2019 1 Familia
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ISSN 1592-9930
amilia
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Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa
Rivista bimestrale
gennaio - febbraio 2019
D iretta da Salvatore Patti Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Lucilla Gatt (vicedirettore), Francesco Macario, Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda
www.rivistafamilia.it
IN EVIDENZA L’assegno di divorzio nella prospettiva italiana e in quella tedesca Michele Sesta
L’assegno divorzile nella nuova prospettiva delle Sezioni Unite Luigi Balestra
I criteri di determinazione dell’assegno divorzile Carlo Rimini
Pacini
Indice Parte I Dottrina Michele Sesta, L’assegno di divorzio nella prospettiva italiana e in quella tedesca.............................. p. 3 Luigi Balestra, L’assegno divorzile nella nuova prospettiva delle Sezioni Unite......................................» 15 Carlo Rimini, I criteri di determinazione dell’assegno divorzile..............................................................» 21 Enrico Al Mureden, Solidarietà post-coniugale e compensazione del contributo endofamiliare nel nuovo assegno divorzile............................................................................................................................» 29 Gianni Ballarani, L’assegno di divorzio fra solidarietà e nuovi modelli familiari...................................» 43 Maria Novella Bugetti, Il diritto alla pensione di reversibilità e il diritto alla compartecipazione al trattamento di fine rapporto del coniuge divorziato...............................................................................» 51 Claudia Irti, Il futuro del pagamento una tantum all’indomani della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione........................................................................................................................................» 63 Filippo Romeo, Assegno divorzile e indipendenza economica dell’ex coniuge........................................» 71 Marco Martino, Funzione assistenziale e compensativa dell’assegno di divorzio: la possibilità di una rinnovata valorizzazione delle scelte di autonomia in vista dello scioglimento del matrimonio.» 85 Parte II Giurisprudenza Trib. Brescia, sez. II, 1° marzo 2018, n. 635 (con nota di Marco Ramuschi, Legato di usufrutto su cosa parzialmente altrui, comunione indivisa e rilevanza della volontà testamentaria)....................» 91
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Michele Sesta
L’assegno di divorzio nella prospettiva italiana e in quella tedesca* Sommario : 1. Premessa. – 2. La normativa italiana e quella tedesca a confronto. – 3. La recente evoluzione giurisprudenziale. – 4. Conclusioni.
The essay compares the analytic system on spousal support found in BGB with the corresponding, concise, discipline dictated by Italian law (affected by a recent, relevant jurisprudential evolution). German law obeys to a self-responsibility principle, providing a temporary limitation of spousal support, while Italian law, alongside an assistential goal, fulfils a perequative-compensatory function, having regard to the patrimonial and income status of former spouses. Nevertheless, through a judiciary interpretation, a certain harmonization between the two systems could be get.
1. Premessa. Un confronto tra l’ordinamento italiano e quello tedesco in materia divorzile richiede una breve riflessione sulla disciplina giuridica delle relazioni familiari vigente in Italia. Occorre prendere le mosse dall’art. 29 della Costituzione, entrata in vigore nel 1948, che enuncia una vera e propria definizione della famiglia allorché stabilisce che la Repubblica ne riconosce e garantisce i diritti come società naturale fondata sul matrimonio1. La formula intende proclamare la preesistenza della famiglia rispetto all’ordinamento statuale e al contempo che il matrimonio ne rappresenta il presupposto essenziale.
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Il saggio è destinato al Liber amicorum per Angelo Davì e riproduce, con l’aggiunta di ampliamenti e integrazioni, la relazione svolta al Convegno L’assegno di divorzio: un confronto tra Italia e Germania, organizzato da EFL (European Association for Family and Succession Law) dedicato alla memoria di Maria Giovanna Cubeddu, tenutosi nella Università di Regensburg il 9 e 10 novembre 2018. Per una disamina della disposizione, anche con riferimento ai lavori preparatori, sia consentito un rinvio a M. Sesta, Commento sub art. 29 Cost., in Codice della famiglia, a cura di Sesta, III ed., Milano, 2015, 81 ss.
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Non ci si può però arrestare alla disposizione costituzionale: infatti, negli ultimi anni l’ordinamento italiano ha conosciuto rilevanti evoluzioni, anche sulla scia delle norme sovranazionali che fanno parte integrante di quello interno, le quali configurano le relazioni familiari in maniera più ampia rispetto al modello costituzionale. Il riferimento è alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Entrambe stabiliscono – rispettivamente all’art. 9 della Carta dei diritti e 12 della CEDU – che il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio. Mettendo a confronto l’art. 29 Cost. con le richiamate enunciazioni della Carta dei diritti e della CEDU emerge una notevole differenza di prospettiva. Infatti, la Carta dei diritti, pur garantendo “la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale” (art. 33, co. 1), a ben vedere proclama una serie di diritti o pone divieti che hanno come destinatario l’individuo, mentre la Costituzione riconosce i “diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, così identificando nella formazione sociale “famiglia”, alla cui base sta il matrimonio, una comunità titolare di propri diritti, se non addirittura di una propria soggettività. Sulla scia di tale evoluzione, anche nell’ordinamento italiano il quadro normativo in cui si collocano le relazioni familiari appare oggi profondamente mutato, in virtù del recepimento di modelli che si discostano per più versi da quello cui fa riferimento l’art. 29. Ciò si deve soprattutto alle recenti leggi 20 maggio 2016, n. 76, recante la “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze”2, e 10 dicembre 2012, n. 219, che, con il successivo d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha riformato la filiazione abolendo la distinzione tra figli legittimi e naturali e introducendo lo stato unico di figlio (art. 315 c.c.)3; leggi tutte che, nel loro insieme, hanno fatto sì che l’ordinamento tratti come familiari legami di coppia e di discendenza che prescindono dal matrimonio. Quello che si vuole rimarcare è che in forza della richiamata evoluzione normativa il ruolo del matrimonio, che nel quadro costituzionale rappresentava il fondamento stesso della famiglia, si è fortemente ridimensionato, potendosi rinvenire nell’ordinamento relazioni familiari che da esso prescindono ma che ugualmente sono rilevanti per il diritto. Questa premessa intende chiarire come la questione del divorzio – termine che il legislatore italiano non utilizza ricorrendo alla perifrasi scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, a seconda che si tratti di matrimonio civile o matrimonio religioso con effetti civili (c.d. matrimonio concordatario) – si ponga attualmente in termini molto meno drammatici rispetto al tempo in cui l’istituto fu introdotto con la l. 1° dicembre 1970, n. 898. Infatti, alla ridimensionata rilevanza giuridica – e prima ancora sociale – del matrimonio non può non corrispondere una diversa regolamentazione del suo scioglimento.
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Si v. in argomento M. Sesta, L’istituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze, in Fam. dir., 2016, 881 ss.; M. Sesta (a cura di), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2017, passim. V. amplius M. Sesta, voce Filiazione, in Enc. dir., Milano, 2015, 447 e 450.
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Del resto, quello che nei primi anni Settanta era un evento straordinario, cioè la rottura del vincolo matrimoniale, appare oggi alquanto frequente come testimoniano le statistiche4.
2. La normativa italiana e quella tedesca a confronto. La richiamata legge italiana sul divorzio prevede all’art. 5, co. 6, che “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”. Attorno a questa complessa formula, suscettibile di molteplici letture, si è sviluppato un interminabile dibattito, sia tra gli studiosi che nella giurisprudenza, di cui meglio si dirà in seguito5. Mettendo a confronto la disciplina italiana in materia di assegno divorzile con quella tedesca emergono immediatamente molteplici differenze. In primo luogo, sul piano quantitativo, nel senso che la legge italiana dedica alla materia un solo articolo, cioè il richiamato art. 5, l. n. 898/1970 e specificatamente i commi 6, 7, 8, 9, 10 e 11. Per contro, il BGB dedica alla materia venticinque paragrafi, dal § 1569 al § 1586 b. In secondo luogo, sul piano temporale, perché i richiamati commi da 6 a 11 dell’art. 5, l. 898 risalgono al 1970 e sono stati solo parzialmente riformulati nel 1987. L’attuale disciplina del BGB risale invece al 20076. Va detto tuttavia che, come meglio si chiarirà, benché il testo della legge italiana sia rimasto sostanzialmente immutato da quasi mezzo secolo, esso è stato diversamente interpretato e applicato nel corso dei decenni dai tribunali ed in modo particolare dalla Corte di cassazione che ha ripetutamente enunciato differenti approcci ermeneutici delle richiamate disposizioni. Vi sono poi altre rilevanti differenziazioni di contenuto che emergono da una comparazione dei predetti testi di legge. Il BGB enuncia il principio fondamentale della autoresponsabilità (§ 1569), alla cui stregua “dopo il divorzio ciascuno dei coniugi deve farsi
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Dall’ultimo Rapporto Istat sulla popolazione residente per stato civile emerge un numero di divorziati in Italia, al 2017, pari a 1 milione e 672mila, cifra quadruplicata rispetto al 1991 (quando se ne contavano 376mila). Cfr. sin d’ora il numero monografico (n. 11) di Fam. dir., 2018, 955-1057, ove i contributi di numerosi Autori. Per una disamina del quadro normativo tedesco, cfr. H.J. Dose, (Herausgegeben von), Das Unterhaltsrecht in der familienrichterlichen Praxis, 9, München, 2015, 1042 ss.; W. Born, Allzweckwaffe oder Papiertiger? – Ehebedingter Nachteil und nacheheliche Solidarität bei Beschränkung des Unterhaltsanspruchs, in N. J. W., 2018, 497 ss.; M.G. Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, in questa Rivista, 2008, 23 ss.; S. Patti, M.G. Cubeddu, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Milano, 2008, 291 ss.
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carico del proprio mantenimento”7. Trattasi di un principio che, pur a fronte di varie eccezioni (cfr. §§ da 1570 a 1573, 1576, 1577, ma v. § 1578 b che prevede la possibilità di limitare temporalmente la pretesa a un mantenimento), riflette una visione del matrimonio sensibilmente diversa da quella che contraddistingue il diritto italiano e specie dalle tradizionali applicazioni dell’art. 5, co. 6, sopra ricordato, che non contiene alcuna espressa enunciazione del principio di autoresponsabilità – forse peraltro ricavabile in via interpretativa dalle parole finali del comma che fa riferimento alla impossibilità dell’ex coniuge di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive – né soprattutto contempla la limitazione temporale dell’assegno enunciata nell’ordinamento tedesco8. Si è già accennato che la disposizione più volte richiamata dell’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970 è stata oggetto di rilevanti revirement giurisprudenziali9. Secondo un orientamento mantenuto fermo per decenni, specie a seguito della modifica apportata all’art. 5, comma 6, dalla l. n. 74/1987 che ne aveva accentuato il profilo assistenziale – di recente abbandonato dalle Sezioni unite della Cassazione – il presupposto fondamentale per l’erogazione dell’assegno era costituito dallo squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, per effetto del quale uno di essi si trovasse privo di mezzi adeguati a conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Pertanto, anche in presenza di autosufficienza, l’ex coniuge, a fronte dell’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle proprie condizioni economiche, maturava il diritto a conseguire un assegno che, in via di massima, gli consentisse di ripristinarle, in modo da ristabilire un equilibrio. In particolare, il livello di vita coniugale che veniva in considerazione quale termine di riferimento dell’adeguatezza dei mezzi predicata dall’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, poteva riferirsi, in determinati casi, non soltanto al tenore che i coniugi avevano concretamente mantenuto nel corso del matrimonio, ma anche a quello che avrebbero potuto condurre in base alle loro potenzialità economiche. Si osservi che il criterio del tenore di vita appare nella sostanza richiamato dal § 1578 BGB, che parametra la misura del mantenimento alle ehelichen Lebensverhältnissen10. Nel determinare il tenore di vita coniugale il giudice era chiamato a considerare quello goduto al momento della cessazione della convivenza e a compararlo con quello del richiedente dopo la pronuncia di divorzio11. Eventuali successivi miglioramenti della si-
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Si v. M.G. Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, cit., 28; si v. amplius S. Patti, M.G. Cubeddu, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, cit., 297 ss. 8 M.G. Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, cit., 29. 9 C. Rimini, La crisi della famiglia, II, Il nuovo divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2015, 105 ss.; C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa, in Giur. it., 2018, 1853 s., nota a Cass., SS.UU., 11 luglio 2018, n. 18287. 10 M.G. Cubeddu, op. ult. cit., 30; E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, in Corr. giur., 2017, 897. 11 Un’attenta ricostruzione della disciplina è rinvenibile in C. Rimini, La crisi della famiglia, II, Il nuovo divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, cit., 105 ss.; A. Arceri, sub art. 5, legge 1 dicembre 1970, n. 898, in Codice della famiglia, a cura di M. Sesta, Milano, 2015, 2756 ss.; G. Bonilini, A. Natale, L’assegno post-matrimoniale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, III, La separazione personale dei coniugi. Il divorzio. La rottura della convivenza, Milano, 2016, 2871 ss., in part. 2897.
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tuazione reddituale del coniuge tenuto ad erogare l’assegno assumevano rilevanza – ai fini della revisione di cui all’art. 9 l. n. 898/1970 – solo se conseguenti a sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta e/o del tipo di qualificazione professionale e/o della collocazione sociale dell’onerato; non potevano invece assumere rilievo i miglioramenti che fossero scaturiti da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto ed alle aspettative maturate nel corso del matrimonio. Per determinare la concreta entità dell’assegno, il giudice – individuato l’importo necessario per mantenere il precedente tenore di vita – procedeva ad applicare i criteri indicati nell’art. 5, l. n. 898/1970, che potevano condurre ad una riduzione del tetto massimo dell’assegno stesso, se non addirittura, in ipotesi estreme, all’azzeramento. Detti elementi operavano come soli fattori di moderazione e diminuzione della somma massima di cui sopra, ma non potevano giustificare l’attribuzione di un assegno superiore all’importo necessario per mantenere il tenore goduto in costanza di matrimonio12. L’orientamento tradizionale aveva anche specificamente chiarito la portata dei criteri indicati all’art. 5l. div., fornendo indicazioni interpretative che tuttora, nonostante i recenti mutamenti della giurisprudenza di legittimità di cui si dirà a breve, conservano utilità. Le «ragioni della decisione» si risolvono nelle cause che hanno portato allo scioglimento del vincolo coniugale e, dunque, nelle eventuali responsabilità accertate a carico dell’uno o dell’altro coniuge; sotto tale profilo, potrà trovare tutela il coniuge a cui non sia ascrivibile il fallimento del matrimonio, ad esempio colui che ha ottenuto la pronuncia di separazione con addebito. L’indagine peraltro riguarda l’intero periodo della vita coniugale e si risolve in una valutazione che attiene non soltanto alle cause determinative della separazione, ma anche al successivo comportamento dei coniugi che abbia costituito un impedimento al ripristino del consorzio familiare. La previsione del criterio delle ragioni della decisione pone un problema di coordinamento con la norma secondo la quale il coniuge al quale viene addebitata la separazione perde il diritto all’assegno di mantenimento (art. 156 c.c.). Sotto questo profilo – fermo restando che gli effetti dell’addebito non si trasferiscono automaticamente in sede divorzile – si è posto l’interrogativo se i comportamenti che conducono alla pronuncia di addebito ed alla conseguente perdita dell’assegno di mantenimento possano comunque riflettersi sulla determinazione dell’assegno di divorzio. Al riguardo, si ritiene che l’assegno di divorzio vada riconosciuto all’ex coniuge che non dispone di mezzi adeguati indipendentemente dal suo comportamento durante il matrimonio e dopo la separazione e, quindi, anche se gli sia stata addebitata la separazione; detta circostanza, in sede di divorzio, può venire
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C. Rimini, La crisi della famiglia, cit., 119; E. Al Mureden, Assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e principio di autoresponsabilità, in Fam. dir., 2015, 540, nota a Trib. Firenze 22 maggio 2013; Id., La crisi della famiglia, I, La separazione personale dei coniugi, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2015, 303.
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in rilievo solamente al fine di diminuire l’ammontare dell’assegno, ma non ne determina necessariamente l’esclusione13. Quanto alle «condizioni dei coniugi», esse sottintendono non tanto le condizioni economiche, che risultano già essere state oggetto di accertamento ai fini dell’attribuzione dell’assegno, bensì quelle personali, vale a dire sociali e di salute – e, quindi, l’età, le consuetudini ed il sistema di vita dipendenti dal matrimonio, il contesto sociale ed ambientale –, sotto il profilo della loro influenza sulle capacità economiche e di guadagno per entrambi i coniugi. Il criterio del «contributo personale ed economico» dato alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune rileva, invece, sotto il profilo delle cure dedicate alla persona dell’altro coniuge, alla casa e ai figli, ma anche al lavoro domestico e, in generale, sotto il profilo economico; la considerazione del «reddito dei coniugi» postula, invece, una valutazione in merito ai redditi di entrambi i coniugi, comprensivi dei redditi veri e propri e delle sostanze, cioè dei cespiti patrimoniali che sono comunque suscettibili di produrre reddito. L’ultimo criterio elencato dal legislatore è quello della durata del matrimonio che, secondo la giurisprudenza, assume il valore di parametro fondamentale, di filtro attraverso cui devono essere esaminati e considerati tutti gli altri criteri (per l’ordinamento tedesco si veda il § 1579). Detto criterio appare di notevole rilevanza, in quanto consente al giudice di trattare in maniera differenziata – a parità di altre condizioni – i rapporti matrimoniali di breve durata rispetto a quelli che hanno accompagnato la vita dei coniugi. Nel primo caso – come si è visto – si giustificano infatti decisioni tese a ridurre o ad eliminare l’assegno, che apparirebbero del tutto inique in presenza della rottura di un matrimonio di lunga data.
3. La recente evoluzione giurisprudenziale. Come si è anticipato, il consolidato orientamento che parametrava l’adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita matrimoniale è stato recentemente abbandonato dalla Corte di cassazione14.
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Cfr. da ultimo C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa, cit., 1858. Da ultimo, la materia è stata trattata ex novo da Cass., Sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287, in Corr giur., 2018, 1186, con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezioni Unite; in Giur. it., 2018, 1843, con nota di C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa, in Foro it., 2018, I, 2671, con nota di M. Bianca, Le sezioni unite e i corsi e ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia compiuta? Si v., in argomento, E. Quadri, “C’è qualcosa di nuovo oggi” nell’assegno di divorzio, “anzi d’antico”, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 1714 ss.; E. Quadri, Il superamento della distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, in Fam. dir., 2018, 971 ss.; M. Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, in Fam. dir., 2018, 983 ss.; E. Al Mureden, L’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento dopo la decisione delle Sezioni Unite, in Fam. dir., 2018, 1019 ss. Sul versante processuale, cfr. F. Danovi, Oneri
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Una sentenza della Prima Sezione della Corte, pronunciata nel maggio 201715 e seguita da altre pronunce, valorizzando il principio dell’autoresponsabilità, aveva limitato il riconoscimento del diritto a percepire l’assegno divorzile alle sole ipotesi nelle quali il richiedente versasse in una condizione di non autosufficienza economica, così abbandonando la consolidata lettura interpretativa secondo la quale la spettanza e la quantificazione dell’assegno divorzile dovevano essere determinate in funzione del parametro del tenore di vita coniugale. La decisione – coerente con i principi enunciati dai §§ 1569 e ss. BGB – ha segnato un forte momento di discontinuità rispetto al precedente consolidato orientamento, che pure la stessa Corte costituzionale nel 2014 aveva avallato. Il repentino revirement della Cassazione, che nello spazio di pochi mesi aveva trovato seguito in successive decisioni di legittimità e di merito16, aveva dunque inteso abbandonare il parametro del tenore di vita coniugale quale criterio di attribuzione e di determinazione dell’assegno divorzile e valorizzare il principio dell’autoresponsabilità del richiedente. Questo indirizzo conduceva a riconoscere il diritto a percepire l’assegno divorzile soltanto all’ex coniuge che non fosse economicamente autosufficiente, sostanzialmente attribuendogli una funzione di natura alimentare. Sebbene un simile approdo interpretativo risultasse funzionale all’esigenza di limitare la persistenza di vincoli di solidarietà economica in considerazione della estinzione dello stato di coniugio, specie con riferimento ai matrimoni di breve durata, la sua estensione generalizzata aveva sollevato critiche e perplessità, soprattutto laddove sussistessero esigenze di compensare adeguatamente il coniuge che avesse irreversibilmente compromesso le proprie capacità di reddito per essersi dedicato, d’accordo con l’altro, all’attività domestica e alla cura della famiglia o che fosse chiamato a farlo in qualità di genitore prevalente successivamente alla crisi coniugale17. Ulteriori profili di perplessità erano stati
probatori e strumenti di indagine: doveri delle parti e poteri del giudice, in Fam. dir., 2018, 1007 ss.; F. Tommaseo, La decisione delle Sezioni Unite e la revisione ex art. 9 l. div. dell’assegno postmatrimoniale, in Fam. dir., 1050 ss. 15 Cass. 10 maggio 2017, n. 11504, in Corr. guir., 2017, 897, con nota di E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, in Foro It., 2017, 2707, con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa? e di M. Bianca, Il Nuovo orientamento in tema di assegno divorzile. Una storia incompiuta?, in Fam. dir., 2017, 642 ss., con nota di E. Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale e di F. Danovi, Assegno di divorzio e irrilevanza del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti; in Giur. it., 2017, 1799 ss., con nota di C. Rimini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fenomeno assistenziale; Id., Verso una nuova stagione per l’assegno divorzile dopo il crepuscolo del fenomeno assistenziale, in Nuova Giur. civ. comm., 2017, 1274 ss. Si v. anche M. Fortino, Il divorzio, l’“autoresponsabilità” dei coniugi e il nuovo volto della donna e della famiglia, in Nuova Giur. civ. comm., 2017, 1254 ss.; M. Sesta, La solidarietà post-coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, in Fam. dir., 2018, 516, ove si esprimeva l’auspicio che dal dibattito seguito alla sentenza della Prima sezione potesse “nascere – con il contributo di tutti, giudici, studiosi, avvocati e, soprattutto il legislatore – un più ragionevole ed equo assetto dei rapporti patrimoniali seguenti alla crisi del matrimonio, in linea con i precetti costituzionali e con il nuovo stato giuridico del vincolo coniugale”. 16 Trib. Milano 22 maggio 2017; Trib. Mantova 16 maggio 2017; Trib. Bologna 12 giugno 2017 citate da E. Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, cit., 643, nota 4; Trib. Palermo 12 maggio 2017 in banca dati Pluris; Trib. Venezia 25 maggio 2017, in banca dati Pluris; App. Salerno 26 giugno 2017, in banca dati DeJure. 17 E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, cit., 895 s.; M. Sesta, La solidarietà post- coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, cit., 513.
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manifestati rilevandosi come, una volta assunto il criterio dell’insussistenza di indipendenza economica quale solo presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile, non trovassero in concreto applicazione i criteri previsti dall’art. 5 (durata del matrimonio, età e condizioni dei coniugi, contributo fornito da ciascuno di essi al ménage familiare, ecc.) al fine di quantificare l’importo dell’assegno divorzile. Per evidenziare l’insufficienza della prospettiva aperta dalla Cassazione nel 2017, occorre considerare che, a seguito della crisi e dello scioglimento del matrimonio, può accadere che un ex coniuge – normalmente la donna – si trovi sensibilmente impoverito non avendo un reddito adeguato a mantenere, nel suo complesso, il tenore di vita matrimoniale, né essendo capace di produrlo, spesso in dipendenza di scelte effettuate durante la vita coniugale di intesa con l’altro. In questo contesto può dirsi che la crisi matrimoniale pesi in modo differente tra gli sposi; ciò pone il problema di garantire, proprio all’atto della cessazione del rapporto, una effettiva parità tra loro. Pare infatti evidente che il principio d’eguaglianza affermato dall’art. 29 Cost. esiga necessariamente che i coniugi escano dal matrimonio in condizioni patrimoniali e reddituali equilibrate e coerenti con le loro comuni scelte di vita, tenuto conto delle capacità – anche potenziali – rispettivamente godute all’inizio del rapporto18. Si tratta in definitiva di remunerare l’impegno che un coniuge abbia profuso nella vita matrimoniale, specie attraverso il lavoro di cura prestato in seno alla famiglia – ivi compreso quello connesso alla gravidanza e all’allevamento dei figli –, in base agli accordi di indirizzo concordati con l’altro sposo, eventualmente con sacrificio delle aspettative professionali e reddituali in funzione del ruolo trainante endofamiliare19. Ciò onde evitare ingiusti squilibri tra gli ex coniugi e affinché ciascuno di essi lasci il matrimonio in condizioni di eguaglianza economica20. L’esperienza comparatistica evidenzia che in ogni sistema nel quale il legislatore – consapevole della distribuzione asimmetrica dell’impegno domestico – voglia garantire la parità tra i coniugi e compensare la situazione di debolezza in cui viene a trovarsi chi ha investito le proprie energie nella cura della famiglia sia decisiva non solo la presenza di norme che enuncino e garantiscano la parità nella fase fisiologica del rapporto, ma anche – e soprattutto – di strumenti capaci di far sì che, come efficacemente sintetizzato in una pronuncia inglese, «each party would [...] leave the marriage on terms of financial equality»21. Come è stato messo in rilievo, se così non fosse, si giungerebbe ad un risultato
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In argomento M. Sesta, La solidarietà post-coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensative, in Fam. dir., 2018, 514, ove è prospettato altresì un possibile contrasto con gli articoli 2, 3, 30, 31 e 37 Cost. 19 E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, cit., 898; C. Rimini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fenomeno assistenziale, cit., 1803. 20 In proposito, v. E. Al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzio e famiglia destrutturata, Milano, 2007, 243; Id., Crisi del matrimonio, famiglia destrutturata e perduranti esigenze di perequazione tra i coniugi, in Fam. dir., 2007, 233. 21 Il principio, testualmente enunciato nella decisione Norris v. Norris, Family Division, (2002) EWHC 2996 (Fam), è stato costantemente seguito dalla giurisprudenza inglese. A riguardo, cfr. E. Al Mureden, Conseguenze patrimoniali del divorzio e parità tra coniugi nelle
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paradossale, visto che il coniuge debole godrebbe di tutela nella fase fisiologica, quando la convivenza la rende superflua, mentre ne resterebbe privo al momento della rottura, proprio quando si manifestano gli eventuali effetti negativi conseguenti alla dedizione alla famiglia22. A ben vedere, nell’ordinamento italiano la possibilità di un riequilibrio patrimoniale al momento della rottura del matrimonio è fortemente compromessa dalla derogabilità del regime legale della comunione dei beni – che è in concreto assai utilizzata23 –; ciò induce ad affermare che l’assegno di mantenimento e l’assegno di divorzio costituiscono gli unici strumenti a cui affidare inderogabilmente l’attuazione del principio secondo cui i coniugi devono lasciare il matrimonio in posizione di eguaglianza. Proprio muovendo da queste premesse si è avanzata in dottrina la tesi che attribuisce all’assegno di mantenimento ed all’assegno post-matrimoniale una funzione assistenzialeperequativa24. In particolare si è osservato che l’affermazione della natura eminentemente assistenziale degli assegni – che ne condiziona la corresponsione alla incapacità del richiedente di procurarsi mezzi adeguati – non sia inconciliabile con la loro funzione perequativa, che si risolve nella finalità di perseguire un tendenziale riequilibrio dei redditi ed eliminare, o quantomeno limitare, le più aspre disuguaglianze. Una simile ricostruzione, in effetti, è in linea con l’idea per cui in un sistema che enuncia il principio della parità tra i coniugi e della eguale valenza del lavoro casalingo ed extradomestico (art. 143 c.c.) non è ammissibile che la rottura del matrimonio abbia sui coniugi un diverso impatto, che si risolva nell’arricchimento di uno e in un pregiudizio per l’altro La configurazione dell’assegno con finalità perequativa si attaglia anzitutto a quei matrimoni nei quali, dopo molti anni di convivenza, si riscontra un forte squilibrio tra la situazione patrimoniale e reddituale di colui che abbia svolto un lavoro extradomestico e di chi, invece, si sia dedicato in prevalenza alla famiglia. Il problema di realizzare un’equilibrata divisione delle ricchezze della famiglia tra il coniuge che si dedica maggiormente all’attività extradomestica e quello che si fa prevalente carico della cura dei figli si pone anche con riferimento alle ipotesi in cui al momento della rottura del matrimonio siano presenti figli minori o maggiorenni non autosufficienti. In questo caso, infatti, permangono esigenze di organizzare la vita comune della famiglia nonostante la dissoluzione della coppia che le ha dato origine. In particolare, occorre tenere conto che la divisione dei ruoli – che secondo quanto emerge dagli studi statistici
leading decisions inglesi: verso una nuova valenza dell’istituto matrimoniale?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 211 ss.; Id., L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, cit., 646. 22 E. Al Mureden, L’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento dopo la decisione delle Sezioni Unite, cit., 1021 s. 23 Dalla più recente rilevazione ISTAT emerge come nel 2017, su 191.287 matrimoni celebrati, 138.123 coppie abbiano optato per il regime della separazione dei beni: http://demo.istat.it/altridati/matrimoni/2017/tav2_10.pdf. 24 Si v. E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, cit., 885; M. Sesta, La solidarietà post- coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, cit., 514; C. Rimini, La tutela del coniuge più debole fra logiche assistenziali ed esigenze compensative, in Fam. dir., 2008, 427; E. Al Mureden, La crisi della famiglia, cit., 485 s.
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risulta ancora marcata nelle famiglie unite – si accentua quando, a seguito della separazione e del divorzio, uno dei partner – generalmente la donna – assume il ruolo di «genitore prevalente»25. Questa prospettiva sembra aver trovato una significativa conferma nelle pronunce di legittimità che, nel riconoscere alla parte debole l’assegno di mantenimento o l’assegno divorzile, hanno sottolineato la fondamentale importanza rivestita dall’assunzione degli obblighi di cura dei figli e le conseguenti ricadute negative in termini di «espansione della capacità lavorativa». Sulla scia di consimili considerazioni, le Sezioni unite della Cassazione hanno recentemente rivisto in radice entrambi gli orientamenti giurisprudenziali, che finalizzavano l’assegno di divorzio l’uno alla conservazione del tenore di vita matrimoniale; l’altro alla mera somministrazione di quanto necessario al mantenimento dell’ex coniuge26. Da un lato, la Cassazione ha ribadito la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio, precisando tuttavia che essa debba tener conto di un criterio perequativo- compensativo che discende direttamente dal principio costituzionale di solidarietà, cosicché l’indispensabile accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi di cui dispone il coniuge richiedente o comunque l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, va effettuato attraverso l’applicazione equiordinata di tutti i criteri di cui alla prima parte dell’art. 5, comma 6, l. div. In presenza di sperequazione reddituale tra gli ex coniugi è dovuto l’assegno in favore di quello debole, il cui importo, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due ex coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza secondo un parametro astratto, ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare valorizzando le aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente. In altri termini, la statuizione della Corte si fonda sui seguenti presupposti: 1) i coniugi hanno identici doveri di contribuzione alle necessità familiari (art. 143 c.c.); 2) eventuali accordi di indirizzo concordati tra loro ex art. 144 c.c. che abbiano comportato una diversa distribuzione e un difforme adempimento dei compiti familiari si riflettono sulla formazione del patrimonio comune e di quello personale dell’altro coniuge; 3) se ciò abbia provocato sperequazioni dei redditi dei coniugi, l’adeguatezza dei mezzi deve essere valutata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva – come predicato dalla sentenza della Prima Sezione del 2017 – ma anche in relazione al contributo prestato alla vita familiare. In definitiva, la funzione riequilibrativa dell’assegno
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E. Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, cit., 642 ss.; Id., Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, cit., 223 ss. Nell’ambito della giurisprudenza di merito formatasi successivamente al revirement inaugurato da Cass. 10 maggio 2017, n. 11504 appare significativa la motivazione di Trib. Arezzo 5 luglio 2017, inedita. Per una fattispecie di particolare rilevanza cfr. Cass. 16 maggio 2017, n. 12196; App. Milano 16 novembre 2017, n. 4793, in Fam. dir., 2018, 322 ss., con nota di E. Al Mureden, Berlusconi v. Lario: autosufficienza e tenore di vita coniugale in un big money case italiano. 26 Cass., SS.UU., 11 luglio 2018, n. 18287, cit., supra nota 14.
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non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale – come voleva l’orientamento giurisprudenziale formatosi dopo il 1990 e rimasto fermo fino al 2017 – né al sostentamento dell’ex coniuge non autosufficiente, ma piuttosto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole durante la vita matrimoniale, sempre in relazione alla durata del matrimonio e dell’età dell’avente diritto. In concreto, il giudice è chiamato all’arduo compito di riequilibrare le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, attribuendo a quello più debole una quota del reddito dell’altro, tale da far sì che essi escano dal matrimonio in condizioni di equilibrio. Il che vale a dire che, indipendentemente dalla natura e dalla reddittività dei compiti svolti durante la vita matrimoniale da ciascuno dei coniugi, in relazione alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo e dei relativi accordi, l’ex coniuge economicamente svantaggiato ha diritto di ricevere una porzione del reddito dell’altro che gli consenta, dopo il divorzio, di vivere in condizioni analoghe.
4. Conclusioni. Mettendo a confronto la disciplina tedesca con quella italiana, a tutta prima emergono dunque sensibili differenze – che riflettono diverse condizioni socioeconomiche, a loro volta caratterizzate da una diversa distribuzione del lavoro nella famiglia e da una diversa posizione della donna – che evidenziano la distinta funzione cui è chiamata la famiglia in presenza di diversi livelli del welfare pubblico. Nel sistema tedesco l’assegno di mantenimento assolve una spiccata funzione assistenziale ed è suscettibile di limitazione temporale27, mentre in quello italiano l’accento è ora sulla funzione perequativo compensatoria a vantaggio del coniuge che dedicandosi maggiormente alla famiglia ha rinunciato alle proprie chances professionali. Ad avviso di chi scrive, il giudice italiano, proprio ispirandosi ai principi di autoresponsabilità e di limitazione temporale del mantenimento enunciati dall’ordinamento tedesco, potrebbe, rileggendo il dato normativo nazionale, applicare, in fattispecie determinate, regole consimili. La formula usata dal legislatore italiano è infatti talmente ampia ed elastica, come si è visto dalle molteplici interpretazioni giurisprudenziali via via susseguitesi nel corso dei decenni, da permettere anche di conseguire una tale armonizzazione tra i due ordinamenti. Anche l’ostacolo che appare più difficoltoso da superare, cioè quello della temporaneità dell’assegno contemplata dal § 1578 b BGB, a ben vedere, può essere vinto. Infatti, come espressamente statuito dalle citate Sezioni Unite, “la sostanziale assenza di preclusioni, salvo l’allegazione di mutamenti di fatto, nel procedimento di revisione rende reversibile e
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S. Patti, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezioni Unite, cit., 1201.
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modificabile sine die la determinazione originaria in ordine all’assegno di divorzio, escludendo anche sotto tale profilo, i rischi della c.d. cripto indissolubilità”28. Secondo le Sezioni Unite, in particolare, ciò che non pare potersi legittimamente trascurare è l’intrinseca portata rebus sic stantibus delle statuizioni inerenti all’assegno di divorzio, in forza della quale l’ex coniuge mantiene integro il diritto di sottoporre a revisione le condizioni in origine stabilite al sopravvenire di mutamenti che alterino i presupposti sui quali le stesse erano state fondate, chiedendo all’autorità giudiziaria di intervenire laddove la statuizione possa provocare alla parte un indebito pregiudizio e di evitare così il crearsi di una irragionevole disparità di trattamento tra identiche situazioni29. Come chiarito dalla citata sentenza, infatti, “la comparazione con alcuni ordinamenti europei (in particolare quello francese e tedesco) evidenzia, in particolare, la natura specificamente perequativo-compensativa attribuita all’assegno di divorzio correlata alla previsione della temporaneità dell’obbligo in quanto prevalentemente finalizzato a colmare la disparità economico patrimoniale determinatasi con lo scioglimento del vincolo”: rispetto a tale quadro, nel nostro ordinamento “la mancanza di temporaneità trova puntuale correttivo nel meccanismo legislativo della revisione delle condizioni della sentenza di divorzio in presenza di fatti sopravvenuti”, la cui “sostanziale assenza di preclusioni” – per l’appunto – “rende reversibile e modificabile sine die la determinazione originaria in ordine all’assegno di divorzio, escludendo anche sotto tale profilo, i rischi della c.d. cripto indissolubilità”. Il passo sopra richiamato rappresenta la migliore testimonianza dell’attenzione che la Suprema Corte italiana riserva agli ordinamenti stranieri più vicini al nostro, onde attuare forme di armonizzazione tra gli stessi; compito della dottrina è dunque quello di approntare sudi e ricerche che possano agevolare il raggiungimento di un consimile obiettivo.
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Cfr. SS.UU., sentenza n. 18287/18 cit. In argomento, ma con specifico riguardo all’esigenza di tutela del coniuge debole fatte valere in sede di revisione dell’assegno, cfr. F. Tommaseo, La decisione delle Sezioni Unite e la revisione ex art. 9 l. div. dell’assegno postmatrimoniale, cit., 1053 s.
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L’assegno divorzile nella nuova prospettiva delle Sezioni Unite * Sommario : 1. Crisi della coppia e implicazioni patrimoniali. – 2. L’approdo al nuovo orientamento delle Sezioni Unite. – 3. Segue: alcune ombre.
When a marriage is in a crisis, the family capital reacquires an individual dimension. This often leads to an imbalance in the economic position of the spouses, especially in case of long-lasting marriages, where choices made years back, in anticipation of a married life may not be reversible anymore. In this scenario nowadays there is a vivacious debate on the function of the divorce maintenance payments, looking for a delicate balance between individuals’ freedom, selfresponsibility and the observance of shared choices that were made in married life. But, in this way, judges might go beyond the boundaries of interpretative activity and shift towards political choices.
1. Crisi della coppia e implicazioni patrimoniali. La crisi della coppia decreta la riacquisizione di una dimensione individuale della sfera patrimoniale di cui è titolare ciascun coniuge, di modo che non di rado si assiste all’emersione di pretese reciproche in ragione degli spostamenti patrimoniali verificatisi durante la vita in comune. Del resto, non pochi Istituti dettati nel quadro delle relazioni patrimoniali dei coniugi, sebbene pensati in relazione alla fisiologica esplicazione del rapporto coniugale, sono destinati a trovare effettiva applicazione nel momento in cui insorge la crisi.
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Il contributo riproduce, con l’aggiunta di ampliamenti e integrazioni, la relazione svolta al Convegno L’assegno di divorzio: un confronto tra Italia e Germania, organizzato da EFL (European Association for Family and Succession Law) dedicato alla memoria di Maria Giovanna Cubeddu, tenutosi nella Università di Regensburg il 9 e 10 novembre 2018.
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La crisi, d’altra parte, sovente decreta uno squilibrio delle rispettive posizioni sotto il profilo patrimoniale. Lo scenario cui spesso si assiste è quello giusta il quale uno dei coniugi va incontro a un deterioramento delle condizioni economiche di vita rispetto a quelle godute in costanza di matrimonio. La dissoluzione della comunione degli affetti (spirituale e materiale) – in ragione di una scelta che può essere anche unilaterale – non può obliterare la circostanza che i coniugi siano stati parte di un consorzio a forte matrice affettiva, connotato da contenuti profondi per quel che concerne i rapporti personali. Il che se, da un lato, porta immediatamente a valorizzare la scelta – caratterizzata da intrinseca libertà – di unirsi in matrimonio (ovvero di contrarre un’unione civile) anche sotto il profilo delle «responsabilità» da essa scaturenti, dall’altro, in presenza di unioni che si dissolvono nel breve volgere di qualche anno, attenua fortemente l’esigenza che il coniuge economicamente più forte sovvenga alle necessità di quello più debole. L’elemento temporale, tenuto conto che un rapporto duraturo sugella un impegno, genera affidamenti (in quanto una relazione prolungata sovente dà luogo a sacrifici e a rinunce), assume un rilievo quasi dirimente. Il matrimonio di durata è quello in cui più facilmente il coniuge – il quale al momento della dissoluzione, anche per l’effetto di pregresse e condivise scelte in senso rinunciativo, venga a trovarsi in una situazione di debolezza economica – rischia di trovarsi nell’impossibilità di una ricollocazione a livello professionale in ragione dell’età e delle condizioni di salute.
2. L’approdo al nuovo orientamento delle Sezioni Unite. In uno scenario di questo genere si colloca il dibattito sull’assegno divorzile e, in particolare, sulla sua funzione anche alla luce dei profondi mutamenti che stanno da qualche lustro caratterizzando il sistema delle relazioni familiari. Il dato normativo è noto: l’art. 5, comma 6 legge div., così come modificato dalla legge n. 74 del 1987, sancisce l’obbligo a carico del coniuge di somministrare all’altro un assegno quando quest’ultimo non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive. Nel sancire un siffatto obbligo il tribunale deve tener conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, del reddito di entrambi, valutando tutti questi elementi alla luce della durata del matrimonio. Le Sezioni Unite – con una pronuncia del 1990 che ha costituito un punto di riferimento costante nel corso del tempo – sulla scorta della dianzi descritta formulazione della norma, hanno sancito la natura esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, stabilendo che il relativo riconoscimento debba essere subordinato all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da concepirsi alla stregua di insufficienza dei medesimi a consentirgli di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Alla luce di tale impostazione, la mancanza di mezzi adeguati e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive fondano l’an dell’assegno, laddove gli altri criteri contemplati dalla norma
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concernono unicamente il profilo determinativo e, quindi, il quantum. Le valutazioni che il tribunale era dunque chiamato a compiere in base a una siffatta impostazione si svolgevano su un duplice piano e in una prospettiva diacronica: dapprima l’accertamento della configurabilità in concreto del diritto alla percezione dell’assegno e, successivamente, in caso di riconoscimento, la determinazione del quantum. I Giudici di legittimità nel 2017, pur mantenendo sostanzialmente ferma l’anzidetta prospettiva diacronica, hanno stabilito – in ciò radicalmente innovando – che il parametro in virtù del quale valutare l’inadeguatezza dei mezzi è, non già l’impossibilità di continuare a godere di un tenore di vita analogo a quello matrimoniale, bensì l’autosufficienza economica. In tal modo si è inteso attribuire importanza determinante ai profondi mutamenti intervenuti nel contesto delle relazioni affettive, in un’ottica di valorizzazione delle scelte personali e delle relative implicazioni in termini di autoresponsabilità. In uno scenario di questo genere, che ha visto i tribunali per lo più allinearsi al nuovo corso inaugurato dalla Corte di Cassazione, si colloca la decisione delle Sezioni Unite depositata l’11 luglio 2018. Le Sezioni Unite hanno valorizzato i canoni dell’autodeterminazione e dell’autoresponsabilità, i quali risultano offuscati dall’orientamento tradizionale che fonda il riconoscimento del diritto all’assegno sul raffronto delle condizioni patrimoniali tra coniugi (in quanto idonee o meno a consentire il mantenimento del pregresso tenore di vita matrimoniale). Allo stesso tempo però detti canoni – ed in ciò la critica mossa all’orientamento più recente maturato in seno alla Suprema Corte – se non coniugati, in una prospettiva che sappia cogliere appieno i valori rinvenibili nel testo costituzionale, con quello che è da considerarsi uno dei profili fondanti l’autodeterminazione, vale a dire la dignità personale, possono dar luogo a soluzioni scorrette. Il rischio è di decretare una netta cesura rispetto al rapporto matrimoniale, di talché obliterando le scelte compiute dai coniugi: scelte fondamentali in quanto si ripercuotono sul modello di vita in comune adottato, con conseguente definizione dei ruoli, nonché sul contributo fornito da ciascun coniuge. I Supremi Giudici, esaurita l’analisi critica dei due orientamenti, hanno proposto un’interpretazione dell’art. 5, comma 6 legge div. che – in linea, si afferma, con il dato costituzionale – fa giustizia della rigida distinzione tra criteri attributivi e criteri determinativi dell’assegno di divorzio. L’adeguatezza dei mezzi deve essere colta nelle sue plurime e concrete sfaccettature, all’uopo impiegando tutti i criteri – tradizionalmente concepiti come determinativi del quantum – contemplati dalla prima parte della norma. All’assegno di divorzio deve riconoscersi una funzione equilibratrice-perequativa, ragion per cui il giudice è chiamato a farsi carico di un accertamento in cui si dia conto di quali siano state le scelte «di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio del coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro».
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Luigi Balestra
3. Segue: alcune ombre. Le Sezioni Unite hanno ridisegnato la funzione dell’assegno divorzile ponendo in rilievo, attraverso il costante riferimento al testo costituzionale, la necessità di un accertamento in concreto delle effettive modalità di svolgimento del rapporto matrimoniale, affinché trovino adeguata considerazione, nella prospettiva dell’autodeterminazione e dell’autoresponsabilità, le scelte maturate e condivise dai coniugi durante la vita in comune (di talché evocando quell’accordo sull’indirizzo della vita familiare che ha costituito uno dei perni della riforma del diritto di famiglia del 1975). Scelte che vengono effettuate sul presupposto di una vita in comune destinata a durare usque ad mortem e che, allorquando si verifica la crisi della coppia, non di rado rischiano – alla stregua di quanto osservato già da tempo dalla più accreditata dottrina in materia – di far emergere un impoverimento del coniuge che, nel contesto di dette scelte, abbia effettuato rinunce significative (con riguardo, ad esempio, all’attività lavorativa). L’obiettivo perseguito, sotto il profilo degli interessi che si è inteso salvaguardare, può apparire ex se, già ad una prima analisi, meritevole di apprezzamento. La lettura della decisione desta però immediatamente il sospetto che le Sezioni Unite, nell’abbandonare una distinzione, quella tra criteri attributivi e criteri determinativi, che pur sembra contemplata dalla norma così come concepita e formulata, abbiano oltrepassato i limiti della mera attività ermeneutica per realizzare un’operazione che pare doversi collocare, a pieno titolo, nel contesto delle scelte di politica del diritto, in quanto ripropone una riscrittura della disposizione. Una siffatta presa di posizione è immediatamente evocatrice del dibattito, già da tempo in corso, concernente il c.d. potere creativo del Giudice e che, ad avviso di chi scrive, dovrebbe indurre a prese di posizioni caute ogniqualvolta detto potere non si limiti a decretare l’emersione – conformemente alla vocazione dell’ordinamento civilistico – di interessi che, ancorché meritevoli di protezione, non siano specificamente contemplati e protetti da una norma, ma operi – il che è, in definitiva, quel che è accaduto con la decisione delle Sezioni unite – una selezione tra plurimi interessi in contrapposizione, all’uopo seguendo una scala gerarchica differente rispetto a quella tracciata dal legislatore. Un atteggiamento siffatto dà luogo immediatamente al sospetto del superamento dei confini entro i quali la funzione giurisdizionale è chiamata ad esplicarsi, e ciò in quanto idonea a dar vita a scelte propriamente riservate al legislatore; scelte che, nella misura in cui le si giudichi in contrasto con il testo costituzionale, sarebbero piuttosto da porre all’attenzione del giudice delle leggi. La «nuova formulazione» della norma, peraltro, omette di confrontarsi con un tema che si interseca a pieno titolo con quello delle scelte compiute dai coniugi nonché della loro, per così dire, «remunerazione»: il regime patrimoniale della famiglia. È in quel contesto che le determinazioni dei coniugi possono rinvenire un adeguato riconoscimento in termini patrimoniali, sicché sarebbe stato onere dei Supremi Giudici verificare la compatibilità o, comunque, l’impatto della nuova lettura della norma con il regime di comunione legale ovvero con l’opzione per un diverso regime patrimoniale. Nella sentenza è del tutto
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assente, invece, ogni riferimento a quanto concordato dai coniugi in ordine ai criteri di distribuzione della «ricchezza» maturata durante il consorzio coniugale. Plurime sarebbero state le questioni da analizzare se l’attenzione, in una prospettiva di maggiore ampiezza dell’indagine, fosse stata rivolta al regime patrimoniale della famiglia. Non ci si può infatti esimere dal riflettere su quale impatto abbia la circostanza che per l’intera durata del rapporto matrimoniale, ovvero per una parte di esso, i rapporti patrimoniali tra i coniugi siano stati governati dalla comunione legale. Quale sia, inoltre, il valore da attribuire alla preferenza (evidentemente condivisa) accordata – eventualmente anche in sede di modifica di quello originario – ad un diverso regime, segnatamente la separazione dei beni. Ancora, come dette scelte debbano combinarsi con l’eventuale configurazione di un fenomeno di impresa familiare, al cospetto del quale anche il lavoro svolto all’interno della famiglia – purché presenti determinate caratteristiche, così come tratteggiate da una giurisprudenza consolidata – ottiene un riconoscimento sul piano patrimoniale (senza poi tener conto che, in caso di attività non d’impresa, ma ad esempio professionale, potrebbe profilarsi anche la configurabilità del rimedio dell’arricchimento senza causa). Un ulteriore aspetto merita adeguata sottolineatura. I Supremi Giudici in un passaggio si sono preoccupati di specificare che la nuova lettura fornita della norma non determina «un incremento ingiustificato della discrezionalità del giudice di merito». La sensazione, netta, è che il nuovo orientamento provocherà, accanto ad un incremento della discrezionalità (giustificato o non giustificato poco importa), un aumento del contenzioso in materia, giacché le variabili di cui il giudice sarà chiamato a tener conto, l’elasticità dei criteri da utilizzare, unitamente alle difficoltà insite nell’accertamento in concreto delle modalità di svolgimento del rapporto, nonché delle scelte che ne hanno presidiato l’evoluzione, renderanno difficilmente prevedibile ex ante quello che potrebbe essere l’esito del giudizio. E ognuno ben sa quanto la scelta di addivenire a un accordo (scelta ormai privilegiata dal legislatore nell’ambito della crisi coniugale) – ancor più in materie di questa natura ove, sovente, alla razionalità cognitiva, tipicamente rinvenibile nelle cosiddette transazioni commerciali, si sostituisce, a cagione dell’alterazione del substrato affettivo che si registra in occasione della crisi della coppia, un’irrazionalità emotiva – dipenda non poco dalla previsione di ciò che è lecito attendersi da un eventuale accertamento giudiziario.
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I criteri di determinazione dell’assegno divorzile* Sommario : 1. La nuova funzione compensativa dell’assegno divorzile. – 2. Il percorso logico che deve guidare la decisione sul riconoscimento e la determinazione dell’assegno. – 3. La determinazione in concreto dell’assegno divorzile.
The United Sections of the Italian Court of Cassation has changed the – for decades constantly followed – case law that assigned a welfare/helpful nature to divorce spousal support. The new orientation grounds the rights of the weaker spouse, arising from the breakdown of the marriage, on a pre-eminently compensative purpose. The reasoning that the Judge must follow in order to recognize and determine the amount of the spousal maintenance is now drawn enough to contain, within acceptable limits, the discretion that inevitably characterizes the decision. The evaluation of the sacrifices made by each spouse in favour of the family is the main point of the Judge’s reasoning.
1. La nuova funzione compensativa dell’assegno divorzile. Dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 11504/20171 si era aperto un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in relazione alla nozione di “mezzi adeguati” che si leg-
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Il contributo riproduce, con l’aggiunta di ampliamenti e integrazioni, la relazione svolta al Convegno L’assegno di divorzio: un confronto tra Italia e Germania, organizzato da EFL (European Association for Family and Succession Law) dedicato alla memoria di Maria Giovanna Cubeddu, tenutosi nella Università di Regensburg il 9 e 10 novembre 2018. Cass., 10 maggio 2017, n. 11504, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1001, con nota di U. Roma; in Giur. it., 2017, 1299 con nota di A. Di Majo; in Giur. it., 2017, 1796 con nota di C. Rimini; in Corr. Giur., 2017, 885, con nota di E. Quadri; in Fam. e dir., 2017, 636, con note di E. Al Mureden e F. Danovi; in Foro it., 2017, I, 1859, con note di G. Casaburi, C. Bona e A. Mondini; in Foro it., 2017, I, 2707, con note di S. Patti e M. Bianca. La sentenza di legittimità del 2017 ha suscitato un dibattito assai ricco in dottrina. Ricordiamo F. Danovi, Assegno di divorzio e irrilevanza a del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti, in Fam. e dir., 2017, 657; Id., La Cassazione e l’assegno di divorzio: en attendant Godot (ovvero le Sezioni Unite), in Fam. e dir., 2018, 51; M. Sesta, La solidarietà post-coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, in Fam. e dir., 2018, 509 ss.; S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa?, in Foro it., 2017, I, 2707 ss.; M. Bianca, Il nuovo orientamento in
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Carlo Rimini
ge nell’ultima parte dell’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970. Posto che l’adeguatezza è un concetto relativo, la giurisprudenza tradizionale, successiva alle Sezioni Unite del 19902, individuava il parametro dell’adeguatezza in ciò che è necessario per mantenere il tenore di vita coniugale; la Cassazione nel 2017 lo aveva invece fissato in ciò che è necessario per garantire l’autosufficienza economica ovvero per un’esistenza libera e dignitosa. Come è ormai ben noto, le Sezioni Unite3 hanno individuato una soluzione alternativa rispetto alle due opzioni ermeneutiche contrapposte, soluzione che prende le mosse dalla considerazione per cui l’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970 è una norma autosufficiente nel senso che fornisce all’interprete tutti i parametri necessari alla sua applicazione concreta, cosicché qualsiasi interpretazione fondata su criteri individuati all’esterno della norma (sia il tenore di vita matrimoniale, sia l’autosufficienza economica) è errata. Poiché fra i fattori che – secondo questa lettura – devono essere considerati nel giudizio di adeguatezza vi sono il contributo dato da ciascun coniuge alle esigenze familiari e la durata del matrimonio, la nuova impostazione ottiene l’effetto di adeguare l’istituto dell’assegno divorzile all’evoluzione della società contemporanea: non una rendita assistenziale, ingiustificata proiezione dopo lo scioglimento del matrimonio dei vincoli solidaristici che lo caratterizzano, ma una equa compensazione dei sacrifici fatti da ciascuno dei coniugi, durante la convivenza, a favore delle esigenze familiari.
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tema di assegno divorzile. Una storia incompiuta, in Foro it., 2017, I, 2715; E. Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, in Fam. e dir., 2017, 645; C.M. Bianca, L’ultima sentenza della Cassazione in tema di assegno divorzile: ciao Europa, in Giustizia civile.com, Editoriale del 9.6.2017; A. Di Majo, Assistenza o riequilibrio negli effetti del divorzio?, in Giur. it., 2017, 1299; E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, in Corr. giur., 2017, 7, 885; Id., L’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: gli ex coniugi ‘‘persone singole’ di fronte al loro passato comune, in questa Nuova giur. civ. comm., 2017, 1261 ss.; M. Fortino, Il divorzio, l’autoresponsabilità degli ex coniugi e il nuovo volto della donna e della famiglia, in questa Nuova giur. civ. comm., 2017, 1254 ss.; G. Casaburi, Tenore di vita ed assegno divorzile (e di separazione): c’è qualcosa di nuovo oggi in Cassazione, anzi d’antico, in Foro it., 2017, I, 1895; C. Bona, Il revirement sull’assegno divorzile e gli effetti sui rapporti pendenti, in Foro it., 2017, I, 1900; E. Bargelli, Tenore di vita matrimoniale e principio di autoresponsabilità: inconciliabilità o resilienza?, in I nuovi orientamenti della Cassazione civile, a cura di C. Granelli, Milano, 2018, 31 ss.; A. Mondini, Sulla determinazione dell’assegno divorzile la sezione semplice decide “in autonomia”, in Foro it., 2017, I, 1903; A. Spadafora, Il “nuovo” assegno di divorzio e la misura della responsabilità postaffettiva, in www.giustiziacivile.com, 25.7.2017; V. Barba, Assegno divorzile e indipendenza economica del coniuge. Dal diritto vivente al diritto vigente, in www.giustiziacivile.com, 27.11.2017; A. Figone, Assegno divorzile e valutazione ponderata dell’autosufficienza economica: un “apripista” per le Sezioni Unite?, in Fam. e dir., 2018, 326 ss.; B. M. Colangelo, Assegno divorzile: la vexata quaestio del rilievo da attribuire al tenore di vita matrimoniale, in Fam. e dir., 2017, 274 ss.; D. Piantanida, L’assegno di divorzio dopo la svolta della Cassazione: orientamenti (e disorientamenti) nella giurisprudenza di merito, in Fam. e dir. 2018, 65; G. Savi, Il riconoscimento dell’assegno divorzile: dal parametro del “tenore di vita” dei consorti alla verifica dell’autosufficienza personale del richiedente?, in Riv. dir. priv., 2017, 599 ss.; Id, Il diritto all’assegno divorzile avanti alle corti di merito, ovverosia l’ennesima “torre di Babele” nella cittadella della famiglia, in Dir. fam., 2018, 83 ss. A questi ci permettiamo di aggiungere C. Rimini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fondamento assistenziale, in Giur. it., 2017, 1799; Id, Assegno di divorzio: non è solidarietà, non è assistenza ciò che l’ex coniuge va cercando, in Corr. giur., 2018, 323 ss. Cass., Sez. Un., 29 novembre 1990, nn. 11489, 11490, 11491, 11492, in Foro it., 1991, I, 67, con note di E. Quadri e di V. Carbone, in Giust. Civ., 1990, I, 2789 e 1991, I, 1223 con nota di A. Spadafora, in questa Nuova giur. civ. comm, 1991, I, 112 con nota di E. Quadri, in Giur. it., 1991, I, 1, 536 con nota di G.M. Pellegrini, in Corr. Giur., 1991, 305 con nota di G. Ceccherini. Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287, in questa Nuova giur. civ. comm, 2018, 1607 con nota di C. Benanti; in Giur. it., 2018, 1843 con nota di C. Rimini; in Corr. giur., 2018, 1186 con nota di S. Patti; in Foro it., 2018, I, 2671 (s.m.) con nota di G. Casaburi e M. Bianca; in Guida al dir., 2018, 32, 16 (s.m.) con nota di G. Dosi, in Ilfamiliarista.it, 2018, con nota di A. Simeone; in Fam. e dir., 2018, 1058; in Dir. fam., 2018, I, 869.
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I criteri di determinazione dell’assegno divorzile
Pertanto, secondo il nuovo insegnamento, all’assegno di divorzio “deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa”. La norma “conferisce rilievo alle scelte e ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare”4. L’assegno divorzile è stato concepito quasi mezzo secolo fa, certamente nato come proiezione dopo la fine del matrimonio della solidarietà coniugale, ultima eco dell’indissolubilità del vincolo. Prima che la questione fosse affrontata dalle Sezioni Unite, avevo avuto occasione di rilevare che il fatto di avere continuato per decenni a descriverlo e ad interpretarlo su basi esclusivamente assistenziali – come un relitto di una società e di una concezione della famiglia che non esistono più – aveva prodotto l’effetto di renderlo del tutto inadeguato a realizzare un’equa ridistribuzione delle risorse fra i coniugi dopo il fallimento del matrimonio. Per questa ragione, da tempo, si era diffusa una radicata e profonda insoddisfazione nei confronti dell’istituto dell’assegno divorzile, del suo fondamento e degli esiti pratici della sua applicazione. È significativo osservare che questa insoddisfazione, quasi una sorda ostilità, fosse comune – ovviamente da prospettive opposte – tanto alla parte debole che rivendicava l’assegno, quanto alla parte forte chiamata a versarlo. La logica esclusivamente assistenziale – interpretata nel senso di giustificare che l’ex coniuge più debole avesse il diritto di mantenere a tempo indeterminato il tenore di vita coniugale – portava, dunque, a conclusioni ormai non più accettate e correttamente ritenute del tutto inique5. Tuttavia, l’aspetto per cui l’orientamento giurisprudenziale sino a ieri consolidato (su questo punto ribadito anche dalle sentenze successive al revirement del 2017) appariva più distante dalla coscienza comune contemporanea era il fatto di non dare adeguato rilievo – per l’ossessione di far sopravvivere un vincolo esclusivamente assistenziale per un tempo indefinito dopo il divorzio – all’esigenza di riequilibrare le fortune economiche dei coniugi rispetto agli sforzi e alle rinunce da ciascuno di essi effettuati a favore della famiglia. Le Sezioni Unite contemperano invece la finalità assistenziale e la finalità compensativa, nel senso che entrambe le funzioni sono fuse all’interno del parametro dell’adeguatezza: “la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire
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Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287, cit. In questa sede è naturale richiamare, fra le voci più autorevoli che avevano da tempo richiamato l’attenzione su questo scollamento fra la natura e le finalità dell’assegno divorzile secondo la giurisprudenza tradizionale e l’evoluzione della famiglia e del matrimonio nella società contemporanea, S. Patti, Obbligo di mantenere e obbligo di lavorare, in Introduzione al diritto della famiglia in Europa, a cura di S. Patti e M.G. Cubeddu, Milano, 2008, 309.
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l’autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare”6. È evidente quindi, da un lato, che nella nuova natura composita dell’assegno divorzile la funzione di compensazione dei sacrifici fatti è assolutamente prevalente7. D’altro lato, invece, la funzione risarcitoria-indennitaria collegata al criterio delle ragioni della decisione sfuma in una posizione di assoluta marginalità. Essa è, infatti, nella ampia motivazione della sentenza delle sezioni Unite8, menzionata solo incidentalmente e nella prospettiva di svalutarne il significato. Nonostante questa chiara gerarchia, è legittimo porre un dubbio: prima della riforma del 1987, quando pure – come secondo il recente arresto giurisprudenziale – si affermava la funzione composita dell’assegno di divorzio, era diffusa l’opinione per cui la molteplicità di funzioni comportava un eccesso di discrezionalità del giudice. Proprio da questi rilievi nacque la riformulazione, ad opera della l. n. 74/1987, dell’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970. È quindi giusto chiedersi se l’avere riaffermato la funzione composita dell’assegno possa riprodurre il rischio di una eccessiva discrezionalità. Sono convinto che tale rischio non vi sia, essendo la discrezionalità del giudice ben contenuta entro i limiti che le Sezioni Unite chiaramente pongono ed essendo essa guidata da un criterio forte e finalmente condiviso nella società contemporanea quale quello del riconoscimento dei sacrifici fatti durante il matrimonio. Viceversa, segni evidenti di un eccesso di discrezionalità vi erano nella prassi quotidiana precedente alla sentenza n. 11504/2017, quando la premessa teorica per cui l’assegno veniva almeno in astratto commisurato al tenore di vita matrimoniale – avvertita frequentemente come non condivisibile e sorretta da una logica assistenziale vitalizia percepita come assai debole nella società contemporanea – portava ad esiti pratici frequentemente molto distanti dalle massime consolidate nella giurisprudenza di legittimità e molto difformi nei diversi tribunali (e talora persino fra giudici differenti nei medesimi tribunali)9.
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Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287, cit. Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287, cit., espressamente afferma: “Il richiamo all’attualità, avvertito dalla sentenza n. 11504 del 2017, in funzione della valorizzazione dell’autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi deve, pertanto, dirigersi verso la preminenza della funzione equilibratrice-perequativa dell’assegno di divorzio” (corsivo aggiunto) ed aggiunge “I criteri determinativi, ed in particolare quello relativo all’apporto fornito dall’ex coniuge nella conduzione e nello svolgimento della complessa attività endofamiliare, cui il Collegio ritiene di attribuire primaria e peculiare importanza”. Ancora Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287, cit., nel tracciare un quadro comparatistico, non perde occasione per ricordare la “tendenziale eliminazione del divorzio per colpa che, all’interno del nostro ordinamento trova riscontro nella progressiva riduzione dell’importanza del c.d. criterio risarcitorio fin dall’accertamento dell’addebito in sede di separazione”. Su tale frattura fra affermazioni teoriche ed esiti pratici, ci sia consentito rinviare a quanto scritto più ampiamente in C. Rimini, Il nuovo divorzio, in Tratt. Dir. Civ. e Comm., a cura di A. Cicu, F. Messineo, Milano, 2015, 105 ss.
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I criteri di determinazione dell’assegno divorzile
2. Il percorso logico che deve guidare la decisione sul riconoscimento e la determinazione dell’assegno.
Sulla base della nuova funzione composita e prevalentemente compensativa attribuita all’assegno divorzile, le Sezioni Unite disegnano il percorso che il giudice deve seguire nel riconoscimento e nella determinazione dell’assegno divorzile. Si deve, in primo luogo, valutare se vi sia, dopo il divorzio e in conseguenza di esso, uno squilibrio nelle condizioni economico-patrimoniali delle parti. Se la risposta è negativa, la domanda di assegno deve essere rigettata perché la componente assistenziale nella funzione dell’istituto impedisce di dare spazio ad esigenze compensative che potrebbero eventualmente essere presenti anche a fronte di situazioni economiche dei due ex coniugi equivalenti. L’indagine sulla situazione reddituale e patrimoniale delle parti è sottratta all’applicazione delle normali regole di distribuzione dell’onere della prova. Essa, invece, viene effettuata sia tramite la produzione dei documenti fiscali sia tramite il “potenziamento dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice”10. Quindi, la prova della sussistenza dello squilibrio non è un onere della parte che chiede l’assegno. Non è tuttavia sufficiente l’esistenza di uno squilibrio fra le sostanze dei coniugi per riconoscere alla parte debole un assegno. Il percorso logico che conduce ad affermare la sussistenza del diritto è, infatti, più articolato rispetto a quanto avveniva secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite del 1990. Se lo squilibrio sussiste, e non può essere colmato per ragioni oggettive, il giudice deve valutare se esso “derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contributo fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge”. Al contrario di quanto avviene in relazione alla prova della situazione economica dei coniugi, l’esistenza di un sacrificio a favore delle esigenze della famiglia da parte del coniuge che chiede l’assegno è un fatto il cui accertamento è sottratto ai poteri officiosi del giudice. È quindi la parte che chiede l’assegno che deve, in primo luogo, dare la prova dei sacrifici fatti durante il matrimonio a favore della famiglia e del proprio contributo alla formazione del patrimonio comune e di ciascuno. La prova può essere fornita con ogni mezzo anche mediante presunzioni. Ciò significa che è onere del coniuge richiedente fornire la prova dell’esistenza di un nesso causale fra i sacrifici fatti (e provati) e lo squilibrio fra le situazioni reddituali e patrimoniali dei due coniugi nel senso che, se il coniuge richiedente non si fosse sacrificato a favore della famiglia, lo squilibrio non si sarebbe prodotto. Le Sezioni Unite precisano
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Così Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287, cit.
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che il convincimento del giudice in relazione al nesso eziologico fra i sacrifici effettuati a favore della famiglia dal coniuge richiedente e la sperequazione che si è determinata fra le situazioni reddituali e patrimoniali dei coniugi deve essere frutto di un “accertamento probatorio rigoroso”. Secondo le ordinarie regole di distribuzione dell’onere della prova, è onere della parte che propone la domanda la prova rigorosa dell’esistenza del nesso causale.
3. La determinazione in concreto dell’assegno divorzile. Una volta accertata, da un lato, la sussistenza e la misura dello squilibrio nella situazione reddituale e patrimoniale fra i coniugi e, d’altro lato, provata l’esistenza di un sacrificio da parte del coniuge più debole e di un nesso causale fra i sacrifici fatti e lo squilibrio, il giudice può determinare l’assegno divorzile. In questa fase, il criterio del tenore di vita matrimoniale non ha più alcun rilievo. Poiché il presupposto dell’assegno è lo squilibrio nella situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi, il tetto massimo nella determinazione dell’assegno è costituito dalla somma necessaria e sufficiente per colmare lo squilibrio fra le posizioni economico-patrimoniali dei coniugi. Si tratta, quindi, della somma che consente ad entrambi i coniugi di vivere allo stesso modo, senza che la parte debole sia costretta a limitazioni a cui l’altra non deve invece piegarsi. A questa soglia massima il giudice dovrà giungere solo in una situazione molto particolare, in un certo senso estrema. Si tratta del caso in cui i sacrifici della parte debole a favore della famiglia – che hanno prodotto lo squilibrio delle rispettive posizioni economiche – sono stati molto rilevanti, hanno contribuito in modo decisivo alla formazione della posizione reddituale e patrimoniale della parte forte e si sono protratti per un tempo molto prolungato. Questo è il caso del coniuge che ha dedicato quasi integralmente la propria vita alla famiglia e alle esigenze dell’altro coniuge, permettendo a quest’ultimo di dedicarsi integralmente alla propria carriera. La durata nel tempo di sacrifici rilevanti e la loro massima efficienza causale sulle fortune economiche dell’altra parte sono elementi che dimostrano l’affidamento che la parte debole ha posto nel matrimonio e nella sua efficacia ridistributiva delle risorse. In tale situazione limite, l’affidamento va tutelato di fronte allo scioglimento del vincolo e il riequilibrio delle situazioni economiche degli ex coniugi deve essere totale. All’estremo opposto vi sono quelle situazioni in cui il coniuge debole non ha fornito alcun contributo alle esigenze della famiglia e non ha sacrificato alcuna delle sue prospettive professionali. Ciononostante, per le diverse condizioni di partenza, o per i casi della vita, si trova al momento del divorzio in una situazione economica deteriore rispetto all’altro. In tale ipotesi opera solo la funzione assistenziale in senso stretto dell’assegno, con la conseguenza che esso deve obbligatoriamente essere contenuto nella somma necessaria
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per un’esistenza dignitosa e deve essere negato se la parte debole è autonomamente in grado di vivere con dignità11. Peraltro, anche in questi casi, la durata del matrimonio è un parametro di grande rilievo, per cui, se all’inesistente contributo alle esigenze della famiglia si associa un matrimonio breve, la funzione assistenziale si affievolisce fino ad avere una natura esclusivamente alimentare e l’assegno non può superare ciò che è necessario per colmare lo stato di bisogno. La discrezionalità del giudice opera, quindi, nelle situazioni intermedie nelle quali vi è stato un sacrificio a favore delle esigenze della famiglia, ma questo non è stato integrale o è contenuto in un tempo piuttosto limitato. In questi casi l’assegno potrà essere fissato in una misura superiore a quanto necessario per condurre un’esistenza dignitosa anche se inferiore a quanto necessario per consentire ad entrambi i coniugi di vivere allo stesso modo. Le Sezioni Unite indicano un ulteriore criterio quantitativo di cui il giudice potrà tenere conto proprio in queste ipotesi: l’assegno dovrà consentire alla parte debole un livello reddituale adeguato al contributo effettivo “in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate”. Il giudice potrà quindi effettuare una valutazione ipotetica della differenza fra i redditi che la parte debole avrebbe potuto conseguire se non avesse effettuato i sacrifici a favore della famiglia e i redditi che invece effettivamente percepisce a seguito di quei sacrifici. Questo criterio è stato correttamente utilizzato dal Tribunale di Pavia in una delle prime occasioni in cui un giudice di merito ha avuto occasione di seguire l’insegnamento delle Sezioni Unite12. Vi è, infine, un altro fondamentale elemento che è opportuno tenere in considerazione. Si tratta del contributo dato dal coniuge più forte alla formazione del patrimonio di cui, al momento del divorzio, il coniuge debole è titolare. Tale patrimonio è rilevante non solo perché di esso il giudice deve tenere conto nella valutazione delle sostanze della parte debole, ma anche perché – sia se esso è stato acquistato sulla base delle regole della comunione dei beni sia se esso è il frutto di spontanee attribuzioni a favore del coniuge debole effettuate durante il matrimonio dal coniuge più forte – costituisce una forma di compensazione per i sacrifici fatti durante il matrimonio. Ciò significa che l’assegno divor-
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Dopo la presentazione di questa tesi nel corso della mia relazione orale e mentre riordinavo per iscritto le idee proposte, App. Napoli, 10 gennaio 2019, in corso di pubblicazione in Nuova giur. civ. comm. e in Foro. it., ha seguito esattamente la stessa strada ed ha respinto la domanda di assegno divorzile presentata da una moglie nei confronti di un marito, che pur versava in una situazione reddituale e patrimoniale immensamente migliore rispetto a quella del coniuge richiedente, sulla base della considerazione per cui la moglie non aveva sacrificato alcuna aspirazione professionale e lavorativa in conseguenza del matrimonio avendo continuato a fare l’insegnante come faceva prima delle nozze. Lo squilibrio non era, dunque, causato da sacrifici compiuti dalla parte debole durante il matrimonio ma, semplicemente, dai casi e dalle scelte della vita. Poiché la moglie, grazie al proprio lavoro (e successivamente alla propria pensione) era perfettamente in grado di condurre un’esistenza dignitosa, l’assegno divorzile non è stato riconosciuto. 12 Trib. Pavia, 23 luglio 2018, in corso di pubblicazione in Nuova giur. civ. comm., secondo cui “Il giudizio relativo al riconoscimento e alla determinazione dell’assegno divorzile deve essere compiuto sulla base di una valutazione del percorso di vita che avrebbe potuto sviluppare il coniuge richiedente l’assegno qualora non si fosse sposato, così da raffrontare la situazione che si sarebbe potuta creare in tal caso con quella determinata con il divorzio. Nel giudizio prognostico relativo alle aspettative sacrificate, che comporta una valutazione “come se” un determinato fatto non fosse accaduto, l’elemento da eliminare è il matrimonio e non il divorzio. Tale valutazione deve essere fatta anche considerando fatti rientranti nella comune esperienza e presunzioni semplici ai sensi, rispettivamente, degli artt. 115 c.p.c. e 2729 c.c.”.
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Carlo Rimini
zile, determinato sulla base della sua funzione compensativa e perequativa, deve tenere conto, come fattore di moderazione, delle attribuzioni compensative già effettuate prima della crisi matrimoniale. Anche questo elemento è stato adeguatamente valorizzato dalla sentenza del Tribunale di Pavia sopra ricordata13. Nel caso esaminato dal Tribunale pavese, i coniugi vivevano in regime di comunione dei beni e, al momento della separazione, avevano diviso il patrimonio comune. Le attribuzioni patrimoniali che la parte debole ha ricevuto rappresentano certamente una rilevante compensazione del suo apporto alla carriera del marito e del sacrificio personale effettuato rinunciando ai propri progetti lavorativi. Ad una conclusione analoga si deve pervenire anche se il regime patrimoniale della famiglia fosse quello della separazione dei beni e tuttavia, al momento del divorzio, il coniuge che abbia compiuto sacrifici per la famiglia abbia già ricevuto spontanee attribuzioni a suo favore effettuate durante la convivenza matrimoniale dal coniuge più forte, così come nel caso in cui il coniuge più debole abbia ricevuto un patrimonio consistente in esecuzione degli accordi raggiunti al momento della separazione. In tutte queste ipotesi, il patrimonio ricevuto dal coniuge che si è sacrificato a favore delle esigenze della famiglia rappresenta una compensazione dei sacrifici fatti. In molti casi tali attribuzioni patrimoniali assolvono interamente le esigenze compensative e quindi nessun assegno divorzile deve essere riconosciuto. Così, ad esempio, se il divorzio segue una separazione consensuale nella quale le parti non hanno previsto un assegno di mantenimento a favore del coniuge più debole e ciò proprio sulla base delle attribuzioni patrimoniali dallo stesso ricevute. In questa ipotesi si può ritenere che le parti stesse abbiano ritenuto che il patrimonio ricevuto durante il matrimonio rappresenti di per sé una idonea compensazione.
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Trib. Pavia, 23 luglio 2018, cit.
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Solidarietà post-coniugale e compensazione del contributo endofamiliare nel nuovo assegno divorzile* Sommario : 1. L’assegno divorzile dopo la decisione delle Sezioni Unite. – 2. L’attuazione del principio di parità tra coniugi e la funzione compensativa-perequativa. – 3. La persistente preminenza della funzione assistenziale e la sua duplice declinazione. – 4. La compensazione del contributo endofamiliare ed il suo valore relativo. – 5. Le nuove funzioni dell’assegno divorzile ed i lori riflessi sull’autonomia dei coniugi.
The recent leading decision of the Supreme Court of Cassation – which has underlined the constitutional basis of the spousal support and its multiple functions – leads to focus the attention upon the crucial role of the principle of equality in the economic consequences of marriage breakdown and its implications on the agreements made in contemplation of divorce.
1. L’assegno divorzile dopo la decisione delle Sezioni Unite. La decisione con la quale le Sezioni Unite1 hanno operato una profonda rilettura dell’art. 5, c. 6, l. div. a distanza di quasi trent’anni dalla pronuncia che – affermando la natura
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Il contributo riproduce, con l’aggiunta di ampliamenti e integrazioni, la relazione svolta al Convegno L’assegno di divorzio: un confronto tra Italia e Germania, organizzato da EFL (European Association for Family and Succession Law) dedicato alla memoria di Maria Giovanna Cubeddu, tenutosi nella Università di Regensburg il 9 e 10 novembre 2018. Cass., Sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287, in Corr giur., 2018, 1186, con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezioni Unite, in Foro it., 2018, I, 2671, con nota di C.M. Bianca, Le sezioni unite e i corsi e ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia compiuta?, in Giur. it., 2018, 1843, con nota di C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa. Le molteplici questioni emerse sotto i profili civilistici, processuali e penali a seguito della recente decisione delle Sezioni Unite sono analizzate nei contributi compendiati nel recente numero monografico della Rivista Famiglia e diritto, L’assegno di divorzio dopo la decisione delle Sezioni Unite, 2018.
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eminentemente assistenziale dell’assegno divorzile e indicando il tenore di vita coniugale quale parametro in funzione del quale valutare l’adeguatezza dei mezzi del richiedente – diede vita ad un orientamento così consolidato da assurgere al rango di diritto vivente2 può essere osservata come un inevitabile riflesso dei mutamenti sociali e normativi che, soprattutto negli ultimi tre lustri, hanno profondamente inciso su un sistema di regole concepito in funzione del paradigma della famiglia coniugale tendenzialmente unita3. Il progressivo rafforzamento dei legami derivanti dalla filiazione, attuato dapprima mediante l’introduzione dell’affidamento condiviso (l. 8 febbraio 2006, n. 54) e portato a compimento dalle norme che hanno reso unica la condizione unica del figlio (l. 10 dicembre 2012, n. 219 e dal d. lg. n. 28 dicembre 2013, n. 154)4, la significativa riduzione della complessità e della durata che caratterizzavano l’iter necessario al fine di conseguire lo scioglimento del matrimonio – realizzata attraverso gli interventi di riforma che hanno reso possibile conseguire la separazione ed il divorzio a prescindere da un ineludibile intervento giudiziale (d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla l. 10 novembre 2014, n. 162)5 ed hanno significativamente ridotto il periodo di separazione legale necessario al fine di proporre istanza per il divorzio (l. 6 maggio, 2015, n. 55)6 –, infine l’istituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e l’introduzione di una disciplina delle convivenze (l. 20 maggio 2016, n. 76)7, hanno definitivamente legittimato quella pluralità di modelli familiari nell’ambito dei quali assumono una crescente rilevanza anche le complesse relazioni ascrivibili alla categoria della famiglia ricomposta8. In un simile contesto i profili di criticità emersi nella lettura interpretativa che aveva impresso all’assegno divorzile una natura eminentemente assistenziale, condizionandone l’attribuzione in funzione dell’incapacità del richiedente di procurarsi mezzi adeguati al
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Cass., Sez. un. 29 novembre 1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, 1, 67, con nota di E. Quadri, Assegno di divorzio: la mediazione delle sezioni unite e di V. Carbone, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio). Sull’assegno post-matrimoniale C. Rimini, Il nuovo divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, La crisi della famiglia, II, Milano, 2015, 105 ss.; G. Bonilini, L’assegno postmatrimoniale, in G. Bonilini e F. Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Comm. c.c. Schlesinger – Busnelli, III ed., Milano, 2010, 575 ss.; G. Giacobbe, P. Virgadamo, Il matrimonio, in Tratt. dir. civ., 3, 2, Torino, 2011, 57. M. Sesta, La solidarietà post-coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, in Fam. e dir., 2018, 509. M.N. Bugetti, La risoluzione extragiudiziale del conflitto coniugale, Milano, 2015, 54 M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, 5; Id., Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Recte sapere: Studi in onore di Giuseppe Dalla Torre, III, Torino, 2014, 1647; Id., voce Filiazione (diritto civile), in Enc. dir., Annali VIII, Milano, 2015, 445; C.M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, in La Riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Padova, 2015, 3 ss. C. Rimini, Il nuovo divorzio, cit., 14 ss.; F. Danovi, Il processo di separazione e divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, La crisi della famiglia, IV, Milano, 2015, 867 ss. M. Sesta, Sub art. 1, comma, 1, l. n. 76/2016, in M. Sesta (a cura di), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2017, 169; Id., Unioni civili e convivenze: dall’unicità alla pluralità di legami di coppia, in P. Rescigno, V. Cuffaro (a cura di), Unioni civili e convivenze di fatto: la legge, in Giur. it., 2017,1792 ss. Sulla famiglia ricomposta o ricostituita P. Rescigno, Le famiglie ricomposte: nuove prospettive giuridiche, in Familia, 2002, 1 ss.; G. Bilò, Famiglia ricostituita, in M. Sesta (a cura di), Codice della famiglia, III ed., Milano, 2015, 2394; D. Buzzelli, La famiglia «composita». Un’indagine sistematica sulla famiglia ricomposta: i neo coniugi o conviventi, i figli nati da precedenti relazioni e i loro rapporti, Napoli, 2012; E. Al Mureden, La famiglia ricomposta tra autonomia privata e tutela dei diritti indisponibili, in Liber Amicorum Pietro Rescigno. In occasione del novantesimo compleanno, Napoli, 2018, 27.
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Solidarietà post-coniugale e compensazione del contributo endofamiliare nel nuovo assegno divorzile
mantenimento del tenore di vita coniugale erano stati in parte espressi in un’ordinanza di remissione alla Corte costituzionale che auspicava un processo di “revisione critica del dogma del tenore di vita”, considerato espressione di “un’altra gerarchia di valori non più adeguati alla contemporanea legalità costituzionale”9. Una simile lettura, dichiarata infondata dalla Corte costituzionale10, costituiva, tuttavia, il portato di un’istanza di cambiamento sotto alcuni profili giustificata e destinata a riemergere nella pronuncia della I Sezione della Cassazione che, segnando un momento di repentina e marcata discontinuità rispetto all’orientamento consolidato, ha abbandonato il riferimento al parametro del tenore di vita coniugale sostituendolo con quello dell’autosufficienza economica del richiedente11. L’analisi della significativa casistica giurisprudenziale formatasi nei mesi successivi al revirement operato dalla I Sezione ha fatto emergere un considerevole numero di decisioni di legittimità12 e di merito13 che hanno aderito all’idea di attribuire una rilevanza preminente al parametro dell’autosufficienza economica del richiedente. Peraltro un novero assai ristretto di pronunce ha opportunamente posto in rilievo l’esigenza di circoscrivere la portata del criterio fondato sull’autosufficienza del richiedente per lasciare spazio all’esigenza di tutelare l’ex coniuge che avesse dedicato un significativo periodo di tempo alla cura della famiglia14, che in ragione dell’età avanzata non disponga più di “energie giovanili”15 o che, seppur giovane e reduce da un matrimonio relativamente breve, sarà
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Trib. Firenze 22 maggio 2013, in Fam. e dir., 2014, 687, con nota di E. Al Mureden, Il parametro del tenore di vita coniugale nel “diritto vivente” in materia di assegno divorzile tra persistente validità, dubbi di legittimità costituzionale ed esigenze di revisione e di A. Morrone, Una questione di ragionevolezza: l’assegno divorzile e il criterio del “medesimo tenore di vita”. 10 C. cost. 9 febbraio 2015, n. 11, in Fam. e dir., 2015, 537, con nota di E. Al Mureden, Assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e principio di autoresponsabilità, che ha confermato la ragionevolezza della lettura affermatasi a seguito della decisione delle Sezioni Unite del 1990 sino a divenire diritto vivente. 11 Cass., 10 maggio 2017, n. 11504, in Fam. e dir., 2017, 642, con nota di E. Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, e di F. Danovi, Assegno di divorzio e irrilevanza del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti; in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1001, con nota di U. Roma, Assegno di divorzio: dal tenore di vita all’indipendenza economica, in Corr. giur., 2017, 885, con nota di E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?; in Foro. it., 2017, 2707, con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa?, e di C.M. Bianca, Il nuovo orientamento in tema di assegno divorzile. Una storia incompiuta. Sulla medesima decisione si vedano anche M. Fortino, Il divorzio, l’“autoresponsabilità” degli ex coniugi e il nuovo volto della donna e della famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1254; C. Rimini, Verso una nuova stagione per l’assegno divorzile dopo il crepuscolo del fondamento assistenziale, ivi, 1274; E. Quadri, L’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: gli ex coniugi “persone singole” di fronte al loro passato comune, ivi, 1261; C.M. Bianca, L’ultima sentenza della Cassazione in tema di assegno divorzile: ciao Europa?, in www.giustiziacivile.com, 2017, Editoriale del 9 giugno 2017; G. Savi, Il riconoscimento dell’assegno divorzile: dal parametro del “tenore di vita” dei consorti alla verifica dell’autosufficienza personale del richiedente?, in Riv. dir. priv., 2017, 599 ss.; V. Barba, Assegno divorzile e indipendenza economica del coniuge. Dal diritto vivente al diritto vigente, in Giustiziacivile.com, Editoriale del 27 novembre 2017. 12 Cass. 21 luglio 2017, n. 18111; Cass. 8 agosto 2017, n. 19721; Cass. 29 agosto 2017, n. 20525; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23602; Cass. 27 ottobre 2017, n. 25697; da ultimo Cass. 26 gennaio 2018, n. 2042; Cass. 26 gennaio 2018, n. 2043, entrambe in Fam. e dir., 2018, 321, con nota di Figone, Assegno divorzile e valutazione ponderata dell’autosufficienza economica: un “apripista” per le Sezioni Unite? 13 Trib. Milano 22 maggio 2017; Trib. Mantova 16 maggio 2017; Trib. Venezia 24 maggio 2017; Trib. Bologna 12 giugno 2017; Trib. Roma 13 luglio 2017; App. Salerno 17 luglio 2017, tutte in DeJure. 14 App. Napoli, 22 febbraio 2018 n. 11, in Fam. e dir., 2018, 360, con nota di F. Danovi, La meritevolezza dell’assegno di divorzio va valutata nel concreto svolgimento della vita coniugale; Trib. Udine 1° luglio 2017, in Corr. giur., 2018, 633, con nota di E. Andreola, I nuovi presupposti dell’assegno divorzile: – la “distonia” dei giudici di merito. 15 Cass. 8 agosto 2017, n. 19721, in De Jure.
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chiamato ad assumere per un considerevole periodo di tempo il ruolo di genitore che si darà in prevalenza carico dei figli16. Le Sezioni Unite, pur considerando condivisibile l’esigenza di affermare il principio dell’autoresponsabilità e limitare la persistenza di vincoli economici tendenzialmente perpetui tra gli ex coniugi, hanno tuttavia sottolineato i limiti della prospettiva che pone in primo piano il criterio dell’autosufficienza economica del richiedente ritenuta “incompleta”, in quanto, da una parte coglie un “elemento di rilievo”, ma al tempo stesso “ne trascura altri”. Questa consapevolezza ha condotto a recepire e sviluppare le condivisibili istanze delle decisioni appena richiamate che avevano circoscritto la portata del principio dell’autosufficienza escludendo che esso potesse condurre a frustrare le esigenze di tutela dell’ex coniuge a lungo dedito alla cura della famiglia o chiamato a conservare tale ruolo per il tempo successivo al divorzio17. La Cassazione, pertanto, opera una rilettura dell’art. 5, c. 6, l. div. che, senza disconoscere l’esigenza di valorizzare il principio dell’autoresponsabilità del richiedente, ribadisce la fondamentale rilevanza del “valore” della solidarietà post-coniugale e dell’assegno divorzile quale strumento che, ponendosi nell’alveo dell’art. 29 Cost., assolve ad una “funzione equilibratrice”, la quale, seppur non “finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale”, mira al “riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole” al ménage familiare. Ciò conduce a valutare l’adeguatezza dei mezzi del richiedente non solo in funzione della loro “mancanza o insufficienza oggettiva”, ma anche perseguendo la finalità di evitare che l’apporto fornito da ciascuno dei coniugi possa produrre “effetti vantaggiosi” di cui al termine del rapporto si giovi “unilateralmente (…) una sola parte”. Questa mutata prospettiva segna l’abbandono di una visione imperniata sulla funzione eminentemente assistenziale dell’assegno divorzile ed il riemergere di una natura “composita” che consente di valorizzare anche la finalità “incentrata sull’aspetto perequativo-compensativo”; finalità che – precisano le Sezioni Unite – può essere perseguita solamente attraverso il “superamento della distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno di divorzio” e l’adozione di un approccio nel quale il giudice è chiamato ad operare una “valutazione integrata” degli “indicatori contenuti nell’incipit” dell’art. 5, c. 6, l. div. alla luce della durata del matrimonio.
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App. Napoli, 22 febbraio 2018, n. 11, cit.; Trib. Arezzo 29 giugno 2017, in Corr. giur., 2018, 633, con nota di E. Andreola, I nuovi presupposti dell’assegno divorzile: – la “distonia” dei giudici di merito. 17 E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, cit.; 885; C.M. Bianca, L’ultima sentenza della Cassazione in tema di assegno divorzile: ciao Europa?, cit., 1 ss.; M. Sesta, La solidarietà post-coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, cit., 509.
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2. L’attuazione del principio di parità tra coniugi e la funzione compensativa-perequativa. Il condivisibile presupposto dal quale scaturisce l’attuale lettura dell’art. 5, c. 6, l. div. emerge laddove le Sezioni Unite sottolineano la necessità di ricondurre questa norma nell’alveo dell’art. 29 Cost.18. Tale lettura interpretativa – già affiorata nella decisione delle Sezioni Unite che cinque anni orsono ha significativamente limitato l’attribuzione di efficacia nell’ordinamento italiano delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, sottolineando la valenza di norme di ordine pubblico delle disposizioni che tutelano il diritto del coniuge debole al mantenimento successivamente al divorzio19 – viene ora portata a definitivo compimento dall’attuale decisione delle Sezioni Unite che individua nel dettato dell’art. 29 Cost. il principio che innerva l’intera disciplina della solidarietà post-coniugale. Ciò consente di concludere che l’assegno divorzile costituisce l’architrave sul quale poggia il riconoscimento della pari dignità dei ruoli e che il principio dell’equiparazione tra lavoro casalingo ed extradomestico20 – chiaramente enunciato nelle norme che governano la fase fisiologica del matrimonio (art. 143 c.c.) ed i doveri dei genitori nei confronti dei figli (artt. 147; 148, 315 bis c.c. e 316 bis c.c.) – deve essere affermato soprattutto nel momento in cui il matrimonio si rompe21. L’esigenza di garantire un’adeguata tutela al singolo che – in virtù di una scelta di indirizzo concordata ed attuata nel corso della vita matrimoniale (art. 144 c.c.) – abbia per un considerevole lasso di tempo investito le proprie energie e sacrificato le proprie aspirazioni professionali per assumere un “ruolo trainante endofamiliare” viene posta dalle Sezioni Unite alla base del superamento della funzione eminentemente assistenziale e della valorizzazione della finalità perequativa-compensativa22. Una finalità il cui perseguimento conduce all’adozione di una lettura interpretativa che, segnando un distacco rispetto all’orientamento precedente, valorizza significativamente i criteri enunciati nella prima parte dell’art. 5, c. 6, l. div.
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E. Quadri, Il superamento di distinzione tra criteri attributivi e criteri determinativi, in Fam. e dir., 2018, 971, in part. 977; Id., Assegno di divorzio: ora si muove il legislatore, in www.giustiziacivile.com, 2017, Editoriale del 22 novembre 2017, 5. 19 Cass., sez. un. 17 luglio 2014, n. 16379, in Corr. giur., 2014, 1196, con nota di V. Carbone, Risolto il conflitto giurisprudenziale: tre anni di convivenza coniugale escludono l’efficacia della sentenza canonica di nullità del matrimonio; in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 47, con nota di E. Quadri, Il nuovo intervento delle Sezioni Unite in tema di convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale; C. Ippoliti Martini, Questioni attuali in tema di delibazione di sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario, in Corr. giur., 2015, 114. 20 M.R. Marella, Il diritto delle relazioni familiari fra stratificazioni e “resistenze”: il lavoro domestico e la specialità del diritto di famiglia, in Riv. crit. dir. priv., 2010, 233. 21 Sul punto – anche con riferimento alle soluzioni adottate nell’ordinamento inglese – E. Al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, 241 ss. 22 M. Sesta, Attribuzione e deteriminazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, in Fam. e dir., 2018, 983.
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Le Sezioni Unite, infatti, dopo aver sottolineato il “fondamento costituzionale” dei suddetti criteri, attribuiscono loro un rilevo “direttamente proporzionale alla durata del matrimonio” superando sia la prospettiva adottata dalla decisione delle Sezioni Unite del 1990 – ove essi svolgevano una funzione “negativa” di elementi moderatori del tetto massimo dell’assegno individuato all’esito della “prima fase logica” del giudizio, nella quale veniva operata una valutazione dell’adeguatezza dei mezzi del richiedente imperniata sul parametro del tenore di vita coniugale –, sia quella inaugurata dalla decisione della I Sezione che – nell’ottica di un assegno divorzile la cui titolarità risultava preclusa all’ex coniuge che versasse in una condizione di autosufficienza economica – sembrava averne relegato l’operatività ad una funzione del tutto marginale sino a renderli pressoché privi di significato23. Nella nuova configurazione dell’assegno divorzile delineata dalla decisione delle Sezioni Unite la consapevolezza riguardo alla complessità che caratterizza la molteplicità di modelli familiari dapprima diffusi nel contesto sociale e oggi regolati dal diritto ha condotto al “superamento della distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno di divorzio”24. In questa prospettiva il giudice è chiamato a decidere riguardo all’adeguatezza dei mezzi del richiedente operando una “valutazione composita e comparativa che trova nella prima parte” dell’art. 5, c. 6, l. div. “i parametri certi sui quali ancorarsi”. Gli “indicatori contenuti nell’incipit” dell’art. 5, c. 6, l. div., pertanto, assumono un ruolo determinante al fine di operare una “valutazione integrata” che consente di addivenire ad una sorta di “profilazione” del richiedente25, così da poter declinare e modulare il principio della solidarietà post-coniugale in funzione delle peculiarità che caratterizzano le singole fattispecie e tutelare il coniuge richiedente l’assegno tenendo in considerazione la “sua specifica individualità”26. In quest’ottica viene chiarito esplicitamente che il coniuge per lungo tempo dedito alla cura della famiglia potrà beneficiare di un assegno divorzile conformato in funzione di una finalità perequativa-compensativa capace di limitare il “disequilibrio reddituale” e lo “squilibrio di realizzazione”. Ciò potrebbe consentire di realizzare un’equilibrata ripartizione di
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C.M. Bianca, L’ultima sentenza della Cassazione in tema di assegno divorzile: ciao Europa?, 4; G. Dosi, Presupposti dell’assegno divorzile e condizione femminile: perché la prima sezione della Cassazione non è convincente, in lessicodidirittodifamiglia.com, 2017, il quale rileva che nella prospettiva adottata dalla decisione in commento i criteri enunciati dall’art. 5 l. div. sarebbero destinati a “scomparire del tutto”; E. Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, cit., 653. 24 Nel passo della motivazione delle Sezioni Unite citato E. Quadri, Il superamento di distinzione tra criteri attributivi e criteri determinativi, cit., 980, scorge condivisibilmente la testimonianza di una “compenetrazione del profilo contributivo-compensativo in quello assistenziale” funzionale al soddisfacimento dell’esigenza perequativa. Lo stesso A. (E. Quadri, “C’è qualcosa di nuovo oggi” nell’assegno di divorzio, “anzi d’antico”, in Nuova giur. civ. comm., 2018, II, 1716) sottolinea come l’espressione “tenuto conto”, costituisca “una sorta di cerniera tra l’elencazione dei vari criteri indicati nella prima parte” dell’art. 5 l. div. “e la valutazione in ordine all’adeguatezza dei mezzi del richiedente, dalla cui carenza viene fatta dipendere l’attribuzione dell’assegno”. 25 La motivazione delle Sezioni Unite si riferisce in proposito ad una “puntuale ricomposizione del profilo soggettivo del richiedente”. 26 Al riguardo appare signifivativo il passo nel quale la motivazione della decisione delle Sezioni Unite precisa che: “Solo mediante una puntuale ricomposizione del profilo soggettivo del richiedente che non trascuri l’incidenza della relazione matrimoniale sulla condizione attuale, la valutazione di adeguatezza può ritenersi effettivamente fondata sul principio di solidarietà che, come illustrato, poggia sul cardine costituzionale fondato della pari dignità dei coniugi. (artt. 2,3 e 29 Cost.)”.
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una particolare forma di ricchezza che studi sociologici ormai risalenti avevano definito con un’espressione assai suggestiva un “capitale invisibile”, il quale consiste nelle capacità professionali e di reddito che uno dei coniugi abbia conseguito in costanza di matrimonio anche grazie all’apporto fornito ed ai sacrifici sopportati dall’altro27. Ancorché non si rinvenga nella motivazione della decisione delle Sezioni Unite un’indicazione esplicita in tal senso, appare ragionevole affermare che la “valutazione integrata” dei criteri contenuti nella prima parte dell’art. 5, c. 6, l. div. possa lasciare spazio alla configurabilità di una tutela che, oltre a proteggere l’ex coniuge che abbia fornito in passato un significativo apporto alla conduzione della famiglia, consenta di attuare la finalità perequativa e compensativa anche a favore dell’ex coniuge che – seppur giovane e reduce da un matrimonio di breve durata – sarà chiamato a prendersi cura dei figli non autosufficienti per il tempo successivo alla rottura della coppia, assumendo per il futuro quel ruolo di “genitore prevalente” che molto di frequente incide in modo indiretto, ma significativo, sulla capacità di reddito, costituendo un ostacolo al pieno reinserimento lavorativo28.
3. La persistente preminenza della funzione assistenziale e la sua duplice declinazione.
L’assegno divorzile, così come delineato dalla recente decisione delle Sezioni Unite, assume una funzione composita nella quale il fondamentale ruolo assunto dai criteri enunciati nell’incipit dell’art. 5, comma 6, l. div. consente di declinare il valore della solidarietà post-coniugale sia perseguendo una finalità perequativa-compensativa nei riguardi del coniuge che abbia fornito un significativo contributo alla famiglia, sia ispirandosi al
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M. Barbagli, La scelta del regime patrimoniale, in Lo stato delle famiglie in Italia, a cura di Barbagli e Saraceno, Bologna, 1997, 135. L’idea di un capitale invisibile riconducibile agli apporti forniti durante il matrimonio da entrambi i coniugi emerge nel passo della motivazione della decisione delle Sezioni Unite nel quale si sottolinea che “l’adeguatezza dei mezzi deve (...) essere valutata, non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte”. Sulle delicate questioni concernenti la divisione dei ruoli all’interno della famiglia e l’attuazione della gender justice, cfr. M.R. Marella, Il diritto delle relazioni familiari fra stratificazioni e “resistenze”. il lavoro domestico e la specialità del diritto di famiglia, cit., 233. 28 La rilevanza assunta dal ruolo di genitore prevalente come elemento capace di giustificare l’attribuzione del diritto al mantenimento è stata posta in evidenza da Cass. 9 ottobre, 2007, n. 21097, in Fam. e dir., 2008, 334, con nota di V. Carbone, Criteri di determinazione e modalità di valutazione dell’assegno di mantenimento. In tempi più recenti, con particolare riferimento all’assegno divorzile App. Napoli, 22 febbraio 2018 n. 11, cit.; Trib. Udine 1° luglio 2017, cit.; Trib. Ravenna 14 settembre 2018, in Giuraemilia. Da ultimo, con riferimento alla figura del genitore prevalentemente dedito alla cura del figlio affetto da gravi patologie Trib. Bologna 7 agosto 2018, n. 2340, in Giuraemilia, 2018; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1882, in DeJure. Occorre considerare, inoltre, che la figura del genitore prevalente – che tradizionalmente caratterizza i rapporti delle coppie genitoriali non unite – sembra destinata ad essere considerevolmente ridimensionata nella prospettiva adottata dal DDL n. 735 presentato in data 1° agosto 2018, recante Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità, nel quale la finalità di addivenire ad una regola di “paritetica assunzione di responsabilità” e di divisione paritaria dei tempi di permanenza del figlio presso i genitori dovrebbero relegare ad uno spazio marginale le situazioni caratterizzate da una asimmetrica divisione dei ruoli di accudimento dei figli all’interno della coppia non più unita. Sul punto per una riflessione in merito ai progetti di riforma attualmente in discussione Rimini, Sul disegno di legge Pillon e sugli altri Dd.l. in materia di responsabilità genitoriale in discussione in Senato, in Fam. e dir., 2019, 67.
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principio dell’autosufficienza economica laddove l’ex coniuge, pur non avendo fornito un significativo apporto, si trovi nella condizione di non disporre di redditi adeguati a conseguire l’autosufficienza economica. In altri termini, quindi, nell’assegno post-matrimoniale la funzione assistenziale permane e – nella nuova lettura delle Sezioni Unite – sembra assumere una duplice declinazione alternativa: una funzione assistenziale “minima” nella quale l’adeguatezza dei mezzi del richiedente viene parametrata in ragione dell’autosufficienza economica intesa come esistenza “dignitosa e libera dal bisogno”29 ed una funzione assistenziale di più ampia portata nella quale la parte che si trovi in condizione di “dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare” può aspirare a conseguire un assegno parametrato in ragione delle “caratteristiche” e della “ripartizione dei ruoli endofamiliari” e quindi permeato da una finalità compensativa che tende all’obiettivo di raggiungere una perequazione tra i coniugi modulata in proporzione alla durata, all’intensità ed alla rilevanza del contributo fornito dal richiedente. Occorre precisare, tuttavia, che la funzione perequativa-compensativa da ultimo indicata può operare solo qualora sia ravvisabile un “dislivello” economico che possa essere ricondotto alla ripartizione dei ruoli endofamiliari concordata dai coniugi ed attuata nel corso del matrimonio. Ciò significa che la finalità perequativa-compensativa non può considerarsi “pura” e “autonoma”: essa, infatti, non può ravvisarsi a favore del coniuge che, pur avendo fornito un considerevole contributo a vantaggio dell’altro, si trovi rispetto a quest’ultimo in una posizione di parità o addirittura di superiorità economica. In altri termini, quindi, la funzione “perequativa-compensativa”, potendo attuarsi solo a tutela del richiedente che si trovi in posizione di “squilibrio nella realizzazione personale e professionale”, presuppone sempre una base in senso lato assistenziale alla quale risulta imprescindibilmente collegata in una posizione di accessorietà. In definitiva, la lettura delle Sezioni Unite del 1990 – che consentiva di modulare una funzione assistenziale concepita in termini unitari ed ancorata al parametro del tenore di vita utilizzando i criteri enunciati nell’incipit dell’art. 5, comma 6, l. div. quali strumenti di limitazione del quantum – è stata oggi superata da un’interpretazione che valorizza la netta differenziazione tra la finalità assistenziale “pura” conformata in funzione dell’autosufficienza economica e quella “perequativa-compensativa” da attuare nei riguardi del coniuge che, seppure economicamente autosufficiente, si trovi rispetto all’altro in una posizione di svantaggio causalmente riconducibile alla scelta di operare sacrifici nell’interesse della
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Nello scenario delineato dalle Sezioni Unite l’accento posto sulla funzione perequativa e compensativa dell’assegno divorzile non esclude la configurabilità di una funzione assistenziale, che, secondo le prime condivisibili letture, dovrebbe essere declinata in ragione del canone dell’autosufficienza economica. Essa, pertanto, sembra persistere, in via residuale, quale strumento di tutela a vantaggio di quel coniuge economicamente debole che, pur non soddisfacendo nessuno dei requisiti indicati dalla prima parte dell’art. 5, c. 6 l. div., non sia in grado di procurarsi autonomamente redditi idonei a garantirgli una condizione di autosufficienza. M. Sesta, La rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare nella concreta quantificazione dell’assegno divorzile, cit., 988; C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa, cit., 1854.
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famiglia e, pertanto, risulti meritevole di essere compensato mediante l’attribuzione di un assegno divorzile che tenda alla perequazione delle due posizioni. In questa nuova prospettiva, segnata dall’abbandono del parametro del tenore di vita coniugale e dalla valorizzazione dei profili di “meritevolezza” del richiedente, i confini entro i quali la solidarietà post-coniugale può manifestarsi appaiono più angusti. L’attuale lettura dell’art. 5 l. div., infatti, non condiziona la corresponsione dell’assegno divorzile all’incapacità del richiedente di conseguire autonomamente il livello di benessere coincidente con il tenore di vita coniugale, ma richiede a tal fine la prova di uno squilibrio reddituale e della sua riconducibilità sul piano causale all’apporto fornito ed alle rinunce effettuate dal richiedente30. La maggiore selettività di detto criterio e la conseguente restrizione dell’ambito di esplicazione della solidarietà post-coniugale può cogliersi concentrando l’attenzione sulle fattispecie nelle quali la posizione di maggiore agio economico di uno dei coniugi sia già conseguita al momento delle nozze. In questo caso, infatti, la lettura secondo la quale la spettanza e la misura dell’assegno venivano decise in funzione dell’incapacità del richiedente di disporre di mezzi idonei ad assicurare il persistente godimento del tenore di vita coniugale successivamente al divorzio consentiva alla parte economicamente debole di ottenere l’assegno divorzile a prescindere da un giudizio circa il rapporto di causa ed effetto intercorrente tra il contributo fornito durante il matrimonio e la posizione del coniuge al quale l’assegno divorzile veniva richiesto. Diversamente, l’attuale lettura – condizionando il conseguimento del diritto all’assegno divorzile alla dimostrazione dell’esistenza di un nesso causale tra la condizione di squilibrio economico tra i coniugi ed il contributo prestato dal coniuge richiedente a favore dell’altro – introduce un requisito ulteriore connotato da un giudizio di meritevolezza relativo al coniuge richiedente che, in linea di principio, preclude il diritto a godere di un assegno con finalità compensativa e perequativa a colui che disponga di redditi sufficienti a condurre un’esistenza libera e dignitosa e non possa provare di aver fornito un contributo alla situazione di maggiore agio in cui si trovi l’altro.
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Trib. Bologna 7 agosto 2018 in Giuraemilia, ha escluso la configurabilità dell’assegno post-matrimoniale a favore della parte economicamente più debole ponendo in luce che non era stato dimostrato un nesso di causa effetto tra la “disparità economicopatrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo” e le “scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio”. In senso analogo Trib. Roma 8 agosto 2018, ha escluso la configurabilità dell’assegno divorzile a favore del coniuge economicamente debole attribuendo rilievo alla circostanza che la disparità economico-patrimoniale tra le parti non fosse “eziologicamente riconducibile (...) a determinazioni e scelte comuni condivise” che hanno condotto la moglie a dedicarsi maggiormente alla famiglia rispetto al marito. Da ultimo Trib. Trieste 21 agosto 2018 ha precisato che “nella valutazione della inadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità del coniuge richiedente di procurarseli per ragioni oggettive, la condizione di squilibrio economico patrimoniale rileva intanto in quanto derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali a fronte dell’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia, con il conseguente contributo fattivo dato alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge”. La durata del matrimonio, continua la motivazione, “assume un ruolo cruciale nella valutazione di un siffatto contributo trainante, mentre l’età dell’avente diritto, in uno alla conformazione del mercato del lavoro, soccorre al fine di valutare la consistenza delle potenzialità professionali e reddituali effettivamente valorizzabili alla conclusione della relazione matrimoniale”. La fondamentale rilevanza del contributo prestato dal coniuge richiedente, anche sotto forma di rinuncia alle prospettive di futura espansione professionale, è stata ulteriormente sottolineata da Cass. 29 gennaio 2019, n. 2840, in DeJure.
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4. La compensazione del contributo endofamiliare ed il suo valore relativo.
La necessità di puntualizzare l’ampio concetto di funzione compensativa e perequativa emerge anche qualora occorra attribuire un concreto valore ai sacrifici ed alle rinunce effettuate da uno dei coniugi nell’interesse dell’altro31. Il problema può essere colto con maggiore immediatezza qualora si consideri la fattispecie nella quale all’inizio del matrimonio i due coniugi si trovino in posizione di assoluta parità reddituale essendo entrambi titolari di posizioni lavorative stabili retribuite, ad esempio, nella misura di 4000 euro mensili soggetta ad un incremento futuro dipendente da progressioni collegate alla maturazione di anzianità nel ruolo. L’accordo sull’indirizzo della vita familiare in forza del quale uno di essi rinunci irreversibilmente alla propria posizione lavorativa per dedicarsi completamente ad assecondare l’ascesa professionale dell’altro – determinato ad affiancare alla professione già svolta un’ulteriore attività particolarmente impegnativa – costituisce il presupposto sulla base del quale può generarsi uno squilibrio economico che, in caso di divorzio, aprirebbe la via alla corresponsione di un assegno post-matrimoniale con finalità compensativa e perequativa. Optare per la soluzione secondo cui l’assegno post-matrimoniale dovrebbe essere calcolato attribuendo un valore assoluto alla rinuncia effettuata da colui che abbia deciso di favorire la carriera dell’altro abbandonando la propria attività professionale significherebbe, nella fattispecie prospettata, riconoscere il diritto ad un assegno il cui importo dovrebbe corrispondere al reddito mensile teoricamente percepito se la posizione lavorativa a suo tempo abbandonata fosse stata mantenuta (nel caso di specie 4000 euro). Questa stessa somma di denaro – calcolata attribuendo un valore assoluto alla rinuncia – risulterebbe tuttavia inadeguata sia nel caso in cui il reddito del coniuge dedicatosi all’attività professionale abbia subito un considerevole incremento rispetto al tempo in cui la decisone sull’indirizzo della vita familiare fu presa, sia nel caso in cui esso sia rimasto stabile. Nella prima ipotesi – assumendo che il reddito del coniuge economicamente forte si attesti nella misura di 40.000 euro mensili – il riconoscimento di un assegno dell’importo di 4000 euro a favore di colui che a suo tempo abbia rinunciato alla propria carriera per agevolare quella dell’altro consentirebbe di partecipare alla ricchezza frutto di un progetto e di sacrifici comuni in una misura pari al 10% e non condurrebbe ad una perequazione all’interno della coppia. D’altra parte, nell’ipotesi in cui il reddito del coniuge che abbia potuto coltivare le proprie aspirazioni professionali grazie ai sacrifici dell’altro rimanga sostanzialmente invariato rispetto al momento dell’accordo (4000 euro mensili), riconoscere alla parte economicamente debole il diritto ad un assegno il cui importo corri-
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In questo senso M. Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, cit., 989, pone in rilievo le concrete difficoltà che si manifestano nella “trasformazione” del contributo fornito dal coniuge richiedente “in una somma di denaro o in una percentuale del reddito dell’altro”.
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sponde a quanto teoricamente percepito in caso di prosecuzione del rapporto lavorativo a suo tempo abbandonato (4000 euro) costituirebbe una soluzione che, nella prospettiva del coniuge onerato, risulterebbe assolutamente impossibile da sostenere in quanto darebbe luogo ad un trasferimento di risorse pari al 100% del suo reddito32. Queste considerazioni inducono a ritenere che il valore dell’attività prestata a favore dell’altro coniuge anche sotto forma di sacrifici e rinunce non può essere calcolato in termini assoluti, ma deve essere necessariamente correlato alla posizione economica della parte nei confronti della quale la richiesta dell’assegno post-matrimoniale viene avanzata33. L’espressione finalità compensativa e perequativa, pertanto, sembra indicare che la compensazione di colui che abbia sacrificato le proprie aspirazioni professionali nell’interesse dell’altro può operare solo a vantaggio di chi si trovi in una posizione di inferiorità economica e deve mirare alla perequazione, ossia ad una divisione in linea di principio paritaria delle risorse complessivamente disponibili la quale, a ben vedere, costituisce al tempo stesso l’obiettivo a cui la solidarietà post-coniugale deve tendere ed il limite oltre il quale essa non può giustificare l’imposizione di obblighi alla parte economicamente più forte.
5. Le nuove funzioni dell’assegno divorzile ed i lori riflessi sull’autonomia dei coniugi.
Dalla mutata lettura della norma che governa l’assegno divorzile scaturiscono rilevanti implicazioni anche sotto il profilo dell’autonomia dei coniugi. L’esplicito riferimento al principio della parità tra coniugi contenuto nell’art. 29 Cost. quale fondamento della disciplina dell’assegno divorzile sembra confermare e rafforzare il consolidato orientamento secondo cui non sono validi gli accordi volti ad escludere o limitare la tutela garantita al coniuge economicamente debole sotto il profilo del mantenimento34. Infatti, se si muo-
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È evidente, infatti, che, nella fattispecie assunta ad esempio, il trasferimento di risorse corrispondenti allo stipendio teoricamente percepito dal coniuge che a suo tempo che rinunciò all’attività lavorativa comporterebbe la necessità di privare completamente di reddito il coniuge nei confronti del quale l’assegno viene richiesto. 33 In questo senso M. Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, cit., 988, osserva che “se la perequazione sta essenzialmente nel riconoscere al coniuge un compenso per il suo lavoro, commisurato ai redditi dell’altro, nelle concrete fattispecie, a pari quantità di contributo nella realizzazione della vita familiare possono corrispondere ben differenti quantità di compenso, perché quest’ultimo va determinato in funzione perequativa e in rapporto al reddito e alla condizione economico-patrimoniale di chi lo versa e non secondo astratti criteri di valutazione di stampo lavorista”. 34 Il tradizionale orientamento secondo cui sono nulli gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridicopatrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio è stato recentemente ribadito dalla Cassazione che – prima della decisione delle SU – aveva sottolineato i profili di illiceità della causa di detti accordi, “avuto riguardo alla natura assistenziale dell’assegno divorzile, previsto a tutela del coniuge più debole” (Cass. 30 gennaio 2017, n. 2224, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 958, (con nota di B. Grazzini, Accordi preventivi fra coniugi e assegno divorzile una tantum: spunti di riflessione alla luce delle evoluzioni normative in materia di gestione della crisi familiare). Invero le opinioni favorevoli all’ammissibilità di accordi con i quali i coniugi dispongano riguardo all’assegno di divorzio (G. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, 459; C. Rimini, Il nuovo divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Mengoni e continuato da P. Schlesinger, La crisi della famiglia,
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ve dal postulato secondo cui l’assegno divorzile costituisce l’unico strumento al quale è inderogabilmente affidata l’attuazione del principio costituzionale della parità tra coniugi intesa nella sua più moderna accezione di pari dignità dei ruoli e dei generi, non sembra possibile consentire che un accordo tra i coniugi possa compromettere l’attuazione di tale principio limitando l’operatività delle disposizioni che governano la solidarietà postmatrimoniale. Queste conclusioni appaiono ulteriormente rafforzate qualora si consideri che attribuire all’assegno divorzile una funzione compensativa e perequativa significa affermare che esso assolve al compito di correggere gli assetti generati da quell’atto di autonomia (la scelta dell’indirizzo della vita coniugale) con il quale la coppia ha posto le basi per un’alterazione dell’originario equilibrio economico avvantaggiando colui che si dedica in prevalenza al lavoro extradomestico. Permettere alle parti di limitare o escludere l’assegno divorzile significherebbe attribuire ad esse il potere di compiere un atto di autonomia capace di precludere l’operatività di un meccanismo di riequilibrio il cui carattere inderogabile viene sottolineato in modo inequivocabile, ancorchè implicito, dal passagio della motivazione della decisione della Sezioni Unite che individua un inscindibile legame tra l’art. 5 l div. e gli artt. 2, 3 e 29 Cost.35. In altri termini, alle parti – che esercitando la loro autonomia al momento in cui vengono concordati i ruoli endofamiliari pongono le basi dello squilibrio economico all’interno della coppia – non dovrebbe essere riconosciuto il potere dar vita ad accordi mediante i quali – limitando o escludendo l’operatività dell’assegno divorzile – esse possano giungere a suggellare ed esacrbare le posizioni di squilibrio originariamente generate dalle scelte di indirizzo. Quanto sin qui osservato, tuttavia, non esclude in termini assoluti la configurabilità di accordi aventi ad oggetto l’assegno divorzile. La recente sottolineatura della sua funzione compensativa e perequativa, infatti, dischiude nuovi ambiti di esplicazione dell’autonomia privata che, nello scenario delineatosi a seguito della decisione delle Sezioni Unite, può assumere un ruolo particolarmente incisivo allorché si ponga il problema di attribuire un concreto valore al contributo positivo ed alle rinunce effettuate da uno dei coniugi a vantaggio dell’altro. Problema che assume particolare rilievo anche nell’ipotesi in cui le scelte di indirizzo diano vita ad un ménage nel quale il contributo fornito da un coniuge investa aspetti difficilmente valutabili in un futuro ed eventuale giudizio concernente l’assegno divorzile. In quest’ottica potrebbero configurarsi accordi in forza dei quali i coniugi attribuiscano ex ante un’efficacia causalmente rilevante a sacrifici e rinunce operati nella prospettiva di favorire la carriera dell’altro, agevolando la posizione processuale del richie-
II, Milano, 2015, 231 ss.) hanno tratto rinnovati argomenti nella decisione delle SU la quale ha ravvisato una pluralità di funzioni nell’assegno divorzile. In questo senso C. Rimini, Funzione compensativa e disponibilità del diritto all’assegno divorzile. una proposta per definire i limiti di efficacia dei patti in vista del divorzio, in Fam. e dir., 2018, 1041, in part. 1047; A. Fusaro, La sentenza delle Sezioni Unite sull’assegno di divorzio favorirà i patti prematrimoniali?, ivi, 1031. 35 E. Quadri, “C’è qualcosa di nuovo oggi” nell’assegno di divorzio, “anzi d’antico”, cit., 1718.
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dente in un futuro giudizio di divorzio36. Le parti, inoltre, potrebbero prevedere nell’accordo criteri obiettivi e meccanismi in funzione dei quali operare una valutazione della rinuncia e dei sacrifici nell’ipotesi in cui fosse necessario attribuire ad essi una rilevanza ai fini della determinazione di un futuro assegno. Questa particolare prospettiva induce a valorizzare il collegamento tra gli accordi con i quali i coniugi di comune accordo definiscono l’indirizzo della vita familiare37 e quelli che, nella previsione di un futuro divorzio, dovrebbero regolare le conseguenze economiche della rottura del matrimonio38. Infatti i coniugi che esercitino in modo informato e consapevole la loro autonomia al momento della suddivisione dei ruoli endofamiliari dovrebbero auspicabilmente predisporre previsioni che, sul piano patrimoniale, possano rappresentare un adeguato “corredo” alle scelte di indirizzo e fornire alla parte che sacrifica le proprie aspirazioni professionali un’equa compensazione nell’eventualità di un futuro divorzio. In altri termini, l’accordo sull’assegno divorzile – viepiù se concluso contestualmente a quello che prevede un’asimmetrica distribuzione dei carichi di lavoro domestico ed extradomestico – risulterebbe utile al fine di attuare in via spontanea e concordata la funzione compensativa e riequilibratrice enfatizzata dalla recente decisione delle Sezioni Unite. Attraverso detto accordo, infatti, le parti potrebbero attribuire un concreto valore al ruolo trainante assunto da colui che scelga di dedicarsi prevalentemente alla cura della famiglia operando convenzionalmente quella “trasformazione” del contributo fornito dal coniuge richiedente “in una somma di denaro o in una percentuale del reddito dell’altro” che – in considerazione del carattere sovente “impalpabile” di sacrifici e delle rinunce operate nell’interesse della famiglia – risulta particolarmente ardua e foriera di incertezze nella prospettiva di una definizione giudiziale della crisi della coppia39.
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F. Danovi, Oneri probatori e strumenti di indagine: doveri delle parti e poteri del giudice, in Fam. e dir., 2018, 1007. M. Sesta, Attribuzione e deteriminazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, cit., 983. 38 A. Fusaro, La sentenze delle Sezioni Unite sull’assegno di divorzio favorirà i patti prematrimoniali?, in Fam. e dir., 2018, 1031. 39 La concreta complessità insita nell’attribuzione di un concreto ed effettivo valore al contributo prestato da un coniuge ed alla sussistenza di un’efficienza causale tra questo e l’accresciuta posizione di benessere economico conseguita dall’altro è efficacemente evidenziata da M. Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, cit., 989. 37
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L’assegno di divorzio fra solidarietà e nuovi modelli familiari* Sommario : 1. Premessa – 2. Evoluzione del formante giurisprudenziale – 3. Solidarietà post-coniugale e autonomia privata familiare.
The essay offers a critical view of the recent italian leading case law above the juridical nature of the divorce spousal support in relation to the consecration of the sufficiency of private family autonomy, reflecting on the need to resolve the contrast between public and private family models.
1. Premessa. Il tema classico del dovere di solidarietà post-coniugale, oggetto dei recenti sviluppi giurisprudenziali in materia di assegno di divorzio, al di là del contesto sistematico suo proprio, si presta oggi ad essere indagato sotto la differente ottica dell’autonomia privata in materia familiare e della stratificazione delle relazioni affettive, venendo in rilievo, così, la radicale metamorfosi che la famiglia ha subito sul piano giuridico nel corso degli ultimi tre anni, dall’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016.
2. Evoluzione del formante giurisprudenziale. Al fine di procedere nella direzione segnalata, occorre preliminarmente ripercorrere in estrema sintesi i passaggi maggiormente significativi dell’evoluzione giurisprudenziale
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Il contributo riproduce, con l’aggiunta di ampliamenti e integrazioni, la relazione svolta al Convegno L’assegno di divorzio: un confronto tra Italia e Germania, organizzato da EFL (European Association for Family and Succession Law) dedicato alla memoria di Maria Giovanna Cubeddu, tenutosi nella Università di Regensburg il 9 e 10 novembre 2018.
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in materia di assegno divorzile, sino a giungere alla ultima posizione espressa in materia dalle Sezioni unite della S.C. Nell’alternativa fra funzione assistenziale e natura composita dell’assegno di divorzio, solo apparentemente risolta1 nel primo senso con la Novella del 1987 con la riformulazione dell’art. 5, comma 6, l. div., si radicò un costante formante interpretativo della norma in chiave assistenziale2, intendendo il canone dell’adeguatezza dei mezzi del richiedente il contributo come specchio dell’esigenza di consentirgli di mantenere inalterato il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio3. L’orientamento indicato, consolidato nel tempo al punto da essere sovente inteso alla stregua di principio di diritto vivente4, è stato seguito sino al 2017, allorquando la S.C. è intervenuta riconducendo il parametro dell’adeguatezza dei mezzi del richiedente a quanto necessario al fine dell’autosufficienza economica parametrata ad una esistenza libera e dignitosa5. Con la pronuncia in parola, il S.C. ha, per-
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A. Spadafora, Il “nuovo” assegno di divorzio e la misura della solidarietà postaffettiva, in www.giustiziacivile.com, 2017, 7, 1 ss., spec. 6, ad avviso del quale l’opzione normativa appare poco coerente rispetto alla finalità di evidenziare la natura assistenziale del contributo, in forza, per un verso, della mancata individuazione “del parametro cui commisurare l’“adeguatezza” dei mezzi del richiedente” e, per altro verso, dell’aver mantenuto i criteri originari integrandoli con il rinvio alla durata del matrimonio, con ciò aprendo la norma ad una rinnovata interpretazione composita. Ci si vuol riferire a Cass., Sez. Un., 29 novembre 1990, n. 11490, ex multis, in Foro it., 1991, I, 1, 67, con nota di E. Quadri, Assegno di divorzio: la mediazione delle sezioni unite e di V. Carbone, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio). La pronuncia in parola prese le mosse dalla differente posizione, espressa in materia dal S.C., negatoria della funzione riequilibrativa del contributo ed affermativa della rilevanza primaria del canone della autonomia economica del richiedente, giusta la natura assistenziale dell’assegno così come recepita dalla Novella del 1987: Cass., 2 marzo 1990, n. 1652, in Giust. civ., 1990, I, 925 ss., con nota di S. Sotgiu, Il concetto di “adeguatezza di mezzi” nell’attribuzione dell’assegno di divorzio; in proposito, cfr. A. Spadafora, Il presupposto fondamentale per l’attribuzione dell’assegno divorzile nell’ottica assistenzialistica della riforma del 1987, ivi, 2394. Il che ha comportato, nei fatti, una sostanziale equiparabilità fra l’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento in costanza di separazione, seppure i paradigmi fondativi dell’uno (la solidarietà post-coniugale) e dell’altro (la permanenza del vincolo coniugale) divergano profondamente: cfr., in proposito, G. Ballarani, sub art. 156 c.c., in A. Zaccaria (a cura di), Commentario breve al diritto della famiglia3, Padova, 2016, 371 ss.; A. Spadafora, Il “nuovo” assegno di divorzio e la misura della solidarietà postaffettiva, cit., p. 10. Sulla natura dell’assegno divorzile, cfr., ex multis, G. Giacobbe e P. Virgadamo, Il matrimonio, in Tratt. dir. civ. Sacco, 3, 2, Torino, 2011, 57; C. Rimini, Il nuovo divorzio, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, La crisi della famiglia, II, Milano, 2015, 105 ss. La tesi che ravvisa nell’orientamento secondo cui l’assegno divorzile deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio un «principio di diritto vivente», ha indotto il Tribunale di Firenze (ord. 22 maggio 2013) a sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 6, l. div., nell’interpretazione in parola, per violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, dell’art. 2 Cost. “per eccesso” rispetto al dovere di solidarietà e dell’art. 29 esprimendo una idea di indissolubilità del matrimonio che appare oggi anacronistica. La Corte (C. Cost. 9 febbraio 2015, n. 11), in www.giurcost.org) ha però ritenuto non fondata nel merito la questione, affermando che l’esistenza di un “diritto vivente” in materia non trova riscontro nella giurisprudenza del giudice della nomofilachia (che costituisce il principale formante del diritto vivente), secondo la quale, viceversa, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile: questo, pur rilevando per determinare «in astratto [...] il tetto massimo della misura dell’assegno», «in concreto» concorre (e va poi bilanciato, caso per caso) con tutti gli altri criteri (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione) indicati nello stesso art. 5 che «agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto» e possono «valere anche ad azzerarla» (Cass. 5 febbraio 2014, n. 2546; Cass. 28 ottobre 2013, n. 24252; Cass. 21 ottobre 2013, n. 23797; Cass. 12 luglio 2007, n. 15611; Cass. 22 agosto 2006, n. 18241; Cass. 19 marzo 2003, n. 4040). Cass., 10 maggio 2017, n. 11504, ex plurimis, in Fam. e dir., 2017, 642, con nota di E. Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale e di F. Danovi, Assegno di divorzio e irrilevanza del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti; in Foro. it., 2017, 2707, con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa? e di C.M. Bianca, Il nuovo orientamento in tema di assegno divorzile. Una storia incompiuta. Sul tema, cfr., altresì, C. Rimini, Verso una nuova stagione per l’assegno divorzile dopo il crepuscolo del fondamento assistenziale, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1274; C.M. Bianca, L’ultima sentenza della Cassazione in tema di assegno divorzile: ciao Europa?, in www.giustiziacivile.com, 2017,
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tanto, affermato la valenza in materia di divorzio del principio di autoresponsabilità6, tanto sotto il profilo della libera determinazione allo scioglimento dal vincolo (considerata quasi alla stregua di un parametro implicito dell’istituto coniugale), quanto sotto il differente profilo della responsabilizzazione dei coniugi in relazione alla propensione al lavoro, volendosi (e comunque dovendosi) evitare che l’assegno divorzile possa tradursi in una rendita parassitaria volta ad indurre il beneficiato a non prodigarsi per rendersi autonomo7. Il contrasto esegetico tra la pronuncia in parola e il consolidato orientamento precedentemente richiamato è stato risolto dalle Sezioni Unite nel 20188 proponendo una lettura del disposto di cui all’art. 5, comma 6, l. div. che, nel discostarsi dai paradigmi precedentemente assunti nell’una e nell’altra direzione, conferma implicitamente la valenza di entrambi, pur ridimensionandone la portata. La S.C., coniugando il profilo della autoresponsabilità con il valore della solidarietà post-coniugale e recuperando il primo attraverso il secondo, si discosta da una lettura esclusivamente solidaristica del disposto e, allo stesso tempo, ridimensiona la portata dell’autoresponsabilità, offrendo una nuova esegesi in chiave composita della norma sotto il filtro del mutato contesto sociale e culturale che ne determinò la formulazione e ne giustificò l’argomentazione interpretativa più consolidata. In questa prospettiva, le Sezioni Unite giungono a intendere l’assegno in chiave perequativa-compensativa esaltandone la funzione riequilibratrice in relazione al contributo fornito dai coniugi al mènage familiare, sicché il coniuge che in giudizio dimostri (con ogni mezzo) le ragioni del poter rivendicare il contributo, beneficerà dell’assegno al netto della comparazione dei sacrifici fatti da ciascuno dei coniugi e della valutazione degli indici posti dalla norma, nella misura che l’interprete riterrà adeguata9 a garantirgli una esistenza dignitosa. Di ogni evidenza risulta, pertanto, per un verso, la distanza rispetto al
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(9 giugno 2017); V. Barba, Assegno divorzile e indipendenza economica del coniuge. Dal diritto vivente al diritto vigente, ivi, (27 novembre 2017); A. Spadafora, Il “nuovo” assegno di divorzio e la misura della solidarietà postaffettiva, cit., 1 ss.; E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, in Corr. giur., 2017, 885; E. Bargelli, Tenore di vita matrimoniale e principio di autoresponsabilità: inconciliabilità o resilienza?, in C. Granelli (a cura di), I nuovi orientamenti della Cassazione civile, Milano, 2018, 31 ss.; A. Morace Pinelli, Il revirement della Cassazione in tema di assegno di divorzio: in attesa delle Sezioni Unite, in Arch. giur., 2018, 3 ss. La pronuncia in parola, il cui fondamento argomentativo si pone in linea di continuità con Cass., 2 marzo 1990, n. 1652, cit., ha rappresentato un importante precedente seguito poi da Cass., 11 maggio 2017, n. 11538; Cass. 21 luglio 2017, n. 18111; Cass. 8 agosto 2017, n. 19721; Cass. 29 agosto 2017, n. 20525; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23602; Cass. 27 ottobre 2017, n. 25697; Cass. 26 gennaio 2018, n. 2042; Cass. 26 gennaio 2018, n. 2043. In materia di “autoresponsabilità” si legga l’imprescindibile contributo di S. Pugliatti, voce Autoresponsabilità, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 452 ss.; il principio viene indagato in rapporto al divorzio nella prospettiva degli oridnamenti di Common Law da E. Al Mureden, L’assegno di divorzio tra auto responsabilità e solidarietà post coniugale, in Fam. e dir., 2017, p. 646 ss. In proposito, cfr. S. Patti, Obbligo di mantenere e obbligo di lavorare, in S. Patti e G. Cubeddu (a cura di), Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Milano, 2008, 309. Cass., Sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287, ex multis, in Corr giur., 2018, 1186, con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezioni Unite; in Foro it., 2018, I, 2671, con nota di C.M. Bianca, Le Sezioni Unite e i corsi e ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia compiuta?, in Giur. it., 2018, 1843, con nota di C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa. Sul parametro dell’adeguatezza dell’assegno di divorzio cfr. Cass. 4 ottobre 2010, n. 20582.
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parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio10; per altro verso, la parametrabilità discrezionale della misura ad opera del giudice.
3. Solidarietà post-coniugale e autonomia privata familiare. Con riguardo ai nuovi spazi conquistati dell’autonomia privata in ambito familiare a seguito della moltiplicazione dei modelli familiari, il rapporto con l’assegno di divorzio rileva, non tanto sotto il profilo dell’applicabilità della disciplina divorzile agli uniti civili11 (rispetto ai quali ogni considerazione sulla differenza di genere non trova accoglimento), quanto piuttosto nell’affermazione della sufficienza del canone dell’autonomia privata, resa dalla legge n. 76 del 2016, con riguardo al contratto di convivenza che, con effetto trasversale sull’intero sistema-famiglia, apre maggiormente il fronte di accesso alla libera negoziazione dei parametri patrimoniali, tanto nella fisiologia dei rapporti con riguardo alla solidarietà materiale per ragioni affettive, quanto nella crisi della convivenza in relazione alle determinazioni patrimoniali di fine rapporto, ove si inserisce la alternativa fra corresponsione periodica o una tantum del contributo. Come in altra sede si riferiva12, infatti, per una sorta di eterogenesi dei fini, il legislatore del 2016, ripartendo il piano normativo dei rapporti familiari in due contrapposti sistemi (quello pubblicamente formalizzato, che accomuna matrimonio e unioni civili e quello privatamente costituito delle stabili convivenze affettive etero e omosessuali contrattualizzate e non), ha consacrato la rilevanza delle determinazioni pattizie ai fini della costituzione, della regolamentazione e della estinzione delle relazioni affettive.
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Del resto, sempre indagando la questione sotto il profilo dei doveri di solidarietà tra partner, occorre considerare l’odierna tendenza alla stratificazione delle relazioni affettive, ossia a far sorgere, dalle ceneri di una, nuovi rapporti, peraltro statisticamente più duraturi e stabili, nei quali sovente si genera nuova prole e rispetto ai quali la definitività delle determinazioni patrimoniali rese agli esiti della fase patologica della prima relazione, riverseranno i propri effetti, in pregiudizio delle esigenze esistenziali della nuova famiglia, dovendosi considerare l’unità dei patrimoni individuali nella molteplicità dei rapporti. 11 Il riferimento è alla Legge 20 maggio 2016, n. 76, in G.U., Serie gen., 21 maggio 2016, n. 118. Al riguardo, sia consentito un rinvio a G. Ballarani, La legge sulle unioni civili e sulla disciplina delle convivenze di fatto. Una prima lettura critica, in Dir. succ. fam., 2016, 623 ss.; si vedano, altresì, senza pretesa di completezza, C.M. Bianca (a cura di), Le unioni civili e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016 e ai d.lgs. n. 5/2017; d.lgs. n. 6/2017; d.lgs. n. 7/2017, Torino, 2017, passim; M. Bianca, Le unioni civili e il matrimonio: due modelli a confronto, in www.giudicedonna.it, 2016, 2; L. Rossi Carleo, Status e contratto nel mosaico della famiglia, in Dir. fam. pers., 2016, 221 ss.; V. Barba, Unione civile e impugnazione per errore sulle qualità personali, in Dir. succ. fam., 2016, 315 ss., nonché i contributi di Ferrando, Balestra, Fusaro, Sesta, Oberto, Spadafora, Padovini e Bellelli, raccolti nella sezione Unioni civili e convivenze di fatto: la legge, a cura di Rescigno e Cuffaro, in Giur. it., 2016, 1771 ss. Cfr., inoltre, P. Trimarchi, Il disegno di legge sulle unioni civili e sulle convivenze: luci ed ombre, in www.juscivile.it, 2016, 1 ss.; G. Iorio, Il disegno di legge sulle «unioni civili» e sulle «convivenze di fatto»: appunti e proposte sui lavori in corso, in Nuove leggi civ. comm., 2015, 1014 ss.; F. Romeo, M.C. Venuti, Relazioni affettive non matrimoniali: riflessioni a margine del d.d.l. in materia di regolamentazione delle unioni civili e disciplina delle convivenze, ivi, 971 ss. 12 G. Ballarani, Contenuti e limiti dell’autonomia privata in ambito familiare tra sussidiarietà ed esigenze di tutela degli interessi dei soggetti deboli, in P. Sirena e A. Zoppini (a cura di), I poteri privati e il diritto della regolazione. A quarant’anni da ‘Le autorità private’ di C. M. Bianca. Atti del Convegno Roma Tre (27 ottobre 2017) – Bocconi (9 novembre 2017), Roma, 2018, 135 ss.
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Al di là del fatto che questa dicotomica oscillazione tra deregulierung13 e contrapposte affermazioni di eteronomia ordinamentale, in una prospettiva de jure condendo, dovrà essere risolta14 in ragione della comune “causa” affettiva che le determina, appare evidente come la privatizzazione dei rapporti di coppia sia un dato trasversale che coinvolge indistintamente tanto il matrimonio e le unioni civili, quanto le convivenze, accomunandosi gli uni e le altre nella disponibilità di strumenti per le determinazioni patrimoniali in ordine alla gestione della fase fisiologica e patologica del rapporto15. Orbene, nel confronto con il tema dell’assegno divorzile, assume rilevanza la possibile incidenza del formante giurisprudenziale in ordine alla libera determinazione pattizia degli accordi in vista della cessazione del rapporto16, potendosi prevedere una maggiore apertura al ricorso all’istituto proprio nell’ottica dell’espansione dell’autonomia privata, ben oltre i limiti oggi posti dalla giurisprudenza di legittimità. Secondo quanto stabilito da ultimo dalla S.C.17, infatti, gli accordi preventivi aventi ad oggetto l’assegno di divorzio sono affetti da nullità per illiceità della causa, siccome stipulati in violazione del principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale (art. 160 c.c.). In quella circostanza la S.C. è intervenuta in relazione alla disposizione sulla corresponsione dell’assegno in un’unica soluzione, ritenendola applicabile esclusivamente nel giudizio di divorzio e, di conseguenza, non ammettendone la negoziazione al di fuori di questo18. Ed è in ciò che si riflette la stretta correlazione del tema oggetto di analisi agli accordi prematrimoniali e all’autonomia privata familiare, se è vero che le norme debbono ren-
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F.D. Busnelli, M.C. Vitucci, Frantumi europei del diritto di famiglia, in Riv. dir. civ., 2013, 767 ss., spec. 771. Forte emerge, infatti, l’esigenza di una revisione sistematica dell’intera disciplina codicistica del diritto delle relazioni affettive, ormai così distante dai paradigmi originari, che ben può risolversi nella sufficienza del canone dell’autonomia privata rinunciandosi all’intervento pubblico, relegato ormai alla sola formalizzazione della costituzione del rapporto coniugale o dell’unione civile e solo eventuale nella fase patologica (G. Ballarani, Contenuti e limiti dell’autonomia privata in ambito familiare, cit., passim), potendosi con ciò recuperare l’autonomia del matrimonio religioso: G. Ballarani, Il matrimonio concordatario nella metamorfosi della famiglia, Napoli, 2018, passim. 15 Nel primo ambito rientra la disciplina della comunione di beni ad appannaggio dei coniugi, degli uniti e dei conviventi; nel secondo ambito, il riferimento è alle modalità private di scioglimento del rapporto: la negoziazione assistita per coniugi e uniti e la risoluzione consensuale o il recesso unilaterale per i conviventi: rimedi, questi, oggi assunti a mò di strumenti ad azionabilità incondizionata e di insindacabile applicabilità, per motivi soggettivi invocabili in ogni momento, come mezzi di recesso dai vincoli. Al riguardo si rinvia per ogni approfondimento a G. Ballarani, La legge sulle unioni civili e sulla disciplina delle convivenze di fatto, cit., 623 ss.; Id., Contenuti e limiti dell’autonomia privata in ambito familiare, cit., 140 ss. A ciò non può non aggiungersi il rilievo dato alla patrimonializzazione degli affetti ad opera dell’apertura del piano rimediale all’illecito endofamiliare, proprio in forza della ritenuta insufficienza degli strumenti tradizionali e specifici rispetto alla esigenza di soddisfare l’interesse leso dalla violazione dei doveri di natura personale: S. Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, passim; M. Paradiso, Famiglia e responsabilità civile endofamiliare, in Fam. pers. succ., 2011, 14 ss. 16 In proposito, cfr. C. Rimini, Pre or post-nuptial agreement: some observation about Italian current approach and outlook, in Fam., 2017, 531 ss. 17 Cass. 30 gennaio 2017, n. 2224, ma cfr., altresì, Cass. 21 agosto 2013, n. 19304, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 94 ss., con nota di E. Tagliasacchi, Accordi in vista della crisi coniugale: from status to contract?, Cass. 19 agosto 2015, n. 16909. 18 L’illiceità segnalata dalla Corte si riversa, pertanto, non solo sugli accordi che limitino o escludono il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto è necessario per soddisfare le esigenze della vita, bensì anche su quelli che soddisfino pienamente dette esigenze. In senso conforme, Cass. 18 febbraio 2000, n. 1810. 14
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dersi all’interprete come uno degli indici ai quali ricorrere ai fini dell’argomentazione e, in ultima analisi, della decisione, dovendosi queste confrontare con il mutato contesto sociale, culturale, storico e giuridico in cui debbono trovare applicazione al fine di giungere ad un risultato condivisibile sul piano sociale19. A fronte di una ripetuta oscillazione della S.C. tra l’ammettere la validità dei prenuptial agreement20 ed il negarla21, in attesa delle Sezioni Unite o del legislatore e in un contesto – quello segnato dalla legge sulle unioni civili e sul regime delle convivenza – così distante dai parametri normativi originari e così proiettato verso i nuovi orizzonti dell’autonomia privata familiare, non pare più adeguato circoscriverne l’ambito di operatività entro i limiti segnati dall’art. 160 c.c., se solo si riflette su come i doveri di solidarietà si traducono oggi in ragioni assumibili a fondamento della privata pattuizione in ordine ai rapporti affettivi nelle ipotesi del contratto tipico di convivenza. Se in questo contesto non è più revocabile in dubbio l’idoneità della causa solidaristica a fungere da ragione pratica delle determinazioni tra conviventi, potendosi ritenere indisponibili esclusivamente i diritti di matrice personale (fedeltà, assistenza morale e coabitazione, peraltro, non coercibili, ma risarcibili se lesi)22, non può negarsi come le ragioni al fondo di una pattuizione in tal senso in ambito di contratto di convivenza siano esattamente le stesse che potrebbero assumere i coniugi e gli uniti civilmente; così come, del resto, è altrettanto innegabile che la forte spinta alla privatizzazione del diritto delle relazioni affettive fra adulti e alla (neo-)patrimonializzazione dei rapporti si rifletta maggiormente proprio nel contesto della patologia delle relazioni fondate su vincoli pubblicamente formalizzati (matrimonio e unioni civili), avendo l’ordinamento abdicato alla propria funzione pubblica attraverso la legge sulla c.d.
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Ci si vuol riferire alla c.d. Drittwirkung dei principi costituzionali (rispetto alla quale, una magistrale ricostruzione è offerta da N. Lipari, Il diritto civile dalle fonti ai principi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 5 ss.; Id., Costituzione e diritto civile, ivi, 1255 ss.; Id., Considerazioni introduttive, in E. Navarretta (a cura di), Effettività e Drittwirkung: idee a confronto. Atti del Convengo di Pisa (2425 febbraio 2017), Torino, 2017, VII ss.; cfr., altresì, E. Navarretta, Costituzione, Europa e diritto privato. Effettività e Drittwirkung ripensando la complessità giuridica, Torino, 2017, passim) nel contesto del processo applicativo del diritto, ove un ruolo fondamentale assume l’interprete (S. Rodotà, Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, in Riv. dir. comm., 1967, 83 ss.) che, attraverso la persuasività dell’argomentazione, “ripristina il raccordo con quella realtà sociale dalla quale in definitiva ha tratto i criteri di valore solo in apparenza riassunti nell’elasticità delle formule costituzionali” (N. Lipari, Costituzione e diritto civile, cit., 1264), verificando la conformità della regola “ai principi gerarchicamente superiori, quelli costituzionali sovranazionali e internazionali (artt. 10, 11, 117 Cost.)” (P. Perlingieri, Il diritto come discorso? Dialogo con Aurelio Gentili, in Rass. dir. civ., 2014, 770 ss., spec. 781). 20 Ex multis, Cass. 21 dicembre 2012 n. 23713, in Fam. dir., 2013, 843 ss., con nota di Figone, Ancora in tema di patti prematrimoniali. Al riguardo rileva, come fattore discriminante, l’inquadrare la cessazione del rapporto in termini di causa delle attribuzioni patrimoniali, ovvero in termini di condizione sospensiva delle stesse; se la prima ipotesi è riconducibile ai profili di illiceità per violazione del principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale (art. 160 c.c.), nella seconda ipotesi, la causa delle attribuzioni patrimoniali può ben radicarsi sul dovere (costituzionalmente posto) di solidarietà che ben può giustificare la prestazione rispondendo questa a un interesse ad un tempo patrimoniale e non patrimoniale del beneficiato, potendosi argomentare in ordine al disposto di cui all’art. 1174 c.c.: cfr., in proposito, G. Ballarani, Contenuti e limiti dell’autonomia privata in ambito familiare, cit., 152. 21 Cass. 30 gennaio 2017, n. 2224, cit. 22 G. Ballarani, Contenuti e limiti dell’autonomia privata in ambito familiare, cit., 152; in materia, cfr. S. Delle Monache, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale (alle soglie della regolamentazione normativa delle unioni di fatto), in Riv. dir. civ., 2015, 946 ss., spec. 948 ss. e 952 s.; G. Oberto, Convivenza (contratti di), in Contr. impr., 1991, 369 ss., spec. 379; A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, in Eur. dir. priv., 2008, 929 e 936; A. Spadafora, Rapporto di convivenza more uxorio e autonomia privata, Milano, 2001, 89; F. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, 164.
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negoziazione assistita da parte degli avvocati. Sicché proprio la comune causa affettiva e il comune dovere solidaristico – ribadito con nuova enfasi nella pronuncia delle Sezioni Unite in materia di assegno divorzile – dovrebbero poter giustificare la permeabilità tra i modelli giuridici e consentire all’autonomia privata di svolgere il proprio corso naturale, dovendosi ritenere le parti libere, non solo di sciogliersi dal vincolo civile, quanto piuttosto di determinarne le conseguenze patrimoniali, con il solo limite rispetto ai figli minori o non autosufficienti.
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Il diritto alla pensione di reversibilità e il diritto alla compartecipazione al trattamento di fine rapporto del coniuge divorziato* Sommario : 1. Il diritto ad una quota del t.f.r. percepito dall’ex coniuge ed il diritto alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge superstite. – 2. I presupposti della titolarità della pensione di reversibilità e del diritto alla quota del 40% del t.f.r. dell’ex coniuge. – 2.1 Segue. Corresponsione dell’assegno una tantum e pensione di reversibilità e quota del t.f.r. al coniuge divorziato. – 3. Considerazioni conclusive.
The right of the ex-spouse to receive the pension benefits and a proportion of employment severance benefits is of critical importance when viewed from several perspectives: on the one hand, these rights underline the strength of the financial support order, and, on the other, they highlight that the financial obligations continue even after the dissolution of the marriage, due to an interdependent and, almost, never-ending, conception of the spouses’ ties. These ancillary provisions enhance the supportive and compensatory functions of the divorce support order, from which they derive. This reasoning necessarily implies the inadequacy of the principle of self-responsibility between ex-spouses, and reflects instead the discipline of the financial effects required upon family dissolution.
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Il contributo riproduce, con l’aggiunta di ampliamenti e integrazioni, la relazione svolta al Convegno L’assegno di divorzio: un confronto tra Italia e Germania, organizzato da EFL (European Association for Family and Succession Law) dedicato alla memoria di Maria Giovanna Cubeddu, tenutosi nella Università di Regensburg il 9 e 10 novembre 2018.
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1. Il diritto ad una quota del t.f.r. percepito dall’ex coniuge ed il diritto alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge superstite.
Gli istituti della pensione di reversibilità al coniuge divorziato e della compartecipazione nella misura del 40% al trattamento di fine rapporto percepito dall’ex coniuge (disciplinati rispettivamente agli artt. 9 e 12 bis l. div), costituiscono diritti connessi agli effetti dello scioglimento del matrimonio e collegati all’assegno di divorzio, essendo quest’ultimo presupposto necessario per la titolarità dei primi. In particolare, l’art. 12 bis l. div. stabilisce che l’ex coniuge, se titolare di un assegno divorzile, abbia diritto al 40% dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro dopo lo scioglimento del matrimonio, purché non passato a nuove nozze ed in relazione al periodo in cui il rapporto di lavoro sia coinciso con il matrimonio. Se si considera che l’indennità di fine rapporto costituisce una forma di retribuzione differita, meglio si comprende il fondamento razionale dell’istituto della compartecipazione dell’ex coniuge al t.f.r. dell’altro; esso ha una funzione spiccatamente solidaristico-compensativa, in quanto introduce una “regola correttiva” in base alla quale il coniuge divorziato possa godere anche dopo lo scioglimento del matrimonio di quanto – se percepito nel corso del matrimonio – sarebbe stato destinato al sostegno del nucleo familiare1. Prima di soffermarsi più analiticamente sui presupposti richiesti per la titolarità della quota di t.f.r., giova soffermarsi su uno dei principali dubbi interpretativi ed applicativi della disciplina dell’istituto, ovverosia il dies a quo dal quale tale diritto sorga. Ci si è infatti domandati se il diritto alla partecipazione del t.f.r. sussista solo con il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio oppure esso sussista anche allorché il t.f.r. venga percepito in un momento precedente. A fondamento dell’incertezza, un non perspicuo dato letterale, che affermando che l’indennità spetta “anche se (omissis) viene a maturare dopo la sentenza”, lascia aperta l’interpretazione per la quale essa possa spettare anche se percepita prima della sentenza di divorzio. L’art. 12 bis l. div. viene tuttavia applicato nel senso che il diritto ivi previsto possa essere vantato dal coniuge sulle somme percepite a far data dalla domanda di divorzio; di talché la maturazione dell’indennità deve in ogni caso ricadere in una fase temporale cui siano riconducibili gli effetti della sentenza di divorzio, non prima quindi dell’incipit del giudizio, che si ha con la proposizione della domanda giudiziale. La giurisprudenza ormai consolidata è orientata nel senso di ritenere che la quota del 40% del t.f.r. è dovuta allorché esso sia stato percepito dopo la domanda di divorzio2; ne consegue che viceversa il coniuge separato
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C. Rimini, Il nuovo divorzio, in Tr. Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2015, 201, il quale mette tuttavia in rilievo come il presupposto non sia coerente con la mancanza di una speculare regola che imponga al coniuge durante il matrimonio di destinare la propria retribuzione ai bisogni della famiglia. Da ultimo Cass. 22 marzo 2018, n. 7239 in banca dati Leggi d’Italia Legale; cfr. anche Corte cost. 19 novembre 2002, n. 463, in Dir. fam., 2003, 336 e Corte cost. 19 ottobre 2009, n. 261, in Fam. e dir., 2010, 761.
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non potrà vantare diritti sul t.f.r., rilevando tale somma esclusivamente quale incremento del patrimonio del coniuge creditore dell’assegno di mantenimento e dunque al fine di chiedere una eventuale revisione di esso. Viene data della norma una interpretazione estensiva, nel senso che essa giunge fino a ricomprendere eventuali indennità che non possono essere qualificate in senso stretto come indennità di fine rapporto. La pensione di reversibilità all’ex coniuge superstite è oggetto di specifica disciplina all’art. 9 commi 2 e 3 l. div., il quale prevede che “In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza. Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui allo articolo 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze”. La norma fa riferimento tanto al caso in cui muoia il coniuge pensionato quanto a quello in cui la morte sopravvenga nel corso del rapporto di lavoro, purché tale rapporto sia anteriore alla sentenza di divorzio. Allorché menziona “altri assegni”, essa deve intendersi riferita a qualsivoglia elargizione di carattere previdenziale spettante in dipendenza della morte dell’ex coniuge, come, stando all’interpretazione della Corte di cassazione, anche l’indennità di fine rapporto spettante al coniuge e ai figli sulla base del combinato disposto degli artt. 2120 e 2122 c.c. in caso di morte del lavoratore3. La norma fu rimodellata sostanzialmente dalla riforma del 1987, all’esito della quale il diritto alla pensione di reversibilità può ora essere attribuito automaticamente dall’ente pensionistico a prescindere dunque da qualsivoglia pronuncia giudiziale, sempre che non concorrano più aventi diritto; in tale ultimo caso, infatti, a norma del citato terzo comma dell’art. 9 l. div., il giudice è interpellato allo scopo di quantificare la compartecipazione di ciascun avente diritto alla pensione. Il diritto alla pensione di reversibilità da parte dell’ex coniuge costituisce un diritto correlato all’assegno di divorzio; esso è nondimeno un diritto autonomo dell’ex coniuge, diverso da quello spettante al coniuge defunto, che dunque egli vanta iure proprio, e non iure successionis; il che mette in evidenza la natura previdenziale del diritto alla pensio-
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Cass. 4 febbraio 2000, n. 1222, in Giust. civ., 2001, I, 508 e C. Rimini, Il nuovo divorzio, cit., 171.
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ne di reversibilità, cui non è estranea tuttavia – come è stato affermato – un fondamento assistenziale. Sulla natura della pensione di reversibilità meritano di essere richiamate le sentenze della Corte di cassazione a Sezioni Unite 159/19984 e della Corte costituzionale 419/1999. Con la prima la S.C. ha affermato, tra gli altri principi, la natura previdenziale della pensione di reversibilità individuandone il fondamento nell’apporto alla formazione del patrimonio comune e a quello proprio dell’altro coniuge e nelle aspettative formatesi durante e per effetto del matrimonio. È significativo il passaggio della citata sentenza ove si legge che: “nei confronti del coniuge, il trattamento di reversibilità ha il suo fondamento ed il suo presupposto non già in una situazione di vivenza a carico del pensionato o di stato di bisogno, sebbene, ed esclusivamente, nell’incidenza dell’apporto (diretto od indiretto) di ciascuno dei coniugi sulla formazione non solo del patrimonio comune ma, altresì, a quello dell’altro coniuge; e nel conseguente diritto del coniuge superstite all’intero trattamento di reversibilità, indipendentemente dalla sorte del rapporto matrimoniale”. Senonché, la successiva sentenza della Corte costituzionale ha in parte ridefinito l’assetto delineato dalla S.C., pronunciandosi sulla legittimità costituzionale dell’art. 9 comma 3 in relazione agli artt. 3 e 38 Cost., nel caso in cui vi sia la concorrenza di coniuge superstite ed ex coniuge. La fattispecie, nella prospettiva della Consulta, realizza la sua funzione solidaristica in maniera duplice: con riguardo al coniuge superstite come forma di ultrattività della solidarietà coniugale, consentendo la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal coniuge deceduto. Nei confronti dell’ex coniuge, invece, la pensione garantisce la continuità del sostegno percepito dal defunto mediante l’assegno di divorzio, di guisa che essa non inerisce alla mera qualità di coniuge, ma trova il proprio fondamento nella titolarità attuale dell’assegno, la cui attribuzione ha trovato causa nell’esigenza di assicurare allo stesso mezzi adeguati. Sul piano pratico la Corte ha indicato la possibilità di correttivi alla ripartizione matematica della pensione tra gli aventi diritto in relazione alla durata del matrimonio, per addivenire alla valorizzazione delle ragioni dell’assegno, che ne costituisce il fondamento. Si tratta di un principio seguito dalla successiva giurisprudenza anche di legittimità che ha infatti dato risalto al criterio, tra gli altri, dell’ammontare dell’assegno percepito, a prescindere da qualsivoglia automatismo legato alla mera durata dei rispettivi matrimoni. Di poi, la Corte costituzionale ha ribadito la configurazione della pensione di reversibilità come forma di tutela previdenziale e strumento per prevenire lo stato di bisogno derivante dalla morte dell’ex coniuge con la sentenza 174 del 2016. Infatti, in tale emolumento “la finalità previdenziale si raccorda a un peculiare fondamento solidaristico. Tale
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Cass. civ. Sez. Unite, 12 gennaio 1998, n. 159, in Giur. it., 1999, 279 nota di Matteo: “La ‘ratio’ della pensione di reversibilità per il coniuge superstite come per il coniuge divorziato consiste nel loro apporto alla formazione del patrimonio comune ed a quello proprio dell’altro coniuge, nonché nelle loro aspettative formatesi durante e per effetto del matrimonio. La durata del rapporto, costituisce l’unico parametro che consenta la ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite sulla base di elementi oggettivamente comparabili. È esclusa la rilevanza di criteri diversi dal parametro legale, quand’anche in funzione integrativa o correttiva del risultato conseguito”.
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prestazione infatti mira a tutelare la continuità del sostentamento e a prevenire lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del coniuge”5. Le S.U. nella recente sentenza 22434/20186 si sono poste in linea di continuità con tale interpretazione, affermando la sostanziale inattualità della lettura delle S.U. del 1998 che volevano correlata la pensione di reversibilità all’apporto dato dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio comune o dell’altro; tali elementi, infatti, possono venire in considerazione nella solidarietà coniugale e post-coniugale, ma non vengono per contro in rilievo per l’attribuzione della pensione di reversibilità, “consistente nel venir meno di un sostengo economico che veniva apportato in vita dal coniuge o ex coniuge scomparso”. La riaffermazione della natura previdenziale ed assistenziale dell’assegno costituisce un passaggio argomentativo fondamentale per la soluzione del quesito circa la sussistenza del requisito della titolarità dell’assegno di divorzio nel caso in cui esso sia stato corrisposto una tantum. Invero, la negazione della funzione compensativa della pensione di reversibilità, comporta una sorta di allontanamento degli istituti dell’assegno di divorzio e della pensione sotto il profilo della funzione che essi svolgono nel contesto degli effetti della crisi del matrimonio; infatti, la Cassazione a sezioni unite 11 luglio 2018, n. 182877 chiamata a pronunciarsi sulla funzione dell’assegno di divorzio ha da ultimo affermato come esso svolga una funzione prevalentemente compensativa, pur non mancando una componente assistenziale, cosicché esso deve essere riconosciuto e quantificato non già allo scopo di consentire al coniuge economicamente più debole di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, quanto invece in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto. Ad avviso di chi scrive la descritta divaricazione delle funzioni dell’assegno di divorzio e della pensione di reversibilità è solo apparente; infatti, la valorizzazione da ultimo data della funzione compensativa e perequativa dell’assegno di divorzio di per sé non ha comportato la esclusione di una funzione assistenziale dell’assegno, ancorché ad oggi la solidarietà post-coniugale veicolata dall’assegno debba misurarsi non solo con la garanzia assistenziale di consentire all’ex coniuge l’autosufficienza economica, ma debba tenere in considerazione l’esigenza di riequilibrare la posizione patrimoniale dei coniugi, in relazione al contributo che ciascuno di essi abbia dato alla vita familiare e alle eventuali rinunce che il coniuge economicamente più debole abbia compiuto a favore del ménage familiare. La morte del debitore dell’assegno e il conseguente mutamento della natura dell’erogazione, giustifica nondimeno la compressione (o l’elisione) dell’elemento perequativocompensativo con riguardo alla pensione di reversibilità, tenuto conto del fatto che nella
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Corte cost. 14 luglio 2016, n. 174, in Foro it., 2016, 10, 3052. Cass. 24 settembre 2018 n. 22343, in corso di pubblicazione in Corr. giur., 2019. In Foro It., 2018, 9, 1, 2671.
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prospettiva della garanzia della funzione previdenziale la pensione non può che rimanere aderente alla funzione della assistenza. Cionondimeno, l’istituto della pensione di reversibilità non è privo in tal senso di rilievo sistematico, mettendo in evidenza come agli effetti patrimoniali della crisi sia coessenziale la garanzia della funzione di assistenza, che, se è garantita dagli emolumenti dovuti in dipendenza della morte dell’ex coniuge, non può a fortiori essere negletta nella valutazione circa il riconoscimento e la quantificazione dell’assegno da quest’ultimo dovuto. In tale lettura, l’istituto della pensione di reversibilità al coniuge divorziato costituisce un criterio interpretativo integrativo delle norme sull’assegno e, valorizzando l’elemento solidaristicoassistenziale, convince del rilievo per il quale “pur se risolubile il matrimonio è un vincolo sul quale i coniugi costruiscono il progetto della loro vita, e la vita vissuta nell’attuazione di questo progetto è una realtà esistenziale che il divorzio, consensuale o giudiziale, non cancella. Questa realtà non è cancellata perché il progetto di vita comune che i coniugi hanno vissuto, diventano l’uno parte dell’esistenza dell’altro, rende doveroso il loro reciproco aiuto pur dopo lo scioglimento del vincolo”8.
2. I presupposti della titolarità della pensione di reversibilità e del diritto alla quota del 40% del t.f.r. dell’ex coniuge.
Entrando più specificamente nel merito dei presupposti indicati dalla legge per godere della pensione di reversibilità e della partecipazione alla quota di t.f.r., essi sono: l’anteriorità del rapporto di lavoro rispetto alla sentenza di divorzio (per la pensione) o l’intervenuto divorzio (per il t.f.r.); la titolarità dell’assegno di divorzio e il fatto che il coniuge avente diritto alla pensione non sia passato a nuove nozze. Quanto a quest’ultimo presupposto, esso indica come il nuovo matrimonio spezzi il legame solidaristico derivante dal vincolo dal precedente matrimonio, cosicché non è più possibile vantare la titolarità dei diritti patrimoniali in senso lato espressione della solidarietà post-coniugale9. Il tenore letterale della norma lascia intendere come la titolarità dei diritti venga meno solo allorché l’ex coniuge contragga matrimonio prima della morte dell’ex coniuge (nel caso della pensione) o della percezione dell’emolumento (nel caso del t.f.r.). Sono tuttavia necessarie distinte considerazioni per ciascuno dei due istituti. In relazione alla pensione di reversibilità si pone l’interrogativo se la sopravvenienza delle nozze dopo la morte dell’ex coniuge sia rilevante, e dunque determini la cessazione del diritto alla pensione di reversibilità. Al riguardo pare preferibile la soluzione positiva al quesito, tenuto conto che trattandosi di un emolumento continuativo, il venir meno dei presupposti che lo giustificano pure deve
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C.M. Bianca, Le Sezioni Unite sull’assegno divorzile: una nuova luce sulla solidarietà post-coniugale, in Fam. e dir., 2018, 11, 955. C. Rimini, op. cit., 172.
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Il diritto alla pensione di reversibilità e il diritto alla compartecipazione al trattamento di fine rapporto del coniuge divorziato
ritenersi rilevante per la sua cessazione. Anche in relazione al t.f.r. il passaggio a nuove nozze determina il venir meno del diritto, ma, tenuto conto che si tratta di un emolumento percepito una tantum (salvo eventuali rateizzazioni, che tuttavia non rilevano ai fini della determinazione del tempo di conseguimento dell’indennità), la sussistenza dello stato libero dovrà essere verificato unicamente in relazione al momento in cui il diritto matura, essendo per contro irrilevante il suo successivo venir meno. Un secondo filone di interrogativi riguarda la eventuale necessità di interpretare estensivamente la norma, ricomprendendo nella casistica delle cause di cessazione della titolarità del diritto anche i casi in cui l’ex coniuge superstite instauri una convivenza di fatto o si unisca civilmente. In relazione alla prima ipotesi, la dottrina maggioritaria tende ad escludere che l’instaurazione della convivenza sia rilevante ai fini della cessazione della pensione, tenuto conto del fatto che essa non è idonea a costituire un vincolo solidaristico equiparabile a quello matrimoniale. L’affermazione deve però ora misurarsi con l’istituto delle convivenze di fatto disciplinato all’art. 1 commi 36 ss. l. 76/2016. Ancorché infatti ai fini della instaurazione della convivenza registrata sia richiesto lo stato libero delle parti, a dire della incompatibilità intrinseca del vincolo di convivenza con quello matrimoniale o di unione civile derivante da una parziale corrispondenza del contenuto del rapporto, non può invece negarsi che sul piano della solidarietà durante e – soprattutto, per quanto qui maggiormente interessa – dopo la crisi della convivenza, alcuna equiparazione possa essere fatta tra il coniuge e il convivente, cosicché la convivenza non può essere considerata in sé elemento scalzante la solidarietà post-coniugale. Essa potrà rilevare tuttavia – e così sarà nella più parte dei casi – come causa di cessazione della corresponsione dell’assegno di divorzio, di guisa che per tale ragione l’ex coniuge non potrà a rigore ambire ad essere titolare della pensione. Procedendo a ritroso nell’analisi dei presupposti per la titolarità dei diritti, è richiesto che il rapporto di lavoro da cui origina il diritto alla pensione sia anteriore alla sentenza di divorzio. L’attribuzione di rilevanza alla relazione temporale tra rapporto di lavoro e sentenza di divorzio potrebbe indurre a valorizzarne la funzione compensativa, presupponendo il fondamento della titolarità della pensione alla contribuzione dell’uno alla formazione del patrimonio personale dell’altro. Si tratta dell’aspetto che, come detto in precedenza, la stessa Cassazione a S.U. aveva in un primo momento valorizzato. Nondimeno, la citata sentenza aveva poi affermato come la pensione spetti al coniuge divorziato integralmente, a prescindere dalla durata della coincidenza temporale tra matrimonio e rapporto di lavoro, essendo elemento sufficiente il dato dell’anteriorità. Quanto al t.f.r., invece, la compartecipazione è limitata alla quota parte di indennità maturata nel periodo di coincidenza del rapporto di lavoro con il matrimonio. Con specifico riguardo al presupposto della titolarità dell’assegno di divorzio, si tratta di un profilo assai dibattuto in passato, essendo dubbio se il riferimento alla titolarità dell’assegno di divorzio fosse da intendersi come titolarità astratta – e dunque come sussistenza dei presupposti che avrebbero consentito all’ex coniuge di domandarlo –, ovvero come titolarità in concreto, intesa come effettivo riconoscimento dell’assegno nella sentenza di divorzio. La legge 28 dicembre 2005 n. 263 art. 5 è intervenuta con specifico riguardo
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all’istituto della pensione di reversibilità, chiarendo che “Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 9 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che per titolarità dell’assegno ai sensi dell’articolo 5 deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto articolo 5 della citata legge n. 898 del 1970”. A seguito dell’intervento di interpretazione autentica, pertanto, deve ritenersi che non sia sufficiente ai fini della titolarità della pensione di reversibilità che l’ex coniuge versi nelle condizioni che avrebbero giustificato la condanna dell’altro al versamento dell’assegno, né che tale assegno, nel silenzio della sentenza, venisse di fatto corrisposto, essendo per contro richiesto che l’assegno fosse previsto a favore dell’avente diritto dalla sentenza di divorzio. Incidentalmente si osservi come alla sentenza di divorzio siano equiparati gli accordi di negoziazione assistita, tenuto conto che “L’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio” (art. 6 d.l. 132/2014). Cosicché non si trova nelle condizioni per domandare l’assegno – pur sussistendone in astratto i presupposti – l’ex coniuge che non l’abbia mai domandato, mancando nella specie una pronuncia giudiziale che lo riconosca e che possa essere posta a fondamento della connessa richiesta di pensione di reversibilità. Nondimeno la Cassazione, sempre in una chiave di interpretazione restrittiva della norma, ha affermato che non costituisce presupposto fondante il diritto alla pensione di reversibilità una “qualunque attribuzione di carattere provvisorio”, essendo necessaria per contro una pronuncia definitiva di riconoscimento del diritto all’assegno; in questa prospettiva la Corte ha ritenuto non idonea a fondare il diritto dell’ex coniuge alla pensione di reversibilità o ad una quota della stessa, l’attribuzione di un emolumento mensile a carattere provvisorio in quanto essa non preclude il rigetto della domanda di assegno divorzile, ove l’espletata istruttoria conduca ad escludere gli estremi per il suo accoglimento10. Si ritiene che tale interpretazione debba ora estendersi anche all’affine istituto della compartecipazione del trattamento di fine rapporto, pur nel silenzio dell’art. 12 bis l. div. Cionondimeno, in considerazione della funzione anche perequativo-assistenziale dell’assegno di divorzio ai sensi della sentenza 18287/2018, la perdita di tale diritto conseguente alla rinuncia all’assegno divorzile o alla sua negazione in sede giudiziale dovrà essere oggetto di particolare considerazione.
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Cass. 11 aprile 2011, n. 8228, in CED Cassazione, 2011.
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Il diritto alla pensione di reversibilità e il diritto alla compartecipazione al trattamento di fine rapporto del coniuge divorziato
2.1. Segue. Corresponsione dell’assegno una tantum e pensione di reversibilità e quota del t.f.r. al coniuge divorziato.
Un ulteriore rilievo suggerito dalla più recente giurisprudenza delle S.U. con la sentenza 22343/2018 riguarda gli effetti dell’una tantum sulla titolarità della pensione di reversibilità; la S.C. ha statuito che non sussiste il presupposto della titolarità dell’assegno allorché esso sia stato liquidato in un’unica soluzione ai sensi dell’art. 5 comma 8 l. div. La norma stabilisce che “Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”. Secondo l’orientamento minoritario, e ora definitivamente superato dalla pronuncia delle S.U. la liquidazione dell’assegno in un’unica soluzione non negherebbe la sua titolarità in concreto da parte dell’ex coniuge superstite11. In questa prospettiva, infatti, la liquidazione di una somma una tantum costituirebbe una mera modalità di adempimento dell’assegno, del quale l’ex coniuge sarebbe dunque senz’altro “titolare”. L’argomento tuttavia non è convincente, tenuto conto del fatto che il presupposto richiesto ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità è la attuale titolarità dell’assegno di divorzio; di guisa che, una volta che il diritto all’assegno sia stato definitivamente soddisfatto con la corresponsione della somma una tantum, esso non è più qualificabile come attuale. Ed in proposito non può che concordarsi con chi, ad ulteriore argomento, evidenzia come la liquidazione dell’assegno in una unica soluzione non possa essere qualificata come mera modalità di adempimento della obbligazione di corrispondere l’assegno, che, se così fosse, non si spiegherebbe la richiesta di un controllo di equità da parte del giudice del divorzio. Il controllo di equità è infatti da mettere in correlazione non tanto con la specifica modalità di adempimento dell’obbligo, quanto invece con le specifiche conseguenze in senso preclusivo rispetto ad ulteriori richieste economiche12. La previsione di cui all’art. 5 comma l. div. Fornisce un ulteriore elemento interpretativo di carattere sistematico, allorché stabilisce che l’una tantum è diretta a spezzare il legame solidaristico tra gli ex coniugi; cosicché per accordo delle parti e per effetto del controllo equitativo del giudice, gli effetti patrimoniali del divorzio e l’esplicazione della solidarietà post-coniugale si estinguono. Recisa (rectius, esaurita) ogni posizione debitoria per effetto della liquidazione dell’assegno in un’unica soluzione non si giustifica neppure la titolarità della pensione di reversibilità, in quanto viene meno il fondamento solidaristico dell’istituto previdenziale. Il che consente peraltro di sfuggire ad una conseguenza paradossale della contraria soluzione: “il rivivere di un diritto di contenuto sostanzialmente analogo, con la veste giuridica della pensione di reversibilità, nel momento del decesso dell’ex coniuge” condurrebbe
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cfr. Cass. n. 16744 29 luglio 2011. C. Rimini, op. cit., 175-176.
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infatti l’avente diritto alla situazione di attendere il “decesso del coniuge per godere di un vantaggio economico”13. La soluzione giurisprudenziale suggerisce un duplice ordine di riflessioni. In primo luogo, la prevalenza del volontario effetto di clean break connesso alla liquidazione dell’assegno di divorzio in un’unica soluzione; la negazione della titolarità anche della pensione di reversibilità nel caso di una tantum, non solo individua in maniera più netta gli effetti di tale scelta negoziale – ampliando dunque gli effetti dell’autonomia privata dei coniugi nella fase di scioglimento del matrimonio –, ma consente di recidere ogni conseguenza patrimoniale, anche di natura previdenziale e dunque successiva alla morte del coniuge debitore. Il che favorisce la creazione di nuovi vincoli, anche di coniugio, degli ex coniugi – specie di quello debitore – andando ad eliminare in radice possibili contrasti derivanti dalla compartecipazione al diritto alla pensione di reversibilità. In secondo luogo, tenuto conto del parallelismo della disciplina, ci si domanda se il principio in essa affermato debba estendersi anche alla disciplina del t.f.r., di guisa che anche per il diritto alla compartecipazione del trattamento di fine rapporto debba addivenirsi alla conclusione per la quale, allorché l’assegno sia stato corrisposto in un’unica soluzione, non possa darsi luogo ad alcuna pretesa di compartecipazione, mancando il presupposto della titolarità in concreto dell’assegno. La soluzione positiva al quesito attinge da una duplice argomentazione: anzitutto il parallelismo in termini di presupposti tra a pensione di reversibilità e la compartecipazione al trattamento di fine rapporto, richiedendo entrambi gli istituti, tra gli altri, anche la titolarità dell’assegno divorzile. Per tale ragione è infatti pacifico che allorché si vada a interpretare il presupposto della titolarità attuale dell’assegno indicato nell’art. 12 bis l. div. ci si debba riferire al significato fornito dalla legge di interpretazione autentica di cui all’art. 5 l. 263/2005 per la pensione di reversibilità. La soluzione convince vieppiù ora, a seguito dell’intervento delle S.U. con sentenza 18287/2018, allorché cioè la quantificazione dell’assegno di divorzio, e dunque anche nella sua determinazione una tantum, debba tener conto della funzione compensativa e perequativa dell’assegno. In esso potranno cioè trovare soddisfazione quelle esigenze di compartecipazione del coniuge debole ai redditi di quello economicamente più forte, anche tenendo conto delle energie profuse dal primo nell’ambito della famiglia; esigenze che si collocano a fondamento dell’istituto di cui all’art. 12 bis c.c. Se quanto fino ad ora osservato è vero, non può che trarsi la conclusione che la fase di quantificazione della somma ai sensi dell’art. 5 comma 8 l. div. ed il relativo giudizio di equità, non solo non potrà trascurare la duplice funzione che l’assegno abbia alla luce dei più recenti arresti giurisprudenziale e, in sintesi, valorizzare la funzione anche compensativa di tale emolumento, ma dovrà altresì tenere in considerazione la perdita definitiva di qualsiasi pretesa economica non solo nei confronti dell’ex coniuge ma anche nei con-
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C. Rimini, op. cit., 176.
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fronti dei terzi – ovvero l’ente erogante la pensione – in una ormai chiara interpretazione dell’una tantum quale strumento di soddisfazione definitiva delle istanze solidaristiche del coniuge debole.
3. Considerazioni conclusive. Dalla sintetica analisi degli istituti tracciata pare potersi in conclusione evidenziare come nel nostro ordinamento il diritto tanto alla compartecipazione al trattamento di fine rapporto quanto alla pensione di reversibilità siano funzionali alla realizzazione di interessi connessi con il principio di eguaglianza radicato nel vincolo matrimoniale, a cui è nondimeno performata la fase post-coniugale. In tale prospettiva, i diritti suddetti non solo contribuiscono a rafforzare l’effettività delle differenti funzioni cui l’assegno è preordinato, ma nel contempo ne valorizzano la rilevanza sistematica, nella misura in cui correlano ad esso la perdita o l’acquisizione di tali ulteriori diritti. In tale prospettiva, la previsione di diritti che – pur connessi al vincolo – maturano dopo la sua cessazione, contribuisce a distanziare il nostro ordinamento da quello tedesco, ove la disciplina della relazione post-coniugale è invece di norma governata dal principio di autoresponsabilità. Coerentemente, dunque, la pensione di reversibilità costituisce un diritto che l’ex coniuge può vantare alla morte dell’altro allorché vi sia una mancanza di autonomia economica correlata agli impegni di cura dei figli. È interessante nondimeno richiamare come finalità spiccatamente compensative siano alla base dell’istituto della “Versorgungsausgleich”: nell’ambito del divorzio viene infatti definito il regime di ripartizione tra gli ex coniugi delle prestazioni pensionistiche maturate dai coniugi nel corso del matrimonio (per esempio, i diritti maturati nell’ambito dell’assicurazione sociale obbligatoria, i diritti pensionistici e i diritti a prestazioni derivanti da un fondo pensione aziendale o da contratti d’assicurazione privata). La “compensazione pensionistica” garantisce al coniuge economicamente più debole, specie allorché egli abbia rinunciato al lavoro per dedicarsi all’educazione dei figli e al lavoro casalingo, di poter comunque percepire in futuro una erogazione pensionistica. Permane tuttavia il dubbio che la recisione del legame di solidarietà post coniugale informante la disciplina dei rapporti post coniugali nell’ordinamento tedesco – e che di primo acchito pare offrirsi come paradigma, in quanto più sintonica con l’instabilità che oggigiorno connota il matrimonio – sia supportata da una efficienza del sistema del welfare tale da rendere meno impattanti scelte di politiche del diritto di per sé potenzialmente foriere di addossare al coniuge che più si dedica alla famiglia (specie ogniqualvolta si abdichi al regime legale) il “rischio” economico della crisi.
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Il futuro del pagamento una tantum all’indomani della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione* Sommario : 1. Le persistenti esigenze di una regolazione definitiva dei rapporti patrimoniali fra coniugi nel momento dello scioglimento del vincolo. – 2. Uno sguardo all’Europa. – 3. Il pagamento una tantum e il giudizio di equità dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione. – 4. Il futuro del pagamento una tantum.
The Italian legislation on divorce is 30 years old, consists of a small number of provisions and does not identify instruments for a definitive regulation of the patrimonial relations between spouses at the moment of the dissolution of the bond. The “una tantum” regulatory provision is the only solution that can lead to a “clean break” if it is submitted to an equity judgment. This paper discusses what the future of this legislation may be after the recent rulings of the United Chambers of Cassation on the “assegno di divorzio”.
1. Le persistenti esigenze di una regolazione definitiva dei rapporti patrimoniali fra coniugi nel momento dello scioglimento del vincolo. Il recente attivismo manifestato dalla giurisprudenza della Cassazione nell’interpretazione delle norme preposte a determinare presupposti e limiti delle pretese economiche
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Il contributo riproduce, con l’aggiunta di ampliamenti e integrazioni, la relazione svolta al Convegno L’assegno di divorzio: un confronto tra Italia e Germania, organizzato da EFL (European Association for Family and Succession Law) dedicato alla memoria di Maria Giovanna Cubeddu, tenutosi nella Università di Regensburg il 9 e 10 novembre 2018.
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di uno dei coniugi nei confronti dell’altro all’indomani del divorzio1, non può – almeno in parte – non essere imputato al fatto che la normativa italiana in materia, risalente nella sua attuale formulazione ad oltre un trentennio addietro, consta di un esiguo nucleo di disposizioni che ben poco margine di manovra attribuiscono al giudice nella scelta e gestione degli strumenti atti a definire tali controversie. Come è stato più volte rilevato nel corso del dibattito che ha avviato il presente incontro di studi, le principali carenze manifestate dal nostro impianto normativo riguardano, da un lato, l’impossibilità per il giudice di stabilire a favore del coniuge “debole” un assegno di mantenimento temporalmente limitato2 e, dall’altro, di ordinare3 – ove lo ritenga opportuno - la corresponsione di una prestazione in unica soluzione. Entrambi i rilievi prendono le mosse, a mio modo di vedere, dalla indiscussa e sempre più cogente necessità di individuare strumenti che agevolino una sistemazione definitiva degli assetti economico-patrimoniali all’indomani dello scioglimento del vincolo, posto che nell’attuale contesto socio-economico-culturale l’assolvimento dell’obbligo patrimoniale in forma periodica, potenzialmente illimitata nel tempo, finisce con il protrarre interazioni tra gli ex coniugi, spesso conflittuali, che il più delle volte rischiano di avere ricadute negative anche sui figli, impedendo alle parti il pieno affrancamento da una relazione ormai irrimediabilmente cessata4. Esigenza, quella di eliminare ogni contatto dopo lo scioglimento del vincolo, che si manifesta in modo viepiù pressante in assenza di figli (o in presenza di figli ormai autonomi), ovvero quando vi sia l’intento di costituire una nuova famiglia. L’unica possibilità oggi riconosciuta agli ex coniugi di sottrarre gli accordi patrimoniali raggiunti in sede di divorzio alla regola del rebus sic stantibus5 e, dunque, sistemare in
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Facciamo riferimento non solo al recente contrasto giurisprudenziale tra la sentenza n.11504 del 10.05.2017 e la successiva sentenza a sezioni unite n.18287 del 11.07.2018 (entrambe pluri-commentate sulle maggiori riviste giuridiche), ma anche a quella giurisprudenza antecedente che si è orientata nel senso della definitiva estinzione del diritto all’assegno di mantenimento post divorzio allorquando l’ex coniuge beneficiario instauri una nuova convivenza stabile, così Cass. 3 aprile 2015, n. 6855, in Nuov. giur. civ. com., 2015, 681 ss., con nota di E. Al Mureden, Formazione di una nuova famiglia non matrimoniale ed estinzione definitiva dell’assegno divorzile; cfr. anche E. Quadri, Assetti economici postconiugali e dinamiche esistenziali, in Nuov. giur. civ. com., 2015, p. 375 e ss. Nell’ampia motivazione della sentenza a sezioni unite n.18287 del 11.07.2018 (che qui si cita nella versione pubblicata su Giur. It., 8/9, 2018, 1842 ss. con nota di C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa) il tema della carenza nel nostro impianto normativo di una previsione che legittimi la temporaneità del mantenimento viene in parte affrontato nella sezione dedicata al “Quadro comparatistico europeo ed extraeuropeo” dove tuttavia – come è stato correttamente osservato nel corso del dibattito dal prof. S. Patti – se ne individua in modo alquanto improprio, se non anche errato, un “puntuale correttivo nel meccanismo legislativo della revisione delle condizioni della sentenza di divorzio in presenza di fatti sopravvenuti …” (1851). Il comma 8° dell’art. 5 della l. n. 898/70 (versione modificata dalla l. n. 74/87), nello stabilire che “su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”, esclude la possibilità che sia il giudice a stabilire la liquidazione dell’assegno divorzile in unica soluzione, essendo sempre coessenziale l’accordo delle parti. In argomento E. Quadri, La nuova legge sul divorzio, I, Profili patrimoniali, Napoli, 1987, 52 ss., spec. 57. In tal senso G. Bonilini, in G. Bonilini, F. Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio3, in Comm. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2010, 675 ss. Il comma 4° dell’originario dettato dell’art. 5, contenuto nella l. n. 898/70, che recitava “su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in un’unica soluzione”, è stato sostituito nel 1987 con l’attuale disposizione. In dottrina per un’analisi accurata sull’evoluzione normativa della citata disposizione si vedano, tra i tanti, F. Macario, Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio – L. 6 marzo 1987, n. 74 –, sub. Art. 10, in Nuo. leg. civ. comm., 1987, 898 ss.; E. Quadri, La nuova legge sul divorzio, cit.,
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via definitiva i rapporti economici conseguenti allo scioglimento del vincolo, è quello di sottoscrivere un accordo per la corresponsione di una assegno divorzile in unica soluzione che venga giudicato equo dal giudice6, soluzione che peraltro sembra rimanere preclusa (almeno in parte) a quelle coppie che decidano di optare per una delle procedure stragiudiziali di separazione e divorzio recentemente introdotte dal legislatore7, determinando il paradossale risultato che l’utilizzo di uno strumento che fonda le sue radici sul più ampio riconoscimento delle capacità autodeterminative dei coniugi (soggetti, è bene ricordarlo, pienamente capaci, responsabili e consapevoli delle manifestazioni di volontà espresse) sia loro negato proprio nell’“arena dell’autonomia”8.
2. Uno sguardo all’Europa. In ragione delle richiamate esigenze, rese sempre più pressanti dalla volubilità di assetti di vita familiare in perenne trasformazione, molti legislatori europei sono intervenuti a riformare la disciplina del divorzio in anni relativamente recenti9, introducendo nei rispettivi ordinamenti (ove non fossero già previsti) strumenti diretti a garantire al coniuge che necessiti di un supporto economico dopo lo scioglimento del vincolo matrimoniale, prestazioni patrimoniali limitate nel tempo – aventi funzione “riabilitativa” e di sostegno per il coniuge che si deve reinserire nel modo del lavoro – ovvero prestazioni patrimoniali in unica soluzione – finalizzate all’attuazione del c.d. clean break principle (caro alla tradizione inglese)10.
passim; Barbiera, Il divorzio dopo la seconda riforma, Bologna, 1988, 102-103; A. Luminoso, La riforma del divorzio: profili di diritto sostanziale (prime riflessioni sulla l. 6 marzo del 1987, n. 74), in Dir. fam., 1988, 438 ss.; M.C. Bianca, Commento all’art. 5 L. div., in Comm. Cian-Oppo-Trabucchi, VI, 1, Padova, 1993, 358 ss.; G. Bonilini, Lo scioglimento del matrimonio, cit., 676 ss. 6 La scelta del nostro legislatore è stata giustamente criticata dalla dottrina, cfr. E. Quadri, I rapporti patrimoniali fra coniugi a trent’anni dalla riforma del diritto di famiglia, in Familia, 2006, 36 ss. 7 Ci riferiamo al d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito in legge il 10 novembre 2014, legge n. 162. 8 Ci sia permesso in merito rinviare a C. Irti, L’accordo di corresponsione una tantum nelle procedure stragiudiziali di separazione e divorzio: spunti di riflessione sula gestione patrimoniale della crisi coniugale tra autonomia delle parti e controllo del giudice, in Nuov. Leg. Civ. com., 4, 2017, 812 ss. In argomento si vedano anche i contributi di A. Gorgoni, Accordi definitivi in funzione del divorzio: una nullità da ripensare, e R. Montinaro, Accordi stragiudiziali sulla crisi coniugale e giustizia contrattuale, entrambi in Accordi in vista della crisi dei rapporti familiari, a cura di S. Landini e M. Palazzo, 2018, Milano, rispettivamente a 291 ss. e 209 ss. 9 L’ultima riforma tedesca in materia è la Gesetz zur Änderung des Unterhaltsrechts, entrata in vigore il 1° gennaio 2008, per un commento in lingua italiana della quale si rinvia allo scritto di M.G. Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, in Familia, 2, 2008, 23 ss.; in Francia è invece intervenuta la L. n. 2004/439 del 26 maggio 2004 per un commento della quale, sempre in lingua italiana, si rinvia a S. Patti, La nuova legge francese sul divorzio e il ruolo del notaio, in Familia, 2008, 3 ss. 10 Il principio in questione è stato affermato per la prima volta da una Corte inglese nel caso Minton v. Minton [1979] AC 593, allorquando Lord Scarman affermò: “There are two principles which inform the modern legislation. One is the public interest that spouses, to the extent that their means permit, should provide for themselves and their children. But the other – of equal importance – is the principle of ‘the clean-break’. The law now encourages spouses to avoid bitterness after family break-down and to settle their money and property problems. An object of the modern law is to encourage each to put the past behind them and to begin a new life which is not overshadowed by the relationship which has broken down”, ma è solo dal 1984 – dal Matrimonial and Family Proceedings Act 1984 – che le Corti possono emettere un clean break order anche contro la volontà degli ex coniugi (o di uno di loro). Cfr. N. Lowe
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L’ordinamento tedesco ha optato a favore della prima delle due soluzioni, avendo attribuito al giudice il potere di limitare il mantenimento dovuto da un ex coniuge all’altro sia dal punto di vista quantitativo che temporale (§1578b BGB), intendendo così attribuire all’istituto la precipua finalità di facilitare il reinserimento del beneficiario nella vita lavorativa11; la possibilità di stabilire prestazioni patrimoniali in unica soluzione è invece rimessa alla volontà delle parti che possono concludere degli accordi (Eheverträge), certificati in forma notarile, aventi ad oggetto sia l’entità che le modalità di corresponsione del mantenimento12. La seconda delle due soluzioni è stata invece privilegiata dal sistema francese, ove l’art. 270 code civil prevede una prestation compensatoire a favore del coniuge “debole” che – ove possibile – deve essere liquidata in unica soluzione, mediante l’attribuzione di una somma di denaro, ovvero mediante l’attribuzione di uno o più beni dell’onerato in proprietà, in uso, in abitazione o in usufrutto temporaneo o a vita (art. 274 code civil). Se il debitore non dovesse essere in grado di assolvere la prestazione in unica soluzione, il giudice può autorizzarlo ad un pagamento periodico, dilazionato fino ad un massimo di otto anni (art. 275 code civil) mentre, solo in ipotesi eccezionali di cui il giudice deve dar espresso conto nella motivazione, la prestation compensatoire può assumere la forma della rendita vitalizia (art. 276 code civil). Scopo perseguito dalle riforme legislative attuate in Germania e Francia è stato, dunque, quello di fornire un apparato normativo in grado di promuovere e garantire il rispetto del “principio di autoresponsabilità”13 da parte degli ex coniugi, affinché entrambi, all’indomani del divorzio, siano in grado di provvedere al proprio mantenimento. Lo stesso principio oggi costantemente richiamato dalla giurisprudenza di legittimità delle nostre Corti le quali, nello sforzo di adeguare il nostro sistema giuridico alla moderna realtà sociale, tentano di renderlo operativo nell’ambito di un contesto normativo per molti aspetti obsoleto14.
3. Il pagamento una tantum e il giudizio di equità dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione.
Uno dei limiti della disciplina del divorzio – come dicevamo – è proprio quello di non prevedere la possibilità per il giudice di stabilire, ove ne ricorrano i presupposti, il pagamento dell’assegno divorzile in unica soluzione, attribuendo al coniuge beneficiario una
and G. Douglas, Family Law, 10ed., 1023 ss. “Nel caso di figli minori di età, la legge prescrive che il genitore ha diritto ad essere mantenuto fino al momento in cui il bambino compie il terzo anno di età. Successivamente, di regola, deve riprendere l’attività lavorativa, Si discute, tuttavia, se in presenza di più figli, di età inferiore ai dodici anni, possa essere pretesa un’attività lavorativa a tempo pieno”, così M.G. Cubeddu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, cit., 30. 12 In argomento A. Fusaro, La circolazione dei modelli giuridici nell’ambito dei patti in vista della crisi del matrimonio, in Accordi in vista della crisi dei rapporti familiari, cit., 7 ss., a 19. 13 Il principio è stato persino codificato dalla legge tedesca: il §1578 del BGB è, infatti, rubricato Selbstverantwortung. 14 S. Patti, Assegno di divorzio: il passo indietro delle sezioni unite, in Familia, 4, 2018, 473 ss., 475. 11
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somma di denaro (un capitale), ovvero uno o più beni di proprietà del coniuge onerato, così come invece previsto nel sistema francese15. Il comma 8° della legge 898 del 1970 contempla, invero, la possibilità per gli ex coniugi di definire i loro rapporti patrimoniali in sede di divorzio mediante la corresponsione di un pagamento in unica soluzione, ma solo su base volontaristica, a seguito del raggiungimento di un accordo che, sottoposto alla valutazione giudiziale di equità da parte del giudice, produrrà l’effetto di precludere alle parti future domande di contenuto economico. L’attuale formulazione della disposizione normativa è il frutto dell’intervento riformatore del 1987, con il quale all’enunciato originario – “su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione” – è stata aggiunta la previsione concernente il controllo di equità da parte del giudice e relativo effetto “tombale”16. Rinviando ad altro scritto17 per alcune osservazioni in merito alla funzione da attribuirsi al controllo giudiziale del giudice – quale atto coessenziale all’operatività dell’istituto che incide sulla validità dell’accordo18, ovvero mero atto a carattere estintivo-preclusivo, destinato a sottrarre l’accordo alla generale regola del rebus sic stantibus 19 – in questa sede intendiamo piuttosto indagare sulle concrete modalità di esercizio di un tale controllo di merito. Diversamente da quanto accade nell’ordinamento francese, che indica espressamente al giudice una dettagliata lista di criteri di valutazione di cui egli “deve tener conto” nel determinare l’ammontare dalla prestation compenasatoire (art. 271 code civil) – quali la durata del matrimonio; l’età e lo stato di salute dei coniugi; le loro qualifiche personali e il loro status; le conseguenze delle scelte professionali fatte da uno dei coniugi durante la vita insieme per l’educazione dei figli e il tempo che dovrà ancora essere dedicato ad essa o per promuovere la carriera del coniuge a scapito del proprio; il patrimonio stimato o prevedibile dei coniugi, sia in termini di capitale che di reddito, dopo la liquidazione del
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Individua il modello francese come possibile modello di riferimento (auspicabile e diffusamente evocato) E. Quadri, L’assegno di divorzio tra conservazione del tenore di vita” e “autoresponsabilità”: gli ex coniugi “persone singole” di fronte al loro passato comune, in Nuova giur. civ. comm., 9, 2017, 1261 ss., a 1273. 16 In dottrina per un’analisi accurata sull’evoluzione normativa della citata disposizione si vedano, tra i tanti, F. Macario, Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio – L. 6 marzo 1987, n. 74 –, sub. Art.10, in Nu. leg. civ. com., 1987, 898 ss.; E. Quadri, La nuova legge sul divorzio, I, Profili patrimoniali, Napoli, 1987, 52 ss.; L. Barbiera, Il divorzio dopo la seconda riforma, Bologna, 1988, 102-103; A Luminoso, La riforma del divorzio: profili di diritto sostanziale (prime riflessioni sulla l. 6 mrazo del 1987, n.74, in Dir. fam., 1988, 438 ss.; C. M. Bianca, Commento all’art. 5 L. div., in Comm. Cian-Oppo-Trabucchi, VI, 1, Padova, 1993, 358 ss.; G. Bonilini, in G. Bonilini - F. Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, op. cit., 676 ss. 17 C. Irti, L’accordo di corresponsione una tantum nelle procedure stragiudiziali di separazione e divorzio: spunti di riflessione sula gestione patrimoniale della crisi coniugale tra autonomia delle parti e controllo del giudice, cit. 18 Ex pluris M. Sesta, Negoziazione assistita e obblighi di mantenimento nella crisi della coppia, in Fam. e Dir., 2015, 295 ss. 19 Così G. Oberto, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, 439; Id., Prestazioni una tantum e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Milano, 2000, p. 20; L. Rossi Carleo, C. Caricato, La separazione e il divorzio, in T. Auletta (a cura di) Il diritto di famiglia. La crisi familiare, IV, in Tratt. Bessone, Torino, 2013, 285 ss.; E. Quadri, La nuova legge sul divorzio, I, Profili patrimoniali, Napoli, 1987, 52 ss.; contra F. Scardulla, La separazione personale dei coniugi e il divorzio, Milano, 1996, 629; C.M. Bianca, Commento all’art. 5 L. div., in Comm. Cian-Oppo-Trabucchi, VI, 1, Padova, 1993, 360 ss.; A. La Spina, Accordi in sede di separazione e assolvimento dell’obbligo di mantenimento del coniuge mediante corresponsione una tantum, in Riv. Dir. Civ., 5, 2010, 453 ss.
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regime matrimoniale; i diritti esistenti e prevedibili e finanche la loro rispettiva situazione pensionistica futura – il nostro giudice è chiamato ad esprimere il proprio giudizio di equità sul quantum concordato dalle parti facendo riferimento a parametri che non sono esplicitati nella disposizione. L’organo giudicante dovrà dunque necessariamente ricorrere ai criteri indicati all’art. 5 comma 6 della legge sul divorzio, nell’interpretare i quali non può non tenere conto delle posizioni assunte dalla giurisprudenza e dunque, da ultimo, di quella affermata dalle recenti sezioni unite. All’indomani della sentenza del 201720, che aveva decretato l’abbandono del parametro del tenore di vita in costanza di matrimonio quale criterio di valutazione della congruità dell’assegno, era sorto il timore che il criterio dell’autosufficienza economica potesse essere assunto quale unico parametro di valutazione del contributo economico dovuto dall’un coniuge all’altro, soprattutto in sede di modifica o di revoca dell’assegno nonché, per quanto in questa sede più interessa, nell’ambito del giudizio di equità21. Un timore fugato dalla recente decisione delle Sezioni Unite che nel riconoscere all’assegno divorzile, al fianco di una residuale funzione assistenziale, una marcata funzione “riequilibratrice”, chiama il giudice impegnato nella valutazione di equità di un eventuale accordo a rivolgere attenzione tanto alla finalità perequativa dell’assegno – destinata a porre rimedio a una disparità economica esistente fra i coniugi – quanto a quella compensativa – destinata a “compensare” il richiedente delle eventuali perdite economiche subite, conseguenti alle scelte effettuate a favore della famiglia.
4. Il futuro del pagamento una tantum. In ragione delle recenti evoluzioni giurisprudenziali, a mio modo di vedere, sempre maggiori sono le ragioni che possono indurre gli ex coniugi a perseguire la strada della liquidazione una tantum, soluzione che, a una più attenta analisi, sembra possa portare al coniuge debole (l’accipiens) maggiori benefici dell’assegno in forma periodica22. Oltre alla possibilità di conseguire immediatamente un consistente incremento patrimoniale – che peraltro dal punto di vista della tassazione resta sottratto dal reddito imponibile ai fini dell’IRPEF (cui fa da contraltare l’impossibilità per il solvens di dedurre il relativo
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La n.11504 del 10.05.2017, anche nota come sentenza “Lamorgese”, dal nome del suo estensore. Timore dalla scrivente manifestato in C. Irti, L’accordo di corresponsione una tantum nelle procedure stragiudiziali di separazione e divorzio: spunti di riflessione sula gestione patrimoniale della crisi coniugale tra autonomia delle parti e controllo del giudice, cit.; ma si veda anche A. Gorgoni, Accordi definitivi in funzione del divorzio: una nullità da ripensare, cit., 305-306. 22 Sebbene, come rilevato dalla collega M.N. Bugetti – alla cui relazione si rinvia per maggiori indicazioni in argomento – l’ex coniuge che abbia percepito l’assegno divorzile in unica soluzione non avrà diritto alla pensione di reversibilità, principio riaffermato dalla recente sentenza a Sezioni Unite della Cassazione, n. 22434 del 24.09.2018. 21
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pagamento) – solo a seguito della liquidazione una tantum il coniuge beneficiario saprà di poter stringere una nuova relazione (convivenza stabile o matrimonio) senza perdere nulla. Il riconoscere all’assegno di divorzio natura non più o non solo assistenziale, ma prevalentemente compensativa-perequativa, fa si che la perdita del mantenimento periodico a causa dell’instaurarsi di una nuova relazione stabile23, impedisca all’ex partner di ricevere quella porzione di contributo di natura compensativa-perequativa (riequilibratrice) che gli spetterebbe in ragione del vissuto comune e delle scelte “passate” che hanno in parte compromesso il sul futuro, prescindendo dall’incidenza che l’istaurarsi di una nuova relazione affettiva possa concretamente avere in termini economici nei suoi confronti. Il contributo una tantum appare, in questa ottica, l’unico strumento atto a far ottenere all’ex coniuge che abbia nel corso del matrimonio sacrificato tutta o parte delle sue energie e capacità per la cura e crescita del nucleo familiare, quanto a lui spettante a titolo “risarcitorio”24 per le rinunce fatte e le opportunità perdute in ragione di scelte di vita comune. Si tratta di una componente dell’assegno alla quale appare lecito riconoscere pieno valore di credito disponibile, legittimamente reso oggetto di accordi tra le parti. Un’apertura alla negoziabilità che ben si concilia con la nuova dimensione dell’“ordine pubblico familiare”, frutto di un assetto sociale ormai mutato, in parte, anche se non completamente recepito a livello normativo25. I tempi sono certamente maturi per una riforma legislativa che intervenga a ridisegnare il quadro normativo di riferimento, legittimando anche nel nostro ordinamento strumenti negoziali destinati a regolare gli assetti economici conseguenti alla crisi familiare. Per quanto più strettamente attiene la disciplina della liquidazione dell’assegno in unica soluzione ci si augura che il legislatore possa ascoltare i suggerimenti di quella dottrina più accorta26 che, già da tempo, ne sollecita una rivisitazione nell’ottica di riconoscere all’organo giudicante il potere di ordinare – ove lo ritenga opportuno – la corresponsione di una prestazione in unica soluzione (in forma capitale o mediante attribuzione di uno o più beni), individuando altresì una serie di criteri “oggettivi” – sulla falsariga di quelli individuati al legislatore francese all’art. 271 code civil – cui attenersi per un’equa quantificazione del dovuto.
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Abbiamo già avuto modo di ricordare quella giurisprudenza che si è orientata nel senso della definitiva estinzione del diritto all’assegno di mantenimento post divorzio allorquando l’ex coniuge beneficiario instauri una nuova convivenza stabile (si veda sopra nota 1). 24 Il che contribuisce, a mio modo di vedere, a marcare la natura transattiva dell’accordo sull’una tantum, rimanendo l’“aleatorietà” dello stesso confinata – semmai – nell’ambito della sfera di dominio del solvens che, ove ritenga di optare per la contribuzione in forma periodica, potrebbe vedere il suo onere contributivo venir meno in un arco temporale più o meno breve stante le scelte di vita personale-familiare del suo ex partner, relative alla volontà di instaurare una nuova relazione stabile. Sulla funzione risarcitoria da riconoscersi all’assegno divorzile all’indomani della pronuncia delle sezioni unite cfr. G. Buffone, Misura alimentare e perequazione: le Sezioni Unite cercano di risolvere il “millennium problem” dell’assegno divorzile, in Gits. Civ., 1.08.2018 e M. Fortino, L’assegno di divorzio per realizzare, ex post, il principio di uguaglianza dei coniugi, in Nu. gir. civ. comm., 11, 2018, 1704 ss. 25 Sempre G. Buffone, cit., nota precedente. 26 E. Quadri, “C’è qualcosa di diverso” oggi nell’assegno di divorzio, “anzi d’antico”, in Nuova giur. civ. comm., 11, 2018, 1715 ss., spec. 1724 e ivi per altre indicazioni bibliografiche.
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Assegno divorzile e indipendenza economica dell’ex coniuge* Sommario : 1. L’assegno divorzile tra passato, presente e futuro. Prime riflessioni alla luce del «nuovo» diritto di famiglia. – 2. Dalla c.d. sentenza «Lamorgese» alla sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018: l’effimera ascesa del parametro dell’indipendenza economica. Auf Wiedersehen Europa. – 3. Il ridimensionamento del principio di autoresponsabilità. Il parallelismo tra l’ex coniuge e il figlio maggiorenne non indipendente economicamente. – 4. Una riflessione conclusiva.
Accepting the social demands and bringing the Italian discipline closer to that found in Europe, the sentence of the Cassation n. 11504/2017 identified the criterion impeding the existence of the spouse support allowance, in the parameter of economic independence (even potential) of the requesting partner. Indeed, in light of the recent pronouncement of the United Sections of the Supreme Court n. 18287/2018 the parameter of economic independence is drastically set aside. The United Sections, in fact, moving in a primarily «compensatory» logic, tend to protect the contribution made by the former partner in the realization of family life. The adopted solution – as we will try to demonstrate – does not fully coexist and lends itself to various criticisms.
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Il contributo riproduce, con l’aggiunta di ampliamenti e integrazioni, la relazione svolta al Convegno L’assegno di divorzio: un confronto tra Italia e Germania, organizzato da EFL (European Association for Family and Succession Law) dedicato alla memoria di Maria Giovanna Cubeddu, tenutosi nella Università di Regensburg il 9 e 10 novembre 2018. 71
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1. L’assegno divorzile tra passato, presente e futuro. Prime riflessioni alla luce del «nuovo» diritto di famiglia. La sentenza delle Sezioni Unite dell’11 luglio 2018, n. 182871, in materia di assegno divorzile, impone di svolgere alcune preliminari riflessioni muovendosi sospesi tra passato, presente e futuro. In primo luogo, occorre tornare indietro nel tempo. Nel settembre del 1990 le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 11490, ponevano un punto fermo in tema di interpretazione dell’art. 5 della legge n. 898/1970. Si fissava un principio destinato a diventare il cardine dei giudizi divorzili: il presupposto per concedere l’assegno era costituito «dall’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, prescindendo dallo stato di bisogno dell’avente diritto, il quale poteva essere anche economicamente autosufficiente»2. Secondo tale impostazione, pertanto, il tenore di vita goduto dal coniuge richiedente in costanza di matrimonio assurgeva a parametro di riferimento per stabilire non già il quantum, ma, ancor prima, l’an dell’assegno divorzile. Nei decenni successivi il parametro del «tenore di vita» goduto in costanza di matrimonio restò il «mantra» dei giudizi divorzili3. Occorrerà aspettare un quarto di secolo per assistere ad un drastico, quanto opportuno, cambio di rotta: con la sentenza del 10 maggio 2017, n. 11504 (c.d. sentenza «Lamorgese», dal nome del suo estensore)4, la Cassa-
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Cfr. Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287, in Familia, 2018, 455 ss., con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: il «passo indietro» delle Sezioni Unite; in Giur. it., 2018, 1843 ss. con nota di C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa. Sulla pronuncia delle Sezioni Unite esiste già una corposa letteratura. Si segnalano, tra gli altri, i contributi di C. Rimini, La nuova funzione compensativa dell’assegno divorzile, in Nuova Giur. civ. comm., II, 2018, 1693 ss.; M. Fortino, L’assegno di divorzio come strumento per realizzare, ex post, il principio di eguaglianza tra i coniugi, in Nuova Giur. civ. comm., 2018, II, 1704 ss.; E. Quadri, “C’è qualcosa di nuovo oggi” nell’assegno di divorzio, “anzi d’antico”, in Nuova Giur. civ. comm., 2018, II, 1714 ss.; M. Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, in Fam. e dir., 2018, 983 ss.; C.M. Bianca, Le Sezioni Unite sull’assegno divorzile: una nuova luce sulla solidarietà postconiugale, in Fam. e dir., 2018, 955 ss.; E. Al Mureden, L’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento dopo la decisione delle Sezioni Unite, in Fam. e dir., 2018, 1019 ss.; L. Balestra, L’assegno divorzile sotto la lente delle sezioni unite, Editoriale, in www.giurisprudenzacivile.com., 2018. Cfr. Cass., Sez. Un., 29 novembre 1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, 67 ss., con note di E. Quadri, Assegno di divorzio: la mediazione delle Sezioni Unite e V. Carbone, Urteidammerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio). Sottolinea argutamente tale profilo R. Natoli, Noterelle “a caldo” su Cassazione 11504/2017: dal tramonto dell’assegno divorzile a una nuova alba del diritto agli alimenti? in Dir. civ. cont., 12 maggio 2017. Cfr. Cass., 10 maggio 2017, n. 11504 in Fam. e dir., 2017, 642 ss. con note di E. Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale e di R. Danovi, Assegno di divorzio e irrilevanza del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti, in Foro it., 2017, I, 2707 ss., con note di S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa? e M. Bianca, Il nuovo orientamento in tema di assegno divorzile. Una storia incompiuta, in Nuova Giur. civ. comm., 2017, I, 1001 ss., con nota di U. Roma, Assegno di divorzio: dal tenore di vita all’indipendenza economica, in Giur. it., 2017, 1796, con nota di C. Rimini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fondamento esistenziale, in Corr. giur., 2017, 885 con nota di E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato? La Corte di cassazione, adita al fine di ottenere la riforma della sentenza della Corte d’Appello di Milano, che aveva ritenuto non dovuto in favore della ricorrente l’assegno divorzile in quanto quest’ultima non aveva dimostrato l’inadeguatezza dei propri redditi ai fini della conservazione del tenore di vita matrimoniale, pur ritenendo il dispositivo della sentenza impugnata conforme a diritto, ne corregge la motivazione ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c. e dichiara che una corretta lettura dell’art. 5, comma 6, legge n. 898/1970 impone di individuare quale parametro per l’attribuzione dell’assegno non già il tenore di vita matrimoniale, bensì l’indipendenza economica del richiedente. Sulla richiamata pronuncia, tra gli altri, si segnalano i contributi di E. Quadri, L’assegno
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zione – sia pur tardivamente – prende espresso congedo da un criterio ormai da tempo divenuto antistorico. Accogliendo le istanze sociali e avvicinando la disciplina italiana a quella riscontrabile in Europa, la richiamata sentenza segna un profondo punto di rottura nella decennale storia dell’istituto. La prima sezione civile della Cassazione, infatti, accantona l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità che affermava la natura esclusivamente «assistenziale» dell’assegno divorzile e individua nel parametro dell’indipendenza economica (anche potenziale) del coniuge richiedente il criterio ostativo alla stessa sussistenza dell’an dell’assegno5. La sentenza «Lamorgese», come puntualmente sottolineato da autorevole dottrina, ha avuto il merito di «aver smosso le limacciose acque in una materia, quella dell’assegno di divorzio, da tempo caratterizzata in giurisprudenza, da un pigro, […] ossequio a direttive esegetiche ormai risalenti nel tempo»6. In questa prospettiva, ben si comprende il clamore mediatico suscitato dalla richiamata pronuncia che ha finito con il provocare reazioni contrapposte tra gli interessati. In taluni casi, speranze di liberazione da oneri avvertiti come troppo gravosi e ingiusti7; in altri casi, accorati allarmi per le proprie future condizioni di vita8. Ciò premesso, occorre prendere atto che, nel corso del tempo, era già emersa una certa insofferenza verso il parametro del «tenore di vita»9. Non è un caso che la giurisprudenza, ha cercato di depotenziare la portata del principio posto, sin dal 1990, alla base dell’attribuzione dell’assegno divorzile. Soprattutto negli ultimi anni, quasi a voler disinnescare quei meccanismi che avevano portato alla creazione di irragionevoli ed inique rendite di posizione la giurisprudenza, per un verso, ha precisato che «il tenore di vita precedentemente goduto andava riguardato come un criterio solo tendenziale da raggiungere»10 e, per altro verso, ha chiarito che «fondandosi l’assegno divorzile su un obbligo di solidarietà
di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: gli ex coniugi “persone singole” di fronte al loro passato comune, in Nuova Giur. civ. comm., 2017, II, 1261 ss.; M. Sesta, La solidarietà post-coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, in Fam. e dir., 2018, 516. 5 Gli ermellini – esaltando il «principio di autoresponsabilità» – precisano che se il coniuge richiedente è economicamente indipendente o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto, evitando così la creazione di vere e proprie rendite di posizione. 6 Cfr. E. Quadri, “C’è qualcosa di nuovo oggi” nell’assegno di divorzio, “anzi d’antico”, cit., 1714. 7 Non è un caso che la parametrazione dell’assegno di divorzio al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ha portato sovente alla creazione di vere e proprie rendite vitalizie. Molto critico sul punto G. Casaburi, “Quandoque bonus dormiat Homerus”. Per una specializzazione dei procedimenti di famiglia in Cassazione, in Foro it., 2017, I, 1206 s., il quale evidenzia come l’assegno di divorzio abbia assunto le sembianze, in una logica «criptoindissolubilista», di una vera e propria rendita di posizione. 8 Come si avrà modo di verificare, alla luce dei parametri utilizzati dalla giurisprudenza di merito per determinare la soglia dell’autosufficienza economica (v. infra § 2), in taluni casi, appariva concreto il rischio che l’assegno divorzile potesse tramutarsi in «assegno di povertà». Sottolinea causticamente tale aspetto C.M. Bianca, Le Sezioni Unite sull’assegno divorzile: una nuova luce sulla solidarietà postconiugale, cit., 955. 9 In questa direzione, spunti di sicuro interesse si rinvengono in E. Al Mureden, Il parametro del tenore di vita coniugale nel “diritto vivente” in materia di assegno divorzile tra persistente validità, dubbi di legittimità costituzionale ed esigenze di revisione, in Fam. e dir., 2014, 690 ss. 10 Cfr. Cass. 11 luglio 2013, n. 17199 in Dir. fam. pers., 2014, 60.
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post-coniugale, lo stesso si estinguesse, senza possibilità di reviviscenza, in caso di nuova relazione sentimentale da parte del coniuge richiedente»11. Tuttavia, i sintomi di insofferenza (rectius idiosincrasia) rispetto a un parametro ormai unanimemente riconosciuto come antistorico non avevano mai trovato uno sfogo verbale così manifesto come quello contenuto nella sentenza n. 11504/201712. La pronuncia, infatti, giunge al punto di affermare che «a distanza di quasi ventisette anni l’orientamento fondato sul precedente tenore di vita è così divenuto poco attuale da esonerare il giudice di legittimità che se ne discosti dall’onere di rinviare, ai sensi dell’art. 374, comma 3, c.p.c., la questione alle Sezioni unite»13. Invero, una decisione delle Sezioni Unite – già sollecitata dalla Procura generale della Corte – appariva necessaria14. Come emerso sin dai primi commenti, alcuni passaggi della sentenza «Lamorgese» non risultavano esenti da critiche15. In particolare, si avvertiva l’esigenza di operare qualche «aggiustamento» alla regola dell’indipendenza economica: il cambio di rotta impresso dalla prima sezione della Cassazione con la sentenza n. 11504/2017, infatti, ha condotto a risultati non sempre congrui16. Non a caso, alcune sentenze di merito – applicando il nuovo principio di diritto in modo molto «rigido» – erano pervenute a risultati eccessivamente sfavorevoli per il coniuge richiedente l’assegno divorzile17. È questo lo scenario in cui si innesta la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione n. 18287/2018 (c.d. sentenza «Acierno», dal nome del suo estensore). Si tratta di una sentenza molto attesa che – componendo il contrasto giurisprudenziale creatosi a seguito
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Cfr. Cass. 3 aprile 2015, n. 6855 in Fam. e dir. 2015, 553 con nota di G. Ferrando, Famiglia di fatto e assegno di divorzio. Il nuovo indirizzo della Corte di Cassazione, in Nuova Giur. civ. comm., 2015, I, 681 con nota di E. Al Mureden, Formazione di una nuova famiglia non matrimoniale ed estinzione definitiva dell’assegno di divorzio; Cass. 29 settembre 2016, n. 19345 in www.quotidianogiuridico.it, 2016. Il principio trova conferma anche nella recentissima Cass., 10 gennaio 2019, in www.quotidianogiuridico.it, 2019. In argomento v. anche le interessanti riflessioni di E. Quadri, Aspetti economici postconiugali e dinamiche esistenziali, in Nuova Giur. civ. comm., 2015, II, 375. Da ultimo su tali profili v. A. Cordiano, Il principio di autoresponsabilità nei rapporti familiari, Torino, 2018, 66 ss. 12 In tale direzione, tra gli altri, R. Natoli, Noterelle “a caldo” su Cassazione 11504/2017: dal tramonto dell’assegno divorzile a una nuova alba del diritto agli alimenti? in Dir. civ. cont., 12 maggio 2017. La richiamata dottrina, in particolare, pone l’accento non tanto sull’esito cui giunge la sentenza «Lamorgese» quanto sulla determinazione con cui vi giunge: si evidenzia un «fraseggio estremamente chiaro e perciò difficilmente equivocabile, nel quale i principi di diritto sono nitidamente formulati». 13 La prima sezione della Cassazione, contrariamente a quanto rilevato da più parti, ha ritenuto di non rimettere la questione alle Sezioni Unite, ma ha ritenuto di proseguire nel suo indirizzo di esercizio, quale sezione semplice, della funzione nomofilattica. In questo caso, peraltro, non si è trattato di superare quanto disposto dall’art. 374, comma 2, c.p.c., ma, addirittura di aggirare la più stringente previsione di cui al comma 3° della medesima norma, adducendo una sorta di perenzione per obsolescenza del principio di diritto contestato. 14 Sottolinea tale aspetto C.M. Bianca, Le Sezioni Unite sull’assegno divorzile: una nuova luce sulla solidarietà postconiugale, cit., 955. 15 Per l’analisi di taluni rilievi critici si rinvia a S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa? Nota a Cass., 10 maggio 2017, n. 11504 in Foro it., 2017, I, 2708 ss.; Id., Solidarietà e autosufficienza nella crisi del matrimonio, in Familia, 2017, 275 ss. 16 Invero, occorre sottolineare che alcuni risultati «incongruenti» (rectius molto sfavorevoli) per l’ex coniuge si sarebbero potuti evitare attraverso una lettura più costruttiva della sentenza Lamorgese. Quest’ultima, infatti, aveva individuato – in modo dichiarativamente non esaustivo – alcuni indici rivelatori di «autosufficienza economica», come tali ostativi al sorgere del diritto all’assegno periodico: il possesso di redditi di qualsiasi specie; il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari; le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale; la stabile disponibilità di una casa di abitazione. 17 In dottrina, a tal riguardo, si è puntualmente rilevato come attraverso una lettura più attenta della c.d. sentenza «Lamorgese» si sarebbe potuto evitare il passaggio da una tutela eccessiva del coniuge richiedente l’assegno ad una tutela ridotta (rectius inadeguata) alla luce delle caratteristiche del singolo caso specifico (cfr. S. Patti, Assegno di divorzio: il «passo indietro» delle Sezioni Unite, cit., 475).
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della sentenza «Lamorgese» – apre una stagione «nuova» per l’assegno divorzile, fondandolo su una funzione preminentemente «compensativa»18. Viene individuata, una soluzione alternativa rispetto alle due proposte ermeneutiche contrapposte che, per quanto apprezzabile (in primis per l’abbandono del criterio del «tenore di vita matrimoniale»), non soddisfa pienamente. Permangono – come meglio vedremo – non pochi dubbi in ordine alle concrete modalità attuative che dovranno seguire i giudici di merito nello stabilire l’an e il quantum dell’assegno. Inoltre, discostandosi non poco dalla sentenza «Lamorgese», le Sezioni Unite finiscono con il creare un «disallineamento» tra l’istituto dell’assegno divorzile e l’attuale concezione del rapporto matrimoniale, specialmente con riferimento alla fase dello scioglimento19. Proiettandoci nel futuro, pertanto, l’auspicio è quello di addivenire ad una revisione (rectius attualizzazione) da parte del legislatore di un istituto ormai datato e, soprattutto, concepito – come ben osservato da attenta dottrina – all’ombra del «compromesso fra il divorzio e la reazione alla sua introduzione»20. A tal riguardo, non è dato dubitare che l’attuale configurazione dell’istituto dell’assegno divorzile, stride con i cambiamenti che hanno attraversato il diritto di famiglia nel corso degli ultimi anni. In particolare, occorre prendere atto che, rispetto al passato, l’archetipo di riferimento non è più la famiglia fondata sul matrimonio. Viceversa, si assiste alla moltiplicazione dei modelli familiari etero e omosessuali: è questo un dato innegabile non solo a livello sociale21. Il pluralismo dei modelli familiari, infatti, trova oggi puntuale conferma nella legge n. 76/2016 sulla «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze»22.
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Sul punto v. le osservazioni di C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa, cit., 1852. Autorevole dottrina (cfr. M. Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, cit., 983) ben evidenzia come le Sezioni Unite abbiano sottoposto a completa revisione dell’art. 5, comma 6, L. n. 898/1970 con una originale statuizione che finisce per discostarsi sia dall’indirizzo tradizionale fissato da Cass. S.U., n. 11490/1990 sia da quello innovativo del maggio 2017. Paradossalmente, si torna all’antico e precisamene all’indirizzo tracciato dalle Sezioni Unite con le sentenze nn. 1194/1974 e 2998/1974 (cfr. Cass., Sez. Un., 26 aprile 1974, n. 1194, in Foro it., 1974, I, 1335 ss.; Cass., Sez. Un., 9 luglio 1974, n. 2008, in Dir. fam. pers., 1974, 635 con nota di F. Dall’Ongaro, Sulla controversa quantificazione giuridica dell’assegno di divorzio). 19 Proprio in quest’ottica, parte della dottrina ha sottolineato come l’intervento del legislatore appaia oggi indifferibile. Ben sottolinea tale aspetto S. Patti, Assegno di divorzio: il «passo indietro» delle Sezioni Unite, cit., 475. 20 Cfr. C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa, cit., 1861; Id., La nuova funzione compensativa dell’assegno divorzile, cit., 1702. 21 Rispetto all’immagine della famiglia che la disciplina legislativa ci ha consegnato si sono affermati, nel corso degli anni, modelli familiari alternativi che tendono ad intaccare il matrimonio come modello totalizzante. Sul punto v. P. Zatti, «Familia, familiae». Declinazione di un’idea, in Familia, 2002, 9 ss.; F.D. Busnelli, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2004, 510 ss. In argomento, altresì, sia consentito rinviare a F. Romeo, Famiglia: sostantivo plurale?, in Dir. succ. fam., 2015, 67 ss. 22 La legge n. 76/2016 segna un momento di svolta nel quadro del tormentato dibattito relativo alla opportunità di disciplinare normativamente le unioni non fondate sul matrimonio. Sul punto v. le riflessioni di T. Auletta, Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia?, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 367; M.C. Venuti, La regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle convivenze in Italia, in Pol. dir., 2016, 95 ss. V. anche G. Alpa, La legge sulle unioni civili e sulle convivenze. Qualche interrogativo di ordine esegetico, in Nuova Giur. civ. comm., 2016, 1718 ss.; G. Bonilini, Convivenza, matrimonio, unione civile e famiglia, in Dir. succ. fam., 2017, 765 ss. Per un commento analitico della legge n. 76/2016 e ai tre decreti attuativi v. C.M. Bianca (a cura di), Le unioni civili e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2017 e ai d.lgs. n. 5/2017; d.lgs. 6/2017; d.lgs. n. 7/2017, Torino, 2017. Con specifico riferimento alla disciplina delle unioni civili v. G. De Cristofaro, Le «unioni civili» fra coppie del medesimo sesso. Note critiche sulla disciplina contenuta nei commi 1-34 dell’art. 1 della L. 20 maggio 2016, n. 76,
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Peraltro, si affermano compagini familiari sempre piú ristrette nel numero e brevi nel tempo: si riscontra un progressivo affievolimento dell’intensità del vincolo che ben si spiega alla luce di una pluralità di regole, soprattutto processuali che rendono più agevoli le vie di fuga23. Eloquenti, in questa direzione appaiono le novità legislative sul c.d. «divorzio breve»24 nonché le modalità di separazione e divorzio alternative al processo. Queste ultime – attenuando il ruolo dell’autorità giurisdizionale – potenziano il valore degli accordi raggiunti direttamente dai coniugi: i nuovi modelli di «negoziazione assistita dagli avvocati in separazione e divorzio» introdotti dalla legge n. 162/2014 segnano, al riguardo, un cambiamento epocale25. Le vie di fuga, peraltro, appaiono oggi ancor più agevoli nei «modelli familiari» non matrimoniali. Si pensi al recesso senza preavviso nelle ipotesi di «convivenza registrata» e di «convivenza contrattualizzata» ovvero allo scioglimento, anche per volontà unilaterale dell’unione civile che, così facendo, supera le strettoie della sequenza «separazione-divorzio» previste ancor oggi per lo scioglimento del matrimonio. Sul piano fattuale, pertanto, prendono forma schemi familiari plurali ricomponibili a piacere. In virtù di un rinnovato e pervasivo ruolo dell’autonomia privata in ambito familiare, ciascun coniuge è titolare del diritto soggettivo di separarsi, di divorziare e di costituire una nuova famiglia fondata sul matrimonio ovvero di dare luogo ad una relazione
integrata dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 101 ss.; E. Quadri, Unioni civili: disciplina del rapporto, in Nuova Giur. civ. comm., 2016, 1688 ss.; M. Sesta, La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un modello familiare, in Fam. e dir., 2016, 881 ss.; il contributo di G. Perlingieri, Interferenze tra unione civile e matrimonio. Pluralismo familiare e unitarietà dei valori normativi, in F. Romeo (a cura di), Nuovi modelli familiari e autonomia negoziale, Napoli, 2018, 77 ss. V. anche, N. Cipriani, Le unioni civili, in R. Pane (a cura di), Famiglia e successioni tra libertà e solidarietà, Napoli, 2017, 39 ss. Con specifico riferimento alla disciplina delle convivenze sia consentito rinviare a F. Romeo, Dal diritto vivente al diritto vigente: la nuova disciplina sulle convivenze. Prime riflessioni a margine della L. 20 maggio, 2016, n. 76, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 665. 23 La privatizzazione del diritto di famiglia trova il suo momento fondante nella caduta del principio dell’indissolubilità del matrimonio: il divorzio, infatti, ha consentito a ciascuno dei coniugi di porre fine alla relazione matrimoniale e dare vita a nuove famiglie (sul punto v. M. Sesta, La famiglia tra funzione sociale e tutele individuali, in F. Macario, M.N. Miletti (a cura di), La funzione sociale nel diritto privato tra XX e XXI secolo, Roma, 2017, 144 s.). Non è un caso che la giurisprudenza, ormai da tempo, ha affermato l’esistenza di un diritto costituzionalmente garantito a porre fine all’unione matrimoniale quando la convivenza sia divenuta intollerabile (cfr. Cass., 9 ottobre 2007, n. 21099, in Nuova Giur. civ. comm., 2008, 519 con nota di L. Lenti, Il criterio per valutare l’intollerabilità della convivenza: la cassazione abbandona le declamazioni ideologiche e disvela le regole operative). 24 Legge 6 maggio 2015, n. 55 «Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi». In argomento, tra gli altri, v. G. Ferrando, Il divorzio breve: un’importante novità nel solco della tradizione, in Corr. giur., 2015, 1041; F. Danovi, Al via il «divorzio breve»: tempi ridotti ma manca il coordinamento con la separazione, in Fam. e dir., 2015, 607; G. Oberto, Divorzio breve, separazione legale e comunione tra i coniugi, in Fam. e dir., 2015, 615 ss. 25 La legge 10 novembre 2014, n. 162 «Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 12 settembre 2014, n. 132 recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile» ha svincolato le separazioni e i divorzi dalla competenza esclusiva e inderogabile del Tribunale. Si accentua il carattere privatistico della relazione matrimoniale e si esalta il principio di autodeterminazione dei coniugi che possono convenire di separarsi e di divorziare affidandosi alla negoziazione assistita da uno o più avvocati. L’intervento giurisdizionale dovrebbe limitarsi a quelle situazioni nelle quali l’autodeterminazione non si possa esercitare concordemente oppure vi siano acclarate situazioni di squilibrio tra le parti ovvero di possibile pregiudizio per i soggetti vulnerabili. Sulla legge n. 162/2014 spunti di sicuro interesse si rinvengono in F. Tommaseo, Separazione per negoziazione assistita e poteri giudiziali a tutela dei figli: primi orientamenti giurisprudenziali, in Fam. e dir., 2015, 390 ss.; Id., La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali, in Fam. e dir., 2015, 157 ss.; F. Danovi, I nuovi modelli di separazione e divorzio: una intricata pluralità di protagonisti, in Fam. e dir., 2014, 1141 ss. Per una puntuale analisi degli strumenti di gestione della crisi coniugale si rinvia a C. Irti, Gestione della crisi familiare: dalla mediazione familiare alla negoziazione assistita, in Dir. fam. pers., 2016, 665 ss.
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affettiva non matrimoniale socialmente diffusa ovvero regolamentata dal legislatore26. Tutti i legami tendono ad essere sempre meno avvolgenti. L’individuo è sempre più libero di «governare» la propria vita di coppia potendo modificare di continuo i propri progetti. In questo scenario ben si comprende come il peso dell’assegno divorzile incida, in modo non irrilevante, sulla vita di un numero molto elevato di persone e sulle loro future scelte esistenziali. Non è dato revocare in dubbio che quanto si attribuisce all’ex coniuge per il tramite dell’assegno divorzile si toglie al nuovo coniuge, al nuovo convivente, all’unito civilmente. Ma vi è di più. Ciò che si attribuisce all’ex coniuge tramite l’assegno divorzile si toglie ai figli eventualmente nati dal nuovo matrimonio ovvero da un rapporto di stabile convivenza.
2. Dalla c.d. sentenza «Lamorgese» alla sentenza delle
Sezioni Unite n. 18287/2018: l’effimera ascesa del parametro dell’indipendenza economica. Auf Wiedersehen Europa.
La sentenza «Lamorgese» si connota peculiarmente per aver proposto una disciplina dell’assegno divorzile più moderna e in linea con quella rinvenibile in Europa. Una disciplina – come ricordato da Salvatore Patti in un recente scritto – idonea ad evitare la concessione di assegni divorzili quantificati secondo «parametri oggi inconciliabili con l’attuale visione della famiglia, il frequente scioglimento del matrimonio e la formazione di una nuova famiglia […]» evidente, infatti, risulta la necessità di «superare un orientamento giurisprudenziale insensibile all’evoluzione del rapporto matrimoniale, alla sdrammatizzazione del divorzio, alla successiva instaurazione di nuovi rapporti familiari»27. Ma non solo. La sentenza «Lamorgese» – nel ribadire l’esigenza di mantenere netta la distinzione tra la fase dell’an debeatur e la fase del quantum debeatur28 – afferma che la ratio dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970 non riposa sulla tutela della persona come parte di una «comunità di vita» ormai disciolta, ma sulla tutela della «persona singola». Quest’ultima, in particolare, è tenuta al rispetto del principio di «autoresponsabilità», che cozza con qualsiasi riferimento patrimoniale, sotto il profilo della futura vita personale, alla precedente vita coniugale: il divorzio, infatti, «è frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l’accettazione da
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In questa prospettiva, pertanto, si materializzano gruppi familiari «destrutturati» suscettibili di modificare ulteriormente la loro composizione. A tal riguardo v. E. Al Mureden, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, 20. 27 Cfr. S. Patti, Assegno di divorzio: il «passo indietro» delle Sezioni Unite, cit., 474. 28 Al riguardo – criticando l’orientamento in precedenza seguito – la Cassazione ha osservato che qualora il parametro del “tenore di vita” precedentemente goduto fosse attratto nel giudizio sull’an deleatur, inevitabilmente finirebbe per sbiadire.
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parte di ciascuno degli ex coniugi (…) delle relative conseguenze anche economiche». Pertanto – abbandonando il criterio del «tenore di vita matrimoniale» – l’eventuale quantificazione dell’assegno doveva essere finalizzata a garantire esclusivamente quanto necessario per vivere29. Il cambio di rotta, certamente drastico, ha amplificato – come già evidenziato in premessa – il timore di un passaggio da una tutela spesso eccessiva ad una tutela inadeguata, poiché non sempre attenta alle circostanze del singolo caso ed in particolare: all’età del richiedente; all’eventuale contributo offerto dallo stesso alla conduzione della vita familiare; alla durata del matrimonio e alla formazione del patrimonio familiare o di quello dell’altro coniuge30. Invero, l’auspicato intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, fortemente condizionato dall’esigenza (rectius dall’imperativo) di integrare il criterio della «indipendenza economica» con quello «contributivo» e con quello «perequativo», ha comportato un significativo depotenziamento dei nuovi principi di diritto fissati nel maggio del 2017. In particolare, la sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite, pur confermando l’abbandono del parametro legato al tenore di vita matrimoniale, nonché la rilevanza del criterio dell’autosufficienza economica, ha apportato profondi correttivi alla sentenza «Lamorgese» soprattutto in relazione alla mancata applicazione di alcuni parametri contenuti nell’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio, che impongono, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno, di tenere conto della durata del matrimonio e delle «scelte di vita» attuate al momento della determinazione dell’indirizzo di vita familiare. Secondo le Sezioni Unite, alla luce della solidarietà post-coniugale che trova fondamento nell’art. 29 Cost., l’assegno deve assolvere una «funzione compensativa» e una «funzione riequilibriatrice»: evidente, al riguardo, risulta l’esigenza di salvaguardare il contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla vita familiare, alla formazione del patrimonio e allo svolgimento dell’attività professionale dell’altro coniuge31. Il nuovo corso inaugurato dalle Sezioni Unite, pertanto, opera una rivalutazione, sul piano costituzionale, del matrimonio e del principio di uguaglianza dei coniugi. Da ciò discende il riconoscimento di un contributo che – muovendo dalle condizioni economico-
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La giurisprudenza di merito per determinare la soglia dell’autosufficienza economica ha fatto riferimento alla normativa sociale e previdenziale. Si segnala, in particolare una nota ordinanza del Tribunale di Milano del 22 maggio 2017 che ha individuato quale parametro la «capacità di avere risorse per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)» indicando quale criterio, sia pur non esclusivo, «quello rappresentato dall’ammontare degli introiti che, secondo la legge dello Stato, consente (ove non superato) a un individuo di accedere al patrocinio a spese dello Stato – soglia che ad oggi è di 11.528,41 euro annui ossia mille euro mensili». 30 Cfr. S. Patti, op. ult. cit., 477. 31 Le Sezioni Unite, in buona sostanza, riconoscono all’assegno divorzile una funzione «perequativo-compensativa» della situazione reddituale e patrimoniale degli ex coniugi, tesa a ricompensare i sacrifici patiti da uno di loro a causa delle scelte di indirizzo familiare poste in essere in costanza di matrimonio. Invero, la sentenza «Acierno» non tiene in debita considerazione, nel giudizio sull’assegno, il contributo che il coniuge economicamente più forte può aver dato alla formazione del patrimonio comune (sottolinea tale profilo C. Benanti, La “nuova” funzione perequativo-compensativa dell’assegno di divorzio, nota a Cass., Sez. un, 11 luglio 2018, n. 18287, in Nuova Giur. civ. comm., 2018, I, 1606).
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patrimoniali dei due coniugi – deve tenere conto «non soltanto del grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto, ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e della età del richiedente»32. Fondamentale, pertanto, risulta la concreta configurazione – ex art. 144 c.c. – dei compiti dei coniugi e il relativo bilanciamento della contribuzione. Invero, nonostante il contenuto di tali accordi può dar luogo a svariati assetti familiari, la sentenza «Acierno» appare focalizzata – come ben sottolineato da autorevole dottrina – su un modello coniugale «tradizionale» di lunga durata, connotato da una netta separazione dei compiti tra marito e moglie e tra padre e madre33. Si tratta del modello familiare più colpito dalla sentenza «Lamorgese», che, enfatizzando il carattere assorbente dell’autosufficienza del coniuge richiedente l’assegno, rischiava di svalutare il contributo dato al menage familiare. In attuazione del principio di solidarietà le Sezioni Unite operano una valorizzazione del vincolo matrimoniale che, al venir meno della comunione spirituale e materiale, in presenza di una disparità reddituale conseguente alle determinazioni assunte dai coniugi e al contributo dato alla vita familiare, corrisponda un assegno idoneo a riportare in equilibrio le loro condizioni di vita futura34. Il giudice, pertanto, avrà l’arduo compito di riequilibrare le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi35. A tal riguardo, risulta evidente che questa operazione, come sottolineato da una parte della dottrina, porta con sé margini di apprezzamento molto ampi con il rischio concreto di un incremento ingiustificato della discrezionalità del giudice di merito, soprattutto in quelle situazioni «intermedie» nelle quali il sacrificio a favore delle esigenze della famiglia sia stato limitato nel tempo e, soprattutto, non integrale ed assorbente36. Peraltro, non si può fare a meno di evidenziare che la sentenza «Acierno» nel fissare il nuovo principio di diritto – come puntualmente sottolineato dalla dottrina – compie un «passo indietro», allontanando nuovamente l’Italia dagli altri Paesi europei e, in primis,
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Cfr. Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287, punto 10 dei motivi della decisione. Cfr. M. Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, cit., 985. Invero, non si può fare a meno di rilevare che nei «modelli familiari contemporanei» è frequente rinvenire una significativa fungibilità delle funzioni e dei contributi dei coniugi al menage familiare (sul punto v. infra § 4). In questa direzione, peraltro, si muove il Disegno di Legge n. 735 «Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità» presentato al Senato il 10 settembre 2018 (c.d. Disegno di Legge Pillon, dal nome del Senatore primo firmatario). 34 Sul punto v. M. Sesta, op. ult. cit., 988. Esprime apprezzamento per l’operato delle Sezioni Unite C.M. Bianca, Le Sezioni Unite sull’assegno divorzile: una nuova luce sulla solidarietà postconiugale, cit., 957, il quale sottolinea come la pronuncia del 2018 abbia dimostrato grande sensibilità per i valori familiari e personali che questa materia coinvolge e per «aver restituito al matrimonio la sua dignità etica». 35 L’assegno divorzile, pertanto, dovrebbe compensare lo squilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi causato dal c.d. «capitale invisibile», ossia alla capacità professionale e reddituale che uno dei coniugi ha conseguito grazie al lavoro «sommerso» dell’altro (sul punto E. Al Mureden, Parità tra coniugi e funzione perequativa dell’assegno divorzile dopo la decisione delle sezioni unite, Editoriale, in www.giustiziavcivile.com., 2018). 36 Sottolinea puntualmente i rischi insiti nell’ampia discrezionalità del giudice di merito M. Sesta, op. ult. cit., 989. 33
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dalla Germania37. Basti pensare che nell’ordinamento italiano l’assegno di divorzio rimane affidato nel suo ammontare ad una valutazione del giudice estremamente discrezionale, dovuta alla concorrenza di molteplici parametri: risulta concreto, al riguardo, il rischio di ricadere negli eccessi causati dall’automatismo applicativo del parametro del «tenore di vita»38. Inoltre – salva l’ipotesi di un nuovo matrimonio o di una stabile convivenza – l’assegno di divorzio, almeno in linea di principio, permane per tutta la vita dell’avente diritto, mentre in altri ordinamenti europei serve solo a superare le difficoltà di una fase iniziale della durata di pochi anni. Proprio sotto questo profilo le Sezioni Unite – pur manifestando la volontà di interpretare la norma giuridica tenendo conto delle soluzioni adottate in altri ordinamenti nonché dei «Principi di diritto europeo della famiglia sul divorzio e il mantenimento tra ex coniugi» elaborati dalla Commissione europea per il diritto di famiglia – si allontanano parecchio dal quadro europeo39. In Germania, ad esempio, l’assegno viene garantito per un numero limitato di anni, determinato anche alla luce del matrimonio, nel rispetto del «principio di autoresponsabilità», secondo cui ciascun coniuge dopo il divorzio deve proseguire autonomamente il cammino della sua esistenza: non può pretendersi una solidarietà senza limiti; una solidarietà che, inevitabilmente, rischia di alimentare ingiuste situazioni di approfittamento.
3. Il ridimensionamento del principio di autoresponsabilità. Il parallelismo tra l’ex coniuge e il figlio maggiorenne non indipendente economicamente.
Diversamente dalla sentenza «Acierno», la prima sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 11504/2017, aveva cercato di valorizzare il principio di autoresponsabilità. Muovendosi in tal senso, la sentenza «Lamorgese» aveva operato un parallelismo – peraltro drasticamente smentito dalle Sezioni Unite nel 2018 – tra l’art. 5, comma 6, legge n.
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Il punto è estremamente delicato atteso che la sentenza «Lamorgese» aveva posto a fondamento della sua ricostruzione l’esigenza di avvicinare l’Italia all’Europa. 38 Non è dato dubitare, ad esempio, che l’entità dell’assegno divorzile non potrà essere la stessa nel caso del coniuge che per propria scelta ha rinunciato a proseguire un’attività lavorativa rispetto al caso del coniuge che, in base ad un progetto comune di vita ha interrotto una carriera prestigiosa e remunerativa; analogamente la quantificazione dell’assegno di divorzio non potrà essere la stessa nel caso del coniuge che insoddisfatto della propria «vita lavorativa», ha preferito la «vita familiare» rispetto al coniuge che affronta una situazione di grande sacrificio in termini di lavoro svolto all’interno della famiglia. 39 I Principi di diritto europeo della famiglia sul divorzio e il mantenimento tra ex coniugi consacrano, in via generale, il «principio dell’autosufficienza» degli ex coniugi disponendo che «dopo il divorzio ciascun coniuge provvede ai propri bisogni» (Principio 2.2). Il divorzio è evento che, riattribuendo a ciascuno dei coniugi lo status di persona singola, non può che comportare il riaffermarsi dell’autoresponsabilità – anche se non in modo assoluto – degli stessi. Per una ricognizione dei «Principi di diritto europeo della famiglia sul divorzio e il mantenimento tra ex coniugi» v. M. Fortino, L’assegno di divorzio come strumento per realizzare, ex post, il principio di eguaglianza tra i coniugi, cit., 1708 s.
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Assegno divorzile e indipendenza economica dell’ex coniuge
898/1970 e l’art. 337 septies c.c., il quale, com’è noto, subordina il sorgere dell’assegno periodico in favore dei figli maggiorenni alla «non indipendenza economica» del richiedente40. In buona sostanza, la sentenza del maggio del 2017 – dopo aver sottolineato la fondamentale differenza di status tra figlio e coniuge – operava il seguente ragionamento: se il genitore, che rimane tale per sempre, deve corrispondere l’assegno di mantenimento al figlio fino al raggiungimento dell’indipendenza economica, ad analogo criterio deve essere informato il presupposto per il sorgere dell’assegno periodico in favore dell’ex coniuge, che con il divorzio ha riacquisito lo status di «persona singola». Entrambe le disposizioni, infatti, sono espressione del medesimo principio di «autoresponsabilità economica» in ambito familiare: principio questo, come già evidenziato, rinvenibile nelle legislazioni di molti paesi europei41. Il diritto all’assegno è previsto solo in casi eccezionali, con la conseguenza che l’ex coniuge – al pari del figlio maggiorenne – deve attivarsi per raggiungere l’indipendenza economica, evitando così di dare vita a situazioni di parassitismo. Proprio in quest’ottica, non si può fare a meno di evidenziare che la valorizzazione del «principio di autoresponsabilità» trova oggi conferma nel (controverso) Disegno di Legge Pillon in base al quale «nei confronti dei figli maggiorenni cessa ogni obbligo di mantenimento al compimento del venticinquesimo anno di età ovvero qualora la mancanza di una loro occupazione o impiego lavorativo sia dipesa da negligenza o rifiuto ingiustificato di opportunità di lavoro offerte ovvero si dimostri la colpevole inerzia nel prorogare il proprio percorso di studi senza alcun effettivo rendimento»42. Analoga valorizzazione del «principio di autoresponsabilità» si rinviene in una recente sentenza della Cassazione del 5 marzo 2018, n. 5088 che si innerva nel novero delle fattispecie nelle quali l’elevata età del beneficiario ed il completamento del percorso universitario e post universitario impongono la cessazione dell’assegno di mantenimento nei confronti del figlio maggiorenne43. Tale pronuncia, peraltro, si pone in linea di continuità
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Secondo le Sezioni Unite il richiamo contenuto nella sentenza «Lamorgese» all’art. 337 septies c.c. non è condivisibile in quanto le condizioni soggettive dell’ex coniuge e del figlio maggiorenne non economicamente autosufficente non sono comparabili. Si osserva, in particolare: «il figlio maggiorenne ha il compito sociale, prima che giuridico, di mettersi nelle condizioni di essere economicamente indipendente e l’obbligo di mantenimento è definito temporalmente in funzione di raggiungere l’obiettivo; il coniuge, specie se non più giovane, che abbia rinunciato per scelta condivisa anche dell’altro, ad essere economicamente indipendente o abbia ridotto le proprie aspettative professionali per l’impegno familiare si può trovare, in virtù del criterio dell’indipendenza economica, in una situazione di irreversibile grave disparità». 41 Su tali profili si rinvia alla puntuale indagine di A. Cordiano, Il principio di autoresponsabilità nei rapporti familiari, cit., 187 ss. 42 V. retro nt. 32. Cfr. art 15, Disegno di Legge Pillon che prevede la completa riscrittura dell’attuale art. 337 septies c.c. 43 Cfr. Cass., 5 marzo 2018, in www.quotidianogiuridico.it, 2018. Nel caso di specie, la Suprema Corte censura la decisione di merito che aveva riconosciuto il diritto al mantenimento in capo al figlio iscrittosi all’albo degli avvocati e impiegato presso lo studio legale del fratello. Il ricorrere di simili circostanze – chiarisce la motivazione della decisione di legittimità – deve costituire oggetto di una valutazione tanto più rigorosa ed improntata al «principio di autoresponsabilità» quanto più sono avanzate l’età del figlio e la sua progressione nel percorso formativo e professionale intrapreso. In altri termini, poiché l’onere probatorio gravante sul genitore si conforma in ragione dell’età e della condizione del figlio, deve ritenersi che la persistenza di una condizione di «non autosufficienza economica», stante il conseguimento di titoli funzionali all’esercizio di una professione, possa essere ritenuta in via presuntiva «un indicatore forte di inerzia colpevole». In conclusione, la decisione in commento – sottolineando la rilevanza assunta dal conseguimento di un titolo che abilita all’esercizio di una libera professione e dalla frequentazione di uno studio – può rilevare
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con un filone giurisprudenziale teso ad escludere la persistenza del diritto al mantenimento in capo al figlio che volontariamente si sottrae allo svolgimento di attività lavorative corrispondenti alle qualifiche professionali acquisite ovvero che dimostri disinteresse e negligenza nel terminare un percorso formativo universitario o post universitario44. Un approccio caratterizzato da particolare rigore si riscontra anche nelle decisioni che hanno escluso la riviviscenza del diritto al mantenimento in capo al figlio maggiorenne che, dopo aver conseguito l’indipendenza economica, venga a trovarsi temporaneamente in una condizione di non autosufficienza. Si è osservato, al riguardo, che il figlio «una volta conseguita l’autonomia economica, tramite l’espletamento di attività lavorativa che dimostri la capacità di provvedere al proprio sostentamento è in grado di potersi procacciare nuove opportunità lavorative». In tali circostanze, eventualmente, può sussistere un diritto agli alimenti, che tuttavia si basa sul diverso presupposto dello «stato di bisogno quale incapacità (provvisoria) di provvedere alle esigenze di vita primarie»45. Ciò detto, tuttavia, occorre rilevare che in talune circostanze i giudici di merito non hanno applicato il principio di autoresponsabilità con il medesimo rigore, sottolineando – tra le altre cose – che l’attuale momento storico si contraddistingue per una certa «inerzia nella maturazione dei giovani» verso l’autosufficienza economica46. Fondamentale, pertanto, risulta l’esigenza di individuare adeguati criteri di rigore proporzionalmente crescente in relazione all’età dei beneficiari, in modo da evitare che l’obbligo di mantenimento oltremodo protratto possa dare vita a forme di parassitismo da parte di «ex giovani» ai danni dei loro genitori sempre più anziani. Pur esprimendo un tendenziale apprezzamento nei confronti dell’operato dei giudici, potrebbe risultare utile l’intervento del legislatore. In quest’ottica, tuttavia, non appare condivisibile il dato riscontabile nel Disegno di Legge S/735: il raggiungimento del venticinquesimo anno di età come termine per fare cessare il mantenimento appare poco coerente anche in relazione all’attuale crisi economica ed occupazionale che attraversa il nostro Paese.
quale ulteriore tassello che compone il quadro delle fattispecie nelle quali la valorizzazione del principio dell’autoresponsabilità del figlio maggiorenne giustifica una limitazione dell’obbligo di mantenimento gravante sul genitore. 44 Ex multis, Cass., 1 febbraio 2016, n. 1858, in www.quotidianogiuridico.it, 2016. Dal principio sopra enunciato discende, come logico corollario, che «l’obbligo del genitore separato di concorrere al mantenimento cessa qualora il figlio maggiorenne (nella specie, di 35 anni), benché dotato di un patrimonio personale, sia ancora dedito – a spese del genitore – agli studi universitari presso una sede diversa dal luogo di residenza familiare, senza aver ingiustificatamente conseguito alcun correlato titolo di studio o una possibile occupazione remunerativa» (cfr. Cass. 6 dicembre 2013, n. 27377, in www.ilcaso.it, 2014. Sulla stessa linea si pone altra pronuncia della Cassazione che ha revocato l’originario obbligo di mantenimento previsto a carico del padre nei confronti della figlia trentacinquenne: la mancata indipendenza economica, infatti, è addebitabile alla condotta di vita della ragazza, rectius della donna, che non si è mai mostrata interessata a procacciarsi un lavoro cfr. Cass. 25 settembre 2017, n. 22314, in www.quotidianogiuridico.it, 2017). Viceversa, l’obbligo del genitore separato di concorrere al mantenimento non cessa nel caso del figlio che intende proseguire gli studi non accontentandosi di una laurea triennale e ciò nell’ottica di un più agevole inserimento nel mondo lavorativo (cfr. Cass., 26 aprile 2017, n. 10207, in www.quotidianogiuridico.it, 2017). 45 Cfr. Cass., 14 marzo 2017, n. 6509 in www.quotidianogiuridico.it, 2017. L’obbligo di mantenimento, ovviamente, viene meno se è il figlio ad abbandonare colposamente il lavoro (da ultimo Cass., 19 settembre 2017, n. 21615, in www.quotidianogiuridico.it, 2017). 46 Cfr. Appello Trieste, 3 maggio 2017, in www.altalex.com.
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4. Una riflessione conclusiva. Avviandomi alle conclusioni, non si può fare a meno di ribadire che, per quanto apprezzabile, la decisione delle Sezioni Unite presta il fianco a talune osservazioni critiche. Nonostante il meritorio abbandono del criterio del «tenore di vita matrimoniale», il «nuovo» assegno divorzile continua a portare con sé il sapore antico della sua originaria vocazione a garantire una forma di ultrattività del matrimonio a tempo pressoché indeterminato47. Peraltro, la nuova funzione prevalentemente compensativa dell’assegno divorzile cozza con il variegato articolarsi della vita coniugale: non è dato dubitare che, in talune circostanze, come puntualmente sottolineato da autorevole dottrina, potrà risultare molto complicato stabilire chi e quanto ci abbia guadagnato e chi e quanto ci abbia rimesso. Poco chiaro, inoltre, risulta il computo del tempo necessario per «pareggiare i conti» tra i coniugi48. Il rischio, come già evidenziato, è che l’assegno periodico permanga sine die incidendo (rectius pesando) oltremodo sulle scelte di vita degli individui49. Non è dato revocare in dubbio che la nascita di un nuovo nucleo familiare successivamente alla rottura del pregresso matrimonio determina una sovrapposizione di più famiglie che dipendono economicamente da un unico soggetto50. Inoltre, non si può fare a meno di rilevare che il modello di matrimonio tenuto presente dalle Sezioni Unite appare oggi sbiadito. Esso, infatti, viene raffigurato come un rapporto in cui la distribuzione dei ruoli professionali risulta collegata alla differenza di genere. Tale modello appare in larga parte superato e non al passo con l’evoluzione dei costumi sociali51. Guardando al futuro, risulta auspicabile un intervento del legislatore finalizzato a limitare l’ampia discrezionalità del giudice. Avvertita, in particolare, appare l’esigenza di pa-
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Tale situazione confligge, in modo sempre più marcato, con l’attuale fase evolutiva del diritto di famiglia. La soluzione adotta dalla sentenza «Lamorgese», viceversa, individuando nel parametro dell’indipendenza economica (anche potenziale) del coniuge richiedente il criterio ostativo alla stessa sussistenza dell’an dell’assegno, consentiva di elaborare un concetto di «(non) autosufficienza economica» che molto si avvicinava al presupposto codicistico del diritto agli alimenti, riconosciuto, com’è noto, solo a «chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento». 48 Cfr. M. Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, cit., 989 s. il quale sottolinea argutamente come sia concreto il rischio di fare rientrare dalla finestra il criterio del «tenore di vita matrimoniale». 49 Quanto detto cozza con il principio di autodeterminazione fissato dai «Principi di diritto europeo sulla famiglia e sul divorzio» i quali – come già evidenziato (v. retro § 2) – stabiliscono che dopo il divorzio ciascun coniuge deve provvedere ai propri bisogni. 50 Ben sottolinea tale profilo E. Al Mureden, L’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento dopo la decisione delle Sezioni Unite, cit., 1027. 51 In questa direzione M. Fortino, L’assegno di divorzio come strumento per realizzare, ex post, il principio di eguaglianza tra i coniugi, cit., 1712. Per quanto, ancor oggi, la figura della moglie cui vengono imposti sacrifici e rinunce non sia del tutto sparita, appare una forzatura individuare la natura dell’assegno divorzile nella necessaria compensazione di tali squilibri. Ragionare in questi termini – come puntualmente rilevato dalla richiamata dottrina significa «consacrare l’idea di un matrimonio necessariamente fondato sulla disparità dei coniugi».
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rametrare ad una qualche forma di oggettività l’assegno divorzile52: molto, infatti, rimane affidato alla saggezza e al «senso del giusto» dei giudici di merito53. Da ultimo, innestando così un tassello mancante molto importante nel quadro dell’attuale fase evolutiva del diritto di famiglia, sarebbe auspicabile il superamento dell’orientamento giurisprudenziale che afferma la nullità degli accordi in vista del divorzio. Peraltro, la funzione preminentemente compensativa attribuita dalle Sezioni Unite all’assegno divorzile dà nuova linfa alla tesi per cui i diritti del coniuge più debole dopo il divorzio sono negoziabili ex ante in vista dello scioglimento del vincolo54.
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Utile, al riguardo potrebbe essere il ricorso ad un sistema tabellare incentrato sulla ponderazione dei vari fattori in gioco. Sul punto v. M. Sesta, op. ult. cit., 989. Muovendosi in questa direzione si finirebbe con il conferire un ragionevole margine di prevedibilità alle decisioni. 53 Cfr. S. Patti, Assegno di divorzio: il «passo indietro» delle Sezioni Unite, cit., 481. In quest’ottica, assume peculiare rilievo una recentissima ordinanza della Prima sezione della Corte di Cassazione del 14 febbraio 2019 che – confermando la statuizione assunta nei gradi di giudizio precedenti – afferma il principio secondo cui è applicabile il criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ai fini della determinazione dell’assegno di divorzio in favore dell’ex moglie. La pronuncia ritiene che il tenore di vita goduto durante il matrimonio, unitamente ad altri aspetti quali l’età avanzata, l’assenza di attività lavorativa ed altri redditi, la mancanza di prospettive lavorative, siano tutti criteri e presupposti idonei ad incidere sulla determinazione dell’assegno (cfr. Cass. 14 febbraio 2019, n. 4523, in www.quotidianogiuridico.it, 2019). 54 In argomento vedi le puntuali riflessioni di C. Rimini, Funzione compensativa e disponibilità del diritto all’assegno divorzile. Una proposta per definire i limiti di efficacia dei patti in vista del divorzio, in Fam. e dir., 2018, 1041 ss., ove si sottolinea come nelle motivazioni delle Sezioni Unite si rinvenga un cenno significativo alla possibilità di riconoscere i patti prematrimoniali (v. punto 12 delle motivazioni laddove si sottolinea la «natura prevalentemente disponibile dei diritti in gioco»). In tale direzione v. anche A. Fusaro, La sentenza delle Sezioni Unite sull’assegno di divorzio favorirà i patti prematrimoniali?, in Fam. e dir., 2018, 1031 ss. Da ultimo, si segnala che lo scorso 28 febbraio 2019 il Consiglio dei Ministri ha approvato dieci disegni di legge di delega al Governo per le semplificazioni, i riassetti e le codificazioni di settore. Tra le principali previsioni dei provvedimenti spicca la delega al Governo per la revisione del Codice civile. Tra gli interventi in materia di rapporti tra le parti, compresi nubendi e coniugi, si prevede la possibilità di stipulare accordi per regolare i rapporti personali e patrimoniali, anche in previsione dell’eventuale crisi del rapporto.
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Funzione assistenziale e compensativa dell’assegno di divorzio: la possibilità di una rinnovata valorizzazione delle scelte di autonomia in vista dello scioglimento del matrimonio* Sommario : 1. Alcune delle ombre paventate all’esito del recente arresto delle Sezioni unite. – 2. Le implicazioni dell’arresto in esame in punto di validità degli accordi vòlti a disciplinare i profili patrimoniali del futuro divorzio. – 3. Cenni alle ragioni di invalidità degli accordi predetti, anche in rapporti a fattispecie contigue. – 4. Possibili spiragli ermeneutici per una revisione della posizione tradizionale in materia.
The paper deals with the possible impact of the recent rulings by the Italian Court of Cassation, regarding the divorce maintenance payments, on the validity of the agreements concerning the patrimonial consequences of the divorce.
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Il contributo riproduce, con l’aggiunta di ampliamenti e integrazioni, la relazione svolta al Convegno L’assegno di divorzio: un confronto tra Italia e Germania, organizzato da EFL (European Association for Family and Succession Law) dedicato alla memoria di Maria Giovanna Cubeddu, tenutosi nella Università di Regensburg il 9 e 10 novembre 2018.
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1. Alcune delle ombre paventate all’esito del recente arresto delle Sezioni unite.
L’avvicendarsi dei due recenti e noti arresti in tema di assegno divorzile non ha mancato di suscitare il dubbio che la composizione infine operata dalle Sezioni unite, con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18287, finisca per ampliare fin troppo la sfera di discrezionalità dei giudici di merito. L’arresto delle Sezioni unite, sotto il profilo tecnico-giuridico, realizza infatti una non facile composizione tra l’interpretazione consolidatasi a far data dalla pronuncia a Sezioni unite n. 11490/1990 – ormai percepita come inattuale nel suo riferirsi al criterio della conservazione del tenore di vita – e quella propugnata nella sentenza della prima sezione, del 10 maggio 2017, n. 11504 (c.d. Lamorgese), il cui esito draconiano, nell’ancorare l’an dell’attribuzione al parametro dell’autosufficienza economica, era parso non del tutto soddisfacente. Non sono infatti mancate autorevoli critiche all’indirizzo della soluzione delle Sezioni unite. Si è in particolare rilevato che l’opera di concretizzazione del criterio «composito» elaborato dalla S.C., in cui pare trovare definitivo superamento la distinzione tra criteri attributivi e criteri determinativi, richiederà un delicatissimo sforzo di rilettura e coordinamento, all’insegna dell’equi-ordinazione dei parametri elencati nella prima parte dell’art. 5, comma 6, della l. 898/1970; parametri che, secondo l’interpretazione passata, concorrevano unicamente alla determinazione del quantum dell’assegno e che ora, invece, dovranno essere simultaneamente presi in considerazione quali possibili antecedenti causali al fine di riempire di contenuto la locuzione «non ha mezzi adeguati». Il tutto nella prospettiva ora esplicitata della funzione assistenziale e perequativa attribuita all’istituto e della realizzazione di una solidarietà post-coniugale compatibile con i precetti costituzionali. Il timore non è tanto quello che sia inaugurata una stagione in cui il divorzio divenga occasione di riconsiderazione del fondamento di scelte di vita liberamente adottate al momento del matrimonio. Una volta compiuto il guado e abbandonata la prospettiva trentennale del tenore di vita, l’esito sopra descritto è per certi versi la necessaria valorizzazione, in chiave solidaristica, della pluralità dei modelli di realizzazione della vita familiare. Essa impone, quando la comunione di vita venga meno, di far fronte agli squilibri patrimoniali trovanti antecedente eziologico nella ripartizione dei ruoli endofamiliari, consistenti nella compromissione delle effettive potenzialità professionali e reddituali di uno dei coniugi, per determinazione comune. Pare accettabile – quantunque espressione di un indirizzo di politica del diritto che dovrebbero trovare nell’opera del legislatore e non della S.C. la sede più opportuna – attribuire all’assegno divorzile il compito di far fronte, senza che ciò rappresenti una propaggine del rapporto ormai conclusosi, a scelte che la solidarietà coniugale perequava e che, con lo scioglimento del matrimonio, si traducano in un sopravvenuto squilibrio. Di contro, meno accettabile è il rischio, obiettivamente presente, di affidare detta soluzione a un’opera quanto mai complessa e incerta di verifica ex post delle ragioni di quegli
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equilibri coniugali allora fissati, della oggettiva esistenza di chances venute meno a cagione di quelle scelte condivise, dell’affermazione della meritevolezza di una loro compensazione sempre e comunque: valutazioni in cui l’impressione è che trovino spazio odiosi automatismi e incontrollate presunzioni, in grado di ampliare a dismisura la discrezionalità del giudicante.
2. Le implicazioni dell’arresto in esame in punto di validità degli accordi vòlti a disciplinare i profili patrimoniali del futuro divorzio.
In questa prospettiva, mi pare che possa essere di qualche interesse chiedersi se la soluzione propugnata dalle Sezioni unite sia in grado o meno di riverberarsi anche sulla nota questione della validità, nel nostro ordinamento, degli accordi patrimoniali in vista del divorzio. L’interrogativo è, in buona sostanza, se l’irruzione di una prospettiva perequativa nel giudizio concernente l’an dell’assegno divorzile, apra o riduca gli spazi per una preventiva negoziazione di quell’eventuale esito, quasi alla stregua di una (non desiderata, ma possibile) sopravvenienza, tenendo conto della quale le parti ritengano opportuno misurare il peso e la radicalità delle proprie scelte (per esempio la rinuncia a una carriera professionale), attribuendo ad esse, ora per allora, un valore economico. In altri termini: se il nuovo ruolo dell’assegno divorzile è quello di far fronte non soltanto (secondo la tradizionale funzione assistenziale) al “costo” dello scioglimento del matrimonio, quale evento in grado di rappresentare il termine iniziale di una nuova condizione patrimoniale deteriore per il coniuge “debole” , rispetto alla quale viene per così dire “conservata” una propaggine della solidarietà coniugale, ma allo stesso modo di porre rimedio al “costo” delle rinunce e delle decisioni penalizzanti connesse alla scelta di contrarre il matrimonio (rispetto alle quali lo scioglimento del matrimonio fa venir meno il fondamento, quasi alla stregua di una presupposizione), sarebbe forse opportuno riconoscere all’autonomia privata spazi di intervento preventivo, che riducano quel rischio di arbitrio giudiziale cui si faceva cenno. È chiaro che, in quest’ottica – mi si passi il paragone azzardato – lo scioglimento del matrimonio si colora di tinte contrattuali, non diversamente dalla negoziazione preventiva dell’exit e dell’opt out, facendo riemergere antichi e non sopiti dibattiti intorno alla negoziazione degli status e al paternalismo legislativo che, nel nostro ordinamento, si manifesta a più riprese e in più contesti allorquando si disponga per l’avvenire o si quantifichi in maniera vincolante un sacrificio futuro.
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3. Cenni alle ragioni di invalidità degli accordi predetti, anche in rapporti a fattispecie contigue.
È fin troppo noto che la nullità dei patti prematrimoniali in vista del divorzio, anche se riferita alla sola componente compensativo-risarcitoria dell’assegno, è stata, a far data dagli anni ’80, giustificata dal timore che con detti patti si garantisse un vero e proprio marriage buy out. L’indisponibilità dello status ha quindi rappresentato l’argomento principe per invocare l’illiceità della causa ovvero l’impossibilità giuridica dell’oggetto degli accordi in questione. Non diversamente da quanto accaduto con riferimento al divieto dei patti successori e all’individuazione – avallata dalla giurisprudenza – di una sfera di liceità delle pattuizioni, giusta l’art. 458 c.c., per il tramite della valorizzazione del meccanismo condizionale quale “vestito giuridico” dell’evento morte (paradigmatica la vicenda teorica della donazione con condizione di premorienza), e dell’elaborazione della categoria degli atti trans mortem, anche con riferimento agli accordi di contenuto patrimoniale nel contesto dello scioglimento del matrimonio si è operata una distinzione tra casi in cui il divorzio sarebbe mera condizione e casi in cui esso sarebbe causa genetica del patto. Si è così “purgato” il disvalore connesso alla negoziazione della successione o del divorzio, riducendo l’evento della morte e dello scioglimento del matrimonio a mero elemento accidentale, capace di incidere sugli effetti ma non di esprimere la funzione intrinseca dell’atto. In ciò si è creduto di poter restituire all’autonomia privata uno spazio di intervento compatibile con il rigore dei divieti, nei quali trovano espressione esigenze insopprimibili di assicurare a pieno l’esercizio di scelte di vita non comprimibili quali sono l’orientare, con testamento, la propria successione e la decisione di por termine al rapporto matrimoniale. Rispetto a questo quadro e a questo spiraglio di negozialità ritrovata, a far data dagli anni ’90 due tendenze parallele hanno condotto a prospettare soluzioni più rigide su entrambi i fronti (per vero, nel caso del divieto di patti successori istitutivi, con più modesta penetrazione nelle soluzioni giudiziali). Sul fronte dell’art. 458 c.c. è nota la proposta dottrinale, seguita da alcuni arresti della S.C., di attrarre alla nullità anche atti nei quali la premorienza del disponente fosse contemplata quale “condizione”, valorizzando la considerazione per cui la condizione, accessoria in astratto, diviene in concreto determinante, di modo che la funzione concreta di sistemazione successoria non sarebbe “occultabile” semplicemente argomentando che il prodursi degli effetti preliminari della fattispecie ne segnerebbe la distanza rispetto agli atti mortis causa. Sul versante, invece, degli accordi patrimoniali in vista del divorzio, l’affermazione nel noto arresto delle Sezioni unite 11490/1990 della funzione assistenziale connessa all’assegno divorzile ha irrigidito il giudizio sull’illiceità della causa dei patti anche solo finalizzati a predeterminare la componente risarcitoria-compensativa. E che lo stesso legislatore sia tutt’ora propenso a mantenere una ferma rigidità nel sottrarre spazi all’autonomia privata allorquando le parti aspirino a fissare ora per allora, in maniera vincolante, il venir meno
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di rapporti nei quali la sfera patrimoniale e quella affettiva si compenetrano, lo dimostra una disposizione di indubbia e per vero poco giustificabile connotazione paternalistica (tanto più in ragione della sua collocazione) quale è l’art. 1, comma 56 della l. 20 maggio 2016, n. 76, ove si dispone che il contratto di convivenza – accordo vòlto a disciplinare unicamente la sfera patrimoniale dei conviventi di fatto – «non può essere sottoposto a termine o condizione» che, se stipulati, si hanno per non apposti. Peraltro, la previsione, nell’art. 1, comma 59, lett. b), del recesso unilaterale quale causa di risoluzione, potrebbe teoricamente lasciare spazio per l’apposizione di clausole volte a determinare il prezzo dell’esercizio dello ius poenitendi: invero ipotesi irrealistica in quanto una clausola di tal fatta difficilmente supererebbe il necessario vaglio di conformità di cui al comma 51, rimesso al notaio o all’avvocato cui sia demandata l’autenticazione delle sottoscrizioni.
4. Possibili spiragli ermeneutici per una revisione della posizione tradizionale in materia.
Orbene, all’esito della pronuncia delle Sezioni unite del 2018, i nodi da sciogliere e le questioni sulle quali occorrerà interrogarsi, con riferimento alla validità degli accordi vòlti a regolare pro futuro le conseguenze patrimoniali di un eventuale divorzio, sono nuovamente quelli della disponibilità delle posizioni giuridiche di cui sono titolari le parti, a fronte di una esplicita presa di posizione della sentenza per la «natura prevalentemente disponibile dei diritti in gioco» e a fronte di un indubbio ridimensionamento della funzione assistenziale. Se ad essere chiamata in causa non è più soltanto l’attualità dello squilibrio, ma sono soprattutto le scelte concernenti la sistemazione patrimoniale, in precedenza liberamente compiute, allora l’impressione che se ne trae è che non sia più attuale sancire l’invalidità di ogni pattuizione, finanche migliorativa rispetto all’individuazione di un livello “minimo” assistenziale. Il tradizionale disfavore per pattuizioni di tal genere potrebbe, se superato, costituire l’occasione per offrire a coloro che si vincolano in matrimonio una concreta chance, ora per allora, per ridurre il margine delle incertezze valutative nel momento di una compensazione, eventualmente anche per il tramite di una ricognizione puntuale delle scelte concordate e della chances rinunciate che finirebbe per dare più compiuta attuazione all’attuale conformazione della solidarietà post-coniugale, emendandola da inopportuni automatismi che, in sede di accertamento giudiziale, potrebbero stravolgerne il senso, compromettendo anche la reale portata innovativa dell’arresto da cui si sono prese le mosse.
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Giurisprudenza Trib. Brescia, sez. II, 1° marzo 2018, n. 635; Ambrosoli Giudice Legato di cosa parzialmente altrui – Usufrutto – Comunione indivisa – Quota – Rilevanza della volontà testamentaria – Princìpi d’interpretazione del testamento – Donazione di cosa parzialmente altrui Il legato di usufrutto su cosa parzialmente altrui, avente a oggetto non il bene unico in comproprietà, ma una cosa determinata facente parte di una più ampia comunione indivisa, è da ritenersi nullo, poiché, nel momento di stesura del testamento, non essendosi ancora portata ad esito l’attività divisionale, il bene non può considerarsi appartenente al patrimonio del testatore.
(Omissis)
In particolare il convenuto ha rilevato che il testamento olografo ha disposto in favore di F.M.
Fatto. Con atto di citazione notificato il 19-22
legato di usufrutto de “l’appartamento in via G.
febbraio 2010 la signora F.M. ha convenuto avanti
n. 8 in P. in cui vivo tuttora”, e dunque del solo
il Tribunale, sezione distaccata di Breno, il signor
appartamento contraddistinto dal mappale (...)
C.G. e – premesso che in forza di testamento olo-
subalterno (...) (e al solo subalterno (...) fanno
grafo pubblicato da notaio il (...) (rep. (...)/racc.
riferimento la pubblicazione del testamento e la
(...) notaio S. di G.V.) il signor C.P., deceduto l’11
trascrizione del legato immobiliare a cui l’attri-
febbraio 2007, aveva disposto in suo favore lega-
ce ha proceduto a proprio favore: v. nota di tra-
to di usufrutto di unità immobiliare “sita al piano secondo rialzato di fabbricato in Comune di P., frazione P., in via G. n. 8, NCEU foglio (...), mappale (...), subalterni (...) e (...) ... col pieno godimento di tutti i mobili e di quanto in esso contenuto” e che ciò nonostante C.G., figlio ed erede del de cuius, aveva rifiutato l’immissione della legataria nel possesso dell’unità immobiliare – chiedeva condannarsi il convenuto al rilascio dell’immobile sopra indicato e al risarcimento del danno per mancato godimento dalla data di pubblicazione del testamento.
scrizione n. 94 del 31 ottobre 2010, n. 9790 reg. gen./7149 reg. part. Agenzia del Territorio, sezione di Breno, doc. 2); che l’unità fa parte di fabbricato composto da due appartamenti, distinti con i subalterni nn. (...) e (...); che C.P. era proprietario di quota indivisa di 2/6 del fabbricato, per la restante quota di 4/6 intestato al cognato G.M.; che C.P. abitava l’appartamento contraddistinto dal subalterno (...), oggetto di legato, e G.M. quello individuato dal subalterno (...); che G.M. è morto pochi mesi dopo C.P., il 9 giugno 2007, e ha con testamento attribuito la propria quota di proprietà indivisa del fabbricato per 3/6 a M.V. in D. e
Costituitosi con comparsa depositata il 25
per 1/6 a C.G., già erede della quota di 2/6 del
maggio 2010, C.G. ha chiesto il rigetto della do-
padre; che il testatore C.P. ha perciò disposto di
manda di controparte e introdotto domanda ri-
un immobile di cui non era proprietario che per
convenzionale volta alla dichiarazione di nullità
quota indivisa; che il legato di usufrutto perciò
del legato o in subordine alla risoluzione del me-
è nullo o, ove se ne reputi la validità per la sola
desimo per inadempimento di onere apposto a
quota di 2/6 che apparteneva al testatore, produ-
carico del legatario, e comunque alla cancellazio-
ce meri effetti obbligatori, e ciò fino a quando, in
ne della trascrizione dell’acquisto mortis causa
sede eventuale di divisione della comproprietà,
eseguita dall’attrice.
a C.G. dovesse essere assegnata in via esclusiva
91
Giurisprudenza
l’unità immobiliare in discussione; che, inoltre,
reale di usufrutto dell’unità immobiliare costituita
la domanda di rilascio è comunque infondata a
dall’appartamento in uso al de cuius, ossia – se-
norma dell’art. 1002 c.c., in quanto F.M. non ha
condo comune prospettazione delle parti in or-
adempiuto agli obblighi di esecuzione di inventa-
dine alla struttura del fabbricato sito in via G. n.
rio previo avviso al proprietario e di prestazione
8 a P. di P., costituito da due appartamenti posti
di garanzia;
l’uno al primo piano e l’altro al secondo, e all’u-
che, infine, la disposizione testamentaria con-
so in via esclusiva di quello al piano inferiore da
tiene onere apposto al legato (“raccomando alla
parte di G.M. e di quello al piano superiore da
cara Rita di prestare le sue caritatevoli e affettuo-
parte di C.P. – quello identificato al subalterno
se attenzioni nei confronti del mio caro cognato
(...) del mappale (...) del foglio (...), e non anche
M.G.”) e che l’onere non è stato adempiuto.
l’appartamento al primo piano identificato al su-
Autorizzato il deposito di memorie ex art.
balterno (...).
183 co. 6 c.p.c., parte attrice specificava come
Ciò, del resto, in conformità con il contenu-
in epigrafe la domanda nel merito (aggiungendo
to dell’atto notarile di pubblicazione e deposito
l’inciso: “comunque l’unità immobiliare abitata
del testamento olografo, nel quale “la parte ossia
dal de cuius”) e produceva copia del ricorso per
F.M. dichiara che l’immobile contemplato nel te-
inventario depositata ex art. 769 c.p.c. il 17 di-
stamento in Comune di P., via G. n. 8, al piano
cembre 2010 e il decreto del giudice (doc. 16) e,
secondo rialzato, risulta catastalmente così indi-
esperito senza esito tentativo di conciliazione, la
viduato: Catasto fabbricati – sezione PIA – Foglio
causa, sulle richieste istruttorie dell’una e dell’al-
(...) – mappale (...) subalterno (...) ...” (doc. 1
tra parte, veniva rinviata per precisazione delle
citato) e con la nota di trascrizione presentata
conclusioni e, trasferita presso la sede centrale
dalla stessa F.M. il 31 ottobre 2007 nella quale,
e riassegnata per soppressione della sezione di-
ugualmente, il diritto di usufrutto viene trascritto
staccata di Breno, trattenuta infine in decisione
unicamente sul subalterno n. (...) (doc. 2 attrice).
con termini per il deposito di comparse conclu-
La domanda di rilascio, seppure formulata
sionali e memorie di replica.
(anche nella memoria 183 co. 6 n. 1 c.p.c. e in
Diritto. È certa l’esistenza e non contesta l’au-
sede di precisazione delle conclusioni) con rife-
tenticità della disposizione testamentaria olografa
rimento ad entrambi i subalterni nn. (...) e (...),
a firma C.P., pubblicata con atto (...) n. (...) rep/
deve dunque con certezza essere limitata al solo
(...) racc. Notaio S. di G.V., del seguente letterale
appartamento del secondo piano identificato dal
tenore: “A complemento delle mie ultime volon-
subalterno (...).
tà, io sottoscritto C.P., nel pieno possesso di tutte
Gli stessi atti di pubblicazione di testamen-
le mie facoltà, oggi ventotto novembre duemila-
to olografo e di trascrizione di usufrutto sopra
quattro dispongo che l’appartamento di via G. 8
richiamati attestano inoltre che il de cuius, così
in P. in cui vivo tuttora, sia dato in usufrutto alla
come dedotto da parte convenuta, non era tito-
signora M.F. nata a B. il (...), col pieno godimento
lare del diritto di proprietà esclusiva dell’appar-
di tutti i mobili ivi esistenti e di quanto in essi
tamento da lui abitato, ma di quota di proprietà
contenuto. Raccomando alla cara Rita di prestare
indivisa di 1/3 dell’intero fabbricato (e dunque
le sue caritatevoli e affettuose attenzioni nei con-
dei due appartamenti) che per la restante quota
fronti del mio caro cognato M.G.” (doc. 1 attrice).
dei 2/3 era di proprietà di G.M.: la ripartizione
La disposizione testamentaria consiste eviden-
d’uso che in fatto era stata d’accordo praticata
temente in un legato avente ad oggetto il diritto
fra i due comproprietari (e cognati) non è mai
92
Marco Ramuschi
stata consacrata in atto di divisione per la reci-
averne titolo, in quanto proprietario di quota in-
proca attribuzione di proprietà esclusiva dell’uno
divisa di 1/3 del bene.
e dell’altro appartamento, né alcuno ha proposto
A norma dell’art. 652 c.c., “se al testatore ap-
domanda di accertamento di usucapione della
partiene una parte della cosa legata o un diritto
proprietà esclusiva in favore del dante causa di
sulla medesima, il legato è valido solo relativa-
F.M. (quale legataria di usufrutto) e di C.G. (erede
mente a questa parte o a questo diritto, salvo che
della proprietà indivisa).
risulti la volontà del testatore di legare la cosa per
La cointestazione per quote indivise del fab-
intero, in conformità con l’articolo precedente”. E
bricato e delle due unità abitative che lo com-
l’art. 651 c.c. così richiamato prevede che il lega-
pongono, giova aggiungere, persiste tuttora: par-
to di cosa altrui (dell’onerato o di terzo) “è nullo,
te convenuta ha prodotto, con la visura catastale
salvo che dal testamento o da altra dichiarazio-
all’1 marzo 2007 attestante la comproprietà del
ne scritta dal testatore risulti che questi sapeva
fabbricato per quote di 2/6 e 4/6 in capo a C.P. e a G.M., l’atto notarile 20 giugno 2007 di pubblicazione del testamento olografo di G.M., deceduto il 9 giugno 2007, con il quale la quota di 4/6 di proprietà dell’intero immobile di via G. n. 8 viene attribuita, per 3/6, a tale M.V. in D., e per 1/6 a C.G., già erede della quota di 2/6 lasciata dal proprio padre C.P. Fabbricato e singole unità abitative, dunque, appartengono oggi per quote indivise di 1/2 ciascuno a M.V. e C.G. Evidentemente infondata la tesi di parte attrice secondo cui la quota indivisa di proprietà di 1/3 dell’intero fabbricato facente capo al de cuius si individuerebbe in fatto (in assenza di atto scritto di divisione o di accertamento e dichiarazione di usucapione) nella proprietà della quota separata costituita dall’appartamento in uso esclusivo
che la cosa legata apparteneva all’onerato o al terzo. In quest’ultimo caso l’onerato è obbligato ad acquistare la proprietà della cosa dal terzo e a trasferirla al legatario, ma è in sua facoltà di pagarne al legatario il suo giusto prezzo” (certamente non ricorre nel caso in esame l’ulteriore ipotesi di validità del legato di cosa altrui prevista dal comma 2 per il caso che il bene, di altri all’epoca del testamento, appartenga al testatore all’apertura della successione; ciò che nel caso in esame certamente non è stato). Nel caso in esame non vi è dubbio che l’intento di C.P. fosse quello di attribuire a F.M. il diritto di godimento esclusivo dell’appartamento al secondo piano, e non della mera quota indivisa di esso in concorso con i comproprietari dell’intero edificio: lo si evince dalla specificazione del “pieno godimento di tutti i mobili ivi esistenti e
e da ciò discenderebbe legittimazione di C.P. a
di quanto in esso contenuto” e dallo stesso onere
disporre la costituzione dell’usufrutto in favore
contestualmente previsto di assistenza al cognato
di F.M. sull’appartamento medesimo, l’eccezione
G.M. abitante al primo piano, che logicamente
di nullità della disposizione di legato di usufrutto
avrebbe potuto essere adeguatamente assolto
dell’intero per essere il testatore proprietario di
(secondo quanto deduce lo stesso convenuto in
mera quota indivisa di 1/3 dell’unità immobilia-
memoria 183 co. 6 n. 2 c.p.c. G.M., deceduto po-
re va esaminata avendo riguardo alle previsio-
chi mesi dopo C.P., viveva solo ed era malato)
ni dell’art. 652 c.c. sul legato di cosa solo in parte
con il trasferimento a Piamborno della legataria
del testatore e dell’art. 651 c.c. sul legato di cosa
(residente a D.B.T.).
dell’onerato o di un terzo.
E peraltro, ove pure si ammetta validità ed
Il de cuius C.P. ha attribuito l’usufrutto esclu-
efficacia della costituzione di usufrutto sulla quo-
sivo sull’appartamento del secondo piano senza
ta di 1/3 della proprietà e limitatamente ad uno
93
Giurisprudenza
degli appartamenti facenti parte della comunione
Resta da considerare che, se l’inefficacia del
(sul che v. infra), l’estensione degli effetti del le-
legato per la parte della cosa non di spettanza
gato all’intero appartamento, comunque limitata
del testatore o per la cosa sulla quale il diritto
all’effetto obbligatorio a carico dell’onerato (te-
del testatore è costituito non osta all’immediata
nuto ad acquistare la proprietà o il diritto di usu-
efficacia reale per la parte di cosa o per il diritto
frutto per la residua quota dal terzo e a ritrasfe-
spettante al testatore, come disciplinata dall’art.
rirlo al legatario – ossia nel caso in esame, tenuto
652 c.c., il principio secondo cui è tuttavia radi-
conto della sopravvenuta destinazione del patri-
calmente nullo il legato di cosa parzialmente al-
monio relitto da G.M., a procedere alla divisione
trui quando abbia per oggetto non il bene unico
del fabbricato comunque facendosi assegnare la
in comproprietà ma (come nel caso in esame)
proprietà esclusiva dell’appartamento al secon-
una cosa determinata facente parte di una più
do piano e costituendo usufrutto a favore di F.M.
ampia comunione indivisa, affermato da Cass.,
per la quota di 2/3 in aggiunta alla quota legata da C.P. – oppure a corrispondergliene il giusto prezzo) e con esclusione dunque di immediato diritto al rilascio, è comunque espressamente subordinata ex art. 651 c.c. alla condizione che “dal testamento o da altra dichiarazione scritta del testatore risulti che questi sapeva che la cosa legata”, nel caso in discussione per la quota di 2/3, “apparteneva all’onerato o al terzo”. Nulla, tuttavia, si evince dal testamento (né da altre scritture provenienti dal testatore, anteriori o coeve) che consenta di affermare che il testatore, nel tempo in cui dispose, era consapevole della parziale alienità del bene. Sufficiente tale notazione (gravando logicamente sull’attrice l’onere di dare prova scritta della consapevolezza di alienità), si aggiunge che non pare affatto improbabile che, in sintonia del resto con quanto
Sez. II, 17 aprile 2002, n. 5485 con motivazione invero non perspicua (non risulta chiaro perché un bene determinato facente parte di una comunione non sia pur sempre da considerarsi esso stesso in comunione e pro quota di spettanza del testatore), appare peraltro trovare conferma nella pronuncia ad altro riguardo resa dalle Sezioni Unite, secondo cui la donazione, valida se ha per oggetto la quota di partecipazione ad una comunione, è nulla per difetto di causa laddove riguardi invece la quota di un singolo bene compreso nella massa ancora indivisa, in quanto fino a divisione il bene non può considerarsi entrato a far parte del patrimonio del disponente (Sez. Un., 15 marzo 2016, n. 5068: “La donazione di cosa altrui o parzialmente altrui, sebbene non espressamente vietata, è nulla per difetto di cau-
argomenta l’attrice laddove assume che la quo-
sa, sicché la donazione del coerede avente ad
ta di comproprietà del de cuius sul fabbricato si
oggetto la quota di un bene indiviso compreso
sia consolidata in fatto nella proprietà esclusiva
nella massa ereditaria è nulla, atteso che, prima
dell’appartamento del secondo piano (e quella di
della divisione, quello specifico bene non fa par-
G.M. nella proprietà esclusiva del primo piano),
te del patrimonio del coerede donante; tuttavia,
lo stesso C.P. abbia disposto mortis causa dell’ap-
qualora nell’atto di donazione sia affermato che il
partamento da lui abitato reputandosene proprie-
donante è consapevole dell’altruità della cosa, la
tario esclusivo proprio in virtù del godimento se-
donazione vale come donazione obbligatoria di
parato delle due porzioni da tempo immemore
dare”). Con ciò affermandosi principio che, riferi-
praticato d’intesa con il comproprietario G., pur
to al legato di cosa parzialmente altrui, conduce
mai formalizzato con atto di divisione né con do-
per la disposizione mortis causa avente ad ogget-
mande di accertamento di usucapione reciproca.
to bene determinato facente parte di più ampia
94
Marco Ramuschi
comunione indivisa, alla medesima conclusione
gente all’epoca di instaurazione della causa (e
della sentenza 5485/2002 sopra menzionata.
dunque secondo la regola ex L. n. 69 del 2009,
Il legato di C.P. in favore di F.M. è da consi-
non più in vigore a seguito del D.L. n. 132 del
derarsi dunque nullo e privo in effetti sia con
2014), la peculiarità della vicenda (essendo co-
riguardo alla quota di 1/3 (dell’intero fabbricato)
munque evidenti la volontà del testatore e la si-
di cui il de cuius era titolare sia ai più limitati effetti ex art. 651 c.c. Ciò esime dall’approfondire le ulteriori questioni dedotte circa l’ammissibilità di domanda di condanna al rilascio (che presuppone immediato
tuazione di fatto difforme dai titoli di proprietà che ha determinato la nullità della disposizione) e della questione di diritto trattata (con particolare riguardo alla nullità del legato di quota
effetto reale e diritto di godimento esclusivo, e
di bene determinato appartenente a più ampia
che andava se del caso esercitata nei confronti
comunione, sulla quale consta unico precedente
di tutti i comproprietari) in assenza di inventa-
del 2002 assai laconico nella motivazione di prin-
rio ex art. 1002 c.c. (pacificamente il ricorso per
cipio che solo la pronuncia delle Sezioni Unite n.
inventario è stato proposto in corso di causa, e
5068/2016 ha, decidendo su altro tema, consoli-
l’art. 1002 co. 4 c.p.c. esclude conseguimento del
dato), si ravvisano gravi ragioni per la compensa-
possesso sino ad adempimento degli obblighi di
zione delle spese di lite.
inventario e garanzia) e l’apposizione di onere al
P.Q.M.
legatario e il relativo adempimento.
Il Tribunale, ogni diversa istanza ed eccezione
Va accolta la domanda riconvenzionale volta alla dichiarazione di nullità del legato. Non deve ordinarsi cancellazione della trascrizione dell’acquisto mortis causa, non ricorrendo ipotesi prevista dall’art. 2668 c.c., bensì pronuncia da
disattesa, definitivamente pronunciando, 1) Rigetta le domande di parte attrice; 2) dichiara nullità del legato di usufrutto in favore di F.M. disposto con testamento olografo di
annotarsi in margine alla trascrizione dell’atto a
C.P. pubblicato con atto (...) n. (...) rep/(...) racc.
norma dell’art. 2655 c.c. e a cura dell’interessato,
Notaio S. di G.V.T.;
superfluo l’ordine del giudice. Avuto riguardo alla disciplina ex artt. 91 e 92 c.p.c. da applicarsi secondo la formulazione vi-
3) compensa per intero fra le parti le spese di lite. (Omissis)
95
Giurisprudenza
Legato di usufrutto su cosa parzialmente altrui, comunione indivisa e rilevanza della volontà testamentaria* Sommario : 1. Il caso. – 2. La rilevanza della volontà testamentaria. – 3. Legato di usufrutto su cosa parzialmente altrui e comunione indivisa: alcune notazioni.
The Court, by it’s judgment, declares that the bequest of usufruct, on a partially other’s thing, is void, if this thing belong to a wide, undivided, joint tenancy. As it will be shown, the Court’s statement can’t be corroborate, especially thanks to the reasoning behind the articles 652 and 651, clause 1, civil Code, the joint tenancy’s legal nature and the right of the interest proprietary in question. It’s claimed that the bequest is void, due to the principles of the will interpretation, and therefore for the testator’s will, together with the mentioned articles 652 and 651, clause 1, civil Code.
1. Il caso. Tizio, con testamento olografo1, intese costituire2, in favore della signora Caia, il diritto di usufrutto3 su un’unita immobiliare (in punto di fatto a lui in uso) facente parte di un più
* 1
2
3
Il contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima. Quanto affiora dalla scheda testamentaria, in merito al legato de quo, è stato puntualmente riportato nella pronunzia del Tribunale: «A complemento delle mie ultime volontà, io sottoscritto […], nel pieno possesso di tutte le mie facoltà, oggi ventotto novembre duemilaquattro, dispongo che l’appartamento […] in cui vivo tuttora, sia dato in usufrutto alla signora [...], col pieno godimento di tutti i mobili ivi esistenti e di quanto in essi contenuto […]». Ci si trova, dunque, dinanzi ad una costituzione di usufrutto a titolo volontario (giusta l’art. 978 c.c.). V., almeno, G. Palermo, L’usufrutto, in AA.VV., Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, vol. 8, La proprietà, t. II, Torino, II ed., 2002, 114 s. È sin ovvio rilevare che, Tizio, non era già titolare del diritto di usufrutto, atteso che il bene oggetto di usufrutto è un bene rispetto al quale, seppur nella misura di 1/3, egli era proprietario (non è ammesso, difatti, un diritto di usufrutto in favore dello stesso proprietario del bene sul quale tale diritto grava. Cfr. anche G. Bonilini, L’oggetto del diritto di usufrutto, in AA.VV., Usufrutto, uso, abitazione, t. I, a cura di G. Bonilini, in Nuova giur. dir. civ. e commerciale, fondata da W. Bigiavi, diretta da G. Alpa - G. Bonilini - U. Breccia - O. Cagnasso - F. Carinci - M. Confortini - G. Cottino - A. Iannarelli - M. Sesta, Torino, 2010, 186). Non si tratta nemmeno, nella fattispecie, del trasferimento di un diritto di usufrutto già costituito (in siffatto caso, si badi bene, il diritto di usufrutto potrebbe essere trasferito solamente allorquando il testatore lo abbia acquistato inter vivos, ex art. 980 c.c., da un soggetto diverso da lui, soggetto in favore del quale l’usufrutto è stato costituto originariamente. Cfr. altresì: G.F. Basini, L’oggetto del legato, e alcune sue specie, in G. Bonilini - G.F. Basini, I legati, in Tratt. dir. civ. del Consiglio naz. del Notariato, diretto da P. Perlingieri, vol. VIII, 6, Napoli, s. d., ma 2003, 124; G. Bonilini, Dei legati. Artt. 649-673, in Cod. Civ. Comm., fondato e già diretto
96
Marco Ramuschi
ampio fabbricato, rispetto al quale lo stesso Tizio era comproprietario, pro indiviso, per la quota di 1/34. La rimanente quota dei 2/3 era di proprietà di Sempronio5. Giova sùbito rilevare come la ripartizione d’uso6 che era stata effettuata, “in fatto”, fra Tizio e Sempronio, non venne mai formalizzata in un atto di divisione, né, come rileva il Tribunale, venne mai proposta domanda di accertamento di usucapione, da parte di Tizio, della proprietà esclusiva dell’unità abitativa oggetto di usufrutto. La signora Caia, legataria del diritto reale di usufrutto7 dell’unità immobiliare predetta, convenne in giudizio il signor Mevio, figlio ed unico erede di Tizio, poiché costui si rifiutò
4
5
6
7
da P. Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2006, II ed., 131 s.; R. Caterina, Usufrutto, uso, abitazione, superficie, in Tratt. dir. civ., diretto da R. Sacco, vol. III, I diritti reali, Torino, 2009, 96; G. Bonilini, Il legato di diritti reali limitati. Il legato del diritto di usufrutto, in AA.VV., Le disposizioni testamentarie, diretto da G. Bonilini e coordinato da V. Barba, Torino, 2012, 659; G. Capozzi, Successioni e donazioni, a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, t. II, Milano, 2015, IV ed., 1201; C. Romano, I legati, in AA.VV., Diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, Napoli, 2015, II ed., 1170. Adde: C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. II, Milano, 1948, 211; F.S. Azzariti - G. Martinez - G. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1963, IV ed., 453; G. Criscuoli, La costituzione per testamento dei diritti reali limitati, in Giust. civ., 1964, IV, 251; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice civile, Padova, 1982, 479; E. Perego, I legati, in AA.VV., Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, 6, Successioni, t. II, Torino, 1997, II ed., 237). Nello caso concreto, dunque, il diritto di usufrutto verrebbe a costituirsi ex novo per il tramite del negozio testamentario. Sul punto, si compulsino: C. Gangi, I legati nel diritto civile italiano, vol. I, Padova, 1933, II ed., 133 (al riguardo, si potrebbe obbiettare che tale manuale venne scritto sotto l’egida del Codice civile del 1865: ciò, patentemente, è vero, tuttavia non dev’essere mancato di osservare come la rilevanza dei princìpi in esso contenuti consenta, per certi versi, di ritenerlo, finanche oggidì, attuale); F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. III, parte seconda, Diritto delle successioni per causa di morte. Principî di diritto privato internazionale, Milano, 1951, VIII ed., 337 e 355; G. Pugliese, Usufrutto. Uso - abitazione, in Tratt. dir. civ. it., diretto da F. Vassalli, vol. IV, t. V, Torino, 1954, 127, 129 e 186 ss.; F.S. Azzariti - G. Martinez - G. Azzariti, op. cit., 453; A. Trabucchi, voce Legato (Diritto civile), in Noviss. Dig. it., IX, Torino, 1963, 614; G. Criscuoli, La costituzione per testamento dei diritti reali limitati, cit., 258; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice civile, cit., 478 e 479; M. Ieva, Manuale di tecnica testamentaria, Padova, 1996, 56; A. Palazzo, Le successioni, t. II, Successione testamentaria. Comunione – Divisone, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2000, II ed., 652; G.F. Basini, op. cit., 123 ss.; G. Bonilini, Dei legati, cit., 131; R. Caterina, op. cit., 53; G. Bonilini, Il legato di diritti reali limitati. Il legato del diritto di usufrutto, cit., 653 ss., spec. 655-659 s.; Id., La costituzione mortis causa, in AA.VV., Usufrutto, uso, abitazione, t. I, a cura di G. Bonilini, in Nuova giur. dir. civ. e commerciale, fondata da W. Bigiavi, diretta da G. Alpa - G. Bonilini - U. Breccia - O. Cagnasso - F. Carinci - M. Confortini - G. Cottino - A. Iannarelli - M. Sesta, Torino, 2010, 718 ss., spec. 722 ss.; G. Capozzi, op. cit., t. II, 1199 e 1201; F. Galgano, Trattato di diritto civile, vol. I, Le categorie generali, Le persone, La proprietà, La famiglia, Le successioni, La tutela dei diritti, a cura di N. Zorzi Galgano, Padova, 2015, III ed., 528; C. Romano, op. cit., 1169 s. Seppur asciuttamente, giova asserire come questa disposizione mortis causa, riguardando un bene determinato, integri senza meno un legato, giusta l’art. 588, co. 1, secondo periodo, c.c. Sul punto, si leggano, per tutti: F. Messineo, op. cit., 355; A. Trabucchi, voce Legato (Diritto civile), cit., 614; G. Pugliese, op. cit., 186 ss., spec. 191. V. anche, seppur in termini più generali, A. Giordano - Mondello, voce Legato (dir. civ.), in Enc. dir., XXIII, Milano, 1973, 729; G. Bonilini, La costituzione mortis causa, cit., 724; C. Romano, op. cit., 1172. In giurisprudenza v., fra le altre, Cass., 26 gennaio 2010, n. 1557, in Banca dati DeJure. Giova sùbito mettere in luce che, nel testo, spesso s’accosterà il concetto di “misura” o “parte” con quello di “quota”, tenendo distinto da questi concetti quello di «diritto» (del comunista) (v., più ampiamente, infra, nt. 76). Per ora è sufficiente qui accennare alla pregevole definizione, circa il concetto di comunione, di A Guarino, voce Comunione (dir. civ.), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, 251, secondo cui, per comunione (in senso proprio), s’intende la «titolarità plurima integrale, commisurata per quote, della comune facoltà di godimento, ed eventualmente anche di disposizione, derivante dalla coincidenza sullo stesso oggetto giuridico di identici diritti assoluti o relativi». Interessante, al riguardo, è quanto prospettato da G. Branca, Comunione. Condominio negli edifici. Art. 1100-1139, in Comm. Cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1982, VI ed., 80, in tema di «divisione del godimento» (come lo stesso A. sottolinea, non si tratta di vera e propria assegnazione definitiva, alla stregua di una divisione: i comunisti continuano ad essere titolari di tutta la cosa e si accordano solamente per porzionare il godimento della medesima). Diritto che, com’è noto, rientra entro il più ampio novero dei diritti reali di godimento. Cfr.: R. Caterina, op. cit., 4; G. Bonilini, Il diritto reale di usufrutto. I suoi caratteri, in Usufrutto, uso, abitazione, t. I, cit., 28 ss.; F. Galgano, op. cit., 517.
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di dare esecuzione al legato, non immettendo (ex art. 649, co. 3, c.c.) pertanto Caia nel possesso (v. art. 982 c.c.) dell’unità immobiliare predetta8. Dal che, Mevio propose domanda riconvenzionale al fine di far dichiarare, in primo luogo, la nullità del legato in questione, e, in subordine, la risoluzione del legato per inadempimento dell’onere apposto a carico del legatario; ad ogni modo, Mevio chiese, altresì, di cancellare la trascrizione, in favore di Caia, dell’usufrutto oggetto del legato. Il giudice del merito, per il tramite sia degli artt. 652 e 651, co. 1, c.c.9, sia dei princìpi in materia d’interpretazione della volontà testamentaria, sia, infine, del richiamo a due pronunzie10 della Suprema Corte, ha accolto la domanda riconvenzionale proposta da Mevio, dichiarando il legato nullo in quanto avente a oggetto un diritto reale su un bene non facente parte del patrimonio ereditario; codesto bene, rileva l’organo giudicante, non fa parte del patrimonio del de cuius, poiché non è stata posta in essere alcuna attività di divisione.
2. La rilevanza della volontà testamentaria. È necessario, anzitutto, muovere dall’applicazione dei princìpi rilevanti in materia d’interpretazione11 della volontà testamentaria, onde poter eventualmente salvaguardare12 parte del legato oggetto del presente giudizio13. È l’interpretazione del testamento14, in uno con le vicende sia dell’attività documentale del testatore, sia della proprietà del bene, a guidare l’interprete nella ricerca di quel requisito di validità imprescindibilmente previsto per il legato di cosa (parzialmente) altrui, vale
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Cfr. G. Pugliese, op. cit., 197: «[…] il possesso non è acquistato automaticamente dall’usufruttuario […], sicché il legatario dovrà rivolgersi all’erede per ottenere il possesso» e G. Palermo, op. cit., 120, il quale ebbe ad asserire, giustamente, che l’usufruttuario non ha «ipso iure […], ma deve chiedere il possesso del bene […]». 9 La cui applicazione, nel caso di specie, può dirsi, senza tema di smentita, pacifica. V. anche G. Bonilini, Il legato di diritti reali limitati. Il legato del diritto di usufrutto, cit., 656. 10 Nell’ordine: Cass., 17 aprile 2002, n. 5485, in Banca dati Dejure; Cass., Sez. un., 15 marzo 2016, n. 5068, in Banca dati DeJure. V., sul punto, infra, § 3. 11 Non può sottacersi, sul tema, l’ineludibile e brillante opinione di L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s. d., ma 1949, 729, che ritenne l’attività interpretativa dei negozi giuridici quell’«attività logica diretta a ricercare e fissare il significato della manifestazione o delle manifestazioni di volontà, al fine di determinare il contenuto del negozio, cioè il voluto». In merito a codesta attività, soggiunge l’A. (ibidem, testo e nt. 2), l’oggetto è da individuarsi nella volontà, nulla più («l’oggetto dell’interpretazione […] per noi è, in buona sostanza, la volontà»). 12 V., infra, § 3. 13 L’applicazione dei princìpi richiamati, giova sùbito rilevare, è piuttosto importante nel caso de quo, atteso che il testamento, nel cui recinto è contenuta la disposizione oggetto della pronunzia, veste la forma di testamento olografo; da ciò, s’arguisce come l’attività interpretativa debba essere ancor più densa, giacché la mancata assistenza del notaio, nella stesura delle ultime volontà, genera sicuramente maggiore incertezza circa il significato da attribuire alla volontà testamentaria manifestata. Sul punto, più approfonditamente, v. G. Branca, Dei testamenti ordinari, Art. 601-608, in Comm. Cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1986, 38 ss. 14 Siffatta interpretazione dev’essere posta in essere dall’interprete finanche allorquando l’espressione (meglio: la disposizione) utilizzata dal testatore risulti chiara (P. Rescigno, Interpretazione del testamento, Napoli, 1952, 136).
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a dire la scienza, da parte del testatore, della (parziale) alienità della cosa15. Nell’interpretare una disposizione testamentaria di legato, i criteri da adottare sono i medesimi che si sogliono seguire nell’interpretazione di qualsivoglia disposizione mortis causa16. L’applicazione, al caso concreto, dei princìpi predetti, è stata effettuata dal Tribunale con specifico riferimento ad una questione giuridica la quale, come detto17, se di primo acchito pare non rilevare come elemento principale per la soluzione della controversia sottoposta al giudice del merito, ad un’attenta analisi è, invece, ragionevolmente acconcia, oltreché decisiva, per il caso di specie18. Giova sottolineare, anzitutto, come oggidì manchino, entro l’ordinamento giuridico italiano, apposite norme generali disciplinanti l’interpretazione del negozio testamentario19.
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In questi brillanti termini v. A. Palazzo, Le successioni, cit., 680. Cfr. anche A. Trabucchi, voce Legato (Diritto civile), cit., 610. Adde G. Bonilini, La disposizione testamentaria di legato, in G. Bonilini - G.F. Basini, I legati, in Tratt. dir. civ. del Consiglio naz. del Notariato, diretto da P. Perlingieri, vol. VIII, 6, Napoli, s. d., ma 2003, 37; Id., Dei legati, cit., 50. Senza esigenza di completezza, onde evitare di virare fuori sacco, riteniamo necessario rilevare come nell’interpretazione del testamento non possa farsi ricorso alle norme previste dal legislatore in tema d’interpretazione dei contratti (artt. 1362-1371 c.c.), poiché è certo il dato letterale racchiuso nell’art. 1324 c.c. – dal quale l’interprete, mediante un’interpretazione a contrario, non può rifuggire – che sancisce l’applicabilità delle norme che regolano i contratti solamente, in quanto compatibili, agli «atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale» (corsivo aggiunto dallo scrivente). In quest’ordine d’idee s’espressero già: A. Cicu, Il testamento, Milano, 1947, rist., 99; A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, in AA.VV., Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti, vol. III, Diritto privato, Padova, 1950, 690; G. Bonilini, voce Testamento, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., XIX, Torino, 1999, 370; Id., Il testamento. Lineamenti, Padova, 1995, 83; Id., Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 257. Non si può pertanto convenire con E. Perego, I legati, cit., 247, il quale, se da un lato afferma, a ragione, come il legato debba essere interpretato secondo le norme generali in tema d’interpretazione del testamento, da altro lato addiviene all’affermazione per cui, fra le norme applicabili in tema di esegesi del negozio testamentario, rientrano certune norme dettate dal legislatore in materia di contratti. Così come il Perego, gran parte della dottrina, ampiamente maggioritaria, propende per l’applicazione di siffatte norme; per tutti, v. almeno, seppur con sfumature differenti: L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1944, II ed., 381; C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. III, Milano, 1948, 282; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. it., diretto da F. Vassalli, vol. XV, t. II, Torino, 1955, II rist. corretta della I ed., 366 ss.; M. Casella, voce Negozio giuridico (interpretazione del), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 22; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice civile, cit., 427 s.; G. Criscuoli, Il testamento. Corso di Diritto Civile, Palermo, 1985, 112 s.; G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 35; L. Bigliazzi Geri, La volontà nel testamento e l’interpretazione, in AA.VV., Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, 6, Successioni, t. II, Torino, 1997, II ed., 79 ss.; G.B. Ferri, Il negozio giuridico, Padova, 2004, II ed., passim, spec. 243 ss. (testo e nt. 297); G. Musolino, L’interpretazione del testamento fra regole e criteri peculiari, in Riv. dir. civ., 2007, 6, 468 ss.; F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2012, IX ed., rist., 233 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, Milano, 2015, V ed., 271. Una posizione più ibrida venne invece assunta da G. Stolfi, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1947, 231 ss. Anche in giurisprudenza, sia di merito, sia di legittimità, affiora la netta preponderanza per l’applicazione, con i dovuti adattamenti, delle norme dettate in tema d’interpretazione dei contratti; v. almeno, per quanto attiene al merito: Trib. Cuneo, 10 febbraio 2017, in Banca dati DeJure; App. Bologna, 9 febbraio 2016, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Padova, 3 febbraio 2015, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Aosta, 8 giugno 2011, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Milano, 20 maggio 2010, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Ruvo di Puglia, 10 maggio 2010, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Benevento, 5 giugno 2009, in Banca dati Leggi d’Italia. Per quanto concerne, invece, la giurisprudenza di legittimità, v. almeno: Cass., 15 ottobre 2018, n. 25698, in Banca dati Leggi d’Italia; Cass., 3 dicembre 2010, n. 24637, in Banca dati DeJure; Cass., 14 gennaio 2010, n. 468, in Banca dati Leggi d’Italia; Cass., 29 gennaio 2007, n. 1789, in Banca dati Leggi d’Italia; Cass., 22 ottobre 2004, in Banca dati Leggi d’Italia; Cass., 26 maggio 1989, n. 2556, in Banca dati DeJure; Cass., 30 maggio 1987, n. 4814, in Banca dati DeJure. 17 V., supra, § 1. 18 V., sopra tutto, infra, § 3. 19 Cfr. anche: C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. III, cit., passim, spec. 278 e 281; E. Betti, op. cit., 368; C. Grassetti, voce Interpretazione dei negozi giuridici “mortis causa” (Diritto civile), in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, 907; G. Tamburrino, voce Testamento (dir. priv.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 476; G. Baralis, L’interpretazione del testamento, in AA.VV., Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, vol. I, Padova, 1994, 927; G. Bonilini, Il testamento. Lineamenti, cit., 83; Id., voce 16
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Ciò nonostante, movendo da un’interpretazione oculata delle parole utilizzate dal testatore, pare prima facie limpida la non consapevolezza, da parte del medesimo, della parziale alienità del bene oggetto di usufrutto. Il richiamo alle parole utilizzate dal de cuius, difatti, ha consentito al Giudice del merito di svolgere il tipico compito dell’interprete, che dev’essere generalmente seguìto nell’attribuire uno specifico significato ad una determinata disposizione testamentaria. Siffatto procedimento esegetico è composto da una duplice attività: la prima, consistente nella ricerca della volontà espressa dal testatore, la seconda, rappresentata dall’interpretazione della volontà ricercata20. È beninteso, dunque, come il dato testuale21 sia elemento determinante, in generale, circa l’efficacia dell’atto, e, più in particolare, circa la singola disposizione testamentaria; ciò nondimeno, oltre all’elemento testuale giova porre in linea di conto anche l’attività dell’interprete, che consente di rendere maggiormente chiara la volontà del testatore22. Quest’ultima dev’essere individuata necessariamente con riferimento al testo scritto – in seno alla scheda testamentaria –, e l’interprete non potrà ricercarla altrove, là dove, viceversa, quanto ai mezzi per l’interpretazione del testo, l’interprete potrà individuarli anche aliunde23.
Testamento, cit., 370; G.B. Ferri, op. cit., 245, testo e nt. 297; S. Delle Monache, Testamento. Disposizioni generali. Artt. 587-590, in Comm. Cod. Civ., fondato e già diretto da P. Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2005, 174; R. Carleo, L’interpretazione del testamento, in AA.VV., Tratt. dir. succ. e donazioni, diretto da G. Bonilini, vol. II, La successione testamentaria, Milano, 2009, 1475; G. Capozzi, Successioni e donazioni, a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, t. I, Milano, 2015, IV ed., 749; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2016, VIII ed., 271. V. anche G. Criscuoli, Il testamento. Corso di Diritto Civile, cit., 113. 20 A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 698, il quale, al riguardo, ebbe a ritenere l’attività interpretativa in senso stretto come un’attività «che mira a dare il vero significato al testo», presupponendo «un giudizio di validità, che ha per oggetto l’accertamento della esistenza di entrambi i fattori che compongono la efficace fattispecie testamentaria». Dal che, soggiunse l’A. (ibidem), «occorre cioè che le dichiarazioni formali siano sorrette da una corrispondente volontà e che la intenzione abbia trovato una sufficiente concretizzazione nell’atto». Adde: M. Allara, Principî di diritto testamentario, Torino, 1957, 173; P. Trimarchi, Interpretazione del testamento mediante elementi a esso estranei, nota a Cass., 5 marzo 1955, n. 652, in Giur. it., 1956, c. 449, ad avviso del quale il risultato dell’attività interpretativa di un testamento – attività che presuppone l’esistenza di una dichiarazione, non importa se chiara od arcana – «è lo sviluppo logico delle espressioni del testo»; G. Criscuoli, Il testamento. Corso di Diritto Civile, cit., 111, che ebbe ad affermare come il procedimento d’interpretazione del testamento sia caratterizzato da una doppia attività: la prima, individuabile nella ricostruzione, «nella sua unità programmatica», del «quadro negoziale», per il tramite di un’armonizzazione di «tessere o […] tasselli dispositivi» i quali possono reperirsi anche in diversi documenti; la seconda, individuabile nella ricostruzione della volontà testamentaria che emerge dalla scheda testamentaria. Quest’ultimo processo di (ri)costruzione, rileva l’A. (ibidem), pur avendo, nitidamente, «valenza […] conclusiva», è comunque strettamente collegato al processo conoscitivo (della volontà effettiva, s’intende), il quale ha una «importanza pregiudiziale e condizionante», per la finalità ricostruttiva del primo processo, «decisiva». Il processo conoscitivo, invero, è mirato alla ricerca della volontà effettiva del testatore; G. Bonilini, voce Testamento, cit., 370; Id., Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 270, ad opinione del quale, l’attività interpretativa è «l’attività che consente di rendere intelligente un testo; che consente di attribuire a un testo un significato». Genera non poche riserve, invece, quanto lumeggiato da C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. III, cit., 277 ss. 21 Il formalismo testamentario, difatti, «imbriglia l’indagine [dell’interprete]»: così, G. Criscuoli, Il testamento. Corso di Diritto Civile, cit., 111. 22 A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 698. 23 Cfr. A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 698, ad opinione del quale, «nella ricerca della volontà del soggetto l’interprete deve attenersi al testo, mentre per interpretare il contenuto del testo […] può ricorrere ad ogni mezzo, ricercando in primo luogo tutti gli elementi dai quali possa dedursi la reale intenzione del testatore». Cfr. anche A. Cicu, op. cit., 99, il quale ebbe a scrivere, a ragione, come nell’interpretazione del testamento si debba giocoforza aver riguardo alla volontà del
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In questa direzione, l’attività d’individuazione della volontà del de cuius pare integrare un vero e proprio mezzo per l’interpretazione, il quale, non v’è dubbio, rappresenta il più alto livello esegetico; nondimeno, giova evidenziare come tale mezzo non rappresenti che l’oggetto, per così dire, “mediato”, dell’interpretazione24. Ciò, si badi bene, non toglie che l’attività interpretativa, strettamente considerata, debba rannodarsi al precipuo compito insito in sé stessa, vale a dire quello di cercare di rendere più limpida la volontà del testatore espressa nella scheda testamentaria25. Nell’attribuire un determinato significato all’espressione scolpita nel testamento, l’interprete non deve fare altro che individuare l’intenzione specifica del testatore al momento della redazione dell’atto26. Pertanto, se non le singole parole utilizzate, quale migliore elemento potrebbe guidare l’interprete nell’individuazione della volontà racchiusa nella scheda testamentaria? Nessun altro27. Non è, invero, da elementi estranei al testamento che l’interprete può inferire una volontà non manifestata – od addirittura contraria a quella che affiora dal testamento –, la quale non trovi alcun riscontro nel testo28. L’attività ermeneutica deve giocoforza avere a oggetto la reale volontà29 del testatore, desumibile da quanto scritto entro la cornice del testamento30.
testatore espressa per iscritto. Per chiarire lo scritto (alias: per interpretarlo), assumendo beninteso come oggetto d’interpretazione la volontà espressa, l’interprete potrà comunque tener conto di ogni elemento estraneo alla scheda testamentaria. V. inoltre, infra, nt. 43. 24 Cfr. A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 698. 25 Interessante, al riguardo, è la così detta «regola d’oro» – di matrice anglosassone – mentovata da A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 699, regola che esprime il principio per cui il senso grammaticale e ordinario delle parole deve comunque trovare rispetto da parte dell’interprete, allorché non porti «ad assurdità o contrasti con tutto il resto della volontà»; in codesto caso, invero, «il senso ordinario dev’essere modificato solo quanto basta per evitare l’assurdità o l’incongruenza, ma non oltre». V., inoltre, G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 270 s., ivi, 272, secondo il quale l’interpretazione del testamento è un’interpretazione che va scissa tra un dato (alias: criterio) letterale ed uno funzionale. Il primo criterio consente di attribuire alle parole utilizzate nella disposizione testamentaria il loro significato proprio che esprimono, secondo la loro connessione, mentre, il secondo criterio, mediante un’indagine dell’intenzione del testatore – tenendo presente, eventualmente, anche il comportamento successivo alla stesura delle disposizioni – consente di confermare, o no, il dato letterale. 26 F. Messineo, op. cit., 143; C. Grassetti, voce Interpretazione dei negozi giuridici “mortis causa” (Diritto civile), cit., 907; G. Tamburrino, op. cit., 477. V., inoltre, A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 701 e F. Santoro-Passarelli, op. cit., 234: «quando si tratta di negozi patrimoniali [com’è a dirsi per il testamento], prevale […] il momento della disposizione su quello dell’attribuzione». 27 Del resto, per dirla con le parole di illustre giurista (A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 700), «il thema della ricerca dell’interprete è uno solo: il significato che il testatore ha voluto dare alle frasi consacrate nel testo». Cfr., altresì, C. Grassetti, voce Interpretazione dei negozi giuridici “mortis causa” (Diritto civile), cit., 907. Per una diversa lettura, vedasi G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 56 e G. Musolino, op. cit., 474. 28 Certo, vi potrebbero essere casi in cui, nonostante l’apparente chiarezza del testo, la diversa volontà risulti «in modo non equivoco» (cfr. art. 625 c.c., rispetto al quale, essendo norma eccezionale, dev’esserne comunque data una portata operativa limitata al mero caso da esso contemplato). Si compulsi, sul punto, A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 700. V. anche G. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice civile, cit., 429 s., e C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, cit., 270. Adde E. Perego, Principio di conservazione e “favor testamenti”, nota a Cass., 10 aprile 1969, n. 1160, in Giur. it., 1970, c. 1252. 29 G. Tamburrino, op. cit., 476, testo e nt. 34. 30 C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, cit., 270. In giurisprudenza, segnatamente di merito, sulla rilevanza dell’elemento letterale, onde consentire un’attenta attività ermeneutica del testamento, v. almeno: App. Bologna, 9 febbraio 2016, cit.; App. Bologna, 15 luglio 2015, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Roma, 20 ottobre 2012, in Banche dati Leggi d’Italia (giova marcare, però, come in siffatta pronunzia il principio or ora esposto lo si debba
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Il Tribunale, al riguardo, non avrebbe nemmeno potuto fare ricorso ad alcuna integrazione logica della volontà del testatore, mediante la così detta presunzione di volontà, giacché quest’ultima non ha alcuna efficacia in tal àmbito, vale a dire in un campo, quello della volontà testamentaria, nel quale l’unica volontà da tenere in considerazione – e, quindi, produttiva di effetti – è la volontà racchiusa entro il perimetro della scheda testamentaria31. È dunque da escludersi32, quanto all’interpretazione della volontà testamentaria, la così detta interpretazione integrativa, che presuppone un contenuto negoziale non compiutamente sviluppato sotto il profilo dell’espressione formale; in altri termini, può accadere che la formula utilizzata dal testatore non racchiuda in sé tutta la sua volontà33, per cui, atteso l’esatto principio secondo cui «dove non c’è il testo della scheda non c’è volontà testamentaria efficace»34, la volontà, pur se espressa stringatamente, non può essere dall’interprete estesa al di là del significato affiorante dalla formula lessicale utilizzata dal testatore35. Al riguardo, note sono le parole di Emilio Betti, il quale ritenne interpretabile il pensiero del testatore solamente nel caso in cui esso trovi nella dichiarazione (testamentaria) un «univoco addentellato»36.
desumere quasi per via indiretta); Trib. Aosta, 8 giugno 2011, cit.; Trib. Modena, 10 marzo 2010, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Bari, 20 ottobre 2008, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Rovigo, 21 luglio 2008, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Monza, 10 luglio 2006, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Milano, 24 febbraio 2000, in Banca dati Leggi d’Italia; Trib. Siena, 19 ottobre 1992, in Banca dati DeJure. Nella giurisprudenza di legittimità, v. almeno: Cass., 30 maggio 2014, n. 12242, in Banca dati Leggi d’Italia; Cass., 14 ottobre 2013, n. 23278, in Banca dati Leggi d’Italia; Cass., 22 ottobre 2004, n. 20604, cit.; Cass., 17 aprile 2001, n. 5604, in Banca dati Leggi d’Italia; Cass., 15 giugno 1999, n. 5918, in Banca dati Leggi d’Italia; Cass., 22 gennaio 1985, n. 252, in Banca dati DeJure; Cass., 10 giugno 1982, n. 3522, in Banca dati DeJure; Cass., 19 marzo 1980, n. 1850, in Banca dati DeJure. 31 Cfr. A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 697 («Il contenuto dispositivo dell’atto dev’essere compreso per intero nella formula testamentaria») e 703. V. anche: M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 179, il quale richiama, a ragione, il principio per cui «l’oggetto, in senso ristretto, del negozio testamentario», coincide col significato delle parole utilizzate dal testatore; N. Lipari, Autonomia privata e testamento, Milano, 1970, 341. Non si conviene, invece, con quanto affermato, in prima battuta (successivamente, per vero, l’A. pare virare opinione – v., infra, nt. 35), da G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 37, per il quale l’interpretazione della dichiarazione testamentaria «serve spesso a colmare le lacune esistenti nel tessuto formale dell’atto». 32 Già E. Betti, op. cit., 367, testo e nt. 1a, ebbe brillantemente ad affermare come, tutt’al più, l’interprete, allorquando non risulti chiaro il pensiero del testatore, possa sì estendere il materiale interpretativo, ma non già integrarlo, essendo il testamento un atto formale. V., inoltre, M. Casella, op. cit., 23. 33 A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 703 e 704. 34 Così, a ragione, A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 705. 35 Cfr. A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 705. Si leggano altresì: C. Grassetti, voce Interpretazione dei negozi giuridici “mortis causa” (Diritto civile), cit., 909; G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 38, il quale – a differenza di quanto in prima battuta sostenne (v., supra, nt. 31) – ritenne, giustamente, come non si debba dar luogo né ad interpretazione integrativa, né ad interpretazione suppletiva, della dichiarazione testamentaria; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 272. In giurisprudenza v., quanto meno, App. Bologna, 15 luglio 2007, cit. Si badi bene, tuttavia, come certuni discorrano, apparentemente in un’altra accezione, di «funzione integrativa, in senso lato, della efficacia della disposizione testamentaria»: così, M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 181 ss., al quale si rimanda. 36 E. Betti, op. cit., 367. Genera qualche riserva il tentativo (da parte di S. Delle Monache, op. cit., 187 s.) di sfumare codesto principio, con l’intento di garantire un migliore equilibrio tra la formalità del testamento ed il rispetto della «mens testantis».
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Non solo. Nemmeno il principio di conservazione37 del negozio giuridico può giovare, nel caso de quo38, all’interprete, giacché, senza scostarsi da tutto quanto dianzi affermato, non potrà conservarsi una volontà non espressa in modo alcuno39: un’ipotetica intenzione del testatore non espressa (nella scheda testamentaria, s’intende), non può assurgere a volontà testamentaria40. Il giudice del merito, inoltre, ha giustamente interpretato l’intera scheda testamentaria41 – e non solamente la singola disposizione – al fine d’individuare se risultasse, in qualche modo, la scienza della parziale alienità della cosa42.
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Il quale, giova rilevare, è valevole anche per il caso di negozio testamentario. Al riguardo, v. P. Rescigno, op. cit., 8, per il quale, ragionevolmente, il principio di conservazione del testamento non deriva da un’applicazione diretta dell’art. 1367 c.c., dettato dal legislatore in materia di contratti, ma attraverso «un procedimento induttivo, di norme particolari [dettate dal legislatore in materia di successioni]», come, ad esempio, gli artt. 688, co. 2, e 675 c.c. Il principio di conservazione del negozio giuridico, giova rilevare, permea il nostro intero ordinamento giuridico: cfr. C. Grassetti, Conservazione (principio di), in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 173 s.; Id., L’interpretazione del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, Padova, 1983, rist., 161 s. V. anche: A. Butera, Il Codice civile italiano commentato secondo l’ordine degli articoli. Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni, Torino, 1940, 226; C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. III, cit., 297; E. Betti, op. cit., 371; C. Grassetti, voce Interpretazione dei negozi giuridici “mortis causa” (Diritto civile), cit., 908; E. Perego, Favor legis e testamento, Milano, 1970, 211; Id., Principio di conservazione e “favor testamenti”, cit., c. 1251 ss., spec. c. 1252, il quale ebbe oculatamente a rilevare come «l’esigenza di conservazione pare […] imperativa [in materia testamentaria], essendo irripetibile la dichiarazione viziata»; G. Bonilini, Il testamento. Lineamenti, cit., 83 s.; Id., voce Testamento, cit., 370 s.; G. Musolino, op. cit., 481; G. Capozzi, op. cit., t. I, 750; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 271. Adde S. Patti, Testamento della persona «vulnerabile», principio di conservazione e ragionevolezza, in questa Rivista, 2017, 6, 640. V. anche, seppur sotto l’egida del Codice civile del 1865, C. Grassetti, La natura dei fatti e l’interpretazione del testamento, nota a Cass., 18 luglio 1939, n. 2619, in Foro. it., 1940, c. 575. In tema, riteniamo susciti più di qualche dubbio quanto osservato da F. Santoro-Passarelli, op. cit., 236, il quale ebbe a ritenere come il favor testamenti consenta all’interprete, nel rispetto della volontà del testatore, di andare al di là della dichiarazione testamentaria. V., di nuovo, P. Rescigno, op. cit., 10. Si badi bene, inoltre, come taluno, a differenza della dottrina prevalente, escluda recisamente il collegamento tra il principio del favor testamenti ed il principio di conservazione: ci sia consentito rinviare, per esigenza di economia espositiva, alla interessante discettazione di E. Perego, Favor legis e testamento, Milano, 1970, spec. 210 ss. V. anche Id., Principio di conservazione e “favor testamenti”, cit., c. 1251 ss. Nella giurisprudenza di merito, sul principio di conservazione applicabile finanche e sopra tutto al negozio testamentario, v. almeno: App. Bari, 22 febbraio 2018, in Banca dati DeJure; Trib. Benevento, 5 giugno 2009, cit. Nella giurisprudenza di legittimità, v. almeno: Cass., 15 ottobre 2018, n. 25698, cit.; Cass., 28 marzo 2018, n. 7632, in Banca dati Leggi d’Italia; Cass., 6 ottobre 2017, n. 23393, in Banca dati Leggi d’Italia; Cass., 30 maggio 2014, n. 12242, cit.; Cass., 14 ottobre 2013, n. 23278, cit.; Cass. 28 novembre 2006, n. 4022, in Banca dati Leggi d’Italia. 38 Il principio di conservazione, infatti, presuppone senz’altro un dubbio fra due significati, l’uno dei quali determina l’«inutilità della dichiarazione»: così, E. Perego, Principio di conservazione e “favor testamenti”, cit., c. 1253. Pertanto, si ripete, esso opera allorquando vi sia una volontà espressa da parte del testatore, la quale trovi riscontro in seno al perimetro testamentario. Cfr., altresì, C. Grassetti, voce Interpretazione dei negozi giuridici “mortis causa” (Diritto civile), cit., 909. 39 A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 706. V. anche: G. Bonilini, Il testamento. Lineamenti, cit., 84; Id., voce Testamento, cit., 371; Id., Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 271 e 272, il quale, giustamente, asserisce come il principio di conservazione non possa comunque operare ove sia assente una qualsivoglia, effettiva, volontà. 40 Già tempo addietro si rilevò che, nell’esegesi della volontà testamentaria, l’interprete deve porre attenzione a non sconfinare «nel campo irreale dell’ipotetico»: così, L. Barassi, op. cit., 381. Adde G.B. Ferri, op. cit., 247, testo e nt. 297, nonché C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, cit., 270, il quale, a ragione, nota come l’interprete non debba tenere in considerazione, nel compimento dell’attività interpretativa, «una volontà non manifestata nella dichiarazione testamentaria». 41 Al riguardo, v.: C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. III, cit., 293; P. Rescigno, op. cit., 134; A. Palazzo, Le successioni, cit., 632. 42 Ciò lo si desume dall’affermazione del Tribunale: «Nulla […] si evince dal testamento [da intendersi, beninteso, unitariamente considerato]» (corsivo aggiunto dallo scrivente).
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Giurisprudenza
Si badi bene, per giunta, come nemmeno il ricorso a mezzi tratti aliunde43, per l’interpretazione del testo, abbia consentito di conservare la disposizione testamentaria de qua44. È necessario sottolineare, a tal ultimo riguardo, che la volontà del testatore – oggetto d’interpretazione – deve comunque sempre trovare rispondenza nella scheda testamentaria, vale a dire una, anche se minima, parvenza di esternazione da parte del disponente45; movendo dal noto principio per cui l’interprete non deve affatto creare una volontà non manifestata in modo alcuno46, ben si può asserire come non sia interpretabile una volontà la quale non abbia mai superato «il mero stadio progettuale»47, ovverosia che non sia affatto consacrata nella scheda testamentaria48. In altri e più semplici termini, si afferma come l’indagine interpretativa, compiuta al di fuori della scheda testamentaria, sia consentita solamente allo scopo di assegnare un determinato significato alle espressioni utilizzate nel testamento49, le quali, dunque, sono l’unico oggetto immediato dell’interpretazione50. In definitiva, sulla scorta di quanto testé rilevato, si può affermare come l’interprete non possa individuare o creare disposizioni testamentarie che non siano contenute nella scheda testamentaria51, poiché non è ammessa un’introspezione, secondo coerenza logica, nel
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Si vedano, sul punto: C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. III, cit., 295; F. Messineo, op. cit., 143; M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 177; C. Grassetti, voce Interpretazione dei negozi giuridici “mortis causa” (Diritto civile), cit., 908; P. Trimarchi, op. cit., c. 445 ss., spec. 447 e 449; F.S. Azzariti - G. Martinez - G. Azzariti, op. cit., 405; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice civile, cit., 430; G. Criscuoli, Il testamento. Corso di Diritto Civile, cit., 112; M. Costanza, Interpretazione dei negozi di diritto privato, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., X, Torino, 1993, 31; G. Bonilini, voce Testamento, cit., 371; A. Palazzo, Le successioni, cit., 633; S. Delle Monache, op. cit., 181 e 182; G. Musolino, op. cit., 475; F. Santoro-Passarelli, op. cit., 235; C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, cit., 270; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 272, a parere del quale, «L’attività ermeneutica, […] in quanto diretta a indagare l’intenzione del testatore, dovrà incentrarsi sul documento, dal quale deve risultare la volontà […], potendo, gli elementi estrinseci, soltanto servire, in via suppletiva, a dilucidazione delle espressioni racchiudenti la volontà manifestata nel documento». Adde, seppur asciuttamente, F. Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2002, II ed., 638. 44 Nella pronunzia, invero, si discorre di «Nulla […] si evince […] da altre scritture provenienti dal testatore, anteriori o coeve […]». 45 Sul punto, è vibrante il principio di F. Santoro-Passarelli, op. cit., 234 s., per il quale la volontà del testatore (la così detta mens testantis) vale solamente allorquando non contraddica il tenore della dichiarazione testamentaria. 46 Si veda L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 740: «dove manca la volontà, manca il negozio». 47 S. Delle Monache, op. cit., 186. 48 Cfr. F. Messineo, op. cit., 143. V., inoltre, S. Delle Monache, op. cit., 186, il quale, se a ragione esclude un’interpretazione di una volontà non manifestata in modo alcuno, a torto – a nostro sommesso parere – non conviene con la oculata e giusta opinione di G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954, 171, in rist. Scuola spec. dir. civ. Univ. Camerino, Napoli, 2010, per il quale l’effettivo intendimento del testatore deve sempre trovare, nella scheda testamentaria, una qualsivoglia, benché minima, forma di esteriorizzazione. Adde E. Perego, Favor legis e testamento, cit., 191, nonché R. Carleo, op. cit., 1521. 49 Cfr. P. Trimarchi, op. cit., c. 449. 50 Sul punto, acconce sono le parole di R. Carleo, op. cit., 1523: «Anche se nei negozi solenni l’interprete può solo ricostruire il senso che si faccia palese attraverso (e soltanto attraverso) la forma legale, tuttavia ciò non esclude la possibilità di ricorrere a circostanze estrinseche allo scopo di chiarire la decisione manifestata nella forma prescritta». V. anche, en passant, N. Irti, Testo e contesto. Una lettura dell’art. 1362 codice civile, Padova, 1996, 136. 51 Al riguardo, pare senz’altro acconcio quanto affermato da P. Trimarchi, op. cit., c. 447, il quale ritenne irrilevante la volontà del testatore non dichiarata nella forma richiesta dalla legge (nel rispetto, dunque, del così detto formalismo testamentario).
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pensiero del testatore52, il quale ha potuto comunque muoversi, nella stesura del proprio testamento, nel pieno della sua autonomia53. Traslando ora l’attenzione al caso di specie, all’esito dell’interpretazione condotta secondo il metodo testé menzionato, quanto emerge limpidamente dalla scheda testamentaria è una voluntas testantis che intende attribuire l’usufrutto non già nei limiti della quota di propria spettanza, ma sull’intero appartamento54. Di conseguenza, allorché il testatore intenda “disporre” (meglio: costituire il diritto di usufrutto) per intero – come nella fattispecie – della cosa (della quale, nella specie, è proprietario solamente nella misura di 1/3 indiviso), l’art. 652 c.c. “lascia spazio” all’art. 651, co. 1, c.c., il quale, onde ritenere valido il legato, richiede la scienza dell’alienità – nel nostro caso, parziale – della cosa55.
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In altri termini, l’interprete, non potendo andare al di là della volontà espressamente manifestata per il tramite della formula lessicale utilizzata, non è tenuto a “presumere” ciò che, in verità, avrebbe voluto effettivamente il testatore. Donde, non ci troviamo d’accordo con le parole di C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. III, cit., 292, il quale ebbe ad affermare che lo scopo dell’interpretazione, allorquando non sia possibile accertare l’effettiva volontà del testatore, è riscontrabile nell’individuazione della volontà presunta. Suscita inoltre non poche riserve quanto asserito da M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 179, che, attesa la non facile esegesi della volontà testamentaria, ebbe a ritenere come, in realtà, ciò che viene sovente accertato dall’interprete non è la volontà effettiva, bensì la volontà «presumibile». A nostro parere, invece, esprime il vero M. Costanza, op. cit., 26, nel momento in cui afferma come l’interprete non possa «manifestare la propria mens sostituendola a quella degli autori del negozio». 53 A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, cit., 705, ma anche 693 e 694; C. Romano, op. cit., 1191. 54 Cfr. C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. II, cit., 216; E. Ciaccio, Condizioni di validità del legato di cosa altrui o solo in parte del testatore, nota a Cass., 9 aprile 1965, n. 619, in Giust. civ., I, 640, il quale colse il vero là dove ebbe ad affermare come la volontà di legare la parte altrui (e, quindi, di legare la cosa per intero) debba risultare da quanto tracciato entro la scheda testamentaria; F.P. Lops, Il legato, in AA.VV., Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, vol. I, Padova, 1994, 1042, che, senza tema di smentita, ebbe a scrivere come la volontà di legare la cosa per intero debba risultare dal testamento, dacché anch’essa (tale volontà) fa parte della disposizione testamentaria costitutiva della fattispecie; E. Perego, I legati, cit., 236, ad avviso del quale, giustamente, l’interpretazione letterale dell’art. 652 c.c. collide col principio per cui l’attribuzione del bene, mediante testamento, deve risultare solamente dalla scheda testamentaria; G.F. Basini, op. cit., 164; G. Capozzi, op. cit., t. II, 1155. Sul punto, ci permettiamo di asserire come l’art. 652 c.c. rimandi sì all’art. 651 c.c. allorquando il testatore intenda legare la cosa per intero, ma – si badi bene – l’art. 651, co. 1, c.c., fa riferimento solamente alla prova della scienza dell’alienità parziale della cosa legata, e non già della volontà di legare per intero quest’ultima. In altri termini: gli scritti menzionati entro la cornice della predetta disposizione, a noi pare valgano solamente per provare la conoscenza della alienità, totale o parziale, della cosa legata. La volontà di legare la cosa nella sua interezza, per i princìpi poc’anzi menzionati, deve emergere solo ed esclusivamente dal testamento, e non aliunde. Nel momento in cui, quindi, il testatore decida di legare interamente una cosa rispetto alla quale egli è titolare nella misura di una limitata quota, al fine di ritenere valido siffatto legato è appunto necessaria la consapevolezza, da parte del testatore, dell’alienità della cosa. Consapevolezza – e bensì solo questa – che può emergere anche da scritti dissimili dal testamento. Per una diversa opinione, si vedano: C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. II, cit., 216, «Se però risulta nel modo stabilito nel già riferito art. 651, che il testatore sapeva che la cosa legata spettava in parte all’onerato o ad un terzo, e risulta anche che egli volle ciò nondimeno legare la cosa per intero […]»; A. Giordano - Mondello, op. cit., 759, ove afferma che la volontà del testatore, di disporre della cosa nella sua interezza, debba risultare dagli scritti di cui all’art. 651, co. 1, c.c.; A. Masi, op. cit., 50 e 51; G. Bonilini, Dei legati, cit., 256 ss.; Id., L’oggetto del legato, le specie di legato autonomamente disciplinate, in AA.VV., Tratt. dir. succ. e donazioni, diretto da G. Bonilini, vol. II, La successione testamentaria, Milano, 2009, 523 e 524; Id., Il legato di cosa solo in parte del testatore, in AA.VV., Le disposizioni testamentarie, diretto da G. Bonilini e coordinato da V. Barba, Torino, 2012, 776. In quest’ultimo ordine d’idee, pare anche A. Trabucchi, voce Legato (Diritto civile), cit., 613. 55 C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. II, cit., 216; F. Messineo, op. cit., 350; F.S. Azzariti - G. Martinez - G. Azzariti, op. cit., 472; E. Ciaccio, op. cit., 640; A. Torrente, Panorama di giurisprudenza della Cassazione (primo quadrimestre 1965), Legato di cosa altrui, in Riv. dir. civ., 1965, II, 310; A. Masi, op. cit., 50; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice civile, cit., 499; F.P. Lops, op. cit., 1042; E. Perego, I legati, cit., 236; A. Palazzo, Le successioni, cit., 678; G.F. Basini, op. cit., 164; G. Bonilini, Dei legati, cit., 257; Id., L’oggetto del legato, le specie di legato autonomamente disciplinate, cit., 523 s.; C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, cit., 345; G. Capozzi, op. cit., t. II, 1155.
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Si ponga mente: attesa la formulazione dell’art. 651, co. 1, c.c., è essenziale tenere in considerazione come siffatta disposizione non richieda affatto un’esplicita manifestazione di scienza dell’alienità della cosa, potendo la medesima emergere o dallo scritto della scheda testamentaria o da qualsiasi altra dichiarazione scritta del testatore56 (sia essa coeva, anteriore o successiva al testamento, purché, in quest’ultimo caso, la scienza dell’alienità sussista già al momento di stesura della scheda testamentaria57). Nondimeno, come del resto è ad asserire il Tribunale, in nessun modo si desume la consapevolezza (nemmeno implicita)58, da parte di Tizio, della parziale alienità della cosa59; pertanto, la disposizione oggetto della controversia è, alfine, da ritenersi nulla. V’è di più: la disposizione, pur facendo applicazione, come già anticipato, del noto principio di conservazione della volontà testamentaria, non potrebbe nemmeno astrattamente considerarsi efficace per la parte (1/3)60 di spettanza del testatore, giacché, attesi i rilievi in materia d’interpretazione della volontà testamentaria sopra proposti61, non vi sono proprio elementi, entro il recinto della scheda testamentaria, per ritenere che la volontà del testatore mirasse a costituire l’usufrutto solamente sulla parte di propria pertinenza: è evidente, infatti, come la volontà di Tizio62, di costituire l’usufrutto sull’intero appartamento, sgombri affatto il campo da qualsiasi dubbio.
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Testualmente, l’art. 651, co. 1, c.c., richiede che la scienza dell’alienità – ci ripetiamo, nel nostro caso, parziale – della cosa risulti «dal testamento o da altra dichiarazione scritta [anteriore, coeva o successiva al testamento] dal testatore». Sul punto, v.: A. Butera, op. cit., 336; C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. II, cit., 211-213; F. Messineo, op. cit., 349; F.S. Azzariti - G. Martinez - G. Azzariti, op. cit., 469 ss., spec. 470 (spec. nt. 1) e 472; A. Masi, op. cit., 40 ss., ivi, 50 e 51; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice civile, cit., 496 s. e 499; G. Bonilini, voce Legato, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., X, Torino, 1993, 514; E. Perego, I legati, cit., 234; F.P. Lops, op. cit., 1040; A. Palazzo, Le successioni, cit., 678 e 679; G. Bonilini, Dei legati, cit., 239 ss.; Id., L’oggetto del legato, le specie di legato autonomamente disciplinate, cit., 514 e 515; Id., Il legato di cosa dell’onerato o di un terzo, in AA.VV., Le disposizioni testamentarie, diretto da G. Bonilini e coordinato da V. Barba, Torino, 2012, 765 e 766; Id., Legato di cosa altrui, e conoscenza, da parte del testatore, dell’alienità della cosa, in Studium Iuris, 2013, 11, 1235 ss., spec. 1236 e 1237; C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, cit., 342 s. (spec. nt. 359); G. Capozzi, op. cit., t. II, 1152 e 1153; C. Romano, op. cit., 1186. 57 A. Masi, op. cit., 41 e 42; G.F. Basini, op. cit., 157; G. Bonilini, Dei legati, cit., 242; G. Capozzi, op. cit., t. II, 1153. Pare invece escludere, in modo sottinteso, la possibilità di una dichiarazione di scienza successiva al testamento – ritenendo, quindi, che la dichiarazione debba giocoforza essere anteriore o coeva allo stesso – E. Ciaccio, op. cit., 639. Siffatta, ultima, possibilità è altresì esclusa, in termini recisi e meridiani, da A. Giordano - Mondello, op. cit., 757: «lo scritto del testatore [dal quale emerga la scienza del medesimo] può essere anteriore, oltre che coevo (non mai, però, successivo) alla stesura del testamento». 58 È da ritenersi ammissibile, invero, la possibilità di una conoscenza, da parte del testatore, la quale emerga implicitamente. Tale possibilità, a vero dire, campeggia in dottrina già da tempo; al riguardo, v. almeno: F.S. Azzariti - G. Martinez - G. Azzariti, op. cit., 470; A. Trabucchi, voce Legato (Diritto civile), cit., 613; A. Giordano - Mondello, voce Legato (dir. civ.), cit., 757; A. Masi, op. cit., 40 s; G.F. Basini, op. cit., 155; G. Bonilini, L’oggetto del legato, le specie di legato autonomamente disciplinate, cit., 513. 59 V. anche C. Gangi, I legati nel diritto civile italiano, vol. I, cit., 145. 60 Anche il Tribunale prospetta, astrattamente, tale possibilità: «[…] l’inefficacia del legato per la parte della cosa non di spettanza del testatore o per la cosa sulla quale il diritto del testatore è costituito non osta all’immediata efficacia reale per la parte di cosa o per il diritto spettante al testatore, come disciplinata dall’art. 652 c.c. […]». Tuttavia, il Tribunale, poco dopo, esclude tale ipotesi, non tanto per l’applicazione dell’art. 651, co. 1, c.c., che prende il posto dell’art. 652 c.c., quanto per il richiamo a due precedenti pronunzie – che non si ritengono avvalorabili (v., infra, § 3) – della Cassazione. 61 V., supra, nel testo. 62 Al riguardo, è cartesiano e pertinente l’inciso di C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, cit., 345 s.: «L’intenzione del testatore di legare la cosa per intero deve […] risultare dall’interpretazione della disposizione testamentaria». V. altresì: E. Ciaccio, op. cit., 640; G.F. Basini, op. cit., 163 s.
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3. Legato di usufrutto su cosa parzialmente altrui e comunione indivisa: alcune notazioni.
Giova ora soffermarsi, in punto di diritto, sui princìpi richiamati dal Tribunale63, circa la nullità, a priori, del legato di cosa parzialmente altrui, allorquando esso abbia a oggetto non il bene unico in comproprietà, ma, come nel caso in esame, una cosa determinata facente parte di una più ampia comunione indivisa64. Occorre inizialmente muovere dalla caratteristica – se vogliamo, principale – involgente il legato in esame, vale a dire la duplice efficacia ch’esso è a manifestare: per la parte della cosa, o un diritto sulla medesima, di cui il testatore è titolare, codesto legato produce un’efficacia squisitamente reale65, là dove, differentemente, per la parte della cosa, o un diritto sulla medesima, non di spettanza del testatore, esso produce effetti meramente obbligatori66. Quanto all’effetto obbligatorio, spetterà all’onerato ottenere la parte od il diritto non di pertinenza del testatore, al fine di traferirli, poi, al legatario (fatta salva, ad ogni
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Princìpi contenuti in Cass., 17 aprile 2002, n. 5485, cit. e Cass., Sez. un., 15 marzo 2016, n. 5068, cit. La comunione pro indiviso è quel tipo di comunione ove i diritti dei comunisti si manifestano tramite quote ideali sull’intero bene, quote che non sono ancora state porzionate tramite una parte definita del bene. Cfr. anche C. Cicero, Della comunione. Artt. 11001116, in Cod. Civ. Comm., fondato e già diretto da P. Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2017, 26 s. 65 Più che sull’art. 652 c.c., il quale prevede che per la parte di appartenenza del testatore il legato produce efficacia reale, è necessario porre mente all’art. 649, co. 2, c.c. (v. anche, infra, nt. 66). Tale disposizione, se a primo impatto pare discorrere solamente di «diritto appartenente al testatore», non deve fuorviare l’interprete. Entro tale disposizione, infatti, v’è da ricomprendersi anche il legato costitutivo di diritti reali limitati di godimento, quindi anche l’usufrutto, di modo che anch’esso abbia la medesima efficacia di un legato di disposizione di un diritto già presente nel patrimonio del testatore (cfr. G. Pugliese, op. cit., 197. Contra, G. Criscuoli, La costituzione per testamento dei diritti reali limitati, cit., 259 s.). Pertanto, affermiamo come, per la sola parte di 1/3, tale usufrutto abbia efficacia immediatamente reale. Breve inciso. A coloro i quali, come il Criscuoli, giustamente sogliono addurre, a sostegno della mancata efficacia reale della costituzione del diritto di usufrutto mediante legato, la lettera dell’art. 649, co. 2, c.c., a noi pare che vi si possa opporre (ed è per questo che riteniamo di avvalorare quanto asserito dal Pugliese) il fatto che quando il testatore costituisce su un proprio bene il diritto di usufrutto in favore del legatario, seppur non ancora esistente, e quindi non «appartenente al testatore», costui sta già “disponendo” di un diritto, quello di godimento, che rientra nel più ampio novero delle facoltà intessute nel diritto di proprietà. Contra, M. Ieva, op. cit., 56. 66 Lo stesso art. 649, co. 2, c.c., nel prevedere come il legato avente a oggetto la proprietà di una cosa determinata o altro diritto appartenente al testatore abbia efficacia reale (salvo diversa volontà del testatore: cfr., amplius, G. Criscuoli, La costituzione per testamento dei diritti reali limitati, cit., 253), consente di arguire che allorquando esso abbia invece a oggetto un diritto non appartenente (seppur in parte) al testatore, l’efficacia disvelata sarà anche (o solo) obbligatoria. Sul punto, è d’uopo richiamare G. Criscuoli, La costituzione per testamento dei diritti reali limitati, cit., 250, il quale, proprio con riferimento all’art. 649, co. 2, c.c., ebbe ad affermare che esso, «fissando i presupposti della ricorrenza dell’efficacia reale, implicitamente sancisce che, in mancanza di questi, il legato non può avere che mera efficacia obbligatoria». V. anche, seppur con i dovuti mutamenti, L. Cariota-Ferrara, I negozi sul patrimonio altrui con particolare riguardo alla vendita di cosa altrui, Padova, 1936, 361: «Al pari della vendita, gli altri negozi reali non possono dar luogo al trasferimento della proprietà quando cadono su cosa che non appartiene all’alienante, ma ad un terzo (cosa altrui)». 64
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modo, giusta l’art. 651, co. 1, secondo periodo, c.c., la facoltà67, per l’onerato, di pagare al legatario il giusto prezzo, sì da liberarsi dall’obbligazione principale)68. Se quest’ultima caratteristica rappresenta la regola, potrebbe quindi affermarsi, nel nostro caso, come il legato non sia totalmente nullo, ma efficace nei limiti della sola parte di Tizio, come per vero ipotizza, astrattamente, il Tribunale. Nel caso in cui s’ammetta tale possibilità, l’usufrutto sarà quindi validamente costituito nei limiti (1/3) della quota di Tizio, là dove, per quanto attiene all’estensione del legato di usufrutto sull’intero appartamento (in questo senso vira in modo patente la volontà di Tizio), esso avrà inizialmente efficacia meramente obbligatoria a carico dell’onerato, il quale sarà tenuto quindi a farsi assegnare, in sede di divisione del fabbricato, la proprietà esclusiva dell’intero appartamento, onde costituire poi il diritto di usufrutto su codesto bene in favore di Caia, oppure, come dianzi prospettato, corrisponderle il giusto prezzo69. Sennonché, sol che si rifletta un poco, essendo meridiana la volontà di Tizio di voler costituire l’usufrutto sull’intero appartamento, e non emergendo, come già ampiamente detto70, la consapevolezza (ex art. 651, co. 1, c.c.), da parte del medesimo, dell’alienità parziale della cosa (per la quota dei 2/3), non può affatto ammettersi la validità del legato in questione; né, intuitivamente, per l’intero appartamento, né, a nostro parere, per la sola parte di Tizio, poiché quest’ultima possibilità non può essere portata a esito, in quanto esclusa dalla manifesta voluntas testantis71. Se, a nostro parere, l’invalidità del legato de quo è inferta dalla volontà del testatore (stante quanto emerge tersamente dall’art. 651, co. 1, c.c.), ad avviso del Tribunale, invece, non è propriamente così72.
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L’obbligazione di pagare – eventualmente – il giusto prezzo, è fuor di dubbio un’obbligazione facoltativa, e non già alternativa (in quest’ultimo caso, se la prestazione del legato fosse impossibile fin dal momento di apertura della successione, o risultasse tale per causa non imputabile all’onerato, quest’ultimo sarebbe tenuto comunque a pagare il giusto prezzo al legatario, giusta l’art. 1288 c.c.; per converso, avvalorando la natura facoltativa di siffatta obbligazione, in caso d’impossibilità l’onerato è senz’altro liberato dal vincolo obbligatorio). Sul punto, per una circostanziata dissertazione, si legga, almeno, C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. II, cit., 214 e 215. V. inoltre: F. Messineo, op. cit., 49 s.; F.S. Azzariti - G. Martinez - G. Azzariti, op. cit., 470 s.; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice civile, cit., 497 s.; A. Masi, op. cit., 45; E. Perego, I legati, cit., 234; F.P. Lops, op. cit., 1041; G.F. Basini, op. cit., 160; M. Prosperetti, Legato di cosa altrui ed impossibilità della prestazione, in Vita not., 2003, 2, 1145 e 1148 ss.; G. Bonilini, Dei legati, cit., 248; C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, cit., 343; G. Capozzi, op. cit., t. II, 1154. 68 Cfr.: C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, vol. II, cit., 213 ss.; F. Messineo, op. cit., 349 e 350; G. Pugliese, op. cit., 198; A. Trabucchi, voce Legato (Diritto civile), cit., 613; A. Giordano - Mondello, op. cit., 755 s. e 758; A. Masi, op. cit., 44 ss., spec. 52; G. Bonilini, voce Legato, cit., 514; F.P. Lops, op. cit., 1040-1042; E. Perego, I legati, cit., 234; G.F. Basini, op. cit., 159 e 160; G. Bonilini, Dei legati, cit., 258; G. Capozzi, op. cit., t. II, 1155; V. Barba, Contenuto del testamento e atti di ultima volontà, Napoli, 2018, 125 s. 69 G. Pugliese, op. cit., 198. L’A., a ragione, affermò (ibidem), altresì, come in caso d’inadempimento dell’onerato il legatario potrà esperire apposita azione, ex art. 2932 c.c., al fine di ottenere una sentenza che produca i medesimi effetti della costituzione volontaria di usufrutto (v. anche, più di recente, C. Romano, op. cit., 1188). 70 V., supra, § 2. 71 V., supra, § 2. 72 Nonostante, in un primo momento, anch’esso paia muoversi nella nostra stessa direzione.
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Invero, nella parte finale del dispositivo, affiora come l’asserita nullità del legato in questione venga fatta derivare, tout court, dal più ampio principio – affermato tempo addietro dalla Suprema Corte, in quello che risulta essere l’unico precedente fino ad ora – secondo il quale il legato di cosa parzialmente altrui, allorquando la cosa faccia parte di una più ampia comunione indivisa, sia da considerarsi nullo: la Corte, nella sentenza richiamata dal giudice del merito, affermando, ad un certo punto, come «il legato con efficacia reale immediata […] debba avere un oggetto predeterminato di cui sia proprietario il testatore», arriva alla conclusione che un siffatto legato non può, pertanto, ritenersi valido, se nessuna divisione è stata effettuata, «né formalmente né in via di fatto»73. A nostro avviso, non pare rilevante il fatto che il diritto (per quota parte di 1/3) di Tizio rientri in una sòrta di più ampia comunione indivisa, poiché, seppur non ancora effettuata l’attività di divisione, si tratta pur sempre di un bene appartenente, pro quota, al testatore74, e come tale suscettibile di poter essere concesso in godimento, stante quanto racchiuso nell’art. 1103, co. 1, c.c.75 Il quale, seppur rubricato – ci permettiamo di asserire, in modo fuorviante76 – «Disposizione della quota», sgombra il campo da qualsivoglia dubbio: il singolo comunista, potendo «cedere il godimento della cosa» nei limiti della propria quota (nella specie, 1/3), potrà quindi concedere in usufrutto il bene, anche tramite disposizione a titolo particolare77. All’esito di tutto ciò, risulta limpida la possibilità, per il proprietario, di concedere in godimento il bene, pur facendo questo parte di una più ampia comunione indivisa78.
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Cass., 17 aprile 2002, n. 5485, cit., con nota adesiva di N. Monticelli, Note in tema di volontà testamentaria, disposizione mediante legato (non preventivamente identificato) e limiti di operatività dell’atto mortis causa, in Giur. it., 2003, 5, 893. 74 Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, cit., 346. 75 Sul punto, giova richiamare Cass., 5 aprile 1990, n. 2815, in Banca dati DeJure, per la quale rappresenta principio generale, nel regime giuridico della comunione pro indiviso, «quello della libera disponibilità della quota ideale [alias: del diritto] indivisa da parte di ogni partecipante (art. 1103 c.c.) […]». 76 Ci colleghiamo qui a quanto accennato sopra in nt. 5: il concetto stesso di quota, la quale manifesta, oltreché la parte del diritto di ciascun comunista nella futura divisione (A. Guarino, op. cit., 253; C. Cicero, op. cit., 10 s.; A. Gambaro, La proprietà, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, t. I, Beni, proprietà, possesso, Milano, 2017, II ed., 436), la misura di ciascuno nel poter godere, amministrare, etc., la cosa comune (A. Guarino, op. cit., 251; A. Palazzo, voce Comunione, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., III, Torino, 1988, 170. V. anche M. Dossetto, voce Comunione (Diritto civile), in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1959, 861 s.), non integra né un diritto, né l’oggetto di un diritto, ma semplicemente l’entità del godimento e della disposizione che il comunista ha sulla cosa comune (nel nostro caso, quindi, anche sull’appartamento). V’è di più. Leggendo attentamente l’art. 1103, co. 1, c.c., e tenendo bene a mente il noto e giusto brocardo rubrica legis non est lex, emerge tersamente come il legislatore abbia tenuto distinto il «diritto» – del quale ciascun partecipante può disporre – dalla «quota», la quale quindi rappresenta il limite (alias: la misura) entro cui il comunista può disporre del proprio diritto. Donde, coglie il vero il Guarino (op. cit., 251), quando, appunto, ritiene la quota una mera «misura» di partecipazione. In questo senso, v. anche A. Palazzo, voce Comunione, cit., 170. Di diverso avviso è M. Fragali, La comunione, in Tratt. dir. civ. e commerciale, già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol. XIII, t. 3, Milano, 1983, 323 ss. 77 Cfr. M. Dossetto, voce Comunione (Diritto civile), cit., 871 s. Sul punto, mette appena conto rilevare che – sicuramente per un mero refuso – l’A. richiamò, quale norma concernente la disposizione del diritto, non già l’art. 1103 c.c., ma l’art. 1108 c.c., il quale, invece, riguarda le innovazioni e gli altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Cfr. anche C.M. Bianca, Diritto civile, IV, La proprietà, Milano, 1999, 467. 78 Movendo da quanto già tersamente sostenuto, tempo addietro, da parte della dottrina (G. Branca, Comunione. Condominio negli edifici, cit., 146: «il negozio [di costituzione di usufrutto] ha efficacia immediata e non si capisce come vi sia chi ritiene che essa è invece condizionata all’esito della divisione»), ben può affermarsi come il legato di usufrutto nella misura della propria quota pro
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Lo stesso Tribunale, pur avallando l’orientamento del Giudice di legittimità, rileva, a ragione, come la motivazione, intessuta nella sentenza richiamata79, non sia del tutto «perspicua», giacché «non risulta chiaro perché un bene determinato facente parte di una comunione non sia pur sempre da considerarsi esso stesso in comunione e pro quota di spettanza del testatore». L’appartamento sul quale Tizio ha inteso costituire l’usufrutto, pur non appartenendo esclusivamente a lui, è da considerarsi comunque un bene rientrante nella comunione80; Tizio, pertanto, può disporne: per la sua parte, vi sarà un’immediata efficacia reale, mentre, per la parte non rientrante nella sua quota, vi sarà una mera efficacia obbligatoria81. A conforto della nostra opinione perviene, inoltre, la natura giuridica della comunione, la quale rappresenta il filo rosso dell’istituto, natura riassumibile nella «pluralità dei diritti su tutta quanta la cosa comune»82. Cosa comune (nel nostro caso, il fabbricato) che rappresenta, quindi, l’oggetto, unico e indiviso, di più diritti di godimento e di disposizione, i quali convogliano verso di essa (e, dunque, anche verso l’appartamento oggetto di usufrutto). Orbene, in definitiva: in linea generale, il legato di usufrutto su cosa parzialmente altrui è valido nei limiti della quota del testatore (652 c.c.), quand’anche, come nel nostro caso, vi sia una comunione non ancora divisata83. Là dove il testatore intendesse attribuire l’usufrutto al di là (nel nostro caso, sull’intero appartamento) della misura indicata dalla propria quota, allora il legato sarà valido se, giusta l’art. 651, co. 1, c.c., affiori la consapevolezza del testatore circa la parziale alienità della cosa. In codesto caso, l’onerato deve procurare il godimento al legatario, sia – chiaramente – della parte di pertinenza del testatore, sia della parte del terzo (dovrà, quindi, o procurarsela – all’esito divisionale – e darla in godimento al legatario, o procurare a quest’ultimo direttamente il godimento), oppure pagare al legatario il giusto prezzo84. Nel nostro caso, attesa la mancanza di qualsivoglia consapevolezza del testatore circa l’alienità parziale della cosa, il legato è da considerarsi nullo sia per l’intero, sia per la parte del solo testatore (1/3), poiché, come già evidenziato sopra, la volontà del testatore è inequivoca circa l’attribuzione dell’usufrutto sul solo, intero, appartamento e non relativa-
indiviso abbia efficacia immediata (al momento di apertura della successione), a prescindere dal fatto che sia intervenuta, o no, apposita attività di divisione. 79 Cass., 17 aprile 2002, n. 5485, cit. 80 In altri, forse più atecnici ma comunque icastici, termini: essendo Tizio comproprietario nella quota di 1/3 dell’intero fabbricato, egli è, a fortiori, comproprietario anche dell’appartamento sito entro detto immobile. 81 Cfr. C. Romano, op. cit., 1191. 82 V., più ampiamente, A. Guarino, op. cit., 250 e 251, cui adde, almeno, V. Scialoja, Teoria della proprietà nel diritto romano, vol. I, Roma, 1928, 435 ss. Di diverso avviso, invece, è M. Dossetto, Teoria della comunione. Studio sulla comunione dei diritti reali, Padova, 1948, 55 ss.; Id., voce Comunione (Diritto civile), cit., 859 e 860. 83 Nel caso di costituzione di usufrutto nei limiti della sola quota di Tizio, ben può affermarsi come ciò integrerebbe, senza meno, una «comunione di godimento» fra l’usufruttuario-legatario ed il terzo (G. Pugliese, op. cit., 198). 84 Cfr., altresì, G. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice civile, cit., 499. Adde: F.S. Azzariti - G. Martinez - G. Azzariti, op. cit., 472; F.P. Lops, op. cit., 1043; G. Capozzi, op. cit., t. II, 1155.
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mente alla sola quota di 1/3. Si badi bene: se è vero che la quota di 1/3 è sull’intero fabbricato, e quindi non possiamo anzitempo sapere se essa comprenderà85 – quando e semmai interverrà la divisione – o una mera parte dell’appartamento o l’intero appartamento, è altrettanto vero, tuttavia, per quanto appena tratteggiato, come si possa comunque ritenere in generale valido un legato (di proprietà, di usufrutto, etc.) anche nei limiti della propria quota pro indiviso (652 c.c.) o sull’intero (652 e 651, co. 1, c.c.)86. Da ultimo, ma non per rilevanza, è opportuno sottolineare come il richiamo positivo, da parte del giudice del merito, alla sentenza della Corte di cassazione87 in materia di donazione di bene parzialmente altrui, non aderisca particolarmente bene alla nostra fattispecie, giacché sono senz’altro diversi i princìpi e la natura intessuti nell’istituto della donazione rispetto a quelli del legato88, e segnatamente del legato di cosa parzialmente altrui, che nasce proprio per consentire al testatore di legare all’onorato anche un bene non facente parte – pure seppur parzialmente – del proprio patrimonio, nel momento in cui egli s’appresta a stendere il proprio testamento. Tenendo ferma, pur senza pertinacia, la nostra convinzione, e volendo avvalorare ancor di più quanto testé sostenuto, è d’uopo affermare che, a ben vedere, è proprio quanto rilevato in punto di motivazione dalla Cassazione89 che consente di superare, con elastico salto, qualsivoglia ostacolo di dubbio. La Corte, infatti, ha affermato come la donazione di bene (parzialmente) altrui, benché non espressamente vietata, sia da considerarsi generalmente nulla, a meno che dall’atto pubblico risulti che il donante, nel momento della donazione, fosse consapevole della alienità (anche parziale) della cosa, sicché la donazione sarà valida come donazione obbligatoria di dare. Di conseguenza, afferma sempre la Corte, la donazione della quota di un bene indiviso, compreso in una più ampia massa ereditaria, è, di regola, da considerarsi nulla, «non potendosi, prima della divisione, ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del […] donante»; nondimeno, aggiunge la Cassazione, allorquando emerga,
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«Non è, infatti, dato comprendere quale effettiva differenza corra tra i “beni altrui” e quelli “eventualmente altrui”, trattandosi, nell’uno e nell’altro caso, di beni non presenti, nella loro oggettività, nel patrimonio […]» del disponente: così, Cass., Sez. un., 15 marzo 2016, n. 5068, cit. 86 Non riteniamo di avvalorare l’opinione di G. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice civile, cit., 499 (ma v. anche F.S. Azzariti - G. Martinez - G. Azzariti, op. cit., 472), ad avviso del quale, in caso di assegnazione dell’intera cosa (o diritto) ad altro comunista, il legato di cosa parzialmente altrui è da considerarsi nullo là dove manchi una dichiarazione del testatore, circa la conoscenza della «totale alienità della cosa» (corsivo aggiunto dallo scrivente). Difatti, a nostro parere, già la consapevolezza del testatore – per il solo caso del legato di cosa parzialmente altrui – circa l’appartenenza della cosa ad una più ampia comunione, riflette senz’altro, seppur implicitamente, la previsione (rectius: la consapevolezza), da parte del medesimo, che il bene possa in futuro, in sede di divisione, essere assegnato per intero ad altro condividente (cfr. anche A. Masi, op. cit., 53). 87 Cass., Sez. un., 15 marzo 2016, n. 5068, cit., con nota, pregna di rilievi senza meno interessanti, di A. Ambanelli, Donazione di bene indiviso, e donazione di bene altrui, in Fam. dir., 2016, 11, 1054 ss. V. anche, a guisa di completezza, la nota di U. Carnevali, La donazione di beni altrui nella sentenza delle Sezioni Unite, in Corr. giur., 2016, 5, 613 e 614. 88 F. Messineo, op. cit., 326 e 327; A. Trabucchi, voce Legato (Diritto civile), cit., 610; G. Bonilini, Il concetto, in G. Bonilini - G.F. Basini, I legati, in Tratt. dir. civ. del Consiglio naz. del Notariato, diretto da P. Perlingieri, vol. VIII, 6, Napoli, s. d., ma 2003, 13 ss. 89 Cass., Sez. un., 15 marzo 2016, n. 5068, cit.
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dall’atto pubblico, la conoscenza, da parte del testatore, dell’alienità (parziale) della cosa, la donazione sarà valida e produrrà meri effetti obbligatori90. Ora, se questo è l’orientamento della Suprema Corte – la quale, appunto, ammette una donazione di cosa parzialmente altrui (facente parte di una più ampia comunione indivisa) con effetti squisitamente obbligatori, a rigore non prevista affatto dal legislatore91 –, a nostro avviso il Giudice del merito erra quando adduce tale pronunzia a sostegno della nullità, a priori, del legato di cosa parzialmente altrui, allorquando la cosa faccia parte di una più ampia comunione indivisa, poiché le disposizioni di legge (alias: gli artt. 651, co. 1, e 652 c.c.), dettate dal legislatore in materia di legatum rei alienae, sono previste proprio per attribuire efficacia (anche) obbligatoria ad un legato di tal fatta, cioè a dire ad un legato che abbia a oggetto un bene (o un diritto) parzialmente o totalmente altrui. Marco Ramuschi
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Come, a ben vedere, il legato di cosa – totalmente o parzialmente – altrui. Cfr., almeno, A. Torrente, La donazione, in Tratt. dir. civ. e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2006, II ed., a cura di U. Carnevali e A. Mora, 497 ss.
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