2018 1 Familia
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ISSN 1592-9930
amilia
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Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa
Rivista bimestrale
gennaio - febbraio 2018
D iretta da Salvatore Patti Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Maria Giovanna Cubeddu, Lucilla Gatt (vicedirettore), Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda
www.rivistafamilia.it
IN EVIDENZA ¢ La legge 22 dicembre 2017, n. 219. Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Prime note di commento Mirzia Bianca
¢ Alla ricerca dell’autosufficienza e del principio di eguaglianza dei coniugi al momento del divorzio
Umberto Roma
¢ Privacy e minori nell’era digitale. Il consenso al trattamento dei dati dei minori all’indomani del Regolamento UE 2016/679, tra diritto e tecno-regolazione Ilaria Amelia Caggiano
Indice Dottrina Ilaria Amelia Caggiano, Privacy e minori nell’era digitale. Il consenso al trattamento dei dati dei minori all’indomani del Regolamento UE 2016/679, tra diritto e tecno-regolazione......................... p. 3 Fernanda D’Ambrogio, Parental control: accorgimenti tecnici per escludere la fruizione da parte dei minori di contenuti classificati a visione non libera...............................................................................» 25 Giurisprudenza Trib. Treviso, 26 gennaio 2018, (con nota di Umberto Roma, Alla ricerca dell’autosufficienza economica e del principio di eguaglianza dei coniugi al momento del divorzio)......................................» 35 Corte cost. 18 dicembre 2017, n. 272 (con nota di Susanna Sandulli, Favor veritatis e favor minoris nell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità)............................................................» 59 Trib. Modena, decreto 3 novembre 2017 (con nota diValerio Brizzolari, Limitazione della capacità di agire e prodigalità obiettiva)............................................................................................................» 95 L’opinione Mirzia Bianca, La legge 22 dicembre 2017, n. 219. Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Prime note di commento...........................................................» 109
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Privacy e minori nell’era digitale. Il consenso al trattamento dei dati dei minori all’indomani del Regolamento UE 2016/679, tra diritto e tecno-regolazione* Sommario : 1. La privacy dei minori d’età nello spazio digitale. – 2. La costellazione delle fonti in materia di Internet, minori e privacy. – 3. Il consenso al trattamento dei dati del minore d’età dalle ambiguità del d.lgs. 196/2003 all’art. 8 del Regolamento (UE) 2016/679 (cd. consenso privacy digitale): l’ambito di applicazione e il rapporto con il consenso contrattuale. – 3.1. Consenso privacy versus capacità negoziale: i requisiti dell’atto di prestazione del consenso privacy dentro e fuori lo spazio digitale. – 3.2. Possibile interpretazione dell’art. 8 e tutela del minore. – 4. I problemi posti dal trattamento dei dati personali di minori in ambiente virtuale. La risposta giuridica e la tecno-regolazione.
The article deals with the topic of data protection of minors in the digital environment, focussing on the issue of consent to data processing (privacy digital consent) given by a minor. Drawing on the identification of the interests to be protected referring to minors’ personal data, especially in the digital domain, I analyze the new rule on minors’ digital consent laid down by Reg. (EU) 2016/679 in order to verify its ability to meet these interests, also with a comparison with US law.
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Il testo, ampliato e integrato con le note di commento, riprende la relazione svolta al Convegno intitolato «Il diritto di famiglia nell’era digitale», tenutosi a Napoli in data 24 ottobre 2017 ed organizzato dall’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa”, Facoltà di Giurisprudenza, in collaborazione con EFL (European Association for Family and Succession Law).
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Section 3 of the article puts the issue of the minors’ digital consent to personal data in relation with the privacy consent in general and the discipline of consent in contract law. The article concludes that the relevant discipline on this topic cannot be determined only by law (legal tool) or technology (technological tool), but techno-regulation and law need to be integrated.
1. La privacy dei minori d’età nello spazio digitale. Il processo di riduzione della complessità del reale ad informazioni divulgabili e commerciabili (c.d. datafication) ha reso di centrale importanza il problema della gestione di tali informazioni e della tutela della sfera privata personale di ogni soggetto cui tali informazioni sono riferibili. La oggettivizzazione in entità patrimonialmente valutabili delle informazioni relative agli individui rende il rilievo di tali informazioni incidente su ogni aspetto della vita delle persone fisiche, sì da richiederne una particolare attenzione in sede di regolamentazione. Il concetto di privacy, che, secondo il significato originario coniato in ambiente anglosassone, andava riferito all’intimità della vita privata e alla difesa della stessa verso le incursioni dall’esterno1, si è di conseguenza modificato divenendo polisemico e venendo riguardare non più soltanto il diritto alla riservatezza in senso stretto, ma il diritto alla protezione dei dati personali, che è il termine adottato negli atti legislativi europei ad indicare la situazione giuridica di riservatezza come non ingerenza nelle informazioni riferibili alla persona. Esso rileva ormai come autonomo diritto fondamentale (art. 8 Carta diritti fondamentali UE e considerando 1 Reg. 2016//679)2, pur potendosi riflettere se non residui ancora sul piano rimediale una mancanza di autonomia rispetto ad altri diritti della personalità (riservatezza in senso stretto, immagine, nome), in ragione della non configurabilità di un danno serio, ove manchi la lesione di questi ultimi3. A parte queste considerazioni in punto di tassonomie giuridiche, eccezionale cautela e, quindi, esigenze di protezione potenziate, vengono in considerazione quando i dati personali, di ogni tipo e in ogni momento raccolti, si riferiscono a particolari categorie di soggetti vulnerabili, tra cui i minori di età, da più parti identificati come i soggetti più deboli in assoluto della società umana.
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Su privacy e riservatezza, cfr. C. M. Bianca, Diritto civile, I, La norma giuridica. I soggetti, 2002, 180. La distinzione è legislativamente espressa, chiaramente, anche dall’art. 2 d. lgs. 196/2003 (cd. cod. privacy). Per l’orientamento che ha dubitato dell’autonoma configurabilità del diritto alla protezione dei dati come diritto soggettivo, P. M. Vecchi, sub art. 2, in La protezione dei dati personali Commentario al D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 a cura di C. M. Bianca e F. D. Busnell, Padova, 2007, 3 ss. Sul punto, ci sia consentito rinviare al nostro Il consenso al trattamento dei dati personali tra Nuovo Regolamento Europeo e analisi comportamentale, in corso di pubblicazione in Osservatorio di diritto civile e commerciale.
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In generale, la particolare condizione del minore non soltanto dà origine ad un’articolazione di diritti specifici che ne compongono lo statuto, ma anche ad una particolare “coloritura semantica” dei diritti della persona di cui è titolare e quindi anche del diritto alla protezione dei dati, nonché alla prevalenza dei diritti e dell’interesse del minore nel bilanciamento rispetto ad altri diritti e interessi4. Ciò, ad esempio, può significare una più frequente emersione del diritto all’oblio quando il trattamento di dati abbia riguardato un minore5. Sul terreno della tutela della privacy, il minore esige di essere particolarmente protetto da un’esposizione o sovraesposizione di dati per i possibili rischi sullo sviluppo della personalità, per l’esteso tracciamento della persona (profilazione) nel corso dell’intera vita, per i furti di dati o di identità, che se relativi al minore possono avere ripercussioni più gravi. Se ciò è vero, si pone però la questione di quali possano essere gli strumenti di tutela più idonei al fine di limitare il numero di trattamenti. Sotto questa specola può essere analizzato il problema del consenso del minore al trattamento dei propri dati. Il consenso – come noto – è stato da sempre inquadrato dal legislatore come uno strumento di scelta per dell’interessato nell’esercizio del diritto fondamentale relativo ai suoi dati personali. Dell’efficacia di tale strumento in termini di protezione dei dati contro i rischi per le libertà individuali, cioè dell’attitudine a rappresentare esercizio di scelta consapevole e funzione di filtro, si può dubitare6 e questa analisi circa la efficacia va valutata anche con riguardo alla norma sul consenso dei minori. Innanzi tutto, v’è da determinare a chi spetti la prestazione del consenso negli atti di autodeterminazione informativa (cd. consenso privacy), in caso di dati riferibili a un minore, che è problematica comune agli altri diritti della personalità. Il problema è stato posto dal legislatore (ad esempio, europeo e statunitense) nei termini di individuazione di particolari requisiti legali d’età per manifestare l’autorizzazione al trattamento dei dati personali e quindi di fissazione in astratto di una soglia alla quale ascrivere una raggiunta consapevolezza del minore. Le opzioni possibili s’imperniano sulla consueta idea che la protezione del minore, qui relativa ai suoi dati personali, possa essere assicurata con il prevedere una sua incapacità al compimento dell’atto, sì da richiedere il controllo – tramite la sostituzione – da parte dei titolari della responsabilità genitoriale, cui tuttavia si contrappone l’idea che una adeguata formazione del fanciullo dovrebbe vederlo protagonista e/o partecipe degli atti che compie.
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La specificazione del contenuto del diritto in virtù del soggetto titolare è evidente anche ove si intenda la privacy come riservatezza in senso stretto. In questo caso, l’esigenza di tutela della vita privata del minore si fa particolarmente incisiva nei confronti dei genitori. Ma non si dimentichi neppure l’inverso rapporto tra la tutela della riservatezza della madre e diritto all’informazione del figlio nell’adozione: l’accesso alle informazioni dell’adottato (art. 28 l. 184/1983) viene bilanciato con il diritto della madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata e che può essere ascritto alla tutela della sua riservatezza. Una panoramica generale, anche se anteriore alla novella sulla filiazione, è in V. Corriero, Privacy del minore e potestà dei genitori, in Rass. dir. civ., 2004, 998 ss. In proposito, si veda cons. 65 Reg. (UE) 2016/679. L. Gatt, R. Montanari e I. A. Caggiano, Consenso al trattamento dei dati personali e analisi giuridico-comportamentale. Spunti di riflessione sull’effettività della tutela dei dati personali, in Politica del diritto, 2017, 339 ss.
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La tutela della privacy del minore va poi contestualizzata nello spazio digitale, in relazione al quale la valutazione sui rischi e le vulnerabilità per il minore e gli spazi di una possibile tutela si arricchiscono. L’ambiente digitale è infatti spazio di affermazione delle capacità individuali ma anche luogo che per la sua pervasività e assenza di limiti genera insidie e pericoli che coinvolgono anche lo sviluppo psico-cognitivo del minore7. I pericoli della comunicazione in ambiente digitale derivano dal prolungato tempo di esposizione e utilizzo di strumenti digitali che veicolano dati personali, dai contenuti non controllati circolanti sul web a scapito di persone con una coscienza/capacità di comprensione del reale non ancora completamente formate8. Questi aspetti si traducono nel rischio di danni esponenziali allo sviluppo della personalità ma anche alla persona più in generale (si pensi solo esemplificativamente al recente fenomeno della Blue Whale), considerata la permanenza sul web e l’utilizzo degli strumenti informatici sin dalla nascita (cd. natività digitale). I minori deliberatamente utilizzano i propri dati personali o si espongono al tracciamento o alla profilazione per effetto della diffusione dei servizi di geo-localizzazione o simili, divenendo poi oggetto di offerte di servizi specifici che possono incidere sulla loro formazione o portare a lesioni nella formazione della propria identità o reputazione. La condivisione dei dati, anche sensibili, è in grado di condizionare altri aspetti della personalità, che spesso ricevono specifica protezione (identità personale, riservatezza, immagine). In questo quadro, una normativa sulla protezione dei dati può essere considerata funzionale anche ad evitare pericoli per la salute, l’integrità psichica e l’adeguata crescita del minore o che il minore divenga persona offesa in relazione a fattispecie di reato (adescamento e pedopornografia) o fattispecie altamente lesive per la sua crescita equilibrata (cyberbullismo). Nello spazio digitale sorgono altre problematiche specifiche, come la sovraesposizione del minore che, nativo digitale, anche in ragione dell’esibizionismo dei genitori, si trova ad essere spesso online, anche prima di nascere, “sotto forma di ecografia”9. Si dà origine così ad una identità digitale che precede quella anagrafica e che non risponde alla proiezione del sé voluta dall’individuo una volta maturo10. Di frequente avviene che l’intimità della vita del figlio sia violata a causa della diffusione di informazioni da parte del genitore e/o
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Rientrano in queste ipotesi le più generiche comunicazioni con altri utenti: comunicazioni online con soggetti sconosciuti; esposizione a contenuti generati da altri utenti e promuoventi l’anoressia, l’autolesionismo, l’utilizzo di droghe, il suicidio; incontri dal vivo con persone conosciute online per la prima volta; il cyberbullismo; immagini di lesioni ad altri bambini, scambio di immagini a sfondo sessuale. In proposito può vedersi lo studio iniziale della Commissione Europea nell’ambito della strategia Better Internet for Children, COM (2012) 196 (final). 8 In via generale rispetto all’utilizzo delle tecnologie digitali sono stati previsti specifici interventi legislativi, come la protezione in materia di pubblicità ingannevole o la garanzia di anonimato rispetto al diritto di cronaca. Vedi infra note 14-16, nonché, per pratiche commerciali scorrette, art. 21, co. 4, cod. cons. 9 Indagine AVG, multinazionale della sicurezza informatica, sui bambini di età inferiore ai due anni. La medesima indagine rivela che il 68% è già iscritto a social network e il 7% ha già una mailbox. Lorusso, L’insicurezza dell’era digitale. Tra cybercrimes e nuove frontiere dell’investigazione, Milano, 2011, 59. 10 Sull’identità digitale, in generale, G. Alpa, L’identità digitale e la tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contratto impr., 2017, 723 ss. e Serrao d’Aquino, Digito ergo sum: la tutela giuridica della persona dagli algoritmi, in www.questionegiustizia.it.
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che lo riguardano, ma che coinvolgono anche il figlio11. E una volta adulti potrebbe essere difficile cancellare le tracce dal web. Tali esemplificazioni dimostrano come l’ambiente virtuale non solo amplifichi le già anticipate problematiche del diritto all’oblio del minore ma, in punto di prassi, tenda ad abbassare la soglia di attenzione e il controllo degli stessi titolari della responsabilità genitoriale, che consentono la diffusione e il trattamento dei dati personali contrari all’interesse del minore. Ciò riporta al più generale problema della mancata ponderazione, anche da parte del maggiore di età, che le richieste di autorizzazioni privacy sono in grado di determinare e, quindi, se la sostituzione o intervento del genitore (recte titolare della responsabilità genitoriale) possano effettivamente tutelare il minore. Infine, nello scenario tecnologico, la scelta sui requisiti di capacità dell’atto di autorizzazione al trattamento dei dati personali va valutata alla luce degli strumenti attraverso i quali si esprime il consenso e della possibilità di controllare chi sia ad esprimerlo. Alla luce di quanto sommariamente su esposto, le scelte di policy recentemente compiute dal legislatore europeo in materia vanno valutate in base agli interessi da tutelare, ai mezzi previsti, al grado di attuabilità della previsione nella realtà tecnologica e quindi al loro significato in concreto in termini di protezione del minore.
2. La costellazione delle fonti in materia di Internet, minori e privacy. Le principali carte internazionali in materia di protezione dei minori si occupano del rapporto tra minori e tecnologie dell’informazione contenuto avendo riguardo al contenuto delle informazioni divulgate dai mass media e prescrivendo che debbano essere utili
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Garante Privacy, n. 75 del 23 febbraio 2017 (registro dei provvedimenti), in materia di violazione del diritto alla riservatezza della figlia minore in ragione dell’avvenuta pubblicazione (cd. post) da parte della madre della stessa, all’interno del proprio profilo Facebook, di due sentenze emesse dal Tribunale di Tivoli (relative alla cessazione degli effetti civili del matrimonio), nelle quali erano trattati aspetti riguardanti l’intimità della vita familiare concernenti, in particolare, la figlia, identificabile dal tenore del provvedimento. Il Garante sostiene la tesi della violazione degli artt. 50 e 52, co 5, cod. privacy, in ragione della natura potenzialmente “aperta” del profilo Facebook (la natura chiusa del profilo e la sua accessibilità a un numero ristretto di “amici” non è sostenibile per il Garante, in ragione del fatto che esso è agevolmente modificabile, da “chiuso” ad “aperto” in ogni momento da parte del titolare, nonché della possibilità per qualunque “amico” ammesso al profilo stesso di condividere sulla propria pagina il post rendendolo, conseguentemente, visibile ad altri utenti (potenzialmente tutti gli utenti di Facebook). La definizione dei social come luoghi aperti al pubblico è in Cass., 12 settembre 2014, n. 37596, disponibile sulla banca dati Lex24. La problematica è molto ampia ed è stata nuovamente affrontata anche dalla giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 23 dicembre 2017 - giudice dott.ssa M. Velletti) che ha condannato la madre di un ragazzo sedicenne, già decaduta dalla responsabilità genitoriale, a rimuovere le foto pubblicate sul social network Facebook e a pagare al tutore e al marito la somma di diecimila euro in caso di inosservanza (art. 614 bis c.p.c.). Il provvedimento, che dà rilievo al diritto all’autodeterminazione dei grandi minori oltre che ad una valutazione dei danni provocati dalla condotta del genitore, è conforme ad un indirizzo già espresso dalla giurisprudenza di merito, la quale, sulla base della funzione educativa dei genitori e dei diritti dei figli alla propria immagine e dati personali, sanziona le condotte che danneggino i diritti dei minori (Trib. Mantova, 19 settembre2017; Tribunale Brescia, 2 settembre 2017, n. 2610; Tribunale Livorno, 30 gennaio 2013, n. 94 tutte disponibili nella banca dati Lex24).
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alla loro salute e al loro benessere sociale, spirituale e morale12. Più raramente vi è il riferimento alla protezione dei dati dei minori, in via generale, mentre viene altrove ribadito il diritto alla riservatezza del minore, assente, però, nella Convenzione Europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori, ove compare il riferimento alla sfera comunicativa del minore come suo diritto all’ascolto13. Gli atti legislativi che si occupano della tutela dei minori, a livello europeo e nazionale, nonché numerosi strumenti di soft law intercettano e colpiscono fenomeni e rischi specifici, quali, a mero titolo esemplificativo, la pedopornografia infantile, la ludopatia, il cyberbullismo14. Si tratta di condotte che hanno una ricaduta indiretta sulle attività di trattamento di dati (la trasmissione o diffusione telematica di dati personali che è alla base di tali condotte) posto che le finalità illecite rendono illecito il trattamento anche quando lo stesso sia stato autorizzato15. Appare poi consolidato a livello legislativo e deontologico (da parte dei giornalisti) il divieto di diffusione su larga scala da parte dei media di contenuti, sensibili o meno, riguardanti i minori16. Su un versante più specifico mirante alla protezione dei dati dei minori, i rischi connessi alla diffusione dei dati personali sono stati oggetto di attenzione da parte dell’Unione europea nell’ambito del programma pluriennale per la protezione dei bambini che usano Intenet e altre tecnologie di comunicazione (Programma Safer Internet)17, il quale affronta
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Si occupano della tutela del minore, con attenzione alle informazioni divulgate dai mass media, Convenzione ONU su diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, del 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 27 maggio 1991, la quale riceve attuazione in Italia anche tramite l’operato del Garante dell’infanzia. Si veda, in particolare, l’art. 17 relativo alle informazioni divulgate dai mass media utili alla salute e al loro benessere sociale, delle quali si prescrive la finalizzazione al benessere spirituale e morale del minore. 13 La convenzione ONU, art. 16, riconosce il diritto dei bambini ad avere una vita privata e a non ricevere intromissioni in casa e fuori casa. La convenzione di Strasburgo è stata dottata dal Consiglio d’Europa il 25 gennaio 1996, ed è entrata in vigore il 1° luglio 2000. È stata firmata dall’Italia al momento dell’adozione e ratificata con legge n. 77 del 20 marzo. 14 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, adottata a Budapest il 23. 211. 2001 (art. 9 prevede l’obbligo per gli stati di sanzionare la pornografia infantile); Raccomandazione della Commissione del 14 luglio 2014 sui principi per la tutela dei consumatori e degli utenti dei servizi di gioco d’azzardo online e per la prevenzione dell’accesso dei minori ai giochi d’azzardo online. Da ultimo, in ambito nazionale, può vedersi la l. 29 maggio 2017, n. 71 Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo. 15 Es. art. 1, co. 2, l. 71/2017 «Ai fini della presente legge, per cyberbullismo si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo». 16 In questo quadro si collocano la previsione di cui all’art. 13 d.P.R. 448/98 che vieta la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento penale (previsione estesa dall’art. 50 del d. lgs. 196/2003 anche a procedimenti giudiziari diversi da quelli penali) e quanto previsto dalla cd. Carta Treviso, documento e codice deontologico dei giornalisti, aggiornato con norme a tutela dei minori e della loro privacy. 17 Commissione europea, Valutazione finale del programma pluriennale dell’UE per la protezione dei bambini che usano internet e altre tecnologie di comunicazione (programma Safer Internet) COM (2016) – 364 final; Commissione europea, Strategia europea per un Internet migliore per i ragazzi (Strategia BIC), COM (212) 196 final.
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problemi dell’Internet l’utilizzo da parte dei minori degli strumenti digitali e dell’accesso ad Internet. Altri strumenti di soft law, come il Codice di autoregolamentazione Internet e minori 2003, sottoscritto tramite associazioni firmatarie, da imprese operanti su Internet18, si occupano della tutela dei dati dei minori, mentre la Carta dei diritti dei minori in rete, del 3 febbraio 2004, del Consiglio nazionale degli utenti presso l’Autorità per le garanzia delle comunicazioni, proclama (solo) il diritto alla riservatezza delle comunicazioni del minore, al nome, all’immagine e alla dignità ma non alla protezione dei dati personali19. In un tale scenario, un ruolo centrale assume oggi la regolamentazione contenuta nel recente Regolamento (UE) 2016/679 (anche noto come GDPR), che in più punti richiama un’attenzione specifica sulla protezione dei minori rispetto ai dati personali, invertendo il silenzio dei precedenti testi normativi in materia20. Dal regolamento si ricava come tutela della privacy, con riguardo al minore, va intesa come non solo come “minimizzazione dei dati” a lui relativi (art. 5, par. 1, lettera c) reg. 679/2016), che è principio generale della materia, o come limite al legittimo interesse del titolare del trattamento (art. 6, par. 1, lettera f)), ma come restrizione agli utilizzi per finalità di marketing o creazione di profili utente ma in generale ad ogni raccolta di dati relativi a minori (con. 38, reg. 679/2016), o, nell’ottica del “consenso informato”, come trasparenza delle informazioni (cons. 58). La protezione del minore dev’essere altresì oggetto di specifica attenzione da parte del titolare del trattamento in sede di adozione di misure di gestione del rischio (in ottemperanza al principio dell’accountability, cons. 75 reg. 679/2016) e delle autorità di controllo (art. 57). Sembra emergere chiaramente come gli strumenti della prevista tutela vadano dal potenziamento dell’informazione, vista in funzione della formazione di un consenso consapevole, alla previsione di regole per i trattamenti, costruite come obiettivo imposto al titolare che viene reso responsabile dell’adozione di specifiche regole tecniche che realizzino la protezione dei dati personali.
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Il codice prevede all’art. 3.5 (Profilazione e trattamenti occulti) che «Nel rispetto del Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), l’Aderente non esegue alcuna profilazione dell’Utente minore né alcun trattamento dei suoi dati personali senza la previa autorizzazione espressa, a seguito di informativa chiara e trasparente sulla tipologia delle profilazioni che l’Aderente medesimo intende effettuare e sull’uso che di tali informazioni intende fare, da parte di chi esercita la potestà genitoriale». La riservatezza e tutela dei dati personali è prevista come espressa finalità del codice. 19 Carta Diritti dei Minori in Rete, approvata dal Consiglio Nazionale degli utenti presso l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni in data 3 febbraio 2004. 20 La cd. direttiva madre (1995/46/CE) non conteneva alcun riferimento alla tutela dei minori mentre il vigente codice privacy (d. lgs. 196/2003) contiene pochi riferimenti, sostanzialmente ribadendo e ampliando il dettato della normativa previgente.
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3. Il consenso al trattamento dei dati del minore d’età dalle ambiguità del d.lgs. 196/2003 all’art. 8 del Regolamento (UE) 2016/679 (cd. consenso privacy digitale): l’ambito di applicazione e il rapporto con il consenso contrattuale.
Il nuovo regolamento sulla protezione dei dati personali (GDPR) disciplina il consenso al trattamento dei dati da parte del minore, rappresentando il primo atto a livello europeo che affronta questo aspetto. Tale approccio colma una lacuna della precedente normativa, europea e nazionale, e ha l’obiettivo di far fronte alle problematiche riscontrate nell’utilizzo del web da parte dei minori (minore come soggetto attivo dell’informazione) secondo alcuni studi empirici21. Nel 2015, ad esempio, il gruppo delle 29 Autorità garanti europee, con lo studio Sweep _ Children’s Privacy ha raccolto i dati di un’indagine condotta su 1494 siti web e apps rivolte a bambini. Lo studio rivela molti problemi come informative privacy non adeguate ai minori, eccessiva raccolta di dati dai minori, frequente rivelazione di dati di minori a terze parti22. Ciò anche in ragione del fatto che – aggiungiamo noi – Internet e le tecnologie digitali consentono modalità di navigazione/utilizzo anonimi. Pertanto è altamente probabile che il minore non venga indentificato e così non venga approntata una qualche modalità di tutela ex ante. Sul piano della normativa interna previgente, il cd. codice privacy italiano (d. lgs. 196/2003), applicabile per intero fino al 24 maggio 2018, nulla dice in via generale circa i requisiti di capacità per la prestazione del consenso privacy e quindi sulla idoneità del minore a prestarlo23. Le uniche due norme che richiamano la capacità di agire di chi presta il consenso presenti nella normativa nazionale (art. 24 e art. 82 cod. privacy)24 sono riferite a situazioni
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Va precisato che vale anche per il contesto digitale l’unica norma di riferimento è contenuta nel regolamento 2016/679 (GDPR) all’art. 8, che pur nella sua formulazione generale è particolarmente confacente (pensata) alla realtà virtuale, mentre nessuna norma specifica è contenuta nella proposta di cd. e-privacy regulation COM (2017) 10 final (Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council concerning the respect for private life and the protection of personal data in electronic communications and repealing Directive 2002/58 EC). 22 Solo il 15% di siti web e app avevano verificato o impedito a minori di accedere al sito o app; l’applicazione non funzionava (per cui anche un minore di anni 10 poteva accedere) o che era solo passiva (pop-up indicante che un minore sotto una determinata soglia di età non avrebbe potuto accedere al sito). Solo il 24% dei siti e app incoraggiava il coinvolgimento dei genitori. 23 Pur in assenza di specifica disciplina, il Garante Privacy italiano ha teso a richiedere agli esercenti la potestà (recte responsabilità) genitoriale la prestazione del consenso al trattamento. Così, decreto 30 novembre 2015 [doc. web 1212652, minori e trattamento a fini di marketing], con riguardo ad una ipotesi che difficilmente avrebbe potuto prescindere dal consenso genitoriale, quale che sia la tesi cui si aderisce. 24 Art. 24, co. 1, lett. e) (Il consenso non è richiesto) quando il trattamento è necessario per la salvaguardia della vita o dell’incolumità fisica di un terzo. Se la medesima finalità riguarda l’interessato e quest’ultimo non può prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire o per incapacità di intendere o di volere, il consenso è manifestato da chi esercita legalmente la potestà, ovvero da un prossimo congiunto, da un familiare, da un convivente o, in loro assenza, dal responsabile della struttura presso cui dimora l’interessato. Si applica l’art. 82, co. 2. Art. 82, co. 2, lett. a) L’informativa e il consenso al trattamento dei dati personali possono altresì intervenire senza ritardo, successivamente alla prestazione, in caso di:
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speciali, o secondo un’altra interpretazione, addirittura, eccezionali (quindi non applicabili analogicamente) e nel caso di trattamento necessario per la salvaguardia della vita o incolumità di un individuo (art. 24), il richiamo alla capacità di agire può essere considerato inutile o in contrasto con i principi dell’ordinamento poiché relativo a ipotesi in cui risultano in gioco beni supremi dell’ordinamento in cui il consenso non dovrebbe essere neppure necessario25. In assenza di una norma generale espressa, nell’ordinamento italiano si era fatta strada la tesi che il minore potesse autorizzare il trattamento dei dati, salvo l’accertamento della sua capacità naturale26. A tale tesi si sono contrapposte letture volte a richiedere l’accertamento più o meno stringente della capacità di agire in capo all’interessato al trattamento27. La nuova normativa europea prevede, invece, nel solo caso di utilizzo di sistemi digitali, che il minore di anni 16 debba essere assistito o sostituito nella prestazione del consenso al trattamento dei dati personali da parte del titolare della responsabilità genitoriale. L’ambito di applicazione materiale della norma, limitato ai servizi della società dell’informazione, a ben vedere, non induce necessariamente a un diverso inquadramento del consenso privacy sul piano generale. Si impone, tuttavia, un’esegesi della disposizione volta a verificare anche i margini della sua applicazione negli ordinamenti nazionali, in considerazione della discrezionalità concessa agli Stati Membri. L’art. 8 del Reg. 2016/679 (Condizioni applicabili al consenso dei minori in relazione ai servizi della società dell’informazione) più specificamente prevede: Qualora si applichi l’art. 6, paragrafo 1, lettera a) (“quando l’interessato ha espresso il consenso al trattamento dei propri dati personali per una o più specifiche finalità”), per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento dei dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Gli Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purché non inferiore a 13 anni. Il titolare del trattamento si adopera in ogni modo ragionevole per verificare in tali casi che il consenso sia prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale sul minore, in considerazione delle tecnologie disponibili.
impossibilità fisica, incapacità di agire o incapacità di intendere o di volere dell’interessato, quando non è possibile acquisire il consenso da chi esercita legalmente la potestà (…) co. 4: dopo il raggiungimento della maggiore età l’informativa è fornita all’interessato anche ai fini dell’acquisizione di una nuova manifestazione del consenso quando questo è necessario. 25 S. Patti, Consenso, sub art. 23), in Aa. Vv. La protezione dei dati personali. Commentario a cura di C.M. Bianca e F. D. Busnelli, t. I, Padova, 2007, 544 ss. 26 V. infra al paragrafo successivo. 27 Per una ricognizione della dottrina, I. A. Caggiano, Il consenso al trattamento dei dati personali tra Nuovo Regolamento Europeo e analisi comportamentale, in corso di pubblicazione.
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Il paragrafo 1 non pregiudica le disposizioni generali del diritto dei contratti degli Stati membri, quali le norme sulla validità, formazione o l’efficacia di un contratto rispetto a un minore28. La norma può essere vista in parallelo con lo statunitense Children’s Online Privacy Protection Act 1998 (Coppa), in vigore dal 2000, un testo legislativo dedicato, il quale però prevede una regolamentazione molto più articolata: l’età del consenso digitale fissata a 13 anni, una lunga lista di metodi di verifica dell’identità del genitore, la rappresentanza dei genitori nella prestazione del consenso, l’obbligo del “titolare” di adottare misure di sicurezza e il divieto di sollecitare dati non necessari al trattamento29. La norma europea, invece, fissa l’età del consenso digitale ai 16 anni, con possibilità per gli Stati Membri di abbassarla fino a 13, prevedendo per i minori di età inferiore alla soglia prescelta che il consenso sia prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Come detto, anche al fine di una riflessione interna agli Stati Membri in ordine alle scelte in materia, appare opportuna una valutazione del contenuto della disposizione. L’ambito di applicazione della norma europea è limitato all’“offerta diretta di servizi della società dell’informazione”, ai sensi della direttiva (UE) 2015/1535, art. 1, richiamato da art. 4 Regolamento: servizi prestati normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario dei servizi, tra cui, primariamente, rientrano i social network e piattaforme di condivisione come You tube30. Il contratto online relativo a beni o servizi da consegnarsi o prestarsi fisicamente, coerentemente con quanto previsto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, può essere considerato servizio della società dell’informazione31. La norma può essere interpretata, inoltre, nel senso di riguardare tutti i servizi utilizzabili da minori, anche se ciò viene scoperto in seguito in base all’utilizzo di feedback (principio della conoscenza effettiva)32. Anche in questo caso il servizio può ritenersi diretto ai minori. La medesima disciplina non è invece direttamente applicabile alle manifestazioni di consenso privacy espresse con altri mezzi, lasciando impregiudicata la qualificazione giuridica dell’istituto del consenso al trattamento dei dati personali.
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Linee guida nell’interpretazione della norma sono state fornite dal Working Party art. 29: Art. 29 Data Protection Working Party, Guidelines on Consent under Regulation 2016/679, 17 EN/WP259 29 Children’s Online Privacy Protection Act of 1998, 15 U.S.C. 6501–6505, §312.5 Parental consent, disponibile sul sito della Federal Trade Commission www.ftc.gov. 30 Va, peraltro, ricordato, come, la nuova normativa si applichi anche agli ISP transfrontalieri, art. 3, para 2: Il regolamento si applica al trattamento dei dati personali di interessati che si trovano nell’Unione, effettuato da un titolare del trattamento o da un responsabile del trattamento che non è stabilito nell’Unione, quando le attività riguardano: a) l’offerta di beni o la prestazione di servizi ai suddetti interessati nell’Unione, indipendentemente dall’obbligatorietà di un pagamento dell’interessato […]. 31 Art. 29 Data Protection Working Party, Guidelines on Consent under Regulation 2016/679, cit., 24. 32 Così anche in COPPA, § 312.2, nella definizione di Web site, «sec. 2) A Web site or online service shall be deemed directed to children when it has actual knowledge that it is collecting personal information directly from users of another Web site or online service directed to children».
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La norma (art. 8 ult. co.) conferma, inoltre, la netta scissione tra i limiti e le condizioni del consenso privacy rispetto al consenso contrattuale (o negoziale). L’oggetto della norma è limitato alle condizioni di liceità del consenso al fine del trattamento dei dati. Non incide, invece, sulla eventuale validità del contratto33 dei servizi della società dell’informazione cui si accompagna il trattamento dei dati personali, per la quale bisognerà verificare non necessariamente la capacità di agire del minore ma il suo margine di autonomia e se si tratta di contratto che il minore può concludere autonomamente in base al diritto dello Stato Membro34. In punto di disciplina, inoltre, vengono introdotti meccanismi autorizzatori per i consensi “sotto – soglia” (per i minori di età inferiore ai 16 anni o diversa soglia prevista dallo Stato Membro) che sono sconosciuti alla sfera dell’agire del minore in ambito patrimoniale, quanto meno nel diritto italiano35. La scissione tra consenso contrattuale e consenso privacy pone diverse questioni. a) In astratto, il minore (es. dodicenne) potrebbe validamente stipulare un contratto (es. di vita quotidiana, acquisto di un video-gioco o di un app) ed essere “sotto-soglia” per la prestazione del consenso al trattamento dei dati (per cui soltanto sarebbe richiesto l’intervento del genitore ad adiuvandum o in sostituzione). b) Per altro verso, il minore potrebbe autonomamente fornire il consenso privacy senza poter validamente stipulare un contratto (in casi opposti al primo, ad es. nel biennio 16 18 anni. Potrebbe, quindi, darsi una valida prestazione del consenso ai fini della liceità del trattamento ma l’annullabilità del contratto (per il minore) (sub b)), ovvero un contratto valido perché conforme alle normali esigenze di sviluppo della personalità (per l’infrasedicenne) ma non lecito il trattamento dei dati (sub a)). Questa possibilità, peraltro, varia secondo che il trattamento sia necessario o meno alle prestazioni dedotte nel contratto, divenendo nel primo caso superflua la prestazione di un consenso espresso al trattamento dei dati (art. 6, lett. b))36. Nel caso di trattamenti necessari per l’esecuzione del contratto, la mancanza di esclusioni espresse nonché la limitazione dei requisiti di capacità del consenso al trattamento
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Ciò è, evidentemente, portato dalla natura del diritto alla protezione dei dati personali come libertà fondamentale, che si sottrae alle regole della negozialità tout court. Secondo l’insegnamento tradizionale, infatti, gli atti nei quali si estrinsecano le libertà fondamentali della persona sono esclusi dalla regola dell’incapacità negoziale, salva solo l’interferenza del genitore o del tutore giustificata dalla funzione di educazione e cura. L’interferenza dei genitori sull’esercizio delle libertà fondamentali può ammettersi solo in quanto obiettivamente ed effettivamente giustificata dalla funzione di educazione e cura e che man mano che il minore matura la capacità di fare le proprie scelte di vita (collegata alla capacità di discernimento) viene meno la ragione del suo assoggettamento ad una scelta esterna. Sulla capacità di discernimento, F. Ruscello, Minore età e capacità di discernimento: quando i concetti assurgono a “supernorme”, in Fam. dir., 2011, 404 ss. 34 Sulle condizioni del consenso contrattuale del minore nelle diverse esperienze giuridiche, cfr. G. Alpa, Il contratto I, Fonti, teorie, metodi, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 2014, 731. 35 Come noto, il sistema italiano, sulla scia di quello francese, adotta il modello “rigido” che considera il minore quale incapace legale, salvi – spesso anche notevoli – adattamenti. V. G. Alpa, Fonti, teorie, metodi, cit., 736 ss. 36 Il consenso espresso al trattamento non è necessario se: «il trattamento è necessario all’esecuzione di un contratto di cui l’interessato è parte o all’esecuzione di misure precontrattuali adottate su richiesta dello stesso» (art. 6 Reg. 2016/679), previsione già presente nella direttiva madre e nel d.lgs. 196/2003 (cod. privacy) all’art. 24.
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alle ipotesi previste ex art. 6, lett. a) Reg. 2016/679 (cioè al consenso espresso) esclude l’applicazione dell’art. 8 in caso in cui il trattamento sia lecito ai sensi della lettera b), cioè quando il trattamento è necessario per l’esecuzione di un contratto di cui l’interessato è parte o all’esecuzione di misure precontrattuali adottate su richiesta dello stesso. Di talché, si può argomentare che la valida stipula di un contratto comporti la liceità dei trattamenti necessari (sub a)), mentre l’invalidità del contratto travolge evidentemente la necessità del trattamento dei dati. Pertanto non appare necessario il consenso dei genitori al trattamento dei dati che sia strettamente necessario all’esecuzione derivanti da un contratto che il minore può concludere autonomamente. Anche per gli atti di consenso al trattamento diffusi nella pratica sociale e di limitato contenuto di pericolosità si può argomentare che rientrino negli atti minuti della vita quotidiana (rilascio del numero di telefono; autorizzazione alla pubblicazione sul profilo di un amico). Nel caso in cui il trattamento non sia necessario all’esecuzione della prestazione, l’autonoma rilevanza dei due consensi riemerge. Come detto, l’inciso di cui alla prima parte del paragrafo 1, limita il consenso proprio alle ipotesi in cui il trattamento non sia strettamente necessario all’esecuzione della prestazione oggetto del contratto, senza i quali cioè il servizio non sarebbe erogato (art. 8 lett. b)). In tali casi, semplicemente, la mera validità di un contratto non comporta la liceità dei trattamenti non necessari (ad es. per la profilazione, spesso “spinta” come avviene nei più comuni social network), laddove non vi sia un consenso privacy regolarmente espresso. Di contro, in virtù del collegamento negoziale, potrebbe argomentarsi che l’invalidità del contratto cui accede il trattamento dei dati non necessario (e pur legittimamente espresso) potrebbe far cadere anche quest’ultimo. Si tratta di questioni che, essendo connesse all’emersione dell’invalidità del consenso contrattuale del minore (che nella giurisprudenza è scarna se non inesistente) potrebbero del pari non generare controversie. Ma il problema, in sede di introduzione della nuova disciplina, va posto, non escludendosi che una diversa rilevanza della problematica potrebbe emergere di fronte nei casi di profilazione molto pervasiva. 3.1. Consenso privacy versus capacità negoziale: i requisiti dell’atto di prestazione del consenso privacy dentro e fuori lo spazio digitale.
Come si è anticipato, altra questione che può porsi con riferimento alla previsione sopra citata riguarda la sua incidenza sulla qualificazione giuridica del consenso privacy e la capacità richiesta in generale per l’atto che manifesta il consenso al trattamento dei dati. Può sostenersi in proposito che la norma non assuma rilievo in via generale, in ragione dell’ambito di applicazione limitato all’“offerta diretta di servizi della società dell’informazione”, rimanendo la questione qualificatoria risolvibile in base alle categorie generali, alla stregua di quanto elaborato in dottrina in relazione alla disciplina anteriore al Regolamento 2016/679.
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Sul piano generale, sotto il vigore delle previgenti normative, in assenza di dati legislativi la qualificazione dell’atto di consenso in generale è stata variamente operata in dottrina37. Si è ritenuto che per una valida prestazione del consenso privacy sarebbe sufficiente la sola capacità di intendere e di volere38 e che pertanto non sia prescritta nessuna soglia di età ma un accertamento in concreto della capacità naturale. Peraltro, è opinione consolidata che gli atti nei quali si estrinsecano le libertà fondamentali della persona siano esclusi dalla regola dell’incapacità negoziale, salva solo l’interferenza del genitore o del tutore giustificata dalla funzione di educazione e cura39. Più specificamente, si è avanzata l’idea di riconoscere, in vari ambiti, un’autonoma prestazione del consenso al minore capace di discernimento, intesa quest’ultima non solo come concetto sotteso (quale presupposto di efficacia delle norme che lo prevedono) al diritto all’ascolto del dodicenne o all’accertamento concreto di tale capacità per l’infradodicenne, o al consenso del quattordicenne all’adozione, ma anche come categoria che travalicherebbe i confini dell’ascolto del minore, e sottesa a tutte le ipotesi in cui il minore è legittimato allo svolgimento di atti di talché la fissazione di soglie di età è vista come presunzione legale di capacità di discernimento40. I “labili confini” della capacità di discernimento e le diverse ipotesi in cui esso è previsto meriterebbero una più attenta riflessione a livello di ricostruzione sistematica anche in termini di differenziazione rispetto alla “mera” capacità di intendere e volere. Appare, pertanto, non chiara la individuazione del caso simile a quello non normato o la definizione del principio generale, che non è possibile condurre in questa sede, a voler tacere dell’altro rischio connesso al margine di discrezionalità in capo al giudicante. Può apparire, maggiormente condivisibile invece, per ragioni sistematiche e di certezza, la tesi che sostiene l’applicazione analogica della normativa speciale sul diritto d’autore e segnatamente dell’art. 108 della l. 633/1941 che “l’autore che abbia compiuto 16 anni di età ha la capacità di compiere tutti gli atti giuridici relativi alle opere da lui create e di esercitare le azioni che ne derivano”41. Il minore ultra sedicenne può, nel caso delle opere dell’ingegno, prestare autonomamente il consenso, sia nel caso in cui lo stesso abbia natura patrimoniale sia non patrimoniale. Per i minori di 16 anni, i genitori prestano il
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Una panoramica, con riguardo ai diritti della persona, è in A. Nicolussi, Autonomia privata e diritti della persona, in Enc. dir. Annali IV, Milano, 2007, 133, spec. 149. Per il consenso al trattamento dei dati personali, la dottrina si è molto spesa a partire dalla l. 675/1996. Sul punto S. Sica, Il consenso al trattamento dei dati personali: metodi e modelli di qualificazione giuridica, in Riv. dir. civ., 2001, 621 ss. e per una panoramica ci sia consentito rinviare ancora al nostro Il consenso al trattamento dei dati personali tra Nuovo Regolamento Europeo e analisi comportamentale, in corso di pubblicazione. 38 Sulla sufficienza della capacità d’intendere e di volere, S. Patti, o loc. cit. 39 In materia di esercizio delle libertà fondamentali da parte del minore, non può tralasciarsi la disciplina e dottrina sul consenso del minorenne ai trattamenti sanitari, su cui, ex plurimis L. Lenti, Il consenso informato ai trattamenti sanitari per i minorenni, in Tratt. Biodiritto, II, I diritti in medicina diretto da Rodotà e Zatti, 417 ss. 40 A. Sassi, F. Scaglione e S. Stefanelli, Le persone e la famiglia, IV, La filiazione e i minori, in Trattato di dir. civ. diretto da Sacco, Padova, 2016. In senso contrario, F. Ruscello, Minore età e capacità di discernimento, cit., 408. 41 G. Resta, Autonomia privata e diritti della personalità, Napoli, 2005, spec. 307 ss.
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consenso nell’esercizio del loro potere di rappresentanza, seppure con l’obbligo di ascolto del figlio42. Rispetto a quest’ultima interpretazione, la norma “dispositiva” (nel senso di far salva la diversa previsione del legislatore nazionale) di cui all’art. 8 del Reg. (UE) 2016/679, con la previsione della soglia degli anni 16, appare coerente e, a questi fini, il legislatore nazionale potrebbe considerare l’opportunità di non modificarla. Inoltre, la specificazione che per gli infra-sedicenni il trattamento possa essere anche solo autorizzato dai genitori risponde al diffuso bisogno di riconoscere ai grandi minori una sempre maggiore autonomia. 3.2. Possibile interpretazione dell’art. 8 e tutela del minore.
Si passi ora a guardare nel dettaglio il contenuto della disposizione, al fine di verificarne la funzionalità rispetto alla ratio di protezione del minore contro i rischi sui propri dati personali. 1. (L’autorizzazione). Una delle maggiori novità, anche sul piano sistematico, è la previsione, in relazione al consenso del minore infra-sedicenne (o di età inferiore alla più bassa soglia prevista dal legislatore nazionale), della possibilità non solo che il genitore (recte il titolare della responsabilità genitoriale) possa rappresentare legalmente il figlio (che è la regola normalmente prevista per l’agire dell’incapace dall’ordinamento italiano e da altri ordinamenti anche con riguardo al consenso al trattamento dei dati) ma che il genitore possa autorizzare il trattamento dei dati personali43. In verità, questa possibilità di controllo preventivo mediante autorizzazione e non solo sostituzione (che è la regola della rappresentanza legale) era stata già ritenuta ammissibile nel nostro ordinamento, con riguardo in generale all’agire dell’incapace, in base ad una interpretazione funzionale della norma sulla rappresentanza legale del minore44, che richiede che l’atto ricada nella sfera di controllo del genitore o del tutore, e che pertanto può far ritenere questa esigenza soddisfatta anche quando il rappresentante legale autorizzi previamente l’atto. Un tale sistema è in grado di valorizzare la funzione educativa del genitore nella costruzione della personalità del soggetto, senza mortificare la libertà decisionale del minore in un regime intermedio tra rappresentanza e autonomia45. L’espressa previsione, pur speciale con riguardo al consenso privacy digitale, può rappresentare una
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Norme analoghe in materia di pubblicazione di generalità e immagine di minorenni testimoni e altri soggetti nei processi penali, salvo che il minorenne che ha compiuto 16 anni ne abbia consentito la pubblicazione (art. 13 d.pr. 448/1988) e la l. 97/1967 in materia di trattamento dei dati e attività lavorative di carattere pubblicitario o spettacolo ma con l’autorizzazione della direzione provinciale del lavoro e con l’assenso scritto dei genitori (minori con incapacità speciale lavorativa, per gli infra-quattordicenni). 43 Può qui precisarsi come si sia in presenza di un duplice utilizzo del termine. Il consenso privacy di per sé può essere qualificato come un’autorizzazione, che, nel caso di esercizio da parte di un minore, può essere autorizzata, cioè a sua volta essere oggetto di altro atto autorizzatorio da parte del genitore. 44 C. M. Bianca, Diritto civile, I, La norma giuridica, cit., 238. 45 C. M. Bianca, ult. o loc. cit.
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scelta opportuna, anche considerando il fatto che si verte in tema di libertà fondamentali, necessitanti l’esercizio da parte del titolare. 2. (La soglia dei 16 anni). Nodo cruciale della norma è rappresentato dalla previsione di un’età per la liceità del consenso, di cui può discutersi se sia da considerarsi adeguata per le finalità di tutela del minore46. La storia dell’art. 8 del GDPR rivela l’assenza di una riflessione dedicata sui requisiti richiesti. Venne introdotta nel 2012 poco prima della pubblicazione della proposta, prevedendo un limite di 13 anni e il Gruppo di Lavoro dell’art. 29 suggerì che l’ambito di applicazione fosse esteso al di fuori dei servizi della società dell’informazione. Non seguì alcuna discussione in seno al Parlamento europeo e il Consiglio ha deviato innalzando la soglia a 16 anni e adottando l’approccio flessibile, che conferisce agli Stati Membri la possibilità di prevedere soglie più basse fino a 13 anni47. Peraltro, nessuna indicazione correttiva o di specificazione è prevista nella proposta di regolamento E-privacy48. Il risultato è quindi una riproduzione, sul punto, della legge federale statunitense – il già citato COPPA, Children’s Online Privacy Protection Act –, che subordina il trattamento dei dati personali di minori di età, lì inferiore ai 13 anni, al consenso documentabile dei genitori, modificato nell’ordinamento europeo con il limite di 16 anni, adattato da un approccio flessibile, che lascia spazio ad una normativa potenzialmente disarmonica negli Stati Membri49. Come anticipato, un’ottica di effettività di tutela richiede di verificare se, posta la dubbia utilità del consenso privacy digitale in via generale, la particolare previsione dell’intervento in sostituzione o come autorizzazione del genitore sulla navigazione del minore possa effettivamente meglio garantire una maggiore ponderazione nell’autorizzare i trattamenti dei dati. Ferme restando le criticità evidenziate nei comportamenti che la dimensione virtuale può indurre negli stessi genitori50, l’opzione del legislatore europeo può apparire condivisibile, come pure la soglia d’età prescelta, non solo per ragioni di coerenza sistematica (come visto nell’ordinamento nazionale rispetto alla disciplina di altri diritti della personalità), ma altresì giustificandosi in ragione dello sviluppo emotivo del minore51. Difatti,
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In senso critico rispetto all’adozione della soglia dei 16 anni, e a favore invece della più bassa soglia dei 13, L. Bolognini, C. Bistolfi, L’età del consenso digitale. Uno studio dell’Istituto Italiano per la Privacy e la Valorizzazione dei Dati e del Centro Nazionale AntiCyberbullismo, disponibile online al sito www.anticyberbullismo.it, 1 ss., spec. 17. 47 Cfr. M. Macenaite, E. Kosta, Consent for processing children’s personal data in the EU: following in US footsteps?, in Information & Communications Technology Law, 2017, 26:2, 146 ss., spec. 160 ss., che esprimono forti critiche sull’approccio adottato per non aver fatto tesoro dell’esperienza statunitense, né, in ogni caso, averla superata sulla base di studi empirici. 48 Proposta di Regolamento E-privacy, cfr. supra nota 21. 49 Questa flessibilità potrebbe portare i prestatori di servizi a dover verificare, in base alla residenza dell’interessato, e non alla loro principale sede di stabilimento, i diversi limiti di età richiesti. Così Art. 29 Data Protection Working Party, Guidelines on Consent cit., 24 s. 50 V. testo corrispondente nt. 9 ss. 51 V. Comitato Nazionale bioetica, Violenza Media e minori 25 maggio 2001. Il parere attinge a ricerche condotte in ragazzi tra i 12 e i 20 anni che dimostrano come la corteccia frontale, da cui dipendono la pianificazione e organizzazione di molti comportamenti,
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le scelte in materia di trattamento dati, in relazione alle diverse finalità, richiedono a ben vedere un adeguato sviluppo intellettivo ed emotivo. Non solo, nonostante la comune percezione, la velocità e spesso la superficialità con cui si acconsente al trattamento, tali scelte hanno un impatto di lungo periodo o espongono a pericoli che richiedono una decisione ponderata e una scelta responsabile (si pensi all’esempio delle conseguenze della profilazione o della condivisione volontaria delle informazioni personali), ma la condivisione dei dati richiede un adeguato sviluppo, anche per evitare che quelle scelte possano portare a conseguenze nella sfera emotiva che il minore non sia in grado gestire. Inoltre, come detto, gli strumenti per la protezione dei dati possono essere considerati un primo livello di tutela indiretta rispetto a condotte illecite aventi ad oggetto dati personali (es. cyberbullismo). Ciò evidenziato, il problema che si pone è, piuttosto, legato al funzionamento delle tecnologie utilizzate, soprattutto con riguardo alla creazione di profili, e al se l’identificazione di un utente minore impedisca successive modifiche autonome alle impostazioni e comporti una minore condivisione di dati da parte del prestatore (ad es., in termini di pubblicità comportamentale)52, ovvero altre misure di protezione, come la navigazione protetta attivata dal controllo parentale. Mancando tali limitazioni (che allo stato tuttavia non sono state pienamente poste in essere in via spontanea nell’ambito ad esempio dei social network, che sono società di diritto straniero), si rischia che l’iniziale controllo da parte del titolare della responsabilità genitoriale venga posto nel nulla. 3. (I metodi di verifica di prestazione del consenso). L’astratta bontà della previsione che prevede l’intervento del titolare della responsabilità genitoriale nella prestazione del consenso privacy non dice, tuttavia, se esso sia effettivamente realizzabile (e non invece facilmente aggirabile) non solo in caso di creazione di identità digitali ma anche al momento della richiesta autorizzazione/sostituzione né se esso possa incidere effettivamente sulla quantità/qualità dei trattamenti eseguiti, che è la specifica finalità di tutela sui dati dei minori. Sotto il primo profilo, il regolamento, che richiede solo implicitamente la verifica dell’età del minore, affronta, in via approssimativa però, il problema della identificazione del titolare della responsabilità genitoriale, rimettendo al titolare del trattamento e alla sua responsabilità il compito di individuare i criteri più idonei con i mezzi ragionevoli in considerazione delle tecnologie disponibili53.
la regolazione dell’emotività e l’inibizione di risposte non appropriate, maturi molto più lentamente di altre aree della corteccia cerebrale. La maturazione emotiva non coincide necessariamente con quella cognitiva per cui paura ansia insicurezza possono essere dovute al fatto che l’adolescente capisce più di quanto possa tollerare sul piano emotivo. 52 Ad esempio, Facebook, a parte una serie di reminder rivolti ai minori in funzione educativa, come misure specifiche, evita che le informazioni di contatto di coloro che sono identificati come minorenni compaiano nelle ricerche al pubblico e disattiva la condivisione della posizione come impostazione predefinita. Cfr. il link https://www.facebook.com/help/473865172623776. 53 Si rammenta che l’art. 8 del Regolamento prevede che «Il titolare del trattamento si adopera in ogni modo ragionevole per verificare in tali casi che il consenso sia prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale sul minore, in considerazione delle tecnologie disponibili»
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La questione avrebbe potuto essere disciplinata in via più specifica e meno affrettata, in considerazione del fatto che il problema dell’anonimato sul web e nei programmi informatici o e quindi dell’utilizzo anonimo o pseudo-anonimo di questi da parte del minore rappresenta il principale (vero) rischio da affrontare prima di valutare ogni disciplina relativa all’accesso del minore all’internet. In una prospettiva di comparazione, il problema è stato diversamente disciplinato dalla normativa statunitense che suggerisce una serie di meccanismi di verifica: l’utilizzo di una carta di credito che preveda per ogni singola operazione una notifica al suo titolare; la connessione del genitore con il personale dell’app/programma/piattaforma tramite video conferenza; la verifica della identità del genitore con tramite documento di identità e altri54. Tali metodi saranno evidentemente recepiti anche in ambito europeo per l’operare nel mercato digitale dei players statunitensi, ma può sostenersi che il legislatore abbia perso l’occasione di indicare i criteri cui ispirarsi nei diversi canali di comunicazione in base al rischio per il minore (es. possibili tipologie di controllo differenziato nell’acquisto di beni o servizi distinti per tipologia, nella creazione di profili che comportano una permanenza e la creazione di identità digitali, l’accesso a piattaforme di giochi, anche d’azzardo). In quest’ottica potrebbe oggi pensarsi, sempre con riguardo alle ipotesi che espongano a maggiori rischi per il minore, anche all’utilizzo di sistemi biometrici di identificazione del genitore (tramite impronte digitali, firma, riconoscimento facciale o iride). Si tratta di una prospettiva non presa in considerazione (o esclusa) nei documenti e linee guida in materia che invece rimandano la possibilità di controlli più incisivi nel caso di dubbi, ma che invece su larga scala è idonea a meglio garantire l’applicazione della norma, laddove se ne valorizzi l’importanza e non la si renda recessiva rispetto al principio di minimizzazione dei dati55.
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Secondo il Coppa, §312.5 (Parental consent). […] (1) An operator must make reasonable efforts to obtain verifiable parental consent, taking into consideration available technology. Any method to obtain verifiable parental consent must be reasonably calculated, in light of available technology, to ensure that the person providing consent is the child’s parent. (2) Existing methods to obtain verifiable parental consent that satisfy the requirements of this paragraph include: (i) Providing a consent form to be signed by the parent and returned to the operator by postal mail, facsimile, or electronic scan; (ii) Requiring a parent, in connection with a monetary transaction, to use a credit card, debit card, or other online payment system that provides notification of each discrete transaction to the primary account holder; (iii) Having a parent call a toll-free telephone number staffed by trained personnel; (iv) Having a parent connect to trained personnel via video-conference; (v) Verifying a parent’s identity by checking a form of government-issued identification against databases of such information, where the parent’s identification is deleted by the operator from its records promptly after such verification is complete; or (vi) Provided that, an operator that does not “disclose” (as defined by §312.2) children’s personal information, may use an email coupled with additional steps to provide assurances that the person providing the consent is the parent. Such additional steps include: Sending a confirmatory email to the parent following receipt of consent, or obtaining a postal address or telephone number from the parent and confirming the parent’s consent by letter or telephone call. An operator that uses this method must provide notice that the parent can revoke any consent given in response to the earlier email. 55 Sul punto, tuttavia, Art. 29 Data Protection Working Party, Guidelines on Consent cit., 25 s., coerentemente con il principio di minimizzazione dei dati, con precedenti documenti e con le politiche dei Garanti Privacy sulle tecnologie biometriche: «Age verification should not lead to excessive data processing. The mechanism chosen to verify the age of a data subject should involve an
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Come detto, i metodi di verifica che in ogni caso verranno a determinarsi per effetto della presenza di players statunitensi, in base alle tecnologie disponibili e a meccanismi concorrenziali potrebbero essere sostanzialmente conformati alla normativa statunitense. Per cui la mancata previsione specifica in sede di prescrizione legislativa potrebbe essere in certo modo recuperata dai meccanismi di concorrenza economica indirizzata dalla soft law (codici di condotta o linee guida delle autorità). 4. (Il consenso di uno o di entrambi i genitori?). Altra problematica che la norma in verità non chiarisce riguarda l’intervento del titolare o dei titolari della responsabilità genitoriale. La disposizione utilizza il singolare (il titolare), potendo lasciar intendere la sufficienza del consenso o autorizzazione anche di un solo genitore. Da un punto di vista sistematico, tuttavia, si pone il problema della coerenza con altre ipotesi di esercizio delle libertà fondamentali, come in caso di pubblicazioni di immagini di minori, anche alla luce di recente giurisprudenza che richiede la manifestazione di volontà di entrambi i genitori56.
4. I problemi posti dal trattamento dei dati personali di
minori in ambiente virtuale. La risposta giuridica e quella tecnologica: rapporto tra diritto e tecno-regolazione.
Come accennato in fine al paragrafo che precede, la possibile interazione tra dettato normativo e meccanismi normativi extra-giuridici, i quali rispetto all’induzione verso determinati comportamenti o scelte sono qualificabili come spinta gentile, può suggerire una riflessione conclusiva sulle problematiche emerse in tema di consenso al trattamento dei dati dei minori e sulle loro soluzioni possibili. Sono state lumeggiate le considerazioni critiche circa l’adeguatezza del consenso in generale e di quello genitoriale, in particolare, quale strumento di possibile tutela dei dati personali direttamente da parte dell’interessato o del titolare della responsabilità genitoriale57. Sull’illusorietà del consenso quale vuoto formalismo, si rammenta come rimettere la scelta del trattamento dei dati nelle mani dell’individuo significhi far ritenere che il rischio sia assunto consapevolmente dall’interessato, in virtù del consenso informato prestato dal-
assessment of the risk of the proposed processing. In some low-risk situations, it may appropriate to require a new subscriber to a service to disclose their year of birth of to fill out a form stating they are (not) a minor. If doutbts arise the controller should review their age verification mechanisms in a given case and consider whether alternative checks are required» […] «In low-risk cases, verification of parental responisbility via email may be sufficient. Conversely, in high-risk cases, it amy be appropriate to ask for more proof». 56 Trib. Mantova, 19 settembre 2017, in Il quotidiano giuridico (Wolters Kluwer), con nota di C. Moretti, disponibile sul sito www. quotidianogiuridico.it. 57 Le stesse considerazioni critiche possono, quindi, estendersi alle regole di trasparenza, come noto, potenziate con riguardo ai minori di età. Cfr. art. 12 e cons. 58 Reg. 2016/679: «Qualsiasi informazione o comunicazione che riguardi minori dovrebbe utilizzare un linguaggio semplice e chiaro che un minore possa capire facilmente» (cons. 58).
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lo stesso. Le evidenze offerte dagli studi empirici dimostrano, tuttavia, che vi è una endemica impossibilità concreta, anche da parte anche dei maggiorenni, di essere consapevoli delle scelte fatte online di coglierne le conseguenze pratiche, ciò unita anche ai fattori reputazionali dei fornitori del servizio (es. Google). In tal modo, il consenso informato diventa un’agevole soluzione per i Provider di sfruttare dati personali in maniera ampia, anche per scopi molto distanti rispetto a quelli iniziali di raccolta dei dati sottoponendo richieste di consenso per finalità ulteriori. Queste considerazioni richiamano l’interprete alla necessità di non sovrastimare l’impatto in termini di tutela del “consenso privacy parentale”58, anche alla luce degli ostacoli operativi. Fatta questa preliminare considerazione, nell’ottica di un’interpretazione della normativa esistente di tutela del minore, due problemi fondamentali sono emersi dallo scenario tecnologico e normativo: la possibilità di aggirare con la creazione di profili falsi il limite di età da parte dei minori, abili nativi digitali; la difficoltà, per i responsabili del trattamento ma anche dei titolari della responsabilità genitoriale, di controllare e limitare i contenuti della navigazione o l’utilizzo di software da parte dei minori, tra l’altro sotto questo profilo emergendo questioni di riservatezza dei figli rispetto ai genitori. Rispetto a queste problematiche, nell’ambiente digitale è illusorio pensare che la risposta possa essere soltanto giuridica e quindi risolvibile esclusivamente dalla nuova disposizione che si è commentata, ma, come si è visto, non può che passare per lo sviluppo e le soluzioni offerte dalla tecnologia59. Con riguardo a queste ultime, si è segnalato che, a fronte del problema dell’anonimia o pseudoanonimia della navigazione, meccanismi di autenticazione sempre più attendibili possono essere sviluppati in ambito tecnologico fino all’utilizzo di sistemi biometrici, già commercializzati (impronte digitali, riconoscimento facciale o iride). Il problema che si pone nel caso di autenticazione biometrica è rappresentato dalla ulteriore immissione di dati, anche dei minori stessi e della tutela60. Si potrebbe dire di assistere al paradosso che per proteggere il minore dal trattamento dei suoi dati (unitamente ad altri pericoli) si è costretti ad immettere più dati personali, dei genitori. Ma, come detto, se si considera la
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M. Macenaite, E. Kosta, Consent for processing children’s persoanl data etc., cit., 185 ss. Ciò è ben chiaro, inoltre, al Garante Privacy italiano, secondo cui: «L’idea di fissare una soglia di età nel mondo digitale per proteggere i minori dai pericoli della rete rischia di essere una soluzione puramente convenzionale: non solo per la difficoltà di stabilire presuntivamente una rigida correlazione tra età e consapevolezza digitale, ma soprattutto per la facilità di eludere simili criteri di accesso. Maggiori criticità emergono rispetto a metodi di accertamento documentale dell’età, certamente più efficaci, ma che implicherebbero, se generalizzati, una raccolta di dati massiva, peraltro in un contesto in cui, al contrario, essa dovrebbe essere ridotta al minimo necessario. L’idea di poter rendere il web un’area ad accesso “limitato”, cui concedere l’ingresso ai soli maggiorenni provandone l’età con un documento di identità si tradurrebbe quindi in una schedatura di massa. Schedatura peraltro effettuata da soggetti privati che finirebbero per aumentare ulteriormente il loro potere, detenendo una sorta di anagrafe della popolazione mondiale, in palese controtendenza rispetto alla filosofia che permea il nuovo Regolamento europeo in materia di protezione dati. Il rischio ulteriore consiste nel fatto che all’oggetto proibito si acceda comunque per altra via, o eludendo i controlli con furti di identità o muovendosi nel ben più pericoloso deep web, dove le insidie sono di certo maggiori» (dichiarazione del Garante Antonello Soro riportata sul sito www.f4crnetwork.com). 60 Sui problemi e l’approccio del Garante italiano alla biometria, v. Garante Privacy, Provvedimento generale prescrittivo in tema di biometria - 12 novembre 2014, n. 513 del 12 novembre 2014 [doc. web n. 3556992]. 59
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Ilaria Amelia Caggiano
ratio di tutela della protezione dei minori e si intende darvi concreta/possibile attuazione, l’applicazione del principio di minimizzazione dei dati potrebbe essere diversamente bilanciato rispetto alla protezione del minore. Il nodo cruciale, dopo la corretta identificazione del minore nell’accesso a beni o servizi, è rappresentato, per quei servizi che comportano una durata nell’utilizzo, dallo sviluppo di tecnologie di navigazione/impiego protetti sempre più intelligenti. Per entrambe le problematiche evidenziate, parrebbe allora che la soluzione risieda nelle leggi dell’informatica o della tecnologia. Lo sviluppo tecnologico, però, può essere visto non solo come una corrente a-direzionale, ma come un flusso che deve essere guidato da strumenti normativi. Lo si è visto nell’applicazione del principio della privacy by design61, che nel caso del consenso privacy digitale, è il criterio per definire le modalità di prestazione e di controllo del consenso medesimo. Nello spazio giuridico europeo, tale principio può essere specificato in strumenti di soft law per meglio orientare i titolari di trattamento, state il principio dell’accountability a loro carico. Esso rappresenta l’alternativa europea alla specificazione da parte dell’hard law delle tecnologie adottabili, com’è nell’esperienza statunitense in tema di verifica del consenso digitale62. In questo senso, come si è visto, appare in ogni caso indispensabile che lo sviluppo tecnologico sia indirizzato in maniera consapevole, quanto meno dalle autorità di settore. Nel rapporto tra diritto e tecno-regolazione, una prospettiva di integrazione appare opportuna e inevitabile e può vivere dell’apporto delle fonti non direttamente vincolanti63. L’integrazione tra diritto e tecnologia emerge anche con riguardo alla normazione delle attività di trattamento, per le quali, a tutela dei minori, il diritto prescrive una limitazione di quelle possibili. Limitazione che, inevitabilmente, va programmata e garantita con tecnologie adeguate. In questo senso, le cautele per la profilazione ai fini di marketing e per altre finalità delle attività riconducibili a minori, come indicato dal considerando 38: i minori meritano una specifica protezione con riguardo ai loro dati personali. … Tale specifica protezione dovrebbe, in particolare, riguardare l’utilizzo dei dati personali dei minori a fini di mar-
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Cfr. Reg. (UE) 2016/679, Art. 25, §1. «Tenendo conto dello stato dell’arte e dei costi di attuazione, nonché della natura, dell’ambito di applicazione, del contesto e delle finalità del trattamento, come anche dei rischi aventi probabilità e gravità diverse per i diritti e le libertà delle persone fisiche costituiti dal trattamento, sia al momento di determinare i mezzi del trattamento sia all’atto del trattamento stesso, il titolare del trattamento mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate, quali la pseudonimizzazione, volte ad attuare in modo efficace i principi di protezione dei dati, quali la minimizzazione, e a integrare nel trattamento le necessarie garanzie al fine di soddisfare i requisiti del presente regolamento e tutelare i diritti degli interessati». Interessanti spunti sulla privacy by design sono in L. Merla, Droni, privacy e tutela dei dati personali, in Informatica e dir., 2016, 29- 45, spec. 35. 62 Più ampiamente sull’approccio incentrato sul rischio nella disciplina del trattamento dei dati personali, A. Mantelero, Responsabilità e rischio nel Reg. UE 2016/679, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 144 ss. 63 A. C. Amato, Tecno-regolazione e diritto. Brevi note su limiti e differenze, Dir. info, 2017, 147 ss.; E. Maestri, Il minore come persona digitale. Regole, tutele e privacy dei minori sul Web, in Annali online della Didattica e Formazione Docente, 2017, 1.
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keting o di creazione di profili di personalità o di utente e la raccolta di dati personali relativi a minori. Anche tale profilo rappresenta uno strumento di valutazione delle misure organizzative di tutela privacy di competenza e responsabilità del titolare (art. 24 Reg.), che andrebbero lette secondo una interpretazione rigorosa e tutelante l’interesse del minore. Accanto a questi strumenti, possono, infine, aggiungersene di eminente “giuridici” come la possibile evoluzione delle regole di responsabilità dei gestori dei contenuti sul web (insieme a motori di ricerca, social network, tutti riconducibili alla figura degli ISP, Internet Service Provider), che potrebbero interessare le condotte a danno dei minori. Vi è, infatti, un sempre più ampio orientamento che mira a superare l’esclusione di responsabilità da illecito, attualmente prevista, quando i Provider svolgano un ruolo attivo, come avviene per le attività di indicizzazione e organizzazione di contenuti digitali diffusi online per conseguire utili d’impresa, filtraggio contenuti per categorie tematiche, sfruttamento commerciale mediante raccolta pubblicitaria, ottimizzazione della presentazione dei contenuti, promozione di offerte e contenuti digitali64. La funzione di deterrenza che potrebbe essere così sviluppata rappresenta un portato esclusivamente giuridico che non può essere considerato ininfluente, anche nel segno di un rinnovato ruolo incisivo delle scelte politiche sullo sviluppo economico e sociale. Nel libro The Offensive Internet, Saul Levmore e Martha Nussbaum, per spiegare l’Internet, utilizzano la metafora del villaggio e di esso presentano i principali pericoli per gli abitanti: ad esempio, alla loro reputazione e riservatezza, attraverso l’utilizzo della parola65. Ma Internet, come ogni villaggio, anche se con le proprie peculiarità, può essere disciplinato e limitato da regole, che disciplinano il comportamento dei suoi abitanti e prevedono sanzioni per chi le viola. Il diritto è chiamato oggi ad operare rispetto ad uno spazio immateriale con cui si rapportano individui in carne ed ossa, ma non si tratta di un’operazione impossibile. Come ha sempre fatto rispetto alla vita delle comunità, può avere gli strumenti per regolare anche il nuovo villaggio globale.
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Sulla necessità di un superamento, possibile anche sul piano interpretativo, delle limitazioni di responsabilità contenute nel d. lgs. 70/2003, attuazione della direttiva 2000/31/CE, con riguardo alle attività di mere conduit, caching, hosting (artt. 14 - 16), si veda E. Tosi, Contrasti giurisprudenziali in materia di responsabilità civile degli hosting provider – passivi e attivi – tra tipizzazione normativa e interpretazione evolutiva applicata alle nuove figure soggettive dei motori di ricerca, social network e aggregatori di contenuti, in Riv. dir. ind., 2017, 56 ss. Per un commento alla disciplina, F. Signorelli, Profili di responsabilità del Provider nell’ecommerce, in Aa. Vv., Commercio elettronico, a cura di V. Franceschelli, Milano, 2001, 555. 65 S. Levmore e M. Nussbaum, The Offensive Internet, Harvard (HUP), 2010.
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Parental control: accorgimenti tecnici per escludere la fruizione da parte dei minori di contenuti classificati a visione non libera* Sommario : 1. Considerazioni introduttive. – 2. Gli accorgimenti tecnici a supporto della disciplina sulle comunicazioni: il parental control. – 3. Tutela dei minori in rete. – 4. Obbligo di vigilanza e utilizzo del web da parte di minori.
The digitalization of signals determines the possibility that contents can be used directly by the customers on different platforms, with the additional possibility to modify them or to interact with them, without the intervention of the traditional intermediaries. This brings extraordinary opportunities in terms of better access to information but, at the same time, it carries risks, above all for minors. From there the need to create an adequate protection system arises, that takes into account the huge influence that media can exercise towards people who did not reach a sufficient level of physical and mental maturity yet and, thus, appear much more exposed.
1. Considerazioni introduttive. Il tema dei rapporti fra i minori d’età e i più moderni mezzi di comunicazione di massa costituisce ormai da tempo l’oggetto privilegiato di numerosi ed approfonditi studi
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Relazione svolta al Convegno intitolato «Il diritto di famiglia nell’era digitale», tenutosi a Napoli in data 24 ottobre 2017 ed organizzato dall’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa”, Facoltà di Giurisprudenza, in collaborazione con EFL (European Association for Family and Succession Law).
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sociologici, i quali – pur nella diversità delle prospettive – sono concordi nel riconoscere ai nuovi media un ruolo fondamentale nel percorso educativo e formativo delle giovani generazioni. L’evoluzione tecnologica, ed in particolare, la cd. rivoluzione digitale ha determinato un mutamento di paradigma nel mondo dei media, sino a qualche tempo fa strutturati per comparti distinti – (televisione, radio, industria cinematografica, editoria). Assistiamo, quindi, all’affermarsi di nuove categorie di servizi, che hanno ormai superato le tradizionali categorie di servizi media. La digitalizzazione dei segnali determina, quale ovvia conseguenza, la possibilità che i contenuti possano circolare sui più diversi dispositivi ed essere fruiti su piattaforme diverse. Ciò determina i due fenomeni della “dematerializzazione” e “disintermediazione”1. Particolare importanza, per il tema che qui ci interessa, assume l’aspetto della disintermediazione, che fa riferimento al fatto che l’utente possa fruire dei contenuti direttamente, con l’ulteriore possibilità di modificarli o comunque di interagire con essi, senza la interposizione dei classici intermediatori. Oggi tali media si affiancano, a pieno titolo, alle tradizionali agenzie di socializzazione, quali la famiglia e la scuola, contribuendo con esse – ma, non di rado, anche in luogo di esse – al delicato processo di conoscenza e rappresentazione della realtà, nonché di definizione e veicolazione di valori, regole e modelli culturali e comportamentali. Tale aspetto, con riferimento ai bambini ed agli adolescenti, determina evidentemente delle straordinarie opportunità in termini di migliore accesso alle informazioni, ma, al pari, comporta anche dei rischi. Di qui l’esigenza di predisporre un adeguato sistema di tutela, il quale tenga conto dell’enorme influenza che i media sono in grado di esercitare nei confronti di soggetti che, per definizione, non hanno ancora raggiunto un sufficiente grado di maturità psicofisica, e che quindi appaiono maggiormente esposti Ben si comprende, allora, come mai nella vigente disciplina legislativa della radiotelevisione si rinvengano disposizioni che, considerate nel loro complesso, contribuiscono a delineare uno «scudo protettivo» del minore, guardando tuttavia a quest’ultimo non già come ad un mero «oggetto» di tutela (sempre e comunque «incapace»), bensì come ad un soggetto di diritto in fieri, e senza sminuire l’insostituibile ruolo pedagogico della famiglia. Esse trovano il loro fondamento giuridico tanto in alcune previsioni di carattere generale contenute nella Costituzione, quanto in specifici obblighi derivanti dal diritto internazionale e comunitario. A livello costituzionale, viene dapprima in considerazione l’art. 31, comma 2, Cost., il quale impone alla Repubblica di proteggere «l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istitu-
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Internet e tutela dei minori, in Dir. Informatica, 2011, 6, p.727.
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ti necessari a tale scopo» Ad esso si aggiungono l’art. 21, comma 6, Cost., che individua espressamente nel «buon costume» un limite alla libertà di manifestazione del pensiero; l’art. 41, comma 2, Cost., che subordina il libero svolgimento dell’iniziativa economica privata alla condizione che essa non si ponga «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»; ma anche, in una prospettiva ancor più ampia, gli artt. 2 e 3 Cost., il cui contenuto precettivo fonda ed illumina quello delle disposizioni precedenti. A livello internazionale, deve richiamarsi, in primo luogo, la Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata a New York il 20 novembre 1989 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e ratificata dall’Italia con la l. 27 maggio 1991, n. 176. In particolare, nell’art. 17 della Convenzione si afferma che gli Stati contraenti «riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass-media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione ed a materiali provenienti da fonti nazionali ed internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale»; essi, inoltre, «favoriscono l’elaborazione di principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere». Senza dimenticare, poi, la Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, firmata a Strasburgo il 5 maggio 1989 e ratificata dall’Italia con la l. 5 ottobre 1991, n. 327, il cui art. 7 stabilisce che i programmi televisivi «debbono rispettare la dignità della persona umana ed i diritti fondamentali dell’uomo»; non devono «essere contrari alla decenza e tanto meno contenere pornografia», né «mettere in risalto la violenza oppure essere suscettibili di incitare all’odio razzista»; e allorché presentino contenuti tali da «pregiudicare lo sviluppo fisico, psichico e morale dei fanciulli o degli adolescenti non devono essere trasmessi quando questi ultimi sono suscettibili di guardarli dato l’orario di trasmissione e di ricezione». A livello comunitario, infine, abbiamo la direttiva del Consiglio del 3 ottobre 1989, n. 89/552/CEE (c.d. direttiva «televisione senza frontiere»), successivamente modificata dalla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 giugno 1997, n. 97/36/CE, i cui contenuti sono stati recepiti, non senza contrasti, dal legislatore nazionale, dapprima con la legge Mammì, e successivamente con la Legge Gasparri, e, di poi, con il D.lgs. 28/6/2012, n. 120. Occorre subito osservare, però, che la materia in esame – nonostante la sua rilevanza – non trova chiaro assetto in un corpus di norme organico ed esaustivo. Le disposizioni finalizzate alla tutela dei minori, infatti, non diversamente dalle altre che compongono l’articolata disciplina della radiotelevisione, si ricavano attualmente da una pluralità di fonti diverse (e per rango e per natura), affastellatesi via via nel tempo in maniera disordinata ed approssimativa, tanto da rendere non poco difficoltosa la ricostruzione sistematica del quadro normativo di riferimento. Né può dirsi che il problema sia stato alla fine risolto dal varo di un «testo unico della radiotelevisione», atteso che questo, a dispetto del nome, tutto fa tranne che mettere ordine all’interno di un settore dell’ordinamento così vasto e delicato.
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La vigente disciplina del sistema radiotelevisivo a tutela degli utenti in generale (artt. 3 e 4 del Testo Unico della radiotelevisione), vieta le trasmissioni che anche in relazione all’orario di messa in onda, possano nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori. Sono altresì vietate scene che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata, ovvero pornografiche salve le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato che comunque impongono l’adozione di un sistema di controllo specifico e selettivo. Inoltre, individua ulteriori precise disposizioni in materia di tutela dei minori e dei valori dello sport nella programmazione televisiva. In materia di tutela dei minori è fondamentale il Codice di autoregolamentazione Tv e minori, approvato il 29 novembre 2002, recepito poi dalla l. n. 112/2004 e dal Testo Unico della radiotelevisione (art. 34), che ha contribuito, in particolare, ad introdurre un sistema di tutela differenziata per fasce orarie. Le violazioni alle disposizioni del Codice di autoregolamentazione Tv e minori e del Testo Unico della radiotelevisione sono sanzionate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni oltre che dal Comitato di applicazione del Codice (art. 35 del Testo Unico della radiotelevisione). Con la delibera n. 51/13/CSP l’Autorità ha adottato il nuovo regolamento sulle misure tecniche per i servizi di video on demand dirette ad impedire che i minori accedano a programmi gravemente nocivi, prevedendo che I fornitori di tali servizi implementino una funzione di parental control che inibisca la visione di tali programmi ai minori, declinandone le caratteristiche. Con la delibera n 52/13/CSP l’Autorità ha, poi, individuato i criteri di classificazione delle trasmissioni televisive che possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori. I contenuti trasmessi sono qualificati sulla base di due parametri: l’area tematica e le principali modalità rappresentative. Soggetta a controllo dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni è la tutela dei valori dello sport nella programmazione televisiva, di cui alla legge 4 aprile 2007, n.41 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 febbraio 2007, n.8, recante misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connesse a competizioni calcistiche”. Il Codice di autoregolamentazione dell’informazione sportiva, denominato “Codice media e sport”, individua una serie di misure che emittenti e fornitori di contenuti devono osservare anche al fine di contribuire alla diffusione tra i giovani dei valori di una competizione sportiva leale e rispettosa degli avversari, per prevenire fenomeni di violenza o di turbativa dell’ordine pubblico legati allo svolgimento di manifestazioni sportive. Con delibera n. 165/06/CSP del 22 novembre 2006, poi, l’Autorità ha provveduto a richiamare le emittenti radiotelevisive pubbliche e private e i fornitori di contenuti radiotelevisivi a rispettare nei programmi di intrattenimento, tra l’altro, i principi fondamentali del sistema radiotelevisivo posti a protezione dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale dei minori, evitando il ricorso a contenuti e immagini tali da offenderne la particolare sensibilità. Riassumendo e guardando, nello specifico, alle tecniche di tutela dei minori, possiamo dire che oggi riveste sicuramente un ruolo centrale, in chiave di tutela preventiva, la
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classificazione dei contenuti in tre ambiti di riferimento: la violenza, che per incorrere nel divieto, deve essere insistita, gratuita ed efferata, la sessualità, con il divieto di pornografia e le tematiche sociali, relazionali e comportamentali,con il divieto di trasmettere scene che anche in relazione all’orario di trasmissione, possono nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori nonché la previsione di orari di trasmissione in cui sia prevista una tutela rafforzata per i minori. Delle tre fattispecie, le prime due configurano un illecito di pericolo «astratto» (o «presunto»), laddove la terza configura un illecito di pericolo «concreto» (o «effettivo») Va tuttavia rilevato che i divieti di che trattasi lasciano un ampio spazio di discrezionalità ai soggetti preposti all’attuazione delle norme, con la conseguenza che, quanto alla violenza, la circostanza che il divieto concerna le sole scene in cui la violenza sia tale da risultare «gratuita o insistita o efferata», finisce di per sé con l’attribuire specifico rilievo a criteri di congruità e di «continenza», e quindi al contesto complessivo nel quale siffatte scene s’inseriscono: il che non può non suscitare perplessità in ordine alla sufficiente determinatezza della relativa fattispecie. Come pure, per quanto attiene al divieto di pornografia, va precisato che nel nostro ordinamento non si rinviene una definizione legislativa di «pornografia». Ed il concetto di «pornografico» non coincide con quello di «osceno», siccome definito dall’art. 529 c.p., essendo ravvisabile fra l’uno e l’altro un rapporto di species a genus. Quanto, infine alle scene che possono nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori, in virtù della sua formulazione generica, l’ultima fattispecie si configura propriamente come clausola di chiusura del sistema normativo, sicché essa è destinata ad operare in concreto ogniqualvolta non debba trovare applicazione una delle altre previsioni. Tuttavia, proprio a causa della sua estrema ampiezza, tale fattispecie si rivela non poco problematica. Alla stregua di quali parametri è possibile stabilire se i contenuti di un programma siano davvero tali da arrecare nocumento «allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori»? Posto che si tratta di parametri normativi extragiuridici, i quali attengono alla sfera dell’etica, della morale, dell’antropologia, della psicologia e persino dell’estetica, essi appaiono quanto mai opinabili, per non dire squisitamente soggettivi. Ed ancora: quali sono, in concreto, i «minori» ai quali occorre aver riguardo? È difatti evidente che, all’interno dell’ampia ed eterogenea fascia degli infradiciottenni, altra è la condizione psicofisica dell’infante, altra è quella dell’adolescente ovvero di chi sia ormai prossimo alla maggiore età. Tutto ciò pone inevitabilmente un problema di sufficiente determinatezza, oltre che di effettività del divieto in parola, dal momento che un divieto così configurato rischia non soltanto di non fornire alcuna tutela reale al pubblico dei minori, ma finanche di risolversi in uno strumento di censura nei confronti degli adulti. Ad ogni buon conto, si è già accennato che l’eventuale violazione del divieto in parola deve essere accertata «anche in relazione all’orario di trasmissione» del programma. La ragione è persino ovvia: è notorio che nell’arco della giornata la presenza di spettatori minorenni (da soli o in compagnia di un adulto) si concentra prevalentemente in alcune fasce orarie, mentre risulta più o meno ridotta in altre. Di questo dato di comune espe-
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rienza il legislatore stabilisce espressamente che si debba tener conto, prevedendo altresì che proprio in quelle prime fasce orarie la tutela dei minori debba essere in vario modo «rafforzata».
2. Gli accorgimenti tecnici a supporto della disciplina sulle comunicazioni: il parental control. Di qui, attesa l’insufficiente tutela apprestata dalla normativa generale e la pervasività delle informazioni prive di qualsiasi forma di intermediazione, accanto all’attività di classificazione dei contenuti si è proceduto, in parallelo, alla disciplina, mediante attività di co-regolamentazione tra AGCOM (autorità per la garanzia nelle comunicazioni) ed operatori, degli accorgimenti tecnici tali da escludere da parte dei minori la normale fruizione di contenuti classificati a visione non libera. Tale funzione, cd parental control (o controllo parentale) deve inibire l’accesso ai contenuti per adulti, facendo salva la possibilità per l’utente di disattivare la funzione. Una prima attuazione della previsione si è avuta con la del. n. 220/11/CSP “Regolamento in materia di accorgimenti tecnici da adottare per l’esclusione della visione e dell’ascolto da parte dei minori di film ai quali sia stato negato il nulla osta per la proiezione o la rappresentazione in pubblico, di film vietati ai minori di diciotto anni e di programmi classificabili a visione per soli adulti ai sensi dell’art. 34, c. 5 e 11 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici”. Tale atto fissa le caratteristiche che devono avere i sistemi di parental control, con particolare riguardo ai requisiti di segretezza del codice, che deve essere personale, specifico e individualizzato2.
3. Tutela dei minori in rete. Alla luce di quanto sin qui esposto, se è vero che per i programmi televisivi vi è una sorta di canovaccio normativo, ancorché generico, a cui le trasmissioni devono adeguarsi onde assicurare la tutela, implementato dal controllo degli adulti attraverso il sistema del parental control, il web non soggiace agli stessi limiti, sicchè maggiore è il pericolo per i minori perché è incontrollato il flusso di informazioni e di relazioni che vengono veicolate attraverso il web.
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Prospettive di tutela dei minori nella “over the top television” dopo la riforma del T.U. servizi media audiovisivi, in Dir. Informatica, 2012, 4-5, p. 805.
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A livello normativo, infatti, abbiamo solo la delibera n. 481/14/CONS del 23 settembre 2014, on la quale l’AGCOM ha istituito l’Osservatorio permanente delle forme di garanzia e di tutela dei minori e dei diritti fondamentali della persona sulla rete internet al fine di analizzare le problematiche connesse all’utilizzo di internet e dei social network e di verificare l’efficacia delle procedure adottate dagli operatori. I fenomeni oggetto del monitoraggio sono: l’istigazione all’odio, le minacce, le molestie, il bullismo, l’hate speech e la diffusione di contenuti deplorevoli. L’Osservatorio opera mediante due direttrici: 1. la raccolta, l’elaborazione e la pubblicazione dei dati relativi al comportamento degli utenti rispetto a internet e ai social network; 2. l’analisi delle policies adottate dagli operatori per la salvaguardia dei valori e degli utenti più sensibili e la valutazione della relativa efficacia. Non essendo possibile individuare un complesso di norme specificamente devolute alla tutela dei minori e dei diritti fondamentali della persona sulla rete Internet, si richiama l’attenzione sugli specifici compiti che la normativa vigente attribuisce all’Autorità in tema di tutela dei minori3. La rete costituisce una fonte di pericolo maggiore perché si distingue dagli altri media in quanto non implica soltanto un elemento di comunicazione, ma anche un elemento di interattività tipico della realtà dei servizi. Ma essa costituisce anche un nuovo spazio di vita privata e sociale dove l’individuo realizza parte delle sue attività esistenziali. Qui si pone, dunque, in maniera più decisa il problema del contemperamento della pluralità di interessi coinvolti: la tutela dei minori – pensiamo alla child pornografy o ai rischi da contatto, cyberbullyng e onlinegrooming – e la libertà di autodeterminazione dell’individuo in generale. La tutela del minore in rete passa, dunque, a parte la generica disciplina di cui si è detto, in maniera pressoché esclusiva attraverso l’educazione ad un uso consapevole di internet da parte delle famiglie e della scuola, ed il parental control o filtro famiglia, che è il sistema che permette ad un genitore di monitorare o bloccare l’accesso a determinate attività da parte del bambino (siti pornografici, immagini violente o pagine con parole chiave) e anche di impostare il tempo di utilizzo di computer, tv, smartphone e tablet attraverso la creazione per loro un profilo utente personale dal quale farli connettere.
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A tal proposito, si segnalano: l’art. 1, comma 6, lett. b), l. n. 249/97, sulla competenza specifica in materia di tutela dei minori (con attribuzione di un ruolo specifico anche all’autoregolamentazione e alla co-regolamentazione); l’art. 32, comma 5, Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, ai sensi del quale «I servizi di media audiovisivi prestati dai fornitori di servizi di media soggetti alla giurisdizione italiana rispettano la dignità umana e non contengono alcun incitamento all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità»; l’art. 5, comma 1°, lett. a), D.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, secondo cui: «L’Autorità amministrativa competente può limitare la libera circolazione di un determinato servizio della società dell’informazione proveniente da un altro Stato membro per l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento di reati, in particolare la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché contro la violazione della dignità umana».
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Fernanda D’Ambrogio
I filtri famiglia possono essere applicati su qualsiasi dispositivo, dal pc al tablet, dallo smartphone alla tv. Tutti i sistemi operativi, infatti, da Windows ad Apple a Linux, rispondono ormai alla necessità di tutelare i minori dai pericoli del web; come pure alcune linee telefoniche, e i videogiochi fino ai motori di ricerca. Oltre al controllo dell’attività online attraverso la cronologia del browser è possibile scegliere il sistema di reportistica che consente di essere informati in tempo reale e/o periodicamente sulla navigazione web effettuata. Inoltre, quanto a YouTube, per impedire l’accesso a video con determinate parole chiave, può essere impostata la “modalità di protezione” attraverso il link che si trova in fondo all’home page. In conclusione, al di là e al di fuori della normativa, e delle previste tecniche di controllo parentale, comunicare con i nostri figli, aiutandoli a capire cosa può accadere con un uso sbagliato del web, dando loro limiti e informazioni chiare, è il modo migliore per prevenire ogni rischio.
4. Obbligo di vigilanza e utilizzo del web da parte di minori. Vediamo ora come è possibile trasfondere questi concetti nell’ambito che qui ci interessa del diritto di famiglia. Sovente, nell’ambito della nostra attività, ci imbattiamo in minori che fanno un uso smodato di videogiochi, talvolta sconfinando nella ludopatia, o di genitori che parcheggiano i loro figli dinanzi ad un computer o innanzi alla televisione, senza operare alcun controllo. E quante volte il genitore non collocatario lamenta che i figli non vogliono andare con lui/lei perché non ha la playstation o perché non vogliono staccarsi dal divano? O ancora, genitori che si oppongono alla circolazione in rete che l’altro genitore fa delle immagini dei figli. Allo stato non c’è tutela, ovvero non c’è un obbligo a carico dei genitori di attuare controlli né sui tempi di fruizione da parte dei figli dello strumento televisivo o della rete o dell’uso di videogiochi, né sui contenuti, e gli operatori del diritto non pare abbiano fatto propri questi aspetti problematici facendoli rientrare nel novero del corretto esercizio della responsabilità genitoriale. Il quadro normativo primario è lacunoso, occupandosi più degli aspetti repressivi che preventivi, che imporrebbero anche una definizione degli obblighi di vigilanza precipui dei genitori nei confronti dei figli in tema dell’uso delle nuove tecnologie ed in primis di Internet. Ciò che occorre chiedersi è se non sia il caso, tenuto conto dei pericoli connessi all’uso indiscriminato della tecnologia, di imporre ai genitori l’uso di filtri che possano arginare i pericoli connessi alla libera circolazione dei minori su internet. Un obbligo che si riempie di contenuti finalmente positivi e non solo di “culpa in vigilando” ovvero “di aver fatto tutto il possibile per prevenire il danno”. Ciò, anche tenuto conto che il panorama giurisprudenziale è ovviamente condizionato dalla mancanza di prescrizioni positive da parte del legislatore.
32
Parental control
Segnalo, sul punto, due sentenze. In primo luogo, una pronuncia del Tribunale di Teramo4 in tema di responsabilità ex art. 2048 c.c., nella quale, il Giudicante così decide: «I genitori dei minori naturalmente capaci di intendere e di volere, per andare esenti dalla responsabilità ex art. 2048 c.c., devono positivamente dimostrare di aver adempiuto all’onere educativo tramite l’indicazione alla prole di regole, conoscenze e moduli di comportamento nonché di fornire gli strumenti indispensabili alla costruzione di relazioni umane effettivamente significative per la migliore realizzazione della loro personalità, ma anche di avere poi effettivamente e concretamente controllato che i figli abbiano assimilato l’educazione loro impartita, con la conseguenza che la gravità e la reiterazione delle condotte poste in essere possono essere poi indice del grado di attuazione di una tale opera di verifica. Ai fini dell’esonero della loro responsabilità, dunque, i genitori devono in sostanza fornire la prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto, il che, nel caso di illecito commesso attraverso social network (nel caso di specie facebook), si concretizza in una limitazione per forza di cose quantitativa e qualitativa dell’accesso alla rete internet». Si segnala, altresì, una sentenza del Tribunale di Roma5 relativa ad una fattispecie in cui la moglie chiede l’addebito della separazione al marito che in eccesso d’ira aveva distrutto il computer del figlio, affetto, come poi accertato, da una eccessiva dipendenza da gioco. Ebbene, nel caso di specie, alcuna prescrizione aveva chiesto la difesa al genitore collocatario (la madre), alcun provvedimento aveva assunto il Tribunale in proposito, a riprova della scarsa sensibilità al problema da parte degli operatori del diritto. Una inversione di tendenza, tuttavia, sul punto è intervenuta successivamente con una sentenza del tribunale di Mantova6, che ha stabilito che non si possono postare sui social network le foto dei propri figli minorenni se l’altro genitore non è d’accordo. Non è una novità ma ora una sentenza mette nero su bianco che si può chiedere e ottenere dal giudice di inibire la pubblicazione di tali immagini e far rimuovere quelle già diffuse. Per il giudice mantovano, «L’inserimento di foto di minori sui social network costituisce un comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che “taggano” le foto on line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia». La questione all’esame del Tribunale riguarda il ricorso presentato dal papà di due bambini (di tre anni e mezzo la bimba, un anno e mezzo il più piccolo) che chiedeva al giudice di rivedere le “condizioni regolanti i rapporti genitori/figli alla stregua di supposti
4 5 6
Trib. Teramo, 16 gennaio 2012. Trib. Roma, 5 luglio 2017. Trib. Mantova, 19 settembre 2017.
33
Fernanda D’Ambrogio
gravi comportamenti diseducativi posti in essere dalla madre”. Il Tribunale aveva deciso per l’affido condiviso e la residenza dei bambini con la mamma: il giudice ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per rivedere tali accordi, non risultando provata “una grave inadeguatezza educativa” della donna, ma ha rilevato che, nonostante nell’accordo fosse stato stabilito l’obbligo di non postare le foto dei bimbi sui social e la donna si fosse impegnata a rimuovere quelle già diffuse, in realtà numerose immagini erano state pubblicate ancora successivamente. «Comportamento questo» – scrive il Tribunale di Mantova – «che integra violazione della “tutela dell’immagine”, contemplata dall’articolo 10 del codice civile, della “tutela della riservatezza dei dati personali”, prevista dal Codice della privacy, nonché della Convenzione di New York nel punto in cui stabilisce che “nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione” e che “il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti”». Il giudice cita anche la normativa di tutela dei minori contenuta nel regolamento Ue del 27 aprile 2016 che entrerà in vigore il 25 maggio 2018, secondo cui «l’immagine fotografica dei figli costituisce dato personale e la sua diffusione costituisce una interferenza nella vita privata». Dunque, «considerato che il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social network» l’ordine di inibitoria e di rimozione «va impartito immediatamente».
34
Giurisprudenza Trib. Treviso, sez. I, 26 gennaio 2018; Ronzani Presidente - Barbazza Relatore Divorzio – Assegno – Accertamento dell’autosufficienza economica dell’istante – Criteri – Contributo personale prestato dal coniuge alla conduzione familiare – Valutazione – Necessità – Ragioni. Nel giudizio per l’attribuzione dell’assegno ex art. 5, co. 6, l. n. 898/1970, ai fini dell’accertamento circa l’autosufficienza economica del coniuge richiedente, deve essere considerata anche la circostanza che uno dei coniugi si sia occupato prevalentemente della cura della famiglia a scapito della propria attività lavorativa e della propria crescita professionale, dovendo l’assegno divorzile rappresentare anche una sorta di riconoscimento per l’attività svolta durante il matrimonio a favore del nucleo familiare
(Omissis)
quale paga le spese condominiali, e di aver con-
FATTO E DIRITTO
tratto un mutuo per la ristrutturazione e l’arredo
Con ricorso depositato in data …, … espone-
dell’immobile stesso. La signora … precisava che il marito viveva in
va di aver contratto matrimonio con in data… e che con decreto di omologa del … veniva pronunciata la separazione personale dei coniugi.
una casa di proprietà dello stesso ed era inoltre
Dall’unione non è nato alcun figlio.
la madre.
nudo proprietario dell’abitazione dove risiedeva
11 ricorrente riferiva di essere lavoratore di-
La resistente aderiva alla richiesta di pronun-
pendente presso la Banca … e proprietario d i
cia dello scioglimento del matrimonio, ma si
un a p p a r t a m e n t o , dal quale percepiva un
opponeva a quella relativa alla corresponsione
canone di locazione. Precisava, inoltre, di pagare
dell’assegno di mantenimento. Lamentando, infat-
un mutuo e di corrispondere alla sig.ra … un assegno di mantenimento di € 490,00 mensili, a
ti, un’evidente maggiore capacità economica del … e l’impossibilità per la signora stessa di mante-
seguito di rivalutazione monetaria, come stabilito
nere un tenore di vita analogo a quello goduto
in sede di separazione.
in costanza di matrimonio, chiedeva di disporsi a
Quanto alla moglie, egli riferiva fosse lavora-
suo favore un assegno divorzile di almeno Euro
trice dipendente e proprietaria di un immobile
500,00 mensili, con rivalutazione monetaria annua-
sito in …. Egli chiedeva di pronunciarsi lo scioglimento
le ex lege in base agli indici ISTAT. All’udienza del … il Presidente f.f. sentiva i
del matrimonio contratto tra le parti e di non
coniugi e, dopo aver esperito infruttuosamente
dover corrispondere nulla a titolo di assegno
il tentativo di conciliazione, riteneva che non
divorzile nei confronti della m oglie, godendo la stessa, secondo il … di un adeguato reddito
vi fossero i presupposti per una modifica delle
proprio.
fermando quindi quanto già stabilito precedente-
Con comparsa di costituzione e risposta dell’…, si costituiva …, la quale specificava di essere lavoratrice dipendente della S.r.1. in … e
mente in sede di separazione. All’udienza del … avanti a l Giudice Istrut-
di percepire un reddito mensile di circa Euro
concessione di termini ex art. 183, comma VI,
1.700,00. Dichiarava inoltre di vivere in un appartamento sito in … in comodato gratuito, del
cod. proc. civ. II ricorrente, inoltre, chiedeva la
condizioni economiche vigenti tra gli stessi, con-
tore comparivano le parti, le quali chiedevano
pronuncia di sentenza non definitiva di divor-
35
Giurisprudenza
zio, emanata successivamente da questo Tribunale il … Nella stessa data veniva emanata or-
1. Ricognizione del panorama normativo e giuridico.
dinanza del Collegio disponente la rimessione
1.1 Il diritto al riconoscimento di assegno di-
della causa in istruttoria in relazione alle restan-
vorzile è previsto dalla legge 1° dicembre 1970,
ti domande, inerenti le questioni economiche, concedendo per il deposito delle memorie e rin-
n. 898 la quale, all’art. 5, comma sesto, dispone:
viando all’udienza del … per l’ammissione dei
la cessazione degli effetti civili del matrimonio,
mezzi istruttori.
il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei
Nel frattempo, il ricorrente avanzava istanza di modifica dei provvedimenti presidenziali,
coniugi, delle ragioni della decisione, del contri-
adducendo che la resistente aveva fornito indi-
alla conduzione familiare ed alla formazione del
cazioni non veritiere in merito al pagamento di
patrimonio di ciascuno o di quello comune, del
un mutuo, in realtà estinto all’epoca dell’udienza
reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti
presidenziale. Specificava inoltre che la … aveva rinunciato all’eredità della propria madre, de-
elementi anche in rapporto alla durata del ma-
ceduta in seguito all’emanazione dei provvedi-
somministrare periodicamente a favore dell’altro
menti presidenziali.
un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi
11 patrocinio di parte resistente adduceva la presenza di un ulteriore mutuo a carico della
“Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o
buto personale ed economico dato da ciascuno
trimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di
adeguati o comunque n on può procurarseli per ragioni oggettive”.
signora … di Euro 10.000,00, con rata di circa Euro
L’art. 5, comma sesto, pertanto, individua due
200,00 mensili, come indicate in memoria difen-
momenti logicamente distinti che devono essere
siva.
oggetto di analisi da parte dell’organo giudicante.
Il Giudice Istruttore rilevava la presenza di fat-
Una prima f ase, relativa all’“an debeatur” (che
ti nuovi e sopravvenuti rispetto all’udienza pre-
collega l’obbligo di versamento dell’assegno al
sidenziale, ritenendo dunque ammissibile una
caso in cui il coniuge “non ha mezzi adeguati
modifica dei provvedimenti adottati in tale sede.
o comunque non può procurarseli per ragioni
Disponeva quindi una riduzione del contributo al mantenimento nei confronti della resistente
oggettive”) e una seconda, necessariamente successiva e subordinata al positivo accertamento
ad Euro 300,00 mensili soggetti a rivalutazione
della precedente, volta alla determinazione del
ISTAT.
“quantum debeatur”: è, quindi, innanzitutto ne-
Alle udienze del … venivano acquisite le prove per interpello e testimoniali sui capitoli
cessario che l’Autorità Giudiziale accerti se vi sia
ammessi.
di esito positivo di tale fase, potrà procedere alla
All’udienza del … le parti precisavano le conclusioni ed il Giudice mandava la causa al Pub-
quantificazione economica dello stesso.
blico Ministero e si riservava di riferire al Colle-
te di legittimità nel maggio 2017, al fine di
gio, concedendo termini ex art. 190 cod. proc.
un effettivo diritto all’assegno e, solo nel caso
A seguito d e l revirement operato dalla Corverificare il positivo superamento del primo
civ.
tipo di accertamento, risulta opportuno ripercor-
La domanda di accertamento negativo relativamente alla sussistenza dell’obbligo al versa-
rere le principali tappe dell’evoluzione giurisprudenziale sul punto, evidenziando sin d’ ora che, al
mento di assegno divorzile formulata è fondata
momento della redazione della presente sen-
e va accolta per le ragioni che seguono.
tenza, è stata presentata alla Camera dei De-
36
Umberto Roma
putati la proposta di legge C4605, relativa alle
dizioni economiche precedenti, che dovevano
modifiche all’articolo 5 della legge 1° dicembre
tendenzialmente essere ripristinate. L’inadegua-
1970, n. 898, in materia di assegno spettante a
tezza, pertanto, era intesa come insufficienza
seguito di scioglimento del matrimonio o dell’u-
delle sostanze e dei redditi del richiedente ad
nione civile. Il testo di tale proposta (attualmente
assicurargli la conservazione di un tenore di vita
all’esame della Cornmissione in sede referente),
analogo a quello goduto in costanza di matri-
prevede che l’attribuzione di un assegno a favore di un coniuge sia “destinato a compensare [in
monio. 1.3. L’interpretazione dell’articolo 5, comma
via di emendamento è stato proposto di sostitu-
sesto, 1. div. è stata profondamente modificata dal
ire la parola “compensare” con “equilibrare”], per
recente orientamento giurisprudenziale, inaugu-
quanta possibile, la disparità che lo scioglimento
rato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 10
o la cessazione degli effetti del matrimonio crea
maggio 2017, n. 11504 e confermato dalla senten-
nelle condizioni di vita dei coniugi”.
za 22 giugno 2017, n. 15481. La Suprema Corte
1.2. L’orientamento giurisprudenziale tradizio-
ha, infatti, ridelineato i presupposti del diritto
nale scolpito dalla Corte di legittimità sino al mag-
all’assegno divorzile, specificando come il divor-
gio 2017 fondava il momento determinativo del
zio consista in un’estinzione del rapporto matri-
diritto sul presupposto dell’“inadeguatezza dei
moniale “sul piano non solo personale ma anche
mezzi del coniuge richiedente, raffrontati a un
economico- patrimoniale”.
tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente
I giudici di legittimità hanno chiarito che la presenza di mezzi adeguati o la possibilità
proseguito in caso di continuazione dello stesso
di procurarseli comporta la negazione tout
o quale poteva legittimamente e ragionevolmente
court del diritto all’assegno di mantenimento. In
configurarsi sulla base di aspettative maturate
seguito al mutamento delle relazioni economico-
nel corso del rapporto” (fra le altre, cfr. Cassazio-
sociali, infatti, risulta necessario ripensare al pa-
ne civile, sentenza 21 ottobre 2013, n. 23797).
rametro di riferimento, che non può più consi-
Si specificava, inoltre, che “il tenore di vita
stere nel “tenore di vita” presente in costanza di
precedente deve desumersi dalle potenzialità eco-
matrimonio, in quanta ciò costituirebbe un’in-
nomiche dei coniugi, ossia dall’ammontare com-
debita “ultrattività del vincolo matrimoniale”.
plessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità
Il divorzio configura, infatti, in uno scioglimento
patrimoniali, laddove anche l’assetto economico
definitivo del vincolo matrimoniale (a differenza
relativo alla separazione può rappresentare un
della separazione personale) e gli ex coniugi non
valido indice di riferimento nella misura in cui
devono più essere considerati quali costituenti
appaia idoneo a fornire utili elementi di valu-
un nucleo unitario, ma quali persone singole.
tazione relativi al tenore di vita goduto durante
La
il matrimonio e alle condizioni economiche dei
svolgere
Suprema
Corte afferma che si deve
un’analisi sul
“raggiungimento del-
coniugi”. (In questo senso, anche Cassazione ci-
l’“indipendenza economica” del richiedente: se
vile, sentenza 9 giugno 2015, n. 11870; Cassazio-
è accertato che quest’ultimo è “economicamente
ne civile, sentenza 12 luglio 2007, n. 15610; Cassa-
indipendente” o è effettivamente in grado di esser-
zione civile, sentenza 28 febbrai 2007, n. 4764).
lo, non deve essergli riconosciuto il relativo dirit-
Non si riteneva, invece, necessaria la presenza
to”, stante la natura eminentemente assistenziale
di uno stato di bisogno, poiché si dava rilevanza
dell’assegno (si vedano ancora Cass., n. 11504/2017
ad un deterioramento apprezzabile delle con-
e Cass.. n. 15481/2017, ma anche Trib. Udine, sent.
37
Giurisprudenza
2 novembre 2017; Corte d’ Appello Milano, sez. V,
comma 2) della persona che richiede l’assegno;
sent. 20 settembre 2017, n. 4793; Trib. Roma, sez.
3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro
I, sent. 23 giugno 2017; Trib. Milano, sez. IX, ordi-
personale, in relazione alla salute, all’età, al ses-
nanza 22 maggio 2017; Trib. Palermo, sez. I, sent.
so ed al mercato del lavoro dipendente o auto-
12 maggio 2017).
nomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di
II diritto all’assegno divorzile, pertanto, nella
abitazione”.
nuova concezione riportata, non può quindi fon-
In relazione a tali circostanze, l’ onere proba-
darsi, per ciò che concerne l’an debeatur, soltan-
torio grava sul richiedente, fermo restando il di-
to sulla presenza di un precedente vincolo ma-
ritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’ex
trimoniale e sulla mancanza di redditi adeguati
coniuge.
a mantenere il tenore di vita goduto in costanza
Per quanto riguarda l’eventuale e successiva
del vincolo, ma a quest’ultimo deve sommarsi
fase della determinazione del quantum debeatur,
lo stato di non autosufficienza o indipendenza
la linea guida deve consistere nel principio di
economica del richiedente.
solidarietà economica nei confronti dell’ ex co-
La Corte di Cassazione, pertanto, conferma
niuge più debole, ai sensi degli artt. 2 e 23 Cost.
la finalità assistenziale dell’assegno divorzile
La giurisprudenza di m erito successiva alle
ma afferrna la necessità di modificare l’orienta-
pronunce di legittimità citate ha applicato gli
mento costantemente seguito, dopo l’intervento
indici individuati dalla Corte di Cassazione con
delle Sezioni Unite del 1990, in relazione ai
una valutazione effettuata in concreto, al fine di
presupposti per il riconoscimento dell’assegno.
accertare lo stato di non autosufficienza o indi-
In particolare, il parametro del “tenore di vita
pendenza economica del richiedente.
matrimoniale” deve essere sostituito con quello
I giudici si sono riferiti alla capacità di soste-
della “autosufficienza economica”. Al di là della considerazione che sarebbe invece
nere le spese essenziali di vita (vitto, alloggio ed
finalmente opportuno superare il dogma della na-
zato come parametro (non esclusivo) l’ammon-
tura assistenziale dell’ assegno divorzile e affermare
tare degli introiti che consente di accedere al
che, dopo il divorzio, sopravvive solo l’esigenza
patrocinio a spese dello Stato (Euro 11.528,41 an-
esercizio dei diritti fondamentali) o hanno utiliz-
di compensare il coniuge debole per i sacrifici
nui ossia circa Euro 1.000,00 mensili) oppure il
fatti a favore della famiglia durante il matrimo-
reddito medio percepito nella zona in cui vive il
nio, come evidenziato anche dagli interpreti più
richiedente (si vedano, ad esempio, Trib. Milano,
attenti, proprio nella perimetrazione del concetto
sez. IX, ordinanza 22 maggio 2017).
di “autosufficienza economica” deve individuarsi
Ancora, si è fatto riferimento alla necessità che
il nucleo problematico del nuovo ragionamento
il richiedente provi di essersi attivato per reperire
prospettato dalla Corte di legittimità..
un’occupazione lavorativa consona all’esperienza
La Cassazione ha enucleato una serie di indici
professionale maturata e al titolo di studi conse-
per comprendere se possa ritenersi raggiunta o
guito o di essere nell’impossibilità per impedi-
meno l’indipendenza economica della parte, in
mento fisico o altro, di svolgere qualsivoglia atti-
particolare: “1) il possesso di redditi di qualsiasi
vità lavorativa (Trib. Roma, sez. I, sent. 23 giugno
specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobi-
2017).
liari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri
Ha notato, inoltre, che il parametro dell’in-
lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luo-
dipendenza economica ben si sposa con la di-
go di residenza (“dimora abituale”: art. 43 c.c.,
sciplina in tema di filiazione di cui all’art. 337
38
Umberto Roma
septies cod. civ, come specificato sia dalla Cor-
divorzio, in particolare nell’art. 5, commi quinto
te di Cassazione nella sent. 11504/2017, sia da
e nono, dove si indica anche il tenore di vita.
Trib. Palermo, sez. I, sent. 12 maggio 2017: non
La Corte di Appello di Milano, invece, ha
sarebbe infatti coerente, dal punto di vista siste-
criticato l’interpretazione che unifica le due fa-
matico, riconoscere il diritto all’assegno divorzile
si, sostenendo che si è trattata di “Operazio-
nei confronti dell’ex coniuge economicamente indipendente, con il quale si è sciolto il vin-
ne ermeneutica errata, ma resa necessaria dal
colo matrimoniale, e non riconoscere il diritto
ziale dei parametri di riferimento per definire i
all’assegno di contribuzione al mantenimento nei
mezzi adeguati non più rispondente ai muta-
confronti del figlio maggiorenne che abbia rag-
menti sociali in atto, distorsione di cui il recente
giunto l’indipendenza economica, con il quale un
revirement della Corte di Cassazione si è fatto
legame permane.
carico e che ha, condivisibilmente, superato.
permanere di una interpretazione giurispruden-
1.5 Altra parte della giurisprudenza di merito
II tenore di vita è un indice anch’esso relativo,
si è discostato dal nuovo orientamento, conti-
se non altro perché muta nel tempo ed è legato a
nuando ancora a fare riferimento al precedente
tanti fattori, sia di ordine sociale che personale,
parametro del tenore di vita.
non ultimo il progredire dell’età. Nella generali-
2017, ha evidenziato che i concetti di “mezzi ade-
tà dei casi, inoltre, la frattura dell’unità familiare impoverisce entrambi i coniugi con la conse-
guati” e “indipendenza economica” non trovano
guenza che il tenore di vita dopo la separazione
riscontro nel tessuto normative, oltre ad esse-
non è quasi mai paragonabile, per entrambi i
re labili e forieri di divergenti interpretazioni. In particolare, ha affermato che: “il concetto di
coniugi, al tenore di vita in costanza di matrimoni. Non si ritiene pertanto che il canone del teno-
indipendenza
II Tribunale di Udine, con sent. 10 maggio
è particolarmente
re di vita in costanza di matrimonio costituisse
sfuggente, non essendo per nulla chiaro a co-
economica
un parametro certo su cui poter fare affidamen-
sa dovrebbe in concreto ancorarsi, vale a dire un
to e, in ogni caso, negli anni ha di fatto indotto
indice media delle retribuzioni degli operai e
la giurisprudenza ad una sovrapposizione delle
impiegati, o alla pensione sociale o ad un red-
valutazioni sull’an e sul quantum, per rendere
dito media rapportato alla classe economico
le decisioni comprensibili in relazione al comune
sociale di appartenenza dei coniugi e alle possibilità dell’obbligato con la conseguenza che ove
sentire e alla evoluzione del costume sociale”. Altra pronuncia da analizzare è la sentenza
si optasse per questa ultima soluzione il tanto
12 ottobre 2017, n. 106 della Corte d’Appello di
vituperato criterio del tenore di vita in costanza
Genova, che, prendendo atto della corrente si-
di matrimonio e le ragionevoli aspettative future
tuazione giurisprudenziale, ha preferito applicare
fatto uscire dalla porta verrebbe fatto rientrare
in modo prudente il nuovo indirizzo della Corte
immediatamente dalla finestra, perché i mezzi
di Cassazione.
adeguati non potrebbero che essere rapportati al-
La Corte d’ Appello ligure ha evidenziato che:
la condizione sociale ed economica delle parti in
“È sicuramente possibile interpretare la sentenza
causa e ai loro redditi e quindi al loro tenore di
della Cassazione come statuente il principio che
vita passato e attuale”. Secondo questa prospet-
tutti gli ex coniugi che abbiano un lavoro, anche
tiva, non esiste una distinzione concreta tra la
sottopagato, siano autosufficienti e quindi non
fase dell’an e quella del quantum e i parametri
abbiano diritto ad alcun assegno di divorzio.
per l’assegno sono già presenti nella legge sul
Ma in questo modo non esiste poi il rischio di pu-
39
Giurisprudenza
nire sistematicamente la moglie che si è impegnata
Le pronunce della Corte di Cassazione eviden-
duramente per continuare a lavorare e nello stesso
ziano, in modo certamente condivisibile, la necessità
tempo gestire casa ed i figli e favorire invece proprio
di non considerare il matrimonio come un vincolo ul-
quelle persone che sposano un coniuge benestante,
trattivo rispetto allo scioglimento dello stesso, sof-
hanno abbandonato ogni attività lavorativa? Ossia
fermandosi sull’importanza da attribuire al criterio
non corriamo il rischio di premiare proprio quella
dell’autosufficienza economica di ciascun coniuge,
rendita parassitaria contro cui la Cassazione si è
considerato come persona singola dopo il divorzio.
giustamente ribellata?”.
Il nuovo orientamento, infatti, si adegua ad
Sempre nella stessa sentenza si legge inoltre:
un mutamento storico-sociale della struttura fa-
“Il criterio del medesimo tenore di vita in co-
miliare, ritenendo che parametrare il diritto ad
stanza di matrimonio non può essere più man-
un assegno divorzile al tenore di vita tenuto in
tenuto anche perché ormai nella maggioranza
costanza del vincolo sia ormai anacronistico e ri-
dei casi il divorzio, aumentando le spese (anche
feribile ad un m odello quasi del tutto appartenen-
solo due abitazioni invece che una), impoveri-
te al passato, nel quale soltanto il marito svolgeva
sce i coniugi e quindi il tentativo di mantenere
un’attività lavorativa, mentre la moglie si occupava
il tenore di vita precedente per uno dei coniugi fa precipitare l’altro ad un tenore di vita molto
della famiglia. Da un lato, oggi la struttura familiare si è mo-
inferiore a quello prima goduto.
dificata e si riscontrano sempre più casi nei quali
Se pare poi sicuramente giusto punire le ren-
entrambi i coniugi svolgono un’attività lavorativa:
dite parassitarie costituite dai casi in cui il co-
dunque riconoscere il diritto all’assegno divorzile
niuge economicamente più debole dopo uno
basandosi soltanto sul tenore di vita precedente, si
o due anni di matrimonio decide di rompere
risolverebbe in una richiesta a volte ingiustifica-
il rapporto matrimoniale e di vivere di rendita alle spalle dell’altro coniuge, ad avviso della Cor-
ta da parte dell’ex coniuge; come correttamente
te non è lecito assumere comportamenti puniti-
osservano sia la Corte d’Appello di Milano sia la Corte d’Appello di Genova, il parametro del
vi contro il coniuge che è rimasto sposato per
tenore di vita non è più utilizzabile, soprattutto
quindici o venti anni e che con sacrifici ha
guardando all’impoverimento subito dai coniugi
continuato a lavorare per incrementare le risorse
in seguito al divorzio, in quanto porterebbe ad
economiche familiari.
un inevitabile mutamento in peius del tenore di
Non è detto quindi che in caso di divorzio
vita stesso di colui che versa l’assegno. D’altro
l’ex coniuge che lavori non abbia in via assoluta
canto, tale esigenza va bilanciata con la neces-
diritto ad un assegno divorzile, ma occorre va-
sità di equilibrare le fortune economiche dei
lutare la necessità di una eventuale integrazione
coniugi rispetto agli sforzi e alle rinunce da cia-
del suo reddito alla luce dei concreti oneri che
scuno di essi effettuati a favore della famiglia,
lo stesso debba sostenere tenendo conto del suo
in modo tale che il coniuge più debole che al
lavoro, del suo patrimonio, della sua salute e
momento dello scioglimento del matrimonio non
della sua collocazione nella società”.
abbia redditi sufficienti a garantirgli l’indipen-
1.6 Alla luce del variegato panorama giuri-
denza economica e non riesca a procurarseli
sprudenziale attuale, ci si deve interrogare su
incolpevolmente, ottenga un assegno divorzile
quali siano i parametri da adottare in caso di de-
che rappresenti anche una sorta di riconosci-
cisione sull’esistenza del diritto al percepimento
mento per l ’attività svolta durante il matrimonio
dell’assegno divorzile.
a favore del nucleo familiare.
40
Umberto Roma
È, dunque, indispensabile individuare i para-
Infatti, solo per elencare alcune situazioni con-
metri a cui ancorare il diritto all’assegno divorzi-
crete possibili, sicuramente è diverso e necessi-
le, evitando il rischio di trovare degli indici ecces-
ta di soluzioni difformi: il caso di una coppia
sivamente astratti.
di giovani coniugi che hanno sempre entrambi
1.7 Pertanto, alla luce dei criteri indicati dalla
svolto un’attività lavorativa e il cui matrimonio
Suprema Corte nelle recenti pronunce di merito e alla luce del dettato legislativo di cui all’art. 5,
ha avuto breve durata, da quello di una coppia di coniugi che ha ormai superato i sessant’anni
comma sesto, l. div. (che rappresenta allo stato
ed in cui soltanto il marito ha lavorato, mentre
l’unico appiglio normativo), dobbiamo ritenere vi
la moglie si è occupata sempre della famiglia a
siano due ordini di parametri da utilizzare al fine
discapito della sua attività lavorativa, da quello
di comprendere se vi sia autosufficienza econo-
ancora di una coppia in cui entrambi i coniugi
mica del coniuge richiedente 1 ‘assegno divorzile.
hanno sempre lavorato e avuto dei figli, che al
Da un lato, parametri di natura personale,
momento del divorzio sono minorenni o econo-
dall’altro, parametri inerenti la sfera patrimoniale d e i coniugi.
micamente non autosufficienti. Quanto, invece, ai parametri di natura patri-
In ciascuno di tali ambiti rientrano voci di
moniale, devono essere tenute in considerazione:
varia natura che dovranno essere valutate dal
le possibilità effettive di lavoro delle parti in re-
tribunale complessivamente ed in relazione alla
lazione al mercato del lavoro esistente nella zona
fattispecie concreta in esame.
geografica in cui esse risiedono; il possesso di
Per ciò che concerne i parametri di natura
patrimoni mobiliari ed immobiliari e di redditi
personale, vanno ricondotti in tale categoria: le
(anche non dichiarati) da parte dei coniugi, tenu-
capacita fisiche e condizioni personali delle par-
to conto anche degli oneri che essi comportano;
ti; le possibilità effettive di lavoro delle parti in
il costo della vita nel luogo di residenza dei co-
relazione alla salute, all’età, al sesso; la ricerca da
niugi come certificato dai dati ISTAT più recenti
parte del coniuge eventualmente disoccupato di
e con eventuale riferimento alla provincia o re-
un’occupazione lavorativa consona all’esperien-
gione di appartenenza; la stabile disponibilità di
za professionale maturata e al titolo di studi con-
una casa di abitazione ed il titolo in base al quale
seguito o l’esistenza di concrete giustificazioni
è detenuta; la capacità di far fronte direttamen-
dell’impossibilità, per impedimento fisico o altra
te alle spese essenziali di vita (vitto, alloggio ed
condizione personale, a svolgere qualsivoglia at-
esercizio dei diritti fondamentali) o la necessità
tività lavorativa; le condizioni dei coniugi a seguito
di accedere a sussidi economici erogati da enti
del divorzio, anche in relazione alla circostanza
territoriali o altre strutture pubbliche o private in
che uno dei coniugi si sia occupato prevalente-
base al reddito.
mente della cura della famiglia, a scapito della
1.8 In relazione alla determinazione del quan-
propria attività lavorativa e della propria cresci-
tum dell’assegno divorzile, peraltro, dovranno
ta professionale: come rilevato anche dalla Corte
continuare ad essere tenuti in considerazione i
d’Appello di Genova, infatti un’applicazione trop-
parametri individuati dal legislatore all’art. 5, com-
po rigorosa del nuovo orientamento giurispru-
ma sesto, 1. div.
denziale rischia di penalizzare eccessivamente il
2. L’applicazione alla situazione oggetto di
coniuge che si sia dedicato prevalentemente alla
causa dei parametri individuati.
famiglia, a scapito della propria attività lavorativa
I parametri che si sono indicati devono essere applicati in concreto al caso di specie, giungendo
e della propria crescita professionale.
41
Giurisprudenza
ad affermare l’indipendenza economica per le ra-
II reddito della resistente appare, pertanto,
gioni che seguono.
sufficiente a garantirle il raggiungimento dell’au-
2.1. Relativamente ai parametri di natura personale, si rileva che la resistente compirà 56
tosufficienza economica, anche parametrandolo al costo della vita come risultante dagli indici
anni il prossimo … e, per non perdere l’attuale impiego, lavora nella sede milanese dell’azien-
Istat per la zona di residenza del tutto similari a quelli della zona di Milano dove la … allega
da.
di volersi a breve trasferire in seguito al suo
II matrimonio tra le parti risale al 1996, mentre la comparizione dei coniugi davanti al Presi-
ricollocamento lavorativo presso la sede azien-
dente f.f. per l ’ udienza di separazione consensuale è del 2004. 11 rapporto coniugale è , dunque,
residenza della resistente, nonostante quest’ulti-
durato circa otto anni, e dal matrimonio non è
non deve pagare attualmente alcun canone di
nato alcun figlio.
locazione, godendo di un comodato gratuito pres-
dale di Milano. Per ciò che concerne il luogo di ma non sia proprietaria dell’immobile in cui vive,
Alla luce di ciò, la scelta della … di rinunciare
so una proprietà del padre sita in …, come risulta
in costanza di matrimonio alla propria carriera
sin dalla comparsa di costituzione e dal doc. 12
presso un’azienda per seguire il marito a … ed iniziare in tale città a svolgere attività similare
di parte resistente.
(per quanto con prospettive di carriera rappre-
pagamento di un canone di locazione di un ap-
sentate come inferiori) deve essere valutata qua-
partamento (tenendo conto dei valori medi loca-
le scelta personale della resistente, inidonea ad
tizi della zona) non risulterebbe eccessivamente
influire sulla determinazione del diritto all’asse-
oneroso per la resistente. Considerato, inoltre, lo stipendio mensile di
gno divorzile.
Nonostante ciò, alla luce dei suoi redditi, il
2.2. Relativamente ai parametri patrimoniali,
quest’ultima, è evidente la capacità di far fronte
si è già evidenziato lo svolgimento di attività di
direttamente alle spese essenziali di vita (vitto, al-
lavoro della … la quale risulta assunta con contratto a tempo indeterminato. Per ciò che con-
loggio ed esercizio dei diritti fondamentali), senza la necessità di accedere a sussidi economici ero-
cerne il possesso di redditi di qualsiasi specie, dal
gati da enti territoriali o altre strutture pubbliche o
modello 730/2017 risulta che nell’annualità 2016
private in base al reddito.
la resistente abbia percepito un reddito da lavoro
2.3. All’esito dell’esame delle allegazioni dei
dipendente di Euro 31.127,00 lordi, che, detratte
documenti come sopra indicati deve, pertanto, ri-
le imposte, ammontano ad Euro 23.205,00 netti
tenersi che la resistente abbia raggiunto l’auto-
(circa Euro 1.900,00 al mese). Tale reddito è rima-
sufficienza economica e debba essere rigettata la
sto stabile negli ultimi anni.
domanda di corresponsione di assegno divorzile
La resistente, inoltre, è piena proprietaria di un immobile adibito ad ufficio sito in … che, per
in suo favore. 3. Spese.
quanto non affittato, appare idoneo a produrre
Le spese di lite, attesa l’assoluta novità della
reddito; infatti, sebbene riguardo dalla documen-
questione trattata ed il recente mutamento di
tazione depositata risulterebbe fittiziamente intestato dal padre della … alla resistente, il geni-
giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti,
tore risulta malato e con un’invalidità pari al
92, comma secondo, cod. proc. civ.
sono interamente compensate fra le parti ex art.
100% e da ciò si deve ritenere che egli non pos-
P.Q.M.
sa più utilizzare l’immobile come proprio ufficio.
Il Tribunale in composizione collegiale, dato
42
Umberto Roma
atto della pronuncia di sentenza provvisoria n.
divorzile da parte di … nei confronti di …
… in ordine allo status, definitivamente pronun-
Rigetta per il resto.
ciando, rigettata ogni diversa e contraria istanza,
Spese di lite compensate.
cosi provvede:
Così deciso nella camera di consiglio del 14
Accerta che nulla è dovuto a titolo di assegno
ottobre 2017.
Alla ricerca dell’autosufficienza economica e del principio di eguaglianza dei coniugi al momento del divorzio Sommario : 1. Il contributo del Tribunale di Treviso al sistema dell’assegno divorzile incentrato sul nuovo parametro dell’indipendenza/autosufficienza economica. – 2. L’adesione al criterio dell’autosufficienza economica. – 3. Il recupero della funzione compensativo-perequativa dell’assegno di divorzio. – 4. I parametri per la valutazione dell’autosufficienza economica.
The decision adheres to the new case law that connects the judgment on the granting of the divorce check to the determination, that the available means of the petitioning spouse are inadequate to reach the economic viability, rather than to the preservation of the standard of living enjoyed during the marriage. It works out a benchmark grid for the concrete evaluation of the economic independence and includes the spouse’s contribution to the management of the family at the expense of the own employment and professional growth, allowing to restore the check’s compensatory function, that often risks to be neglected by the interpretation given by the courts, starting from the decision of the Italian Supreme Court no. 11504 of 2017.
1. Il contributo del Tribunale di Treviso al sistema
dell’assegno divorzile incentrato sul nuovo parametro dell’indipendenza/autosufficienza economica.
La sentenza in commento, nell’uniformarsi convintamente al nuovo orientamento interpretativo dell’art. 5, co. 6, della l. 1° dicembre 1970, n. 898, inaugurato da Cass., 10 maggio 2017, n. 11504, si segnala per il lodevole sforzo di recuperare un preciso spazio applicativo alla funzione compensativa dell’assegno divorzile che la sentenza di legittimità rischia di
43
Giurisprudenza
ridurre entro margini strettissimi per effetto dell’adozione dell’«indipendenza economica» quale parametro «sfuggente e proteiforme»1 cui ancorare il giudizio circa l’adeguatezza/ inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente l’assegno. Proprio l’opinabilità insita nella locuzione «indipendenza economica» (o «autosufficienza economica», come sembra preferire il Tribunale di Treviso2), opportunamente resa manifesta dalla ricognizione giurisprudenziale compiuta dalla sentenza, legittima, infatti, soluzioni decisorie che, arrestando il tradizionale giudizio bifasico sull’assegno al suo primo momento – quello dell’an, volto all’attribuzione stessa del diritto – precludono la considerazione della funzione compensativa (e di quella c.d. risarcitoria, oltre che delle provvidenze ulteriori di cui all’art. 9 e 12 bis della l. n. 898/1970), cui è deputato il secondo momento – quello del quantum debeatur – che la novella del 1987 ha confermato, sia pure subordinatamente all’accertamento, nel caso concreto, dell’indefettibile presupposto assistenziale dell’assegno. Nel considerare e valorizzare l’interesse/criterio compensativo, anche richiamando la proposta di legge C46053, scaturita quale reazione agli arresti giurisprudenziali del maggio e giugno dello scorso anno4, il Tribunale di Treviso raccoglie la critica più severa mossa, pressoché unanimemente, alla decisione della Corte di Cassazione: quella di avere trascurato il doveroso apprezzamento della pregressa comunione di vita intercorsa tra i coniugi dalle nozze alla domanda di divorzio con l’insistere, quasi ossessivamente, nel rilievo che costoro sono ormai «persone singole»5. Se tale insistenza si giustifica (peraltro non a pieno) per il timore (dichiarato) di una reviviscenza sul piano economico-patrimoniale di quello che sul piano personale è un rapporto ormai estinto, alla comunità degli interpreti non
1
Secondo l’aggettivazione di Trib. Udine, 1° giugno 2017, in Nuova giur. civ. comm., 2018, I, con nota di U. Roma, Primissime contestazioni al criterio dell’indipendenza economica per l’assegno di divorzio e non solo (in corso di pubblicazione). 2 E, di recente, pure Cass., 26 gennaio 2018, n. 2042, secondo cui è «più condivisibile il termine di autosufficienza che riguarda esclusivamente il soggetto richiedente, mentre l’indipendenza (da chi, da che cosa?) potrebbe ancora una volta richiamare la comparazione con l’ex coniuge obbligato». 3 Si tratta del proposta di legge n. 4605, primo firmatario Ferranti, presentata il 27 luglio 2017 alla Camera dei Deputati. 4 Lo ammette la stessa Relazione alla proposta di legge: «Il contrastante quadro giurisprudenziale che si è venuto a creare richiede un urgente intervento legislativo, volto a fissare precise linee normative rispondenti all’esigenza di evitare, da un lato, che lo scioglimento del matrimonio sia causa di indebito arricchimento e, dall’altro, che sia causa di degrado esistenziale del coniuge economicamente debole che abbia confidato nel programma di vita del matrimonio, dedicandosi alla cura della famiglia rinunciando in tal modo a sviluppare una buona formazione professionale e a svolgere una proficua attività di lavoro o di impresa». Sull’impressione di natura “emergenziale” dei contenuti della proposta di legge, v. un cenno in U. Roma, Primissime contestazioni al criterio dell’indipendenza economica per l’assegno di divorzio e non solo, cit., e D. Piantanida, L’assegno di divorzio dopo la svolta della Cassazione: orientamenti (e disorientamenti) nella giurisprudenza di merito, in Fam. e dir., 2018, 77. 5 C. Rimini, Verso una nuova stagione per l’assegno divorzile dopo il crepuscolo del fondamento assistenziale, in Nuova giur. civ. comm., 2017, II, 1281; E. Quadri, L’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”, in Nuova giur. civ. comm., 2017, II, 1267 ss., con il consueto nitore, sostiene che il «punto non condivisibile della decisione (…) sembra, allora, non tanto il considerare gli ex coniugi “persone singole” (…), quanto il considerarli senza un passato di vita comune»; C. Rimini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fondamento assistenziale, in Giur. it., 2017, 1804; G. Casaburi, Tenore di vita e assegno divorzile (e di separazione): c’è qualcosa di nuovo oggi in Cassazione, anzi d’antico, cit., 1899; G. Dosi, Assegno di divorzio, senza “tenore di vita” si perde l’uguaglianza, in Guida al dir., 2017, n. 44, 10 ss.; G. Savi, La rilevanza del “tenore di vita” nel regolamento delle crisi del rapporto coniugale, in Dir. fam. e pers., 2017, 819; pure da quella che ha salutato con favore la svolta: S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa?, in questa Rivista, 2017, 419, 422, e, in una versione più estesa, in Foro it., 2017, I, 2707.
44
Umberto Roma
poteva sfuggire che, in tal modo, la decisione di legittimità rischia di azzerare la («durata» della) vita comune nella quale ed in ragione della quale assai sovente accade che un coniuge abbia compiuto in accordo con l’altro o, talora, abbia accondisceso “per amore” a compiere scelte personali e professionali (come nel caso deciso dalla sentenza in commento) che sono la causa delle proprie condizioni economiche deteriori e delle fortune, reddituali e patrimoniali, dell’altro. La tutela dell’istanza perequativa è assicurata dall’art. 5, co. 6, della l. n. 898/1970, laddove esso considera, tra i criteri di cui il giudice deve tenere conto nel giudizio sull’assegno, «il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune», valutandolo, unitamente agli altri elementi enunciati, «anche in rapporto alla durata del matrimonio». Tuttavia, per una scelta ambigua e di compromesso del riformatore del 1987, testimoniata da una formulazione normativa particolarmente farraginosa6 nella sua oscura e prolissa sintassi, l’interesse compensativo-perequativo riceve soddisfazione (al pari di quello c.d. risarcitorio, espresso dalla locuzione «ragioni della decisione») solo nella fase di quantificazione dell’assegno, che postula l’esito positivo della fase sulla spettanza dello stesso, incentrata «esclusivamente» sul c.d. criterio assistenziale, come sancito sin da Cass., sez. un., 29.11.1990, n. 114907, e ribadito dalla recente Cass., 10.5.2017, n. 11504. È, allora, evidente che – per come è costruita ed interpretata la disposizione normativa – quanto più si assottiglia la portata del criterio-interesse assistenziale (nel senso della improbabilità di soddisfarlo col riconoscimento dell’assegno), tanto più si restringe l’accesso alla considerazione-soddisfazione del criterio-interesse compensativo. Il criterio assistenziale, a sua volta, trova ancoraggio – lo riconosce pure la decisione che si commenta – nella proposizione finale dell’art. 5, co. 6, «che collega l’obbligo di versamento dell’assegno al caso in cui il coniuge “non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”». Ma è pure evidente che l’adeguatezza dei mezzi postula un parametro cui rapportarsi, ed è proprio il nuovo parametro dell’indipendenza economica adottato dalla recente decisione di legittimità, unitamente alla dichiarata esclusione della funzione riequilibratrice dell’assegno8, che rischia di sopprimerne pure la funzione compensativa.
6
Come ammesso dallo stesso sen. Lipari, relatore, nella seduta pomeridiana del Senato del 17.2.1987. L’approvazione da parte della Commissione Giustizia della Camera del testo finale del vigente art. 5, 6 co., è stata caratterizzata da una particolare celerità: è V. Carbone, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio), in Foro it., 1991, I, 77, e nt. 17, a rammentare che la stessa «in sede deliberante impiegò esattamente ottanta minuti per esaminare, valutare ed approvare l’intero testo della riforma del divorzio, prima delle dimissioni del governo Craxi». 7 Chiarissima Cass., sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490, nell’affermare in questo senso, proprio con riguardo al criterio compensativo: «Se l’assegno di divorzio è richiesto soltanto sulla base del riconoscimento del contributo personale ed economico dato dal coniuge richiedente al patrimonio dell’altro, senza alcun riferimento all’inadeguatezza dei mezzi dello stesso richiedente, l’assegno, avendo natura esclusivamente assistenziale, non potrà essere riconosciuto». 8 Secondo Cass., n. 11504/2017, infatti, l’«interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi»; principio diametralmente opposto a quello di Cass., sez. un., n. 11490/1990, secondo cui, essenziale ai fini dell’attribuzione dell’assegno non è lo stato di bisogno dell’avente diritto, «il quale può essere anche economicamente autosufficiente, rilevando l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo che,
45
Giurisprudenza
Dall’interpretazione che viene fornita al sintagma indipendenza economica dipende la possibilità, nel caso concreto, di garantire il riconoscimento del contributo personale ed economico fornito da un coniuge alla conduzione familiare e, nel contempo, la distribuzione allo stesso, mediante l’assegno divorzile, dei risultati reddituali e/o patrimoniali di cui l’altro si trova a beneficiare al momento del divorzio. In un ordinamento contrassegnato dalla derogabilità del regime della comunione legale e in una realtà sociofamiliare connotata dalla «fuga dalla comunione», il nuovo orientamento dimentica che è proprio l’assegno divorzile l’unico – per una censurabile inerzia del legislatore – strumento che può consentire la realizzazione dell’eguaglianza dei coniugi nel momento della dissoluzione del vincolo9. Il Tribunale di Treviso si fa carico di soddisfare questa istanza, ben presente alla coscienza sociale e singolarmente trascurata dalla decisione della Cassazione del maggio 2017, probabilmente distratta dalle (certo non ordinarie) condizioni economico-patrimoniali del divorzio sottoposto al suo esame e dimentica della influenza che la Corte Suprema esercita sulle corti di merito. Di estremo interesse è la scelta tecnico-interpretativa adottata dalla decisione trevigiana: la finalità compensativo-perequativa viene inserita e valorizzata all’interno della locuzione indipendenza economica, per la valutazione della quale la decisione appresta, peraltro, una griglia di indici di verifica particolarmente dettagliata e puntuale, integrando, assai opportunamente, le essenziali e generali indicazioni fornite dalla Cassazione nel maggio 201710. In questa opzione ermeneutica risiede il pregio della sentenza che, per un verso, garantisce in ogni caso la possibilità di considerare l’apporto personale ed economico fornito da un coniuge al ménage familiare attraendolo nella prima fase (indefettibile) del giudizio sull’assegno, per altro verso, nel ricercare il significato normativo dell’indipendenza economica, rifugge nettamente sia dalla (comoda) tentazione di ancorarlo ad uno standard quantitativo prefissato desumibile, come pur accaduto, da soluzioni
in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio». Fondamentale, nella sua chiarissima sintesi, E. Al Mureden, Assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e principio di autoresponsabilità, in Fam. e dir., 2015, 545, che definisce l’assegno divorzile «un vero e proprio architrave sul quale si deve reggere un sistema che miri a realizzare quella equa condivisione delle risorse della famiglia funzionale al principio di parità tra i coniugi»; e pure E. Quadri, L’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”, cit., 1268, il quale rileva come proprio la «“fuga” dalla comunione ha determinato gravi conseguenze in vista della realizzazione dell’istanza di parità»; lo stesso E. Quadri, La natura dell’assegno di divorzio dopo la riforma, in Foro it., 1989, I, 2523, già ventinove anni fa, rilevava la stretta connessione, in sede applicativa giurisprudenziale, tra funzione perequativa dell’assegno divorzile e comunione legale, osservando come i giudici si fossero già in allora avvalsi «con meno diffidenza che in precedenza» del criterio compensativo, «soprattutto, dopo (…) il venir meno, almeno per ora, di molte speranze ed illusioni circa l’effettività dell’incidenza del regime legale di comunione». 10 Significativamente App. Genova, 12 ottobre 2017, osserva: «Se ci è permesso il paragone, con la citata sentenza la Cassazione ci ha dato la legge quadro ma mancano ancora le direttive attuative». 9
46
Umberto Roma
normative adottate ad altri fini11, sia dall’adozione di «indici eccessivamente astratti»12, elaborando un elenco di parametri, distinti secondo la loro natura personale e patrimoniale, da valutare «complessivamente ed in relazione alla fattispecie concreta in esame»13.
2. L’adesione al criterio dell’autosufficienza economica. La sentenza trevigiana aderisce, come si è detto, all’impianto argomentativo della sentenza n. 11504 del 2017, di cui mostra di condividere tutti gli snodi essenziali, colmandone tuttavia le lacune. In primo luogo, ribadisce e conferma la tradizionale costruzione bifasica del giudizio sull’assegno radicalmente contestata, invece, da una pronuncia di merito14 immediatamente successiva a quella di legittimità. Pur senza affermare espressamente che la distinzione tra la fase dell’an e quella del quantum deve essere intesa in termini “netti e rigorosi”15, il Tribunale condivide senza dubbio il corrispondente monito della Corte di Cassazione laddove fonda l’espunzione del tenore di vita quale parametro per la valutazione dell’adeguatezza dei mezzi (anche) sul rilievo che la sua considerazione nella decisione sul riconoscimento dell’assegno «costituirebbe un’indebita “ultrattività del vincolo matrimoniale”», che, invece, col divorzio trova estinzione «sul piano non solo personale ma anche patrimoniale»16. Tale osservazione, che il Tribunale si limita a recepire dalla Cassazione, si è già prestata alla precisazione critica secondo cui il sistema consegnatoci dalla novella del 1987 offre elementi testuali che depotenziano l’idea di una definitiva estinzione, con il divorzio, anche sul piano economico patrimoniale del rapporto matrimoniale17: si tratta
11
Trib. Milano, ord. 22.5.2017, in www.ilcaso.it. Sulla astratta possibilità di ricorrere a parametri standard, U. Roma, Assegno di divorzio: dal tenore di vita all’indipendenza economica, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 1009; la soluzione è stata decisamente esclusa da Cass., 26.1.2018, n. 2042, cit., che nel rilevare come le variabili di valutazione «sono molto numerose per un adeguamento il più possibile efficace alla situazione concreta», precisa: in «tal senso, si potrebbe fin d’ora escludere pericolosi automatismi (ad es. multipli della pensione sociale o simili) che renderebbero autosufficienza o non autosufficienza identiche sempre a se stesse ed uguali per tutti. Il coniuge richiedente l’assegno non può riguardarsi come una entità astratta, ma deve considerarsi come singola persona nella sua specifica individualità». Per le questioni relative all’individuazione della nozione di indipendenza economica, sotto il profilo, per così dire, quantitativo (ed anche ove non si adotti un parametro standard), e la necessità di adeguarla al singolo caso concreto, v. U. Roma, Primissime contestazioni al criterio dell’indipendenza economica per l’assegno di divorzio e non solo, cit. 12 Trib. Treviso, 26 gennaio 2018, in commento. 13 Trib. Treviso, 26 gennaio 2018, in commento. 14 Trib. Udine, 1° giugno 2017, cit. 15 La tradizionale struttura bifasica è stata ribadita – e per molti aspetti rafforzata nei termini di una (inedita) netta separazione e reciproca “impermeabilità” tra ciascuna delle due fasi – da Cass., n. 11504/2017, la quale ha osservato come «non di rado è dato rilevare nei provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto l’assegno di divorzio una indebita commistione tra le due fasi del giudizio ed i relativi accertamenti che, essendo invece pertinenti esclusivamente all’una o all’altra fase, debbono per ciò stesso essere effettuati secondo l’ordine progressivo normativamente stabilito». 16 Le citazioni sono tratte da Cass., 10 maggio 2017, n. 11504. 17 L’assegno non è l’unica “provvidenza” successiva alla cessazione del vincolo, posto che già la l. n. 898/1970 ha attribuito al divorziato il diritto alla pensione di riversibilità (art. 9) e proprio la novella l. n. 74/1987 quello ad una quota del trattamento di fine rapporto (art. 12 bis), sia pure condizionati alla titolarità dell’assegno. Diritti “supplementari” che, nella logica di fondo della decisione annotata, ben
47
Giurisprudenza
delle previsioni che attribuiscono al titolare dell’assegno la pensione di reversibilità ed una quota del trattamento di fine rapporto percepito dall’ex coniuge, previsioni, peraltro, ispirate anche a finalità perequative, oltre che quella sull’assegno a carico dell’eredità, pure connotata da portata e presupposti (e anche finalità) parzialmente diversi. Va aggiunto che l’assegno divorzile, se, diversamente da quello di separazione, non trova origine immediata nel rapporto di coniugio, a tale rapporto tuttavia si collega mediatamente in forza della previsione legislativa che, nel disciplinare lo scioglimento del matrimonio, assicura, sia pure in vista di una finalità «esclusivamente assistenziale», la persistenza di un effetto economico tra gli ex coniugi, per di più, con cadenza periodica, essendo la corresponsione una tantum praticabile solo nella procedura congiunta rimessa alla concorde volontà delle parti. Ed ancora non può trascurarsi, da un lato, che la scelta del legislatore divorzile è stata quella di coniare una provvidenza economica specifica e propria dell’istituto escludendo l’ex coniuge dal novero dei soggetti tenuti all’assegno alimentare (il che impone di rifuggire dal concretizzare il contenuto dell’insussistente indipendenza economica appiattendolo sui presupposti per l’assegno alimentare18), e, dall’altro, che nel nostro sistema persino l’invalidità del matrimonio è fonte dell’obbligazione, pur temporalmente limitata, per un coniuge di corrispondere somme periodiche all’altro che non abbia adeguati redditi propri. Da ciò non può non trarsi la conclusione che la considerazione degli ex coniugi uti singuli e privati di un passato comune risponde ad una concezione del matrimonio e del divorzio, come dei rapporti tra i due istituti, estremizzata, dissonante con gli indici normativi che depongono per l’apprezzamento della pregressa comunione di vita (anche mediante il riferimento alla «durata del matrimonio»19) e più consona alle riflessioni di politica del diritto che non ad una decisione giurisprudenziale.
potrebbero configurare una illegittima locupletazione. Cass., sez. un., 29 novembre, n. 11490, cit., ha considerato tali indici normativi per ricavarne «che tutto il sistema della legge riformata privilegia le conseguenze di una perdurante (seppure modificata, nel senso che si dirà) efficacia sul piano economico di un vincolo che sul piano personale è stato disciolto». Ridimensiona, invece, la valenza degli artt. 9 e 12 bis l. div. ad essere così intesi E. Quadri, Assegno di divorzio: la mediazione delle sezioni unite, in Foro it., 1991, I, 73. 18 Sin dai primi anni successivi alla l. n. 898/1970, la Supr. Corte ha escluso la natura alimentare dell’assegno divorzile e la commisurazione di quest’ultimo all’assegno di alimenti, rilevando che, mentre quest’ultimo implica l’accertamento dello stato di bisogno dell’alimentando che non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, nell’attribuzione e quantificazione del primo il giudice era (ed è tuttora) tenuto a considerare circostanze (rilevanti per i criteri dell’art. 5, co. 6, l. div.) che sono assolutamente estranee allo stato di bisogno di chi chiede l’assegno: Cass., sez. un., 9 luglio 1974, n. 2008, in Dir. fam. e pers., 1973, 635; Cass., 23 febbraio 1973, n. 525, in Dir. fam. e pers., 1973, 657; Cass., 20 aprile 1995, n. 4456, con nota di V. Carbone. G. Gabrielli, L’assegno di divorzio in una recente sentenza della Cassazione, in Riv. dir. civ., 1990, II, 542, esclude che l’assegno possa ricondursi entro l’alveo degli «alimenti civili» e ammette, piuttosto, che esso possa estendersi da un massimo rappresentato dal tenore di vita matrimoniale ad un minimo costituito dagli alimenti. Contra, assai diffusamente, nel senso della «identità funzionale» di assegno divorzile e alimentare, C. Argiroffi, Gli alimenti. I profili oggettivi del rapporto, Torino, 1993, 30 ss. 19 Rispetto a tale elemento, un’autorevole dottrina, a ragione, ha osservato che «(…) quando sui diritti riconosciuti al divorziato sia chiamato ad influire in modo determinante un simile parametro [la durata del matrimonio], l’ottica che finisce con l’essere privilegiata risulta quella (ormai tradizionalmente, ma certo riduttivamente se non addirittura equivocamente, identificata come “compensativa”) della valorizzazione della pregressa collaborazione prestata al funzionamento della compagine familiare, quale fonte di aspettative non all’elargizione di un “aiuto” (…) ma alla partecipazione a quanto realizzato dai coniugi, sul piano patrimoniale, durante il matrimonio» (E. Quadri, Matrimonio, separazione personale, divorzio e costituzionalità dell’indennità di fine rapporto, in Foro it., 1991, I, 3009).
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Per quanto la sentenza annotata accolga questa concezione, essa non giunge alle radicali conseguenze cui può condurre, valorizzando al contrario, come si vedrà, già in sede di giudizio sull’attribuzione dell’assegno, i sacrifici e le scelte eventualmente compiuti, in una parola, le energie profuse dall’un coniuge durante la comunione matrimoniale a beneficio della coppia o dell’altro. Ribadita la funzione «esclusivamente assistenziale» dell’assegno, la sentenza, in prospettiva de iure condendo, tratteggia l’auspicio del suo radicale superamento a beneficio della funzione compensativa, secondo una tendenza, emergente pure dal disegno di legge C 4605, che ipervaluta quest’ultima istanza, forse proprio quale reazione agli esiti opposti cui ha condotto il revirement giurisprudenziale. Ora, se è certo che i tempi siano maturi, a distanza di trent’anni dalla novella del 1987, per una rimeditazione delle funzioni dell’assegno divorzile e, soprattutto, per una chiara definizione e non equivoca tassonomia degli interessi da tutelare20, è ragionevole auspicare che la funzione assistenziale dell’assegno non venga abbandonata e conservi un suo ruolo, sia pure rinnovato quanto a presupposti e modalità tecniche di attuazione, secondo quanto conferma uno sguardo agli ordinamenti vicini che hanno di recente riformato la disciplina del divorzio21. La decisione recepisce, aderendovi, l’accostamento operato dalla Cassazione – attraverso un discutibile impiego dell’analogia legis relativa all’art. 337-septies c.c. – della posizione del coniuge divorziato a quella del figlio maggiorenne al fine di individuare il nuovo parametro cui riferire l’adeguatezza dei mezzi. L’avviso maggioritario in dottrina ha censurato tanto il ricorso all’analogia22 (altrettanto discutibilmente praticato anche in altre occasioni dalla Corte di legittimità23), quanto l’identità di ratio tra la fattispecie di-
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È ben noto, del resto, che proprio l’infelice formulazione della disposizione ed il suo carattere di compromesso, testimoniato dai lavori preparatori, ha provocato una spaccatura tra gli interpreti, divisi tra coloro che sostenevano la natura ormai esclusivamente assistenziale dell’assegno e quanti reputavano che il sicuro rafforzamento di tale natura, operato dalla riforma del 1987, si accompagnava alla persistente rilevanza degli altri criteri (compensativo e risarcitorio), non solo in sede di quantificazione, ma pure di attribuzione dell’assegno: v. la chiarissima sintesi di V. Carbone, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio), cit., 80. 21 Sul quale, per un primo esame, v., almeno, S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa?, in Foro it., 2017, I, 2710 ss., e M. Bianca, Il nuovo orientamento in tema di assegno divorzile, ivi, 2720. 22 Critica è la dottrina maggioritaria sul ricorso, di cui si contestano i presupposti, all’analogia legis e proprio all’art. 337-septies c.c.: E. Quadri, L’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”, cit., 1271; U. Roma, Assegno di divorzio: dal tenore di vita all’indipendenza economica, cit., 1007; G. Savi, La rilevanza del “tenore di vita” nel regolamento delle crisi del rapporto coniugale, cit., 820 ss.; G. Casaburi, Tenore di vita e assegno divorzile (e di separazione): c’è qualcosa di nuovo oggi in Cassazione, anzi d’antico, cit., 1899, che qualifica il riferimento analogico all’art. 337-septies c.c. come «una sorta di coniglio cavato dal cappello»; condivide, invece, l’assimilazione delle posizioni dell’ex coniuge al figlio maggiorenne R. Natoli, Noterelle “a caldo” su Cassazione 11504/2017: dal tramonto dell’assegno divorzile a una nuova alba del diritto agli alimenti?, in Dir. civ. cont., 12 maggio 2017. 23 Non può tacersi che in altre occasioni il ricorso all’analogia pare mascherare la creazione giudiziaria del diritto; valga l’esempio della durata triennale della convivenza coniugale, che Cass., sez. un., 17 luglio 2014, n. 16379 (in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 36, con nota di U. Roma, Ordine pubblico, convivenza coniugale e pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio: le sezioni unite suppliscono all’inerzia legislativa con una sostanziale modifica dell’ordinamento), trae dall’art. 6, co. 1° e 4°, della l. 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), quale elemento ostativo alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale (il caso è evocato pure da E. Quadri, L’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”, cit., 1271, e nt. 57, per il quale da tale decisione «traspare evidente l’intenzione di sostituirsi – sia pure per apprezzabili esigenze di certezza – al legislatore»).
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sciplinata e quella non regolata, genericamente individuata nella circostanza che si tratta «in entrambi i casi, mutatis mutandis, di prestazioni economiche regolate nell’ambito del diritto di famiglia e dei relativi rapporti»24, e l’asserita lacuna ravvisata nella «assenza di uno specifico contenuto normativo della nozione di “adeguatezza dei mezzi”»25. Non è infondato chiedersi se lo «specifico contenuto normativo» non potesse piuttosto ricercarsi mediante un’interpretazione sistematica delle disposizioni dell’art. 5, come suggerito in dottrina e in giurisprudenza26, o, al limite, ricorrendo all’analogia iuris in una lettura complessiva proprio delle diverse ipotesi di «prestazioni economiche regolate nell’ambito del diritto di famiglia»27 (dagli alimenti, al mantenimento dei figli e del coniuge nella separazione e nel matrimonio putativo, e sullo sfondo non solo degli artt. 2 e 23 ma pure dell’art 29 Cost.). Il Collegio trevigiano non percorre la via di una ricostruzione critica alternativa; ciò si spiega, verosimilmente, alla luce di un’opzione decisoria realistica e pragmatica (consapevole, oltre che osservante, della forza del precedente di legittimità) che prende atto di come ormai sia vano il tentativo di erodere il nuovo parametro, preferendo, assai opportunamente, rimediare agli esiti esiziali cui può condurre – in termini di “giustizia sostanziale” e di osservanza del principio costituzionale di parità dei coniugi proprio all’atto della dissoluzione del vincolo – «un’applicazione troppo rigorosa del nuovo orientamento giurisprudenziale»28. Ciò fa, come si è detto, riportando nell’indagine sull’indipendenza economica quella componente perequativa dell’assegno che il recente avviso confina, come era peraltro in passato, al momento della quantificazione dell’assegno, col rischio di azzerarla completamente per il coniuge che raggiunga l’indipendenza economica e, dunque, non possa beneficiare della correlativa traduzione monetaria di tale componente, magari particolarmente rilevante in base alla storia della singola vicenda matrimoniale, col risultato che la rendita parassitaria o di posizione non è per il mancato avente diritto all’assegno, ma per colui che, secondo il precedente orientamento, sarebbe stato l’obbligato. Prima di esaminare le soluzioni innovative ed originali formulate per l’individuazione del contenuto della nozione di indipendenza economica, merita accennare ad altro argomento che il Tribunale mostra di condividere con altre decisioni per il superamento del tenore di vita: questo parametro «non è più utilizzabile, soprattutto guardando all’impoverimento subito dai coniugi in seguito al divorzio, in quanto porterebbe ad un inevitabile mutamento in pejus del tenore di vita stesso di colui che versa l’assegno»29. L’assunto, ricorrente nelle decisioni adesive al nuovo indirizzo, non convince e costituisce un esempio di frammento motivazionale tralaticiamente ripreso.
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Cass., 10 maggio 2017, n. 11504. Cass., 10 maggio 2017, n. 11504. 26 Trib. Udine, 1° giugno 2017, cit. 27 Cass., 10 maggio 2017, n. 11504. 28 Trib. Treviso, 26 gennaio 2018, in commento. 29 Trib. Treviso, 26 gennaio 2018, in commento. 25
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Le ragioni della perplessità sono principalmente due: in primo luogo, la Corte di Cassazione e pure la giurisprudenza di merito hanno temperato il principio della conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; già le sezioni unite con le pronunce nn. 11490 e 11492 del 1990, nell’affermare la funzione riequilibratrice dell’assegno rispetto alle precedenti condizioni economiche deteriorate in modo «apprezzabile» in dipendenza del divorzio, hanno sancito che le stesse devono essere «tendenzialmente» – si noti – ripristinate; specularmente, nel considerare il tenore di vita, la giurisprudenza ha sempre affermato che l’assegno divorzile mira alla conservazione di un tenore di vita «analogo»30 a quello precedentemente goduto. Un copioso filone di legittimità in tema di modifica delle condizioni di divorzio conferma, peraltro, l’orientamento di fondo, precisando che la finalità, conferita dall’art. 5 della l. n. 898/1970 all’assegno di divorzio, di assicurare al suo titolare il mantenimento, «quanto meno in via tendenziale» del tenore di vita pregresso, deve attuarsi «con il minor sacrificio possibile per l’obbligato»31. In secondo luogo, occorre considerare quale principio generale in tema di corresponsioni periodiche in ambito giusfamiliare (alimenti, mantenimento per il coniuge, anche putativo, o per i figli e, dunque, anche assegno postconiugale) quello secondo cui il giudice, in sede di determinazione del quantum, non può non considerare le condizioni economiche dell’obbligato, e ciò, proprio in quanto principio generale, a prescindere dall’esistenza, nel singolo istituto considerato, di una disposizione che ne imponga espressamente la considerazione. Con riguardo all’assegno divorzile, peraltro, è lo stesso art. 5, co. 6, l. n. 898/1970, nel suo esordio, che enuncia le «condizioni dei coniugi» tra i criteri destinati ad operare proprio nel momento della quantificazione, secondo l’interpretazione inaugurata da Cass. n. 11490/1990 e ribadita da Cass. n. 11504/201732. Le genericità della locuzione (che, si osservi, è seguita dalla menzione dell’ulteriore criterio del «reddito di entrambi», e dunque ammette un’interpretazione valorizzante la generale capacità economico-patrimoniale, ma pure in termini personali, del potenziale obbligato), in una con l’affermazione della necessità della conservazione di un tenore di vita «analogo», e non identico, e con la precisazione che tale conservazione debba aver luogo «con il minor sacrificio possibile per l’obbligato», consente al giudice la piena valutazione del deterioramento delle condizioni economiche pure dell’obbligato in dipendenza del divorzio e, in definitiva, di superare l’argomento secondo cui la conservazione del tenore di vita per l’un coniuge farebbe «precipitare l’altro ad un tenore di vita di molto inferiore a quello prima goduto»33.
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Tra le tante: Cass., 27 novembre 2013, n. 26491; Cass., 27 settembre 2002, n. 14004; Cass., 1° dicembre 1993, n. 11860; Cass., 4 febbraio 2011, n. 2747, reputa che l’assegno debba essere in misura tale da «assicurare – almeno in via tendenziale e parziale – il raggiungimento di standard di vita vicini a quelli già goduti». 31 Cass., 4 settembre 2004, n. 17895; Cass., 26 maggio 2004, n. 10105; Cass., 27 settembre 2002, n. 14004. 32 Del resto, era principio consolidato quello secondo cui, non può sussistere la pretesa dell’assegno divorzile nei confronti di colui che goda di una condizione economica, in senso ampio, pari o inferiore a quella dell’istante: C. M. Bianca, Commentario dir. it. fam., a cura di G. Cian, G. Oppo, A. Trabucchi, VI, I, Padova, 1993, sub art. 5 l. n. 898/1970, 335 ss.; tra le tante, Cass., 3 luglio 2013, n. 16598, in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it 33 App. Genova, 12 ottobre 2017, citata dalla sentenza in commento.
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Ma, come si è detto, questo passo della motivazione trevigiana, contenuto peraltro nella parte dedicata alla ricognizione dello stato della giurisprudenza, non infirma minimamente l’originalità ed il valore del contributo da essa offerto per rimediare alle dimenticanze del «sasso nello stagno» lanciato nel mese di maggio dalla prima sezione della Cassazione.
3. Il recupero della funzione compensativo-perequativa dell’assegno di divorzio.
La sentenza rileva che «(…) proprio nella perimetrazione del concetto di “autosufficienza economica” deve individuarsi il nucleo problematico del nuovo ragionamento prospettato dalla Corte di legittimità»34. Sviluppa, quindi, con sintesi efficace l’individuazione dei parametri cui attenersi per il giudizio sul riconoscimento del diritto all’assegno divorzile (fase sull’an debeatur), che oggi postula l’indagine al fine di comprendere «se vi sia autosufficienza economica del coniuge richiedente»35. In ordine alla quantificazione dell’assegno (fase del quantum debeatur), la decisione ribadisce che i relativi parametri continuano ad essere quelli enunciati dal legislatore nel co. 6 dell’art. 5 della l. n. 898/1970. Fondamentale è il brano della motivazione, premesso all’individuazione dei criteri per valutare l’autosufficienza, in cui l’estensore – con nitore e senza esitazione – afferma la «necessità di equilibrare le fortune economiche dei coniugi rispetto agli sforzi e alle rinunce da ciascuno di essi effettuati a favore della famiglia, in modo tale che il coniuge più debole che al momento dello scioglimento del matrimonio non abbia redditi sufficienti a garantirgli l’indipendenza economica e non riesca a procurarseli incolpevolmente, ottenga un assegno divorzile che rappresenti anche una sorta di riconoscimento per l’attività svolta durante il matrimonio a favore del nucleo familiare». Il riconoscimento della funzione compensativo-perequativa è palese e di grande momento non rinvenendosene (adeguata e diffusa) descrizione nella Cass. n. 11504/2017; tuttavia, la portata pratica del passo si inserisce nel solco tradizionale della struttura bifasica del giudizio sull’assegno: la considerazione del contributo personale ed economico offerto al ménage è destinata ad operare solo in sede di quantificazione; infatti, la sentenza espressamente afferma che l’assegno deve rappresentare «anche una sorta di riconoscimento per l’attività svolta» ma in favore del «coniuge più debole che al momento dello scioglimento (…) non abbia redditi sufficienti a garantirgli l’indipendenza economica e non riesca a procurarseli incolpevolmente». In altri termini, la necessità di equilibrare le fortune realizzate – attraverso (una loro traduzione monetaria nell’) assegno di divorzio
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Trib. Treviso, 26 gennaio 2018, in commento. Trib. Treviso, 26 gennaio 2018, in commento.
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– richiede che questo sia stato previamente attribuito ricorrendone il presupposto assistenziale, cioè la non indipendenza economica dell’istante. Una recente pronuncia di Cassazione, cui si devono aggiustamenti e rilevanti precisazioni rispetto all’arresto di maggio, estesa da magistrato sensibile in diritto di famiglia36, non giunge alla scelta decisoria, che subito si espone, del Tribunale di Treviso. La forza realmente innovativa dell’arresto in esame risiede nel passo immediatamente successivo, ove il Tribunale, nell’enumerare i «parametri da utilizzare al fine di comprendere se vi sia autosufficienza economica», comprende, tra quelli «di natura personale», «le condizioni dei coniugi a seguito del divorzio, anche in relazione alla circostanza che uno dei coniugi si sia occupato prevalentemente della cura della famiglia, a scapito della propria attività lavorativa e della propria crescita professionale»37. In sostanza, l’espediente tecnico generale per assicurare soddisfazione all’interesse compensativo-perequativo sta nella sua attrazione nella fase stessa dell’an, cioè nel momento deputato all’accertamento del presupposto (assistenziale) per il riconoscimento dell’assegno, che, nella nuova interpretazione di legittimità, passa attraverso l’attribuzione di significato al sintagma indipendenza economica. Espediente tecnico particolare è costituito dal conio del parametro, di natura personale, delle «condizioni dei coniugi a seguito del divorzio». L’operazione interpretativa38 è raffinata perché riconduce alla necessaria funzione esclusivamente assistenziale dell’assegno, che ne legittima la concessione, la valenza compensativa, che ragioni di giustizia sostanziale e di rispetto della parità dei coniugi costituzionalmente garantita anche all’atto della dissoluzione del rapporto (specie ove non operi il regime di comunione legale) impongono di non trascurare (come invece sembra fare la Cassazione relegandola alla fase eventuale della quantificazione di un assegno attribuito39).
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Cass., 26 gennaio 2018, n. 2042, cit. E sembra riprendere quasi testualmente echeggiare uno dei criteri di quantificazione della prestation compensatoire, contenuti nell’art. 271 del Code civil: «les conséquences des choix professionnels faîts par l’un des époux pedant la vie commune pour l’éducation des enfants et du temnps qu’il faudra encore y consacrer ou pour favoriser la carrière de son conjoint au détrimet de la sienne». 38 Condivisa esattamente in termini da altra decisione del Tribunale di Treviso (Presidente ed estensore M.T. Cusumano) pronunciata il 9 gennaio 2018, all’esito di un procedimento ex art. 9 l. n. 898/1970 (precisamente, per la modifica dell’assegno divorzile disposto in favore dell’ex coniuge e per la previsione della corresponsione del mantenimento diretto al figlio una volta divenuto maggiorenne). Il decreto trevigiano si segnala per l’approfondita motivazione che valorizza la finalità perequativa da riconoscere all’assegno divorzile e, sotto altro profilo, per avere ritenuto che i principi di diritto enunciati da Cass., n. 11504/2017 possono considerarsi «in termini di ius superveniens idoneo a giustificare, unitamente all’allegazione dei mutamenti di fatto, una revisione delle condizioni di divorzio». 39 Secondo una scelta confermata pure da Cass., 26 gennaio 2018, n. 2042: «(…) una volta superato il vaglio dell’ammissibilità dell’assegno ed accertata la non autosufficienza economica, sicuramente potrebbero venire in considerazione i vari profili indicati nella norma per la quantificazione dell’assegno, tali eventualmente da condurre ad una elevazione dell’importo». La decisione ribadisce, pertanto, che la funzione compensativa è destinata ad operare solo nella fase del quantum. Significativa, peraltro, la precisazione per cui i criteri di quantificazione possono solo condurre ad una «elevazione» (e non più ad una «moderazione» o, sinanche al suo «azzeramento»), come era stato segnalato in dottrina all’indomani della pubblicazione della Cass., n. 11504/2017 (v. U. Roma, Assegno di divorzio: dal tenore di vita all’indipendenza economica, cit., 1007 s.; in tal senso anche C. Rimini, Verso una nuova stagione per l’assegno divorzile dopo il crepuscolo del fondamento assistenziale, cit., 1279 s., e pure C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia, 6° ed., Milano, 2017, 284, che si chiede come i criteri di quantificazione, la cui operatività è ribadita da Cass., n. 11504/2017, possano applicarsi come «fattori di moderazione in relazione ad un assegno destinato a soddisfare solo gli essenziali bisogni di vita 37
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Un’obiezione davvero radicale potrebbe essere mossa all’argomento della decisione trevigiana: il criterio compensativo deve certo operare, come del resto prevede il testo di legge, ma solo ai fini della quantificazione dell’assegno; pertanto contrasta con la trentennale interpretazione in termini bifasici del relativo giudizio l’attrarlo nella fase dell’an, che mira esclusivamente ad accertare se l’istante abbia o meno mezzi adeguati e, ove non li abbia, se versi nell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Ma la replica – per quanto il Tribunale non la avanzi – è altrettanto agevole: la condizione di non autosufficienza dell’istante – che è il solo presupposto in base al quale l’assegno può attribuirsi – ben può essere stata determinata proprio in ragione di quegli «sforzi» e di quelle «rinunce (…) effettuati a favore della famiglia», che giustificano, pertanto, la loro valutazione ai fini di decidere se il coniuge sia o non sia autosufficiente. Si osservi, peraltro, che un tale modo di procedere è pienamente osservante del principio di diritto sancito dal revirement della scorsa primavera, secondo cui, «nel giudizio sull’an debeatur (…), non possono rientrare valutazioni di tipo comparativo tra le condizioni economiche degli ex coniugi, dovendosi avere riguardo esclusivamente alle condizioni del soggetto richiedente l’assegno successivamente al divorzio»40. Ancora si noti che il Tribunale, pur giungendo ad attribuire il giusto peso alla funzione compensativa per la via descritta, ma ribadendo fermamente, nel contempo, l’esclusivo presupposto assistenziale, evita la riproposizione della c.d. natura composita dell’assegno, quale mixtum connotato dalla convergenza di un elemento assistenziale, uno risarcitorio ed altro compensativo, ciascuno ritenuto autonomo e sufficiente a fondare il diritto per il richiedente alla relativa percezione41. Così procedendo, il Collegio trevigiano determina, certo, un ampliamento dei casi di non autosufficienza economica (e verosimilmente pure un aumento della soglia minima della autosufficienza economica) degli istanti, ma solo per quelli che abbiano effettivamente (e siano in grado di provare di aver) fornito un contributo personale ed economico alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune o dell’altro, evitando, come sostenuto da altra decisione richiamata nella motivazione, che «un’applicazione troppo rigorosa del nuovo orientamento risch(i) di penalizzare eccessivamente il coniuge che si sia dedicato prevalentemente alla famiglia, a scapito della propria attività lavorativa e della propria crescita professionale»42. È evidente che nel sistema precedente, fondato sul tenore di vita, il problema della penalizzazione del coniuge quanto all’interesse compensativo-perequativo non si poneva,
dell’ex coniuge indigente»). Cass., 10 maggio 2017, n. 11504, cit. 41 Affermata dalla giurisprudenza nel vigore del testo originario dell’art. 5 l. n. 898/1970: sancita da Cass., sez. un., 26.4.1974, n. 1194, cit., e Cass., sez. un., 9.7.1974, n. 2008, cit., e superata, nel vigore del corrispondente co. 6 dell’art. 5 inserito dall’art. 10 della l. n. 74/1987, dall’interpretazione del medesimo fornita da Cass., sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490, cit. 42 Trib. Treviso, 26 gennaio 2018, in commento, che richiama App. Genova, 12 ottobre 2017, cit., la quale considera anche un’altra ipotesi: «(…) non è lecito assumere comportamenti punitivi contro il coniuge che è rimasto sposato per quindici o venti anni e che con sacrifici ha continuato a lavorare per incrementare le risorse economiche familiari». 40
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dovendo il giudice muovere da una misura massima di assegno in astratto, funzionale ad assicurare il pregresso tenore di vita, per poi moderarla (sino anche ad azzerarla), applicando i criteri di quantificazione posti nell’esordio del co. 6 dell’art. 5, pervenendo all’assegno da disporre in concreto. Opportunamente, il Tribunale accenna, poi, alla doverosa distinzione tra matrimonio e matrimonio, secondo la rispettiva durata, l’età dei coniugi, la nascita di figli comuni, l’età e l’autosufficienza economica o meno dei medesimi43, precisando, come ha fatto di recente pure la Cassazione44, che la valutazione (dell’indipendenza economica mediante l’applicazione) dei parametri formulati deve avvenire «in relazione alla fattispecie concreta in esame». Due questioni rimangono. La regola elaborata per la valorizzazione dell’apporto personale ed economico del coniuge, mediante la sua attrazione nel presupposto assistenziale, comporta che la non autosufficienza economica venga per ipotesi riconosciuta pur dove, a parità di condizioni economiche, non lo sarebbe per altro istante che non possa vantare la tutela di quell’interesse; onde è necessario un attento governo della fase successiva, volta alla quantificazione dell’assegno, ad evitare rischi di overcompensation. In secondo luogo, questa decisione offre un apporto efficace per le ipotesi concrete (è da ritenere statisticamente assai frequenti) nelle quali il margine tra indipendenza e non indipendenza economica non è particolarmente esteso; il coniuge che non avrebbe conseguito l’assegno perché autosufficiente ove non fosse stato considerato il suo contributo personale ed economico, lo ottiene per essere tale contributo apprezzato secondo la regola descritta. Resta, però, il caso del coniuge certamente più che autosufficiente il cui apporto personale ed economico sia stato rilevante e si sia esteso per tutto il tempo di un matrimonio di lunga durata; vi è da chiedersi se – non spettandogli certo l’assegno divorzile – meriti tutela il suo interesse alla compensazione-perequazione degli sforzi, personali ed economici, compiuti per la famiglia e per l’ex coniuge. L’interrogativo, cui, allo stato della legislazione vigente, deve fornirsi risposta negativa, ribadisce l’urgenza di una rimeditazione della complessiva disciplina delle conseguenze patrimoniali del divorzio (e pure del sistema dei regimi patrimoniali dei coniugi), secondo quanto ipotizzato dall’estensore della sentenza in esame ed alla luce di quei mutamenti della concezione del matrimonio «nel costume sociale» che Cass. n. 11504/2017 ha addotto tra i motivi per il superamento del tenore di vita.
43
Come tali elementi debbano incidere sulle funzioni dell’assegno è stato magistralmente approfondito da E. Al Mureden, Nuova prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, spec. nei capp. II e V; La solidarietà post-coniugale a quarant’anni dalla Riforma del ‘75, in Fam. e dir., 2015, 991 ss.; Id., Il parametro del tenore di vita coniugale nel “diritto vivente” in materia di assegno divorzile tra persistente validità, dubbi di legittimità costituzionale ed esigenze di revisione, ivi, 2014, spec. 690 ss. 44 Cass., 26 gennaio 2018, n. 2042, cit.
55
Giurisprudenza
4. I parametri per la valutazione dell’autosufficienza economica.
Particolarmente pregevole ed utile, proprio nell’intento perseguito dal Tribunale di evitare il «rischio» di «indici eccessivamente astratti», è la griglia dei parametri formulata dalla sentenza per l’indagine circa la «autosufficienza economica» del coniuge. La tavola dei parametri viene distinta tra quelli «di natura personale» e quelli «di natura patrimoniale». In parte riprende gli indici enunciati da Cass. n. 11504/2017, non mancando, tuttavia, di formulare significative precisazioni; in parte, provvede a coniarne di nuovi. Tra questi ultimi, sono già esaminate «le condizioni dei coniugi a seguito del divorzio» con la specificazione – essenziale – che va considerata anche la circostanza che uno dei coniugi si sia occupato prevalentemente della cura della famiglia a scapito della propria attività lavorativa e crescita professionale. Non privo di rilievo pratico è l’apprezzamento duplice delle «possibilità di lavoro»45: il Tribunale, le considera sia quale parametro di natura personale, cioè in una prospettiva soggettiva, ponendole in relazione con la salute, l’età ed il sesso; sia quale parametro di ordine patrimoniale, enucleandone la dimensione oggettiva col relazionarle «al mercato del lavoro esistente nella zona geografica in cui esse [le parti] risiedono». Il riferimento geografico è elemento di considerevole rilievo ai fini della decisione, in quanto si presta a temperare (o a rafforzare, secondo le circostanze concrete) quell’onere di attivazione ai fini del reperimento di un’attività lavorativa desumibile dalla parte finale del co. 6 dell’art. 5, relativo all’impossibilità di «procurarseli i mezzi per ragioni oggettive», che concorre a fondare il c.d. principio di autoresponsabilità che regge il giudizio sull’an. La menzione del «costo della vita nel luogo di residenza dei coniugi come certificato dai dati ISTAT più recenti e con eventuale riferimento alla provincia o regione di appartenenza», presente in altri provvedimenti di merito, concorre a connotare in termini oggettivi una componente tendenzialmente ineliminabile dell’assegno. Con riguardo alla «disponibilità di una casa di abitazione», già prevista da Cass. n. 11504/2017 (che, a ragione, come il Tribunale di Treviso, ne fa criterio distinto dal «possesso di patrimoni immobiliari»), di estremo momento è la precisazione operata dalla sentenza che occorre considerare anche «il titolo in base alla quale è detenuta». Ben diversa è infatti l’ipotesi in cui i coniugi sulle rispettive abitazioni vantino il diritto di proprietà o un diritto reale o, ancora, un diritto personale di godimento. Con specifico riferimento all’istante, la diversità assume ancora maggiore rilievo ove l’eventuale diritto personale di godimento sia a titolo oneroso o gratuito e, in quest’ultimo caso, se si tratti di comodato precario. In tale ultima evenienza, come in quella in cui l’istante benefici di mera ospita-
45
Cass., 10 maggio 2017, n. 11504, considera «(…) la capacità e possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo».
56
Umberto Roma
lità da parte di familiari o amici, è dubbio che possa ragionarsi di «stabile disponibilità» dell’abitazione, pur essendo, inevitabilmente, rimesso il relativo giudizio all’apprezzamento giudiziale in relazione alla concretezza del caso singolo. La necessità di considerare il titolo che fonda la disponibilità dell’immobile destinato ad abitazione è, del resto, significativamente imposta – in ambito giusfamiliare, sia pure ad altri fini – dall’art. 337-sexies c.c. La precisazione della sentenza in commento testimonia dell’attenzione del giudicante per una più ponderata valutazione del rilievo che gioca, nell’operatività complessiva dei criteri per l’accertamento dell’autosufficienza, la disponibilità del bene primario in parola, stimandone soprattutto la «stabilità». Vi è infine il riferimento alla «capacità di far fronte direttamente alle spese essenziali di vita (vitto, alloggio ed esercizio dei diritti fondamentali) o la necessità di accedere a sussidi economici erogati da enti territoriali o altre strutture pubbliche o private in base al reddito». Il criterio enuclea esattamente quello che – considerato in sé e con priorità cronologica sugli altri criteri, da esaminare successivamente – dovrebbe sciogliere positivamente l’interrogativo sull’an. Col riferirsi alle spese «essenziali», infatti, rimanda al contenuto dell’assegno alimentare (del quale l’ex coniuge non è destinatario); non deve sfuggire che la decisione assume ad indice la capacità di fronteggiare le spese essenziali «direttamente», ciò che dovrebbe escludere la rilevanza, ai fini della valutazione dell’autosufficienza dell’istante, delle eventuali elargizioni provenienti da terzi (occasionali o meno che siano) in sé e, comunque, ove volte a sopperire all’incapacità del richiedente a provvedervi direttamente. La capacità di fronteggiare direttamente le spese rispetto all’alternativa costituita dalla «necessità di accedere» a sussidi economici erogati da enti territoriali o altre strutture, pubbliche o private, in base al reddito, va intesa nel senso che questa seconda evenienza depone per il difetto di indipendenza economica apprezzata secondo il criterio in esame. L’economia del presente lavoro non consente di approfondire il tema, così evocato dal Tribunale, del rapporto tra solidarietà familiare (o, meglio, postconiugale46) e solidarietà sociale con riguardo al coniuge divorziato indigente; l’interrogativo che si pone – de iure condendo – è se la non autosufficienza economica di un coniuge – limitatamente tuttavia al caso di matrimonio di breve durata, di coniugi in giovane età, senza figli – possa o debba essere colmata più che dall’ex coniuge dal sistema di sicurezza sociale o, comunque, in definitiva dalle risorse della fiscalità generale47. Un cenno a favore della seconda soluzione (se mal non si comprende) sembra potersi leggere in una sentenza della Cassazione, che, dato atto delle «persistenti discriminazioni economiche della donna nel luogo di lavoro, e,
46
È significativo, peraltro, rilevare come Cass., n. 11504/2017 eviti accuratamente l’impiego della locuzione «solidarietà postconiugale», menzionandola una sola volta, e preferendo usare per quattro volte la locuzione «solidarietà economica». 47 Per la posizione dell’alternativa, anche in chiave comparatistica, e per riferimenti, A. Vesto, Revisione dell’assegno post-matrimoniale: dal dogma del “tenore di vita” all’”autosufficienza e autoresponsabilità economica”, in Nuova giur., civ. comm., 2017, I, 1476 ss. Non pare riconducibile a un tale sistema il Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno, istituito dall’art. 1, 414-416 co., della l. 28 dicembre 2015, n. 208, posto che l’accesso alle erogazioni previste è subordinata alla titolarità in capo al richiedente dell’assegno periodico ex art. 156 c.c. e alla circostanza che l’obbligato non provveda alla corresponsione.
57
Giurisprudenza
più in generale, (del)l’emarginazione che talora la colpisce nei più diversi settori», sovente causa della disparità di condizioni economiche in cui si versa all’atto del divorzio, ammonisce che, «all’evidenza, di ciò deve farsi carico l’intera società e il Parlamento, con leggi adeguate che avvicinino l’Italia alla maggior parte degli altri Paesi europei, e non certo (sempre e soltanto) l’ex coniuge»48. Se, allo stato della legislazione vigente, non sembra dubitabile che ad operare sia la solidarietà postconiugale ove consentita in concreto dalla capacità dell’ex coniuge obbligato, vi è da chiedersi se l’eventuale soluzione pubblicistica, implicante la liberazione dell’ex coniuge da ogni sia pur minimo obbligo solidaristico, non eclissi «la peculiare dignità sociale» del matrimonio quale «atto di libertà», ma pure «di autoresponsabilità», che, a seguito del divorzio non rimarrebbe neppure un ricordo. Ben potendosi, allora, concludere che il divorzio, come la morte, omnia solvit. Umberto Roma
48
Cass., 26 gennaio 2018, n. 2042, cit.
58
Giurisprudenza Corte Cost., 18 dicembre 2017, n. 272; Paolo Grossi Presidente. Filiazione – Filiazione naturale – Riconoscimento Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c., sollevata con riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, comma 1°, Cost., nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta soltanto quando sia rispondente all’interesse dello stesso. Il giudice chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale concepito mediante maternità surrogata è sempre tenuto ad effettuare una valutazione comparativa tra favor veritatis e favor minoris.
(Omissis)
i quali – nell’ambito delle indagini avviate dalla
FATTO
Procura della Repubblica presso il Tribunale per
1. Nel corso di un procedimento di impugna-
i minorenni – avrebbero ammesso il ricorso alla
zione del riconoscimento di figlio naturale per
surrogazione di maternità, realizzata attraverso
difetto di veridicità, la Corte d’appello di Milano
ovodonazione.
ha sollevato questione di legittimità costituziona-
Il giudice a quo riferisce che, pertanto, su ini-
le dell’art. 263 del codice civile, in riferimento
ziativa della stessa Procura della Repubblica, è
agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della
stato avviato il procedimento per la dichiarazio-
Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8
ne dello stato di adottabilità, il quale si è con-
della Convenzione per la salvaguardia dei dirit-
cluso con dichiarazione di non luogo a provve-
ti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora
dere, avendo i genitori contratto matrimonio ed
in avanti: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre
essendo risultata certa, in base al test eseguito
1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4
sul DNA, la paternità biologica di colui che ha
agosto 1955, n. 848.
effettuato il riconoscimento.
La disposizione è censurata nella parte in cui
Riferisce il giudice rimettente che, su richiesta
non prevede che l’impugnazione del riconosci-
del pubblico ministero, il Tribunale per i mino-
mento del figlio minore per difetto di veridicità
renni di Milano ha autorizzato, ai sensi dell’art.
possa essere accolta solo quando sia rispondente
264, secondo comma, cod. civ., l’impugnazione
all’interesse dello stesso.
del riconoscimento del figlio naturale effettua-
2. Il giudizio a quo ha ad oggetto l’appello av-
to da A.L. C., nominando a tal fine un curato-
verso la sentenza con cui il Tribunale ordinario di
re speciale del minore. In accoglimento di tale
Milano – in accoglimento della domanda propo-
impugnazione, il Tribunale ordinario di Milano
sta ai sensi dell’art. 263 cod. civ. dal curatore spe-
ha dichiarato che il minore non è figlio di A.L.
ciale di un minore, nominato dal Tribunale per i
C., disponendo le conseguenti annotazioni a cura
minorenni – ha dichiarato che lo stesso minore
dell’ufficiale di stato civile.
non è figlio della donna che lo ha riconosciuto.
Il giudice a quo riferisce che la decisione di
La vicenda sottoposta all’esame della Corte
primo grado si è fondata sulla disposizione di cui
d’appello di Milano trae origine dalla trascrizione
all’art. 269, terzo comma, cod. civ., e sulla consi-
del certificato di nascita formato all’estero, relati-
derazione che, nel caso in esame, il rapporto di
vo alla nascita di un bambino, riconosciuto come
filiazione dal lato materno non potrebbe essere
figlio naturale di una coppia di cittadini italiani,
dedotto dal contratto per la fecondazione etero-
59
Giurisprudenza
loga con maternità surrogata, da ritenersi invali-
gnazione del riconoscimento per difetto di veridi-
do per contrarietà della legge straniera all’ordine
cità possa essere accolta solo laddove sia ritenuta
pubblico, ai sensi dell’art. 16 della legge 31 mag-
rispondente all’interesse del minore.
gio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato).
2.2.1. Rammenta il giudice a quo che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263
2.1. Ciò premesso, la Corte d’appello eviden-
cod. civ. è già stata ritenuta non fondata dalla
zia che nel caso in esame l’atto di nascita com-
sentenza n. 112 del 1997, sull’assunto che l’impu-
provante la genitorialità del minore è già stato
gnazione del riconoscimento per difetto di veri-
trascritto in Italia e che, pertanto, è estranea al
dicità sia ispirata al «principio di ordine superiore
thema decidendum la questione della trascrivi-
che ogni falsa apparenza di stato deve cadere».
bilità in Italia di atti di nascita formati nei paesi
In quella occasione, asserisce il rimettente, la
che consentono la maternità surrogata. Nel caso
Corte ha individuato nella verità del rapporto di
in esame, infatti, non è richiesta la trascrizione di
filiazione un valore necessariamente da tutelare,
uno status filiationis riconosciuto all’estero, bensì
con la precisazione che la finalità perseguita dal
la rimozione di uno status già attribuito, in consi-
legislatore consisterebbe proprio nell’attuazione
derazione della sua non veridicità.
del diritto del minore all’acquisizione di uno sta-
2.1.1. Quanto al divieto di maternità surrogata
to corrispondente alla realtà biologica. Analoghi
previsto dall’art. 12 della legge 19 febbraio 2004,
principi sarebbero stati ribaditi dalle sentenze n.
n. 40 (Norme in materia di procreazione medi-
170 del 1999 e n. 216 del 1997, nonché dall’ordi-
calmente assistita), il giudice a quo ritiene che lo
nanza n. 7 del 2012.
stesso potrebbe porsi in contrasto con i principi
Alla stregua di tali rilievi, il giudice a quo
costituzionali, laddove riferito ad ipotesi di gesta-
esclude soluzioni ermeneutiche che consentano
zione “relazionali” o “solidaristiche”, non lesive
di considerare, nella cornice dell’art. 263 cod.
della dignità della donna, né riducibili alla logi-
civ., la specifica situazione del minore al fine di
ca di uno scambio mercantile, ma caratterizzate
privilegiare una soluzione che realizzi il suo con-
da intenti di pura solidarietà. Tuttavia, osserva il
creto ed effettivo interesse. La mancanza di un ri-
rimettente, anche tale questione risulta estranea
ferimento normativo all’interesse del minore, nel
alla vicenda in esame, in quanto la surrogazione
richiamato indirizzo interpretativo da considerare
di maternità è avvenuta al di fuori di un contesto
quale “diritto vivente”, si porrebbe in contrasto
relazionale e non sarebbe ravvisabile una con-
con i principi di particolare tutela che la Costitu-
dizione di libertà della donna che ha portato a
zione e la CEDU assicurano ai minori.
termine la gravidanza. 2.2.- La Corte d’appello prospetta, invece, una diversa questione di legittimità costituzionale,
2.3. La questione avrebbe incidenza attuale nel giudizio di impugnazione promosso dal curatore speciale ai sensi dell’art. 263 cod. civ.
che pone al centro l’interesse del bambino, nato
Infatti, nel caso in esame, le norme inderoga-
a seguito di surrogazione di maternità realizza-
bili che definiscono e disciplinano la genitoriali-
ta all’estero, a vedersi riconosciuto e mantenuto
tà, ed in particolare la maternità, non consenti-
uno stato di filiazione quanto più rispondente al-
rebbero a madre e figlio di vedersi riconosciuto
le sue esigenze di vita.
tale legame giuridico, se non per il tramite dell’a-
Il dubbio di costituzionalità sollevato dal ri-
dozione in casi particolari, nel presupposto che
mettente attiene, in particolare, all’art. 263 cod.
l’interesse del minore, di cui lo stesso curatore è
civ., nella parte in cui non prevede che l’impu-
portatore, debba identificarsi nel favor veritatis.
60
Susanna Sandulli
Viceversa, ove fosse consentita una valuta-
seguito di accordi di maternità surrogata (Corte
zione in concreto dell’interesse del minore, non
d’appello di Bari, sentenza 13 febbraio 2009) o
coincidente col favor veritatis, esso potrebbe es-
di un atto di nascita, formato all’estero, del fi-
sere misurato anche alla stregua di altri profili,
glio di una coppia di donne, nato con donazione
riguardanti le particolari modalità della nascita,
del gamete maschile e trasferimento dell’ovulo di
la possibilità di altro legame giuridico, certo e
una delle due all’altra, che ha portato a termine
ugualmente tutelante, con la madre intenzionale,
la gravidanza (Corte d’appello di Torino, decreto
e tutte le circostanze, anche relative al rapporto
29 ottobre 2014). Sono, altresì, richiamate quel-
con la madre intenzionale, emerse nella fattispe-
le decisioni che hanno riconosciuto la possibilità
cie in esame.
di adozione del figlio del partner di coppia del-
2.4. Il giudice rimettente richiama i principi
lo stesso sesso, ai sensi dell’art. 44 della legge 4
enunciati dalla Convenzione sui diritti del fan-
maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una
ciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989,
famiglia). Inoltre, è richiamata la sentenza della
ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio
Corte di cassazione, sezione prima civile, 11 gen-
1991, n. 176; dalla Convenzione europea sull’e-
naio 2013, n. 601, che ha escluso che il fatto di
sercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo
vivere in una famiglia incentrata su una coppia
il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con
omosessuale pregiudichi l’equilibrato sviluppo
legge 20 marzo 2003, n. 77; dalla Carta dei diritti
del bambino.
fondamentali dell’Unione europea, proclamata a
Il giudice a quo sottolinea, inoltre, che nella
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo
sentenza n. 31 del 2012 questa Corte ha dichiara-
il 12 dicembre 2007, che all’art. 24, secondo com-
to l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 del co-
ma, sancisce il principio della necessaria premi-
dice penale, nella parte in cui prevedeva che, alla
nenza dell’interesse del minore.
condanna dei genitori per il delitto di alterazione
Dovrebbero considerarsi, inoltre, le Linee gui-
di stato, conseguisse in via automatica la perdita
da del Comitato dei ministri del Consiglio d’Euro-
della potestà genitoriale, precludendo così al giu-
pa per una giustizia a misura di minore, adotta-
dice ogni possibilità di valutazione dell’interesse
te il 17 novembre 2010, nella 1098§ riunione dei
del minore.
delegati dei ministri. Il riferimento, ivi contenuto,
Alla luce dei principi desumibili dalla norma-
al superiore interesse del minore andrebbe inte-
tiva sovranazionale e nazionale e degli approdi
so come ricerca di una soluzione che garantisca
giurisprudenziali, europei e interni, nonché delle
l’effettiva attuazione, non di un interesse astratto
possibilità offerte dalle nuove tecnologie in tema
e preconcetto, bensì del best interest, cioè dell’in-
di procreazione assistita, il giudice a quo sollecita
teresse concreto di “quel” minore che, nel singolo
una rinnovata riflessione sul tema della coinci-
caso sottoposto a valutazione, è destinatario di
denza tra favor veritatis e favor minoris.
un provvedimento.
Il dubbio di legittimità costituzionale ha ad
La Corte d’appello osserva che anche la recen-
oggetto l’art. 263 cod. civ., nella parte in cui non
te giurisprudenza di merito attribuisce rilievo al
consente di valutare il concreto interesse del mi-
concreto interesse del minore in tema di relazioni
nore a mantenere l’identità relazionale e lo status
familiari. In particolare, sono richiamate quelle
di una riconosciuta filiazione materna, impeden-
pronunce che hanno ammesso la trascrizione nei
do, così, che tale interesse possa essere realizzato
registri dello stato civile di atti stranieri attribu-
con l’ampiezza di tutele riconosciute da plurimi
tivi della genitorialità alla madre intenzionale, a
principi costituzionali.
61
Giurisprudenza
2.5. In primo luogo, è denunciata la violazio-
accertamento negativo della paternità legale non
ne dell’art. 2 Cost., per la natura inviolabile del
potrebbe comunque costituire la premessa per
diritto del minore a non vedersi privato del no-
un successivo accertamento positivo della pater-
me, dell’identità personale e della stessa possi-
nità biologica, stante la regola di cui all’art. 9,
bilità di avere una madre, mantenendo lo status
comma 3, della legge n. 40 del 2004.
filiationis nei confronti di colei che abbia effettuato il riconoscimento.
In ogni caso, nell’impossibilità di valutare in concreto l’interesse del minore, lo status del bam-
In secondo luogo, la disposizione in esame
bino nato da surrogazione di maternità potrebbe
contrasterebbe con l’art. 30 Cost., che riconosce
risultare irragionevolmente diverso e sfavorevole
e promuove, sia pure in via sussidiaria, accanto
rispetto a quello assicurato al minore nato attra-
alla genitorialità biologica, una genitorialità so-
verso il ricorso alla fecondazione eterologa.
ciale, fondata sul consenso e indipendente dal
La Corte d’appello dubita della legittimità
dato genetico. Di essa, in alcune situazioni pro-
costituzionale dell’art. 263 cod. civ., anche con
blematiche, l’interesse del minore potrebbe gio-
riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in
varsi. Il riconoscimento della genitorialità sociale
relazione all’art. 8 della CEDU, come interpretato
si accompagnerebbe, infatti, alle garanzie offerte
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in situa-
al figlio dall’assunzione di responsabilità nei suoi
zioni riconducibili alla maternità surrogata.
confronti. La questione di legittimità costituzio-
Sono richiamate, in particolare, le sentenze
nale è sollevata anche in riferimento all’art. 31
della Corte EDU del 26 giugno 2014 rese nei ca-
Cost., che, con disposizione riassuntiva e genera-
si Mennesson contro Francia e Labassee contro
le, completa il quadro delle garanzie costituzio-
Francia (ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del
nali dei rapporti familiari e dell’infanzia.
2011), nelle quali è stata affrontata la questione
L’impossibilità di valutare, in concreto, un in-
del rifiuto di riconoscere, in Francia, rapporti ge-
teresse, che potrebbe non coincidere col favor
nitoriali stabiliti all’estero tra minori nati da ma-
veritatis, si porrebbe altresì in contrasto con il
ternità surrogata e le coppie che vi avevano fatto
principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.,
ricorso. In queste pronunce, la Corte di Strasbur-
soprattutto alla luce dell’art. 9 della legge n. 40
go ha ritenuto violato l’art. 8 della CEDU con rife-
del 2004 che, ancor prima della sentenza di que-
rimento al diritto dei minori al rispetto della pro-
sta Corte n. 162 del 2014, aveva comunque assi-
pria vita privata, quale diritto di ciascuno su ogni
curato al bambino – nato attraverso fecondazione
profilo della propria identità di essere umano.
assistita di tipo eterologo – lo stato di figlio del
Ad avviso del giudice a quo, da tali sentenze
coniuge o del convivente della donna che lo ave-
discenderebbe per gli Stati contraenti l’obbligo
va partorito.
positivo di tutelare l’identità personale del mi-
A questo riguardo, il giudice a quo evidenzia
nore nato attraverso surrogazione di maternità,
che, nel nuovo assetto conseguente all’elimina-
anche a prescindere dal legame biologico con i
zione del divieto di fecondazione eterologa, es-
genitori intenzionali. Gli Stati membri del Consi-
sendo esclusa la possibilità che il coniuge o il
glio d’Europa, se possono scoraggiare o vietare il
convivente del genitore naturale possano, rispet-
ricorso alla maternità surrogata, non potrebbero,
tivamente, disconoscere la paternità del bambi-
viceversa, rifiutare la trascrizione di un atto di
no, ovvero impugnare il relativo riconoscimento,
nascita che assicura al minore il rispetto della sua
sarebbe dubbia la legittimazione in capo al figlio
vita privata, rispondendo tale trascrizione al suo
in ordine alle azioni indicate. Infatti, un eventuale
best interest.
62
Susanna Sandulli
In questo senso si porrebbe anche la sentenza
genitoriale, la valutazione della non contrarietà
della Corte EDU del 27 gennaio 2015, resa nel
all’ordine pubblico debba essere effettuata tenen-
caso Paradiso e Campanelli contro Italia (ricor-
do conto del superiore interesse del figlio.
so n. 25358 del 2012). In un caso di maternità
2.7. Il giudice a quo ritiene che il dubbio di le-
surrogata caratterizzato dall’assenza di legame
gittimità costituzionale non possa essere superato
biologico del minore con i genitori intenzionali,
neppure dalla considerazione del diritto del figlio
la Corte di Strasburgo ha ravvisato la violazione
a conoscere le proprie origini. Tale diritto si re-
dell’art. 8 della CEDU nei provvedimenti relati-
alizzerebbe, infatti, su un piano diverso da quel-
vi all’allontanamento del minore. La nozione di
lo dell’impugnazione di cui all’art. 263 cod. civ.,
“vita familiare”, tutelabile ai sensi dell’art. 8 della
a meno di non voler attribuire all’accertamento
CEDU, sarebbe estensibile alla relazione tra i ge-
della non veridicità del riconoscimento la funzio-
nitori d’intenzione e il minore, ancorché costitui-
ne di comunicazione della non-nascita dalla ma-
ta illegalmente secondo l’ordinamento nazionale.
dre, in una logica latamente sanzionatoria della
In questo modo, ad avviso del giudice a quo, la
condotta genitoriale. Ciò andrebbe comunque a
Corte di Strasburgo avrebbe svincolato la nozio-
detrimento dell’interesse del minore al manteni-
ne giuridica di “vita familiare” dall’indefettibilità
mento di un rapporto giuridico corrispondente
del legame genetico, ritenendola comprensiva di
alla effettività della relazione con la persona che
relazioni di fatto, la cui tutela corrisponde al pre-
ha formulato il progetto familiare e che, dalla na-
minente interesse del minore.
scita del bambino, ne è madre.
2.6. Dopo avere ribadito che la questione in
3. Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è co-
esame non concerne la liceità della pratica della
stituita A.L. C., parte appellante nel giudizio prin-
surrogazione, ma i diritti del bambino nato attra-
cipale, chiedendo l’accoglimento della questione
verso tale pratica, il rimettente deduce che non
sollevata dal giudice a quo.
vi sarebbe contrasto, rispetto all’ordine pubblico,
3.1. Dopo avere ripercorso le argomentazioni
del concreto interesse del minore. In particolare,
del giudice rimettente, la parte richiama i prin-
tale contrasto non sarebbe ricavabile dal divieto
cipi affermati nelle sentenze n. 158 del 1991, n.
di maternità surrogata di cui all’art. 12, comma
112 del 1997 e n. 170 del 1999 ed osserva che,
6, della legge n. 40 del 2004, dovendosi avere ri-
alla luce del mutato quadro giurisprudenziale e
guardo all’ordine pubblico internazionale, in cui
dell’evoluzione scientifica e tecnologica, che ha
rileva l’esistenza di paesi, anche in Europa, che
progressivamente ampliato le possibilità procre-
consentono il ricorso alla surrogazione di mater-
ative delle coppie, si imporrebbe una nuova va-
nità.
lutazione della legittimità costituzionale dell’art.
Il concetto di ordine pubblico dovrebbe es-
263 cod. civ. Si dovrebbe ritenere ormai superato
sere perciò declinato con riferimento all’interes-
il principio della necessaria preservazione del le-
se del minore, secondo un principio ricavabile
game di filiazione veridico quale unico presup-
anche dal regolamento CE n. 2201/2003 del 27
posto di tutela dell’interesse del minore.
novembre 2003 (Regolamento del Consiglio rela-
Sono richiamate, in particolare, la sentenza n.
tivo alla competenza, al riconoscimento e all’ese-
162 del 2014, in materia di fecondazione etero-
cuzione delle decisioni in materia matrimoniale
loga, e le sentenze della Corte europea dei diritti
e in materia di responsabilità genitoriale). Tale
dell’uomo in materia di surrogazione di mater-
regolamento, all’art. 23, prevede che, con riferi-
nità. In queste pronunce la tutela del superiore
mento alle decisioni relative alla responsabilità
interesse del minore non sarebbe più inscindi-
63
Giurisprudenza
bilmente connessa alla veridicità del rapporto di
nale all’identità personale, nelle forme del diritto
filiazione, in quanto biologicamente determinato,
al nome e alla conservazione del proprio status
bensì alla conservazione del rapporto di filiazio-
filiationis.
ne “sociale”, ovvero “intenzionale”, imperniato sull’assunzione della responsabilità genitoriale.
3.3.1. La norma sarebbe irragionevole anche per l’automatismo decisorio che si determinereb-
La parte evidenzia che, in tema di disconosci-
be in caso di difetto di veridicità. Sia pure pro-
mento di paternità del bambino nato da procrea-
nunciando su questioni di tipo diverso, la giuri-
zione medicalmente assistita di tipo eterologo, la
sprudenza costituzionale avrebbe chiarito come
Corte di cassazione, sin da epoca precedente alla
siffatti automatismi possono tradursi in un’irra-
legge n. 40 del 2004, si era già espressa nel senso
gionevole lesione dell’interesse del minore, in
che il favor veritatis abbia «una priorità non as-
quanto preclusivi di uno scrutinio individualizza-
soluta, ma relativa» (Corte di cassazione, sezione
to, caso per caso, da parte del giudice.
prima civile, sentenza 16 marzo 1999, n. 2315).
In particolare, in tema di adozione, tali princi-
Occorrerebbe, dunque, una valutazione indi-
pi hanno portato a ritenere irragionevoli – perché
vidualizzata dell’interesse del minore ed il supe-
non rispondenti all’interesse del minore – le nor-
ramento, sulla scorta del mutato contesto sociale
me che stabilivano limiti rigidi di età tra adottanti
e giurisprudenziale, dell’impostazione che ritiene
e adottato (sono richiamate le sentenze n. 140
salvaguardato tale interesse solo in presenza di
[recte: 44] del 1990, n. 148 del 1992, n. 303 del
un legame di filiazione veridico.
1996 e n. 283 del 1999).
3.2. Riguardo alla violazione dell’art. 2 Cost.,
Afferma la parte che, allo stesso modo, è sta-
la difesa della parte condivide i rilievi del giudice
ta ritenuta irragionevole l’applicazione automati-
rimettente, richiamando in proposito la giurispru-
ca della pena accessoria della perdita di potestà
denza costituzionale e di legittimità in materia di
genitoriale, a seguito della commissione del reato
diritto all’identità personale quale diritto inviola-
di cui all’art. 567 cod. pen., prevista dall’art. 569
bile della persona umana, strettamente connesso
cod. pen., che precludeva ogni possibilità di valu-
al diritto di conservare il proprio status filiationis.
tazione e bilanciamento tra l’interesse del minore
La disposizione censurata sarebbe, altresì, lesiva
e l’applicazione della pena accessoria, in ragione
del diritto al nome del minore, anch’esso protetto
della natura e delle caratteristiche dell’episodio
a norma dell’art. 2 Cost.
criminoso (sentenza n. 31 del 2012). Analogamen-
3.3. L’art. 263 cod. civ. si porrebbe, inoltre,
te, l’art. 569 cod. pen. è stato censurato nella parte
in contrasto con l’art. 3 Cost., per la condizione
in cui stabiliva che, alla condanna pronunciata per
deteriore in cui si trova il bambino nato da ma-
il delitto di cui all’art. 566, secondo comma, cod.
ternità surrogata rispetto a quello nato attraverso
pen., conseguisse di diritto la perdita della pote-
fecondazione assistita di tipo eterologo. Solo in
stà genitoriale, così precludendo ogni possibilità
questo secondo caso, infatti, in presenza di do-
di valutazione dell’interesse del minore nel caso
nazione dei gameti, è preclusa al coniuge e al
concreto (sentenza n. 7 del 2013).
convivente del genitore naturale la proposizione
È richiamata, inoltre, la pronuncia con cui
dell’azione di disconoscimento e, rispettivamen-
questa Corte ha censurato l’art. 4-bis, primo com-
te, dell’impugnazione del riconoscimento. Tutta-
ma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
via, anche con riferimento al bambino nato da
sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
maternità surrogata si porrebbe l’analoga esigen-
delle misure privative e limitative della libertà),
za di assicurare protezione al diritto costituzio-
nella parte in cui includeva nel divieto di conces-
64
Susanna Sandulli
sione dei benefici penitenziari anche la detenzio-
assicurare adeguata protezione all’interesse del
ne domiciliare speciale, prevista per le madri con
minore, tale responsabilità dovrebbe prescinde-
prole di età non superiore a dieci anni (sentenza
re dalla caratterizzazione biologica o sociale del
n. 239 del 2014). Anche in questo caso, non era
rapporto di parentela.
consentita una valutazione caso per caso della
Al riguardo, la parte richiama la giurispruden-
pericolosità della madre detenuta, al fine di tene-
za di merito e di legittimità in tema di adozione
re conto del superiore interesse del minore.
da parte del single e della coppia omosessuale
Da ultimo, la difesa della parte richiama le
(Corte di cassazione, sezione prima civile, sen-
pronunce che hanno censurato l’irragionevole ri-
tenze 11 gennaio 2013, n. 601, e 22 giugno 2016,
gidità della disposizione che negava al medico
n. 12962; Corte d’appello di Torino, sentenza 27
una valutazione del caso concreto sottoposto a
maggio 2016); in materia di trascrizione di atti
trattamento medico, da effettuarsi sulla base delle
di nascita formati all’estero, dai quali risulti che
più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-
il bambino è figlio di una coppia composta da
scientifiche (sentenza n. 151 del 2009).
persone dello stesso sesso (Corte di cassazione,
Ad avviso della parte, anche in relazione
sezione prima civile, sentenza 30 settembre 2016,
all’art. 263 cod. civ. sarebbe ravvisabile un au-
n. 19599), ovvero è nato a seguito di maternità
tomatismo, consistente nell’accoglimento dell’im-
surrogata (Corte d’appello di Milano, decreto 28
pugnazione del riconoscimento ogniqualvolta
dicembre 2016); nonché in tema di adozione, da
sussista un difetto di veridicità. Anche a questa
parte del genitore sociale, del figlio biologico del
previsione sarebbe sottesa una presunzione as-
proprio compagno, nato a seguito di surrogazio-
soluta, in base alla quale l’interesse del minore
ne di maternità (Tribunale per i minorenni di Ro-
sarebbe adeguatamente tutelato soltanto quan-
ma, sentenza 23 dicembre 2015).
do venga assicurata la veridicità del legame di
3.5. Da ultimo, quanto alla violazione dell’art.
filiazione. Per eliminare tale irragionevolezza, do-
117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 8
vrebbe essere consentita al giudice la valutazione
della CEDU, la difesa della parte evidenzia che
degli effetti dell’accoglimento dell’impugnazione
nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo si
in relazione all’interesse del minore, in conside-
rinviene l’affermazione della necessità di assicu-
razione delle circostanze del caso concreto.
rare preminenza, nel bilanciamento tra interessi
3.4. Con riferimento alla violazione degli artt.
contrapposti, al superiore interesse del minore,
30 e 31 Cost., la difesa della parte privata, richia-
attraverso uno scrutinio che poggi sulle circo-
mandosi ai principi affermati nella sentenza n.
stanze del caso concreto. In tal senso, oltre al-
162 del 2014, sottolinea il valore da attribuire alla
le già citate sentenze del 26 giugno 2014 rese
genitorialità sociale, dovendo riconoscersi tutela,
nei casi Mennesson e Labassee contro Francia, è
anche di livello costituzionale, a nuclei familiari
richiamata la sentenza della Grande camera del
in cui difetti una corrispondenza biunivoca tra il
6 luglio 2010, resa nel caso Neulinger e Shuruk
dato biologico e quello sociale.
contro Svizzera (ricorso n. 41615 del 2007), in cui
Lo stesso legislatore, con la legge 10 dicembre
la Corte ha ravvisato nell’omessa trascrizione del
2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconosci-
certificato di nascita formato all’estero la lesione
mento dei figli naturali), avrebbe già fatto propria
del superiore interesse del bambino nato da sur-
una nozione di responsabilità genitoriale impron-
rogazione di maternità.
tata sul consenso liberamente assunto dai genito-
Ad avviso della parte, la prospettiva si do-
ri nei confronti del figlio. In quanto finalizzata ad
vrebbe spostare dalla valutazione della situazio-
65
Giurisprudenza
ne giuridica della coppia a quella del minore,
invece riveste rilievo centrale nella questione in
meritevole di autonoma considerazione indipen-
esame.
dentemente dalle condotte realizzate dai genitori, siano essi biologici, sociali o intenzionali.
Pertanto, resterebbero fermi i dubbi di non conformità della disposizione censurata rispetto
3.5.1. A conclusioni analoghe sarebbe inizial-
all’art. 8 della CEDU. Essa precluderebbe, infatti,
mente pervenuta la Corte EDU nella sentenza
la valutazione individualizzata delle circostanze
resa nel caso Paradiso e Campanelli contro Ita-
del caso e impedirebbe, altresì, di dare concre-
lia, sopra già citata. In tale pronuncia, la Corte
tezza all’esigenza di tutela dell’interesse del mi-
di Strasburgo ha affermato il carattere recessivo
nore.
delle esigenze di ordine pubblico rispetto alla
3.5.2. Più in generale, l’art. 263 cod. civ. sa-
necessaria salvaguardia del superiore interesse
rebbe in contrasto con il quadro internazionale
del minore, ravvisando nel caso concreto la vio-
di tutela dei diritti dei minori e, in particolare,
lazione del suo diritto alla vita privata e familiare,
con gli artt. 3 e 8, paragrafo 1, della Convenzione
in ragione dell’allontanamento dalla famiglia di
sui diritti del fanciullo. Nella stessa direzione si
origine.
porrebbe anche l’azione del Consiglio d’Europa,
Peraltro, successivamente all’ordinanza di ri-
con le Linee guida per una giustizia a misura di
messione, è intervenuta la sentenza del 24 gen-
minore, cui si affianca la Convenzione europea
naio 2017 della Grande camera, la quale, nel ri-
sull’esercizio dei diritti dei fanciulli. Si evidenzia,
esaminare la decisione del 27 gennaio 2015, ha
altresì, che la tutela del superiore interesse del
escluso la violazione dell’art. 8 della CEDU. In
minore è riconosciuta dall’art. 24, secondo com-
questa occasione, la Corte di Strasburgo ha rite-
ma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unio-
nuto che le misure adottate dalle autorità italiane,
ne europea.
che avevano disposto l’allontanamento del mino-
4. Con atto depositato in data 10 febbraio
re dalla coppia ricorrente e il suo collocamento
2017 si è costituita in giudizio l’avvocato …, nella
presso un diverso nucleo familiare, non abbiano
qualità di curatore speciale del minore L.F. Z.,
arrecato allo stesso minore un pregiudizio grave
rappresentato e difeso dalla detta professionista,
o irreparabile a causa della separazione, garan-
e ha chiesto l’accoglimento della questione solle-
tendo un giusto equilibrio tra i diversi interessi
vata dalla Corte d’appello di Milano.
in gioco.
4.1. Il curatore premette che l’azione dallo
Ad avviso della parte, anche questa pronun-
stesso proposta ai sensi dell’art. 263 cod. civ. è
cia confermerebbe la necessità di salvaguardare
derivata dall’acquisizione della prova, nel corso
il superiore interesse del minore attraverso una
del procedimento di adottabilità, che il figlio mi-
valutazione individualizzata, avente ad oggetto
nore non è un discendente biologico di colei che
le circostanze del caso concreto. In questo caso
lo ha riconosciuto. Il Tribunale per i minorenni
veniva in rilievo la conformità alla CEDU dell’al-
ha pertanto provveduto alla nomina del curatore,
lontanamento del minore dalla coppia ricorrente,
conferendogli uno specifico mandato ad impu-
con cui egli non intratteneva alcun legame bio-
gnare il riconoscimento.
logico. Viceversa, osserva la parte privata, la pro-
Il curatore evidenzia, in particolare, che seb-
nuncia non atterrebbe né al rifiuto di trascrivere
bene gli accertamenti svolti dal Tribunale per i
un certificato di nascita formato all’estero, né al
minorenni avessero confermato l’interesse del fi-
diritto del minore a ottenere il riconoscimento
glio minore a mantenere il legame familiare con
del rapporto di filiazione con la coppia, ciò che
la madre sociale (oltre che con il padre), tutta-
66
Susanna Sandulli
via le norme che disciplinano la genitorialità non
avrebbe attribuito, infatti, un valore preminente
consentirebbero a madre e figlio di vedersi rico-
alla verità biologica rispetto a quella legale. Al
nosciuto tale legame giuridico, laddove esso non
contrario, nel disporre, al quarto comma, che «[l]a
corrisponda alla verità biologica.
legge detta le norme e i limiti per la ricerca del-
L’art. 263 cod. civ., infatti, contempla quale
la paternità», la Costituzione avrebbe demandato
unico presupposto necessario e sufficiente per
al legislatore il potere di privilegiare la paternità
l’impugnazione del riconoscimento il difetto di
legale rispetto a quella naturale, fissando le con-
veridicità, inteso come assenza di un legame bio-
dizioni e le modalità per far valere quest’ultima
logico tra l’autore del riconoscimento e colui che
ed affidandogli la valutazione della soluzione più
è riconosciuto come figlio. Ciò precluderebbe al
idonea per realizzare la coincidenza tra la discen-
giudice ogni possibilità di valutazione e bilan-
denza naturale e quella biologica.
ciamento degli interessi coinvolti, in quanto l’i-
L’interesse pubblico alla verità dello status di
nesistenza di tale legame biologico costituirebbe
filiazione, dunque, non dovrebbe necessariamen-
l’unica condizione per l’accoglimento dell’azione.
te ed automaticamente prevalere sull’interesse
Osserva il curatore che l’interesse del minore
del minore. Anche la normativa interna ed inter-
alla salvaguardia del proprio legame con la ma-
nazionale, oltre ad avere posto il minore al centro
dre (ed indirettamente con la famiglia d’origine
dei procedimenti promossi a sua tutela, avrebbe
materna) potrebbe, in ipotesi, essere preservato
altresì prescritto l’obbligo di verificare l’interesse
solo mediante lo strumento di cui all’art. 44 della
del minore, affinché lo stesso possa essere ogget-
legge n. 184 del 1983, previa rimozione dell’attua-
to di bilanciamento con gli altri interessi merite-
le status filiationis per parte di madre. Tale pos-
voli di tutela.
sibilità sarebbe, tuttavia, del tutto aleatoria, non
In particolare, nella mutata coscienza sociale,
solo perché dipendente dalla libera iniziativa del
tra gli interessi giuridici del minore rileverebbe-
genitore sociale, ma anche perché subordinata al
ro l’interesse alla stabilità dei legami familiari e
consenso dell’altro genitore. Inoltre, l’eventuale
quello a vivere e crescere all’interno della propria
legame così costituito sarebbe comunque più de-
famiglia. In tal senso, sia la legge n. 219 del 2012,
bole di quello derivante dalla maternità naturale,
sia il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154
attese le peculiarità proprie dell’adozione in casi
(Revisione delle disposizioni vigenti in materia
particolari.
di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge
Rispetto all’interpretazione offerta dalla prece-
10 dicembre 2012, n. 219), avrebbero introdotto
dente sentenza n. 112 del 1997, sarebbe oggi ne-
nuovi termini di decadenza ed imposto limiti più
cessario un riesame della questione, per riscon-
stringenti al potere dei genitori di agire per il
trare se, nell’attuale momento storico-sociale e
disconoscimento del figlio, così come per l’im-
nell’attuale panorama normativo e giurispruden-
pugnazione del riconoscimento, per l’acquisita
ziale, sussista ancora la necessità di individuare
consapevolezza che la tutela dell’identità e della
nella verità del rapporto di filiazione un valore
vita personale e familiare del minore non sem-
preminente, da tutelare in via prioritaria.
pre coinciderebbe con la rimozione di uno status
4.1.1. In primo luogo, ad avviso del curato-
personale non conforme alle origini biologiche.
re, il principio secondo cui ogni falsa apparen-
Le modifiche legislative avrebbero posto al
za di stato deve cadere, così come il principio
centro del rapporto di filiazione il concetto di
del favor veritatis, non assurgerebbero a valori
responsabilità genitoriale, ridisegnando la disci-
costituzionalmente garantiti. L’art. 30 Cost. non
plina delle azioni di disconoscimento di paternità
67
Giurisprudenza
e di impugnazione del riconoscimento per difet-
verità di sangue e l’emersione del rapporto affet-
to di veridicità, nella prospettiva della prevalenza
tivo della filiazione, quale elemento fondamen-
dell’interesse del figlio alla stabilità del rapporto.
tale per il riconoscimento dei legami tra genitori
D’altra parte, anche la giurisprudenza di legitti-
e figli sul piano del diritto; sono richiamate le
mità avrebbe riconosciuto il rilievo delle relazioni
sentenze della Corte di Strasburgo 27 aprile 2010,
consolidatesi nel tempo tra genitore e figlio, alla
Moretti e Benedetti contro Italia (ricorso 16318
luce del diritto di quest’ultimo a conservare tale
del 2007), e 1° aprile 2010, S.H. ed altri contro
profilo che caratterizza fin dalla nascita l’identità
Austria (ricorso n. 57813 del 2000).
personale (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962).
Inoltre, la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto
Il curatore evidenzia, inoltre, che la più recen-
alla continuità affettiva dei bambini e delle bam-
te giurisprudenza di merito ha esteso la portata
bine in affido familiare) farebbe propri i principi
applicativa dell’art. 9 della legge n. 40 del 2004,
enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU,
dichiarando l’illegittimità dell’azione di impu-
agevolando l’attribuzione di rilievo giuridico al
gnazione del riconoscimento intrapresa da terzi
rapporto di fatto instaurato tra i minori dichiarati
nei confronti di un figlio minore nato da fecon-
adottabili e la famiglia affidataria.
dazione eterologa, così estendendo «a chiunque
L’interesse alla costituzione e alla conserva-
vi abbia interesse» il divieto di disconoscimento
zione dei legami familiari, non necessariamente
previsto solo nei confronti dell’autore del rico-
coincidente con la verità delle origini biologiche,
noscimento (Corte d’appello di Milano, sentenza
sarebbe riconosciuto quale criterio di valutazione
10 agosto 2015, n. 3397). Alla luce di tale evolu-
centrale e riguarderebbe ormai anche i soggetti
zione giurisprudenziale, che attenua il principio
maggiorenni. Al riguardo, è richiamata l’ordinan-
della prevalenza della verità biologica, andrebbe
za del Tribunale di Firenze 30 luglio 2015 che
escluso pertanto che il favor veritatis costituisca
ha rigettato un’istanza di accertamento della non
valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da
corrispondenza del DNA del presunto padre de-
affermarsi comunque.
funto con quello della figlia maggiorenne, al fine
L’intervento correttivo auspicato si porrebbe
di proporre l’azione di cui all’art. 263 cod. civ.
in linea di continuità con la giurisprudenza co-
Ed invero, la tendenza a far prevalere i valori
stituzionale che ha ritenuto illegittimo ogni au-
costituzionali di solidarietà e di tutela dell’indivi-
tomatismo legislativo che impedisca di bilanciare
duo e della vita familiare sarebbe ravvisabile in
gli interessi tutelati con il preminente interesse
ogni settore del diritto di famiglia. È richiamata,
del minore (è richiamata la sentenza n. 31 del
al riguardo, la sentenza della Corte di cassazione,
2012). La necessità di tale bilanciamento sarebbe
sezione prima civile, 21 aprile 2015, n. 8097, con
stata riconosciuta anche dalle sezioni unite civili
cui è stata ritenuta invalida l’annotazione di ces-
della Corte di cassazione, nella sentenza del 25
sazione degli effetti civili del matrimonio, rispetto
gennaio 2017, n. 1946, che ha fatto seguito alla
ad una coppia in cui uno dei coniugi aveva otte-
sentenza n. 278 del 2013 di questa Corte, in cui
nuto, con il consenso dell’altro, la rettificazione
sarebbe stato affermato il diritto del figlio di ac-
di sesso.
cedere alle informazioni sulla madre che si fosse avvalsa della facoltà di non essere nominata. 4.1.2. Anche a livello europeo, si dovrebbe constatare la progressiva perdita di rilievo della
68
4.2. Sulla base di tali considerazioni, dunque, il curatore ritiene fondati gli argomenti svolti dall’ordinanza di rimessione. 4.2.1. Riguardo al contrasto con l’art. 2 Cost.,
Susanna Sandulli
il curatore sottolinea come l’esigenza di tutela-
non identificabile. In tali circostanze sarebbe le-
re il diritto del figlio minore alla propria identità
so anche il diritto del minore alla bigenitorialità,
sia stata affermata sin dalla sentenza n. 112 del
diritto riconosciuto come preminente dalla legge
1997. In tale pronuncia sarebbe stata esclusa una
8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di
contrapposizione tra il favor veritatis ed il favor
separazione dei genitori e affidamento condiviso
minoris, intendendo così far coincidere l’identi-
dei figli).
tà del minore con la sola discendenza genetica
4.2.2. In riferimento all’art. 3 Cost., il curato-
dello stesso. Si tratterebbe, tuttavia, di un’inter-
re rileva che l’esigenza di bilanciare l’interesse
pretazione oltremodo restrittiva ed impropria del
del minore con il pubblico interesse alla certezza
concetto di identità personale, non più conforme
degli status sarebbe stata affermata dal legislato-
all’attuale coscienza sociale.
re in tutte le azioni in materia di riconoscimento
L’identità personale, infatti, sarebbe un con-
dei figli (artt. 250,251 e 269 cod. civ.). Se in tali
cetto dinamico, non cristallizzato al momento del
azioni, tese ad estendere i legami di filiazione del
concepimento. Essa si svilupperebbe nel tempo,
minore, è stata ritenuta necessaria la valutazione
per effetto delle relazioni create con il mondo
dell’interesse del medesimo, non si comprende-
esterno, del nome e del cognome scelto dai geni-
rebbe perché essa non possa compiersi anche
tori alla nascita, dell’appartenenza al luogo dove
nelle azioni il cui accoglimento comporta la re-
si cresce, della propria storia, cultura e tradizioni
scissione di tali legami e quindi l’impoverimento
e, soprattutto, dei genitori e delle rispettive fami-
delle relazioni familiari del minore.
glie d’origine, che condizionano il processo di crescita.
4.2.3. Quanto al contrasto con gli artt. 30 e 31 Cost., il curatore deduce che, nei giudizi di
Anche la Corte di cassazione, di recente,
accertamento del rapporto di filiazione, la preva-
avrebbe condiviso questi principi, riconoscendo
lenza incondizionata del favor veritatis sarebbe
la risarcibilità del danno arrecato dal padre al fi-
stata messa in dubbio dalla giurisprudenza. Al
glio a causa dell’esperimento dell’azione di cui
riguardo, si fa rilevare che gli artt. 30 e 31 Cost.
all’art. 263 cod. civ. In tale occasione, si è affer-
riconoscono che la ricerca della filiazione bio-
mato che l’identità, come tutti i diritti della per-
logica può incontrare dei limiti, derivanti dalla
sonalità, «si rafforza e si consolida con il passare
necessità di bilanciamento con altri interessi co-
del tempo. Pertanto, maggiore è il lasso di tempo
stituzionalmente garantiti, primo fra tutti l’interes-
intercorso tra il riconoscimento e l’impugnazione
se del minore. La preminenza del favor veritatis
per difetto di veridicità, maggiore sarà la lesione
non sarebbe espressione di valori costituzionali,
che ne discende al diritto all’identità personale»
bensì il portato di una concezione arretrata e for-
(Corte di cassazione, sezione prima civile, sen-
malistica dei rapporti familiari, ormai estranea al
tenza 31 luglio 2015, n. 16222).
comune sentire.
D’altra parte, la rimozione dello status filiatio-
4.2.4. Da ultimo, quanto al contrasto con l’art.
nis, ai sensi dell’art. 263 cod. civ., non garantireb-
117, primo comma, Cost., il curatore osserva che
be affatto l’acquisizione di una genitorialità corri-
l’art. 8 della CEDU, come interpretato dalla Cor-
spondente a verità. Il genitore biologico potrebbe,
te di Strasburgo, imporrebbe in via prioritaria al
infatti, rifiutare il riconoscimento, quest’ultimo
legislatore nazionale di tutelare il legame di filia-
potrebbe essere contrario all’interesse del mi-
zione, ancorché originato attraverso pratiche rite-
nore, oppure, come accade nei casi di maternità
nute illecite dall’ordinamento nazionale.
surrogata, il genitore biologico potrebbe essere
Non potrebbe, dunque, ritenersi giustificata
69
Giurisprudenza
Giurisprudenza
una previsione legislativa, come quella censura-
2013). Il rapporto di filiazione sarebbe espressio-
ta, che impone la rimozione dello status filiatio-
ne della vita privata o, come nel caso che ha dato
nis, precludendo ogni valutazione circa la corri-
origine al presente giudizio, espressione di vi-
spondenza di questa decisione all’interesse del
ta familiare. Ciò sarebbe confermato dalla stessa
minore. In ciò sarebbe ravvisabile un eccesso di
posizione del Governo italiano, espressa di fron-
discrezionalità legislativa. Di converso, laddove
te alla Corte EDU nel caso Paradiso e Campanelli,
è in gioco il best interest of the child e la tutela
laddove è stata ammessa la possibilità di una vita
della sua identità, il margine di tale discreziona-
familiare de facto, anche in assenza di legame
lità sarebbe strettissimo, dovendosi ispirare alla
biologico con entrambi i genitori.
promozione della persona del minore (oltre al-
Ove il legame biologico sussista solo nei con-
le già citate sentenze 26 giugno 2014, Mennes-
fronti di un genitore (come nel caso in esame) si
son contro Francia e Labassee contro Francia, è
potrà invocare l’art. 8 della CEDU, nell’accezio-
richiamata la sentenza della Grande camera 10
ne di “vita familiare”. Laddove tale legame non
aprile 2007, Evans contro Regno Unito, ricorso n.
sussista, la protezione della filiazione “sociale”
2346 del 2002).
dovrebbe essere riconosciuta quale declinazione
Viceversa, l’art. 263 cod. civ. tradirebbe tale
della “vita privata” del minore.
scopo. Esso sacrificherebbe ogni considerazione
5. Nel giudizio innanzi alla Corte, è intervenu-
centrata sulla persona del minore ad un presun-
to il Presidente del Consiglio dei ministri, rappre-
to interesse pubblico alla verità biologica della
sentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
procreazione, violando anche i principi desumi-
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
bili dalle convenzioni internazionali che l’Italia
inammissibile o comunque non fondata.
ha sottoscritto, prima tra tutte la Convenzione di
5.1. La difesa statale ha eccepito, in primo
New York sui diritti del fanciullo, nonché la Carta
luogo, l’inammissibilità della questione, in quan-
dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
to volta ad inserire, attraverso una pronuncia ad-
Il curatore deduce che, nella giurisprudenza
ditiva, una condizione esclusiva (l’interesse del
della Corte EDU, la sussistenza di legami familiari
minore) ai fini dell’impugnazione del riconosci-
sarebbe legata all’esistenza, anche solo nei fatti,
mento di figlio naturale. Spetterebbe, viceversa,
di stretti vincoli affettivi (Grande camera, senten-
al legislatore stabilire se l’accoglimento di tale
za 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio, ricorso
impugnazione debba essere subordinato unica-
n. 6833 del 1974), a prescindere dalla loro qualifi-
mente all’interesse del minore all’appartenenza
cazione giuridica formale, ed anzi, talvolta, anche
familiare.
se la legge nazionale rifiuti di riconoscerli (Grande camera, sentenza 27 ottobre 1994, Kroon ed
5.2. Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata.
altri contro Paesi Bassi, ricorso n. 18535 del 1991,
La ratio dell’art. 263 cod. civ., quale strumento
e sentenza 22 aprile 1997, X, Y e Z contro Regno
di tutela dell’interesse superiore alla corrispon-
Unito, ricorso n. 21830 del 1993).
denza tra realtà naturale e verità apparente, sa-
Nella nozione di vita familiare, da protegger-
rebbe quella di far cadere il riconoscimento non
si ai sensi dell’art. 8 della CEDU, rientrerebbe il
rispondente al vero. Verrebbe in rilievo, quindi,
legame tra il figlio ed il genitore, anche se tale
l’interesse oggettivo dell’ordinamento alla verità
relazione non ha presupposti biologici, ma solo
dello status di filiazione, attinente a principi di
affettivi (Prima sezione, sentenza 16 luglio 2015,
ordine pubblico, intesi come principi fondamen-
Nazarenko contro Russia, ricorso n. 39438 del
tali ed irrinunciabili. Ad avviso della difesa stata-
70
Susanna Sandulli
le, il principio del favor veritatis esprime un’esi-
identità e all’affermazione di un rapporto di fi-
genza di certezza nei rapporti di filiazione e la
liazione veridico (sentenze n. 216 e n. 112 del
protezione dell’interesse del minore si realizze-
1997). L’intangibilità dello status sarebbe recessi-
rebbe proprio nel riconoscimento del diritto alla
va rispetto a tale diritto, laddove venga meno la
propria identità (sono richiamate la sentenza n.
corrispondenza alla verità biologica (sentenza n.
112 del 1997 e l’ordinanza n. 7 del 2012).
170 del 1999).
La ratio dell’art. 263 cod. civ. consisterebbe
6. In prossimità dell’udienza pubblica, il cu-
nell’attuazione del diritto del minore all’acquisi-
ratore speciale ha depositato una memoria inte-
zione di uno stato corrispondente alla realtà bio-
grativa in cui, dopo avere ribadito gli argomenti
logica, ovvero, qualora ciò non sia possibile, di
già illustrati nelle precedenti difese, ha sottoline-
uno stato corrispondente a quello di figlio legit-
ato che la mancata previsione della valutazione
timo, ma solo attraverso le garanzie offerte dalla
dell’interesse del minore impedirebbe di tener
disciplina dell’adozione.
conto che, nel caso in esame, tale interesse è
Non sarebbe, dunque, ravvisabile alcun con-
stato, in parte, già accertato dal Tribunale per i
trasto con l’art. 2 Cost., perché lo scioglimento
minorenni con la sentenza che ha dichiarato non
dei vincoli assunti dal genitore verso il preteso
luogo a provvedere sull’adottabilità. Il curatore
figlio realizzerebbe l’interesse oggettivo dell’ordi-
speciale ritiene, peraltro, che una volta ricevu-
namento alla verità dello status.
to il mandato dal medesimo Tribunale, egli non
Non potrebbero ritenersi lesi neppure i principi di cui agli artt. 30 e 31 Cost. Essi non sarebbero
avrebbe potuto astenersi dallo svolgere tale incarico.
invocabili laddove il legame familiare venga me-
6.1. In riferimento all’eccezione di inammis-
no, in quanto privato del fondamento della verità
sibilità sollevata dall’Avvocatura generale del-
della filiazione naturale.
lo Stato, relativa all’incidenza che un’eventuale
Inoltre, non sarebbe ravvisabile alcun contra-
pronuncia di accoglimento avrebbe sulla discre-
sto con l’art. 3 Cost. e quindi con il principio di
zionalità del legislatore, si osserva che in que-
ragionevolezza, perché l’art. 263 cod. civ. sarebbe
sto caso è richiesta alla Corte l’eliminazione di
giustificato dalla superiore esigenza di far cadere
un automatismo normativo che impedisce un
ogni falsa apparenza di status.
bilanciamento tra gli interessi in gioco, ciò che
Infine, non sussisterebbe neppure la violazio-
rientrerebbe pienamente nelle sue attribuzioni.
ne dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione
D’altra parte, interventi additivi della giurispru-
all’art. 8 della CEDU, non essendo in discussione
denza costituzionale sarebbero frequenti proprio
la tutela della vita privata del minore, ma il suo
in materia di tutela d’interesse del minore (sono
diritto alla identità personale, sotto il profilo del
richiamate le sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del
legame di filiazione.
2012, n. 50 del 2006 e n. 297 del 1996).
5.3. Ad avviso dell’Avvocatura generale dello
6.2. Da ultimo, il curatore speciale contesta
Stato, la questione sarebbe manifestamente in-
che, nel nostro ordinamento, vi sia una necessa-
fondata, non ravvisandosi nella considerazione
ria coincidenza tra interesse del minore e favor
del favor veritatis una ragione di conflitto con
veritatis. Ogni rigidità e automatismo in tal senso,
il favor minoris. La verità biologica della pro-
anzi, potrebbero risultare pregiudizievoli per il
creazione costituisce, infatti, una componente
minore.
essenziale dell’interesse del medesimo minore,
È richiamata, in particolare, la sentenza della
dovendo essergli garantito il diritto alla propria
Corte di cassazione, sezione prima civile, 22 di-
Giurisprudenza
cembre 2016, n. 26767, che ha ritenuto essenziale
cia additiva, una condizione esclusiva (l’interesse
il bilanciamento tra gli interessi in gioco, in con-
del minore) ai fini dell’impugnazione del ricono-
siderazione del superamento della concezione
scimento del figlio naturale. Spetterebbe, vicever-
della famiglia su base essenzialmente genetica.
sa, al legislatore stabilire se l’accoglimento di tale
D’altra parte, un distacco tra identità genetica e identità giuridica sarebbe alla base proprio della disciplina dell’adozione, la quale costituisce espressione di un principio di responsabilità di
impugnazione debba essere subordinato all’interesse del minore all’appartenenza familiare. L’eccezione di inammissibilità è priva di fondamento.
chi sceglie di essere genitore, facendo sorgere
Al riguardo, va rilevato che il petitum del ri-
nel figlio “desiderato” un legittimo affidamento
mettente è volto al riconoscimento della possibi-
sulla continuità della relazione.
lità di valutare l’interesse del minore, ai fini della
Il curatore evidenzia che – a conferma del ri-
decisione sull’impugnazione del riconoscimen-
conoscimento della valenza del genitore socia-
to. Ove si neghi tale possibilità, l’accoglimento
le – la stessa giurisprudenza costituzionale ha
della domanda rimarrebbe condizionato soltan-
richiamato proprio l’istituto dell’adozione. Nella
to all’accertamento della non veridicità del rico-
sentenza n. 162 del 2014 si sottolinea, infatti, che
noscimento. In definitiva, attraverso l’intervento
esso mira a garantire una famiglia ai minori, evi-
invocato, è denunciata l’irragionevolezza di un
denziando che «il dato della provenienza gene-
automatismo decisorio che impedirebbe di tene-
tica non costituisce un imprescindibile requisito
re conto degli interessi in gioco. Il sindacato di
della famiglia stessa».
legittimità rimesso a questa Corte è limitato, per-
DIRITTO
tanto, alla verifica del fondamento costituzionale
1. Nel corso di un procedimento di impugna-
del denunciato meccanismo decisorio, senza al-
zione del riconoscimento di figlio naturale per
cuna interferenza sul contenuto di scelte discre-
difetto di veridicità, la Corte d’appello di Milano
zionali rimesse al legislatore.
ha sollevato questione di legittimità costituzio-
3. Sempre in via preliminare, occorre delimi-
nale dell’art. 263 del codice civile, in riferimen-
tare l’ambito dell’indagine che il giudice intende
to agli artt. 2,3,30,31 e 117, primo comma, della
rimettere alla Corte in questa occasione.
Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8
Secondo questa prospettazione, il giudizio a
della Convenzione per la salvaguardia dei dirit-
quo ha per oggetto l’accertamento dell’inesisten-
ti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora
za del rapporto di filiazione di un minore nato
in avanti: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre
attraverso il ricorso alla surrogazione di maternità
1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4
realizzata all’estero. Non è tuttavia in discussio-
agosto 1955, n. 848.
ne la legittimità del divieto di tale pratica, previ-
La disposizione è censurata nella parte in cui
sto dall’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio
non prevede che l’impugnazione del riconosci-
2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione
mento del figlio minore per difetto di veridicità
medicalmente assistita), e nemmeno la sua asso-
possa essere accolta solo quando sia rispondente
lutezza. Risulta parimenti estraneo alla odierna
all’interesse dello stesso.
questione di legittimità costituzionale il tema dei
2. Secondo la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio inci-
limiti alla trascrivibilità in Italia di atti di nascita formati all’estero.
dentale, la questione sarebbe inammissibile in
La questione sollevata dalla Corte d’appello di
quanto volta ad inserire, attraverso una pronun-
Milano ha per oggetto, infatti, la disciplina dell’a-
Susanna Sandulli
zione di impugnazione prevista dall’art. 263 cod.
cembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni
civ., volta a rimuovere lo stato di figlio, già attri-
vigenti in materia di filiazione, a norma dell’arti-
buito al minore per effetto del riconoscimento, in
colo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219).
considerazione del suo difetto di veridicità. 4. Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ. non è fondata.
In particolare, l’art. 28 del medesimo d.lgs., in vigore dal 7 febbraio 2014, nel modificare l’art. 263 cod. civ., ha limitato l’imprescrittibilità
Nell’interpretazione fatta propria dal rimetten-
dell’azione esclusivamente a quella esercitata dal
te la norma censurata si porrebbe in contrasto
figlio. Analoga previsione è stata inserita – con
con i principi di cui agli artt. 2,3,30,31 e 117,
riferimento all’azione di disconoscimento di pa-
primo comma, Cost., poiché, nel giudizio di im-
ternità – nell’art. 244, quinto comma, cod. civ.,
pugnazione del riconoscimento del figlio natu-
nel testo introdotto dall’art. 18, primo comma, del
rale, essa non consentirebbe di tenere conto, in
d.lgs. n. 154 del 2013. Gli altri legittimati, laddove
concreto, dell’interesse del minore «a vedersi ri-
intendano proporre le suddette azioni di conte-
conosciuto e mantenuto uno stato di filiazione
stazione degli status, sono ora tenuti a rispettare
quanto più rispondente alle sue esigenze di vita».
i termini di decadenza previsti dalla nuova disci-
Tuttavia, siffatta interpretazione non può essere
plina.
condivisa, neppure nei casi nei quali il legislatore imponga di non pretermettere la verità.
Il legislatore delegato ha così garantito, senza limiti di tempo, l’interesse primario ed inviolabile
4.1. Pur dovendosi riconoscere un accentuato
dei figli all’accertamento della propria identità e
favore dell’ordinamento per la conformità dello
discendenza biologica. Per converso, la previsio-
status alla realtà della procreazione, va escluso
ne di termini di decadenza per gli altri legittima-
che quello dell’accertamento della verità biologi-
ti ha circoscritto entro rigorosi limiti temporali
ca e genetica dell’individuo costituisca un valore
l’esperibilità delle azioni demolitorie dello status
di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sot-
filiationis, assicurando così tutela al diritto del
trarsi a qualsiasi bilanciamento.
figlio alla stabilità dello status acquisito.
Ed invero, l’attuale quadro normativo e ordi-
La necessità del bilanciamento dell’interesse
namentale, sia interno, sia internazionale, non
del minore con il pubblico interesse alla certezza
impone, nelle azioni volte alla rimozione dello
degli status è, altresì, espressamente prevista dal
status filiationis, l’assoluta prevalenza di tale ac-
legislatore nelle azioni in materia di riconosci-
certamento su tutti gli altri interessi coinvolti.
mento dei figli (artt. 250 e 251 cod. civ.), volte
In tutti i casi di possibile divergenza tra iden-
all’estensione dei legami parentali del minore.
tità genetica e identità legale, la necessità del bi-
4.1.2. D’altra parte, già l’art. 9 della legge n. 40
lanciamento tra esigenze di accertamento della
del 2004 aveva escluso che il coniuge o il convi-
verità e interesse concreto del minore è resa tra-
vente che abbiano acconsentito al ricorso a tec-
sparente dall’evoluzione ordinamentale interve-
niche di procreazione medicalmente assistita di
nuta e si proietta anche sull’interpretazione delle
tipo eterologo potessero promuovere l’azione di
disposizioni da applicare al caso in esame.
disconoscimento o impugnare il riconoscimento
4.1.1. A questo riguardo va preliminarmente
ai sensi dell’art. 263 cod. civ.
osservato che la disposizione dell’art. 263 cod.
Al riguardo questa Corte ha ritenuto «confer-
civ. è stata censurata dal rimettente nella versio-
mata sia l’inammissibilità dell’azione di discono-
ne, applicabile ratione temporis, antecedente alle
scimento della paternità [...] e dell’impugnazione
modifiche apportate dal decreto legislativo 28 di-
ex art. 263 cod. civ. (nel testo novellato dall’art.
73
Giurisprudenza
28 del d.lgs. n. 154 del 2013), sia che la nascita
del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre
da PMA di tipo eterologo non dà luogo all’istitu-
1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 mag-
zione di relazioni giuridiche parentali tra il dona-
gio 1991, n. 176, in forza della quale «[i]n tutte le
tore di gameti ed il nato, essendo, quindi, regola-
decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia
mentati i principali profili dello stato giuridico di
delle istituzioni pubbliche o private di assistenza
quest’ultimo» (sentenza n. 162 del 2014).
sociale, dei tribunali, delle autorità amministrati-
Anche in questo caso, in un’ipotesi di diver-
ve o degli organi legislativi, l’interesse superiore
genza tra genitorialità genetica e genitorialità
del fanciullo deve essere una considerazione pre-
biologica, il bilanciamento è stato effettuato dal
minente» (art. 3, paragrafo 1).
legislatore attribuendo la prevalenza al principio di conservazione dello status filiationis.
Nella stessa direzione si pongono la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciul-
4.1.3. Proprio al fine di garantire tutela al
li, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratifica-
bambino concepito attraverso fecondazione ete-
ta e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n.
rologa, sin da epoca antecedente alla legge n. 40
77, e le Linee guida del Comitato dei ministri del
del 2004, questa Corte – senza mettere in discus-
Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di
sione la legittimità di tale pratica, «né [...] il prin-
minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098§
cipio di indisponibilità degli status nel rapporto
riunione dei delegati dei ministri.
di filiazione, principio sul quale sono suscettibili
Infine, l’art. 24, secondo comma, della Carta
di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte
dei diritti fondamentali dell’Unione europea, pro-
dalle tecniche applicate alla procreazione» – si è
clamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a
preoccupata «invece di tutelare anche la persona
Strasburgo il 12 dicembre 2007, sancisce il prin-
nata a seguito di fecondazione assistita, venendo
cipio per il quale «[i]n tutti gli atti relativi ai bam-
inevitabilmente in gioco plurime esigenze costi-
bini, siano essi compiuti da autorità pubbliche
tuzionali. Preminenti in proposito sono le garan-
o da istituzioni private, l’interesse superiore del
zie per il nuovo nato [...], non solo in relazione ai
bambino deve essere considerato preminente».
diritti e ai doveri previsti per la sua formazione,
D’altra parte, pur in assenza di un’espressa
in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costitu-
base testuale, la garanzia dei best interests of the
zione, ma ancor prima – in base all’art. 2 della
child è stata riportata, nell’interpretazione della
Costituzione – ai suoi diritti nei confronti di chi
Corte europea dei diritti dell’uomo, sia all’art. 8,
si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assu-
sia all’art. 14 della CEDU. Ed è proprio in casi di
mendone le relative responsabilità: diritti che è
surrogazione di maternità, nel valutare il rifiuto di
compito del legislatore specificare» (sentenza n.
trascrizione degli atti di nascita nei registri dello
347 del 1998).
stato civile francese, che la Corte di Strasburgo
4.1.4. Come evidenziato dallo stesso rimet-
ha affermato che il rispetto del migliore interes-
tente in riferimento alla violazione dell’art. 117,
se dei minori deve guidare ogni decisione che li
primo comma, Cost., anche il quadro europeo
riguarda (sentenze del 26 giugno 2014, rese nei
ed internazionale di tutela dei diritti dei minori
casi Mennesson contro Francia e Labassee contro
evidenzia la centralità della valutazione dell’in-
Francia, ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del
teresse del minore nell’adozione delle scelte che
2011).
lo riguardano.
4.1.5. Va altresì rammentato che, in linea con i
Tale principio ha trovato la sua solenne affer-
principi enunciati dalla giurisprudenza della Cor-
mazione dapprima nella Convenzione sui diritti
te EDU, la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modi-
74
Susanna Sandulli
fiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto
Costituisce infatti «compito precipuo del tribu-
alla continuità affettiva dei bambini e delle bam-
nale per i minorenni, [...] verificare se la modifica
bine in affido familiare) ha valorizzato l’interesse
dello status del minore risponda al suo interesse
del minore alla conservazione di legami affettivi
e non sia per lui di pregiudizio; così come con-
che sicuramente prescindono da quelli di san-
temporaneamente occorre anche verificare, sia
gue, attraverso l’attribuzione di rilievo giuridico
pure con sommaria delibazione, la verosimiglian-
ai rapporti di fatto instaurati tra il minore dichia-
za del preteso rapporto di filiazione, dovendosi
rato adottabile e la famiglia affidataria.
garantire il diritto del minore alla propria iden-
D’altra parte, il distacco tra identità genetica e
tità» (sentenza n. 216 del 1997, sulla previgente
identità legale è alla base proprio della disciplina
disciplina dell’azione di disconoscimento della
dell’adozione (legge 4 maggio 1983, n. 184, re-
paternità, di cui agli artt. 273 e 274 cod. civ.).
cante «Diritto del minore ad una famiglia»), quale
Nell’evoluzione normativa e ordinamentale
espressione di un principio di responsabilità di
del concetto di famiglia, a conferma del rilievo
chi sceglie di essere genitore, facendo sorgere il
giuridico della genitorialità sociale, ove non coin-
legittimo affidamento sulla continuità della rela-
cidente con quella biologica, vi è anche l’espres-
zione.
so riconoscimento, da parte di questa Corte, che
4.1.6. Anche la giurisprudenza di questa Corte
«il dato della provenienza genetica non costitu-
ha riconosciuto, da tempo, l’immanenza dell’in-
isce un imprescindibile requisito della famiglia
teresse del minore nell’ambito delle azioni volte
stessa» (sentenza n. 162 del 2014).
alla rimozione del suo status filiationis (sentenze
4.1.7. L’esigenza di operare un’adeguata com-
n. 112 del 1997, n. 170 del 1999 e n. 322 del 2011;
parazione degli interessi in gioco, alla luce del-
ordinanza n. 7 del 2012).
la concreta situazione dei soggetti coinvolti e, in
In tale giurisprudenza si trovano affermazioni
particolare, del minore, è stata recentemente ri-
sul particolare valore della verità biologica. Tut-
conosciuta anche dalla Corte di cassazione, con
tavia – diversamente da quanto ritiene il giudice
riferimento all’azione di disconoscimento della
a quo – essa non ha affatto negato la possibilità
paternità.
di valutare l’interesse del minore nell’ambito del-
La giurisprudenza di legittimità ha escluso, in-
le azioni demolitorie del rapporto di filiazione.
fatti, che il favor veritatis costituisca un valore
È stato riconosciuto che la verità biologica della
di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi
procreazione costituisce «una componente essen-
comunque, atteso che l’art. 30 Cost. non ha at-
ziale» dell’identità personale del minore, la quale
tribuito un valore indefettibilmente preminente
concorre, insieme ad altre componenti, a definir-
alla verità biologica rispetto a quella legale. Nel
ne il contenuto.
disporre, al quarto comma, che «[l]a legge detta
Pertanto, nell’auspicare una «tendenziale corri-
le norme e i limiti per la ricerca della paternità»,
spondenza» tra certezza formale e verità naturale,
l’art. 30 Cost. ha demandato al legislatore ordina-
si è riconosciuto che anche l’accertamento della
rio il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri
verità biologica fa parte della complessiva valu-
valori di rango costituzionale, la paternità legale
tazione rimessa al giudice, alla stregua di tutti gli
rispetto a quella naturale, nonché di fissare le
altri elementi che, insieme ad esso, concorrono a
condizioni e le modalità per far valere quest’ulti-
definire la complessiva identità del minore e, fra
ma, così affidandogli anche la valutazione in via
questi, anche quello, potenzialmente confliggen-
generale della soluzione più idonea per la realiz-
te, alla conservazione dello status già acquisito.
zazione dell’interesse del figlio (Corte di cassa-
75
Giurisprudenza
zione, sezione prima civile, sentenze 30 maggio
interesse. È anche in questa sede, infatti, che il
2013, n. 13638; 22 dicembre 2016, n. 26767; e 3
legislatore – sia pure con i limiti derivanti dalla
aprile 2017, n. 8617).
natura camerale del procedimento – ha affida-
4.2. È alla luce di tali principi, immanenti an-
to al giudice specializzato il compito di valutare,
che nel mutato contesto normativo e ordinamen-
ancor prima dell’instaurazione dell’azione, l’inte-
tale, che si pone la questione di legittimità costi-
resse del minore all’assunzione di tale iniziativa
tuzionale dell’art. 263 cod. civ.
giudiziale.
L’affermazione della necessità di considerare
4.3. Se dunque non è costituzionalmente am-
il concreto interesse del minore in tutte le de-
missibile che l’esigenza di verità della filiazione
cisioni che lo riguardano è fortemente radicata
si imponga in modo automatico sull’interesse
nell’ordinamento sia interno, sia internazionale e
del minore, va parimenti escluso che bilanciare
questa Corte, sin da epoca risalente, ha contribu-
quell’esigenza con tale interesse comporti l’auto-
ito a tale radicamento (ex plurimis, sentenze n. 7
matica cancellazione dell’una in nome dell’altro.
del 2013, n. 31 del 2012, n. 283 del 1999, n. 303 del 1996, n. 148 del 1992 e n. 11 del 1981).
Tale
bilanciamento
comporta,
viceversa,
un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi
Non si vede conseguentemente perché, da-
all’accertamento della verità dello status e le con-
vanti all’azione di cui all’art. 263 cod. civ., fatta
seguenze che da tale accertamento possano deri-
salva quella proposta dallo stesso figlio, il giudi-
vare sulla posizione giuridica del minore.
ce non debba valutare: se l’interesse a far valere
Si è già visto come la regola di giudizio che il
la verità di chi la solleva prevalga su quello del
giudice è tenuto ad applicare in questi casi deb-
minore; se tale azione sia davvero idonea a rea-
ba tenere conto di variabili molto più complesse
lizzarlo (come è nel caso dell’art. 264 cod. civ.);
della rigida alternativa vero o falso. Tra queste,
se l’interesse alla verità abbia anche natura pub-
oltre alla durata del rapporto instauratosi col mi-
blica (ad esempio perché relativa a pratiche vie-
nore e quindi alla condizione identitaria già da
tate dalla legge, quale è la maternità surrogata,
esso acquisita, non possono non assumere oggi
che offende in modo intollerabile la dignità della
particolare rilevanza, da un lato le modalità del
donna e mina nel profondo le relazioni umane)
concepimento e della gestazione e, dall’altro, la
ed imponga di tutelare l’interesse del minore nei
presenza di strumenti legali che consentano la
limiti consentiti da tale verità.
costituzione di un legame giuridico col genitore
Vi sono casi nei quali la valutazione compara-
contestato, che, pur diverso da quello derivan-
tiva tra gli interessi è fatta direttamente dalla leg-
te dal riconoscimento, quale è l’adozione in ca-
ge, come accade con il divieto di disconoscimen-
si particolari, garantisca al minore una adeguata
to a seguito di fecondazione eterologa. In altri il
tutela.
legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile
Si tratta, dunque, di una valutazione compara-
presa d’atto della verità con divieti come quello
tiva della quale, nel silenzio della legge, fa parte
della maternità surrogata. Ma l’interesse del mi-
necessariamente la considerazione dell’elevato
nore non è per questo cancellato.
grado di disvalore che il nostro ordinamento ri-
La valutazione del giudice è presente, del resto, nello stesso procedimento previsto dall’art.
connette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale.
264 cod. civ., volto alla nomina del curatore
P.Q.M.
speciale del figlio minore, laddove l’azione di
La Corte costituzionale dichiara non fondata
contestazione dello status sia esercitata nel suo
la questione di legittimità costituzionale dell’art.
76
Susanna Sandulli
263 del codice civile, sollevata dalla Corte d’ap-
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto
pello di Milano, in riferimento agli artt. 2,3,30,31
1955, n. 848, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ul-
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
timo in relazione all’art. 8 della Convenzione per
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 no-
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
vembre 2017.
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,
Depositata in Segreteria il 18 dicembre 2017.
Favor veritatis e favor minoris nell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità* Sommario : 1. Riflessioni preliminari sulle azioni di stato. – 2. La maternità surrogata nell’assetto piramidale degli interessi. – 3. Il diritto del minore all’identità personale.
In its decision no. 272/2017, the Constitutional Court dismissed the question of constitutionality regarding art. 263 of the Italian Civil code, in the part in which it does not foresee that the appeal of the recognition based on lack of truth can be granted only if corresponding to the child’s interest. Regardless of whether the use of surrogacy violates the law and damages the woman’s dignity, what has to be safeguarded is the best interest of the child. In this specific case, the latter has been fully protected, not only because it is coincident with the favor veritatis that also consists in the right to know one’s own genetic origin in order to create a truthful personal identity, but also because the removal of the minor has not been ordered and, thus, his/her right to the preservation and continuity of affection has been preserved.
1. Riflessioni preliminari sulle azioni di stato. Con la sentenza n. 272 del 2017, la Corte costituzionale è stata chiamata a risolvere la questione concernente la legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c. in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della CEDU, nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del
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Il contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.
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figlio per difetto di veridicità possa essere accolta solo qualora corrisponda all’interesse del minore. Il caso de quo trae origine dalla trascrizione del certificato di nascita formato all’estero relativo allo status di un bambino riconosciuto come figlio da parte di una coppia di cittadini italiani; tuttavia, in seguito era emerso che la coppia aveva fatto ricorso alla maternità surrogata1 e che, nella specie, l’unico genitore biologico era il padre. Pertanto, il Tribunale per minorenni di Milano, dopo aver nominato un curatore speciale per il minore, aveva autorizzato l’impugnazione del riconoscimento effettuato dalla madre, accolta successivamente dal Tribunale ordinario di Milano2. Avverso tale sentenza era stata proposta impugnazione da parte del curatore speciale di fronte alla Corte di appello di Milano e il giudice remittente, sollevando la questione di legittimità costituzionale, aveva sostenuto che l’azione, così come prevista dall’art. 263 c.c., non terrebbe conto dell’interesse del minore “a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più corrispondente alle sue esigenze di vita”. Il problema che i giudici hanno dovuto affrontare non concerne, tuttavia, né la maternità surrogata né la trascrizione degli atti stranieri, trattandosi di questioni estranee al thema decidendum, bensì la necessità di tutelare il favor veritatis e il favor minoris che ha imposto di incentrare il decisum in un’ottica di bilanciamento di interessi, forse apparentemente, contrapposti. Al fine di meglio comprendere la decisione della Corte che, sin da subito si sottolinea reputarsi corretta ed equilibrata, giova accennare brevemente alla disciplina delle cc.dd. azioni di stato nell’ambito delle quali rientra l’impugnazione del riconoscimento del figlio per difetto di veridicità. Le azioni di stato, come noto, sono volte a garantire un accertamento dello stato di filiazione3 e costituiscono espressione di quello definito come il diritto all’identità filiale,
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Si parla di maternità surrogata quando una donna, a titolo gratuito ovvero dietro corrispettivo, si presta ad avere una gravidanza e a partorire un bambino per conto di altri. Tale forma di procreazione artificiale può sostanziarsi in due diverse tipologie: la prima, la surrogazione in senso stretto, comporta che la madre partoriente si impegni all’impianto di un embrione formato dai suoi gameti e da quelli del padre committente (o di un altro donatore); nella seconda ipotesi, invece, l’embrione impiantato risulta geneticamente legato ad entrambi i genitori intenzionali (o eventualmente di altri donatori) e, pertanto, si parla di contratto di utero in affitto. La maternità surrogata si caratterizza, quindi, per la presenza di situazioni differenti dal punto di vista medico-biologico, variabili a seconda della provenienza del materiale genetico impiegato, ma tutte contraddistinte dall’impegno della madre surrogata a condurre la gravidanza per altri soggetti e a non esercitare alcun diritto sul nascituro. Il ricorso alla maternità surrogata è vietato in Austria, Bulgaria, Finlandia, Francia, Germania, Islanda, Italia, Estonia, Finlandia, Malta, Moldavia, Montenegro, Norvegia, Serbia, Svezia, Svizzera e Turchia, mentre è, invece, previsto, in altri Stati, ciascuno dei quali lo disciplina in modo diverso; ci riferiamo, ad esempio, a Cipro, Danimarca, Georgia, Grecia, India, Israele, Regno Unito, Russia, Ucraina, Uganda, Ungheria, Thailandia e ad alcuni stati dell’Australia, degli Stati Uniti, del Canada e della Cina. La decisione del Tribunale di Milano con cui è stato dichiarato che il minore non è figlio della donna che lo aveva riconosciuto si fonda sull’art. 269, comma 3, c.c. (“La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre”) e sull’invalidità del contratto di maternità surrogata per contrarietà della legge straniera all’ordine pubblico ex art. 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218 “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”. Come evidenziato da un’autorevole dottrina, la nozione di status esprime “l’idea di una condizione personale destinata a durare, capace di dar vita a prerogative e doveri, e di giustificare vicende molteplici dell’attività ed è la vita della persona”. V. al riguardo P.
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ossia il diritto ad avere certezza in merito alla propria situazione genitoriale; pertanto, la ratio sottostante tali azioni è di ottenere una pronuncia sullo stato della persona4. Le azioni di stato sono ben conosciute nel nostro ordinamento, tanto che già il legislatore del 1942 ne aveva dettato una specifica disciplina, dalla quale emergeva con evidenza che l’accertamento dello status filii costituiva il fulcro di un sistema caratterizzato da un’ineludibile connessione tra matrimonio e filiazione in ragione della necessità di conservare il c.d. ordine sociale5. Tuttavia, la realtà moderna risulta molto più intricata e l’importanza di tali azioni è emersa con rinnovata forza, soprattutto a seguito dell’evoluzione biotecnologica da cui possono derivare, nonostante l’illusione di un assoluto controllo, conseguenze complesse e, talvolta, inaspettate. Si pensi, ad esempio, allo scambio di embrioni avvenuto presso l’Ospedale Sandro Pertini, in cui, a seguito di un abnorme errore umano, sono stati impiantati nell’utero di una donna embrioni formati con gameti appartenenti a una coppia diversa6; o, ancora, al caso delle bambine di Mazara del Vallo in cui si è verificato un classico quanto sconvolgente “scambio di culla”7. Le forme di procreazione artificiale come la fecondazione eterologa e la maternità surrogata sollevano, invero, una serie di questioni di natura sia giuridica che etica, soprattutto in ragione del numero sempre più elevato di soggetti che vi fanno ricorso8, ed è difficile ricondurre tali nuove declinazioni della genitorialità alla disciplina ordinaria della filiazione. La necessità di procedere ad una maggior puntualizzazione della disciplina delle azioni di stato ha fatto sì che anche questa fosse oggetto di modifica ad opera del d.lgs. n. 154 del 28 dicembre 2013 attuativo della Riforma della filiazione, ossia la legge n. 219 del 10 dicembre 2012; come noto, essa ha sancito l’unificazione dello stato di figlio9, espressione
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Rescigno, Situazione e status nell’esperienza del diritto, in Riv. dir. civ., 1973, 212. M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, Milano, 2016, 348. B. De Filippis, G. Casaburi, La filiazione nella dottrina e nella giurisprudenza, Padova, 2000, 134. Alla loro nascita, ai gemellini fu attribuito lo status di figli della madre partoriente, confermato anche dal Tribunale di Roma; quest’ultimo, con l’ordinanza del 22 aprile 2015, ha applicato gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 19 febbraio 2004 e, tenendo in considerazione l’interesse dei figli ad avere solo due genitori, ha dato valore al rapporto simbiotico che si viene a creare tra la gestante e il nascituro durante la gravidanza. Per un approfondimento della prima pronuncia del Tribunale di Roma, 20 agosto 2014, v. M. Bianca, Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del tribunale di Roma sull’erroneo scambio degli embrioni, in Dir. fam. pers., fasc. 1, 2015, 186 e ss. La vicenda è raccontata da G. Attili, L’amore imperfetto, Bologna, 2012, 15 e ss. In ragione del divieto di ricorrere alla maternità surrogata in Italia, sempre più coppie si recano in Stati ove essa è considerata legale ed eseguita normalmente; si parla, in tal caso, di maternità surrogata transfrontaliera e l’incremento di tale forma di procreazione artificiale è stato documentato nel report della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato del 2012 “A preliminary Report on the issues Arising from International Surrogancy Arrangements”. Per il tramite della riforma del 2012, nel Codice civile è stato introdotto il principio dell’unicità dello stato di figlio mediante la riformulazione ex novo dell’articolo 315 c.c. e la riscrittura di alcune norme cardine; la norma ora citata stabilisce che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”, fungendo da criterio interpretativo nelle ipotesi in cui sorgano dubbi sull’effettivo significato da attribuire all’articolo. Si rinvia a M. Dossetti, L’unicità dello stato di figlio e i modi diversi di accertamento dello status, in M. Dossetti, M. Moretti, C. Moretti, La nuova filiazione, Bologna, 2017, 2.
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con la quale si intende dire che la legge conosce solo figli10, ponendo fine alla tradizionale ed anacronistica distinzione fra figli legittimi e naturali11. Questa unicità corrisponde alla nuova visione della famiglia, la quale non viene più posta al centro del sistema in quanto istituzione, ma si basa sui diritti della persona “anche nella famiglia”; in altre parole, l’attuale concezione della famiglia non tollera più discriminazioni legate alla nascita ovvero alle vicende che riguardano i rapporti fra genitori12. A dimostrazione di ciò, la Riforma ha introdotto quello definito come lo statuto dei diritti fondamentali del figlio di cui all’art. 315 bis c.c.13 che richiama, seppur implicitamente, il diritto di uguaglianza. Tale unificazione ha, dunque, voluto espungere dall’ordinamento tutti i pregiudizi che avevano portato a “graduare” i figli a seconda del momento del concepimento e a sganciare lo status filiationis dallo status familiae. Lo scopo di tale novella14 è stato di mettere al centro della disciplina del diritto di famiglia l’interesse del minore15, cercando di porre fine a tutte quelle situazioni che potevano generare forme di discriminazione16. Tuttavia, preme sottolineare che la ratio della Riforma del 2012 non è stata di diminuire il valore del matrimonio e di preferire modelli familiari alternativi a quello tradizionale17, bensì di dar vita a un sistema di diritto di famiglia18 che fosse imperniato sui valori fondamentali della giustizia e dell’interesse primario del minore19; si è, in definitiva, abbandona-
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C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, 1. Tra i contributi più significativi, v. M. Bianca, L’ uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente l. n. 219 del 2012 (*) The Equality of the Legal Status of Children under the Recent Law No. 219 of 2012, in Giust. civ., fasc. 5-6, 2013, 205 e ss. 12 Si pensi ai figli adulterini o incestuosi che non potevano essere riconosciuti e rispetto ai quali era vietato fare donazioni (art. 780 c.c.) e, in certa misura, disporre per testamento (art. 593 c.c.). Nonostante la Riforma operata tramite la legge 19 maggio 1975, n. 151 avesse sancito la possibilità di riconoscere i figli adulterini, continuavano a permanere forti discriminazioni, in quanto persisteva la distinzione fra figli legittimi e naturali. V. al riguardo C. M. Bianca, Diritto civile 2.1. La famiglia5, parte I, Milano, 2014, 327-328. 13 Tale norma, sancendo che “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.”, ha enunciato i diritti al mantenimento, all’istruzione, all’educazione, all’assistenza morale, a crescere in famiglia e all’ascolto. Si tratta, quindi, di interessi essenziali della persona. 14 La quale, comunque, ha suscitato alcune perplessità da parte degli studiosi, tanto da essere stata definita come una “riforma a metà”. Su questo tema, v. C.M. Bianca, La riforma della filiazione: alcune note di lume, in Giust. civ., 2013, 439, il quale sottolinea l’importanza dell’intervento della Riforma; questa, difatti, non si è limitata a modifiche puramente nominali, ma, ex multis, ha riconosciuto ai figli nati al di fuori del matrimonio il diritto di parentela e ha fatto assurgere l’unicità dello stato di figlio a principio di diritto pubblico. 15 Come evidenziato dalla dottrina, i diritti e gli interessi del minore costituiscono il senso di ogni disposizione concernente i rapporti giuridici in cui egli è una delle parti. Si rinvia a R. Senigaglia, Genitorialità tra biologia e volontà. Tra fatto e diritto, essere e doveressere, in Eur. dir. priv., Milano, 2017, 953. 16 L’interesse del minore è stato, in realtà, sempre considerato di primaria importanza sia nel diritto di famiglia che nelle altre branche del diritto, ma il merito della Riforma è di averlo esplicitato, rendendolo principio fondante l’intero apparato legislativo. 17 Modelli di famiglia quali quella fondata sulla convivenza, anche fra persone dello stesso sesso, e quella ricomposta, la cui complessità è acuita dalla necessità di coordinare le fonti interne con quelle europee. 18 Già cominciato con la Riforma del diritto di famiglia del 1975 e dalle leggi speciali in tema di adozione (legge 4 maggio 1983, n. 184) e di affidamento condiviso (legge 8 febbraio 2006, n. 54). 19 M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, in La riforma della filiazione, a cura di C. M. Bianca, Padova, 2015, 3-5. 11
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ta quella visione pubblicistica che poneva al centro l’interesse familiare per dirigersi verso quella che è stata denominata “famiglia dei figli20”. In virtù del principio di uguaglianza sopra richiamato, il legislatore non avrebbe potuto eliminare del tutto le differenti modalità di instaurazione del rapporto familiare, in quanto, proprio sulla base di tale principio, situazioni diverse richiedono di essere trattate in modo differente e ciò spiega perché, nel caso di figli nati al di fuori del matrimonio, l’accertamento si basi sul riconoscimento. Poiché, invero, si tratta di situazioni che possono essere caratterizzate anche da un’assenza di stabilità, non sussistendo un’ufficialità, la presunzione di paternità che trova applicazione nell’ambito matrimoniale avrebbe costituito una forzatura21. Nonostante, dunque, il legislatore della Riforma abbia deciso di mantenere pressoché inalterato il regime delle azioni di stato, ciò non ha inciso sull’unicità dello status filii. Ciò che è venuto meno, in realtà, è solamente la qualificazione delle azioni improntata sulla tipologia della filiazione; difatti, in passato, nel caso di filiazione legittima, si potevano esperire l’azione di disconoscimento della paternità, l’azione di contestazione della legittimità e l’azione di reclamo della legittimità, mentre nel caso di filiazione naturale erano utilizzabili la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale e l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità. Questa dicotomia, pertanto, è venuta meno soltanto sulla carta, in quanto, a seconda del differente modo di attribuire lo stato di filiazione, le azioni di stato restano ancora in parte regolate secondo le modalità previste antecedentemente alla Riforma del 2012. Nello specifico, l’impugnativa del riconoscimento per difetto di veridicità rimane disciplinata all’art. 263 c.c. il quale stabilisce che tale azione spetta sia al figlio che è stato riconosciuto, tramite curatore se minore, interdetto ovvero infermo di mente, sia a chiunque abbia interesse e, quindi, anche mediante accertamenti genetici; l’aspetto su cui la Riforma ha inciso maggiormente concerne i termini per la proposizione del riconoscimento, in quanto l’azione è divenuta imprescrittibile solamente per il figlio, mentre per gli altri legittimati attivi non può superare i cinque anni. Tale azione si incentra, dunque, sul fatto che l’autore del riconoscimento, in verità, non è genitore biologico della persona riconosciuta e, dunque, sussiste un’oggettiva difformità fra quanto dichiarato e la realtà22. La ratio dell’azione è di garantire l’identità personale del nato che, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 494 del 28 novembre 2002, costituisce un diritto inviolabile “ove non ricorrano costringenti ragioni contrarie al suo stesso interesse”.
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A. Nicolussi, Diritto di famiglia e nuove letture della costituzione, in Valori costituzionali, Atti del Convegno nazionale dell’U.G.C.I., Milano, 2010, 190; L. Rossi Carleo, La famiglia dei figli, in Giur. it., 2014, 1462. 21 M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, in La riforma della filiazione, a cura di C. M. Bianca, cit., 14-15. 22 Per un approfondimento degli aspetti tecnici della questione, si rinvia a C. M. Bianca, Diritto civile 2.1. La famiglia5, cit., 397-400.
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Rispetto al passato, però, la disciplina dell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ha visto spostare l’attenzione dal favor veritatis al favor minoris, ponendosi in linea con lo spirito della Riforma. Proprio per tale ragione, al giudice è attribuito il potere di valutare le circostanze del singolo caso in modo concreto e, dunque, sebbene il favor veritatis faccia parte dei principi del nostro ordinamento, la logica è quella del corretto bilanciamento e, pertanto, esso deve essere applicato avendo riguardo all’interesse del minore23. Un discorso parzialmente diverso deve essere fatto con riferimento alla surrogazione di maternità che, nonostante espressamente vietata da apposita disposizione penale, spesso viene praticata illegalmente, dando vita a situazioni di difficile risoluzione. Sulla questione è intervenuta la Suprema Corte con la sentenza n. 24001 dell’11 novembre 2014 stabilendo che “il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è di ordine pubblico e non si pone in contrasto con la tutela del superiore interesse del minore, atteso che il legislatore ha considerato che tale interesse si realizzi attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando all’istituto dell’adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo della parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico.”. Anche per quanto concerne la diversa disciplina prevista in tema di procreazione artificiale, si richiama il principio di uguaglianza sostanziale il quale, insieme a quello di ragionevolezza, comportano che sia necessario trattare in modo specifico situazioni che si differenziano dalla procreazione naturale. In questo frangente si inserisce il tema estremamente complesso del diritto a conoscere la propria identità genetica, ossia il diritto a conoscere le proprie origini, caro tanto alla giurisprudenza europea24 che a quella nazionale25; esso deve, inoltre, essere tenuto ben distinto dal diritto all’identità filiale che, come detto, è il diritto che chiunque vanta di avere certezza in merito al proprio rapporto di filiazione. Difatti, la statuizione del diritto a conoscere la propria identità genetica non riguarda l’applicabilità del regime delle azioni di stato, in quanto, non mettendo in discussione il rapporto di filiazione, non ne costituisce il fondamento.
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G. Chiappetta, L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in La riforma della filiazione, a cura di C. M. Bianca, cit., 514. Ci riferiamo al caso Godelli/Italia nel quale la CEDU, con la sentenza n. 33783 del 25 settembre 2012, ha stabilito che “La legislazione italiana, vietando l’accesso alle informazioni sulla propria nascita nel caso di parto anonimo, viola l’art. 8 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, poiché, senza bilanciare i contrapposti interessi della madre (all’anonimato) e del figlio (alla conoscenza) impedisce alla persona di sapere da chi è nato.”. 25 La Corte costituzionale con la sentenza n. 278 del 22 novembre 2013 ha affermato che “Come ha osservato la Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione all’art. 8 della convenzione europea, è eccessivamente rigida la disciplina dell’art. 28, comma 7, l. 4 maggio 1983 n. 184, come sostituito dall’art. 177, comma 2, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, che consente alla madre la facoltà di dichiarare di non voler essere nominata. Non appare ragionevole, ed è quindi in contrasto con gli art. 2 e 3 Cost., che la scelta sia necessariamente e definitivamente preclusa sul versante dei rapporti relativi alla “genitorialità naturale”, e non invece eventualmente revocabile, in seguito alla richiesta del figlio, attraverso un procedimento stabilito dalla legge che assicuri la massima riservatezza.”. 24
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2. La maternità surrogata nell’assetto piramidale degli interessi.
Ulteriore espressione dell’adeguamento della normativa allo sviluppo biotecnologico è rappresentata dall’art. 9 della legge n. 40 del 19 febbraio 200426, la c.d. legge sulla P.M.A., il quale stabilisce che, nel caso in cui si proceda a fecondazione eterologa, ossia a fecondazione effettuata con materiale genetico fornito da un soggetto diverso dai membri della coppia, al figlio venga attributo lo status di figlio riconosciuto da entrambi i genitori. Proprio relativamente a tale norma è stata posta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c. con riferimento all’art. 3 Cost., in quanto nel caso in cui, invece, il padre abbia fornito i propri gameti nell’ambito di una surrogazione di maternità, non è possibile procedere nel medesimo senso, ponendo il bambino in una posizione diversa rispetto a colui che è nato attraverso fecondazione eterologa. Si tratterebbe, in altre parole, di una violazione dei principi di ragionevolezza e non discriminazione. Le vicende che attengono alla maternità surrogata e che coinvolgono diversi interessi e diritti fanno emergere non solo questioni di natura giuridica, ma anche valutazioni etiche e, spesso, il diritto deve discostarsi dagli schemi tradizionali, in quanto è necessario garantire il prevalente interesse del minore. Ciò che bisogna constatare è che, come detto, il nostro ordinamento non solo non autorizza ma esplicitamente vieta, ai sensi dell’art. 12, commi 627 ed 828, della legge sulla P.M.A., il ricorso alla maternità surrogata, ritenuta dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 2017 una pratica “che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Pertanto, nel caso in cui si fosse autorizzato il riconoscimento del bambino come figlio della coppia, non solo si sarebbe incorsi in una violazione di legge, ma si sarebbe anche legittimato e rettificato un contratto che il nostro ordinamento considera nullo per contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e buon costume. Sebbene, dunque, sia innegabile che il rispetto del principio di ordine pubblico debba essere garantito, è evidente che la questione giuridica concernente la maternità surrogata si intreccia con riflessioni di natura etico-morale che riguardano anche il rischio di una mercificazione dei soggetti coinvolti, genitori biologici e, soprattutto, figli.
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L’art. 9 sancisce il divieto del disconoscimento della paternità nei casi previsti dai nn. 1) e 2) del primo comma dell’art. 235 c.c. ed esclude anche l’impugnazione per difetto di veridicità di cui all’art. 263 c.c. da parte del coniuge ovvero del convivente che aveva precedentemente prestato consenso; il secondo comma della norma prosegue ponendo un divieto alla madre di dichiarare la volontà di non essere nominata. La ratio di tali disposizioni risiede nella necessità di evitare ripensamenti in capo a coloro che abbiano fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita. 27 Il quale punisce “Chiunque, in qualunque forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”. 28 Tale comma stabilisce che “Non sono punibili l’uomo o la donna ai quali sono applicate le tecniche nei casi di cui ai commi 1, 2, 4 e 5.”.
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Per quanto riguarda, ad esempio, la madre partoriente, si assiste ad una commercializzazione del corpo, utilizzato alla stregua di una mera incubatrice e, sebbene sussista il principio dell’autodeterminazione, esso trova un limite ben preciso nella tutela della dignità umana ex artt. 2 e 3 Cost29. A prescindere dalle possibili valutazioni e opinioni che ruotano intorno alla maternità surrogata, è evidente che i giudici non possono sottrarsi dal compito di regolare tale vicenda e i suoi risvolti, in quanto da un fatto, seppur illecito, è nato un essere umano30. In questo frangente vengono spesso evocati i concetti di ordine pubblico e pubblica sicurezza che, talvolta, possono incidere sugli interessi del minore, prescindendo dalla concreta verifica del suo best interest. Pertanto, nella sua attività di valutazione, la giurisprudenza più recente ha spesso ritenuto tali principi, seppur fondamentali, recessivi rispetto all’interesse del minore, riconoscendo effetti giuridici al ricorso alla maternità surrogata; tuttavia, ciò non sta a significare, come ribadito dagli stessi giudici, che la surrogazione di maternità sia divenuta pratica legittima, in quanto l’eventuale eliminazione del divieto è di esclusiva competenza del legislatore. Il tema s’incentra, dunque, sulla necessità di contemperare interessi in contrasto fra loro, ossia l’interesse pubblicistico al rispetto delle leggi e dell’ordine pubblico, il c.d. diritto alla genitorialità31 e il favor minoris; la questione, come detto, diviene maggiormente complessa quando si parla di riconoscimento dello status di figlio, poste le nuove tecniche di
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Particolare scalpore suscitò l’ordinanza del Tribunale di Roma del 17 febbraio 2000 con la quale un medico fu autorizzato al trasferimento degli embrioni di due coniugi nell’utero di una donna consenziente in ragione della gratuità del contratto. Il Tribunale si pronunciò stabilendo che “deve ritenersi valido il negozio atipico di maternità surrogata a titolo gratuito in quanto rivolto a tutelare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico ed in quanto non contrastante con la disciplina relativa agli “status” familiari, né con il divieto di atti di disposizione del proprio corpo.”. E ancora che “in assenza di una disciplina legislativa espressa di regolamentazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, è compito del giudice di valutare la complessità delle diverse “storie di vita” nella loro globalità procedendo ad un contemperamento dei vari interessi coinvolti che rapporti e confronti modelli giuridici a modelli culturali e sociali in continua evoluzione; nella specie, la liceità e la meritevolezza degli interessi perseguiti dall’accordo atipico di maternità surrogata risultano: a) dall’assenza di corrispettivo e b) dall’aspirazione della coppia, garantita costituzionalmente dall’art. 2 in quanto espressione del generale diritto di manifestazione e svolgimento della personalità, alla realizzazione come genitori. “Lo status” di madre deve essere attribuito alla donna c.d. committente, giacché, essendovi, nella specie, soltanto una mera gestazione di embrioni creati col materiale genetico della coppia committente, deve escludersi qualsiasi volontà di assunzione del ruolo genitoriale da parte della donna portante.”. Per un commento della sentenza, v. L. D’Avack, Nascere per contratto: un’ordinanza del Tribunale civile di Roma da ignorare, in Dir. fam. pers., fasc. 2, 2000, 706 e ss. 30 A. Lorenzetti, Bilanciamento di interessi e garanzie per i minori nella filiazione da fecondazione eterologa e da maternità surrogata, in La famiglia si trasforma: status familiari costituiti all’estero e loro riconoscimento in Italia, tra ordine pubblico e interesse del minore, a cura di G. O. Cesaro, P. Lovati, G. Mastrangelo, Milano, 2014, 89. 31 In tal senso, si rinvia alla sentenza del 27 ottobre 1989 del Tribunale di Monza il quale ha sancito la nullità di un contratto di maternità surrogata per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume; la peculiarità di tale pronuncia risiede nel fatto che è stato affermato che il desiderio della coppia di diventare genitori non costituisce un diritto soggettivo e non può divenire oggetto di un contratto. Pertanto, non sarebbe possibile evincere dalla Costituzione un diritto alla procreazione come “aspetto particolare del più generale diritto alla personalità (…), non potendosi desumere da alcuna disposizione che il desiderio o foss’anche l’interesse della prole, in sé si intende tutt’altro che illegittimo, sia stato elevato alla dignità di diritto soggettivo, o comunque, che sia emerso nella considerazione del costituente un concetto di paternità o di maternità meramente negoziali, disgiunte cioè da un qualche fondamento biologico (…)”.
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concepimento che fanno sorgere il dubbio su quale fra i diversi interessi debba prevalere e se questi, in realtà, non possano essere guardati in un’ottica di compenetrazione piuttosto che di conflitto. Con riguardo all’interesse dei genitori, il rischio è che, in nome della tutela del best interest of the child, in realtà, si finisca per dare attuazione ad un loro desiderio, trasformandolo in diritto32; in altre parole, il pericolo è che la presunta tutela dell’interesse del minore funga da espediente per garantire un diritto puramente individuale, sovvertendo il principio di ragionevolezza al fine di legittimare il c.d. “turismo procreativo”33. Come evidenziato da un’autorevole dottrina34, il diritto alla procreazione non è contemplato fra i diritti fondamentali dell’uomo, né come singolo né nelle formazioni sociali e, dunque, anche qualora fosse riconosciuto, potrebbe essere esercitato, al pari di tutti gli altri diritti, esclusivamente nei casi e secondo le modalità previsti dall’ordinamento. La clausola generale del favor minoris non può, quindi, fungere da completamento di diritti inesistenti quali quello alla genitorialità e all’autodeterminazione procreativa35. Negli ultimi anni il principio di riconoscibilità degli status familiari è stato oggetto di dialogo fra le Corti, anche a livello europeo ed internazionale, in quanto è necessario procedere ad un bilanciamento in cui l’interesse del minore assuma il rango di valore primario; ad esempio, lo status filii è stato definito in modo sempre più dettagliato dalla giurisprudenza della CEDU, con particolare riguardo al rapporto di filiazione, divenendo corollario del diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito all’art. 8 della Convezione36, il quale, anzitutto, afferma che la nascita fa sorgere il legame tra figlio e genitore. Tale assioma è ripreso anche dalla normativa italiana e, invero, l’art. 269 c.c. stabilisce che è madre colei che partorisce; la suddetta norma è espressione del principio mater semper certa est il quale, tuttavia, sembra essere messo in discussione dal ricorso alla maternità surrogata37. Se ben si riflette, infatti, attraverso tale pratica il concetto unitario di maternità viene meno, in quanto avremo, da una parte, la c.d. madre uterina o gestazionale che è colei che porta avanti la gravidanza e partorisce e, dall’altra, la c.d. madre committente o intenzionale, ossia colei che costruisce il rapporto affettivo e sociale con il minore38.
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C. Castronovo, Eclissi del diritto civile, Milano, 2015, 67. S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2006, 164. 34 In tal senso, v. A. Finocchiaro, Non basta prospettare l’evoluzione scientifica per ritenere lecito l’accordo tra le parti, in Guida dir., 2009, 9, 80. 35 F. D. Busnelli, Il diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, 1467. 36 S. Tonolo, L’evoluzione dei rapporti di filiazione e la riconoscibilità dello status da essi derivante tra ordine pubblico e superiore interesse del minore, in Riv. dir. int., fasc. 4, 2017, 1070 e ss. 37 Tale principio non è stato scalfito dalla sentenza n. 162 del 10 giugno 2014 mediante la quale la Corte costituzionale ha fatto venir meno il divieto di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, stabilendo che “Il divieto sancito dall’art. 4, comma 3, l. n. 40 del 2004 (“Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”), impedendo alla coppia destinataria di tale legge, ma assolutamente sterile e infertile, di utilizzare la tecnica di PMA eterologa, realizza un ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia (…)”. 38 A. Lorenzetti, Bilanciamento di interessi e garanzie per i minori nella filiazione da fecondazione eterologa e da maternità surrogata, 33
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In questo caso è evidente il favor del legislatore per una forma di maternità che non riflette il dato biologico della procreazione, bensì solamente quello gestazionale39. Come sottolineato dalla Corte europea, ogniqualvolta le questioni da dirimere abbiano ad oggetto aspetti particolarmente delicati della vita individuale, come quelli etico-sociali, la discrezionalità degli Stati membri non può che ampliarsi; tuttavia, proprio in virtù della necessità di tutelare l’interesse del fanciullo, questo margine di apprezzamento si riduce notevolmente. A testimonianza di ciò, il paragrafo 2 dell’art. 8 citato prevede che “Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.”; in altri termini, gli Stati devono garantire un bilanciamento fra i diritti dei singoli e quelli della collettività, ma si tratta di un equilibrio che può variare a seconda delle circostanze del caso concreto e, per tale ragione, occorre soffermarsi sulla pratica della maternità surrogata. In Italia, come visto, sussiste il divieto di ricorrere a tale forma di procreazione artificiale, ma ciò che bisogna comprendere è la motivazione che sorregge tale scelta legislativa. Da sempre i movimenti femministi40 che scuotono l’Europa hanno posto vivacemente l’accento sulla necessità di tutelare la donna partoriente dalle conseguenze di una maternità surrogata; in primis, dal punto di vista emotivo, in quanto da numerosi studi è emerso che durante la gestazione si viene a creare un rapporto di “immedesimazione” fra il bambino e la madre per cui entrambi subirebbero un trauma a seguito del distacco. Ma la ragione di tale divieto riguarda, indubbiamente, anche un aspetto di natura patrimoniale. Spesso, se non sempre, le donne che decidono di portare avanti una gravidanza
in La famiglia si trasforma: status familiari costituiti all’estero e loro riconoscimento in Italia, tra ordine pubblico e interesse del minore, a cura di G. O. Cesaro, P. Lovati, G. Mastrangelo, cit., 81. 39 La questione relativa alla riconoscibilità del rapporto di filiazione realizzatosi all’estero tramite maternità surrogata era già stato affrontata dalla Corte di Appello di Bari con la sentenza del 23 febbraio 2009. La questione riguardava una donna italiana coniugata con un cittadino inglese la quale si era recata in Gran Bretagna per avere due figli mediante ricorso alla maternità surrogata; questi, nati nel 1997 e nel 2000, vennero condotti in Italia dove, tuttavia, furono riconosciuti esclusivamente come figli del marito. Nel 2005 i coniugi si separarono e, nel richiedere l’omologazione dell’accordo di separazione, la madre fu costretta a richiedere che la maternità risultasse dagli atti di stato civile, ma la trascrizione dei due parental orders fu rifiutata in quanto la maternità surrogata era, oramai, vietata dalla legge n. 40 del 2004. Tuttavia,, la Corte di Appello si pronunciò diversamente, stabilendo che si doveva riconoscere efficacia ai provvedimenti inglesi attributivi della maternità non essendo stata rilevata alcuna violazione dell’ordine pubblico internazionale italiano, in quanto le maternità surrogate erano state realizzate prima dell’introduzione della norma incriminatrice di cui al sesto comma dell’art. 12 della legge n. 40 del 2004. Oltre ad aver dato rilevanza al diritto fondamentale della libera circolazione dei cittadini europei, che sarebbe stato pregiudicato dall’impossibilità di far valere in Italia il proprio status familiae, la Corte ha osservato che il riconoscimento era pienamente conforme all’interesse dei minori che erano stati cresciuti per anni come figli da parte della madre committente. Per un approfondimento, v. M. Dell’Utri, Maternità surrogata, dignità della persona e filiazione, in Giur. merito, 2010, 2, 358 e ss. 40 Su questa tematica, v. ampiamente A. B. Faraoni, La maternità surrogata. La natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Milano, 2002, 55 e ss.
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per conto di altri sono mosse da ragioni economiche e, dunque, attraverso la maternità surrogata si verrebbe a creare una sorta di “mercato di bambini41”, espressione che da sola basta a far rabbrividire. Se le motivazioni ora esposte sono, senza dubbio, più che valide, un’altra ragione dovrebbe smuovere la legislazione di divieto, ossia la necessità di tutelare l’interesse del minore. Non parliamo, assolutamente, di un diritto a non nascere se non da procreazione naturale, ma facciamo riferimento a tutte le ripercussioni psicologiche e, probabilmente, anche sociali che il minore potrebbe subire una volta venuto a conoscenza delle modalità con cui è venuto al mondo. Dunque, ciò che non emerge con chiarezza quando si parla di divieto di maternità surrogata, e che, invece, agli occhi di scrive, pare di primaria importanza, è che esso, oltre a conformarsi alla legislazione italiana in tema di ordine pubblico e di rispetto della dignità umana, è posto a presidio della tutela e del benessere del minore. Tale aspetto è stato evidenziato dalla Superior Court of New Jersey con la sentenza del 3 febbraio 198842, nella quale i giudici, dopo aver affermato che “mentre comprendiamo il desiderio profondo e legittimo della coppia sterile di avere figli, consideriamo il pagamento previsto in favore della madre surrogata illegale, penalmente illecito e potenzialmente degradante per una donna”, si sono soffermati sulla necessità di guardare all’interesse primario del minore in quanto “il vizio più grave del contratto (di maternità surrogata) sta nella totale noncuranza dei reali interessi del bambino”43. Quindi se, certamente, il divieto di maternità surrogata tutela la dignità della donna e l’ordine pubblico, non può disconoscersi l’importanza che assume l’aspetto della tutela del minore44; per tale ragione, la diversa disciplina in materia di maternità surrogata rispetto a quanto disposto dall’art. 9 della legge sulla P.M.A. in tema di fecondazione eterologa non
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V. M. Dogliotti, Inseminazione artificiale e rapporto di filiazione, in Giur. it., 1992, I, 2, 73, il quale sottolinea che “in una società dove tutto ha un prezzo, non dovrebbe stupire che si tenti la commercializzazione di fenomeni delicatissimi strettamente connessi alla sfera più intima della persona (...) la fattispecie in esame è palese espressione di quel triste e turpe fenomeno conosciuto come mercato di bambini, che ha assunto diverse forme (anche nel nostro Paese) tutte estremamente insidiose”. 42 Si tratta nel noto caso “Baby M.”, nel quale, dopo la stipulazione di un contratto di maternità surrogata, la madre partoriente si era rifiutata di consegnare la bambina ai genitori committenti. La Corte Superiore del New Jersey dispose l’affidamento della minore ai coniugi in ragione della miglior qualità di vita che essi avrebbero potuto assicurare alla bambina, mentre il contratto di maternità surrogata fu ritenuto invalido in quanto contrastante con il divieto di patti economici in materia di adozione. Tale sentenza ha riformato quanto stabilito in precedenza dalla Corte superiore il 31 marzo del 1987, la quale aveva affermato che il contratto di maternità surrogata fosse valido sul piano dell’equity e suscettibile di esecuzione in forma specifica. 43 La Superior Court prosegue assentendo che non si è neppure accennato “ad eventuali e future indagini circa l’adeguatezza degli Stern al ruolo di genitori, l’idoneità della signora Stern al compito di madre adottiva e la superiorità dei coniugi rispetto alla Whitehead, o circa le conseguenze derivanti dalla separazione della bambina dalla madre naturale”. 44 Ulteriore fondamento posto a presidio del divieto di ricorrere alla maternità surrogata è quello di tutelare la pratica dell’adozione nella quale il progetto di genitorialità viene realizzato a prescindere dal legame biologico. Si tratta di un istituto che ha come scopo fondamentale quello di garantire all’adottato l’interesse a vivere in una famiglia in grado di provvedere alle sue esigenze di vita, mentre solo in via subordinata soddisfa l’interesse degli adulti ad avere un figlio. Difatti, con la legge 28 marzo 2001, n. 149 il legislatore è intervenuto nuovamente sulla legge n. 184 del 1983 cambiando la denominazione in “Diritto del minore ad una famiglia”.
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costituisce violazione dei principi di ragionevolezza e di non discriminazione di cui all’art. 3 Cost45.
3. Il diritto del minore all’identità personale. Ciò premesso, tornando al giudizio di bilanciamento effettuato dai giudici per risolvere il caso in esame, la motivazione che ha sorretto l’operato della Corte costituzionale mira a tutelare il best interest of the child46, il quale funge da pietra angolare su cui devono sorreggersi tutte le decisioni che influiscono sulla sfera individuale del minore. Le constatazioni da fare con riferimento a queste specifiche circostanze sono davvero complesse non solo perché, come detto, abbracciano temi di natura etica, ma anche perché il diritto di famiglia, più di tutte le altre branche del diritto, richiede un’approfondita analisi di tutti gli aspetti che caratterizzano il singolo caso, si tratta della più alta espressione del c.d. diritto vivente. Ma occorre procedere per gradi. Il nodo cruciale che la Corte ha dovuto affrontare concerne le modalità con cui debba essere inteso il best interest of the child, tenendo conto che l’accettazione di un singolo caso darebbe vita ad una proliferazione degli stessi e, conseguentemente, anche ad una sostanziale disapplicazione del divieto. In altre parole, la regolarizzazione di un singolo “negozio procreativo”, indurrebbe a realizzarne altri47, dando luogo anche a una discriminazione a contrario nei confronti di coloro che, nel voler realizzare il proprio progetto di genitorialità, rispettano il diritto interno non ricorrendo alla maternità surrogata48.
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Non può neppure accantonarsi del tutto l’esigenza di far cadere la falsa apparenza degli status. Nell’ordinamento nazionale sono numerose le norme che fanno riferimento all’interesse del fanciullo e fra queste assumono particolare rilevanza quelle volte a disciplinare il diritto all’ascolto del minore, escludendolo in tutti quei casi in cui risulti in contrasto con l’interesse dello stesso. Tale diritto costituisce uno dei punti cardini della normativa internazionale in materia di protezione dei diritti dei minori ed è espressamente tutelato all’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 e all’art. 3 della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996. La Riforma della filiazione ha fatto sì che il diritto dell’ascolto del minore assumesse una portata più generale rispetto a quella prevista dall’art. 337 bis c.c., in quanto l’art. 315 bis, comma 3, c.c. ora stabilisce che “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. L’aspetto di maggior rilevanza consiste nel fatto che pare sussistere, oramai, un obbligo per i genitori di confrontarsi con il figlio di età superiore ai dodici anni e ciò è espressione della logica di massima valorizzazione della personalità del minore. In realtà, la dottrina si è a lungo interrogata sull’obbligatorietà dell’ascolto del minore, in quanto, comunque, può essere fonte di forti traumi; proprio in virtù della necessità di soddisfare il best interest of the child, l’orientamento maggioritario propende per la possibilità che il giudice non disponga l’ascolto del minore. Per un’analisi critica dell’istituto, si rinvia a G. Recinto, Le genitorialità. Dai genitori ai figli e ritorno, Napoli, 2016, 44 e ss. 47 P. Marozzo della Rocca, Diritti del minore e circolazione all’estero del suo status familiare: nuove frontiere, in La famiglia si trasforma: status familiari costituiti all’estero e loro riconoscimento in Italia, tra ordine pubblico e interesse del minore, a cura di G. O. Cesaro, P. Lovati, G. Mastrangelo, cit., 47. 48 V. Scalisi, Famiglia e famiglie in Europa, in Riv. dir. civ., 2013, 12. 46
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Se la Corte avesse accolto la richiesta delle parti, dunque, avrebbe legittimato la violazione della norma sopra richiamata in materia di divieto di maternità surrogata in ragione della necessità di tutelare il (presunto) interesse del minore nel caso de quo; ma ciò che gli studiosi del diritto imparano sin dal primo giorno è che le norme giuridiche sono caratterizzate da generalità e astrattezza, in quanto debbono regolare casi ipotetici, prevedendo una disciplina da applicare indistintamente alla generalità dei consociati. Se si valicasse questo limite, ciò vorrebbe dire creare delle norme ad personam e, nel caso di specie, si sarebbe autorizzato il ricorso alla maternità surrogata solo in ragione dell’esigenza dei genitori. Tanto varrebbe eliminare del tutto il divieto, posti gli effetti dell’aggiramento dello stesso da parte dei genitori committenti riconosciuti ex post49. Per quanto riguarda, invece, la tutela dei soggetti direttamente coinvolti nel caso in esame, potremmo parlare di un interesse “esclusivo” dei genitori. Difatti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni si è espressa con una sentenza di non luogo a procedere in merito alla dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, in virtù del riconoscimento della paternità biologica e dell’intercorso matrimonio; in altri termini, ciò che è stato ribadito diverse volte dalla Corte, è che ciò che viene negato alla madre è solamente di essere dichiarata genitore biologico del figlio, mentre nulla le impedisce di ricorrere alla c.d. adozione in casi particolari di cui all’art. 44 della legge n. 184 del 4 maggio 198350. Si potrebbe sostenere che nel caso di adozione particolare51 la posizione della madre adottiva sia caratterizzata da una maggior debolezza rispetto a quella del genitore biologico, ma ciò che conta è che al minore venga garantita una tutela adeguata, anche con riferimento al diritto alla stabilità degli affetti.
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E. Crivelli, Gli accordi di maternità surrogata tra legalità ed effettività, in La democrazia costituzionale tra nuovi diritti e deriva mediale, a cura di G. Ferri, Napoli, 2015, 133. 50 L’adozione in casi particolari può riguardare sia il minore che viene inserito definitivamente nel nucleo familiare con cui aveva in precedenza sviluppato legami affettivi sia il minore che si trovi in particolari situazioni di disagio. Le ipotesi in cui ricorrere a tale istituto sono tassativamente previste dalla legge e riguardano, fra le altre, il coniuge convivente del genitore del minore e, dunque, la disciplina mira a favorire il proseguimento dell’unione familiare, garantendo una crescita armonica del minore. A prescindere, tuttavia, dalle circostanze concrete, il Tribunale per i Minorenni dovrà sempre accertare che l’adozione corrisponda all’interesse primario del minore. L’adozione nei casi particolari si distingue dalla c.d. adozione piena o legittimante non sussistendo il presupposto dello stato di abbandono del minore; pertanto, gli effetti sono più limitati, in quanto da essa non deriva l’interruzione dei rapporti con la famiglia d’origine, né l’acquisto di un diritto successorio per l’adottante, né l’instaurazione di un rapporto di parentela fra l’adottato e i parenti dell’adottante. Inoltre, la procedura in questione risulta più semplice, in quanto non si deve accertare lo stato di abbandono, non si effettua un confronto con altre coppie e non è previsto un periodo di affidamento preadottivo. Il problema che potrebbe porsi nel caso in esame deriva dal fatto che per procedere all’adozione in casi particolari è necessario il consenso del genitore biologico e, dunque, in teoria vi dovrebbe essere l’assenso della madre surrogata. V. M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, cit., 431 e ss. 51 La possibilità di avvalersi dell’istituto dell’adozione in casi particolari è già stata ammessa in passato dalla Corte di appello di Salerno in data 25 febbraio 1992, la quale ha stabilito che “Ammessa l’illiceità del contratto di maternità surrogata che preveda la cessione del nascituro, non è escluso che, una volta nato e volontariamente ceduto dalla madre biologica, il minore, riconosciuto dal padre naturale, possa essere dalla moglie di questi adottato ai sensi dell’art. 44 comma 1, lett. b) l. 4 maggio 1983 n. 184”.
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Proprio tale aspetto differenzia profondamente il caso in esame da quello deciso con la nota sentenza Paradiso-Campanelli52. In tale vicenda, difatti, la coppia committente non aveva alcun tipo di legame genetico con il bambino nato a seguito di una maternità surrogata e, pertanto, questi era stato collocato presso un diverso nucleo familiare e infine adottato; tuttavia, la Grande Chambre si è pronunciata per la sussistenza di una violazione dell’art. 8 della CEDU, proprio in ragione di tale allontanamento53. Anzitutto, la Corte, ribaltando la decisione di primo grado, ha ritenuto che non fosse riscontrabile una vita familiare de facto rilevante ai sensi dell’art. 8 citato sia per l’assenza di un legame biologico fra la coppia e il bambino, sia in virtù della breve durata del rapporto intercorso fra questi54, sia per l’incertezza del legame giuridico instauratosi fra il minore e i ricorrenti, situazione realizzatasi a seguito di un comportamento illecito adottato consapevolmente da questi ultimi. La Grande Chambre, invece, si è pronunciata decretando una violazione dell’art. 8 con riferimento al rispetto della vita privata, nozione nella quale può ricomprendersi anche il perseguimento di un progetto familiare; ma ciò è stato sancito esclusivamente nei confronti dei genitori, in quanto, come detto, non è stata ritenuta sussistente una vita familiare fra i ricorrenti ed il minore. Nonostante ciò, tale ingerenza è stata ritenuta giustificata non solo in quanto espressamente prevista dalla legge, ma anche e soprattutto in ragione dell’esigenza primaria di tutelare l’interesse del minore; pertanto, le misure adottate sono state giudicate proporzionate al best interest of the child e fondamentali al fine di evitare la legittimazione di una vicenda sorta sulla violazione delle regole dell’ordinamento55. Tuttavia, come detto, si tratta di un caso nettamente diverso, non solo in virtù del legame biologico sussistente con il padre, ma principalmente perché non è stato disposto l’allontanamento del minore; pertanto, il dettato di cui all’art. 263 c.c. non si pone in contrasto con l’art. 117, comma 1, della Costituzione in riferimento all’8 della CEDU, in quanto la Corte costituzionale ha svolto un’attività comparativa degli interessi coinvolti dando preminenza all’interesse del minore.
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Ricorso n. 25358 del 2012 deciso con sentenza della CEDU del 27 gennaio 2015 e in seconda istanza dalla Grande Chambre con la pronuncia del 24 gennaio 2017 mediante la quale si è capovolta la decisione precedente. 53 Nel suo decisum, la Grande Camera ha rimarcato la differenza intercorrente fra il caso Paradiso-Campanelli e le sentenze Mennesson e Labassee rese il 26 giugno 2014 (ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del 2011); in queste ultime, difatti, era stata parimenti invocata la violazione dell’art. 8 della CEDU con riferimento alla registrazione dei certificati di nascita di minori nati all’estero a seguito del ricorso alla maternità surrogata. Tuttavia, nelle sentenze Mennesson e Labassee il problema centrale concerneva il rifiuto della Francia di riconoscere la relazione genitoriale fra i minori e la coppia intenzionale, mentre nel caso Paradiso-Campanelli la questione riguardava la tutela del best interest of the child, il quale era stato allontanato dai ricorrenti. 54 Anche l’elemento temporale è un ulteriore elemento distintivo della vicenda in esame rispetto al caso Paradiso-Campanelli; infatti, in quest’ultimo, il lasso di tempo che il minore e i ricorrenti avevano trascorso insieme è stato valutato come breve, incidendo sulla decisione della Corte, mentre nella vicenda de qua non è stato oggetto di valutazione. Tuttavia, occorre sottolineare che la Grande Chambre si è pronunciata anche per l’inopportunità di fissare una durata minima standardizzata. 55 Sebbene i giudici di Strasburgo abbiano dato nuova luce al principio dell’affettività, non hanno disposto il ritorno del minore, rimarcando l’importanza del rapporto creatosi con la nuova famiglia adottiva in un’ottica di tutela degli interessi del minore.
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È innegabile che il best interest of the child sia principio fondamentale della normativa nazionale ed europea56 in materia di diritto di famiglia e nel caso in esame non si vede come la decisione della Corte possa averlo violato. È stato, invero, affermato che il c.d. favor veritatis non possa prevalere sull’interesse del minore, ma su questa dicotomia, sebbene ricorrente nei procedimenti civili e penali, occorre riflettere un istante. Il nostro ordinamento si caratterizza per l’esistenza di diversi ordini di verità. In primis, abbiamo la c.d. verità biologica, la quale discende dal legame di sangue; in secondo luogo, dobbiamo riferirci alla verità legale, il cui scopo è di garantire la certezza e la stabilità dello stato giuridico di filiazione; infine, ma non per questo meno importante, troviamo la c.d. verità sociale, la quale si basa sulla continuità affettiva del rapporto che si instaura fra il minore e colui che se ne prende cura57. Il favor veritatis, però, non assurge a valore costituzionale da tutelare sempre e comunque a discapito di altri interessi, ma è necessario procedere ad un’attività di costante comparazione58; pertanto, le vicende relative alla tutela del best interest of the child sono profondamente complesse, essendo necessario procedere ad un continuo bilanciamento fra i diversi diritti che contraddistinguono tali situazioni giuridiche, i quali portano alla luce interessi “funzionali” in aggiunta a quelli morali59. In merito alla locuzione “interesse del minore” nell’ambito dell’accertamento della filiazione, essa non è di agevole interpretazione, in quanto manca un espresso riferimento legislativo; per tale ragione, si sono sviluppati due orientamenti contrapposti.
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Tra queste, la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 77 del 20 marzo 2003; l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; gli artt. 8 e 14 della CEDU; l’art. 23 del Regolamento 2003/2201/CE del 27 novembre 2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale; le Linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª riunione dei delegati dei Ministri. 57 Su questa tematica, v. il contributo di M. Orlandi, Status e maternità artificiale, in Atti del Convegno tenutosi a Roma presso la Camera dei deputati dal titolo Quali diritto dei figli dell’eterologa? consultabile sul sito www.webtv.camera.it 58 Il Tribunale di Roma 17 ottobre 2012 ha affermato che “La prevalenza del ‘favor veritatis’ in ordine agli stati personali e familiari va rivisitata alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale e normativa di diritto interno ed internazionale. Assume sempre meno rilievo il rapporto familiare radicato sul legame semplicemente biologico e la famiglia prende la connotazione della prima comunità ove si svolge, si sviluppa la personalità del singolo e si fonda la sua identità. La tutela del diritto allo status ed all’identità personale può non identificarsi con la prevalenza della verità biologica e la norma dell’art. 263 c.c. va interpretata secondo i principi fondamentali dell’ordinamento, imponendo l’irretrattabilità del riconoscimento avvenuto in piena consapevolezza della sua falsità.”. 59 Un classico esempio in tal senso è costituito dalla tutela del diritto alla salute, espressamente riconosciuto dalla Costituzione come valore fondamentale all’art. 32; in un’ottica di bilanciamento, l’art. 24, n. 4, della legge 28 marzo 2001, n. 149, sostitutivo dell’art. 28 della legge 184 del 4 maggio 1983, permette l’acquisizione di informazioni riguardanti l’identità dei genitori biologici in presenza di gravi e comprovati motivi. La norma, infatti, stabilisce che “Le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la potestà dei genitori, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l’informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore”.
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La prima impostazione ritiene che l’interesse del minore si ponga come limite al principio del favor veritatis, mentre il secondo orientamento più recente reputa che il conflitto tra favor veritatis e favor minoris, in realtà, non sussista. Quest’ultima visione è stata fatta propria anche della Corte costituzionale nella sentenza in esame; i due favor, infatti, combacerebbero, in quanto ad ogni minore è riconosciuto il diritto inviolabile a creare e ad accertare la propria identità personale in modo veritiero e senza limiti di tempo, anche con riferimento alle modalità di procreazione che lo riguardano60. Nel medesimo senso, citiamo la nota sentenza della Corte costituzionale n. 112 del 22 aprile 1997 nella quale si asserisce che non sembra possibile “contrapporre il favor veritatis al favor minoris, dal momento che la falsità del riconoscimento lede il diritto del minore alla propria identità”. Ciò che viene affermato dai giudici della Corte è che, in realtà, questa contrapposizione non sussiste, in quanto l’identità personale del minore è formata da tutto ciò che ne costituisce la sua storia personale, comprese le sue origini e le modalità con cui è venuto al mondo; dunque, l’istanza di certezza che è alla base del favor veritatis non riguarda solamente i rapporti di filiazione, ma lo stesso best interest of the child. Come già sancito con la sentenza della Corte costituzionale n. 216 del 1997, si deve garantire al minore il diritto all’identità personale e se la Costituzione non prevede che la verità prevalga sull’interesse del minore, nel momento in cui si procede al bilanciamento fra tali prerogative, ciò non comporta “l’automatica cancellazione dell’una in nome dell’altra”. Il diritto alla propria identità è diritto fondamentale del nostro ordinamento e si sostanzia nel diritto ad essere correttamente identificati61; l’identità della persona e, quindi, anche del fanciullo, viene tutelata mediante il riconoscimento di una serie di diritti, fra cui, altresì, quello a non vedere alterata la verità della propria vita62. L’identità personale costituisce, invero, una delle massime espressioni della personalità individuale che merita di essere tutelata in modo concreto, tanto che la Suprema Corte63 l’ha ricondotta all’alveo dell’art. 2 Cost. come diritto a non vedere alterato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico e professionale64.
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Potremmo dire che questa è la ratio che sorregge il regime delle azioni di stato. A. Gatto, Surrogazione di maternità e diritto del minore al rispetto della propria vita privata e familiare, in Dir. fam. pers., fasc. 3, 2015, 1091 e ss. 62 C.M. Bianca, Diritto civile I, La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002, 200-201. 63 Cass. Civ., sez. I, 7 febbraio 1996, n. 978: “Esiste un diritto all’identità personale quale interesse giuridicamente protetto a non vedere alterato o travisato, all’esterno, il proprio patrimonio intellettuale, etico, sociale. E tale diritto, concettualmente distinto dai collaterali diritti all’“immagine”, “ai segni distintivi”, alla “reputazione” e alla “riservatezza” (tutti, peraltro, confluenti nel valore unitario della persona) trova il suo diretto fondamento nell’art. 2 della Costituzione (…)”. 64 Tale diritto, oltre ad essere espressamente menzionato dal c.d. Codice della privacy, ossia dal d.lgs. n. 193 del 30 giugno 2006, trova fondamento normativo anche nel terzo comma dell’art. 262 c.c. il quale, tutelando l’identità personale del figlio nato al di fuori del matrimonio, gli conferisce la possibilità di mantenere il cognome che gli era stato precedentemente attribuito qualora esso sia divenuto segno della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori nel caso in cui il riconoscimento sia stato effettuato da parte di entrambi. 61
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In altre parole, ciò che i giudici hanno statuito è che il diritto alla verità non deve per forza essere letto in un’ottica di conflitto con il best interest of the child, in quanto il minore ha diritto a sapere la verità e, soprattutto, a crearsi un’identità personale veridica. Anche sotto tale profilo, dunque, la ratio dell’art. 263 c.c. è di far acquisire al minore lo stato corrispondente alla realtà biologica e, qualora ciò non sia possibile, per il tramite dell’acquisizione dello status di figlio adottivo; pertanto, la norma de qua non pare porsi in contrasto con il dettato costituzionale di cui all’art. 2, ma, anzi, è volta a tutelare il diritto del minore all’identità personale. Poiché il best interest of the child65 è anche di vedere mantenuta la continuità dei legami affettivi66, è stata affermata l’illegittimità costituzionale del citato art. 263 c.c. con riguardo agli artt. 30 e 31 Cost., poiché non terrebbe conto del ruolo del genitore sociale, ossia di colui che instaura un rapporto affettivo con il minore a prescindere dal dato genetico. Come visto, non è stato mantenuto lo status familiare del minore per le ragioni suesposte, ma è stato salvaguardato il rapporto fra madre e figlio, facendo sì che la relazione affettiva permanesse, anche se sotto una qualificazione giuridica differente. Con riferimento a tale aspetto, preme sottolineare che il diritto alla continuità dei legami affettivi ricomprende anche la crescita all’interno della famiglia: dunque, non si è assistito ad un impoverimento dei rapporti familiari, né ad un’interruzione del legame e neppure ad una violazione del diritto alla bigenitorialità67; proprio in virtù della tutela del legame di filiazione e del riconoscimento di una genitorialità sociale, non si può sostenere che l’attuale configurazione dell’art. 263 c.c. leda il diritto del minore ad avere una madre (ex art. 2 Cost.) o alla continuità degli affetti. In conclusione, pur non analizzando in modo espresso le derive della legittimazione di un contratto di gestazione, la Corte costituzionale ha sancito l’impossibilità di consolidare un rapporto basato sull’illegalità, tutelando un interesse di natura pubblica e il best interest of the child a costruirsi un’identità personale improntata sulla verità, ma anche a mantenere inalterate le proprie relazioni familiari. Non può, dunque, affermarsi che l’art. 263 c.c. preveda un meccanismo automatico in violazione dell’art. 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 8 della CEDU; né tantomeno
Il legislatore della Riforma della filiazione ha, dunque, voluto garantire il diritto a non vedere alterato il proprio patrimonio personale, dando attuazione a quello definito come il c.d. diritto ad essere se stessi. 65 Il superiore interesse del minore è un principio che trova applicazione non solamente a livello europeo, anche internazionale, essendo espressamente sancito all’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con la legge 27 marzo del 1991. V. al riguardo C. Focarelli, La Convenzione di New York e il concetto di best interest of the child, in Riv. dir. int., 2010, 981-993. 66 Il diritto alla continuità degli affetti costituisce la ratio della legge 19 ottobre 2015, n. 173, la quale ha modificato la legge 4 maggio 1983, n. 184 in materia di adozioni; si tratta, in altre parole, di modifiche aventi come fine principale quello di porre un freno alle conseguenze traumatiche subite dai minori in affido per lungo tempo e successivamente adottati da una famiglia diversa da quella a cui erano stati assegnati. Con la legge n. 173 del 2015, il legislatore ha, dunque, voluto rimarcare l’indissolubile legame fra il benessere del minore ed il contesto familiare in cui si sviluppa la sua personalità. Cfr. G. Recinto, Le genitorialità. Dai genitori ai figli e ritorno, cit., 44. 67 Diritto riconosciuto come preminente dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”.
93
Giurisprudenza
può sostenersi la sussistenza di una presunzione assoluta per cui il best interest of the child sia tutelato solamente in virtù della veridicità del legame di filiazione. L’attività valutativa dell’autorità giudiziaria viene svolta con riferimento al singolo caso concreto, prescindendo dalla condotta posta in essere dai genitori, in quanto la logica che ha sorretto l’operato della Corte non è stata quella di applicare le norme in un’ottica sanzionatoria, ma di valutare in modo concreto l’effettivo interesse del minore68. Le vicende come quella analizzata sono le più difficili da risolvere, in quanto presuppongo temi che, riguardando la famiglia, sono complessi da affrontare, non solo in ragione della necessità di tutelare la singola situazione concreta, ma anche in virtù delle inevitabili opinioni che contraddistinguono l’essere umano, anche il giudice. Ciò che, forse, dovrebbe essere guardato con maggior attenzione è lo stesso concetto di best interest of the child perché, a volte, esso tende ad essere confuso sia con l’interesse pubblico che con quello dei genitori; non sussiste un diritto alla genitorialità e non si può neanche lontanamente pensare che i figli nati tramite maternità surrogata e fecondazione eterologa possano essere trattati diversamente da quelli procreati naturalmente, quasi fossero delle res. Sono essere umani, essere umani particolarmente vulnerabili che dovrebbero essere oggetto di attenzione primaria sia da parte del legislatore che dei propri genitori e, forse, tali attenzioni dovrebbero indirizzarsi in un’ottica di “diritto alla tranquillità esistenziale” che faccia sì che essi non subiscano le ripercussioni, psicologiche o legali che siano, derivanti dalla decisioni degli adulti. Come è stato correttamente osservato, “l’evoluzione dell’ordinamento può avere un senso però solo se non finisce per anteporre il diritto degli adulti a quello dei minori69”. Susanna Sandulli
68
L’assenza di automatismo pare suffragata anche dal fatto che l’assenza di corrispondenza fra l’identità genetica e l’identità legale costituisce la base della disciplina dell’adozione 69 L. Spina, Nuove famiglie e circolazione dei nuovi status familiari: la risposta del diritto interno tra interesse del minor ed ordine pubblico”, in La famiglia si trasforma: status familiari costituiti all’estero e loro riconoscimento in Italia, tra ordine pubblico e interesse del minore, a cura di G. O. Cesaro, P. Lovati, G. Mastrangelo, cit., 135-136.
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Giurisprudenza Tribunale Modena, sez. II, decretro 3 novembre 2017; Masoni Giudice Tutelare Non necessita dell’amministratore di sostegno chi sperpera il proprio patrimonio senza essere affetto da patologia psichiatrica di sorta, atteso che l’art. 404 c.c. richiede espressamente il riscontro di un’infermità o menomazione psichica.
(Omissis)
prodigalità, cioè un comportamento abituale ca-
Il G.T.
ratterizzato da larghezza nello spendere, nel rega-
sciogliendo la riserva assunta, osserva quanto
lare o nel rischiare, eccessiva rispetto alle proprie
segue:
condizioni socio-economiche ed al valore ogget-
FATTO
tivamente attribuibile al denaro, configura auto-
I. I figli di F. A. nato a (omissis...) il (omis-
noma causa di inabilitazione, ai sensi dell’art. 415
sis...) 1938 e residente a (omissis...) via (omis-
comma 2 c.c., indipendentemente da una sua de-
sis...), hanno chiesto la nomina di a.d.s. a suo
rivazione da specifica malattia o comunque infer-
favore. I ricorrenti hanno evidenziato che il pa-
mità, e, quindi, anche quando si traduca in atteg-
dre, ha dissipato il proprio patrimonio vivendo al
giamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita,
di sopra delle proprie possibilità, “spendendo in
purché sia ricollegabile a motivi futili (ad esempio,
viaggi, serate, donne”. A causa di questa vita di
frivolezza, vanità, ostentazione del lusso, disprez-
eccessi, oggi lo stesso risulta impossidente, vive
zo di coloro che lavorano, dispetto verso vincoli
con una modesta pensione (di Euro 400) in un
di solidarietà familiare)” (Cass., 19 novembre 1986,
appartamento comodatogli dal nipote.
6805, in Giust. civ., 1987, I, 327; in Foro it., 1987,
II. In fatto risulta pacifico che il F., non è af-
I, 823, con nota di Manacorda, La prodigalità e i
fetto da alcuna patologia psichiatrica, né è stato
suoi possibili rapporti con l’infermità psichica. Un
in cura psichiatrica. Il ricorso richiede nomina di
concetto che muta con l’evoluzione storica; in Riv.
a.d.s. a fronte della condizione prodigale della
not., 1987, 360. Nella giurisprudenza di merito,
persona, in quanto “fragile, debole e vittima di
Trib. Catania, 21 novembre 2007, in Giust. civ.,
vizi che la inducono a sperperare ingenti somme
2008, 3027, s.m., con nota critica di Napoli, La pro-
di denaro”.
digalità nell’inabilitazione).
III. In diritto sorge anzitutto spontaneo do-
Secondo invece una più moderna è condi-
mandarsi se la condizione di persona prodigale,
visibile impostazione la prodigalità suppone in
non affetta da vizio di mente, legittimi un provve-
primis la patologia mentale, che espone la per-
dimento limitativo della capacità di agire.
sona al rischio di un danno economico, dato che
A questo riguardo, rileva l’elaborazione giuri-
la sola compromissione del patrimonio familiare
sprudenziale formatasi in materia di prodigalità,
non sarebbe sufficiente a giustificare il provve-
quale causa di inabilitazione della persona (art.
dimento limitativo della capacità di agire. Dato
414,2. comma, c.c.), che in materia era profonda-
che, quando l’attività del soggetto risponde ad
mente divisa.
una consapevole scelta, la sua autonomia non
Un primo orientamento riteneva rilevante ai fine del provvedimento di inabilitazione la c.d. obiettiva prodigalità. In particolare, ribadendo un orientamento risalente nel tempo, secondo cui: “la
potrebbe essere limitata, anche se risulti compromessa la consistenza patrimoniale. Una
corrente
giurisprudenziale
segue
quest’orientamento, insegnando: “la prodigalità,
95
Giurisprudenza
giustificativa dell’inabilitazione della persona a
propri interessi, in quanto il suo comportamento
norma dell’art. 415, comma 2, c.c., ricorre qualo-
è idoneo ad arrecare pregiudizio patrimoniale
ra il ripetersi di spese disordinate, nonché spro-
per effetto del compimento di atti depauperativi.
porzionate alla consistenza patrimoniale della
In quest’ottica si è orientato il Tribunale di
persona medesima, sia ricollegabile non a mera
Modena: “i comportamenti di dilapidazione del
cattiva amministrazione, ovvero incapacità di
proprio patrimonio personale legittimano la no-
impostare e trattare vantaggiosamente i propri
mina di un amministratore di sostegno solo lad-
affare, ma bensì ad una alterazione mentale, che
dove essi espongano a conseguenze dannose le
escluda o riduca notevolmente la capacità di
persone verso cui il beneficiario è responsabile”
valutare il danaro, di risolvere problemi anche
(Trib. Modena, 25 settembre 2006, in Giur. meri-
semplici di amministrazione, di cogliere il pre-
to, 207, 955, con nota di Cendon).
giudizio conseguente allo sperpero delle pro-
V. Fatte queste doverose premesse metodo-
prie sostanze” (Cass., 13 marzo 1980, n. 1680, in
logiche, appare logico ritenere che al prodigo,
Giur. it., 1980, I, 1, 966, con nota di Trabucchi,
il quale sperperi il proprio patrimonio e non sia
L’alterazione mentale nella prodigalità dell’ina-
affetto da patologia psichiatrica di sorta, non è
bilitato. In precedenza, in termini, Cass., 10 feb-
nominabile un amministratore di sostegno, a te-
braio 1968, in Giust. civ., 1968, I, 588; in Giur.
nore dell’art. 404 c.c., dato che la norma espres-
sic., 1968, 779).
samente condiziona la nomina al riscontro di
IV. Quest’ultimo orientamento appare con-
una “infermità o menomazione psichica”. Il ché
divisibile, come la più attenta dottrina non ha
ben si spiega nell’ottica di tutela della persona
omesso di sottolineare, affermando che la limi-
che pervade il nostro ordinamento, secondo una
tazione della capacità di agire dell’individuo può
prospettiva costituzionalmente orientata di pro-
giustificarsi solo in presenza di un’alterazione
tezione della dignità e libertà umana, in tutte le
delle facoltà mentali, cosicché “nessuna coeren-
sue forme e manifestazioni, anche in quella di
te ricostruzione dell’istituto sarebbe possibile al
sperpero.
di fuori dell’equazione: prodigalità= alterazione mentale”.
In sostanza, il comportamento prodigale, di consapevole dilapidazione del proprio patrimo-
Tutto ciò nell’ottica costituzionale, di riconsi-
nio, rientra in una sfera di libertà dell’uomo che
derazione della persona umana, del rispetto della
l’ordinamento non può e non deve comprime-
dignità dell’uomo e del divieto di discriminazione
re, pena la riemersione di una concezione dello
della persona per condizioni personali o scelte
Stato etico; per quanto l’esercizio di tale pretesa
di vita da essa emergenti, che imporrebbe una
libertà economica sia eticamente e socialmente
profonda revisione della concezione tradizionale
censurabile e vada censurata, laddove induca al-
dell’inabilitazione per prodigalità.
lo sperpero ed alla dilapidazione patrimoniale.
D’altro canto, se la prodigalità ex art. 415,
VI. Conclusivamente, sul punto, quindi, al F.,
capoverso, c.c., è una malattia mentale, per lo-
in quanto persona non menomata psichicamente,
gica concatenazione, al prodigo può essere no-
per quanto prodiga, non può essere nominato
minato un amministratore di sostegno col potere
un a.d.s.
di limitare l’assunzione delle obbligazioni e di
P.Q.M.
fissare un limite massimo di spesa (art. 405 c.c.),
rigetta il ricorso.
laddove la persona non sia in grado di curare i
Modena, 3 novembre 2017.
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Valerio Brizzolari
Limitazione della capacità di agire e prodigalità obiettiva* Sommario : 1. Il caso in esame. – 2. Definizione di prodigalità e questioni aperte. – 3. La decisione del Tribunale nel quadro degli attuali orientamenti giurisprudenziali e dottrinali. – 4. Conclusioni.
The case brought to the attention of the Court of Modena arises from the judgement of interdiction against an elderly man, who dissipated his entire patrimony and is now living in poverty. His relatives bring the matter to Court in order to obtain the appointment of a guardian, whose role would be preventing the man from further dissipating his fortune. The Court, however, dismisses their request, because the spendthrift was not affected by any mental disorder. Art. 404 of the Italian civil code confirms that the person who is going to be interdicted under such accusations must suffer from a mental or a physical disorder. In the case at hand, the man was of sound mind. The Judge firmly states that no one can be deprived of one’s legal capacity to administrate one’s personal patrimony, even in cases of prodigality. This would be considered, according to verdict of the Court of Modena, as an unfair constraint imposed on a person’s private autonomy.
1. Il caso in esame. Il provvedimento del Tribunale di Modena che qui si esamina costituisce una delle poche pronunce in tema di limitazione della capacità d’agire a causa della prodigalità. Questa condizione dell’individuo riguarda tanto l’inabilitazione quanto l’amministrazione di sostegno; tuttavia, al di là della scelta di ricorrere all’una o all’altra, necessariamente imposta dalle circostanze del caso concreto, la prodigalità continua a porre numerosi problemi comuni a entrambe, come testimonia il contrasto giurisprudenziale – del quale si darà conto più avanti –, che, a quanto consta, risulta tuttora aperto. Si deve premettere che l’interesse per l’argomento, nonostante la scarsa applicazione dell’istituto, è rimasto costantemente vivo, soprattutto in dottrina1, ed è tornato in
* 1
Il contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima. I contributi che hanno ad oggetto esclusivamente la prodigalità sono una minoranza rispetto a quelli che affrontano l’argomento, più in generale, in occasione dell’interdizione e dell’inabilitazione. Si segnalano, a questo proposito, M. Tescaro, voce Amministrazione di sostegno, in Dig. IV, disc. priv., sez. civ., agg. III, 1, Torino, 2007, 9 ss.; R. Pescara, Tecniche privatistiche
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Giurisprudenza
auge quando il legislatore ha introdotto l’amministrazione di sostegno di cui agli artt. 404 ss. c.c. La prodigalità, quale causa limitativa della capacità del soggetto, risulta di difficile inquadramento nel sistema dell’incapacità in generale, poiché, come sembrerebbe potersi desumere dall’art. 415, comma 2, c.c., essa costituisce presupposto autonomo di tale limitazione, non necessariamente collegata a una patologia mentale. Tralasciando però per un momento la ratio e i requisiti per far ricorso all’istituto, sui quali si tornerà brevemente più avanti, si pongono, tra le tante, alcune questioni non strettamente giuridiche, relative alla possibilità di liberarsi scientemente e consapevolmente di tutto il patrimonio, indipendentemente dallo scopo che si intende perseguire (che sia frivolo o benefico). Gli estremi entro i quali muoversi – sia consentita la generalizzazione – potrebbero così rappresentarsi: da un lato, la totale autonomia del soggetto, che può disporre illimitatamente dei propri averi, sino a ridurre sé stesso e i suoi familiari all’inopia; dall’altro, il controllo dello Stato, che, per evitare di far gravare il prodigo oramai nullatenente sulla collettività, lo priva della capacità d’agire e dispone, in taluni casi, l’annullamento dei suoi atti, persino quelli posti in essere prima che sia iniziato il procedimento per l’inabilitazione2. Si deve ricordare che l’inabilitazione per prodigalità, risalente già al diritto romano, era prevista anche dai codici civili ottocenteschi, concepiti, come noto, nel secolo del c.d. laissez faire, ovvero in un’epoca nella quale qualunque sindacato dell’ordinamento sulle scelte del singolo era, a dir poco, osteggiato. Essa rappresenta però una costante nelle codificazioni di quel tempo3, a riprova del fatto che, contrariamente a quanto accade ora,
e istituti di salvaguardia dei disabili psichici, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 2a ed., IV, 3, Torino, 1997, 797; G. Rampazzi Gonnet, voce Procedimento di interdizione e inabilitazione, in Dig IV, disc. priv., sez. civ., XVI, Torino, 2009, 583 ss.; E.V. Napoli, L’infermità di mente, l’interdizione, l’inabilitazione, in Il Codice Civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, 2a ed., sub art. 415, Milano, 1995, 73 e ss.; Id., Inabilitazione per prodigalità e tutela della persona umana, in Riv. dir. civ., 1981, 279 ss.; M. Portigliatti Barbos, voce Prodigalità, in Dig. IV, disc. pen., X, Torino, 1995, 245 ss.; M. Fabbrocini Cardillo, In tema di inabilitazione per prodigalità, in Riv. not., 1988, 165 ss.; P. Forchielli, Dell’infermità di mente, dell’interdizione, dell’inabilitazione, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, sub art. 415, Bologna-Roma, 1988, 16 e ss.; A. Trabucchi, L’alterazione mentale nella prodigalità dell’inabilitando, in Giur. it., 1980, I, c. 966 ss.; F. Scardulla, voce Inabilitazione, in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 841. 2 Esemplificativo pare, a questo proposito, il disposto dell’art. 776, comma 2, c.c., secondo il quale il curatore dell’inabilitato per prodigalità può chiedere l’annullamento delle donazioni, anche se fatte nei sei mesi anteriori all’inizio del giudizio d’inabilitazione. 3 Il Codce civil francese, nella sua versione originale, prevedeva, all’art. 513, che “Il peut être défendu aux prodigues de plaider, de transiger, d’emprunter, de recevoir un capital mobilier et d’en donner décharge, d’aliéner, ni de grever leurs biens d’hypothèques, sans l’assistance d’un conseil qui leur est nommé par le tribunal”. Questa formulazione è ripresa tale e quale dall’art. 436 del codice per il Regno delle Due Sicilie del 1836. Il codice civile estense del 1852 dedica addirittura un intero titolo (il quarto, della parte terza, del primo libro) alla tutela dei prodighi, con gli artt. da 224 a 228; vi sono poi numerose altre disposizioni che si riferiscono a questa condizione, compreso l’art. 195, che la definisce come lo “sconsigliato scialacquamento e dispendio delle proprie sostanze”. Non meno sofisticato è il codice civile per gli stati parmensi del 1820, il quale, come il precedente, riserva all’argomento gli artt. da 186 a 190, che costituiscono il titolo terzo della parte terza del libro sulle persone. Quanto al codice civile del Regno Lombardo– Veneto del 1811, si segnala, tra i tanti, il § 237, secondo il quale “Come prodigo deve dichiararsi dal giudice quello che, sulla fattagli insinuazione e sulle informazioni assunte, risulta manifestamente che dilapida inconsideratamente le sue sostanze, e coll’aggravarsi di debiti sconsigliatamente o sotto dannose condizioni espone sè o la sua famiglia a futura inopia”. Infine, il Codice Pisanelli, all’art.
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Valerio Brizzolari
come testimoniato anche dal provvedimento in esame, essa non era intesa come una forma di controllo sul merito delle scelte compiute dall’inabilitando, ma, piuttosto, quale metodo di conservazione del patrimonio familiare, al pari di altri noti istituti del diritto successorio e della filiazione. È utile, a questo proposito, ripercorrere brevemente i fatti del caso portato all’attenzione del Tribunale di Modena, poiché la vicenda rappresenta, per dir così, un caso di scuola. Un soggetto, non affetto da alcuna patologia psichiatrica, ha dilapidato l’intero suo patrimonio e vive in stato d’indigenza. I figli si rivolgono al Tribunale, per chiedere la nomina di un amministratore di sostegno, a fronte della condizione prodigale del genitore, peraltro molto anziano. Il Giudice modenese ha dovuto risolvere una questione solo apparentemente semplice, giacché, come appena visto, il prodigo non soffriva di alcuna malattia ed era perfettamente capace di intendere e di volere. La presenza di un’infermità o una menomazione psichica avrebbe, in un certo senso, agevolato il compito del Tribunale, in quanto la tendenza allo sperperio sarebbe stata “assorbita” appunto dalla malattia. Il provvedimento in esame, seppur brevemente, mette in luce il contrasto giurisprudenziale relativo alla prodigalità obiettiva, ovvero quella indipendente e non derivante da un’infermità. Valorizzando il profilo dell’autonomia privata, letto anche attraverso il dettato costituzionale, il Giudice ritiene di non nominare un amministratore di sostegno, in quanto “il comportamento prodigale, di consapevole dilapidazione del proprio patrimonio, rientra in una sfera di libertà dell’uomo che l’ordinamento non può e non deve comprimere, pena la riemersione di una concezione dello Stato etico”. Senza voler esprimere un giudizio sulla soluzione adottata, peraltro sorretta da pertinenti richiami alle massime della Suprema Corte – benché non sempre uniformi sul punto –, la pronuncia modenese offre l’occasione per “fare il punto” sulla prodigalità quale causa di limitazione della capacità d’agire.
2. Definizione di prodigalità e questioni aperte. Non è un caso che la maggior parte dei contributi – per non dire la totalità – della dottrina si apra con l’illustrazione (talvolta sotto forma di vero e proprio elenco4) delle questioni aperte sulla causa d’inabilitazione in esame5. Si potrebbe forse affermare che su pochi argomenti c’è una tale divergenza di vedute e opinioni.
339, stabiliva l’inabilitazione per il prodigo. Il riferimento è a M. Portigliatti Barbos, voce Prodigalità, cit., 247. 5 V. per tutti E.V. Napoli, op. loc. cit. 4
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Giurisprudenza
Movendo dalla definizione del fenomeno, salvo un caso isolato6, i legislatori moderni non hanno mai delineato i caratteri della prodigalità; molto probabilmente in quanto il suo significato è, almeno nei suoi tratti essenziali, già noto e acquisito nel comune sentire. Essa, difatti, è normalmente ravvisata in tutti quei comportamenti caratterizzati dallo sperperio delle proprie sostanze, spesso, ma non necessariamente, per inseguire frivolezze o per ostentare e, in ogni caso, deve trattarsi, almeno nel significato recepito comunemente, di un’attitudine che presenti il carattere della ricorrenza: in breve, la dissipazione, mediante atti reiterati, del patrimonio7. Il comma 2 dell’art. 415 c.c. non si discosta dai precedenti storici, non definendo la condizione di prodigalità. Seppur con qualche sfumatura, sia in dottrina che in giurisprudenza si concorda sulla predetta definizione. Occorre però segnalare che il consenso si esaurisce e termina al significato anzidetto, mentre sulle restanti questioni si registrano numerosi contrasti. La questione più rilevante, sulla quale s’è pronunciato anche il Tribunale di Modena e che vede ancora una netta divisione, riguarda senza dubbio il collegamento tra la prodigalità e l’infermità mentale. Prima di illustrare le tesi contrapposte sul punto, è doveroso ricordare la formulazione dell’art. 415, comma 2, c.c., il quale colloca l’ipotesi della prodigalità all’infuori dell’infermità di mente, prevista invece al comma precedente, sempreché si traduca in un pregiudizio economico per il soggetto o per la sua famiglia. Proprio dalla suddetta formulazione, taluno ha ravvisato l’autonomia della condizione in esame dall’infermità o malattia di mente. In breve, secondo una prima tesi, l’interdizione per prodigalità sarebbe possibile anche in assenza di una patologia propriamente detta. Diversamente, si è fatto notare, non si potrebbe spiegare la scelta del legislatore di separare in due commi distinti le ipotesi in esame8. Sul versante opposto si collocano, invece, coloro che ravvisano possibile la limitazione della capacità solo qualora la prodigalità sia conseguenza di una malattia. Movendo dal presupposto che l’inabilitazione, nel caso di specie, mira alla salvaguardia dell’individuo, ma che tale salvaguardia deve rispettare la sua libertà, la compressione della capacità d’agire si è detto essere am-
6
V. retro nota 3, ovvero l’art. 195 c.c. estense del 1852. Si riporta di seguito, poi, la nota distinzione tra prodighi e generosi, che si attribuisce a Cicerone, De Officiis, II, 16, 55, 56: “Omnino duo sunt genera largorum, quorum alteri prodigi, alteri liberales: prodigi qui epulis et viscerationibus et gladiatoribus muneribus, ludorum venationumque apparatu pecunias profundunt in eas res, quarum memoriam aut brevem aut nullam omnimodo sint relicturi; liberales autem qui suis facultatibus aut captos a praedonibus redimunt, aut aes alienum suscipiunt amicorum, aut in filiarum collocatione adimunt, aut opitulantur vel in re quaerenda vel augenda”. Il passo è riportato in G. Orlandi, voce Interdizione e inabilitazione (diritto e proc. civile), in Digesto it., XIII, I, Torino, 1927, 1311, al quale si rinvia per altri riferimenti storici, in particolare al diritto romano. Sempre sull’argomento si segnala A. Audibert, Essai sur l’histoire de l’interdiction et de curatelle des prodigues en droit romain, in Nouv. Rev. Hist. Droit Francais & Etranger, 1890, 35 e ss. 7 Per un’esaustiva illustrazione dei possibili significati del termine e dei sinonimi comunemente impiegati, v. ancora M. Portigliatti Barbos, voce Prodigalità, cit., 246. Definisce il fenomeno sostanzialmente nello stesso senso G. Rampazzi Gonnet, voce Procedimento di interdizione e inabilitazione, cit., 584. In giurisprudenza, invece, si segnala Cass., 3 dicembre 1988, n. 6549, in Foro it., Rep. 1989, voce Interdizione, n. 13, secondo cui la prodigalità contemplata dall’art. 415, comma 2, c.c. quale causa di inabilitazione esprime una tendenza allo sperpero, per incapacità di apprezzare il valore del denaro, per frivolezza, vanità od ostentazione. 8 Per questa ricostruzione v. P. Forchielli, Dell’infermità di mente, dell’interdizione, dell’inabilitazione, cit., 17. Nello stesso senso F. Scardulla, voce Inabilitazione, cit., 844 ss.
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missibile solo quando, in virtù di un’alterazione mentale, costui non sia più in grado di valutare le proprie scelte9. In breve, assumerebbe rilevanza solo la prodigalità, per dir così, “patologica”. Tra le due posizioni appena ricordate, è possibile individuare una terza via, rappresentata da chi ha negato che sia necessario accertare l’infermità di mente vera e propria del prodigo e, al contempo, ha però affermato che l’habitus del soggetto deve essere ricollegabile a un disturbo della personalità; in altri termini, la personalità dell’inabilitando sarebbe da inquadrarsi in una “zona grigia”, tra malattia conclamata e “sicura normalità dei processi mentali”10. In giurisprudenza, così come in dottrina, si rinvengono orientamenti contrastanti. Così la Cassazione ha dapprima affermato che la prodigalità, giustificativa dell’inabilitazione della persona, ricorre qualora il ripetersi di spese disordinate sia ricollegabile a un’alterazione mentale11; per poi stabilire, invece, che essa costituisce autonoma causa di inabilitazione, a prescindere dall’infermità di mente12. Si segnala, in ogni caso, che una recente pronuncia della Suprema Corte ha aderito a quest’ultimo orientamento13. Una seconda questione riguarda il fine del comportamento, ovvero il proposito che il prodigo intende perseguire mediante lo spreco del danaro. Se tutti concordano sul fatto che la frivolezza e la futilità delle spese siano senza dubbio da sanzionare giuridicamente, oltreché moralmente, con l’inabilitazione, più discusso è il caso della prodigalità c.d. motivata, come, ad esempio, quella di un benefattore o un mecenate. Sotto la vigenza del Codice Pisanelli, si tendeva a escludere che le spese connotate da lodevolezza e nobiltà nello scopo potessero condurre a una limitazione della capacità14. La tesi trova ancora adesioni in dottrina15, anche se non si è mancato di rilevare come essa rischi di esporre l’inabilitazione ad apprezzamenti soggettivi, che potrebbero persino rivelarsi arbitrari16.
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E.V. Napoli, L’infermità di mente, l’interdizione, l’inabilitazione, cit., 103, afferma decisamente che “nessuna coerente ricostruzione dell’istituto è possibile al di fuori dell’equazione: prodigalità = alterazione mentale”. V. inoltre C.M Bianca, Diritto civile, I, 2a ed., Milano, 2002, 263, che discorre di “impulso patologico”. Aderisce a questa tesi anche A. Bulgarelli, Prodigalità: inabilitazione o amministrazione di sostegno?, in Giust. civ., 2008, 9, 2038. 10 Si esprime in questi termini R. Pescara, Tecniche privatistiche e istituti di salvaguardia dei disabili psichici, cit., 801. Si deve però segnalare che l’Autore medesimo sembra essere conscio delle “difficoltà” della tesi da lui presentata. Non a caso, egli discorre di “uno spazio […] assai angusto” e di “zona grigia”, relativamente all’accertamento della personalità del prodigo e del suo comportamento, diverso dai normali processi mentali. 11 Cass., 13 marzo 1980, n. 1680, in Giur. it., 1980, I, 1, 966. 12 Cass., 19 novembre 1986, n. 6805, in Foro it., 1987, I, 823, con nota di A. Manacorda. 13 Cass., 13 gennaio 2017, n. 786, in Foro it., 2017, 4, I, 1302, secondo cui la prodigalità, cioè un comportamento abituale caratterizzato da larghezza nello spendere in maniera eccessiva rispetto alle proprie condizioni socio-economiche e al valore oggettivamente attribuibile al denaro, configura autonoma causa di inabilitazione, indipendente da una specifica malattia o infermità, e, quindi, può tradursi anche in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita. 14 Affermava G. Orlandi, voce Interdizione e inabilitazione (diritto e proc. civile), cit., 1329, che è compito del giudice valutare, avendo riguardo alla complessiva situazione individuale e familiare del prodigo, se una data spesa apporti una qualche utilità al soggetto. L’Autore escludeva perciò che al ricorrere di una finalità “giuridicamente lecita e moralmente ammirevole” si potesse addivenire all’inabilitazione. 15 Si consideri, ad esempio, la distinzione proposta da P. Forchielli, Dell’infermità di mente, dell’interdizione, dell’inabilitazione, cit., 20, secondo cui il discrimine tra il soggetto da inabilitare e quello da non inabilitare può essere rintracciato nel “carattere motivato o non motivato” della condotta prodiga. 16 R. Pescara, Tecniche privatistiche e istituti di salvaguardia dei disabili psichici, cit., 800.
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Quanto al dettato legislativo, nell’art. 415 c.c. non v’è traccia di elementi che possano anche solo minimamente giustificare un sindacato sul merito dei fini perseguiti; d’altra parte, la stessa disposizione discorre solamente di “pregiudizio economico”, che ben può essere provocato da spese motivate. L’espressione, pur nella sua genericità, àncora la pronuncia d’inabilitazione a un dato tutto sommato oggettivo, che andrà ovviamente valutato nel caso concreto. Difatti, come è stato giustamente affermato, la soluzione non va ricercata in “prospettive metagiuridiche” sui fini perseguiti, bensì nel dovere d’ogni cittadino d’assicurarsi un tenore di vita adeguato e di non porsi volontariamente nella miseria e nella necessità di ricorrere alla pubblica assistenza17.
3.
La decisione del Tribunale nel quadro degli attuali orientamenti giurisprudenziali e dottrinali.
Dopo aver richiamato alcuni precedenti della Suprema Corte, il Tribunale perviene alla conclusione di non nominare l’amministratore di sostegno per il soggetto prodigo, perfettamente capace di intendere e di volere. In primo luogo, si deve ricordare che l’art. 404 c.c. si apre con il riferimento a “una infermità ovvero […] una menomazione fisica o psichica”, per cui, a rigore, se si volesse accedere alla tesi secondo la quale la prodigalità è causa autonoma d’inabilitazione e non costituisce una vera e propria patologia mentale o appunto fisica, ma solo un’“abitudine” allo spreco, si dovrebbe concludere che tale istituto non possa essere applicato ai soggetti prodighi mentalmente sani. Non a caso, da più parti è stato affermato che la prodigalità, di per sé, ovvero qualora non sia conseguenza di una specifica situazione psicopatologica, non costituisce ragione per la nomina di un amministratore di sostegno18. Nell’esperienza pratica, in ogni caso, si rinvengono comunque applicazioni della figura a soggetti tendenti allo sperperio del patrimonio. Soprattutto nella giurisprudenza di merito, si è fatto ricorso all’amministrazione di sostegno per limitare la capacità dell’individuo prodigo19; lo stesso Tribunale modenese è intervenuto in questo senso almeno in due precedenti occasioni20.
17
Condivisibili sono le parole di F. Scardulla, voce Inabilitazione, cit., 845. Per tutti G. Bonilini, Tutela delle persone prive d’autonomia e amministrazione di sostegno, in G. Bonilini, A. Chizzini, L’amministrazione di sostegno, 2a ed., Padova, 2007, 71. Si veda anche, negli stessi termini, S. Delle Monache, Prima note sulla figura dell’amministrazione di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova giur. civ. comm., 2004, 38. Sul rapporto tra amministrazione di sostegno e prodigalità v. inoltre A. Bulgarelli, Prodigalità: inabilitazione o amministrazione di sostegno?, cit., 2039 ss. 19 Secondo Trib. Napoli, 3 luglio 2006, in Corr. merito, 2006, 8-9, 985, non deve disporsi l’inabilitazione per prodigalità, bensì nominarsi - anche in via provvisoria da parte del giudice del procedimento di inabilitazione - un amministratore di sostegno, allorché si accerti che le patologie di cui l’inabilitando è affetto non ne inficiano le capacità cognitive, ma incidono negativamente sulla gestione della vita quotidiana da parte dell’inabilitando medesimo. Nel caso esaminato dal Tribunale era stato accertato che la sparizione di gran parte delle risorse economiche dell’inabilitanda era dipeso da un abuso del rapporto di fiducia da parte della c.d. dama di compagnia. 20 Trib. Modena, 20 marzo 2008, in Giust. civ., 2008, 9, I, 2037, secondo cui può nominarsi un amministratore di sostegno a beneficio di un soggetto che tenda ad accumulare ingenti debiti per ragioni di prodigalità e dedizione al gioco. Coeva è Trib. Modena, 20 febbraio 18
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La Cassazione, invece, non sembra incline a ravvisare nel suddetto istituto il più adeguato rimedio per la protezione del soggetto in analisi, se affetto anche una patologia. In un precedente abbastanza recente, nel quale è stato esaminato il caso di un anziano con capacità psichiche e intellettive ridotte a causa della malattia e dell’età, è stato affermato che, pur presentando l’amministrazione di sostegno una maggiore flessibilità e agilità rispetto all’istituto della interdizione, e pur ritenendo l’interdizione ormai del tutto residuale, da adottarsi esclusivamente alla stregua del criterio della sua maggiore idoneità ad adeguarsi alle esigenze del beneficiario, essa è preferibile qualora egli sia ancora titolare di un cospicuo e vario patrimonio immobiliare e mobiliare, richiedente, per la sua migliore conservazione e per la sua utile gestione, l’opera di un tutore e non l’applicazione dell’art. 405, comma 5, nn. 3 e 4, c.c.21. Quanto al rapporto tra prodigalità e amministrazione di sostegno, il decreto in esame ha fatto rigorosa applicazione dell’art. 404 c.c. Nel provvedimento difatti si legge che “appare logico ritenere che al prodigo, il quale sperperi il proprio patrimonio e non sia affetto da patologia psichiatrica di sorta, non è nominabile un amministratore di sostegno, […] dato che la norma espressamente condiziona la nomina al riscontro di una “infermità o menomazione psichica”. Tale affermazione si basa evidentemente sul presupposto che la prodigalità, in sé e per sé, non sia necessariamente una malattia mentale, bensì la conseguenza di altra patologia o alterazione psichica. In breve – almeno così parrebbe orientato il Tribunale – al prodigo sano di mente non si può limitare la capacità d’agire, diversamente da quello “malato”. Senza addentrarsi sulla questione, alla quale si può solo accennare in questa sede, se la prodigalità sia o no una malattia propriamente detta, il Giudice sembrerebbe però essere incorso in una contraddizione, almeno nello sviluppo della motivazione, giacché successivamente afferma che “d’altro canto, se la prodigalità ex art. 415, capoverso, c.c., è una malattia mentale, per logica concatenazione, al prodigo può essere nominato un amministratore di sostegno col potere di limitare l’assunzione delle obbligazioni e di fissare un limite massimo di spesa (art. 405 c.c.), laddove la persona non sia in grado di curare i propri interessi, in quanto il suo comportamento è idoneo ad arrecare pregiudizio patrimoniale per effetto del compimento di atti depauperativi”. Ma allora, se essa è una patologia, non è ben chiaro come la “sanità di mente” e il comportamento prodigale possano coesistere (come accaduto nel caso di specie).
2008, in Giurisprudenza locale - Modena 2008. La prodigalità, ha stabilito il Tribunale, quando assuma natura e carattere patologico, giustifica il ricorso all’amministrazione di sostegno, sempreché i comportamenti di dilapidazione espongano a conseguenze dannose le persone verso cui il beneficiario è responsabile La fattispecie ha riguardato una madre venticinquenne di un bambino di due anni nato da una relazione occasionale, la quale aveva sottoscritto diversi contratti di finanziamento a esclusivo favore di persone cui era legata affettivamente – ex fidanzato e sorella – senza tuttavia rendersi conto degli effetti pregiudizievoli che tali atti comportavano a carico suo e del figlio, giacché la stessa era titolare di un già modesto reddito da lavoro dipendente. Il Tribunale, al fine evitare e prevenire il ripetersi di sottoscrizioni di contratti depauperativi per il suo patrimonio, le ha nominato quale amministratore di sostegno una persona estranea all’ambiente familiare. 21 Si tratta di Cass., 26 luglio 2013, n. 18171, in Dir. fam. e pers., 2014, 1, 64. Evidentemente, date le circostanze del caso concreto, la prodigalità del soggetto è stata “assorbita” dalla patologia mentale, per la quale è stato ritenuto opportuno nominare un tutore.
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Una possibile lettura alternativa del precedente passaggio potrebbe essere quella per cui, sempre secondo il Tribunale, l’unica prodigalità rilevante ex art. 415 c.c. è quella “patologica”. A leggere quest’ultima disposizione, tuttavia, non sembrano però ricorrere elementi che possano giustificare tale interpretazione; tanto è vero che la norma sull’inabilitazione richiede solo la ricorrenza di “gravi pregiudizi economici”. Sul punto, il decreto in esame ha accolto in toto un orientamento dottrinale, riportandone persino testualmente alcuni passaggi22, il quale, per superare l’obiezione relativa alla separazione tra le previsioni dell’infermità mentale e della prodigalità nei commi dell’art. 415 c.c., valorizza il profilo dell’autonomia individuale e la tutela della persona umana, potendosi limitare la prima esclusivamente al ricorrere di una patologia. In altri termini, nel condivisibile proposito di evitare giudizi sul merito delle spese compiute dal prodigo, s’afferma che egli è sottoponibile a una limitazione della capacità se e solo in quanto affetto da una qualche malattia mentale. Si deve convenire sul fatto che l’inabilitazione di cui all’art. 415, comma 2, c.c. prescinde da qualunque valutazione sullo scopo, frivolo o nobile, perseguito dal prodigo; meno condivisibile, invece, sembra ridurre tutto all’equazione “prodigalità = alterazione mentale”. Si è già osservato in precedenza23 come questa lettura vanifichi la disposizione da ultimo richiamata. In primo luogo, poiché mal si concilia con le differenti previsioni dell’inabilitazione per infermità fisica o mentale (I comma) e per prodigalità, abuso d’alcol o stupefacenti (II comma), per cui queste ultime risulterebbero inevitabilmente assorbite nella prima; in secondo luogo, in quanto tralascia quello che pare essere l’elemento decisivo, ovvero il pregiudizio patrimoniale per l’individuo medesimo o i familiari. Comunemente si riconduce l’inabilitazione per prodigalità, alcoldipendenza e tossicodipendenza alla tutela del “vizio”24, o alla prevenzione di un’“irrefrenabile tendenza a un’azione dannosa”25. La collocazione di queste ipotesi, regolate immediatamente dopo l’infermità mentale, molto probabilmente influisce sul modo nel quale generalmente vengono intese, ovvero, appunto, come “sottospecie” o “varianti” dell’ipotesi di cui al comma I dell’art. 415 c.c., come fossero, tutto sommato, anch’esse delle “patologie”, almeno ai fini della pronuncia d’inabilitazione. Sennonché è la stessa legge a subordinare l’inabilitazione, nelle ipotesi in esame, alla ricorrenza di un pregiudizio economico per il soggetto o per la sua famiglia. Se ne dovrebbe dedurre, dunque, che l’individuo, per quanto prodigo o dipendente dal consumo d’alcol o stupefacenti, in assenza della prospettiva d’indigenza, non possa essere inabilitato, a meno che non risulti affetto da una menomazione psichica, magari conseguenza dell’abuso di dette sostanze.
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Non si possono non notare le parole di E.V. Napoli, op. loc. cit., all’inizio del punto IV del decreto. Per un’applicazione giurisprudenziale della tesi che identifica la prodigalità in una patologia, v. Cass., 13 marzo 1980, n. 1680, cit. 23 V. retro par. 2. 24 P. Forchielli, Dell’infermità di mente, dell’interdizione, dell’inabilitazione, cit., 19. 25 E.V. Napoli, L’infermità di mente, l’interdizione, l’inabilitazione, cit., 106.
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La giusta prospettiva dalla quale osservare l’istituto non pare né quella del sindacato sugli scopi perseguiti dal prodigo, né quella del discrimine tra prodigalità “patologica” o obiettiva, bensì unicamente la via del pregiudizio economico al quale il prodigo espone sé stesso o i suoi familiari. Come è stato giustamente affermato, la formula dell’art. 415, comma 2, c.c. certamente si riferiva al pregiudizio inteso quale dispersione della ricchezza, nell’ottica della conservazione del patrimonio familiare26, con lo stesso intento, ad esempio, sia consentita la generalizzazione, della filiazione legittima. Al giorno d’oggi, tuttavia, si impone un ripensamento circa la funzione dell’istituto, il quale, anziché mirare alla conservazione del patrimonio familiare, pare piuttosto tendere, innanzitutto, alla protezione del soggetto medesimo e, poi, dei suoi familiari, che da costui economicamente dipendono. Il riferimento non può che essere a quei soggetti indicati dalla legge come destinatari di un diritto al mantenimento, ovvero il coniuge (art. 143 c.c.) e i figli (artt. 147 e 315-bis c.c. e 30 Cost.)27. la prospettiva non muterebbe nel caso in cui il prodigo non avesse familiari. Senza volersi addentrare sul terreno accidentato della discussione circa il valore del danaro, dei risparmi e della libertà di ciascuno di disporre come meglio ritiene del proprio patrimonio28, è opportuno sottolineare che ridursi volontariamente all’inopia mediante lo sperpero non dovrebbe essere, come invece affermato dal Tribunale di Modena29, una manifestazione dell’autonomia privata non suscettibile di limitazione. In primo luogo, volendo circoscrivere il discorso al solo pregiudizio patrimoniale – unico indice offerto dall’art. 415, comma 2, c.c. –, colui che scientemente si libera, indipendentemente dallo scopo, del proprio patrimonio, inevitabilmente perde la propria autonomia e dignità. Costui, difatti, andrà a gravare o sui congiunti verso i quali può pretendere gli alimenti30, o sulla collettività; in ogni caso, essendo rimesso e vincolato al “mantenimento” altrui. In secondo luogo, lo spreco volontario del patrimonio dovrebbe essere causa d’inabilitazione anche in assenza di una patologia31, in quanto ciascuno “ha,
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Secondo R. Pescara, Tecniche privatistiche e istituti di salvaguardia dei disabili psichici, cit., 796, quella della conservazione del patrimonio familiare è stata l’ideologia che per secoli ha dominato (e giustificato) l’interdizione per prodigalità. L’affermazione trova conferma nella Relazione al Re, nella quale si legge, al punto 206, che “la prodigalità […] è presa in considerazione […] in rapporto a chi con lo sperpero minacci di rovinare la famiglia”. 27 Tra le tante ricostruzioni proposte, quella di R. Pescara, Tecniche privatistiche e istituti di salvaguardia dei disabili psichici, cit., 802 pare essere la più condivisibile. L’Autore giustamente propone di circoscrivere la valutazione del pregiudizio economico, rilevante ai fini dell’inabilitazione, alle ipotesi di condotta prodigale che potrebbero ledere le aspettative dei soggetti legati da vincoli di solidarietà familiare, vincoli che sono sottratti all’autonomia dell’individuo. Pare aderire a questa ricostruzione, seppur con una posizione più sfumata, anche G. Lisella, Gli istituti di protezione dei maggiori di età, in Trattato di diritto civile del consiglio nazionale del notariato, diretto da P. Perlingieri, II, 1, Persona fisica, Napoli, 2012, 343. 28 In ogni caso, numerose disposizioni costituzionali parrebbero quantomeno “sconsigliare” uno spreco sconsiderato delle proprie sostanze. Si vedano, a titolo meramente esemplificativo, gli artt. 1, 4, comma 2, e 47 Cost. 29 Nella parte finale del provvedimento si legge che l’art. 404 c.c. ha subordinato la nomina di un amministratore di sostegno al prodigo solo al ricorrere di una patologia, “secondo una prospettiva costituzionalmente orientata di protezione della dignità e libertà umana, in tutte le sue forme e manifestazioni, anche in quella di sperpero”. 30 Già all’epoca di G. Orlandi, voce Interdizione e inabilitazione (diritto e proc. civile), cit., 1330 si riconosceva l’interesse dei parenti all’inabilitazione del prodigo per evitare che, una volta esaurite le proprie sostanze, costui si rivolgesse a loro per domandare gli alimenti. 31 In giurisprudenza (Cass., 3 dicembre 1988, n. 6549, cit.) è stato escluso che l’inettitudine agli affari coincida con la prodigalità e che
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nei confronti della collettività, (il dovere) di assicurarsi un tenore di vita adeguato senza porsi in condizioni di volontaria miseria e nella necessità di dovere ricorrere alla pubblica assistenza e, nel contempo, nella tutela dell’aspettativa dei familiari”32. In breve, alla perdita del patrimonio e all’indigenza consegue necessariamente la perdita della propria autonomia. Non si tratta, dunque, di sindacare le scelte consapevoli di un soggetto dedito allo spreco e sottoporlo a un giudizio di valore, ma, più semplicemente, di evitare che costui si sottragga a doveri che gli sono imposti dalla legge. Si possono rinvenire alcune disposizioni dalle quali desumere una corrispondenza tra (un minimo di) autosufficienza economica e libertà. Si vedano, a titolo meramente esemplificativo, l’art. 210, comma 2, c.c., che vieta in ogni caso ai coniugi di includere nella comunione convenzionale i beni c.d. personalissimi (lett. c), d) ed e) dell’art. 179 c.c.) e l’art. 545 c.p.c., relativamente ai crediti impignorabili. Inoltre, non si possono tralasciare quei doveri inderogabili di natura economica verso i familiari o verso la collettività. Sempre a titolo meramente esemplificativo, si segnalano l’art. 160 c.c. e l’art. 316-bis c.c. Se tali obblighi sono inderogabili, non è ben chiaro per quale ragione taluno possa, nel caso in cui si volesse condividere l’impostazione del Tribunale modenese, sottrarsi volontariamente ad essi, mediante la sregolatezza nelle spese e non subire una limitazione della capacità; limitazione evidentemente imposta per evitare che perseveri nello spreco e dunque sottragga risorse a coloro che hanno un’aspettativa nei suoi confronti. Allo stesso modo, non risulta ben chiaro per quale ragione “secondo una prospettiva costituzionalmente orientata di protezione della dignità e libertà umana, in tutte le sue forme e manifestazioni, anche in quella di sperpero” – così il Tribunale nel decreto in esame – taluno possa vivere al di sopra delle proprie possibilità sino a ridursi volontariamente all’indigenza e poi pretendere d’essere “mantenuto” dai soggetti che gli devono gli alimenti o persino dalla collettività33.
4. Conclusioni. La decisione del Tribunale di Modena, come visto, ha aderito a una particolare ricostruzione dell’inabilitazione per prodigalità, secondo la quale quella obiettiva, ovvero non “patologica”, non rileva ai fini della limitazione della capacità. Si deve riconoscere che il provvedimento è stato sicuramente preceduto da uno studio approfondito della questione, come dimostrano i richiami alla dottrina e alla giurisprudenza della Suprema Corte. Tuttavia, il Giudice non sembra aver tenuto conto un recente
possa motivare la pronuncia d’inabilitazione. Allo stesso modo, secondo Trib. Milano 18 settembre 1980, in Dir. famiglia, 1981, 179, la trasformazione del patrimonio all’insaputa di tutti i familiari non configura l’ipotesi di prodigalità. 32 Si esprime in questi termini F. Scardulla, op. loc. cit. 33 Proprio come accaduto nel caso di specie, in cui il soggetto per il quale era stato richiesto l’amministratore di sostegno ha dilapidato il suo patrimonio ed è finito per gravare economicamente su un parente, il quale gli ha dovuto dare in comodato un appartamento.
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precedente, nel quale la Cassazione ha stabilito che la prodigalità “configura autonoma causa di inabilitazione, ai sensi dell’art. 415 c.c., comma 2, indipendentemente da una sua derivazione da specifica malattia o comunque infermità, e, quindi, anche quando si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita, purché sia ricollegabile a motivi futili”34. Il principio enunciato dalla sentenza appena richiamata pare essere il più corretto tra i tanti che si possono rinvenire in dottrina e giurisprudenza, almeno con riferimento al rapporto tra la condizione in esame e l’infermità mentale. Quanto alla prodigalità c.d. motivata, si ritiene preferibile evitare un controllo sui propositi che hanno mosso il prodigo35; quanto a quella “patologica”, essa non dovrebbe essere la sola a giustificare l’inabilitazione o la nomina di un amministratore di sostegno36. In entrambi i casi, difatti, si corre un elevato rischio di pervenire a soluzioni non sempre soddisfacenti. Tanto il prodigo per vizio quanto quello per nobiltà d’animo espongono loro stessi e i familiari al pregiudizio economico; parimenti si può affermare relativamente al prodigo “sano di mente” e a quello affetto da un’infermità psichica. L’unico dato da prendere in considerazione – tra l’altro, anche l’unico individuato dall’art. 415, comma 2, c.c. – sembra essere quello del “pericolo” di ridursi all’indigenza. Che il profilo esclusivamente “patrimoniale” sia il solo ad assumere rilievo, poi, trova ulteriore conferma nell’art. 776, comma 2, c.c., secondo il quale il curatore dell’inabilitato per prodigalità può chiedere l’annullamento delle donazioni, anche se fatte nei sei mesi anteriori all’inizio del giudizio d’inabilitazione. In conclusione, il Tribunale di Modena avrebbe potuto tener conto del recente insegnamento della Suprema Corte e pervenire così alla nomina dell’amministratore di sostegno, figura non eccessivamente “invasiva”, la quale consente di bilanciare sia l’autonomia del soggetto, che la necessità che non si riduca alla povertà, senza il ricorso a una misura più restrittiva come l’inabilitazione. In ogni caso, data la grande divergenza di vedute, fondate, per un motivo o per un altro, su argomenti ragionevoli, la conclusione del Giudice non sorprende; mentre, per altro verso, sarebbe forse auspicabile un intervento della Cassazione per dirimere definitivamente le questioni aperte. Valerio Brizzolari
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Si tratta di Cass., 13 gennaio 2017, n. 786, cit., che ha peraltro richiamato Cass., 19 novembre 1986, n. 6805, cit., definendola “autorevole”. 35 È utile richiamare nuovamente il pensiero di R. Pescara, Tecniche privatistiche e istituti di salvaguardia dei disabili psichici, cit., 799 ss., secondo il quale il giudizio sulla frivolezza o nobiltà delle spese del prodigo esporrebbe l’inabilitazione ad apprezzamenti soggettivi, che potrebbero sfociare persino nell’arbitrio. 36 Come osservato da P. Forchielli, Dell’infermità di mente, dell’interdizione, dell’inabilitazione, cit., 17, se rilevasse solo la prodigalità in quanto forma o estrinsecazione d’infermità mentale, risulterebbe priva(ta) di senso la distinzione operata dai commi 1 e 2 dell’art. 415 c.c.
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L’opinione La legge 22 dicembre 2017, n. 219. Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Prime note di commento. Mirzia Bianca
La legge n. 219 del 2017, pubblicata in G.U. 16-1-2018, Serie Generale, n. 12, entrata in vigore il 31 gennaio 2018 non è solo una legge italiana sul testamento biologico ma è in generale una legge che disciplina il rapporto medico-paziente nelle situazioni di patologie gravi e dà un’apposita regolamentazione del consenso informato, come peraltro lo stesso titolo della legge evidenzia. La legge si compone di 8 articoli, di cui solo uno (art. 4) regola le DAT (disposizioni anticipate di trattamento), conosciute anche con il diverso termine di testamento biologico, mentre i restanti articoli sono dedicati alla regolamentazione del consenso informato (art. 1) anche dei soggetti minori e incapaci (art. 3, comma 2 e ss.), al divieto dell’accanimento terapeutico e all’adozione delle terapie del dolore (art. 2), alla pianificazione condivisa delle cure (art. 5). Il complesso di queste disposizioni evidenzia una precisa ratio di questa legge che è quella di consentire una gestione dignitosa e consapevole della malattia. Al riguardo appare significativo il titolo dell’art. 2 in cui si fa esplicito riferimento alla dignità nella fase finale della vita, nonché il dovere del medico di evitare l’accanimento terapeutico e di consigliare cure palliative che possano allievare il dolore. Sotto questo profilo particolarmente innovativo appare l’art. 5 che disciplina una programmazione concertata delle cure che vede la partecipazione di vari attori, oltre al malato, i familiari, il soggetto fiduciario, sempre nel medesimo obiettivo di fondo di gestione consapevole e dignitosa di malattie infauste. D’altra parte l’alleanza medico-paziente rappresenta il filo rosso sotteso alla disciplina del consenso e del rifiuto informato, nonché delle DAT. Se questa è la ratio della legge, la vera novità sul tema del fine vita che pone fine al passato dibattito, è aver espressamente qualificato come trattamenti sanitari la nutrizione e l’idratazione artificiale. Nel caso di rifiuto di tali trattamenti “il medico è esente da responsabilità civile e penale” (art. 1, comma 6). Anche se non specificamente menzionata, è da considerare altresì trattamento sanitario, come tale rifiutabile, la ventilazione artificiale1, interpretazione questa supportata dal riferimento alla possibilità che “il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza” (art. 1, comma 5). La qualifica come trattamenti sanitari consente infatti di rifiutarli, in conformità al dettato costituzionale che prevede che “nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. (art. 32, 2° comma, Cost.). La triste vicenda di Eluana Englaro, poi risolta dalla giurisprudenza aveva sollevato un dibattito di natura assiologica tra chi considerava nutrizione e idratazione artificiale come trattamenti sanitari2 e chi,
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È proprio notizia di questi giorni la prima applicazione della legge ad una signora affetta da anni da Sla con interruzione della ventilazione meccanica. Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748: “Il rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, non può
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al contrario, li considerava salva vita e non trattamenti sanitari, e quindi non rifiutabili. Un disegno di legge che era stato presentato in quegli anni esplicitamente escludeva che l’idratazione e l’alimentazione artificiale fossero trattamenti, come tali rifiutabili3. L’aver preso posizione al riguardo significa aver affrontato un aspetto importante del fine vita, che è quello di coloro che a causa di gravi patologie si trovano costretti all’alimentazione e alla nutrizione artificiale o alla ventilazione meccanica, lasciando ad essi la scelta sull’eventuale rifiuto. Certamente questo rappresenta un abile escamotage normativo perché è chiaro che tali trattamenti non sono equiparabili agli altri e che il loro rifiuto significa in definitiva il rifiuto della vita. Ma il senso del fine vita è questo e attiene al dibattito tra due posizioni antitetiche: l’una che afferma il governo dell’uomo sul fine vita e l’altra che rivendica il valore assoluto e universale della vita, sottraendo la scelta anche al soggetto che è il più interessato, ovvero il titolare. Il dibattito non sembra risolto neanche a livello europeo anche se la tendenza è quella di porre una distinzione tra eutanasia attiva da un lato e rifiuto di trattamenti come idratazione artificiale e nutrizione artificiale in caso di situazioni di coma irreversibile4 o di patologie molto gravi. Confesso che la complessità del tema in passato5 e anche oggi mi trova priva di una risposta che possa ritenersi la quadratura del cerchio. Forse, come in questo caso, il problema risulta in parte stemperato da una legge, come questa, che non autorizza in termini generali l’interruzione della vita, ma disciplina solo l’eventuale atto di volontà rispetto a situazioni patologiche gravi. Di sicuro la possibilità per il soggetto titolare di operare una scelta evita l’insorgere di penosi conflitti che dividono i familiari e che inevitabilmente sono dettati da propri pregiudizi e opinioni di carattere etico6. Inoltre la presenza di una legge italiana evita il turismo della morte come le tristi vicende della cronaca ci hanno purtroppo insegnato7. Venendo a profili più tecnici, può dirsi che la qualificazione come trattamenti sanitari è chiara. L’art. 1, comma 5 afferma che “ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale” aggiungendo “in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”. Quest’ultima aggiunta che sembrerebbe pleonastica in realtà ha un suo preciso valore, in quanto la necessità della prescrizione medica non solo avalla la tesi del trattamento sanitario ma consente di superare le questioni della somministrazione senza richiesta medica che si sono poste all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo8. Come si è accennato, la legge prevede anche in termini generali la possibilità per il paziente di rinunciare o di rifiutare trattamenti necessari alla sopravvivenza, includendo quindi anche la ventilazione meccanica, anche se non espressamente menzionata. Il rifiuto dell’alimentazione artificiale e della nutrizione artificiale e in generale dei trattamenti necessari alla sopravvivenza può essere esercitato nell’impianto della legge in due diverse situazioni che richiedono due distinte formalità.
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essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale”. V. art. 3 della proposta di legge n. 2350 (nota come proposta Marino) approvata in testo unificato dal Senato della Repubblica il 26 marzo 2009. V. al riguardo Corte Europea dei diritti dell’uomo, 5 giugno 2015, Affaire Lambert et autres c. France. V. la mia prefazione al volume da me curato Le decisioni di fine vita, Milano, 2011. In quella occasione avevo manifestato le mie remore in ordine ad un intervento del legislatore in materia, facendo salva la possibilità di una legge autorizzativa che non vincolasse i cittadini ad una scelta che è sicuramente di natura etica. In questo senso, v. C.M. Bianca, Trattamenti sanitari tra principio di autodeterminazione e dovere di solidarietà (a ciascuno il suo), in M. Bianca (a cura di), Le decisioni di fine vita, cit., 229 e ss. Il riferimento è alla vicenda umana del D.J. Fabo. Corte europea dei diritti dell’uomo, 20 gennaio 2011 (caso Haas c. Svizzera). Si trattava del caso di un soggetto affetto da anni da malattia di carattere psichiatrico che voleva porre fine alla sua vita e pretendeva che vi fosse un obbligo positivo di fornire un farmaco letale anche in assenza di prescrizione medica, assumendo che ciò comportasse una lesione dell’art. 8 Cedu. La Corte ha ritenuto che non potesse ravvisarsi una lesione dell’art. 8 e che la necessità di una prescrizione medica è volta a tutelare la salute individuale e pubblica.
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La prima è quella della persona cosciente che esprime un rifiuto attuale. Così come può rifiutare qualsiasi cura, può rifiutare anche queste particolari cure. In questo caso il consenso o il rifiuto vengono registrati nelle forme previste in generale per il consenso e quindi attraverso la forma scritta o la video registrazione ed inseriti nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. La particolarità dei trattamenti sanitari prevede una disciplina più rafforzata del consenso con prospettazione delle conseguenze, delle possibili alternative, anche ai familiari e con la promozione di sostegni psicologici. La seconda situazione indicata dalla legge è quella del soggetto che procede alle disposizioni anticipate di trattamento in vista della sua futura incapacità. In questo caso non si tratta di un rifiuto informato dei trattamenti, ma di disposizioni anticipate di volontà con le quali il paziente dà indicazioni nel caso di futura incapacità. Si tratta della disciplina delle DAT indicata dall’art. 4 della legge, che rappresenta proprio la risposta italiana alla lacuna in tema di testamento biologico. In questo caso le DAT possono essere date solo da persona maggiorenne e capace di intendere e di volere (art. 4, comma 1) e devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in apposito registro ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora ricorrano i requisiti di cui al comma 7 (art. 4, comma 6). Il comma 7 prevede che le Regioni che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica possono con proprio atto raccogliere copia delle DAT. Come si è detto, attraverso questa legge, l’Italia si è dotata di una disciplina del fine vita, offrendo sia la possibilità di rifiutare trattamenti necessari per la sopravvivenza sia una via per gestire anticipatamente situazioni di futura incapacità, attraverso una disposizione di volontà che necessariamente anticipa quel momento. I punti critici che richiedono una interpretazione sono vari. Un primo punto riguarda i soggetti minori. Ai minori e agli incapaci è dedicato un articolo sul consenso informato (art. 3). L’art. 3, comma 1, prevede che “la persona minore di età ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione... e deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la propria volontà”. L’art. 3, 2° comma, prevede poi che “il consenso informato è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale, tenendo conto della volontà del minore, in relazione all’età e al suo grado di maturità e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel rispetto della sua dignità”. Si tratta di disposizioni che in tema di consenso informato valorizzano la volontà e l’opinione del soggetto minore, pur lasciando l’atto di consenso in capo ai rappresentanti legali e quindi ai genitori. In termini generali queste disposizioni hanno dato voce alla dottrina che già da tempo aveva segnalato che il minore con capacità di discernimento deve essere ascoltato sulle questioni di salute che lo riguardano9. Tuttavia, avendo questa legge previsto in termini generali la possibilità di un rifiuto di trattamenti necessari alla sopravvivenza, rimane aperto il problema se tale scelta tragica possa essere presa dai genitori. Credo che la lettera della legge escluda tuttavia questa possibilità perché fa un esplicito riferimento a scelte che “riguardano “la salute e la vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità” e quindi sembrerebbe escludere che i genitori possano rifiutare tali trattamenti, in nome e per conto del minore10. Inoltre è assai difficile che la scelta possa essere lasciata ad un minore che, benché maturo, non è in grado di prendere una decisione di questo tipo e di tale gravità. Rimane dubbia l’ipotesi in-
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V. le conclusioni di C.M. Bianca, al volume da me curato Le decisioni di fine vita, cit., 230 e ss. Si veda al riguardo significativamente C.M. Bianca, op. ult cit., 231: “Mai e poi mai può ammettersi che spetti ai genitori decidere se mantenere in vita o no il figlio, pur se trattasi di vita c.d. artificiale”.
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versa, ovvero quella di genitori che invece insistono per non staccare la spina e i medici insistono per farlo, asserendo l’inutilità dei trattamenti e l’accanimento terapeutico. Tale conflitto è stato di recente affrontato dalle corti inglesi nel caso di un neonato affetto da grave malattia dove si contrapponeva la volontà dei genitori di mantenere in vita il proprio figlio e la volontà dei medici che invece affermavano trattarsi di accanimento terapeutico. La High Court ha stabilito che i trattamenti intensivi di sostegno vitale su un bambino di undici mesi possono essere interrotti anche senza il consenso dei genitori perchè non realizzano il suo best interest11. Anche la legge italiana prevede che in caso di conflitto tra genitori e medici, si possa ricorrere al giudice tutelare. Tuttavia al riguardo manifesto ogni mio dissenso perchè credo che il best interest del minore possa essere deciso solo con il supporto di pareri di esperti della comunità scientifica e non dal giudice tutelare che sotto questo profilo risulta incompetente tanto quanto i genitori o i rappresentanti legali. La legge non prevede il caso di conflitto tra i due genitori. Credo che in questo caso debbano applicarsi i principi generali e procedersi alla nomina di un curatore speciale, che tuttavia in questo caso dovrebbe avere delle specifiche competenze mediche. Quanto alle DAT, la legge italiana ha escluso che il minore possa essere autorizzato a redigerle. Credo che si tratti di scelta corretta per le ragioni che ho prima accennato. Altri Paesi del contesto europeo, come per esempio il Belgio12, hanno al contrario deciso che le DAT possano essere redatte anche dal minore emancipato. Anche in questo caso è difficile stabilire il giusto equilibrio tra ascolto del minore e sua protezione. Sicuramente le decisioni di fine vita, nella loro eccezionalità e drammaticità, richiedono una maturità che normalmente il minore, anche emancipato, non possiede. Altro punto critico riguarda il rispetto delle volontà espresse nelle DAT. L’art. 4, comma 5 prevede che “il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora, esse appaiono palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita”. In caso di conflitto è sempre previsto il ricorso al giudice tutelare. Mi sono chiesta più volte cosa potesse significare rispettare la volontà del paziente e poter disattendere in tutto o in parte questa volontà. Posto che questa legge, e credo correttamente, non ha autorizzato in termini generali l’eutanasia, ma ha solo previsto la possibilità di rifiutare alcuni trattamenti che sono l’alimentazione artificiale e l’idratazione artificiale, mi sembra troppo generico il riferimento all’incongruità delle DAT. L’unica possibilità di discostarsi dalla volontà del paziente è il caso di individuazione di nuove terapie che possano curare il paziente in modo diverso. Tale ipotesi non riguarderebbe i trattamenti di idratazione o di nutrizione artificiale che il paziente ha rifiutato nelle DAT, a meno che il medico non possa assicurare con dati
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UK High Court, 29 gennaio 2018 (Kings College Hospital NHS Foundation Trust v. Thomas). Si tratta della Loi relative à l’euthanasie, che nel 2014 ha esteso la possibilità anche ai soggetti minori, v. in particolare l’art. 3: “Le médecin qui pratique une euthanasie ne commet pas d’infraction s’il s’est assuré que: le patient est majeur ou mineur émancipé, capable ou encore mineur doté de la capacité de discernement et est conscient au moment de sa demande; la demande est formulée de manière volontaire, réfléchie et répétée, et qu’elle ne résulte pas d’une pression extérieure; le patient majeur ou mineur émancipé]se trouve dans une situation médicale sans issue et fait état d’une souffrance physique ou psychique constante et insupportable qui ne peut être apaisée et qui résulte d’une affection accidentelle ou pathologique grave et incurable; le patient mineur doté de la capacité de discernement se trouve dans une situation médicale sans issue de souffrance physique constante et insupportable qui ne peut être apaisée et qui entraîne le décès à brève échéance, et qui résulte d’une affection accidentelle ou pathologique grave et incurable; et qu’il respecte les conditions et procédures prescrites par la présente loi.” 12
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certi una modifica della situazione e quindi un eventuale risveglio del paziente, in caso di coma. Una diversa soluzione che lasciasse sempre e comunque al medico d’accordo con il fiduciario, la possibilità di disattendere la volontà del paziente, avrebbe reso vano l’intervento del legislatore, riproponendo il tema della gestione del fine vita. Altro problema riguarda in concreto la preparazione e l’organizzazione delle Regioni affinché si proceda alla predisposizione immediata di moduli e formulari che possano facilitare una procedura che solo alcune Regioni in via autonoma già avevano avviato. Il problema si porrà per le Regioni meno preparate ma è necessario che a livello nazionale tutte le Regioni possano applicare la nuova normativa. Una diversa soluzione porterebbe ad un diverso trattamento e quindi in ultima istanza ad una diseguaglianza sostanziale. Per le Regioni che già prima della emanazione della legge avevano provveduto, è prevista la norma transitoria che prevede che a tali documenti si applicano le disposizioni di questa legge (art. 6). Volendo trarre delle conclusioni sempre difficili in questa materia non direi che con questa legge si sia data la prevalenza al principio di autodeterminazione sul valore della vita umana, né che il legislatore abbia preso posizione rispetto alla possibilità di distinguere tra vite degne e non degne. Quello che riesco a vedere e sempre che in futuro l’applicazione non vada oltre i limiti indicati dalla legge per il rifiuto di alcuni trattamenti vitali, è che si tratta di una legge che ha dato voce ad un valore dimenticato ma proprio della tradizione cattolica, che è il concetto misericordia13. La misericordia è un principio etico che tuttavia trova radici giuridiche nel principio costituzionale di solidarietà, in quanto valore che porta ad immedesimarsi nelle sofferenze altrui con un atteggiamento fattivo di collaborazione e di aiuto del prossimo. Tale principio è noto alla coscienza sociale, anche se non espressamente codificato e si inscrive nel rango dei valori che sono a fondamento della società. È proprio la lente della misericordia che può oggi legittimare, nei ristretti limiti indicati dalla legge, una eccezionale deroga alla intangibilità della vita, principio che, tuttavia, mantiene e non potrebbe essere altrimenti, la forza di principio immanente di ogni società. Al di fuori dei ristretti limiti indicati dalla legge non vi è alcuno spazio per decidere di interrompere la propria vita, anche se talvolta appare più faticoso viverla14. Proprio dopo aver consegnato questo testo alle stampe, si è avuta notizia dell’ordinanza della Corte di Assise di Milano15 con la quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. (Istigazione o aiuto al suicidio) nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio a prescindere dal loro contributo alla determinazione e al rafforzamento del proposito suicidario, ritenendo tale incriminazione in contrasto e violazione dei principi sanciti agli artt. 3, 13, 2° comma, 25, 2° comma, 27, 3° comma della Costituzione, che individuano la ragionevolezza della sanzione penale in funzione dell’offensività della condotta accertata. Si tratta della nota vicenda del D.J. Fabo e della incriminazione di Marco Cappato per averlo aiutato a contattare la clinica svizzera per l’interruzione della vita. La lettura di questa ordinanza mi ha costretto a rimeditare il problema e soprattutto a verificare se queste riflessioni sulla nuova legge sul fine vita debbano subire da parte mia degli aggiustamenti. Innanzitutto va preliminarmente detto che la questione della incriminazione di Marco Cappato per aver accompagnato in Svizzera il D.J. Fabo è relativa ad una questione, quella dell’aiuto o dell’istigazione al suicidio, che la nuova legge italiana non affronta, almeno in termini generali. In quella vicenda,
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Il termine “misericordia” deriva dal latino misericors (genitivo misericordis) e da misereor (ho pietà) e cor -cordis (cuore). V. F. Sabatini - V. Coletti, Dizionario della lingua italiana, Milano, 2012, dove la misericordia è così definita: “Sentimento di compassione e pietà per l'infelicità e la sventura altrui che induce a soccorrere, a perdonare, a non infierire”. 14 Se si accoglie questa interpretazione, deve escludersi che la legge possa essere applicata a chi non è affetto da patologie gravi e invalidanti e al di fuori del ristretto limite del rifiuto dei trattamenti indicati dalla legge, come per esempio rispetto ad un soggetto affetto da depressione. 15 Corte di Assise di Milano, 14 febbraio 2018.
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come è noto, si è trattato di eutanasia attiva, mediante assunzione di farmaco letale presso la clinica svizzera. Il problema, per l’appunto sollevato dalla Corte di Assise, è quello relativo all’art. 580 cp che porta all’incriminazione di chiunque aiuti altri al suicidio, indipendentemente dalla valutazione della condotta del soggetto agente e indipendentemente dal fatto che, come in questo caso, la condotta dell’agente andava a rafforzare un proposito di suicidio e quindi una volontà che già si era formata. Posto che, come si è detto, la legge italiana non disciplina l’eutanasia attiva, ma consente unicamente e in casi eccezionali il rifiuto di trattamenti salvavita, occorre valutare se e in che termini, la nuova legge italiana sul fine vita possa svolgere un effetto, sia pure implicito, sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 cp sollevata dalla Corte di Assise di Milano. Per la verità in motivazione, la Corte di Assise di Milano affronta preliminarmente il problema dell’interpretazione dell’art. 580 cp, dedicando un apposito paragrafo al bene giuridico tutelato dalla norma. In quelle prime pagine della motivazione, richiamandosi all’origine della incriminazione prevista dall’art. 580 cp, si anticipa il pensiero posto a fondamento dell’intera decisione, ovvero la contrapposizione tra una prospettiva antica che considerava il diritto alla vita bene dello Stato e una prospettiva moderna e personalistica che, al contrario, restituisce il bene vita al soggetto titolare e alla sua libertà di autodeterminazione. Quindi, dopo aver illustrato l’evoluzione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sullo spinoso tema del fine vita, la Corte di Assise di Milano dedica apposite riflessioni alla legge n. 219 del 2017. In particolare nelle pagine della motivazione, dopo aver rilevato che questa legge ha riconosciuto “il diritto a morire, rifiutando i trattamenti sanitari” e “nel caso di malattia il diritto a decidere di lasciarsi morire”, si afferma che questa legge “non ha riconosciuto il diritto ‘al suicidio assistito’ secondo le modalità scelte dai singoli. Anzi l’art. 1 ha specificato che non è possibile richiedere al medico trattamenti contrari a norme di legge o alla deontologia professionale”. Si conclude affermando “che allo stato, pertanto, non è possibile pretendere dai medici del Servizio pubblico la somministrazione o la prescrizione di un farmaco che procuri la morte”. Ciò che appare davvero contestabile è l’impianto delle motivazioni che la Corte adduce a sostegno di quelle affermazioni, che smentisce e contraddice l’intima ratio della legge sul fine vita, attribuendole un significato assiologico che va oltre l’intento del legislatore. Si afferma infatti “che il mancato riconoscimento/regolamentazione da parte del Legislatore del diritto al ‘suicidio assistito’ non può portare a negare la sussistenza della libertà della persona di scegliere quando e come porre termine alla propria esistenza, libertà che, come sopra esposto, trova fondamento nei principi cardine della Costituzione dettati dagli artt. 2 e 13. Il mancato riconoscimento del ‘diritto al suicidio assistito’ porta solo ad escludere che si possa richiedere al Servizio Sanitario Nazionale un trattamento diverso da quello previsto nella l. n. 219/2017”. In realtà, la nuova legge sul fine vita, non è una legge che ha affermato un diritto a morire quale espressione del principio di autodeterminazione. Questa legge ha solo previsto che, in casi eccezionali, il soggetto possa rifiutare trattamenti salva vita. Questa distinzione non è solo la distinzione tra eutanasia attiva ed eutanasia passiva, ma mostra la continuità del nostro ordinamento rispetto alla difficile soluzione del tema del fine vita. Anche nella decisione della Cassazione per il caso di Eluana Englaro16, emergeva l’eccezionalità degli interventi interruttivi della vita umana, in situazioni di coma dichiarato irreversibile. Nella stessa decisione si affermava a chiare lettere che il diritto alla vita rappresenta un valore supremo. Sia nella decisione della Cassazione sul caso Englaro, sia nella successiva legge italiana sul fine vita, non si è affermata l’esistenza diun diritto a morire quale espressione del principio di autodeterminazio-
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V. Cass. n. 21748 del 2007, cit.
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ne, come invece ha fatto la Corte di Assise di Milano, ma si è consentito solo di esprimere la propria volontà in ordine alla interruzione di specifici trattamenti salva vita, che sono indicati dalla legge nella idratazione artificiale e nell’alimentazione artificiale. Per questo mi sembra di poter confermare che questa nuova legge non contiene in termini generali un sovvertimento della primazia del diritto alla vita su tutti gli altri diritti, compresa la dignità umana e l’autodeterminazione. Ciò detto, occorre valutare l’impatto, sia pure in termini culturali e indiretti di questa legge sulla interpretazione dell’art. 580 cp sul suicidio assistito. A mio parere, senza necessità di sollevare un problema di legittimità costituzionale, sarebbe stato sufficiente dare un’interpretazione di questa norma sul suicidio assistito confome ai principi introdotti dalla giurisprudenza e dalla nuova legge sul fine vita. Questi principi, come ho cercato di affermare in queste pagine, sono l’eccezionale deroga alla indisponibilità della vita umana quando l’intenzione di porre fine alla vita è sicuramente espressa dal soggetto titolare e quando l’intervento di altri non sia di tipo attivo ma solo di tipo collaborativo ad una scelta che rimane solo quella del soggetto titolare. La portata eccezionale di questa deroga è data dalla situazione di grave e irreversibile patologia del soggetto ed è solo l’eccezionalità della situazione che legittima un atto di solidarietà da parte degli altri, che si risolve in un atto di misericordia. Sempre sotto questa lente di solidarietà e di misericordia va letto il divieto per il medico di accanimento terapeutico (divieto contenuto nell’art 2, comma 2 della legge in commento: “Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente”). È sempre la lente della misericordia che ha portato il legislatore ad esonerare da sanzione civile e penale il medico che asseconda la volontà del paziente di interrompere i trattamenti salvavita (art. 1, comma 6 della legge n. 219 del 2017: “ Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale”). Se si accolgono queste premesse, dovrebbe estendersi l’applicazione di quest’ultima norma, che prevede l’esenzione della responbilità civile o penale del medico, anche al soggetto che, pur non essendo un medico, ma per un atto di misericordia, asseconda la volontà di un soggetto che è malato terminale e in stato di grave sofferenza e che abbia espresso la volontà esplicita e sicura di porre fine alla sua esistenza. L’intervento del terzo, come si è detto, va limitato all’ipotesi di collaborazione di tipo passivo, come per il caso posto all’attenzione della Corte di Assise, dovendosi al contrario, confermare l’incriminazione di chi partecipi attivamente e materialmente o addirittura istighi altri al suicidio. Solo in questi rigorosi e stretti limiti è ipotizzabile una depenalizzazione del reato di aiuto al suicidio. Una diversa soluzione che portasse in termini generali ad autorizzare il suicidio assistito si porrebbe in contrasto con il sistema e con i principi della nuova legge. Al termine di queste riflessioni, mi sono infatti convinta sempre di più che la legge italiana n. 219 del 2017 non è una legge che autorizza il suicidio come espressione della libertà e dell’autodeterminazione, né tantomeno è una legge che depenalizza il suicidio assistito autorizzando l’eutanasia, ma è una legge che, solo in determinate situazioni particolari autorizza eccezionalmente l’interruzione della vita umana, quale espressione di un atto di misericordia e quindi di solidarietà nei confronti di un soggetto molto sofferente. Come si è detto, il concetto di misericordia, oltre a trovare radici nel principio costituzionale di solidarietà, si collega al concetto di equità e quindi di giustizia superiore, come dimostrano le origini canoniche della “dolce misercordia”. 17
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Il riferimento è all’opera di Enrico da Susa, detto l’Ostiense e alla sua definizione: “aequitas est iustitia dulcore misericordiae
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Quindi il diritto alla vita mantiene, e non potrebbe essere altrimenti, il valore di principio immanente ad ogni società e fondamento di ogni altro diritto della persona. Senza la vita umana, valori importanti come la dignità, l’autodeterminazione, assumono inevitabilmente una posizione recessiva. Una diversa lettura della legge porterebbe inevitabilmente a derive assiologiche che ci farebbero navigare nella liquidità dell’incertezza valoriale in cui la vita e la morte sono, al pari di altre situazioni, oggetto di scelte arbitrarie declamate in nome del principio costituzionale di autodeterminazione.
temperata” da lui attribuita a San Cipriano: Summa aurea, (Lyon 1537=Aalen 1962), lib. V, de dispensationibus, fol. 289rb.
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