Familia 2/2020

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ISSN 1592-9930

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Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa

Rivista bimestrale

marzo - aprile 2020

D iretta da Salvatore Patti Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Francesco Macario, Lucilla Gatt (vicedirettore), Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda

www.rivistafamilia.it

IN EVIDENZA  Cambiamento del nome della persona transessuale e diritto all’oblio (nota a Cass. civ., sez. I, ord. 17 febbraio 2020, n. 3877) Salvatore Patti - Cristina Caricato

 Gli accordi di reintegrazione della legittima Luca Collura

 Successione mortis causa nel patrimonio digitale e diritto alla protezione dei dati personali

Anna Anita Mollo

Pacini



Indice Parte I Dottrina Luca Collura, Gli accordi di reintegrazione della legittima................................................................... p. 165 Anna Anita Mollo, Successione mortis causa nel patrimonio digitale e diritto alla protezione dei dati personali.............................................................................................................................................» 181 Maria Camino Sanciñena, Il minore nell’ambito sanitario in Spagna........................................................» 203 Parte II Giurisprudenza Salvatore Patti - Cristina Caricato, Cambiamento del nome della persona transessuale e diritto all’oblio (nota a Cass. civ., sez. I, ord. 17 febbraio 2020, n. 3877).........................................................» 221 Valerio Brizzolari, L’educazione religiosa del figlio tra libertà personale del genitore e interesse del minore (nota a Cass. civ., sez. I, 30 agosto 2019, n. 21916).............................................................» 235 Marco Ramuschi, Accettazione beneficiata dell’eredità devoluta ad un ente morale e indefettibile stesura dell’inventario (nota a Cass. civ., sez. II, ord., 27 maggio 2019, n. 1442)..................................» 251

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Gli accordi di reintegrazione della legittima* Sommario: 1. Premessa. – 2. La natura giuridica degli accordi di reintegrazione

della legittima. – 3. La forma degli accordi di reintegrazione della legittima. – 4. La pubblicità degli accordi di reintegrazione della legittima. – 5. Conclusioni: la necessaria analisi caso per caso e questioni pratiche.

In this paper an investigation will be carried out to clarify in what the so-called “Acts of reinstatement of legitimacy” consist and how doctrine and jurisprudence, in despite of the meager legislative discipline, which treats them only from a fiscal point of view, have framed them within the framework of our legal system.

1. Premessa. Il nostro Codice civile, agli artt. 536 ss., dà la definizione di “legittimari” e specifica che la legge riserva loro una quota di eredità o altri diritti sulla successione di colui rispetto al quale possano vantare tale titolo. La quota di eredità o gli altri diritti loro riservati formano la c.dd. quota di legittima1, la cui misura varia a seconda del numero e della qualità dei legittimari esistenti al momento della morte dell’ereditando.

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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima. La dottrina che potremmo definire più rigorosa, però, ritiene sul punto di dover distinguere tra quota di eredità riservata e quota di legittima: la quota ereditaria riservata di cui parla l’art. 536 c.c. non si identificherebbe con la quota di patrimonio individuata dal disposto degli artt. 537 ss. c.c. In particolare, per “quota di legittima” dovrebbe intendersi la parte della massa ereditaria astrattamente riservata ai legittimari da individuare ai sensi dell’art. 556 c.c. ed indicante l’utile netto minimo che il legittimario ha diritto a conseguire; per “quota di eredità riservata” si intenderebbe invece il rapporto tra la porzione indisponibile spettante al legittimario ai sensi degli artt. 537 ss. c.c. calcolata sulla massa determinata ai sensi dell’art. 556 c.c. e il relictum diminuito dei debiti (così L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 2000, 60 ss.; C. Carbone, Casi notarili. Mortis Causa – Inter Vivos – Diritto Commerciale, Milano, 2017, 47 e 48). A chiarimento, G. Capozzi, Successioni e donazioni, IV ed., Tomo I, a cura di A. Ferrucci – G. Ferrentino, Milano, 2015, 405 e 406, riporta il seguente esempio numerico: «Tizio ha lasciato un’eredità di 120, debiti per 20 e, in vita, ha effettuato donazioni per 40;

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Qualora, all’apertura della successione, questi soggetti si vedano lesi nella loro quota di legittima, l’ordinamento giuridico permette loro di ricorrere all’azione di riduzione2, strumento attraverso il quale il legittimario potrà ottenere una sentenza di accertamento costitutivo3 che renda inefficaci4 nei suoi confronti le donazioni effettuate in vita dal de cuius nonché le sue disposizioni testamentarie nella misura in cui ciò sia necessario per reintegrare i diritti che la legge gli riserva5. Tuttavia, molto spesso la tutela dei diritti del legittimario leso passa non attraverso il positivo esperimento di un’azione giudiziale ma appositi accordi6 stipulati con i beneficiari

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sua unica legittimaria è la moglie Tizia. Orbene, la massa fittizia sulla quale va calcolata la porzione di legittima spettante a Tizia si determina, ai sensi dell’art. 556 sottraendo dal relictum (120) i debiti (20) ed aggiungendo al risultato parziale così ottenuto il valore del donatum (40); nel nostro caso il valore di tale massa risulta allora pari a 140. […] a Tizia spetta a titolo di legittima un utile netto non inferiore ad 1/2 della massa […]; in altri termini la legittima di Tizia è di 70. Al fine di stabilire quale sia la quota di eredità che Tizia ha diritto a conseguire per ottenere tale valore minimo, occorre rapportare il valore della porzione legittima di Tizia (70) al valore del relictum al netto dei debiti (120-20=100); si ottiene così un rapporto di 7/10»; rapportando tale valore frazionario al relictum lordo (120), si ottiene che la quota di eredità riservata a Tizia è 7/10 di 120, vale a dire 84 (di cui 70 utile netto e 14 debiti). A seconda della tesi cui, nel prosieguo del presente lavoro, si riterrà di aderire in merito alla natura giuridica da attribuire agli accordi oggetto di approfondimento, al legittimario dovrà essere reintegrato un valore pari al solo utile netto o alla quota di eredità riservata o, addirittura, un valore diverso da entrambi, ove si aderisse alla tesi della natura transattiva. Sull’azione di riduzione in generale si vedano: Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 523 ss.; Studio CNN n. 534-2017/C, L’efficacia dell’azione di riduzione e restituzione nei confronti del creditore pignorante e dell’aggiudicatario, Approvato dal Gruppo di studio sulle Esecuzioni Immobiliari e Attività Delegate il 4/12/2017, consultabile sul sito www.notariato.it, a cura di L. Piccolo. Secondo la più autorevole dottrina, quando la giurisdizione è vincolata, la sentenza avrebbe sempre natura di accertamento, dovendosi poi distinguere tra: a) sentenza di “accertamento mero”, che si ha quando un determinato effetto si produce a prescindere dall’accertamento del giudice (ad es., la sentenza che accerta e dichiara la nullità di un contratto, il quale è inefficace a prescindere dalla pronuncia giudiziale); b) sentenza di “accertamento costitutivo”. Rispetto agli effetti della sentenza che accolga l’azione di riduzione esperita dal legittimario leso o totalmente pretermesso, il significato da attribuire alla locuzione “accertamento costitutivo” è oggetto di discussioni in seno alla dottrina; in merito si rinvengono due tesi: secondo la prima (Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 231; Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 525; F Moncalvo, Sulla natura giuridica dell’azione di riduzione, in Familia, 2004, 177; Cass., 26 novembre 1987, n. 8087), il termine “costitutivo” andrebbe inteso nel senso che la sentenza accerta la lesione subita dal legittimario, il quale però viene poi investito nei propri diritti di riserva ope legis e non ope judicis, in quanto, dopo che la sentenza ha rimosso il limite rappresentato dall’incertezza circa l’an e il quantum della lesione, le disposizioni sulla successione necessaria potranno liberamente operare; per la seconda delle tesi in commento (F. Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, V ed., I, Roma, 1956, 35, per il quale «Si dà giurisdizione di accertamento costitutivo quando l’esistenza del rapporto giuridico giudizialmente dichiarato dipende dalla dichiarazione giudiziale, la quale ne forma perciò un fatto costitutivo»; A. Pino, La tutela del legittimario, Padova, 1954, 63, 76 e 126), la sentenza avrebbe efficacia costitutiva nel senso che il rapporto non deriva se non in quanto il fatto stesso sia accertato dal giudice e che lo stesso accertamento giudiziale è l’elemento costitutivo della vicenda, cosicché il legittimario che abbia esperito vittoriosamente l’azione di riduzione ottiene la sua quota di riserva non già ope legis in forza delle disposizioni sulla successione necessaria bensì ope judicis, in virtù della sentenza che accerta la lesione dei suoi diritti (come, e.g., nel caso di sentenza che accerti l’annullabilità di un contratto e di conseguenza lo annulli, nel qual caso l’annullamento non è un effetto della legge bensì della pronuncia giudiziale, atteso che il contratto annullabile, fintanto che non sia intervenuta la sentenza “costitutiva” di annullamento, è invalido ma pienamente efficace). Si tratta di un’inefficacia relativa e sopravvenuta, atteso che la medesima potrà essere fatta valere solo dal legittimario che abbia vittoriosamente esperito l’azione ed essendo le disposizioni testamentarie e le donazioni che ne sono oggetto perfettamente efficaci fintanto che non interviene la sentenza. In questi termini Pino, La tutela del legittimario, cit., 78 ss.; Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 232 ss.; F. Santoro-Passarelli, Dei legittimari, in Comm. cod. civ. D’Amelio-Finzi, Libro delle Successioni per causa di morte e delle Donazioni, Firenze, 1941, 331. C. Ungari Trasatti, L’accordo di integrazione della legittima, consultabile sul sito https://art.torvergata.it/, pag. https://art.torvergata. it/handle/2108/569?mode=full#.XiRm5SN7kdU, 62. La dottrina (L. Ferri, Dei legittimari, II ed., in Comm. Scialoja Branca, Artt. 536-564, Bologna-Roma, 1981, 1 ss.; A. Tullio, L’azione di riduzione, l’imputazione ex se, in G. Bonilini, Trattato di diritto delle successioni e donazioni, III, La successione legittima, Milano, 2009, 615; F. Salvatore, Accordi di reintegrazione di legittima: accertamento e transazione, in Riv. not., 1996, 211 ss.; R. Apicella, Successioni e donazioni, a cura di C. Carbone, Milano, 2011, 97 e 98) ammette pressoché pacificamente che la tutela dei diritti di

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delle disposizioni lesive o delle donazioni, con i quali si intende raggiungere un risultato in tutto o in parte sovrapponibile a quello conseguibile attraverso il provvedimento di un giudice, noti come accordi di (re)integrazione della legittima7.

2. La natura giuridica degli accordi di reintegrazione della legittima.

Un tema molto dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza è quale sia la natura giuridica da riconoscere agli accordi in oggetto8, atteso che la scarna disciplina in materia9 si limita a dettarne il trattamento fiscale. Tali negozi sono stati qualificati come: a) transazione; b) negozio unilaterale di tacitazione dei diritti; c) rinuncia; d) novazione; e) contratto divisorio; f) negozio di accertamento. Secondo qualcuno10, gli accordi de quibus avrebbero la natura giuridica di transazione. Nello specifico, con un simile negozio le parti (il legittimario leso e i beneficiari delle disposizioni testamentarie lesive dei suoi diritti di legittima e/o i donatari del de cuius), facendosi reciproche concessioni – consistenti, da parte del primo, nella rinuncia all’azione giudiziale11 e, da parte dei secondi, nel trasferimento al legittimario, a tacitazione di ogni sua pretesa, di beni propri o dell’eredità, il cui valore non deve corrispondere alla lesione

riserva avvenga in sede extragiudiziale attraverso dei negozi inter vivos tra il legittimario leso ed i beneficiari delle disposizioni lesive della sua legittima. 7 La materia è stata da ultimo profondamente trattata da A. Azara, Gli accordi di integrazione della legittima, in V. Cuffaro, Successioni per causa di morte. Esperienze ed argomenti, Torino, 2015, 377 ss. 8 Puntuale ed articolata è la ricostruzione delle varie opinioni dottrinarie e giurisprudenziali di D. Tessera, I contratti per la risoluzione delle controversie, Torino, 2019, 213 ss. 9 Art. 43 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, il quale dispone che «Nelle successioni testamentarie l’imposta si applica in base alle disposizioni contenute nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonché agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, salvo il disposto, in caso di accoglimento dell’impugnazione o di accordi sopravvenuti, dell’art. 28, comma 6, o dell’art. 42, comma 1, lettera e). La disposizione rappresenta l’evoluzione dell’art. 6 dell’abrogato r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, il quale, sempre in materia tributaria, disponeva che «Nelle successioni testate la tassa si applica in base alle disposizioni testamentarie, anche se il testamento sia impugnato giudizialmente, salvo che non sia annullato in tutto od in parte con sentenza passata in giudicato. Questa regola però non si applica, quando col testamento siano stati lesi i diritti riservati dal codice civile ai legittimari e questi diritti risultino integrati d’accordo tra le parti». 10 A. Genovese, L’atipicità dell’accordo di reintegrazione della legittima, in Nuova giur. civ. comm., 2007, 502 ss.; Id., Annullabilità per errore e rescissione per lesione dell’atto di reintegrazione della legittima, in Fam. pers. succ., 2007, 812 ss.; Salvatore, Accordi di reintegrazione di legittima: accertamento e transazione, cit., 218; Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 600; CNN Risposta a Quesiti 15/04/1998 n. 1793, Atto integrativo della legittima compiuto da inabilitato, in BDN, a cura di A. Ruotolo, nel quale si legge che «In sostanza l’atto con cui, prima dell’eventuale esercizio dell’azione di riduzione si proceda alla reintegrazione della legittima è atto di natura transattiva, in quanto mira ad evitare una soluzione giurisdizionale della controversia relativa alla pretermissione dell’erede»; Apicella, Successioni e donazioni, cit., 98. In giurisprudenza Cass., 21 aprile 1979, 2228; Trib. Monza, 12 maggio 2005, in Rep. giur., massima redazionale, 2005; Trib. Milano, 2 maggio 2006, in Nuova giur. comm., 2007, 502 ss. 11 Cass., 9 aprile 2019, n. 9905, ha ritenuto che, in caso di figlio nato fuori dal matrimonio non riconosciuto, ove, in sede di accordo con gli eredi del de cuius (suo padre), a fronte di una determinata somma di denaro, egli rinunci, oltre che ai propri potenziali diritti ereditari, anche all’esercizio dell’azione per il riconoscimento della paternità, il negozio (nella specie, una transazione) sia tout court nullo perché vertente su diritti indisponibili, qualora risulti chiaramente che, in assenza della rinuncia ad essi, non si sarebbe nemmeno addivenuti alla tacitazione delle potenziali spettanze ereditarie.

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(che non viene accertata12 e, anzi, rimane irrilevante) –, pongono fine ad una lite tra loro esistente o ne prevengono il sorgere13. Questa tesi, però, pone il fianco all’obiezione per la quale, quanto meno nell’ipotesi in cui le parti non si facciano reciproche concessioni, quantificando esattamente la lesione sofferta dal legittimario ed attribuendogli beni ereditari di valore ad essa pienamente corrispondente, non si potrebbe di certo parlare di transazione, venendone a mancare un elemento essenziale14. Secondo altra opinione15, all’accordo potrebbe riconoscersi la natura di rinuncia a titolo oneroso all’azione di riduzione da parte del legittimario leso o pretermesso. La volontà delle parti sarebbe infatti quella di trasferire al legittimario la titolarità di determinati diritti, non necessariamente ereditari, a fronte della sua rinuncia ad esercitare l’azione di riduzione16. Altra ricostruzione possibile17 sarebbe quella di rinvenire negli accordi di reintegrazione della legittima una negozio atipico riconducibile allo schema di cui agli artt. 767, 1432, 1450, 1467 e 1468 c.c. I sostenitori di questa tesi si dicono consapevoli delle profonde differenze esistenti tra le fattispecie regolate dagli articoli richiamati e quella in commento ma, ciononostante, ritengono di poterle richiamare in quanto dalle stesse sarebbe desumibile il principio per cui il legislatore ha ritenuto meritevole di cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico un negozio unilaterale attraverso il quale la parte che vi ha interesse eviti all’altra di far ricorso al giudice offrendole di sanare la situazione esistente. La natura giuridica di un atto di tal guisa sarebbe quella di negozio giuridico unilaterale recettizio18 al quale il destinatario, se lo dovesse considerare vantaggioso, potrebbe prestare adesione, così perdendo definitivamente il diritto di agire in riduzione per mancanza d’interesse. Ove, invece, intervenisse il rifiuto, sarebbe ancora possibile evitare l’esperimento dell’a-

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La lesione, infatti, rappresenta la res dubia, elemento essenziale di una transazione. Il legittimario riceve quindi, con un atto inter vivos, i beni, anche non ereditari, necessari a soddisfare i suoi diritti e, a fronte di ciò, egli rinuncia all’esercizio dell’azione di riduzione. 14 Per Ungari Trasatti, L’accordo di integrazione della legittima, cit., 37, la qualificazione del negozio come transazione non sarebbe accettabile in ogni caso, in quanto non rileverebbe tanto la mancanza delle reciproche concessioni quanto il fatto che tale tipo negoziale prescinderebbe del tutto dalla lesione dei diritti successori, ai quali non porrebbe rimedio, limitandosi ad evitare (o a risolvere) una lite ad essi relativa. Secondo l’A. «Il limite strutturale dello schema transattivo consiste infatti nel superare la lite senza accertare la situazione giuridica preesistente, ma anzi prescindendone. In ciò si coglie la particolarità di questo negozio, il cui oggetto […] non coincide con la situazione controversa (nel caso di specie, l’esistenza e l’ammontare della lesione). In ogni caso il punto che preme ribadire è che con la composizione della lite non è attuata la pretesa delle parti e quindi, dal punto di vista del legittimario, non è integrata la legittima. Nella transazione, l’esistenza di una normativa in tema di successione necessaria rileva solamente come presupposto del negozio, ma non la caratterizza. […] L’inadeguatezza della transazione a spiegare la natura degli accordi di integrazione della legittima, quindi, a differenza di quanto afferma parte della dottrina, solo apparentemente è dovuta al fatto che in alcune ipotesi difettano le reciproche concessioni (elemento, come visto, caratterizzante la transazione). In realtà, lo ribadisco, il motivo è, dal punto di vista strutturale, un altro: la transazione, al pari degli altri atti tipici che integrino solo in senso economico la legittima, è un contratto la cui funzione tipica prescinde da quella di integrare i diritti di legittima». 15 A. Bulgarelli, Gli atti «dispositivi» della legittima, in Not., 2000, 495. 16 Fermo il divieto di rinuncia all’azione di riduzione finché vive il donante disposto dall’art. 557 c.c., il legittimario può rinunciare all’actio di riduzione dopo l’apertura della successione. A fronte di tale negozio il legittimario: a) consegue la titolarità dei beni lui trasferiti con efficacia ex nunc, quale avente causa della controparte contrattuale; b) non diventa erede del de cuius e, conseguentemente, non diviene parte della comunione ereditaria. 17 Bulgarelli, Gli atti «dispositivi» della legittima, cit., 493 e 494. 18 Tale atto, però, non avrebbe natura di proposta contrattuale tecnicamente intesa. 13

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zione di riduzione adendo l’autorità giudiziaria perché la medesima si pronunci in ordine all’adeguatezza della prestazione offerta19. Secondo altro filone di pensiero20, i negozi de quibus sarebbero inquadrabili nello schema della novazione. Le parti si accorderebbero, quindi, nel senso di estinguere l’obbligo legale di integrare la legittima sostituendolo con una nuova ed autonoma obbligazione, che potrà assumere il contenuto più disparato e che rappresenterà il titolo di acquisto del legittimario21. Nel particolare caso che tra il legittimario leso22 e il beneficiario delle disposizioni testamentarie e/o il donatario esista uno stato di comunione ereditaria23, una diversa opinione dottrinaria24 qualifica l’accordo de quo come negozio divisorio. In tale ipotesi, le parti possono accordarsi nel senso di far cessare detto stato di comunione con una transazione divisoria (nel qual caso la divisione sarà non tanto il fine cui esse mirano quanto il mezzo per porre fine alla lite relativa alla lesione di legittima, prescindendo dall’effettivo corretto apporzionamento delle quote di comproprietà) ovvero con una divisione transattiva (qualora la causa del negozio non sia tanto da rinvenire nella composizione della lite concernente la lesione di legittima quanto in quello di apporzionare ciascun condividente secondo la quota ad ognuno spettante)25.

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Secondo Bulgarelli, Gli atti «dispositivi» della legittima, cit., 494, nota 113, sarebbero infatti in tal caso applicabili i principi dettati dalla Cassazione (nello specifico Cass., 8 agosto 1987, n. 6793) in tema di riscatto agrario. In sostanza, secondo l’A., in caso di rifiuto del legittimario oblato, il proponente potrebbe ricorrere al giudice chiedendogli un provvedimento che produca gli effetti dell’accettazione da parte del legittimario. Tale tesi, tuttavia, non mi trova d’accordo: ove intervenisse il rifiuto del legittimario, non è detto che lo stesso dipenda da una valutazione circa la congruità o meno dell’offerta; il rifiuto, infatti, potrebbe essere figlio di una volontà dell’oblato di rispettare le scelte del de cuius, anche a fronte di un suo mancato arricchimento patrimoniale. Se si ammettesse che il provvedimento del Giudice si sostituisca all’accettazione del predetto, si priverebbe quest’ultimo financo della libertà di decidere se rispettare o meno le volontà dell’ereditando. Ad ogni modo, aderendo a questa ricostruzione, il legittimario: a) consegue la soddisfazione dei propri diritti con un atto tra vivi come avente causa dell’altro contraente; b) non otterrà la qualità di erede del de cuius. 20 Genovese, Annullabilità per errore e rescissione per lesione dell’atto di reintegrazione della legittima, cit., 817. 21 Se si aderisce a tale tesi, il legittimario: a) acquista i propri diritti inter vivos quale avente causa della sua controparte contrattuale; b) non consegue lo status di erede. 22 Non anche pretermesso, altrimenti non potrebbe venirsi a creare il presupposto della comunione ereditaria. 23 Questa situazione può ricorrere, per esempio nel caso che segue: Tizio è pieno ed esclusivo proprietario della casa adibita a residenza familiare, ove vive con la moglie Tizia e l’unico figlio Primo, e non possiede altri beni; all’apertura della successione di Tizio, viene pubblicato il di lui testamento pubblico con il quale egli istituisce suoi eredi la moglie nella quota di 9/10 ed il figlio nella quota di 1/10. Viene così a prodursi sia una comunione ereditaria relativa alla (ormai ex) casa familiare tra Tizia ed il figlio Primo sia una lesione di legittima a danno di quest’ultimo. 24 Genovese, L’atipicità dell’accordo di reintegrazione della legittima, cit., 511 e 512. 25 In materia di divisione transattiva e transazione divisoria, è oggetto di grandi disquisizioni teoriche quale sia la linea di demarcazione tra le due fattispecie. Secondo l’opinione dottrinale più recente (G. Bonilini, voce «Divisione», in Dig., sez. civ., Torino, 1990, 495; T. Bonamini, Sulla distinzione fra divisione transattiva e transazione divisoria, in Fam. pers. succ., 2010, 610; A. Passarella, Sulla distinzione fra divisione transattiva e transazione divisoria, in I Contratti, 2015, 567; Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 1357 e 1358) e la giurisprudenza (Cass., 10 luglio 1985, n. 4106; Cass., 2 febbraio 1994, n. 1029; Cass., 6 agosto 1997, n. 7219; Cass., 3 settembre 1997, n. 8448; Cass., 18 settembre 2009, n. 20256; Cass., 3 agosto 2012, n. 13942), la divisione transattiva ha natura di negozio divisorio in quanto, malgrado finalizzata alla composizione di una lite, non prescinde mai da attribuzioni proporzionali alle quote di diritto a ciascuno spettanti, mentre la transazione divisoria ha natura di autentica transazione, perché, con questo negozio, sia esso contestuale o successivo alla divisione, le parti, intendendo comporre ogni questione tra loro insorta, anche non riguardante la divisone in sé, determinano lo scioglimento della comunione operando delle attribuzioni di valore non necessariamente corrispondente a quello delle quote di diritto a ciascuna spettanti; secondo la dottrina più risalente (per tutti P. Forchielli – F. Angeloni, Divisione, in Comm. ScialojaBranca, a cura di F. Galgano, Artt. 713-768, Bologna-Roma, 2000, 741 ss..), si dovrebbe invece applicare un criterio cronologico: a) se

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La tesi che pare di gran lunga prevalere in dottrina ed essere stata accolta dalla giurisprudenza è, però, quella ad avviso della quale è possibile rinvenire negli accordi in parola un negozio di accertamento26. Questo orientamento, tuttavia, si biforca poi tra quanti ritengono che si tratti di un negozio di accertamento costitutivo27 e quanti, in maggioranza, ne predicano la natura meramente dichiarativa28. Coloro che sostengono si tratti di un negozio di accertamento costitutivo ritengono che i suoi effetti si esplichino in due momenti: nel

l’atto è posto in essere prima della divisione o durante la stessa, allora si tratta di divisione transattiva; b) se l’atto è posto in essere dopo la divisione, allora si tratta di transazione divisoria. In nuce, se per la dottrina e la giurisprudenza di legittimità più recenti, alle quali si ritiene di aderire, il discrimen fra divisione transattiva e transazione divisoria è di tipo causale e consiste nel fatto di volere le parti dirimere la lite operando comunque delle attribuzioni proporzionali alle quote di diritto a ciascuna astrattamente spettanti o meno, ad avviso della dottrina più risalente la differenza tra le due figure è da rinvenire nel profilo cronologico, avendosi divisione transattiva se essa intervenire prima della divisione o durante le operazioni divisionali e transazione divisoria ove essa intervenga dopo la divisione. Una critica al criterio adottato dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recenti è mossa da G.A.M. Trimarchi, Divisione transattiva e transazione divisoria, in AA.VV., Contratto di divisione e autonomia privata, in elibrary.fondazionenotariato.it, pag. https://elibrary. fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=17/1710&mn=3, il quale scrive che: «Sebbene chiara in punto descrittivo, la distinzione dottrinale tutta concentrata sul principio della rilevanza causale corre il rischio dell’astrattezza. L’esperienza insegna, infatti, che non sempre risulta facile “pesare” la preponderanza della causa divisoria rispetto a quella transattiva». 26 Così, in giurisprudenza, Cass., 18 giugno 1956, n. 2171. Il negozio di accertamento non è disciplinato dal Codice civile ma è frutto di un’elaborazione giurisprudenziale e, soprattutto, dottrinale (in materia, tra i tanti che hanno trattato l’argomento: M. Giorgianni, Il negozio di accertamento, Milano, 1939; Id., Accertamento (negozio di), in Enc. dir., I, Milano, 1958, 231 ss.; F. Carnelutti, Note sull’accertamento negoziale, in Riv. dir. proc. civ., 1940, 3 ss.; R. Corrado, Negozio di accertamento, in Noviss. Dig. It., XI, Torino, 1965, 196 ss.; C. Furno, Accertamento convenzionale e confessione stragiudiziale, Firenze, 1948; A. Falzea, Accertamento (Teoria generale), in Enc. dir., I, Milano, 1958, 205 ss.; F. Santoro-Passarelli, L’accertamento negoziale e la transazione, in Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, II, Torino, 1960, 1491 ss.). Esso può essere definito come il negozio con cui le parti rimuovono retroattivamente una situazione di incertezza sul concreto assetto dei rapporti tra le stesse intercorrenti. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ammettono la possibilità per i privati di conseguire il medesimo effetto di una pronuncia giudiziale dichiarativa, attraverso un accordo che fissi il contenuto di una pregressa situazione o di un precedente rapporto. La causa del negozio di accertamento sarebbe quindi da rinvenire nella rimozione di uno stato di incertezza e sarebbe meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. Contra, Ungari Trasatti, L’accordo di integrazione della legittima, cit., 64 ss., per il quale il negozio di accertamento non sarebbe sufficiente a dispiegare gli effetti che la dottrina di cui appresso vorrebbe attribuirgli. 27 Salvatore, Accordi di reintegrazione di legittima: accertamento e transazione, cit., 215, che qualifica questi negozi come «l’atto con cui erede e riservatario, riconosciuta la lesione di legittima, convengono che il primo abbandoni al legittimario la quota sui beni facenti parte dell’asse ereditario, che a quest’ultimo spetta in quanto eccedente la porzione disponibile». 28 G. Santarcangelo, Gli Accordi di reintegrazione di legittima, in Not., 2011, 162 ss., il quale, in risposta all’obiezione per cui, se il legittimario vuole conseguire il titolo di erede, non può farlo tramite una convenzione negoziale ma deve necessariamente esperire l’azione di riduzione, sostiene che «quando non vi è contenziosità tra le parti circa i presupposti applicativi di una fattispecie, non serve il ricorso all’autorità giudiziaria per accertare “i fatti di causa”. Basta raggiungere il risultato. E l’autonomia contrattuale, mancando una norma che disponga in senso contrario, ben può, in questo caso, raggiungere il risultato voluto dalle parti»; Id., Formalità urbanistiche negli atti tra vivi, Milano, 2019, 180; D. Cavicchi, Accordi per la reintegrazione della legittima, in I Contratti, 2009, 1020; S. Nappa, La successione necessaria, Padova, 1999, 191; Apicella, Successioni e donazioni, cit., 98; A. Torroni, La pubblicità degli accordi di reintegrazione della legittima, Relazione al Convegno “La pubblicità nei registri immobiliari: casi e questioni di interesse notarile”, Taormina, 2014, consultabile sul sito www.notaiotorroni.it, pag. www.notaiotorroni.it/application/documenti/42414Accordi%20di%20reintegrazione%20 della%20legittima.pdf; Id., La Reintegrazione della quota riservata ai legittimari nell’impianto del codice civile, in Giur. It., 2012, 1959: «L’accordo delle parti non costituirà il titolo di acquisto del legittimario ma avrà semplicemente la funzione di rimuovere l’ostacolo al prodursi della vocazione legale in favore del legittimario stesso»; F. Santoro-Passarelli, L’accertamento negoziale e la transazione, in Riv. trim. proc. civ., 1956, 1 ss.; G. Manzini, Il negozio di accertamento: inquadramento sistematico e profili di rilevanza notarile, in Riv. not., 1996, 1432 ss. In giurisprudenza, la recentissima Cass., 17 gennaio 2019, n. 1141, ha ritenuto che «Il legittimario, in alternativa alla via giudiziale, può addivenire ad un accordo negoziale con i beneficiari delle disposizioni lesive, al fine di vedere ripristinati i propri diritti, accordo non tipizzato dal legislatore, che ha rimesso alla autonomia privata l’individuazione del concreto assetto negoziale attraverso il quale raggiungere il risultato voluto, cioè quello di reintegrare la quota di riserva, o quantomeno un valore corrispondente a tale quota; a tale tipologia di accordi, i quali tengono luogo della sentenza che accoglie la domanda di riduzione delle disposizioni lesive, viene generalmente attribuita natura non transattiva, ma meramente ricognitiva, di accertamento, in quanto i soggetti interessati riconoscono l’inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive, mentre la qualificazione in termini di transazione richiede pur sempre l’esistenza dell’elemento delle reciproche concessioni»; conforme Cass., 18 giugno 1956, n. 2171.

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primo l’erede (o il legatario o donatario) riconosce che il legittimario è stato leso nei suoi diritti di legittima; nella seconda fase, a tacitazione di tali diritti, gli trasferisce beni di valore corrispondente alla quota di legittima lui spettante29. Chi, invece, è dell’opinione che si tratti di un negozio di accertamento con efficacia dichiarativa ritiene che suo risultato tipico ed immediato sia il riconoscimento della lesione e la produzione dei medesimi effetti della pronunzia giudiziale di riduzione30, compreso, quindi, l’acquisto dello status di heres31

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In nuce, si tratta di un atto con cui, previo accertamento e riconoscimento della lesione patita dal legittimario, l’erede (o il legatario o il donatario) gli trasferisce dei beni a titolo di tacitazione di ogni diritto a questi spettante. A fronte di tale trasferimento, però, il legittimario non diviene mai erede né partecipa alla comunione ereditaria. Pertanto il trasferimento a favore del legittimario trova titolo nel negozio di accertamento costitutivo, cioè in un atto inter vivos con effetti necessariamente ex nunc, in virtù del quale il predetto è avente causa della sua controparte contrattuale per cui non consegue lo status di erede dell’ereditando e non entra a far parte della comunione ereditaria. 30 Cass. 18 giugno 1956, n. 2171, la quale ha icasticamente statuito che «Non è lecita alcuna distinzione di effetti giuridici tra il caso in cui l’azione di riduzione sia stata esercitata in giudizio con esito favorevole dal caso in cui le parti, a seguito della ricostruzione dell’asse ereditario, abbiano proceduto alla determinazione e relativa assegnazione alla parte dei beni dell’erede leso»; Cass., 4 maggio 1972, n. 1348, nella cui motivazione si legge «Nel momento in cui l’erede testamentario riconosce a favore del legittimario pretermesso i suoi intangibili diritti successori, quest’ultimo diventa automaticamente partecipe della comunione ereditaria e possessore, con effetto dalla apertura della successione e senza necessità di materiale apprensione, della sua quota di eredità su tutti i beni ereditari, in conformità a quanto dispone l’art. 1146 cod. civile»; Cass., 30 ottobre 1974, n . 3334; Cass., 3 maggio 1979, n. 2554, la quale ha affermato che le convenzioni con cui l’erede testamentario ed i legittimari preteriti o lesi soddisfino i diritti di riserva di questi ultimi, inserendosi nella vicenda successoria, avendo natura sostanzialmente ereditaria, sono tassabili con l’imposta di successione e non con l’imposta di registro applicabile agli atti inter vivos; Cass., 24 novembre 1981, n. 6235, per cui la convenzione con cui l’erede testamentario ed i legittimari pretermessi, o comunque lesi nei propri diritti di legittima, provvedano al soddisfacimento di tali diritti è assoggettata ad imposta di successione e non all’imposta di registro come atto traslativo inter vivos; Cass., 22 ottobre 1988, n. 5731; Cass., 9 dicembre 1995, n. 12632; Cass., 12 maggio 2000, n. 6085; Cass., 27 gennaio 2014, n. 1625; Trib. Genova, 20 dicembre 1968, in Giur. merito, 1970, I, 965, che ha espressamente qualificato l’accordo di reintegrazione della legittima come “negozio di accertamento”, ritenendo che da esso derivi il medesimo effetto del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, motivando che «Poiché è da presumere, fino a prova contraria, che X (n.d.r.), benché non presente alla pubblicazione del testamento olografo paterno, ne sia tuttavia venuta a conoscenza in seguito alla comunicazione notarile prescritta dall’art. 623 c.c., ed abbia quindi appreso di essere stata istituita unica erede anche a detrimento della quota di riserva dei legittimari, è evidente che le dichiarazioni da lei fatte nei suddetti atti pubblici equivalgono, sostanzialmente, ad un atto di riconoscimento (negozio giuridico di accertamento) dei diritti dei propri fratelli sulla eredità paterna, rendendo perciò superflua qualsiasi azione giudiziaria di questi ultimi per la riduzione della disposizione testamentaria eccedente la porzione disponibile e lesiva della quota di riserva loro spettante. […] Ne deriva, pertanto, che anche i fratelli Y e Z (n.d.r.) (e per questo ultimo morto prima della domanda, i suoi eredi legittimi) devono essere considerati, a tutti gli effetti, comproprietari dell’immobile de quo e quindi legittimati ad agire nel presente processo»; Comm. trib. centrale, 18 aprile 2003, n. 3180, in Rep. Foro it., 2003, voce «Registro (imposta)», n. 80, 1906. 31 Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 596, avverte che l’adesione a questa tesi presuppone logicamente l’accoglimento dell’opinione per cui al legittimario spettano diritti sull’asse ereditario sin dal momento dell’apertura della successione, come erede necessario o legatario ex lege (tali orientamenti sono però ritenuti non condivisibili dalla dottrina più moderna, tra cui F. Magliulo, La legittima quale attribuzione patrimoniale policausale. Contributo ad una moderna teoria della successione necessaria, in Riv. not., 2010, 533 ss., secondo il quale la legittima non è necessariamente quota d’eredità, potendo anzi essere soddisfatta anche con attribuzioni aventi una causa diversa, e.g. un legato o una donazione, e sarebbe da escludere che il legittimario debba essere necessariamente erede del de cuius). Secondo questa corrente di pensiero, nel caso in esame il legittimario non solo conseguirebbe i diritti lui spettanti sotto il profilo patrimoniale ma addirittura diverrebbe erede in virtù della successione legale, cioè per effetto di quella delazione necessaria che era stata impedita dall’esistenza di disposizioni che avevano esaurito (o ridotto) l’asse ereditario e la cui efficacia è adesso stata rimossa dall’accordo intercorso tra il legittimario e i beneficiari delle disposizioni testamentarie e/o i donatari. Una volta dichiarata l’inefficacia delle disposizioni lesive, infatti, tornerebbe operativa la delazione legale a favore del legittimario pretermesso. Lo stesso effetto traslativo dei beni in favore del legittimario avrebbe origine non (nella sentenza o) nell’accordo di reintegrazione ma nella legge (in particolare, nelle norme che disciplinano la successione necessaria). Alla luce del ragionamento fin qui svolto, quindi, il legittimario: a) non sarebbe avente causa dell’altra parte contrattuale ma del de cuius, dal quale consegue direttamente iure successonis i diritti lui spettanti (con la conseguenza di poter ottenere soltanto beni ereditari e non anche non ereditari); b) acquista la qualità di erede; c) partecipa alla comunione ereditaria. Tale filone di pensiero aderisce, evidentemente, alla tesi (già riportata supra, sub nota 3) per cui la sentenza che accoglie l’azione di riduzione esplichi quel particolare effetto consistente nella rimozione

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da parte del legittimario leso (o pretermesso) e reintegrato32. Richiamate le varie ricostruzione date da dottrina e giurisprudenza, non può non sottolinearsi come la tesi che, allo stato, pare prevalere sia quella del negozio di accertamento dichiarativo avente i medesimi effetti della sentenza che accoglie l’azione di riduzione. Ad esito di un negozio di reintegrazione della legittima, quindi, stando alla tesi più diffusa, il legittimario diviene erede del de cuius e vedrà soddisfatti i diritti lui spettanti a mezzo di beni ereditari, che acquisterà non già in forza dell’atto inter vivos posto in essere con la sua controparte ma iure successionis, in virtù della successione ereditaria33. Tuttavia, atteso che nessuna disposizione normativa disciplina la fattispecie e che la questione è, come si è potuto vedere, oggetto di profondi dibattiti, ritengo che la medesima vada attentamente analizza-

del limite all’operatività delle disposizioni di legge in materia di successione necessaria consistente nell’incertezza sull’an e sul quantum della lesione sopportata dal legittimario (effetto che alcuni, però, hanno definito “costitutivo”). Contra, in quanto ritengono che un atto dell’autonomia privata non possa mai spiegare effetti dispositivi di diritti inerenti a status familiari, ragione per cui andrebbe tassativamente escluso che agli accordi de quibus possa conseguire in capo al legittimario l’acquisto della qualità di erede: Salvatore, Accordi di reintegrazione di legittima: accertamento e transazione, cit., 211 ss.; M. Criscuolo, La tutela dei creditori rispetto ad atti dispositivi della legittima, in AA. VV., Tradizione e modernità del diritto ereditario nella prassi notarile, Milano, 2016, 136; Tullio, L’azione di riduzione, l’imputazione ex se, cit., 616, ad avviso del quale «Questa soluzione, tuttavia, non appare accettabile solo considerato che, qualora le parti non intendessero riconoscere in favore dell’erede necessario i diritti successori spettanti per legge, ma solo una limitata porzione di questi, è indubbio che l’effetto verrebbe a dipendere non dalla legge, che prevede il diritto (integrale) alla quota di riserva, ma dalla concreta determinazione negoziale, che ne costituisce il titolo e il fondamento». Avversa la ricostruzione, ma per una motivazione differente, Ungari Trasatti, L’accordo di integrazione della legittima, cit., 29, la cui opinione, scartando egli l’idea per cui il mero accertamento della lesione sia idoneo a consentire l’operare delle disposizioni di legge, è che «il negozio di accertamento deve chiarire e fissare una situazione giuridica già esistente, ma incerta, appunto, tra le parti, mentre la dottrina più recente è unanime nell’affermare che le disposizioni lesive non sono né invalide né inefficaci, onde la situazione giuridica che precede la riduzione o l’accordo di integrazione è per definizione differente da quella che ne consegue. Il risultato è che qui la figura dell’accertamento con efficacia dichiarativa è del tutto fuori luogo». Non pare invece condivisibile l’obiezione mossa da Bulgarelli, Gli atti «dispositivi» della legittima, cit., 481, il quale ritiene di escludere che il legittimario possa mai acquistare la qualità di erede in forza degli accordi in parola in quanto, altrimenti, dovrebbe, in violazione del disposto dell’art. 457 c.c., ammettersi una delazione contrattuale, perché, come sopra chiarito, secondo la tesi del negozio di accertamento dichiarativo l’accordo che intercorra tra il legittimario leso e coloro che sono stati beneficiati dal de cuius con disposizioni testamentarie e/o donazioni avrebbe l’effetto di far operare le disposizioni sulla successione necessaria, con la conseguenza che il legittimario sarebbe destinatario di una delazione non contrattuale bensì ope legis, per cui, ad avviso di chi scrive, l’obiezione in commento perde di significato. 32 Aderendo a questa tesi, nell’eventualità che il legittimario reintegrato sia un incapace, occorrerà distinguere: a) se egli era solo leso, avrà (presumibilmente) già accettato l’eredità con beneficio d’inventario e quindi nulla quaestio; b) ove egli fosse del tutto pretermesso, non avendosi una delazione in suo favore ed essendo egli quindi impossibilitato ad accettare l’eredità, a seguito dell’accordo lo si dovrà ritenere già accettante con beneficio d’inventario, non essendo possibile per un incapace un’accettazione pura e semplice dell’eredità, salvo il successivo obbligo di redigere l’inventario stesso (in questo senso, ma per il caso dell’esperimento in giudizio dell’azione di riduzione, GC, La tutela dei legittimari: l’azione di riduzione, consultabile sul sito www.giuliocesare.it, pag. https://www.giulio-cesare.it/la-tutela-dei-legittimari-lazione-di-riduzione/). 33 Sotto un profilo strettamente redazionale, ritenendo che l’acquisto del legittimario trovi il proprio titolo nelle disposizioni sulla successione necessaria e non nell’atto inter vivos, risulta non necessaria la presenza in atto di alcune menzioni, dichiarazioni o allegazioni richieste obbligatoriamente dalla legge per i negozi traslativi: a) quelle in materia urbanistica (artt. 30 e 46 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380); b) quelle sulla conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie depositate in catasto (art. 29, co. 1-bis, l. 27 febbraio 1985, n. 52); c) l’allegazione dell’attestato di prestazione energetica (art. 6 d.lgs. 19 agosto 2005, n. 192); d) la dichiarazione richiesta per il caso che un terreno sia stato percorso dal fuoco negli ultimi quindici anni (art. 3 l. 21 novembre 2000, n. 353). L’opinione trova conforto nella voce di Santarcangelo, Formalità urbanistiche negli atti tra vivi, cit., 181; nello stesso senso A. Torroni, La Reintegrazione della quota riservata ai legittimari nell’impianto del codice civile, cit., 1959. Tuttavia, laddove si ritenesse di non aderire alla tesi del negozio di accertamento dichiarativo, il trasferimento dei beni al legittimario troverebbe titolo in un atto inter vivos, con la conseguenza che tutte le sopra citate formalità andranno osservate, pena la nullità (tendenzialmente insanabile) dello stesso e ciò, a seguito della teoria cui recentemente ha ritenuto di aderire la Suprema Corte (Cass., SS. UU., 7 ottobre 2019, n. 25021), anche ove si qualificasse il negozio in argomento come una divisione (rectius divisione transattiva).

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ta volta per volta, in quanto non si può a priori escludere che le parti, esplicando la propria autonomia negoziale, abbiano voluto in concreto concludere un tipo di negozio diverso.

3. La forma degli accordi di reintegrazione della legittima. Aspetto poco trattato in dottrina ed in giurisprudenza è quello relativo a quale forma debbano rivestire gli accordi di reintegrazione della legittima e se essa debba ritenersi o meno necessaria a pena di nullità. Pochi sono gli autori34 che hanno approfondito l’argomento. Secondo un’opinione35, atteso che gli accordi in commento sostanzialmente privano di efficacia una disposizione testamentaria o una donazione, occorrerebbe applicare la regola36 per la quale l’atto che incide sugli effetti giuridici di uno precedente deve rivestire la stessa forma di questo, per cui: a) ove fonte della lesione della legittima fossero disposizioni testamentarie, occorrerebbe la forma scritta; b) se la lesione dipende da una precedente donazione, sarebbe necessario l’atto pubblico con due testimoni37. Alta opinione38 è che, per stabilire quale sia la forma necessaria per stipulare l’accordo, occorra partire da una ricognizione dei suoi caratteri. L’accordo di reintegrazione presenta tre fasi che producono tre effetti diversi: a) quella della determinazione della lesione subita dal legittimario; b) quella del trasferimento di diritti dal beneficiario/donatario al legittimario; c) quella (solo eventuale) preclusiva, che rende definitivo il rapporto tra le parti39. Il nostro ordinamento giuridico ha accolto il principio generale di libertà della forma, per cui, salvo che la legge richieda una forma ad substantiam, l’atto potrà rivestire anche quella orale. Riguardo alla prima fase, nella quale si procede a determinare l’entità della lesione, necessariamente presente nell’accordo di integrazione40, sorgono seri dubbi circa l’inesisten-

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Ungari Trasatti, L’accordo di integrazione della legittima, cit., 108 e 109; Cavicchi, Accordi per la reintegrazione della legittima, cit., 1020 ss. 35 Cavicchi, Accordi per la reintegrazione della legittima, cit., 1020 ss. 36 Applicata dalla giurisprudenza all’accordo risolutorio di un contratto c.d. “a struttura forte”, per il quale cioè sia richiesta la forma scritta ad substantiam. Da ultimo si vedano: Cass., 27 novembre 2006, n. 25126; Cass., 6 aprile 2009, n. 8234. 37 Contra Santarcangelo, Gli Accordi di reintegrazione di legittima, cit., 166, nota 25. 38 Ungari Trasatti, L’accordo di integrazione della legittima, cit., 108 e 109. 39 Con essa si fa riferimento all’eventuale convenzione delle parti circa l’irrilevanza del possibile futuro accertamento della divergenza quantitativa tra la lesione da essi ritenuta in sede di accordo e quella realmente subita dal legittimario. Nello specifico – tranne che si aderisca alla tesi per cui l’accordo di reintegrazione abbia natura di transazione, nel qual caso tale effetto deriverebbe dal disposto degli artt. 1969 e 1970 c.c. –, secondo Ungari Trasatti, L’accordo di integrazione della legittima, cit., 102 ss., qualunque sia la natura giuridica riconosciuta all’accordo di reintegrazione, non è possibile attribuire al medesimo un’efficacia preclusiva di una successiva contestazione dell’accordo raggiunto a causa di un errore nella quantificazione della lesione patita dal legittimario: ove le parti volessero raggiungere anche tale risultato, è necessario che lo prevedano espressamente. 40 Salvo che si aderisca alla tesi per la quale l’accordo è qualificabile come transazione, con la conseguenza che, come visto, l’esatta quantificazione della lesione non occorrerebbe, essendo la medesima del tutto irrilevante.

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za di una forma vincolata dell’atto. Qualora si volesse riconoscere alla detta determinazione (almeno) la natura di atto di ricognizione (cfr. art. 2720 c.c.), non pare potersi dubitare della necessità che la stessa risulti da un “documento”, e cioè da un atto redatto in forma scritta. Essendo detta fase strettamente connessa con quella del trasferimento, pare potersi propendere per la necessità della forma scritta a pena di nullità. Passando a quello che pare essere l’effetto principale dell’accordo, vale a dire il trasferimento dei diritti al legittimario, ove si tratti di diritti menzionati nell’art. 1350 c.c., la forma scritta sarebbe senz’altro prescritta ad substantiam41. Nel caso opposto, la forma sarebbe libera. Rispetto all’ultima fase, pare preferibile ritenere necessaria la forma scritta, avendo essa natura di accertamento. Sebbene nessuna disposizione di legge richieda espressamente la forma scritta per un negozio di accertamento (non essendo lo stesso nemmeno disciplinato), è infatti la stessa funzione dell’accertamento che richiede tale forma vincolata, quanto meno ad probationem, risultando altrimenti assai difficile provare l’intervenuto accordo tra le parti. Malgrado il principio di libertà delle forme che caratterizza il nostro ordinamento, atteso che sul punto le varie tesi esistenti sono tra loro discordanti, per motivi di opportunità è mia opinione che, laddove questi accordi abbiano ad oggetto beni immobili o mobili registrati, gli stessi dovranno essere muniti della forma scritta, pena – anche nel caso che non si ritenga applicabile la sanzione della nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418, co. 2, e 1325, co. 1, n. 4), c.c. – l’impossibilità di procedere alla loro trascrizione nei pubblici registri e, quindi, di renderli opponibili ai terzi.

4. La pubblicità degli accordi di reintegrazione della legittima.

Atteso che, ad esito della stipula di uno di questi negozi, il legittimario acquista dei diritti, ove essi siano reali ed abbiano ad oggetto beni immobili (o mobili registrati), sorge il problema di come pubblicizzare adeguatamente detti acquisti. La soluzione alla questione dipende palesemente dalla tesi cui si ritenga di aderire circa la qualificazione giuridica degli accordi stessi.

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Preferibilmente, dovendosi poi (presumibilmente) procedere alla trascrizione dell’accordo nei pubblici registri, quella dell’atto pubblico. Ciò, naturalmente, anche qualora si ritenga di aderire alla tesi per cui l’acquisto del legittimario avvenga iure successionis, in quanto, in sede di stipula, non dovrà aversi riguardo al futuro titolo di acquisto dei diritti oggetto dell’atto ma ai diritti stessi. Inoltre, atteso che risulta quasi lapalissiano che il trasferimento dei diritti oggetto dell’accordo al legittimario non è sorretto da una causa liberale, non servirà rispettare il disposto dell’art. 48 legge notarile, per cui non dovranno essere presenti in atto i due testimoni dal medesimo previsti (salvo, naturalmente, che la necessaria presenza dei medesimi non derivi da altri fattori, quali, e.g., l’incapacità di leggere e/o scrivere di uno dei comparenti). Rispetto a tale ultimo punto, si esprime in senso adesivo Santarcangelo, Gli Accordi di reintegrazione di legittima, cit., 166, nota 25.

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Se si ritenesse di aderire ad una delle tesi per cui l’acquisto del legittimario trova titolo nel negozio inter vivos posto in essere con la controparte contrattuale, senza che il medesimo acquisti in alcun modo la qualità di erede, allora essi dovrebbero essere trascritti in forza dell’art. 2643 c.c., come un qualsiasi atto tra vivi che trasferisca diritti reali immobiliari42. Aderendo invece alla tesi, che pare di gran lunga prevalere in dottrina ed in giurisprudenza, del negozio di accertamento dichiarativo avente gli stessi effetti della sentenza di accoglimento dell’azione di riduzione in virtù del quale il legittimario diviene erede del de cuius ed acquista iure successionis la quota ereditaria (o gli altri diritti) lui spettante per legge, la trascrizione andrà eseguita ai sensi dell’art. 2648 c.c., in quanto acquisto mortis causa43. Inoltre, qualora l’erede fosse preterito e non avesse in precedenza accettato l’eredità (non potendo, a ben vedere, neanche farlo, non essendo destinatario di alcuna delazione), l’acquisto andrà trascritto ai sensi del comma terzo dell’articolo in parola, integrando l’atto da esso concluso un’accettazione tacita di eredità44. Rispetto agli acquisti di cui l’altro contraente (i.e. il beneficiario della disposizione testamentaria lesiva e/o il donatario del de cuius) abbia già beneficiato, occorre poi precisare che: a) ove controparte sia un donatario, l’accordo comporta un’inefficacia sopravvenuta, totale o parziale, della donazione e pertanto esso andrà annotato a margine della trascrizione della donazione stessa ai sensi dell’art. 2655 c.c.; b) qualora controparte sia il beneficiario di una disposizione testamentaria lesiva, l’accordo modifica retroattivamente la delazione ereditaria e quindi esso andrà annotato a margine dell’atto di accettazione dell’eredità stessa45 ai sensi dell’art. 2655 c.c.

5. Conclusioni: la necessaria analisi caso per caso e questioni pratiche.

Ad esito dell’indagine sin qui condotta, è chiaro come non esista nel nostro ordinamento un negozio tipico qualificabile come “accordo di reintegrazione della legittima”, al

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Ove si sposi la tesi dell’accordo de quo come transazione o rinuncia, nello stesso si avrà la rinuncia da parte del legittimario all’azione di riduzione. In questo caso si può ritenere che la stessa vada pubblicizzata in sede di trascrizione dell’atto stesso facendone menzione nel Quadro D della nota di trascrizione, non essendo la rinuncia all’azione di riduzione trascrivibile autonomamente. Contra, però, si veda quanto riportato nella Circolare 60/1989 del Ministero delle Finanze – Direzione Generale Tasse e II. II. sugli affari, ove si legge che la rinuncia andrebbe autonomamente trascritta (con codice 313) quale atto di acquiescenza a disposizioni testamentarie (sull’argomento si veda A.A. Ettorre – S. Iudica, La pubblicità immobiliare e il testo unico delle imposte ipotecaria e catastale, III ed., Milano, 2007, 255 e 256). 43 Torroni, La pubblicità degli accordi di reintegrazione della legittima, cit. 44 Cavicchi, Accordi per la reintegrazione della legittima, cit., 1020 ss. 45 Nel caso de quo, laddove l’erede testamentario non abbia ancora provveduto ad accettare espressamente l’eredità, l’accordo medesimo rappresenterà un atto di accettazione tacita da parte sua.

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quale, conseguentemente, dovrà essere riconosciuta natura di negozio atipico, ammissibile in quanto meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322, co. 2, c.c. Qualora si trovi dinanzi una simile fattispecie, l’operatore del diritto sarà quindi chiamato preliminarmente ad un’operazione esegetica46 volta a rintracciare lo schema causale cui concretamente sia possibile ricondurre il negozio e solo successivamente ad individuare la disciplina al medesimo applicabile, che finirà col coincidere con quella dettata per il contratto tipico con cui esso ha le maggiori somiglianze oppure, nel caso che risulti impossibile inquadrarlo in uno dei tipi contrattuali codificati, con quella del contratto in generale, come disposto in via residuale dall’art. 1323 c.c. Ad ogni modo, qualunque sia la natura giuridica in concreto attribuibile, gli accordi di reintegrazione della legittima presentano un dato comune consistente nel modificare la realtà giuridica venutasi a creare, all’apertura della successione, a causa di disposizioni testamentarie o di donazioni che il de cuius avesse posto in essere mentre era in vita, ragione per cui è stato qui possibile trattarli in maniera unitaria. L’adesione ad una o all’altra delle varie tesi proposte da dottrina e giurisprudenza in merito alla natura giuridica da riconoscere ai negozi de quibus porta però con sé delle conseguenze pratiche di non poco momento, le quali, per la centralità che rivestono nello svolgimento della propria professione da parte degli operatori del diritto chiamati a confrontarsi con tali tipologie di accordi, meritano di essere approfondite, quanto meno relativamente alle seguenti due questioni: a) la necessità di un’autorizzazione al compimento del negozio; b) la sorte dei beni non considerati dalle parti. A) Il primo aspetto da analizzare è quello dell’eventuale necessità che un soggetto incapace sia autorizzato onde prendere parte ad uno di questi negozi47. Ad avviso di chi scrive, devono essere proposte le seguenti soluzioni:

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Per condurre tale operazione la giurisprudenza (ex multis, di recente, Cass., 8 febbraio 2006, n. 2642; Cass., Cass., 12 dicembre 2012, n. 22828) conosce due tecniche: a) la c.d. “tecnica dell’assimilazione”, in base alla quale si deve accostare il singolo contratto ai vari tipi conosciuti dall’ordinamento, per poi qualificare e disciplinare il negozio atipico secondo la disciplina del tipo più simile; b) la tecnica c.d. “della prevalenza”, in base alla quale, compiuta la medesima operazione precedentemente descritta, laddove il negozio atipico presenti elementi in comune con più tipi conosciuti, si applica la disciplina del tipo che prevale in quanto avente più punti in comune. La dottrina, dal canto suo (ex multis, V. Amendolagine, Furto di autoveicolo e responsabilità del gestore dell’area adibita a parcheggio, in Corr. giur., 2009, 1647; F. Caringella – L. Buffoni, Manuale di Diritto Civile, VI ed., Roma, 2015, 744), temendo che così si rischi di tradire la reale volontà delle parti, propone il c.d. “metodo tipologico”. Esso parte dal fondamentale assunto per cui è necessario distinguere tra le due categorie logiche di “concetto” e “tipo”: la prima fa sì che rientrino nello schema solamente quei contratti che presentino tutti e solo i caratteri del tipo legislativamente previsto (pertanto un contratto atipico come il leasing non potrebbe rientrare nel tipo “vendita”, atteso che il suo tratto caratterizzante è la concessione del bene in godimento e non il trasferimento della proprietà di esso); la seconda invece prende in considerazione solo i tratti caratteristici essenziali, per cui il contratto innominato può presentare anche delle varianti che derogano allo schema base predisposto dalla legge, con la conseguenza che le singole clausole del contratto andranno disciplinate sulla base della loro affinità con uno dei tipi disciplinati dal legislatore, che non necessariamente sarà uno soltanto, potendosi dunque ad un contratto innominato applicare anche la disciplina di più tipi contemporaneamente. 47 Sul tema, anche se limitatamente ad un solo caso, CNN Risposta a Quesiti 15/04/1998 n. 1793, Atto integrativo della legittima compiuto da inabilitato, cit., ove l’A., rispondendo al quesito se l’inabilitato che sia parte di un accordo di integrazione della legittima – tanto quale reintegrante che quale reintegrato – vada o meno a ciò autorizzato, ha ritenuto che «A mio avviso entrambi gli atti devono essere considerati come atti di straordinaria amministrazione. Per quanto riguarda la prima ipotesi, si realizza un vero

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a.1).se si interpretano i negozi in parola come transazione, negozio unilaterale di tacitazione dei diritti (ereditari)48, rinuncia dietro corrispettivo all’azione di riduzione, novazione49, contratto divisorio, trattandosi di atti di straordinaria amministrazione, occorrerà che l’incapace sia autorizzato: a) dal giudice tutelare se minore in potestate (art. 320 c.c.) o beneficiario di amministrazione di sostegno (artt. 411 e 375 c.c.); b) dal tribunale ordinario se minore sotto tutela (art. 375 c.c.), interdetto (artt. 424 e 375 c.c.), inabilitato (artt. 424, 394, co. 3, e 375 c.c.) o minore emancipato50 (artt. 394, co. 3, e 375 c.c.); a.2).se si aderisce alla tesi del negozio di accertamento costitutivo, a fronte del quale il legittimario, previo il riconoscimento della sua lesione da parte dell’erede (o del donatario), acquista beni di valore tale da integrare la sua quota di legittima, l’incapace andrà autorizzato in ogni caso dal giudice tutelare51, ove sia l’acquirente; per il caso che sia l’alienante, come riportato supra, sub a.1).

e proprio atto di disposizione del patrimonio, poiché la lesione della legittima comporta di per sé sola l’eventualità dell’esercizio dell’azione di riduzione (art. 560 c.c.), azione che è rinunziabile – dopo l’apertura della successione – e che, in quanto azione di carattere patrimoniale, si prescrive nell’ordinario periodo decennale decorrente dall’apertura della successione. La eventualità dell’azione di riduzione induce a ritenere che l’atto di reintegrazione della legittima sia un atto negoziale non dovuto, ma tendente ad evitare l’esercizio dell’azione di riduzione da parte del soggetto pretermesso. Identiche sono le conclusioni per la seconda ipotesi, sostanziandosi l’atto di reintegrazione in un incremento del patrimonio dell’incapace, che non esclude tuttavia il prodursi di effetti negativi sul patrimonio medesimo. In sostanza l’atto con cui, prima dell’eventuale esercizio dell’azione di riduzione si proceda alla reintegrazione della legittima è atto di natura transattiva, in quanto mira ad evitare una soluzione giurisdizionale della controversia relativa alla pretermissione dell’erede. Come tale, dunque, tale atto è soggetto ad autorizzazione. Quanto all’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione, se l’atto di reintegrazione viene configurato come transazione, troverà applicazione l’art. 375, n. 3, c.c., e quindi la competenza sarà del tribunale, su parere del giudice tutelare: ciò in quanto tale norma è richiamata dall’art. 394, comma 3, cui a sua volta fa rinvio l’art. 424 c.c., relativo appunto alla curatela dell’inabilitato. L’art. 394, infatti, dispone che per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione (e, quindi, in generale, per gli atti indicati dagli artt. 374 e 375) oltre al consenso del curatore, è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare, mentre per gli atti indicati dall’art. 375, se, come nel caso prospettato, curatore non è il genitore, l’autorizzazione deve essere data dal tribunale su parere del giudice tutelare». 48 Atteso che il loro risultato ultimo è in buona sostanza riconducibile a quello di una transazione o di una rinuncia dietro corrispettivo all’azione di riduzione. 49 Relativamente alla novazione devono essere fatte alcune puntualizzazioni. Per comprendere se essa sia o meno un atto di straordinaria amministrazione, non si può avere riguardo solo all’obbligazione originaria, dovendosi vagliare anche il contenuto del contratto di novazione: laddove l’obbligazione novata fosse di ordinaria amministrazione e la stessa novazione raggiunga un risultato ottenibile tramite negozi di ordinaria amministrazione, allora non servirebbe alcuna autorizzazione; in caso contrario, risulterebbe senz’altro necessaria l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria. Nel particolar caso, poi, che il soggetto incapace sia beneficiario di amministrazione di sostegno, perché occorra l’autorizzazione giudiziale sarà preliminarmente necessario che il decreto indichi anche la novazione (di straordinaria amministrazione) tra gli atti per i quali occorre la rappresentanza o l’assistenza dell’amministratore e, in secondo luogo, che ricorra una delle circostanze nelle quali si è precedentemente predicata la necessità dell’autorizzazione (cfr. Santarcangelo, La potestà sui minori, in Formulario Notarile Commentato, a cura di G. Petrelli, Vol. V, Tomo II, Volontaria giurisdizione, Milano, 2008, 508; A. Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1995, VII ed., 373; A. Caputo, La novazione, in AA. VV., Le obbligazioni. Dritto sostanziale e processuale, Tomo I, Caratteri generali, adempimento, inadempimento, Milano, 2008, 841-843; V. Tagliaferri – F. Roni, La Cassazione si pronuncia: actio finium regundorum tra amministrazione di sostegno, interdizione, inabilitazione e necessità di difesa tecnica, in CNN Notizie, 5 luglio 2017, n. 128. In giurisprudenza: Cass., 12 giugno 2006, n. 13584; Cass., 29 novembre 2009, n. 25366). 50 Tuttavia, qualora curatore del minore emancipato fosse il genitore, competente a rilasciare l’autorizzazione sarà il giudice tutelare e non il tribunale. 51 In particolare: a) ex art. 320 c.c. per il minore in potestate; b) ex artt. 424 e 374 c.c. per l’interdetto; c) ai sensi dell’art. 374 c.c. per il minore sotto tutela; d) in forza degli artt. 411 e 374 c.c. per il beneficiario di amministrazione di sostegno (sempre che nel decreto di nomina sia prevista la necessaria rappresentanza o assistenza dell’amministratore di sostegno per questo tipo di negozi); e) ex artt. 424, 394, co. 3, e 374 c.c. per l’inabilitato; f) in virtù degli artt. 394, co. 3, e 374 c.c. per il minore emancipato.

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a.3).laddove tali accordi fossero sussunti nello schema del negozio di accertamento dichiarativo, considerato che il titulus dell’acquisto da parte dell’incapace non sarà il negozio in sé bensì la legge, non parrebbe prima facie necessaria nessuna autorizzazione52. Tale soluzione, tuttavia, non convince pienamente per cui la questione merita di essere ulteriormente approfondita. Se è vero, infatti, che l’acquisto dei beni ereditari – e del titolo di erede – da parte dell’incapace è da rinvenire nella normativa sulla successione necessaria e che gli effetti raggiunti tramite l’accordo di reintegrazione della legittima corrispondono a quelli derivanti dal vittorioso esercizio in giudizio dell’azione di riduzione, è anche vero che il rappresentante legale dell’incapace non può, senza autorizzazione, esperire l’anzidetta azione: per questo motivo, quanto meno a fini tuzioristici, parrebbe opportuna la preventiva richiesta al giudice tutelare dell’autorizzazione necessaria per promuovere il relativo giudizio53. Allo stesso risultato, inoltre, si perviene considerando che per il legittimario incapace reintegrato l’atto in questione costituirebbe un’accettazione tacita dell’eredità, per cui, essendo ciò inammissibile (cfr. artt. 471 e 472 c.c.), egli dovrà aver ottenuto l’autorizzazione ad accettare con beneficio d’inventario dalla stessa Autorità competente ad autorizzare l’esercizio dell’azione di riduzione. Se incapace fosse invece il “resistente”, non sarebbe necessaria alcuna autorizzazione. B) Altra questione particolarmente interessante e raramente approfondita in dottrina54 è quella relativa a cosa avvenga laddove, successivamente alla stipula dell’accordo di reintegrazione, si scopra che alcuni beni sono rimasti fuori dall’accordo stesso perché sconosciuti alle parti, perché erroneamente non considerati dal legittimario ma conosciuti all’altra parte oppure in quanto dolosamente occultati dal beneficiario delle donazioni o delle disposizioni lesive, con la conseguenza che i medesimi non sono stati tenuti in considerazione ai fini della quantificazione dell’asse ereditario sul quale poi calcolare la quota di legittima da reintegrare55. Anche in questo caso ritengo debbano operarsi alcune distinzioni: b.1).se si qualificano gli accordi in argomento come negozio unilaterale di tacitazione dei diritti56, rinuncia dietro corrispettivo all’azione di riduzione, novazione, o negozio di

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Così Cass., 1° agosto 2003, n. 11748: «In tema di negozio di accertamento (che – non costituendo fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti – non ha natura dispositiva), non è necessaria l’autorizzazione prevista, con elencazione tassativa dagli artt. 374 e 375 c.c., per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione compiuti dal tutore provvisorio dell’interdicendo». 53 Competente sarà sempre il solo giudice tutelare, rispettivamente: a) ex art. 320 c.c. per il minore in potestate; b) ex artt. 424 e 374 c.c. per l’interdetto; c) ai sensi dell’art. 374 c.c. per il minore sotto tutela; d) in forza degli artt. 411 e 374 c.c. per il beneficiario di amministrazione di sostegno (sempre che nel decreto di nomina sia prevista la necessaria rappresentanza o assistenza dell’amministratore di sostegno per l’esperimento dell’azione di riduzione); e) ex artt. 424, 394, co. 3, e 374 c.c. per l’inabilitato; f) in virtù degli artt. 394, co. 3, e 374 c.c. per il minore emancipato. 54 L’unico autore che sembra essersi occupato dell’argomento è Genovese, Annullabilità per errore e rescissione per lesione dell’atto di reintegrazione della legittima, cit., 812 ss. 55 Si veda anche quanto già riportato alla nota 39. 56 Il quale, come riportato supra, alla nota 18, non avrebbe tuttavia natura di proposta contrattuale tecnicamente intesa ma, in ultima istanza, è comunque idoneo, tramite la riconduzione ad aequitatem della situazione giuridica venutasi a creare ad esito della lesione

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accertamento ad efficacia costitutiva, atteso che con essi il legittimario ottiene una certa quantità di beni a fronte della perdita del diritto di agire in riduzione: b.1.1) nel caso che i beni non siano stati considerati in quanto sconosciuti alle parti, non potendo mai predicarsi che l’errore fosse riconoscibile dalla controparte del legittimario, atteso ch’essa stessa non era a conoscenza delle ulteriori sostanze ereditarie, ritengo che l’accordo rimanga fermo; b.1.2) se il legittimario non li ha considerati commettendo un errore di calcolo sulla consistenza dell’asse o comunque perché li ha dimenticati ma essi erano noti all’altra parte, il contratto potrà essere solamente rettificato, salva la sua annullabilità ove l’errore del legittimario sia stato determinante del suo consenso, rilevante e riconoscibile all’altro contraente (artt. 1428, 1429 e 1430 c.c.)57; b.1.3) se i beni non sono stati tenuti in considerazione perché dolosamente occultati al legittimario, in caso di dolo determinante il contratto sarà annullabile (art. 1439 c.c.), mentre nel caso di mero dolo incidente il contratto conserverà validità ma l’altro contraente risponderà dei danni (art. 1440 c.c.); b.2).se si aderisce alla tesi che rinviene negli accordi de quibus una transazione o un contratto divisorio nella species di transazione divisoria58, giacché l’incertezza sulla lesione è la res dubia fondamentale perché possa correttamente parlarsi di transazione: b.2.1) l’accordo rimarrà in piedi nel caso che determinati beni fossero sconosciuti alle parti, ai sensi degli artt. 1969 e 1970 c.c.; b.2.2) in caso di errore da parte del solo legittimario, dovendosi ritenere che la consistenza dell’asse sia un caput controversum della transazione, la medesima non sarà impugnabile per errore59; b.2.3) ove la controparte contrattuale abbia dolosamente occultato al legittimario l’esistenza di determinati beni, applicandosi la disciplina generale in tema di annullabilità per dolo, ritengo che potrebbe anche essere richiesto l’annullamento dell’accordo60 o il risarcimento del danno, secondo quanto già sopra evidenziato; b.3).qualificando gli accordi come contratto divisorio sub specie di divisione transattiva, troverà applicazione la speciale normativa dettata dal legislatore in materia di annullamento e rescissione della divisione61 (artt. 761 ss. c.c.), per cui: b.3.1) in caso di

di legittima (o della pretermissione) patita dal legittimario, a sortire gli effetti che si avrebbero con una transazione o con una rinuncia dietro corrispettivo e quindi, per quello che qui interessa, è equiparabile ad un contratto, quanto meno quoad effectum. 57 In senso conforme, Ungari Trasatti, L’accordo di integrazione della legittima, cit., 102 ss., per il quale l’accordo, in tal caso, potrebbe sempre essere sottoposto a contestazione a causa dell’errore. Tuttavia l’A. manca di operare la distinzione tra errore del solo legittimario ed errore comune ad entrambe le parti, per cui le conclusioni, pur condivisibili, cui lo stesso addiviene sono applicabili solo alla seconda delle fattispecie appena passate in rassegna. 58 G.A.M. Trimarchi, Divisione transattiva e transazione divisoria, cit.: «la transazione divisoria […] è una vera e propria transazione: il negozio, sia esso concluso durante o successivamente alla divisione, ha la funzione di comporre (o di prevenire) una lite sorta sull’esistenza o sull’entità del diritto di chi pretende di partecipare al riparto, determinando altresì l’effetto della cessazione della comunione». 59 Genovese, Annullabilità per errore e rescissione per lesione dell’atto di reintegrazione della legittima, cit., 815. Secondo l’A., ove si ritenga che la consistenza dell’asse ereditaria sia un caput non controversum, allora la transazione sarebbe annullabile. 60 In questo senso Cass., 30 marzo 2017, n. 8260, in www.previti.it, pag. https://www.previti.it/archives/7633, con nota di F. Frezza, Indurre in errore il lavoratore rende annullabile la transazione sindacale. 61 G.A.M. Trimarchi, Divisione transattiva e transazione divisoria, cit.: «la c.d. divisione transattiva ha natura di negozio divisorio in

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mancata considerazione dei beni determinata da errore di entrambe le parti o del solo legittimario l’accordo rimarrà fermo, salvo doversi procedere ad un supplemento dello stesso62; b.3.2) ove l’omissione di determinati beni sia dipesa da dolo della controparte del legittimario, allora l’accordo reintegrativo sarà annullabile ai sensi dell’art. 761 c.c. Inoltre, in ambedue i casi sarà sempre esperibile l’azione di rescissione per lesione63. b.4).dalla qualificazione degli accordi come negozio di accertamento ad efficacia dichiarativa nel senso fatto proprio dalla dottrina qui richiamata deriva invece, secondo la mia opinione, che, a prescindere dalla mancata considerazione di determinati beni nella quantificazione del relictum, essendo l’effetto ultimo dell’accordo quello di rimuovere qualunque ostacolo all’operare delle norme dettate dal legislatore in tema di successione necessaria, il legittimario conseguirà comunque i diritti lui spettanti sull’intero asse ereditario, malgrado tutte le possibili problematiche conseguenti alla mancata pubblicizzazione dell’intervenuto accordo relativamente a specifiche res.

quanto non ha la funzione di comporre una lite, ma di “superare amichevolmente” questioni afferenti le operazioni divisionali». Per C. Abatangelo, sub Art. 762, in G. Cian – A. Trabucchi, Comm. Breve al Cod. Civ., 12a ed., a cura di G. Cian, Milano, 2016, 761, «Più che di un “supplemento”, si tratta in realtà di una nuova ed autonoma divisione». Nello stesso senso A. Mora, sub Art. 762, in Codice ipertestuale delle successioni e donazioni, a cura di G. Bonilini – M. Confortini, Torino, 2007, 981; M.G.F. Calvisi, sub Art. 762, in AA. VV., Comm. Cod. Civ., diretto da E. Gabrielli, a cura di V. Cuffaro – F. Delfini, Artt. 713-768 octies, Milano, 2010, 328. Contra, in maniera condivisibile, l’autorevole opinione di A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale, Milano, 1961, 486, per il quale il “supplemento” in argomento sarebbe un’integrazione della precedente divisione, nella quale dovrebbe tenersi in considerazione quanto già attribuito ai condividenti. 63 Sull’esperibilità dell’azione di rescissione anche nel caso di divisione solo parziale Cass., 3 settembre 1997, n. 8448: «L’art. 762 c.c., stabilendo che l’omissione di uno o più beni dell’eredità non è causa di nullità della convenuta divisione, ma determina esclusivamente la necessità di procedere ad un supplemento della divisione stessa, sancisce, implicitamente, la indiscutibile validità ed efficacia dell’atto parziale così compiuto, escludendo ogni possibilità di considerarlo come struttura negoziale non dotata di propria autonomia, tale, cioè, da rendere comunque necessario attendere lo scioglimento della comunione sui residui beni per poter proporre la eventuale azione di rescissione per lesione oltre il quarto, azione che sarà, pertanto, legittimamente esperibile anche in relazione alla sola divisione parziale». Sull’esperibilità in caso di divisione transattiva: in dottrina Abatangelo, sub Art. 764, cit., 762; in giurisprudenza Cass., 6 agosto 1997, n. 7219; Trib. Napoli, 18 febbraio 2002, in Giur. Nap., 2002, 436 ss.

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Successione mortis causa nel patrimonio digitale e diritto alla protezione dei dati personali* Sommario: 1. Premessa. – 2. La successione nel patrimonio digitale: il ruolo dei providers. – 3. La categoria dei beni: dal diritto romano ai nuovi digital assets. – 4. Evento morte e diritto alla protezione dei dati personali. – 4.1. La Corte Federale di Giustizia tedesca e il caso Facebook. – 5. L’eredità digitale dopo il Regolamento UE 679/2016 (GDPR). – 6. Studi comportamentali: l’interazione con il device e la protezione dei propri dati personali. – 7. Conclusioni.

The death event, which has always been considered the mere natural fact of the cessation of man’s physical life, now acquires legal relevance also in the digital world, given the multiplicity and complexity of the legal situations connected to it. In the study of digital heritage, the central issue is represented by the role played by contracts concluded between users and Internet service provider which, lacking legislation, represent the only source of discipline. In this context, it became very important to understand, not so much how to be able to dispose of digital assets after death, but what are the limits to the succession in the digital heritage.

1. Premessa. L’evoluzione tecnologica ha comportato un notevole quanto inevitabile stravolgimento delle nostre vite, determinando importanti cambiamenti sia sul piano personale che patrimoniale: diverse e nuove sono le modalità con cui si sviluppano le relazioni sociali; di-

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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima

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verso è anche il modo in cui l’identità di ciascuno si manifesta1; nuove figure professionali si creano e nuove economie fioriscono, divenendo fonte di ingenti guadagni per i nuovi operatori del mercato digitale. Evidentemente, un fenomeno tanto rilevante non poteva non avere delle immediate conseguenze anche dal punto di vista giuridico e dei risvolti successori per il profilo che qui interessa, ambito storicamente deputato alla trasmissione della ricchezza. L’evento morte, da sempre considerato il mero fatto naturale della cessazione della vita fisica dell’uomo, acquista ora giuridica rilevanza anche nel mondo digitale, stante la molteplicità e complessità delle situazioni giuridiche ad esso collegate. Il rapporto tra diritto e nuove tecnologie investe, pertanto, anche la devoluzione a causa di morte del patrimonio di un soggetto, lasciando all’interprete non pochi interrogativi circa l’idoneità del nostro diritto successorio a garantire gli interessi e la volontà del de cuius anche rispetto ai suoi beni digitali2, ovvero i nuovi beni nascenti dall’utilizzo dello strumento informatico e della rete internet in particolare. In tale mutato contesto, non passa inosservato il vuoto normativo lasciato dal legislatore3 il quale non ha ancora disci-

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L’identità digitale non pare essere un concetto giuridico nuovo ma, al contrario, assimilabile a quello di identità personale, intesa quest’ultima come il risultato di un’attività di accertamento che serve ad identificare un soggetto e a distinguerlo dagli altri consociati. Tuttavia, ciò che qualifica l’identità digitale è il mezzo attraverso il quale l’identità stessa si manifesta, ovvero lo strumento informatico; ciò fa sì che in rete l’identità si moltiplica, diventi “nomade”. Così S. Rodotà, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, 2004, 143. L’identità digitale, dunque, non è più unica per ciascun soggetto, il quale rischia di avere per sempre una o più identità digitali, laddove non provveda a chiederne la cancellazione. M. Mattioni, Profili civilistici dell’identità digitale tra tutela e accertamento, in AA.VV. Identità ed eredità digitali, stato dell’arte e possibili soluzioni, 2016. G. Alpa, L’identità digitale e la tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contr. e impr., 2017. Da ultimo C. Camardi, L’eredità digitale. Tra reale e virtuale. in Dir. inf., 2018, 70; I. Sasso, Privacy post-mortem e “successione digitale”, in Privacy Digitale. Riservatezza e protezione dei dati personali tra GDPR e nuovo Codice Privacy, a cura di E. Tosi, Milano, 2019, 557; I. Sasso, La tutela dei dati personali “digitali” dopo la morte dell’interessato (alla luce del Regolamento UE 679/2017), in Dir. succ. fam., 2019, 183. Si pensi ai beni sui quali insistono diritti di proprietà intellettuale (un software o un sito web, un blog,), ai video e alle fotografie rientranti nel disposto dell’art. 1 della legge 22 aprile 1941, n. 633, ai progetti architettonici, manoscritti, traduzioni, raccolte, disegni, spesso conservati attraverso sistemi di cloud computing; gli e-books, un account per il commercio elettronico, che può contenere somme significative di denaro e che consente di svolgere attività che valgono migliaia di euro l’anno; ma anche agli account social o di posta elettronica, comunicazioni chat, le più moderne criptovalute. Se con l’utilizzo delle nuove tecnologie tutto si smaterializza, ciò non implica che i nuovi “beni digitali”, per quanto immateriali, non abbiano un rilevante valore economico. Occorre al riguardo fare subito una precisazione: senza voler analizzare la natura giuridica dei singoli beni che possono rientrare nella categoria in questione, non essendo questo l’oggetto principale dell’analisi che si va a compiere, si consideri in linea più generale che in relazione ai beni che nascono dall’utilizzo delle nuove tecnologie, dalle rete internet in particolare, non è sempre immediata la distinzione tra il carattere patrimoniale e non patrimoniale del medesimi; ciò in quanto anche beni che, astrattamente considerati, possono ad una prima classificazione rientrare tra quelli aventi natura prevalentemente personale, afferenti alla sfera dei rapporti affettivi e familiari, se valutati nel contesto della rete Internet rilevano giuridicamente anche in funzione del loro sfruttamento economico; ed ecco allora che il profilo patrimoniale si coglie non tanto nella natura in sé del bene oggetto di analisi ma alla luce del suo valore di mercato rispetto a quel fenomeno tanto diffuso quale la vendita dei dati, fonte di rilevanti guadagni per gli operatori economici del mondo digitale. G. Marino, La successione digitale, in Oss. dir. civ. e comm., 2018, 176 ss. Pertanto, preso atto che nella realtà digitale lo stesso bene può accogliere sia contenuti patrimoniali che non patrimoniali, come nel caso dell’account di posta elettronica, meglio sarebbe non riferirsi a schemi concettuali troppo rigorosi ma attenersi a soluzioni più flessibili. G. Resta, La successione nei rapporti digitali, in Studi in tema di internet ecosystem, a cura di A. Mantelero – D. Poletti, 2018, 402; G. Resta, La successione nei rapporti digitali e la tutela post-mortale dei dati personali, in Contr. e impr., 2019, 88. La prima risposta legislativa ai temi che in questa sede si stanno esaminando è arrivata dagli Stati Uniti, dove diversi Stati, già dal 2005, hanno introdotto norme per cercare di dare una compiuta disciplina alle problematiche dell’accesso ai beni digitali da parte degli eredi defunti. L’elemento comune a tali interventi è la centralità della figura dell’executor o fiduciary ricollegabile al nostro esecutore testamentario, ma anche al mandatario o al tutore. Nei Paesi di Common Law, infatti, l’eredità non è devoluta direttamente

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plinato il fenomeno di cui si va discorrendo4, nonostante siano diverse le sollecitazioni in tal senso provenienti non solo dalla più attenta dottrina5, ma anche da diversi casi giudi-

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agli eredi ma è considerata come un soggetto giuridico per il quale deve agire un executor designato dal testatore oppure un administrator indicato dal Tribunale. Le criticità di questi primi interventi del legislatore americano sono da riscontrare nella parzialità delle soluzioni offerte, in quanto riguardano soltanto una parte limitata del patrimonio digitale, ovvero le e-mail e i blog, nonché nella mancanza di uniformità della disciplina. Per quanto concerne il territorio europeo, invece, sia la Francia (“Loi 7-10-2016, n. 2016-1321 pour une République numérique, consultabile in <https://www.republique-numerique.fr/>) che, da ultimo, la Spagna sono intervenute. La legge francese, in particolare, consente al titolare del patrimonio digitale di esprime in relazione a quest’ultimo la sua volontà per il tempo successivo alla morte e di conservare tali disposizioni presso un pubblico registro. L’utente potrà anche nominare un fiduciario che dovrà dare attuazione alle disposizioni registrate che possono essere modificate in qualsiasi momento. La parte più rilevante di tale testo normativo riguarda la parte in cui consente in ogni caso agli eredi, anche laddove non sia stato nominato un testamento oppure manchino del tutto le direttive del de cuius, di rivolgersi ai provider per ottenere le informazioni necessarie per gestire il patrimonio del defunto. A completare il totale cambio di prospettiva, in cui le limitazioni maggiori sono poste a carico dei provider e non degli eredi dell’utente defunto, vi è l’espressa previsione che laddove le condizioni generali di contratto prevedano clausole contrarie a quanto stabilito dalla legge in merito alla successione del patrimonio digitale, queste devono considerarsi come non apposte. Per quanto riguarda la Spagna è stata dapprima adottata una legge da parte della regione della Catalogna (Ley 10/2017, de 27 de junio, de las voluntades digitales y de modificación de los libros segundo y cuarto del Código civil de Cataluña, reperibile in <https://www.boe.es/diario_boe/txt.php?id=BOE-A-2017-8525>) poi dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale spagnola; successivamente è stata adottata anche una legge generale (Ley Orgánica de Protección de Datos y Garantía de Derechos Digitales (LOPDGDD) – Legge organica sulla protezione dei dati personali e garanzia dei diritti digitali – reperibile in <http://www.congreso.es/public_oficiales/L12/CONG/BOCG/A/BOCG-12-A-13-4.PDF>). Le principali differenze tra la legge francese e quelle spagnole rispetto alle varie discipline adottate negli Stati Uniti è che in quest’ultimo caso il ruolo e l’influenza che i providers esercitano anche rispetto al legislatore è molto forte. Evidentemente, a differenziare notevolmente il quadro normativo in relazione al medesimo problema dell’eredità digitale hanno inciso due elementi: da un lato, il maggior sviluppo della disciplina della tutela del consumatore in Europa rispetto a quanto non sia avvenuto negli Stati Uniti; dall’altro il diverso modo di disciplinare il diritto delle successioni nel vecchio e nel nuovo continente. Negli Stati Uniti, infatti, nessuna tutela è assegnata alla categoria che, nel nostro ordinamento giuridico, assume il nome di “legittimari”, ovvero dei più stretti congiunti del de cuius, e la forma ordinaria di testamento è la redazione per iscritto alla presenza di due testimoni. In Francia, al contrario, la successione è disciplinata secondo un sistema molto simile a quello italiano, in cui si riconosce la categoria dei legittimari, in cui sono previste forme testamentarie assimilabili a quelle previste nel nostro ordinamento e in cui è stato, altresì, introdotto il divieto dei patti successori nonché la figura dell’esecutore testamentario. La prevalenza data, dunque, negli ordinamenti europei alla necessità che il patrimonio di un soggetto trovi una adeguata sistemazione dal punto di vista giuridico anche dopo la sua morte, che sia assicurata una certa preferenza nell’attribuzione del medesimo alla famiglia del de cuius e che le sue ultime volontà espresse per il tramite del negozio testamentario siano considerate prevalenti rispetto a qualsiasi altra convenzione stipulata inter vivos, hanno condotto il legislatore francese ad adottare una prospettiva che tutelasse maggiormente gli interessi personali e patrimoniale del defunto, piuttosto che quelli economici dei grandi fornitori di servizi Internet. Tale vuoto normativo è tipico di molte delle situazioni giuridiche nascenti dall’utilizzo delle nuove tecnologie. Così E. T. Frosini, Rappresentanza e legislazione nell’età moderna, in Annuario dir. comp. 2017, III, 298 ss., «Per quanto riguarda il valore e la forza della legge negli stati contemporanei, questa risulta significativamente indebolita dall’incapacità di regolare la complessità del reale e le continue trasformazioni dei processi sociali e tecnologici. E quindi in buona parte sostituita da altri modi di normare, dalla soft law al diritto dei privati» e ancora «… il baricentro della produzione giuridica si sta spostando sui regimi privati, ovvero su accordi stipulati da attori globali, su regolamenti commerciali delle imprese multinazionali, su normative interne alle organizzazioni internazionali, su sistemi di negoziati interorganizzativi e su processi mondiali di standardizzazione »; Id., Internet e democrazia, in Dir. inform., 2017, IV-V, 657 ss.; Id., No news is fake news, in Dir. pubbl. comp. eur., 2017, IV, 5 ss. Tra i primi ad affrontare la questione U. Bechini, Password, credenziali e successione mortis causa, Studio n. 6-2007/IG approvato dalla Commissione Studi di Informatica Giuridica del Consiglio Nazionale del Notariato l’11 maggio 2007; M. Cinque, La successione nel «patrimonio digitale»: prime considerazioni, in Nuova giur. civ. comm., 2012, 645 ss. G. Resta, Dignità, persone, mercati, 2014 375 ss.; Id., La «morte» digitale, in Dir. dell’informazione e dell’informatica, 2014, 891; V. Barba, Interessi post mortem tra testamento e altri atti di ultima volontà, in Riv. dir. civ., 2017, 341 ss.; S. De Plano, La successione a causa di morte nel patrimonio digitale, in Internet e diritto civile, a cura di C. Perlingieri e L. Ruggieri, 2015, 427; A. Magnani, L’eredità digitale, in Notariato, 2014, 519 ss.; L. Lorenzo, Il legato di password, in Notariato, 2014, 147 ss.; D. Corapi, Successione. La trasmissione ereditaria delle c.d. nuove proprietà, in Fam., pers. succ., 2011, 379 ss.; Da ultimo C. Camardi, L’eredità digitale. Tra reale e virtuale, cit., 70; I. Sasso, Privacy post-mortem e “successione digitale”, cit., 557.

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ziari che hanno segnato un punto di svolta nella tutela delle nuove situazioni giuridiche nascenti dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Ciò ha determinato che nell’affrontare le questioni più importanti legate alla successone nel c.d. patrimonio digitale, ci si trovi ad analizzare i limiti ad essa imposti, che trovano la loro fonte in schemi negoziali inter vivos di cui sono parte, da un lato, l’utente ed utilizzatore dello strumento informativo, dall’altro, il fornitore del servizio o Internet Service Provider (con acronimo ISP), piuttosto che il gestore di una piattaforma social. In altre parole, rispetto allo studio di altri profili connessi alla successione nel patrimonio digitale, per quanto di assoluto interesse, è apparsa necessaria e preminente l’analisi della prassi negoziale in uso al momento della richiesta di un certo servizio nella rete, prassi che non pare limitare il suo ambito di competenza alla regolamentazione degli aspetti meramente economici del rapporto giuridico che in tal modo si costituisce tra utente ed operatore della rete. Il particolare collegamento tra l’autonomia privata e la sfera di disponibilità in funzione successoria di cui taluno è titolare, dunque, sembra essere inevitabilmente mutato nel contesto digitale.

2. La successione nel patrimonio digitale: il ruolo dei providers.

Nella prospettiva in premessa delineata, si è concentrata l’attenzione su quella parte del patrimonio digitale in cui rientra il complesso di dati6 ed informazioni che non sono conservati dal defunto su supporti nella sua diretta disponibilità, bensì sul web, su siti specializzati o comunque su server controllati da soggetti terzi. A tal proposito vengono, infatti, in considerazione i contratti stipulati tra utente ed Internet Service Provider, che spesso contengono apposite clausole che prevedono la distruzione dell’account7 e di tutto il materiale in esso contenuto alla morte dell’utente, che quest’ultimo spesso neppure conosce per la rapidità e scarsa attenzione con cui legge le condizioni generali di contratto al momento della creazione dell’account medesimo. Tali clausole appaiono essere il primo limite alla successione nel patrimonio digitale: cosa accadrebbe se l’utente avesse deciso di disporre del suo account a causa di morte nonostante abbia accettato schemi negoziali in tal modo unilateralmente predisposti? Sembra opportuno allora domandarsi se sia possibile rinvenire nell’ordinamento giuridico interno delle norme in applicazione delle quali affermane l’invalidità.

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C. Camardi, L’eredità digitale. Tra reale e virtuale, cit., 75. Occorre precisare al riguardo che vi è una sostanziale differenza tra l’account inteso come rapporto contrattuale tra l’utente e il fornitore di servizi Internet ed il diritto soggettivo sui contenuti digitali contenuti e conservati nell’account medesimo. G. Marino, La successione digitale, cit., 177. Per una più ampia definizione del termine account P. Serena, Eredità digitale, in AA.VV. Identità ed eredità digitali, stato dell’arte e possibili soluzioni, 2016, 117; V. Barba, Contenuto del testamento e atti di ultima volontà, 285.

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Successione mortis causa nel patrimonio digitale e diritto alla protezione dei dati personali

Il primo dato normativo a poter essere presso in considerazione al riguardo è la nostra disciplina a tutela del consumatore8. Laddove l’utente che stipuli il contratto con un fornitore di servizi sia anche un “consumatore” secondo la definizione dell’art. 3 del D.lgs. 206/2005, risulterà applicabile al contratto l’art. 33 del Codice del consumo, con conseguente giudizio di nullità delle clausole che limitano la successione nel patrimonio digitale per la loro vessatorietà, in ragione del determinato squilibrio contrattuale a discapito dell’utente che non potrà validamente disporre in funzione successoria dei beni nascenti da quella pattuizione. Le medesime considerazioni valgono anche per le clausole dei contratti predisposti dagli ISP relative alla legge applicabile e alla giurisdizione competente. Quanto al primo profilo, appare utile fare riferimento all’art. 143 del Codice del consumo che stabilisce che al consumatore devono comunque essere garantite le condizioni minime di tutela previste dal codice nel caso in cui le parti abbiano scelto di applicare al contratto una legislazione diversa da quella italiana; ogni previsione contraria è nulla9. Quanto alle clausole sulla scelta del foro competente, invece, a poter essere preso in considerazione non è solo il Codice del Consumo, in particolare la lett. u) del secondo comma dell’art. 33 d.lgs. 206/200510, ma anche l’art. 17, par. 2 del Regolamento (UE) n. 1215/201211, nonché il combinato disposto degli artt. 18 e 1912. In applicazione di tali norme, una clausola contrattuale che ritenesse dotato di giurisdizione non un giudice italiano ma un giudice straniero, quello del luogo in cui ha la sede principale e non la succursale o una sede secondaria il provider, dovrebbe considerarsi nulla ai sensi dell’art. 36, d.lgs. n. 206/200513.

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S. Deplano, La successione a causa di morte nel patrimonio digitale, cit., 437. Da ultimo l’intera disciplina a tutela del consumatore è stata ulteriormente rafforzata ad opera della Direttiva (UE) 2019/2161 del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori. Tra le novità più significative, che dovranno essere recepite entro il 28 novembre 2021, vi è l’estensione della protezione dei consumatori anche quando non versano somme di denaro, ma forniscono dati personali con l’archiviazione sul cloud o l’utilizzo di social media e account di posta elettronica. 9 In questo caso il riferimento normativo per individuare la legge applicabile è l’art. 6 del Regolamento (CE) n. 593/2008 in materia di obbligazioni contrattuali, il quale stabilisce che il contratto tra professionista e consumatore è disciplinato dalla legge del Paese nel quale quest’ultimo ha la residenza abituale. Se, invece, il contratto individua quale legge applicabile quella in cui il provider, e non l’utente, ha la sua sede principale, la relativa clausola non può che considerarsi nulla ai sensi dell’art. 143, d. lgs. n. 206/2005. 10 Tale disposizione considera vessatorie fino a prova contraria le clausole contrattuali che hanno come fine quello di individuare come foro competente località diverse da quelle in cui ha il domicilio o la residenza il consumatore. 11 Tale disposizione prevede che la controparte del consumatore debba considerarsi domiciliata nello Stato membro in cui possiede una succursale, un’agenzia o qualsiasi altra sede. 12 Per cui l’azione intrapresa dal consumatore potrà essere proposta o davanti all’autorità giurisdizionale in cui è domiciliata la controparte, oppure nel luogo in cui l’attore ha il domicilio, a meno che le parti non abbiano a ciò derogato per il tramite di una convenzione che, tuttavia, attribuisca la competenza ad un’autorità di uno Stato membro in cui entrambe le parti abbiano il domicilio o la residenza abituale al momento della conclusione del contratto. 13 Ciò in applicazione dell’insegnamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in merito all’abusività della clausola sulla scelta della legge applicabile contenuta nelle condizioni generali di contratto di Amazon. Nella Sentenza Amazon del 28 luglio 2016, C-191/15, infatti, viene espressamente affermato che tale clausola è abusiva ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, della Direttiva 93/13/ CEE, in quanto induce in errore il consumatore facendogli credere che al contratto si applichi solo la legge dello Stato membro in essa indicata, senza informarlo, al contrario, che si può applicare anche la legge che gli assicura una tutela maggiore e che sarebbe applicabile in assenza di detta clausola, ciò secondo il disposto dell’art. 6, paragrafo 2, del Regolamento Roma I (n. 593/2008).

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Nelle ipotesi in cui, al contrario, l’utente sia un professionista che richiede l’accesso a determinati servizi internet per scopi attinenti alla sua attività e non possa, pertanto, qualificarsi come “consumatore”, la tutela dei suoi diritti successori potrebbe essere garantita facendo espresso richiamo non al complesso di norme che si è appena illustrato, bensì all’art. 1341 c.c., che stabilisce l’inefficacia delle clausole sul foro o sulla scelta della legge applicabile se non sottoscritte dall’aderente. Vi è un altro dato normativo di fondamentale importanza. Si tratta del nuovo Regolamento (UE) n. 650/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo14. Il legislatore europeo ha in tal modo innovato un aspetto particolare delle successioni transfrontaliere, modificando il criterio di collegamento ai fini della individuazione della legge applicabile alle successioni che si sono aperte dopo il 17 agosto 2015. Ai sensi dell’art. 21, infatti, la legge applicabile all’intera successione per causa di morte è quella dello Stato nel quale il defunto aveva la sua “residenza abituale” al momento della morte15. Applicando tali principi anche alla successione del patrimonio digitale, dunque, affinché sia possibile applicare la normativa nazionale, occorre che il titolare del complesso di beni digitali abbia la sua residenza abituale nel nostro Paese, non rilevando profili secondari quali la conservazione del materiale in rete ed appartenete al de cuius in c.d. data center situati in Paesi estranei al territorio europeo. A completare il sistema di disciplina delle successioni transfrontaliere, il nuovo Regolamento europeo n. 650/2012, all’articolo 22, consente al soggetto della cui eredità si tratta di scegliere che la sua successione sia regolata dal Paese in cui questi ha la cittadinanza al momento della morte, purché tale scelta sia effettuata in modo espresso a mezzo dichiarazione resa nelle forme di una disposizione a causa di morte o risultante dalle clausole di

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Il Regolamento costituisce la prima disciplina europea in materia di successioni e ha l’obiettivo di definire le c.d. successioni transfrontaliere, ovvero quelle che presentino elementi di collegamento con più Stati, ciò in quanto le attività necessarie per la trasmissione dell’eredità devono essere svolte in più Stati membri, laddove la cittadinanza e la residenza abituale del de cuius non coincidono, oppure i beni sono situati anche in Paesi diversi da quello di appartenenza. 15 Il precedente articolo 46, l. n. 218/1995 individuava quale legge applicabile quella nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte; con il nuovo Regolamento, invece, non sarà più rilevante il Paese in cui il defunto aveva la cittadinanza, quanto piuttosto quello in cui era abitualmente residente. La scelta effettuata risponde all’esigenza di trovare una soluzione che consenta in concreto l’applicazione di una legge di un Paese con il quale la successione ha un legame concreto e significativo: si tratta in genere del luogo dove una persona ha fissato il centro dei propri interessi, personali e patrimoniali, dove vivono le persone più vicine che possono essere interessate alla successione e dove si trova la maggior parte dei beni. Il nuovo Regolamento ha determinato, dunque, modifiche sostanziali alle precedenti leggi di diritto internazionale privato degli Stati membri aderenti, nell’ottica di una maggiore uniformazione del diritto delle successioni, mentre gli Stati Terzi continueranno ad applicare il proprio diritto. A tale ultimo riguardo, tuttavia, occorre subito precisare che pur trattandosi di una fonte europea, il Regolamento risulta applicabile anche al caso di specie posto che l’art. 20 stabilisce che «La legge designata dal presente regolamento si applica anche ove sia quella di uno Stato membro». In altre parole, seppure in base al criterio generale di cui all’art. 21 del Regolamento in questione, la legge applicabile risultasse essere quella di uno Stato terzo, in quanto il soggetto della cui eredità si tratta pur essendo cittadino italiano, tuttavia, ha la sua residenza abituale negli Stati Uniti ad esempio, sarà la legge dello Stato americano in cui risiede a regolare la sua successione.

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tale disposizione. Evidentemente, nessuno dei due requisiti appena richiamati si rinviene nella fattispecie qui analizzata: se l’utente è di nazionalità italiana, infatti, non potrebbe optare per una diversa legge che regoli la sua successione e, oltretutto, non potrebbe farlo a mezzo di un contratto inter vivos, quale quello stipulato con l’Internet Service Provider al momento in cui si richiede a questi di fornire un determinato servizio in rete. Nell’intento di perseguire il principio di unità della successione non solo con riferimento alla legge applicabile ma anche con riferimento alla giurisdizione, il Regolamento europeo n. 650/2012 all’art. 4 stabilisce che sono competenti a decidere sull’intera successione gli organi giurisdizionali dello Stato Membro in cui il defunto aveva la residenza abituale al momento della morte. Pertanto, in applicazione di tale principio, la scelta del foro competente contenuta nel contratto stipulato con il provider non può comportare che a disciplinare le eventuali controversie con gli eredi dell’utente defunto sia un giudice appartenente ad un ordinamento giuridico diverso da quello che disciplina la successione del patrimonio digitale. Tutte le argomentazioni appena illustrate sembrano trovare un valido conforto nella nota sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella quale si può leggere che se un determinato motore di ricerca effettua in Europa la sua attività, è pretestuoso affermare l’immunità dalle leggi e dai giudici del singolo Paese in cui opera e dove offre servizi ai singoli utenti16. Anche sulla scia di tale decisione, evidentemente, non solo Google, che era parte di quel giudizio, ma anche altri colossi, come Apple17 e la più importante piattaforma social quale Facebook, solo di recente hanno modificato in parte le proprie condizioni generali

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Si tratta della nota sentenza “Google Spain” del 13 maggio 2014 causa C-131/12, con la quale la Corte non si esprime direttamente sul tema dell’eredità digitale ma sancisce alcuni fondamentali principi di diritto che assumono particolare rilevanza anche nella prospettiva successoria del patrimonio digitale qui esaminata. Più precisamente, sono tre i principi di diritto affermati nella decisione “Google Spain”. In primo luogo, la sentenza afferma che si applica la legge nazionale del Paese nel quale il motore di ricerca opera, esercitando anche altre attività, quali la promozione e la vendita degli spazi pubblicitari. In secondo luogo, che l’interessato ha il diritto di richiedere che sia rimossa l’indicizzazione direttamente al motore di ricerca, in quanto titolari del trattamento, a prescindere da ogni richiesta al gestore del sito web che ha pubblicato l’informazione, anche se ciò sia avvenuto in modo lecito. In terzo luogo, ed è questa la parte più nota di tale sentenza, che l’interessato ha diritto a che l’informazione riguardante la sua persona non venga più collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, ovvero che ricercando il nome di un individuo, l’utente sia indirizzato dal motore di ricerca a siti contenenti informazioni personali di costui. Evidentemente, nella prospettiva che qui interessa, è il primo dei tre principi appena esposti che deve essere preso in considerazione. 17 B. Legge applicabile. A eccezione di quanto espressamente dichiarato nel paragrafo seguente, il presente Contratto e il rapporto tra Voi e Apple sarà regolato dalle leggi dello Stato della California, escluse le relative disposizioni sul conflitto di leggi. Voi e Apple accettate di sottoporvi alla giurisdizione personale ed esclusiva dei tribunali situati nella contea di Santa Clara, in California, per risolvere qualsiasi controversia o reclamo derivante dal presente Contratto. Qualora (a) non siate cittadini degli Stati Uniti, (b) non siate residenti negli Stati Uniti, (c) non accediate al Servizio dagli Stati Uniti, e (d) siate cittadini di uno dei paesi specificati di seguito, accettate con il presente Contratto che ogni controversia o rivendicazione derivante dal presente Contratto sarà regolata dalla legge applicabile così come stabilita di seguito, escluse le relative disposizioni sui conflitti di leggi, e Vi rimetterete irrevocabilmente alla giurisdizione non esclusiva dei tribunali situati nello stato, provincia o paese identificati di seguito e la cui legge è applicabile. Se siete cittadini di qualsiasi paese dell’Unione Europea o della Svizzera, Norvegia o Islanda, la legge applicabile e il foro saranno la legge e i tribunali del vostro luogo di residenza abituale. Rimane specificamente esclusa dall’applicazione del presente Contratto la legge nota come Convenzione delle Nazioni Unite sulla vendita internazionale di beni (reperibile in <https://www.apple.com/legal/ internet-services/icloud/it/terms.html>).

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prevedendo che, laddove l’utente sia residente in uno dei Paesi membri dell’Unione Europea, la legge applicabile ed il foro competente saranno quelli del suo luogo di residenza abituale. Un’eccezione sicuramente rilevante quest’ultima, allo stato riservata esclusivamente al territorio europeo. Ma da un punto di vista strettamente successorio cosa è cambiato? Non molto si potrebbe dire, posto che le clausole sulla intrasmissibilità dell’account non sono state ancora eliminate ed hanno già dato luogo ad accese questioni giudiziarie18.

3. La categoria dei beni: dal diritto romano ai nuovi digital assets.

Dopo aver analizzato gli schemi negoziali tra utente ed Internet Service Provider, appare opportuna un’ulteriore riflessione: i beni digitali sono beni dematerializzati che mostrano come nell’economia contemporanea, caratterizzata dall’utilizzo delle nuove tecnologie, si creano nuove forme di disponibilità e di appartenenza di beni che restano apparentemente estranee agli schemi tradizionali da sempre conosciuti dal nostro ordinamento giuridico. Ciò impone di valutare se i nuovi beni che nascono dall’utilizzo dello strumento informatico siano o meno riconducibili alle categorie giuridiche tradizionali e, più precisamente, al disposto dell’art. 810 c.c. Tale considerazione si impone come preliminare rispetto al giudizio di ammissibilità del fenomeno successorio nel patrimonio digitale e della ricerca degli elementi che, al contrario, sembrerebbero limitarlo. Pertanto, nell’intento di rintracciare i possibili limiti ad un’eredità comprensiva anche di una rilevante componente digitale, sia consentita una breve ricostruzione in chiave storica e di comparazione diacronica della categoria dei beni e, in linea più generale, della successione a causa di morte. In tutte le epoche storiche ed in ogni regime giuridico la successione a causa di morte è sempre prevista e disciplinata per una preminente esigenza economica e sociale di evitare che i rapporti giuridici facenti capo al defunto non si estinguano alla sua morte. Già a partire dal diritto romano le problematiche connesse all’evento morte erano tanto sentite che, nelle trattazioni di ius civile, i giuristi collocavano lo studio della successione a causa di morte come primo tema. Il giurista Gaio affermava che “L’eredità non è altro che

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Bundesgerichtshof, Urteteil vom 12. Juli 2018 – III ZR 183/17, reperibile in <http://juris.bundesgerichtshof.de/cgibin/rechtsprechung/ document.py?Gericht=bgh&Art=pm&Datm=2018&Sort=3&nr=85390&anz=115&pos=0&Blank=1>) di cui si tratterà più ampiamente infra, v. paragrafo 4.1.

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la successione nella situazione giuridica complessiva del defunto”19, per esprimere che la morte di un soggetto non estingue l’insieme delle situazioni giuridiche a lui facenti capo. Con specifico riferimento al diritto romano arcaico, particolarmente sentita era l’esigenza di disciplinare una serie di situazioni che si sarebbero verificate alla morte del pater che non potevano restare non previste e non disciplinate. Data la struttura della familia romana come microsocietà, fare testamento appariva una necessità20, mentre morire intestatus rappresentava una possibilità soltanto per chi non avesse una famiglia e dei figli di cui preoccuparsi. L’evento morte era, pertanto, già oggetto di specifica disciplina, anche se non si era ancora sviluppato il concetto di successione intesa come il subentrare di un soggetto ad una altro, in quanto i discendenti del de cuius non facevano altro che espandere dei loro poteri latenti sui beni familiari di cui erano già contitolari, anche se l’unico soggetto legittimato ad esercitarli era il padre finché era in vita21. Solo successivamente, a seguito di una certa interpretazione delle XII Tabulae ad opera della magistratura religiosa22, si forma l’idea dell’acquisizione dei beni del de cuius in termini di successione mortis causa, per esigenze di trasmissione dei cespiti e per lo sviluppo delle relazioni sociali, di chi pagasse i debiti e riscuotesse i crediti; non solo, vi erano anche i sacra23 familiari da continuare a coltivare, come il sepulchrum familiare. Venne così introdotto il principio “sacra cum pecunica”: per fare in modo che i sacra fossero continuati, doveva sempre essere individuato un heres, anche non appartenente alla famiglia del de cuius (suus o extraneus), che una volta apprese le res hereditariae le usucapiva24 dopo averle possedute per un anno, rispondendo però anche dei debiti ereditari e dei sacra. Ancora oggi il fondamento della successione a causa di morte si rinviene nella necessità di evitare che dall’estinzione delle obbligazioni facenti capo al de cuius, così come dal divenire i suoi beni res nullius, ne derivi un turbamento dell’ordine sociale25.

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D. 50.16.24 (Gai. 6 ad ed. prov.): Nihil est aliud ‘hereditas’ quam successio in universum ius quod defunctus habuit. Si doveva regolare la situazione della moglie (uxor), quella dei figli e nipoti, in potestate e/o emancipati, delle figlie ancora nubili o di quelle sposate ma ancora in potestà paterna perché il loro matrimonio era cum manu. 21 Gaio 2.157, a proposito della successione intestata dei sui riporta che “filii vivo quoque parente quodammodo domini existimantur” (i figli, benché vivo il genitore, sono considerati in qualche modo comproprietari). Tale successione era disciplinata dalle XII Tabulae “Si intestato moritur, cui suus nec escit, adgnatus proximus familiam habèto. Si adgnatus nec escit, gentìles familiam habènto” (Se muore intestato taluno, a cui non vien fuori un heres suus, abbia i suoi beni familiari l’agnato più prossimo, e se non viene fuori l’agnato abbiano quei beni i gentili). Evidentemente l’attribuzione dei beni all’agnato più prossimo o, in sua assenza, ai gentiles, non integrava un fenomeno successorio inteso come subingresso di un soggetto ad un altro, quanto, piuttosto, un acquisto a titolo originario nella forma dell’occupazione di res che, diversamente, sarebbero diventate res nullius 22 Cicerone nel De legibus riporta due provvedimenti dei pontefici, uno dell’età di Tiberio Coruncanio (253 a.C.) e l’altro del periodo che va dal pontificato di Publio Mucio Scevola (130 a.C.) all’89 a.C. 23 Gaio 2.55 sacra “quorum illis tempòribus summa observatio fuit” (sacra, di cui un tempo somma era l’osservanza). Ciò in quanto la formula usata dalle XII Tabulae per gli agnati ed i genitles sembrava implicare che essi si appropriassero dei beni di chi fosse morto senza sui, acquistandone i beni ma senza rispondere dei debiti e dei sacra e ius sepulchri. 24 “usucapio pro herede”. 25 A. Cicu, Successioni a causa di morte. Parte generale, in Tratt. dir. civ. e comm., a cura di Cicu e Messineo, Milano, 1961, 7; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006, 2 ss. e 25 ss. 20

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Se questo è il principio che ispira il nostro ordinamento in ambito successorio fin dal diritto romano, appare già evidente come sia del tutto ingiustificata la diversa disciplina dei beni digitali in funzione successoria derivante dall’applicazione di una serie di clausole unilateralmente predisposte nell’ambito della contrattazione privata svolta in rete dall’utente. Ma vi sono altri profili di interesse che emergono dalla comparazione con il diritto romano: volgendo lo sguardo all’oggetto della successione a casa di morte, è agevole notare come l’hereditas costituiva un complesso di beni (corpora) e diritti (iura) che si sostanziava in un’entità giuridica autonoma ed individuale, distinta dai singoli elementi che la componevano. Erano, pertanto, oggetto di successione a causa di morte tutti gli oggetti giuridici, sia le res corporales, ovvero appartenenti al mondo della realtà sensibile come corpi che occupano uno spazio e sono visibili26, sia le res incorporales27, ovvero le res che si possono cogliere solamente con l’intelletto e appartenenti soltanto al mondo delle rappresentazioni mentali e quindi incorporee28. Allo stesso modo, nel nostro ordinamento giuridico, per eredità si intende “La complessa situazione giuridica, composta da una pluralità unificata di rapporti attivi e passivi e nella quale subentra in tutto o in parte il successore a titolo universale”29. Sono, inoltre, trasmissibili soltanto i diritti patrimoniali sui beni30, siano questi materiali o immateriali31. E proprio con specifico riferimento alla categoria dei beni immateriali32, che da sempre la dottrina maggioritaria riconduce al disposto dell’art. 810 c.c.33, non pare si rinvengano elementi idonei ad escludere da tale ambito anche i beni digitali; questi si distinguono dalla tradizionale categoria dei beni immateriali solo in quanto presentano una peculiarità in più: si collocano nella realtà virtuale, sono c.d. virtual good. Da tale considerazione ne discende che i beni digitali rientrino a pieno titolo nel patrimonio in senso tecnico di un soggetto, patrimonio che si declina, in questo caso, in una

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“Res quae sunt, quae tangi possunt” (che esistono di fronte a noi e possono essere toccate). D. 5.3.50 pr. “hereditas nihil aliud est, quam successio in universum ius quod defunctus habùerit” (dal punto di vista giuridico, sussiste un’eredità anche se essa non comprende alcuna cosa corporale). 28 Grazie a spunti provenienti dall’arte grammaticale e dalla filosofia (dal pensiero di Dioniso Trace, tra il I e II sec. a.C. e di Arcadio Carisio del IV sec d.C.) la giurisprudenza iniziò a considerare anche le res “que intelleguntur”, “quae certi amen animo possunt” (che si possono cogliere soltanto con l’intelletto). 29 G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2009, 69 ss., il quale precisa, altresì, che sinonimi del termine eredità sono «patrimonio ereditario», «asse ereditario», «massa ereditaria», «compendio ereditario». Al contrario, non sono sinonimi i termini successione ed eredità, in quanto quest’ultima costituisce l’oggetto della successione. 30 Ciò trova conferma in una serie di norme tra cui l’art. 587 c.c. che definisce il testamento come l’atto revocabile con cui taluno dispone «di tutte le proprie sostanze o parte di esse» e nell’art. 588 c.c. dove si parla di «quota di beni». 31 Già nel Digesto (D. 5.3.50pr) si legge che “hereditas etiam sine ullo corpore iuris intellectum habet (dal punto di vista giuridico sussiste un’eredità anche se essa non comprende alcuna cosa corporale). 32 D. Messinetti, Beni immateriali (diritto privato), in Enc. giur. Treccani, Roma 1988; G. Pugliese, Dalle res incorporales del diritto romano ai beni immateriali di alcuni sistemi giuridici odierni, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1982, 1137. In particolare, così definiva i beni immateriali F. Santoro Passarelli, Dottrine generali di diritto civile, Napoli, 2012, “sono beni veramente nuovi, prodotti dallo spirito umano, importanti più di tutti gli altri, perché da essi principalmente dipende il progresso dell’umanità”. 33 B. Biondi, I beni, in Tratt. Vassalli, IV, I, Torino, 1956; C.M. Bianca, Diritto civile, VI, La proprietà, Milano, 1994; F. Bocchini – E. Quadri, Diritto privato, Torino, 2011 27

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sua componente digitale, ma che rimane unitario e assoggettato alla medesima disciplina prevista per il caso in cui si componga di beni non appartenenti alla realtà virtuale. Quando si parla di patrimonio digitale, dunque, non si fa altro che individuarne la sua esatta composizione, facendo riferimento anche a quei “beni digitali” che ne fanno parte. Nel diritto romano, infine, tutto ciò che poteva costituire oggetto di diritto e, dunque, anche la categoria delle res incorporales, doveva avere i seguenti requisiti: utilizzabilità e disponibilità o commerciabilità per i privati. Ebbene, se non pare sia contestabile che i nuovi beni digitali siano sicuramente utilizzabili dall’utente che accede a determinati servizi informatici, meno pacifico sembra essere il requisito della disponibilità e, ancor di più, quello della commerciabilità. Tali dubbi, tuttavia, non nascono da una diversa qualificazione dei beni digitali rispetto alla categoria dei beni immateriali (res incorporales) che ci deriva dal diritto romano, bensì dai diversi limiti alla disponibilità in funzione successoria dei nuovi digital assets derivanti spesso, come detto, dai contratti stipulati tra utente ed ISP. Volendo sintetizzare, se la comparazione con il diritto romano ci fornisce una conferma ulteriore che la successione nel patrimonio digitale sia da considerarsi ammissibile in applicazione di concetti da sempre appartenenti al nostro ordinamento giuridico, per comprendere quali siano i reali ostacoli che a ciò si oppongono, occorre analizzare in modo più specifico la posizione assunta dai principali fornitori di servizi Internet, con specifico riferimento ai grandi providers americani, che hanno oramai il monopolio sia per i servizi di e-mail che per i social network ed i servizi di cloud.

4. Evento morte e diritto alla protezione dei dati personali. Le motivazioni della chiusura portata avanti dai grandi providers rispetto alla possibilità che il fenomeno successorio riguardi anche la componete digitale del patrimonio dell’utente defunto appare, a prima vista, giustificata da esigenze di tutela della privacy del defunto34. In particolare, vi è una legge federale degli Stati Uniti d’America, lo “Stored Communications Act” (SCA)35, del 1986, che punisce penalmente la diffusione delle comunicazioni elettroniche a soggetti terzi da parte delle società che forniscono servizi Internet. Le limitazioni che da tale disciplina derivano sono considerevoli in quanto solo in due casi è consentito il rilascio dei dati a soggetti terzi rispetto al loro titolare, ovvero laddove vi sia l’ordine di una Corte, oppure quando vi sia il consenso del titolare, c.d. lawful consent.

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G. Resta, La successione nei rapporti digitali e la tutela post-mortale dei dati personali, in Contr. e impr., 2019. 18 U.S.C. Chapter 121 §§ 2701-2712.

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Tuttavia, è agevolare notare che, in realtà, lo “Stored Communications Act” (SCA) è un atto legislativo nato per impedire le intercettazioni e che non si riferisce certamente a questioni successorie, non avendo come destinatari gli eredi dell’utente defunto che richiedono l’accesso ai suoi dati, né al complesso dei beni digitali di cui un soggetto possa essere titolare che, come precisato, ha natura eterogenea e non limitata alle comunicazioni elettroniche. Di tale normativa è stata data una poco chiara interpretazione giudiziale in un recente caso che ha visto coinvolto il social network Facebook, che si era rifiutato di fornire ai familiari di un utente i contenuti dell’account dopo la sua morte, in quanto il giudice adito aveva considerato tale richiesta in violazione dello SCA36. In particolare, il giudice adito era la U.S District Court, Northern District of California la quale, non avendo ben chiaro se anche l’esecutore testamentario potesse fornire il consenso all’accesso ai dati così come richiesto dallo SCA, decise di chiudere il processo e di negare l’accesso all’account ai familiari dell’utente defunto. A ciò si aggiunga che vi è anche un’altra norma, precisamente un atto federale, ancora del 1986, il Computer Fraud and Abuse Act (CFAA)37, che punisce con pene fino alla reclusione l’accesso non autorizzato ad un computer. Non vi è dubbio che il tema della tutela dei propri dati personali, indispensabile per la tutela dell’identità personale, sia di fondamentale importanza in relazione allo strumento informatico, in quanto il trattamento dei dati personali effettuato in rete è suscettibile di incidere notevolmente sui diritti fondamentali. Rilevanti al riguardo tre storiche sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che hanno contribuito a definire «lo statuto giurisprudenziale della privacy digitale»38, che testimoniano come il diritto al controllo dei propri dati personali abbia trovato ampia tutela nella giurisprudenza europea39.

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Si tratta del caso di Sahar Daftary, morta suicida o forse a causa di una caduta accidentale da un balcone di un appartamento situato al dodicesimo piano di un palazzo. Alle richieste dei genitori di avere accesso ai contenuti dell’account della figlia per poterne ricavare informazioni utili per riaprire il caso, Facebook rispose negativamente riferendosi sia alle proprie condizioni generali di contratto relative alla privacy, sia alle norme dello SCA che proteggono la confidenzialità delle comunicazioni elettroniche. In precedenza, proprio per il mancato adeguamento della sua politica in materia di privacy alle disposizioni dello SCA, Facebook fu costretta da un provvedimento del Multnomah County Circuit Court di Portland a consentire alla madre di una sua utente deceduta di accedere all’account della figlia per un periodo di dieci mesi. 37 18 U.S.C. § 1030. 38 Così, F. Donati, Identità digitale e tutela dei diritti, in Identità ed eredità digitali, stato dell’arte e possibili soluzioni al servizio del cittadino, Atti del Convegno di Milano 4-12-2014, Roma, 2016, 125 ss. 39 La Corte di Giustizia, nella sentenza dell’8.4.2014, cause C-293/12 e C-594/12 “Digital Rights Ireland” ha annullato la Direttiva 2006/24/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006, riguardante la conservazione dei dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE, in quanto ha considerato le disposizioni ivi contenute incompatibili con gli artt. 7 e 8 della Carte dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. La Direttiva imponeva, infatti, agli operatori di telefonia di memorizzare i dati relativi al traffico, all’ubicazione, e all’identificazione dell’utente per un periodo non superiore a due anni, al fine di poter fornire informazioni utili per le indagini sui reati legati alla criminalità e al terrorismo. Successivamente, con la sentenza “Google Spain” del 13 maggio 2014, causa C-131/12, come già visto, la Corte di Giustizia ha stabilito dei limiti al trattamento dei dati personali effettuato nell’ambito delle attività dei motori di ricerca, quali l’indicizzazione automatica di informazioni pubblicate o inserite da terzi su internet, la memorizzazione e conservazione delle medesime che sono messe a disposizione degli utenti secondo un ordine di preferenza.

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Tuttavia, in relazione al caso di specie, dove il diritto alla protezione dei dati personali viene utilizzato dai providers al solo fine di limitare la successione nel patrimonio digitale da parte degli eredi dell’utente defunto, si ritiene di dover concordare con chi afferma che il riferimento alla tutela della privacy sia soltanto un modo per celare il vero motivo per cui si cerca di negare in tutti i modi la trasmissibilità dei beni digitali40. Negli ordinamenti di Common Law, infatti, con particolare riferimento proprio al diritto statunitense, è principio generale che la reputazione ed il rispetto della dignità personale siano ritenuti beni giuridici che non sopravvivono alla morte dell’individuo, stante il principio actio personalis moritutur cum persona41, che è ritenuto applicabile all’intero apparato rimediale posto a presidio della tutela della privacy; soltanto i profili patrimoniali della personalità sono ritenuti suscettibili di essere trasmessi mortis causa agli eredi. Pertanto, voler impedire agli eredi dell’utente defunto di accedere ad un complesso di risorse che possono avere un notevole valore economico in funzione della maggior tutela riservata ad una serie di diritti a carattere strettamente personali, che si ritiene non possano sopravvivere all’evento morte, non appare argomento convincente. 4.1. La Corte Federale di Giustizia tedesca e il caso Facebook.

Tali considerazioni sembrano trovare conferma in una recentissima sentenza resa dal massimo organo giurisdizionale tedesco, la Corte federale di Giustizia (Bundesgerichtshof, BGH)42 in una questione che ha interessato Facebook ed il diritto di una madre a poter accedere al profilo commemorativo della figlia defunta.

Infine, con la sentenza “Scherms” del 6 ottobre 2015, causa C-362/14, “Maximilian Scherms c. Data Protection Commissioner”, la Corte ha dichiarato l’invalidità delle decisione della Commissione Europea 520/2000/CE, c.d. Safe Harbor, in materia di tutela dei dati personali, ritenendo che il regime di “approdo sicuro” non offre un livello di protezione dei diritti fondamentali equivalente a quello garantito dall’Unione Europea a norma della direttiva sul trattamento dei dati personali, interpretata alla luce degli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. 40 M. Cinque, La successione nel “patrimonio digitale”: prime considerazioni, cit., 649; A. Magnani, L’eredità digitale, in Notariato, 2014, 524. 41 Ciò in applicazione del § 652 del Restatement Second of Torts del 1977: «except for the appropriation of one’s name or likeness, an action for invasion of privacy can be maintained only by a living individual whose privacy is invaded» 42 Bundesgerichtshof, Urteteil vom 12. Juli 2018 – III ZR 183/17, in ZIP, 2018, 1881; in WM, 2018, 1606, <http://juris.bundesgerichtshof. de/cgibin/rechtsprechung/document.py?Gericht=bgh&Art=pm&Datum=2018&Sort=3&nr=85390&anz=115&pos=0&Blank=1>. La controversia nasceva a seguito di un tragico incidente accaduto nel 2012, quando, cadendo sui binari della metropolitana, una giovane veniva travolta ed uccida da un treno. Per tale motivo, i genitori della ragazza, per fare chiarezza ed accertarsi che la morte della figlia non fosse dipesa da episodi di bullismo o da un disagio esistenziale, si rivolgevano alla piattaforma social al fine di poter accedere al suo profilo e trovare così elementi utili alle indagini. I genitori della ragazza morta tragicamente, stante il netto rifiuto da parte di Facebook di consentire l’accesso all’account orami trasformato in “commemorativo” (adducendo, al riguardo, particolari esigenze di tutela del dato personale anche dopo l’evento morte e richiamando, altresì, particolari divieti contenuti nelle condizioni generali di contratto cui la ragazza aveva aderito al momento della creazione dell’account), si rivolgevano al tribunale di Berlino che nel 2015 accoglieva il ricorso presentato dalla coppia, ritenendo che i post pubblicati sul profilo della ragazza fossero assimilabili ad un tradizionale diario cartaceo e, per tale motivo, oggetto di successione a causa di morte secondo il codice civile tedesco. Facebook ricorreva allora ai giudici della Corte d’appello di Berlino deducendo la violazione delle norme riguardanti la riservatezza e il diritto all’oblio della defunta da parte della sentenza di primo grado. Nel maggio del 2017, i giudici di seconda istanza rovesciavano la decisione resa in prima istanza, sul presupposto che, nella valutazione e nel bilanciamento delle norme riguardanti il diritto successorio e la segretezza delle telecomunicazioni, fossero le seconde a dover prevalere. Veniva al riguardo richiamato un precedente espresso nel 2009 dalla Corte

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Tale sentenza appare rilevante per molti dei profili in questa sede esaminati. In primo luogo, per la prima volta un giudice di uno Stato Membro si è pronunciato nell’ambito di un giudizio in cui parte in causa è Facebook. Ciò è stato possibile in quanto, come già precisato, in seguito alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso “Google Spain”, la piattaforma social aveva modificato le condizioni generali di contratto, prevedendo per i cittadini europei l’applicazione della legge nazionale del luogo di residenza con competenza dei relativi organi giurisdizionali. Il giudice tedesco, dunque, facendo applicazione delle norme che disciplinano il diritto delle successioni nel codice civile tedesco, ha in primo luogo precisato che gli eredi dell’utente defunto subentrano nella totalità dei rapporti giuridici a lui facenti capo, ivi compreso il contratto originariamente stipulato con Facebook43. In altre parole, si è ritenuto che i contenuti digitali in rete siano esattamente equiparabili ad un qualsiasi altro bene immateriale che possa far parte del patrimonio di un soggetto; più nello specifico, l’account Facebook di un soggetto viene considerato come un qualsiasi diario cartaceo che, anche quando custodisce contenuti strettamente personali o confidenziali, è sicuramente parte della successione che si devolve, secondo il diritto tedesco44, a favore dai più stretti congiunti del defunto. Partendo da tale assunto, la Corte ha stabilito che il fenomeno successorio riguarda esclusivamente il rapporto contrattuale con cui si crea l’account social, non anche le eventuali comunicazioni in esso contenute. Secondo tale impostazione, dunque, non ponendosi un problema di successione in un accordo di natura strettamente personale che dovrebbe estinguersi alla morte dell’utente, non è possibile neppure ravvisare una violazione delle norme in materia di tutela della privacy nelle telecomunicazioni. L’erede, infatti, non può essere considerato “altro” secondo il termine utilizzato nella disposizione di legge pertinente45 in quanto succede nell’intera posizione giuridica di una delle parti della conversazione.

Costituzionale tedesca che aveva stabilito l’estensibilità in via analogica di tale normativa anche alla posta elettronica; la Corte d’Appello riteneva, dunque, che tale principio fosse perfettamente applicabile anche alla chat presente su Facebook. Per una più approfondita analisi della sentenza R. Mattera, La successione nell’account digitale. Il caso tedesco, in Nuova giur. civ. e comm., 2019. 43 La conclusione cui la Corte giunge, per cui un account di social network, al pari di tutte le altre posizioni contrattuali, è suscettibile di devoluzione e acquisto mortis causa, deriva dalla diretta applicazione anche al fenomeno dell’eredità digitale del principio espresso dal § 1922 BGB in tema di universalità della successione. 44 La Corte ha fatto applicazione dei §§ 2373 e 2047 del BGB, dai quali si desume chiaramente che le carte e i ricordi di famiglia ricadono nella massa ereditaria, nonostante il loro carattere eminentemente personale 45 Par. 88 Abs. 3 TKG, legge tedesca sulle telecomunicazioni. “Dem Fernmeldegeheimnis unterliegen der Inhalt der Telekommunikation und ihre näheren Umstände, insbesondere die Tatsache, ob jemand an einem Telekommunikationsvorgang beteiligt ist oder war. Das Fernmeldegeheimnis erstreckt sich auch auf die näheren Umstände erfolgloser Verbindungsversuche. Zur Wahrung des Fernmeldegeheimnisses ist jeder Diensteanbieter verpflichtet. Die Pflicht zur Geheimhaltung besteht auch nach dem Ende der Tätigkeit fort, durch die sie begründet worden ist. Den nach Absatz 2 Verpflichteten ist es untersagt, sich oder anderen über das für die geschäftsmäßige Erbringung der Telekommunikationsdienste einschließlich des Schutzes ihrer technischen Systeme erforderliche Maß hinaus Kenntnis vom Inhalt oder den näheren Umständen der Telekommunikation zu verschaffen. Sie dürfen Kenntnisse über Tatsachen, die dem Fernmeldegeheimnis unterliegen, nur für den in Satz 1 genannten Zweck verwenden. Eine Verwendung dieser Kenntnisse für andere Zwecke, insbesondere die Weitergabe an andere, ist nur zulässig, soweit dieses Gesetz oder eine andere gesetzliche Vorschrift dies vorsieht und sich dabei ausdrücklich auf Telekommunikationsvorgänge bezieht. Die

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La Corte federale di Giustizia tedesca ha infine chiarito che non sussiste alcun conflitto tra la vicenda successoria nel rapporto contrattuale facente capo all’utente defunto ed il nuovo Regolamento UE 679/2016 (GDPR), ciò in quanto il citato regolamento disciplina soltanto gli interessi delle persone in vita e non certamente quelli degli eredi dell’utente defunto46. Quest’ultimo è sicuramente uno dei principi più interessati in tema di eredità digitale espressi dalla sentenza in questione, che appare smentire pienamente la motivazione ufficiale con cui i grandi provider negano l’accesso ai contenuti digitali agli eredi dell’utente defunto, ovvero una presunta esigenza di tutela della privacy anche dopo la sua morte che, come affermato dal supremo organo giudicante tedesco, in realtà non sussiste in nessun caso. Ciò dovrebbe eliminare ogni dubbio circa l’infondatezza giuridica della ferma chiusura portata avanti dai grandi operatori della rete per evitare che si verifichi la successione nei contenuti digitali dei propri utenti. Al contrario, ciò di cui si dovrebbe tener conto è che i dati, anche laddove abbiano carattere strettamente personale, sono motivo di grande interesse per gli ISP e ciò, evidentemente, non per esigenze di tutela della privacy dell’utente, ma per motivi diametralmente opposti, connessi agli enormi interessi economici che si celano dietro il mercato dei dati47. Il recentissimo scandalo “Cambridge Analytica”48 pare confermare tale assunto. Il caso, che ha come protagonisti proprio Facebook e Google, rende evidente che consentire ai propri utenti di disporre dei propri contenuti digitali vorrebbe dire per gli ISP

Anzeigepflicht nach § 138 des Strafgesetzbuches hat Vorrang. Befindet sich die Telekommunikationsanlage an Bord eines Wasseroder Luftfahrzeugs, so besteht die Pflicht zur Wahrung des Geheimnisses nicht gegenüber der Person, die das Fahrzeug führt oder gegenüber ihrer Stellvertretung” reperibile in <https://www.zeit.de/news/2018-07/12/bgh-urteil-eltern-erben-facebook-konto-dertoten-tochter-180712-99-120455>. 46 La Corte tedesca ha specificato al riguardo che, subentrando l’erede nella totalità dei rapporti giuridici che facevano capo al de cuius ivi incluso il contratto stipulato con Facebook, in applicazione dell’art. 6, par. 1, lett. b) del Regolamento 2016/679 debba considerarsi ammissibile il trattamento dei dati qualora questo sia necessario all’esecuzione di un rapporto contrattuale di cui sia parte l’interessato, così come debba ritenersi lecito la comunicazione agli eredi del contenuto delle comunicazioni contenute nell’account social in quanto essenziale alla trasmissione della posizione contrattuale. A conferma della non illeceità della divulgazione delle informazioni contenute dell’account dopo la morte del suo titolare, l’organo giudicante fa, altresì, espresso richiamo all’art. 6, par. 1, lett. f) del Regolamento 2016/679, il quale autorizza il trattamento dei dati personali necessario per il “perseguimento del legittimo interesse” del titolare o di terzi, interesse identificato nel caso di specie nell’interesse dei genitori ad accedere alle comunicazioni della figlia per far luce sulle cause della sua morte. 47 La cui cessione ai gestori delle piattaforme social diventa spesso inconsapevole ed inevitabile, C. Camardi, L’eredità digitale. Tra reale e virtuale, cit., 71. 48 Cambridge Analytica è stata fondata nel 2013 da Robert Mercer, ed è specializzata nel raccogliere dai social network un’enorme quantità di dati sui loro utenti. Queste informazioni sono poi elaborate da modelli e algoritmi per creare profili di ogni singolo utente, con un approccio simile a quello della “psicometria”, il campo della psicologia che si occupa di misurare abilità, comportamenti e più in generale le caratteristiche della personalità. Il collegamento tra Facebook e Cambridge Analytica si è creato nel momento in cui Facebook, per il tramite di un’app ideata da un ricercatore dell’università di Cambridge che prometteva di produrre profili psicologici e di previsione del proprio comportamento basandosi sulle attività svolte online (per utilizzarla gli utenti dovevano collegarsi utilizzando Facebook Login, il sistema che permette di iscriversi a un sito senza la necessità di creare nuovi username e password, utilizzando invece una verifica controllata da Facebook), ha raccolto dati sulle reti social degli utenti condividendo tutte queste informazioni con Cambridge Analytica, e violando i propri termini d’uso. Il social network vieta, infatti, ai proprietari di app di condividere con società terze i dati che raccolgono sugli utenti, e punisce i trasgressori con la sospensione degli account.

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ed i gestori delle piattaforme social perdere una quantità enorme di dati in essi conservati, con un danno economico di notevoli dimensioni. Volendo provare a considerare il risvolto pratico ed applicativo di quanto affermato dalla Corte tedesca con specifico riferimento al nostro ordinamento giuridico, persistendo l’assenza di un apposito intervento normativo in materia, ci si chiede che tipo di tutela potrebbe essere riservata a chi ritenga di poter subentrare nell’intera posizione giuridica del de cuius, comprensiva anche delle nuove fattispecie figlie dello sviluppo tecnologico. In attesa di una conferma giurisprudenziale così come avvenuto per il caso tedesco, laddove la legge applicabile al rapporto contrattuale in cui si vuole succedere sia quella italiana, stanti le modifiche al riguardo delle condizioni generali di contratto di cui si è detto, nessuna norma si è rinvenuta nel sistema in grado di impedire la trasmissione a causa di morte dei nuovi beni digitali, ciò in ragione del loro ricondursi alle categorie giuridiche tradizionali. Pertanto, il giudice italiano competente non dovrebbe trovare ostacoli nel riconoscere la prevalenza degli interessi successori dei successibili dell’utente defunto rispetto a quelli del provider. Potrebbero al riguardo immaginarsi due distinti scenari. Se l’utente non ha espresso alcuna volontà in vita rispetto ai suoi beni digitali, questi potranno essere devoluti per legge ai soggetti e per le quote stabilite dalle norme di cui al Libro secondo, Titolo II del codice civile. Laddove l’utente abbia fatto ricorso allo strumento testamentario, invece, nessun contrasto potrebbe sorgere tra le disposizioni in esso contenute e le condizioni generali di contratto con le quali l’utente abbia accettato che tutte le sue risorse siano cancellate dal provider dopo la sua morte. La volontà testamentaria, infatti, in quanto l’unica validamente espressa, sarà la sola alla quale dare esecuzione all’apertura della successione. Seguendo questa linea interpretativa, non sarebbe più necessario inserire nel testamento le proprie credenziali di accesso in quanto, stante il subingresso dell’erede o del legatario nella stessa posizione contrattuale facente capo all’utente defunto, il provider non potrebbe più rifiutarsi di comunicarle loro. In relazione, invece, ad un probabile conflitto tra un utente, seppure di uno Stato membro, ed un fornitore di servizi che non ha modificato la propria policy in merito alla legge applicabile e al giudice competente, non resterebbe che riferirsi al principio della localizzazione dei servizi Internet espresso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e ricercare nell’ordinamento giuridico interno dei riferimenti normativi che consentano di poter considerare nulle le clausole contrattuali unilateralmente predisposte e limitative della successione nel patrimonio digitale.

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5. L’eredità digitale dopo il Regolamento UE 679/2016 (GDPR).

Nella dottrina italiana, contrariamente da quanto riferito dai grandi providers e da quanto avviene nella giurisprudenza americana sopra richiamata, già da tempo il diritto alla protezione dei propri dati personali è stato utilizzato come riferimento normativo per garantire agli eredi dell’utente defunto l’accesso ai suoi beni digitali49. In particolare, il richiamo era all’art. 9, comma 3 del D.lgs. 196/2003, secondo cui «i diritti di cui all’art. 7 riferiti a dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisca a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione». Tale norma si riteneva potesse ricomprendere varie ipotesi, tra cui anche quella dell’erede che intenda accedere all’account dell’utente defunto e che, per il suo carattere imperativo non derogabile dalle parti, fosse suscettibile di determinare la nullità delle condizioni generali di contratto che negano la trasmissibilità mortis causa della posizione contrattuale. A ciò si aggiunga che il nostro Garante per la protezione dei dati personali con provvedimento n. 312 del 22 maggio 2018, esprimendo il suo parere sullo schema di decreto legislativo recante disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679, già aveva messo in luce l’opportunità di un completamento della normativa in materia di diritti riguardanti persone decedute prevedendo espressamente la nullità delle clausole che limitano i diritti di chi, per interesse proprio, quale mandatario dell’interessato al trattamento oppure per ragioni familiari meritevoli di protezione, intende accedere ai dati personali dell’interessato. Evidentemente, tali considerazioni vanno ulteriormente ampliate alla luce del nuovo Regolamento (Ue) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, entrato in vigore il 24 maggio 2016 e direttamente applicabile in tutti gli Stati membri a partire dal 24 maggio 2018. Già lo schema del decreto legislativo di adeguamento del nuovo regolamento prevedeva un apposito articolo, il numero 13, rubricato proprio “diritti riguardanti le persone decedute”, a norma del quale la tutela offerta dal Regolamento e, dunque, i diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del detto Regolamento, “possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione”. Nei commi successivi della medesima disposizione veniva chiarito che l’esercizio di tali diritti può essere vietato da parte dell’interessato con dichiarazione scritta. Tuttavia, tale “divieto non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio

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L. Liguori, L’esercizio dei diritti dell’interessato deceduto, in Identità ed eredità digitale. Stato dell’arte e possibili soluzioni al servizio del cittadino, Atti del Convegno di Milano 4-12-2014, Roma, 2016, 75 ss.

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da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonché del diritto di difendere in giudizio i propri diritti”. Tale impostazione è rimasta immutata anche in sede di approvazione del decreto n. 108 di adeguamento del Regolamento europeo, avvenuta il 10 agosto 2018. In particolare, da un’attenta lettura dell’articolo 2-terdecies, comma 1° del richiamo decreto di adeguamento n. 108/201850, è possibile coglie in primis la volontà del legislatore di garantire l’esercizio post mortem dei diritti dell’interessato, confermando una posizione al riguardo notevolmente diversa rispetto ai Paesi dell’area di Common Law; in secondo luogo, appare evidente come la tutela accordata risulti notevolmente ampliata rispetto al precedente quadro normativo, ciò sia da un punto di vista soggettivo che oggettivo. Quanto al profilo soggettivo, il legislatore ha incluso tra i soggetti legittimati all’esercizio dei diritti dell’interessato anche il mandatario, modifica che immediatamente consente un richiamo al tema dell’eredità digitale: la figura del mandato, infatti, nella specie del mandato post mortem exequendum, è stata dalla dottrina fin da subito presa in considerazione al fine di qualificare la natura giuridica di una certa prassi, consistente nel decidere di affidare la gestione delle proprie credenziali di accesso o degli stessi account a soggetti di fiducia dell’utente, ricorrendo ad apposite piattaforme51 oppure a sezioni dedicate all’interno dei maggiori social networks52. Da un punto di vista oggettivo, inoltre, il decreto di adeguamento 101/2018 consente di vietare, per volontà del titolare, l’accesso ai suoi dati personali dopo la morte, o anche solo ad alcuni di essi, purché il divieto sia contenuto in una dichiarazione scritta. Tuttavia, ed è questa la parte più rilevante della disposizione, l’accesso ai dati personali del defunto non può essere precluso laddove venga richiesto per ragioni di tutela patrimoniale o al fine di far valere un diritto in giudizio. Tale norma, dunque, pare potersi qualificare come la prima disposizione del nostro ordinamento giuridico che apre la strada ad una possibile tutela del fenomeno successorio

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Sul punto G. Resta, La successione nei rapporti digitali, cit., 2018, 410 ss.; I. Sasso, Privacy post-mortem e “successione digitale”, in Privacy Digitale. Riservatezza e protezione dei dati personali tra GDPR e nuovo Codice Privacy, a cura di E. Tosi, 2019, 553 ss.; A. Monforte, La successione nel patrimonio digitale, 2020, 103 ss. 51 Proliferano numerosi siti web specializzati nella gestione dei patrimoni digitali e che provvedono anche alla custodia delle credenziali che vengono poi comunicate ai destinatari indicati in caso di morte del titolare. Tendenzialmente si tratta di servizi che amministrano l’eredità digitale attraverso una serie di attività che l’utente è chiamato a fare prima della sua morte. In primo luogo, occorre redigere una lista completa di tutti i beni digitali di cui ciascuno è titolare, precisando le istruzioni per accedervi. Si dovranno poi indicare i soggetti autorizzati all’accesso e le precise volontà in caso di morte in relazione ai beni elencati. Si veda in particolare un servizio fondato da una ricercatrice, Holly Isdale, dal nome Digital Death, (<http://www.digitaldeath.com>). Ve ne sono anche altri come Digital-nachlass.com, Deathswitch.com ed Entrusted. Quest’ultimo, ora denominato SecureSafe, chiede l’indicazione di soggetti ai quali è affidato il compito di attivare la «data inheritance» inserendo un apposito codice. Un sistema un po’ più articolato è, invece, quello dal nome Legacy Locker (<https://legacylocker.com>), in cui si distingue l’aspetto emozionale da quello patrimoniale dell’eredità digitale e dove al centro del sistema di gestione vi sono proprio le password, con particolare attenzione alle persone cui lasciarle. Alla morte dell’utente, per accertarsi del suo decesso, si prevede che due persone di fiducia debbano confermarne la morte; successivamente, viene richiesto l’invio del certificato di morte. MemorializeMe (<http://memorializeme.com>), inoltre, non si occupa soltanto della gestione dell’eredità digitale nei suoi aspetti prevalentemente patrimoniali ma è, altresì, in grado di elaborare ricordi del defunto inviando messaggi in suo nome e nel suo conto, creare un diario oppure una raccolta di documenti da lui preferiti. 52 Vedi infra par. 3.

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dei nuovi beni digitali; ciò in quanto nella tutela patrimoniale che deve essere garantita ai terzi anche a discapito della tutela dei dati personali, appare possibile farvi rientrare anche l’accesso ai beni digitali. In via di estrema sintesi, all’esito dell’analisi normativa condotta, pare plausibile ritenere che la tutela dei dati personali non rappresenti un ostacolo ma, al contrario, confermi l’ammissibilità della trasmissione a causa di morte del patrimonio digitale, garantendo in tal modo gli interessi dei successibili dell’utente defunto.

6. Studi comportamentali: l’interazione con il device e la protezione dei propri dati personali.

Da un recente studio condotto in materia di trattamento dei dati personali53 emerge un dato rilevante ai fini che qui interessano, ovvero la scarsa attenzione con cui i singoli utenti leggono ed accettano normalmente l’informativa privacy. Ciò a testimonianza del basso livello di consapevolezza di come il trattamento dei propri dati personali possa incidere sulle decisioni riguardanti il compimento di attività quotidiane54. Il consenso al trattamento dei propri dati personali, infatti, viene spesso reso in modo inconsapevole e con un probabile effetto distorsivo, in quanto l’utente non ha piena cognizione degli strumenti di tutela ex post55; al contrario, appare convinzione diffusa che concedere il consenso al trattamento dei propri dati personali sia elemento sufficiente ad eliminare ogni possibilità di lesione56. Le conclusioni che si sono tratte dallo studio dei comportamenti degli utenti con specifico riferimento alla prestazione del consenso al trattamento dei dati assumono notevole rilevanza anche in relazione al diverso tema della successione nel patrimonio digitale.

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Si tratta del progetto di ricerca Privacy and the Internet of Things: a behavioural and legal approach, svoltosi presso l’Università Suor Orsola Benincasa (Centro di Ricerca in Diritto Privato Europeo – ReCEPL – e Living Lab Utopia, istituito presso il Centro di Ricerca di Ateneo Scienza Nuova) su commissione di Microsoft Italia, il cui obiettivo è quello di misurare la consapevolezza e la sensibilità degli utenti nei confronti della privacy, intesa come richiesta di consenso al trattamento dei dati, nell’interazione con un sistema installato su device in Italia. Il progetto ha inteso proporre un diverso metodo di studio del tema, in cui l’analisi dei dati normativi è strettamente connessa all’analisi dei comportamenti degli utenti nell’interazione con il device. I risultati dello studio sono consultabili nel lavoro collettaneo Aa. Vv., Privacy and Consent. Legal, Cognitive and User Interaction approaches for the protection of data subjects, a cura di L. Gatt, R. Montanari, I. A. Caggiano, Torino, 2019 (in corso di pubblicazione). 54 I. Caggiano, Consenso al trattamento dei dati personali e analisi giuridico-comportamentale. Spunti di riflessione sull’effettività della tutela dei dati personali, in Nodi virtuali, legami informali. Internet alla ricerca di regole: a trent’anni dalla nascita di Internet e a venticinque anni dalla nascita del web, Atti del Convegno di Pisa, 7-8 ottobre 2016, Pisa, 2017, 68 e ss. 55 Sul ruolo del consenso e sulla sua natura giuridica in relazione al trattamento dei dati personali, I. Caggiano, Il consenso al trattamento dei dati personali tra nuovo Regolamento Europeo e studi comportamentali, in Osservatorio del diritto civile e commerciale, 2018, 67-106. 56 L. Gatt., Consenso al trattamento dei dati personali e analisi giuridico-comportamentale. Spunti di riflessione sull’effettività della tutela dei dati personali, in Nodi virtuali, legami informali. Internet alla ricerca di regole: a trent’anni dalla nascita di Internet e a venticinque anni dalla nascita del web, Atti del Convegno di Pisa, 7-8 ottobre 2016, Pisa, 2017, 70 e ss.

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La particolare circostanza che l’utente medio sia, in genere, più interessato a ricevere il servizio per il quale accetta l’informativa privacy che non alla tutela dei suoi dati, sembra avvalorare la fragilità dell’argomento principale, di cui si è detto, utilizzato dai grandi providers per limitare l’accesso ai beni digitali dopo la morte dell’utente. Al contrario, occorrere tenere in debita considerazione che nell’analisi dell’effettiva capacità delle norme giuridiche di tutelare determinati soggetti ed interessi non si possa prescindere dal modo in cui questi si rapportano al device il cui utilizzo richiede il consenso al trattamento dei dati personali57. Nel caso di specie, infatti, dall’osservare il comportamento degli utenti se ne deduce agevolmente che l’esigenza di tutela della privacy non possa prevale rispetto ad altri interessi di natura personale e patrimoniale. La stessa esigenza di tutela, inoltre, non pare abbia mai limitato la trasmissione dei beni del patrimonio del de cuius quando la successione non riguardi il mondo virtuale: anche documenti in formato cartaceo potrebbero contenere dati personali del defunto, ma ciò non ha mai posto un problema di prevalenza della tutela della privacy rispetto al diritto di succedere nella stessa posizione giuridica del defunto oppure in singoli beni, laddove il successibile sia destinatario di una disposizione a titolo particolare. Al contrario, il diritto alla tutela della privacy nel caso in cui non si tratti di beni digitali non viene esercitato contro i familiari ma fa direttamente capo a questi, che possono ereditare diari, lettere o qualsiasi altro documento di carattere privato58. In sostanza, anche i risultati degli studi comportamentali condotti in materia di tutela della privacy inducono a ritenere che la posizione assunta dai providers sia dettata più da interessi propri che dalla necessità di tutelare gli utenti defunti, interessi collegati anche agli alti costi che dovrebbero sostenere per consentire l’accesso agli eredi dell’utente defunto al suo materiale informatico. Si pensi alle spese dovute per la verifica della documentazione attestante la morte dell’utente, per l’accertamento della legittimazione dei suoi aventi causa ad accedere all’account, all’adempimento delle richieste per ottenere copia della documentazione digitale nonché, infine, ai costi per pagare il personale a ciò preposto. Tale opinione sembra avvalorata anche da un recente disciplina di soft law che prevede che la società che consente l’accesso all’account dell’utente defunto a determinati soggetti potrà richiedere un rimborso per gli oneri amministrativi sostenuti, oppure, laddove i costi siano stati molto alti, potrà rivolgersi ad una Corte che stabilirà in che modo l’accesso dovrà essere consentito59.

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L. Gatt, Consenso al trattamento dei dati personali e analisi giuridico-comportamentale. Spunti di riflessione sull’effettività della tutela dei dati personali, cit., 59 e 60 ss. 58 Capel E.H., Conflict and Solution in Deleware’s Fiduciary Access to Digital Assets and Digital Accounts Act, in Berkeley Thecnology Law Journal, 2015, 30, 1211-1242. 59 Si tratta dell’Uniform Fiduciary Access to Digital Assets Act (UFADAA), proposta di legge presentata dalla Uniform Law Commission nel corso del 2014, poi successivamente emendato nel 2015. Per una più completa analisi G. Marino, La successione digitale, cit., 196 ss.

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La considerazione che in tale disciplina viene riservata ai costi necessari per garantire l’accesso al patrimonio digitale induce a pensare che tale aspetto non possa essere considerato di secondaria importanza nella valutazione del bilanciamento di interessi effettuato dai providers al momento in cui vengono presentate richieste in tal senso da parte degli eredi dell’utente defunto.

7. Conclusioni. All’esito dell’analisi svolta, sembra potersi affermane che il nostro ordinamento giuridico non ostacoli in nessun modo la trasmissione a causa di morte del patrimonio digitale. Si riscontrano, piuttosto, limiti di natura negoziale, che pongono talvolta anche questioni di applicabilità di leggi straniere, in contrasto con alcuni principi cardine del nostro sistema. In tale contesto, l’esigenza di tutela della protezione dei dati personali del defunto non pare essere argomento fondante un limite concreto alla successione nel patrimonio digitale. Il dato che emerge con maggiore chiarezza, tuttavia, è anche quello maggiormente pregiudizievole per gli interessi dei successibili dell’utente defunto: il quadro normativo così incerto, infatti, non fa altro che lasciare spazio ai grandi operatori del mercato digitale, consentendo loro la creazione di soluzioni intermedie che non appaiono soddisfare gli interessi di cui si è detto. Chi ha mostrato di interessarsi alla sorte degli account dopo la morte dell’utente, non pare sia intervenuto per tutelare gli eventuali diritti degli eredi dell’utente defunto, piuttosto che il diritto di quest’ultimo di poterne liberamente disporne come qualsiasi altro bene appartenente al suo patrimonio. Soluzioni come il “contatto erede”60 ideato da Facebook oppure il servizio “Inactive account manager”61, per quanto siano a ragione considerate formalmente valide ed effica-

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Si tratta di un soggetto scelto dal titolare per gestire il suo account, ma che svolge perlopiù attività limitate, come lettura di messaggi, rimozione o modificazioni dei contenuti condivisi. In questo caso, tutto è rimesso alla volontà del defunto che, come già precisato, non sempre viene esplicitata. Quella assunta da Facebook, infatti, è una posizione che si inserisce in un certo modo di affrontare il tema dell’eredità digitale che va sviluppandosi soprattutto negli Stati Uniti, ma che inizia a diffondersi anche nel nostro ordinamento giuridico. Proliferano, infatti, numerosi siti web specializzati nella gestione dei patrimoni digitali e che provvedono anche alla custodia delle credenziali che vengono poi comunicate ai destinatari indicati in caso di morte del titolare. Tendenzialmente si tratta di servizi che amministrano l’eredità digitale attraverso una serie di attività che l’utente è chiamato a fare prima della sua morte. In primo luogo, occorre redigere una lista completa di tutti i beni digitali di cui si è titolare, precisando le istruzioni per accedere ad ognuno di questi. Si dovrà poi indicare quali soggetti sono autorizzati ad accedere ai beni; infine, l’utente dovrà comunicare le proprie volontà in ordine ai beni medesimi in caso di morte. 61 Il servizio “Inactive account manager” consente al titolare dell’account di decidere la sorte dei dati archiviati sul server in caso di decesso. Si può scegliere di cancellare automaticamente tutti i contenuti alla scadenza di un termine stabilito, oppure di indicare delle parsone di fiducia a cui inviare le credenziali di accesso dell’account con tutto il suo contenuto.

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ci62, non pare si possano qualificare come strumenti idonei ad offrire all’utente una valida sistemazione del suo patrimonio digitale. Si tratta di strumenti che consentono una mera gestione o amministrazione dell’account da parte del soggetto designato ma che non possono qualificarsi come disposizioni attributive a contenuto patrimoniale; d’altro canto, se così fosse, sarebbero in contrasto con alcuni principi inderogabili del nostro diritto successorio, ovvero che la delazione può trovare fonte solo nella legge e nel testamento (art. 457 c.c.), che sono vietati i patti successori (art. 458 c.c.). Pertanto, appare evidente che i descritti interventi da parte dei grandi operatori digitali non possono da soli considerarsi sufficienti a colmare il vuoto normativo che caratterizza tali fattispecie. Al contrario, in una prospettiva de iure condendo, non può non richiamarsi l’attenzione del legislatore su temi così importanti, non solo in considerazione della rilevanza, anche economica, degli interessi ad essi sottesi ma, soprattutto, per evitare che il diritto successorio perda il ruolo suo proprio per essere sostituito dall’autonomia privata che, per il tramite di soluzioni non sempre del tutto lineari, finisce per essere l’unico sistema di regolamentazione di un fenomeno tanto complesso quanto bisognoso di un’apposita disciplina. In altre parole, le logiche di mercato e gli interessi di natura patrimoniale sottesi all’attuale mondo digitale non dovrebbero prevalere fino al punto di escludere il bilanciamento di interessi tipico di una disciplina di fonte normativa e non pattizia. La tutela del patrimonio digitale, in tale prospettiva, potrebbe rappresentare un’occasione per il legislatore italiano, ma più in generale di quello europeo in un’ottica sempre crescente di uniformazione del diritto anche in ambito successorio, per provare a limitare le logiche del mercato digitale per una superiore e prevalente esigenza di tutela di interessi personali e patrimoniali che da sempre sopravvivono all’evento morte.

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V. Barba, Interessi post mortem tra testamento e atti di ultima volontà, in Riv. dir. civ., 2017, 341 ss. il quale ritiene che la nomina del “contatto erede” quale servizio messo a disposizione da Facebook costituisca un valido atto di ultima volontà, sebbene non formale, diverso dal testamento, in grado di eliminare tutti i problemi connessi all’inserimento delle proprie credenziali di accesso all’interno di una scheda testamentaria. G. Marino, La successione digitale, cit., 187 ss. «Si tratta di negozi aventi principalmente valenza autorizzatoria e volti a disciplinare il profilo “esterno” dei rapporti tra il nominato e i terzi». Quanto alla struttura di tali negozi giuridici, entrambi gli Autori propendono per una ricostruzione unilaterale mancando l’accettazione da parte dell’incaricato. Sono invece per una qualificazione in termini di mandato post mortem exequendum N. Di Staso, Il mandato post mortem exequendum, in Fam. pers. succ., 2011, 691 ss.; M. Cinque, La successione nel «patrimonio digitale»: prime considerazioni, cit., 654; G. Resta, Dignità, persone, mercati, 2014, 400.

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Il minore nell’ambito sanitario in Spagna Sommario:

1. Premessa. – 2. La capacità dei minori nell’ambito sanitario. – 3. La capacità per rifiutare il trattamento medico. – 4. La capacità per il mutamento di sesso e nome nel Registro dello stato civile.

The Spanish Law recognizes that children and particularly adolescents over sixteen have the capacity to act in the healthcare sector as an adult, with some exceptions regarding those medical actions of serious risk to the life or health of the child in the opinion of the doctor, with special reference to refuse a medical treatment, or to provide a valid and free consent for the practice of assisted human reproduction, preparation of the document of preventive health directives, or the sex change with or without surgical reassignment. In 2015, the modification of the protection system of minors and adolescents has introduced beside the objective standard of the age, the subjective one of maturity. This mixed parameter is assumed in the legal text and shows some gaps in the case of the mature minor who has not reached the age of sixteen, or the age of majority when legally required.

1. Premessa. Il diritto civile riconosce, in via generale, che il minore possa esercitare personalmente le azioni a tutela dei diritti della personalità in base al suo grado di maturità (art. 162 del Codice civile spagnolo del 1981). I diritti della personalità garantiscono alla persona il godimento e il rispetto della propria individualità e integrità in tutte le manifestazioni fisiche e spirituali1. In questo contesto, il precetto risponde all’idea che, nella sfera strettamente

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Definizione della Circolare n. 1/2012, 3 ottobre 2012, del Procuratore Generale dello Stato sul trattamento sostanziale e procedurale dei conflitti prima delle trasfusioni di sangue e altri interventi medici sui minori in caso di rischio serio per la vita. Altre leggi specifiche hanno regolato la capacità dei minori in base al loro grado di maturità, come: la Legge Organica 15 gennaio

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personale e nella sfera familiare, la sostituzione del titolare è normalmente esclusa, nel senso che il rappresentante non possa agire o che il suo intervento sia solo complementare. Pertanto, i diritti della personalità del minore che abbia maturità sufficiente devono essere esercitati esclusivamente da quest’ultimo. Successivamente, la Convenzione sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ha accolto con favore i medesimi criteri nell’articolo 12: «1. Gli Stati parti garantiscono al fanciullo (bambino, ragazzo e adolescente) capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. 2. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale». In tal modo, i diritti dei minori sono regolati in funzione della loro maturità e viene proporzionalmente ridotta la responsabilità dei genitori e, di conseguenza, la loro posizione di garanti. Per esempio, nei procedimenti di separazione personale e divorzio dei genitori e prima di stabilire il regime di affidamento dei figli minori, l’art. 92 del Codice civile del 1981 aveva introdotto la necessità di ascoltare i minori che fossero capaci di discernimento e maggiori di dodici anni; la riforma introdotta con la L. 8 luglio 2005, n. 15 ha eliminato ogni riferimento ai dodici anni di età, mantenendo unicamente il criterio della «sufficiente capacità di discernimento» del minore. Nonostante ciò, per alcuni atti in particolare, non si prendono in considerazione la maturità o la valutazione della sufficiente capacità di giudizio del minore, bensì si fissa il raggiungimento di una determinata età quale criterio per il compimento di atti personali. Ad esempio, per fare testamento occorre aver compiuto quattordici anni (articolo 663.1º del Codice civile). L’età per contrarre matrimonio è stata elevata a sedici anni, come conseguenza diretta dell’entrata in vigore della Legge Organica 30 marzo 2015, n. 1, che ha aumentato a sedici anni l’età per «consentire una relazione sessuale», mediante l’adeguata modifica dell’articolo 181 del Codice penale. In precedenza era stata fissata l’età di dodici anni nel 1995 e poi di tredici nel 19992. Nel Codice civile la modifica è stata introdotta dalla disposizione finale

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1996, n. 1, sulla protezione giuridica del minore, il cui art. 2 prevede che le limitazioni alla capacità di agire dei minori devono essere interpretate in modo restrittivo; la Legge Organica 5 maggio 1982, n. 1, sulla protezione civile dei diritti d’onore, della privacy personale e della propria immagine, il cui art. 3 stabilisce che il consenso dei minori e delle persone incapaci deve essere prestato dai medesimi soltanto se le loro condizioni di maturità lo consentono, conformemente al diritto civile. La Corte Suprema di Cassazione (Sezione penale) nella sentenza del 10 dicembre 2015 non ha ritenuto che la madre abbia violato la privacy personale della figlia tredicenne, accedendo all’account aperto dalla minore in un social network senza avere richiesto il consenso della figlia minorenne, quando si hanno indizi tali da poter dubitare che questa possa essere vittima di un delitto; e ha statuito che ciò è coerente con l’affermazione secondo cui il minore è titolare del diritto alla privacy conformemente al suo grado di maturità. Il Codice penale del 1995 aveva fissato l’età del consenso sessuale ai dodici anni (art. 181); la Legge Organica 30 aprile 1999, n. 11, aumentò poi l’età a tredici anni; età ulteriormente modificata dalla Legge Organica 30 marzo 2015, n. 1, sulla modificazione del Codice Penale.

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della Legge 2 luglio 2015, n. 15, mediante l’abolizione della previsione del compimento di quattordici anni di età per poter contrarre matrimonio.

2. La capacità dei minori nell’ambito sanitario. La Legge 14 novembre 2002, n. 41, in materia di autonomia del paziente in ambito sanitario, stabilisce che i maggiori di sedici anni godono della medesima autonomia delle persone maggiori di età. In questo modo, la legge ha trasposto la disciplina contenuta nell’articolo 6 della Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, Oviedo, 4 aprile 1997), ove si legge: «Protezione delle persone che non hanno la capacità di dare consenso, (…) (2) Quando, secondo la legge, un minore non ha la capacità di dare consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. Il parere di un minore è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del suo grado di maturità»3. La L. n. 41/2002 non prende in considerazione, in questa materia, l’emancipazione del minore4. Infatti, i minori che hanno raggiunto l’età di sedici anni possono e devono acconsentire personalmente. Mentre i minori di età superiore a sedici anni (ma inferiore a diciotto), devono esprimere il loro consenso personalmente senza la necessità di essere rappresentati. Ebbene, con riferimento alla concessione di autonomia alle persone di età superiore a sedici anni (ma inferiore a diciotto) sono previste eccezioni di importanza tale da richiedere il compimento della maggiore età. Difatti, la stessa legge all’articolo 9.5.1 richiede la maggiore età per sottoporsi alle tecniche di procreazione medicalmente assistita5. Ugualmente, ai sensi dell’articolo 11.1 della n. L. 41/2002, è richiesta la maggiore età per l’indicazione delle direttive anticipate di trattamento, attraverso le quali il paziente esprime

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Strumento di ratifica BOE n. 251 del 20 ottobre 1999. La legge fa riferimento alla maturità del minore e non alla sua emancipazione, la quale non è presa in considerazione in questa materia. La L. n. 15/2015 sulla giurisdizione volontaria ha soppresso la possibilità di emancipazione per matrimonio al compimento dei quattordici anni, pertanto l’età per l’emancipazione è sedici anni. La prima Legge sulle tecniche di fecondazione assistita, Legge 22 novembre 1988, n. 35, richiedeva la maggiore età. L’articolo 6 prevedeva: «Ogni donna può essere destinataria o utilizzatrice delle tecniche regolate in questa Legge, a condizione che abbia dato il proprio consenso all’uso delle stesse in modo libero, consapevole, espresso e scritto. Deve avere almeno diciotto anni ed essere pienamente capace di agire». Anche l’uomo e la donna che donano gameti devono avere più di diciotto anni ed essere pienamente capace di agire (art. 5.6). Anche la Legge 26 maggio 2006, n. 14, sulle tecniche di fecondazione assistita, all’articolo 6.1. richiede la maggiore età: «Qualsiasi donna di età superiore a diciotto anni e con piena capacità di agire può essere destinataria o utilizzatrice delle tecniche regolate in questa Legge, a condizione che abbia dato il suo consenso scritto in modo libero, consapevole ed espresso». Come la legge precedente, i donatori devono avere più di diciotto anni, un buono stato di salute psico-fisica e piena capacità di agire (art. 5.6).

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anticipatamente la propria volontà in ordine ai trattamenti medici a cui intende sottoporsi o, una volta intervenuto il decesso, in merito alla destinazione degli organi6. D’altro canto, la maggiore età è richiesta anche per i consensi legali sul fine vita. In Spagna, il suicidio non è considerato un crimine7, diversamente dal reato di aiuto o istigazione al suicidio8, sebbene la pena prevista sia ora notevolmente inferiore. Il previgente Codice penale del 1973 prevedeva all’articolo 409: induzione e assistenza al suicidio “non esecutive” nel primo paragrafo; assistenza “esecutiva” al suicidio nel secondo paragrafo, punita con la stessa pena prevista per l’omicidio ordinario9. Nel Codice penale vigente, i reati di assistenza al suicidio sono puniti con pene attenuate rispetto all’omicidio ordinario. L’assistenza al suicidio, sotto forma di cooperazione esecutiva, è punita con la reclusione da sei a dieci anni (articolo 143, paragrafo 3), quindi con pena inferiore rispetto a quella prevista per l’omicidio che è punito con la reclusione

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La maggiore età è anche richiesta dalle leggi autonome sulle direttive anticipate come previsto dalla Legge della Catalogna 29 dicembre 2000, n. 21, sui diritti delle informazioni riguardanti la salute, l’autonomia del paziente e la documentazione clinica (articolo 8); la Legge di Navarra 6 maggio 2002, n. 11, sui diritti del paziente in ordine a direttive, informazioni e documentazione clinica (articolo 9); la Legge dei Paesi Baschi 12 dicembre 2002, n. 7, sulle direttive anticipate (articolo 2); la Legge di Castilla-La Mancha, 7 luglio 2005, n. 6, sui testamenti in materia di salute personale (articolo 3); la Legge di Castilla y León, 8 aprile 2003, n. 8, sui diritti e doveri delle persone riguardanti la salute (articolo 30); la Legge della Galizia, 7 marzo 2005, n. 3, che disciplina il consenso informato e la storia clinica del paziente (articolo 5), modificata dalla legge 28 maggio 2001, n. 3 sul consenso informato; la legge di Extremadura, 8 luglio 2005, n. 3, in materia di informazione sanitaria e autonomia del paziente (articolo 17). Altre leggi richiedono, invece, il compimento dei sedici anni o l’emancipazione come la Legge dell’Andalusia, 9 ottobre 2003, n. 5, sulle direttive anticipate (articolo 4), e la Legge delle Baleari, 3 marzo 2006, n. 1, sulle direttive anticipate (articolo 1). La Legge di Aragona, 15 aprile 2002, n. 6, sulla salute, all’articolo 15 richiedeva la maggiore età, ma questo articolo fu modificato nel 2011 riducendo il limite di età e prevedendo l’emancipazione o il compimento dei sedici anni. Le leggi sulle direttive anticipate regolano diversi profili: la forma della dichiarazione unilaterale di volontà, i testimoni, il registro in cui incorporare le direttive precedenti, la capacità del dichiarante, la nomina di un valido interlocutore con i medici, la donazione di organi o la destinazione di essi alla ricerca, ecc. Sulle direttive anticipate, si veda J.I. Rodríguez González, La autonomía del menor: su capacidad para otorgar el documento de instrucciones previas, in La Ley, 2005, 1419-1424; J. Sánchez Caro y F. Abellán, Instrucciones previas en España: aspectos bioéticos, jurídicos y prácticos, Granada, 2008; A.I. Berrocal Lanzarot y J.C. Abellán Salort, Autonomía, libertad y testamentos vitales (régimen jurídico y publicidad), Madrid, 2009; A.M. Marcos del Cano, Voluntades anticipadas, Madrid, 2014; M. Gómez Jara, Las instrucciones sanitarias en el testamento vital, Barcelona, 2015. In questo senso, la giurisprudenza aveva già statuito che «il suicidio consumato non è un crimine né può esserlo perché in esso la stessa persona suicida è un soggetto attivo e passivo, e nessuno è penalmente responsabile, tranne nel caso previsto dall’articolo 415 del Codice penale di aiuto o istigazione al suicidio» [Cass. pen., 12 dicembre 1944]. L’aiuto al suicidio non può configurarsi in termini di «diritto di disporre della propria vita», ma come diritto del terzo di disporre della vita altrui con il consenso della vittima ovvero quale intervento di un terzo che coopera, assiste o provoca la morte del soggetto passivo, in tutte quelle situazioni in cui il soggetto passivo esprime il proprio consenso di natura suicida. Sull’autodeterminazione, si veda A. Ollero Tassara, Bioderecho: entre la vida y la muerte, Pamplona, 2006, 107 ss. In dottrina e in giurisprudenza, l’assistenza “esecutiva” al suicidio è stata denominata in vari modi: omicidio-suicidio, omicidio consensuale, assistenza esecutiva al suicidio e omicidio concordato con la vittima che desidera morire. In questo senso, la giurisprudenza ha ritenuto che «l’articolo 409 punisce l’induzione e l’assistenza al suicidio, che può comprendere sia l’assistenza necessaria e accessoria, sia quella attiva e passiva, che richiedono, in ogni caso, il consenso degli assistiti e che possono rispondere a motivi altruistici o morali, pietà, rispetto, affetto o sottomissione, ma anche al solo scopo di causare la morte, come un criminale che richiede ingiustificatamente il consenso della vittima» (Cass. pen., 15 dicembre 1977; Cass. pen., 23 novembre 1994). La dottrina invocava il principio di proporzionalità con riferimento al fatto che per l’omicidio-suicidio era prevista una pena inferiore a quella prevista per l’omicidio ordinario. Sul punto, cfr. C. Tomás-Valiente Lanuza, La cooperación al suicidio y la eutanasia en el nuevo Código Penal (artículo 143), Valencia, 2000, 23).

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da dieci a quindici anni (articolo 138). Il consenso al suicidio ha dunque l’effetto di ridurre la pena10. Tuttavia, il Codice penale del 1995 ha punito l’aiuto al suicidio nei casi di eutanasia con pene meno severe rispetto a quelle applicabili nei casi “ordinari” di «aiuto al suicidio». In Spagna, l’eutanasia non ha tecnicamente carattere medico, potendo essere posta in essere da qualunque individuo. L’attenuazione della pena per l’eutanasia non è quindi dovuta alla manifestazione del consenso della vittima al suicidio; bensì alle circostanze che il reato presuppone ovvero al fatto che la vittima o il soggetto passivo soffra di una grave malattia che porterebbe necessariamente alla sua morte, o che produrrebbe gravi sofferenze permanenti e difficili da sopportare. Si richiede che il soggetto passivo sia una persona di età superiore a diciotto anni, in grado di manifestare il proprio consenso al suicidio11. Per questo, il consenso del minore alla propria morte vita non ha rilevanza giuridica; anche se il minore è maturo o ha più di sedici anni, ciò non impedirà di qualificare il delitto come omicidio anziché suicidio assistito12. Il Codice penale richiede la maggiore età anche per esprimere un consenso valido e libero nell’ipotesi di intervento chirurgico di riassegnazione o mutamento di sesso, o in caso di sterilizzazione13.

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Secondo Cass. pen., 27 marzo 1990: «il consenso della vittima ha sempre avuto una rilevanza penale (volenti non fit iniuria), ma non ha un valore assoluto: certamente, il consenso dell’interessato esclude la natura criminale quando siffatta volontà viene in considerazione per la configurazione di alcuni reati, e il soggetto passivo ha libera disposizione del bene giuridico interessato. Tuttavia, quando il consenso influenza la vita, che è un bene indisponibile, è assolutamente inefficace». María José Segura García afferma che il consenso è indicativo solo quando il bene giuridico è disponibile per il titolare (cfr. Il consenso del proprietario del bene legale in materia penale: natura ed efficacia, Valencia, 2000, 125 ss.). Cfr. E. Casas Barquero, El consentimiento en el Derecho penal, Córdoba, 1987, 35. Al contrario, J. Lòpez Barja De Quiroga ritiene che la vita sia disponibile, quindi il consenso dovrebbe essere una causa di atipicità. Considera lo ius puniendi dello Stato quale manifestazione di una concezione liberale che attribuisce efficacia al consenso, E. Casas Barquero, El consentimiento en el derecho penal, cit., 8 ss. 11 In questo senso, si ritiene che il suicidio non sia libero, quando la richiesta di suicidio proviene da una persona non sana di mente, da un minore di età inferiore a diciotto anni, da chi è esente da responsabilità penale per malattia persistente o alterazione della percezione ovvero da chi non ha la capacità di manifestare il proprio consenso. 12 Cfr. E. Díaz Aranda, Dogmática del suicidio y homicidio consentido, Madrid, 1995, 84; C. Tomás-Valiente Lanuza, op. cit., 42-43. 13 L’articolo 156 del Codice penale prevede che: (1) In deroga alle disposizioni dell’articolo precedente, il consenso valido, gratuito, consapevole ed espressamente rilasciato esonera dalla responsabilità penale nel caso di trapianto di organi eseguito in conformità con le disposizioni di legge, sterilizzazioni e chirurgia transessuale eseguite dal medico, a meno che il consenso sia stato ottenuto in modo viziato, o dietro prezzo o ricompensa, oppure il concedente sia minorenne o incapace; nel qual caso il consenso fornito dai medesimi o dai loro rappresentanti legali non sarà valido. (2) Tuttavia, la sterilizzazione di una persona affetta da una grave carenza psichica non sarà punibile quando, assumendo come criterio guida quello del superiore interesse della persona incapace, sia stata autorizzata dal Giudice, sia nel procedimento di inabilitazione sia nel giudizio di volontaria giurisdizione, instaurato successivamente, su richiesta del rappresentante legale dell’inabilitato, dopo aver sentito il parere di due specialisti. Con riferimento a casi di sterilizzazione (non di minori capaci, ma) di donne incapaci, adulte o minorenni, si prevedono le seguenti garanzie: i genitori o il rappresentante delle minori instaurano un procedimento giudiziario, con l’intervento del Pubblico Ministero, dove si raccolgono le dichiarazioni degli specialisti e si ascoltano le donne incapaci. Questa garanzia era stata introdotta da Corte cost., 14 luglio 1994, n. 215, che aveva dichiarato la costituzionalità dell’articolo 6, Legge Organica n. 3/1989, 21 giugno 1989, che modificava l’articolo 428 del Codice penale (1973) per autorizzare la sterilizzazione dell’incapace che soffre di grave carenza psichica. Hanno concesso l’autorizzazione per la sterilizzazione delle donne, le seguenti sentenze: Trib. provinciale di Siviglia, 29 settembre 2006; Trib. Girona, 19 giugno 2009; Trib. Asturias, 26 marzo 2015; e gli Ordini dei Tribunali provinciali di: Álava, 30 marzo 2004; Madrid, 10 dicembre 2004; Barcellona, 19 gennaio 2006.

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Invece, per l’interruzione volontaria di gravidanza da parte di minori si richiede oltre alla manifestazione di volontà della minore, «l’espresso consenso dei suoi rappresentanti legali» (art. 9.5, L. n. 41/2002). Il requisito del consenso dei genitori è molto discusso. La sentenza della Corte Costituzionale 11 aprile 1985, n. 53, che si pronunciò sulla questione di legittimità costituzionale del Progetto di Legge Organica che depenalizzava determinate ipotesi di aborto modificando l’articolo 417-bis del Codice penale del 1973, statuiva che per la regolamentazione della manifestazione del consenso del minore o disabile potessero applicarsi le regole di diritto privato. L’articolo 9.5 della L. n. 41/2002 non stabiliva un’età, ma faceva riferimento alle regole generali sulla maturità del minore. È stata la legge Organica 3 marzo 2010, n. 2, sulla salute sessuale e riproduttiva e sull’interruzione volontaria di gravidanza, a permettere anche ai minori di sedici e diciassette anni di abortire volontariamente. In particolare, il requisito dell’informazione di uno dei rappresentanti legali è stato trascurato in quanto la legge ne escludeva l’obbligatorietà nei casi – come quello in esame – in cui fosse potuto scaturire un grave conflitto. Infine, la Legge Organica 21 settembre 2015, n. 11, sull’interruzione volontaria di gravidanza, con la finalità di «rafforzare la protezione dei minori e delle donne», ha nuovamente previsto la necessità del consenso espresso di rappresentanti legali. Analogamente, l’espianto di organi con finalità di trapianto e successivo innesto o impianto in altra persona, richiede la maggiore età nel caso di donatore “vivente” (art. 4, Legge 27 ottobre 1979, n. 30, sull’espianto e trapianto di organi). La legge non fa differenza nel caso di donazione da parte di un defunto, sia che il defunto sia minore o maggiore d’età; mentre distingue l’età del donatore per la donazione di organi da vivo. Si richiede, quindi, la maggiore età del donatore vivente nonché ulteriori requisiti a tutela dello stesso ovvero: che abbia piene facoltà mentali e sia stato precedentemente informato sulle conseguenze della sua decisione nella vita privata, familiare e professionale, così come sui benefici che si spera che il ricevente ottenga; che il donatore rilasci il suo consenso in forma esplicita, libera e consapevole, dovendo manifestarlo per iscritto, dinanzi all’autorità giudiziaria nel procedimento di giurisdizione volontaria dopo aver ricevuto le informazioni del medico che dovrà effettuare l’espianto, obbligato anche quest’ultimo a firmare il documento di cessione dell’organo14. I minori possono essere donatori viventi di organi sempre nel rispetto di tutte le garanzie previste. È necessario che il rappresentante del minore dia il suo consenso ed avvii un procedimento giudiziario, con l’intervento del Pubblico Ministero, dove si raccolgono le dichiarazioni degli specialisti e si ascolti il minore. A questo proposito, il Tribunale di primo grado n. 17 di Siviglia ha autorizzato, con Ordine del 18 ottobre 2007, la donazione di

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Il procedimento per ottenere l’autorizzazione del giudice è disciplinato dagli artt. 78-80, Legge della Giurisdizione Volontaria, 2 luglio 2015, n. 15.

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parte del fegato di una madre, minorenne, per la propria figlia. Il giudice ha ritenuto che la minore fosse pienamente consapevole dei rischi che implicava l’intervento chirurgico. In ogni caso, è generalmente ammesso che una minorenne che partorisce, possa acconsentire personalmente alla donazione di sangue del cordone ombelicale. La Legge 14 novembre 2002, n. 41, sull’autonomia del paziente, è stata modificata dalla Legge 28 luglio 2015, n. 26, sulla modifica del sistema di protezione dei minori e degli adolescenti, per aumentare la capacità dei minori introducendo non solo un limite oggettivo in termini di età, ma anche un criterio soggettivo di maturità. Questo parametro misto – il criterio oggettivo dell’età e il criterio soggettivo della maturità – è stato recepito nel testo giuridico e si prevede che i minori di età superiore a sedici anni debbano esprimere il loro consenso, che non può essere manifestato per mezzo di rappresentanti; mentre, i minori che non sono maturi si avvalgono della rappresentanza. Si ravvisa, dunque, una disparità tra i ragazzi “maturi” che non hanno raggiunto l’età di sedici anni e quelli “non maturi”. Per l’acquisizione della capacità in materia sanitaria, la legislazione richiede l’età di sedici anni; tuttavia, per capire se i minori necessitano di rappresentanza legale, si fa riferimento al criterio della maturità o «capacità intellettuale ed emotiva di discernimento»; la legge precisa che, nel caso di minori privi della capacità di discernimento, il consenso al trattamento medico è dato dal legale rappresentante del minore. Nell’ipotesi di eventuali conflitti d’interesse tra i rappresentanti legali (padre e madre), quando sono in gioco i diritti dei minori, è necessaria l’autorizzazione giudiziaria, come previsto dall’articolo 158 del Codice civile15. Il consenso dato dal rappresentante legale o da persone legate da vincoli di parentela o di fatto, deve essere dato sempre tenendo conto del massimo beneficio per la vita o la salute del paziente in questione; e in caso di eventuali disaccordi tra genitori e personale sanitario dovrà essere informata l’autorità giudiziaria, direttamente o tramite il Pubblico Ministero, affinché possa risolvere il conflitto. Per quanto riguarda la capacità dei minori che abbiano compiuto sedici anni, è prevista un’eccezione generica nel settore sanitario, in quanto la legge esclude il consenso per gli interventi ritenuti dai medici «di grave rischio per la vita o la salute del minore». In questi casi, è il rappresentante legale del minore che dà il consenso, tenendo comunque in considerazione il parere del minore (art. 9.4, L. 41/2002). Pertanto, i minori che hanno compiuto sedici anni possono e devono acconsentire o rifiutare personalmente i trattamenti medici che non compromettono gravemente la loro vita o salute16; ma quando queste ultime sono compromesse, la rilevanza della maturità

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Un esempio di intervento del giudice nel conflitto tra il padre e la madre è ravvisabile nell’Ordine del Tribunale provinciale di Pontevedra del 22 luglio 2019, che risolve un procedimento di volontaria giurisdizione instaurato da una coppia di genitori per la vaccinazione dei due figli minori. Il padre voleva vaccinare i due bambini, e la madre rifiutava la vaccinazione. Sia in prima istanza che in appello è stata concessa al padre la facoltà di scegliere la vaccinazione dei propri figli secondo il programma galiziano e il calendario della vaccinazione minorile. 16 La L. n. 41/2002 disciplina il diritto all’informazione sanitaria, quando il paziente, secondo i criteri del medico curante, ha la capacità di comprendere le informazioni ma è affetto da impedimenti a causa del suo stato fisico o psichico. In questo caso, le informazioni

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è messa in discussione. Pertanto, il ricorso al criterio dell’età unitamente a quello soggettivo della maturità del minore presenta alcune lacune che hanno generato un problema rilevante, nel caso del minore maturo che non abbia compiuto sedici anni, o raggiunto la maggiore età quando sia richiesta legalmente. Si discute, però, sul consenso del minore di età superiore a sedici anni o maturo, nelle situazioni considerate ad alto rischio per la vita o salute, secondo il parere medico. In tali casi si ritiene, dunque, che il consenso del minore sia sufficiente affinché l’equipe sanitaria esegua il trattamento medico, sebbene non ricorra il consenso del rappresentante legale o perfino nel caso in cui quest’ultimo si opponga al trattamento. Analogamente, si ritiene che il consenso del rappresentante legale del minore sia sufficiente per consentire all’equipe sanitaria di praticare il trattamento medico, anche quando manchi il consenso del minore, o addirittura quando vi sia l’opposizione al trattamento da parte del minore stesso. In questi casi è tuttavia preferibile, in quanto maggiormente compatibile con il principio di autonomia del minore, sollevare il conflitto dinanzi al giudice competente, direttamente o attraverso il Procuratore, quando la situazione non sia di particolare urgenza17. In breve, i medici possono praticare il trattamento sanitario necessario per salvare la vita o salute del minore, raccogliendo il consenso di quest’ultimo o dei genitori. Ugualmente, e in caso di estrema urgenza, si è rafforzata la posizione dei medici, che possono applicare il trattamento necessario, tutelati dalla causa di giustificazione di adempimento a un dovere e dallo stato di necessità (art. 9.2.b, L. n. 41/2002).

3. La capacità per rifiutare il trattamento medico. In Spagna, è stata prevista una differenza tra la capacità richiesta per consentire le cure mediche e quella richiesta per rifiutarle, essenzialmente legata allo stato di gravità o pericolo per la salute. Una ipotesi in cui tale differenza rileva giuridicamente è quella relativa alle trasfusioni di sangue, con riferimento alla Circolare 3 ottobre 2012, n. 1, del Procuratore Generale dello Stato, sul trattamento sostanziale e procedurale dei conflitti prima dell’esecuzione delle trasfusioni di sangue e di altri interventi medici sui minori in caso di rischio serio.

saranno rese note alle persone a lui legate per motivi familiari o di fatto (art. 5.3). Qualsiasi azione che riguarda la salute di un paziente richiede, infatti, il consenso libero, volontario e informato dell’interessato. Sul consenso informato, si veda Mª D. Cano Hurtado, Actuaciones médicas en pacientes menores de edad: su regulación en el Derecho Estatal y en el Derecho Valenciano, en La protección del menor, Valencia, 2009, 95-126; AA.VV., La praxis del consentimiento informado en la relación sanitaria: aspectos biojurídicos (coordinado por José Carlos Abellán Salort), Barcelona, 2007; A. Rovira Viñas, Autonomía personal y tratamiento médico (Una aproximación constitucional al consentimiento informado), Pamplona, 2007, 52 ss.; J. Cantero Martínez, La autonomía del paciente: del consentimiento informado al testamento vital, Albacete 2005, 46 ss. 17 Cfr. Circolare n. 1/2012, 27-28.

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Questa differenza era stata introdotta in Inghilterra un decennio prima attraverso l’interpretazione giurisprudenziale della regola Gillick competent offerta dal giudice Lord Donaldson di Lymington. La regola Gillick competent era stata istituita dall’ordine del Dipartimento della Salute, per consentire ai medici di prescrivere trattamenti contraccettivi alle ragazze di età inferiore a sedici anni senza la necessità del consenso dei genitori18. Essa prende il nome da Victoria Gillick, una madre con cinque figlie di età inferiore a sedici anni, la quale aveva presentato ricorso avverso l’ordine. Il 17 ottobre 1985 la House of Lords decise in appello il caso Gillick contro West Norfolk, Wisbech Area Health Authority and another. Dei cinque Lords intervenuti nel procedimento di appello, Lord Fraser di Tullybelton, Lord Scarman e Lord Bridge di Harwich si dimostrarono favorevoli; mentre Lord Brandon di Oakbrook e Lord Templeman dissentivano. Infine, era stato stabilito che, in circostanze eccezionali, i medici potevano consigliare metodi contraccettivi e prescriverli alle ragazze di età inferiore ai sedici anni senza il consenso o la conoscenza dei genitori. La minore doveva avere maturità e intelligenza sufficienti per comprendere la natura e le conseguenze del trattamento. Inoltre, il medico doveva essere convinto che: (a) la ragazza avesse compreso il suo consiglio; (b) non era stato in grado di convincere la minore a dirlo ai suoi genitori o la minore stessa non si era trovata nelle condizioni di dirlo ai propri genitori; (c) era probabile che la minore avrebbe avuto rapporti sessuali con o senza metodi contraccettivi; (d) senza il ricorso al trattamento, probabilmente la salute fisica o mentale della minore avrebbe potuto risentirne; (e) gli interessi superiori della minore richiedevano questo tipo di consulenza o trattamento anche senza la conoscenza o il consenso dei suoi genitori. Dopo questa decisione denominata Gillick competent, nei primi anni Novanta, il giudice Lord Donaldson di Lymington ha fornito un’interpretazione della regola Gillick, creando un precedente giudiziario, che ha distinto tra il consenso al trattamento medico, che i minori con una certa capacità di discernimento possono esprimere, e l’opposizione o il rifiuto al trattamento medico19. Si è pertanto ritenuto che, nell’ipotesi di opposizione o rifiuto delle cure mediche da parte di un minore, sia i genitori dello stesso che il tribunale possano annullare la decisione indipendentemente dalla capacità del minore.

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In precedenza, il Family Law Reform Act del 1969 aveva introdotto la riduzione della maggiore età da ventuno a diciotto anni, e attribuito al consenso per le cure mediche riguardanti il trattamento chirurgico, medico e dentistico, espresso da un minore di sedici o diciassette anni, gli stessi effetti giuridici del consenso prestato da un adulto. La sezione 8 della legge stabiliva: (1) Il consenso di un minore che ha raggiunto l’età di sedici anni per qualsiasi trattamento chirurgico, medico o dentale che, in assenza di consenso, costituirebbe una trasgressione per la sua persona, deve essere efficace come se fosse maggiorenne; e se un minore ha dato il consenso effettivo a qualsiasi trattamento, non sarà necessario ottenere il consenso del suo genitore o tutore. (2) Il trattamento chirurgico, medico o dentistico include qualsiasi procedura eseguita a fini diagnostici, e questa sezione si applica anche a qualsiasi procedura accessoria (inclusa, in particolare, la somministrazione di un anestetico) a qualsiasi trattamento consensuale. 19 S. Gilmore e J. Herring condividono la distinzione, sebbene ritengano che gli effetti possono essere ridotti richiedendo una maggiore capacità al minore che vuole rifiutare il trattamento (cfr. «No is the hardest Word: consent and children’s autonomy», in Child and Family Law Quarterly, 23, 2011, 3 ss.).

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Questo giudice ha esteso la sua interpretazione ai minori di età inferiore a sedici anni, ai minori che hanno compiuto sedici anni e anche agli adulti; e la sua tesi è stata poi applicata ai casi di rifiuto dei Testimoni di Geova al trattamento medico e alle trasfusioni di sangue. Lord Donaldson di Lymington ha analizzato la regola Gillick e ha introdotto la distinzione tra il consenso al trattamento medico e il rifiuto o l’opposizione allo stesso. Egli ha affermato che i genitori non possono annullare il consenso di un minore a un trattamento; ma possono invalidare il rifiuto del minore ad un trattamento medico prescritto. È esplicativo in tal senso il caso di un minore di sedici anni che soffriva di anoressia nervosa. La zia, che si prendeva cura del minore, aveva chiesto al giudice l’autorizzazione all’esecuzione del trattamento che il minore aveva rifiutato. Il giudice, a sostegno della richiesta della istante, autorizzava il trasferimento immediato dell’adolescente presso un’unità specializzata in disturbi alimentari per l’esecuzione del trattamento (caso A Minor: Consenso al trattamento medico, 10 luglio 1992). Lord Donaldson ha inoltre affermato che quando i genitori o il tutore del minore non si oppongono al rifiuto del trattamento, il tribunale nell’esercizio della sua «giurisdizione di tutela» può invalidare la decisione di un minore di rifiutare il trattamento20. Con riferimento al rifiuto delle trasfusioni di sangue da parte dei Testimoni di Geova, occorre distinguere tre situazioni: quella di un minore di età inferiore a sedici anni, quella di un minore di età superiore a sedici anni e quella di un adulto. Il giudice Lord Donaldson ha applicato la tesi precedente a tutte e tre le predette situazioni, indipendentemente dell’età del paziente. In generale, il tribunale ha autorizzato le trasfusioni di sangue allegando che il paziente non aveva compreso l’effetto del rifiuto delle trasfusioni. Nel caso Re, A Minor (Wardship: Medical Treatment), del 1° gennaio 1993, l’equipe medica ha ottenuto l’autorizzazione del giudice ad effettuare una trasfusione di sangue ad un ragazzo di quasi sedici anni, Testimone di Geova, che soffriva di leucemia. I genitori condividevano il rifiuto del figlio al trattamento, sostenendo che non era corretto che la Corte interferisse, poiché il figlio aveva quasi sedici anni e, quindi, soggetto capace di prestare il proprio consenso al trattamento e, in ogni caso, capace di decidere se sottoporsi al trattamento medico stante la regola di Gillick. La Corte non ha accolto il rifiuto del minore, ritenendo che lo stesso non avesse ben compreso le conseguenze del rifiuto delle trasfusioni

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Nel caso A Minor (Wardship: Consent to Treatment) del 24 luglio 1991 è stata dichiarata la capacità di una minore di quindici anni, secondo la regola della Gillick competent, di acconsentire e rifiutare un trattamento medico. È stata impugnata la decisione del tribunale che aveva autorizzato i medici a somministrare un trattamento farmacologico. La ragazza soffriva di una malattia mentale caratterizzata da comportamenti violenti e suicidi; e in un intervallo di lucidità aveva dichiarato di negare il suo consenso e rifiutare la terapia farmacologica. È stata dunque ottenuta l’autorizzazione del giudice, poi successivamente impugnata. Lord Donaldson ha ritenuto che la ragazza non avesse la capacità di rifiutare il trattamento, e ciò a tutela del suo superiore interesse. Nelle motivazioni è stato argomentato che (1) il tribunale nell’esercizio della sua «giurisdizione di tutela» può invalidare la decisione di un minore di rifiutare il trattamento, indipendentemente; (2) data la natura fluttuante della malattia della minore, doveva ritenersi che la stessa non avesse una capacità sufficiente, quindi la decisione del giudice doveva essere applicata.

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di sangue. Stabilì, inoltre, che il superiore interesse del minore imponeva che l’ospedale fosse libero di eseguire le cure mediche necessarie, comprese le trasfusioni di sangue21. Nel caso A Child (Trattamento medico: superiori interessi), del 15 agosto 2003, un paziente di quasi diciassette anni con sindrome da ipermobilità è stato sottoposto al trattamento di trasfusione di sangue a seguito dell’autorizzazione del tribunale. Sia il paziente che i suoi genitori si erano opposti al trattamento perché erano Testimoni di Geova. La Corte ha ritenuto che, a tutela del superiore interesse del paziente, il sangue doveva essere trasfuso come ultima risorsa in caso di pericolo di vita. Per i pazienti adulti, il rifiuto del trattamento richiede i medesimi requisiti previsti per la redazione delle direttive anticipate rilasciate dagli stessi22. Il caso HE / A NHS Trust Hospital, 7 maggio 2003, non ha accolto la dichiarazione di volontà anticipata di un adulto, ritenendo che non era stato dimostrato in modo chiaro e convincente che le direttive anticipate potevano considerarsi in vigore. I fatti sono i seguenti: dopo la separazione personale dei genitori, la figlia di origine musulmana come suo padre, era stata allevata da sua madre, Testimone di Geova, secondo i principi di questa fede religiosa. All’età di vent’anni, la figlia aveva sottoscritto delle direttive anticipate di trattamento in cui dichiarava di rifiutare «per ora e per il futuro», in ragione del proprio credo religioso, qualsiasi trattamento che prevedesse una trasfusione di sangue e che le direttive potevano essere revocate soltanto per iscritto. Successivamente, all’età di ventiquattro anni, la ragazza – che aveva un problema cardiaco congenito – veniva ricoverata in ospedale e mentre era in coma farmacologico, i medici prescrivevano una trasfusione di sangue senza la quale sarebbe morta entro poche ore. La madre rifiutava il trattamento sostenendo che fossero in vigore le direttive anticipate e, pertanto, la figlia non avrebbe acconsentito. Il padre della ragazza chiese che la trasfusione fosse autorizzata sostenendo che la figlia, viceversa, se avesse avuto conoscenza della sua situazione clinica, avrebbe acconsentito; inoltre, dato che era fidanzata con un uomo musulmano, pochi mesi prima della sua malattia aveva

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Nello stesso senso, il caso A Minor (cure mediche: competenza di Gillick) del 10 giugno 1998, riguardante una ragazza di quattordici anni gravemente ferita. 22 Nel caso Adult Patient (rifiuto del trattamento) del 30 luglio 1992, una donna incinta di trentaquattro settimane era vittima di un incidente stradale. Già in ospedale, e dopo aver parlato con sua madre, ed essere stata informata dell’esistenza di trattamenti alternativi, aveva sottoscritto un modulo per il rifiuto di trasfusioni di sangue senza aver ottenuto sufficienti informazioni in merito. Fu eseguito un parto cesareo e il bambino nacque privo di vita. Dopo il parto, lo stato di salute della donna si aggravava al punto da richiedere trasfusioni di sangue per sopravvivere. Il giudice Lord Donaldson concesse l’autorizzazione e indicò i presupposti per valutare i motivi del rifiuto della trasfusione di sangue: (1) l’influenza della madre inficiava l’esercizio del diritto di rifiutare il trattamento; (2) quando si assume una decisione indotta dall’influenza esterna dei membri della famiglia, il tribunale deve considerare se la decisione successiva sia quella effettiva del paziente e se sia tale da poter modificare la situazione; (3) le dichiarazioni di rifiuto della trasfusione di sangue devono essere riscritte, poiché una semplice firma non esonera l’ospedale da responsabilità, a meno che non sia dimostrato che il paziente aveva compreso a pieno il significato della firma; (4) il paziente deve conoscere in termini generali l’effetto del consenso o del rifiuto. Il consenso o il rifiuto sono viziati in caso di mancanza d’informazioni o di informazioni errate; (5) in una situazione pericolosa per la vita, se i medici nutrono seri dubbi sulla validità di un rifiuto del trattamento, dovrebbero, nell’interesse della collettività e del paziente, richiedere l’autorizzazione al giudice perché la decisione non deve essere lasciata alla famiglia del paziente. In tal modo, Lord Donaldson di Lymington ha altresì indicato i requisiti che le direttive anticipate di trattamento rilasciate dagli adulti devono soddisfare.

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manifestato l’intenzione di convertirsi alla fede musulmana e aveva smesso di praticare la religione dei Testimoni di Geova. La Corte accolse l’istanza del padre e autorizzò il trattamento prescritto dal medico. In Spagna è stata prevista una distinzione – con significative ripercussioni pratiche – tra il consenso e il rifiuto ad un trattamento medico. Qualora il rifiuto del trattamento da parte del minore e dei suoi genitori o rappresentati legali sia espresso in situazioni di alto rischio per la vita o la salute, il medico non può accettare la volontà del minore e nemmeno dei suoi rappresentanti, poiché ricopre un ruolo di garante nei confronti del paziente, cosicché dovrà ottenere una autorizzazione giudiziaria che consenta la pratica del trattamento. Dunque, nelle ipotesi di grave pericolo per la salute o la vita, il minore può acconsentire al trattamento medico conveniente in difesa della propria vita o salute, ma non può rifiutarlo. Infatti, quando l’equipe medica ritiene necessario eseguire un determinato trattamento per salvare la vita o la salute del minore, e sia il minore maturo o di età superiore a sedici anni, sia i genitori rifiutino il trattamento, le parti coinvolte entrano in conflitto. Da un lato, il personale sanitario ha l’obbligo di fornire assistenza, difendere la vita e garantire la salute, e quindi, il suo operato è obbligatorio e l’omissione punibile anche penalmente, poiché si può incorrere nel reato di omissione di soccorso23. L’equipe medica deve prestare assistenza, rispettare la libertà del paziente e operare previo consenso informato del medesimo in difesa della vita e salute, garantendo a tutela del paziente la prestazione medica secondo la lex artis. Dall’altro lato i genitori, che hanno il ruolo di garanti del figlio minore d’età, con tutte le conseguenze che ciò comporta, come – ad esempio – fare tutto il necessario per evitare qualsiasi situazione che metta in pericolo la vita o salute del minore, sono obbligati ad offrire al proprio figlio le cure mediche di cui ha bisogno. E, in caso contrario, anche loro possono incorrere in responsabilità penale ed essere perseguibili. Infine, occorre considerare i minori di età superiore a sedici anni o maturi, ai quali è riconosciuta la facoltà di prestare il consenso informato al trattamento medico, nonché di opporsi ad un determinato trattamento medico quale ingerenza esterna sul proprio corpo, esercitando così il proprio diritto all’autodeterminazione. Tuttavia, non si riconosce loro la capacità di rifiutare un trattamento medico “necessario” per la difesa della vita o salute, poiché non si può riconoscere efficacia giuridica ad atti che incidono negativamente sulla vita in via definitiva e, di conseguenza, irreparabile. Ne consegue che i minori, sebbene siano “maturi” per alcuni atti, non possono considerarsi tali per assumere una decisione

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L’articolo 196 del Codice penale distingue quando la persona che omette il soccorso è un professionista sanitario tenuto a fornire assistenza: «Il professionista che, essendo obbligato a farlo, rifiuterà di prestare assistenza sanitaria o i servizi sanitari, quando il rifiuto comporta gravi rischi per la salute delle persone, sarà punito…». Il precedente articolo 195 disciplina l’omissione di soccorso da parte di qualsiasi persona.

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di vitale importanza. Pertanto, in quest’ultimo caso, la volontà del minore non vincola i genitori rispetto alla decisione che essi adotteranno. Orbene, la decisione del minore e quella dei genitori, che si oppongono o rifiutano trattamenti medici vitali per il minore, non vincola i medici, che possono e devono ottenere l’autorizzazione giudiziaria per eseguirli. Il problema si pone nel caso dei Testimoni di Geova riguardo al rifiuto – manifestato sia dai minori sia dai loro rappresentanti legali – di sottoporsi alle trasfusioni di sangue ove il minore versi in pericolo di vita. La questione è stata risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza 18 luglio 2002, n. 154, che ha condannato per omicidio i genitori di un tredicenne deceduto per essersi sottoposto ad una trasfusione di sangue. Nel caso di specie, il minore tredicenne era caduto dalla bicicletta senza gravi conseguenze. Cinque giorni dopo ebbe un’emorragia e i suoi genitori, la sera stessa, lo portarono in ospedale, dove gli fu prescritta una trasfusione di sangue. I genitori, Testimoni di Geova, negarono l’autorizzazione alla trasfusione e sollecitarono il ricorso ad un trattamento alternativo. Il giorno seguente, l’equipe medica richiese ed ottenne l’autorizzazione del giudice per la trasfusione. Quando i medici si prepararono ad eseguire la trasfusione, il minore, terrorizzato, la rifiutò. L’equipe medica rinunciò alla sedazione in quanto ritenuta né eticamente né sanitariamente corretta. Di conseguenza, previa nuova consultazione della Corte, si procedette alla dimissione volontaria del minore24. Iniziò così un “pellegrinaggio” alla ricerca di cure mediche alternative presso quattro ospedali della rete pubblica e privata con due trattamenti domiciliari; dopo una settimana, il minore morì. Infatti, soltanto all’ultimo momento, fu effettuata la trasfusione di sangue al minore; ma siccome già presentava un notevole peggioramento psico-fisico, la trasfusione non impedì che il tredicenne entrasse in coma per emorragia cerebrale, morendo poche ore dopo. Dopo la morte del minore, si avviò un procedimento penale per omicidio contro i genitori. Fu dimostrato che se la trasfusione fosse stata effettuata in tempo, il minore sarebbe sopravvissuto nel breve o medio periodo. La sentenza del Tribunale provinciale di Huesca del 20 novembre 1996 assolse i genitori. Il Pubblico Ministero presentò ricorso in Cassazione e la Corte Suprema nella sentenza della Camera Penale del 27 giugno 1997 condannò i genitori alla pena di due anni e sei mesi di detenzione per omicidio doloso; la Corte concesse uno sconto di pena in base all’attenuante dello stato emotivo, mentre considerò irrilevante l’aggravante della parentela. In seguito, i genitori presentarono appello dinanzi al Tribunale Costituzionale, invocando l’immunità dalla coercizione che tutela il minore, il quale all’età di tredici anni ha il

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In Spagna, il rifiuto da parte di un paziente di cure terapeutiche implica l’interruzione della relazione medica. In effetti, la Legge n. 41/2002 all’articolo 21 prevede che il paziente che rifiuta il trattamento debba firmare il modulo di dimissione volontaria e lasciare la struttura ospedaliera. È altresì prevista la dimissione forzata, a meno che non vi sia un trattamento alternativo che può essere fornito nel medesimo centro sanitario, e la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria nel caso in cui il paziente non accetti la dimissione ospedaliera.

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sufficiente grado di giudizio e maturità per esercitare personalmente i propri diritti fondamentali. Pertanto il figlio tredicenne era in grado di rifiutare un trattamento medico che si opponesse alla propria libertà ideologica e religiosa. La Corte costituzionale in plenum, con sentenza 18 luglio 2002, n. 154, annullò la sentenze della Corte Suprema di Cassazione del 27 giugno 1997, confermando l’assoluzione dei genitori dal reato di omicidio25. Ebbene, nonostante le sentenze fossero opposte, le argomentazioni della Corte Costituzionale coincidevano con quelle della Corte Suprema. La Corte costituzionale considerò l’esistenza di un conflitto tra il diritto dei genitori alla libertà religiosa e la loro condizione di garanti derivante dalla responsabilità genitoriale. La Corte Suprema nel 1997 aveva rilevato il contrasto tra il diritto alla libertà religiosa dei genitori e il diritto alla vita del figlio; in sede di appello, i genitori avevano sostenuto che vi fosse un conflitto tra il diritto alla libertà religiosa del figlio e il suo consenso al trattamento medico. In effetti, la Corte Suprema fonda le proprie argomentazioni sul diritto dei genitori alla libertà religiosa e sul diritto alla vita del figlio. La Corte riconosce che un adulto può manifestare la propria obiezione di coscienza al trattamento medico, nel rispetto della sua decisione, a meno che ciò non comprometta i diritti o gli interessi altrui, leda la salute pubblica o altri beni che esigono speciale protezione26. Ma la situazione è ben distinta

25

Questa sentenza è stata oggetto di numerosi commenti, tra i quali si segnalano: A. Valero Heredia, Constitución, libertad religiosa y minoría de edad. Un estudio a partir de la Sentencia 154/2002, del Tribunal Constitucional, Valencia, 2004, e Repercusiones jurídicas de la conciliación entre la libertad religiosa y las hemotransfusiones cuando la vida de un menor está en juego: comentario a la Sentencia del Tribunal Constitucional 154/2002 de 18 de julio, en el caso de los Testigos de Jehová, in Parlamento y Constitución, n. 6, 2002, 273 ss. Per uno studio più approfondito, si veda della stessa Autrice, La libertad de conciencia del menor de edad desde una perspectiva constitucional, Madrid, 2009. V. anche L. Álvarez Prieto, Breves acotaciones a la sentencia del Tribunal Constitucional de 18 de julio de 2002, relativa a la negativa a las hemotransfusiones por parte de los Testigos de Jehová, in Revista General de Derecho Canónico y Derecho Eclesiástico del Estado Iustel, n. 1, 2003 (notas); R. Corral García, STC 154/2002: la negativa a una transfusión sanguínea a un menor de edad con el resultado de su muerte, in Anuario da Facultade de Dereito da Universidade da Coruña, 2004, 987 ss.; M. Espinosa Labella, Comisión por omisión e imprudencia en la doctrina y la jurisprudencia, con especial referencia a las transfusiones de sangre a los testigos de Jehová, in Revista Aranzadi Doctrinal, n. 3, 2009, 117 ss.; M.M. Leal Adorna, Derecho a la vida o libertad religiosa? Breve comentario a la STC 154/2002, de 18 de julio de 2002, in Revista internauta de práctica jurídica, n. 12, 2003; M. Pulido Quecedo, Libertad religiosa y los límites constitucionales de las creencias religiosas, in Repertorio Aranzadi del Tribunal Constitucional, n. 12/2002, parte Tribuna, Pamplona, 2002. Tra i commenti alla sentenza della Suprema Corte, v. C. M. Romeo Casabona, Límites de la posición de garante de los padres respecto al hijo menor? (La negativa de los padres, por motivos religiosos, a una transfusión de sangre vital para el hijo menor), in Revista de derecho penal y criminología, n. 2, 1998, 327 ss.; J.L. Sevilla Bujalance, Transfusiones de sangre, conciencia y derecho a la vida: Especial referencia a los menores, in Revista General de Derecho, n. 676-677, 2001, 71 ss. 26 Il dovere del personale sanitario di rispettare la libertà dei pazienti incontra un’importante limitazione quando ciò rappresenti un rischio per la salute pubblica. In questo caso, il personale sanitario ha l’obbligo di agire senza raccogliere il consenso informato, quando vi sia un rischio per la salute pubblica a causa di motivi sanitari indicati dalla Legge [art. 9.2.a), L. n. 41/2002]. A sua volta, la Legge organica 14 aprile 1986, n. 3, relativa a misure speciali nell’ambito della sanità pubblica, consente alle autorità sanitarie competenti di: adottare misure di riconoscimento, trattamento, ricovero o controllo quando vi siano apprezzabili condizioni che consentano di prevedere l’esistenza di un pericolo per la salute della popolazione a causa della situazione sanitaria specifica di una persona o di un gruppo di persone o delle condizioni sanitarie in cui si svolge un’attività (art. 2); adottare le misure appropriate per il controllo dei malati, delle persone che sono state in contatto con loro e dell’ambiente circostante, nonché quelle ritenute necessarie in caso di rischio di trasmissibilità (art. 3).

216


Il minore nell’ambito sanitario in Spagna

quando la persona che richiede un trattamento salvavita o finalizzato a prevenire danni irreparabili, è un minore. Il diritto alla vita e alla salute del minore non può cedere il passo all’affermazione della libertà di coscienza o all’obiezione dei genitori. Se questi ultimi lasciano morire il proprio figlio minore, perché le loro convinzioni religiose proibiscono le cure ospedaliere o la trasfusione di sangue, si incorre in una responsabilità penale. Ne consegue che, nella fattispecie in esame, era assolutamente legittimo e obbligatorio ordinare che il minore fosse sottoposto al trattamento, sebbene i genitori avessero espresso il loro rifiuto, poiché la libertà ideologica, religiosa e di culto dei genitori è superata dal diritto alla vita del figlio minore. La Corte Costituzionale cambia approccio in ordine ai conflitti di interesse incentrati sul diritto alla libertà religiosa dei genitori e sul loro status di garanti derivante dalla responsabilità genitoriale, giustificando così l’azione dei genitori. Ridimensiona il ruolo di garanti dei genitori mettendolo in rapporto con i diritti fondamentali. Afferma che gli organi giudiziari non possono individuare il contenuto dei doveri di garante prescindendo dai diritti fondamentali. In tal modo, la Corte giustifica il comportamento dei genitori, che non avevano esercitato una condotta persuasiva intesa a far sì che il figlio accettasse la trasfusione, perché era contraria alla fede religiosa del figlio e non costituiva parte integrante dei doveri dei genitori quali garanti. Tuttavia, la sentenza precisa che: un minore di tredici anni non ha la capacità sufficiente per decidere di rifiutare un trattamento medico che gli possa salvare la vita; il valore della vita, in quanto bene oggetto della decisione del minore, è un valore supremo dell’ordinamento giuridico costituzionale e un presupposto ontologico in assenza del quale tutti gli altri diritti non potrebbero esistere; la decisione di affrontare la propria morte non è un diritto fondamentale, bensì unicamente manifestazione del principio generale di libertà sancito dalla Costituzione e, pertanto, il minore non può esercitare senza limiti tale potere di auto-disposizione della propria esistenza. La Corte costituzionale giustifica anche la condotta dell’équipe sanitaria che alla fine aveva eseguito la trasfusione al ragazzo. La Corte ribadisce che i medici hanno bisogno dell’autorizzazione giudiziaria nel caso in cui sia i genitori che il minorenne rifiutino le cure mediche necessarie, quando vi sia grave pericolo per la vita o la salute del minore. Condivide, inoltre, il comportamento dell’autorità giudiziaria che aveva autorizzato la trasfusione; argomentando che la decisione del giudice aveva la finalità di preservare la vita del minore e come tale non era soggetta ad alcuna obiezione dal punto di vista costituzionale, in quanto la vita è un valore supremo dell’ordinamento giuridico costituzionale e, nel caso in esame, l’autorità giudiziaria doveva intervenire poiché i genitori avevano negato l’autorizzazione ad una trasfusione di sangue, invocando le loro credenze religiose. Il ricorso all’autorità giudiziaria in difesa della condotta medica è diventato una pratica comune nei casi di rifiuto delle trasfusioni di sangue da parte di Testimoni di Geova. In tal senso, l’Ordine della Corte costituzionale, 20 giugno 1984, n. 369, non ha accordato la tutela invocata dal vedovo di una paziente Testimone di Geova. Nel caso di specie, la donna aveva sofferto di problemi emorragici a seguito di un parto e il medico le aveva precedentemente somministrato trasfusioni di sangue. L’Ordine ha dichiarato il ricorso irricevibile

217


Maria Camino Sanciñena

per motivi di diritto e non per la questione in esame. La Corte ritiene che l’autorizzazione del giudice al fine di effettuare trasfusioni di sangue sia legittima in base a quanto previsto dalla Legge organica sulla libertà religiosa, 5 luglio 1980, n. 7, dal momento che il diritto alla libertà religiosa garantito dalla Costituzione (art. 16.1) ha come limite la «salute delle persone», ai sensi dell’art. 3, e a tutela di esso ha agito il Giudice, concedendo la suindicata autorizzazione27.

4. La capacità per il mutamento di sesso e nome nel Registro dello stato civile.

Infine, poche righe sulla capacità dei minori di assumere la decisione di cambiare sesso nel Registro dello stato civile, che è stata oggetto della recente sentenza della Corte costituzionale, 18 luglio 2019, n. 99, sulla questione di legittimità costituzionale promossa dalla Camera Civile della Corte Suprema, in ordine al requisito del raggiungimento della maggiore età. In Spagna si permette alle persone transessuali, maggiorenni e con sufficiente capacità, di rettificare il sesso e il nome nel Registro dello stato civile28, senza che sia necessario sottoporsi ad intervento chirurgico di riattribuzione del sesso, così come previsto nell’art. 1, Legge 15 marzo 2007, n. 3, che disciplina la rettifica della registrazione relativa al sesso delle persone. Il suindicato articolo dispone che: «1. Qualsiasi persona di nazionalità spagnola, maggiorenne e con sufficiente capacità, può richiedere la rettificazione del sesso. 2. La rettificazione del sesso comporterà la modifica del nome proprio della persona in modo che esso non sia discordante con il sesso registrato». La questione di legittimità costituzionale si fondava sulla violazione dei diritti fondamentali dei minori, in quanto privi della facoltà di rettificare il Registro dello stato civile relativamente all’indicazione del loro sesso e nome. Nel caso di specie, la minore era nata il 20 marzo 2002 ed era registrata con nome e sesso femminile. Fin dalla più tenera età, la minore aveva dichiarato di sentirsi maschio e di preferire l’uso di un nome maschile. Tale volontà era stata accolta nel suo contesto familiare e sociale. Quando la minore aveva dodici anni, in un referto medico si leggeva: «il paziente presenta un fenotipo totalmente maschile ed è totalmente adattato al suo ruo-

27

L’art. 3 della citata Legge organica, 5 luglio 1980, n. 7, sulla libertà religiosa, sancisce la «tutela della sicurezza, della salute e della moralità pubblica» quale limite all’esercizio della libertà religiosa e del culto. Abraham Barrero Ortega ritiene che il limite in questione sia la «salute pubblica» e non quella individuale (cfr. La objeción de conciencia del paciente a tratamientos médicos, in Ética de la vida y la salud: su problemática biojurídica [coordinador Ruiz de la Cuesta], Sevilla, 2008, 278). 28 Il termine “rettificazione” non deve essere inteso come semplice correzione di un errore materiale, ma come mutamento o modifica. V.Y. Bustos Moreno, La transexualidad (De acuerdo a la Ley 3/2007, de 15 de marzo), Madrid, 2008, 119 ss.

218


Il minore nell’ambito sanitario in Spagna

lo maschile, è privo di patologia psichiatrica e può richiedere il mutamento di sesso e di nome dinanzi all’ufficiale di stato civile». Il referto giustificava l’inosservanza da parte della minore dell’obbligo giuridico di sottoporsi ad un trattamento ormonale per due anni, così come previsto dall’art. 4 della legge, poiché, avendo dodici anni, non era ancora entrata nella pubertà e, pertanto, non aveva senso eseguire il trattamento ormonale. Allora, i genitori produssero – invano – in nome e per conto della figlia un dossier di documenti dinanzi all’ufficiale di stato civile, chiedendo il mutamento del sesso e nome della minore. In seguito, avviarono un procedimento giudiziario per rettificare il sesso e il nome nei registri dello stato civile, ma le loro istanze non furono accolte. Contro tali decisioni presentarono ricorso in Cassazione. Sul punto, la Corte Suprema ritenne di dover sollevare la questione di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale individuò il nucleo della questione nel determinare se la limitazione del diritto di cambiare nome fosse o meno sproporzionata rispetto a qualsiasi altra situazione giuridica riguardante la persona minore d’età, garantita dalla Costituzione spagnola. In primo luogo, secondo la Corte, la norma che consente alla persona transessuale di rettificare la registrazione del proprio sesso, e conseguentemente di cambiare la registrazione del proprio nome (art. 1, L. n. 3/2007) e di «esercitare tutti i diritti inerenti alla nuova condizione» (art. 5.2, L. n. 3/2007), incide sul principio costituzionale che garantisce il libero sviluppo della persona (art. 10.1 della Costituzione spagnola del 1978). Dunque, la previsione normativa permette alla persona di assumere, con efficacia giuridica, decisioni sulla propria identità, anche riguardo ad aspetti come il nome e il sesso, quali caratteri fondamentali di una persona. Inoltre, la Corte ritiene che la disposizione impugnata leda il diritto fondamentale alla privacy della persona transessuale (art. 18.1 della Costituzione), in quanto rende di dominio pubblico il suo status di transessuale ogni qual volta debba identificarsi in qualsiasi ambito della vita. La non coincidenza tra il sesso attribuito alla nascita, che è quello che originariamente viene indicato nel registro civile, e quello che un individuo percepisce come proprio, rientra in quelle circostanze particolarmente rilevanti, che la persona ha il diritto di proteggere dalla conoscenza altrui, per far sì che il proprio status di transessuale non sia reso noto pubblicamente. In secondo luogo, la sentenza verifica se il superiore interesse del minore, in quanto costituzionalmente protetto, possa giustificare o meno la limitazione per il minore. In altre parole, se la speciale tutela garantita dalle autorità pubbliche ai minori, giustifichi o meno l’esclusione del minore transessuale dalla possibilità di chiedere una rettifica della registrazione del sesso e del nome. La Corte Costituzionale riconosce che il limite contenuto nella norma contestata costituisce un contributo positivo all’interesse del minore, in particolare in tutti quei casi in cui le manifestazioni che accreditano la transessualità non sono ancora consolidate. Allo stesso tempo, però, ritiene che l’estensione al minore transessuale della possibilità di cambiare sesso nel Registro di stato civile, possa comportare, per il medesimo, un beneficio impor-

219


Maria Camino Sanciñena

tante, almeno in termini di tutela della sua privacy e di libera scelta in merito alle decisioni afferenti alla sua persona. Per questo motivo, la Corte Costituzionale si limita a considerare la situazione di un minore sufficientemente maturo e che si trova in una situazione stabile di transessualità. Secondo la Corte, in questi casi, il divieto di rettificare l’iscrizione nel registro dello stato civile determina un’inutile e sproporzionata restrizione del diritto alla privacy e del principio che garantisce il libero sviluppo della personalità, per le gravi conseguenze che il minore può subire. La Corte ha dichiarato, pertanto, la illegittimità costituzionale del divieto per i minori di rettificare il proprio sesso e il proprio nome nel Registro dello stato civile, nel caso di minori «sufficientemente maturi» che si trovano in una «situazione stabile di transessualità», condizionando la futura tutela dei minori ad una più compiuta definizione di questi due concetti soggettivi e indeterminati.

220


Giurisprudenza Cass. civ., sez. I, ord., 17 febbraio 2020, n. 3877; Bisogni Presidente – Iofrida Relatore Diritti della personalità – Diritto al nome – Necessaria attribuzione di nuovo nome conseguente all’attribuzione di sesso diverso L’attribuzione del nuovo nome pur non essendo espressamente disciplinata dalla L. n. 164/1982, consegue necessariamente all’attribuzione di sesso differente, al fine di evitare una discrepanza inammissibile tra sesso e nome, come, peraltro si evince sia dall’art. 5 della norma anzidetta, sia dalla normativa in materia di stato civile (D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 11), che prevede che il nome di una persona deve corrispondere al sesso. Il legislatore nazionale, con la L. n. 164 del 1982, art. 5, ha richiesto una corrispondenza assoluta tra sesso anatomico e nome, manifestando preferenza per l’interesse alla certezza nei rapporti giuridici rispetto all’interesse individuale alla coincidenza tra il sesso percepito e il nome indicato nei documenti di identità.

(Omissis) Svolgimento

mento del nome di cui, di per sé, non sussistono del processo

i presupposti”, dettati dal

La Corte d’appello di Torino, con sentenza

D.P.R. n. 396 del 2000, cosicché, respinta tale

n. 569/2018, depositata in data 28/3/2018, ha ri-

domanda, il nuovo nome da inserire nei registri

formato la decisione di primo grado, che aveva

doveva essere quello derivante dalla mera fem-

respinto la richiesta di O.A. di rettificazione di

minilizzazione del precedente, ovvero “a.”.

attribuzione del sesso da maschile a femminile,

Avverso la suddetta pronuncia, O.A. propo-

L. n. 164 del 1982, ex art. 1 in difetto, all’esito di

ne ricorso per cassazione, affidato ad un motivo,

una consulenza tecnica d’ufficio, del presupposto

nei confronti del Ministero dell’Interno (che non

della compiutezza del percorso di transizione da

svolge attività difensiva). Il ricorrente ha deposi-

genere maschile a femminile nel richiedente. In

tato memoria.

particolare, i giudici d’appello, dopo avere dispo-

Motivi

della decisione

sto l’estromissione del Ministero dell’Interno, in

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la

difetto di sua legittimazione passiva nel suddetto

violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c.,

giudizio, hanno accolto la domanda di O.A. di

n. 3, della L. n. 164 del 1982, art. 5 in punto di ri-

rettificazione di sesso da maschile a femminile,

getto della richiesta di rettificazione del prenome

ordinando agli ufficiali dello stato civile le com-

da “A.” ad “Al.”, avendo la Corte territoriale erro-

petenti modifiche anagrafiche conseguenti; in

neamente ritenuto che il richiedente non possa

particolare, per quanto qui ancora interessa, la

dare alcuna indicazione in merito al prenome da

Corte ha ritenuto che il mutamento delle indica-

imporre quale dato dello stato civile, al momen-

zioni anagrafiche, “nell’interesse pubblico di una

to in cui è accolta la richiesta di rettificazione

stabilità e ricostruibilità delle registrazioni ana-

di sesso, non potendo, al contrario, imporsi un

grafiche”, non poteva essere dello stesso esatto

mero automatismo di conversione, non sempre

tenore proposto (del prenome, da “A.” ad “Al.”),

praticabile, e dovendo essere assicurato anche un

trattandosi non della mera conseguenza dell’ac-

diritto all’oblio, inteso quale diritto ad una netta

coglimento della domanda di rettificazione di

cesura con la precedente identità consolidatasi.

sesso ma di “un voluttuario desiderio di muta-

2. La censura è fondata.

221


Giurisprudenza

La Corte d’appello, riformando la decisione di

preferenza per l’interesse alla certezza nei rap-

primo grado, richiamate le pronunce della Con-

porti giuridici rispetto all’interesse individuale

sulta (sentenze nn. 221/2015 e 180/2017) e di

alla coincidenza tra il sesso percepito e il nome

questa Corte (Cass. 15138/2017), ha ritenuto sus-

indicato nei documenti di identità. Il sopra citato

sistenti i presupposti per dar luogo alla rettifica-

art. 35 recita: “il nome imposto al bambino deve

zione prevista dalla L. n. 164 del 1982, art. 1 non

corrispondere al sesso e può essere composto da

rappresentando presupposto imprescindibile il

uno o da più elementi onomastici, anche separa-

trattamento chirurgico di modificazione dei carat-

ti, non superiori a tre. In quest’ultimo caso, tutti

teri sessuali anatomici primari ed avendo accerta-

gli elementi del prenome dovranno essere ripor-

to che non corrispondono più al sesso attribuito

tati negli estratti e nei certificati rilasciati dall’uffi-

nell’atto di nascita i caratteri sessuali ed identitari

ciale dello stato civile e dall’ufficiale di anagrafe”.

attuali del ricorrente, così disponendo la rettifi-

L’interpretazione data, nel caso specifico, del-

cazione di attribuzione di sesso da maschile a

la Corte di merito non trova supporto nella nor-

femminile, con conseguente ordine all’Ufficiale

mativa in materia, in quanto nulla è detto circa

di Stato Civile di provvedere alle necessarie ret-

un obbligo di trasposizione meccanica del nome

tifiche sul relativo registro. All’attribuzione all’at-

originario nell’altro genere (vi sono, oltretutto,

tore del sesso femminile deve necessariamente

prenomi maschili non traducibili al femminile

conseguire anche l’attribuzione di un nuovo no-

e viceversa ovvero prenomi che, a seconda del

me, corrispondente al sesso.

contesto linguistico in cui si pone l’interprete,

La Corte d’appello ha ritenuto tuttavia – e

possono essere percepiti come maschili o femmi-

questo è l’oggetto residuo del contendere – di

nili, come rilevato dalla parte ricorrente, con con-

non accogliere la richiesta del ricorrente di attri-

seguente incertezza dovuta ad una conversione

buzione del nuovo prenome “Al.”, in quanto pre-

spesso non univoca). Non emergono obiezioni al

tesa ascrivibile ad un desiderio di carattere me-

fatto che sia la stessa parte interessata, soggetto

ramente voluttuario, disponendo, pertanto, che il

chiaramente adulto, se lo voglia, ad indicare il

nuovo nome nei registri anagrafici debba essere

nuovo nome prescelto, quando non ostino dispo-

quello derivante dalla mera femminilizzazione

sizioni normative o diritti di terzi, attesa l’intima

del precedente, ovvero “a.”.

relazione esistente tra identità sessuale e segni

Ora, l’attribuzione del nuovo nome – pur non

distintivi della persona, quale il nome. La Cor-

essendo espressamente disciplinata dalla L. n.

te Costituzionale, nella sentenza n. 120/2001, ha

164 del 1982 – consegue necessariamente all’at-

chiaramente affermato che il nome inteso come il

tribuzione di sesso differente, al fine di evitare

primo ed immediato segno distintivo, costituisce

una discrepanza inammissibile tra sesso e nome,

uno dei diritti inviolabili della persona protetti

come, peraltro si evince sia dall’art. 5 L. cit. (“Le

dalla Carta ex art. 2 Cost., cui si riconosce il carat-

attestazioni... sono rilasciate con la sola indica-

tere di clausola aperta, con conseguente possibi-

zione del nuovo sesso e nome”), sia dalla norma-

lità di evincere, dalla lettura combinata dell’art. 6

tiva in materia di stato civile (D.P.R. 3 novembre

c.c., comma 3, e degli artt. 2 e 22 Cost., la natura

2000, n. 396, art. 11), che prevede che il nome di

di diritto soggettivo insopprimibile della persona.

una persona deve corrispondere al sesso.

Il riconoscimento del primario diritto alla

Il legislatore nazionale, con la L. n. 164 del

identità sessuale, sotteso alla disposta rettificazio-

1982, art. 5 ha richiesto una corrispondenza as-

ne dell’attribuzione di sesso, rende consequen-

soluta tra sesso anatomico e nome, manifestando

ziale la rettificazione del prenome, che non va

222


Salvatore Patti - Cristina Caricato

necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo il giudice tener con-

giudizio di legittimità. P.Q.M.

to del nuovo prenome, indicato dalla persona,

La Corte accoglie ricorso, cassa la sentenza

pur se del tutto diverso dal prenome precedente,

impugnata in punto di rettifica consequenziale

ove tale indicazione sia legittima e conforme al

del nome e, decidendo nel merito, ordina all’Uf-

nuovo stato.

ficiale di Stato civile del Comune di Cagliari di

3. Per tutto quanto sopra esposto, in acco-

rettificare l’atto di nascita del ricorrente, nel sen-

glimento del ricorso, va cassata la sentenza im-

so che, unitamente alla rettificazione del sesso

pugnata in punto di rettifica consequenziale del

da maschile a femminile, sia riportato il prenome

nome e, decidendo nel merito, va ordinato all’Uf-

“Al.”, in luogo di “A.”, provvedendo alle annota-

ficiale di Stato civile del Comune di Cagliari di

zioni susseguenti.

rettificare l’atto di nascita del ricorrente, nel senso che, unitamente alla rettificazione del sesso

Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

da maschile a femminile, sia riportato il prenome

Dispone che, ai sensi del D. Lgs. n. 198 del

“Al.”, in luogo di “A.”, provvedendo alle annota-

2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri

zioni susseguenti.

dati identificativi, in caso di diffusione del pre-

In considerazione della novità della questione di diritto, ricorrono giusti motivi per compensare

sente provvedimento. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2019.

integralmente tra le parti le spese del presente

223


Giurisprudenza

Cambiamento del nome della persona transessuale e diritto all’oblio Sommario:

1. Il caso. – 2. La scelta del nome. – 3. La soluzione adottata dalla Corte di cassazione. – 4. Il diritto all’oblio. – 5. Le alternative in ordine al cambiamento del nome nella normativa nazionale. – 6. Un breve sguardo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

The Italian Supreme Court addresses the problem of the choice of the new name of the transsexual person. In fact, the Law no. 164/82 (Art. 5) on one hand, establishes that the civil status certificates must be issued with the only indication of the new gender and the name, but on the other, it does not foresee the detailed rules for the choice of the name, nor the obligation to automatically transform the original name into the correspondent version for the new gender. The decision gives the interested person the right to choose the new name and states that it has the right to be forgotten, to be intended as the right to sever the bonds with the previous identity.

1. Il caso. La Corte suprema, nella decisione che si commenta, ha risolto in modo condivisibile un problema – quello relativo alla scelta del (nuovo) nome della persona transessuale – già da lungo tempo affrontato da dottrina e giurisprudenza. Nel caso in esame la Corte d’appello di Torino aveva respinto la domanda di modifica del nome richiesto poiché non si trattava di un “adattamento” del nome da maschile a femminile (ad es. Mario – Maria) ma della scelta di un nome del tutto diverso da quello risultante nell’atto di nascita. Ad avviso della Corte d’appello, si sarebbe trattato «non della mera conseguenza dell’accoglimento della domanda di rettificazione di sesso ma di “un voluttario desiderio di mutamento del nome di cui, di per sé, non sussistono i presupposti”, dettati dal DPR n. 396 del 2000». La domanda veniva quindi respinta e si ordinava di inserire nei registri il nome «derivante dalla mera femminilizzazione del precedente».

224


Salvatore Patti - Cristina Caricato

2. La scelta del nome. Come detto, il problema non è nuovo, essendosi posto subito dopo l’entrata in vigore della legge 14 aprile 1982, n. 164, intitolata «Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso». L’art. 5 della suddetta legge stabilisce che le attestazioni di stato civile devono essere rilasciate con la sola indicazione del nuovo sesso e nome, ma nulla prevede per quanto riguarda la scelta del nome. In particolare, come osserva la Corte suprema, nulla la legge dice «circa un obbligo, di trasposizione meccanica del nome originario nell’altro genere»1. La soluzione prevalentemente seguita per molti anni è stata comunque quella di mutare il genere del nome risultante nell’atto di nascita, lasciando libertà di scelta nei casi in cui il prenome non risultava traducibile dal maschile al femminile e viceversa. In dottrina si era peraltro posto il quesito se, nel silenzio della legge – nei casi di nomi non conciliabili con il nuovo sesso – non dovesse farsi ricorso al procedimento previsto in generale per il cambiamento del nome, tra l’altro in grado di garantire meglio la tutela dei terzi nello svolgimento dei rapporti giuridici2. Non sono comunque mancate le decisioni che, forse senza la valutazione delle accennate implicazioni, hanno accolto la domanda della persona interessata ordinando all’ufficiale dello stato civile di sostituire il nome risultante nei registri con un nome del tutto diverso3. La questione avrebbe dovuto essere affrontata anche sotto il profilo della parità di trattamento, poiché la scelta di un nome (del tutto) diverso – come si è visto – veniva consentita ad alcuni richiedenti e non ad altri, sia pure sulla base di un criterio oggettivo.

3. La soluzione adottata dalla Corte di cassazione. La Corte di cassazione osserva che non sussistono ostacoli al fatto che sia la stessa parte interessata «se lo voglia, ad indicare il nome prescelto, quando non ostino disposizioni normative o diritti di terzi», ma non si sofferma sull’importante statuizione, indicando, ad esempio, quali potrebbero essere i diritti dei terzi idonei ad impedire la libera scelta dell’interessato. Viene piuttosto richiamata una sentenza della Corte costituzionale (n. 120/2001), secondo cui il nome «inteso come il primo ed immediato segno distintivo, costituisce uno dei diritti inviolabili della persona protetti dalla Corte ex art. 2 Cost.». Tuttavia, a ben vedere, il suddetto richiamo non serve a risolvere il problema poiché nel caso in

1

2 3

Più precisa, al riguardo la legge tedesca, secondo cui il richiedente deve indicare il nuovo prenome al momento della domanda di rettificazione (§ 1, II, Transsexuellengesetz). S. Patti – M.R. Will, Mutamento di sesso e tutela della persona, Padova, 1986, 91. V. Trib. Cagliari, 25 ottobre 1982, in Giur. it., 1983, I, 2, 590 ss., con nota di S. Patti, «Attribuzione» di sesso e «mutamento» di nome: lacune della legge e soluzioni giurisprudenziali (593 ss.)

225


Giurisprudenza

esame non si discute della natura e della rilevanza del diritto soggettivo al nome, ma soltanto della modalità – e degli eventuali limiti – di scelta nel caso del mutamento del sesso. La novità e il punto di centrale rilevanza della motivazione devono essere peraltro ravvisati nella breve affermazione secondo cui alla persona interessata «deve essere assicurato anche un diritto all’oblio, inteso quale diritto ad una netta cesura con la precedente identità». La Corte ha colto in tal modo uno degli aspetti più rilevanti della vicenda che conduce la persona alla travagliata decisione di mutare sesso; cioè il desiderio di iniziare una nuova vita recidendo i «segnali» in grado di consentire a terzi, di identificare il soggetto con l’«altro» soggetto di sesso diverso. Il mutamento del nome consistente nel semplice adattamento del nome originario non permette di soddisfare la suddetta aspirazione ma, al contrario, sottolinea per certi versi l’avvenuto mutamento di sesso, con i necessari «adattamenti», non consentendo quindi di realizzare il diritto della persona di chiudere (e di far dimenticare) una fase della propria esistenza che spesso si vorrebbe cancellare.

4. Il diritto all’oblio. In effetti, la soluzione legislativa adottata in Italia appare favorevole all’eliminazione di ogni traccia del passato, anche se ciò può comportare il sacrificio di un sia pure apprezzabile interesse di altri soggetti a conoscere la precedente identità della persona. Sotto questo profilo appare invero suggestivo il richiamo, contenuto nella sentenza in commento, al cosiddetto diritto all’oblio. Come è noto, con questa espressione si intende «il giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata»4. La giurisprudenza si è tuttavia sinora occupata del diritto all’oblio sotto altri profili, come ad esempio quello attinente al rapporto tra diritto alla riservatezza (in tale sua particolare connotazione) e diritto alla rievocazione storica di vicende concernenti eventi del passato, affermando che spetta al giudice operare il giusto bilanciamento tra l’interesse pubblico alla menzione di questi avvenimenti (in considerazione della notorietà o del ruolo pubblico rivestito dal soggetto) e il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto

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Secondo la definizione offerta da Cass., 9 aprile 1998, n. 3679, in Foro it., 1998, I, 1834, con nota di P. Laghezza, Il diritto all’oblio esiste (e si vede); in Danno e resp., 1998, 882, con nota di C. Lo Surdo, Diritto all’oblio come strumento di protezione di un interesse sottostante. In tale decisione la Suprema Corte – richiamando la propria precedente giurisprudenza sul diritto di cronaca – tratteggiò un nuovo profilo del diritto alla riservatezza, definito appunto diritto all’oblio, precisando che «quando il fatto precedente per altri eventi sopravvenuti ritorna di attualità, rinasce un nuovo interesse pubblico all’informazione, non strettamente legato alla contemporaneità tra divulgazione e fatto pubblico». Interessante anche la definizione contenuta in Trib. Lucca, 19 gennaio 2019, n. 96, in www.dejure.it, secondo cui il diritto all’oblio va inteso quale «proiezione dinamica del diritto della persona a che certe vicende della propria vita, che non presentino più i caratteri dell’attualità e dunque non siano più suscettibili di soddisfare un interesse apprezzabile della collettività a conoscerle, non trovino più diffusione nel pubblico».

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a fatti idonei a ferire la persona nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai persa la memoria collettiva5. Di recente, per altro verso, è stato oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza il rapporto tra l’esigenza di mantenere la memoria dell’informazione e il diritto all’oblio del soggetto cui l’informazione si riferisce6. Se del dato è consentita la conservazione per finalità anche diverse da quella che ne ha originariamente giustificato il trattamento, con passaggio da un archivio a un altro, nonché la memorizzazione (anche) nella rete di Internet (ad esempio, pubblicazione on line degli archivi storici dei giornali), per altro verso «al soggetto cui esso pertiene spetta un diritto di controllo a tutela della proiezione dinamica dei propri dati e della propria immagine sociale, che può tradursi, anche quando trattasi di notizia vera – e “a fortiori” se di cronaca – nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento della notizia, e se del caso, avuto riguardo alla finalità della conservazione nell’archivio e all’interesse che la sottende, financo alla relativa cancellazione». In giurisprudenza il diritto all’oblio viene dunque affermato con riferimento alla divulgazione di notizie ormai appartenenti al passato che – se riattualizzate – appaiono idonee ad arrecare un’offesa all’onore e alla reputazione di un soggetto, pur se l’attenzione della giurisprudenza – anche grazie al d.lgs. n. 196 del 2003 e al GDPR (Reg. UE 679/2016) – si è maggiormente concentrata sul passaggio da una concezione statica a una concezione dinamica della tutela della riservatezza, tesa al controllo dell’utilizzo e del destino dei dati. La Corte di cassazione ritorna felicemente sul significato più ampio del diritto all’oblio, inteso come diritto di recidere quei legami con il passato idonei a ferire la sensibilità della persona (transessuale) che tenta di superare il travaglio della transizione anche attraverso la scelta di un nome del tutto nuovo. In tal modo il diritto all’oblio assume una rilevanza non solo «all’esterno», nel senso di «cancellare nei terzi la memoria della vita precedente»7, ma anche «all’interno», come diritto della persona transessuale di «rinascere» con un nuovo (sesso e) nome, cancellando, forse anche nella propria memoria, le tracce di un passato mai accettato.

5. Le alternative in ordine al cambiamento del nome nella normativa nazionale.

Occorre a questo punto affrontare la questione posta supra (par. 2), e cioè se effettivamente il procedimento ordinario di cambiamento del nome sia maggiormente in gra-

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Così Cass., sez. un., 22 luglio 2019, n. 19681, in Resp. civ. prev., 2019, 1555 ss.; in Dir. inf., 2019, 1011 ss.; in Dir. fam. pers., 2019, 1578. Cfr. al riguardo Cass., sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525 (rel. L.A. Scarano), in Resp. civ. prev., 2012, 1147, con nota di G. Citarella, Aggiornamento degli archivi online, tra diritto all’oblio e rettifica «atipica» (1155 ss.). A questa concezione più ampia del diritto all’oblio allude Cass., sez. III, 26 giugno 2013, n. 16111, in Dir. inf., 2013, 829 e in Foro it., 2013, I, 2442, che lo definisce «diritto del soggetto a pretendere che proprie, passate vicende personali siano pubblicamente dimenticate».

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Giurisprudenza

do di garantire la tutela (della persona transessuale e) dei terzi, ad esempio di eventuali creditori, nello svolgimento dei rapporti giuridici, rispetto al procedimento giudiziale nel corso del quale è lo stesso giudice a disporre (la rettificazione di attribuzione di sesso e) il cambiamento del nome. In primo luogo, si può dubitare che la tutela dei terzi, sinora affidata alla corrispondenza del nome al sesso, sia efficacemente perseguita tramite il regime di pubblicità legato al procedimento ordinario di cambiamento del nome, più di quanto non lo sia nel caso di cambiamento del nome disposto dal giudice della rettificazione. In senso contrario all’opportunità di impiegare nel caso in esame il procedimento ordinario milita, poi, la considerazione che l’art. 5 della legge del 1984 trova la propria ratio nella presunzione della corrispondenza di quanto risulta dai documenti con l’identità e, in definitiva, con la storia della persona. Il procedimento ordinario di cambiamento del nome, pur ipotizzabile, anzi certamente più corretto, in assenza di indicazioni da parte del legislatore, risulta poco adatto, e in definitiva non in grado di realizzare l’esigenza di recidere i legami con un passato nel quale la persona transessuale non si identifica più o forse non si è mai identificata. Tale soluzione finirebbe inoltre per violare il principio di eguaglianza8, nella misura in cui – ove non sia possibile la mera trasformazione del proprio nome nel corrispondente nome maschile o femminile – la persona transessuale sarebbe sottoposta a una «gogna pubblicitaria» che viceversa non viene subita da una persona con un nome per così dire «trasformabile». La soluzione adottata dalla sentenza in commento appare, pertanto, condivisibile alla luce delle considerazioni sopra esposte. Se è vero, infatti, che la tutela della riservatezza della persona transessuale non può comportare un sacrificio degli interessi tutelati in via generale dall’ordinamento giuridico9 e se, ancora, si pone un problema degli interessi da ritenersi prevalenti, problema che solo il legislatore può risolvere, finché non vi sarà una precisa indicazione legislativa, appare opportuno fare riferimento agli strumenti già offerti dall’ordinamento, purché compatibili con la ratio della normativa in materia, come detto improntata alla cancellazione di ogni traccia del passato, attingendo dunque allo strumento dell’interpretazione estensiva. La normativa italiana, privilegiando una soluzione unitaria per l’attribuzione di sesso e il cambiamento del nome – a differenza della soluzione bipartita, piccola e grande, che vigeva ad esempio nel diritto tedesco10 – ha richiesto nella sua prima fase applicativa una

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Sotto il profilo della parità di trattamento, come sottolineato anche nel par. 2 del presente contributo. Sul punto, v. S. Patti, Sul diritto alla riservatezza della persona transessuale, in Dir. inf., 1986, 906 ss., spec. 907. 10 Il superamento della doppia soluzione – kleine Lösung/groβe Lösung – si è avuto grazie alla sentenza del BVerfG, 11.1.2011, in NJW, 2011, 909 ss. Sulla cosiddetta piccola soluzione (kleine Lösung), che consentiva la modificazione del solo nome sulla base del mero convincimento della persona di appartenere all’altro sesso, v. S. Patti, Trattamenti medico-chirurgici e autodeterminazione della persona transessuale. A proposito di Cass., 20.7.2015, n. 15138, in NGCC, 2015, II, 643 ss., spec. 649. Parlava della kleine Lösung come di una «transessualità di prova» M. Grünberger, Ein Plädoyer für ein zeitgemäβes Transsexuellengesetz, in Das Standesamt, 2007, 361 ss. 9

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rigorosa corrispondenza tra sesso anatomico e nome11, manifestando, a torto o a ragione, una certa preferenza per l’interesse alla certezza nei rapporti giuridici rispetto all’interesse individuale alla coincidenza tra il sesso percepito e il nome indicato nei documenti di identità. E sono appunto ragioni di certezza, secondo la giurisprudenza, che inducono a ritenere che l’attribuzione del nuovo prenome debba avvenire direttamente nella sentenza di rettificazione del sesso e quindi soltanto al termine del percorso di transizione12. Diversamente, in altre esperienze europee13, non si richiede tale rigida correlazione tra sesso e nome e, pertanto, si consente il cambiamento del nome anche se ad esso non corrisponde una modificazione dei caratteri sessuali. In effetti, la Risoluzione del Parlamento Europeo n. 1117 del 12 settembre 1989, cui pochi giorni dopo ha fatto eco la Raccomandazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sulla condizione dei transessuali, nell’invitare gli Stati membri a emanare apposite disposizioni che regolino il diritto delle persone transessuali al mutamento di sesso e le relative procedure, sottolinea la necessità che sia garantito il riconoscimento giuridico del mutamento anche attraverso il cambiamento del nome, la rettifica dei dati riguardanti il sesso sul certificato di nascita e sui documenti d’identità, sollecitando la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri a predisporre documenti di identità da riconoscere all’interno dell’Unione Europea. In alcuni Paesi la rettificazione di attribuzione di sesso può essere ottenuta sulla base del mero convincimento individuale di appartenere all’altro sesso e in altri, come in Austria, ove l’intervento chirurgico non costituisce più una condizione per la rettificazione a far data dalla sentenza del Verwaltungsgerichtshof, 27.2.200914, prendendo atto della circostanza che alcune persone transessuali non sentono di appartenere all’uno o all’altro sesso, si consente di registrare all’anagrafe nomi di genere «neutro», valevoli cioè tanto per il sesso maschile quanto per il femminile, spesso esotici, proprio a volere sottolineare l’equidistanza dai due sessi. La città di Vienna, con l’intento di snellire il relativo procedimento, richiede – sin dal febbraio 2013 – alle persone che vogliono rettificare l’attribuzione di sesso soltanto un certificato di uno psicoterapeuta, che attesti il personale convincimento di appartenere a un sesso diverso da quello attribuito alla nascita e, a seguito della rettificazione di attribuzione di sesso, per assumere un nome diverso è richiesto solo il pagamento di una modesta tassa amministrativa.

Sul superamento della differenza tra kleine Lösung e groβe Lösung ad opera della sentenza del BVerfG, 11 gennaio 2011, v. A. Wielpütz, Die neue groβe Lösung ist vor allem eins: klein – Die Reform des TSG durch das BVerfG, in NVwZ, 2011, 474 ss. 11 Salvo in ipotesi in cui esso possa essere utilizzato indifferentemente sia al maschile che al femminile, come nel caso dei nomi Elia, Celeste e, seppure con iniziali esitazioni, Andrea: così Cass., 20 novembre 2012, n. 20385, in <www.cortedicassazione.it>. 12 Sostengono che l’attribuzione del nuovo prenome debba avvenire, per ragioni di certezza e di semplificazione dei procedimenti, soltanto al termine del percorso di transizione: App. Firenze, 23 novembre 2007, in NGCC, 2008, I, 1188; Trib. Cagliari, 25 ottobre 1982, in Giur. it., 1983, I, 2, 590; Trib. Milano, 2 novembre 1982, in Foro it., 1984, I, 582. 13 Per una disamina dei profili di diritto comparato in materia, v. G. Palmeri, Il cambiamento di sesso, in Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà e P. Zatti, Il governo del corpo, I, a cura di S. Canestrari, G. Ferrando, C.M. Mazzoni, S. Rodotà, P. Zatti, Milano, 2011, 729 ss., spec. 774 ss., che fa riferimento anche ai problemi di pubblicità legati al mutamento del nome (755 ss.). 14 Verwaltungsgerichtshof, 27 febbraio 2009, in <www.ris.bka.gv.at>.

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Giurisprudenza

D’altra parte, nel clima di accentuata autonomia della persona sopra delineato, se si consente di mutare il sesso solo in base al personale convincimento, sarebbe assurdo pretendere un maggiore rigore per il cambiamento del nome e non adottare la medesima «elasticità». Infatti, nella maggior parte degli ordinamenti europei15 emerge la sempre maggiore rilevanza acquisita dal requisito soggettivo (personale convincimento)16 rispetto a quello oggettivo (modificazione dei caratteri sessuali). In Italia, ove tale elemento non è espressamente richiesto dal legislatore, ma appare implicitamente desumibile dalla facoltà di acquisire una consulenza tecnica su tale aspetto, la giurisprudenza – sempre attenta alle nuove esigenze che emergono nel tessuto sociale – appare ormai indirizzata, sulla scia di una interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso di attribuire prevalenza al convincimento del soggetto rispetto alla certezza dei rapporti giuridici e delle relazioni sociali, desumibile dalla prima applicazione della normativa vigente. In tale direzione sembra muoversi il legislatore che, nel d.d.l. 9 aprile 2013, n. 40517, all’esame del Senato, richiede quale unico presupposto ai fini dell’accesso al percorso di rettificazione anagrafica il convincimento personale di appartenere all’altro sesso18. In effetti, di recente sono intervenute la Corte di cassazione19 e la Corte costituzionale20, eliminando almeno in parte, il cosiddetto «costringimento al bisturi»21 e affermando che la rettificazione di attribuzione di sesso non impone necessariamente l’adeguamento mediante intervento chirurgico dei caratteri sessuali «primari. In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto che della legge possa essere data la stessa interpretazione costituzionalmente orientata (alla luce dei diritti della persona) già offerta dalla Suprema Corte, escludendo – senza bisogno di intervenire sulla stessa – la ne-

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Per le soluzioni adottate nei principali paesi europei, cfr. ancora S. Patti, Mutamento di sesso e «costringimento al bisturi»: il Tribunale di Roma e il contesto europeo, in NGCC, 2015, II, 39 ss., spec. 42 ss. 16 Per un quadro generale v. G. Sciancalepore – P. Stanzione, Transessualismo e tutela della persona, Milano, 2002, passim. 17 Assegnato alla 2ª Commissione permanente (Giustizia) in sede referente il 18 giugno 2013 e non ancora esaminato. 18 S. Patti, Trattamenti medico-chirurgici e autodeterminazione della persona transessuale. A proposito di Cass., 20.7.2015, n. 15138, cit., 643 ss., spec. 650, auspica che sia questa la soluzione alla fine adottata nel nostro ordinamento, dato che essa - oltre a porre fine alle incertezze della giurisprudenza - garantirebbe il pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona. 19 Sul principio, secondo cui la rettificazione di attribuzione di sesso non impone necessariamente l’adeguamento mediante intervento chirurgico dei caratteri sessuali «primari», Cass., 20 luglio 2015, n. 15138, in NGCC, 2015, I, 1068 ss., con nota di D. Amram, Cade l’obbligo di intervento chirurgico per la rettificazione anagrafica del sesso, e ivi, 2015, II, 643 s., con opinione di S. Patti, Trattamenti medicochirurgici e autodeterminazione della persona transessuale. A proposito di Cass., 20.7.2015, n. 15138, cit. Nella giurisprudenza di merito, Trib. Genova, 5 marzo 2015, in Diritto civile contemporaneo, 3 giugno 2015, con nota di F. Bartolini; Trib. Messina, 4 novembre 2014, in NGCC, 2015, I, 543; Trib. Rovereto, 3 maggio 2013, in NGCC, 2013, I, 1116, con nota di F. Bilotta, Identità di genere e diritti fondamentali della persona (ivi 1117); Trib. Roma, 11 marzo 2011, in NGCC, 2012, I, 243, con nota di A. Schuster, Identità di genere: tutela della persona o difesa dell’ordinamento?; Trib. Roma, 22 marzo 2011, ibidem; Trib. Roma, 18 ottobre 1997, in Dir. fam. pers., 1998, 1033, con nota di M.C. La Barbera, Transessualismo e mancata volontaria, seppur giustificata, attuazione dell’intervento medico-chirurgico. Contra, in entrambi i casi prima degli interventi della Suprema Corte e della Corte costituzionale, Trib. Roma, 18 luglio 2014, in NGCC, 2015, I, 39; Trib. Bologna, 5 agosto 2005, in Foro it., 2006, I, 3542. 20 Corte cost., 5 novembre 2015, n. 221, in NGCC, 2016, I, 582, con nota di C. Caricato, Rettificazione di attribuzione di sesso e modificazione dei caratteri sessuali all’esame della Corte costituzionale (ivi 589 ss.). 21 L’espressione è già in S. Patti, in S. Patti - M.R. Will, La «rettificazione di attribuzione di sesso»: prime considerazioni, in Riv. dir. civ., 1982, II, 729 ss., spec. 742.

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cessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione dell’attribuzione di sesso, dell’intervento chirurgico, ritenuto una delle possibili opzioni. Dunque, la Corte costituzionale ha evitato di affrontare il delicato problema del «grado di adeguamento»22, se sia in altri termini pretendibile dalla persona transessuale, in difetto di intervento modificativo dei caratteri sessuali primari, l’adeguamento dei caratteri sessuali cosiddetti «secondari» e, pertanto, di quale sia il trattamento minimo richiesto o se addirittura non ne occorra alcuno, potendosi ammettere la rettificazione soltanto sulla base del convincimento della persona di appartenere all’uno o all’altro sesso o di non appartenere ad alcuno, come avviene in molti altri paesi europei. Il percorso brevemente tratteggiato pone in luce l’affermarsi di una autonomia sempre più accentuata nel diritto delle persone23, come anche in quello della famiglia24. In tale prospettiva e sulla base dell’evoluzione giurisprudenziale sopra richiamata, orientata nel senso di lasciare libertà di scelta all’interessato nel caso in cui il nome non possa essere

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S. Patti, Rettificazione di sesso e trattamento chirurgico, in Fam. pers. succ., 2007, 25 ss., spec. 30. In giurisprudenza v. Trib. Pavia, 2 febbraio 2006, ibidem. 23 Si pensi alla vicenda del cognome materno: con sentenza 21 dicembre 2016, n. 286, in Foro it., 2017, I, 1, 6, con nota di G. Casaburi, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 c.c., nonché dall’art. 72, 1° comma, r.d. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento stato civile) e dagli artt. 33 e 34 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), «nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno». In argomento, cfr. C. Caricato, L’attuale normativa italiana in materia di attribuzione del cognome, in Il diritto al cognome materno, a cura di A. Fabbricotti, Napoli, 2017, 7 ss.; M.C. De Cicco, Cognome della famiglia e uguaglianza tra coniugi, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, I, Famiglia e matrimonio, a cura di G. Ferrando, M. Fortino e F. Ruscello, Milano, 2011, 1016 ss.; nonché, per uno sguardo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, G. Pignataro, Il cognome materno, in Cedu e Ordinamento italiano. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e l’impatto nell’Ordinamento interno (2010-2015), a cura di A. Di Stasi, Vicenza, 2016, 657 ss. Al momento, si riscontra l’esistenza di un d.d.l. n. 1628, approvato dalla Camera dei Deputati il 24 settembre 2014 per il quale in data 13 dicembre 2017 è stato concluso l’esame da parte della 2a Commissione permanente Giustizia in sede referente. Il testo del progetto di legge in questione - intitolato «Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli» prevede, all’art. 1, l’introduzione nel codice civile dell’art. 143-quater, rubricato «Cognome del figlio nato nel matrimonio» , ai sensi del quale, su accordo dei genitori, è attribuito alternativamente al figlio, al momento della dichiarazione di nascita presso gli uffici di stato civile, il cognome del padre o quello della madre ovvero i cognomi di entrambi nell’ordine concordato (1° comma). In caso di mancato accordo dei genitori, sono attribuiti al figlio i cognomi di entrambi in ordine alfabetico (2° comma). In particolare, sul d.d.l. n. 1628, v. M.A. Iannicelli, Prospettive di riforma in materia di attribuzione del cognome ai figli, in Il diritto al cognome materno, cit., 147 ss. 24 Si discute al riguardo se si possa parlare di una vera e propria «privatizzazione del diritto di famiglia»: in argomento, v. il fascicolo monografico in questa Rivista, 2017, nel quale si segnala in particolare: S. Patti, The privatization of the divorce in Italy, 155 ss.; C. Rimini, Pre or post-nuptial agreement and divorce: some observation about Italian current approach and outlook, 531 ss.; M.R. Marella, The privatization of Family Law: limits, gaps, backlashes, 611 ss. Cfr., inoltre, senza pretese di completezza: M. Sesta, La famiglia tra funzione sociale e tutele individuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 568 ss.; G. Alpa- E. Bargelli, Premessa: i rimedi alla crisi familiare, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, I, Famiglia e matrimonio, a cura di G. Ferrando, M. Fortino, F. Ruscello, 2, Separazione-Divorzio, 2a ed., Milano, 2011, 1223 ss.; G. Oberto, Contratto e famiglia, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, vol. VI, Interferenze, a cura di V. Roppo, Milano, 2006, p. 107 ss., spec. 122; S. Patti, La rilevanza del contratto nel diritto di famiglia, in Fam. pers. succ., 2005, 197 ss.; R. Amagliani, Autonomia privata e diritto di famiglia, Torino, 2005, passim; P. Rescigno, Autonomia privata e limiti inderogabili nel diritto familiare e successorio, in questa Rivista, 2004, 437 ss.; S. Patti, Regime patrimoniale della famiglia e autonomia privata, ivi, 2002, 285; P. Zatti, La parabola della “privatizzazione” del diritto di famiglia, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, I, Famiglia e matrimonio, a cura di G. Ferrando, M. Fortino e F. Ruscello, Milano, 2002, 1, 19 ss.; Id., Familia, familiae - Declinazioni di un’idea. I. La privatizzazione del diritto di famiglia, in questa Rivista, 2002, 9 ss.

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Giurisprudenza

semplicemente volto dal maschile al femminile e viceversa, non si vede ragione per non concedere la medesima libertà di scelta anche quando il suddetto problema non si pone, come nel caso in esame. Appare pertanto condivisibile la sentenza in commento che, alla luce del riconoscimento del primario diritto alla identità sessuale25, sotteso alla disposta rettificazione dell’attribuzione di sesso, provvede di conseguenza al cambiamento del prenome, affermando che esso non va necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo il giudice tenere conto del nuovo prenome, indicato dalla persona, anche se del tutto diverso da quello precedente, ove tale indicazione sia legittima e conforme al nuovo stato.

6. Un breve sguardo alla giurisprudenza della Corte

europea dei diritti dell’uomo.

Può essere infine utile analizzare brevemente la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per quanto concerne il mutamento del nome26. Se la si ripercorre27, sia pure a grandi linee, si riscontra che la Corte si è occupata (in epoca risalente) spesso di tematiche legate al transessualismo e al cambiamento del nome28, ma in prospettiva parzialmente diversa. Invero, la preoccupazione iniziale della Corte europea è stata quella di garantire l’indicazione sui documenti ufficiali del nome corrispondente al sesso percepito dall’interessato, in modo da risparmiare alle persone transessuali inutili disagi, motivi di imbarazzo e in generale le ovvie difficoltà della vita quotidiana derivanti dal fatto di possedere documenti attestanti un determinato sesso in contrasto con l’apparenza di appartenere al sesso opposto.

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Sul punto v. S. Patti, Aspetti oggettivi e soggettivi dell’identità sessuale, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 335 ss. Per un esame della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, v. S. Patti, Il transessualismo tra legge e giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (e delle Corti costituzionali), in NGCC, 2016, 143 ss., spec. 144; M. De Salvia - V. Zagrebelsky, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia delle Comunità europee, III, Milano, 2007, 52 s. 27 Sull’attuale tendenza interpretativa evolutiva del testo convenzionale da parte della Corte europea per il tramite dell’art. 8 della CEDU v. L. Trucco, Il transessualismo nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo alla luce del diritto comparato, in Dir. pubbl. comp. eur., 2003, 371 ss.; E. Crivelli, I transessuali e il diritto europeo, in I diritti in azione, a cura di M. Cartabia, Bologna, 2007, 331 ss.; G. Repetto, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa, Napoli, 2011, 167 ss. Sul testo della Convenzione v. AA.VV., Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a cura di S. Bartole, P. De Sena e V. Zagrebelsky, Padova, 2012, 330. 28 Ad esempio, una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risolve in senso positivo la questione se il rifiuto delle autorità italiane di autorizzare una persona transessuale al cambiamento del nome durante il processo di transizione sessuale e prima del completamento dell’operazione di conversione del sesso costituisca una «violazione sproporzionata» del diritto di quest’ultima al rispetto della sua vita privata in base all’art. 8 della CEDU: Corte Eur. Dir. Uomo, 11 ottobre 2018, ric. n. 55216/08, S.V. v. Italia, su cui v. C. Caricato, Il cambiamento del nome della persona transessuale. A proposito di Corte eur. dir. uomo 11.10.2018, in NGCC, 2019, I, 307 ss. 26

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Ad esempio, nel caso Cossey contro Regno Unito29, la Corte rigetta il ricorso, non ravvisando violazione dell’art. 8, in quanto alla ricorrente – cittadina britannica nata nel 1954 e iscritta nel registro dello stato civile con il nome maschile di Barry Kenneth – era stato consentito il cambiamento del nome in Caroline, evitandole situazioni di disagio, che avrebbero potuto giustificare una violazione della citata norma della CEDU. L’istante, nata uomo, ma con la percezione di sé stessa come donna, aveva infatti già nel 1972 cambiato il suo nome, confermando tale cambiamento nel 1973 con una scrittura unilaterale, come richiesto dalla normativa inglese. Infatti, il diritto inglese consente che una persona cambi il nome usando quello che preferisce, con la facoltà – onde non ingenerare confusione – di rilasciare una corrispondente dichiarazione in una scrittura unilaterale (cosiddetto deep poll). L’anno successivo la ricorrente si era sottoposta a intervento chirurgico di modificazione dei caratteri sessuali per convertire la sua anatomia esterna da maschile a femminile. Le era stato rilasciato un passaporto nel quale era identificata come donna e lavorava come mannequin comparendo in diversi periodici e riviste. Il problema era poi sorto a causa dell’aspirazione della ricorrente a contrarre matrimonio con un uomo, delusa dal rifiuto delle autorità inglesi basato sul fatto che il sesso indicato nel certificato di nascita era maschile. Ciò perché nel diritto inglese il certificato di nascita indica l’attuale identità sessuale, che risulta al momento della nascita e consente la mera correzione di errori materiali come la omissione o l’indicazione inesatta dell’anno di nascita. Analogamente, nel caso Rees contro Regno Unito30 – accertato che è possibile in Inghilterra cambiare liberamente il nome – il ricorso viene respinto. Nel caso B. contro Francia31, a fronte del rifiuto di ottenere la modifica del nome per adeguarlo all’identità sessuale percepita dalla ricorrente (alla nascita di sesso maschile), la Corte riscontra la violazione dell’art. 8 CEDU32, poiché la persona si trova quotidianamente in una condizione incompatibile con il rispetto della sua vita privata33, pur tenendo conto

29

Corte Eur. Dir. Uomo, 27 settembre 1990, ric. n. 10843/84, Cossey v. Regno Unito. Corte Eur. Dir. Uomo, 17 ottobre 1986, ric. n. 9532/81, Rees v. Regno Unito. 31 Corte Eur. Dir. Uomo, 25 marzo 1992, ric. n. 13343/87, B. v. Francia. 32 L’art. 8 - nell’affermare che «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza» e che «Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto (…)» - pone un vincolo di rispetto della vita privata, che implica per gli Stati un obbligo negativo di non ingerenza nella suddetta sfera privata e uno positivo di adottare misure volte a rendere effettivo il rispetto della vita privata. Nel caso di obbligo negativo, di regola la Corte verifica se vi sia stata un’ingerenza, se essa sia stata motivata da una delle esigenze imperative di carattere generale elencate dal comma 2 dell’art. 8, e, infine, se l’esigenza imperativa di carattere generale sia stata perseguita in modo proporzionato (nei limiti cioè di quel margine di apprezzamento di cui gode ogni Stato e che può essere più o meno elevato a seconda delle circostanze del caso). Nel caso di obbligo positivo, la Corte verifica se le autorità nazionali abbiano fatto quanto era ragionevolmente pretendibile nel caso di specie. In altri termini, nell’adempiere gli obblighi positivi e negativi, ciascuno Stato deve trovare un giusto equilibrio tra i concorrenti interessi generali e individuali, nell’ambito del margine di apprezzamento che gli è conferito, garantendo il rispetto di quelli tutelati dall’art. 8 e, in particolare, la proporzionalità tra la misura adottata e lo scopo perseguito». 33 La nozione di «rispetto» non è del tutto chiara (cfr. al riguardo Corte Eur. Dir. Uomo, 11 luglio 2002, ric. n. 28957/95, Goodwin v. Regno Unito, in Dir. uomo e lib. fond., 2007, 538), soprattutto relativamente agli obblighi positivi che la stessa implica, alla luce della diversità delle prassi seguite e delle condizioni vigenti negli Stati contraenti e del differente margine di valutazione conferito alle autorità. La locuzione «vita privata» è stata, interpretata dalla giurisprudenza della Corte europea in maniera piuttosto ampia, sino a ricomprendere

30

233


Giurisprudenza

del margine di apprezzamento concesso allo Stato, che tuttavia non giustifica la mancata considerazione del giusto equilibrio tra l’interesse generale e l’interesse individuale34. Salvatore Patti - Cristina Caricato

34

l’integrità fisica e morale della persona, potendo, dunque, includere numerosi aspetti dell’identità di un individuo, tra cui il nome. Nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare, sul diritto all’identità di genere come aspetto del diritto alla vita privata, v. ancora Corte Eur. Dir. Uomo, 11 luglio 2002, ric. n. 28957/95, Goodwin v. Regno Unito, cit.; sul diritto di decidere i particolari della propria identità di essere umano, v. Corte Eur. Dir. Uomo, 29 aprile 2002, ric. n. 2346/02, Pretty v. Regno Unito, entrambe in www. echr.coe.int/Documents/FS_Gender_identity.ita; Corte Eur. Dir. Uomo, 11 settembre 2007, ric. n. 27527/03, L. contro Lituania, in www. forumcostituzionale.it ha condannato la Lituania, la cui legislazione è stata considerata lacunosa, non prevedendo fino al completamento della procedura di cambiamento di sesso la possibilità di annotazioni di rettificazione dei precedenti certificati e documenti di identità. In generale, sulla giurisprudenza della Corte europea in materia, v. J.T. Theilen, Depathologisation of Transgenderism and International Human Rights Law, in Human Rights Law Review, 2014, 327 ss.

234


Giurisprudenza Cass. civ., sez. I, 30 agosto 2019, n. 21916; Giancola Presidente – Bisogni Relatore Separazione personale dei coniugi – Figli (provvedimenti relativi ai) – Conflitto genitoriale sull’educazione religiosa del minore – Provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti di libertà dei genitori – Possibilità – Condizioni – Ascolto del minore – Necessità – Fondamento – Fattispecie In tema di affidamento dei figli minori, il criterio fondamentale a cui il giudice deve attenersi nel fissarne le relative modalità di esercizio è quello del superiore interesse della prole, atteso il diritto preminente dei figli ad una crescita sana ed equilibrata. Ne consegue che, in caso di conflitto genitoriale riguardo all’educazione religiosa del minore, possono essere adottati anche provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa dei genitori purché intervengano all’esito di un accertamento in concreto, basato sull’ascolto del minore, dell’effettiva possibilità che l’esercizio di tali diritti possa compromettere la salute psico-fisica o lo sviluppo dei figli minori.

(Omissis)

detta fede e poter effettuare, da adulto, una scelta

Fatto

consapevole. Ha ritenuto quindi il Tribunale che

1. Con sentenza n. 2028/2014 il Tribunale di

stante il contrasto fra i genitori spetta al giudican-

Como ha pronunciato la separazione personale

te la decisione ex art. 337-ter c.c. e ha pertanto

dei coniugi L.E. e M.V., affidato il figlio minore

affermato che, “pur astenendosi da ogni intento

G. [nato il (Omissis)] congiuntamente ai due ge-

di discriminazione per ragioni religiose deve ri-

nitori, con le precisazioni di cui in motivazione

tenersi che la scelta paterna sia maggiormente

circa la sua educazione religiosa, ha fissato la sua

rispondente all’interesse del piccolo, consenten-

residenza presso la madre e disciplinato il diritto di visita del padre cui ha imposto un assegno mensile di 600 Euro a titolo di contributo al mantenimento del figlio, oltre al 50% delle spese di istruzione, cura ed educazione. Ha compensato interamente le spese processuali. 2. Ha rilevato il Tribunale che tal sig. M. ha espresso decisamente il proprio dissenso a che

dogli più agevolmente la integrazione nel tessuto sociale e culturale del contesto di appartenenza, il quale, benché notoriamente secolarizzato, resta pur sempre di matrice cattolica (basti pensare al patrimonio artistico italiano ispirato alla dimensione religiosa cattolica, alla aggregazione giovanile suscitata a livello parrocchiale con iniziative

il bambino (che è stato battezzato nella Chiesa

per bambini e adolescenti legate al catechismo,

Cattolica) riceva dalla madre l’istruzione religiosa

oratorio, grest, ecc.); pur con il dovuto rispetto

propria della dottrina geovista e partecipi con lei

per le credenze della L. non può sottacersi la na-

alle relative cerimonie presso la Sala del Regno

tura settaria della comunità religiosa cui ella ade-

frequentata dalla L. preferendo che egli esperisca

risce, chiusa in sé stessa e ostile al confronto con

fino alla Cresima il percorso di educazione reli-

qualsivoglia altro interlocutore, essendo legata a

giosa e introduzione ai sacramenti della Chiesa

una interpretazione formalistica e parziaria di ta-

Cattolica, sì da poter conoscere i fondamenti di

luni testi vetero-testamentari, che non ha ispirato

235


Giurisprudenza

(almeno in Italia) alcun prodotto letterario o arti-

la cessazione della convivenza fra i genitori e in

stico avente dignità culturale.

seguito alla adesione della L. alla confessione dei

Ovviamente il padre, coerentemente con la

testimoni di Geova. M.G. aveva ricevuto esclu-

sua dichiarata intenzione anche con sacrificio

sivamente una educazione religiosa cattolica ed

personale dovrà accompagnare il bambino nel

era stato di comune accordo battezzato secondo

percorso di educazione religiosa da lui prescelto,

il rito cattolico. Ha giustificato la propria oppo-

favorendone l’inserimento nella comunità parroc-

sizione alla trasmissione degli insegnamenti del-

chiale di appartenenza e la frequenza alla pratica

la dottrina geovista e alla frequentazione delle

religiosa via via richiestagli anche in giornate e

cerimonie religiose presso la Sala del Tempio

orari diversi dal protocollo di visita, se neces-

ribadendo il proprio convincimento in ordine

sario; mentre correlativamente la madre dovrà

all’inopportunità di esporre il bambino a inse-

responsabilmente astenersi, onde non destabiliz-

gnamenti contrastanti e confusivi.

zare il bambino, dall’impartirgli ulteriori insegna-

5. La Corte di appello di Milano, con senten-

menti della dottrina geovista e dal condurlo alle

za n. 3332/2016 ha respinto l’impugnazione della

relative cerimonie”.

sig.ra L. e ha compensato interamente le spe-

3. Ha proposto appello la sig.ra L.E. censu-

se processuali anche per il giudizio di appello.

rando unicamente le prescrizioni in ordine all’e-

La Corte di appello ha escluso la dedotta nul-

ducazione religiosa del figlio di cui ha chiesto la

lità per vizio di ultrapetizione essendo emerso

sospensione e la revoca. Ha affermato l’appellan-

chiaramente un conflitto genitoriale nel corso del

te che l’ordine impartitole contrasta con i principi

giudizio. Ha ritenuto accertato che G. sia stato

della Costituzione italiana e con quello della lai-

battezzato secondo il rito cattolico e che la scelta

cità dello Stato e, in mancanza di individuazione

comune dei genitori, sino all’adesione, successiva

dell’effettivo, concreto e grave pregiudizio che

alla fine della convivenza, della L. alla dottrina

dall’insegnamento della dottrina da lei professa-

geovista, sia stata quella di inserire il figlio nel-

ta deriverebbe al minore, anche con le norme

la comunità della Chiesa Cattolica. Ha ritenuto

del diritto comunitario e internazionale. Secondo

la Corte territoriale che sia rispondente all’inte-

l’appellante la sentenza è del tutto carente con ri-

resse del minore mantenere tale iniziale libera e

guardo alla motivazione del provvedimento inibi-

comune scelta dei genitori consentendo a G. di

torio, non individuando alcun pregiudizio che il

completare la formazione religiosa cattolica sino

minore subirebbe per effetto degli insegnamenti

al sacramento della Cresima (e cioè sino ai 12-13

religiosi materni; essa inoltre si pone in contrasto

anni), senza ricevere altri insegnamenti contra-

con il principio di bi-genitorialità e con il diritto

stanti con quelli della religione cattolica e senza

della madre di trasmettere i propri valori così da

frequentare contemporaneamente le adunanze

consentire al figlio, una volta raggiunta la neces-

della Sala del Regno.

saria maturità, di effettuare una scelta consapevo-

6. Ricorre per cassazione L.E. affidandosi a tre

le in merito al credo religioso. Infine la sentenza

motivi di impugnazione illustrati da memoria di-

è nulla in quanto affetta dal vizio di ultrapetizio-

fensiva.

ne perché basata sulla necessità di dirimere un conflitto fra i genitori, in realtà insussistente.

7. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione del preminente interesse del minore

4. Il sig. M.V. si è costituito contestando la

ad una relazione significativa con entrambi i ge-

fondatezza dell’appello e ne ha chiesto il riget-

nitori e a ricevere la loro eredità culturale e re-

to. Ha rilevato che il conflitto era insorto dopo

ligiosa, in assenza di danni per il minore e dei

236


Valerio Brizzolari

presupposti legali per proibire alla mamma di G. di coinvolgerlo nelle sue attività religiose di Testimone di Geova. 8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione della libertà religiosa, del principio di non discriminazione e di laicità; violazione degli artt. 3, 7, 8, 9, 10, 19 e 101 Cost., degli artt. 8, 9, 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. 9. Con il terzo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e cioè che la sig. ra L. è sempre stata Cristiana Testimone di Geova sin da prima il matrimonio e ha trasmesso i suoi valori religiosi al figlio sin dalla nascita. 10. Non svolge difese M.V. 11. Con requisitoria scritta, depositata in data 11 luglio 2018, il Pubblico Ministero ha chiesto l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso sulla base delle seguenti motivazioni che qui si riportano: “in materia di famiglia fondata sul matrimonio, vige il principio costituzionale secondo cui il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare” (ex art. 29 Cost., comma 2). Prima ancora, è tra gli stessi diritti inviolabili dell’uomo che si annovera il diritto di libertà religiosa, garantito dalla Costituzione sia come singolo sia nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.), in ciò includendosi la famiglia, quale primo nucleo di naturale aggregazione sociale dell’uomo (ad es. C. Cost. n. 138/2010). Tale diritto involabile trova anche una sua duplice declinazione da un lato nell’affermazione del principio di eguaglianza, là dove espressamente garantito (dall’art. 3 Cost.) anche sotto il profilo religioso, stante la pari dignità davanti alla legge di tutte le confessioni religiose (art. 8 Cost., comma 1), dall’altro nella specifica affermazione della libertà religiosa (“tutti hanno diritto di professare

liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto”, cfr. art. 19 Cost.). Tale diritto di libertà del singolo cui corrisponde un diritto-dovere di ciascun genitore di istruire ed educare i figli (art. 30 Cost., comma 1) può incontrare un limite proprio nel pari diritto dell’altro genitore che abbia un credo religioso diverso, e, quindi, in un possibile contrasto tra i genitori stessi sul punto, limite che, là dove sfoci in un insanabile stallo, appare superabile alla luce delle specifiche disposizioni di legge, adottate sulla base della previsione costituzionale secondo cui si prevede che “nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti” (cfr. art. 30 Cost., comma 2) e, comunque, in modo da assicurare adeguata protezione dell’interesse del minore (cfr. art. 31 Cost., comma 2). Ed è in forza di tali generali disposizioni costituzionali che è prevista dall’art. 316 c.c. e, in caso di separazione, dall’art. 337-ter c.c., la soluzione, affidata al giudice, del contrasto insorto tra i genitori su questioni di particolare importanza (qual è quella appunto relativa all’educazione religiosa del figlio minore), soluzione che, per legge, va adottata “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” dei figli ad una crescita sana ed equilibrata (cfr. art. 337-ter c.c.), “sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l’adozione di provvedimenti” limitativi di pratiche o incontri propri di una determinata confessione religiosa, come tali “contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo” (Cass. n. 12954/2018). Detti principi di eguaglianza e di libertà di religione sono garantiti anche, come invocato dalla ricorrente, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (artt. 14, 8 e 9), principi di libertà

237


Giurisprudenza

che, secondo la stessa CEDU, possono essere li-

ne dell’interesse del minore, di adottare il prov-

mitati dalla legge da misure “necessarie, in una

vedimento inibitorio di cui trattasi (e cioè di

società democratica, per la sicurezza pubblica, la

inibire alla madre di “impartire al figlio (prenden-

protezione dell’ordine, della salute o della mora-

do ella stessa l’iniziativa) insegnamenti contra-

le pubblica o la protezione dei diritti e delle libe-

stanti con quelli della religione cattolicà”) sulla

rà altrui” (si veda la sentenza della Corte EDU,

base di mere affermazioni, non riscontrate da

del 12 febbraio 2013, Vojnity v. Hungary, secondo

adeguati elementi: la Corte di appello motiva in-

cui, in materia di contrasto tra genitori sull’educa-

fatti la decisione “al fine di non creare confusione

zione religiosa da impartire a figli minori, si è ri-

nel minore, proponendogli contemporaneamen-

tenuto non accettabile un “differente trattamento,

te insegnamenti differenti, con il rischio di diso-

senza un’obiettiva e ragionevole giustificazione”

rientarlo, e al contempo di non ‘appesantirlo’ ec-

ovvero basato “sulla sola differenza di religione”).

cessivamente sotto il profilo della formazione

Orbene, la Corte di appello di Milano (pure supe-

religiosa, con la contemporanea frequenza sia

rando la motivazione del giudice di primo grado,

del catechismo, sia delle riunioni dei Testimoni di

che era fondata anche su un’inaccettabile valuta-

Geova”. Anche in disparte il fatto che la asserita

zione di disvalore della religione dei Testimoni di

“confusione” o il “rischio di disorientamento” o di

Geova, è incorsa ugualmente in una falsa appli-

“appesantimento” non individuano, in sè, una

cazione dei richiamati principi di eguaglianza e

scelta di campo tra le due professioni religiose,

di libertà religiosa, dando rilievo preminente alla

se non in forza di un “pregiudizio” nei confronti

originaria scelta di entrambi i genitori di battez-

della religione geovista rispetto a quella cattolica,

zare il proprio figlio. Invero la libertà di religione,

la ricorrente fondatamente sottolinea con il pri-

quale diritto inviolabile dell’uomo, implica anche

mo motivo che “non vi è nessuna prova che le

la piena libertà di mutare le proprie credenze,

pratiche religiose della L. siano pregiudizievoli” e

senza che pregresse determinazioni o convinzio-

con il secondo motivo che “i giudici di merito

ni possano costituire un pregiudizio o un limite

non hanno ritenuto necessario né disporre l’audi-

all’esercizio di tale libertà. Ciò è del resto esplici-

zione del minore né richiedere l’ausilio di una

tato dall’art. 9, primo paragrafo, della CEDU al-

consulenza tecnica d’ufficio che era stata addirit-

lorché si stabilisce che “ogni persona ha diritto

tura richiesta dal M.”. In effetti, il procedimento in

alla libertà di pensiero, di coscienza e di religio-

questione è stato instaurato in primo grado in

ne; questo diritto importa la libertà di cambiare

data 5/10/2011 e quindi anteriormente al 1/1/2013

religione o pensiero (...)”. La valutazione dunque

data di entrata in vigore della legge. n. 219 del

della Corte di appello di ancorare la propria de-

2012, abrogativa dell’art. 155-sexies c.c. Dalla pre-

cisione ad una scelta pregressa (anche) della ma-

detta nuova disciplina normativa l’ascolto del mi-

dre (quella cioè di acconsentire al battesimo),

nore è previsto dall’art. 315-bis c.c., comma 3, e,

senza considerare l’attualità delle determinazioni

dopo l’entrata in vigore (7 febbraio 2014) del D.

religiose della stessa, non sembra rispettosa dei

Lgs. n. 154 del 2013, anche dall’art. 336-bis e da-

richiamati principi di libertà. Inoltre la Corte di

gli 337-ter e 337-octies c.c. Peraltro l’obbligatorie-

appello è incorsa in una seconda falsa applica-

tà dell’audizione del minore anche nel regime

zione di legge (segnatamente dell’art. 315-bis

giuridico previgente era stata sancita dal fermo

c.c., comma 3, ed anche dell’art. 336-bis e del

orientamento della Corte (tra le più recenti Cass.

combinato disposto di cui agli 337-ter e 337-oc-

11687 del 2013, ribadito da Cass. n. 6129/2015).

ties c.c.) allorquando ha ritenuto, nella valutazio-

In particolare è stato affermato (cfr. Cass. 19202

238


Valerio Brizzolari

del 2014, richiamata da cit. Cass. n. 6129/2015)

non dando alcuna contezza di tale mancanza. In

che l’audizione è “una caratteristica strutturale

effetti, nei più recenti precedenti della Corte di

del procedimento, diretta ad accertare le circo-

cassazione, che hanno affrontato analoghe que-

stanze rilevanti al fine di determinare quale sia

stioni di contrasto nell’educazione religiosa di fi-

l’interesse del minore ed a raccoglierne opinioni

gli minori tra genitori di differente credo religioso

e bisogni in merito alla vicenda in cui è coinvol-

(cattolico e geovista), i giudici di merito avevano

to”. L’iniziale qualificazione giuridica dell’ascolto

sempre proceduto a c.t.u. sul minore (anche di

come un elemento necessario dell’istruzione pro-

anni 4/5, Cass. n. 9546/2012, nonché Cass. n.

batoria nei procedimenti riguardanti i minori è

12954/2018) ovvero acquisendo una relazione da

stata ritenuta del tutto riduttiva al fine di com-

parte dei servizi sociali del Comune (Cass. n.

prendere la natura e la funzione dell’adempimen-

24683/2013). In carenza di tali elementi il ricorso

to. L’ascolto costituisce una modalità, tra le più

appare fondato anche sotto i menzionati profili. Diritto

rilevanti, di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere

12. I tre motivi di ricorso devono essere esa-

la propria opinione e le proprie opzioni nei pro-

minati congiuntamente per la loro evidente con-

cedimenti che lo riguardano, costituendo tale pe-

nessione.

culiare forma di partecipazione del minore alle

13. La Corte ritiene la requisitoria del Procu-

decisioni che lo investono uno degli strumenti di

ratore Generale pienamente condivisibile e coe-

maggiore incisività al fine del conseguimento

rente alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass.

dell’interesse del medesimo, tanto che anche nel-

civ., sezione I, n. 12594 del 24 maggio 2018, n.

la vigenza dell’art. 155-sexies c.c., l’audizione do-

9546 del 12 giugno 2012, n. 24683 del 4 novem-

veva essere disposta in caso di minore dodicenne

bre 2013) secondo, cui in tema di affidamento dei

ovvero anche se di età inferiore ove ritenuto ca-

figli, il criterio fondamentale cui deve attenersi

pace di discernimento (Cass. S.U. 22238 del 2009;

il giudice nel fissare le relative modalità, in ca-

5547 del 2013, 11687 del 2013). L’importanza

so di conflitto genitoriale, è quello del superiore

dell’obbligo di ascolto del minore infradodicenne

interesse del minore, stante il suo diritto premi-

capace di discernimento – direttamente da parte

nente ad una crescita sana ed equilibrata, sicché

del giudice ovvero, su mandato di questi, di un

il perseguimento di tale obiettivo può compor-

consulente o del personale dei servizi sociali –, è

tare anche l’adozione di provvedimenti, relativi

tale che, secondo Cass. n. 19327 del 2015 (pro-

all’educazione religiosa, contenitivi o restrittivi

prio in tema di separazione personale), esso “co-

dei diritti individuali di libertà dei genitori, ove la

stituisce adempimento previsto a pena di nullità

loro esplicazione determinerebbe conseguenze

ove si assumano provvedimenti che lo riguardi-

pregiudizievoli per il figlio, compromettendone

no, salvo che il giudice non ritenga, con specifica

la salute psico-fisica o lo sviluppo.

e circostanziata motivazione, l’esame manifesta-

14. Tuttavia la possibilità di adottare simili

mente superfluo o in contrasto con l’interesse del

provvedimenti restrittivi, in presenza di una si-

minore” (cfr. da ultimo anche Cass. n. 12957/2018).

tuazione di conflitto fra i due genitori che inten-

Orbene, al tempo del giudizio di appello conclu-

dano entrambi trasmettere la propria educazione

sosi nel 2016 il minore aveva già compiuto sette

religiosa e non siano in grado di rendere com-

anni, ma la Corte di appello (a ciò obbligata,

patibile il diverso apporto educativo derivante

Cass. n. 15365/2015) non ha proceduto ad alcuna

dall’adesione a un diverso credo religioso, non

audizione, nè direttamente, né attraverso esperti,

può essere disposta dal giudice sulla base di una

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Giurisprudenza

astratta valutazione delle religioni cui aderiscono i genitori e che esprima un giudizio di valore precluso all’autorità giudiziaria dal rilievo costituzionale e convenzionale Europeo del principio di libertà religiosa. Né tale possibilità può basarsi sulla considerazione della adesione successiva di uno dei due genitori a una religione diversa rispetto a quella che precedentemente era seguita e praticata da entrambi e che, originariamente, è stata trasmessa al figlio o ai figli come religione comune della famiglia perchè tale criterio astratto lederebbe il mantenimento di un rapporto equilibrato e paritario con entrambi i genitori rimanendo insensibile alle scelte di vita in divenire dei genitori. Ne deriva che la possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo è strettamente connessa e può dipendere esclusivamente dall’accertamento

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in concreto di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo e tale accertamento non può che basarsi sull’osservazione e sull’ascolto del minore in quanto solo attraverso di esse tale accertamento può essere compiuto. 15. Il ricorso va pertanto accolto affinché la Corte di appello rivaluti la controversia alla luce dei principi di diritto sopra enunciati. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone omettersi qualsiasi riferimento alle generalità e agli altri elementi identificativi delle parti nella pubblicazione della presente sentenza. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 settembre 2018.


Valerio Brizzolari

L’educazione religiosa del figlio tra libertà personale del genitore e interesse del minore* Sommario: 1. Una premessa: l’educazione religiosa del figlio nella società mul-

ticulturale. – 2. L’abbandono dei principi di “maggioranza”, “primazia” e “continuità” della religione (cattolica) nella determinazione del genitore affidatario. – 3. Il pregiudizio per il minore quale (unico) fattore determinate. – 4. Due possibili alternative. Dall’autodeterminazione del minore agli accordi sull’educazione dei figli.

The Italian Supreme Court returns to pronounce on child’s religious education in case of crisis between the parents. In the present case, the mother wants to educate her child to the Jehovah’s Witnesses religion, whereas the father prefers to bring him to catholic catechism. The courts of first and second instances decide that the father’s choice is more suitable for the boy, because the Jehovah’s Witnesses would reduce his chances to interact with other children of the same age, being that religion excessively sectarian. The mother resorts to the Supreme Court, challenging the Court of Appeals’ judgement on the basis that her freedom of religion and of child’s education have been unduly limited. The Court admits the complaint and states that the judge can limit one’s freedom of religion only after having concretely verified that the parent’s choice is prejudicial for the boy.

1. Una premessa: l’educazione religiosa del figlio nella società multiculturale. La Cassazione torna a pronunciarsi sulla questione relativa all’educazione religiosa della prole nel caso di separazione personale dei coniugi. La fattispecie che ha dato origine al giudizio rappresenta un caso piuttosto frequente nella pratica. Due coniugi si separano e il figlio minore viene collocato presso la madre, che professa una religione diversa da quella del padre. Nell’ambito del giudizio di separazione, emerge in chiave conflittuale la differenza di credo tra i coniugi. Il tribunale, in applicazione della regola di cui all’art.

*

Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

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Giurisprudenza

337-ter c.c., impone alla madre, benché affidataria, di astenersi dall’impartire al figlio gli insegnamenti della religione geovista, poiché “destabilizzanti” e ritiene, invece, “maggiormente rispondente all’interesse del piccolo” la scelta paterna di indirizzarlo e introdurlo ai sacramenti della Chiesa cattolica. Tralasciando per un momento le motivazioni che hanno condotto il giudice del primo grado a inibire alla madre quanto appena detto – motivazioni sulle quali si tornerà ampiamente in seguito –, due aspetti in particolare rendono necessario l’approfondimento della tematica. In primo luogo, la sentenza della Cassazione conclude un procedimento che ha visto la madre soccombente nei primi due gradi di giudizio. Tale circostanza, di per sé, potrebbe apparire neutrale e ininfluente ai fini dell’indagine, ma essa assume invece rilievo ove si consideri che le motivazioni addotte dai giudici del merito, poi “smentite” nel giudizio di legittimità, si pongono in contrasto con l’insegnamento, oramai consolidato da molti anni, della Suprema Corte in tema di educazione religiosa dei minori1. Non è dato sapere se il rigetto delle istanze materne è frutto di un consapevole rifiuto di seguire gli insegnamenti della Cassazione, ma rimane comunque significativo il fatto che il Supremo Collegio sia stato chiamato a ribadire principi i quali, almeno nella giurisprudenza di legittimità, sembrano aver assunto contorni assai ben delineati, tali da poter essere definiti pacifici. In secondo luogo, la tematica dell’educazione religiosa assume sempre maggiore rilevanza nella società attuale, più aperta ed esposta ai fenomeni migratori che, inevitabilmente, apportano un fattore di diversità e novità negli orientamenti della fede e, conseguentemente, ulteriori profili di conflittualità tra i genitori nei momenti di crisi della coppia. Con il passare del tempo, si assiste, da un lato, a un progressivo abbandono o allontanamento dalla fede cattolica – è nota a tutti la “crisi” che interessa la Chiesa e la sempre minore presenza dei fedeli nei luoghi di culto – e, dall’altro, alla lenta ma incessante crescita dei movimenti religiosi “marginali”, i cui valori e modelli di comportamento sono difformi da quelli della tradizione cristiana2. Una conferma di tali mutamenti si può rinvenire nei di repertori di giurisprudenza, considerando il contenzioso in materia di educazione religiosa della prole nelle sue diverse varie fasi.

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Ex multis, si segnala Cass., 19 luglio 2016, n. 14728, in Foro it., Rep. 2016, voce Responsabilità genitoriale, n. 48 secondo cui il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice della separazione è costituito dall’esclusivo interesse morale a materiale della prole, previsto dall’art. 337-quater c.c., il quale, imponendo di privilegiare la soluzione che appare più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore, richiede un giudizio prognostico circa la capacità del singolo genitore di crescere ed educare il figlio, da esprimersi sulla base di elementi concreti attinenti alle modalità con cui ciascuno in passato ha svolto il proprio ruolo, con particolare riguardo alla capacità di relazione affettiva, nonché mediante l’apprezzamento della personalità del genitore, sicché la scelta spirituale di uno dei genitori di aderire a una confessione religiosa diversa da quella cattolica non può costituire ragione sufficiente a giustificare l’affidamento esclusivo dei minori all’altro genitore, in presenza di emergenze probatorie per le quali entrambi i coniugi risultano legati ai figli e capaci di accudirli nella quotidianità. Ne dava giustamente atto, già all’inizio degli anni novanta, S. Ferrari, Comportamenti «eterodossi» e libertà religiosa. I movimenti religiosi marginali nell’esperienza giuridica più recente, in Foro it., 1991, I, 271.

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Inizialmente, si rinvenivano, nell’immediato dopoguerra, poche e isolate pronunce sul contrasto tra il genitore ateo e quello credente, risolto in favore del secondo3. Successivamente, è stata superata la fase iniziale di maggior favore per il genitore osservante (cattolico) rispetto a quello disinteressato o persino non credente, quando, verso la fine del secolo scorso, il concetto di libertà religiosa si è definitivamente sganciato dall’“eredità confessionista” della legislazione pattizia e si sono affacciate le tematiche (e le conseguenti problematiche) del pluralismo e della società multirazziale4. Così, il conflitto ha riguardato non più (solo) atei e credenti, bensì soggetti professanti fedi diverse, in particolare cattolici e seguaci del geovismo, e ha visto in non poche occasioni soccombere questi ultimi5. Infine, si giunge ai casi di sottrazione internazionale del minore, sovente determinata da fattori religiosi, laddove il padre o la madre straniero non vuole che la progenie cresca in un determinato stato, per evitare che ne assuma i costumi6. In questo articolato panorama, il giudice è chiamato sempre più frequentemente a pronunciarsi sulla collocazione e sull’affidamento del minore all’esito di un giudizio che coinvolge contrapposti interessi, tutti di rilevanza costituzionale: da un lato, quello dell’individuo a professare la fede preferita e le relative pratiche o riti; dall’altro, quello del figlio a non subire cambiamenti e stravolgimenti repentini dell’esistenza che ne potrebbero compromettere la crescita e l’educazione. La sentenza in esame – mediante una ampia e condivisibile motivazione –, correttamente rileva la compressione della libertà individuale di cui all’art. 19 Cost. operata da quei provvedimenti giudiziali che inibiscono all’individuo determinate pratiche religiose, che

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Si tratta di alcune pronunce piuttosto remote e, sia consentita l’osservazione, probabilmente caratterizzate e motivate da atteggiamenti di favore nei confronti del cattolicesimo, essendo questo il credo dominante nella società italiana all’incirca alla metà del secolo scorso. Il riferimento è a Trib. Oristano, 22 luglio 1960, in Foro it., 1961, I, 365 ss., e Trib. Rovigo, 27 settembre 1952, in Foro it., 1953, IV, 1, che preferirono la maggiore idoneità del genitore cattolico e religioso rispetto al non credente o a quello di fede mutevole, vale a dire che aveva modificato la propria confessione nel corso del tempo. Infine, non si può non richiamare il noto caso dell’“ateo perfetto”, che prende il nome da un’espressione utilizzata in Trib. Ferrara, 31 agosto 1948, in Giur. It., 1948, I, 2, 529. Si trattava di un figlio conteso tra il padre non credente e la madre cattolica, che fu affidato a quest’ultima – si è detto forse in maniera un po’ superficiale – per il solo fatto che il genitore non professava alcuna fede. In realtà, a ben vedere, la fattispecie era più articolata e dall’attenta lettura del provvedimento emerge che ben altri fattori – in primis i comportamenti violenti e diseducativi del padre – avevano determinato il giudice ferrarese a preferire la madre. Ad ogni modo, questa pronuncia sollevò un dibattito di altissimo livello tra Stolfi, Satta, Carnelutti, S. Lener e Orestano, le cui contrapposte opinioni si possono leggere in Foro it., 1949, IV, 49 ss. L’espressione è di Cardia, voce Religione (libertà di), in Enc. dir., agg. II, Milano, 1998, 914 ss., il quale ripercorre elegantemente l’evoluzione della libertà di culto. Da ultimo, per una panoramica sull’impatto che il multiculturalismo ha avuto sul diritto di famiglia, si segnala Di Masi, Famiglie, pluralismo e laicità. Processi di secolarizzazione nel diritto di famiglia, in questa Rivista, 2018, 243 ss. Si ricorda, ad esempio, Trib. Massa, 18 settembre 1986, in Foro it., Rep. 1987, voce Separazione di coniugi, n. 44, secondo cui ai minori deve essere impartita la religione cattolica, sebbene abbiano già seguìto, prima della separazione, gli insegnamenti dei Testimoni di Geova, poiché i) ciò risponde al comune sentire della maggioranza della popolazione, ii) per il particolare riconoscimento ad essa tributato dalla Repubblica attraverso l’art. 9 l. 25 marzo 1985 n. 121 (vale a dire la legge di ratifica delle modifiche al Concordato del 1929), iii) sia perché frequentemente l’ora di religione a scuola può consentire ai minori, che già si sono avvicinati ad altro credo confessionale, utili raffronti e stimolanti contraddittori. Dell’argomento si è occupata anche Corte eur. dir. uomo, 06 luglio 2010, causa Neulinger c. Gov. Svizzera, in Foro it., Rep. 2011, voce Diritti politici e civili, n. 184, secondo cui rappresenta una violazione dell’art. 8 CEDU l’esecuzione della decisione del Tribunale federale elvetico la quale, in forza della convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ordina il rientro in Israele di un minore da dove la madre, titolare del diritto di affidamento, lo aveva allontanato, a causa della situazione familiare intollerabile determinatasi dopo l’adesione del padre al movimento religioso ultraortodosso ebraico Loubavitch.

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possono essere giustificati esclusivamente dalle conseguenze, da accertarsi in concreto, che le medesime potrebbero provocare al figlio. La scelta soggettiva di aderire a una confessione, dunque, inevitabilmente si riverbera sugli altri componenti della famiglia. Oltre all’ipotesi qui in analisi del minore, non si dimentichi che ampia attenzione è stata dedicata anche a quei comportamenti riconducibili a pratiche religiose che conducono all’intollerabilità della convivenza e alla separazione personale dei coniugi. Senza voler richiamare i casi più singolari e curiosi di atteggiamenti di esasperata religiosità ascrivibili a possessione demoniaca7, su questo profilo è oramai pacifico che il mutamento di fede e la partecipazione alle pratiche del nuovo culto si configura come esercizio dei diritti garantiti dall’art. 19 Cost. e non può, di per sé solo, considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che l’adesione al nuovo credo non si traduca in comportamenti incompatibili con i doveri di coniuge di cui agli artt. 143 e 147 c.c., tali da determinare una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per l’interesse altrui8. Ad ogni modo, si ritiene che siano due i punti di partenza da cui la riflessione sul tema in analisi dovrebbe prendere avvio: in primo luogo, la libertà dei genitori di impartire l’educazione religiosa conforme “alle proprie convinzioni”, come riconosciuto da plurime fonti internazionali9, libertà che incontra unicamente i limiti della contrarietà al buon costume della fede religiosa (art. 19 Cost.) e delle inclinazioni del minore (art. 315-bis c.c.); in secondo luogo, l’assoluta neutralità, almeno in linea di principio, degli orientamenti educativi del genitore quando trattasi di stabilire l’affidamento del figlio, a meno che, si intende, detti orientamenti non rilevino (con risvolti pregiudizievoli) ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c.10. Inquadrata nei termini che precedono la questione, occorre ora soffermarsi brevemente sui principi contenuti nelle sentenze di merito che la Suprema Corte, nel provvedimento in esame, ha ritenuto opportuno riformare.

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Un caso è stato deciso da Trib. Milano, 18 gennaio 2017, in Giur. it., 2017, 1565, con interessanti considerazioni di Caterina, L’addebito della separazione in caso di asserita possessione diabolica, secondo cui i comportamenti compulsivi ascritti a possessione demoniaca, se ritenuti genuinamente indipendenti dalla volontà di chi li pone in essere, non sono imputabili al coniuge e dunque non giustificano l’addebito della separazione e, allo stesso modo, non giustificano l’addebito gli atteggiamenti di esasperata religiosità attraverso i quali il soggetto reagisce ai fenomeni di possessione. 8 Tra le tante, Cass., 19 luglio 2016, n. 14728, cit., che ha escluso l’addebitabilità della separazione al marito in ragione dell’adesione di quest’ultimo alla confessione religiosa dei Testimoni di Geova, non potendo attribuirsi rilievo all’impegno assunto in sede di celebrazione del matrimonio religioso di conformare l’indirizzo della vita familiare ed educare i figli secondo i dettami della religione cattolica, estraneo alla disciplina civilistica del vincolo. 9 L’espressione si può leggere all’art. 18, n. 4, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici sottoscritto a New York nel dicembre del 1966 e ratificato dall’Italia con la l. n. 881 del 1977. Di analogo contenuto è l’art. 5, n. 2, della Dichiarazione ONU sulla intolleranza religiosa datata 7 novembre 1981. 10 In questi termini, Oberto, Modelli educativi ideologici, culturali e religiosi rispetto al minore di genitori in crisi (Parte I), in Fam e dir., 2010, 515.

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2. L’abbandono dei principi di “maggioranza”, “primazia” e “continuità” della religione (cattolica) nella determinazione del genitore affidatario.

Come anticipato, il caso in esame ha riguardato il conflitto tra la madre che avrebbe voluto avviare il figlio alla religione dei Testimoni di Geova e il padre che, invece, avrebbe preferito un’educazione cattolica. Nel giudizio di primo grado, il tribunale ordina alla genitrice di astenersi dall’impartire insegnamenti della dottrina geovista e dal condurre il minore ai relativi riti. Le valutazioni operate dal giudice, in linea di principio, non paiono censurabili, se corrispondono all’intento di evitare al figlio gli effetti “dannosi” che il credo religioso potrebbe provocargli11. Tuttavia, se si guarda al percorso argomentativo seguìto – alcuni passaggi della motivazione sono riportati nel provvedimento in analisi – sorgono numerosi dubbi sulla correttezza dell’inibitoria. Afferma difatti il tribunale che sarebbe “maggiormente rispondente all’interesse del piccolo […] la integrazione nel tessuto sociale e culturale del contesto di appartenenza, il quale […] resta pur sempre di matrice cattolica (basti pensare al patrimonio artistico italiano ispirato alla dimensione religiosa cattolica, alla aggregazione giovanile suscitata a livello parrocchiale con iniziative per bambini e adolescenti legate al catechismo, oratorio, grest, ecc.)”, non potendo “sottacersi la natura settaria della comunità religiosa cui ella aderisce, chiusa in sé stessa e ostile al confronto con qualsivoglia altro interlocutore, essendo legata a una interpretazione formalistica e parziaria di taluni testi vetero-testamentari, che non ha ispirato (almeno in Italia) alcun prodotto letterario o artistico avente dignità culturale”. In questi passaggi sono condensati due principi cui parte della giurisprudenza – prevalentemente di merito – ha fatto ricorso per dirimere i contrasti sull’educazione religiosa: si tratta i) del principio del “conformismo” alla “maggioranza”, vale a dire la “preferenza” per il genitore che garantisce l’educazione, appunto, conforme ai dettami della confessione più diffusa in Italia, e quello, per dir così, ii) della “primazia” di una religione rispetto alle altre, che implica giudizi di valore sul contenuto dottrinale (e nella specie persino artisticoletterario) di queste ultime12.

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Così come riconosciuto, ad esempio, da Cass., 12 giugno 2012, n. 9546, in Foro it., 2012, I, 3093, secondo cui il giudice, nel disporre l’affido condiviso dei figli minori, può prevedere – nell’interesse di questi – specifiche prescrizioni e divieti a carico del genitore collocatario qualora la sua scelta religiosa si rilevi dannosa per l’equilibrio e la salute psichica del bambino. 12 Si possono annoverare in questa corrente, oltre a Trib. Massa, 18 settembre 1986, cit., anche Trib. Venezia, 10 maggio 1990, Trib. Palermo, 12 febbraio 1990, entrambe in Foro it., 1991, I, 271, con nota critica di S. Ferrari, e Trib. Prato, 13 febbraio 2009, in Foro it., 2009, I, 1222, anch’essa con nota critica di Ger. Casaburi. Sembra condividere questa impostazione – sebbene il principio ricavabile dalla massima sia più sfumato rispetto ai precedenti appena citati – Trib. Novara, 25 luglio 2016, in Foro it., rep. 2017, voce Separazione di coniugi, n. 73. Nella giurisprudenza di legittimità, invece, si segnala Cass., 4 novembre 2013, n. 24638, in Dir. famiglia, 2014, 142. È opportuno sottolineare che tutti questi casi hanno riguardato soggetti che si sono convertiti ai Testimoni di Geova. La quasi totalità della casistica in tema di educazione religiosa dei figli riguarda proprio il geovismo e le molteplici pronunce che hanno inibito al genitore seguace di tale confessione di trasmetterne gli insegnamenti ai figli hanno indotto alcuni Autori a ritenere (o quantomeno a interrogarsi sull’esistenza di) un vero e proprio pregiudizio da parte dei giudici (cfr., ad esempio, Dogliotti,

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È però possibile constatare che l’indirizzo maggioritario è di tutt’altro avviso. Si rinvengono difatti numerosi precedenti – nazionali e internazionali – in cui il giudicante non ha attribuito rilievo alcuno all’orientamento religioso del coniuge affidatario, almeno fintantoché egli non aderisce a culti contrari all’ordine pubblico o i cui insegnamenti pregiudicano il minore13. Se quanto detto sub ii) può essere ritenuto, senza troppe difficoltà, un giudizio che non compete al magistrato e che dunque non deve (e non può) rilevare ai fini dell’affidamento, più complicato si presenta l’argomento sub i), allorquando l’avviamento del figlio a una confessione riduce i suoi rapporti sociali e comprime le possibilità d’interazione e confronto con i coetanei, in quanto è condotto a riti o incontri diversi da quelli comuni (alla maggioranza di) coloro che appartengono al medesimo contesto sociale. Si è detto, a questo proposito, che potrebbe corrispondere all’interesse del minore fargli professare il credo “più diffuso” tra le persone che lo circondano, proprio per non isolarlo14. Si può convenire con questa affermazione, ma con le precisazioni che seguono. In primo luogo, non si deve cadere nell’automatica identificazione del credo “più diffuso” con quello cattolico, poiché, trattandosi della vita relazionale del minore, occorre avere riguardo al ristretto ambito nel quale egli si trova a vivere, che potrebbe essere anche quello di una confessione diversa, laddove sia stato già introdotto a quest’ultima e perciò si trovi già inserito nel relativo contesto. In altri termini, la “maggior diffusione” va ricercata naturalmente non a livello nazionale, bensì nello specifico ambiente che circonda l’affidando. Ad ogni modo, il criterio della “maggioranza”, in una società sempre più proiettata verso il multiculturalismo e nella quale gli stranieri iscritti alle scuole dell’obbligo sono pari se non, in quale caso, persino superiori agli italiani, andrà naturalmente ad esaurirsi. In secondo luogo, si può far ricorso al criterio in analisi solo a condizione che sia verificato – come peraltro affermato dalla sentenza in esame – l’effettivo pregiudizio che una data educazione religiosa potrebbe provocare, in concreto, al figlio, giacché la scelta di una confessione “minoritaria” non necessariamente determina un isolamento – e perciò un danno – al medesimo.

Educazione religiosa e criteri di affidamento dei figli nella separazione, in Fam. e dir., 1995, 351 ss., e Oberto, Modelli educativi ideologici, culturali e religiosi rispetto al minore di genitori in crisi (Parte I), cit., 520. Questa tendenza generale è rilevata anche da Ger. Casaburi, Pregiudizi senza orgoglio: ovvero l’affidamento del minore nella crisi familiare, in Fam. e dir., 2002, 443 ss.). 13 In ambito internazionale, si segnala Corte EDU, 12 febbraio 2013, Vojnity c. Gov. Ungheria, in Foro it., Rep. 2014, voce Diritti politici e civili, n. 226, secondo cui la negazione del diritto di visita accordato a un padre sulla considerazione che le convinzioni religiose del medesimo sono pregiudizievoli all’educazione del figlio costituisce una violazione dell’art. 8 CEDU, in combinato disposto con l’art. 14 quando non v’è prova del fatto che tali convinzioni hanno comportato pratiche pericolose o esposto il figlio a un danno fisico o psicologico (di analogo contenuto sono Corte EDU, 16 dicembre 2013, Martinez c. Gov. Francia, in Dir. famiglia, 2004, 649, e Corte EDU, 23 giugno 1993, Hoffmann c. Gov. Austria, in Foro it., Rep. 1994, voce Diritti politici e civili, n. 47). Si vedano, poi, oltre alla sentenza in analisi, Cass., 19 luglio 2016, n. 14728, cit., App. Brescia, 4 febbraio 2011, in Foro it., Rep. 2011, voce Separazione di coniugi, n. 158, Trib. Velletri, 20 dicembre 1999, in Foro it., Rep. 2000, voce Separazione di coniugi, n. 68, Trib. Taranto, 19 settembre 1990, in Dir. famiglia, 1991, 966. Questo orientamento è stato inaugurato da Cass., 23 agosto 1985, n. 4498, in Corr. giur., 1985, 1226, con nota di Batà. 14 Si esprimono in questi termini De Filippis e Gia. Casaburi, Separazione e divorzio nella dottrina e nella giurisprudenza, 3a ed., Padova, 2004, 209 ss.

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Formulate queste brevi osservazioni circa la motivazione del tribunale, è opportuno dar conto di quella della corte d’appello – anch’essa sintetizzata nella sentenza in analisi –, che consente di soffermarsi su un ulteriore profilo. Come si diceva, la richiesta materna di poter avviare il minore al geovismo è stata rigettata anche nel secondo grado di giudizio, sebbene con una motivazione diversa da quella del primo. La corte territoriale ha confermato l’inibitoria per la genitrice sul presupposto che costei aveva acconsentito al battesimo del minore e perciò risultava più opportuno proseguire il suo percorso religioso cattolico, anche al fine di evitare allo stesso gli insegnamenti “contrastanti” del credo dei Testimoni di Geova. La corte d’appello ha fatto applicazione del principio c.d. di continuità15, in virtù del quale si ritiene (astrattamente) pregiudizievole e traumatico per il minore il mutamento di confessione, sicché deve essere preferito il genitore in grado di garantire, appunto, continuità in questo aspetto. Tale principio non pare però aver ricevuto applicazione generalizzata e si rinvengono sul punto anche arresti di segno opposto16, tra i quali si può annoverare la pronuncia in analisi, almeno laddove rifiuta ogni valutazione aprioristica e svincolata dall’effettiva dimostrazione di un pregiudizio per la prole. Proprio quest’ultimo dovrebbe essere l’unico fattore determinante nella scelta del genitore affidatario, come si vedrà immediatamente.

3. Il pregiudizio per il minore quale (unico) fattore determinate. La Cassazione coglie l’opportunità per specificare alcuni suoi precedenti, nei quali erano stati confermati quei provvedimenti di merito che avevano limitato, in tutto o in parte, la libertà individuale del genitore di praticare il proprio credo religioso17. La compressione del diritto a professare una determinata fede – diritto, come più volte ricordato, la cui tu-

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Per alcune considerazioni sul “principio di continuità”, soprattutto in riferimento alla sua applicazione giurisprudenziale, si veda Grazioso, Affidamento e tutela del minore e fattore religioso, in Dir. famiglia, 2010, II, 1797 ss.; ma si veda altresì Morozzo della Rocca, Responsabilità genitoriale e libertà religiosa, in Dir. famiglia, 2012, 1717, secondo il quale il giudice dovrebbe comunque evitare al minore “fratture culturali immotivate”. 16 Cfr., ad esempio, Cass., 4 novembre 2013, n. 24683, in Foro it., Rep. 2013, voce Separazione di coniugi, n. 114, secondo cui il genitore naturale non può, una volta cessata la convivenza, condurre abitualmente la prole presso luoghi di culto di una religione diversa da quella professata in costanza di convivenza, avendo la prole vissuto in un contesto connotato da altro credo. Si veda altresì, nello stesso senso, Trib. Patti, 10 dicembre 1980, in Dir. famiglia, 1981, 550. V. però anche App. Milano, 21 febbraio 2011, in Foro it., 2012, I, 919, che ha rigettato la richiesta paterna di interruzione del percorso di catechesi iniziato dal figlio, su indicazione della madre, ove si accerti che la prosecuzione di tale percorso corrisponde all’interesse del minore. Cass., 6 agosto 2004, n. 15241, in Foro it., Rep. 2004, voce Separazione di coniugi, invece, ha affermato che il mutamento di fede religiosa – e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto –, connettendosi all’esercizio dei diritti garantiti dall’art. 19 Cost., non può, di per sé solo, considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che non vengano superati i limiti di compatibilità con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore o di grave pregiudizio della prole. Negli stessi termini, più recente, Cass., 19 luglio 2016, n. 14728, cit. 17 I precedenti, espressamente richiamati, sono Cass., 4 novembre 2013, n. 24683, cit. e Cass., 12 giugno 2012, n. 9546, cit.

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tela si fonda su fonti di rango costituzionale e internazionale – può essere giustificata solo ed esclusivamente in presenza di un effettivo pregiudizio per il figlio. Il riferimento normativo si rinviene nell’art. 337-ter c.c., nella parte in cui prevede che il magistrato adotta i provvedimenti relativi alla prole “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” di essa. Poiché però il perseguimento di quest’ultimo fine comporta il sacrificio di un altro interesse, non è possibile procedere a valutazioni apodittiche o astratte sul contenuto, sulla diffusione o sulla “opportunità” di una religione piuttosto che un’altra, in quanto ciò si risolverebbe, afferma la Corte, in “un giudizio di valore precluso all’autorità giudiziaria”, stante il rilievo costituzionale ed europeo del principio di libertà religiosa. In questi passaggi si può scorgere un rifiuto dei princìpi di “maggioranza” e “primazia” di una determinata religione che, come visto, erano propri di una certa corrente giurisprudenziale oramai non più attuale. I provvedimenti restrittivi della libertà di culto del genitore rimangono ben possibili, ma dovranno trovare diverso fondamento. È allora comprensibile che, ad esempio, qualora la scelta del padre o della madre si risolva nella netta proibizione al minore di continuare a praticare una certa fede – con il suo conseguente “isolamento” da pregresse conoscenze –, oppure nel caso in cui il minore medesimo esprima la propria contrarietà a iniziare o proseguire un determinato percorso religioso, vengano adottati nei confronti del genitore provvedimenti limitativi della libertà di culto e, deve aggiungersi, del diritto a educare nel modo che ritiene più opportuno la prole18. La Suprema Corte, dopo aver chiarito che il giudizio del magistrato deve essere scevro da giudizi di valore e orientato solo dal concreto pregiudizio che potrebbe subire il minore, ha cura di aggiungere che l’adesione successiva, da parte di uno dei genitori, a una nuova confessione, diversa da quella cui è già stato avviato il figlio, non rileva ai fini dell’affidamento, poiché trattasi di un “criterio astratto” che “lederebbe il mantenimento di un rapporto equilibrato e paritario con entrambi i genitori rimanendo insensibile alle scelte di vita in divenire dei genitori”. Il principio di “continuità” viene così ridimensionato o, quantomeno, ricondotto anch’esso alla necessaria dimostrazione dell’effettivo danno psico-fisico che l’avvio a un diverso percorso religioso potrebbe provocare al minore. Ad ogni modo, è significativo come il mutamento di credo da parte del coniuge non assuma più rilevanza, se non nei limiti, appunto, delle conseguenze pregiudizievoli verso il figlio, ed anzi, in alcune occasioni, sia

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Si veda, ad esempio, Cass., 24 maggio 2018, n. 12954, in Giur. it., 2019, 780, con nota di Lo Giacco, che ha ritenuto correttamente motivato il provvedimento di merito che ha inibito a un genitore di condurre con sé alle manifestazioni del suo nuovo credo la figlia, preadolescente, sia perché quest’ultima, ascoltata dal giudice, ha manifestato il proprio disagio a partecipare a tali incontri, sia in quanto l’espletata c.t.u. ha accertato che il suo coinvolgimento in siffatte pratiche religiose sarebbe stato pregiudizievole per un’equilibrata crescita emotiva, in ragione delle modalità attraverso le quali quel genitore intendeva sollecitarla a seguirlo nella sua fede, nel contempo proibendole di partecipare alle manifestazioni della religione cattolica nella quale era stata educata e che condivideva con le amiche.

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stato persino ritenuto inerente ai poteri-doveri della responsabilità genitoriale dare l’opportunità ai figli di conoscere e apprezzare una diversa confessione19. Circa le modalità mediante le quali accertare il pregiudizio, la Cassazione individua quella da cui non si può prescindere, ossia l’ascolto del minore. D’altra parte, lo stesso art. 315-bis, comma 3, c.c., impone questo passaggio.

4.

Due possibili alternative. Dall’autodeterminazione del minore agli accordi sull’educazione dei figli. Se letta in riferimento all’evoluzione giurisprudenziale di cui si è tentato di dar sommariamente conto, la sentenza in esame consente di formulare un principio generale, applicabile a tutte le fattispecie di contrasto sulle questioni riguardanti il figlio. Eliminato il ricorso a princìpi dal sapore anacronistico, come quelli della maggior diffusione della religione cattolica e della sua “superiorità”, anche contenutistica, rispetto ad altre religioni, un solo criterio rimane al giudice per determinare l’affidamento del minore, vale a dire il supremo interesse del medesimo. La limitazione della libertà di culto del genitore, dunque, deve avvenire solo avendo riguardo all’impatto che la scelta paterna o materna determina sul figlio, come verrebbe limitata qualsiasi altra scelta che fosse parimenti lesiva dell’interesse di quest’ultimo. In breve, che si tratti dell’educazione religiosa, dei trattamenti sanitari, dello sport o di qualsiasi altro aspetto dell’esistenza del figlio, occorre solo domandarsi qual è la soluzione più opportuna per il medesimo, senza lasciarsi guidare da (pre)giudizi o valutazioni astratte. Le ipotesi sino ad ora considerate riguardano situazioni di conflitto sorte in seguito alla crisi del ménage familiare, la cui soluzione è rimessa all’intervento del magistrato. La casistica giurisprudenziale dimostra che i conflitti riguardano minori quasi sempre in tenera età, i quali, oltre a dover affrontare la crisi coniugale, di per sé già impattante, si trovano al centro di un ulteriore conflitto, vale a dire quello riguardante la loro educazione religiosa. Per prevenire almeno quest’ultimo contrasto, si possono ipotizzare due soluzioni, che operano in momenti diversi: ante o post crisi coniugale. Nel primo caso, il riferimento è ai cc.dd. patti di religione, volti a determinare, al momento dell’instaurazione della società coniugale, l’educazione religiosa che andrà impartita al figlio20. Tale soluzione presenta però un inconveniente, poiché si ritiene che i patti in

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In questi termini, App. Brescia, 4 febbraio 2011, in Foro it., Rep. 2011, voce Separazione di coniugi, n. 158. Va da sé che deve trattarsi di patti che non contrastino con l’interesse del figlio. Ad ogni modo, essi sono ritenuti ammissibili. Per tutti, si vedano le brevi ma essenziali considerazioni del Maestro Rescigno, Proprietà e famiglia, 1971, 235 ss., nonché la (condivisibile) opinione di S. Patti, La rilevanza del contratto nel diritto di famiglia, in Fam. pers. e succ., 2005, 200.

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Giurisprudenza

discorso abbiano valore rebus sic stantibus e siano perciò particolarmente fragili e soggetti a caducazione immediata appena insorge il conflitto tra i genitori21. Quanto alla seconda, invece, si tratta di valorizzare l’autodeterminazione del figlio, nell’attesa che egli sia in grado di decidere per sé. Difatti, è da ritenere che, nell’ipotesi di conflitto insanabile tra i genitori circa l’educazione religiosa, sia possibile una terza via, corrispondente all’astensione imposta dal giudice a entrambi i genitori dall’impartire del tutto un’educazione religiosa22. Si tratta di una soluzione, per dir così, radicale ma neutrale, che almeno risparmia al figlio, già oggetto di contesa durante la separazione, le (ulteriori) “sofferenze” dovute al contrasto su quale sia la confessione al quale avviarlo. Non è possibile individuare con certezza l’esatto momento nel quale il minore diviene sufficientemente maturo da poter operare una scelta sul punto, ma un aiuto in proposito viene dalla legge. Come correttamente suggerito, si può prendere il riferimento dato dall’art. 1 l. n. 281 del 1986, a norma del quale “gli studenti della scuola secondaria superiore esercitano personalmente […] il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica”23. Ad ogni modo, essendo comunque sempre necessario l’ascolto del minore, non è da escludere che già in sede di audizione emerga che è suo superiore interesse non ricevere alcuna educazione religiosa, se ciò serve a sopire il conflitto tra i genitori. Le brevi riflessioni svolte consentono di formulare una conclusione. Pur essendo in presenza di tematiche altamente opinabili e soggettive, la Suprema Corte, nella sentenza in analisi, ha ricondotto il giudizio che in sede di merito il giudice deve compiere a un elemento – il pregiudizio per il minore – scevro da giudizi personali o di valore circa il contenuto della religione prescelta dal coniuge. La (condivisibile) soluzione offerta dalla Cassazione costituisce senza dubbio un precedente dal quale non si potrà prescindere. Valerio Brizzolari

21

Cfr., ad esempio, Scarso, I patti tra genitori in merito a questioni di particolare importanza per il figlio, in Fam. pers. e succ., 2006, 877, e Morozzo della Rocca, Responsabilità genitoriale e libertà religiosa, cit., 1716 ss. 22 Si veda, ad esempio, Trib. Agrigento, 24 maggio 2017, in Foro it., 2017, I, 2871, secondo cui, in caso di contrasto tra i genitori appartenenti a diverse confessioni, sulla religione alla quale educare i figli, il giudice può disporre che, fino almeno all’età scolare, i genitori medesimi si astengano da specifici input religiosi, in quanto solo successivamente, e con gradualità, potranno farli accostare alla conoscenza delle rispettive fedi. Non condivide questa soluzione Grazioso, Affidamento e tutela del minore e fattore religioso, cit., 1795, poiché ritiene pressocché impossibile scindere lo stretto legame tra religione ed educazione. 23 Analoga previsione vale per le altre religioni, come stabilisce il comma secondo del medesimo articolo. Morozzo della Rocca, Responsabilità genitoriale e libertà religiosa, cit., 1713, correttamente individua nell’iscrizione alla scuola secondaria superiore il momento nel quale le scelte religiose del minore divengono insindacabili. Sempre sulla libertà religiosa del minore, si veda Testori Cicala, L’autodeterminazione dei minori nelle opzioni religiose e sociali, in Dir. famiglia, 1988, 1866 ss., spec. 1882.

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Giurisprudenza Cass. civ., sez. II, ord., 27 maggio 2019, n. 1442; Lombardo Presidente – Dongiacomo Relatore Beneficio d’inventario (accettazione dell’eredità col) – Fondazione (eredità devoluta ad una) – Formazione progressiva (l’accettazione dell’eredità col beneficio d’inventario ha una struttura a) – Decadenza (tassatività dei casi di) – Inefficacia dell’accettazione (la mancata formazione dell’inventario, dopo aver effettuato la dichiarazione di accettazione, da parte del chiamato che non è nel possesso di beni ereditari, importa la) – Diritto di accettare nuovamente l’eredità (l’inefficacia dell’accettazione dell’eredità col beneficio d’inventario non preclude al chiamato il) – Prescrizione del diritto di accettare l’eredità (il chiamato all’eredità, in caso d’inefficacia dell’accettazione col beneficio d’inventario, potrà rinnovare l’accettazione fintantoché non interverrà la) – Termine fissato per l’accettazione dell’eredità (il chiamato all’eredità, in caso d’inefficacia dell’accettazione col beneficio d’inventario, potrà rinnovare l’accettazione fintantoché non decorrerà il) L’accettazione dell’eredità, da parte di un ente, giusta l’art. 473, co. 1, c.c., non può effettuarsi che col beneficio d’inventario, sicché il mancato perfezionamento di codesto tipo di accettazione, per omessa redazione dell’inventario nei termini prescritti dalla legge, comporta che l’ente chiamato all’eredità non acquisti la qualità di erede. L’accettazione con beneficio d’inventario, invero, è una fattispecie a formazione progressiva che si compone di una pluralità di atti, segnatamente della dichiarazione di accettazione e della redazione dell’inventario, i quali sono fra loro indissolubilmente connessi, sicché la mancanza, ad esempio, della formazione dell’inventario nei termini legali, fa sì che la fattispecie non si sia integralmente compiuta, e dunque sia inefficace. Pertanto, l’ente potrà, fintantoché il diritto di accettare non sarà prescritto e fatta salva la scadenza dell’eventuale termine fissato ai sensi dell’art. 481 c.c., adire nuovamente l’eredità, mediante una nuova dichiarazione di accettazione con beneficio d’inventario.

(Omissis)

l’autorizzazione alla cessione dei beni ereditari o

Fatti

alla transazione prescritta dall’art. 493 c.c.

di causa

A. R, con citazione dell’8/9/2007, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Roma, la Fondazione O. P. M. F., M.F R., quale collegataria, e l’avvocato A. M.F., esecutore testamentario,

La Fondazione ha resistito alla domanda chiedendone il rigetto. Il tribunale di Roma, con sentenza del 17/11/2010, ha rigettato la domanda.

chiedendo, tra l’altro, di dichiarare la decadenza

A. R., con atto di citazione notificato in data

della Fondazione convenuta, ai sensi degli artt.

1/4/2011, ha proposto appello avverso la senten-

487 e/o 485 e/o 493 c.c., dalla facoltà di accettare

za del tribunale, chiedendo l’accoglimento, tra

l’eredità ad essa devoluta da M. R., sorella dell’at-

l’altro, della domanda in precedenza esposta.

tore, deceduta a Roma il 12/5/2004, che l’aveva

La Fondazione ha resistito al gravame, chie-

nominata sua unica erede con testamento olo-

dendone il rigetto, ed ha proposto appello inci-

grafo pubblicato 1’11/6/2004, per aver accettato

dentale.

l’eredità con beneficio d’inventario a mezzo di atto del 3/9/2004 ma senza procedere alla tem-

La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.

pestiva redazione dell’inventario, e per aver com-

La Corte, in particolare, ha dichiaratamen-

piuto in data 24/4/2006 atto di cessione di immo-

te condiviso la sentenza con la quale il Tribu-

bili a titolo transattivo senza che vi fosse allegata

nale, con riferimento al caso in cui non siano

251


Giurisprudenza

state osservate le formalità richieste dalle legge

non esset», deponendo, in tal senso, il principio

per l’accettazione beneficiata da parte delle per-

per cui, «in tema di accettazione dell’eredità, poi-

sone giuridiche diverse dalla società, le quali, ai

ché le persone giuridiche diverse dalle società

sensi dell’art. 473 c.c. non possono accettare le

non possono, ai sensi dell’art. 473 cod. civ., accet-

eredità ad esse devolute se non con il benefi-

tare le eredità loro devolute se non con il benefi-

cio dell’inventario, ha ritenuto: – innanzitutto,

cio d’inventario ..., qualora l’accettazione, nell’u-

che, «ove l’accettazione, nell’unica forma con-

nica forma consentita dalla legge, sia divenuta

sentita loro dalla legge, sia divenuta inefficace»,

inefficace (nella specie, per mancata redazione

«non potendo trovare applicazione, per evidente

dell’inventario entro tre mesi dall’accettazione,

incompatibilità, la diversa disposizione in forza

in assenza di richiesta di proroga del termine),

della quale il chiamato è da considerarsi erede

si deve ritenere che, non potendo trovare appli-

puro e semplice», «si deve escludere che sussi-

cazione, per evidente incompatibilità, la diversa

sta accettazione alcuna», per cui «l’accettazione è

disposizione in forza della quale il chiamato è da

inefficace o, meglio, inesistente»; – in secondo

considerare erede puro e semplice, va esclusa l’e-

luogo, che «la persona giuridica, venuta meno

sistenza stessa dell’accettazione». Nella specie, ha

l’efficacia dell’accettazione beneficiata per le ra-

osservato la Corte, poiché l’inventario non è stato

gioni di cui sopra, conservi comunque il diritto

mai effettuato, deve dichiararsi l’inesistenza giuri-

di accettare l’eredità nei confronti del testatore,

dica dell’accettazione da parte della Fondazione:

continuando a rivestire la posizione di chiamata

tuttavia, «l’effetto dell’inesistenza della accettazio-

all’eredità, e che la stessa sia ancora in grado di

ne è il permanere della chiamata all’accettazione

riavviare la procedura di accettazione beneficiata,

fin tanto che il diritto non sia prescritto», tanto

qualora il diritto di accettare l’eredità non si sia

più che, «stante il regime di tassatività delle de-

ancora prescritto», traendone, quanto al caso di

cadenze, in assenza di una norma specifica che

specie, la conseguenza per cui «la dichiarazione

prevede espressamente una decadenza, essa non

di accettazione dell’eredità posta in essere dalla

possa essere ritenuta applicabile in via analogica

fondazione convenuta in data 3.9.2004 è divenu-

(in assenza di una lacuna della legge)». Tra l’al-

ta inefficace e, dunque, tamquam non esset, a

tro, ha concluso la Corte, lo strumento dell’ac-

causa della mancata redazione dell’inventario nel

cettazione con beneficio di inventario, senza la

termine di legge»: tuttavia, «poiché ... il diritto di

possibilità di un’accettazione semplice, è dettato

accettare l’eredità in capo alla convenuta non si

ad esclusiva tutela dell’ente e ne contraddirebbe

era ancora prescritto, valida deve ritenersi la (se-

la ratio la configurazione di una decadenza non

conda) dichiarazione di accettazione beneficia-

prevista, che determinerebbe un trattamento giu-

ta dell’eredità del 31.07.2006», relativamente alla

ridico deteriore.

quale «l’inventario, iniziato in data 27.10.2006, e,

La Corte, inoltre, riportandone per intero la

dunque, entro tre mesi dalla (seconda) dichia-

motivazione, ha condiviso la decisione del Tribu-

razione di accettazione (avvenuta il 31.7.2006),

nale anche nella parte in cui il giudice di primo

è stato completato, nei termini di legge, in data

grado aveva ritenuto infondata la domanda di di-

11.3.2007, a seguito di proroga di sei mesi con-

chiarazione di decadenza del beneficio d’inven-

cessa dall’autorità giudiziaria». D’altra parte, ha

tario e, dunque, di incapacità a succedere basata

aggiunto la Corte, «non v’è dubbio che, in difetto

sulla circostanza che la Fondazione avrebbe tran-

di inventario, l’accettazione dell’eredità, da parte

satto relativamente ai beni ereditari senza auto-

della persona giuridica, debba ritenersi tamquam

rizzazione giudiziaria ai sensi dell’art. 493 c.c.,

252


Marco Ramuschi

rilevando che «le persone giuridiche diverse dalle

lacuna della legge)». Così opinando, tuttavia, ha

società, non potendo acquistare l’eredità se non

osservato il ricorrente, la Corte d’appello ha fatto

nella forma beneficiata, nel caso in cui siano in-

erronea applicazione delle norme previste dagli

corse in decadenze o irregolarità relative all’in-

artt. 473 e 487 c.c., non potendosi dubitare sul

ventario (nelle quali deve ritenersi ricompresa

fatto che le persone giuridiche, potendo accet-

anche l’alienazione dei beni ereditari senza auto-

tare l’eredità solo con il beneficio di inventario,

rizzazione, di cui all’art. 493 c.c.), non possono,

sono tenute alla redazione dello stesso secondo i

per ciò solo, ritenersi incapaci a succedere».

termini e le formalità prescritte dalla legge e che,

La Corte, infine, rigettato l’appello incidentale

se non assolvono a tale adempimento, decadono

della Fondazione, ha ritenuto che, per la sua pre-

dall’eredità, non potendo ad esse applicarsi la di-

valente soccombenza, l’appellante principale do-

sposizione per la quale i chiamati all’eredità de-

veva essere condannato al rimborso delle spese

vono essere considerati eredi puri e semplici. Nel

processuali in favore dei due appellati, liquidan-

caso di specie, ha proseguito il ricorrente, la Fon-

dole nella somma di € 18.000,00, per compensi,

dazione ha dichiarato l’accettazione dell’eredità

oltre accessori, per ciascuno di essi.

con beneficio d’inventario con atto del 3/9/2004

A. R., con ricorso notificato in data 30.31/7/2015

ma non ha redatto l’inventario nei tre mesi con

ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sen-

la conseguenza che, fosse da considerarsi o me-

tenza della Corte d’appello, dichiaratamente non

no nel possesso dei beni ereditari, non poteva

notificata.

che ritenersi decaduta dal beneficio. Peraltro, ha

Hanno resistito, con distinti controricorsi, la

aggiunto il ricorrente, una volta che la dichia-

Fondazione O. P. M. F. – Stabilimento P. ed A. M.F.

razione di accettazione è divenuta inefficace a

M.R R. è rimasta, invece, intimata.

causa della mancata redazione dell’inventario nei

Il ricorrente e la Fondazione hanno deposita-

termini di legge, la conseguenza è la definitiva

to memorie.

decadenza dal beneficio dell’inventario, non es-

Ragioni

sendovi ragione per ritenere che, in mancanza di

della decisione

1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamen-

alcun appiglio normativo, tale decadenza debba

tando la violazione e la falsa applicazione degli

operare per tutti i chiamati all’eredità tranne che

artt. 473 e 487 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3

per le persone giuridiche: le quali, pertanto, ha

c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nel-

concluso il ricorrente, perdono, per effetto della

la parte in cui la Corte d’appello, uniformandosi

disposizione dell’art. 473 c.c., il diritto di accetta-

integralmente alla decisione assunta dal Tribu-

re l’eredità, dal momento che, in ragione dell’in-

nale, ha ritenuto, da un lato, che «in difetto di

capacità della persona giuridica ad assumere la

inventario, l’accettazione dell’eredità, da parte

qualità di erede se non in via beneficiata, l’accet-

della persona giuridica, debba ritenersi tamquam

tazione non seguita dalla tempestiva redazione

non esset», e, dall’altro lato, che l’effetto dell’ine-

dell’inventario non può regredire ad accettazione

sistenza della accettazione è il permanere della

pura e semplice.

chiamata all’accettazione fin tanto che il diritto

2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamen-

non si sia prescritto, tanto più che, «stante il re-

tando la violazione e la falsa applicazione degli

gime di tassatività delle decadenze, in assenza di

artt. 473 e 493 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3

una norma specifica che prevede espressamente

c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nel-

una decadenza, essa non possa essere ritenuta

la parte in cui, a fronte del motivo con il quale

applicabile in via analogica (in assenza di una

l’appellante aveva dedotto la violazione e l’er-

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Giurisprudenza

ronea interpretazione degli artt. 473 e 493 c.c. per avere il Tribunale rigettato la domanda con la quale lo stesso aveva invocato la declaratoria di incapacità a succedere della Fondazione avendo transatto e alienato beni ereditari senza mai chiedere né ottenere la prescritta autorizzazione, la Corte d’appello ha fatto propria, senza aggiungere nulla al riguardo, la motivazione della decisione appellata, per la quale, al contrario, la circostanza che la Fondazione avesse transatto relativamente a beni ereditari senza l’autorizzazione giudiziaria, ai sensi dell’art. 493 c.c., non aveva determinato la sua incapacità a succedere sul rilievo, in particolare, che le persone giuridiche diverse dalle società, non potendo acquistare l’eredità se non nella forma beneficiata, nel caso in cui siano incorse in decadenze o irregolarità relative all’inventario, tra le quali deve ritenersi compresa anche l’alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione, non possono, per ciò solo, ritenersi incapaci a succedere. Sennonché, ha osservato il ricorrente, la Fondazione, alla data di quella cessione, non aveva iniziato alcun inventario e, quindi, non poteva essere incorsa in alcuna irregolarità del medesimo, per cui, non potendo soccorrere la successiva accettazione con beneficio d’inventario, tale ulteriore inottemperanza da parte della convenuta non poteva rimanere senza conseguenze, vale a dire la decadenza dalla capacità a succedere prevista dagli artt. 493 e 473 c.c. 3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte la Corte d’appello lo ha condannato, in ragione della sua prevalente soccombenza, al pagamento delle spese processuali nei confronti sia della Fondazione, che dell’avv. A. M.F., esecutore testamentario, realizzando, così, una grave ed inescusabile violazione dell’art. 91 c.p.c. la quale prevede, quale presupposto della liquidazione delle

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spese, la soccombenza di una parte nei confronti dell’altra. Nel caso di specie, l’attore non aveva proposto alcuna domanda nei confronti dell’esecutore testamentario, chiamato in causa ai soli fini di doverosa conoscenza, tant’è che lo stesso esecutore testamentario si era correttamente mantenuto estraneo alla lite, chiedendo, infatti, alla Corte d’appello di «decidere secondo giustizia», sia pur con vittoria delle spese. L’appellante, quindi, non potendo essere considerato soccombente nei confronti dell’esecutore testamentario, non poteva essere condannato al rimborso delle spese nei suoi confronti, specie se si considera che il rigetto dell’appello proposto dal ricorrente è derivato dal mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti che l’art. 92 c.p.c. considera sufficiente per una pronuncia di compensazione delle spese. 4. Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente per l’intima connessione dei temi trattati, sono infondati. 4.1. L’accettazione dell’eredità ad opera di una persona giuridica non può che avvenire, a norma dell’art. 473, comma 1°, c.c., con beneficio d’inventario, con la conseguenza che il mancato perfezionamento del modulo legale, per omessa redazione dell’inventario nei termini e modi previsti dalla legge, comporta che l’ente chiamato non acquisti la qualità di erede (Cass. n. 9514 del 2017). L’accettazione con beneficio d’inventario, infatti, costituisce una fattispecie a formazione progressiva che si compone d’una pluralità di atti (e cioè la dichiarazione, da riceversi da un notaio o dal cancelliere del tribunale o della sezione distaccata di esso territorialmente competente e soggetta a pubblicità, e la redazione dell’inventario nei termini e con le modalità stabiliti dalla legge) l’uno dei quali, a seconda delle ipotesi considerate, precede o segue l’altro ma tra loro indissolubilmente connessi in quanto intesi entrambi al fine (voluto dall’erede ovvero imposto, come nel caso delle persone giuri-


Marco Ramuschi

diche, dalla legge) di evitare la confusione del patrimonio dell’erede con quello ereditario e di limitare intra vires la responsabilità dello stesso per le obbligazioni ereditarie. L’art. 484 c.c., in effetti, nella parte in cui dispone che «l’accettazione col beneficio d’inventario si fa mediante dichiarazione ...» e che questa «deve essere preceduta o seguita dall’inventario», delinea chiaramente una fattispecie la cui realizzazione richiede il compimento, quali suoi elementi costitutivi, tanto dell’uno (la dichiarazione di accettazione beneficiata), quanto dell’altro (la redazione del relativo inventario) adempimento: sia la prevista indifferenza della loro successione cronologica, sia la comune configurazione degli stessi in termini di necessarietà, sia, infine, la mancanza di distinte discipline dei loro effetti, fanno apparire ingiustificata l’attribuzione all’uno dell’autonoma idoneità a dare luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto dell’altro (Cass. n. 11030 del 2003, in motiv.; conf. Cass. n. 16739 del 2005; più di recente, Cass. n. 9514 del 2017). Del resto, le norme che impongono il compimento dell’inventario in determinati termini non ricollegano mai all’inutile decorso del termine stesso un effetto di decadenza la quale, al contrario, è chiaramente ancorata solo ed esclusivamente ad altre condotte, che attengono alla fase della liquidazione (art. 493, 494 e 505 c.c.), e sono, quindi, necessariamente successive alla redazione dell’inventario, del quale, pertanto, confermano la natura di elemento costitutivo della fattispecie in esame. Ne consegue che «il mancato perfezionamento della fattispecie – per non esserne stato realizzato e non essere più realizzabile uno degli elementi costitutivi, come nell’ipotesi dell’omessa redazione dell’inventario, nei termini imposti dalla legge, successivamente alla dichiarazione d’accettazione beneficiata – determina, non potendosi più produrre l’effetto giuridico finale riconosciuto dall’ordinamento, il venir meno anche degli effetti, prodromici e stru-

mentali, degli atti già posti in essere»: e poiché le persone giuridiche diverse dalle società, ai sensi dell’art. 473 c.c., non possono accettare le eredità loro devolute se non con il beneficio d’inventario, «ove l’accettazione, nell’unica forma consentita loro dalla legge, sia divenuta inefficace, si deve ritenere che, non potendo trovare applicazione, per evidente incompatibilità, la diversa disposizione in forza della quale il chiamato è da considerare erede puro e semplice, devesi escludere che sussista accettazione alcuna» (Cass. n. 19598 del 2004, in motiv.). L’omessa redazione dell’inventario nei termini prescritti da parte dell’ente chiamato all’eredità comporta, poi, oltre al mancato acquisto dello status di erede (che non può che essere beneficiato), anche, ed a maggior ragione, l’impossibilità, per l’ente medesimo, di decadere dallo stesso pur avendo provveduto, dopo la dichiarazione di accettazione ma senza aver redatto l’inventario nei termini prescritti, all’alienazione, in via transattiva, di beni ereditari. 4.2. Una volta stabilito che le persone giuridiche non acquistano, in caso di mancata redazione dell’inventario nei termini perentori di cui agli artt. 485 e 487 c.c., lo status di erede, si pone l’ulteriore problema di stabilire se la mancata redazione dell’inventario nei termini stabiliti comporta l’incapacità della persona giuridica a succedere nell’eredità ad essa devoluta, come pretende il ricorrente, ovvero se, al contrario, come ritenuto dalla Corte d’appello, la persona giuridica, pur non avendo redatto l’inventario nel termine, conserva il diritto di accettare l’eredità fino alla sua prescrizione, posto che, «stante il regime di tassatività delle decadenze, in assenza di una norma specifica che prevede espressamente una decadenza, essa non possa essere ritenuta applicabile in via analogica (in assenza di una lacuna della legge)». 4.3. La prima soluzione è stata sostenuta da questa Corte sul rilievo che, in caso di «omessa redazione dell’inventario nei termini e con le

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Giurisprudenza

modalità normativamente stabiliti», «il mancato completamento» «della fattispecie a formazione progressiva dell’accettazione con beneficio d’inventario, con la quale è stato regolato l’acquisto dell’eredità da parte delle persone giuridiche diverse dalle società», unitamente alla sua sopravvenuta impossibilità, «si traduce nella mancata acquisizione della capacità speciale a succedere da parte delle persone giuridiche stesse, in quanto condizionata ad una valida aditio nella forma stabilita ...» (Cass. n. 19598 del 2004, in motiv.; Cass. n. 2617 del 1979). 4.4. Da tale indirizzo, tuttavia, il Collegio reputa di doversi discostare. Non risulta, infatti, condivisibile la tesi per cui, in caso di mancata o tardiva formazione dell’inventario, la persona giuridica subisca la perdita non solo, come visto, degli effetti «prodromici e strumentali» della dichiarazione di accettazione beneficiata precedentemente assunta, dovendosi in tal caso escludere che sussista alcuna accettazione, ma anche, in conseguenza di una speciale incapacità a succedere (peraltro sopravvenuta rispetto all’apertura della successione) del diritto stesso di accettare l’eredità. Ritiene, al contrario, la Corte che – una volta che la dichiarazione di accettazione dell’eredità abbia perduto i suoi effetti in conseguenza della mancata formazione dell’inventario nei termini stabiliti dalla legge – la persona giuridica, in mancanza di un’espressa disposizione normativa che ne preveda espressamente la perdita, conserva (salvi, naturalmente, gli effetti estintivi conseguenti, secondo le norme comuni, alla sua prescrizione ovvero al decorso del termine fissato a norma dell’art. 481 c.c.) il diritto di accettare l’eredità. In quest’ultimo senso, in effetti, depone il rilievo secondo il quale la soluzione qui avversata, nella misura in cui prospetta la definitiva perdita del diritto di accettare l’eredità in conseguenza della mancanza o della tardiva formazione dell’inventario successivamente alla dichiarazione di accettazione beneficiata, finisce

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per individuare una causa di decadenza da tale diritto, che, in realtà, nessuna norma prevede: tanto più se si considera che, negli altri casi di accettazione beneficiata, la stessa evenienza (e cioè la mancata o tardiva formazione dell’inventario dopo la dichiarazione di accettazione con il relativo beneficio) comporta non la perdita del diritto di accettare l’eredità ma soltanto l’acquisto dello status di erede, che consegue all’esercizio di quel diritto, in modo puro e semplice (artt. 485, comma 1°, 487, comma 2°, e 489 c.c.). Deve, pertanto, ritenersi che l’ente al quale sia stata devoluta un’eredità, una volta che l’accettazione beneficiata abbia perduto i suoi effetti per la mancata formazione dell’inventario nei termini prescritti, possa senz’altro procedere ad una nuova dichiarazione di accettazione beneficiata ed al successivo inventario nei predetti termini: vale a dire – nell’impossibilità di applicare alle persone giuridiche forme di acquisto dell’eredità diverse da quella imposta dall’art. 473 c.c., ivi compresa l’accettazione ex lege prevista dagli artt. 485, comma 2°, e 487, comma 2°, seconda parte (cfr., sul punto, Cass. n 19598 del 2004) – i termini stabiliti, in generale, dagli artt. 484, comma 3°, e 487, comma 2°, prima parte, c.c. Del resto, se l’accettazione dell’eredità può essere compiuta perfino dal chiamato che via abbia in precedenza rinunziato (art. 525 c.c.), non si vede come, sia pur nei limiti della prescrizione del relativo diritto, possa essere impedito alla persona giuridica di accettare nuovamente l’eredità dopo che l’accettazione beneficiata precedentemente compiuta sia divenuta, per le ragioni dette, giuridicamente inefficace. Soltanto così, del resto, è possibile, per un verso, conservare gli effetti della disposizione testamentaria con la quale il de cuius ha nominato l’ente quale suo erede, e, per altro verso, tutelare le ragioni dello stesso ente e del suo diritto ad accettare, sia pur in forma necessariamente beneficiata, l’eredità ad esso devoluta. Le ragioni dei creditori e dei legatori,


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del resto, non sono necessariamente affidate all’inventario redatto dall’erede che ha accettato con il relativo beneficio ed alla sua tempestiva redazione rispetto ai termini stabiliti dagli artt. 485 e 487 c.c., ben potendo essere tutelate, a norma degli artt. 512 ss. c.c., con la separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede, che assicura tanto la rapida formazione dell’inventario (e la pronuncia delle disposizioni necessarie per la conservazione dei beni), quanto la soddisfazione delle predette ragioni, analogamente a quanto accade con l’accettazione beneficiata, con preferenza rispetto a quelle dei creditori dell’erede. L’inefficacia giuridica della dichiarazione di accettazione beneficiata non seguìta dalla tempestiva redazione dell’inventario, non esclude, in definitiva, che, entro il termine di prescrizione e salva la scadenza del termine fissato ai sensi dell’art. 481 c.c., l’ente chiamato all’eredità possa nuovamente dichiarare la sua accettazione con beneficio d’inventario. 4.5. Nel caso di specie, le conclusioni che precedono consentono, in definitiva, di ritenere: – innanzitutto, che la Fondazione convenuta, non avendo redatto l’inventario nei termini prescritti dopo la prima dichiarazione di accettazione dell’eredità, non ha acquistato, in conseguenza dell’inefficacia di tale accettazione (e della conseguente impossibilità di un successivo perfezionamento della fattispecie), la qualità di erede, e che l’alienazione dalla stessa compiuta dopo la dichiarazione ma senza che l’inventario sia stato redatto nei termini, non ne ha comportato, in ragione del mancato completamento della fattispecie acquisitiva della predetta qualità, la decadenza dai relativi effetti; – in secondo luogo, che la dichiarazione

di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario che la Fondazione convenuta ha successivamente compiuto è senz’altro valida ed efficace ed, in quanto tale, idonea ad attribuire alla stessa la qualità di erede (beneficiato). 5. Il terzo motivo è parimenti infondato. Il ricorrente, infatti, lamenta, in sostanza, che la Corte d’appello, pur in difetto di una soccombenza nel merito nei confronti dell’esecutore testamentario, lo abbia nondimeno condannato a rimborsare a quest’ultimo le spese di giudizio senza, cioè, procedere, specie a fronte del mutamento giurisprudenziale in ordine alle questioni trattate, alla compensazione delle stesse. Sennonché, com’è noto, con riferimento al regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (Cass. n. 8421 del 2017; Cass. n. 24502 del 2017). 6. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato. 7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. 8. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012. P.Q.M. la Corte così provvede: rigetta il ricorso. (Omissis)

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Accettazione beneficiata dell’eredità devoluta ad un ente morale e indefettibile stesura dell’inventario* Sommario: 1. Il caso. – 2. Sulla struttura dell’accettazione dell’eredità col bene-

ficio d’inventario: complesso degli atti. – 3. Sull’accettazione dell’eredità da parte di un ente morale: talune necessarie notazioni. – 4. La possibile decadenza di un ente morale dal diritto di accettare l’eredità, in caso di mancata stesura dell’inventario nei termini previsti dalla legge. – 5. Osservazioni conclusive sull’eventuale applicazione dell’art. 493, co. 1, c.c., nei confronti di un ente morale che abbia transatto relativamente a beni ereditari durante le more del procedimento di accettazione beneficiata.

The Court, with the decision analysed, confirmed the fact that the approval under benefit of inventory represents a particular case in gradual formation, composed of a plurality of deeds, which are fundamental for its fulfillment. Referring particularly to the approval of the inheritance by a charitable organization, the approval is to be considered tamquam non esset in the event that its legal form is not perfected, for example because of the lack of compilation of the inventory within the prescribed time. In this case, the organization will be able to create a new approval as long as the right to accept the inheritance will not be expired. Firstly, we gave attention to this topic, particularly to the approval of the inheritance by a charitable organization and to the possible forfeiture of its right of approval, in case of a lack of formation of the inventory within the prescribed time, also trying to give our personal contribution. Lastly, we humbly tried to formulate some observations on the application of the article 493 of the Civil Code, subsection 1, once again with regard to a charitable organization.

1. Il caso. Sempronia, per il tramite di apposito testamento olografo, nominava unica erede la Fondazione Gamma (d’ora innanzi, brevitatis causa, “Fondazione”). Successivamente, Filano, fratello della testatrice, con apposito atto di citazione conveniva in giudizio la predetta Fondazione, la signora Mevia, quale collegataria, nonché l’avvocato Calpurnio, quale esecutore testamentario1, chiedendo, fra gli altri motivi, che la Fondazione venisse dichia-

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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

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rata decaduta, giusta gli «artt. 487 e/o 485 e/o 493 c.c.», dalla facoltà di accettare l’eredita devolutale da Sempronia, poiché all’aditio dell’eredità con beneficio d’inventario non era seguìta la redazione di quest’ultimo entro i termini di legge e per di più era stato compiuto un atto di cessione d’immobili, a titolo transattivo, senza l’allegazione della necessaria autorizzazione giudiziale, ex art. 493, co. 1, c.c. La Fondazione resisteva alla domanda, chiedendone il rigetto. Il Tribunale di Roma prima, e la Corte d’Appello poi, respingevano la domanda attorea, asserendo che l’accettazione dell’eredità, da parte delle persone giuridiche2 (rectius: degli enti morali3), non può farsi che col beneficium inventarii, giusta l’art. 473, co. 1, c.c., sicché ove tale forma di accettazione pecchi d’inventario, essa è da ritenersi tamquam non esset: ragion per cui, non potendo applicarsi, nei confronti degli enti morali, le disposizioni in virtù delle quali il chiamato è da considerarsi erede puro e semplice, va esclusa l’accettazione stessa: talché, si afferma, l’ente morale potrà adire l’eredità fintantoché non sarà

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Sulla figura dell’esecutore testamentario v., soprattutto, G. Bonilini, Degli esecutori testamentari. Artt. 700-712, in Cod. Civ. Comm., fondato e già diretto da P. Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2005. Adde, quanto all’attività di amministrazione posta in essere dall’esecutore, U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, I, L’amministrazione durante il periodo antecedente all’accettazione dell’eredità, Milano, 1968, II ed., 327 ss. Sulla persona giuridica strettamente intesa, per una profusa discettazione, v. quantomeno F. Galgano, Delle persone giuridiche. Art. 1135, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 2006, II ed.; M. Tamponi, Persone giuridiche. Artt. 11-35, in Cod. civ. Comm., fondato e già diretto da P. Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2018. Adde B. Liguori, Delle persone giuridiche, in B. Liguori - N. Distaso - F. Santosuosso, Disposizioni sulla legge in generale. Delle persone e della famiglia. Artt. 1-230, in Comm. Cod. civ., redatto a cura di magistrati e docenti, Libro I, t. I, Torino, 1966, 163 ss. Locuzione, questa, da noi utilizzata nel presente contributo e a cui siamo arrivati modulando l’espressione «corpi morali», già utilizzata da G. Gabrielli, L’accettazione di eredità da parte dei corpi morali, in Riv. dir. civ., 2003, 225 (spec. nt. 1), il quale spiega siffatta scelta in tal guisa: «La locuzione “corpi morali” viene usata in questo scritto in luogo della lunga elencazione di cui si serve il legislatore: “persone giuridiche, associazioni, fondazioni, comitati ed enti non riconosciuti”, con esclusione delle società. Ci si può riferire, in alternativa, agli enti non lucrativi; la preferenza accordata alla locuzione “corpi morali” mi sembra giustificata dalla patina di nobiltà che ad essa conferisce un antico uso legislativo (art. 2 del codice civile del 1865)». Ebbene, noi abbiamo preferito discorrere di “enti morali” (in seno ai quali è da annoverarvisi pure lo Stato; v. infra, nt. 185, e v. soprattutto L. Meucci, Instituzioni di diritto amministrativo, Torino, 1909, VI ed., 200), giacché si è voluto tenere distinto il linguaggio utilizzato sotto l’egida del Codice Pisanelli, che utilizzava la locuzione «corpi morali» non solo all’art. 2, richiamato dal Gabrielli, ma anche all’art. 932 (v. infra, nt. 143), che per certi versi è “speculare” all’attuale art. 473 c.c.: proprio per questo motivo, per tenere distinta la disciplina vigente da quella previgente, abbiamo appunto deciso di modulare l’espressione del Gabrielli, e del Codice del 1865, nell’ottica dell’attuale Codice civile. V. pure, seppur obiter, G. Russo, Dell’accettazione dell’eredità. Disposizioni generali, in AA.VV., Codice civile. Libro delle Successioni per causa di morte e delle Donazioni. Commentario, a cura di A. Azara, M. D’Amelio, W. D’Avanzo, F. Degni, P. D’Onofrio, E. Eula, C. Grassetti, A. Manca, F. Maroi, S. Pugliatti, G. Russo, F. Santoro-Passarelli, diretto da M. d’Amelio, Firenze, 1941, 111. Tale locuzione, a ben vedere, fu già utilizzata, seppur come sinonimo di “persona giuridica”, da F. Ferrara, Trattato di diritto civile italiano, vol. I, Dottrine generali, Parte I, Il diritto – I soggetti – Le cose, Roma, s. d., ma 1921, passim, spec. 667, e N. Coviello, Delle successioni. Parte generale, Napoli, 1935, IV ed. interamente rifatta dal Prof. L. Coviello, passim, spec. 125. Adde R. de Ruggiero - F. Maroi, Istituzioni di diritto privato, vol. I, Introduzione e parte generale - Diritto delle persone - Diritti di famiglia - Diritto ereditario - Diritti reali, Milano-Messina, 1955, VIII ed., 215. Inoltre, ulteriore motivo, per l’utilizzazione di una locuzione di tal fatta, nasce dalla volontà di voler evitare possibili confusioni terminologiche per coloro i quali ritengono, a ragione, di non collocare, in seno al concetto – generale – di “persona giuridica”, le associazioni non riconosciute e i comitati (v. F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, Milano, 1957, IX ed., 274 ss. e 303 ss.), ovverosia i così detti enti di fatto (v. R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 221), i quali, a séguito dell’abrogazione dell’art. 600 c.c. – mercé l’art. 13, co. 1, Legge 15 maggio 1997, n. 127, come sostituito dall’art. 1 Legge 22 giugno 2000, n. 192 – e della modifica dell’art. 473, co. 1, c.c. – mercé l’art. 1, co. 2, L. n. 192/2000 –, sono stati inseriti in seno al co. 1 dell’art. 473 quali enti che abbisognano, al fine di acquistare l’eredità devolutagli, di accettare con beneficio d’inventario. Sul concetto di persona giuridica, in generale, v. quantomeno F. Ferrara, Trattato di diritto civile italiano, vol. I, Dottrine generali, Parte I, cit., 597 ss., con, ivi, taluni spunti storici; S. Pugliatti, Istituzioni di diritto civile. Introduzione - Diritto delle persone - Teoria dei fatti giuridici, Milano, 1933, 251 ss.; R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 207 ss.

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prescritto il diritto di accettare. Riguardo, invece, alla cessione a titolo transattivo di beni ereditari, sia in primo grado sia in appello si asseriva che «le persone giuridiche diverse dalle società, non potendo acquistare l’eredità se non nella forma beneficiata, nel caso in cui siano incorse in decadenze o irregolarità relative all’inventario (nelle quali deve ritenersi compresa anche l’alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione, di cui all’art. 493 c.c.), non possono, per ciò solo, ritenersi incapaci a succedere»4. Dipoi, Filano proponeva ricorso in Cassazione5, avverso il quale resisteva, fra gli altri, la Fondazione. La Suprema Corte, giova sintetizzare6, ha ritenuto infondati i due motivi principali del ricorso, poggiando la propria decisione sulla particolare struttura7 dell’aditio col beneficio d’inventario, ritenendola una fattispecie a formazione progressiva8, la quale, componendosi di una pluralità di atti giuridici, non può dirsi realizzata allorquando difetti il compimento di uno di questi: sicché, con specifico riferimento agli enti morali, potendo essi accettare solo col commodum inventarii, ove esso non si sia perfezionato, e non potendo trovare applicazione le disposizioni che ritengono il chiamato un erede puro e semplice, deve escludersi che vi sia accettazione. Pertanto, l’ente potrà effettuare una nuova dichiarazione di accettazione, in quanto conserva il diritto di adire l’eredità – non incorrendo in alcuna decadenza, che per il caso di specie non è prevista da nessuna norma di legge9 – fintantoché non sarà decorso il termine di cui agli artt. 480 e 481 c.c. Quanto alla eventuale decadenza di cui all’art. 493, co. 1, c.c., la Corte ritiene che l’ente morale, non avendo ac-

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Ciò è quanto riportato dalla pronunzia in commento. Filano, in particolare, ritiene, col primo motivo di ricorso, che la Fondazione, avendo già fatto la dichiarazione di accettazione di cui all’art. 484, co. 1, c.c., non essendo nel possesso dei beni ereditari e avendo per giunta omesso la compilazione dell’inventario nei tre mesi previsti dall’art. 487, co. 2, c.c., sia decaduta dal diritto di accettare l’eredità, giacché le persone giuridiche, dovendo adire l’eredità col solo beneficio d’inventario, sono tenute alla compilazione del medesimo entro i termini di legge, decorsi i quali – non potendo applicarsi, a codeste persone, le norme ove si prevede che i chiamati divengono eredi puri e semplici – il diritto di accettare deve venir meno. Per giunta, sostiene sempre Filano, «[…] in ragione dell’incapacità della persona giuridica ad assumere la qualità di erede se non in via beneficiata, l’accettazione non seguita dalla tempestiva redazione dell’inventario non può regredire ad accettazione pura e semplice». Quanto al secondo motivo di ricorso, si afferma che la Fondazione, avendo transatto relativamente a beni ereditari, e avendoli alienati, senza l’autorizzazione di cui all’art. 493, co. 1, c.c., è decaduta dal diritto di accettare l’eredità, poiché alla data della cessione essa non aveva iniziato alcun inventario e pertanto non poteva essere incorsa in nessuna irregolarità circa la compilazione del medesimo, sicché, ritiene il ricorrente, non potendo più compiersi la successiva accettazione beneficiata, la cessione priva di apposita autorizzazione giudiziaria dev’essere sanzionata con la decadenza ex artt. 493, co. 1, e 473 c.c. Più precisi riferimenti, su quanto ritenuto dalla Corte, saranno effettuati infra, nei §§ 2, 3 e 4. V. infra, § 2. Così, v. anche Cass., 12 aprile 2017, n. 9514, in Giur. it., 2018, 322, con nota di F. Oliviero, Accettazione dell’eredità devoluta agli enti morali e mancata redazione dell’inventario; Cass., 9 agosto 2005, n. 16739, in Vita not., 2006, 298; Cass., 29 settembre 2004, n. 19598, in Riv. not., 2005, II, 387, con nota adesiva di G. Margiotta, Sulla necessità per le persone giuridiche di accettare l’eredità con beneficio d’inventario e conseguenze in caso di omissione; Cass., 15 luglio 2003, n. 11030, in Riv. not., 2004, II, 776, con nota adesiva di G. Musolino, L’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario come negozio-procedimento, e in Giust. civ., 2004, I, 361, con nota di G. Vidiri, L’accettazione con beneficio d’inventario: atto unico o fattispecie a formazione progressiva?. V. infra, § 4.

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quistato, a causa dell’inefficacia10 (o mancata efficacia11, che dir si voglia) dell’accettazione beneficiata12, la qualità (rectius: lo status) di erede, non può pertanto ritenersi decaduto dal beneficio d’inventario (arg. ex art. 493, co. 1, c.c., che discorre di «erede»)13.

2. Sulla struttura dell’accettazione dell’eredità col beneficio d’inventario: complesso degli atti.

Col decisum in disamina, come testé rilevato, il Supremo Collegio ha avuto modo di pronunziarsi su un’annosa questione – ancóra oggi oggetto di variegate, seppur rade, decisioni giurisprudenziali, nonché di diversi, seppur sparuti, orientamenti dommatici – riguardante la struttura dell’accettazione dell’eredità col beneficio d’inventario14. Più preci-

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Su tale concetto, in generale e con diverse sfumature, v. quantomeno: F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1940, 408 e 409; L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, s. l., ma Napoli, s. d., 328 ss.; L. Ferrara, Diritto privato attuale, Torino, 1948, II ed., 51 ss.; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. it., diretto da F. Vassalli, vol. XV, t. II, Torino, 1955, II rist. corretta della II ed., 467-472; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 624 ss.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, Introduzione - Parte preliminare - Parte generale - Diritti della personalità - Diritto di famiglia - Diritti reali, Torino, VI ed., 1965, 489 e 490 s.; R. Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1969, II ed., 400 ss.; F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2012, rist. della IX ed. del 1966, 241 s., 259 e 260. 11 «Quando tutti i requisiti, previsti, direttamente o indirettamente, dalla norma, si avverano nell’atto, se ne producono gli effetti giuridici, vale a dire a quella situazione finale, che abbiamo chiamato evento, si aggiungono gli effetti giuridici diventando essa la situazione finale giuridica e compiendosi così il ciclo del fatto giuridico. Questa idoneità del fatto a produrre, in virtù dei suoi requisiti, gli effetti giuridici e così dell’evento a convertirsi nella situazione giuridica finale, viene chiamata efficacia del fatto e, in particolare, dell’atto. Non ho bisogno di soggiungere che il concetto di efficacia si ricollega a quello di forza; del resto, nel linguaggio comune o anche nel linguaggio tecnico del diritto, si parla altresì di forza giuridica del fatto o dell’atto»: così, con ficcante e linda opinione, F. Carnelutti, op. cit., 401. 12 Discorse d’inefficacia anche Cass., 29 settembre 2004, n. 19598, cit. 13 V. infra, § 5. 14 Sull’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, in generale, v. almeno, nella variegata e florida letteratura: A. Butera, Il Codice civile italiano commentato secondo l’ordine degli articoli. Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni, Torino, 1940, 77 ss.; A. Azara, Dell’accettazione dell’eredità. Del beneficio d’inventario, in AA.VV., Codice civile. Libro delle Successioni per causa di morte e delle Donazioni. Commentario, a cura di A. Azara, M. d’Amelio, W. d’Avanzo, F. Degni, P. d’Onofrio, E. Eula, C. Grassetti, A. Manca, F. Maroi, S. Pugliatti, G. Russo, F. Santoro-Passarelli, diretto da M. d’Amelio, Firenze, 1941, 137 ss.; L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1941, 129 ss.; W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, (Parte generale), Firenze, 1941, 115 ss. e 273 ss.; C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, Milano, 1942; Id., voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), in Noviss. Dig. it., IX, Torino, 1963, 13 ss.; A. Cicu, Le successioni. Parte generale - Successione legittima e dei legittimari - Testamento, Milano, 1947, 74-76 s. e 95 ss.; Id., Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo, vol. XLII, t. 1, Milano, 1954, 248 ss.; L. Ferrara, op. cit., 657 ss., spec. 665 ss.; C. Giannattasio, Delle successioni. Disposizioni generali - Successioni legittime, in Comm. cod. civ., a cura di magistrati e docenti, Libro II, t. I, Torino, 1959, 123 ss.; L.V. Moscarini, voce Beneficio di inventario, in Enc. dir., V, Milano, 1959, 123 ss.; L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, I, Parte generale, t. III, L’eredità - Il legato - Acquisto - Perdita, Napoli, 1961, 118 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, Milano, 1962, IX ed., 398 ss.; F.S. Azzariti - G. Martinez - Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1963, IV ed., 77 ss.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, Obbligazioni e contratti. Successioni per causa di morte, Torino, 1965, VI ed., 933-935 s., nonché 948 ss.; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, L’amministrazione nel periodo successivo all’accettazione dell’eredità, Milano, 1969, II ed., 84 ss.; L. Ferri, Successioni in generale. Art. 456-511, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1972, rist. I ed., 267 ss.; A. Burdese, in G. Grosso - A. Burdese, Le successioni. Parte generale, in Tratt. dir. civ. it., diretto da F. Vassalli, vol. XII, t. I, Torino, 1977, 259 ss. e 443 ss.; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice civile, Padova, 1982, 99 ss.; Id., L’accettazione dell’eredità, in AA.VV., Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, 5, Successioni, t. I, Torino, 1997, II ed., 158 ss.; A. Palazzo, Le successioni, I, Introduzione al diritto successorio. Istituti comuni alle categorie successorie. Successione legale, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2000, II ed., 295 ss.; L. Cavalaglio, sub artt. 484-

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Giurisprudenza

samente, la Corte è ad asserire, al riguardo, come codesta aditio costituisca una fattispecie a formazione progressiva, la quale è composta da una «pluralità di atti», segnatamente da due atti (ovverosia la dichiarazione di accettazione e la compilazione dell’inventario), il cui compimento non deve necessariamente seguire un ordine rigoroso, dacché è sufficiente che entrambi siano posti in essere15, non rilevando affatto – se non per i meri adempimenti di cui all’art. 484, co. 4 e co. 5, c.c. – l’ordine nel quale essi sono compiuti. Si muove, in particolare, dall’art. 484, co. 3, c.c., ove il codificatore ha expressis verbis affermato come la dichiarazione debba essere «preceduta o seguita dall’inventario»: tale comma, specifica la Corte, consente d’individuare una fattispecie la cui realizzazione trova i propri elementi costitutivi «tanto [n]ell’uno (la dichiarazione di accettazione beneficiata), quanto [n]ell’altro (la redazione del relativo inventario) adempimento». Cercando di dare un nostro sommesso contributo (seppur misurato) alla teoria dell’accettazione col beneficio d’inventario16, e segnatamente alla struttura della medesima, riteniamo doveroso effettuare, preliminarmente, una, quantunque breve, considerazione in te-

511, in AA.VV., Delle successioni. Artt. 456-564, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, in Comm. cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Torino, 2009, 259 ss.; M. Ferrario Hercolani, L’accettazione dell’eredità con il beneficio d’inventario, in AA.VV., Tratt. dir. succ. e donazioni, diretto da G. Bonilini, I, La successione ereditaria, Milano, 2009, 1259 ss.; P. Lorefice, L’accettazione con beneficio d’inventario, in AA.VV., Tratt. breve succ. e donazioni, diretto da P. Rescigno, coordinato da M. Ieva, vol. I, Le successioni mortis causa. I legittimari. Le successioni legittime e testamentarie, Padova, 2010, II ed., 329 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, Milano, 2015, V ed., 110 ss.; G. Capozzi, Successioni e donazioni, a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, Milano, 2015, IV ed., 261 ss.; AA.VV. (spec. G. Corradi - F. Spotti; A. Natale), sub artt. 484-511, in AA.VV., Codice delle successioni e donazioni, a cura di G. Bonilini, M. Confortini, G. Mariconda, coordinato da V. Barba, G. Bonilini, A. Chizzini, M. Confortini, P. De Cesari, F. Trombetta Panigadi, P. Veneziani, Torino, 2015, 283 ss.; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2016, VIII ed., 117 ss. Su codesto tipo di accettazione, sotto l’egida del Codice del 1865, v. quantomeno: E. Pacifici-Mazzoni, Il Codice civile italiano commentato con la legge romana, le sentenze dei dottori e la giurisprudenza, vol. IX, Trattato delle successioni, V., Torino, 1929, VI, VII e VIII ed. riveduta e corredata della nuova giurisprudenza dal Sen. G. Venzi, 121 ss. e 274 ss.; N. Coviello, op. cit., 176 ss.; V. Polacco, Delle successioni, vol. II, Disposizioni comuni alle successioni legittime e testamentarie, Milano-Roma, 1937, II ed. a cura di A. Ascoli e E. Polacco, 79 ss., 100 ss. e 156 ss. Sull’origine storica del beneficium inventarii, in ispecie in ottica romanistica, v. l’interessante Opera di R. Reggi, Ricerche intorno al beneficium inventarii, Milano, s. d., spec. 3 ss., ove ivi ampi riferimenti bibliografici. Ancóra, per una generale ricognizione storica dell’istituto, specialmente movendo dall’origine romanistica del beneficium inventarii, v. soprattutto: A. Butera, op. cit., 77 ss.; A. Azara, op. cit., 140 ss. (ivi, non mancano neppure interessanti spunti comparatistici, talvolta, anch’essi, d’origine storica); succinti cenni storici trovansi, altresì, in W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 115 s.; L.V. Moscarini, op. cit., 124. Adde V. Polacco, op. cit., 80 e 81. 15 Sulla compilazione dell’inventario leggasi pure l’art. 510 c.c. (su cui v., specialmente, A. Butera, op. cit., 104 e 105, cui adde C. Giannattasio, op. cit., 188 e 189). Si badi: la struttura dell’accettazione dell’eredità col beneficio d’inventario, a nostro parere, non muta ancorché si consideri il fatto che l’inventario possa essere financo compilato, giusta l’art. 510 c.c., da un chiamato diverso rispetto a quello che ha effettuato la dichiarazione di accettazione. Anche in questo caso, invero, ciò che rileva, affinché possa ritenersi completato siffatto procedimento, è la necessaria compilazione dell’inventario, a prescindere da quale sia il soggetto che effettivamente dia esito a tale operazione giuridica. In altri termini: anche per tal caso il legislatore richiede, quali elementi indefettibili, al fine del perfezionamento del procedimento di accettazione col beneficium inventarii, sia la dichiarazione, sia la compilazione dell’inventario. 16 Tale tipo di accettazione venne per la prima volta previsto da Giustiniano con la l. 22 Cod. de jure deliberandi, 6,30. Cfr. N. Coviello, op. cit., 177; V. Polacco, op. cit., 81. V. pure § 6 Inst. de her. qualitate et differentia 2.19, quale privilegio concesso da Gordiano ai militari. Specialmente, sulla dottrina giustinianea in tema di beneficium inventarii, per un’analisi attenta del Corpus Iuris, v. R. Reggi, op. cit., 55 ss. ma anche 129 ss.

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ma di “complesso degli atti”17 (o, più in generale, di fatti giuridici18 volontari, complessi19). Con quest’ultima locuzione s’intende tratteggiare un crogiuòlo di (meri20) atti giuridici21, fra loro collegati (collegamento risultante ora dalla volontà delle parti medesime, ora dalla volontà della legge), i quali mirano alla produzione di un determinato effetto giuridico.

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L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 175. V. pure E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 308, il quale, a fianco dei negozi semplici, individua i «[…] negozi che risultano dalla fusione organica e inscindibile di più atti senza efficacia a sé stante», ovverosia i negozi complessi. 18 Sul concetto di fatto giuridico, e relativi corollari, con diversità di accenti v.: S. Pugliatti, Istituzioni di diritto civile, III, L’attività giuridica, Milano, 1935, II ed., 49 ss.; L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 7 ss.; F. Carnelutti, op. cit., 255 ss.; L. Ferrara, op. cit., 40 ss.; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 1 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 443 ss.; C. Maiorca, voce Fatto giuridico - Fattispecie, in Noviss. Dig. it., VII, Torino, 1961, 111 ss.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, cit., 253 ss.; A. Falzea, voce Fatto giuridico, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 941 ss.; F. Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2002, II ed., 1 ss. V. anche P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, II, Interpretazione sistematica e assiologica. Situazioni soggettive e rapporto giuridico, Napoli, 2006, III ed., 597, il quale, seccamente, afferma: «Fatto giuridico è qualsiasi evento idoneo, secondo l’ordinamento, ad avere giuridica rilevanza». Degno d’essere notato, altresì, è quanto scrisse sempre Id., op. cit., 612-614, in tema d’interpretazione e qualificazione del fatto giuridico. 19 «Tutti i fatti giuridici [quindi, anche il fatto giuridico volontario] si distinguono in semplici o complessi a seconda che constano di un elemento solo o di più elementi […]. Nei fatti complessi gli elementi talora possono realizzarsi in tempi diversi, tal’altra debbono […]»: così, con icastica rappresentazione, L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 11 s. V. eziandìo S. Pugliatti, Istituzioni di diritto civile, III, L’attività giuridica, cit., 66: «Rispetto alla costituzione [i fatti giuridici] possono essere: semplici, se risultino costituiti da un solo elemento di fatto […]; complessi o composti, se risultino costituiti da più elementi di fatto […]». 20 Sul concetto di mero atto giuridico, distinto dall’atto giuridico in senso stretto, v. almeno L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 43 ss.; F. Santoro-Passarelli, op. cit., 106 e 107 s. 21 Sulla nozione di atto giuridico, quale fatto giuridico (volontario) rilevante (su cui v., esemplarmente, L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 7, il quale apre la propria monumentale Opera in siffatto modo: «Nell’infinita varietà dei fatti, alcuni sono giuridicamente irrilevanti ed altri giuridicamente rilevanti, ossia ad alcuni non è collegato alcun effetto nell’ordinamento giuridico, che è ad essi indifferente, ad altri, al contrario, è collegato un effetto giuridico. I fatti che danno luogo ad un effetto giuridico hanno nome di fatti giuridici»; si soggiunse (ivi, 10): «I fatti volontari, appunto, perchè posti in essere dall’uomo, diconsi più brevemente “atti”»; l’A., poi, seccamente (ivi, 11) conclude: «[…] i fatti giuridici si distinguono in naturali e volontari. Questi ultimi si possono dire semplicemente “atti giuridici” in genere […]»), v. specialmente: Id., Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 38 ss.; R. Scognamiglio, op. cit., 158; F. Santoro-Passarelli, op. cit., 106 e 125. Più in generale, v. anche C. Maiorca, op. cit., 114 e 115. V. pure, plasticamente, A. Butera, op. cit., 63: «Nel fatto giuridico è compreso l’atto o [il] negozio giuridico». Per una particolare lettura, che tiene separati fatto e atto, quasi a voler distinguere nettamente le due figure, v. E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 7 ss.; Id., voce Atti giuridici, in Noviss. Dig. it., I2, Torino, 1957, 1504-1508 (spec. 1505); D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, cit., 324. V. anche S. Pugliatti, Istituzioni di diritto civile, III, L’attività giuridica, cit., 50: «I fatti umani presuppongono non soltanto l’attività dell’uomo, sibbene l’attività umana cosciente e volontaria, e vengono denominati atti giuridici. Essi costituiscono la più importante categoria di fatti giuridici».

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Può, in altri termini, discorrersi di fattispecie22 complessa23 (o di fatto complesso24, o di atto complesso25), scaturente da più atti, financo di dissimile natura26: vale a dire, può anche sussistere un collegamento, ad esempio, fra un negozio giuridico27 e un mero atto giuridico, che negozio non sia28. Orbene, posta questa doverosa considerazione, addiveniamo ora a tratteggiare, con più precisione, la struttura dell’istituto oggetto del caso di specie. L’accettazione col beneficio d’inventario, giusta l’art. 484 c.c., si compone, come già suaccennato, di una serie di atti giuridici: la dichiarazione29 – non recettizia, giacché è rivolta a soggetti indeterminati30 – che il chiamato è tenuto ad effettuare (co. 1), individuabile come un atto soggettivamente e oggettivamente semplice31, che, in tal caso, è un tipico

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Sul concetto, generale, di fattispecie, v. A. Cataudella, Note sul concetto di fattispecie giuridica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, 433 ss. (spec. 462 ss.); Id., voce Fattispecie, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 926 ss. Adde E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 2; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 443 e 444; C. Maiorca, op. cit., 111 ss.; F. Santoro-Passarelli, op. cit., 103. 23 L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 176; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 443; C. Maiorca, op. cit., 125 e 126; P. Perlingieri, op. cit., 609: «La fattispecie complessa può essere strutturalmente composta di fatti di diversa natura – atti del privato, atti della pubblica amministrazione […] –, ciascuno con una propria autonoma rilevanza giuridica, ma tutti insieme volti alla produzione di un effetto finale, giacché la funzione di tali fatti è unitaria»; F. Santoro-Passarelli, op. cit., 103 e 104. Al riguardo, v. anche Cass., 29 settembre 2004, n. 19598, cit., che, escludendo tale struttura, discorre di «negozio giuridico complesso». Noi riteniamo che tale locuzione sia impropria, giacché questa fattispecie è costituita sia da un negozio giuridico, ossia la dichiarazione di accettazione, sia da meri atti giuridici, che negozi non sono, ossia, ad esempio: la redazione dell’inventario, l’inserzione della dichiarazione nel registro delle successioni nonché la sua trascrizione presso l’ufficio dei registri immobiliari del luogo ove s’è aperta la successione, etc. 24 P. Perlingieri, op. cit., 608-610. 25 F. Carnelutti, op. cit., 426 e 427 s. 26 Così, L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 176. 27 Sul punto, riteniamo doveroso, seppur di passata, richiamare le vibranti parole di F. Carnelutti, op. cit., 273, il quale asserisce che «la figura del negozio giuridico è veramente una delle maggiori scoperte della nostra scienza dell’ottocento; forse [soggiunse l’A.] il passo più importante, che si sia compiuto per la costruzione della teoria dinamica del diritto». 28 Cfr. L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 176. 29 Tale dichiarazione, invero, è vòlta sia ad accettare l’eredità, sia a voler profittare del beneficio, di cui agli artt. 484 ss. c.c. Dichiarazione che, di necessità, dev’essere espressamente manifestata: L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, cit., 118 e 123; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 409 (ma v. anche, più in generale, Id., Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 480 s.); D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 933; L. Ferri, op. cit., 211; A. Burdese, op. cit., 259, 260 e 264; A. Palazzo, op. cit., 253 e 296; M. Ferrario Hercolani, op. cit., 1263; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 112 e 119. Più in generale, v. F. Santoro-Passarelli, op. cit., 140. Adde E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 130; V. Polacco, op. cit., 79. Si scorga, nuovamente, A. Burdese, op. cit., 261 (ma v. pure 231 e 242): «Sembra dunque trattarsi di una dichiarazione di volontà in sé unitaria, non scindibile in due distinte dichiarazioni di volontà, l’una di accettazione ereditaria, e l’altra di utilizzazione del beneficio: è in tal senso la lettera della legge che parla dell’accettazione col beneficio di inventario come di un modo di accettazione contrapposto all’accettazione pure e semplice, sicché, almeno di regola, al chiamato spetterà il diritto di accettare, in alternativa, o in [un] modo o nell’altro […]». Più in generale, codesta dichiarazione è una mera dichiarazione di volontà, ovverosia «L’elemento fondamentale del negozio giuridico»: F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 479. 30 F. Santoro-Passarelli, op. cit., 139. Ritiene, invece, come tale dichiarazione sia intessuta del carattere della recettizietà, A. Freni Vadalà, Accettazione dell’eredità con il beneficio d’inventario e pubblicità, in AA.VV., Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, vol. I, t. 1, Diritto civile, Milano, s. d., ma 1978, 794. 31 «Atto soggettivamente semplice è quello che emana da una sola persona fisica; si può dire anche atto unipersonale o individuale. Atto oggettivamente semplice è quello che ha un unico oggetto o contenuto uniforme, ad esempio contiene una sola manifestazione di volontà [com’è a dirsi, giustappunto, per il caso della dichiarazione richiesta dall’art. 484, co 1, c.c.]»: L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 173.

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negozio giuridico32 di diritto privato, unilaterale33 (poiché produce effetti ex uno latere34), da rendersi in forma solenne35; l’inserzione della dichiarazione – ricevuta dal notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario ove s’è aperta la successione36 – nel registro delle successioni37, conservato presso il medesimo tribunale (co. 1, nonché artt. 52 e 53 disp. att. c.c.), inserzione che è un mero atto giuridico; la trascrizione della dichiarazione38, da parte del cancelliere, presso l’ufficio dei registri immobiliari, locato nel luogo ove s’è aperta la successione (cpv.): trattasi, anche in tal caso, di un mero atto giuridico; la formazione

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Più in generale, dunque, trattasi di una manifestazione «di volontà diretta ad un fine tutelato dall’ordinamento giuridico»: L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 38. Adde, esemplarmente, S. Pugliatti, Istituzioni di diritto civile, III, L’attività giuridica, cit., 87: «[…] il negozio giuridico si può definire: un atto di volontà libero, tendente ad un fine pratico tutelato dall’ordinamento giuridico, e produttivo, in conseguenza di tale tutela, di determinati effetti giuridici»; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 460: «Il negozio giuridico […] consiste, di regola […], in quella speciale figura di atto giuridico, che si chiama dichiarazione di volontà […]. Deve trattarsi di volontà di privato (volontà privata) […]. Più precisamente, negozio giuridico è una dichiarazione di volontà (privata), o un complesso di dichiarazioni di volontà (private), dirette alla produzione di dati effetti giuridici –– anche se non chiaramente e interamente previsti da chi emette la dichiarazione e da costui concepiti, come effetti meramente, o prevalentemente, economici e pratici –– che l’ordinamento giuridico riconosce e garantisce –– di regola –– nei limiti della corrispondenza, o congruità, fra essi e la volontà che li persegue e in quanto si tratti di effetti non-illeciti»; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, cit., 333; F. Santoro-Passarelli, op. cit., 106, 125 e 126. Particolare, oltreché nota, lettura, in aperto contrasto con la teoria (scilicet: dogma) della volontà, è quella di E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 51 ss. V. pure, segnatamente, relativamente all’accettazione col beneficio d’inventario: L. Ferri, op. cit., 270; A. Burdese, op. cit., 261 e 267; G. Capozzi, op. cit., 270. Per una ricognizione sulla definizione di negozio giuridico, v. l’interessante disamina, con proprie personali conclusioni, di R. Scognamiglio, op. cit., 31 ss. Degna d’essere letta è anche l’Opera di G.B. Ferri, Il negozio giuridico, Padova, 2004, II ed., spec., ai fini che qui interessano, 31 ss. Per maggiori riferimenti bibliografici in tema di negozio giuridico, ci sia consentito rinviare al nostro Contratto di transazione e patto successorio rinunziativo, in questa Rivista, 2019, 640 ss. (passim), nota a Cass., 15 giugno 2018, n. 15919. 33 Il negozio unilaterale è quel negozio che si compone di una dichiarazione di volontà di una sola parte (come, ad esempio, l’accettazione dell’eredità: L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 135, ma v. anche 174); ergo, ben può ricomprendersi, in seno a tale tipo di negozio, la dichiarazione di cui all’art. 484, co. 1, c.c. V. pure: S. Pugliatti, Istituzioni di diritto civile, III, L’attività giuridica, cit., 182; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 310 s.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 464; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, cit., 339; P. Perlingieri, op. cit., 603; F. SantoroPassarelli, op. cit., 211. Già C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 339, ebbe ad asserire come «la dichiarazione dell’erede […] sia per sé stessa un atto semplice unilaterale». V. pure A. Butera, op. cit., 78. A tale dichiarazione, essendo un negozio giuridico unilaterale, si applicherà la disciplina richiamata dall’art. 1324 c.c. (cfr., sul punto, M. Ferrario Hercolani, op. cit., 1263). V. anche A. Freni Vadalà, op. cit., 794. In giurisprudenza, v. almeno Cass., 29 settembre 2004, n. 19598, cit. 34 F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 464. 35 «Infatti, a garanzia di una più sicura determinazione e di una più riflessiva formulazione della volontà […], la legge esige per certi negozi, i quali si dicono perciò formali o solenni, che il negozio abbia una certa forma, costituita dalla dichiarazione e dalla documentazione, mediante scrittura privata o atto pubblico»: F. Santoro-Passarelli, op. cit., 144 (ma v. pure 208), il quale, donde, quale esempio richiama, fra le altre disposizioni, l’art. 484, co. 1, c.c. Cfr. G. Gabrielli, op. cit., 225 ss. 36 Vedasi A. Freni Vadalà, op. cit., 782 s. (ivi compresa nt. 10). 37 Cfr. S. Pugliatti, La trascrizione, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo, vol. XIV - I, t. I, La pubblicità in generale, Milano, 1957, 338 e 352. Specifica A. Freni Vadalà, op. cit., 821, che all’erede «[…] può attribuirsi una richiesta di inserimento, nel registro delle successioni, della […] dichiarazione. In questa ipotesi, più correttamente si può parlare di semplice impulso a che altri compia la registrazione». 38 Da tale capoverso, è stato rilevato da A. Freni Vadalà, op. cit., 783, «si individuano l’interesse a che la dichiarazione di accettazione con il beneficio d’inventario sia conoscibile ai terzi e l’interesse a che ciò avvenga in breve tempo (“entro un mese”)».

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dell’inventario, che può precedere o seguire la dichiarazione39 (co. 3): trattasi, anche qui, di un mero atto giuridico40. Tutti questi atti, com’è evidente, sono mirati alla realizzazione di un unico fine: consentire il prodursi dell’effetto dell’accettazione beneficiata, in guisa da mantenere separato (commodum separationis), giusta l’art. 490, co. 1, c.c.41, il patrimonio del defunto da quello dell’erede42, limitando dunque la responsabilità intra vires hereditatis43 (o, meglio, ut in tantum hereditariis creditoribus teneantur, in quantum res substantiae ad eos devolutae valeant44), ond’è evidente l’espressa limitazione della responsabilità patrimoniale, giusta l’art. 2740, co. 2, c.c.45. Tale responsabilità è quindi da intendersi cum viribus hereditatis46

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C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 343 s. Più in generale, v. L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 43 s. Tale A. (Id., Le successioni per causa di morte, cit., 119) qualifica siffatta operazione di stesura come un atto giuridico in senso stretto (in questa direzione, v. pure L. Ferri, op. cit., 270). Al riguardo, qualora si movesse dalla (e si aderisse alla) nozione di atto giuridico in senso stretto fornitaci da F. SantoroPassarelli, op. cit., 106 e 107 s., l’asserzione posta in essere da tali Autori sarebbe senz’altro da respingersi. Per il caso specifico, v. anche A. Burdese, op. cit., 267 e G. Capozzi, op. cit., 270: codesti Autori sottolineano come tale operazione rappresenti, più propriamente, un atto giuridico consistente in un’operazione. Ad avviso di F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 410, l’inventario rappresenta una mera dichiarazione di scienza. 41 Sugli effetti del beneficio d’inventario, v.: A. Azara, op. cit., 167-170; A. Butera, op. cit., 85-86 s.; L. Barassi, op. cit., 134 e 135 s.; W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 273 ss.; C. Giannattasio, op. cit., 144-149 s.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 398 ss.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 948-951; L. Ferri, op. cit., 284 ss.; A. Burdese, op. cit., 259 ss.; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 120-122; A. Palazzo, op. cit., 299-303; C.M. Bianca, op. cit., 112113 s.; G. Capozzi, op. cit., 289-292; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 120 e 121. Per una critica alla formulazione «infelice» dell’art. 491, co. 1, c.c., v. C. Vocino, voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 25 e 26. 42 Per talune considerazioni, sul punto, v. M. Ferrario Hercolani, op. cit., 1261, 1262, 1290 e 1291. V. pure U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 84 ss. e 117 ss. 43 A. Butera, op. cit., 78; A. Azara, op. cit., 167 e 169; L. Barassi, op. cit., 129, 130, 134 e 135; W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 273, 274 e 275; G. Russo, op. cit., 103; R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 387; C. Giannattasio, op. cit., 125 e 145; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 400 s., 401, 404 e 405 s.; C. Vocino, voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 16 e 17; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 926, 935, 949 e 950; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, I, cit., 232; Id., L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 85 ss. (passim), spec. 93; P. Schlesinger, voce Successioni (Diritto civile): parte generale, in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, 761 e 764; L. Ferri, op. cit., 286 ss.; A. Burdese, op. cit., 262 e 445; A. Freni Vadalà, op. cit., 777 ss. (passim); Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 121; A. Palazzo, op. cit., 295, 299 e 302; M. Ferrario Hercolani, op. cit., 1264; C.M. Bianca, op. cit., 110; G. Capozzi, op. cit., 290; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 103, 112 e 120. Adde E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 281; N. Coviello, op. cit., 177; V. Polacco, op. cit., 80. 44 l. 22 § 4 Cod. de iure delib. 6,30: «Et si praefatam observationem inventarii faciendi solidaverint, et hereditatem sine periculo habeant et legis Falcidiae adversus legatarios utantur beneficio ut in tantum hereditariis creditoribus teneatur, in quantum res substantiae ad eos devolutae valeant». 45 L. Coviello jr., Diritto successorio (Corso di lezioni), Bari, 1962, 499 (nt. 22); C. Vocino, voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 17; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 93 s. Per un breve cenno sull’art. 2740 c.c., più in generale, v. U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 91; A. Burdese, op. cit., 449. Adde G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 121. 46 Sul punto, v. almeno: A. Azara, op. cit., 169; L. Barassi, op. cit., 135; C. Giannattasio, op. cit., 147 s.; L.V. Moscarini, op. cit., 125; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 405; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 139; A. Burdese, op. cit., 449 e 450 s.; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 121. Nella giurisprudenza di legittimità, v. Cass., 29 dicembre 2016, n. 27364, in DeJure; Cass., 29 aprile 1993, n. 5067, in Mass. Foro it., 1993, I, 498; in quella di merito, v. Trib. Pesaro, 9 luglio 2017, in DeJure; Trib. Parma, 25 settembre 2013, in DeJure, Se l’erede debba rispondere pagando soltanto con beni ereditari, cioè a dire cum viribus hereditatis, oppure fino a concorrenza del valore dei beni ereditari anche col proprio patrimonio, cioè a dire pro viribus hereditatis, è questione che ha animato sovente la dottrina, in ispecie sotto l’egida del Codice Pisanelli. Per una responsabilità pro viribus, v. almeno V. Polacco, op. cit., 159; in giurisprudenza, v. Cass., 20 maggio 1980, n. 3308, in Foro it., 1980, I, 2499 e in Giust. civ., 1980, I, 2184, nonché Cass., 10 luglio 1973, n. 1990, in Rep. Foro it., 1973, voce Successione legittima o testamentaria, n. 43. 40

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e non già secundum vires47, atteso quanto stabilito dagli artt. 490, co. 2, n. 2, 495, co. 248, c.c., nonché soprattutto dall’art. 497 c.c.49. Orbene, al lume di quanto fino ad ora tracciato, può bensì affermarsi come la struttura di un’accettazione di tal fatta sia, di necessità, una struttura complessa50, costituita da un complesso di atti51 (o da una combinazione di atti giuridici52, che dir si voglia), i quali, a loro volta, dànno vita a quella che, comunemente, viene definita fattispecie complessa53. Il legame intercorrente fra tali atti54 (che, unitamente considerati, dànno vita all’atto collettivo55) determina senz’altro il raggiungimento dell’effetto di cui all’art. 490, co. 1, c.c. Si badi: per atto collettivo intendiamo riferirci ad un unico atto, il quale, quasi come se fosse un puzzle, è costituito a sua volta da una pluralità di atti fra loro diversi e fra loro combinati: la ragione dell’unità dell’effetto, cui dànno vita tali singoli atti, è da rinvenirsi ora nell’unità della funzione (cioè a dire, più precisamente, l’identità della causa di ciascun atto con la causa degli altri atti), ora nell’interconnessione fra le funzioni (cioè a dire, più precisamente, l’interrelazione della causa di ciascun atto con la causa degli altri atti)56. Volendo ulteriormente specificare, trattasi di atto concorsuale, segnatamente di un atto collettivo pluripersonale, giacché v’ha una pluralità di soggetti che pongono in essere tali atti57. Con particolare riferimento alla struttura di tale accettazione, la Corte, ripetiamo, seccamente afferma come essa costituisca «una fattispecie a formazione progressiva che si compone d’una pluralità d’atti […]»: ebbene, tale asserzione necessita di una minuta, quantunque essenziale, precisazione58.

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Così, F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 405. Speculare all’art. 968 del Codice Pisanelli. 49 Per una comparazione, v. l’art. 969 del Codice Pisanelli. 50 Cfr. C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 336; Id., voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 20. Adde, seppur con minore fermezza, A. Freni Vadalà, op. cit., 785. 51 Ognuno di questi atti, pertanto, è da considerarsi come un elemento costitutivo del negozio principale, che è, nella specie, l’accettazione. Cfr. C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 338. 52 Così, C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 337. 53 Cfr. pure U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 173; P. Lorefice, op. cit., 332. Contra, v. G. Gabrielli, op. cit., 229. Per una diversa considerazione della struttura di codesta accettazione, con varietà d’opinioni, v.: C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 335 ss., il quale (spec. 342) rannoda tale accettazione alla particolare figura dell’«atto-procedimento» (su cui v. almeno, in generale, S. Pugliatti, Istituzioni di diritto civile, III, L’attività giuridica, cit., 76 ss.); Id., voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 20; A. Burdese, op. cit., 262-263 s. (ma v. pure 267), ritiene che «l’accettazione beneficiata sia sufficiente di per sé a determinare acquisto beneficiato dell’eredità, nel senso di impedire la confusione tra patrimonio ereditario e rispettivamente non ereditario dell’accettante non con beneficio»; A. Palazzo, op. cit., 295 ss.; M. Ferrario Hercolani, op. cit., 1263 ss.; C.M. Bianca, op. cit., 111; G. Capozzi, op. cit., 264 e 265; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 122. 54 L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 175. 55 La voce “atto complesso”, si badi, «è usata per la denotazione del genus», cui, nel suo seno, rientra la species “atto collettivo”. 56 F. Carnelutti, op. cit., 428. 57 F. Carnelutti, op. cit., 428 e 429. 58 Si badi: a differenza di Cass., 29 settembre 2004, n. 19598, cit., noi riteniamo come non sia contraddittorio l’attribuire, alla struttura di un’accettazione di tal fatta, gli aggettivi “fattispecie a formazione progressiva” e “fattispecie complessa” (la Corte, precisamente, discorre, come già s’è visto supra in nt. 23, di «negozio giuridico complesso»). Invero, una fattispecie complessa, costituita da un complesso di atti, può bensì colorarsi dell’aggettivo “progressiva” allorquando gli atti da cui essa è composta possano essere compiuti in un progressivo lasso di tempo, e non necessariamente tutti istantaneamente. Il fatto che l’inventario possa precedere o seguire la dichiarazione, ne è un lampante esempio. 48

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Gli atti – fra loro coordinati, anche in tempi successivi, per realizzare gli effetti dell’accettazione beneficiata – che compongono tale struttura a formazione successiva59, ora assumono carattere autonomo60, rilevando talvolta anche a prescindere dal compimento degli altri atti, ora carattere necessariamente interdipendente. Quest’ultima affermazione riteniamo sia da avvalorarsi allorché si considerino gli effetti del mancato compimento di uno di tali atti. Invero, argomentando, ad esempio, dall’art. 485, co. 3, c.c., l’inventario, ancorché non accompagnato dalla dichiarazione, assume comunque rilevanza per l’ordinamento, facendo divenire, trascorso un dato termine senza che sia intervenuta accettazione (espressa) o rinunzia, il chiamato erede puro e semplice; così come l’art. 488, co. 1, c.c., ove assume valore autonomo – per l’accettazione pura e semplice – la mera dichiarazione; ancóra, ai sensi dell’art. 487, co. 2, c.c., la mera dichiarazione (art. 487, co. 1, c.c.), ancorché non accompagnata dall’inventario, assurge ad elemento necessario affinché il chiamato sia considerato erede puro e semplice. Unico caso in cui tali atti assumono, invece, necessario carattere d’interdipendenza, è rappresentato dall’ultimo cpv. dell’art. 487: in assenza della dichiarazione, che qui necessariamente deve accompagnare l’inventario, il chiamato è considerato decaduto dal diritto di accettare l’eredità; sicché gli atti giuridici de quibus, se presi singolarmente, non hanno ragion d’essere. Per il caso di enti morali, potendo questi adire solo col beneficio d’inventario, gli atti componenti la procedura di accettazione hanno, di necessità, carattere squisitamente interdipendente: nel caso in cui difetti uno dei due atti (accettazione o inventario), come si dirà a breve61, non potranno trovare applicazione le disposizioni che prevedono l’accettazione pura e semplice, posta la salda disposizione calata nell’art. 473, co. 1, c.c., ergo l’accettazione si avrà come non compiuta62. L’eventuale singolo atto già posto in essere, in altre parole, non rileva affatto per l’ordinamento giuridico. Ulteriore considerazione, in punto di struttura dell’atto di accettazione col beneficio d’inventario, muove da quella che riteniamo essere la “fattispecie-procedimento” (o anche, se si preferisce, e più semplicemente, il procedimento giuridico63), vale a dire quella fattispecie composta da una pluralità di fatti (id est, più precisamente, atti giuridici) fra loro collegati dalla funzione unitaria (rectius: dall’unità di causa) cui sono rivolti, fatti che debbono compiersi secondo un determinato ordine logico e cronologico (cronologia che non sempre è da ritenersi rigida, com’è a dirsi giustappunto per il caso di accettazione beneficiata, ove la dichiarazione, come visto, può essere preceduta o seguìta dall’inventa-

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A. Freni Vadalà, op. cit., 798. Cfr. A. Freni Vadalà, op. cit., 798. 61 V. infra, § 3. 62 In giurisprudenza, oltre alla pronunzia in commento, v. pure Cass., 12 aprile 2017, n. 9514, cit. 63 «Il fatto complesso, quando consiste in un insieme di fatti e/o di atti legati sotto un profilo logico-funzionale tendente ad un effetto unitario e finale, assume la qualifica di procedimento giuridico»: P. Perlingieri, op. cit., 609. Sulla mera nozione di “procedimento”, v. almeno S. Pugliatti, Istituzioni di diritto civile, III, L’attività giuridica, cit., 75 e 76. Sul “procedimento” nel diritto privato, più in generale, v. l’Opera, densa di significato, di Salv. Romano, Introduzione allo studio del procedimento giuridico nel diritto privato, Milano, 1961. 60

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rio64), ordine che è richiesto per il corretto e regolare svolgimento della fattispecie65. Con specifico riferimento al caso di specie, la struttura in questione si può senz’altro ritenere sussumibile in seno al perimetro di quel genus che abbiamo definito “fattispecieprocedimento”: difatti, in questo caso v’ha un insieme di atti coordinati fra loro al fine di raggiungere il risultato finale di cui all’art. 490 c.c., fattispecie in cui un atto, la dichiarazione, si presenta come principale66, là dove gli altri atti si presentano, invece, come complementari, i quali seguono o precedono l’atto principale67. Quid iuris: nel caso in cui mancasse anche solo uno di tali atti? Orbene, la connessione68 fra i predetti atti, si badi, scorgendo il dettato normativo pare essere ictu oculi ritenuta necessaria, ragion per cui, sempre prima facie, la mancanza anche di una sola delle incombenze (alias: atti) citate, che la legge indica nell’art. 484 c.c. (i cui termini, quanto alla dichiarazione o al compimento dell’inventario, variano a seconda che il chiamato abbia posto in essere prima l’una o l’altro, e che sia, o no, nel possesso dei beni ereditari, giusta quanto previsto dagli artt. 485 e 487 c.c.), pare determinare la mancata realizzazione degli effetti del beneficium. A nostro avviso, tuttavia, così non è. Invero, noi riteniamo che gli unici elementi costitutivi richiesti dalla legge, per così dire, “a pena di mancata efficacia”69 del beneficium inventarii70, siano solamente la dichiarazione proveniente dal chiamato e la compilazione dell’inventario71; unica ipotesi, in tema di accettazione con beneficio, espressamente prevista dal legislatore quale ipotesi di decadenza dal mero diritto di accettare l’eredità, sulla quale torneremo72, è quella scolpita nell’art. 487, co. 3, c.c. Per quanto attiene agli altri due atti – ossia l’inserzione e la trascrizione – della fattispecie, è d’uopo effettuare una minuta precisazione, giacché essi rappresentano adempimenti

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Sulla nozione “inventario”, nel diritto romano, v. L. Capogrossi Colognesi, voce Inventario (Diritto romano), in Noviss. Dig. it., IX, Torino, 1963, 1 e 2 s.; P. Voci, voce Inventario (dir. rom.), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 629 ss.; nel diritto vigente, v. E. Scuto, voce Inventario (diritto vigente), in Noviss. Dig. it., IX, Torino, 1963, 3 ss.; B. Comunale, voce Inventario (dir. priv.), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 632 ss. 65 F. Santoro-Passarelli, op. cit., 103 s. 66 V. infra, § 4. 67 F. Santoro-Passarelli, op. cit., 104. 68 Discorre, chiaramente, di “collegamento fra i due atti” (testualmente: «esiste fra i due atti un collegamento […]»), ovverosia fra l’accettazione beneficiata e l’inventario, L. Ferri, op. cit., 270. 69 Cfr. A. Freni Vadalà, op. cit., 798. 70 Sul beneficio d’inventario, nel diritto romano, v. almeno G. Scherillo, voce Inventario (beneficio di) (Diritto romano), in Noviss. Dig. it., IX, Torino, 1963, 8 ss., cui adde C. Vocino, voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 15 s. 71 Cfr. A. Butera, op. cit., 78 e 79; C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 338; L. Coviello jr., op .cit., 423 s.; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 173, il quale afferma: «[…] la sola dichiarazione di accettazione non rappresenta che un momento della fattispecie causale del beneficio, i cui effetti si producono soltanto quando si aggiunga la compilazione dell’inventario. In questa affermazione c’è, senza dubbio, un elemento di verità: ed è che il beneficio non può trovare attuazione se, oltre alla dichiarazione di accettazione, non intervenga anche la redazione dell’inventario, cioè la “descrizione fedele e particolareggiata di tutti i cespiti costituenti l’asse ereditario”». Tuttavia l’A., sùbito dopo (ivi, 175 ss.), pare modificare quanto testé abbiamo riportato, ove espressamente disattende la teoria secondo la quale la formazione dell’inventario è un presupposto degli effetti del beneficio; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 102; P. Lorefice, op. cit., 333. Cfr. pure E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 130; N. Coviello, op. cit., 178. In giurisprudenza, cfr. almeno Cass., 15 luglio 2003, n. 1130, cit. 72 V. infra, § 3.

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attenenti al mero piano pubblicitario73 e non già al piano, per così dire, ad substantiam, cui invece attengono la dichiarazione e l’inventario. Questi ultimi, si badi, debbono essere considerati – al lume della natura di fattispecie a formazione progressiva dell’accettazione col beneficio d’inventario – sullo stesso piano di rilevanza e ritenuti, dunque, entrambi indispensabili ai fini del beneficium: la legge, difatti, non prevede né una necessaria successione cronologica fra i due atti, né una distinta disciplina sul piano effettuale74. Per quanto concerne l’inserzione75 della dichiarazione nel registro delle successioni76, essendo compito del cancelliere77 (d’ufficio, ex art. 52, cpv., secondo periodo, disp. att. c.c., se la dichiarazione è da lui direttamente ricevuta o se trattasi di provvedimento del tribunale, ovvero su istanza della parte, ex art. 52, cpv., terzo periodo, disp. att. c.c., se la dichiarazione è ricevuta da un notaio78 – il quale, in ogni caso, ha l’obbligo della presentazione in cancelleria dell’atto di accettazione con beneficio79, ai sensi, con i dovuti adattamenti, dell’art. 2, co. 1, secondo periodo, e co. 2, del Regio decreto 10 settembre 1914, n. 1326, che richiama l’art. 1, cpv., n. 3 della Legge 16 febbraio 1913, n. 8980 –, mediante

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V., sul punto, per talune profuse considerazioni, A. Freni Vadalà, op. cit., 805 ss. V. pure, più in generale, A.M. Sandulli, Il procedimento amministrativo, Milano, 1964, 10. 74 Sul punto, v. specialmente Cass., 15 luglio 2003, n. 11030, cit.: «Disponendo che “l’accettazione col beneficio d’inventario si fa mediante dichiarazione …” e che questa “deve essere preceduta o seguita dall’inventario”, l’art. 484 c.c. chiaramente delinea una fattispecie a formazione progressiva, per la cui realizzazione i due adempimenti sono entrambi indispensabili, come suoi elementi costitutivi: sia la prevista indifferenza della loro successione cronologica, sia la comune loro configurazione in termini di necessarietà, sia la mancanza di distinte discipline dei loro effetti, fanno apparire ingiustificata l’attribuzione all’uno dell’autonoma idoneità a dare luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto dell’altro. Dunque la dichiarazione, di per sé, ha bensì una propria immediata efficacia, poiché comporta il definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato e quindi il suo subentro in universum ius defuncti, compresi i debiti del de cuius, ma non incide sulla limitazione della relativa responsabilità intra vires hereditatis, che è condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell’inventario, mancando il quale l’accettante “è considerato erede puro e semplice” (artt. 485, 487, 488 c.c.), non perché abbia perduto ex post il beneficio, ma perché lo ha conseguito ab initio». V. anche Cass., 12 aprile 2017, n. 9514, cit.; Cass., 9 agosto 2005, n. 16739, cit.; Cass., 29 settembre 2004, n. 19598, cit. Nella giurisprudenza di merito, seppur risalente, v. App. Roma, 9 luglio 1962, in Rep. Foro it., 1962, voce Successione legittima o testamentaria, n. 36; Trib. Firenze, 10 gennaio 1958, in Giur. tosc., 1958, 522. 75 Per talune interessanti considerazioni sul punto, con richiamo altresì della Relazione al Progetto definitivo nonché dei Lavori preparatori, v. A. Azara, op. cit., 153 (nt. 1) e 154 (prosieguo nt. 1). Sulla pubblicità ereditaria, con particolare riguardo ai registri di cancelleria (ivi inclusa, pertanto, l’inserzione della dichiarazione, o accettazione che dir si voglia, beneficiata dell’eredità), v. specialmente C. Coppola, La pubblicità ereditaria nei registri di cancelleria, in Fam. pers. succ., 2007, 917 ss. Sul regime della pubblicità, con specifico riferimento all’accettazione dell’eredità col beneficio d’inventario, v. profusamente A. Freni Vadalà, op. cit., 777 ss., spec. 807 ss. 76 Sul punto, giova cennare che è venuta meno (rectius: è stato abrogata), seppur tacitamente, per opera del Codice civile del 1942, segnatamente mercé l’art. 484 c.c., la disposizione racchiusa nel secondo periodo del co. 2, n. 3, dell’art. 1 Legge 16 febbraio 1913, n. 89. Cfr. A. Burdese, op. cit., 265 s. 77 C. Giannattasio, op. cit., 129; A. Burdese, op. cit., 265; A. Freni Vadalà, op. cit., 822; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 102; G. Capozzi, op. cit., 268. 78 U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 195; G. Capozzi, op. cit., 269. Adde C. Coppola, La pubblicità ereditaria nei registri di cancelleria, cit., 919. 79 A. Freni Vadalà, op. cit., 821 (anche nt. 106), 822 e 827, la quale, così come per l’erede (v. supra, nt. 37), anche in tal caso ritiene (ivi 821) sussistente «un semplice impulso a che si provveda alla registrazione dell’atto pubblico»; G. Capozzi, op. cit., 269. Più in generale, v. S. Pugliatti, La trascrizione, cit., 353. 80 Cfr. U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 195. Si badi: il riferimento all’art. 955 del Codice Pisanelli, richiamato dalle citate disposizioni, è oggidì da riferirsi all’art. 484 c.c.

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presentazione di copia autentica)81, essa, ove sia manchevole – per negligenza82, per esempio, del cancelliere medesimo –, non può ritenersi inficiante la produzione degli effetti del beneficio, non essendo un’incombenza che la legge addossa al chiamato83, e per di più non essendo, il mancato adempimento, espressamente previsto quale causa di “nullità”84 dell’accettazione beneficiata85. Inoltre, è a ritenersi come la predetta inserzione rilevi quale mera pubblicità-notizia86, nonché quale certificazione, costituendo solamente il presupposto utile all’erede per procedere, giusta gli artt. 495, co. 1 (così detta liquidazione individuale87, o singolare88, o autonoma89, o semplice90, ad ogni modo volontaria91), ed eventualmente 498, co. 1, c.c. (così detta liquidazione concorsuale92, o collettiva93, talvolta obbligatoria94, talaltra volontaria ex

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Cfr. A. Burdese, op. cit., 265; G. Capozzi, op. cit., 268. C. Giannattasio, op. cit., 129; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 102. In giurisprudenza, cfr. almeno: Cass., 20 maggio 1954, n. 1620, in Giust. civ., 1954, I, 1149; Cass., 24 gennaio 1950, n. 201, in Foro it., 1950, I, 715. 83 Si veda N. Coviello, op. cit., 179. 84 Nella Relazione al Progetto definitivo, alla pagina 5, si afferma, a chiare lettere, che solamente la dichiarazione e l’inventario sono adempimenti previsti «a pena di nullità»; «uguali comminatorie», come rileva plasticamente A. Azara, op. cit., 154 (prosieguo nt. 1), «non si hanno invece per quanto concerne l’inserzione della dichiarazione nel registro». La stessa Relazione al Progetto definitivo, come rileva lo stesso Id., op. cit., 154 (prosieguo nt. 1), alla pagina 21 specifica: «è sembrato eccessivo comminare la inefficacia della dichiarazione di accettazione beneficiata per la sola omissione dell’inserzione». 85 C. Giannattasio, op. cit., 129; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 102. In giurisprudenza, seppur risalenti, ciò nondimeno attuali, v. almeno le asserzioni di: App. Milano, 21 aprile 1950, in Giur. it., 1952, I, 2, 77; App. Roma, 26 giugno 1930, in Giur. it., 1930, I, 2, 618. Per una particolare considerazione, v. W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 123 e 124. 86 A. Freni Vadalà, op. cit., 811 e 812. Contra, v. C. Vocino, voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 20. 87 W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 282; A. Cicu, Le successioni, cit., 103; Id., Successioni per causa di morte, cit., 271; L.V. Moscarini, op. cit., 128; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 416; C. Vocino, voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 27; A. Burdese, op. cit., 468; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 125; A. Palazzo, op. cit., 316. 88 F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 416; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 214; A. Burdese, op. cit., 468. 89 A. Burdese, op. cit., 468. 90 C.M. Bianca, op. cit., 121. 91 F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 417; L. Ferri, op. cit., 319. 92 A. Azara, op. cit., 177 e 182; W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 280 e 283; A. Cicu, Le successioni, cit., 104 e 107; Id., Successioni per causa di morte, cit., 271 e 283 (l’A., si badi, in entrambe le Opere discorre, più precisamente, di «liquidazione concursuale [sic!]»; L.V. Moscarini, op. cit., 128; C. Giannattasio, op. cit., 161 e 166; L. Ferri, op. cit., 319; A. Burdese, op. cit., 468; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 127; C.M. Bianca, op. cit., 122. 93 F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 417; C. Vocino, voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 27. 94 A. Azara, op. cit., 182; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 417. 82

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Giurisprudenza

art. 503 c.c.95, rispettante la par condicio creditorum96), alla liquidazione dell’eredità97. Per il caso di liquidazione così detta individuale, giova specificare, essa è così chiamata impropriamente poiché nel caso di cui all’art. 495 c.c. v’è pagamento dei creditori e legatari «a misura che si presentano»98, secondo il noto principio prior in tempore potior in iure99 e fatti salvi i diritti di poziorità100, sicché non v’ha pertanto alcuna liquidazione stricto sensu intesa101. La predetta inserzione, nonostante abbia una mera funzione di pubblicità, assume un’importanza di non poco momento allorché si pensi, ad esempio, all’art. 487, co. 2, c.c., che prevede un determinato termine, il quale inizia a decorrere dalla data della dichiarazione di accettazione, entro cui fare l’inventario: solo con l’inserzione di quest’ultimo, pertanto, v’ha certezza dell’istante a partire dal quale computare i quaranta giorni previsti. Non solo, ma, come vedremo tosto, l’inserzione nel registro delle successioni assume un connotato d’importanza e quasi d’imprescindibilità ove si consideri in stretta correlazione con l’onere della trascrizione previsto dal cpv. dell’art. 484 c.c.102. Trascrizione103, quest’ultima, che assolve una mera funzione di pubblicità-notizia104 in favore dei creditori e dei legata-

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C. Giannattasio, op. cit., 176; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 417; A. Palazzo, op. cit., 319. 96 In tale fase, i legatari, nello stato di graduazione, vengono come ultimi, giacché nemo liberalis nisi liberatus (W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 286). Segnatamente, v. artt. 495, co. 2, 499, co. 2, terzo periodo, e co. 3, c.c. Cfr. anche U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 216; A. Burdese, op. cit., 485. Vedasi inoltre A. Cicu, Successioni per causa di morte, cit., 300, ad opinione del quale la massima suaccennata «nemo liberalis nisi liberatus non [può] costituire il fondamento tecnico dell’onere di cui è gravato il legato di cosa determinata; nè della preferenza dei creditori ereditari ai creditori legatari […]». 97 V., sul punto: C. Giannattasio, op. cit., 129 s.; L. Ferri, op. cit., 269 s.; A. Burdese, op. cit., 266; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 102. V. altresì U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 174 s. 98 Sul punto, v. almeno U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 215. Adde Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 416: «Il primo comma dell’art. 495, stabilendo, come ordine di soddisfacimento dei creditori e legatari, la presentazione all’erede (“a misura che si presentano”), stabilisce implicitamente una gara di diligenza fra costoro e come una priorità di fatto, salve […] le poziorità (di diritto)». Adde A. Cicu, Successioni per causa di morte, cit., 277. 99 U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 215; A. Burdese, op. cit., 471. 100 Sul punto, v. almeno Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 416; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 216 ss. 101 Così, D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 951. Più mitigata è l’opinione di A. Burdese, op. cit., 468. 102 Il cpv. dell’art. 484, si badi, prevede un rigoroso ordine cronologico di svolgimento di tali adempimenti pubblicitari: prima l’inserzione della dichiarazione, poi la trascrizione nel registro immobiliare. Cfr. C. Coppola, La pubblicità ereditaria nei registri di cancelleria, cit., 920. 103 Seppur con riferimento all’art. 955 c.c. del 1865 (ma non v’ha dubbio che, ove s’intendesse avvalorarle, tali considerazioni potrebbero altresì, mutatis mutandis, confarsi all’odierno art. 484, cpv., c.c.), giova richiamare quanto afferma V. Polacco, op. cit., 101, in riferimento alla pubblicità, specificamente alla trascrizione, prevista per l’accettazione beneficiata: «Non si può negare che si è abbondato oltre il necessario nei mezzi di pubblicità dell’accettazione beneficiaria. Questo modo di accettazione lo si fa conoscere abbastanza per mezzo dei registri delle cancellerie e degli annunzi nei giornali senza che occorresse a tal uopo prescrivere altresì la trascrizione all’ufficio delle ipoteche […]». Soggiunge l’A. (ibidem): «Inoltre si presenta questa [trascrizione] […] quale una trascrizione anomala che si allontana per la ragion d’essere e per il modo di sua attuazione dalla trascrizione ordinaria. La trascrizione d’ordinario si compie riguardo a trapassi, modificazioni o vincoli concernenti le sole proprietà immobiliari […]. Qui invece la trascrizione dell’atto si opera indipendentemente dalla natura dei beni a cui si riferisce; sia pure che nell’eredità non si trovino beni immobili, la dichiarazione di accettazione beneficiaria va trascritta […]». 104 A. Butera, op. cit., 79; A. Cicu, Le successioni, cit., 75; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 410; C. Vocino, voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 22; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit.,

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ri105, non assurgendo pertanto a pubblicità-costitutiva106 del beneficio. La mancanza di questo adempimento, quindi, atteso il combinato fra gli artt. 495, co. 1, e 498, co. 1, c.c., impedisce solamente all’erede di procedere alla liquidazione107. Questo compito pubblicitario, si ponga a mente, non dev’essere confuso, posta un’imprescindibile lettura sistematica108, con la trascrizione curata dal notaio, giusta il combinato fra gli artt. 2671, co. 1 e 2648, co. 1 e co. 2, c.c.109; formalità, quest’ultima, che non può ritenersi sostitutiva dell’adempimento, curato dal cancelliere110, di cui all’art. 484, cpv., c.c.111. La trascrizione degli acquisti a causa di morte, infatti, a differenza della trascrizione della dichiarazione di accettazione, mira a garantire, ex art. 2650 c.c., la fondamentale continuità delle trascrizioni112. In definitiva, perciò, nonostante questi ultimi due adempimenti, vale a dire ora l’inserzione della dichiarazione nel registro delle successioni, ora la trascrizione della medesima presso l’ufficio dei registri immobiliari del luogo ove s’è aperta la successione, non siano sostanzialmente previsti né a pena di nullità113 né a pena di decadenza114 del procedimento di cui all’art. 484 c.c., riteniamo siffatti assolvimenti pubblicitari necessari ed imprescindibili alla fase di liquidazione115, la quale, connotando il beneficio d’inventario, non può punto mancare116. In mancanza di detti adempimenti, si badi, rimangono comunque fermi taluni effetti od oneri relativi al beneficio, quali, ad esempio, la separazione del patrimonio del defunto

933 (nt. 2); U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 198 s.; A. Burdese, op. cit., 266 s.; A. Palazzo, op. cit., 297; C. Coppola, La pubblicità ereditaria nei registri di cancelleria, cit., 919; G. Capozzi, op. cit., 269; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 119. Contra, v. A. Freni Vadalà, op. cit., 812 ss. 105 Cfr. G. Capozzi, op. cit., 269. 106 Sul punto, per talune più puntuali precisazioni, v. almeno C. Coppola, La pubblicità ereditaria nei registri di cancelleria, cit., 919 e 920. 107 G. Capozzi, op. cit., 269. Cfr. pure A. Cicu, Le successioni, cit., 75; C. Coppola, La pubblicità ereditaria nei registri di cancelleria, cit., 919. 108 Sull’interpretazione sistematica in generale, v. almeno R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1993, 377 ss.; Id., L’interpretazione dei documenti normativi, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2004, 167 ss., nonché, soprattutto, P. Perlingieri, op. cit., 580 ss.; v. anche le considerazioni di F. Filomusi Guelfi, Enciclopedia giuridica, Napoli, 1917, VII ed., 120 ss. 109 Nel caso in cui vi siano beni immobili situati in una circoscrizione di altra conservatoria, rispetto a quella ove s’è proceduto a trascrivere la dichiarazione di accettazione, la trascrizione dovrà altresì essere effettuata presso la conservatoria ove codesti beni sono situati, giusta il combinato fra gli artt. 2648 e 2663 c.c. Allorquando, invece, vi siano beni immobili ubicati solamente nella circoscrizione ove s’è aperta la successione, allora sarà sufficiente una sola trascrizione, vale a dire quella effettuata ex art. 484, cpv., c.c., la quale, quindi, varrà anche come trascrizione ex artt. 2648 e 2643, n. 1, 2 e 4, c.c., nonché ex art. 2663 c.c. Sul punto, cfr. L. Ferri, op. cit., 269; A. Burdese, op. cit., 301 s.; G. Capozzi, op. cit., 269. Per una dissimile opinione, v. A. Freni Vadalà, op. cit., 816 e 837 ss. 110 Ergo, anche qui cui valgono, mutatis mutandis, le medesime considerazioni testé effettuate in tema d’inserzione. Cfr. A. Azara, op. cit., 154 (nt. 1). V. pure A. Cicu, Le successioni, cit., 75. 111 C. Coppola, La pubblicità ereditaria nei registri di cancelleria, cit., 920. 112 C. Coppola, La pubblicità ereditaria nei registri di cancelleria, cit., 920. Adde Cass., 15 maggio 1997, n. 4282, in Riv. not., 1998, II, 345. 113 Come pare ritenere V. Polacco, op. cit., 105, seppur sotto l’egida del Codice Pisanelli. 114 Cfr. N. Coviello, op. cit., 179. In giurisprudenza, Cass., 20 maggio 1954, n. 1620, cit., rileva, a ragione, come l’omessa trascrizione (nel registro delle successioni) della dichiarazione di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario non comporti affatto decadenza. 115 Scrive A. Freni Vadalà, op. cit., 829, che «il mancato inserimento della dichiarazione beneficiata nel registro delle successioni, implica per il notaio e per il cancelliere il risarcimento dei danni provocati agli interessati (erede, creditori del defunto e legatari) per il ritardo con il quale il procedimento pubblicitario si è iniziato». 116 Cfr. C. Coppola, La pubblicità ereditaria nei registri di cancelleria, cit., 920, e ivi, sul punto, ulteriori specificazioni in punto di trascrizione nei registri immobiliari. Adde, per una particolare e senz’altro interessante interpretazione, A. Freni Vadalà, op. cit., 822 ss.

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Giurisprudenza

da quello dell’erede; l’amministrazione dei beni ereditari con la eventuale, conseguente, responsabilità dell’erede per colpa grave, etc.117. Il «procedimento pubblicitario»118 testé descritto, pertanto, non ha alcun rilievo costitutivo di effetti119, giacché l’accettazione e la stesura dell’inventario, sul piano sostanziale120, sono atti principali già di per sé sufficienti affinché possa dirsi realizzata l’accettazione con beneficio121; finché perduri l’assenza degli adempimenti pubblicitari, a nostro parere, la fase di liquidazione deve considerarsi come se fosse in una sòrta di stato quiescente. Il momento di compimento della trascrizione, inoltre, è dies a quo, ex art. 495, co. 1, c.c., a partire dal quale inizia a decorrere il mese122, che una volta trascorso123 consentirà all’erede d’iniziare la fase di liquidazione124; a sua volta, dovendo, ex art. 484, cpv., c.c., la trascrizione avvenire non oltre un mese dall’inserzione della dichiarazione nel registro delle successioni125, anche quest’ultima diventa, di necessità, fondamentale. Ma v’ha di più: la scadenza del termine di cui all’art. 495, co. 1, c.c., rileva, potremmo dire “a cascata”, anche per la cessio bonorum126 prevista dall’art. 507 c.c. Più precisamente, l’art. 507, co. 1, c.c., quale dies a quo – a partire dal quale decorre un mese entro cui127 l’erede, ove non abbia ancóra effettuato alcun atto di liquidazione potenzialmente lesivo della par condicio128, potrà rilasciare tutti i beni ereditari a beneficio dei creditori e dei legatari – individua il giorno in cui scade il termine per presentare le dichiarazioni di credito ex art. 498, co. 2, c.c.129, che, a sua volta, individua tale terminus in non meno di trenta giorni, da fissarsi, a cura di un notaio del luogo ove s’è aperta la successione, solo dopo

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Per una più puntuale precisazione degli effetti, che comunque rimangono saldi, v. A. Freni Vadalà, op. cit., 829. Così, A. Freni Vadalà, op. cit., passim, spec. 830. 119 Cfr. A. Cicu, Le successioni, cit., 75. 120 «In realtà, sia l’inserzione della dichiarazione di accettazione beneficiata nel registro delle successioni, che le altre formalità […] appaiono come presupposti per l’attuazione del b d’i., come momenti, cioè, senza i quali l’erede non può procedere alla liquidazione (singolare o concorsuale) delle passività ereditarie. Ma non hanno alcuna influenza sugli effetti sostanziali di quella dichiarazione»: U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 196. 121 Cfr. A. Freni Vadalà, op. cit., 830. Adde N. Coviello, op. cit., 179. 122 La ratio di tale, seppur breve, termine, è da rinvenirsi nella possibilità lasciata ai creditori e ai legatari di valutare se proporre opposizione ex art. 498, co. 1, c.c., generando indi l’inizio della liquidazione concorsuale: v. L. Ferri, op. cit., 320. 123 Taluni ritengono che il pagamento, effettuato prima del decorso del cennato termine, generi – nonostante la mancanza di una disposizione che espressamente la preveda (arg. ex art. 505 c.c.) – decadenza dal beneficio d’inventario: L. Ferri, op. cit., 320; C. Coppola, La pubblicità ereditaria nei registri di cancelleria, cit., 919 s. Di diversa opinione – a noi pare a ragione, giacché, come detto, non v’ha un’espressa sanzione comminata dalla legge, ossia, più precisamente, non v’ha alcuna disposizione che commini la decadenza per tal caso – è A. Cicu, Le successioni, cit., 104, cui adde Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 125. 124 Vedasi A. Freni Vadalà, op. cit., 814, 815 e 829. 125 V. almeno G. Capozzi, op. cit., 269. 126 Su cui, almeno, v.: L. Barassi, op. cit., 145-146 s.; W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 292 ss.; A. Cicu, Le successioni, cit., 108 e 109; Id., Successioni per causa di morte, cit., 289 ss.; C. Giannattasio, op. cit., 181 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 421 e 422; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 954-956; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 274 ss.; A. Burdese, op. cit., 493 ss.; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 179 ss.; A. Palazzo, op. cit., 335 ss.; C.M. Bianca, op. cit., 125 e 126; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 128 ss. 127 Trattandosi, com’è evidente, di termine massimo entro cui poter dare esito alla cessio bonorum, nulla osta a che l’erede provveda al rilascio anche appena dopo la dichiarazione di accettazione beneficiata. Cfr. L. Ferri, op. cit., 351. 128 L. Ferri, op. cit., 351. 129 Cfr. D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 954. 118

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aver invitato i creditori, sempre per il tramite del suddetto notaio, a presentare le dichiarazioni di credito: tutto ciò, non oltre un mese dalla notificazione dell’opposizione di cui al co. 1 dell’art. 498 c.c., che a sua volta necessariamente – ed ecco che si torna al punto di partenza – dipende, posto il combinato con l’art. 495, co. 1, c.c., dal succitato termine di un mese, decorrente dall’avvenuta trascrizione. Seppur brevemente, giova sottolineare che un’ulteriore formalità pubblicitaria, che guardando all’angolo visuale degli adempimenti pubblicitari e alla fase di liquidazione non può certo considerarsi irrilevante, è la «menzione» (484, co. 4, c.c.) o «annotazione» (484, ult. cpv., c.c.) della data di compimento dell’inventario130 nel registro delle successioni. Più precisamente, allorché l’inventario sia stato fatto prima della dichiarazione, giusta l’art. 484, co. 4, c.c., la data dev’essere menzionata nel registro delle successioni – da parte del notaio o del cancelliere che ha redatto l’inventario131 – poiché da tale momento decorrono i termini di cui agli artt. 485, ult. cpv. e 487, ult. cpv., c.c.132. L’annotazione, sempre a cura dei predetti soggetti133, di cui all’art. 484, ult. cpv., c.c., rileva invece, ove successiva alla dichiarazione di accettazione, quale dies a quo per la decorrenza del termine di cui all’art. 495, co. 1, c.c.134, nonché del termine previsto dall’art. 498, co. 1, c.c.135. Non solo. È altresì rilevante per il caso di cui all’art 487, co. 2, c.c., e per la procedura di pagamento dei creditori e legatari, atteso l’art. 495, co. 1, c.c.136. In assenza di codesta annotazione, per le ipotesi testé mentovate – eccezion fatta per l’art. 495, co. 1, c.c. – il termine potrà comunque decorrere, giacché la data di compimento dell’inventario affiora pur sempre dal verbale – redatto dall’ufficiale pubblico che ha proceduto a formare l’apposito inventario – che, come atto pubblico, giusta l’art. 2700 c.c., fa piena prova fino a querela di falso137. Ove ci si trovi nella situazione di cui all’art. 495, co. 1, c.c., invece, non sarà bastevole la data risultante dall’atto pubblico, dacché il termine previsto deve necessariamente decorrere, nel caso in cui l’inventario sia successivo alla dichiarazione, dalla data di annotazione del medesimo: tale fatto, quindi, risulterà senz’altro ostativo alla così detta procedura di liquidazione singolare138. La mancata annotazione della predetta data, si badi, non importa

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Sul punto, v. U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 202-204 s. U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 203. 132 Cfr. A. Cicu, Le successioni, cit., 76. 133 U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 203. 134 A. Azara, op. cit., 177; C. Giannattasio, op. cit., 129 s. e 161; L. Ferri, op. cit., 320; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 125; G. Capozzi, op. cit., 272. In giurisprudenza, v. almeno Cass., 18 giugno 1965, n. 1280, in Giust. civ., 1966, I, 148. 135 C. Giannattasio, op. cit., 129 s.; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 203; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 102. In giurisprudenza, seppur risalente, v. specialmente Cass., 24 gennaio 1950, n. 201, cit. 136 U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 205. 137 U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 204. 138 U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 205, il quale, per di più – nonostante difetti un’espressa decadenza comminata dal legislatore –, ritiene che l’erede, il quale dia inizio alla liquidazione nonostante la mancanza della detta annotazione, decada dal beneficio d’inventario. 131

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Giurisprudenza

affatto decadenza dal beneficio, giacché nessuna norma la prevede139.

3. Sull’accettazione dell’eredità da parte di un ente morale: talune necessarie notazioni.

Dopo aver individuato quella che, a nostro sommesso giudizio, è la struttura dell’accettazione col beneficio d’inventario, è doveroso ora effettuare alcune precisazioni, utili anche al fine di avvalorare quanto proveremo a dimostrare nel paragrafo successivo, per il caso in cui il soggetto, della cui accettazione trattisi, abbia non già a libito (arg. ex art. 470 c.c.)140 la possibilità di accettare mediante beneficio d’inventario, bensì l’obbligo. Più precisamente, movendo dalla disposizione scolpita nell’art. 473 c.c.141 – perfetta-

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Cfr. Cass., 18 giugno 1965, n. 1280, cit. A. Butera, op. cit., 52 (ma anche 78): «Il testatore non può sopprimere il commodum inventarii, ma questo poi è un diritto soggettivo del chiamato, il quale rimane sempre arbitro di farlo valere e anche di rinunciarvi, quando se ne sia prevalso, salva rimanendo l’accettazione dell’eredità come pura e semplice»; L. Barassi, op. cit., 108 e 129; W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 116; G. Russo, op. cit., 103; A. Cicu, Le successioni, cit., 69 e 74; R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 387 e 388: «L’accettazione con beneficio d’inventario è, di regola, facoltativa e può esser domandata nonostante il divieto del de cuius comunque espresso […]»; C. Giannattasio, op. cit., 82 e 124 s.; L.V. Moscarini, op. cit., 123: «L’espressione “beneficio di inventario”, identifica un istituto del diritto successorio che attribuisce al chiamato il potere giuridico (e cioè il diritto potestativo) [il corsivo è nostro] di limitare gli effetti normali della accettazione [dell’eredità] […]», e 125: «Deve […] in generale concepirsi in capo al chiamato un potere giuridico [il corsivo è nostro], il cui esercizio non può peraltro mai essere limitato dalla volontà del defunto [ex art. 470, co. 2, c.c.], che si realizza nell’àmbito della privata autonomia»; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 386, nonché 398: «Quello di accettare con beneficio d’inventario –– anziché puramente e semplicemente –– è una potestà dell’istituito, della quale, egli può anche non valersi. […] il beneficio –– oltre che trattarsi (più che di un diritto) di una facoltà, e, comunque, non di un diritto “verso i terzi”, giusta il presupposto del primo comma dell’art. 2900 –– non potrebbe essere esercitato, se non personalmente dal suo titolare, anche perchè è in gioco l’onore del de cuius»; F.S. Azzariti - G. Martinez - Giu. Azzariti, op. cit., 54 e 77; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 926; L. Ferri, op. cit., 190 e 268; A. Burdese, op. cit., 231; C.M. Bianca, op. cit., 110: «Il beneficio d’inventario dipende dalla scelta del chiamato […]»; soggiunge (ivi, 111) l’A.: «Il beneficio d’inventario rientra nella categoria dei benefici, quali limitazioni di una posizione di svantaggio del soggetto»; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 71 s. e 99; A. Palazzo, op. cit., 246; G. Capozzi, op. cit., 232, 263 e 272; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 116-118, spec. 116: «Di regola, spetta al chiamato decidere se accettare l’eredità puramente e semplicemente, oppure col beneficio d’inventario. Fatti salvi casi particolari [quale è, giustappunto, il caso de quo, ove v’ha una fondazione, quindi una persona giuridica, sicché trova agevole applicazione la disposizione incastonata nell’art. 473 c.c.], dunque, la scelta dell’uno o dell’altro tipo di accettazione è libera, e dipende da una valutazione di opportunità». Adde E. Pacifici-Mazzoni, 4 s. e 124, nonché N. Coviello, op. cit., 178: entrambi, inferiamo, argomentano dall’art. 925 del Codice del 1865. V. eziandìo U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 179 s. 141 Sull’accettazione dell’eredità da parte di enti morali, v. almeno, con proteiforme ampiezza di trattazione (tenendo ben presente che con l’art. 1, co. 2, della Legge 22 giugno 2000, n. 192, l’art. 473 c.c. è stato depurato della necessaria autorizzazione governativa, prevista affinché siffatti enti potessero accettare l’eredità a loro devoluta): A. Butera, op. cit., 60-61 s.; L. Barassi, op. cit., 108 e 109; W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 34 ss.; G. Russo, op. cit., 110 ss.; A. Cicu, Le successioni, cit., 76; Id., Successioni per causa di morte, cit., 185 ss.; C. Giannattasio, op. cit., 91 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 399 e 400; F.S. Azzariti - G. Martinez - Giu. Azzariti, op. cit., 54 e 62 s.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 934 s.; L. Ferri, op. cit., 208-210 s.; A. Burdese, op. cit., 241 ss. (passim); Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 82 s., 110 e 118; A. Palazzo, op. cit., 265-268; L. Mezzasoma, sub art. 473, in AA.VV., Delle successioni. Artt. 456-564, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, in Comm. cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Torino, 2009, 170 ss.; P. Lorefice, op. cit., 345 s.; C.M. Bianca, op. cit., 104-106; G. Capozzi, op. cit., 280-282 s.; G. Iaccarino, sub art. 473, in AA.VV., Codice delle successioni e donazioni, a cura di G. Bonilini, M. Confortini, G. Mariconda, coordinato da V. Barba, G. Bonilini, A. Chizzini, M. Confortini, P. De Cesari, F. Trombetta Panigadi, P. Veneziani, Torino, 2015, 242 ss.; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 119. Adde: E. Valsecchi, Accettazione dell’eredità e decadenza della persona giuridica dal diritto di accettare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, 140

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mente aderente, com’è evidente, al caso di specie –, è d’uopo notare come tale forma di accettazione sia l’unica – obbligatoria o coatta142, che dir si voglia – prevista per gli enti morali indicati nel primo comma della disposizione medesima143. Orbene, posto che gli enti morali di cui all’art. 473, co 1, c.c. – escluse, giusta il cpv. del medesimo, le società – non possono accettare l’eredità (id est: le disposizioni testamentarie a titolo universale e non già quelle a titolo particolare, le quali, ex art. 649, co. 1, c.c., non abbisognano, anche per gli enti morali, di accettazione144) se non col beneficio d’inventario, è d’uopo por mente, quasi fosse un logico corollario di codesta accettazione coatta, al rapporto che intercorre fra l’obbligatorietà di un’accettazione di tal fatta e la eventuale conseguenza fra il mancato perfezionamento del fatto complesso del beneficio d’inventario e la sòrte dell’eredità devoluta all’ente145. Per migliore intelligenza occorre prendere le mosse da un’analisi più approfondita del rapporto intercorrente fra l’art. 473, co. 1, c.c., e le altre disposizioni che tra poco indicheremo. Seguendo la littera legis che compone l’art. 473, co. 1, c.c., s’evince prima facie un dettato normativo che pare sgombrare il campo da qualsivoglia dubbio: i così detti enti del Libro I del Codice civile non possono, giova ripetere, accettare l’eredità se non col beneficio d’inventario146. La limpidezza di tale disposizione, per vero, va ad intorpidirsi nel caso

955 ss., nota a App. Milano, 12 dicembre 1947; G. Gabrielli, op. cit., 225 ss.; E. Bilotti, L’acquisto delle eredità devolute agli enti non lucrativi, in Riv. dir. civ., 2009, 689 ss.; G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti. Una rilettura degli artt. 473, 485, 487, 488, 493, 527 c.c., in Rass. dir. civ., 2009, 102 ss. (ma anche in AA.VV., Studi in onore di Giuseppe Panza, a cura di G. Tatarano e R. Perchinunno, Napoli, 2010, 565 ss.). Leggasi pure P. Rescigno, La persona giuridica e la capacità di ricevere per testamento, in Riv. dir. civ., 1964, 325 ss., nota a App. Cagliari, 26 ottobre 1961. 142 L’aggettivo “coatta”, per vero, venne già brillantemente utilizzato, rispetto all’accettazione col beneficio d’inventario prevista dagli artt. 471, 472 e 473 c.c., da F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 399. 143 A. Butera, op. cit., 80; L. Barassi, op. cit., 108; G. Russo, op. cit., 111; A. Cicu, Le successioni, cit., 76; R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 388 (ove si discorre, senza meno per un mero refuso sórto durante l’attività di adeguamento dell’Opera al Codice vigente, di «corpi morali», giacché – cogliamo, dunque, l’occasione per riportare interamente la disposizione del Codice previgente – l’art. 932 del Codice Pisanelli, individuabile come “l’equivalente” dell’odierno art. 473 c.c., sanciva che «Le eredità devolute ai corpi morali [il corsivo è nostro] non possono essere accettate che coll’autorizzazione del governo da accordarsi nelle forme stabilite da leggi speciali. Esse non possono essere accettate se non col benefizio dell’inventario secondo le forme stabilite dai rispettivi regolamenti»); C. Giannattasio, op. cit., 91 ss.; L.V. Moscarini, op. cit., 125; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 399 (ma v. pure 400); F.S. Azzariti - G. Martinez - Giu. Azzariti, op. cit., 54, 62 e 87; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 934; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 184; L. Ferri, op. cit., 208 e 267; A. Burdese, op. cit., 231, 242, 243 (nt. 3), 244 e 262; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 72, 82, 110, 111 e 113; A. Palazzo, op. cit., 265; L. Mezzasoma, sub art. 473, cit., 170 e 175; G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., passim (spec. 106); P. Lorefice, op. cit., 345; G. Saporito (con aggiornamento di S. Metallo), L’accettazione dell’eredità, in AA.VV., Tratt. breve succ. e donazioni, diretto da P. Rescigno, coordinato da M. Ieva, vol. I, Le successioni mortis causa. I legittimari. Le successioni legittime e testamentarie, Padova, 2010, II ed., 252 e 266; C.M. Bianca, op. cit., 104 e 110; G. Capozzi, op. cit., 232, 272, 280; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 118 e 119. 144 G. Bonilini, Dei legati. Artt. 649-673, in Cod. civ. Comm., fondato e già diretto da P. Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2006, II ed., 183; G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 108. 145 Su cui v., più profusamente, infra, § 4. 146 Si badi: per le eredità devolute a codesti enti prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 della Legge 15 maggio 1997, n. 127 – che ha abrogato l’art. 17 c.c., il quale disponeva: «La persona giuridica non può acquistare beni immobili, né accettare donazioni o eredità, né conseguire legati senza l’autorizzazione governativa. Senza questa autorizzazione l’acquisto e l’accettazione non hanno effetto» – è financo necessaria l’autorizzazione governativa: cfr. G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 106, e ivi (106, 107, 116 e 118) ulteriori osservazioni, sul punto, dense di significato.

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Giurisprudenza

in cui, secondo una prima e necessaria interpretazione sistematica, si effettui un’accurata disamina di alcune norme albergate nel Capo V – Sezione I e Sezione II – e nel Capo VII del Libro II del Codice civile. Più precisamente, la lettura dell’art. 473, co. 1, c.c., dev’essere necessariamente coordinata con le disposizioni contenute in seno agli artt. 485, co. 2 e co. 3, 487, co. 2 e co. 3, 488, co. 1, 493, co. 1, 494, c.c., nonché con gli artt. 481 e 527. Procediamo con ordine. Anzitutto giova specificare come un ente morale non possa volontariamente adire l’eredità147, puramente e semplicemente148, né per volontà espressa (ex art. 475, co. 1, c.c.), né per volontà tacita (ex art. 476 c.c.)149, né per volontà talvolta così detta “presunta”150 (ex artt. 477 e 478 c.c.)151, né per volontà talvolta così detta “della legge” (artt. 485, co. 2 e co. 3, 487 co. 2, 488, co. 1, e 527 c.c.)152; queste ultime due, per vero, a nostro sommesso avviso sono collocabili in seno al genus “accettazione tacita” (arg. ex art. 474 c.c.)153. Ora, dacché il legislatore nell’art. 473, co. 1, c.c., a parte la necessaria accettazione dell’eredità col commodum inventarii, nulla specifica, seguendo una linea prettamente tuzioristica l’interprete dovrebbe limitarsi ad affermare che, per quanto riguarda la disci-

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Più in generale, sull’accettazione e sull’acquisto dell’eredità, v. quantomeno, con varietà d’opinioni: A. Butera, op. cit., 14-19 (con, ivi, interessanti digressioni in punto di diritto romano) e 49 ss.; L. Barassi, op. cit., 103 ss.; M. d’Amelio, Dell’apertura della successione, della delazione e dell’acquisto dell’eredità, in AA.VV., Codice civile. Libro delle Successioni per causa di morte e delle Donazioni. Commentario, a cura di A. Azara, M. d’Amelio, W. d’Avanzo, F. Degni, P. d’Onofrio, E. Eula, C. Grassetti, A. Manca, F. Maroi, S. Pugliatti, G. Russo, F. Santoro-Passarelli, diretto da M. d’Amelio, Firenze, 1941, 34 ss. (con, ivi, taluni interessanti spunti storici); W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 74 ss.; G. Russo, op. cit., 99 ss.; A. Cicu, Le successioni, cit., 68 ss. e 85 ss.; C. Giannattasio, op. cit., 29 ss. e 82 ss.; L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, cit., 85 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 366 ss.; F.S. Azzariti - G. Martinez - Giu. Azzariti, op. cit., 22 ss. e 54 ss.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 925 ss.; P. Schlesinger, op. cit., 759-760 s.; L. Ferri, op. cit., 98-100 e 190 ss.; A. Burdese, op. cit., 229 ss.; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 71 ss.; A. Palazzo, op. cit., 245 ss.; F. Mazzasette, sub artt. 477-483, in AA.VV., Delle successioni. Artt. 456564, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, in Comm. cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Torino, 2009, 200 ss.; L. Mezzasoma, sub artt. 470-476, in AA.VV., Delle successioni. Artt. 456-564, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, in Comm. cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Torino, 2009, 149 ss.; A. Nervi, sub art. 459, in AA.VV., Delle successioni. Artt. 456-564, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, in Comm. cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Torino, 2009, 63 ss. (spec. 64-68); C. Romeo, L’accettazione dell’eredità, in AA.VV., Tratt. dir. succ. e donazioni, diretto da G. Bonilini, I, La successione ereditaria, Milano, 2009, 1199 ss.; G. Saporito, op. cit., 245 ss.; G. Perlingieri, L’acquisto dell’eredità, in AA.VV., Diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, I, Napoli, 2013, II ed., 179 ss.; C.M. Bianca, op. cit., 95 ss.; G. Capozzi, op. cit., 229 ss.; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 103 ss.; L. Ghidoni, sub art. 459, in AA.VV., Codice delle successioni e donazioni, a cura di G. Bonilini, M. Confortini, G. Mariconda, coordinato da V. Barba, G. Bonilini, A. Chizzini, M. Confortini, P. De Cesari, F. Trombetta Panigadi e P. Veneziani, Torino, 2015, 170 ss.; G. Iaccarino, sub artt. 470-483, in AA.VV., Codice delle successioni e donazioni, a cura di G. Bonilini, M. Confortini, G. Mariconda, coordinato da V. Barba, G. Bonilini, A. Chizzini, M. Confortini, P. De Cesari, F. Trombetta Panigadi, P. Veneziani, Torino, 2015, 226 ss. Adde U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, I, cit., 27 ss. Sotto la vigenza del codice Pisanelli, v. almeno: E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 1 ss.; N. Coviello, op. cit., 113 ss.; V. Polacco, op. cit., 45 ss. e 66 ss. 148 U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 188. 149 Cfr. G. Russo, op. cit., 121; C. Giannattasio, op. cit., 99 e 102; C.M. Bianca, op. cit., 100. 150 Ritiene impropria la locuzione «accettazione presunta (o legale)», discorrendo, invece, di «sanzioni comminate dalla legge, a titolo di pena», F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 374 e 375, ove, ibidem, l’A. analiticamente indica singoli casi comportanti “accettazione presunta”. 151 Si vedano: C. Giannattasio, op. cit., 108; G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 112 (ma anche 113). 152 Si veda, specialmente, G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 112. Adde Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 97 e 98; C.M. Bianca, op. cit., 103 e 104. 153 Cfr. A. Butera, op. cit., 62; G. Russo, op. cit., 114.

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plina da applicare, ci si debba riferire agli artt. 484 ss. c.c., dettati appunto dal legislatore in tema di accettazione beneficiata. Talché, prendendo ora in esame le ipotesi che importano solo accettazione e non già decadenza154, in un’ottica squisitamente teorica e astratta si potrebbe (qui, si badi, soprattutto in virtù di quanto asseriremo a breve, il condizionale è d’obbligo) affermare che: giusta l’art. 485, co. 1 e co. 2, c.c., qualora l’ente morale chiamato fosse già nel possesso155 (art. 1140 c.c.), a qualsiasi titolo156 (quindi anche per mera disponibilità di fatto, individuabile come mera detenzione157), di beni ereditari158, e non avesse portato a compimento l’inventario (ex art. 484, co. 3, c.c.) entro tre mesi decorrenti dal giorno di apertura della successione o della notizia della devoluta eredità (ancorché avesse chiesto e ottenuto, dal tribunale del luogo ove s’è aperta la successione, una proroga – non oltre, di regola e salvi gravi circostanze, tre mesi – all’ordinario termine trimestrale), allora dovrebbe essere considerato quale erede puro e semplice. Ancóra. Giusta l’art. 485, co. 3, c.c., qualora l’ente morale chiamato avesse sì compiuto l’inventario, ma non avesse ancóra reso la dichiarazione di cui all’art. 484, co. 1, c.c., esso avrebbe un termine di quaranta giorni decorrenti dal dì in cui è stato portato a compimento l’inventario, entro il quale potrebbe deliberare

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Su cui v. infra. Che, ad avviso di L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, cit., 113, dev’essere «effettivo». Per completezza, giova sottolineare come per il tramite dell’art. 27, co. 2, lett. a), n. 1, Decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116, il legislatore abbia sostituito, nell’art. 485, co. 1, secondo periodo, c.c., la parola: «tribunale», con quelle: «giudice di pace». Codesta specifica Novella, giusta l’art. 32, co. 3, del medesimo d.lgs., entrerà in vigore il 31 ottobre 2021. 156 Si veda D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 938. 157 F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 410; A. Burdese, op. cit., 269 e 304; G. Capozzi, op. cit., 274. Adde D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, 937; M. Ferrario Hercolani, op. cit., 1276. Per un’interessante lettura v. A. Cicu, Le successioni, cit., 77 e 78. 158 Si badi: leggendo, in modo sistematico, tale disposizione con quella scolpita in seno all’art. 487, co. 1, c.c. (ma la medesima considerazione vale, mutatis mutandis, per l’art. 488, co. 1, c.c.), ci sorge un dubbio: atteso il tenore letterale di entrambe le disposizioni, che discorrono «di beni ereditari», prima facie ci viene da affermare che sarebbe sufficiente il possesso, o il non possesso, anche solo di alcuni beni ereditari, per permettere alla littera legis di trovare vita. Ciò tuttavia, il problema che sorgerebbe, ove si leggessero entrambe le disposizioni in questo senso, sarebbe di non poco momento. Come potrebbe distinguersi, con certezza, se trattisi di ipotesi rientrante in seno al perimetro dell’art. 485 c.c. ovvero dell’art. 487 c.c.? Il chiamato che ha il possesso anche solo di alcuni beni ereditari potrebbe considerarsi sia come chiamato possessore “di alcuni beni”, ex art. 485, co. 1, c.c., sia come chiamato non possessore “di alcuni beni” (se una torta è suddivisibile in 10 porzioni, e Seio ne possiede solo 5, egli può bensì ritenersi tanto possessore “di alcuni pezzi di torta”, quanto non possessore “di alcuni pezzi di torta”, ovverosia i restanti 5). Ebbene, posto il rischio di tale patente stortura interpretativa, riteniamo sussistenti, per l’interprete, due interpretazioni: I) considerare la locuzione «di beni ereditari» non già alla lettera, bensì come “di tutti i beni ereditari”; sicché, delle due, l’una: o il chiamato possiede tutti i beni ereditari (art. 485 c.c.), o non ne possiede alcuno (art. 487 c.c.); II) ritenere che la locuzione «di beni ereditari» di cui all’art. 485, co. 1, c.c., s’intenda come “anche solo di alcuni beni”, mentre la locuzione, identica, di cui all’art. 487, co. 1, c.c., s’intenda come di “nessun bene ereditario”. Orbene, posto il nostro orientamento, ossia che l’art. 485 c.c., in assenza d’inventario e di dichiarazione, rappresenta comunque un caso di accettazione tacita dell’eredità, là dove l’art. 487, per converso, rappresenta, ove vi sia dichiarazione, anche se non seguìta dall’inventario, un caso di accettazione espressa dell’eredità, riteniamo necessario avvalorare la seconda (II) linea interpretativa: qualora vi fosse il possesso, anche solo di alcuni beni, troverebbe ragione l’art. 485, mentre ove non vi fosse il possesso di alcun bene ereditario, troverebbe invece applicazione l’art. 487 c.c. V., sul punto, per diversi orientamenti: A. Butera, op. cit., 80 ss.; A. Azara, op. cit., 156 ss.; C. Giannattasio, op. cit., 130 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 410 ss.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 933 ss. (spec. 934 e 937 s.); L. Ferri, op. cit., 272 ss.; A. Burdese, op. cit., 259 ss. (spec. 268 ss.); M. Ferrario Hercolani, op. cit., 1276 e 1277; G. Capozzi, op. cit., 277 ss. In giurisprudenza, v. Cass., 14 maggio 1994, n. 4707, in Giust. civ. Mass., 1994, 654, nonché Cass., 5 giugno 1979, n. 3175, in Giur. it., 1980, I, 1, 510. 155

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se accettare o rinunziare all’eredità: decorso invano detto termine, l’ente dovrebbe essere considerato erede puro e semplice. Ancóra. Giusta l’art. 487, co. 2, c.c., l’ente morale chiamato, qualora non fosse nel possesso (o nella detenzione159) di beni ereditari160, nel caso in cui avesse sì fatto la dichiarazione161 ma non anche l’inventario, avrebbe tre mesi di tempo (fatta salva la proroga di cui all’art. 485, co. 1, c.c.), dal momento della dichiarazione, per provvedervi: decorso invano detto termine, l’ente dovrebbe essere considerato erede puro e semplice162. Ancóra. Giusta l’art. 488, co. 1, c.c., qualora l’ente morale chiamato non fosse nel possesso dei beni ereditari e gli fosse stato assegnato un termine (eventualmente dilazionato, giusta il cpv. della medesima norma), a séguito di actio interrogatoria163 (ex art 481 c.c.), per l’eventuale accettazione o rinunzia all’eredità, esso dovrebbe compiere, entro detto termine, anche l’inventario: qualora facesse la dichiarazione e non l’inventario, l’ente dovrebbe essere considerato erede puro e semplice. Ancóra. Giusta l’art. 527 c.c., ove l’ente chiamato avesse sottratto o nascosto beni spettanti all’eredità, esso dovrebbe ritenersi decaduto dalla facoltà di rinunziare alla detta eredità e considerarsi erede puro e semplice, nonostante l’eventuale rinunzia. Orbene, tenendo sempre bene a mente l’art. 473, co. 1, c.c., dal quale, per forza di cose, l’interprete non può in nessun modo rifuggire164, a nostro credere nelle ipotesi contemplate dagli artt. 485, co. 2 e co. 3, 487, co. 2, 488, co. 1, e 527165 c.c., trattasi ora di accettazione espressa senza beneficio d’inventario, ora di accettazione tacita166, sicché tali norme non

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F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 411. Cfr., supra, la bibliografia citata in nt. 157. 161 Che è da considerarsi un mero negozio giuridico: v. L. Coviello jr., op. cit., 507. 162 Lineare e avvalorabile, su questa interpretazione, è quanto scritto da L. Coviello jr., op. cit., 424 (ma anche 503 s.): «Anzitutto il concetto di decadenza dal beneficio d’inventario suppone ed include che tale beneficio siasi già acquistato e che la qualità di erede col beneficio d’inventario siasi già conseguita dal chiamato. Questo non soltanto da un punto di vista logico, dato che non si può decadere da un beneficio, se prima non lo si è ancora acquistato, ma anche da un punto di vista giuridico. Invero, a norma del diritto positivo, la decadenza dal beneficio d’inventario include e presuppone l’osservanza, da parte dell’erede, della norma dell’art. 484, per cui l’accettazione col beneficio d’inventario si fa “mediante dichiarazione… preceduta o seguìta dall’inventario”». 163 Cfr. G. Gabrielli, op. cit., 227. Cfr. anche, più in generale, W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 119. 164 Cfr. G. Russo, op. cit., 114. 165 Taluni di tali casi sono ritenuti ipotesi di accettazione/acquisto ope legis (nonché casi di sanzioni comminate dall’ordinamento) da parte di L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, cit., 112 ss.; L. Coviello jr., op. cit., 497 s.; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, I, cit., 232, 233 e 234; P. Schlesinger, op. cit., 761; C. Vocino, voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 21; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 97 e 98 (ma altresì 103 ss.); G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 112; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 116 e 117, 166 Rispetto a queste disposizioni ci sia consentita una breve, quantunque necessaria, digressione. Orbene, nel caso in cui il chiamato dovesse divenire erede puro e semplice in virtù di codeste disposizioni normative, noi riteniamo, sulla scia della linea ermeneutica fin qui palesata, che potrebbe, ove ne ricorressero i presupposti, trovare applicazione il cpv. dell’art. 483 c.c. Disposizione, quest’ultima, come ben è stato rilevato (L. Coviello jr., op. cit., 513), che «esprime la volontà di legge di tutelare chi ha accettato l’eredità nell’ignoranza di un testamento di quel contenuto, ed invero perché s’egli ne avesse avuto notizia in precedenza, o non ne avrebbe accettato o non avrebbe accettato in maniera pura e semplice». Nelle ipotesi contemplate, come asserito, noi rintracciamo ora un’accettazione espressa, ora un’accettazione tacita, per cui, rispettando patentemente il terso dato letterale che discorre di «accettazione», a nostro sommesso avviso la disposizione albergata nel cpv. suaccennato potrebbe trovare esito anche per i casi di cui agli articoli suindicati. Donde, in definitiva, non si avrebbe una responsabilità ultra vires dell’erede, che importi di dover adempiere i legati oltre il valore dell’eredità od in eventuale pregiudizio alla propria quota di legittima (primo periodo del cpv. dell’art. 483 c.c.). Se i beni ereditari non bastassero a soddisfare i legati scolpiti nel testamento scoperto, di cui non si aveva notizia, si ridurrebbero inoltre proporzionalmente anche le altre disposizioni a titolo particolare contenute in altri testamenti (secondo periodo del cpv. dell’art. 483 c.c.). Per giunta, nel caso in cui taluni 160

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possono ritenersi applicabili al caso del chiamato-ente morale, il quale, come descritto, non può che accettare espressamente col beneficio d’inventario: allorquando tale beneficio non trovi esito, non potrà dirsi accettata l’eredità puramente e semplicemente, posto l’espresso divieto sancito dall’art. 473 c.c.167. Più precisamente, effettuiamo ora distinte considerazioni per le singole disposizioni normative. Circa l’art. 485, co. 2 e co. 3, c.c., esso, a nostro parere, rappresenta un caso di accettazione tacita pura e semplice dell’eredità168. Invero – pur non negando di avere, rispetto a questa soluzione ermeneutica, talune, seppur lievi, riserve (arg. ex art. 476 c.c.), a noi essa pare comunque la migliore, essendo maggiormente coerente, secondo una lettura sistematica, con l’intero impianto normativo di cui al Libro II del Codice civile – il chiamato che sia già nel possesso, a qualsiasi titolo169, di beni ereditari170, esercita sulla cosa il medesimo potere che di regola si manifesta in un’attività di gestione e godimento171, equivalente all’esercizio del diritto di proprietà; proprio per codesto motivo, infatti, il legislatore prescinde sia da una preventiva o successiva dichiarazione (art. 485, co. 3, c.c.), sia dalla redazione dell’inventario (art. 485, co. 2, c.c.), ritenendo appunto sufficiente il mero «possesso di beni ereditari» affinché il chiamato divenga erede172 (si badi: è fatta tuttavia salva, prima del decorso del termine di cui al co. 2 e al co. 3 dell’art. 485 c.c., la facoltà di rinunzia ex art. 519, co. 1, c.c.173), seppur puro e semplice, ma comunque erede. Trattasi, dunque, non

legatari fossero già stati soddisfatti per intero, avverso di loro l’erede avrebbe azione di regresso (terzo periodo del cpv. dell’art. 483 c.c.). Contra, in aderenza alla linea dogmatica seguìta dal medesimo, v. L. Coviello jr., op. cit., 511 ss. 167 Sulle conseguenze della mancata accettazione col beneficio, v. infra, § 4. 168 Contra, v. L. Coviello jr., op. cit., 492-493 s. 169 V. supra, il testo e le ntt. 156 e 157. 170 V. supra, nt. 158. 171 Cfr. G. Russo, op. cit., 118. 172 Il possesso di fatto di beni ereditari, per vero, comportava accettazione (tacita) dell’eredità già sotto l’egida del Codice civile per gli Stati del S. M. il Re di Sardegna (pubblicato per le province dell’Emilia, con Decreto 27 dicembre 1859, dal dittatore Cav. Carlo Luigi Farini), segnatamente all’art. 1015: «Ove l’erede [che sia nel possesso dei beni ereditari] non abbia ne’ tre mesi, almeno cominciato, ovvero non abbia ne’ termini sovra stabiliti o prorogati, compito l’inventario, s’intenderà aver accettata puramente e semplicemente l’eredità» (il corsivo è nostro). Perfino sotto l’egida del Codice Pisanelli, l’art. 960 (considerabile come speculare all’attuale art. 485, co. 2, c.c.), che rappresentava il prosieguo dell’art. 959, stabiliva che «Ove l’erede non abbia nei tre mesi cominciato l’inventario, o non lo abbia compito nel termine medesimo od in quello pel quale avesse ottenuto la proroga, s’intende che abbia accettata puramente e semplicemente l’eredità» (il corsivo è nostro). Per giunta, anche per il diritto romano tale situazione importava accettazione dell’eredità: fr. 69, D., de a. vel o. h., XXIX, 2; fr. 23, § 1, D., de h. inst., XXVIII, 5. 173 Sulla rinunzia all’eredità v., quantomeno, l’Opera monografica di V. Barba, La rinunzia all’eredità, Milano, 2008 (e v. pure Id., La posizione giuridica del chiamato che abbia rinunziato all’eredità, in Fam. pers. succ., 2009, 869 ss.). Adde: A. Butera, op. cit., 118 ss.; L. Barassi, op. cit., 112 ss.; W. d’Avanzo, Della rinuncia all’eredità, in AA.VV., Codice civile. Libro delle Successioni per causa di morte e delle Donazioni. Commentario, a cura di A. Azara, M. d’Amelio, W. d’Avanzo, F. Degni, P. d’Onofrio, E. Eula, C. Grassetti, A. Manca, F. Maroi, S. Pugliatti, G. Russo, F. Santoro-Passarelli, diretto da M. d’Amelio, Firenze, 1941, 230 ss.; Id., Delle successioni, t. I, cit., 328 ss.; A. Cicu, Le successioni, cit., 80 ss.; Id., Successioni per causa di morte, cit., 197 ss.; L. Ferrara, op. cit., 675 ss.; R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 383 ss. (spec. 388-390 s.); C. Giannattasio, op. cit., 207 ss.; L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, cit., 131 ss.; L. Coviello jr., op. cit., 302 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 444 ss.; F.S. Azzariti - G. Martinez - Giu. Azzariti, op. cit., 119 ss.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 918 ss.; A. Burdese, op. cit., 319 ss.; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 151 ss.; Id., La rinunzia all’eredità, in AA.VV., Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, 5, Successioni, t. I, Torino, 1997, II ed., 193 ss.; A. Palazzo, op. cit., 359 ss.; A.C. Pelosi, sub artt. 519-527, in AA.VV., Delle successioni.

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già di acquisto ex lege per volontà del legislatore, ma di acquisto per tacita volontà del possessore (eventualmente, altresì, già compilatore dell’inventario, giusta il co. 3 dell’art. 485 c.c.: anche la stesura dell’inventario, unitamente al possesso di beni ereditari, a ben vedere potrebbe essere considerata come un atto idoneo a disvelare un comportamento mirante alla tacita accettazione) dell’eredità174. Circa l’art. 487, co. 2, c.c., trattasi di accettazione espressa (art. 475 c.c.) pura e semplice dell’eredità175, giacché è sufficiente la mera dichiarazione (che, intuitivamente, è ricevuta da un notaio, dunque pienamente rispettante i requisiti di forma di cui al co. 1 dell’art. 475 c.c.) non accompagnata dall’inventario per divenire «erede», seppur puro e semplice176: in questo caso, in assenza dell’inventario, non si perfeziona l’atto collettivo di cui all’art. 484 c.c. Lo stesso può dirsi per il caso previsto dall’art. 488, co. 1, c.c.: anche qui trattasi di accettazione espressa dell’eredità, giacché la fissazione del termine di cui all’art. 481 c.c. importa che il chiamato, eventualmente, accetti espressamente; è sufficiente la dichiarazione, per divenire erede177, seppur puro e semplice. Quanto all’art. 527 c.c., trattasi di accettazione tacita pura e semplice dell’eredità178, dacché il sottrarre o il celare beni ereditari179 importa, per il legislatore, la decadenza180 dalla facoltà di rinunziare all’eredità, con la conseguente attribuzione della qualifica di erede, seppur puro e semplice; il chiamato, infatti, sottraendo o nascondendo beni ereditari, s’ingerisce nel compendio ereditario tamquam heres tamquam dominus181. Orbene, in tutte le ipotesi fino ad ora prospettate, noi riteniamo emergente ora un’accet-

Artt. 456-564, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, in Comm. cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Torino, 2009, 365 ss.; C. Coppola, La rinunzia all’eredità, in AA.VV., Tratt. dir. succ. e donazioni, diretto da G. Bonilini, I, La successione ereditaria, Milano, 2009, 1527 ss.; P. Ferrero, La rinuncia all’eredità, in AA.VV., Tratt. breve succ. e donazioni, diretto da P. Rescigno, coordinato da M. Ieva, vol. I, Le successioni mortis causa. I legittimari. Le successioni legittime e testamentarie, Padova, 2010, II ed., 389 ss.; G. Bonilini, V. Barba e C. Coppola, La rinunzia all’eredità e al legato, in Nuova giur. dir. civ. e comm., fondata da W. Bigiavi, diretta da G. Alpa - G. Bonilini - U. Breccia - O. Cagnasso - F. Carinci - M. Confortini - G. Cottino - A. Jannarelli - M. Sesta, Torino, 2012, spec. 1-516 (capp. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 ad opera di V. Barba, capp. 2, 11 e 12 ad opera di C. Coppola); G. Perlingieri, L’acquisto dell’eredità, cit., 351 ss.; C.M. Bianca, op. cit., 129 ss.; G. Capozzi, op. cit., 311 ss.; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 142 ss.; M. Moretti, sub artt. 519-527; in AA.VV., Codice delle successioni e donazioni, a cura di G. Bonilini, M. Confortini, G. Mariconda, coordinato da V. Barba, G. Bonilini, A. Chizzini, M. Confortini, P. De Cesari, F. Trombetta Panigadi, P. Veneziani, Torino, 2015, 411 ss. 174 A. Butera, op. cit., 81; G. Russo, op. cit., 118. 175 In questo senso, v. anche L. Coviello jr., op. cit., 498. 176 Cfr. A. Palazzo, op. cit., 298 s. Cfr. anche quanto, con innegabile acume, asserisce L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, cit., 116 (con nt. 97). 177 Cfr. A. Butera, op. cit., 83. 178 A. Butera, op. cit., 134. V. eziandìo, seppur obiter, ciò che afferma A. Cicu, Le successioni, cit., 78 s. Contra v. L. Coviello jr., op. cit., 494496 s. 179 Comportamenti, questi, «riprovat[i] dal diritto»: L. Coviello jr., op. cit., 496. 180 In tal caso, riteniamo trattarsi di un’ipotesi impropria (cfr. A. Magazzù, voce Decadenza (Diritto civile), in Noviss. Dig. it., V, Torino, 1960, 232) di decadenza che, affiancandosi alle altre (su cui v. Id., ibidem), deriva da un comportamento (attivo) del soggetto, comportamento che tuttavia è incompatibile con un altro diritto, sempre in capo a quel soggetto, per il quale, appunto, il legislatore prevede la decadenza. V. anche P. Saraceno, Della decadenza, in AA.VV., Codice civile. Libro della Tutela dei Diritti. Commentario, a cura di M. d’Amelio, W. d’Avanzo, F. Degni, P. d’Onofrio, E. Eula, G.P. Gaetano, L. Lordi, C. Maiorca, G.A. Micheli, D.R. Peretti-Griva, P. Saraceno, diretto da M. d’Amelio, Firenze, 1943, 1009 (ma v. pure 1011). 181 fr. 21, § 1, D., de a. vel o. h., XXIX, 2.

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tazione tacita, ora un’accettazione espressa (pura e semplice)182, giacché v’ha comunque un comportamento (attivo) del chiamato, il quale assume significato per il legislatore183. Quello che tendiamo ad escludere, in altre parole, è un acquisto – per così dire – automatico, ex lege (fatto salvo il caso di cui all’art. 586, co. 1, c.c., fattispecie di acquisto ope legis184 espressamente codificata, con automatico beneficio della responsabilità limitata intra vires hereditatis185): l’unica disposizione che non abbisogna di aditio, com’è noto, è quella a titolo particolare (alias: il legato)186 ex art. 649, co. 1, c.c.187: a fortiori, un acquisto puro e semplice, che importi responsabilità ultra vires hereditatis188 (arg. a contrariis

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Nella pronunzia in commento, la Corte è a dire come gli artt. 485, co. 2, e 487, co. 2, c.c., rappresentino ipotesi di «accettazione ex lege». Interessante, autorevole e suggestiva interpretazione è quella proveniente da G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 113 s., il quale è ad affermare come in tutte queste ipotesi l’acquisto ereditario, da parte dell’ente morale, non avverrebbe a séguito di un’accettazione pura e semplice, bensì talvolta (nei casi di cui agli artt. 527 e 485, co. 2 e co. 3, c.c.) in mancanza di qualsivoglia forma di accettazione, talaltra in presenza sì di un’accettazione beneficiata, ma non seguìta dal compimento dell’inventario (nei casi di cui agli artt. 487, co. 2, e 488, co. 1, c.c.). In codesti casi, afferma l’A. (ivi, 114 s.), «[…] la disposizione contenuta nell’art. 473 c.c. è rispettata perché l’acquisto previsto è la conseguenza non di una accettazione pura e semplice, ma della volontà del legislatore per ragioni di garanzia e conservazione del patrimonio ereditario […]». Pertanto, soggiunge sempre l’A., «[…] altro è l’accettazione, la quale “non può farsi che col beneficio d’inventario” (art. 473 c.c.), altro è l’acquisto (volontario o ex lege: v. artt. 485, comma 2 e 3, 487, comma 2, 488, comma 1, 527 c.c.), il quale è di là dalla mera accettazione, posto che ora è una sua conseguenza (o un suo effetto), ora è conseguenza della volontà del legislatore (acquisto ex lege), tant’è che può avvenire anche contro la stessa volontà del chiamato (così, ad esempio, nelle ipotesi previste dagli artt. 485, comma 2 e 3, e 527 c.c.). Nelle fattispecie indicate [ovverosia negli articoli citati nel virgolettato che abbiamo riportato nel testo] l’acquisto non è mai una conseguenza di una accettazione pura e semplice (art. 473 c.c.), ma, al massimo, conseguenza di una accettazione beneficiata non seguita dal compimento dell’inventario (artt. 487, comma 2, e 488, comma 1, c.c.). Il fatto che il chiamato-ente non possa accettare “che col beneficio d’inventario” (art. 473 c.c.), non significa che gli è precluso di acquistare l’eredità senza beneficio. L’importante è che l’acquisto non avvenga in virtù di una accettazione pura e semplice, visto il divieto di cui all’art. 473 c.c. […]». Sul punto, ulteriori sono le argomentazioni, senz’altro pregne di interessanti contenuti, addotte dall’A., alle quali, tuttavia, per esigenze d’economia espositiva rinviamo (ivi, 115 ss.). 184 D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 925 e 936. Sulla successione dello Stato quale erede legittimo, più in generale, v. soprattutto, di recente, F. Spotti, Lo Stato, in AA.VV., Tratt. dir. succ. e donazioni, diretto da G. Bonilini, III, La successione legittima, Milano, 2009, 877 ss. Adde A. Butera, op. cit., 217-221, con, ivi, interessanti spunti storici; A. Cicu, Le successioni, cit., 204-208 (con, ivi, taluni spunti storici); C. Giannattasio, op. cit., 403-407; A. Trabucchi, A. Rasi Caldogno, voce Successioni (Diritto civile): successione legittima, in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, 784 e 785 s.; L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol. XLIII, t. I, Milano, 1990, 197 ss.; C.M. Bianca, op. cit., 247 e 248; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 240-242. 185 Cfr. F. Spotti, Lo Stato, cit., 896. V. eziandìo A. Butera, op. cit., 220; A. Cicu, Le successioni, cit., 208; C. Giannattasio, op. cit., 405; A. Trabucchi - A. Rasi Caldogno, op. cit., 784. Adde N. Coviello, op. cit., 128. Quanto allo Stato istituito erede mediante testamento, è da ritenersi che, in tale caso, esso debba accettare espressamente l’eredità col beneficio d’inventario, posto l’art. 473, co. 1, c.c.: «[…] è di palmare evidenza […] che lo Stato è la persona giuridica per eccellenza […]. Lo Stato, come tutte le persone giuridiche, è concezione astratta e per operare deve servirsi dei propri organi […]»: G. Russo, op. cit., 112; l’A., inoltre, a sostegno di quanto scrive, richiama (ibidem, nt. 1) la Relazione ministeriale, n. 25 (v. n. 42), al Libro I, ove si specifica come lo Stato sia «la persona giuridica per eccellenza». Cfr. pure: C. Giannattasio, op. cit., 92; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 399: «Può darsi che sia istituito erede lo Stato […]. Atteso che (secondo un dato, che i giuspubblicisti considerano pacifico) esso è persona giuridica, il disposto [art. 473 c.c.], circa l’esigenza dell’accettazione beneficiata, deve ritenersi applicabile allo Stato (o pubblica amministrazione), quale erede testamentario»; A. Palazzo, op. cit., 266; C.M. Bianca, op. cit., 247 (nt. 31); G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 119. Adde N. Coviello, op. cit., 128. 186 G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 103. 187 V., sul punto, G. Bonilini, Dei legati, cit., 169 ss., spec. 174. 188 Cfr. A. Butera, op. cit., 51 (ma pure 86); W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 115 e 290; R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 387; P. Schlesinger, op. cit., 761. V. pure R. Reggi, op. cit., 5 Sul punto, rilevante fu, per il diritto romano, Ulpiano, nel fr. 8, D., de acq. vel. o. her., XXIX, 2: «Hereditas autem obliget nos aeri alieno, etiam si non sit solvendo, plus quam manifestum est; fr. 36, D., de b. lib., XXXVIII, 2; fr. 10, C., de iur. del., VI, 3». 183

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Giurisprudenza

dall’art. 490, n. 2)189, non potrà mai rannodarsi alla sola e mera volontà del legislatore190. In tutti gli altri casi, pertanto, com’è a dirsi per le anzidette ipotesi, l’aditio hereditatis, giusta il tersissimo art. 459 c.c.191, dovrà necessariamente sussistere192; accettazione che, posto l’art. 470, co. 1, c.c., potrà appunto essere pura e semplice o col beneficio d’inventario, e indi potrà, a seconda dei casi, essere espressa o tacita (art. 474 c.c.)193. Quanto testé prospettato vale intuitivamente e soprattutto per le persone giuridiche, le quali, giova ripeterlo, atteso l’art. 473, co. 1, c.c., non possono che accettare l’eredità (sì espressamente, ma) col solo ed unico beneficio d’inventario194. Diverse sono state le considerazioni sulle ragioni che hanno spinto il legislatore a sanzionare quest’ultima disposizione195, la quale, nella sua formulazione originaria, conteneva il riferimento all’autorizzazione governativa. Sicuramente, ciò che premeva di più al legislatore del ‘42 (così come, parimenti, al legislatore del 1865196), oltreché garantire una sòrta di favor nei confronti di siffatti enti197, era soprattutto d’impedire che in capo ad essi s’accumulasse un’eccessiva fortuna che avrebbe

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F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 395. Cfr. G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 103. 191 Si veda A. Butera, op. cit., 62 (ma pure 15), il quale, a nostro credere a ragione, ritiene come la norma racchiusa nell’art. 474 c.c., letta in combinato con l’art. 459 c.c., sia «apodittica nel designare i modi di acquisto del diritto ereditario: accettazione espressa o tacita. Tutti gli altri modi devono farsi rientrare in uno di cotesti due. Così l’accettazione presunta e l’accettazione, stabilita dalla legge, sono modi taciti di acquistare l’eredità […]. Il principio che l’eredità deve essere accettata, è posto nell’art. 4 [alias: art. 459 c.c.]». 192 La necessaria accettazione dell’eredità, scolpita dal nostro legislatore in seno alla cornice dell’art. 459 c.c., ha definitivamente sancito l’abbandono del principio della saisine héréditaire (derivante dai sistemi giuridici franco-germanici: v. A. Palazzo, op. cit., 245), cioè a dire il trapasso ope legis, dal de cuius al chiamato, della titolarità del compendio ereditario (sul punto, v. altresì, per talune notazioni in tema di diritto romano, A. Burdese, op. cit., 228 e 229, cui adde, più di recente, G. Capozzi, op. cit., 229; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 104; v. pure, con spunti di carattere storico e comparatistico, R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 383 e 384, e Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 25-26 s.). Contra, a quanto da noi sostenuto, v. L. Coviello jr., op. cit., 487 ss. 193 Cfr. G. Russo, op. cit., 114. Se il comportamento del chiamato comporti o no accettazione tacita, per taluni è una mera quaestio facti (L. Barassi, op. cit., 110; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 931 s.), per cui spetterebbe al giudice del merito, e non già alla giurisprudenza di legittimità, effettuare tale valutazione. Per taluno, più precisamente, trattasi invece di una quaestio voluntatis (A. Butera, op. cit., 66). V’ha chi non ha mancato di osservare che, una volta individuati (da parte del giudice del merito) gli elementi oggettivi e soggettivi dell’atto, è questione di diritto, eventualmente censurabile in Cassazione, se codesto atto sia configurabile, o no, come accettazione tacita (L. Ferri, op. cit., 224; A. Burdese, op. cit., 282). In giurisprudenza, di recente, in luogo di tante v. Cass., 19 febbraio 2019, n. 4843, in Notariato, 2019, 412. 194 C. Giannattasio, op. cit., 99. 195 Sul punto, per una varietà d’opinioni, v. quantomeno: A. Butera, op. cit., 60-62; G. Russo, op. cit., 112 e 113 s.; L. Ferri, op. cit., 208-210 s.; A. Burdese, op. cit., 242 ss.; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 82 s.; C.M. Bianca, op. cit., 105. 196 F. Ferrara, Trattato di diritto civile italiano, vol. I, Dottrine generali, Parte I, cit., 671; N. Coviello, op. cit., 127. V. anche G. Gabrielli, op. cit., 233. Per una disamina particolare, seppur formulata sotto l’egida del Codice Pisanelli, v. E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 124 s., ad avviso del quale, il legislatore ha prescritto la necessaria accettazione dell’eredità col beneficio d’inventario in capo ai «corpi morali», «dappoichè ha voluto che fosse rimosso sempre ogni pericolo di qualsiasi danno, che potrebbero risentirne dalla accettazione pura e semplice. Non è forse del tutto infondata l’accusa che taluno muove al legislatore, di avere qui dimostrato soverchio zelo ordinando in modo assoluto l’accettazione col benefizio d’inventario; poichè le eredità possono essere, anzi il più delle volte sono, lucrose; e allora la sua provvidenza cagiona alle persone tutelate inutili dispendi e non lievi imbarazzi. Forse sarebbe stato più provvido di subordinare l’accettazione con benefizio d’inventario, alla deliberazione del consiglio di famiglia o di altra autorità tutelare». 197 Per una particolare disamina di siffatto “favor”, v. almeno E. Bilotti, op. cit., 689 ss. (passim), spec. 702. 190

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potuto dare vita alla così detta manomorta198, in guisa da determinare una sottrazione di beni alla circolazione e all’impiego secondo un normale criterio di rendimento199. Ciò è a maggior ragione avvalorabile alla luce di quella che era la necessaria autorizzazione prevista sia dall’art. 17 c.c. – oggi, come visto200, abrogato –, sia nella precedente formulazione, ultronea, dell’art. 473, co. 1, c.c., che anch’esso, si ripete, prevedeva la necessaria autorizzazione governativa201. Tale ridondanza, tuttavia, era sinonimo di uno stretto legame intercorrente fra la necessaria autorizzazione governativa e l’accettazione beneficiata202. La stesura dell’inventario, difatti, serviva agli organi competenti per verificare l’opportunità del loro acquisto in capo all’ente203 (si badi: non solo, però, nell’esclusivo interesse dell’ente204, ma soprattutto nell’interesse dell’economia); il beneficio, dunque, non era altro che una sòrta di «compenso a fronte dell’onere [imposto all’ente] di erigere l’inventario»205. Sicché, una volta abrogata la norma di cui all’art. 17 c.c.206 e riformulato il primo comma dell’art. 473 c.c., «sarebbe stato ragionevole […] attendersi che la soppressione di tale controllo [governativo] […] dovesse comportare anche [l’eliminazione] dell’imposizione dell’accettazione beneficiata»207. La ratio dell’imposizione dell’accettazione col beneficio d’inventario, alla luce dell’abrogazione dell’autorizzazione governativa, oggidì parrebbe da rintracciarsi, ad un primo sguardo, in quella concezione208 per cui le persone giuridiche, dovendo agire per il tramite di un proprio rappresentante legale209 (i propri amministratori, arg. ex art. 18 c.c., persone

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Sul punto, sono asciutti, ciò nondimeno esaustivi: N. Coviello, op. cit., 127: «Il legislatore [del 1865, ma ciò vale, ça va sans dire, anche per il legislatore del ‘42] è partito […] dal principio che per ragioni economico-sociali bisogna limitare la manomorta, ossia il ristagno nella circolazione dei beni, come fatalmente avviene quando la proprietà è nelle mani di un ente morale»; C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 271; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 287; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 82; G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 105. Adde E. Bilotti, op. cit., 704. Obiter, v. pure G. Bonilini, Dei legati, cit., 183 (nt. 78). 199 In questi ultimi termini, v. G. Gabrielli, op. cit., 233 s. Nello stesso senso, v. altresì C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 272. Seppur obiter, cfr. G. Russo, op. cit., 112. 200 V. supra, nt. 146. 201 Così, G. Gabrielli, op. cit., 234. 202 Cfr. A. Azara, op. cit., 166 (nt. 3). Cfr. altresì G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 104. Manifesta una dissimile opinione, E. Bilotti, op. cit., 705 e 706. 203 Si veda C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 272. 204 Cfr. C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 271 e 272. 205 Così, G. Gabrielli, op. cit., 233. 206 La necessaria autorizzazione governativa indusse F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 287 s., a ravvisare, nella «persona giuridica civile», una «capacità giuridica limitata […]». 207 Così, G. Gabrielli, op. cit., 234. 208 Su cui v. L. Ferri, op. cit., 208 e 209, nonché A. Burdese, op. cit., 242 ss. 209 F. Ferrara, Trattato di diritto civile italiano, vol. I, Dottrine generali, Parte I, cit., 677 s.; R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 218; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 289; Id., Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 399 e 400; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 935; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 77 s. V. altresì E. Eula, Delle persone giuridiche, in AA.VV., Codice civile. Libro Primo (Persone e Famiglia). Commentario, a cura di A. Azara, G. Balladore-Pallieri, D. Barbero, M. D’Amelio, F. Degni, E. Eula, M. Ferrara-Santamaria, C. Grassetti, C. Maiorca, A. Manca, F. Maroi, E. Piola-Caselli, S. Pugliatti, C. Rebuttati, G. Russo, diretto da M. D’Amelio, Firenze, 1940, 107 e 137. V. pure S. Pugliatti, Istituzioni di diritto civile. Introduzione – Diritto delle persone - Teoria dei fatti giuridici, cit., 291: «L’ente […] deve […] servirsi di un proprio rappresentante, che viene denominato comunemente organo, perché viene considerato, con una metafora felice, ma densa di equivoci, come parte integrante dell’ente medesimo, nel cui seno rimane assorbito».

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fisiche210), sono da considerarsi in uno stato perenne d’incapacità ad agire, indi sono da equiparare, sotto questo aspetto, alle persone fisiche incapaci211. Concezione, codesta, che ad un secondo e più accorto sguardo è però facilmente avversata dal fatto che il secondo comma dell’art. 473 c.c. escluda le società dai soggetti cui è imposta l’accettazione beneficiata: anch’esse, a rigore, si troverebbero nel medesimo stato giuridico di qualsivoglia persona giuridica212, giacché devono agire per il tramite di un proprio rappresentate legale (arg., ad esempio, ex artt. 2266, 2298, 2328, co. 2, n. 9), 2380-bis, 2455, co. 2, 2475, 2475bis, c.c.); nondimeno, per esse non è affatto imposta l’accettazione beneficiata. Orbene, ad oggi, nonostante quanto testé asserito, resta saldo il dato normativo, che l’interprete non può ignorare: la norma scolpita nell’art. 473, co. 1, c.c., rappresenta, in definitiva, una sòrta di recinto di protezione per le persone giuridiche, alle quali è imposta l’accettazione beneficiata. Cosicché, una disposizione di tal fatta deve intendersi come un dogma mirato non solo ad obbligare (ove, chiaramente, si decida di accettare e non già di rinunziare213) ad avvalersi del beneficio d’inventario, ma altresì ad evitare – attesa l’evidente incompatibilità – l’applicazione, nei confronti dell’ente morale, delle norme di cui agli artt. 485, 487, co. 1 e co. 2, 488 e 527 c.c. L’attivazione di queste ultime disposizioni, quindi, viene schermata dal caposaldo che alberga nell’art. 473, co. 1, c.c.214, il quale perciò osta, in questo particolare caso, alla realizzazione del principio per cui ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus. Una breccia, nella cinta rappresentata da quest’ultima disposizione – consentendo perciò l’applicazione, nei confronti degli enti morali, delle suaccennate disposizioni –, non potrebbe che essere dischiusa solo che da un’espressa abrogazione dell’art. 473 c.c.215. Anche nel caso in cui ci si focalizzasse sul favor racchiuso nell’art. 473, co. 1, c.c., mirato a tutelare l’ente morale da una eventuale damnosa hereditas216, l’abrogazione di tale disposizione potrebbe comunque avere ragion d’essere, dacché – si pensi ad una grande fondazione, magari di origine bancaria217 – anche tali enti dispongono di tutti gli strumenti

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«La persona giuridica è retta dagli amministratori […]. Questi sono gli strumenti o organi (persone fisiche), per il tramite dei quali, essa manifesta la propria volontà e, più in generale, entra in relazioni giuridiche con gli altri soggetti […]»: F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 289. V. anche B. Liguori, op. cit., 217 s. 211 V., anche per un preciso riferimento bibliografico, G. Gabrielli, op. cit., 234 (testo e nt. 17) 212 G. Gabrielli, op. cit., 234 s. 213 Cfr. G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 105. 214 Cfr. W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 120. 215 Abrogazione ritenuta necessaria, per taluni proteiformi motivi ai quali si rimanda, da P. Carbone, Dopo l’abrogazione dell’art. 17 c.c., le persone giuridiche devono accettare l’eredità con beneficio di inventario?, in Contr. impr., 1999, 61 ss., spec. 71 s.; M.V. De Giorgi, L’abrogazione degli artt. 600, 786 c.c. e la modifica dell’art. 473 c.c. (come rielaborare il codice attraverso la « Bassanini-bis »), in Studium iuris, 2000, 1194 e 1195; G. Gabrielli, op. cit., 232 ss., spec. 235; F. Padovini, Per l’abrogazione dell’art. 473 del Codice civile: una proposta, in Riv. not., 2009, III, 737-738 s. 216 In questo senso, v. G. Capozzi, op. cit., 281: «La disposizione [art. 473, co. 1, c.c.] ha evidentemente lo scopo di tutelare il patrimonio dell’ente (il quale, per sua natura, persegue un fine non strettamente individualistico) dai rischi derivanti dall’accettazione di damnosae hereditates, salvaguardando nel contempo gli interessi dei creditori dell’ente». V. pure, per una diversa, ma comunque orientata in tal senso, interpretazione, E. Bilotti, op. cit., 689 ss., spec. 702. 217 G. Gabrielli, op. cit., 235.

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necessari al fine di salvaguardare e gestire al meglio il proprio patrimonio218. Diverse considerazioni, rispetto a quanto detto fino ad ora, richiede la disposizione contenuta nell’art. 493, co. 1, c.c., e segnatamente il rapporto fra quest’ultimo e l’art. 473 c.c. Più precisamente, a differenza delle ipotesi di cui agli artt. 485, 487, co. 1 e co. 2, 488 e 527 c.c. – che, come rilevato, attribuiscono la qualità di erede puro e semplice come conseguenza di un’accettazione, a seconda dei casi espressa o tacita, dell’eredità –, l’art. 493, co. 1, c.c., trova invece applicazione per una dissimile ragione: una sanzione (correttiva219) comminata dall’ordinamento220. Quest’ultima, la quale prevede, come propria conseguenza, la decadenza221 dal beneficio d’inventario222 e quindi il divenire erede puro e semplice, presuppone – oltreché un comportamento illegittimo dell’erede beneficiato, segnatamente, l’alienazione o il sottoporre a pegno o ipoteca beni ereditari o il transigere rispetto a questi, tutto ciò senza la necessaria autorizzazione giudiziale223 e senza osservare le forme previste dal Codice di procedura civile – che già vi sia stato l’apposito atto di accettazione (beneficiata) dell’eredità224, il quale rimarrà pienamente valido225. Il beneficio, difatti, rappresenta, come si

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G. Gabrielli, op. cit., 235. Così, A. Butera, op. cit., 88. 220 A. Butera, op. cit., 88. V. anche: W. D’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 126; A. Cicu, Successioni per causa di morte, cit., 273; C. Giannattasio, op. cit., 155; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 408, il quale discorse di «pena»; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 91 e 92; L. Ferri, op. cit., 312; M. Ferrario Hercolani, op. cit., 1315; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 123. Suggestiva interpretazione, che giova senz’altro qui riportare, è quella di A. Azara, op. cit., 174, ad avviso del quale, se l’erede, il quale alieni o sottoponga a pegno o ipoteca beni ereditari, o transi rispetto a questi ultimi, senza osservare le forme prescritte dal Codice di procedura civile «o, peggio ancora, non si cur[i] nemmeno di ottenere l’autorizzazione giudiziaria, dimostra col fatto che intende disporre dei beni come un libero proprietario, quale può essere un erede puro e semplice; dimostra, quindi, di non volersi più valere del beneficio d’inventario, e la legge ne proclama senz’altro la decadenza». 221 Anche in tal caso, si badi bene, la decadenza è impropria (v. supra, nt. 180). Essa, invero, è intesa «a titolo di pena», cioè a dire come conseguenza della violazione di una norma imperativa che impone un determinato comportamento, a nulla rilevando il rispetto di un termine: F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 197 s. V. pure N. Coviello, op. cit., 187. 222 La decadenza dal beneficio, si badi, non inficia la validità e l’efficacia dell’atto compiuto dall’erede, giacché l’autorizzazione dev’essere domandata per il mantenimento del beneficio, e non anche per la validità dell’atto: L. Ferri, op. cit., 311 (ma anche 312). Cfr. pure A. Butera, op. cit., 88; A. Azara, op. cit., 174; C. Giannattasio, op. cit., 155 e 156; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 408; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 109; G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 122. Sul punto, v. altresì A. Cicu, Alienazione di beni di eredità beneficiata senza autorizzazione giudiziale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 330, il quale afferma che, pur ammettendo «[…] che l’atto di alienazione sia valido nei riguardi dell’erede e dei suoi creditori personali, per il terzo acquirente è sempre un atto esposto a revocatoria, con l’effetto di far rientrare, nei riguardi del creditore o dei creditori revocanti, il bene alienato nel patrimonio che era destinato a soddisfare i creditori, o fra i beni su cui si era costituito un vincolo a loro favore; e con l’effetto di conservare loro la preferenza sui creditori dell’erede». 223 Autorizzazione che, giusta il cpv. del medesimo art. 493 c.c., non è necessaria ove siano già decorsi cinque anni dalla dichiarazione di accettare con beneficio d’inventario e ove trattisi di beni mobili. Si veda Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 109. 224 A. Butera, op. cit., 90; L. Coviello jr., op. cit., 425; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 422 e 423. 225 A. Butera, op. cit., 90. 219

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dirà meglio infra226, un qualcosa di distinto e di aggiuntivo rispetto alla dichiarazione di accettazione stricto sensu considerata227; l’addivenire ad affermare ciò è senz’altro consentito dalla struttura dell’accettazione dell’eredità col beneficium inventarii228. Il soggetto, dunque, rimane erede, seppur puro e semplice, anche in virtù del noto brocardo, di origine romanistica, semel heres semper heres229 (o anche sine dubio heres manebit, qui semel exstitit230): esso ha già acquistato la qualità di erede in forza del compimento del procedimento di accettazione beneficiata231. Talché, in definitiva e a differenza dei casi supra prospettati, l’art. 493, co. 1, c.c., potrà trovare pacifica applicazione anche nei confronti degli enti morali232: qui, invero, trattasi, come già affermato, di sanzione prevista dal legislatore, la quale nulla ha a che fare con l’atto di accettazione strettamente inteso. In altri termini: in questo caso si opera bensì in un momento successivo all’accettazione, quindi quando il chiamato è già divenuto erede, e alla presenza di un determinato «“vizio” a vicenda acquisitiva perfezionata»233; là, invece, si opera nel momento in cui il soggetto ancóra non è erede, ma solamente chiamato (lo stesso dettato normativo, per vero, negli articoli di cui sopra discorre de «Il chiamato all’eredità»234, mentre, nel caso dell’art. 493 c.c.235, de «L’erede»: differenza terminologica, in questo caso, di determinante rilievo). Consente di confermare quanto testé affermato, altresì, l’art. 494 c.c.: anche in codesto caso, invero, v’ha una sanzione (o pena236, che dir si voglia) prevista dal legislatore237, che

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V. § 4. Si veda A. Butera, op. cit., 90, il quale, con acume, afferma: «La clausola beneficiaria non forma con l’accettazione un tutto indivisibile e inscindibile, ma è un potere accessorio, che suppone l’accettazione dell’eredità, senza confluire sulla sorte ulteriore di essa. Il principale domina l’accessorio, non questo quello […]». V. anche infra, nt. 242. 228 V. supra, § 2. 229 L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, cit., passim, spec. 107 (ma anche 145); F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 370; G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 122 e 123; C.M. Bianca, op. cit., 129; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., passim (spec. 11 e 105). V. pure V. Polacco, op. cit., 109. Principio, questo, che da una lettura profusa del Libro II affiora specialmente da talune disposizioni, quali gli artt. 637, 475, co. 2, ove viene ritenuta nulla la dichiarazione di accettazione cui sia apposto un termine (nel nostro caso, da intendersi come finale), 533, co. 2, c.c. 230 Ad avviso di Ulpiano, nel fr. 7, § 10, D., de min., IV, 4. Letteralmente: “senza dubbio erede rimarrà, chi una volta lo è divenuto”. Sul punto, v. pure C.M. Bianca, op. cit., 129 (nt. 200). V. altresì, per uno sguardo al diritto romano, A. Guarino, Diritto privato romano, Napoli, 1997, XI ed., 464 (v. pure la nota 36.4.2). 231 Cfr. G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 122 e 123. 232 Contra, in luogo di tanti, v. W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 129; E. Bilotti, op. cit., 691 ss., spec. 708 e 709. Sull’applicazione dell’art. 493 c.c. anche nei confronti degli enti morali, seppur con una diversa, tuttavia senz’altro assai interessante, sfumatura, v. G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 121-123 s. 233 Così, G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 122. 234 Cfr., seppur con riguardo al solo parallelo fra gli artt. 494 e 527 c.c., L. Ferri, op. cit., 317. 235 Sul punto, per l’interpretazione che individua, nella «decadenza» comminata dal legislatore per il caso di alienazione di beni ereditari senza la prescritta autorizzazione giudiziale, una rinunzia tacita al beneficium inventarii, v. A. Cicu, Alienazione di beni di eredità beneficiata senza autorizzazione giudiziale, cit., 319 ss. 236 Si veda F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 408 237 A. Butera, op. cit., 91; C. Giannattasio, op. cit., 159; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 91 e 92; C.M. Bianca, op. cit., 118; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 122. 227

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importa sì decadenza238 dal commodum inventarii, ma non già decadenza dalla qualità di erede (semel heres semper heres): il soggetto è già divenuto erede beneficiato239, avendo effettuato sia la dichiarazione sia l’inventario240 (anche qui, la dichiarazione di accettazione, che è indi precedente241, ex art. 484, co. 3, c.c., alla compilazione dell’inventario, viene fatta salva242, ma tramutata in accettazione pura e semplice243), sicché è d’intuitiva evidenza come il piano operativo di tale disposizione, così come l’art. 493 c.c. (anche nella norma di cui all’art. 494 c.c. si parla di «erede», e non già di “chiamato”244), sia differente rispetto agli artt. 485, 487, co. 1 e 2, 488 e 527 c.c. Pure tale prescrizione, dunque, ben potrà trovare applicazione nei confronti di un ente morale. Le considerazioni effettuare or ora sugli artt. 493 e 494 c.c. valgono altresì, facendo i dovuti adattamenti, per il caso di cui all’art. 505, co. 1 e co. 2, c.c.245. Nulla quaestio, poi, circa l’astratta applicabilità246, anche nei confronti degli enti morali, dell’art. 487, co. 3, c.c., il quale tassativamente prevede un’ipotesi di decadenza dal diritto di accettare l’eredità: qui, invero, non si prevede alcuna accettazione, tacita o espressa, pura e semplice, bensì una decadenza che il legislatore ha expressis verbis previsto, che tange non già l’accettazione, quanto, più a monte, «il diritto di accettare l’eredità»247. Mede-

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Si veda F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 198. Adde P. Saraceno, op. cit., 1009. 239 L. Coviello jr., op. cit., 425. 240 F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 422 e 423; A. Palazzo, op. cit., 315. 241 F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 423; L. Ferri, op. cit., 316; A. Palazzo, op. cit., 315. Di dissimile avviso è C. Giannattasio, op. cit., 160. 242 A. Butera, op. cit., 91: «L’art. [494] indica altre cause, che, mentre determinano la decadenza dal beneficio dell’inventario, lasciano salva l’accettazione dell’eredità. Ciò rincalza l’idea che il commodum inventarii non è una condizione, ma una clausola accessoria, che, pur dipendendo dal principale, non lo governa». 243 F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 422. 244 Cfr. L. Ferri, op. cit., 316. 245 Cfr. L. Coviello jr., op. cit., 425 s. Codesta disposizione, a ben vedere, è ora rannodabile alla decadenza classica (arg. ex 505, co. 1, c.c., ove non si rispetti il termine di cui all’art. 500 c.c.), ora alla decadenza in senso ampio, vale a dire quella comminata dal legislatore allorché non si tenga un determinato comportamento imposto da una norma imperativa (arg. ex 505, co. 1, c.c., ove non si osservino le prescrizioni imposte dall’art. 498 c.c.). Discorre, anche per tal caso, di «sanzione dell’irregolare comportamento dell’erede», U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 92. 246 Per un particolare caso, rispetto al quale, in concreto, non si applicherebbe tale disposizione, v. G. Bonilini, Se l’art. 487, ult. cpv., c.c. si applichi nell’ipotesi in cui la formazione dell’inventario non sia stata richiesta dal chiamato all’eredità, in Fam. pers. succ., 2011, 601 ss. 247 Cfr. C. Giannattasio, op. cit., 139; L. Ferri, op. cit., 280; A. Burdese, op. cit., 250; P. Lorefice, op. cit., 345; G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 120 s. Contra, v. E. Valsecchi, op. cit., 955 ss., spec. 965. Per una particolare interpretazione fondata sul principio, che «[…] esiste tanto se il chiamato all’eredità è una persona fisica, quanto se giuridica […]», per cui «quando si è proceduto all’inventario ed il chiamato all’eredità avendo partecipato alle relative operazioni, è in condizione di conoscere la consistenza del patrimonio, non sarebbe giustificato il prolungarsi di uno stato di incertezza nei riguardi della persona dell’erede effettivo […]», v., seppur risalente, App. Milano, 12 dicembre 1947, in Giur. it., I, 2, 1949, 26, con nota contraria di P. Castellani, Decadenza delle persone giuridiche dal diritto di accettare l’eredità, nonché in Mon. trib., 1948, 105 (tale pronunzia, come già cennato, venne altresì commentata da E. Valsecchi, op. cit. – v. supra, nt. 141 –).

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Giurisprudenza

sime considerazioni valgono per l’art. 481 c.c.248, il cui termine, si badi, è improrogabile249. Piccola parentesi si deve dischiudere per la norma calata nell’art. 490, co. 2, n. 3, c.c.250, che, seppur per incidens, prevede la possibilità, per «l’erede», di rinunziare al beneficio d’inventario: anche tale disposizione, per le medesime ragioni testé prospettate, ci pare applicabile nei confronti degli enti morali, giacché è già intervenuta apposita accettazione dell’eredità col beneficio d’inventario251. L’ente diviene, con tale rinunzia, erede puro e semplice252. In definitiva, sintetizzando, a noi pare che vi sia una netta e tersa differenza fra le disposizioni (artt. 485, co. 2 e co. 3, 487, co. 2, 488, co. 1, 527 c.c.) che importano, in taluni casi, il divenire eredi puri e semplici, rispetto alle disposizioni (artt. 481, 487, co. 3, 493, co. 1, 494, 505, co. 1 e co. 2, c.c.) che prevedono una sòrta di decadenza, a seconda dei casi, dal beneficio d’inventario o dal diritto di accettare l’eredità. Le prime, poste le considerazioni sopraddette, non sono affatto applicabili agli enti morali253, atteso il recinto a tenuta stagna costruito dall’art. 473, co. 1, c.c.; le seconde, invece, postulando che il soggetto sia già divenuto erede con beneficio d’inventario, sono bensì applicabili anche agli enti morali254: qui, pertanto, non viene ostato da alcuna disposizione il principio ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus. Il divenire erede puro e semplice in vece di erede beneficiato, differisce, logicamente e giuridicamente, dal divenire erede puro e semplice ab initio, in virtù di un’accettazione tacita (art. 485, co. 2 e co. 3, 527 c.c.) o espressa (art. 487, co. 2, 488, co. 1, c.c.), a seconda dei casi.

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Si leggano: D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 935, il quale specifica, a ragione, che in tal caso, dovendo per essi accettare il proprio rappresentante legale, «agli stessi [ovverosia agli enti] non resterà che un’azione di danni contro questo [il rappresentante, appunto]»; L. Ferri, op. cit., 210, 257 e 280; A. Burdese, op. cit., 250; G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 121. 249 V. anche l. 22, § 13, C., de i. d., VI, 30. 250 Cfr. C.M. Bianca, op. cit., 129, il quale, a ragione, sottolinea come codesta disposizione non sia da confondersi con la rinunzia all’eredità di cui al Capo VII, del Libro II, del Codice civile. V. pure A. Cicu, Successioni per causa di morte, cit., 309 e 310; A. Burdese, op. cit., 507509; A. Palazzo, op. cit., 303 s. 251 Contra, v. almeno Giu. Azzariti, Dichiarazione di accettazione con beneficio e mancata redazione dell’inventario, cit., 884 (nt. 3). 252 Cfr. A. Butera, op. cit., 99; A. Azara, op. cit., 191 (nt. 1). 253 Di diverso avviso pare A. Butera, op. cit., 61. 254 Cfr. pure, più in generale, G. Capozzi, op. cit., 281e 282, cui adde C.M. Bianca, op. cit., 127 e 128. Contra, v. F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 410 ss.; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 110. Ritiene non applicabili, in toto, queste disposizioni, E. Bilotti, op. cit., 691 ss., spec. 709. V. pure P. Lorefice, op. cit., 346, il quale ritiene non applicabili, agli enti morali, solo le disposizioni che prevedono una decadenza dal beneficio, e non già i «casi […] di decadenza dal diritto di accettare». Sui soggetti legittimati a far valere la decadenza, v. quantomeno: A. Butera, op. cit., 99; A. Azara, op. cit., 191; A. Cicu, Le successioni, cit., 116; Id., Successioni per causa di morte, cit., 307 e 308; C. Giannattasio, op. cit., 179; L. Coviello jr., op. cit., 427; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 423; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 957; L. Ferri, op. cit., 344; A. Burdese, op. cit., 511; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., 119; G. Capozzi, op. cit., 304; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 123.

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4. La possibile decadenza di un ente morale dal

diritto di accettare l’eredità, in caso di mancata stesura dell’inventario nei termini previsti dalla legge.

Alla luce di quanto fino ad ora asserito, è evidente come la mancata formazione dell’inventario, da parte di un ente morale che già abbia effettuato la dichiarazione di cui all’art. 484, co. 1, c.c., non precluda al medesimo di poter successivamente accettare nuovamente l’eredità. Per vero, attesa la struttura dell’accettazione dell’eredità col beneficio d’inventario – da individuarsi, si ripete, vuoi in una struttura complessa (scilicet: fatto complesso o, più precisamente, atto complesso), vuoi in una fattispecie-procedimento255 – il mancato compimento dell’inventario, entro tre mesi dalla effettuata dichiarazione, da parte della Fondazione, non determina affatto decadenza dal diritto di accettare l’eredità256, come invece ritiene il ricorrente Filano257, bensì un vizio in seno alla catena di atti giuridici da cui è composta la predetta struttura, in guisa da determinare il mancato perfezionamento dell’accettazione posta in essere dalla medesima Fondazione, la quale, come ben ha affermato – seppur adducendo taluni motivi che per certi versi sono lievemente dissimili dai nostri, come vedremo a breve – il Supremo Collegio, potrà quindi in un secondo momento rinnovare l’accettazione dell’eredità col beneficio d’inventario258. Muoviamo con ordine. L’elemento cardine circa la soluzione dei motivi sottoposti alla Corte, segnatamente il primo motivo, è rappresentato dal surriferito, marmoreo e imperituro art. 473, co. 1, c.c. La Fondazione, invero, quale ente morale, non potendo, come detto, adire che col solo beneficio d’inventario, non potrà affatto divenire – si badi: prima di aver completato il procedimento di accettazione e di essere dunque divenuta erede beneficiato – erede puro e semplice, né decadere dal diritto di accettare.

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Su tutto ciò v., con maggiore dovizia di elementi giuridici, supra, § 2. Ritengono, per converso, la mancata compilazione dell’inventario nei termini secundum legem un’ipotesi di decadenza dal beneficium inventarii: Cass., 1 aprile 1995, n. 3842, in Giust. civ. Mass., 1995, 753; Cass., 10 novembre 1993, n. 11084, in Giust. civ., I, 1994, 687; Cass., 10 dicembre 1984, n. 6478, in Vita not., 1985, 236; Cass., 20 maggio 1980, n. 3308, cit.; Cass., 22 gennaio 1977, n. 329, in Giur. it., 1978, I, 1, 881, con nota di Giu. Azzariti, Dichiarazione di accettazione con beneficio e mancata redazione dell’inventario; Cass., 26 luglio 1971, n. 2490, in Giust. civ., 1972, I, 334. Pare discorrere, per tal caso, di una (non ben definita) «mancata acquisizione della speciale capacità a succedere», Cass., 29 settembre 2004, n. 19598, cit. 257 Il quale, quale fratello di Mevia, ha dunque un interesse, seppur di riflesso, a far sì che la Fondazione venga dichiarata decaduta dal diritto di accettare l’eredità. Ciò poiché la decadenza, strettamente intesa, è sì «un effetto pregiudizievole consistente in una perdita giuridica», la quale «opera direttamente solo nella sfera del titolare del diritto (o della situazione)», ma è altresì «un vantaggio […] di riflesso del controinteressato»: v. A. Magazzù, op. cit., 232, il quale rannoda il fenomeno della decadenza al fenomeno dell’«autoresponsabilità». V. eziandìo F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 194, il quale afferma come le ipotesi di decadenza siano «legate a situazioni, nelle quali, di fronte al soggetto del diritto (esposto a decadenza), vi sono soggetti interessati a che l’esercizio del diritto, se debba aver luogo, abbia luogo nel tempo più breve possibile». 258 In questo senso, lungimirante fu D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 934: «[…] vi sono […] persone giuridiche (escluse le società), per le quali l’accettazione col beneficio dell’inventario resta l’unica forma di accettazione valida dell’eredità […]. Se questa venisse fatta senza la riserva del beneficio, resterebbe irrilevante, e cioè non produrrebbe nè l’acquisto dell’eredità nè la perdita del diritto di effettuare successivamente una valida accettazione. L’eredità, in altri termini, resterebbe aperta per l’accettazione, come per la rinuncia, entro i termini di prescrizione del diritto di accettare (dieci anni dall’apertura) […]». 256

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Giurisprudenza

Circa la prima questione, abbiamo già avuto modo di palesare la nostra opinione259. Quanto alla seconda questione, le affermazioni dei ricorrenti paiono non considerare il rigoroso principio della tassatività260 delle ipotesi di decadenza261, che intesse il nostro intero ordinamento. Secondo una necessaria lettura sistematica, il fatto che ad un ente morale non siano applicabili gli artt. 485, co. 2 e co. 3, 487, co. 2, 488, co. 1, (e 527) c.c., non significa che, quasi a voler effettuare una sòrta di fuorviante “ragionamento262 ad esclusione” (del tipo, “se non è A, allora per forza dev’essere B”), l’ente debba quindi intendersi decaduto dalla possibilità di accettare. A ben scorgere, anche in seno alla stessa Sezione II, del Libro II del Codice civile, segnatamente agli artt. 489, 501, 505, co. 1, c.c., emerge tersamente il principio di tassatività della decadenza. Del resto, attesa la costante concettuale che fa da sfondo alla decadenza, costante rintracciabile nella perdita di una situazione giuridica soggettiva attiva che, a séguito di un inadempimento di un onere, il legislatore prevede quale effetto immediato263, nessuna decadenza è prevista in tema di beneficio d’inventario, nel caso in cui non si provveda a compilare il medesimo nei termini di legge264. La decadenza, invero, è un istituto eccezionale e come tale può essere invocato solamente nei casi tassativamente previsti dalla legge265: essa non può costituire, ex art. 14

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V. supra, § 3. La stessa Corte pare far emergere tale considerazione, ove afferma che, «in mancanza di un’espressa disposizione normativa [applicabile al caso de quo; per vero, una disposizione che prevede tale decadenza, come detto, esiste, ed è scolpita nell’art. 487, co. 3, c.c., la quale tuttavia non risulta applicabile alla fattispecie in commento] che ne preveda la perdita», la Fondazione «conserva […] il diritto di accettare l’eredità». Aggiunge la Corte: «la soluzione qui avversata […] finisce per individuare una causa di decadenza [dal diritto di accettare l’eredità], che, in realtà, nessuna norma prevede» (il corsivo è nostro). 261 «Quella ipotesi […] caratterizzata dalla perdita (mediante estinzione) di un diritto o, più in generale, di una situazione soggettiva attiva, come conseguenza del mancato esercizio o, più precisamente, del mancato compimento di un atto specificamente previsto dalla legge (o dal negozio), entro un dato termine (perentorio)»: A. Magazzù, op. cit., 231 s. V. anche, esemplarmente: F. Carnelutti, op. cit., 417, il quale è attentamente a lumeggiare come la decadenza si riferisca «all’efficacia del tempo come distanza, in quanto esprime la estinzione di una situazione giuridica (attiva, potere) per il difetto del compimento di un atto entro un termine»; R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 165; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 193: «la decadenza implica un onere […] di perentoria osservanza di un termine (di rigore, o preclusivo), nel compiere un atto (arg. 2966), ossia nell’esercitare un diritto, di regola potestativo […], da far valere per la prima volta, o una sola volta; con l’effetto che il diritto è perduto, se l’atto di esercizio non sia compiuto entro quel termine, o (che è lo stesso) se sia compiuto oltre quel termine (cfr. la formula contenuta nell’art. 2964, che accenna, appunto, a diritto da esercitarsi entro un dato termine)»; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, cit., 284: «la “decadenza” pregiudica la possibilità di compiere oltre un certo termine (termine perentorio, decadenziale) un dato atto da cui dipende la conservazione o l’acquisto di un’azione o di un diritto»; pertanto, «la decadenza ha per oggetto un atto che per effetto di essa non può più essere compiuto». 262 Sul ragionamento giuridico, in generale, v. R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., 111 ss. 263 A. Magazzù, op. cit., 232. 264 Come, invece, è a ritenere P. Lorefice, op. cit., 345, ove afferma che «la mancata redazione dell’inventario [nei termini di legge, da parte di un ente morale] esclude il completamento della (fattispecie relativa all’) accettazione beneficiata, sicché ad essa si collega la decadenza dal diritto di accettare l’eredità e non anche la (sola) decadenza dal beneficio». 265 F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, cit., 195. Cfr. pure: P. Saraceno, op. cit., 1021; R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 165; F.S. Gentile, Prescrizione estintiva e decadenza. Commento agli artt. 2934-2969 del Codice civile, Roma, 1964, 654 s.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, cit., 285; C. Ruperto, Prescrizione e decadenza, in Giur. sist. civ. comm., fondata da W. Bigiavi, Torino, 1985, II ed. rivista e aggiornata con la collaborazione di G. Marziale, F. Curcuruto e F. Loaicono Ruperto, 649 e 651; G. Gabrielli, op. cit., 236; M. Ferrario Hercolani, op. cit., 1268 e 1316. Eccezion fatta, beninteso, per l’ipotesi di decadenza negoziale, o convenzionale che dir si voglia. Cfr. F.S. Gentile, op. cit., 655; C. Ruperto, op. cit., 654. 260

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disp. prel. c.c., oggetto di interpretazione analogica, come peraltro correttamente afferma la Corte266, rappresentando un istituto, appunto eccezionale267, che deroga al normale principio268 del libero esercizio dei propri diritti soggettivi269. Inoltre, la decadenza dal diritto di accettare, come già surriferito, è prevista solamente per l’ipotesi di chiamato che non sia nel possesso di beni ereditari e che abbia già compilato l’inventario non seguìto, entro i quaranta giorni successivi, dalla dichiarazione di accettazione (art. 487, co. 3, c.c.)270. Orbene, in un’ipotetica situazione in cui il chiamato persona fisica non ottemperasse alla compilazione dell’inventario (eccezion fatta per l’art. 487, co. 3, c.c.), sia che ci si trovi dinanzi all’ipotesi di cui all’art. 485, co. 2, c.c., sia all’ipotesi di cui all’art. 487, co. 2, c.c., egli non incorrerebbe in alcuna decadenza, bensì diverrebbe erede puro e semplice271; ergo, l’atto giuridico già compiuto (alias: la dichiarazione di accettazione con beneficio) assumerebbe rilevanza, atteso il noto principio utile per inutile non vitiatur272, per l’accettazione pura e semplice273. Diversamente, invece, nel caso in cui tale chiamato fosse un ente morale, in specie una fondazione come nel caso de quo, entrerebbe in giuoco l’art. 473, co. 1, c.c., il quale, fungendo da scudo, non consentirebbe all’ente di accettare (o di essere considerato, che dir si voglia) come erede puro e semplice274, per cui l’atto giuridico già compiuto (scilicet: la dichiarazione di accettazione con beneficio) non assumerebbe affatto rilevanza275. Talché,

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«[…] stante il regime di tassatività delle decadenze, in assenza di una norma specifica che preved[a] espressamente una decadenza, essa non [può] essere ritenuta applicabile in via analogica (in assenza di una lacuna della legge)». 267 Si veda P. Saraceno, op. cit., 1021. Cfr. pure Cass., 15 luglio 2003, n. 11030, cit.: «[…] le norme che impongono il compimento dell’inventario entro determinati termini non inquadrano l’inutile loro decorso tra le ipotesi di decadenza dal beneficio […]». 268 Sul punto, assorbente è quanto scritto da R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, cit., 439, per il quale è «eccezionale ogni norma che non sia riconducibile ai principî generali o fondamentali dell’ordinamento giuridico, ma che anzi faccia eccezione ai principî, o sia in contrasto con essi». 269 C. Ruperto, op. cit., 651. Adde A. Burdese, op. cit., 512. In giurisprudenza, v. Cass., 12 gennaio 1981, n. 256, in Giust. civ. Mass., 1981, 95; Cass., 14 febbraio 1968, n. 517, in Giust. civ. Mass., 1968, 259. 270 Disposizione, questa, che non si confà affatto al caso di specie, nel quale invero la Fondazione, che non era nel possesso dei beni ereditari, ha sì effettuato la dichiarazione, ma non già l’inventario (fattispecie, come detto, rannodabile al secondo comma dell’art. 487 c.c.). 271 In questo medesimo senso, v. pure la Corte, nella pronunzia in commento. Sul punto, terso era l’art. 957 del Codice Pisanelli: «La dichiarazione suddetta [di voler accettare l’eredità col beneficio d’inventario] non produce effetto se non è preceduta o susseguita dall’inventario dei beni dell’eredità […]». Cfr. E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 133. 272 Così, U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 194. Al riguardo, volendo – seppur di passata – v. il nostro Contratto di transazione e patto successorio rinunziativo, cit., 659 (nt. 84) nonché 663-664 (nt. 126). 273 U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 194: «In questo [caso] l’atto non è nullo, ma resta valido come accettazione pura e semplice. Le forme stabilite nell’art. 484 sono, infatti, necessarie soltanto per l’accettazione col b d’i. Ma se l’atto non può valere come tale per difetto di forma, contiene, però, gli estremi sufficienti a dar vita all’accettazione pura e semplice: il riferimento al b d’i. resta irrilevante e, in base al principio utile per inutile non vitiatur, ha valore quella parte dell’atto (volontà di accettare), che, anche senza quel riferimento, basta a costituire il substrato materiale del negozio (accettazione), attraverso cui si completa la successione». 274 Cfr. G. Bonilini, Se l’art. 487, ult. cpv., c.c. si applichi nell’ipotesi in cui la formazione dell’inventario non sia stata richiesta dal chiamato all’eredità, cit., 603. 275 Cfr. U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, II, cit., 190. L’A., inoltre, più in generale rileva (ivi, 188) che «[…] qualsiasi altra forma di accettazione non ha valore, è irrilevante; non ha effetto […]. E non solo non produce l’effetto relativo al b. d’i., ma non vale neanche come accettazione».

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Giurisprudenza

nel caso in cui non si perfezioni la fattispecie complessa, l’ente morale non può riconoscersi quale erede276, sicché esso potrà, fintantoché – come ben ha affermato la Corte – non si prescriverà il diritto di accettare l’eredità277 (art. 480 c.c.), dare luogo ad una nuova procedura (dichiarazione e formazione dell’inventario, o viceversa) di accettazione278. Ciò è a fortiori ratione avvalorabile, come brillantemente affermato dalla Corte nella pronunzia in epigrafe, da quanto scolpito dal legislatore nell’art. 525 c.c.: se il chiamato rinunziante può comunque adire l’eredità, purché il diritto di accettazione non si sia prescritto ex art. 480 c.c. (o, nel caso, fino a che non lo abbia perso ex art. 481 c.c.) o altro dei chiamati non abbia frattanto acquistato il relictum279, non si vede perché un’accettazione non portata a compimento, e quindi improduttiva d’effetti, com’è a dirsi nel caso di specie, non possa essere nuovamente rinnovata280. Si badi: nonostante l’ente possa nuovamente dare vita ad un’ulteriore procedura di accettazione, v’ha comunque da individuarsi, per violazione di regole di comportamento, una responsabilità degli amministratori nei confronti dell’ente stesso281, giusta l’art. 18 c.c.282.

5. Osservazioni conclusive sull’eventuale applicazione

dell’art. 493, co. 1, c.c., nei confronti di un ente morale che abbia transatto relativamente a beni ereditari durante le more del procedimento di accettazione beneficiata.

Per concludere, è necessario soffermarsi brevemente sul secondo motivo di ricorso, sottoposto alla Corte da parte del ricorrente Filano, circa la possibile decadenza della Fon-

In giurisprudenza, cfr. almeno Cass., 29 settembre 2004, n. 19598, cit. In giurisprudenza – oltre, beninteso, alla pronunzia in commento – v. Cass., 12 aprile 2017, n. 9514, cit. 277 «La dichiarazione di voler accettare l’eredità col beneficio d’inventario è dichiarazione di voler accettare l’eredità; e, quindi, al pari della seconda, la prima va fatta fino a che il diritto di accettare non si sia prescritto»: W. d’Avanzo, Delle successioni, t. I, cit., 117 s. 278 Di diverso avviso, pare G. Gabrielli, op. cit., 236. V. altresì l’interpretazione prospettata da G. De Nova, Novelle e diritto successorio: l’accettazione di eredità beneficiata degli enti non lucrativi, in Riv. not., 2009, I, 1 ss., spec. 9. Suggestiva e interessante è l’opinione di C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, cit., 272, il quale rileva come l’onere di accettare con beneficio d’inventario, per gli enti, condizioni l’accettazione stessa, condizione che è «legale, potestativa e sospensiva […]. Di modo che s’intende che in difetto l’accettazione s’abbia a tenere priva d’efficacia». Soggiunge, indi, l’A. (ivi, 273): «Si deve però […] dubitare che l’esser obbietto della condicio iuris l’esercizio d’un potere faccia venire meno l’entità di quest’ultimo? […] il potere non resta nè pure scalfito, dal momento che non viene affatto menomata la libertà del subietto al suo esercizio […]». 279 O, ancóra, taluno non abbia frattanto usucapito singoli beni ereditari: così, L. Ferrara, op. cit., 678. 280 Chiaro, al riguardo, è G. De Nova, op. cit., 8 s.: «[…] se è ammesso al chiamato di rinunziare e poi, in seguito, di accettare, non si vede perché una accettazione invalida (che è un minus rispetto ad una rinunzia) non possa essere poi seguita da una accettazione valida […]». 281 Cfr. M. Ferrario Hercolani, op. cit., 1289, il quale, per giunta, ravvisa una responsabilità, in capo al «rappresentante dell’ente», anche nei confronti dei creditori ereditari e dei legatari, i quali «potranno metterlo [il rappresentante] in mora per la resa dei conti e la liquidazione dell’eredità». Cfr. pure, obiter, F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 400; L. Ferri, op. cit., 210. 282 F. Galgano, Delle persone giuridiche, cit., 294 (ma v. pure 294 ss.). Adde E. Eula, op. cit., 137; R. de Ruggiero - F. Maroi, op. cit., 218; B. Liguori, op. cit., 219 e 220. 276

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Marco Ramuschi

dazione dal diritto di accettare l’eredità. Al riguardo, Filano pare aver effettuato un “ragionamento ad esclusione”283: egli, difatti, ritiene che non potendo più essere accettata l’eredità col beneficio d’inventario, e avendo la Fondazione, appunto, transatto relativamente a (e indi ceduto alcuni) beni ereditari senza la prescritta autorizzazione giudiziale (art. 493, co. 1, c.c.)284, l’unica sanzione applicabile, in tal caso, sarebbe proprio «la decadenza dalla capacità di succedere prevista dagli artt. 493 e 473 c.c.»285. Ossia, come a dire: il comportamento dell’ente non può rimanere privo di conseguenze, per cui, in dubio, si deve applicare il primo comma dell’art. 493 c.c. Sennonché, sol che si rifletta brevemente su quest’ultima disposizione, come già abbiamo rilevato286, essa discorre chiaramente de: «L’erede decade dal beneficio d’inventario […]», dando dunque per presupposto il fatto che il soggetto, il quale sia incorso nel divieto scolpito nel primo comma di tale disposizione, abbia già portato a compimento il procedimento di accettazione dell’eredità287, e perciò non possa decadere né dalla qualità di erede (semel heres semper heres)288, né, beninteso, dal diritto – già inverato – di accettare l’eredità: l’art. 493, co. 1, c.c., difatti, entra in giuoco allorquando il chiamato si sia già vestito dello status di erede, prevedendo, come conseguenza alla mancata autorizzazione giudiziale, solamente la decadenza dal beneficium inventarii. Orbene, come giustamente ha affermato la Corte, l’aditio, nella specie, non può affatto considerarsi compiuta, giacché la mancata compilazione dell’inventario, successivamente alla dichiarazione, ha inficiato la fattispecie-procedimento di accettazione e quindi non ha consentito al chiamato di divenire erede. Ergo, la decadenza impropria (rectius: la sanzione289) espressamente prevista nell’art. 493, co. 1, c.c., non può trovare ragione d’essere nella fattispecie de qua. Solo dopo aver compiuto l’accettazione, per vero, il chiamato assume la qualità di erede subentrando in locum et ius del de cuius e acquistando perciò la proprietà dei beni ereditari290. Diversamente – ovverosia fintantoché l’accettazione beneficiata non diverrà un fatto compiuto –, com’è a sottolineare in diverse disposizioni lo stesso legislatore (exempli gratia, artt. 485-488 c.c.), il soggetto rimane un mero «chiamato all’eredità» (o anche, solamente, «chiamato»), e non già un «erede»291.

283

V. supra, § 4. Prescrizione, questa, che viene individuata da C. Vocino, voce Inventario (beneficio di) (Diritto civile), cit., 22, come una disposizione facente parte di un più ampio meccanismo, organizzato al fine di conservare il patrimonio ereditario. 285 Ciò è quanto riportato dalla Suprema Corte, nel descrivere il secondo motivo di ricorso. 286 V. supra, § 3. 287 Per tutti, sul punto, si riveda quantomeno F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 422 e 423 (ma anche, incidentalmente, 415), cui adde A. Cicu, Le successioni, cit., 115; C. Giannattasio, op. cit., 178; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 956; G. Capozzi, op. cit., 304. 288 Cfr. G. Perlingieri, L’«acquisto» puro e semplice delle eredità devolute agli enti, cit., 127. 289 V. supra, nt. 180. 290 A. Azara, op. cit., 171. 291 A. Azara, op. cit., 168. V. anche A. Butera, op. cit., 90. 284

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Giurisprudenza

Se, come regola già affermata292, l’atto compiuto (in ispecie, il contratto di transazione293) dall’erede, pur in violazione dell’art. 493, co. 1, c.c., è di per sé valido, non può altrettanto dirsi per il caso in commento, ove la transazione è stata conclusa, nelle more del procedimento di accettazione, da un mero chiamato all’eredità. Invero, la Fondazione che ha concluso codesto negozio non era legittimata, poiché ancóra non era erede; sicché tale vizio inficerà solamente l’oggetto mediato294 del contratto di transazione295 stipulato (art. 1966 c.c.), quindi la cessione dei beni ereditari. Marco Ramuschi

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V. supra, nt. 222. Più in generale, cfr. A. Cicu, Successioni per causa di morte, cit., 304. 294 Al riguardo, anche e soprattutto per una più ampia panoramica di riferimenti bibliografici, ci sia consentito rinviare al nostro Contratto di transazione e patto successorio rinunziativo, cit., 650 ss. 295 Sul punto, per una panoramica della bibliografica in tema di contratto di transazione, ci sia nuovamente consentito fare riferimento al nostro Contratto di transazione e patto successorio rinunziativo, cit., 640 ss. 293

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