterno come fattispecie criminose a sé stanti. Intendiamo riferirci alla fattispecie di «assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata», ex art. 307 c.p., fra i delitti contro la personalità interna dello Stato, ed al delitto di cui all’art. 418 c.p., denominato «assistenza agli associati» inserito proprio nell’ambito dei delitti contro l’ordine pubblico. Orbene, già la clausola di riserva contenuta in entrambe dette fattispecie criminose, «fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento», fa chiaramente comprendere come le fattispecie in analisi si situano in quella sorta di “zona grigia”, esistente tra la condotta di partecipazione nel reato associativo e, appunto, il reato di favoreggiamento ed è infatti ciò che puntualmente avverrà anche in relazione al successivo e ben più ampio fenomeno giuridico del c.d. concorso esterno nei reati associativi. Le fattispecie in discorso risentono, però, dell’inserimento in una dimensione tipica di una società originariamente agricola, tanto è vero che le norme in analisi fanno riferimento al «dare rifugio o a fornire vitto od ospitalità», mentre la legge 15 dicembre 2001 n. 438 ha aggiunto i termini “mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione”, evidentemente per aggiornare il dato normativo, in rapporto al passaggio da un’economia agricola ad una, invece, ormai di tipo post-industriale. V’è, tuttavia, da domandarsi se, in presenza di ipotesi criminose specifiche, inserite dal legislatore nel codice penale e, in particolare, proprio nell’ambito dei settori attinenti ai reati associativi, cioè la «personalità interna dello Stato» e l’«ordine pubblico», fosse consentito alla giurisprudenza creare un nuovo tipo di “fenomeno giuridico”, in assenza, cioè, di un espresso dictum del legislatore, dando così luogo, appunto, al concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Se, infatti, è indubbio come, con lo sviluppo delle professioni e delle funzioni pubbliche, «l’assistenza agli associati» può attualmente ottenersi anche da parte di avvocati, notai,
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C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino, 2003, 43 ss., con ivi i necessari riferimenti giurisprudenziali e dottrinari dell’epoca.
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commercialisti, oppure da parte di politici, magistrati e persino da ministri di culto, per cui il fenomeno si è sicuramente allargato, il quesito di fondo resta quello della legittimità del recepimento di tale fenomeno da parte della giurisprudenza, nonostante che il legislatore si sia sino ad ora fermato alle ipotesi codificate dianzi indicate. La giurisprudenza ha risposto a tale interrogativo sostenendo come comunque sussistesse una base normativa del concorso esterno, partendo dal presupposto della ammissibilità di un concorso eventuale nell’ambito di reati a concorso necessario. Ciò, però, non poteva, evidentemente, accontentare la giurisprudenza nel suo complesso, tanto è vero che la stessa si è sostanzialmente divisa, in quanto sia prima della sentenza Demitry, che in parte anche dopo, si sono avute sentenze della Cassazione che hanno sostenuto la configurabilità del concorso esterno, mentre altre lo hanno negato, evidentemente preoccupate dal rischio di collisione con il principio di stretta legalità43. Il limite della sentenza Contrada, a nostro avviso, è che non appare sostenibile come dalla sentenza delle Sezioni Unite penali della Cassazione Demitry si sia raggiunta la prevedibilità delle decisioni giudiziarie, giacché dopo tale sentenza ve ne sono state altre tre che dimostrano come l’intervento delle Sezioni Unite penali non possa sul punto essere ritenuto decisivo, anche perché non abbiamo ancora introdotto nel nostro sistema penale la vincolatività, seppur relativa ed in senso verticale, del precedente giurisprudenziale, come peraltro sostenuto da attenta dottrina44, per cui a maggior ragione non può essere sufficiente la sentenza Demitry per rendere “prevedibile”, e quindi conforme alla stretta legalità, il fenomeno giuridico del concorso esterno. La sentenza Demitry, infatti, com’è noto, afferma la configurabilità del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ma lo limita alla situazione in cui l’organizzazione criminale si trovi in uno stato di fibrillazione, ove, quindi, avrebbe, evidentemente, maggior bisogno di apporti “esterni”. Tale concezione del concorso esterno è stata, tuttavia, superata dalla successiva sentenza Carnevale, proprio perché ci si è resi conto che gli apporti esterni all’organizzazione criminale possono ben avvenire anche quando la stessa è in bonis. Ciò nonostante, anche la sentenza Carnevale non ha persuaso, soprattutto con riferimento al dolo, giacché pur se non si è richiesta per il concorrente esterno la c.d. affectio societatis, tuttavia si è concepita tale forma di dolo come integrante la coscienza e volontà di fornire un contributo duraturo alla organizzazione criminale. Quest’ultima osservazione risulta, tuttavia, contraddetta sul piano empirico-criminologico, in quanto il concorrente esterno si caratterizza per fornire, in genere, un contributo di carattere occasionale, mentre quello di tipo duraturo è tipico del partecipe, per cui la ricostruzione effettuata nella sentenza Carnevale del dolo del concorrente esterno non può essere seguita. Ecco dunque spiegata la ragione per cui, a soli tre anni di distanza, è intervenuta la sentenza delle Sezioni Unite penali, c.d. Mannino II, che per la prima volta fornisce una ricostruzione
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Sulle sentenze della Cassazione precedenti e talune anche successive alla Demitry, cfr. ora l’esame approfondito di M. Donini, op.cit., spec. 349 ss., cui pertanto si rinvia; sul rapporto di tensione fra il principio di stretta legalità e la problematica relativa al concorso esterno sia, altresì, consentito il rinvio a A. Manna, L’ammissibilità di un c.d. concorso esterno nei reati associativi tra esigenze di politica criminale e principio di legalità, in RIDPP, 1994, 1187 ss. 44 A. Cadoppi, Il valore del precedente nel diritto penale. Uno studio sulla dimensione in action della legalità, Torino, 2014.
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sistematica al fenomeno giuridico in oggetto, dando luogo a quella che può essere giustamente definita come una sorta di “sentenza-trattato”. Poiché il Relatore era lo stesso della sentenza delle Sezioni Unite penali, ric. Franzese del 200245, cioè l’attuale Primo Presidente della Cassazione, Cons. Giovanni Canzio, nella sentenza Mannino II si sono utilizzate le coordinate proprie della sentenza Franzese in tema di responsabilità penale per omissionem del medico. Ciò nel senso che, per aversi concorso esterno in un’associazione di tipo mafioso, è doverosa un’indagine ex post, ovverosia è necessaria la sussistenza di un nesso di causalità materiale tra la condotta e l’evento, qui inteso nel senso della conservazione o del rafforzamento dell’organizzazione criminale. Il limite, tuttavia, anche della sentenza Mannino II, che farebbe presagire ulteriori sviluppi in argomento, riguarda l’obiezione per cui, ad una più attenta considerazione, la conservazione od il rafforzamento dell’organizzazione criminale hanno più il sapore di eventi in senso giuridico, che di carattere naturalistico, per cui mal si conciliano con la sussistenza di un nesso di causalità materiale46. In altri termini, si ha l’impressione che la trasposizione del modello ermeneutico ricavabile dalla sentenza Franzese ai reati contro l’ordine pubblico incontri un evidente limite che è poi quello che abbiamo ricordato, nel senso che la richiesta di un nesso di causalità materiale tra condotta ed evento funziona se trattasi di beni giuridici individuali, come la vita e l’integrità fisica, mentre incontra difficoltà non agevolmente sormontabili laddove si sia, invece, in presenza di beni giuridici collettivi, per cui sarebbe stato decisamente più opportuna la ricostruzione del concorso esterno in chiave di pericolo, anziché di danno come infatti era stato proposto alcuni lustri orsono dalla Commissione Fiandaca47. Ecco dunque spiegata la ragione per cui, almeno a nostro avviso, la sentenza Contrada della Corte europea dei diritti dell’uomo rappresenti un “punto di partenza” e non già di “arrivo”. Stabilito ciò, si tratta quindi ora di verificare gli effetti della sentenza Contrada sull’ordinamento penale italiano, in particolare la sorte da riservare ai “fratelli minori” di Contrada. Sul punto va registrato un atteggiamento sostanzialmente “riduttivo” sia da parte della giurisprudenza, compresi qualificati esponenti della stessa, che da parte di altrettanto qualificati esponenti della dottrina. Per quanto riguarda l’atteggiamento della giurisprudenza, non può non rilevarsi in primo luogo la critica nei confronti della tesi ricavabile anche dalla sentenza della Corte EDU, circa la natura del concorso esterno quale “reato di origine giurisprudenziale”. Si rileva, infatti, a contrariis, come in realtà il concorso esterno poggi le sue basi a livello normativo su due capisaldi, da un lato l’art. 110 del codice penale e dall’altro l’art. 416 bis, sempre del codice penale. Ciò, quindi, spiega, in secondo luogo, come in alcun modo possa definirsi, secondo questa corrente di pensiero, la sentenza Contrada come “sentenza pilota”, pur se si auspica comunque la via della tipizzazione legislativa del fenomeno relativo al concorso esterno48.
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Su cui sia consentito, anche per gli opportuni riferimenti bibliografici, il rinvio a A. Manna, Danno alla salute e rischio professionale: le controverse indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità penale per omissionem, in IP, 2004, 27 ss. 46 In tal senso G. Fiandaca, C. Visconti, Il patto di scambio politico-mafioso al vaglio delle Sezioni Unite, in FI, 2006, II, 88 ss. 47 Circa la proposta avanzata dalla Commissione Fiandaca nel 1999, sia consentito il rinvio a A. Manna, Corso di diritto penale, etc.cit., 555 ss. 48 Così, L. Patronaggio, Relazione sul caso Contrada, in Manna (a cura di), op. cit., 89 ss.
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In secondo luogo, per quanto riguarda più in particolare i fratelli minori di Contrada, non può non rilevarsi come anche nel caso del Dell’Utri risulti che sia stato presentato ricorso in revisione o incidente di esecuzione, proprio dopo la sentenza della Corte EDU riguardante Contrada e che tale ricorso sia stato respinto dalla competente Corte d’Appello49. Ciò, quindi, dimostra, almeno a nostro avviso, un chiaro fin de non-recevoir manifestato sinora dalla giurisprudenza nazionale con riguardo alla sentenza Contrada della Corte EDU. D’altro canto, un atteggiamento di sostanziale “riduzionismo” della stessa sentenza Contrada, lo ritroviamo anche in alcuni qualificati settori della dottrina, giacché essi ritengono esperibili, per quanto riguarda, appunto, i “fratelli di Contrada”, già coperti da giudicato, nell’immediato l’incidente di esecuzione e, più in generale, il ricorso al rimedio dell’errore su legge penale, evidentemente scusabile, perché inevitabile, a causa del mancato assestamento definitivo da parte della giurisprudenza della Suprema Corte sul punto50. Va tuttavia rilevato come in dottrina, proprio in rapporto agli effetti della sentenza 364/1988, della Corte costituzionale, si sia acutamente rilevato come il far valere l’error iuris potrebbe risultare una più comoda e percorribile alternativa che potrebbe “nascondere”, però, vizi di più rilevante portata a livello costituzionale, quale, soprattutto, l’eventuale vulnus al principio di stretta legalità51. Muovendoci nella direzione segnata da quest’ultima prospettiva, non possiamo non rilevare come la sentenza Contrada, ad un più approfondito esame, abbia posto, sotto il profilo degli effetti, un problema di non poco momento, cioè che se è stato necessario l’intervento delle Sezioni Unite penali per fornire un crisma di prevedibilità al concorso esterno, ciò non può non significare che la base normativa, cioè il “combinato disposto” tra gli artt. 110 e 416 bis c.p., si dimostra, evidentemente, assai labile ed incerta, giacché il diritto scritto ha bisogno di essere “riempito”, quanto al contenuto, dal diritto vivente, da cui infatti prende le mosse la sentenza della CEDU. Non possiamo quindi non tornare su quanto avevamo all’inizio accennato, cioè che la base normativa del concorso esterno si dimostra, come suol dirsi, «debole e incerta»52, non tanto con riferimento all’art. 416 bis, quanto invece con riguardo all’art. 110 del codice penale perché non solo parificando quoad poenam tutti i concorrenti, contrasta chiaramente con il principio di uguaglianza in senso formale, che prescrive anche un trattamento differenziato di situazioni fra loro diverse53, ma si rivela anche un c.d. contenitore vuoto. Per intendere appieno quest’ultimo giudizio sull’art. 110 c.p. ci viene in soccorso l’autorevole opinione del compianto Maestro, Prof. Giuliano Vassalli, che, in almeno un paio degli ultimi scritti, ebbe a sottolineare come l’art. 110 c.p. appare una delle norme più sospette d’illegittimità costituzionale dell’intiero codice penale e ciò per due ragioni fondamentali.
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Cfr., in argomento, M. Donini, op.cit., 365, nt. 45. In tal senso, F.C. Palazzo, La sentenza Contrada, etc.cit., 1066-1067, nonché G.A. De Francesco, Brevi spunti, etc. cit., 13 ss. e, spec., 17-18. 51 L. Stortoni, L’introduzione nel sistema penale dell’errore scusabile di diritto: significati e prospettive, in RIDPP, 1988, 1313 ss. 52 In ciò parafrasando, non a caso, il bel saggio di A. Tesauro, La diffamazione come reato debole e incerto, Torino, 2005. 53 Sia consentito, sul principio di uguaglianza, il rinvio a A. Manna, Sull’illegittimità delle pene accessorie fisse, in Giur.cost., 1980, I, 910 ss.; cui adde, più di recente, G. Dodaro, Uguaglianza e diritto penale. Uno studio sulla giurisprudenza costituzionale, Milano, 2012, spec. 107 ss. 50
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In primo luogo, poiché l’art. 110, come ricordato, parifica tutti i concorrenti in ciò confliggendo col principio di uguaglianza, giacché il legislatore del ’30 ebbe ad utilizzare una concezione unitaria del concorso di persone nel reato e non invece, come ai più ormai appare preferibile, una differenziata54, come, al contrario, era avvenuto, in modo assai più garantista, nel codice Zanardelli. Qui il vulnus al principio di uguaglianza si lega anche a quello relativo al principio di stretta legalità, proprio perché il legislatore del ’30, parificando tutti i concorrenti e quindi evitando di operare una differenziazione tra le varie categorie degli stessi, già a livello di fatto tipico, inevitabilmente risulta un c.d. “contenitore vuoto”, che, quindi, può essere riempito ad libitum dalla giurisprudenza che lo ha utilizzato proprio per “integrare” una delle due colonne normative su cui poggia il fenomeno giuridico del concorso esterno. Si potrebbe, però, a quanto sopra replicare che, laddove si intenda violata la legalità penale, sub specie determinatezza, non si può non fare i conti con la più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, per la quale indeterminatezza è sinonimo di ininterpretabilità, per cui, sotto questo ultimo profilo, non si può certo sostenere che il concorso esterno, soprattutto a seguito delle sentenze, sia della Cassazione a Sezioni Unite, che anche della Corte europea dei diritti dell’uomo, non sia “interpretabile55. Siamo, tuttavia, convinti che il vulnus al principio di stretta legalità non riguardi tanto la determinatezza, quanto la tassatività e, per comprendere il nostro punto di vista, riteniamo opportuno operare un paragone con l’art. 113 del codice penale, ovverosia la «cooperazione nel delitto colposo». Se, infatti, si intende assegnare a tale istituto non solo, come appare corretto, una funzione di disciplina, ma addirittura una “funzione autonoma di incriminazione”, che provoca inevitabilmente il ricorso alla “fattispecie concreta”, ne consegue pianamente come, così interpretato, l’art. 113 non possa non violare il principio di stretta legalità, sub specie tassatività, proprio perché conduce ad incriminare fatti che, presi isolatamente, sarebbero invece privi di rilevanza penale56. Volendo ora estendere tali considerazioni all’art. 110 del codice penale, non vi è dubbio, a nostro avviso, come l’art. 110 c.p., nella prospettiva del c.d. concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, inevitabilmente giuochi un ruolo non soltanto di disciplina, ma, ciò che più rileva, anche “autonomo di incriminazione”, con il rischio, tuttavia, di far diventare penalmente rilevanti fatti che altrimenti ne sarebbero privi, oppure che sarebbero tali, ma ad
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G. Vassalli, Giurisprudenza costituzionale e diritto penale sostanziale. Una rassegna, in A. Pace (a cura di), Corte costituzionale e processo costituzionale, Milano, 2006, quivi 170 ss.; nonché, più specificamente, sul concorso di persone nel reato, Id, Note in margine alla riforma del concorso di persone nel reato, in E. Dolcini, C.E. Paliero (a cura di), Scritti in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006, II, 1939 ss. 55 Cfr. Corte cost. 18 dicembre 2003, 13 gennaio 2004, n. 5, in CP, 2004, 1541; Corte cost. 3 luglio 2008, 1 agosto 2008, 327, in DPP, 2008, 1381 e, in dottrina, F.C. Palazzo, La sentenza Contrada, etc.cit., 1065; anche se, più di recente, la stessa Corte cost., con l’ordinanza n. 24 del 2017, cit., sembra rivalutare decisamente, seppure ad altri fini, la stessa determinatezza in materia penale. 56 Per la tesi che individua nella cooperazione nel delitto colposo anche una funzione autonoma incriminatrice, cfr. L. Severino Di Benedetto, La cooperazione nel delitto colposo, Milano, 1988, spec. 90 ss.; sulle orme di Marc. Gallo, Lineamenti di una teoria sul concorso di persone nel reato, Milano, 1957, 7 ss.; per una fondata critica a tale impostazione, cfr., però, nella manualistica, in particolare, G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, 7°, Bologna, 2014, 607 ss. e, spec., 611.
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altro fine, il che avviene, ad esempio, quando la giurisprudenza considera come condotta di concorso esterno quella che, magari, riveste il ruolo di c.d. reato-scopo. Ecco, dunque, chiarita la ragione per cui la questione relativa al concorso esterno andrebbe rivista anche sotto il profilo del rapporto con l’art. 25, comma 2, della Costituzione, sia in relazione al corollario della tassatività/tipicità, sia anche e conseguentemente, tenendo conto in ciò della sentenza Contrada, sotto il profilo della irretroattività, giacché, come è stato efficacemente rilevato, si da’ luogo anche ad una “legge penale retroattiva di formazione giudiziaria”57. Ci sia consentito, tuttavia, nutrire non pochi dubbi sul fatto che una tale questione possa essere ritenuta non manifestamente infondata da parte di un giudice penale, proprio a causa del fenomeno, ben noto, della c.d. “perenne emergenza”58, che spesso consiglia l’autorità giudiziaria di risolvere al proprio interno le questioni di carattere interpretativo, senza, cioè, adire la Corte costituzionale. Sussiste, comunque, un altro motivo di dubbio legato al fatto che, almeno a nostro giudizio, ben difficilmente la giurisprudenza e, in particolare, le Procure della Repubblica, intenderanno mettere in discussione un potente strumento di politica giudiziaria, che, in rapporto alla criminalità organizzata, si rivela tale proprio perché fortemente elastico e, quindi, adattabile ad ogni e qualunque tipo di esigenza emergente dal caso concreto. Che poi tutto ciò contrasti con il principio di stretta legalità è, evidentemente, tutt’altro discorso.
3.1. L’atteggiamento negativo della giurisprudenza della Cassazione nei casi Ciancio e Dell’Utri. La sentenza Contrada, com’era del resto prevedibile, non ha trovato accoglimento da parte della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione. Tanto ciò è vero che, ad esempio, la I Sezione penale della Suprema Corte nel processo Dell’Utri, ha ritenuto che non possa essere esaminata in sede di esecuzione la richiesta di rivalutazione alla stregua della decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo riguardo alla legalità della sentenza di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa59. La sentenza, tuttavia, che ancora di più mostra un fin de non recevoir del dictum della sentenza Contrada è costituita, a nostro avviso, dalla coeva sentenza della V Sezione penale60. Va segnalato, a questo proposito, che la sentenza da ultimo segnalata ha annullato la sentenza pronunciata dal Gip presso il Tribunale di Catania il 21 dicembre 2015, che aveva prosciolto Ciancio Sanfilippo, giungendo alla conclusione che tale figura di reato “non potrebbe dirsi esistente nell’ordinamento giuridico italiano”61. Tale pronuncia è stata impugnata dal pubblico ministero con relativo ricorso in Cassazione e sin qui nulla da eccepire, ma , invece, ciò che francamente desta perplessità è l’intervento, certamente non richiesto e, sotto taluni profili, sia
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Così M. Donini, op.loc.ult. cit. S. Moccia, La perenne emergenza-Tendenze autoritarie nel sistema penale, 2°, Napoli, 2000. 59 Cfr. Cass., Sez. I penale, sent. 18 ottobre 2016, n. 44193, ric. Dell’Utri, in Foro it., 2016, II, 698 ss. 60 Cass. Sez. V penale, sent. 12 ottobre 2016, n. 42996, p.m. ed altri in c. Ciancio, in Foro it., 2016, II, 698 ss.; entrambe le sentenze con nota di G. Fiandaca, Brevi note sulla portata della sentenza della Corte Edu (caso Contrada) in tema di concorso esterno, in ibid, 741 ss. 61 Cfr., Giurisprudenza penale, 19 ottobre 2016. 58
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consentito, anche irrituale, del presidente dell’ufficio Gip del Tribunale di Catania, che infatti ha preso pubblicamente le distanze dalla pronuncia del Gip osservando che “la negazione del reato di concorso esterno è una decisione del tutto personale e isolata, poiché tutti gli altri giudici della Sezione” lo ritengono “sicuramente ipotizzabile, come più volte stabilito dalla Corte di Cassazione”. In questo clima la sentenza della V penale della Cassazione non solo ritiene il concorso esterno non contrastante con i principi di legalità e determinatezza in materia penale, ma afferma altresì che il giudice, nell’assumere i provvedimenti conclusivi dell’udienza preliminare, ma il discorso è chiaramente estendibile anche alle altre fasi, può legittimamente conferire al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica. Ciò, evidentemente comporta che, ad esempio, se l’imputato viene rinviato a giudizio per partecipazione in associazione di tipo mafioso, il pubblico ministero può impostare la sua requisitoria sotto il profilo del concorso esterno, atteso che per la Suprema Corte di Cassazione la partecipazione ed il concorso esterno non sono altro che due modalità alternative di condotta e di esecuzione di un medesimo reato. Ciò sembra, però, porsi in tendenziale contrasto con i risultati ultimi di qualificata dottrina, che, al contrario, ritiene che il “fenomeno giuridico” del c.d. concorso esterno si stia ormai trasformando progressivamente in una fattispecie autonoma di parte speciale, con tutte le conseguenze che da ciò dovrebbero derivare62. Il profilo, tuttavia, che pare, più in particolare, non condivisibile è quello di partenza, cioè l’opinione generalizzata della giurisprudenza della Cassazione che, a differenza della sentenza Contrada, ritiene il concorso esterno non già una fattispecie di creation pretorienne, bensì una ipotesi criminosa che si basa su due espressi pilastri normativi, da un lato, l’art. 110 e, dall’altro, l’art. 416 bis c.p. e, per questa ragione, la sentenza Ciancio respinge la questione di legittimità costituzionale del concorso esterno in rapporto a legalità e determinatezza in materia penale. Questo orientamento della Suprema Corte, tuttavia, non convince, perché appare frutto di una esegesi giuridica, sia consentito, troppo semplicistica, giacché è ovvio che il concorso esterno si basa su questi due pilastri normativi, ma ciò non significa, anche per le ragioni già indicate in precedenza, che, in particolare, l’art. 110 del codice penale non susciti più di una perplessità di ordine costituzionale. A quanto in apicibus osservato dobbiamo anche aggiungere che proprio la giurisprudenza della Cassazione, a Sezione Unite penali, nella già ricordata sentenza Mannino II, ha, come noto, ricostruito il concorso esterno come “reato di danno”, nel senso che richiede un rapporto di causalità tra la condotta del concorso esterno e gli eventi, individuati nella “conservazione” o nel “rafforzamento” del sodalizio criminale. Orbene, oltre quanto già rilevato, va osservato come abbia perfettamente ragione il Fiandaca63 laddove, di recente, ha rilevato che gli eventi in oggetto non sono certo stati introdotti nel sistema penale dal legislatore, bensì sono stati appositamente creati dalla giurisprudenza, ma in tal modo si concretizza, appunto, ulteriormente il vulnus alla legalità penale, giacché, nel caso di specie, è proprio il giudice, seppur del più alto consesso, che si sostituisce al legislatore. Se poi riflettiamo anche sull’altro pilastro normativo su cui si basa il concorso esterno, cioè a dire la fattispecie di associazione per delinquere di stampo mafioso, non possiamo non rilevare come nella concreta prassi giudiziaria si tratti di un’ipotesi criminosa c.d. dai confini mobili, nel senso che ormai si contendono il campo due diversi orientamenti giurisprudenziali, l’uno più
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M. Donini, Il concorso esterno “alla vita dell’associazione” e il principio di tipicità penale, in www.penalecontemporaneo.it, 13 febbraio 2017. 63 G. Fiandaca, Brevi note, etc., loc.ult.cit.
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garantista che considera il reato de quo come di danno e quindi richiede la sussistenza in atto dei principali requisiti di fattispecie e l’altra, invece, che tende ad un generale affievolimento dei requisiti tipici della fattispecie, nel senso di intenderli come requisiti solo in potenza, in tal modo però rischiando di modificare dall’interno la fattispecie in oggetto, nel senso di interpretarla più verso il modello del reato di pericolo, talvolta addirittura astratto, piuttosto che, come sembrerebbe invece emergere chiaramente dal testo di legge, quale reato di danno64. Sussiste, però, a nostro avviso, un ulteriore profilo, anche di legittimità costituzionale, del concorso esterno, questa volta per contrasto con il principio del ne bis in idem, di cui all’art. 649 c.p.p., soprattutto in relazione all’art. 4, prot. n. 7, della Cedu. Per intendere appieno quello che costituisce il nostro punto di vista, dobbiamo di nuovo confrontare la condotta di partecipazione rispetto a quella del concorso esterno. Mentre, infatti, la condotta di partecipazione nel reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, costituendo un reato a concorso necessario, possiede una fattispecie criminosa cui appoggiarsi e soprattutto cui fare riferimento, ovverosia, ben inteso, lo stesso art. 416 bis c.p. viceversa il concorso eventuale nel reato a concorso necessario, che qui, non a caso, viene, in un certo senso atipico, qualificato quale concorso “esterno”, proprio perché tale non trova più, come sua base di riferimento normativo, l’art. 416 bis c.p., dato che quest’ultima norma deve già costituire il fondamento della condotta di partecipazione, per cui la condotta del concorrente esterno non solo è, ovviamente, a forma libera ma, soprattutto, come abbiamo già potuto constatare, risulta sostanzialmente di creazione giurisprudenziale ed in particolare, per quanto attiene al suo contenuto, comporta l’apertura di due strade, o ci si riferisce a condotte penalmente irrilevanti, e questa ipotesi è ovviamente da scartare, oppure sussiste il fondato rischio che la condotta del concorrente esterno si identifichi con quella relativa al c.d. reato scopo65. Se, però, si verifica quest’ultima evenienza -e, a questo proposito, possiamo fare riferimento ad un recente caso giudiziario, cioè quello risolto dal Tribunale di Caltanissetta il 27 marzo 2017, Volante66, che ha avuto esito positivo, nel senso che si è concluso con un’assoluzione per non aver commesso il fatto – pur tuttavia va ricordato che il capo d’imputazione riguardava la partecipazione nel reato associativo, che il p.m. nella sua requisitoria ha invece “trasformato”, seguendo i dettami della Suprema Corte di Cassazione, in concorso esterno e che, però, in entrambi i casi, cioè sia quello di partecipazione, che l’altro, di concorso esterno, l’oggetto della condotta era costituito dal reato di frode nelle pubbliche forniture, su cui addirittura si era già ottenuta una sentenza passata in giudicato e, quindi, si poneva senza dubbio, un vulnus all’art. 649 c.p.p., interpretato alle luce dell’art. 4 protocollo 7 della Cedu, nel senso del riferimento non già alla fattispecie in astratto, bensì al fatto in concreto. Va, tuttavia, rilevato che nel caso di specie la questione relativa alla violazione del principio relativo al ne bis in idem –che, come noto, riguarda anche sentenze non definitive ed addirittura può farsi valere, a nostro avviso, anche a livello di capo d’imputazione, sotto il profilo del concorso apparente di norme, sub specie ne
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In argomento P. Pomanti, Principio di tassatività e metamorfosi della fattispecie, l’art. 416 bis c.p., in Arch. pen., 2017, n. 1, 1 ss. 65 Su questa particolar problematica cfr. lo stimolante e convincente saggio di M. Ronco, Le aporie del concorso esterno in associazione mafiosa, in Arch. pen., 2016, 743 ss.; in passato, già E. Gallo, Concorso di persone nel reato e reati associativi (rapporti fra la partecipazione all’associazione criminosa e il concorso nei reati oggetto del programma), in Rass. Giust. militare, 1983, n. 1-2, 1 ss., giustamente ammoniva a non ricavare dai reati scopo la prova della sussistenza del reato associativo, che costituiva il prodromo dell’attuale problematica legata al ne bis in idem. 66 Trib Caltanissetta, Sez. Coll., Pres. Sabella, Cons. Balbo e Bencivinni, Volante, inedita.
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bis in idem sostanziale– è stata, evidentemente, ritenuta assorbita dall’assoluzione per non aver commesso il fatto. Ciò non toglie, tuttavia, che in casi analoghi possa ben essere fatta valere, per cui la questione del ne bis in idem, non affrontata come questione di legittimità istituzionale e/o comunitaria dalla Corte di Cassazione nella sentenza Ciancio, può ancora essere esaminata anche da un punto di vista costituzionale e comunitario, tenendo anche conto di un recente arresto proprio della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 649 c.p.p., nella parte in cui esclude il bis in idem nel caso di concorso formale con il reato già giudicato67. In conclusione, sia che il giudice penale decida di risolvere una eventuale problematica afferente al bis in idem attraverso un’interpretazione europeisticamente orientata dell’art. 649 c.p.p., sia che ritenga invece di sollevare questione di legittimità costituzionale del concorso esterno, proprio in rapporto al principio in esame, ne consegue comunque un ulteriore aspetto fortemente problematico che, insieme ai dubbi che ancora residuano in rapporto al conflitto con il principio di stretta legalità, conducono l’interprete ad augurarsi, seppure senza soverchie illusioni, che il vero “convitato di pietra” in tutta questa vicenda, cioè il legislatore, decida infine di assumersi le sue responsabilità e quindi si accinga a legiferare davvero ed in definitiva sul tema. Pur tuttavia, da ultimo, va segnalata un’importante sentenza della cassazione (Cass., sez. I, 6.7.2017, ric. Contrada, in www.penalecontemporaneo.it) che ha revocato la sentenza di condanna di Bruno Contrada per concorso esterno in associazione di tipo mafioso, proprio in base a quanto deciso dalla CEDU, 14.4.2015, Contrada c. Italia, cit.
4. Conclusioni: la difficoltà non solo di un dialogo fra le Corti ma, conseguentemente, della creazione di uno spazio giudiziario europeo realmente condivisibile, pur nel rispetto, auspicabile, dei c.d. controlimiti. In questo difficile dialogo fra le Corti, sia comunitarie, che nazionali, ciò che appare una sorta di “convitato di pietra”, sembra essere appunto proprio il legislatore. E’ pur vero, infatti, che, dopo la sentenza Contrada, sono stati presentati in Parlamento due disegni di legge per la formulazione legislativa della fattispecie criminosa autonoma relativa al concorso esterno, utilizzando però il modello offerto dalla sentenza Mannino II che, a seguito della prefigurazione di eventi dal sapore giuridico, anziché naturalistico, sconta un evidente deficit a livello probatorio68 e comunque di tali proposte di legge non si ha notizia che abbiano progredito in modo rilevante nell’iter parlamentare. D’altro canto, anche la questione relativa alla riforma della disciplina della prescrizione ha giaciuto per molto tempo in Parlamento, senza che le diverse forze politiche siano riuscite a trovare un accordo definitivo, tanto che di recente lo stesso Governo si è visto “costretto”, caso in vero raro e discutibile in una materia come quella penalistica, a porre la questione di
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C. cost., sent. 21 luglio 2016, n. 200, in CP, 2017, 60 ss., con note di D. Pulitanò, La Corte costituzionale sul ne bis in idem, in ibid, 70 ss. e di P. Ferrua, La sentenza costituzionale sul caso Eternit: il ne bis in idem tra diritto vigente e diritto vivente, in ibid, 78 ss.; da ultimo in argomento, G. De Amicis, P. Gaeta, Il confine di sabbia: la Corte edu ancora di fronte al divieto del ne bis in idem, in CP, 2017, 469 ss. 68 Su tali disegni di legge cfr. V.N. D’ascola, A che punto è la riforma del “concorso eterno”?, in Gli Oratori del Giorno, 2015, marzo, 11 ss.
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fiducia prima al Senato e poi alla Camera dei deputati varando così la riforma di cui abbiamo in precedenza trattato. È evidente, a questo punto, che il legislatore, ciò nonostante, ormai sembra aver abdicato al suo compito fondamentale di «dettare le regole», almeno nei settori più controversi del sistema penale, cosicché il suo compito sovente viene svolto, in chiave di supplenza, dalle diverse istanze giurisprudenziali, sia nazionali, che comunitarie. Più in particolare, va osservato come le proposte di legge in tema di concorso esterno sono probabilmente dovute alla stessa sentenza Contrada della EDU, mentre quella in tema di prescrizione, come in precedenza osservato, ha trovato solo di recente ed in modo discutibile la possibilità di essere varata, non già a causa di un’asserita lentezza del procedimento legislativo, bensì perché non ci si riusciva a mettere d’accordo circa la necessità, da un lato, di prevedere la sospensione, rectius, l’interruzione69 della prescrizione all’esito di ogni grado di giudizio e, dall’altro, di evitare comunque di incidere sul principio costituzionale della durata ragionevole del processo, se non, … mettendo la fiducia. Con ciò intendiamo rilevare come sarebbe in un certo senso illusorio ritenere che l’auspicata accelerazione del processo legislativo – attraverso il passaggio da un sistema di bicameralismo perfetto ad uno ove, invece, il procedimento legislativo medesimo sarebbe dovuto essere prevalentemente affidato solo ad uno dei due rami del Parlamento – potesse realmente risolvere i problemi relativi alla funzionalità e soprattutto, far riemergere dalla sua evidente “crisi” il potere legislativo, rispetto all’esecutivo ed al giudiziario. Da un esame sintetico della riforma costituzionale70 emerge infatti come al nuovo Senato non venisse affidato soltanto il rapporto con gli enti locali, ma fossero affidate materie di competenza legislativa statale per cui il procedimento legislativo risultava o di tipo monocamerale, oppure addirittura di tipo ancora bicamerale. Tanto ciò è vero che i procedimenti legislativi sono stati stimati che, attraverso la riforma, sarebbero giunti addirittura al numero di sette. Ciò, a nostro avviso, rende francamente scettici sul fatto che la riforma ptesse realmente accelerare il procedimento legislativo, giacché si ha l’impressione come il nuovo Senato risultasse ancora una sorta di “Giano bifronte”. Se a ciò si aggiunge anche la “caduta di garanzie” nel senso che, com’è noto, il nuovo Senato non sarebbe stato eletto direttamente dai cittadini, i quali avrebbero eletto soltanto i consiglieri regionali ed i sindaci, nell’ambito dei quali sarebbero stati poi scelti dai singoli partiti coloro che avrebbero fatto parte del Senato, si comprende facilmente come, al di là delle appartenenze partitiche, le critiche mosse alla riforma a livello tecnico-giuridico non apparissero di poco momento e, soprattutto, dessero ragione a quanto rilevato da un costituzionalista del calibro di Gustavo Zagrebelsky nel senso che ci saremmo trovati per l’appunto, come abbiamo in precedenza ricordato, nel “tempo dell’esecutivo”71. D’altro canto, sia sinora la recente, ma discutibile, sia a livello di metodo, che di contenuto, riforma della prescrizione che il mancato varo di una fattispecie autonoma avente ad oggetto il concorso esterno, rispondono a logiche tutt’affatto diverse, rispetto a quelle relative ad una
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Così anche, con ragione, D. Pulitanò, op.loc.ult.cit.; nonché, più ampiamente, Id., La riforma della prescrizione tra processo e retroattività, in Gruppo Italiano dell’A.I.D.P. Congresso Nazionale: La “materia penale” tra diritto nazionale ed europeo, Modena, 30 marzo-1 aprile 2017 (atti in corso di pubbl.). 70 Camera dei deputati, testo di legge costituzionale, atto 2613-d in G.U. del 15 aprile 2016, n. 88, ed ora anche in Guida al dir., 13 agosto 2016, 14 ss., con i relativi commenti, cui pertanto anche si rinvia. 71 Cfr., antea, nota 33.
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Il difficile dialogo fra corti europee e corti nazionali nel diritto penale: analisi di due casi problematici
ipostatizzata lentezza del procedimento legislativo, per cui l’esito negativo subìto dalla riforma costituzionale in oggetto, difficilmente potrà contribuire in qualche modo al varo auspicato della riforma legislativa del c.d. concorso esterno. Siamo, infatti, persuasi che, a livello penalistico, il diritto scritto, anche sul versante comunitario, sia in fase recessiva, rispetto al diritto vivente, anche perché, come è stato di recente e giustamente rilevato72 «un altro fenomeno di erosione della legalità, meno eclatante ma non per questo meno nocivo, è costituito dall’interpretazione giurisprudenziale, così da quella che attinge elementi di giudizio piuttosto dal “contesto sociologico” che dal contesto normativo (…)». Tale affermazione calza perfettamente proprio al “fenomeno giuridico” del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, giacché è difficile contestare come la riflessione di carattere empirico-sociologico circa la configurazione degli apporti dall’esterno alle organizzazioni di tipo mafioso, in linea con lo sviluppo sia istituzionale, che professionale, abbia fatto agio sull’interpretazione prevalentemente di stampo giurisprudenziale. Se, dunque, il diritto vivente prevale ormai decisamente sul diritto scritto si tratterà, anche nel prossimo futuro, di trovare una maggior linea di raccordo tra le diverse anime che sono incarnate nelle distinte autorità giudiziarie, sia nazionali, che comunitarie, in modo tale da prefigurare un sempre più coeso “spazio giudiziario europeo”. Anche se quest’opera, per le ragioni indicate in apicibus, non appare semplice, per altro verso non risulta impossibile, perché da ultimo può segnalarsi, al contrario, un fenomeno di concordanza fra giurisprudenza comunitaria e giurisprudenza nazionale, caratterizzata dal fatto che la Corte costituzionale, seguendo in ciò la giurisprudenza comunitaria, con riferimento, in particolare, alla sentenza della CEDU Grande Stevens73, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., nella sostanza laddove non estende il principio del ne bis in idem all’esistenza del medesimo “fatto storico”74. Certo, la concordia è facilitata dal fatto che la Corte europea dei diritti dell’uomo, da un lato, e la Corte costituzionale, dall’altro, perseguono finalità e svolgono funzioni assai simili, ma ci auguriamo che un raccordo più ampio possa in seguito ottenersi, perché almeno a livello giurisprudenziale si possa consolidare il tanto agognato “spazio giudiziario europeo”, che ora è soltanto in via di lenta, e talvolta conflittuale, elaborazione, pur rimanendo possibilmente “intangibili” i “valori supremi” di ogni ordinamento nazionale.
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Da F. Ramacci, La legalità deforme, in Studi senesi, 2016, 4 (delle bozze di stampa). Corte EDU, Sezione II, sent. 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia; per altre sentenze europee di analogo segno, cfr. A. Cisterna, Consulta in linea con la giurisprudenza di Strasburgo, in Guida al dir., 17 settembre 2016, 85 ss.; cfr., ora, in argomento, Ufficio del Massimario Penale, Relazione di Orientamento, Ne bis in idem – Percorsi interpretativi e recenti approdi della giurisprudenza nazionale ed europea, Rel. N. 26/17, Roma, 21 marzo 2017, 1 ss. 74 Corte cost., sent. 31 maggio-21 luglio 2016, n. 200, Pres. Grossi, Rel. Lattanzi, che formalmente dispone l’illegittimità costituzionale anzidetta “nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile ed il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale”, in Guida al dir., 17 settembre 2016, 76 ss. 73
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Alessandro Parrotta
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Andrea Racca
La responsabilità della banca nell’erogazione del credito Cenni e riflessioni.
Sommario: 1. Un profilo comparativo. – 2. Responsabilità extracontrattuale a partire dalla Cass. Sez. Unite 7030/2006. – 3. La responsabilità contrattuale del bonus argentarius. – 4. Il concorso esterno nei reati fallimentari a seguito di finanziamento. Abstract This article studies the responsibility profiles of Credit Institutions in the provision of credit, from a social, civil and criminal point of view. After a comparative introduction, the essay deepens the analysis on responsibility of banks for damages resulting from the unlawful or negligent grant of credit to companies and businesses in the Italian legal culture. Starting from the important decision of the Supreme Court n. 7030/2006 and examining the diligence standard known as bonus argentarius, the author shapes the claims of compensable damage, concluding with a thorough and comprehensive analysis of the criminal liability of both the banker and the Credit Institution, for external collusion in the criminal offences established by articles 216, 217 and 223, 224 of the bankruptcy law. L’articolo esamina i profili di responsabilità nell’erogazione del credito, sotto il profilo sociale, civile e penale. Premessi brevi cenni comparativistici, l’analisi approfondisce la responsabilità degli Istituti bancari per i danni derivanti da erogazione illegittima o negligente del credito alle imprese. Prendendo le mosse dalla essenziale sentenza a SS. UU. della Cassazione n. 7030/2006 e dall’analisi dello standard di diligenza del cd. bonus argentarius, gli autori ricostruiscono le ipotesi di danno risarcibile, concludendo con una approfondita analisi in merito alla responsabilità penale sia del singolo banchiere sia dell’istituto di credito stesso, per concorso esterno nei delitti previsti dagli artt. 216, 217 e 223, 224 legge fallimentare.
1. Un profilo comparativo. Le difficoltà del momento storico in cui viviamo pare abbiano trasformato il sistema di finanziamento al quale da sempre le aziende attingono le liquidità necessarie per lo svolgimento delle loro attività imprenditoriali. Il credito rappresenta, a parere di chi scrive, uno strumento essenziale nella normale attività d’impresa, sia per lo sviluppo, l’investimento e la crescita aziendale, ma anche nei momenti di difficoltà per il sostentamento e la copertura dei costi. Tuttavia, la tendenza che si è consolidata negli ultimi anni circa l’inversione del ciclo dei profitti, riducendo il potenziale dello sviluppo autonomo delle aziende, ha rafforzato l’influenza degli enti creditori nell’economia del Paese. Dall’altro punto di vista, la crisi economica che ha colpito in gran parte la piccola media impresa, con l’aumento esponenziale dei fallimenti, ha ingenerato di conseguenza nelle banche l’aumento delle perdite sui crediti alle aziende, complicando i rapporti tra il mondo della Finanza e la realtà imprenditoriale italiana. I recenti casi di cronaca non cessano di mo-
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strare come il rapporto Banca-Impresa sia sempre più teso e ai limiti delle responsabilità penali: istituti di credito implicati a loro volta in importanti crack finanziari e imprese mantenute in vita grazie a discutibili attività di finanziamento. Questa breve analisi si promette dunque di mettere maggiormente in risalto il profilo di responsabilità della banca in virtù della sua stessa funzione sociale di erogazione del credito1, la quale deve sempre attenersi ai principi di correttezza e diligenza, tipici della sua attività. A parere di chi scrive, il rapporto bilaterale di concessione del credito tra istituto e impresa non si esaurisce in se stesso, ma presuppone un profilo di rilevanza pubblicistica: ovvero l’affidamento del terzo circa la precisa erogazione del credito da cui discende l’affidamento circa la solidità dell’impresa finanziata. Se alla fine del secolo scorso gli istituti di credito sembravano aver acquisito giuridicamente una situazione privilegiata in ordine alle responsabilità nei confronti del cliente e dei terzi, in questi ultimi anni, le vicende giudiziarie dimostrano come i Giudicanti hanno compiuto la scelta di sanzionare in termini di responsabilità il comportamento della banca per gli eventuali danni causati al cliente e ai terzi nell’esercizio dell’attività: l’ingiustificata revoca dell’affidamento, il caso di abusiva concessione di credito, nonché tutti i casi in cui la banca concorra a diverso titolo nei c.d. reati fallimentari. Nelle ipotesi di natura civilistica, inevitabile riscontrare un comportamento dell’ente contrario ai principi professionali, per cui a seguito di un’incauta erogazione del credito si può verificare un pregiudizio sia in capo al cliente, a seguito di improvvisa interruzione del credito o di concessione di credito non garantita, sia nei confronti dei terzi (creditori), i quali possono subire un danno da affidamento, in quanto confidano circa la solvibilità che un affidamento bancario può legittimamente presupporre2. Se il rapporto contrattuale tra banca e cliente fa discendere una responsabilità di tal genere, l’istantaneità o la permanenza del comportamento abusivo (improvvisa revoca dell’affidamento o prolungarsi dell’affidamento non garantito) produce di certo un illecito extracontrattuale, che deve essere accertato con riferimento non già al solo danno di natura patrimoniale, bensì al rapporto eziologico tra questo e il comportamento contra ius dell’agente, qualificato da un grado di responsabilità da individuarsi tra il dolo e la colpa3. D’altra parte in alcuni ordinamenti europei, quali quello francese o belga, il profilo di responsabilità extracontrattuale della banca non assume di certo caratteri di straordinarietà. Entrambi formulano esplicitamente un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale nel caso di una lesione di un diritto di credito dei terzi, ovvero di quei creditori che a loro volta hanno conces-
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Funzione che si può legittimare anche in base al disposto costituzionale dell’art. 2, in virtù di un’attività non solo volta allo scopo imprenditoriale e di erogazione di servizi, ma anche a promuovere lo sviluppo aziendale e imprenditoriale della nazione. 2 L’affidamento dei terzi deriva, a parere di chi scrive, dalla stessa natura contrattuale della concessione del credito, che si fonda su un rapporto fiduciario tra Banca e Cliente, che presuppone che la solidità del soggetto a cui viene concesso un prestito in base a garanzie circa il rientro. Nel caso in cui il rapporto di concessione non si fondi su un vincolo fiduciario, il danno subito dai terzi in caso di dissesto del impresa cliente ha natura aquiliana, intendendosi come tale il danno arrecato non iure, il danno cioè inferto in assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento, derivante in primis dal dovere generico di lealtà e correttezza in capo alla banca. 3 Cfr. Cass. 20.12.2000 n.16009 in motivazione circa la natura del danno extracontrattuale.
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La responsabilità della banca nell’erogazione del credito
so credito ad un imprenditore non affidabile4. Responsabilità che si fonda direttamente sulle disposizioni del codice civile francese all’art. 1382 c.c. che trova un’esatta corrispondenza nel nostro riferimento di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. In questi ordinamenti europei si tende a tipizzare la responsabilità dell’istituto di credito in tre diverse ipotesi, che qualificano precipuamente il grado di responsabilità: i) concessione di credito ad impresa in stato di cessazione dei pagamenti (situazione corrispondente a quanto la legge italiana indica nel termine insolvenza); ii) finanziamento concesso ad un’impresa, anche non in stato di insolvenza, ma con procedimenti non corretti o fraudolenti; iii) concessione di credito, con un procedimento tecnico corretto, ad un’impresa in difficoltà e successivamente sottoposta a procedura concorsuale. Nel primo caso la banca, se era a conoscenza dell’insolvenza, o avrebbe dovuto esserlo usando la diligenza del bonus argentarius, non può di certo andare esente da responsabilità, da graduarsi in base all’elemento soggettivo, presuntivamente a titolo di colpa, mentre a titolo di dolo se viene dimostrata la consapevolezza nella possibilità di arrecare danni a terzi attraverso il finanziamento erogato5. Allo stesso modo in caso di procedimento autorizzativo non corretto, la mancata adesione a una regola di condotta nell’espletamento dell’attività dovrà essere valutata tra la colpa e il dolo. Nel caso specifico di concessione di credito, attuata con procedimenti fraudolenti, la responsabilità dell’istituto si aggrava: la violazione dell’iter amministrativo autorizzativo del finanziamento presuppone la stessa ipotizzabilità del dissesto da ricondursi tra la colpa cosciente e il dolo eventuale, dal momento che la mancata adesione al protocollo valutativo della solidità aziendale implica una responsabilità aggravata per l’istituto di credito. Ciò proprio in virtù del fatto che in tema di responsabilità per illecito, la colpa consiste in un comportamento cosciente dell’agente, che senza volontà di arrecare danno ad altri, sia causa di un evento lesivo per negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero inosservanza di regole o norme di condotta, ogni qual volta manchi la rappresentazione da parte dell’agente secondo il criterio specifico del professionista del settore, circa il verificarsi di un evento dannoso (danno patrimoniale all’impresa o a terzi). La dottrina d’oltralpe ha molto discusso sul terzo caso, che rappresenta il limite, ove più difficilmente pare possa addebitarsi responsabilità alla banca, circostanza che comunque deve essere valutata caso per caso. Anche infatti nell’ipotesi in cui l’istituto avesse conosciuto lo stato di difficoltà dell’azienda, il problema è valutare se, attraverso il metro di diligenza richiesto per l’operatore del settore, si potesse prospettare il successivo assoggettamento a procedure concorsuali. Nel caso di probabilità, l’assunzione di un tal rischio rientra in un ambito di rischio d’impresa assolutamente lecito (in riferimento ad un operatore economico come la banca) o integra un profilo di colpa cosciente? Ad ogni modo, gran parte degli Autori sono unanimi nel escludere ogni forma di responsabilità della banca in virtù proprio della regolarità della procedura di concessione, che implica già la valutazione dei rischi6.
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Con le codificazioni dell’Ottocento si apre, nei paesi dell’Europa Continentale, e nonostante la base comune romanista, una netta divaricazione fra il modello francese, adottato dal Code Napoléon del1804, e il modello tedesco, elaborato dalla pandettistica e confluito alla fine del secolo nel BGB. Il primo opta per la atipicità dell’illecito, innovando rispetto al diritto romano, il secondo per la tipicità dei casi di responsabilità extracontrattuale restando maggiormente fedele alle fonti romanistiche. 5 Vd. Cass. Pen Sez. V n. 32352/2014, che ampiamente si richiamerà nel prosieguo. 6 Gavalsa, Stoufflet, Droit de la Banque, PUF, Paris 1974, 583 ss.; G. Molle, I contratti bancari, Milano 1981.
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Anche l’ordinamento elvetico riconduce ai più generici obblighi di diligenza professionale il comportamento dell’istituto di credito che conceda o revochi abusivamente il prestito, fondando una responsabilità extracontrattuale nel solo caso in cui si realizzino i presupposti previsti all’art. 41 della Legge di complemento al codice civile (C.O.), ovvero che si tratti di un comportamento intenzionale contrario al legittimo affidamento dei terzi. Tuttavia, radicando il profilo di responsabilità ai più generici doveri di diligenza, il dolo anche eventuale, richiedendo una prova specifica, si qualifica in una serie limitata di casi, ovvero nelle sole ipotesi in cui la banca avesse la concreta rappresentazione circa la possibilità di arrecare un danno a terzi con un comportamento contrario ai principi generici di correttezza e buona fede nell’esercizio dell’attività e l’abbia appositamente accettato.
2. Responsabilità extracontrattuale a partire dalla Cass. Sez. Unite 7030/2006. Nella prassi giuridica italiana ha senza dubbio svolto un ruolo essenziale la sentenza Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 7030/2006, che aderendo all’orientamento prevalente tra dottrina e giurisprudenza, ha individuato come oggetto della responsabilità dell’istituto l’artificioso mantenimento in vita di un’impresa sull’orlo del fallimento, suscitando un’errata percezione della realtà finanziaria ed economica con l’effetto di condurre i terzi a contrattare o a continuare a contrattare con la società. La Suprema Corte specifica puntualmente la tipologia di danno inferto, ovvero di un “danno informativo” che il creditore danneggiato dovrà provare autonomamente, facendo presente l’esistenza del nesso causale tra il finanziamento illecito concesso dalla banca e l’artificioso mantenimento in vita dell’impresa sovvenzionata, dimostrando che senza quel finanziamento l’impresa sarebbe di certo fallita. Una concessione di credito estranea alle regole di condotta di corretta amministrazione e diligente erogazione, produce infatti un danno di natura concorrenziale sul mercato, alimentando la presenza di un concorrente che in realtà non avrebbe più potuto partecipare. Il danno di natura concorrenziale, a prescindere dal verificarsi del fallimento, può essere ristorato con l’azione risarcitoria nei confronti sia dell’impresa sovvenzionata, sia nei confronti della banca. La responsabilità addebitabile all’istituto acquista infatti la propria autonomia, connotandosi sotto un duplice profilo: i) l’alimentazione del c.d. danno informativo nel mercato con conseguente protrazione delle attività dell’impresa; ii) alimentare il pericolo di insolvenza in capo ai creditori dell’impresa, con l’eventuale rischio di compromettere il patrimonio residuo da devolvere agli stessi, concorrendo nel ritardare il fallimento dell’impresa in stato di insolvenza. In tal guisa, il creditore danneggiato, affinché possa validamente procedere con l’azione risarcitoria dovrà provare, oltre all’elemento soggettivo della banca (ovvero che la stessa abbia violato i principi cardine della sua attività di concessione del credito), anche ex art. 1338 cc. di aver egli stesso utilizzato lo stesso metro valutativo nei rapporti con l’impresa insolvente, tanto da non aver potuto accorgersi della difficoltà in cui versava l’azienda7.
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Il creditore danneggiato se anteriore alla concessione del credito dovrà provare che ove l’insolvenza non fosse stata dissimulata, avrebbe in concreto attivato tutti i rimedi predisposti dall’ordinamento al fine di evitare o ridurre il danno, mentre se è posteriore alla concessione, dovrà provare che senza il finanziamento illecito non avrebbe stipulato contratti con l’impresa. Cfr. Cass. Civ. Sezioni unite n. 7030 del 28/03/2006.
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La responsabilità della banca nell’erogazione del credito
La Corte individua una duplice responsabilità in capo alla banca in ordine al danno subito da abuso di credito: una di natura extra-contrattuale in capo ai terzi, e una di natura contrattuale derivante da un danno diretto cagionato al patrimonio della stessa società fallita. Infatti, nel tentativo di fornire un’adeguata tutela ai creditori danneggiati ai fini della legittimità di proporre un’azione di risarcimento, in ambito di responsabilità aquiliana, non si può esentare dal riconoscere un danno diretto all’impresa come lesione della garanzia patrimoniale generica dei creditori ex art. 2740 cc., rappresentata dal patrimonio del fallito, garanzia diminuita o annullata dal ritardo stesso nel fallimento. In via estensiva possiamo, infatti sostenere, accettando tale tesi, che tutti coloro che a vario titolo (attraverso concessione di liquidità, inducendo la solvibilità dell’impresa sul mercato [si pensi alla funzione della centrale dei rischi o alle società di rating nelle valutazioni delle società quotate]) permettono o facilitano la ritardata dichiarazione di fallimento, possono essere suscettibili di responsabilità ex art. 2043, in quanto contribuiscono all’aggravamento del dissesto attraverso l’aumento delle passività, l’ulteriore dispersione dell’attivo e la prescrizione delle azioni revocatorie8. A tal riguardo, il danno derivante da una concessione illegittima del credito ha quindi sì natura aquiliana, essendo il pregiudizio che segue alla insufficienza del riparto, pur dopo l’esperimento delle azioni esecutive, ma anche natura contrattuale. Il danno da incauto o fraudolenta erogazione del credito, diversamente dalla diminuzione che subisce il patrimonio del creditore per effetto dell’inadempimento, risale all’attività di un soggetto diverso dall’inadempiente, e richiede per il suo accertamento, prima ancora che per la sua liquidazione, l’esperimento delle azioni, per l’appunto di massa, che tendono alla conservazione della garanzia generica. Consegue che le due responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, risalgono a fatti pregiudizievoli distinti ed autonomi, i quali possono dare luogo a distinti eventi dannosi. La Corte precisa infatti che l’azione risarcitoria di cui si tratta, costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore, analogamente alle azioni che traggono origine da atti degli amministratori della società fallita che danneggiano il terzo, ai sensi dell’art. 2395 c.c. Il danno che deriva da siffatta attività andrà, comunque, valutato caso per caso nella sua esistenza e nella sua entità, essendo ben ipotizzabile che creditori che pur hanno diritto di partecipare al riparto non hanno titolo per il risarcimento da danno c.d. informativo, non avendo ricevuto danno dalla continuazione della attività di impresa.
3. La responsabilità contrattuale del bonus argentarius. A questo punto della trattazione appare doveroso precisare il contenuto specifico della diligenza del c.d. bonus argentarius, che si differenzia da quella del buon padre di famiglia, in virtù proprio della natura professionale del soggetto. In base a tale riconoscimento, ai sensi dell’art. 1117 c.c. comma 2 la banca deve adempiere tutte le obbligazioni assunte nei confronti dei propri clienti con la diligenza particolarmente qualificata dell’accorto banchiere, non solo
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Osserva ancora la Corte nella sent. 7030/2006 che la abusiva concessione del credito per perfezionarsi e produrre pregiudizio, non deve essere collegata di necessità all’evento fallimento, essa infatti rimane illecita e dunque possibile fonte di pregiudizio aquiliano, ancorché non venga seguita dal fallimento ed addirittura prima ancora che questo si verifichi.
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con riguardo all’attività di esecuzione dei contratti bancari in senso stretto, ma anche in relazione ad ogni tipo di atto o di operazione oggettivamente esplicati nell’attività finanziaria9. Ne consegue che le prestazioni della banca dedotte in contratto consistono essenzialmente in un “facere” inerente la raccolta o l’offerta di liquidità. In virtù della funzione economica svolta, le modalità delle obbligazioni assunte debbono sempre rispettare la professionalità insita nel contenuto del facere stesso, richiedente un grado massimo di diligenza nella predisposizione dei mezzi idonei rispetto agli eventi pregiudizievoli comunque prevedibili. Proprio in base ai principi di correttezza così individuati dagli artt. 1175, 1374, 1375 cc., la Cassazione con la sentenza del 13 gennaio 1993, n. 343 poi confermata dalla sentenza 8 gennaio 1997, n. 72 fonda in capo alla banca l’obbligo di risarcire il danno subito dai terzi per l’insolvenza dell’impresa debitrice sovvenzionata, in virtù di una responsabilità extracontrattuale per violazione dei doveri derivanti dal suo ruolo, come pure del dovere di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., alle quali il bonus argentarius, con l’intensità propria dello status professionale cui appartiene, è obbligato. Se la responsabilità aquiliana si configura così in virtù di un danno ingiusto provocato contra legem, ovvero contro i principi cardine dell’attività imprenditoriale bancaria, d’altra parte non può negarsi la responsabilità derivante da contratto che, come afferma Scognamiglio, rinviene a seguito di un rapporto il cui proprio riflesso produce una posizione di rilevanza sociale nella prospettiva di solidarietà sociale ex art. 2 Cost10. L’ipotesi di responsabilità contrattuale della banca per inadempimento dell’imprenditore indebitamente sovvenzionato deve essere analizzatala non solo sotto il profilo della definizione del rapporto contrattuale, ma soprattutto alla luce del principio di buona fede e dell’obbligo di correttezza contrattuale, ulteriormente rafforzati dal legislatore dapprima con la legge n. 154 del 17.02.1992 e successivamente con il Testo unico (D.lgs 1.09.1993 n.385), rendendo obbligatoria l’adozione della forma scritta per la stipulazione dei contratti relativi a tutte le operazioni e servizi bancari e finanziari11. Si individua così precipuamente un dovere di comportamento a carico della banca volto a garantire l’aspettativa di non interruzione dell’affidamento al creditore solido, o se del caso, di adeguamento del flusso finanziario in assenza di sintomi che alterino in maniera grave e definitiva le previsioni del rischio12, mentre nel caso opposto
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Cfr. Cass. civ. sez. I, sent. n. 13777 del 12/06/2007. C. Scognamilio, Ancora sulla responsabilità della banca per violazione di obblighi discendenti dal proprio status, in Banca, borsa e tit., Milano 1997, 655. 11 In tema di contratti bancari il D.lgs 385/1993 oltre a inserire l’obbligatorietà della forma scritta di tutti i contratti bancari, sempre per rafforzare in capo agli istituti di credito l’osservanza dei principi c.d. fondativi di tutta l’attività bancaria, ha anche reso obbligatori i principi di trasparenza e chiarezza delle clausole e delle informazioni bancarie, oltre a definire con precisione il “costo globale” del credito, le modificazioni contrattuali, allo ius variandi, e mettendo fine alla c.d. fideiussione omnibus, ovvero della garanzia illimitata. 12 Per quanto riguarda l’interruzione del credito da parte dell’istituto, esso può considerarsi abusivo, quindi far nascere una responsabilità contrattuale della banca, in tre distinte ipotesi: a) il rifiuto di adeguamento della linea creditizia in atto (inadeguatezza della linea di credito), la cui unica conseguenza è il diritto a favore dell’impresa sovvenzionata alla risoluzione del rapporto, nonostante il termine si debba ritenere fissato a favore di entrambe le parti (art. 1816 cc.); b) la mancata tolleranza degli sconfinamenti, la banca se permette l’esecuzione di ordini di pagamento oltre alla provvista concessa, occorre verificare, alla luce dei richiamati principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, se la stessa avesse creato un’aspettativa alla continuazione nell’erogazione del credito; c) recesso ingiustificato dell’apertura di credito, in cui il comportamento della banca si traduce nell’interruzione di una situazione oggettiva giuridicamente formalizzata. In tal guisa, l’esistenza dei presupposti per un’eventuale 10
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La responsabilità della banca nell’erogazione del credito
la non finanziabilità di quel soggetto che non abbia valide garanzie di solvibilità. In tali casi la responsabilità contrattuale discende proprio dal rapporto di contratto, tra l’istituto e lo specifico soggetto sovvenzionato, che viene a trovarsi in una posizione di vantaggio nei confronti della banca, tale da esporla ad un pericolo di danno (la perdita del capitale finanziato), tale per cui il sistema normativo bancario determina un obbligo di protezione patrimoniale della sfera giuridica implicata dalla natura sociale dell’operatore.
4. Il concorso esterno nei reati fallimentari a seguito di finanziamento. All’analisi appena svolta è doveroso far seguire un approfondimento dal punto di vista della responsabilità specificatamente penale, nei casi in cui il finanziamento erogato irregolarmente possa diventare propedeutico alla commissione di alcuni dei reati fallimentari. A parere di chi scrive, la violazione dello standard di diligenza del bonus argentarius pare essere funzionale alla stessa configurazione del c.d. concorso esterno nei delitti previsti agli art. 216, 217 e 223, 224 della legge fallimentare, nonché nelle violazioni previsti dal codice civile agli art. 2621, 2622, 2636 e 2637, nelle modalità che si andranno ad esaminare. Tuttavia, anche ai fini del risarcimento del danno, occorre effettuare una chiara distinzione tra il concorso personale del banchiere o del funzionario, che da solo si ponga in concorso con l’azienda alla realizzazione della condotta penalmente illecita13; al caso in cui sia l’istituto di credito, individuato come ente, a partecipare in concorso, avendo erogato il finanziamento secondo un regolare iter e un preciso elemento soggettivo comune al direttivo, creando i presupposti per un’alterazione illegittima delle condizioni patrimoniali dell’azienda14. Affinché si possa qualificare giuridicamente tale responsabilità occorre far direttamente riferimento al presupposto del concorso di persone nell’illecito penale ex art. 110 c.p. Non potendo assumere il ruolo di soggetto attivo del reato, nella possibilità di agevolare la condotta tipica dell’imprenditore, la banca può concorrere quale extraneus, allor quando si realizzano i seguenti presupposti: l’evento oggettivo, il nesso di causa tra erogazione del finanziamento all’evento di danno (ad. es. il fallimento) e sia individuabile in capo alla banca un preciso elemento soggettivo, da qualificarsi tra la colpa e il dolo in base alla tipologia del reato. In
responsabilità della banca per il recesso del contratto è la presenza o meno della giusta causa, in mancanza della quale il comportamento della banca potrebbe assumere quelle connotazioni sufficienti a qualificarlo abusivo. 13 Di recente, poi, la Suprema Corte è stata chiamata a giudicare della penale responsabilità in punto di bancarotta per effetto di operazioni dolose – tra gli altri – del direttore di filiale e del direttore generale di una Cassa di Risparmio. Entrambi erano accusati di avere agevolato l’impresa in seguito fallita (compagnia assicurativa) – previo concerto con un amministratore della medesima e con un terzo soggetto – a reperire liquidità utile per la costituzione di un fondo, con il quale mendacemente rappresentare la provvisoria copertura di riserve tecniche in precedenza distratte, e, di conseguenza, tranquillizzare il relativo ente di controllo (Isvap); con il risultato di aver ritardato, a detrimento dei creditori, l’apertura della procedura concorsuale o il ripristino (tramite azione di responsabilità verso gli amministratori e recupero della liquidità da poco sottratta) dell’equilibrio finanziario della società (Cass. pen. sez. V, n. 17690/2010). 14 Caso tipico di compartecipazione dell’ente fu il c.d. “Caso Parmalat”, nel quale vennero imputati alcuni dirigenti di istituti di credito, rei di aver concorso nella bancarotta impropria ex art. 223 comma 2 n. 2 L.F. “per aver orchestrato in concorso con il debitore operazioni finanziarie ai danni dei piccoli risparmiatori”; cfr. Cass. Sez. V, n. 27367 del 26.04.2011 – dep. 13/07/2011, Rosace, Riv. 250409.
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sostanza il concorso del c.d. exrtaneus diventa rilevante quanto contribuisce causalmente ad agevolare la condotta del intraneus, nella consapevolezza di compartecipare in una condotta illecita e nella possibilità di arrecare un danno a terzi. Come anticipato l’erogazione di un finanziamento, nei casi in cui l’azienda sia in una situazione di dissesto può destare rilevanza penale quando questa dazione crei i presupposti per ingannare i soci o il pubblico, permettendo agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti, di esporre nei documenti contabili previsti da legge, fatti materiali non rispondenti al vero, alterando la situazione economica patrimoniale dell’azienda, in modo da indurre in errore i destinatari di tali informazioni (false comunicazioni sociali ex art. 2621 c.c.)15, oppure predetto finanziamento permetta di aggravare il dissesto aziendale nel ritardo della dichiarazione di fallimento (bancarotta semplice ex art. 217 L.F)16. Proprio nella seconda ipotesi indicata, l’addebito di responsabilità in capo alla banca, per aver agevolato la possibilità dell’imprenditore a compiere operazioni di grave imprudenza ex art. 217 comma 1 n.3, nonché aver partecipato all’aggravamento del dissesto ai sensi dell’art. 217 comma 1 n. 4 (uniche tipologie ove si ammette il concorso esterno nella bancarotta semplice), può, a parere di chi scrive, integrarsi già dalla dimostrazione della violazione dei principi di diligenza professionale, in virtù dell’ammissibilità del reato proprio a titolo di colpa. Gran parte della dottrina in materia, considera infatti ipotizzabile la bancarotta semplice ex art. 217 L.F. n. 3 in presenza di un’operazione di finanziamento volta unicamente a reperire denaro per ritardare il fallimento: operazioni che in situazioni normali sarebbero perfettamente lecite. Secondo tale orientamento la condotta della banca sarebbe sanzionabile quando sia consapevole della situazione di decozione in cui versa l’impresa beneficiaria o possa comunque rappresentarselo. In virtù del fatto che l’ordinamento italiano reputa il fallimento un evento di per sé grave, ipotesi colposa, sia per il soggetto principale (imprenditore), sia del banchiere. La rimproverabilità emerge infatti nella violazione della regola cautelare, che si ravviserebbe nell’imprenditore in una sana e corretta gestione d’impresa volta ad evitare pregiudizi ai creditori e ai terzi, nel banchiere (o nella banca) nei già menzionati principi professionali. L’art. 217 L. F., al comma I n. 3, recita infatti che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento, da cui diviene conseguenza logica e costitutiva il danno al creditore del fallito, a cui può ampiamente concorrere il soggetto che ha favorito tale ritardo, amplificando il profilo di danno producibile.
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A. Parrotta, A. Racca, La riforma del reato di false comunicazioni sociali. Dubbi interpretativi e applicazioni concrete, in Rivista 231, intervento settembre 2015/1, Torino 2015; www.rivista231.it. 16 L’impostazione giuridica italiana conosce infatti due distinte fattispecie di bancarotta: la semplice ex art. 217 L.F., nella sua forma propria e nella sua forma impropria ex art. 224 L.F. (quando il soggetto attivo sono gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e anche i liquidatori) e la bancarotta fraudolenta ex art. 216, che sanziona le condotte dolose che mediante distruzione, dissimulazione, occultamento e falsità cagionino il fallimento dell’impresa, anche nella sua forma collettiva, qualificando il delitto di bancarotta fraudolenta impropria ex art. 223 L.F. Il reato in oggetto, il più classico in materia fallimentare, si presenta infatti nella sua fattispecie come a forma libera, nella quale il fallimento assume la natura di evento di danno, inteso non in riferimento alla sentenza dichiarativa, bensì al presupposto materiale della dichiarazione medesima e, cioè al dissesto dell’impresa, quale come fenomeno naturalistico costituisce elemento materiale della condotta. E. Corucci, La Bancarotta e i reati fallimentari, Milano 2013, 195 e ss. G. Insolera, La responsabilità penale della banca per concessione abusiva di credito alla impresa in crisi, in Giur. Comm., 2008, 853.
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Per inverso, quanto al concorso dell’istituto di credito nei fatti di cui agli artt. 216 L.F. diviene, invece, assimilabile la duplice configurabilità del concorso ex art. 110 c.p. sia a titolo di colpa, sia a titolo di dolo della banca, individuando la persona fisica di riferimento, in una fattispecie unicamente realizzabile a titolo di dolo. La giurisprudenza non ha infatti mancato di precisare che ai fini della configurazione del concorso nel delitto doloso di natura fallimentare siano necessari: l’incidenza causale dell’azione, la consapevolezza del fatto illecito e della qualifica del soggetto attivo che ha posto in essere il fatto tipico17 (imprenditore nel caso di bancarotta propria oppure delle altre qualifiche previste da legge nei casi di bancarotta impropria). Nello specifico nel delitto di bancarotta fraudolenta, la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare, in primis che sussiste il concorso esterno, sostanziandosi il dolo al compartecipe, nei casi in cui abbia consapevolezza che il patrimonio sociale sia devoluto ad una destinazione diversa da quella individuabile in base alle finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori, anche quando l’agente, pur non perseguendo direttamente tale risultato, tuttavia lo preveda e, ciò nonostante, agisca, consentendo la sua realizzazione. Ne consegue che è sufficiente che l’agente, perseguendo un interesse proprio (anche solo un proprio interesse commerciale), abbia la coscienza e volontà di porre in essere atti incompatibili con gli interessi dell’impresa finanziata, anche se non qualificati da una specifica volontà di cagionare danno ai creditori18. Secondo un altro orientamento, invece, al fine della configurabilità del concorso dell’extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è necessario che sussista la consapevolezza del percettore della somma, versata dall’imprenditore successivamente fallito, in ordine allo stato di decozione dell’impresa da cui il denaro proviene e, quindi, in ordine al rischio cui sono esposte le ragioni creditorie. Presupposto che implica anche al finanziatore lo stesso grado di prevedibilità, ovvero concorre nel reato chi sovvenziona un’azienda in prevedibile stato di decozione, da cui discende il rischio di un serio evento di danno ai creditori. Il Giudice al fine di una corretta valutazione dell’elemento soggettivo dovrà far riferimento al sufficiente contenuto rappresentativo del concorrente circa il possibile rischio di insolvenza, anche se non qualificato da una specifica volontà di cagionare danno ai creditori dell’imprenditore19. La prevedibilità dello stato di decozione assume pertanto una fondamentale importanza proprio nell’individuazione dell’elemento soggettivo dell’extraneus, affinché si possa configurare il concorso. In tal guisa, la sentenza Cass. Penale sez. V n. 16388 del 23 marzo 2011 ha affermato che occorre la prova della consapevolezza che la propria azione sia foriera di danno ai creditori e quindi debba essere accompagnata dalla conoscenza, da parte dell’agente, dello stato di decozione dell’impresa a cui viene sottratto il cespite attivo20. Successivamente, lo stesso Giudice ha osservato che non è necessaria la specifica e diretta conoscenza del
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Cass. Pen. sez. V, 26 giugno 1990, in Giust. Pen. 1991, II, 645. Cfr. Cass. Penale, Sez. II sent. N. 43171 del 15.10.2008 19 Cfr. Cass. pen. Sez. V, sent. n. 41333 del 27.10.2006. Naturalmente il grado di prevedibilità dovrà essere desunto dallo stato economico patrimoniale dell’azienda al momento della richiesta del finanziamento e al grado di accuratezza delle verifiche patrimoniali di solidità e garanzia operate dall’istituto. Nel caso in cui la banca dimostri di aver regolarmente seguito un protocollo valutativo dei rischi nell’erogazione del credito, ciò potrebbe di per sé escludere l’elemento soggettivo, salvo prova contraria. 20 Cfr. Cass., Sez. V, 22 aprile 2004, Bertuccio, CED Cass. 228905. 18
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dissesto della società, affermando che sia sufficiente la semplice rappresentazione21, e nel caso della banca, in virtù dei principi professionali già precisati, può limitarsi alla mera prevedibilità in astratto. Ragionando in tema di art. 2 Cost., ovvero in merito alla funzione sociale della banca di promuovere l’economia, la prevedibilità di un eventuale dissesto aziendale, connota l’effettiva fraudolenza della dazione nel contesto dell’illecito fallimentare, sia esso un caso di bancarotta o un caso di false comunicazioni sociali. Infatti, l’offesa provocata dal reato non può ridursi alla sola alterazione dell’asse patrimoniale dell’impresa, con conseguente ulteriore diminuzione di consistenza, ma soprattutto al pericolo (prima) e al danno (poi a seguito del fallimento) alle aspettative dei creditori. Questi ultimi, quali persone offese, sono l’indispensabile referente, per cui qualsiasi attività di soggetti terzi idonea ad alterare le condizioni di presenza sul mercato dell’azienda assume rilevanza penale, quando può pregiudicare il diritto dei creditori a soddisfare le loro pretese, alterando sensibilmente la rappresentazione della situazione economica patrimoniale della società. Pertanto se la condotta pregiudizievole è solo volta a incidere sugli utili prodotti dalla società, pur riducendo l’oggettiva consistenza del patrimonio dell’organismo, non è idonea ad integrare il reato, posto che il profitto generato dalla gestione, ove non reinvestito, appartiene ai soci e non ai creditori22. Per la sussistenza del concorso deve, dunque, anche rimandarsi all’esame dell’elemento soggettivo dell’imprenditore o dell’amministratore dell’impresa collettiva, la cui condotta deve essere caratterizzata dall’offensività, ovvero nella sua potenzialità di arrecare un danno sensibile in capo ai creditori. La Suprema Corte parrebbe così richiamare i giudici di merito ad una verifica sul piano dell’elemento oggettivo del reato, che ricade specularmente su quello soggettivo, della necessaria capacità della condotta contestata, non tanto di diminuire il patrimonio societario, quanto di diminuire la garanzia per i creditori. Per altro verso, sulla scorta di un’ulteriore individuazione di ipotesi di concorso della banca nella bancarotta impropria ex art. 223 comma 2 n. 2 L.F., inquadrerebbe la vicenda della collusione della banca con l’imprenditore per offrire erronea affidabilità, tra quelle in cui l’operazione dolosa si costituisca come un intervento ideativo/gestorio dell’ente creditizio. Nei casi di imprese quotate vi sarebbero, infatti, le ipotesi in cui la banca partecipi attivamente, pur con diverse modalità, all’organizzazione e al collocamento di obbligazioni, così da consentire a gruppi in palese deficit di liquidità di reperire ingenti risorse sul mercato. L’art. 223 n. 2 L.F. punisce infatti con le stesse pene previste dall’art. 216 L.F. i soggetti ammessi alla configurazione della bancarotta impropria quando hanno cagionato il fallimento dell’impresa «per effetto di operazioni dolose». Con tale riferimento si intende infatti qualsiasi atto o complesso di atti implicanti una disposizione patrimoniale compiuti dalle persone preposte all’amministrazione della società, con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti la loro qualità, con l’intento di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto a danno della società o dei creditori, o anche con la sola intenzione di arrecare un danno alla società o ai creditori23. Secondo tale prospettiva, la bancarotta per operazioni dolose può essere considerata un delitto preterintenzionale: all’agente si richiederebbe la percezione e la volontà di realizzare un’operazione dolosa non essendo necessario, invece, che il dolo copra l’evento di fattispecie,
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Cass. Sez. V, 13 gennaio 2009, Poggi Longostrevi, n. 243162. Cass. pen., sez. V, 18 febbraio 2009, Ferrari, Ced Cass., rv.243612 23 E.M. Ambrosetti, I reati fallimentari, in E.M. Ambrosetti, E. Mezzetti, M. Ronco, Diritto penale dell’impresa, Bologna, 2012, 195. 22
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ovvero il fallimento della società. Il carattere preterintenzionale della fattispecie si ricaverebbe a contrario dell’altra condotta tipizzata nell’art. 223, comma 2, n. 2 L.F., cioè dal cagionamento del dissesto con dolo. Se da un lato l’evento si realizzerebbe per mezzo di azioni dolose, potendo esso anche essere non voluto, nel dolo dell’evento si concretizza la piena coscienza e volontà dell’intera fattispecie di danno. Tutte le attività od operazioni, di per sé già dolose, sarebbero già integrate nella fattispecie, in virtù di una progressione criminosa che si esaurisce con l’evento. Per cui assume grande rilevanza la condotta principale, ove graduare anche quella del concorrente esterno, potendo ritenere che un finanziamento, magari attuato senza una scrupolosa e vigile disamina, in virtù di un rapporto di fiducia con l’impresa, ben qualificandosi come un presupposto non costituente reato, possa assumere la sua rilevanza a seguito dell’evento di danno (fallimento), che produce inevitabilmente conseguenze negative in capo ai creditori24. Questo proprio in virtù della riforma introdotto con il D.lgs 61/2002 che mutando la fisionomia della bancarotta da reato societario a reato fallimentare, rivendica un’identica sanzione in considerazione dell’evento comunque realizzato e di un concetto di prevedibilità che deve essere tipico sia dell’imprenditore, sia dei soggetti previsti ex art. 223 L.F., sia dell’extraneus che svolge attività professionale come la banca. Pertanto, in virtù del divieto di analogia in ambito penale le ipotesi di concorso richiedono per naturale configurazione il cagionamento del fallimento attraverso la realizzazione di una condotta tipica tra quelle tassativamente indicate negli articoli esaminati. Per cui, in considerazione del fatto che l’evento di danno è sempre il fallimento, che discende inevitabilmente da un pregresso stato di decozione dell’impresa, nell’elemento oggettivo della condotta della banca, in qualità di extraneus nei reati fallimentari, una violazione della regola cautelare che impone alla stessa una valutazione stringente dei rischi di perdita di capitale a seguito di finanziamento a soggetti non solvibili. Interessante è, ma sarà oggetto di altro studio, verificare l’interazione tra tali fattispecie e l’efficacia preventiva dei MOG ex 231/2001, collegato alle relative funzioni e posizioni di controllo dei professionisti in ambito di Governance.
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Sul punto la Corte di Cassazione ha affermato che tra le condotte che, pur non costituendo reato, possono integrare l’illecito penale in oggetto sono i fenomeni di sviamento della clientela e di svuotamento del patrimonio societario di quegli elementi costitutivi della sua capacità produttiva che ne definiscono l’avviamento (Cass. Pen. Sez. V sent. N. 9813 del 22.03.2006). Tuttavia, per evitare qualsiasi estensione, è successivamente intervenuta precisando che la nozione di operazioni dolose, in termini di ampia accezione, prescinde da qualsivoglia riferimento a fatti costituenti reato o comunque illeciti, in chiave civilistica, per ricomprendere in essa qualsiasi comportamento del soggetto agente (tra quelli espressamente indicati dallo stesso art. 223 L.F.), che concretizzandosi in un abuso o in un’infedeltà delle funzioni e nella violazione dei doveri derivanti dalla relativa qualità, cagioni lo stato di decozione della società, con pregiudizio della stessa, dei creditori, dei soci, dei terzi interessati (Cass. Pen. Sez. V, sent. 38728 del 23.09.2014).
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The liability of legal persons for foreign bribery* Sommario: 1. Introduction. – 2. Types of legal persons covered. – 3. Standard of liability for legal persons. – 4. Successor liability. – 5. Jurisdiction over legal persons. – 6. Nationality of legal person. – 7. Sanctions for legal persons: Nature and level. – 8. Mitigating factors for sanctions. – 9. Settlements Abstract The liability of legal persons is a key feature of the emerging legal infrastructure for the global economy. This stocktaking report presents a chronology and a “mapping” of the features of the systems for liability of legal persons found in the 41 Parties to the Anti-Bribery Convention. The report is based on the monitoring reports of the OECD Working Group on Bribery (WGB) which is responsible for implementation and enforcement of the Anti-Bribery Convention. While the Convention has been effective in strengthening and broadening legal person liability systems globally in the fight against foreign bribery and against economic crime more generally, the WGB will focus on the liability of legal persons for more indepth exploration in the course of its Phase 4 monitoring reviews, which are set to begin in 2017. It summarises the information contained in some 200 separate monitoring reports of the OECD Working Group on Bribery, thereby giving an overview of the key design elements of legal person liability systems and of their evolution over time. The Report will help policy makers, law practitioners and anti-corruption activists understand more fully how these systems work in key jurisdictions. La responsabilità delle persone giuridiche è una caratteristica fondamentale dell’infrastruttura giuridica emergente per l’economia globale. Il rapporto presenta una cronologia e una “mappatura” delle caratteristiche dei sistemi di responsabilità delle persone giuridiche presenti nelle 41 parti della Convenzione contro la corruzione. La relazione si basa sul monitoraggio del gruppo di lavoro OCSE sulla corruzione (WGB), responsabile dell’attuazione e dell’applicazione della Convenzione contro la corruzione. Mentre la Convenzione è stata efficace nel rafforzamento e nell’ampliamento dei sistemi di responsabilità giuridica delle persone a livello globale nella lotta contro la corruzione straniera e contro la criminalità economica in generale, la WGB si concentrerà sulla responsabilità delle persone giuridiche per un’esplorazione più approfondita nel corso della sua fase per i 4 controlli di monitoraggio, che dovranno iniziare nel 2017. Esso riepiloga le informazioni contenute in circa 200 rapporti di monitoraggio separati del gruppo di lavoro OCSE sulla corruzione, fornendo così una panoramica degli elementi chiave di progettazione dei sistemi di responsabilità delle persone giuridiche e della loro evoluzione nel tempo. Il Rapporto aiuterà i responsabili della politica, i professionisti della legge e gli attivisti anticorruzione di comprendere meglio il funzionamento dei sistemi nelle principali giurisdizioni.
1. Introduction. The liability of legal persons for foreign bribery and related economic offences is a key feature of the emerging legal infrastructure for the global economy. Without it, governments face a losing battle in the fight against foreign bribery and other complex economic crimes. *
Fonte: OECD (2016), The Liability of Legal Persons for Foreign Bribery: A Stocktaking Report. Materiale raccolto dal Consigliere Giovanni Tartaglia Polcini e a cura dell’Avv. Paola Porcelli]
Paola Porcelli
The term “legal person” refers to an organisation – generally, a corporation or some other entity, as specified in law – that has legal rights and is subject to obligations, including the obligation to respect laws prohibiting foreign bribery (in the case of the Parties that have implemented Article 2 of the Anti-Bribery Convention). The liability of legal persons (“LP liability”) means that these organisations can be held responsible for foreign bribery instead of, or along with, the natural person(s) involved in the offence. Specifically, the organisation can be subject to investigation, judicial or administrative proceedings (or, in some countries, out-of-court settlement arrangements), and ultimately sanctions if it is held responsible for the offence. LP liability is important because it casts legal persons as subjects of the law enforcement process. At its most basic level, LP liability ensures that legal persons can be held liable for wrongdoing in addition to, or independently from, any natural persons – such as officers, employees or agents – who were involved in the offence. Liability frameworks attempt to establish additional incentives designed to encourage companies to prevent wrongdoing, to detect potential offences by policing themselves, their business partners as well as other third parties, and to resolve allegations of wrongdoing by cooperating with law enforcement authorities. In this way, legal persons may become indispensable – if perhaps not always enthusiastic – partners with law enforcement authorities. Finally, any legal framework for LP liability must adhere to widely accepted legal norms such as due process, transparency, consistency and predictability. In 2009, the OECD Council adopted the 2009 Recommendation on Further Combating Bribery. Annex I of the Recommendation provides that LP liability systems should not “restrict the liability to cases where the natural person or persons who perpetrated the offence are prosecuted or convicted”1 . It also provides guidance on the “approaches” that the Convention Parties should take to attribute liability for foreign bribery to a legal person based on the acts of a natural person or persons2. LP liability is a crucial element in the architecture of law enforcement targeting unlawful activity in business organisations, including the offence of foreign bribery. As noted above, its importance is recognised in Articles 2 and 3 of the Convention, which obligate the 41 Parties to establish LP liability in accordance with their legal principles and to ensure that legal persons are subject to “effective, proportionate and dissuasive criminal penalties” or (if criminal responsibility is not applicable to legal persons under a Party’s legal system) equivalent “noncriminal sanctions, including monetary sanctions” for foreign bribery. This section maps the international legal landscape for LP liability based on the roughly 200 reports that the WGB prepared during its first three phases of monitoring. The purpose of this mapping is to provide a comparative overview of the 41 Convention Parties’ LP liability laws. This section does not attempt to draw policy conclusions or make recommendations from this mapping exercise. When relevant, however, it does report the WGB’s conclusions. The mapping methodology applies a standardised data collection procedure to each of the 41 Parties. This procedure involved performing key-word searches of the WGB reports, reading the relevant texts, and collecting data concerning LP liability characteristics identified primarily from
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Recommendation of the Council for Further Combating Bribery of Foreign Public Officials in International Business Transactions (2009), Annex I, Part B. See Section B.4 for an excerpt of this provision. 2 Ibid.
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The liability of legal persons for foreign bribery
provisions in the Convention and the 2009 Recommendation. This produced a total of about 2 624 data points characterising the WGB’s coverage of the 41 Parties’ LP liability systems. The Convention requires each Party to establish a system for holding legal persons liable for foreign bribery. Given the variety of legal traditions, however, the Convention does not require Parties to establish criminal liability when “under the legal system of a Party, criminal responsibility is not applicable to legal persons”3. This section explores the various systems that the Parties have enacted to hold legal persons liable for foreign bribery. The nature of liability of legal persons is divided in the 41 Parties. It uses two categories: criminal liability and non-criminal liability4. Criminal liability is used here to describe systems where an LP is held liable for the offence of committing bribery as a matter of criminal law. A non-criminal system is one that does not impose liability as a criminal matter, but can hold a legal person responsible for foreign bribery (i) under an “administrative” system (e.g., Brazil, Bulgaria, Colombia, Germany, Greece, Italy, Mexico, Poland, Russian Federation, and Turkey), (ii) by imposing criminal law sanctions, sometimes known as “coercive measures”, under the criminal code even though the legal person, technically, cannot be liable for a criminal offence (e.g., Colombia, Latvia, and Sweden), or (iii) under a “civil” action brought by a governmental authority (e.g. United States). Twenty-seven countries (66%) are reported to have only criminal liability and 11 countries (27%) have some form of non-criminal liability. At least two countries (5%), Mexico and the United States, have both criminal and non-criminal liability. In contrast, only one Party has not yet established an LP liability regime for foreign bribery. Argentina remains unable to hold legal persons liability for foreign bribery… In the meantime, criminal corporate liability has been established for several other offences but not for foreign bribery”5. For its part, Sweden has an arrangement to impose “corporate fines”, which is closely linked to enforcement actions against individuals. In this regard, the WGB found: “Under Swedish law, only natural persons can commit crimes. However, a kind of quasi-criminal liability is applied to an ‘entrepreneur’ for a ‘crime committed in the exercise of business activities’”.
2. Types of legal persons covered. This section documents the types of entities covered by the Parties’ LP liability systems. An excessively narrow definition of “legal person” could open up possibilities for entities to escape liability for foreign bribery by choosing organisational forms not covered by a Party’s laws prohibiting foreign bribery. Furthermore, the WGB has been concerned with ensuring that stateowned enterprises are covered and can be held liable under each Party’s foreign bribery law. There are three main dimensions concerning the type of legal entities covered by a LP liability regime. These are whether it covers: (1) incorporated or unincorporated entities; (2) private or state-owned entities; and (3) not-for-profit or for-profit entities.
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Commentaries to the Anti-Bribery Convention, comment 20; see also Anti-Bribery Convention, art. 3. This column does not count arrangements available in some countries that allow private parties to pursue others for damages relating to foreign bribery. For example, Norway’s Civil Liability Act provides the following: “any person who has suffered damage as a consequence of corruption can claim compensation from anybody who by intent or negligence is responsible for the corrupt act(s) or for complicity thereto. Norway Phase 3 para. 47. 5 Argentina Phase 3 para. 49. 4
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The findings are as follows: • Legal status. Under Article 2 of the Convention, each Party is obligated to “take such measures as may be necessary, in accordance with its legal principles, to establish the liability of legal persons for the bribery of a foreign public official”6. Strictly speaking, legal persons are juridical entities that the law recognises as having rights and obligations separate from their members or owners7. • Incorporated. All 40 Parties with LP liability for foreign bribery cover incorporated entities. • Unincorporated legal entities. The WGB has identified eight countries (20%) that do not cover unincorporated legal entities. These countries are Bulgaria, Colombia, Ireland, Japan, Korea, Luxembourg, Mexico and Slovenia. Fifteen countries (37%) definitely include at least some unincorporated entities within the scope of their LP liability regimes for the foreign bribery offence. For the remaining 17 countries (41%), no conclusion could be drawn from the WGB Phase 1-3 monitoring reports. • State-owned enterprises. Unsurprisingly, each Party that has adopted LP liability for foreign bribery will apply it to private entities. In addition, the vast majority of the Parties – 34 countries (83%) – will also apply their foreign bribery laws to stateowned enterprises at least under certain circumstances8 • Not-for-profit entities. Once again, the Parties that have either adopted or attempted to adopt LP liability regimes will apply them to commercial or for-profit legal entities. In addition, at least 32 countries (78%) will, in specific circumstances, also apply their laws against foreign bribery to not-for-profit entities. Of these, some countries, such as Switzerland and the United Kingdom, will only impose liability on a non-profit if the bribery occurs in the performance of commercial acts or if the non-profit engages in business activities. For the remaining 7 countries (17%), the applicability of foreign bribery laws to non-profit entities could not be determined from the WGB reports.
3. Standard of liability for legal persons. The standard of liability for legal persons helps to clarify how a legal person can be held liable for an unlawful act. This section examines two dimensions of this topic by first examining
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Neither the Anti-Bribery Convention nor the Commentaries define the term “legal person”, so one commentator has said that the Parties must refer to their “legal principles” to determine the types of legal entities that must be covered to satisfy their obligation under Article 2. See M. Pieth, The Responsibility of Legal Persons, in The OECD Convention on Bribery: A Commentary (2d ed. M. Pieth, L.A. Low & N. Bonucci eds., 2014) page 226 (“The term ‘legal person’ is not defined in the OECD Convention. The understanding is that this term refers back to the law of the state Parties.”). The WGB examines the extent to which the scope of each Party’s domestic law covers legal entities under Article 1 and Article 2. In the process, it may make recommendations to ensure that each Party fully implements the obligations of the Anti-Bribery Convention. 7 Black’s Law Dictionary (7th ed., 1999) defines “artificial person” (including related terms such as a “juristic person” or a “legal person”) as: “An entity, such as a corporation, created by law and given certain legal rights and duties of a human being; a being, real or imaginary, who for the purpose of legal reasoning is treated more or less as a human being”. 8 See M. Pieth, The Responsibility of Legal Persons, in The OECD Convention on Bribery: A Commentary (2d ed. M. Pieth, L.A. Low & N. Bonucci eds., 2014) page 227 (“The nature of ‘state-owned’ or ‘state-controlled enterprises differs from one state to the next, but the WGB has insisted that such bodies be covered by the state Parties’ definitions of ‘legal persons’.”).
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who can trigger liability of a legal person and then considering the circumstances when liability may be attributed to the legal person. For the first question we can show how the Parties address the standards contained in the 2009 Recommendation for Further Combating Bribery of Foreign Public Officials. For the second question, it is set forth the various conditions that must be met before a legal person can be held responsible for a given natural person’s act. Finally, we can see that an effective compliance programme constitutes a legal defence or would otherwise preclude liability for foreign bribery under the Parties’ LP liability regimes. We considered who exactly can trigger the liability ofna legal person and have shown the various conditions that the Parties use to determine when a legal person will be held liable for the acts of such persons. Though the Parties’ formulations of these conditions vary considerably, they can be grouped into five main categories: (1) in relation to the legal person’s activity; (2) in the legal person’s name or on its behalf; (3) within the scope of the natural person’s particular duties or authority; (4) for the legal person’s benefit or interest; (5) as a result of a failure to supervise. In addition, some countries have “other” provisions for attributing the acts of a given natural person to a legal person. This variation in the conditions required to attribute liability to a legal person is compounded in two ways. First, countries often have multiple conditions that must be met before liability can be imposed on legal persons. Some countries treat these conditions as alternative grounds for imposing liability on a legal person, while other countries take a cumulative approach requiring that all the relevant conditions must be satisfied in order to hold a legal person liable. To take an example of the former approach, a legal person in Latvia will be liable for an offence committed either (1) “in the interests or for the benefit of” the legal person or (2) where the offence was made possible “as a result of a lack of supervision or control”9 In contrast, Chile takes a cumulative approach as it will only hold a legal person liable for an offence that was committed both (1) “directly and immediately” in the legal person’s “interest or … benefit” and (2) in violation of “the legal person’s direction and supervisory functions”10. A second complexity is that some countries impose different conditions as a function of the level of authority or role that the natural person offender has in relation to the legal person. At least ten Parties (24%) have conditions that depend on whether or not the natural person who engages in bribery has managerial authority within the legal person11. In contrast, 29 Parties (71%) appear to apply the same conditions to attribute the acts of any relevant natural person to the legal person, without regard to the level of authority that the relevant person has12. In 12 countries13 (29%) the existence of internal “compliance systems” can preclude liability for foreign bribery as a matter of law in at least some circumstances. In some countries, a compliance system could negate an element of the offence that the prosecution must prove to establish the liability of a legal person. For example, in Chile, prosecutors “must prove that
9
Latvia Phase 2 paras. 211, 219. Chile Phase 3 paras. 38, 50. 11 These are Austria, Bulgaria, Canada, Czech Republic, Finland, Germany, Greece, Hungary, Portugal and Turkey. 12 It should be noted, however, that this number may simply reflect the fact that it is not yet clear how a legal person would be held liable for an offence committed by a lower-level employee given the absence of case law in some jurisdictions. 13 Australia, Chile, Czech Republic, Greece, Italy, Korea, Netherlands, Portugal, Spain,Switzerland and the United Kingdom. 10
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a company failed to properly design and implement an offence prevention model”14. In other countries, the legal person can use a compliance system to establish a defence. For example, Australia’s Code Section 12.3(3) provides that certain methods for establishing a legal person’s fault will not apply “if the body corporate proves that it exercised due diligence to prevent the conduct, or the authorisation or permission”. As discussed in the context of mitigating factors, even if countries do not permit compliance systems to preclude the liability of legal persons, compliance systems can still be considered as a mitigating factor when imposing sanctions for foreign bribery and other offences. These arrangements are potentially important tools for promoting effective compliance with the law within legal persons.
3.1. Liability for unrelated intermediaries The 2009 Recommendation, in accordance with Article 1 of the Convention and the principle of functional equivalence, also commits the Parties to ensure that legal persons cannot avoid responsibility for foreign bribery by using “intermediaries”, which includes unrelated intermediaries. Such unrelated intermediaries could include third-party agents, consultants or contractors. We can show whether and how the Parties can hold legal persons liable for the acts of unaffiliated business partners or other third parties and that at least 31 countries (76%) have laws that would allow them to hold companies liable for the unlawful acts of unrelated intermediaries under certain conditions15. As with liability for related intermediaries, the WGB reports did not always contain information about the specific grounds on which a legal person could be held liable for the acts of its business partners. The most common reason identified by the WGB for holding a legal person liable for an offence committed by an unrelated entity or thirdparty agent is that the legal person in fact participated in, or directed, the unlawful act16. Based on WGB findings and supplemental information provided by the Parties, this was true in 27 countries (66%). There was not enough information to make a determination for 13 countries (32%). In contrast, according to the same sources, at least 15 countries (37%) would impose liability on a legal person using a theory not tied to complicity. Agency principles provided the second most frequent ground for imposing liability on a legal person for the acts of its unrelated business partners. At least seven countries (17%) can hold a legal person liable for bribery committed by a third party authorised to act on the legal person’s behalf. These are Denmark, Estonia, Iceland, Korea, Slovenia, Turkey and the United States17. Except for complicity or agency principles, none of the other surveyed theories of liability appeared in more than 10% of the Parties’ company liability regimes.
14
Chile Phase 3 para. 50. For nine countries (22%), there was not enough information to make a clear determination. At the same time, however, the WGB has not yet expressly found that any country cannot hold a legal person liable for the acts of its business partners in at least some circumstances. 16 This was also the case for LP liability for related intermediaries, which is unsurprising as Article 1(2) of the Convention requires Parties to criminalise “complicity”, including “incitement, aiding and abetting, or authorisation of bribery” generally without regard to the whether the other party is a related or unrelated entity or partner. 17 It was not possible to make a definitive assessment of a legal person’s liability for a thirdparty agent in 33 countries (80%). 15
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At least 10 countries (24%) can hold a legal person liable on a theory other than complicity or agency. For example, the WGB found that at least one country, Portugal, can impose liability on a legal person that ratifies or approves the unlawful conduct of an unrelated intermediary after the fact18. One other country, Canada, provided supplemental information indicating that it can also hold an LP liable on this basis. Examples of other techniques for holding legal persons liable for the unlawful acts of their business partners, include: • Associated persons. The Section 7 of the United Kingdom’s Bribery Act 2010 makes certain companies liable for the acts of any “associated” person who “performs services” for them. • Consortium or Joint Venture Members. Brazil’s corporate liability regime holds companies that are members of a consortium liable for the unlawful acts committed by other consortium member “within the scope of their respective consortium agreement”19. As with its rules for attributing liability within corporate groups, Brazil limits liability for consortium members to “applicable fines” and the “full compensation” for damages caused. Poland has a similar provision holding a legal person liable for the acts of its joint venture partners, provided that the legal person had “knowledge” of the act or “consents” to it20. • Negligence offence. Parties have widely different approaches to determining whether the requisite “fault” or “intent” (often referred to as dol in civil law traditions or as the mens rea element in the common law world) has been established within the company-intermediary relationship21. Some countries have attempted to side-step the difficulty of proving intent by holding legal persons liable for negligence. For example, Sweden has enacted a “negligent financing” offence, whereby a legal person can be sanctioned for providing money in a “grossly negligent” manner to an intermediary who then uses it for bribery22.
4. Successor liability. In a corporate law context, when a legal person merges with or acquires another entity, the successor or acquiring legal person can, in certain circumstances, assume the predecessor entity’s liabilities. Successor liability in the context of foreign bribery refers to whether and under what conditions LP liability for the offence is affected by changes in company identity and ownership. Without it, a legal person may avoid liability by reorganising or otherwise altering its corporate identity23. In some legal systems, however, successor liability is viewed as prob-
18
See Portugal Phase 3 para. 33. Brazil Phase 3 page 84 (reproducing Article 4(2) of Brazil’s Law 12,846 of 1 August 2013). 20 Poland Phase 3 para. 46 & page 59. 21 For example, in Latvia, it is necessary inter alia to prove that a legal person had knowledge of the bribery to hold it liable for the acts of the intermediary. See Latvia Phase 2 para. 195. In contrast, in Canada intention or knowledge (including “wilful blindness”) would establish the necessary mens rea required for the offence. Canada Phase 1 page 4. 22 See Sweden Phase 3 para. 24 (“The new negligent financing of bribery provision makes it criminal for ‘a commercial organisation [to] provide[] financial or other assets to anyone representing it in a certain matter and which thereby through gross negligence furthers the offences of giving a bribe, gross giving of a bribe or trading in influence in that matter.’”). 23 See Russian Federation Phase 2 para. 253 (“Under the CAO, companies cannot artificially escape sanctions by way of a merger to become a new legal entity.”). 19
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lematic in the criminal law context because it is viewed as conflicting with the fundamental notion that no one can be punished for the act of another24. Although the issue has not been fully explored in the WGB reports, some of the Parties’ legal frameworks and practices concerning successor liability deserve special attention: • Comprehensive statutory frameworks. In some countries, the legislature has clearly adopted a set of provisions that comprehensively address successor liability. In Chile, for example, Article 18 of Law 20,393 on the liability of legal persons sets forth rules for how liability for specified criminal offences should be transferred in “case of voluntary or mutually agreed transformation, merger, absorption, division or dissolution of the legal person” that originally committed the offence25. Thus, in “cases of transformation, merger or absorption of a legal person, the resulting legal person shall be responsible for the total quantum” of any fine imposed26. For its part, Article 4 of Brazil’s 2013 corporate liability law states that “the liability of legal entities remains in the event of amendments to their articles of incorporation, corporate changes, mergers, acquisitions, or spin-offs”27. Other countries, such as the United States rely on well-established jurisprudence or other legal principles to ensure successor liability28. • Limits on sanctions. Brazil limits the type sanctions that may be imposed on successor companies to the payment of fines and compensation for damage. Brazil also limits the fine that can be imposed on the successor entity to an amount “within the limit of the transferred assets” received from the legal person that originally created the liability29. The WGB expressed concern that limiting the ability to confiscate the profits of foreign bribery from successor companies “deprives the administration of one of the most serious deterrents to foreign bribery”30. • Mechanisms to prevent the extinction of a legal person. It should also be noted that the WGB has also identified some techniques that countries can use to prevent corporate reorganisations that would allow a legal person to escape liability or sanctions. These tech-
24
See, e.g., French Penal Code Article 121-1 (“Nul n’est responsable pénalement que de son propre fait.”). Applying this principle, the Cour de Cassation overturned a lower court decision holding a legal person that subsequently acquired another entity liable for involuntary homicide on the grounds that the lower court ignored the fact that the merger had extinguished the existence of the acquiring entity, as it had merged into the acquired entity. See Cour de Cassation, Chambre criminelle, (Pourvoi 02-86376), available at www.legifrance.gouv.fr/affichJuriJudi.do?idTexte=JURITEXT000007069654 (“Attendu que, pour déclarer la société Acetex Chimie, coupable d’homicide involontaire, après avoir constaté qu’elle avait absorbé la société Pardies Acétiques postérieurement à l’accident, la cour d’appel énonce qu’elle a ‘ainsi continué sa personnalité juridique’; Mais attendu qu’en prononçant ainsi, alors que l’absorption avait fait perdre son existence juridique à la société absorbée, la juridiction du second degré a méconnu le texte susvisé et le principe ci-dessus rappelé; …. CASSE et ANNULE l’arrêt susvisé de la cour d’appel de Pau, en date du 28 août 2002, mais en ses seules dispositions ayant déclaré la société Acetex Chimie coupable du délit d’homicide involontaire, toutes autres dispositions étant expressément maintenues[.]”). 25 Chile Phase 3 page 71 (reproducing Article 18 of Law 20,393). 26 Chile Phase 3 page 71 (reproducing Article 18 of Law 20,393). 27 Brazil Phase 3 page 84 (reproducing Article 4 of Law 12,846 of 1 August 2013). 28 United States DOJ & SEC, A Resource Guide to the U.S. Foreign Corrupt Practices Act (Nov. 14, 2012), page 27. 29 Brazil Phase 3 para. 38. 30 Brazil Phase 3 para. 63.
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niques could be used even where “successor liability” is not possible as a matter of legal doctrine. For instance, under Belgium’s 1999 Act establishing LP liability, a judge may, after finding “serious indications of guilt on the part of a legal person”, impose a provisional measure to suspend “any proceedings to dissolve or wind up the legal entity” or block any transfers of assets that “could result in the legal entity becoming insolvent”31. Similarly, the WGB observed that Slovenia could prevent legal persons that have been convicted of certain offences (including foreign bribery) to evade an exclusion from public procurement by conducting a corporate transformation that would result in removing the “convicted legal person from a court register”32.
5. Jurisdiction over legal persons. The Convention expressly addresses two elements of jurisdiction: territorial and nationality jurisdiction. It is shown in a tabel which provides an overview of the coverage of jurisdiction in WGB reports. Before entering into a discussion of this table, it is worth recalling the earlier overview of the coverage of jurisdiction in the WGB reports which is available in the WGB’s 2006 Mid-Term Study of the Phase 2 Reports33. The Mid-Term Study identifies salient issues, many of which remain relevant today. These are presented in Box 3. Table 11 provides an overview of the coverage of jurisdiction over legal persons in the WGB monitoring reports. The overview is presented in four columns, which are grouped under two broad categories: (1) jurisdiction over offences committed at least in part inside the Party’s territory34; and (2) jurisdiction for offences committed entirely outside the Party’s territory. Within each category, two columns display the WGB’s findings concerning each Party’s territorial and extra-territorial coverage of domestic and foreign legal persons. For the purposes of Table 11, the definition of foreign and domestic legal persons is that adopted in the law of each Party. It should be noted that the fourth column of Table 11, which covers foreign bribery offences committed by foreign legal persons entirely outside the territory of the Party, is not covered expressly in the Convention. This information is included, however, because the WGB has identified some Parties as having LP liability frameworks that nevertheless could cover this circumstance. Some of the key findings in relation to jurisdiction are: • All the Parties to the Convention (except Argentina) establish some form of territorial jurisdiction over legal persons for the offence of foreign bribery. In some Parties, this jurisdiction is a collateral effect of having jurisdiction over the acts of a natural person who commits foreign bribery in its territory. • At least 23 Parties (56%) are able, in at least some circumstances, to assert jurisdiction over foreign companies that commit foreign bribery in their territory. One country – Colombia –
31
Belgium Phase 2 para. 88. Slovenia Phase 3 para. 158. 33 Mid-Term Study of Phase 2 Reports: Application of the Convention on Combating Bribery of Foreign Public in International Business Transactions and the 1997 Recommendation on Combating Bribery in International Business Transactions (22 May 2006), paras. 238-242. 34 At least some WGB countries will also assert jurisdiction over offences committed on board airplanes or vessels registered in their country. For the purposes of this section and Table 11, this jurisdiction is assimilated to territorial jurisdiction. 32
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reported to the Secretariat that its Superintendency of Corporations cannot sanction foreign legal persons for acts committed on its territory. For the other Parties, it could not be determined from the WGB reports whether such jurisdiction exists over foreign legal persons. • At least 23 Parties (56%) can hold a domestic legal person liable for foreign bribery committed entirely abroad. In line with the WGB’s 2006 Mid-Term Study of Phase 2 Reports, the Phase 3 evaluations have indicated that some Parties still cannot assert jurisdiction over a domestic legal person for an offence committed abroad unless the Party also has jurisdiction over the natural person who actually committed the offence. In several cases, the Party may not be able to assert jurisdiction over the legal person unless the natural person who committed the act was a national (e.g. Austria, Bulgaria, Chile, Estonia, Germany, Italy, Latvia, Japan and Sweden). For 16 Parties (39%), no determination was made in the WGB reports. • At least 8 Parties (20%) seemingly can hold a foreign legal person liable for foreign bribery committed entirely abroad, provided that some condition links the foreign legal person to the country for purpose of applying its foreign bribery offence. Mailbox companies in the Netherlands are also identified as a source of concern. The Phase 3 report for the Netherlands describes varying views within the Netherlands’ legal profession about whether it has effective jurisdiction over mailbox companies35. The report also states that the Netherlands’ approach to “mailbox companies appears to be a potentially significant loophole in the Dutch framework”36 and urges it “to take all necessary measures to ensure that such companies are considered legal entities under the Dutch Criminal Code, and can be effectively prosecuted and sanctioned”37. Finally, although the Convention does not create obligations for Parties to assert jurisdiction over acts of foreign legal persons for offences that take place entirely outside its territory, the WGB has identified some interesting arrangements among the Parties for asserting such jurisdiction. These include: • Universal jurisdiction. According to Iceland authorities, Iceland asserts universal jurisdiction for foreign bribery offences falling under the Anti-Bribery Convention38. Likewise, the Phase 3 report for Norway states: “Norway has extremely broad jurisdiction over foreign bribery offences, and could, in theory, prosecute any person committing a foreign bribery offence, regardless whether the offence was committed in Norway, and regardless whether the person involved is a Norwegian national. In practice, Norway explained that the universal jurisdiction was in fact rarely relied on, and only used in exceptional cases (twice between 1975 and 2004, and never in corruption cases). At any rate, this broad jurisdiction allows Norway to exercise both territorial and nationality jurisdiction over foreign bribery offences”39. Estonia reports that it might be able to exercise universal jurisdiction over bribery offenses punishable by a “binding international agreement”, but in the absence of case law supporting this theory, the WGB has not been able to reach a definitive conclusion40.
35 36 37 38 39 40
Netherlands Phase 3 paras. 90-93. Netherlands Phase 3 para. 95. Netherlands Phase 3 page 33 (Commentary). Iceland Phase 2 pages 30-31. Norway Phase 3 para. 65; see also Norway Phase 2 para. 107. Estonia Phase 3 para. 161.
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• Foreign legal person conducts business in, or owns property, in the territory. The Czech Republic can assert jurisdiction over a foreign legal person for acts committed outside of its territory when that legal person “conducts … activities … or owns property” inside the Czech Republic41. Similarly, the United Kingdom can apply its Section 7 offence under the Bribery Act to any “commercial organisation” that “carries on a business, or part of a business” inside the United Kingdom. In such a case, the foreign legal person would be liable for the acts of any “associated person” even if the associated person commits the offence outside of the United Kingdom42. • Foreign legal person committed offence for the benefit of a domestic legal person. The Czech Republic can assert jurisdiction over a foreign legal person for acts committed outside of its territory when the “criminal act was committed for the benefit of a Czech legal person”43. • Foreign legal person is closely connected to a domestic legal person or natural person. Greek authorities maintain that Greek law would apply to a foreign subsidiary having a “sufficient connection” with a parent company located in Greece44. Israeli authorities believed that they could likely assert jurisdiction over a foreign legal person, “if the crime was committed by an Israeli citizen or resident who was the controlling owner of the legal person45.
6. Nationality of legal persons. Table 12 shows the criteria used by Parties to determine the nationality of a legal person. Of the 41 Convention Parties, at least 16 countries (39%) will consider any legal person incorporated or formed in accordance with their laws to have their nationality. At least eight countries (20%) will look to the legal person’s headquarters or seat of operations to determine its nationality, and at least another three countries (7%) will look at either the place of incorporation or the seat. Only 1 country, Brazil, restricts the application of its nationality jurisdiction to legal persons that are both incorporated in and headquartered in the country’s territory46. Finally, at least 11 countries (27%) will assert nationality jurisdiction over legal entities based on “other” factors, primarily whether the company is “registered” under the country’s laws or has a “registered office” on its territory. Depending on the country, these other factors may be exclusive or operate alongside the place of incorporation or the seat of the company.
41
Czech Republic Phase 3 page 64. UK Bribery Act (2010), sections 7 and 12 43 Czech Republic Phase 3 para. 51. 44 Greece Phase 3bis paras. 58-59. 45 Israel Phase 3 para. 101. 46 Although the Netherlands primarily looks to the place of incorporation, Dutch courts might also look at the “seat” of operations for at least certain types of companies. One criminal court refused to apply Netherlands law to a Dutch “mailbox” company incorporated in the Netherlands but having its real operations abroad. See Netherlands Phase 3 page 5 (“The Working Group questions in particular the Netherlands’ ability and proactivity in initiating proceedings against companies which are incorporated in the Netherlands but pursue their activities entirely from abroad (‘mailbox companies’).”); see also Netherlands Phase 3 paras. 13, 40-42 (expressing concern that a court decision might have “create[d] a significant jurisdictional loophole in the Netherlands’ ability to prosecute foreign bribery committed by ‘mailbox companies’”). 42
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7. Sanctions for legal persons: Nature and level. The comparative overview of sanctions regimes for legal persons provided in Table 13 underscores the diversity of rules and practices in this area. Sanctions for legal persons vary in terms of size, and the availability of different types of sanctions. These include fines, confiscation or disgorgement, debarment from public procurement, or other forms of public advantage, and other penalties (e.g. dissolution and publication of sentence). Sanctions also vary in the degree to which they permit consideration of mitigating factors. Fines. Though all of the Parties other than Argentina can impose fines for foreign bribery, their methods for calculating fines vary considerably. Many countries provide maximum and/ or minimum thresholds on the amount of fine that can be imposed. • Maximum thresholds. Thirty-three countries (80%) have a fixed maximum, whether this amount is expressed as a fixed sum or as a multiple of the benefit received, damage caused, a “fine unit”, or the minimum wage. For instance, the fine in Hungary will be an amount up to three times the benefit of the offence, while in Israel it will be up to four times the benefit. Other countries define the maximum fine either as a fixed monetary amount or as a certain number of fine units with a certain maximum value for each fine unit. Of these fines that can be determined ex ante, without knowing the value of the bribe, the proceeds of bribery, or other variables dependent on the factual circumstances of the offence, the Czech Republic has the highest maximum fine for legal persons: the equivalent to EUR 54 million47. Often these maximum fines appear small, relative to the potential benefits from foreign bribery, as 10 Parties (24%) appear to have maximum fines that are set at amounts less than EUR 1 million (e.g. Finland’s maximum fine is EUR 850 000). That said, these fines typically may be cumulated with other sanctions so they cannot be evaluated in isolation. In contrast, seven countries (17%) have no cap whatsoever on the maximum fine for a foreign bribery offence. • Minimum thresholds. At the other end of the fine range, only 18 countries (44%) have a fixed minimum fine set above an amount equivalent to EUR 1 000. A further seven Parties (17%) have a fixed minimum fine that is less than the equivalent of EUR 1 000. Fourteen countries (34%) have no minimum threshold at all. Confiscation. Article 3(3) of the Convention obliges Parties to ensure that “the bribe and the proceeds of the bribery of a foreign public official, or property the value of which corresponds to that of such proceeds, are subject to seizure and confiscation or that monetary sanctions of comparable effect are applicable.” According to WGB reports, at least some form of confiscation is available against legal persons in all Parties except for possibly Mexico and Greece48. In Phase 3, the WGB questioned
47
For the sake of comparison, the currencies of the Parties were equalised in Euros using the exchange rate of 19 August 2016. 48 See Mexico Phase 3 para. 37; see also Greece Phase 3bis paras. 74-77. However, Mexico has informed the Secretariat that, following the June 2016 reforms introducing criminal liability for legal persons, Article 422 of the National Code of Criminal Procedure now permits the imposition of confiscation on legal persons. The WGB will have the opportunity to examine application of this provision for foreign bribery during the Phase 4 evaluation. On the other hand, even when some confiscation is permitted, some Parties do not have the ability to confiscate both the bribe and the proceeds of bribery. See e.g., Japan Phase 3 paras. 49 (reporting that “the bribe given to a foreign public official can be
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whether Spain’s confiscation regime applies to legal persons, given the absence of any express reference to legal persons in the confiscation provisions and the lack of case law applying confiscation to legal persons in practice49 Spain has subsequently informed the Secretariat that its “confiscation regime has … been revised and a more comprehensive regulation has been adopted …. to increase the effectiveness of confiscation”. The WGB will have the opportunity to examine its application in practice during Phase 4. Confiscation is the only mechanism available for sanctioning legal persons in the Slovak Republic50. Confiscation in the Slovak Republic is closely connected to prosecutions of natural persons under criminal law, as Slovak law “only establishes the possibility to confiscate a sum of money or a property from a legal person … where a natural person is responsible for a crime. Under current Slovak law, the focus thus remains on the natural person involved in a foreign bribery offence as the only responsibility that has to be demonstrated is the liability of this natural person”51. As with fines, confiscation measures can take multiple forms and be subject to conditions on the type of benefits or assets that can be confiscated and on when confiscation is possible once an illicit benefit has been transferred to a third party, commingled with lawful property, or otherwise transformed. These dimensions of confiscation regimes are not dealt with in this mapping, but may nevertheless merit further consideration by the WGB. Debarment. Debarment typically refers to the collateral action or sanction by which a natural or legal person can be suspended from enjoying public advantages or participating in public procurement process for a certain period of time after having been convicted of committing an offence (although some countries employing a lower threshold can debar entities even without a formal conviction). Some Parties have also linked conviction for foreign bribery to the loss of other public benefits, such as tax incentives or investment credits. Construed in this broad sense, “debarment” is a common sanction for legal persons: 33 Parties (80%) provide for some form of debarment, while only 5 countries (12%) clearly do not52. In some cases, debarment is mandatory when a company is found to have engaged in foreign bribery (e.g. in the Netherlands debarment for public procurement is mandatory, with
confiscated”, but the “benefit obtained” cannot be confiscated); Russian Federation Phase 2 para. 282 (reporting that “Article 19.28 CAO provides for the confiscation of the bribe” but finding that, due to lack of other provisions, prosecutors “cannot confiscate the proceeds of foreign bribery by legal persons”). Under Article 3(3), countries without confiscation can still comply with the Convention if they can impose “monetary sanctions of comparable effect”. As a disclaimer, please note that the finding that a given confiscation regime exists does not imply that the Working Group on Bribery would consider it adequate to meet the standards under the Anti- Bribery Convention. 49 See Spain Phase 3 paras. 80-81 & page 34 (Commentary). 50 In the Slovak Republic, the amount confiscated varies depending on whether the confiscation is of (i) property gained through crime or the proceeds of crime or (ii) a sum of money. There is no limit on the amount of property that can be confiscated, provided that its illicit origins can be established. In contrast, an order of confiscation for a monetary sum must be for an amount between EUR 800 and EUR 1 660 000. Under Slovak law, a court cannot order the confiscation of money if it has already ordered the confiscation of property for that offence. See Slovak Republic Phase 3 page 57. 51 Slovak Republic Phase 3 para. 43. 52 According to the WGB reports and country information provided to the Secretariat, Brazil, Bulgaria, New Zealand, the Russian Federation and Switzerland do not include debarment as a sanction. Article 5(2) of Colombia’s Law 1778 of 2016, which was adopted after the WGB’s Phase 2 evaluation, provides for debarment directly against legal persons. Mexico and the Slovak Republic have likewise reported adopting new laws that provide for debarment of legal persons for foreign bribery.
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some exceptions). In others, information about unlawful activity is supposed to be taken into account in decision processes relating to the allocation of public advantages. Thus, seen from this perspective, the decision to debar a legal person may have a punitive effect on the company, but it also aims to protect the integrity of public spending. An example of this can be found in the WGB’s evaluation of the United Kingdom, which states: “A UK public contracting authority must permanently exclude an economic operator from public procurement contracts if the authority knows that the economic operator (or its directors or representatives) has been convicted of offences relating to corruption, bribery, fraud or money laundering. The UK considers exclusion (known as debarment in some jurisdictions) not as a sanction but as protection of the procurement process”53. Dissolution. In at least 12 countries (29%), the law permits the dissolution of a legal person either as a sanction for, or as a consequence of a conviction for, foreign bribery: Belgium, Brazil, Chile, Czech Republic, Germany, Hungary, Latvia, Luxembourg, Mexico, Norway, Portugal, and the Slovak Republic. While dissolution is admittedly a draconian sanction, the WGB has expressed concern that its very severity might make it a disproportionate and unrealistic sanction except in the most egregious cases of foreign bribery by legal persons54. Other sanctions. Twenty-four Parties (59%) provide for various types of other sanctions. Examples include: (1) oversight of the legal person’s operations and compliance efforts either by the judiciary or by a court-appointed corporate monitor (found in at least six countries,110 or 15%); (2) prohibition on advertising the business (e.g. Poland); and (3) orders for the publication of sentence (e.g. Belgium, Brazil, Canada, Czech Republic, France, Poland and Portugal). In another interesting example, defendants in three foreign bribery cases in in the United Kingdom were required to make payments to the country of the bribed official in addition to other financial penalties.
8. Mitigating factors for sanctions. Some Parties provide for mitigating factors that will be considered when determining the degree to which a legal person will be punished for foreign bribery. Table 14 provides data on selected mitigating factors found in the Parties’ LP liability systems. These mitigating factors include: (i) the existence and effectiveness of compliance systems,111 (ii) self-reporting a violation to the authorities,112 at least under certain conditions; and (iii) cooperation with investigations55. These mitigating factors are a key part of the incentive system that encourages companies to play a role in the law enforcement process. While providing for mitigating factors may be an effective way of creating incentives for effective compliance, cooperation, and voluntary disclosure, the use of mitigating factors without clear criteria or instructions could render the sanctioning process less transparent
53
United Kingdom Phase 3 para. 207. See, e.g., Colombia Phase 1 para. 54 (observing that the actual use of Colombia’s sanction of “suspension or dissolution of the legal person” is “improbable, or at the very least, very limited” and warning that its use could be “considered inappropriate and disproportionate to the act committed”). 55 At least 11 Parties (27%) will give credit for cooperating with an investigation, such as providing documents or identifying wrongdoers. These include Australia, Austria, Brazil, Canada, Colombia, Denmark, Estonia, Germany, Iceland, Israel, Portugal, Spain, the United Kingdom, and the United States. 54
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The liability of legal persons for foreign bribery
and predictable56. Although the data are not presented in the Table, at least seven Parties (17%) provide guidance for judges, prosecutors or to the general public on how these sanctions are to be applied57.
9. Settlements. Table 15 presents comparative information on whether, in each Party to the Anti- Bribery Convention, it is possible to resolve foreign bribery cases involving legal persons using settlements. It shows: (1) whether settlement is possible; (2) whether settlement arrangements can result in a conviction; and (3) whether settlements can be concluded without a conviction. Here the term “settlement” is used broadly to describe all agreements to either resolve or defer the prosecution of, a foreign bribery case involving a legal person. Various terms are used in the WGB reports to describe these settlements or agreements58, which signals that they may have important differences in their conditions and effects. As shown in Figure 10 above, 25 Parties (61%) provide for settlements to resolve matters relating to foreign bribery (and typically for matters concerning other unlawful activities). Of these, 19 countries (46%) have arrangements for settlements with legal persons that result in a conviction or plea agreement; and 14 countries (34%) have arrangements for settlements that can be concluded without conviction. Eight countries (20%) have both options59. A number of WGB reports have assessed settlement arrangements: • Italy. The patteggiamento procedure, which is akin to plea-bargaining, is credited in WGB reports with boosting Italy’s enforcement efforts and effectiveness. The WGB states that the procedure has been “instrumental to the settlement and sanction of foreign bribery cases”60. Patteggiamento advances two main aims: (1) avoiding the dismissal of cases because of the statute of limitations and (2) choosing the most economically viable solution against a background of complex investigations and scarce resources. According to the reports, the procedure succeeded, in a few cases, in streamlining judicial processes enough to prevent the dismissal of these cases because of the statute of limitations. It also encourages future legal compliance by providing for “the extinction of the offence if the defendant commits no other offences of the same kind during the five years following sentencing”61. • Switzerland. The WGB evaluates Swiss settlement procedures as follows: “Such procedures have undeniable advantages for law enforcement authorities, in that they streamline procedures and reduce costs. The use of such procedures in transnational bribery matters is not isolated to Switzerland: these procedures exist in several Parties to the Anti-Bribery Convention in various forms and have sometimes proved useful in these countries … How-
56
See e.g., Estonia Phase 3 pages 56-57 (Recommendation 2(c)) (“Provide appropriate guidance on, inter alia, factors to be taken into account when considering whether to enter into settlement agreements and the degree of mitigation of sanctions, to ensure that pleabargaining does not impede the effective enforcement of foreign bribery”). 57 These are Brazil, Chile, Germany, Israel, Korea, the United Kingdom and the United States. 58 These include, for example, “diversion” for a settlement without conviction in Austria and “patteggiamento” for a settlement with conviction in Italy. 59 These are: Australia, Chile, Estonia, Germany, Mexico, Switzerland, United Kingdom and United States. 60 Italy Phase 3 para. 95. 61 Italy Phase 3 para. 94.
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Paola Porcelli
ever, the use of these procedures does raise some questions, in the absence of documents or guidelines setting out a framework for law enforcement authorities and due to the fact that the final decision is sometimes confidential …”62. • United States. The United States has three types of settlement arrangements: nonprosecution agreements (NPAs), deferred-prosecution agreements (DPAs), and plea agreements (PAs). The WGB credits these settlement arrangements with boosting public enforcement efforts: “The United States strongly believes that such agreements are an efficient way to resolve foreign bribery cases. In their view, these agreements provide both appropriate punishment and flexibility to reward voluntary disclosures and co-operation. This practice has worked well in the U.S. legal system, resulting in strong enforcement and private sector compliance efforts”63. Settlement arrangements – especially those that provide flexibility for prosecutors and judges – create discretion and therefore present the challenge of guiding this discretion so that such arrangements are used and applied appropriately, while respecting basic legal values of transparency, predictability and non-discrimination. Although the data are not presented in Table 15, the WGB reports document the use of several mechanisms designed to guide this discretion: • Court review and approval of the settlement is one way to ensure that discretion is properly exercised when concluding settlements and establishing their terms. • Guidance/guidelines for judges and prosecutors. Another way is to publish guidance on how settlements are to be concluded and what they are to contain. At least nine countries (22%) have issued some form of guidance on whether and how such settlements should be reached. Publication of settlements. Publication of settlements enhances the transparency of the process. WGB reports mention that settlements are or can be made public in a number of countries (e.g. Czech Republic (in anonymised form), Estonia, Netherlands, Norway, and the United States). The WGB has also encouraged countries to make these settlements public64.
62
Switzerland Phase 3 para. 41. United States Phase 3 para. 108. 64 See, e.g., Belgium Phase 3 page 60 (Recommendation 5) (“With respect to settlement, the Working Group recommends that Belgium make public, as necessary and in compliance with the relevant rules of procedure, the most important elements of settlements concluded in foreign bribery cases, in particular the main facts, the natural or legal persons sanctioned, the approved sanctions and the assets that are surrendered voluntarily”); Denmark Phase 3 page 51 (Recommendation 3(c) (“Denmark adopt a clear framework for out-of-court settlements and make public, where appropriate and in conformity with the applicable rules, as much information about settlement agreements as possible”); Italy Phase 3 pages 52-53 (Recommendation 4(e)) (“Make public, where appropriate …, certain elements of the arrangements reached through patteggiamento, such as the reasons why patteggiamento was deemed appropriate … and the terms of the arrangement, in particular, the amount agreed to be paid”); Latvia Phase 2 pages 74-75 (Recommendation 9(e)) (recommending that Latvia “make public, where appropriate and in conformity with applicable rules, available information about the settlements in foreign bribery cases, including the facts, the reason for settlement, the terms of the settlement, and any sanctions imposed”); and United Kingdom Phase 3 page 61 (Recommendation 5(c) (recommending that the UK “make public, where appropriate and in conformity with the applicable rules, as much information about settlement agreements as possible, including on the SFO’s website”). 63
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Walter Rotonda
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Luca Ciccotti
Nigeria: aspetti economici e di sicurezza Sommario: 1. La Repubblica Federale della Nigeria. – 2. Aspetti economici. – 3. Aspetti finanziari. – 4. Accordi internazionali. – 5. I flussi migratori. – 6. Corruzione e riciclaggio. – 7. Tensioni sociali. – 8. Conclusioni. Abstract Nigeria is a member of the United Nations Organization, the African Union and the Economic Community of the Western African States and is one of the promoters of the New Partnership for African Development with the aim of promoting democracy and economic stability. Nigeria’s strength, after independence, has been the political ability to maintain its unity, in spite of the persistent development of the economy due to oil, has not filled the pre-existing territorial, economic, social imbalances and religious, who in great contrasts with the North, generally poorer and backward, to a richer, more dynamic and modern South. Country’s economic growth is significant, the Nigeria is the 11th global gas producer and the first OPEC country for associated gas burned in the atmosphere, most of which is located in the same areas of oil extraction but the distribution of income is strongly unequal. Increasing living standards throughout the country could be vital to countering the political - social tension. La Nigeria è membro dell’Organizzazione delle Nazione Unite, dell’Unione Africana e della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale ed è uno dei paesi promotori del New Partnership for African Development, con il fine di promuovere la democrazia e la stabilità economica. Uno dei punti di forza della Nigeria, dopo l’indipendenza, è stata la capacità politica di conservare la propria unità, infatti, nonostante l’economia abbia registrato continui e sensibili sviluppi, specialmente dovuti al petrolio, non ha colmato i preesistenti squilibri territoriali, economici, sociali e religiosi, che a grandi linee contrappongono un nord, globalmente più povero e arretrato, a un sud più ricco, dinamico e moderno. La crescita economica del Paese è significativa, è l’11° produttore mondiale di gas, il primo Paese OPEC per gas associati bruciati nell’atmosfera, che per la maggior parte si localizza nelle stesse aree di estrazione del petrolio ma la distribuzione del reddito è fortemente ineguale. Aumentare gli standard di vita in tutto il Paese potrebbe essere utile per contrastare le tensioni politico-sociali interne.
1. La Repubblica Federale della Nigeria. La Repubblica Federale della Nigeria, ex colonia britannica ed indipendente dal 1° ottobre 1960, è suddivisa in 36 stati, oltre a Abuja, il Territorio della Capitale Federale. La Nigeria è membro dell’Organizzazione delle Nazione Unite, dell’Unione Africana e della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Economic Community of the Western
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Relazione resa al Convegno organizzato dall’Istituto Superiore di Scienze criminali e dalla Scuola Superiore della Magistratura, in Siracusa, 22.06.2016
Walter Rotonda e Luca Ciccotti
African States (ECOWAS) ed è uno dei paesi promotori del New Partnership for African Development (NEPAD), con il fine di promuovere la democrazia e la stabilità economica. Il Paese, con una popolazione di circa 178 milioni di abitanti, è costituito da diverse componenti etniche, linguistiche e religiose, e secondo recenti proiezioni dell’ONU potrebbe raggiungere nel 2050 i 400 milioni di abitanti. A nord si ha una prevalenza musulmana (41% la maggior parte dei quali Sunniti1) mentre al sud cristiana (circa la metà della popolazione), ed è altresì composta da circa 300 gruppi etnici2. Uno dei punti di forza della Nigeria, dopo l’indipendenza, è stata la capacità politica di conservare la propria unità, infatti, nonostante l’economia abbia registrato continui e sensibili sviluppi, specialmente dovuti al petrolio, non ha colmato i preesistenti squilibri territoriali, economici, sociali e religiosi, che a grandi linee contrappongono un nord, globalmente più povero e arretrato, a un sud più ricco, dinamico e moderno.
2. Aspetti economici. La crescita economica del Paese è significativa, 11° produttore mondiale di gas, primo Paese OPEC per gas associati bruciati nell’atmosfera, che per la maggior parte si localizza nelle stesse aree di estrazione del petrolio, ma la distribuzione del reddito è fortemente ineguale3. La produzione del petrolio è controllata dalla Nigerian National Petroleum Corporation (NNPC), joint venture tra il Governo Federale e alcune multinazionali straniere. L’economia del Paese si basa sulle esportazioni petrolifere, che ricoprono il 90% del valore, rimanendo quindi molto sensibile alle variazioni dei prezzi del petrolio sul mercato internazionale, nonostante il tentativo di politiche di diversificazione attuate dal Governo4. Il Governo mantiene una politica protezionistica attraverso l’applicazione di divieti alle importazioni o la presenza di dazi ingenti. Attualmente, i maggiori fornitori di impianti per le estrazioni minerarie, le infrastrutture e i prodotti alimentari e manifatturieri sono la Cina e gli USA, che sono anche i principali interlocutori internazionali a livello politico, nonché l’India, divenuto il secondo fornitore di beni di consumo, i cui investimenti sono maggiormente orientati verso il settore energetico. Il Governo ha avviato, nel campo energetico, la privatizzazione di tutte le imprese pubbliche di produzione e di distribuzione, prevedendo inoltre, per le imprese straniere che intendono operare nell’industria del petrolio e del gas, secondo la normativa vigente5, l’obbligo ad impiegare una elevata percentuale di manodopera, di quadri e di dirigenti nigeriani. Il Ministero per lo Sviluppo delle Miniere e dell’Acciaio incentiva gli investimenti nel settore estrattivo attraverso la concessione di licenze in regime agevolato6, in quanto seppur ricca di materie prime, la Nigeria dispone di una carente industria estrattiva e di trasformazione nonché infrastrutture civili.
1
In dodici Stati, vige il codice penale islamico basato sui precetti del Corano (sharia). https://it.wikipedia.org/wiki/Demografia_della_Nigeria. 3 circa il 61% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno, National Bureau of Statistics. 4 esempio: piano di sviluppo approvato dal Governo riguarda i settori dell’agricoltura e dell’agro-industria; iniziativa della National Automotive Council per l’attrazione di investimenti per la produzione e l’assemblaggio in loco di autoveicoli (www.nac.gov.ng). 5 Nigerian Oil and Gas Industry Content Development Bill, 2010. 6 Nigerian Minerals and Mining Act, 2007. 2
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Nigeria: aspetti economicie di sicurezza
3. Aspetti finanziari. La legge7 del 1995 in materia di investimenti esteri ha instituito l’Agenzia governativa con competenze in materia di promozione ed assistenza agli imprenditori stranieri interessati ad investire nel Paese. Le imprese che desiderano investire ed operare in Nigeria debbono registrare un’azienda in loco in base al diritto nigeriano. Dal 1958 il Gruppo della Banca mondiale ha sostenuto la Nigeria attraverso la Banca internazionale per la ricostruzione e finanziamenti per lo sviluppo (BIRS) e l’International Development Association (IDA). Inoltre, è stato previsto un Fondo Speciale di circa un miliardo di Euro per incentivare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese, di cui 600 milioni saranno destinati all’imprenditoria giovanile e femminile. La banca centrale è la Central Bank of Nigeria. Sono, inoltre, presenti le seguenti banche commerciali e d’affari: Access Bank Plc; Citibank Nigeria; Diamond Bank Nigeria; Ecobank Nigeria; Enterprise Bank Nigeria; Fidelity Bank Nigeria; First Bank of Nigeria; First City Monument Bank Nigeria; Guaranty Trust Bank; Heritage Banking Company Nigeria; Jaiz Bank Plc; Key Stone Bank Nigeria; MainStreet Bank Nigeria; Rand Merchant Bank Nigeria; Skye Bank Nigeria; Stanbic IBTC Bank Nigeria; Standard Chartered Bank Nigeria; Sterling Bank Nigeria; Union Bank of Nigeria; United Bank for Africa; Unity Bank Nigeria; Wema Bank Nigeria; Zenith Bank. La Banca Centrale Nigeriana (BCN) sta eseguendo una politica di riduzione e migliore controllo dell’enorme massa monetaria in circolazione, attraverso l’incentivazione degli scambi elettronici e l’utilizzo di carte di credito/debito (politica “cashless”). Tale attività ha permesso l’aumento dei possessori di conti correnti dai circa 17 milioni del 2010 ai circa 28 milioni nel 2012. Tra le attività poste in essere dalla BCN segnaliamo l’obbligo per ogni operatore commerciale del codice di verifica biometrica (BVN) per l’effettuazione di ogni transazione in valuta di denunciare, sia in entrata che in uscita, ogni importo superiore ai 10.000 dollari statunitensi, o un valore equivalente in altre valute, compresa quella locale8. Il continente africano è già oggi leader mondiale nel mobile money, cioè di possessori di un account mobile money utilizzato per il trasferimento di denaro, per il pagamento delle bollette e per le piccole transazioni online. Tra i segmenti che beneficeranno dallo sviluppo del mobile money vi sono: il settore bancario e assicurativo, le telecomunicazioni e gli operatori di telefonia mobile, la vendita al dettaglio (retail).
4. Accordi internazionali. In Nigeria sono in vigore i sottoelencati accordi: - 1978 l’Accordo per Evitare le Doppie Imposizioni sui Redditi Derivanti dalla Navigazione Aerea e Marittima; - 2000 Accordo di Cotonou, che disciplina i rapporti fra l’UE e gli Stati ACP (Africa, Caraibi, Pacifico); - 2005 l’Accordo sulla Reciproca Promozione e Protezione degli Investimenti; - 2005 l’Accordo per la cancellazione di 1,5 MLD di debito pubblico nigeriano. La “Nigeria
7
Nigerian Investment Promotion Commission (NIPC), Nigerian Investment Promotion Commission Act, Chapter N117, (Decree No 16 of 1995), Laws of the Federation of Nigeria. 8 www.customs.gov.ng.
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Investment Promotion Commission - NIPC” è la controparte locale con competenze per l’applicazione dell’accordo (www.nipc.gov.ng); - 2000 l’Accordo per la Reciproca Promozione e Protezione degli Investimenti tra Italia e Nigeria; - Accordi di carattere finanziario in tema di debito pubblico e privato nigeriano secondo i termini del Club di Parigi, firmati nel 1989, 1990, 1992 e 2004; - È in vigore un Accordo Bilaterale con l’Italia sui Servizi Aerei. Sono attualmente in corso i negoziati tra ECOWAS e Unione Europea sugli Accordi di Partenariato Economico (Economic Partnership Agreement - EPA) per la liberalizzazione degli scambi commerciali. Tali negoziati sono condotti dalla Commissione UE per superare gli effetti della decadenza del regime tariffario UE-Africa (regolato su basi preferenziali dal predetto Accordo di Cotonou che, dopo la deroga concessa dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, è scaduto il 31 dicembre 2007). Quindi, l’enorme afflusso valutario apportato dal petrolio ha determinato, nell’immediato, un vertiginoso aumento del costo della vita ed una drammatica crisi del settore agricolo, con un conseguente massiccio esodo rurale. Conseguenza diretta è stata la crescita oltre misura delle città che, cessato l’effetto del boom petrolifero, sono contrassegnate dalla presenza di grandi masse di disoccupati e sottoccupati, possibili generatori di crescenti tensioni sociali. La precaria situazione economica interna non è aiutata dalla presenza di: • corruzione (diffusa specialmente nel settore estrattivo e che si riflette sull’apparato statale e burocratico del Paese); • tensioni sociali; • carenza di infrastrutture. La Nigeria, a causa dell’attuale instabilità economica, sociale e politica, dovrà migliorare i settori della sicurezza e gli aspetti sociali che potrebbero avere un riflesso positivo nel lungo termine. Se da un lato è opinione diffusa che l’economia nigeriana sarà in grado di crescere per creare posti di lavoro sufficienti ad assorbire quelli attualmente in cerca di lavoro e coloro che entreranno nel mercato del lavoro nei prossimi anni, dall’altro l’instabilità sociale nel nord islamista, l’etno-nazionalismo nella principale regione produttrice di petrolio al sud e le tensioni interreligiose in tutto il centro, potrebbero sovrastare l’effetto positivo di una crescita economica non eccezionale spingendo alcuni giovani nigeriani verso gruppi militari. Aumentare gli standard di vita in tutto il Paese migliorando gli indicatori di salute, l’istruzione e le infrastrutture per le attività economiche, come le forniture energetiche e le vie di comunicazione potrebbe essere di vitale importanza per contrastare l’arruolamento dei giovani nei gruppi militari. Tutto ciò corrisponde in sintesi a: - immigrazione; - corruzione; - tensioni sociali (banditismo interno e dalla violenza settaria).
5. I flussi migratori. La Nigeria, a causa delle su citate problematiche economiche e sociali, potrebbe essere un Paese ad altissimo rischio di immigrazione9 a causa della povertà, delle guerre e delle carestie che spingono le popolazioni a emigrare più degli altri.
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http://www.stoptratta.org/campaign/sites/default/files/Nigeria.pdf.
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Alcuni studi analizzando i dati ILO10 e ONU11 portano a credere che nei prossimi anni l’immigrazione dall’Africa verso l’Europa potrebbe cambiare portando alle nostre porte le popolazioni dei paesi del centro e del sud dell’Africa. Ciò dipende dal fatto che l’emigrazione, come un qualsiasi altro fenomeno sociale, segue gli eventi storici, demografici ed economici. I principali eventi che caratterizzano l’immigrazione sono: • le dinamiche occupazionali; • i mutamenti demografici (il tasso di natalità è tra le 14,5 e 49 nascite ogni mille persone, alcuni Paesi in Africa presentano oggi un tasso di 4-5 figli per donna); • la storia di migrazione di ciascun Paese di destinazione; • la storia africana degli ultimi dieci anni cioè dei Paesi di partenza; • il reddito pro-capite (circa il 61% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno, National Bureau of Statistics). Due sono oggi le principali rotte seguite dai flussi migratori: quella italiana cha accoglie i profughi provenienti dalla Tunisia, Libia, Egitto, Turchia e Grecia, per poi dirigersi verso la Francia e il Nord Europa e quella balcanica che dalla Grecia passa attraverso Macedonia e Serbia per raggiungere l’Ungheria.
6. Corruzione e Riciclaggio. La corruzione rimane molto elevata e diffusa. L’Indice della Corruzione Percepita pubblicato da Transaparency International colloca la Nigeria al 144mo posto su 174 Paesi (fonte BCE). Nonostante l’impegno del Governo, le condanne legate al fenomeno della corruzione sono ancora limitate. La Banca Centrale Nigeriana, come già accennato, si è attivata per una politica di riduzione e migliore controllo della circolazione di moneta attraverso la politica del “cashless” e rendendo obbligatorio il codice di verifica biometrica per ogni operatore commerciale per l’effettuazione di ogni transazione in valuta. La Nigeria ha migliorato alcuni controlli anti-riciclaggio di denaro, con conseguente sua rimozione dai Paesi non cooperativi Financial Action Task Force (GAFI) con l’istituzione nel 2004 dell’Unità di informazione finanziaria (NFIU).
7. Tensioni sociali. Nel centro sud e sud est del Paese, in particolare nel Delta del Niger, si segnala un’elevata attività criminale rivolta anche contro espatriati ed imprese straniere e numerosi atti di pirateria, che si verificano in prossimità delle coste a danno di piattaforme petrolifere off-shore e di imbarcazioni commerciali e civili12. Il rischio di sequestri di persona con finalità terroristiche o a scopo estorsivo, anche alla luce della gravissima crisi economica in atto, è alto in tutto il Paese.
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http://www.ilo.org/addisababa/media-centre/pr/WCMS_513123/lang--en/index.htm. http://www.unhcr.org/nigeria.html. http://www.viaggiaresicuri.it.
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Si registra un significativo incremento delle attività criminali e di sequestro in coincidenza con le principali festività. Per fronteggiare tali violenze le autorità nigeriane sono in taluni casi costrette a decretare lo stato di emergenza nelle aree interessate con conseguenti maggiori controlli di sicurezza e probabili limitazioni ai movimenti di cose e persone, le cui modalità possono variare di zona in zona. L’instabilità della Nigeria non dipendono solo dalle tensioni religiose tra musulmani a Nord e cristiani a Sud, ma anche dagli interessi tribali e regionali legati allo sfruttamento delle risorse naturali, dalla corruzione dei politici locali e dalla povertà in cui vive la maggioranza della popolazione. Sono queste le vulnerabilità che l’organizzazione jihadista può sfruttare per consolidare il suo potere sul territorio. Arginare l’ascesa dell’organizzazione jihadista pare indispensabile per evitare che la sua ombra si estenda sul resto dell’Africa nordoccidentale. Nonostante l’offerta di incentivi fiscali per gli investitori permangono i limiti rappresentati dall’instabilità politica, dalla carenza di infrastrutture, in particolare le strade, le linee ferroviarie, gli impianti portuali, ed un appartato legislativo a tutela della proprietà non efficiente.
8. Conclusioni. Operare in Nigeria significa muoversi in contesti commerciali estremamente difficili dove spesso emergono fattori quali corruzione, gruppi di interesse molto influenti, debole regolamentazione e scarsa corporate governance. Nonostante la ricchezza di materia prime la Nigeria è carente di riforme legislative, di infrastrutture, di un efficiente sistema burocratico. Inoltre, le politiche commerciali restrittive, un contesto normativo incoerente, un sistema giudiziario lento e inefficace, che genera incertezze per la risoluzione delle controversie, la poca sicurezza e la corruzione dilagante rendono il Paese difficile agli investimenti. Sitografia http://www.deagostinigeografia.it www.infomercatiesteri http://www.sace.it http://country.eiu.com/nigeria The Economist Intelligence Unit http://www.limesonline.com https://www.worldbank.org https://donazioni.medicisenzafrontiere.it http://www.ilsole24ore.com http://www.mercatiaconfronto.it http://www.unimondo.org http://www.fondiesicav.it http://www.swissinfo.ch http://www.agenzianova.com https://afrofocus.com http://www.ambabuja.esteri.it www.ambabuja.esteri.it http://www.occhidellaguerra.it http://www.viaggiaresicuri.it 224
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Le organizzazioni non governative in Kosovo Abstract On 17th February 2008 Kosovo has self-proclaimed Parliamentary Republic independent from Serbia. Kosovo has been recognized as an independent state by 115 of the 193 UN member states since 2015 NGOs, since the war in Bosnia and later in Kosovo, have found fertile ground in a country where the average salary is around 300 euros monthly and unemployment is about 50%. According to official sources, registered NGOs in December 2013 are 7,452, of which 6,947 are local and 505 are international. The aims of some NGOs appear to be not only for humanitarian purposes but could be detected as an illicit financing instrument through: - exploitation of a legitimate and unconscious humanitarian organization; - support for terrorism by a foundation. Il Kosovo si è autoproclamato Repubblica Parlamentare indipendente dalla Serbia il 17 febbraio 2008 ed è, dal 2015, riconosciuta come uno Stato indipendente da 115 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite. Le ONG, a partire dalla guerra in Bosnia e successivamente in Kosovo, hanno trovato terreno fertile in un paese dove lo stipendio medio è di circa 300 euro al mese e la disoccupazione risulta essere di circa il 50%. Secondo fonti ufficiali le ONG registrate nel Dicembre del 2013 sono 7.452, di cui 6.947 sono locali e 505 sono internazionali. Gli obiettivi di alcune ONG sembrerebbero essere non solamente a fini umanitari ma potrebbero rilevarsi strumento di finanziamento illecito attraverso: sfruttamento di un’organizzazione umanitaria legittima ed inconsapevole; sostegno consapevole al terrorismo da parte di una fondazione.
Il Kosovo si è autoproclamato Repubblica Parlamentare indipendente dalla Serbia il 17 febbraio 2008 ed è, dal 2015, riconosciuta come uno Stato indipendente da 115 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite1. Il Kosovo continua a mostrare una crescita economica debole, sebbene la popolazione kosovara sia la più giovane d’Europa e nonostante gli ingenti aiuti internazionali degli ultimi quindici anni. La disoccupazione è tra le più alte d’Europa, anche se l’economia sommersa e forme di lavoro familiare possono avere un certo impatto su tale dato. La fragilità energetica del Paese incide sulla stabilità sociale e sull’attrazione di investimenti diretti esteri e interni e rappresenta uno dei principali ostacoli alla crescita economica2. L’economia kosovara è fortemente dipendente dagli aiuti esteri e dalle rimesse degli emigrati, queste ultime, nonostante la crisi economico-finanziaria, hanno evidenziato una buona tenuta. In Kosovo, il volume dell’economia sommersa ed il tasso di evasione fiscale costituiscono una voce importante del PIL del Paese, a cui si aggiunge un’alta circolazione di denaro contante che potrebbe facilitare il riciclaggio di denaro.
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http://surrounded.it/kosovo/ http://www.ice.it/paesi/europa/albania/upload/082/Scheda%20Paese-Dicembre%202013%20Kosovo.pdf
Walter Rotonda e Luca Ciccotti
Le ONG, a partire dalla guerra in Bosnia e successivamente in Kosovo, hanno trovato terreno fertile in un paese dove lo stipendio medio è di circa 300 euro al mese e la disoccupazione risulta essere di circa il 50%3. Secondo fonti ufficiali le ONG registrate nel Dicembre del 2013 sono 7.452, di cui 6.947 sono locali e 505 sono internazionali. Gli obiettivi di alcune ONG sembrerebbero essere non solamente a fini umanitari, ma potrebbero rilevarsi strumento di finanziamento illecito attraverso: - sfruttamento di un’organizzazione umanitaria legittima ed inconsapevole; - sostegno consapevole al terrorismo da parte di una fondazione. Si è assistito, poi, nel tempo anche ad un mutamento nelle scelte di finanziamento di queste organizzazioni per cui, da investimenti in progetti specifici, si sono spostate verso investimenti in progetti più generici che permettono di celare meglio il movimento di grosse somme di denaro. La legge nr. 04/L – 057 sulla libertà di associazione in organizzazioni non governative (ONG) prevede che le medesime siano soggette alla registrazione presso il Ministero della Pubblica Amministrazione, Dipartimento per la registrazione e di collegamento delle ONG (DRLNGO), nel quale sono incardinati la Divisione per la Registrazione delle ONG (DRNGOs) e la Divisione dell’analisi finanziaria delle ONG (DNGOsFA)4. La citata norma definisce le ONG locale come “un’associazione/fondazione istituita in Kosovo con il fine, secondo la legge, pubblico oppure di reciproco interesse”. Inoltre, la norma classifica le ONG in: - associazione: è un’organizzazione di soci e può essere istituita da almeno tre o più persone, almeno una persona deve avere la residenza oppure sede in Kosovo; - fondazione: è un’organizzazione costituita da un patrimonio preordinato al perseguimento di un determinato scopo e formata da una o più persone di cui almeno una persona deve essere residente oppure avere la sede in Kosovo. Per la registrazione dell’associazione/fondazione, l’art. 6 della citata legge sancisce che sono richiesti i seguenti dati: - il nome, l’acronimo e logo ufficiale dell’organizzazione; - la forma organizzativa (associazione/fondazione); - lo scopo e le attività dell’organizzazione; - i nomi e gli indirizzi dei fondatori; - i nomi, gli indirizzi ed altri dati della persona/e autorizzata/e a rappresentarla. Secondo la normativa vigente, le organizzazioni locali ed internazionali non possono distribuire gli utili ed i profitti a fine anno. Inoltre, l’art. 17 prevede che le organizzazioni possono richiedere fondi pubblici qualora perseguano le seguenti attività: assistenza umanitaria, supporto ai disabili, attività di beneficienza, educazione, sanità, cultura, sport e sviluppo e ricostruzione economica e qualora il reddito delle suddette organizzazioni superi i 100.000 Euro, le stesse dovranno redigere il
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http://www.transconflict.com/approach/think/policy/human-security-through-civil-society-in-post-war-kosovo/ http://www.icnl.org/research/library/files/Kosovo/assoc.pdf
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Le organizzazioni non governative in Kosovo
“Audit Report”, ovvero un documento, formale riassuntivo delle attività svolte nel corso dell’incarico, in cui eventuali anomalie (non conformità, punti deboli, difetti, raccomandazioni, ecc.) vengono dettagliatamente descritte e suggerite le possibili azioni correttive. Al fine dell’analisi del fenomeno in parola, è utile la legge kosovara nr. 04/L – 178 “sulla prevenzione del riciclaggio e prevenzione del finanziamento al terrorismo” che integra la legge nr. 03/L – 196. La struttura preposta al controllo ed al monitoraggio dei flussi finanziari provenienti dall’estero, come previsto dalla legge nr. No. 03/L-196 sulla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo, è la Financial Intelligence Unit (FIU), istituita presso il Ministero delle Finanze e dell’Economia della Repubblica del Kosovo, e dotata di piena autonomia operativa e gestionale. L’art. 1 della citata legge prevede l’istituzione della Financial Intelligence Unit (FIU)5, l’unità di intelligence finanziaria preposta alla raccolta, analisi e trasmissione, qualora ne ricorrano i presupposti, l’istituzione di dati ed informazioni di natura finanziaria negli specifici settori del contrasto al riciclaggio di denaro ed al finanziamento del terrorismo ai seguenti Organi Istituzionali: - Polizia; - Autorità Giudiziaria; - Kosovo Intelligence Agency; - Dogane; - Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento delle Imposte; - KFOR (Kosovo Force) è una forza militare internazionale guidata dalla NATO; - FIU estere. I dati trasmessi dalle banche (il settore bancario kosovaro è costituito dalla presenza di banche internazionali e locali), dalle istituzioni finanziarie, dai partiti politici, dalle ONG, dalle imprese, vengono analizzati dalla FIU e si classificano in transazioni finanziarie superiori al limite di legge e transazioni, anche al di sotto del limite di legge, che per modalità, tempi di esecuzione e soggetti coinvolti risultino sospette. All’interno della FIU è presente una sezione che si occupa di effettuare controlli presso tutti i soggetti obbligati con il fine di garantire il regolare flusso informativo. In data 12 marzo 2015 il Parlamento del Kosovo ha varato la legge nr. 05/L-002 in materia di divieto a partecipare ai conflitti armati fuori dal territorio dello Stato, che prevede la reclusione da 5 anni a 15 anni per chiunque organizza, recluta, guida oppure addestra persone /gruppi di persone con il fine di partecipare a conflitti armati fuori dalla Repubblica del Kosovo. Secondo quanto riportato da fonti giornalistiche, si rappresenta che è in atto la liberalizzazione dei visti dei passaporti emessi ai cittadini kosovari dalle autorità di Pristina nello spazio Schengen, che sarà operativa quando il Kosovo ratificherà l’accordo sulla delimitazione delle frontiere con il Montenegro ed intensificherà la lotta alla corruzione e alla criminalità. Sitografia http://surrounded.it/kosovo/ http://www.ice.it/paesi/europa/albania/upload/082/Scheda%20Paese-Dicembre%202013%20
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http://www.kuvendikosoves.org/?cid=2,191,588
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Walter Rotonda e Luca Ciccotti
Kosovo.pdf http://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/es0454.pdf http://www.infomercatiesteri.it/quadro_macroeconomico.php?id_paesi=73 https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/(offset)/360/(classes)/article http://www.ice.it/paesi/pdf/kosovo.pdf http://www.finanza.com/Finanza/Notizie_Italia/Italia/notizia/Italia_economia_sommersa_e_illegale_vale_il_13_del_Pil_in-464037 http://www.theodora.com/wfbcurrent/kosovo/kosovo_economy.html http://www.focus-economics.com/countries/kosovo http://www.cof.org/content/kosovo https://www.scribd.com/document/63884463/Kosovo-Guidelines-for-NGO-registration-English http://www.kcsfoundation.org/?page=2,126#.WRHjN7BMQ3E http://www.kcsfoundation.org/?page=2,129#.WRHjcrBMQ3E http://kosovo-eubarometer.com/en/indikator-6.4 http://www.anti-moneylaundering.org/europe/Kosovo.aspx https://goaml.unodc.org/goaml/en/news_feed.html http://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/es0454.pdf http://www.finanza.com/Finanza/Notizie_Italia/Italia/notizia/Italia_economia_sommersa_e_illegale_vale_il_13_del_Pil_in-464037 http://www.kcsfoundation.org/?page=2,127#.WRHisrBMQ3E
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Giurisprudenza
europea
Gran Camera CEDU, 15 dicembre 2016, (dep. 15 dicembre 2016), n. 16483/12 – Pres. Luis Lòpez Guerra Trattenimento irregolare – violazione dell’art.5.1, 5.2 e 5.4 – divieto di espulsione collettiva – diritto di un ricorso effettivo sulle condizioni di trattenimento
Il testo integrale della sentenza è accessibile sul sito della rivista.
CEDU: l’Italia condannata per detenzione illegittima di migranti irregolari. Dubbi e riflessioni sulla sentenza della Gran Camera CEDU, sent. 15 dicembre 2016 n.16483/12 Sommario: 1. Premesse. – 2. Giudizio. – 3. Conclusioni.
1. Premesse. In data 15 dicembre 2016 è stata depositata la sentenza della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella causa Khlaifa e altri c. Italia, che ha visto condannata l’Italia per detenzione illegittima di migranti. La condanna, sebbene possa sembrare paradossale dato il grande impegno dell’Italia nell’accoglienza ed assistenza ai migranti, rappresenta una riconsiderazione in gran parte migliorativa rispetto alla precedente decisione operata dalla seconda Sezione Corte. La vicenda risale al 2011 quando i tre ricorrenti lasciavano la Tunisia su imbarcazioni di fortuna salpando in rotta dell’Italia e, approdati a Lampedusa tra il 17 e 18 settembre, vennero soccorsi ed identificati nel CSPA dell’isola, nonché offerto Loro generi di prima assistenza. Tuttavia, il 20 settembre 2011, a seguito di un incendio divampato nel centro, scoppiava una violenta rivolta tra i migranti e le autorità provvedevano a trasferirli nel parco sportivo dell’isola. I ricorrenti, tuttavia, riuscivano ad eludere la vigilanza e a raggiungere il paese di Lampedusa. Fermati, poi, dalla Polizia, il 22 settembre vennero trasferiti su alcune navi attraccate nel porto di Palermo, condotti in aeroporto e, previa identificazione da parte del
Giurisprudenza europea
console tunisino, rimpatriati in Tunisia secondo gli accordi internazionali tra le due Nazioni1. A seguito del ricorso da parte dei migranti alla Corte EDU, i Giudici di Strasburgo, con sentenza del 1.09.2015, condannavano l’Italia ex art. 3 CEDU per le condizioni disumane e degradanti patite dai ricorrenti presso il Centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa, nonché ex art. 4 CEDU per la successiva espulsione collettiva degli stessi. A seguito della condanna, il Governo italiano presentava istanza di rinvio alla Gran Camera sussistendone i requisiti di complessità e rilevanza, investendo così del giudizio la Corte nella sua composizione estesa2.
2. Giudizio. La Gran Camera, rianalizzando i presupposti in fatto, confermava la violazione dell’art 5 paragrafo 1 della Convenzione affermando come i ricorrenti furono stati indubbiamente trattenuti illegittimamente nel centro CSPA e successivamente nelle navi presso il porto di Palermo, in mancanza di una norma giuridica chiara di diritto interno che prevedesse tale forma di trattenimento, trasformando di fatto luoghi di assistenza in centri di detenzione. La Corte conferma, pertanto, che i ricorrenti, in base alle modalità con cui sono stati trattenuti, sarebbero stati privati della libertà in assenza di una norma giuridica che lo prevedesse e soprattutto che vennero Loro negate le garanzie fondamentali dell’habeas corpus. La Corte ha infatti rilevato che i ricorrenti: «were not only deprived of their liberty without a clear and accessible legal basis, they were also unable to enjoy the fundamental safeguards of habeas corpus, as laid down, for example, in Article 13 of the Italian Constitution. […] Since the applicant’s detention had not been validated by any decision, whether judicial or administrative, they were deprived of those important safeguards»3. Sulla scorta dell’illegittimità sostanziale della detenzione, la Gran Camera ha poi conseguentemente configurato la violazione dell’art. 5 par. 2, poiché il fermo non era stato motivato, nonché dell’art.5 par. 4, in quanto i ricorrenti erano stati privati del diritto di presentare ricorso avverso il provvedimento di fermo4. D’altro canto, i Giudici di seconda istanza, diversamente da quanto era stato sostenuto dalla Seconda Sezione della CEDU nella sentenza del 2015, non ravvisano la violazione dell’art.
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Nel aprile 2011 l’allora ministro degli esteri Maroni sottoscriveva con il Ministro tunisino Habib Essid, apposito accordo bilaterale sulla gestione degli sbarchi in Italia, in cui la Tunisia si impegnava a rafforzare i controlli sulle coste e ad accettare i migranti che a seguito di identificazione venivano rispediti in Patria (Accordo Italia Tunisia - Ministero degli esteri 5.4.2011). 2 La Grande Camera è formata dal Presidente della Corte, dai vicepresidenti e altri quattordici giudici per un totale di diciassette membri, la cui funzione è quella di esaminare e decidere i casi complessi. 3 CEDU Sent. 16483/12 Par. 105 4 CEDU Sent. 16483/12 Par. 123 «The applicants alleged that at no time had they been able to challenge the lawfulness of their deprivation of liberty. They relied on Article 5 § 4 of the Convention, which reads as follows: “Everyone who is deprived of his liberty by arrest or detention shall be entitled to take proceedings by which the lawfulness of his detention shall be decided speedily by a court and his release ordered if the detention is not lawful.”» La Corte ravvisa che l’art. 5 par. 4 presuppone il corollario del principio di riserva di legge in ordine al trattenimento illegittimo, proprio perché se fosse basato su principi di diritto permetterebbe anche la possibilità di ricorso da parte del soggetto, indipendentemente dalle forme del ricorso giurisdizionale (Chtoukatourov c. Russie, no 44009/05, § 123, CEDH 2008, et Stanev, precite, § 169).
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3 della Convenzione, ritenendo come i ricorrenti non avessero subito trattamenti disumani o degradanti, sia nel centro CSPA di Contrada Imbricola a Lampedusa, sia sulle navi presso il porto di Palermo. In particolare, nell’escludere qualsiasi violazione dell’art. 3 della CEDU i Giudici di Strasburgo hanno tenuto conto della situazione di emergenza nella quale le autorità italiane si sono trovate a operare, caratterizzata da un ingentissimo flusso migratorio in ingresso. Sul punto, la Corte ha messo in luce che i ricorrenti non hanno affermato di essere stati deliberatamente maltrattati dalle autorità presenti all’interno del CSPA, né asserito che il cibo o l’acqua fossero insufficienti. Tali elementi, secondo la Corte, considerati nel loro complesso e alla luce delle particolari circostanze del caso, non possono che far concludere che il trattamento lamentato non abbia raggiunto il livello di gravità necessaria per ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 3 della Convenzione. Ulteriore riformulazione operata dalla Corte in Gran Camera risulta la cassazione della violazione dell’art. 4, prot. 4 della CEDU riconoscendo il carattere non collettivo dell’espulsione effettuata dalle autorità italiane nel 2011 nei confronti dei ricorrenti, poiché gli stranieri, individuati singolarmente, erano stati allontanati in base a dei presupposti soggettivi, per cui non è applicabile, nel caso di specie, la definizione di “espulsione collettiva”, così come individuata dalla Risoluzione delle Nazioni Unite del 2014 (Resolution A/RES/69/119)5, per cui trattasi di espulsione collettiva quando si allontano dal territorio di una nazione degli stranieri individuati come gruppo. Infine, i Giudici di Strasburgo hanno confermato la violazione dell’art. 13 della Convenzione, ovvero circa il diritto ad avere un ricorso effettivo, in relazione all’art. 3 CEDU, in quanto il Governo italiano non avrebbe indicato alcun rimedio esperibile al fine di lamentare le condizioni di trattenimento e contestare il trattamento degradante, operato a Loro dire nei CPSA o successivamente sulle navi. Per inverso, la Gran Camera non ravvisa alcuna violazione dell’art. 13 della Convenzione in combinato disposto con l’art. 4 del Protocollo n. 4, poiché la mancanza di un effetto sospensivo automatico di un ricorso contro una decisione di espulsione non può di per sé costituire una violazione della Convenzione, quando i ricorrenti non subiscono un rischio reale di violazione dei diritti garantiti dagli artt. 2 e 3 del paese di destinazione. L’effetto sospensivo del provvedimento di espulsione, per inverso, sarebbe stato un diritto innegabile se i ricorrenti avessero provato che nel paese di destinazione avrebbero potuto subire un pericolo alla vita o all’incolumità fisica, condizioni tuttavia che non vennero individuate. Nei casi infatti in cui non sono ravvisabili i presupposti di un rischio alla vita o alla propria incolumità (art. 2 e 3 Convenzione) si richiede unicamente che l’interessato abbia l’effettiva possibilità di impugnare la decisione e la garanzia di un esame sufficientemente approfondito dei motivi di doglianza da parte di un organo interno indipendente e imparziale.
3. Conclusioni. L’Italia da decenni si pone quale Nazione europea al centro del problema dell’immigrazione clandestina lungo la rotta marittima mediterranea, i cui unici strumenti per cercare di arginare il fenomeno sono stati, di volta in volta, i soli accordi bilaterali con le principali Nazioni nordafricane, che garantissero temporaneamente controlli sulle coste d’origine.
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CEDU Sent. 16483/12 Par. 46-47.
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Giurisprudenza europea
A parere di chi scrive, la sentenza in commento non rappresenta tanto una condanna per l’Italia, quanto il monito per l’Europa intera, Italia compresa, che in tema di immigrazione e di lotta all’emergenza umanitaria, il quadro legislativo, sia europeo, sia nazionale, è ancora molto scarno. Da una parte la necessità di gestire situazioni di crisi, nonché le difficoltà derivanti dal costante flusso di migranti che mettono a repentaglio la loro vita nelle rotte marittime tra Europa e Nord Africa, non può essere definita solamente attraverso procedure di soft law, dall’altra i diritti e le garanzie di legalità sostanziale, nelle procedure di gestione dei migranti, non possono in ogni caso comprimersi, dovendosi comunque sempre garantire la c.d. garanzia giurisdizionale. La Gran Camera sancisce infatti che, sebbene le Autorità italiane, nei limiti della gestione dello stato d’emergenza, non hanno operato alcun trattamento disumano o degradante, tuttavia non può negarsi, neppure nelle procedure d’urgenza, l’accesso alla giurisdizione da parte di coloro che sono sottoposti a restrizioni dei propri diritti, non per ultima la libertà personale, in quanto contrariamente si violerebbe uno dei principi cardine del costituzionalismo europeo, ovvero lo Stato di diritto. La Corte ha, infatti, osservato che la privazione della libertà dei ricorrenti, in assenza di un fondamento legale chiaro e comprensibile, viola lo stesso principio di sicurezza e di certezza del diritto: il decreto di respingimento emesso dalle autorità italiane non conteneva infatti alcun riferimento alla detenzione dei ricorrenti, ai suoi motivi giuridici e di fatto, né era stato loro trasmesso nel più breve tempo; inoltre il sistema giuridico italiano non offriva la possibilità di un ricorso che consentisse di ottenere una decisione giurisdizionale sulla legalità della loro privazione della libertà. La violazione dell’art. 5 della Convenzione si configura, pertanto, in virtù della violazione di quei principi alla base del diritto penale moderno, ovvero che qualsivoglia limitazione alla libertà personale debba unicamente avvenire nel contradditorio delle parti e per mezzo del Giudice naturale previsto dalla legge. La Corte, ritenendo infatti che le condizioni di detenzione nel CSPA e tanto più nel successivo trattenimento presso le navi di Palermo non fossero da considerarsi inumani, né degradanti, né fosse violato il principio fondamentale del divieto di espulsioni collettive, poiché i ricorrenti per ben due volte furono identificati garantendo così una sorta di possibilità astratta di opporsi all’espulsione, ribadisce come il diritto alla difesa ex art. 13 della Convenzione, o tanto più ex art. 24 Cost., non possono essere solo potenziali, ma devono esplicitarsi nell’effettiva possibilità di conoscere l’autorità, precostituita dalla legge, da adire, nonché i motivi fondativi (in fatto e in diritto) del provvedimento da impugnarsi, così da poter validamente avanzare le proprie doglianze. Andrea Racca
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Giurisprudenza
nazionale
Civile Sent. Sez. U., 3 maggio 2016 (dep. 29 luglio 2016), N. 15812 – Pres. Amoroso – Rel. Amendola controlimiti
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crimini contro l’umanità
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crimini di guerra
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diritti umani fondamentali
Sì alla giurisdizione del giudice italiano per le azioni di risarcimento avviate dai parenti delle vittime di crimini di guerra o contro l’umanità compiuti dalla Germania durante la Seconda guerra mondiale. E’ la Corte di Cassazione, sezioni unite civili, con la sentenza depositata il 29 luglio 2016 n.15812 (29094387), a stabilirlo, dando attuazione alla pronuncia della Consulta n.238 del 2014. “Cancellato dall’ordinamento l’articolo 3 della legge n.5/2013; venuto meno l’obbligo del giudice italiano di adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012, -osserva la Suprema Corte - non resta che affermare la giurisdizione del giudice italiano a conoscere delle domande risarcitorie poste dai ricorrenti”. A rivolgersi alla Cassazione i parenti di alcune vittime di deportazione per lavori forzati e, quindi, di crimini di guerra commessi dalla Germania durante il conflitto mondiale. Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 21 settembre 2012, confermata in appello, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano per l’azione contro la Germania. Di qui il ricorso il Cassazione. Quest’ultima, ricostruita la prassi, dal caso Ferrini alla sentenza della Corte internazionale di giustizia fino ad arrivare alla pronuncia della Corte Costituzionale n.238/2014, è giunta alla conclusione di annullare la decisione dei giudici di appello e di dichiarare la giurisdizione del giudice italiano per le azioni nei confronti della Germania alla quale viene così negata l’immunità.
Sul sito della rivista sono accessibili i testi integrali della sentenza Corte Cost. 2014 n. 238 e Cass. Civ. 2016, sez. un., n. 15812.
I controlimiti nell’ambito del principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali dell’uomo Le Sez. Un. Civili della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza, 27 luglio 2016, n. 15812 decidono su una controversia promossa da cittadini che sono stati deportati in Germania e ivi costretti ai lavori forzati per chiedere il risarcimento dei danni nei confronti della Repubblica Federale di Germania. La convenuta, costituitasi in giudizio, ha chiesto ed ottenuto di chiamare in causa la Repubblica Italiana per esserne manlevata, in caso di soccombenza ed ha poi eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Il giudice di primo grado ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano in relazione alla domanda proposta. La Corte di Appello ha dichiarato inammissibile il gravame proposto avverso la predetta pronuncia, non avendo l’impugnazione una ragionevole probabilità di essere accolta. Gli ermellini, pur non facendo proprie del doglianze dei ricorrenti1, accolgono il ricorso attuando la sen-
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Gli impugnanti adducono la violazione delle ss. norme: art. 10 Cost., deducendo la lesione della norma consuetudinaria di diritto internazionale, secondo la quale gli Stati, in deroga al principio dell’immunità, possono stabilire
Giurisprudenza nazionale
tenza della Corte Costituzionale, 22 ottobre 2014, n. 2382 ai sensi della quale viola gli artt. 2 e 24 Cost. il recepimento di una norma consuetudinaria internazionale con legge (art. 3 della legge 14 gennaio 2013, n. 53) che, varata in esecuzione di una sentenza del 3 febbraio 2012 del CIG, impone al giudice nazionale di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti commessi da organi di uno Stato straniero consistenti in crimini di guerra e contro l’umanità, interpretati iure imperi. La Consulta, aderendo alle conclusioni delle Sez. Un. Civili della Corte di Cassazione, 11.03.2004, n. 5044 (caso Ferrini), ritiene che l’immunità non è giustificabile per l’esercizio illegittimo della potestà di governo dello Stato straniero, quale è in particolare quello espresso attraverso atti ritenuti crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona4. La Cassazione ribadisce che l’immunità dello stato straniero dalla giurisdizione, consentita dagli artt. 2, 10 e 24 Cost. è volta a proteggere la funzione, non già comportamenti non attinenti all’esercizio tipico della potestà di governo, presupponendo un interesse pubblico potenzialmente preminente. Dalle precitate sentenze emerge che all’interno dell’ordinamento internazionale vi sono principi supremi inderogabili quale ad esempio l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti umani non derogabili da norme internazionali consuetudinarie e pattizie. I controlimiti, cui ricognizione spetta esclusivamente alla Corte Costituzionale, sono rappresentati da norme costituzionali (artt. 2 e 24) che, oltre ad essere espressione di principi fondamentali dell’ordinamento giuridico nazionale, sono funzionali alla tutela di diritti fondamentali già regolati a livello internazionale e comunitario. Da ciò si desume che l’ordinamento giuridico multilivello, di cui fa parte il sistema giuridico italiano, ha al suo vertice la protezione dei diritti umani fondamentali.
Nikita Micieli
de
Biase
in via convenzionale (art. 15 dell’allegato n. IV dell’Accordo di Londra del 27 febbraio 1953 e artt. 2 comma 1 e 4, comma 1 della legge 31 maggio 1995, n. 218) in favore di privati cittadini, la giurisdizione del giudice di un altro Stato per una determinata vertenza; artt. 111 e 117 Cost.; artt. 1, 28, comma 2, e 39 della Convenzione europea del 1957 per il pacifico rimedio delle vertenze, in collegamento con l’art. 47 della Carta di Nizza e con l’art. 6, comma 1, C.e.d.u. 2 Il testo della sentenza con le massime è rinvenibile al sito www.cortecostituzionale.it. 3 Esso dispone che, ai fini di cui all’art. 94, paragrafo 1, dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945 e reso esecutivo dalla legge 17 agosto 1957, n. 848, quando la Corte internazionale di giustizia, con sentenza che ha definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano, ha escluso l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende controversia relativa alle stesse condotte rileva, d’ufficio e anche quando ha già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo. Le sentenze passate in giudicato in contrasto con la sentenza della Corte internazionale di giustizia di cui al comma 1, anche se successivamente emessa, possono essere impugnate per revocazione, oltre che nei casi previsti dall’art. 395 c.p.c., anche per difetto di giurisdizione civile e in tale caso non si applica l’art. 396 c.p. 4 Per ulteriori approfondimenti dottrinali v. la raccolta di note alla C. cost., 22 ottobre 2014 n.238 cit. contenuta nel link: http://www.giurcost.org/decisioni/2014/0238s-14.html.
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Giurisprudenza
internazionale
Corte Costituzionale, 23 novembre 2016 (deposito 26 gennaio 2017), Ordinanza n. 24 del 2017 –Pres. Grossi – Redat. Lattanzi Corte di Giustizia UE – frodi – IVA – prescrizione – T.F.U.E. UE
Il testo integrale della sentenza è accessibile sul sito della rivista.
Caso Taricco: la Corte Costituzionale dispone un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea La Corte Costituzionale, con ordinanza n.24/2017 depositata in merito alle questioni di legittimità, sollevate dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, e dalla Corte d’appello di Milano a seguito della sentenza Taricco, ha disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea. Si tratta della ben nota questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, l. 2 agosto 2008, n. 130, che ordina l’esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona, nella parte in cui impone di applicare l’art. 325, § 1 e 2, T.F.U.E., dalla quale – nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, 8 settembre 2015, causa C– 105/14, Taricco – discende l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160, co. 3, e 161, co. 2, c.p., in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, anche se dalla disapplicazione, e dal conseguente prolungamento del termine di prescrizione, discendano effetti sfavorevoli per l’imputato, per contrasto di tale norma con gli artt. 3, 11, 25, co. 2, 27, co. 3, 101, co. 2, Cost. Con l’ordinanza in commento, la Consulta ha disposto di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, le seguenti questioni di interpretazione dell’art. 325, paragrafi 1 e 2. In particolare, si chiede: - se l’art. 325 par. 1 e 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea debba essere inteso nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetto al principio di legalità; - se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli
Giurisprudenza internazionale
previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata; - se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità; - se la sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco, debba essere interpretata nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro.
Marilisa De Nigris
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Osservatorio
europeo
Prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista: le nuove misure all’esame del Parlamento Eliana Pezzuto Il quadro normativo europeo degli ultimi quindici anni ha evidenziato la necessità di promuovere misure di prevenzione e di contrasto del terrorismo su due diversi fronti: l’uno di carattere repressivo, con l’individuazione di nuove fattispecie di reato idonee ad anticipare la soglia di punibilità anche a condotte preliminari alla commissione di attività terroristiche; l’altro volto alla realizzazione di una politica socio-culturale che possa disinnescare la potentissima arma della radicalizzazione jihadista. Con la decisione quadro del Consiglio 2002/475/ GAI in materia di lotta al terrorismo1 si è riconosciuta per la prima volta a livello europeo l’importanza di una strategia comune per il contrasto e la prevenzione dell’estremismo violento di
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Oggi superata con la Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla lotta contro il terrorismo che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/475/GAI sulla lotta contro il terrorismo (COM(2015)0625 – C8-0386/2015 – 2015/0281(COD)) (Procedura legislativa ordinaria: prima lettura). Nelle premesse del nuovo testo si legge in particolare che: “(31) … la prevenzione della radicalizzazione e del reclutamento nelle file del terrorismo, inclusa la radicalizzazione online, richiede un approccio a lungo termine, proattivo e globale. Tale approccio dovrebbe combinare misure nell’ambito della giustizia penale con politiche nei settori dell’istruzione, dell’inclusione sociale e dell’integrazione, nonché con l’offerta di programmi efficaci di deradicalizzazione o disimpegno e di uscita o riabilitazione, anche nel contesto della detenzione e della libertà vigilata. Gli Stati membri dovrebbero condividere le buone prassi sulle misure e sui progetti efficaci in questo settore, in particolare per quanto riguarda i combattenti terroristi stranieri e quelli che fanno ritorno nel paese d’origine, se del caso in cooperazione con la Commissione e le competenti agenzie e organismi dell’Unione. (32) Gli Stati membri dovrebbero proseguire i loro sforzi per prevenire e contrastare la radicalizzazione che porta al terrorismo attraverso il coordinamento, lo scambio di informazioni e di esperienze sulle politiche nazionali di prevenzione e l’attuazione o, se del caso, l’aggiornamento delle politiche nazionali di prevenzione, tenendo conto delle esigenze, degli obiettivi e delle capacità rispettivi, e basandosi sulle proprie esperienze. La Commissione dovrebbe, se del caso, fornire sostegno alle autorità nazionali, regionali e locali nello sviluppo delle politiche di prevenzione. (33) Gli Stati membri dovrebbero, in funzione delle esigenze e delle circostanze specifiche di ciascuno Stato membro, fornire sostegno ai professionisti, in particolare i partner della società civile che potrebbero entrare in contatto con persone vulnerabili alla radicalizzazione. Tali misure di sostegno possono comprendere, in particolare, misure di formazione e sensibilizzazione volte a permettere loro di individuare e affrontare i segni della radicalizzazione. Tali misure dovrebbero essere adottate, se del caso, in cooperazione con società private, organizzazioni pertinenti della società civile, comunità locali e altri soggetti interessati.”. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52015PC0625
Osservatorio europeo
matriche jihadista, ma solo nel 2011 è stato istituito un centro di eccellenza – il Radicalisation Awareness Network (RAN) – composto da 700 esperti e operatori provenienti da tutta Europa, che ha come finalità lo scambio di idee e progetti per un efficace contrasto dei fenomeni di radicalizzazione. Con la successiva comunicazione del 15 gennaio 2014 anche la Commissione europea ha dato un preciso indirizzo ai Paesi membri su questi temi attraverso un elenco di priorità che prevedono, tra l’altro, lo sviluppo di strategie nazionali globali, la valorizzazione delle attività della rete per la sensibilizzazione in materia di radicalizzazione (RAN), la formazione degli operatori che lavorano con individui o gruppi a rischio e una sempre maggiore diffusione di messaggi alternativi volti a destrutturare la propaganda estremista e rafforzare la capacità di reazione delle vittime. Su un piano più pragmatico la Commissione ha, poi, presentato il 28 aprile 2015 l’Agenda europea sulla sicurezza per gli anni 2015-2020 che individua la prevenzione del terrorismo e la lotta alla radicalizzazione come le sfide più urgenti dopo la lotta alla criminalità organizzata e alla criminalità informatica. Anche il Consiglio dell’UE ha approvato il 20 novembre 2015 delle conclusioni sul rafforzamento della risposta di giustizia penale alla radicalizzazione, invitando gli Stati membri a sviluppare indici di valutazione del rischio e strumenti per individuare segni precoci di radicalizzazione attraverso un maggiore scambio di informazioni; solo 5 giorni dopo – il 25 novembre – anche il Parlamento europeo ha adottato un risoluzione sulla prevenzione della radicalizzazione e del reclutamento di cittadini europei da parte di organizzazioni terroristiche (2015/2063 (INI)). Da ultimo il 20 aprile 2016 la Commissione europea ha presentato la comunicazione COM(2016)230 dal titolo “Attuare l’Agenda europea sulla sicurezza per combattere il terrorismo e preparare il terreno per un’autentica ed efficace Unione della sicurezza”2 in cui pone l’accento sulla necessità di adottare misure più efficaci per contrastare la minaccia terroristica dei combattenti stranieri di ritorno, favorendo la circolazione delle informazioni su tutti i movimenti di questi ultimi – sia in uscita che in entrata – e agevolando l’inserimento dei soggetti già radicalizzati in programmi di riabilitazione e di sostegno al disimpegno dalla violenza. In linea con quanto sancito dagli organismi europei anche il Parlamento italiano, dopo aver introdotto con il decreto legge 18 febbraio 2015, n. 7, nuove disposizioni di carattere penale per la prevenzione ed il contrasto di condotte con finalità terroristica, ha approvato, perlomeno in prima lettura della Camera dei Deputati, una proposta di iniziativa parlamentare (C. 3558-A a prima firma Dambruoso), sottoscritta da esponenti di diversi schieramenti politici, che prevede nei suoi undici articoli nell’ambito delle garanzie fondamentali in materia di libertà religiosa, “misure, interventi e programmi diretti a prevenire fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell’estremismo violento di matrice jihadista nonché a favorire la deradicalizzazione nell’ambito delle garanzie fondamentali in materia di libertà religiosa e il recupero in termini di integrazione sociale, culturale e lavorativa dei soggetti coinvolti, cittadini italiani o stranieri residenti in Italia”, come si legge all’articolo 1, comma 1, del testo trasmesso al Senato. In base a quanto stabilito dal comma 2 del medesimo articolo, per radicalizzazione
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Approvata dalle Commissioni riunite 1^ e 2^ del Parlamento italiano con parere favorevole con condizioni. http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/982389.pdf http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2017/03/16/leg.17.bol0785.data20170316. com0102.pdf
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Prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista
si intende il fenomeno che vede persone abbracciare, anche se non sussiste alcuno stabile rapporto di dipendenza dai gruppi terroristici, ideologie di matrice jihadista, ispirate all’uso della violenza e del terrorismo: in questo modo si è cercato di anticipare l’applicazione delle misure anti-radicalizzazione ad un momento precedente l’effettiva adesione di un soggetto ad ideologie terroristiche favorendo così una politica di effettiva prevenzione. L’articolo 2, introdotto dalla Commissione di merito, prevede inoltre l’istituzione, presso il Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione del Ministero dell’Interno, del Centro nazionale sulla radicalizzazione (“CRAD”), con la finalità di promuovere e sviluppare, attraverso un piano strategico nazionale, le misure, gli interventi ed i programmi diretti a prevenire fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell’estremismo violento di matrice jihadista, nonché a favorire il recupero ed il reinserimento sociale dei soggetti coinvolti. Con il compito di dare attuazione al Piano strategico nazionale sono istituiti anche i Centri di coordinamento regionali sulla radicalizzazione (CCR), presso le Prefetture-UTG dei capoluoghi di regione. La proposta introduce, poi, con l’articolo 4, un Comitato parlamentare per il monitoraggio dei fenomeni di radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista, con particolare attenzione alle problematiche inerenti le donne e i minori che ha, tra l’altro, il compito di presentare con cadenza annuale una relazione al Parlamento sull’attività svolta e di elaborare eventuali proposte o segnalazioni su questioni di propria competenza. Il provvedimento prevede, ancora all’articolo 7, che i ministeri competenti e le amministrazioni locali, in coerenza con il Piano strategico nazionale elaborato dal CRAD, definiscano le modalità per lo svolgimento di attività di formazione specialistiche, anche per la conoscenza delle lingue straniere, di operatori delle forze dell’ordine e del mondo dell’istruzione e dell’associazionismo. L’articolato dispone anche agli articoli 8 e 9 interventi finalizzati a prevenire episodi di radicalizzazione nell’ambito scolastico e universitario e ai sensi dell’articolo 10 il piano strategico nazionale dovrà prevedere progetti per lo sviluppo di campagne informative – attraverso piattaforme multimediali, tra cui quella realizzata dalla RAI-Radiotelevisione italiana S.p.A., che utilizzino anche lingue straniere – e attività di comunicazione in partnership con altri soggetti, pubblici o privati, “al fine di favorire l’integrazione e il dialogo interculturale e interreligioso, nonché di contrastare la radicalizzazione e la diffusione dell’estremismo violento di matrice jihadista”. Da ultimo il testo demanda a un decreto del Ministro della giustizia l’adozione di un Piano nazionale per garantire ai soggetti italiani o stranieri detenuti un trattamento penitenziario che tenda, oltre che alla loro rieducazione, anche alla deradicalizzazione, in coerenza con il Piano strategico nazionale elaborato dal CRAD. Il testo prevede che con il decreto del Ministro della giustizia debbano essere altresì individuati i criteri per consentire l’accesso e la frequenza degli istituti penitenziari a quanti, in possesso di adeguate conoscenze e competenze su questi fenomeni di radicalizzazione, dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera3. Questa iniziativa parlamentare rappresenta una novità sul piano legislativo e, per molti versi, un progetto pilota a livello europeo perché, in caso di definitiva approvazione della
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Al riguardo la proposta di legge richiama espressamente l’articolo 17, comma 2, dell’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975), che subordina l’accesso al carcere di coloro che hanno “concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti” all’autorizzazione del magistrato di sorveglianza, che darà anche apposite direttive, e al parere favorevole del direttore dell’istituto.
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proposta in esame, l’Italia sarà il primo paese ad adottare una vera strategia di prevenzione e contrasto della radicalizzazione con l’istituzione di una cabina di regia (il CRAD) tra i diversi ministeri coinvolti, gli esperti del settore e tutte quelle realtà istituzionali e privatistiche che possono dare un contributo alla individuazione di politiche virtuose di deradicalizzazione e recupero di estremisti violenti di matrice jihadista. Nel nostro Paese, in realtà, sono state già avviate negli scorsi anni importanti iniziative per la conoscenza, il monitoraggio e il contrasto di questi fenomeni soprattutto all’interno degli istituti penitenziari (si pensi da ultimo al progetto europeo TRAin Training – Transfer Radicalisation Approaches in Training4 – presentato dal Ministero della Giustizia e selezionato lo scorso 11 maggio dalla Commissione Europea che ne coprirà quasi totalmente i costi, con un finanziamento di circa 600 mila euro, per l’elaborazione e applicazione di programmi di trattamento individualizzato per detenuti e soggetti in area penale esterna, mirati a contrastare il rischio di radicalizzazione violenta), ma occorre un ulteriore passo avanti per un sempre maggiore coordinamento delle misure messe in campo. Per questo è auspicabile una rapida approvazione anche al Senato della proposta in esame e una grande sinergia istituzionale sia in Italia che tra i paesi dell’UE per sradicare ogni forma di integralismo violento.
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Si tratta di un progetto, elaborato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dal Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità, con il coordinamento del Gabinetto, cui hanno aderito come partners l’Università Orientale di Napoli, il Centro di Ricerca Universitario sulla Criminalità Transnazionale (Transcrime), l’Università di Padova, l’ISISC – Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali, la Scuola Superiore della Magistratura, il Ministero dell’Interno e, a livello internazionale, l’Autorità bulgara competente per l’amministrazione penitenziaria e la Scuola Superiore della Magistratura belga. È altresì prevista la collaborazione del Ministero della Giustizia tunisino e dell’EPTA (Network of European Penitentiary Training Academies), in qualità di partners non beneficiari di sovvenzioni. “Fra le finalità del progetto, che ha una durata di 24 mesi e coinvolgerà circa 2.800 operatori, il miglioramento della conoscenza della radicalizzazione violenta, dei segnali e dei mezzi di prevenzione e contrasto, sia in Italia che nei Paesi partner; l’uso “a regime” di un nuovo protocollo di valutazione del rischio volto alla creazione di un metodo di lavoro comune a tutti i soggetti che, a diversi livelli, intervengono nell’intercettazione, presa in carico e gestione dei soggetti a rischio di radicalizzazione violenta o già radicalizzati, anche attraverso la costruzione di un sistema di scambio delle informazioni utili alla prevenzione e al contrasto del terrorismo e la ricognizione di metodi di lavoro già eventualmente avviati dai paesi partner di progetto; la formazione del personale front-line incentrata sull’apprendimento e l’uso di metodi di counselling e di contronarrativa.”. http://www.aise.it/anno2017/lotta-alla-radicalizzazione-via-libera-della-commissione-europea-al-progetto-del-ministero-della-giustizia-italiana/87642/157
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G7 Taormina Leaders’ Communiqué Materiale raccolto ed a cura della Redazione On 26 and 27 May 2017, at the Palacongressi of Taormina (ME), in Sicily, the 43rd G7 summit took place. The meeting, attended by representatives of the 7 most developed countries in the world, was led by the President of the Italian Council, Paolo Gentiloni. For the fourth consecutive time the Summit will be held in the G7 format after the suspension of the G8 involving Russia’s participation. Participants for: • Italy Paolo Gentiloni, President of the Council • Canada, Justin Trudeau, Prime Minister • France, Emmanuel Macron, President • Germany, Angela Merkel, Chancellor • Japan, Shinzō Abe, Prime Minister • United Kingdom, Theresa May, Prime Minister • United States, Donald Trump, President Also represented by the European Union, Donald Tusk, President of the European Council, Jean-Claude Juncker, President of the European Commission. The choice of Taormina as the seat of the G7 was announced on July 4, 2016 by the then Italian President, Matteo Renzi, following unsuccessful and unpopular statements on Sicily by an international representative. Logo and program of the event were presented to Taormina on October 22, 2016. In addition, it is clear the Government’s will to keep the attention of world public opinion and leaders on migration and refugee issues alive. In the spirit of cooperation and respect for the principles of democracy and solidarity, Leaders discussed about the most well-regarded issues in the international arena, addressing issues related to terrorism, the environment, the migratory phenomena of peoples, economy.
Preamble 1. We, the Leaders of the G7, met in Taormina on May 26-27, 2017 to address, in a spirit of cooperation, the global challenges we face today and to respond collectively to the greatest concerns of our citizens. Our common endeavor is to build the foundations of renewed trust, both towards our governments and among our countries. 2. We are bound together by our shared values of freedom and democracy, peace, security, the rule of law, and respect for human rights. We are determined to coordinate our efforts in promoting the rules-based international order and global sustainable development. We are also convinced of the distinctive role of culture as an instrument to promote dialogue among peoples. 3. Technological change and globalization have made a fundamental contribution to raising living standards across the world over recent decades. However, their benefits have not been shared widely enough, contributing to inequalities in many countries. Despite progress in recent decades, we are still far from making poverty history, from reaching the “zero hunger” objective
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and from ensuring that future generations will enjoy justice and peace, as well as a cleaner and safer environment, as envisaged, for example, by the 2030 Agenda for Sustainable Development. 4. Our citizens rightly demand quality education, decent jobs, greater access to economic opportunities, gender equality, and a cleaner environment. They expect us to deal with increasing numbers of refugees and migrants, also through stronger international cooperation. Furthermore, they ask for more secure lives and, in particular, to halt the rise of terrorism and violent extremism, including its manifestation online. 5. Against this backdrop, we want to send a message of confidence in the future, ensuring that citizens’ needs are at the center of our policies. As G7 Leaders, we intend to do so by engaging in a joint effort to seize all the opportunities offered by an era of extraordinary change. We will strive to highlight the transformative power of culture, gender equality, diversity and inclusion, education, science, technology and innovation in a collective endeavor involving governments, civil society, the private sector, and ordinary citizens. To achieve this we must improve knowledge and competences across all sectors and regions of our countries, by fostering innovation and new skills, by investing in fields such as education and training, as well as health, with a view to boosting economic growth and to improving people’s quality of life. We therefore pledge to take concrete actions to manage today’s risks and to transform challenges into opportunities.
Foreign Policy Issues 6. We share the same interest in strengthening a rules-based international order that promotes peace Among nations, safeguards sovereignty, territorial integrity and political independence of all states and ensures the protection of human rights. Our world needs our genuine commitment to the solution of conflicts that are affecting millions of innocent people and disrupting development and the healthy Growth of future generations. 7. We endorsed the Joint Communiqué, the Declaration on Responsible States Behavior in Cyberspace, and the Statement on Non-Proliferation and Disarmament of the Foreign Ministers’ meeting in Lucca, and further discussed issues and crises that are most seriously threatening the security and well-being of our citizens and global stability. 8. Six years into the Syrian war, the Syrian people have endured the most tremendous suffering. We believe that there is an opportunity to bring this tragic crisis to an end. No effort should be spared to bring an end to the conflict through an inclusive Syrian-led political process under the auspices of the UN to implement a genuine credible transition in accordance with UN Security Council Resolution 2254 and the Geneva Communiqué. We are determined to increase our efforts to defeat international terrorism in Syria, in particular ISIS/ISIL/Da’esh and al Qaeda. Indeed, it will be impossible to defeat terrorism without a political settlement. All major stakeholders must live up to their international responsibilities. Those with influence over the Syrian regime, in particular Russia and Iran, must do their utmost to use that influence to stop this tragedy, beginning with the enforcement of a real ceasefire, stopping the use of chemical weapons, ensuring safe, immediate and unhindered humanitarian access to all people in need, and releasing any arbitrarily detained persons, as well as allowing free access to its prisons. To this end, we hope that the Astana agreement can contribute effectively to deescalating violence. If Russia is prepared to use its influence positively, then we are prepared to work with it in resolving the conflict in Syria, pursuing a political settlement. We are prepared to contribute to the costs of reconstruction, once a credible political transition is firmly underway. We will not engage in stabilization efforts that will support social and demographic engineering.
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9. We reiterate our deepest concerns regarding the use of chemical weapons in Syria and reaffirm our strong condemnation of the use of chemical weapons anywhere, at any time, by anyone, under any circumstances. Those individuals, entities, groups or governments responsible for such use must be held accountable. 10. In Libya, it is urgent to advance on the path of inclusive political dialogue and national reconciliation. We welcome the recent meetings between key Libyan players. All Libyans must engage with a spirit of compromise and desist from actions that would fuel further conflict. While warning against the temptation of military settlements of the situation, we reiterate our full support for the institutional framework laid out in the Libyan Political Agreement (LPA) as the framework within which political solutions can be found, including possible adjustments to the LPA that may advance reconciliation. We support the UN Support Mission in Libya (UNSMIL) mediation effort. We also support the Presidency Council and the Government of National Accord in their effort to consolidate State institutions, alleviate human suffering, protect and expand infrastructure, strengthen and diversify the economy, manage migration flows and eradicate the terrorist threat. 11. We have made significant progress in reducing the presence of ISIS/ISIL/Da’esh in Syria and Iraq, and in diminishing its appeal. We commit to continuing these efforts in order to complete the Liberation of ISIS/ISIL/Da’esh- held territories, in particular Mosul and Raqqa, in the pursuit of ISIS/ISIL/Da’esh’s final destruction and the end of associated violence, widespread abuses of human rights and violations of international humanitarian law. Those who have perpetrated crimes in the name of ISIS/ISIL/Da’esh, including the use of chemical weapons, must be held to account. We welcome progress in countering ISIS/ISIL/Da’esh in Libya. We call upon all countries of the region. To play a constructive role by contributing to efforts to achieve inclusive political solutions, reconciliation, and peace, which are the only way to eradicate ISIS/ISIL/Da’esh, other terrorist groups and violent extremism in the long-term in Iraq, Syria, Yemen, and beyond. 12. We reiterate our commitment on non-proliferation and disarmament. North Korea, a top priority in the international agenda, increasingly poses new levels of threat of a grave nature to international peace and stability and the non-proliferation regime through its repeated and ongoing breaches of international law. North Korea must immediately and fully comply with all relevant UN Security Council Resolutions (UNSCRs) and abandon all nuclear and ballistic missile programs in a complete, verifiable and irreversible manner. Condemning in the strongest terms North Korea’s nuclear tests and ballistic missile launches, we stand ready to strengthen measures aimed at achieving these objectives and strongly call on the international community to redouble its efforts to ensure the sustained, comprehensive and thorough implementation of relevant UNSCRs. We urge North Korea to address humanitarian and human rights concerns, including the immediate resolution of the abductions issue. 13. A sustainable solution to the crisis in Ukraine can only be reached with the full implementation by all sides of their commitments under the Minsk Agreements. We support the endeavors of the Normandy group and commend the multifaceted commitment of the OSCE in order to de-escalate the crisis. We stress the responsibility of the Russian Federation for the conflict and underline the role it needs to play to restore peace and stability. We reiterate our condemnation of the illegal annexation of the Crimean peninsula, reaffirm our policy of non-recognition, and fully support Ukraine’s independence, territorial integrity and sovereignty. We recall that the duration of sanctions is clearly linked to Russia’s complete implementation of its commitments in the Minsk Agreements and respect for Ukraine’s sovereignty. Sanctions can be rolled back when Russia meets its commitments. However, we also stand ready to take
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further restrictive measures in order to increase costs on Russia should its actions so require. We maintain our commitment to assisting Ukraine in implementing its ambitious and yet necessary reform agenda and commend Kiev for its progress to date. Despite our differences with Russia, we are willing to engage with Russia to address regional crises and common challenges when it is in our interest. 14. We reaffirm our commitment to maintaining a rules-based order in the maritime domain based on the principles of international law, including as reflected in the United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), and to the peaceful settlement of maritime disputes through diplomatic and legal means, including arbitration. We remain concerned about the situation in the East and South China Seas and strongly opposed to any unilateral actions that could increase tensions. We urge all parties to pursue demilitarization of disputed features. 15. The recent cyber attacks hitting critical infrastructures worldwide reinforce our commitment to increased international cooperation to protect an accessible, open, interoperable, reliable and secure cyberspace and its vast benefits for economic growth and prosperity. We will work together and with other partners to tackle cyber attacks and mitigate their impact on our critical infrastructures and the well-being of our societies.
Global Economy 16. Global recovery is gaining momentum, yet growth remains moderate and GDP is still below potential in many countries, with the balance of risks tilted to the downside. Our top priority is to raise global growth to deliver higher living standards and quality jobs. To this end, we reaffirm our commitment to use all policy tools – monetary, fiscal and structural – individually and collectively to achieve strong, sustainable, balanced and inclusive growth. In particular, monetary policy should continue to support economic activity and ensure price stability, consistently with central banks’ mandate. We concur that fiscal policy should be used flexibly to strengthen growth and job creation, while also enhancing inclusiveness and ensuring that debt as a share of GDP is on a sustainable path. In doing so, we agree on the importance of improving the quality of public finances, including by prioritizing high-quality investment, such as in infrastructures. We remain committed to advancingstructural reforms to boost productivity and potential output, while ensuring these are appropriately coordinated with macroeconomic policies. We reaffirm our existing G7 exchange rate commitments, as agreed upon by Finance Ministers and Central Bank Governors at their meeting in Bari. We will strive to reduce excessive global imbalances and in a way that supports global growth. We commit to tackling all forms of corruption and tax evasion, as a means of reinforcing public trust in governments and fostering sustainable global growth.
Inequalities 17. We welcome the “Bari Policy Agenda on Growth and Inequalities” adopted by G7 Finance Ministers and Central Bank Governors as a framework to foster inclusive growth through a broad menu of policy options. We acknowledge that inequalities – not just in income, but in all their forms – represent a major source of concern. In fact, excessive inequality, also at the global level, undermines confidence and limits future growth potential. Furthermore, inequality may contribute to regional disparities within countries and undermine intergenerational mobility, while jeopardizing social cohesion and putting stress on institutions. In this respect,
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we will strive to strengthen the capabilities and resilience of our economies and communities to adjust to the pace of change, so that the global economy works for everyone.
Gender Equality 18. Gender equality is fundamental for the fulfillment of human rights and a top priority for us, as women and girls are powerful agents for change. Promoting their empowerment and closing the gender gap is not only right, but also smart for our economies, and a crucial contribution to progress towards sustainable development. Women and girls face high rates of discrimination, harassment, and violence and other human rights violations and abuses. Although girls and women today are better educated than ever before, they are still more likely to be employed in low-skilled and low-paying jobs, carry most of the burden of unpaid care and domestic work, and their participation and leadership in private and public life as well as their access to economic opportunities remains uneven. Increasing women’s involvement in the economy – such as by closing the gender gaps in credit and entrepreneurship and by enhancing women’s access to capital, networks and markets – can have dramatically positive economic impacts. We, as the G7, have undertaken significant measures to tackle gender inequality, but more needs to be done. We therefore remain committed to mainstreaming gender equality into all our policies. We welcome the important contribution provided by the W7. To foster the economic empowerment of women and girls, we have furthermore adopted the first “G7 Roadmap for a Gender-Responsive Economic Environment”.
Trade 19. We acknowledge that free, fair and mutually beneficial trade and investment, while creating reciprocal benefits, are key engines for growth and job creation. Therefore, we reiterate our commitment to keep our markets open and to fight protectionism, while standing firm against all unfair trade practices. At the same time, we acknowledge that trade has not always worked to the benefit of everyone. For this reason, we commit to adopting appropriate policies so that all firms and citizens can make the most of opportunities offered by the global economy. 20. We push for the removal of all trade-distorting practices – including dumping, discriminatory non-tariff barriers, forced technology transfers, subsidies and other support by governments and related institutions that distort markets – so as to foster a truly level playing field. We commit to further strengthening our cooperation and to working with our partners in order to address global excess capacity in the steel, aluminum and other key industrial sectors and to avoid its emergence in other areas. In this sense, we view with concern market-distorting measures targeted at promoting key technologies. To this end, we welcome the Global Forum on Steel Excess Capacity, established by the G20 and facilitated by the OECD, and urge all Members to promptly deliver on effective policy solutions that enhance market function and adjustment in order to address the root causes of global steel excess capacity. We also call on the International Working Group on Export Credits to develop new guidelines for publicly supported export finance. 21. We recognize the importance of the rules-based international trading system. We commit to working together to improve the functioning of the WTO, to ensure full and transparent implementation and effective and timely enforcement of all WTO rules by all Members and to achieve a successful 11th WTO Ministerial Conference.
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22. We commit to striving for better application and promotion of internationally recognized social, labor, safety, tax cooperation and environmental standards throughout the global economy and its supply chains. 23. Finally, we recognize that international investment too can play an important role in sustaining growth and job creation, and therefore strive to foster a predictable environment so as to facilitate foreign direct investment.
Human Mobility 24. The ongoing large-scale movement of migrants and refugees is a global trend that, given its implications for security and human rights, calls for coordinated efforts at the national and international level. We recognize that the management and control of migrant flows – while taking into account the distinction between refugees and migrants – requires both an emergency approach and a long-term one. We also recognize the need to support refugees as close to their home countries as possible, and enable them to return safely to and help rebuild their home communities. At the same time, while upholding the human rights ofall migrants and refugees, we reaffirm the sovereign rights of states, individually and collectively, to control their own borders and to establish policies in their own national interest and national security. 25. We agree to establish partnerships to help countries create the conditions within their own borders that address the drivers of migration, as this is the best long-term solution to these challenges. We also acknowledge that states share a responsibility in managing the flows; in protecting refugees and migrants, and safeguarding the most vulnerable of them, such as women at risk, adolescents, children and unaccompanied minors; and in enforcing border control, establishing returns schemes and enhancing law enforcement cooperation. These are essential instruments to reduce irregular or illegal migration and to fight migrant smuggling, human trafficking and exploitation, and all forms of slavery, including modern slavery. In this manner, we will safeguard the value of the positive aspects of a safe, orderly and regular migration, since properly managed flows can bring economic and social benefits to countries of both origin and destination as well as to migrants and refugees themselves.
Africa 26. Africa’s security, stability and sustainable development are high priorities for us. Our goal is indeed to strengthen cooperation and dialogue with African countries and regional organizations to develop African capacity in order to better prevent, respond to and manage crises and conflicts, as regards the relevant goals of the 2030 Agenda for Sustainable Development. A stable Africa means a stable environment for investment. In this regard, we note the forthcoming launch by the EU of the External Investment Plan (EIP) as an important tool to boost investment in the continent, as well as the envisaged G20 Partnership Initiative with Africa and the investment pledge made at the Tokyo International Conference for African Development (TICADVI). It is also important to continue our efforts to expand reliable access to energy in Africa. Unlocking Africa’s potential requires empowering millions of people through innovation, education, promoting gender equality and human Capital development. Decent employment, better health services, and food security will also contribute to building a more resilient society in a rapidly changing world. We aim to work in partnership with the
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African continent, supporting the African Union Agenda 2063, in order to provide the young generation in particular with adequate skills, quality infrastructures, financial resources, and access to a sustainable, prosperous and safe future. Such advances also promise to help reduce migratory pressure, relieve humanitarian emergencies and create socio-economic opportunities for all.
Food Security and Nutrition 27. Ending hunger, achieving food security and improved nutrition, and promoting sustainable agriculture is a crucial goal for the G7. We reaffirm our collective aim to lift 500 million people in developing countries out of hunger and malnutrition by 2030, as part of a broader effort involving our partners and international actors. 28. We are deeply concerned about the devastating levels of food insecurity, fueled by conflicts and instability, already resulting in famine in parts of South Sudan and in the serious risk of famine in Somalia, Yemen and northeastern Nigeria and critically affecting more than 20 million people. We strongly support the UNSG call for urgent action. We are rapidly mobilizing humanitarian assistance, we will continue to support political processes addressing the underlying causes of the crises and we are committed to strengthening the international humanitarian system to prevent, mitigate and better prepare for future crises, while strengthening engagement to build resilience. 29. While stressing the global dimension of the food insecurity and malnutrition challenge, we recognize that urgent action is needed in Sub-Saharan Africa, the region with the highest percentage of undernourished people, deep rural and urban poverty and particularly large movements of people, and where more than two-thirds of the Least Developed Countries are located. 30. We have therefore decided to raise our collective support for food security, nutrition and sustainable agriculture in Sub-Saharan Africa through an array of possible actions, such as increasing Official Development Assistance, better targeting and measuring our respective interventions in line with the food security and nutrition-related recommendations defined at Elmau And Ise-Shima, and ensuring they reach women and girls, backing efforts to attract responsible private investments and additional resources from other development stakeholders. We will encourage blended finance and public-private partnerships (PPPs). We will act in line with African countries’ priorities and consistently with the African Union Agenda 2063, aiming to reach also the most neglected areas and the most vulnerable people.
Climate and Energy 31. We commit to strengthening our collective energy security and to ensuring open, transparent, liquid and secure global markets for energy resources and technologies. We reaffirm that all countries that opt to use nuclear power must ensure the highest standards of nuclear safety, security and non-proliferation. We are determined to harness the significant economic opportunities, in terms of growth and job creation, offered by the transformation of the energy sector and clean technology. 32. The United States of America is in the process of reviewing its policies on climate change and on The Paris Agreement and thus is not in a position to join the consensus on these topics. Understanding this process, the Heads of State and of Government of Canada, France, Germany, Italy, Japan, and the United Kingdom and the Presidents of the European
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Council and of the European Commission reaffirm their strong commitment to swiftly implement the Paris Agreement, as previously stated at the Ise-Shima Summit. 33. In this context, we all agree on the importance of supporting developing countries.
Innovation, Skills and Labor 34. The Next Production Revolution (NPR) offers an extraordinary opportunity to increase competitiveness and to boost an innovation-driven growth. By reshaping our existing production systems, the NPR can indeed allow all firms – including micro, small and medium-sized enterprises (MSMEs) – and help people across all sectors and regions to reap the benefits of innovation and digitalization and enhance women’s opportunities to pursue STEM careers. 35. At the same time, the advance of automation and of emerging technologies, while they contribute to innovation and economic growth, presents us with challenges and significantly changes the future of work. We have a responsibility to face these challenges by managing the related risks of the NPR and of the ongoing transition, and to rethink the future of work and of education – also through strong collaboration with stakeholders – so as to ensure a transition that works for all. Our education systems and working styles must be adapted, based on national circumstances. Companies and social partners should be closely involved and commit to new engagement in both initial and lifelong education and training. We also need to address new forms of work and improve working conditions by implementing sound labor market policies and by making adjustments to our welfare systems, when necessary, in a multistakeholder approach, so as to provide stability for our labor force. 36. For these reasons, we have adopted a “G7 People-Centered Action Plan on Innovation, Skills and Labor”. Elaborated with the support of the OECD and the ILO, it outlines a set of potential policy recommendations to maximize the benefits of the NPR, to be further developed by our relevant Ministers during their upcoming Ministerial Meetings. 37. In addition, in order to facilitate dialogue with key stakeholders and to provide the G7 with first-hand insights on innovation issues, we have set up a “Strategic Advisory Board to G7 Leaders on People-Centered Innovation” (I-7). The group’s first meeting is to take place during the “G7 Innovation Week” in Turin.
Health 38. We are committed to advancing global health security and pursuing policies that advance physical and mental health improvements across the globe. Healthy lives and well-being are important to broader economic, social and security gains. We recognize that women’s and adolescents’ health and healthcare must be promoted. We acknowledge the role of environmental factors in affecting human health. We remain committed to strengthening health systems, preparedness for, and a prompt, effective and coordinated response to public health emergencies and long-term challenges. On this basis, we have asked our Health Ministers to follow up on these issues during their November meeting.
Conclusion 39. We look forward to meeting under the Presidency of Canada in 2018.
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nazionale
Il termometro della corruzione in Italia Marilisa De Nigris Il dibattito internazionale sulla misurazione della corruzione ha registrato un importante evento seminariale il 25 maggio 2017 con la partecipazione di autorevoli relatori in occasione della presentazione del lavoro intitolato “Il termometro della corruzione” presso la Sala della Lupa della Camera dei Deputati. Un report che misura l’impatto che la “febbre” del malaffare ha in Italia ed i possibili rimedi: trasparenza, digitalizzazione, legalità. La ricerca, nondimeno, predilige gli indici di percezione della corruzione. I lavori sono stati aperti dalla relazione della Presidente della Camera dei Deputati, Onorevole Laura Boldrini, che ha voluto ricordare con orgoglio il lavoro parlamentare di questa legislatura, caratterizzato dall’adozione di una serie di disposizioni normative che hanno sicuramente innalzato il livello di contrasto alla corruzione. Segnatamente, l’Onorevole Boldrini ha voluto portare all’attenzione dei presenti una serie di iniziative di riforma che comunque hanno come termine di riferimento la mala amministrazione, nello specifico la criminalizzazione del falso in bilancio, l’introduzione del delitto di autoriciclaggio, l’inasprimento delle pene per i delitti di corruzione, il codice degli appalti, l’aumento dei poteri dell’autorità nazionale anticorruzione. «La corruzione non è solo inaccettabile dal punto di vista etico, ma anche da quello economico: è una vera rapina di risorse alla comunità e colpisce in particolare i giovani disoccupati». Questi i messaggi fondamentali espressi dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, nel suo intervento. La corruzione, dunque, «non incide solo sul Pil, ma colpisce la fiducia già debole dei cittadini verso le istituzioni e danneggia l’immagine dell’Italia all’estero favorendo perfino la fuga dei cervelli. È una zavorra che impedisce la crescita. In questo sforzo la politica per prima deve dare il buon esempio». Boldrini, quindi, auspica ed esorta il Senato ad approvare in tempi brevi il ddl sull’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, già approvato alla Camera dei Deputati, riforma che riconoscendo personalità giuridica ai partiti li farebbe diventare “trasparenti”. Di notevole interesse anche gli interventi del Procuratore aggiunto della Procura di Roma, Paolo Ielo, e di Bill Emmott, già direttore dell’Economist. Le soluzioni indicate dal rapporto contro la corruzione riguardano la trasparenza della politica, la digitalizzazione della pubblica amministrazione, la promozione di strumenti che assicurino la certezza del diritto e la semplificazione burocratica. Si evidenzia la propensione dei governi a favorire specifici soggetti o aziende tramite l’assegnazione di commesse ed appalti facilitando l’approvazione di norme ad personam. L’Italia, in questa classifica, nel 2016, risulta terzultima seguita da Slovacchia ed Ungheria. Quando il livello di clientelismo scende o sale diminuisce o aumenta anche il livello di corruzione; inoltre, misurando la correlazione tra corruzione e trasparenza delle decisioni pubbliche l’Italia si classifica al penultimo posto nell’Unione Europea, seconda solo all’Ungheria. Il Termometro si propone, poi, di misurare il grado di corruzione a livello locale mettendo in relazione CPI e l’European Quality of Government Index (EQI), i cui risultati emersi evidenziano importanti correlazioni che il report individua portando a risultati che, almeno ap-
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parentemente, non sono riconducibili alla corruzione. Secondo l’indice di Economia e Società Digitale (DESI) della Commissione Europea l’Italia è quartultima classificata nel 2016 per il livello di sviluppo e performance digitale nei Paesi UE. La correlazione tra livello di corruzione e sviluppo digitale è molto forte: più sono elevati lo sviluppo e la performance digitale in un Paese dell’UE, inferiore è il livello di corruzione, e viceversa. Aumentare, mediante investimenti, la digitalizzazione in Italia potrebbe portare ad una riduzione del livello di corruzione. Altro indicatore considerato dal Termometro è costituito dall’indipendenza del sistema giudiziario dall’influenza esercitata da governo, privati ed imprese. Nel confronto con gli stati membri dell’UE l’Italia si colloca tra le ultime posizioni della graduatoria. Uno snellimento delle procedure per risolvere le controversie civili e commerciali per le imprese in Italia potrebbe portare ad una riduzione del livello di corruzione, in effetti, dai dati emersi nel 2016 l’Italia si è classificata al penultimo posto, seconda solo alla Slovacchia per efficienza nel dirimere le cause commerciali per le imprese. Sappiamo, poi, che la corruzione mostra attenzione allo sviluppo competitivo di un paese, ma il dato non è facilmente quantificabile. Il Termometro, pertanto, pone in correlazione il Doing Business Ranking della Banca mondiale, che misura gli eccessi di burocrazia nella creazione e nella gestione di un’attività commerciale, con il livello di corruzione: ne emerge che fare business risulta più difficile nei paesi Ue con il più alto livello di corruzione, anche a causa della burocrazia che rallenta l’apertura di nuovi business (oltre a moltiplicare le occasioni di interazione con la pubblica amministrazione, e quindi i rischi di corruzione). L’Italia anche in questo caso si colloca in fondo alla graduatoria occupando il quartultimo posto. Anche sul gettito fiscale di un Paese la corruzione è in grado di ridurre l’ammontare delle imposte riscosse sia effettive, sia potenziali e riducendo la corruzione in Italia si potrebbero prevedere anche maggiori entrate per lo Stato riducendo le aliquote fiscali per ottenere lo stesso gettito fiscale. Confrontando le regioni italiane con quelle di altri stati dell’UE, solo tre di esse si collocano al di sopra della media europea per livello di corruzione: la provincia autonoma di Bolzano, la provincia autonoma di Trento, la Valle D’Aosta ed il Friuli Venezia Giulia. Nella classifica europea la provincia di Bolzano si colloca in testa, precisamente al 40° posto su 209 regioni della UE, la Campania – invece – è l’ultima tra le italiane al 188° posto. Dall’analisi del “Termometro” si evince che all’aumentare della trasparenza nell’agire amministrativo diminuisce la corruzione. Aumentare, mediante investimenti, la digitalizzazione in Italia - sottolinea il rapporto - comporterebbe una riduzione del livello di corruzione. Federico Anghelè, uno dei fondatori di “Riparte il futuro”, nel suo intervento evidenzia che «nel nostro Paese da un lato ci sono settori iper-regolamentati, dall’altro ce ne sono alcuni, come ad esempio le attività di lobbying, che sono prive di regolamentazione. Per questo stiamo portando avanti una campagna per arrivare a una legge». Anghelè dà il benvenuto al primo Rapporto come un punto di partenza per proseguire nell’attività associativa costituito da due focus: «Il digitale e la promozione della cittadinanza attiva, per arrivare non solo a combattere, ma a prevenire il fenomeno della corruzione».
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Revisione dei ruoli delle Forze di Polizia Marta Patacchiola Il Consiglio dei Ministri il 24 maggio scorso ha approvato, in esame definitivo, tre decreti legislativi di attuazione della legge di riforma della pubblica amministrazione (legge 7 agosto 2015, n. 124). Le principali misure introdotte riguardano il riordino delle carriere delle forze di polizia, delle funzioni dei vigili del fuoco e dell’Aci/Pra. I tre decreti rappresentano l’ultimo dei tre pacchetti in cui sono stati suddivisi i provvedimenti attuativi della legge n. 124/2015: il primo pacchetto di decreti contiene oltre al regolamento per l’accelerazione dei procedimenti, anche disposizioni relative alla cittadinanza digitale, alla Conferenza dei servizi, ai procedimenti autorizzativi, al Freedom of Information Act (FOIA) e trasparenza, alle Forze di polizia, ai porti, ai dirigenti sanitari, alle partecipate, ai servizi pubblici locali, ai licenziamenti; il secondo pacchetto riguarda, invece, il riordino delle Camere di Commercio, la disciplina della dirigenza della Repubblica, la semplificazione delle attività degli enti di ricerca ed il Comitato paraolimpico. Tra le misure adottate con il terzo pacchetto dei decreti attuativi figura la riorganizzazione dei ruoli delle forze di polizia1, adottata in via definitiva con D.Lgs. n.95 emanato il 29 maggio 2017. La previsione di delega (art. 8, comma 1, lettera a) legge n. 124/2015) stabilisce che i decreti legislativi provvedano, altresì, alle “conseguenti modifiche” degli ordinamenti del personale delle Forze di polizia di cui all’art. 16 della L. n. 121/1981 (Polizia di Stato, Arma dei carabinieri, Corpo della guardia di finanza, Polizia penitenziaria), anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio, al fine di evitare sovrapposizioni di competenze e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali. In particolare, il Decreto introduce disposizioni volte a migliorare l’efficienza delle istituzioni preposte alla tutela della sicurezza dei cittadini e della difesa del Paese e a valorizzare la professionalità e il merito del personale. Le misure adottate mirano a: - adeguare e rimodulare le dotazioni organiche complessive in base alla consistenza effettiva del personale in servizio per assicurarne la funzionalità, tenendo in considerazione un corrispondente margine di flessibilità; - rimodulare e valorizzare il percorso formativo, ridurre i tempi delle procedure (abbandonando quelle più risalenti) ed incentivare il ricorso alle nuove tecnologie; - valorizzare il merito e la professionalità come criteri per la progressione di carriera, oltre che l’anzianità di servizio con i correlati titoli ottenuti nel corso della carriera; - elevare il titolo di studio per l’accesso alla qualifica iniziale del ruolo di base (diploma di scuola secondaria di secondo grado), richiedere un titolo di studio universitari per la parte-
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Si ricorda che nel corso della XVI legislatura, le Commissioni riunite I e IV della Camera avevano avviato l’esame di alcune proposte di legge per il riordino delle carriere del personale direttivo e non direttivo delle Forze di polizia e delle Forze armate, al fine di pervenire ad un quadro normativo volto ad assicurare una maggiore valorizzazione del suddetto personale e un più armonico percorso professionale (A.C. 137 e abb.). L’esame delle proposte, però, non riuscì ad essere concluso prima della fine della legislatura.
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cipazione al concorso ovvero per l’immissione in servizio nelle carriere degli ispettori, dei funzionari e degli ufficiali; - ampliare le funzioni con particolare riguardo a quelle svolte da agenti e assistenti, sovrintendenti e ispettori con qualifica e gradi apicali, con contestuale intervento sui trattamenti economici connessi alle nuove funzioni e responsabilità attraverso l’introduzione di un parametro stipendiale più elevato (si rende necessario anche l’adeguamento degli stipendi del restante personale); - valorizzare il ruolo degli ispettori (direttivo) e quello delle carriere dei funzionari e ufficiali (dirigenziale), anche tenendo conto del nuovo requisito del titolo di studio universitario e potenziarne le funzioni; - abbandonare i seguenti istituti relativi al trattamento economico: a) assegno di valorizzazione dirigenziale per i vice questori aggiunti, maggiori e qualifiche e gradi corrispondenti; b) indennità perequativa per i primi dirigenti e colonnelli e per i dirigenti superiori e generali di brigata; c) cosiddetta “omogeneizzazione stipendiale” o trattamento dei “13-15 e dei 23-25 anni”, meccanismo che al maturare di una certa anzianità di servizio attribuisce ai funzionari e agli ufficiali un trattamento economico dirigenziale indipendentemente dall’assunzione di una “responsabilità dirigenziale”. La revisione della disciplina in materia di reclutamento, di stato giuridico e di progressione in carriera è stata adottata tenendo conto della necessità di assicurare il mantenimento della sostanziale “equiordinazione” del personale delle Forze di polizia e dei connessi trattamenti economici ferme restando le peculiarità ordinamentali e funzionali di ciascuna Forza di polizia, nonché i contenuti e i principi di cui all’articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 1832. È necessario ricordare, infine, che l’intervento di cui al Decreto in commento è correlato e contestuale a quello previsto dalla speculare legge delega sulla revisione dei ruoli delle Forze armate, che richiama anche il principio volto assicurare la sostanziale equiordinazione dei rispettivi ordinamenti e a cui è stata data attuazione con D.Lgs. del 29 maggio 2017, n.94. La contestualità degli interventi è altresì conseguenza dell’impiego dello stanziamento comune; a quest’ultimo si aggiungono anche, previa verifica da parte del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, le risorse derivanti dall’utilizzo del cinquanta per cento dei risparmi conseguenti, rispettivamente, alla razionalizzazione delle Forze di polizia, di cui al D.Lgs. n. 177 del 2016 ed alla revisione dello strumento militare per le Forze armate, di cui alla L. n. 244 del 2012. Inoltre, si precisa che l’art. 1, comma 365 della la legge di bilancio 2017 ha destinato specifiche risorse economiche per dare attuazione proprio alle previsioni sulla revisione della disciplina in materia di reclutamento, stato giuridico e progressione in carriera del personale delle forze di polizia e di ottimizzazione dell’efficacia delle funzioni del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco nonché sul riordino dei ruoli del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate. La legge di bilancio prevede, in alternativa, la destinazione di tali risorse al finanziamento della proroga, per l’anno 2017, del contributo straordinario su base annua previsto
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Nello specifico, l’articolo 19 della legge n. 183/2010 ha per la prima riconosciuto a livello normativo la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad esse appartenente, considerando in particolare: la peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti.
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dalla legge di stabilitĂ 2015 in favore del personale appartenente ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e alle forze armate non destinatario di un trattamento retributivo dirigenziale3.
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Per maggiori approfondimenti si rimanda al Dossier “Revisione dei ruoli delle Forze di Polizia - Atto del Governo n. 395 art. 8, L. 7 agosto 2015, n. 124�, Servizio Studi della Camera dei deputati, marzo 2017.
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normativo
Modifiche sostanziali e procedurali al regime della prescrizione Andrea Strippoli Lanternini Il 4 luglio 2017, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.154 la Legge 23 Giugno 2017 n. 103 denominata “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”. Il DDL (n.2067) durante il suo iter parlamentare ha visto l’approvazione in prima lettura da parte della Camera dei Deputati, verificatasi il 12 marzo 2015, e l’approvazione al Senato con modifiche, e con 156 voti favorevoli, 121 voti contrari e un astenuto. Tra le tante novità previste dal documento, afferenti sia al piano sostanziale che a quello processuale del diritto penale, va segnalata la riforma della disciplina della prescrizione. Le novità introdotte dalla legge n.154 in tema di prescrizione andrebbero applicate solo ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge e farebbero riferimento agli aspetti che di seguito vengono indicati. 1. Per i reati previsti dall’articolo 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale (e cioè quelli relativi a delitti di cui agli articoli 572, 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis del codice penale) se commessi nei confronti di minore, il termine della prescrizione decorre dal compimento del diciottesimo anno di età della persona offesa, salvo che l’azione penale sia stata esercitata precedentemente. In quest’ultimo caso il termine di prescrizione decorre dall’acquisizione della notizia di reato» 2. In relazione alla sospensione della prescrizione la legge prevede una norma che modifica i numeri 1) e 2) primo comma dell’art. 159 c.p. stabilendo che il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi di: a) autorizzazione a procedere, dalla data del provvedimento con cui il pubblico ministero presenta la richiesta sino al giorno in cui l’autorità competente la accoglie; b) deferimento della questione ad altro giudizio, sino al giorno in cui viene decisa la questione; dopo il numero 3-bis) è aggiunto il seguente: «3-ter) rogatorie all’estero, dalla data del provvedimento che dispone una rogatoria sino al giorno in cui l’autorità richiedente riceve la documentazione richiesta, o comunque decorsi sei mesi dal provvedimento che dispone la rogatoria». Viene inoltre introdotta una nuova ipotesi di sospensione prevedendo che il corso della prescrizione rimane altresì sospeso nei seguenti casi: 1) dal termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo di giudizio, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi; 2) dal termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi. I periodi di sospensione di cui al secondo comma sono computati ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere dopo che la sentenza del grado successivo ha prosciolto l’imputato ovvero ha annullato la
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sentenza di condanna nella parte relativa all’accertamento della responsabilità o ne ha dichiarato la nullità ai sensi dell’articolo 604, commi 1, 4 e 5-bis, del codice di procedura penale. Se durante i termini di sospensione di cui al secondo comma si verifica un’ulteriore causa di sospensione di cui al primo comma, i termini sono prolungati per il periodo corrispondente»; 3. la legge prevede inoltre la modifica dell’art. 160 secondo comma c.p. introducendo dopo le parole «davanti al pubblico ministero» le seguenti «o alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero,». Ciò comporta che anche l’interrogatorio reso alla p.g. su delega del P.M. procurerà l’interruzione della prescrizione. Il documento prevede altresì che l’interruzione della prescrizione avrà effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato, mentre per quanto riguarda la sospensione questa verrà applicata solo nei confronti degli imputati verso i quali si sta procedendo. 4. Infine, l’interruzione della prescrizione non potrà comportare l’aumento di più della metà del tempo necessario a prescrivere per i reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter, 319quater, 320, 321, 322-bis, limitatamente ai delitti richiamati dal presente comma, e 640-bis, e cioè per le principali figure di delitti contro la pubblica amministrazione.
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Gruppo italo-russo per il contrasto al narcotraffico A cura di Giovanni Tartaglia Polcini e Ranieri Razzante (Direttori) Lavori svolti con il coordinamento del Presidente Franco Frattini
Sommario: 1. Italian deliverables. – 2. A latin american survey according to the united nations guidelines in the field of countering drug trafficking and transnational crime networks. – 3. Parallelismo tra mercati e traffici: una nuova metodologia di approccio proattivo mediante la proposta di riconversione delle aree di produzione. – 4. The italian Fiu. – 5. Introduction - capacity building and law enforcement: a new deal against drug trafficking. – 6. An historical overview of the phenomenon. Abstract The activity of the Italian side in the Italo-Russian working group is the result of a rich scientific research and a great documentary: It is necessary a review of traditional patterns with a focus on new scenarios of prevention and counter-narcotics, a new method of proactive approach, the development of judicial and police cooperation to prevent and combat drug traffickers on-line. It is also necessary to implement national rules to combat money laundering and international terrorism by bringing together the laws of model states such as Russia and Italy, with particular attention to cyberaundering. It is appropriate and necessary to emphasize the strategic importance of the economic and patrimonial contrast to the phenomenon of drug trafficking, including through the confiscation and its management. It would be useful to map operation of transnational organized crime, with a focus on the phenomenon of “narcotics”. Finally, it is necessary to update the list of new drugs, especially the synthetic ones. Operational proposals by the Italian delegation, updated in view of the meeting of January 29 at the Ministry of Justice of the Italian Republic. Legenda Briefly, the activity of the Italian side in the Italo-Russian working group has been focused for each component, on some principles or deliverables, as indicated below: the drafting technique, streamlined and concise, takes into consideration the objective of presenting the document at UNODC in Vienna, on the occasion of the special session on anti-drug program in March 2016. The formuled deliverables are equipped with a rich scientific research and a large base of references, which will be attached to this paper.
Focus
I lavori del gruppo di studio italo-russo sono il risultato di una ricca ricerca scientifica e di un’enorme base documentale: • È necessaria una revisione degli schemi tradizionali con attenzione verso nuovi scenari di prevenzione e di contrasto al narcotraffico, una nuova metodologia di approccio proattivo, lo sviluppo della cooperazione giudiziaria e di polizia che tenga conto anche del particolare traffico di stupefacenti on line. • Occorre altresì procedere ad implementare le normative nazionali per il contrasto al riciclaggio degli ingenti capitali illeciti rinvenienti dal narcotraffico e del finanziamento al terrorismo internazionale, accostando le legislazioni di Stati modello come Russia ed Italia, con particolare attenzione al cyberlaundering. • È opportuno e necessario sottolineare l’importanza strategica del contrasto patrimoniale, oltre che personale, al fenomeno del narcotraffico, anche mediante l’istituto della confisca e della gestione dei beni confiscati ai fini sociali. • È utile una mappatura dell’operatività della criminalità organizzata su scala transnazionale, con precipuo riguardo al fenomeno dei “narcostati”. • Infine, occorre aggiornare l’elenco delle nuove droghe, soprattutto sintetiche, mediante una costante analisi territoriale con raccolta di dati attendibili, anche sotto il profilo epidemiologico.
1. Italian deliverables di Andrea Giannotti e Massimo Labartino It is necessary to revise the traditional approach of geopolitical reconstruction of the phenomenon of drug trafficking and, in particular, both as regards the Eurasian region, and Latin America (heroin - cocaine), with specific attention paid to the new scenarios that require a global and universally shared strategy. It is necessary to make a parallelism between markets and trades traditionally considered as different and separated, with a clearly outdated strategic: on the other hand it is necessary to elaborate a new method of proactive approach to contrast upstream drug trafficking causes, and its historical, economic and geopolitical aspects, focusing on the reconversion of the production areas. Giudice Federica Tondin It is essential the development of judicial and police cooperation, including through the creation of a network of experts on a global scale, of joint investigative bodies (article 19 UN conv. 2000), mechanisms for information sharing, in order to reach more effective action to prevent and combat, taking into account the characteristics of the demand for drugs, as well as the offer, and in particular on drug trafficking online. Cap. Giuseppe Panzarella It is also necessary to implement the harmonization of national rules to combat money laundering of large amounts of capital stemming from illicit drug trafficking and connected to international terrorism, and in this direction the legislations of Russia and Italy could be represent a model, with particular attention to the Cyberlaundering. Prof. Avv. Ranieri Razzante It is appropriate and necessary to emphasize the strategic importance of the economic and patrimonial contrast, to the phenomenon of drug trafficking, including through the establishment of the confiscation and management of seized assets for social purposes. Cons. Giovanni Tartaglia Polcini It would be very useful to map operations of organized crime in its various forms, involving transnational drug trafficking, with primary regard to the phenomenon of “narco-states” and
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the interests of the growing’ Isis, Al Qaeda and other Islamic terrorist groups in managing the major streams, the most significant routes and storage of drugs on a large scale. Proc. Armando D’Alterio It is necessary to update the list of new drugs, especially the synthetic ones, through constant spatial analysis with collection of reliable data, including its epidemiology.
2. A latin american survey according to the united nations guidelines in the field of countering drug trafficking and transnational crime networks di Massimo Labartino Any initiative headed to draft and distribute handbooks or guidelines collections on transnational crime seems to be desirable and highly appreciated. There could be, for instance, manuals based on compilations, organized by substantive issues, of lessons learned and demonstrated by the collected cases, to help national authorities in the criminal justice response to organized crime and in the implementation of the Palermo Convention. It is suggestible that a common Digest should not present good practices in terms of universally valid recommendations, rather as possible solutions to be evaluated in the light of the specific national circumstances. In this sense, such documents should not be universally based instrument, as not every country has joined the same level of compliance to international standards. The Palermo Convention has had so far a considerable impact as a criminal policy instrument, and many countries have adopted legislative and other measures in line with the basic approach of that instrument to the various criminal justice phases. Several specific criminal cases indicate when and how much that convention was utilized as direct legal basis for international cooperation, in particular mutual legal assistance and extradition. It could also be desirable to include in those manuals a chapter on substantive criminal law and on the scope of application of national laws concerning organized crime, hopefully not only restricting the document to criminal law issues but also encompassing public security matters. In many cases reported by the Latin American and Caribbean authorities in the field of drug trafficking and relevant money laundering, they have successfully identified and confiscated a variety of assets. The problematic issue of the management of seized and confiscated assets has to be emphasized, with particular regards to the management of livestock and the measures taken in this regard, even though, normally, in all the countries of the region specialized administrative entities were established. Of course, there will always be pros and cons of the management system in each particular country, but, generally speaking, the legal possibility of selling seized assets, not yet confiscated, could represent a way to avoid the assets perishing or losing value. The question was also mentioned of how to clarify the grey zone existing between legal and illegal activities carried on by criminals. On this purpose it is important to study alternative measures (including regulatory measures) that could effectively intervene to stop the corrupting penetration of legal business by organized criminal groups. Another priority is the need to strengthen the national legislation with regard to extradition: when there is no bilateral agreement with the country of the victim’s destination it is suggest-
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ible the advantageous application of the Palermo Convention as legal basis for extradition requests in the absence of extradition treaty or extradition based on domestic legislation. Addressing the money laundering is particularly difficult because criminal organizations rely currently on worldwide networks of financial enterprises and other companies, dedicated to the laundering of proceeds of crime. National Laws and Concepts of Organized Crime Scope of application of national laws on organized crime Most of the LAC countries criminal cases include a wide range of different criminal organizations, as well of offences committed by them. Consequently they assumed that national laws on organized crime are more effective when their scope is equally wide or sufficiently flexible. That is due to a “fluid” concept of organized crime. Such analysis should not lead to comparison between national systems in the LAC region, rather should be used to explain the functionality of the criteria used in order to cover an adequate area of organizational typologies of criminal conduct and offences. In this latter regard we emphasize the importance of developing flexible legislation in order to comprise all forms of manifestation of organized crime, including so called “emerging” or new crimes: sometimes present national legislations do not permit so yet. Almost all States Parties to the Palermo Convention have in their law the offence of participation in an organized criminal group in line with art. 5 (which includes conspiracy as an alternative). Such criminalization should be analysed when it is in relation to cases where the participation is not a separate charge but only an aggravating circumstance. Some national legislations allow the prosecution of persons that act for the benefit of a criminal group even if they are not members of it. On another point, what about the problem of the “serious crimes” in the Palermo Convention (for that instrument crimes are “serious”, and thus covered by it, when punishable by four years imprisonment)? Therefore, it maybe would be desirable that, when dealing with the criminalization of “emerging” crimes, national legislators respect that punishment threshold so enabling the use of the Palermo Convention as a basis for international cooperation. It can be also noted that, in spite of the frequent and sometimes complex intermingling of various national criminal jurisdictions, due to the transnational nature of the offences, not always in the Latin American experience shows the capability to solve existing situations of positive or negative conflict of jurisdiction. Equally delicate is the relation between exercise of jurisdiction and extradition. There should be an international consensus on the appropriateness of agreements, to be adopted as soon as possible, on the exercise of jurisdiction in all cases where the international cooperation takes special incisive forms as those (controlled delivery, joint investigative teams) that lead to, so to say, a co-sharing of the investigations. At present no international agreement has been reached yet on the matter of penal liability of legal persons (or application of civil or administrative sanction), in spite of the mandatory nature of the Palermo Convention norms on this matter. This is a new subject in many jurisdictions, where the legislation has not been consistently developed. Brazil and Spain are examples of countries with convictions under this subject, but it is a limited representative of the international community. In the investigation and prosecution field maybe we should pursue a deeper understanding of “proactive approach”. The Palermo Convention should be used as a basis for a general proactive approach on organized crime and for a subsidiary definition on proactive investigations. We could consider various types of action (intelligence-led investigations, special investigative techniques, etc.) relevant to that approach. Often the investigative cases show a multitude of different institutional settings, thus there are discussions concerning various aspects of the organizational structure of law enforcement
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and prosecutorial authorities. The two aspects of specialization and centralization have to be analysed, including two problematic issues: which level – i.e. what category of crime (organized crime vis-à-vis more restricted categories such as drug trafficking, cybercrime, trafficking in persons, etc.) – determines the special competence and jurisdiction of a specialized office or unit; and whether centralization of information is a self-standing, useful means, or should be accompanied by exclusive jurisdiction for the operations. However, in this latter regard the need of a central database for the unification of information is a desirable solution in the future, even when there is a lack of cooperation and commitment among different national law enforcement agencies. d. Special investigative techniques In the area of special investigative techniques the discussion is very rich, touching upon both aspects, the legal requirements to adopt them and the practical features they present. The discussion is also frequently focused on the “transnational” use of such techniques, where two or more countries are involved in the law enforcement activity. Particular attention is usually paid to controlled delivery (and border surveillance) and undercover operations (and informants). The Palermo Convention, article 20, does not contain detailed rules governing these techniques and appropriately calls for bilateral and regional agreements. Such agreements can only in part be replaced by case-by-case arrangements made, for instance, by liaison officers. Law enforcement cooperation The discussion touches upon many aspects of the law enforcement cooperation. Maybe it could be taken into consideration art. 27 of the Palermo Convention as a guiding text in analysing the various forms that such cooperation can take, including the sharing of enquires and knowledge on general features of criminal phenomena. In addition, that article may work as direct legal basis for the exercise of cooperation. Usually, the agents focus on the nature of law enforcement cooperation, underlining both the advantages of its informal nature, in comparison to the necessarily formal judicial cooperation, as well as the need to reinforce it by bilateral or regional agreements which could fix stable frameworks, thus facilitating the coordination of action in specific cases. Ad hoc MOU, in relation to single cases, could also represent a useful tool. Of course, the important contribution of Interpol at global level and of regional existing offices (e.g., Europol and Eurojust for the European Union area) has to be stressed as a fundamental structural component of the international cooperation. The availability and the role of liaison officers and the problematic issue of confidentiality is one of the most problematic issues. Judicial cooperation The wide discussion on judicial cooperation is due to the fact, as UNODC notes, that a minimum of 50% of the investigative cases include recourse to judicial cooperation. The Palermo Convention has a role as a modern instrument in judicial cooperation alternative to other legal instruments. The importance of regional bodies in facilitating cooperation and the value of the creation of specific legislation such as Mutual Legal Assistance Acts have to be reinforced. In any case, often the formal rogatory letters might be fruitfully prepared by previous informal activities and could be facilitated by standard and systematic means, as well as by institutional intervention like the exchange of liaison judge/prosecutor. In this case, peculiar difficulties could be encountered when assistance is requested to more than two countries, because timing and modalities of the answers are always were difficult to combine. All the methods that could be used to speed and facilitate such mutual legal assistance, then, should be welcome. There are various aspects of confiscation of proceeds of crime. Confiscation has a high functional value in relation to a criminal policy centred on the dismantling of the organized criminal groups. The various types of confiscation could be identified in relation to the crimi-
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nal offences, or to the range of the subjected assets or to the procedure adopted (e.g., criminal confiscation versus non-conviction-based confiscation). Naturally, there is an important role that the issue of provisional measures such as freezing and seizure can have, as well as to the complex area of financial investigations. In this latter regard the relation between those investigations and the investigations to simply ascertain the criminal liability of persons is quite discussed. Probably, the most desirable way of acting is to start financial investigations as soon as possible, as an integral part of the investigative process in all organized crime cases. It should be expected, on the other hand, that the law leaves the possibility to expand financial investigations beyond the time of ordinary investigations, given their complexity. The management of seized and confiscated assets, in this framework, represents a very complex challenge that not always has found a desirable institutional solution in all the countries of the region. With regard to international cooperation for the purpose of confiscation, the discussion revolves around two issues. First: which type of international agreement can constitute the basis for the execution of confiscation upon a foreign request. Beside criminal law conventions which contain specific provisions to that purpose, the recourse to general mutual legal assistance treaties has been indicated as an effective tool. Second: the above mentioned varied typology of confiscation measures may create difficulties in international cooperation. In addition, while the international debate highlights a tendency of national legislations to broaden the scope of application of confiscation (extended confiscation being a clear manifestation of such tendency), still a formal restriction is faced at the international level, where the Palermo Convention and other treaties provide only for cooperation in confiscation of instrumentalities and proceeds of crime (following a conviction). Human trafficking The main topic of the discussion regards the role of victims in the criminal proceedings. The use of cultural mediators could represent a form of assistance to victims, formally classified as assistant agents to law enforcement and prosecution. What maybe is of the utmost importance is a general implementation of victim identification programs. Smuggling of migrants Emerging patterns of smuggling, such as obtaining visas through bogus marriage with a local citizen or recognizing the paternity bond of a foreigner are the emerging modalities of this crime. Firearms trafficking The harmonization of national legal measures by the international community is probably the most desirable measure in order to create a unique system of punishment for those illicit acts. One of the main issues is the tracing of firearms, with particular regard to the relation between marking, registration and the request of international cooperation. New techniques on profiling have also to be considered. As far as the prevention measures are concerned, the regulation of Article 31 of the Palermo Convention comes into the light. There are some existing prevention methods to avoid organized criminal groups penetrating the public administration and legal business that could be more widely spread, as an example of ‘Anti-Mafia Certificate’ required by the Italian legislation as a regulatory measure for the establishment of new companies. On another hand, connection existing between regulatory framework of the production/ trade of firearms and the criminalization of illicit trafficking is a valid preventive tool. To keep the international cooperation in the transnational crime field as a living tool, what has to be expected in the future is, hopefully, a closer contact and exchange with the academic world, as to deepen the subjects of international policies in the global governance of 262
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crime countering and justice. At the same time law databases could also represent a global instrument of transnational crime cooperation, covering several jurisdictions with the aim of increasing the number of prosecutions and convictions related to the wide range of crime figures recognised by the Palermo Convention, through the collection and dissemination of qualitative information. LATIN AMERICA & THE UNITED STATES, A CHANGE OF PHILOSOPHY? Since 2012, more or less, there have been more fundamental changes in the scenario of the policy concerning drugs in Latin America and in the United States than in all previous decades combined. Three fundamental changes have occurred, each of which would be particularly is important by itself alone. Together they may constitute a decisive factor to put an end to the disputed and disagreed war on drugs in the Latin American hemisphere. Foremost, the referendums on legalizing marijuana in the States of Colorado and Washington (USA) in November 2012 have to be taken into the utmost consideration. For the first time, a few voters in the country that is the biggest consumer of illegal drugs generally, and of cannabis in particular, approved proposals to legalize possession, production and distribution of cannabis. While in Oregon a similar initiative failed and proposal 19 – calling for a cannabis limited legalization – was defeated in California in 2010, results in Colorado and Washington sent a strong message to the rest of the United States and of the international community. These results have not only created a conflict between federal law and the law of the States, but they also indicate a noticeable change in the American attitude. The President Barack Obama’s reaction before voting in Colorado and Washington was significant too, since they are in which he easily won as candidate for re-election. The legal and political problems involved by the American people’s decision are not minor: marijuana remains an illegal substance according to federal legislation and the UN international conventions on drugs and psychotropic substances adopted by United States. Moreover, it’s an issue still very delicate: although opinion surveys in the 2012 polls indicated for the first time a small majority in favor of legalization, opponents are still very vehement about it. President Obama, in an interview in December 2012, made three innovative statements to be taken into account. First, he said that the enforcement of the federal law on marijuana in Colorado and Washington was not a priority of his Government, because he had “more important things to do”. Secondly, he reiterated his opposition to legalization, but then added: “at this very time”. For the first time a President of the United States, in the exercise of his functions, was implying in some way a possible change in future policy. Finally, he supported the organization of a “national conversation” on the issue of State law against the federal law on similar issues. The third change in very recent months occurred in a country that is one of the largest suppliers of drugs, Mexico, through which virtually all drugs destined to United States pass: cocaine, heroin, marijuana and methamphetamines. The first of December 2012, Enrique Peña Nieto succeeded to Felipe Calderón in the Mexican Presidency. As it happens almost everywhere, the transition constituted an opportunity to carefully examine the policies of the outgoing Government, even though the new one has not the intention to modify those previous policies in the short term. In Mexico, there has been in the past a severe judgement on Calderón’s “war against drugs”. In fact, The Washington Post reported, on the grounds of internal government documents, that more than 25.000 people disappeared during the six years mandate of Calderón, in addition to the approximately 60.000 deaths due to the war on drugs in the country. 263
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The Human Rights Watch NGO wrote an open letter to Pena Nieto, asking whether he intended to do something in relation to the thousands of missing Mexicans. Then, in a series of leaks and explicit statements, the new Government highlighted the very high legal, bureaucratic and financial costs of past policies and stated that, despite enormously greater spending in law enforcement and security, many more crimes of all types had been committed. In a few words, the latest traditional principle applied regarding the enforcement of prohibitionist and punitive policies and legislations on drugs was declared to be a catastrophic failure, with very high costs, without major results for the country, the rest of Latin America or United States. Consequently, the main defenders of that principle (in the Latin American area represented by Calderón himself, former Colombian President Álvaro Uribe, the current and previous Presidents of Brazil and the conservative forces and United States security) seem to be losing public support. Supporters of a slightly different strategy (President of Colombia Juan Manuel Santos and former President of Guatemala Otto Pérez Molina, for instance), on the basis of premises of public health and legalization gained in recent years ground and consensus. On another hand, Uruguay adopted during 2013 a legislation fully legalizing marijuana. The Organization of American States (OAS) delivered several reports to the regional heads of State on alternative strategies in the field of the enforcement of legislation against drugs and on the “best practices” in force in other countries. And it is likely that other regions of the United States might approve a full legalization of marijuana or its medicinal use (almost 20 American States already allow it). It appears that a turnaround or a change in drugs policies is on its way. Of course, it will not happen overnight, nor everywhere, or in relation to all drugs, but after decades of ethical and public health oriented criminalization and prohibition, things have begun to move in a different and seemingly dangerous direction. The international community must be very attentive and keen on avoiding that many decades of fight against narcotics and psychotropic substances in order to implement a “world without drugs” might be endangered by a few extreme stances pro-legalization.
3. Parallelismo tra mercati e traffici: una nuova metodologia di approccio proattivo mediante la proposta di riconversione delle aree di produzione di Federica Tondin The reports of main of police operations, the data included in the last annual report (2014 edition, referring to the year 2013) prepared by the UNODC and in the last report drawn up by the European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA, European Drug Report 2015) outline an effective overview of the situation of the international traffic of drugs. Interesting news seem to concern new trade channels and the new routes used for smuggling, in addition to some new trends in consumption. The increased demand for heroin appears to be the main novelty, along with that of synthetic drugs, always in constant evolution, both in variety and in the trade methods. Cocaine demand, on the contrary, shows a decline. 264
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As for the areas of production of the basic substance, the cultivation of cannabis continues to be displaced in different parts of the world; the opium poppy, from which are obtained mainly heroin and morphine, continues to be produced mainly in Afghanistan and Southeast Asia, Laos and Myanmar. As far as cocaine is concerned, production is mainly located in South America and particularly in Colombia, Bolivia and Peru. Therefore, two are the main production areas of narcotic plants, the South-East Asia, for heroin, and South America for cocaine. In each of these areas, cultivation is strongly related, first of all, to the country’s economy, on the first hand because it is a source of income for part of the population, and, on the other hand, because it produces the object of an extremely lucrative traffic. As is widely known, considering this second aspect, the drug business concerns not only production countries but also those of transit, with different effects. First, the flow of money from the production or transit of drugs is an incentive to undertake activities related to drug trafficking. This is true both for farmers, for which the conversion of crops would be uneconomic, and for criminal organizations. This flow of money, then, fuels corruption at military and political level, and this constitutes a threat to the local governments themselves, which are likely to become a hostage of the criminal organizations – which are becoming a true parallel power other than the State. Finally, drug trafficking is a violent business: weapons are needed to control the flow of drug and money and to assert on other organizations. For this reason, it is precisely in the countries of production and transit and not in those of consumption that the greatest level of violence is found. It has been estimated, for instance, that an increase in the international price of cocaine of 10% causes an increase in the murder rate between 1.2 and 2% in Colombia. As for production, as mentioned above, we can identify two major areas located in the south-east Asia, and more specifically in Afghanistan, for heroin, and South America-Colombia, Peru, Bolivia for cocaine. In 2011 in Colombia, 64,000 hectares of land, mostly controlled by criminal organizations, were used for cultivation of narcotic plants; in 2006, the year of a greater market expansion, the production capacity of pure cocaine in that country has been estimated at 680 tons. Since the 80s the drug has entered deeply into the country’s political, military and institutional world, accounting for 4% of the Colombian economy: an industry that can provide jobs for approximately 1/5 of the population. The drug market, then, has created a real microeconomics, on one side through the classic drug market and on the other side through funds constantly coming from the US and Europe for the fight against this trade. As for relations with the institutions, at the time of the big Colombian cartels, the latter not only covered up organizations’ activities, but sometimes provided logistical support (aircraft, trucks, facilities). Also in Peru, the cultivation of cocaine has acquired since a long time considerable dimensions: according to estimates by UNODC, in 2011 62,500 hectares of land in this country were destined for that cultivation. The annual turnover of the cocaine trade amounted to more than a quarter of the national GDP. The production capacity of pure Peruvian cocaine in 2008 was estimated at 302 tons. In Peru there aren’t major criminal organizations; trafficking is handled by “firmas”, which are family organizations. Since the dissolution of the big Colombian cartels (in the 90s), Peruvian and Mexican organizations have seen their importance grow. In Bolivia, as in the other two countries just examined, drug production is first of all an economic resource: in 2011 27,200 hectares of land were cultivated for this purpose and the production capacity was more than 100 tons. The investigation activity of the Bolivian police reveals, as in the case of Colombia, the infiltration of criminal groups in the local production 265
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of cocaine. In Bolivia too, cocaine plantations have been for many years the only means of subsistence; in this country there is a kind of peaceful coexistence between drug traffickers and institutions. Cocaine produced in Colombia, Peru and Bolivia enters into the world market through different routes: the first and most important one, from the point of view of quantity, goes through Mexico to end up in the United States, which represent the most important market (it is estimated, for instance, that 95% of the cocaine seized in the United States comes from Colombia). In any case, the drug trade presupposes the presence of a criminal network capable of controlling points of departure, ports and routes; for this reason criminal organizations of Mexico, mainly involved in the transportation of the substance and in its introduction in the US, have become increasingly important on the international scene. Since the early years of 2000, due to changes resulting from political alternation, both locally and nationally, and the subsequent reduction of connivance that guaranteed safe passage of drugs across the border, the Mexican criminal organizations have become militarized. The creation of armed gangs was necessary to defend the routes of trafficking and this has caused an exponential increase in violence. The government has adopted a strategy of repression, which also benefited from the support of the United States, that have provided billions of dollars of aid to the Mexican reforms of security and justice. The weakening of large cartels, however, allowed the proliferation of new small criminal groups that, like their predecessors, try to establish and strengthen ties with political powers and the State. From the international point of view, Mexico has reaffirmed its commitment to the fight against organized crime and drug trafficking in various ways and locations. As mentioned above, through Mexico, drugs arrive in the US mainly by land, although because of stricter controls at the borders drug traffickers are seeking alternative ways through rail, sea, and air transportation. In addressing the serious threat of drug trafficking, the United States have focused on the enforcement aspect, criminalising drug use and punishing its cultivation and trafficking. At international level, assistance was provided to producing countries or transit countries, including through the donation of billions of dollars as aid to the military and the police of Latin American countries. Moreover, the US government has entered into specific agreements with Mexico and other Central American countries to coordinate the fight against drug trafficking. Nevertheless, data on the demand for cocaine show unfortunately only a partial decline in the short term. There is also a drop in production; the reasons must be identified in environmental factors, and first of all in the erosion of soils for cultivation, because of the methods used for logging. The impact of human action goes from combustion, used to free up areas occupied by other crops or woodland areas, to the intensive use of herbicides and pesticides which, in the long run, have made soils uncultivated. Another source of pollution is related to the disposal of chemicals used for processing coca leaf into cocaine. It is estimated that from 2001 to 2014 coca cultivation has destroyed 290,000 hectares of forest, degraded soils and compromising the water balance of entire areas. No less serious than the situation in South America is that of Afghanistan: the United Nations emphasize a substantial increase in opium production in Afghanistan; overall, there are signs that indicate a general increase in the availability of this drug. Currently, more than 80% of the opium production is made in Afghanistan. From 2009 to 2012, the global area devoted to this cultivation in Afghanistan has increased by 36% (from 154,000 hectares in 2012 to 209,000 in 2013); cultivations are located mainly in the provinces of south and east of the country. 266
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Also in this case, as is the case of South American cocaine, the production increase is related to a number of economic and political factors. The Islamic Emirate of Afghanistan has tolerated drug production until the early 2000s, when the government of Mullah Omar has decided to stop the economic exploitation of opium, probably in order to gain legitimacy abroad. This policy encountered the firm opposition of farmers, for whom the cultivation of opium poppy was the only means of subsistence. The effects of the breakthrough were still important: the area under cultivation increased from 90,000 hectares in 1999 to 10,000 in 2001. The situation changed significantly with the international military intervention following the events of September 2001: the substantial current anarchy in Afghanistan has indeed given ample space to drug traffickers, who have started again to exploit opium and heroin to get rich, strengthen their power and gain political influence. In this context, a number of organized groups of a military nature were established, fragmented and divided among them, able to threaten the local institutions and infiltrate national ones. Afghan drug industry represented then, in the years of the military intervention by the West, an international problem, not only for the incidence of local production on the world total, but also for export flows it fed. It was observed that the profits of drug trafficking networks - amounting to several million dollars – have contributed to the funds supporting terrorism networks. This, in the case of the Taliban in Afghanistan, represents obviously a substantial increase in their income. The largest consumer country of heroin from Afghanistan is Russia, which is in a situation similar to that of the US as against South American cocaine, for reasons mainly geographical. As with the United States as against Colombia, Peru and Bolivia, Russia is related to Afghanistan primarily from a geographical perspective. The flow of drugs, its social consequences and the infiltration of criminal organizations that control its transport and trade represent for this country, as it is the case for the United States, a real threat to national security. Yuri Fedotov, UNODC director, said that the fight against production of opiates in Afghanistan is a responsibility of the entire international community that requires a common strategy: “In Afghanistan, opium production is closely related to contexts of instability and trafficking heroin helps to spread the instability in the whole region�. Today, the Afghan economy is dependent, on the one hand, upon the aid granted by the international community and Western countries, and on the other upon the proceeds of the opium trade. Enforcement activity, which has so far produced only limited results, was based primarily on a repressive strategy. Another alternative approach aimed simply to eradicate opium plants. This policy, however, turned out to be reductive if not even harmful, because it risked to alienate even more citizens from the State and the law, as it did not create sustainable alternatives. In fact, releasing a province from opium may simply mean that people working in the cultivation in that province will move to other areas to continue the same activities. Therefore, many have pointed out, that an effective eradication of opium crops must become a component of a more complex strategy aiming to ensure an alternative development of the territories currently devoted to the cultivation of narcotic plants, by identification of alternative cultivations and through the granting of loans to farmers. Only through the reconstruction of a production cycle of the affected areas one can in fact create a new economy capable of replacing the previous one. To achieve this goal it is necessary to develop alternative programs aimed at encouraging sustainable development, creating jobs and infrastructures.
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It is a further approach, different from the traditional one, because in addition to fighting the effects of drug trafficking it goes as far as to change the causes of its production. In other words, this kind of action, next to the traditional repressive one and to that supporting local governments in the fight against drug trafficking, represents a new frontier of drug policy, which can give much better results as it aims at countering the economic reasons of the production of narcotic plants. It is vital, beyond the need for greater cooperation between the transit States in the monitoring of transit along the routes used by traffickers, to provide to Afghanistan the necessary means and assistance to abandon poppy cultivation and convert its agriculture to other types of cultivation. At present, however, the political situation of the country makes it hard to predict the capacity of the country to undergo such a radical transformation.
4. The italian FIU di Ranieri Razzante 1. What’s UIF The Legislative Decree no. 231/2007 has ordered and reinforced the skills of the Authorities involved in the AML/CFT activities, establishing a dedicated central body named UIF (Unità di Informazione Finanziaria), in a position of independence and functional autonomy inside of the Bank of Italy. In the AML/CFT activities UIF is supported by the CSF (Comitato di Sicurezza Finanziaria), established with the law n. 109/2007 (Counter-financing terrorism law). UIF has an administrative structure in order to distinguish the financial analysis from the investigative activity. In this way UIF plays a filter function related to the prevention of money laundering and financing terrorism activities.
2. What UIF does The Unit collects information on potential cases of money laundering and financing of terrorism, analyses the financial data, and decides whether the information should be passed to the investigative authorities (Special Foreign Exchange Unit of the Finance Police and Antimafia Investigation Bureau); it works closely with the judicial authorities. In particular, it examines the compulsory suspicious transactions reports filed by banks and financial institutions, as well as the monthly aggregate reports transmitted by financial intermediaries. It may request additional information from reporting banks, consult files to which it has access by law or by arrangement with other national bodies, and exchange information with foreign counterparts (FIUs). The FIU can freeze suspicious transactions for up to five working days at the request of the Finance Police Unit, Antimafia Bureau, judicial authorities, or on its own initiative, provided that this does not interfere with any investigations under way. The FIU draws on its database to conduct studies aimed at identifying and assessing phenomena, trends, practices and weaknesses of the system. It analyses single irregularities, economic sectors at risk, categories of payment instruments, and local economies. An outline of the results of these studies is transmitted to the other authorities.
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The Unit draws up regulations on the filing of suspicious transactions reports and on the transmission of aggregate data by financial intermediaries. It provides illustrations of anomalous economic and financial conduct in order to: - promote active cooperation on the part of the entities concerned; - facilitates the identification of suspicious transactions by providing and disseminating the irregularity indicators issued by the Bank of Italy, the Ministry of the Interior and the Ministry of Justice. Breaches of suspicious transactions reporting requirements are identified through on-thespot checks of entities and on the basis of available information. Where appropriate, the FIU opens the procedure for the issue of sanctions by the Ministry of the Economy and Finance. The FIU draws up a yearly report on its activity, which the Director transmits to the Ministry of the Economy and Finance by 30 May for forwarding to Parliament, together with a report by the Bank of Italy on the funds and resources allocated to the unit. Information on suspicious transactions may be exchanged with FIUs of other countries in derogation of the rule on professional secrecy and under memorandums of understanding. The FIU draws up a yearly report on its activity.
3. The Reporting of Suspicious Transactions Legislative Decree 231/2007 requires to the following obliged subjects - financial intermediaries and other persons engaging in financial activity; - professionals; - auditors; - a series of persons engaged in other non-financial activities to send the FIU a suspicious transaction report “whenever they know, suspect or have reason to suspect that money-laundering or terrorist financing is being or has been carried out or attempted”. The suspicion may arise from the characteristics, size, or nature of the transaction or from any other circumstances that come to the reporting institution’s attention by reason of its functions, and taking account of the economic capacity or business activity of the persons carrying out the transaction. The suspicion must be grounded in a comprehensive assessment of all elements – objective and subjective – of the transactions that are known to the reporting institution, acquired in the course of the customer’s activity or as the result of conferral of an assignment. To facilitate the detection of suspicious transactions, the AML law provides for several operational tools: a. anomaly indicators issued by other authorities on a UIF proposal; b. models and patterns representing anomalous conduct, devised and issued by the FIU itself. Even if these tools play an important role to orient suspicious reports, they should not be considered comprehensive and unconditional. In fact, they also need all other information obtained during the course of the activity. In terms of content, the report has four main sections: 1. data on the report itself, i.e. the information that identifies and qualifies the report and the reporting institution; 2. structured information items on the transactions, persons and accounts involved and their interrelations; 3. free-form description of the transactions reported and the grounds for suspicion; 4. any documents attached. Reports must be made without delay, where possible before the transaction is effected. Reports of suspicious transactions do not constitute a violation of secrecy requirements or 269
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professional secrecy, and if they are made in good faith and for the purposes envisaged by the law, they do not incur liability of any kind. Anomaly indicators: The Anomaly indicators are an illustrative unconditional list of potentially operations or customer behavior to be considered “abnormal” and potentially characterize intent of money laundering or terrorist financing. The indicators are intended to reduce the margins of uncertainty associated with subjective assessments or with discretionary behavior and also contribute to the containment of costs and the correct and consistent fulfillment of obligations to report suspicious transactions to the parties responsible. The Unit is responsible for developing and proposing the anomaly indicators, which are then issued by different authorities with formal measures. These authorities are: - the Bank of Italy for financial intermediaries and other parties providing financial activities; - the Ministry of Justice, for professionals, in consultation with the professional orders; - the Ministry of Interior, for the remaining non-financial and public administrations. In particular, the currently published anomaly indicators related to AML/CFT activities are the following: 1. Operational Guidance for the exercise of tighter controls against the proliferation of weapons of mass destruction financing programs (2009); 2. anomaly indicators for intermediaries (2010); 3. anomaly indicators for professionals and auditors (2010); 4. anomaly indicators for non–financial operators (2011-2012): 5. anomaly indicators for indipendent auditors and statutory (2013); 6. anomaly indicators for Public Administration (2015). Models and patterns representing anomalous conduct: Models and patterns representing anomalous conduct are an help instrument to identify and detect the suspicious transactions. These models and diagrams semplify frequent abnormal practices and behaviors discovered by the Unit related to potencial money laundering and financing of terrorism phenomena, as: 1. payment cards; 2. abnormal use of trust; 3. gambling; 4. Internationl tax fraud; 5. Fraud in factoring; 6. Usury; 7. Fraud in leasing; 8. Mesuse of public funds; 9. Intra-community VAT fraud; 10. Computer fraud; 11. Companies in crisis. At the end of evaluation conducted by obliged subjects, and if there’re real grounds of suspect, an STR must be send to UIF, which is composed of four sections: • Information data in which are indicated informations to identify the report and the operator who made the report; • Informative elements on the operations, subjects, reports and links among them; • Descriptive elements about the STR and grounds; • Any documents attached.
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All the obliged subjects who send resports have to judge the risk about money laundering and financing of terrorism STR through a scale of 5 values.
4. Operational Analysis The FIU performs financial analysis of suspicious transaction reports submitted by obliged entities and forwards them to the Special Foreign Exchange Unit of the Finance Police and to the Bureau of Antimafia Investigation, along with a technical report containing the results of the analysis. Financial analysis consists of: - information gathering to gain a better understanding of the context of the original transaction; - identify persons and objective connections; - reconstruct the cash flows underlying the operations, and thereby identify transactions and situations linked to money laundering or the financing of terrorism. The body of information developed through the screening and financial analysis of the reports also enables the Unit to categorize suspicious transactions and to identify and classify typologies and patterns of anomalous behaviour to be shared with the obliged entities. In accordance with international standards, the financial analysis process is divided into a series of activities designed to identify those STRs deemed to be wellfounded and warranting further investigation, to assess the actual degree of risk involved and to decide how they should be handled by drawing upon a variety of information sources. The analysis process uses the RADAR information technology system to gather and manage reports. The RADAR system also provides support for, among other things, classifying reports, identifying those deemed to be of highest risk and therefore to be given priority treatment, and making the information needed to perform the financial analysis immediately available. Assessing the risk of each report involves synthesizing a number of factors. One of the most important of these is the obliged entities’ own evaluation of the risk of money laundering or the financing of terrorism associated with the reported transaction. This evaluation, expressed on a scale of 1 to 5, represents the entity’s prudent assessment. The risk level assigned by the reporting institution, along with other internal and external factors, contributes to determining the automatic rating assigned by the RADAR system to the report, even though the two ratings are shown separately on the report form. Once analyzed the STRs rceived, the UIF can: 1) The FIU dismisses reports that it deems groundless, but keeps the reports on file for 10 years, with procedures in place to allow the investigative bodies to consult such files. 2) The FIU, on its own initiative or at the request of the Special Foreign Exchange Unit, the Bureau of Antimafia Investigation and judicial authorities, may postpone transactions that are suspected of involving money laundering or terrorist financing for up to five working days,42 provided that this does not jeopardize the investigation. 3) transmits the suspicious transaction reports, accompanied by a technical report, to the special currency unit of the Finance Police and to the National Antimafia Prosecutor for further investigation, if required. It also notifes the judicial authorities of any penally relevant findings. It closes the reports that it considers unfounded and so informs the reporting institution via a return flow of information.
5. Strategic Analysis In accordance with international standards and domestic legislation, in addition to operational analysis on reports of suspected cases of money laundering, the FIU also conducts
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strategic analysis to detect and assess relevant trends and patterns and to identify weaknesses in the system. Strategic analysis helps in the orientation of the Unit’s activities, the planning of initiatives and the prioritization of objectives. It utilizes and combines information obtained from the investigation of reports, the analysis of aggregate data and from all the other sources at the Unit’s disposal.
6. Controls Among the other activities, the FIU contributes to preventing and combatting money laundering and the financing of terrorism in part via onsite inspections of entities subject to the AML/CFT reporting requirements, in accordance with the powers conferred on the various authorities by the legislation in force. The inspections are not part of the FIU’s ordinary preventive activity and are generally carried out in justified circumstances or when other channels for acquiring relevant information on the entity’s business operations and transactions are unavailable. The Unit conducts general inspections to check the fulfilment of the active cooperation obligations and the adequacy of the STR procedures; targeted inspections are carried out when an in-depth analysis of STRs is needed or as part of cooperation with judicial, law enforcement and supervisory authorities.
5. Introduction - capacity building and law enforcement: a new deal against drug trafficking Di Giovanni Tartaglia Polcini It is a matter of fact that with the intensification of the world economic and financial globalization, there is a growing awareness of the devastating effects of drug trafficking on several areas simultaneously: every year, in fact, in Europe and Russia, due to the drug, thousand of people die, most of them are young. “The threat of drugs is likely to become one of the most serious problems of the twenty-first century, with consequences similar to those of the second world war in the twentieth”. The amount of drugs produced only on the territory of Afghanistan has reached twice the world production of 10 years ago. For this reason we agree that is essential the extermination of opium poppies and the destruction of crops, bringing the example of Latin America, where to combat drug trafficking in Colombia, with the spraying of defoliants and mechanical systems has been destroyed about 75% of coca plantations. In Afghanistan, in addition, almost all crops are concentrated in areas with massive presence of foreign troops and where is the majority of armed clashes. But we all know that the problem of drug production can not have only a military solution. For us, the creation and activities of a russian and italian working group against drug trafficking represent a strategic opport unity to improve the study and analysis of the global phenomenon. Our bilateral entity, based on cooperation spirit, in line with historical relationships between our countries, can produce documents and organize meetings and conferences in Italy and in Russia, to develop proposal and new operating instruments.
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We have the idea to expose our point of view also in the main international fora on illicit drug trafficking, including UNODC. We can write new important pages by the holistic and innovative strategies in struggling against drug trafficking. It is becoming crucially important, in the current post-globalized world, to develop a structured focus on all processes through which the frameworks of political and institutional actions are used or readjusted for the development of action frameworks within foreign States. We put an accent on the need to qualify more in detail the said processes to be interpreted as specific fields of bilateral and/or multilateral governance. • In this regard the following indicative list can be delineated: policy transfer itself; • lesson drawing; • legal transplantation; • policy learning; • institutional transfer. A close examination of each field places at center stage different actors, institutional issues and degrees of obligations. Policy transfer cannot be reduced only to ideas of political objectives. More in detail, when we consider bilateral and multilateral diplomatic initiatives, it appears quite useful to single out the following dimensions: a) the exchange of instruments, practices and programs of governance between “exporter” and “importer” systems; b) the dynamics of the said exchange which can be declined as follows: direct and total transfer of model, a process of opening up to an external idea, the hybridization of various models; c) the link between policy transfer and success or failure. Furthermore, Italy believes in the value-added effort to retrace ideas irradiate worldwide. Methodological approach First of all, the Italian experience in combating narcomafia demonstrates the centrality of the relationship between money laundering, organised crime and the mafia. Passing from the point of view of criminal policy to practical application, we can, in fact, say that drug trafficking, manufacturing, transportation and return, are, without doubt, the first entry of the structured and powerful criminal organizations, including the mafia. They have large amounts of capital, and structures, as well as insured covers men from some countries where production is stronger. These criminal organizations stipulate agreements for the transport of drugs from production sites to those pinpointing consumer even drug storage areas. The spread of drug trafficking, in postulates, an analysis of spatial data and geopolitics, with particular attention to routes for drugs, to new substances, to those involved in the production and distribution channels, market logic, even by reference to statistical data available today. Not least, becomes analyse flows of income from drug trafficking, and money laundering offences to combat the phenomenon through the Elimination of benefits achieved by criminal organizations. Is a global problem requiring adequate responses from all States legally oriented. A huge and widespread social evil consists of the growing problem of drugs that ruin the lives of millions of people at the same time undermining the integrity and the stability of governments. In many parts of the world the scourge of drug abuse and illicit trafficking, fueled by the immense profits they generate, is now at a level of emergency. It is time for the in-
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ternational community to encourage their efforts in a common enterprise to counter this deadly threat. This is the spirit we See at the base of our engagement. In line with this statement it has also claimed that the threat of drugs requires extra efforts and enlarged coordination between governments, international organizations and police forces, on the prevention and repression of trafficking. We must call for the commitment of institutions, associations, schools and families, to strengthen a network of information and solidarity, capable on the one hand to promote the economic development of the countries where the drug supply comes from, and the other to sustain against young people every possible initiative for the education of and recovery. Drug diffusion is today one of the most globalized world phenomena: multinational drug trafficking organizations, through complex and developing routes reach every single continent. Due to the alterations brought about in some vital sectors of each country, such as health and economy, an organization system is needed to effectively fight against illegal drug trafficking and distribution. It should take into account three essential aspects: - deep knowledge of the whole issue; - coordination of the Law Enforcement Forces operational activities, in order to avoid investigative overlaps; - appropriate development of international cooperation relations. This is the only way to have a new legal oriented approach to this problem. Italian experience A) At international level, the organised crime in general, and the Mafia-type networks in particular, operate in a context of strong financial crisis: this situation facilitates their infiltration into the economic environment, in order to launder illicit profits. These criminal organizations have huge funds availability, in particular those dealing with the international drug trafficking. Unlike other types of criminal groups, the drug trafficking organizations are not affected by crisis because both the demand and supply have increased, in a continuous spiral growth. The analysis of the drug operations, that are the statistical analysis of data concerning the drug phenomenon and the intelligence research, have highlighted the persistent danger of the domestic and foreign organized crime which are able to overcome all boundaries. To effectively declare an all-out war against the criminal networks – especially those dealing with the international drug trafficking – it is essential to promote and enhance political cooperation (conventions, bilateral and multilateral agreements, memoranda of understanding, informal procedures etc) and operational collaboration between the law enforcement agencies of the source, transit and consumption countries. This approach aims at harmonizing and developing intelligence so to fuel and improve global preventive and repressive strategies to be used by central institutions in steering, stimulating and coordinating operational forces. B) At national level, Italy is one of the main entry points for the drugs smuggled into Europe for different reasons: - its central position in the Mediterranean sea; - its closeness to the coasts of North Africa (a new important drug production and storage area and to the coasts into which the Balkan route runs (the main land route followed by most heroin arriving from Afghanistan); - its geographic features with over 6,000 km of coasts; - its organized crime activity, witch is the biggest and stronger in this market.
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Europe is one of the most important heroin target and the second cocaine consumption market after North America, as well as an important crossroads for international drug trafficking. Furthermore, in Italy there are criminal organizations with widespread and well-established branches abroad that are in control of their territory of origin and can run both international and local trafficking activities. Moreover, by analyzing the criminal groups the Italian law-enforcement agencies highlighted some points of strength: - Increased use of licit commercial activities and setting up of front companies to disguise illicit shipments, leading to an intensive flow of goods to and from Italy; - Creation of wire money transfer sub-agencies to pay drug couriers, their travel and stay expenses, drug samples and to transfer capitals; - Setting up of polyfunctional ethnic networks where groups of traffickers of different ethnicities interact overcoming racial mistrust so to carry out different types of trafficking (drugs, human beings, toxic wastes, weapons, etc.). The overall analysis of the main drug investigations highlights that a significant part of illicit trafficking is to be ascribed to said groups. Within this evolutionary framework, the traditional macro-criminal organizations which were once anchored to the territory and aimed at a stable balance of relations have now developed towards more opened and dynamic models quickly entering into more and more complex relations. In other words the criminal scenario is controlled by highly flexible and well-organized international cartels capable of rapidly changing their sphere of actions, relying on an open system based on outsourcing. High specialized criminal activities hinder investigations. Investigators are confronted with a series of groups often operating in a mafia-controlled context or organized in horizontal networks without a hierarchical structure that take advantage of the on- line communications system. Foreword We emphasize the transnational dimension of the phenomenon of drug trafficking; next to the figure on the globalization of drug trafficking must nevertheless highlight the centrality of the financial aspects of the combat drugs trafficking. In particular, organized crime has suffered in the last two decades, a real process of modernization, with a constant adaptation of the model offense characteristics of today’s society: the physiognomy of the traditional criminal organizations it then evolved towards forms of associative mold management, with flexibility to break into global economic flows, based on a strategy of maximum accumulation of profits and easy concealment of wealth illicitly produced. The size of the profits in question may be perceived by a simple examination of some data. According to recent estimates by UNODC, drug trafficking would have produce a turnover of 322 million US dollars, 38 of which in the Mediterranean Region; data, in terms of turnover, would place the company in this sector in 19th place in the world economic system, after – for example – the whole economy of a country like Sweden economically evolved. Eurispes estimated at approximately 100 billion euro turnover of the four major Italian mafia associations, 59 of them coming from the drug trade (for further evidence of the essential link between drug trafficking, organized crime and money laundering and relevance to the GDP of the sector mafias ‘drugs’). Based on other assessments, the illegal drug market, compared to areas of legal trade, would exceed that of the iron, steel and other product segments. Basically, it would be equivalent to around 8% of world trade.
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Quantify the drug from a financial perspective remains a difficult and it is certainly easier to look at the structural aspects and dimensions of the market. In the last decade the state and dynamics of the international drug market is characterized by a largely stable, both the demand and supply. But emerging new phenomena result of the globalization process, offering suggestions of further reflection for the understanding of the system. It highlights markedly exceeding the strict separation between production areas and consumption areas: Countries until some time ago unrelated to widespread phenomena are in fact experiencing the scourge of drug addiction. In terms of contrast trafficking it should be noted that although over 90% of the world’s opium comes from Afghanistan, that State is not affected by seizure activity quantitatively comparable to the production; in recent years, in fact, only 19% of the opium produced is intercepted. In other states, leaders in the cultivation, as Myanmar and Laos the situation shows no signs of change; the production of opiates continues to remain high and stable. A diametrically opposed considerations is reached by examining the data on the production and trafficking of cocaine; currently there is a decrease of the total area cultivated with coca 8%, due to a decline in cultivation in Colombia, which remains the world’s largest producer, far more prolific than in other, emerging as well, such as those of Peru and Bolivia. These positive results are the result of enforcement action that is not limited exclusively to the seizures of the product but will also work on the cultivation through, for example, forced and voluntary eradication of plants and aerial spraying. Repressive action the Colombian drug traffickers reacted by extending their interest areas and countries such as Peru and Bolivia, where in fact there has been a slow but steady rise in cultivation and cocaine production. Equally significant are the storage areas of the product and in this regard it should be noted the growing importance of countries such as Brazil, Venezuela, Argentina and the Caribbean. Among them, Venezuela is favored by powerful criminal organizations as privileged bridge for sending cocaine on US and European markets; this operation, which is facilitated by the absence or otherwise low profile of the financial instruments of existing law enforcement in the country. Industrial and/or commercial dedicated to import-export are therefore valid covers drug trafficking. More complicated is to describe the situation of cannabis as it presents itself contaminated by a whole series of elements that make it difficult to outline a complete picture. Thanks also to new systems of cultivation such as, for example, the hydroponics, the production is extremely fragmented in over a hundred countries. It can well imagine, therefore, how difficult it is to estimate the quantity and the cultivable area. In principle, it can still easily say that cannabis and its derivatives are still the most widely cultivated and used drug in the world. Recently, however, it was highlighted a decline in demand for amazing, especially in Western countries, due to the increase of the active ingredient THC obtained from producers in the cultivation process. Looking at the data available about the cannabis seizures made by the police forces of the different countries you delineates a slightly increasing trend. As in previous years, most of the seizures of marijuana have been reported from Mexico (39% of the world total) and the US (26%). Referring finally to synthetic drugs (amphetamines, methamphetamine and ecstasy), the first thing to emphasize is that these can be produced virtually anywhere at relatively low cost. Unlike the narcotic substances of vegetable origin, such as cocaine and heroin, the production of synthetic drugs is difficult to detect because the ingredients used are easily available on the market, since these are normally used in the productions legal. Ephedrine, lysergic acid,
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piperonal, safrole require chemical processes simple and inexpensive to become LSD, MDMA, amphetamines, performance-enhancing drugs. The characteristics of the market for synthetic drugs make it difficult contrast: in fact, over the fragmentation of production phases, it denotes, for example, a supply chain between manufacturers and retailers usually short, an easy adaptation to new trends and the needs of local markets, low costs and high profit margins. This type of drug has a very large market: consumers are estimated at about 25 million, far more than cocaine and heroin. Considering Europe alone, it is believed that about 10 million adults (15-64 years) have tried ecstasy at least once in their lifetime and that about 2.5 million have done so in the last 12 months. As for the spread, however, after the rich markets of the West synthetic drugs they are invading the so-called emerging markets. Asia, by virtue of demographic rates explosives, is, for example, significantly influencing the data on the question: namely, since methamphetamine are perceived as harmless, they are increasingly being used as a remedy, inexpensive and readily available, against fatigue and the stress arising from the rhythms of life overly competitive. Profiling The fight against international drug trafficking organized crime must tackle increasingly complex operational situations characterized by the participation of foreign criminal groups in all steps of drug trafficking. Criminal organizations take advantage of the growth of commodities and services global market, blending into the structure of legitimate enterprises. In fact, the analysis of the modi operandi of large traffickers’ organizations shows their ever-increasing use of outsourcing, availing themselves of other criminal organizations or often unaware legitimate companies. It was noticed that, in many cases, criminal groups are no longer organized in a hierarchy but in a web-shaped structure, where the connective tissue, even if made of strong identity features such as the ethnic belonging, is often inclined to interact with heterogeneous criminal macro-organizations. In order to have well-structured information enabling to suitably understand the complex criminal phenomena, a global analysis of factors and interrelations is necessary. InvestIgatIve coordInatIon Also in the drug field, the coordination of drug investigations is an indispensable tool allowing to optimize human, financial and technical resources, avoiding overlaps between lawenforcement agencies. The coordination activity medesimo to be based on the following principles: - gathering and analysis of the information collected by the law-enforcement agencies on persons under investigation and on the links between criminal organizations, their modus operandi, criminal dynamics and emerging connections; - information provided by foreign counterparts; - developing investigations and working out the relevant strategies in agreement with the Judicial authority in charge of the investigation. Investigative coordination also relies on the communications made by foreign countries through: - Law enforcement attacheĚ s posted to the diplomatic missions; - Law-enforcement counterparts through the respective liaison officers; - International police cooperation channels. The information also allows to start police and judicial cooperation at international level, an indispensable tool to combat the transnational crime. In order to thoroughly evaluate and enrich the information simultaneously gathered by different investigative offices, to share or address agreed investigative strategies or identify new strategies and facilitate the cooperation between the different investigative bodies as well as 277
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between national and foreign investigative Authorities, our working group convened ad-hoc info-operational and coordination meetings. Transnational drug trafficking takes advantage of modern communications systems to meet the needs of drug supplier and customers as well as those of the whole drug chain. As a result, effective, proper and timely investigative methods are needed to fill the gaps in the national legal systems and investigative procedures and even in the cultural approach towards this phenomenon. We have to maintains and develops cooperation relations with foreign police counterparts: the support to anti-drug activities, special operations in particular, is also ensured by personnel qualified in the use of high-tech equipment and by operational analysis, which ensures proper and timely information processing. An exemple: the new strategic role of Africa. The Nigerians and the Tanzanians cases. A recent activity focused on the fight against drug trafficking by air carried out by Tanzanian nationals. The arrival of criminal groups of Tanzanian ethnic origin in the international drug trafficking scenario was confirmed by the intelligence from foreign agencies. The investigation also highlighted that Nigerian criminal organizations lead heroin large shipments, directly negotiating drug supplies with Pakistani and Iranian organizations. Drugs are transported from producing areas to East Africa, in particular to Tanzania, from where it is smuggled by couriers, mainly Tanzanian, by commercial flights into Italy and North America. Rather than the modus operandi used by air traffickers and the quantities seized, the most significant aspect revealed by the analysis of this phenomenon is the use of routes originating from East Africa, as a strategic platform for criminal interests. The modus operandi of the Tanzanian couriers trafficking in heroin via air is very similar to the ones used by the Nigerian networks. On this basis, it is to be assumed that Nigerian and Tanzanian criminal organizations work in synergy, also facilitated by their ethnic-linguistic and religious affinity. They take advantage of the infrastructures (ports and airports) of East African countries and of the Arabian peninsula to import heroin from Central Asia and introduce it into European and North American markets in small quantities. The analysis of the operations concerning Tanzanian nationals at national level confirmed similarities with the international situation ascertained by foreign antidrug agencies, in particular in North America and North Europe. In fact, a dynamic situation has emerged with a significant increase in heroin seized from individuals from East African countries, in particular Tanzanian nationals. Analysis suggests that, due to its strategic geographic position, the Eastern region of Africa could become a cocaine market, both towards European and emerging Far Eastern countries. Analysis, in fact, considers the growing cocaine demand by the emerging Far Eastern markets, in particular China and South East Asia. Eastern Africa would be a suitable supply channel, directly fueled by the flows from South America. In this regard we cannot rule out that heroin/cocaine exchanges are carried out in that area of Africa. Based on the above, one can assume that the Tanzanian organizations do not only deal with drug transport and storage and have become more and more independent, operating in synergy with the Nigerian network. The seizures carried out in Italy at air borders confirm the above mentioned scenario, consid-
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ering the direct connections with the airport in East Africa and the Arabian peninsula; furthermore, backtracking courier routes it was possible to identify halfway transit in European hubs. According to the analysis, the area of origin of the drugs has widened including now the countries neighbouring Tanzania, where infrastructures and airport connection networks allow to vary the routes to make it difficult to trace the couriers. Based on quantities, the airports mainly involved in the heroin flow from Eastern Africa are those in Rome, Naples and Milan. The analysis of different operations in which Tanzanian nationals were involved in drug trafficking revealed a few significant aspects: • couriers: besides Tanzanian nationals also citizens from Lithuania, Portugal, Macedonia, Spain, Czech Republic and Romania were involved; East African Region. As to the following step, the routes involving Italy which have resulted from the investigations almost exclusively originated in Dar Es Salaam (Tanzania). From this place, routes branch out towards Europe, and their itineraries are chosen according to the availability of the airlines. These are the airports involved: • Africa: Nairobi or Mombasa (Kenya), Entebbe (Uganda), Addis Ababa (Ethiopia), Cape Town (South Africa); • Arabian Peninsula: Muscat (Sultanate of Oman), Dubai (United Arab Emirates), Doha (Qatar); • Europe: Brussels (B), Paris (F), Frankfurt (G), Zurich (Switzerland), Amsterdam (NL). Most of the drug flow seems to be destined for the Campania area, as proved by the drug seizures operated in this Italian region, involving Tanzanian nationals. Once entered Europe, the drug couriers reach Italy as follows: - By plane, also by means of low cost flights, above all destined for the airports of Milan Malpensa, Rome Fiumicino, Naples Capodichino, Venice Tessera, Caselle Torinese, Pisa, Florence, Brindisi; - by train, mainly to Naples, Caserta and their suburbs; - modus operandi: by air, heroin is smuggled in corpore, inside luggage or strapped to the body. The human couriers were found in possession of foreign and national telephone numbers, as well as of notes and phone books that led to the identification of a complex network of connections. The analysis of information shows that the operational base is in Tanzania: here, the leaders organize and manage the crucial phases of the drug trafficking, maintaining relations with Tanzanian contact persons stationed in Europe (Belgium and France), Brazil, China, Canada and in the US. - itineraries: data available do not clearly show the methods of transportation and the type of organization operating the first part of the drug trip, that is from the source country (Afghanistan) to the cocaine. To conclude, the Tanzanian criminal organizations which are active in East Africa deal with two different “worlds”, that of heroin and the other of cocaine. The Nigerian criminal networks provided them with the know-how, and they have consequently developed a flexible organizational and managerial capacity, which is the winning attitude to carve out an important position as co-leaders in the international drug trafficking scenario. As a consequence, the counter-narcotic efforts have to overcome the too limited vision of the “courier” and focus on rebuilding the complex relations network, identifying the crime ring and its leadership. Their target should be the identification of the drug supply chain and the source countries. For this reason, structured information sharing is a vital factor. Some ideas to fight narcomafias.
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The drug phenomenon has become more and more complex both considering the capacity of trafficking to penetrate the society and the social impact connected to its consumption. In order to analyse the trends of this phenomenon and to have an updated view of its national and international scenarios a key role is played by the daily and well structured exchange of information between the analysis, statistics and computer science fields. This flow of data allowed to carry out wide-ranging study, research and intelligence activities. In particular intelligence is being developed through the in-depth analysis of: - data on world production areas and relevant levels of production; - information on drug transit routes and criminal organizations responsible for the different phases; - movement of precursors and essential chemicals; - main drug operations; - statistical data on the arrest of the subjects involved in illicit trafficking and drug seizures. Moreover, the analysis of the complex market of drugs must also take into account the profile of drug supply and demand as well as the more complex issue of the dynamics of the illicit exchange. The analysis of such data which are fundamental to have a clear picture and get useful information to target drug law enforcement activity is carried out from two separate analytical profiles: strategic and operational. The operational analysis is mainly based on institutional sources and starts whenever investigations carried out by the local units highlight one or more investigative matches, that is whenever the information is such as to require a specialized approach. A dedicated software analyses the connections between the different investigations, that is subjects, telephone numbers etc, and this makes it possible to understand situations which otherwise are difficult to describe. In this way it is possible: - to identify the subjects and their roles within the organization; - to trace back the drug and money transfer flows; - to highlight the marginal areas of the investigations, suggesting possible new investigative leads; - to rapidly inform Agencies drug experts or foreign drug experts posted to Italy in order to establish contacts at information and investigative levels with foreign counterparts. This kind of analysis facilitates the understanding of the criminal activities and the links between the subjects belonging to the targeted investigation, allowing to combine the drug operations in order: - to facilitate coordination; - to provide precise useful data to target investigations. Strategic analysis allows to draw up situation reports on the problems connected to the drug phenomenon and its implications. In this case the information is developed by criminal analysts through the use of dedicated software – standard software commonly used in the world for intelligence analysis – and through the consultation of institutional and open sources.
6. An historical overview of the phenomenon Di Giuseppe Panzarella An overview over a century old experience of international drug trafficking contrast provides useful insights to better understand the phenomenon and its evolution, and so to be able to formulate some thoughts, considerations and proposals. 280
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At the beginning of the twentieth century, the world’s opium production was concentrated mainly in China, followed by India, Persia (now Iran) and Turkey. One of the first attempts of international engagement to combat drug trafficking was the International Opium Commission in Shanghai. On 26 February 1909, a group of diplomats gathered in Shanghai with the aim to hinder the drug trade. This initiative, encouraged by US President Theodore Roosevelt, was supported by thirteen nations, including Britain, Japan and Russia. Although the conclusions reached by the Commission were not binding, they had the merit of making the international community more aware of the phenomenon and of giving birth to a series of initiatives, including many unilateral ones. With the first International Opium Convention, signed at The Hague on 23 January 1912, it was determined that all the signatory states (including Italy) should make serious efforts to control the market of morphine, cocaine, and their derivatives. The initiative to hold this international meeting was taken by the United States and the Convention extended the scope also to cocaine, known since 1860, but emerged as problematic phenomenon in North America and Europe at the turn of XIX and XX century. The convention was opened with the expression of the will to gradually reduce the abuse of these substances, by resorting to international agreements, and on that occasion Italy, tried, with little success, to gain support for measures against trade in marijuana and hashish from its colonies in the Horn of Africa. Subsequently, the First World War saw the rapid increase of drug abuse and this stimulated many other countries to ratify the Convention. The Peace Treaty of 1919 gave birth to the League of Nations and, within it, to the Oppium Advisory Committee (O.A.C.), in order to oversee the implementation of the Hague Convention. In 1920 the international drug control became one of the tasks entrusted to the embryonic body of the future United Nations. This supervision allowed to ascertain an excess of production of drugs in comparison to the medical-pharmaceutical needs, but the suggestions presented were not effective both for failure to join the League of Nations of important countries, such as Russia and the United States of America) and for the different views and interests of countries with colonial possessions in the production areas. In 1925, two additional International agreements were signed, both of them were in the direction of the gradual reduction in the production of drugs including cannabis derivatives, adopting a system of authorization for the import and export, on the British model. Significant was also the 1936 Convention of, which had the advantage of being the first focused not only on production but also on drug trafficking, calling it an international crime. In 1945 the UN took the place of the League of Nations, during this period time new substances appeared (such as methadone), which somehow had to be inspected. In 1953 the UN signed a protocol authorizing only seven countries (USSR, Bulgaria, Greece, India, Iran, Turkey and Yugoslavia) to produce opium for export and which contained the stringiest provisions ever issued in the international arena on drug control, which gives more power to the Permanent Central Board. In 1961, while North America saw the spread of marijuana and hallucinogens (LSD) between the youth, it was signed in New York the UN Single Convention on Narcotic Drugs, which repealed and replaced all previous conventions. In addition to the recognition of the competence of the United Nations in the field of drug control, it allowed the creation of the INCB (International Narcotics Control Board), extending controls to crops. Among the main objectives of the Convention, as well as the restriction to only medical and scientific purposes the production, manufacture, import, trade and possession of drugs, there was the establishment of a lasting international cooperation, calling on member countries to cooperate in synergy with the international organizations, as well as to designate a national service appropriate to coordinate
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preventive action and the contrast to illicit trafficking, and to recognize all aspects related the drug market as criminal violation in the domestic legislation of the member countries,. The 60s marked large proliferation of the use of drugs. The world’s largest producer of opiates became Burma, now Myanmar, not far from Vietnam where the Americans were engaged in war. The wide spread among the soldiers involved in the conflict induces the US to request a new conference (the so called Amendments Protocol, Geneva, 1972) to amend the 1961 Convention, with the aim to strengthen the capacity and increase efforts to fight the illicit drug production and trafficking. A year earlier, in 1971, the mass consumption of cannabinoids increased also in Europe and the experiences of abuse of pharmaceutical and synthetic drugs (such as barbiturates, amphetamines and methamphetamine, particularly in Japan, Scandinavia, the UK and the US) had led to the Convention on Psychotropic Substances of Vienna, which laid the hallucinogens, sedative, analgesic and antidepressant, both natural and synthetic origin, under the control of the international community. It established the parameters for assessing the effect of the substances to be monitored, obliging member countries to issue special licenses for the manufacture, trade, distribution and possession of the aforementioned substances. It should be noted that the debate that preceded the Treaty, was characterized by very strong pressure by the pharmaceutical lobby. Despite the aforementioned efforts, also the 70 ended with a further and greater increase in the abuse of narcotics, also because of a cultural revolution that changed the social attitude toward drugs. The decline of the opiates produced in Turkey was replaced by production in Mexico, in the Golden Triangle, in Pakistan and Afghanistan, that hosted the cultivation of opium of Iran, after the Islamic Revolution of 1979, that made it forbidden. The spread of cannabis, both as production and as consumption, became a worldwide phenomenon, aided by experiments towards decriminalization of the use of that substance. Even the cocaine, whose production was increased in the Andean region since the early 70’s, began to be perceived as a serious problem in North America. Taking into account these indicators, the Commission on Narcotic Drugs in the UN formulated a plan of action, then resulted in the International Drug Abuse Control Strategy (1981). In the ‘80s it was recorded, with regard to the opiates, the consolidation of the productive potential of the Golden Triangle and the emergence of Afghanistan as a country producer, where illegal trafficking was funding the mujahideen movement. The production and consumption of cocaine grew steadily each year, as well as that of cannabis. Furthermore, on the international scene they aroused increasing concern the criminal organizations and their transnational networks with the highest revenue derived from drug trafficking, cause of corruption, violence and other crimes. The fight against drug trafficking becomes even more a priority, resulting in the Convention against Illicit Trafficking of Drugs and Psychotropic Substances, adopted in Vienna in 1988 by 183 countries (about 99% of the member countries of the United Nations). It gave the drug trafficking the character of international illicit, promoted the development of international cooperation both operative and legal, for example, calling for closer cooperation in combating illicit traffic on the sea and by stimulating the use of controlled international deliveries. One of the main aspects of the Convention was the emphasis on the laundering of the incomes of drug trafficking and the confiscation of properties derived from it. Another topic that was given greater emphasis than in the past, through a specific criminal provision, was the control of the precursors (chemicals used in the production or refining of narcotics), in order to prevent their commerce in the illicit market.
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The “drug” threat did not seem to downsize however, recording in the ‘90s dramatic increases in consumption of traditional drugs and boom in others, such as ecstasy; both in developed countries, traditional consumer markets and in the developing countries. Several factors contributed to this increase, such as a widespread economic prosperity and the rise of emerging economies, mitigation of border systems with the creation of free movement areas, the collapse of the Soviet bloc. There was the need of a new reaction of the international community that resulted in a Political Declaration, agreed during a special session of the UN General Assembly (UNGASS) in 1998. An important aspect of the statement was the concept of “shared responsibility” of the states in facing the global drug problem, giving greater prominence to the aim of reducing drug demand and therefore prevention, contained in the “Guiding Principles on Demand Reduction”. The device also contains a number of measures and action plans such as: - Action Plan against the production, trafficking and abuse of amphetamines, stimulants and their precursors; - The control of precursors; - Measures to increase judicial cooperation; - Fight against money laundering; - Action Plan on international cooperation for the eradication of illicit crops and alternative development. In 2009, the UNGASS was subjected to a review process, preceded by an analysis as to achieve the goals that were set a decade before. Today, in the third millennium, with the continued spread of consumer markets and diversification of routes, with the considerable increase of psychoactive substances produced and in circulation, as well as the phenomenon of multi drug, the issue of narcotics and psychotropic substances is confirmed as a real global problem. Undoubtedly, compared to the past, the international consensus on this subject is much higher and this should be considered already a result, but the current international scenario presents aspects even more dangerous and disturbing.
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